• “Ogni giorno ci sono migranti respinti al confine dalla Francia. Spesso famiglie”. Viaggio in Valsusa nel rifugio costretto alle brandine in corridoio

    Il confine alpino tra l’Italia e la Francia passa in mezzo a un campo da golf. Non si vede ma c’è. Una pallina può attraversarlo, ma una bambina di un anno no. Viene fermata dalla polizia francese mentre insieme ai suoi genitori prova a passare la frontiera camminando sui sentieri a oltre 1700 metri d’altitudine. Vorrebbero chiedere asilo in Francia ma la polizia li intercetta nei boschi e li rispedisce indietro. Un destino che riguarda sempre più persone.

    Da qualche settimana il numero dei migranti lungo la rotta alpina che passa da Claviere è aumentato. “Siamo arrivati a contare anche 150 persone in una sola notte” racconta Elena, una delle operatrici del Rifugio Fraternità Massi di Oulx. Un “porto sicuro” nato nel dicembre 2021 grazie a tante realtà come Talitá kun, Rainbow4Africa, la diaconia valdese, On Borders, Medu, Croce Rossa e grazie a 170 volontari che si alternano per garantire un aiuto alle persone in transito. Nel solo mese di luglio più di mille migranti sono stati ospitati qui. Il 10 per cento sono minori stranieri non accompagnati che per il diritto europeo dovrebbero poter passare il confine, ma non gli viene consentito.

    “Rispetto agli anni scorsi, nel 2023 abbiamo visto che la maggior parte delle persone proviene non più dalla rotta balcanica ma direttamente da Lampedusa – spiega l’antropologo Piero Gorza di On Borders – non più afghani e iraniani, ma arrivano per lo più dall’Africa Subsahariana e sono sbarcati in Italia da poche settimane”. Un cambio che comporta delle nuove difficoltà per queste persone. “Non sono abituati a camminare in montagna sui sentieri di notte e per di più continua la ‘caccia all’uomo’ da parte della polizia di frontiera francese”. Il risultato è che la rotta alpina diventa sempre più difficile per i migranti che per evitare i gendarmi si spingono su sentieri sempre più in alto. E i rischi aumentano. “Siamo partiti in sei ma quando abbiamo visto la polizia siamo scappati sparpagliandoci tra i boschi – racconta un ragazzo che ha poco più di vent’anni e che proviene dalla Costa d’Avorio – mi sono perso, ero in mezzo alla neve e presto le mani mi si sono congelate. Non riuscivo più a camminare. Ho avuto paura di morire”. Ma è riuscito a chiamare la Croce Rossa che lo ha salvato riportandolo al rifugio.

    L’elenco di chi non ce l’ha fatta a salvarsi continua però ad allungarsi. Lunedì mattina il corpo di un migrante morto è stato trovato sui sentieri tra Monginevro e Briancon, sul lato francese. L’ennesima vittima che si aggiunge a quelle degli scorsi anni. “Non siamo di fronte ad un fatto tragico ed eccezionale, ma ad una concreta eventualità che si ripropone ogni giorno ad ogni respingimento”, spiega l’associazione On borders che ha contato dieci morti accertati negli ultimi anni. Persone a cui è difficile dare un volto e un nome. Nel 2018 Blessing è morta mentre scappava dalla polizia, nel 2022 Fahtallah è stato trovato morto nella diga vicino a Modane, nello stesso anno il 14enne Aullar è morto stritolato dal treno a Salbeltrand. “Non è la montagna che uccide ma il sistema di frontiera – scrive On Borders – i morti nel Mediterraneo, a Cutro, a Ventimiglia e sulle Alpi sono il risultato di una stessa pianificata politica dell’orrore”.

    Le attività di soccorso e accoglienza su questo confine non si fermano mai, neanche d’estate. E quando c’è bisogno di letti aggiuntivi perché il rifugio di Oulx è pieno, i corridoi del polo logistico Cri di Bussoleno si riempiono di brandine per ospitare le persone in transito. “In Valsusa viviamo il riflesso della situazione che sta vivendo l’Italia – racconta Michele Belmondo del Comitato della Croce Rossa di Susa facendo riferimento ai 2 mila sbarchi del mese di luglio – ma non si può parlare di emergenza perché quello della migrazione è ormai un fenomeno strutturale che va avanti da anni”. Piuttosto sul lato italiano si va “un pochino più in difficoltà quando la frontiera diventa impermeabile per le condizioni meteo avverse o per i maggiori controlli da parte della polizia di frontiera”. E i governi italiani che si sono succeduti continuano “a lavarsene le mani” come spiega Gorza. “I decreti Cutro, la legge 50 e gli accordi con la Tunisia finiranno solo con il rendere più pericoloso il cammino dei migranti – conclude l’antropologo – dunque il risultato sarà la clandestinizzazione di queste persone e l’arricchimento dei trafficanti oltre a un costo umano altissimo perché puoi bloccare un accesso, ma si apriranno nuove rotte più pericolose con più morti. La gente non può né tornare indietro né restare, l’unica possibilità per loro andare avanti”. La migrazione, del resto, come spiega il ragazzo ivoriano “è un fenomeno naturale e non si può fermare. Proprio per questo occorre cambiare le leggi”.

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/08/09/ogni-giorno-ci-sono-migranti-respinti-al-confine-dalla-francia-spesso-famiglie-viaggio-in-valsusa-nel-rifugio-costretto-alle-brandine-in-corridoio/7254891

    #frontières #frontière_sud-alpine #Val_de_Suse #Italie #France #refoulements #Alpes #montagne #push-backs #migrations #asile #réfugiés #film #reportage #vidéo #Croix-Rouge #urgence #Oulx #rifugio_fraternità_massi #fraternità_massi #chasse_à_l'homme #danger

  • Termes nautiques
    https://www.annoncesbateau.com/conseils/termes-nautiques

    petit #dictionnaire

    Écrit par : Bénédicte Chalumeau
    ...
    Pour naviguer il est nécessaire d’avoir une compréhension du vocabulaire de la navigation, de la mer et des bateaux. Nous vous présentons ici les termes techniques les plus courants, utilisés dans le monde maritime.

    A
    #Abattre :
    Écarter sa route du lit du vent. Ce mouvement s’appelle une abattée.

    #Abord (en) :
    Sur le côté du bâtiment.

    #Accastillage :
    Objets et accessoires divers équipant un navire.

    #Accoster :
    Placer un bâtiment le long d’un quai ou le long d’un autre navire.

    #Acculée :
    Mouvement en arrière d’un navire, il cule.

    #Adonner :
    Le vent adonne pour un navire à voiles quand il tourne dans un sens favorable à la marche, c’est à dire quand il vient plus à l’arrière. Le contraire est refuser.

    #Affaler :
    Faire descendre, c’est le contraire de hâler. Affaler quelqu’un le long du bord, ou d’un mât, c’est le faire descendre au bout d’un filin.

    #Aiguillots :
    Pivots fixes sur une mèche du gouvernail ou sur l’étambot et tournant dans les fémelots.

    #Aileron :
    Partie de tente qui se place en abord. Prolongements en abord et généralement découverts de l’abri de navigation.

    #Ajut :
    Noeud servant à réunir momentanément deux bouts de cordage.

    #Allure :
    Direction d’un navire par rapport à celle du vent.

    #Amariner :
    Amariner un équipage : l’habituer à la mer.

    #Amarrage :
    Action d’amarrer.

    #Matelotage
     : bout de lusin, merlin, ligne, etc... servant à relier ensemble deux cordages.

    #Amarres :
    Chaînes ou cordages servant à tenir le navire le long du quai.

    #Amener :
    abaisser, faire descendre.

    #Amer :
    Point de repère sur une côte.

    #Amure :
    Manoeuvre qui retient le point inférieur d’une voile du côté d’où vient le vent (voiles carrées). Par extension est synonyme d’allure. Pour les bateaux latins, on continue à dire qu’ils naviguent bâbord ou tribord amures, selon que le vent vient de la gauche ou de la droite.

    #Anguillers :
    Conduits, canaux ou trous pratiqués dans la partie inférieure des varangues des couples pour permettre l’écoulement de l’eau dans les fonds.

    #Anspect :
    Ou barre d’anspect. Levier en bois dur servant à faire tourner un cabestan ou un guindeau. Primitivement, servait à pointer les canons en direction.

    #Aperçu :
    Pavillon signal que l’on hisse pour indiquer que l’on a compris un signal.

    #Apiquer :
    Hisser l’une des extrémités d’un gui ou d’une vergue de manière à l’élever au-dessus de l’autre.

    #Apparaux :
    Ensemble des objets formant l’équipement d’un navire.

    #Appel :
    Direction d’un cordage, de la chaîne de l’ancre.

    #Appuyer :
    Haler, raidir un cordage pour soutenir ou fixer l’objet auquel il aboutit. Appuyer un signal, c’est l’accompagner d’un signal sonore, coup de Klaxon, pour attirer l’attention. Appuyer la chasse : poursuivre obstinément.

    #Araignée :
    Patte d’oie à grand nombre de branches de menu filin qu’on installe sur les funes des tentes et tauds pour permettre de les maintenir horizontaux. Hamac : réseau de petites lignes à oeil placées à chaque extrémité de la toile du hamac pour le suspendre : elles se réunissent à deux boucles métalliques ou organeaux d’où partent les « rabans » de suspension.

    #Arborer :
    Arborer un pavillon, c’est le hisser au mât. En Méditerranée, dans la langue des galères, le mât s’appelait l’arbre.

    #Ardent :
    Un navire est ardent lorsqu’il tend de lui-même à se rapprocher du lit du vent. C’est le contraire du mou.

    #Armement :
    L’armement d’un bâtiment consiste à le munir de tout ce qui est nécessaire à son genre de navigation ; ce terme désigne aussi la totalité des objets dont un navire est muni. Ces objets sont inscrits sur les « feuilles d’armement ». Dans une embarcation, on appelle ainsi son équipage.

    #Armer :
    Armer un navire : le munir de son armement. / Armer un câble : le garnir en certains endroits pour le garantir des frottements.

    #Arraisonner :
    Arraisonner un navire c’est le questionner sur son chargement, sa destination, et toutes autres informations pouvant intéresser le navire arraisonneur.

    #Arrimage :
    Répartition convenable dans le navire de tous les objets composants son armement et sa cargaison.

    #Arrivée :
    Mouvement que fait le navire quand il s’éloigne du lit du vent pour recevoir le vent plus de l’arrière. Synonyme : « abattée ». Contraire : « auloffée ».

    #Arrondir :
    Passer au large d’un cap pour éviter les dangers qui le débordent.

    #Assiette :
    Manière dont le navire est assis dans l’eau, autrement dit sa situation par rapport à la différence de ses tirants d’eau avant et arrière.
    Assiette positive : T AV < T AR
    Assiette négative : T AV > T AR

    #Atterrir :
    Faire route pour trouver une terre ou un port.

    #Attrape :
    Cordage fixé sur un objet de façon à pouvoir en temps utile l’amener à portée de main.

    #Atterrissage :
    Action d’atterrir.

    #Auloffée :
    Mouvement d’un navire tournant son avant vers le lit du vent. Contraire : arrivée abattée (ou abattée).

    #Aveugler :
    Une voie d’eau, obstruer avec des moyens de fortune

    B
    #Bâbord :
    Partie du navire située à gauche d’un observateur placé dans l’axe de ce navire en faisant face à l’avant.

    #Baguer :
    Faire un noeud coulant.

    #Baille :
    Baquet (appellation familière donnée à leur école, par les élèves de l’école Navale).

    #Balancine :
    Manoeuvre partant du haut du mât et soutenant les extrémités d’une vergue ou l’extrémité d’un gui ou d’un tangon.

    #Ballast :
    Compartiments situés dans les fonds du navire et servant à prendre du lest, eau ou combustible.

    #Ballon :
    Défense sphérique que l’on met le long du bord.

    #Bande :
    Inclinaison latérale du navire. Synonyme de gîte. Mettre l’équipage à la bande : l’aligner sur le pont pour saluer un navire ou une personnalité.

    #Barbotin :
    Couronne à empreintes du guideau ou du cabestan sur laquelle les maillons d’une chaîne viennent s’engrener successivement.

    #Base :
    Banc de roche ou de corail formant un bas-fond.

    #Bastaque :
    Hauban à itague employé sur les petits bateaux. Il peut aussi servir à hisser certains objets.

    #Bastingage :
    Autrefois muraille en bois ou en fer régnant autour du pont supérieur d’un navire, couronnée par une sorte d’encaissement destiné à recevoir pendant le jour, les hamacs de l’équipage ; une toile peinte les recouvrait pour les protéger de la pluie et de l’humidité. On emploie aussi ce terme par extension pour désigner les gardes corps ou lisses de pavois.

    #Battant :
    Partie du pavillon qui flotte librement par opposition au guindant qui est le long de la drisse.

    #Bau :
    Poutres principales placées en travers du bateau pour relier les deux murailles de la coque et supporter les bordages de la coque.

    #Beaupré :
    Mât situé à l’avant du bâtiment.

    #Béquiller :
    #Empêcher un navire échoué de se coucher en le maintenant avec des béquilles.

    #Berceau :
    Assemblage en bois ou en fer destiné à soutenir un navire quand il est halé à terre.

    #Berne (en) :
    Mettre le pavillon à mi-drisse en signe de deuil.

    #Bigue :
    Très gros mât de charge maintenu presque vertical et portant à son extrémité supérieure des cordages et des appareils destinés à lever des poids très lourds. On nomme aussi bigues deux mâts placés et garnis comme le précèdent, et dont les têtes sont réunies par une portugaise.

    #Bittes :
    Pièce de bois ou d’acier fixé verticalement sur un pont ou un quai et servant à tourner les aussières.

    #Bitture :
    Partie d’une chaîne élongée sur le pont à l’avant et à l’arrière du guindeau, filant librement de l’écubier aussitôt qu’on fait tomber l’ancre (prendre une bitture).

    #Bollard :
    Point d’amarrage à terre constituée par un gros fût cylindrique en acier coulé, à tête renflée, pour éviter le glissement de l’amarre.

    #Bôme :
    Vergue inférieure d’une voile aurique.

    #Borde :
    #Ensemble des tôles ou des planches formant les murailles d’un navire.

    #Bordée :
    – Distance parcourue par un navire en louvoyant et sans virer de bord.
    – Division : de l’équipage pour faire le quart.

    #Border :
    – ne voile : la raidir en embarquant l’écoute.
    – La côte : la suivre de très près.
    – Un navire : mettre en place le bordé.

    #Bordure :
    Côté inférieur d’une voile ; la ralingue qui y est fixée se nomme ralingue de fond ou de bordure.

    #Bosco :
    Maître de manoeuvre (marine de guerre), Maître d’équipage (marine de commerce)

    B#osse :
    Bout de cordage ou de chaîne fixé par une de ses extrémités et qui, s’enroulant autour d’un cordage ou d’une chaîne sur lesquels s’exerce un effort, les maintient immobile par le frottement.

    #Bossoir :
    – Pièce de bois ou de fer saillant en dehors d’un navire et servant à la manoeuvre des ancres à jas ; par extension coté avant d’un navire. De capon - de traversières : sert à mettre l’ancre au poste de navigation ; d’embarcation ou portemanteau : sert à suspendre et à amener les embarcations.
    – Homme de bossoir : homme de veille sur le gaillard avant.

    #Bouge :
    Convexité transversale entre ponts et faux-ponts des navires.

    #Bouée :
    Corps flottant.

    #Bourlinguer :
    Se dit d’un bateau qui lutte dans une forte mer et d’un marin qui navigue beaucoup.

    #Braie :
    Sorte de collier en toile à voile ou en cuir que l’on applique autour du trou pratiqué dans le pont pour le passage d’un mât, d’une pompe, de la volée d’un canon afin d’empêcher l’infiltration de l’eau à l’intérieur du bateau.

    #Branles :
    Nom ancien des hamacs (d’où « branle-bas »).

    #Brasse :
    Mesure de longueur pour les cordages, 1m83, servant aussi à indiquer la profondeur de l’eau. Ce terme est en usage dans la plupart des nations maritimes mais la longueur en est différente : en France : 1m624, en Angleterre et en Amérique : 1m829 (six pieds anglais).

    #Brasser :
    Orienter les vergues au moyen des manoeuvres appelées bras. - carré : placer les vergues à angle droit avec l’axe longitudinal du navire. Brasser un tangon.

    #Brider :
    Étrangler, rapprocher plusieurs cordages tendus parallèlement par plusieurs tours d’un autre cordage qui les serre en leur milieu ; ou augmente ainsi leur tension.

    #Brigadier :
    Matelot d’une embarcation placé à l’avant pour recevoir les bosses ou les amarres, annoncer les obstacles sous le vent ou aider à accoster avec la gaffe.

    #Brin :
    Mot servant à indiquer la qualité du chanvre d’un cordage ; le meilleur est dit le premier brin. S’emploie aussi pour qualifier un homme remarquable.

    #Bulbe :
    Renflement de la partie inférieure d’une étrave.

    #Bulge :
    Renflement des flancs du navire.

    C
    #Cabaner :
    Chavirer sans dessus dessous en parlant d’une embarcation.

    #Cabestan :
    Treuil vertical servant à actionner mécaniquement ou à bras les barbotins.

    #Cabillot :
    Chevilles en bois ou en métal qui traversent les râteliers et auxquelles on amarre les manoeuvres courantes au pied des mâts ou en abord.

    #Câblot :
    Petit câble d’environ 100 mètres de longueur servant à mouiller les embarcations au moyen d’un grappin ou d’une petite ancre.

    #Cabotage :
    Navigation entre deux ports d’une même côte ou d’un même pays.

    #Caillebotis :
    treillis en bois amovible servant de parquet et laissant écouler l’eau.

    #Calfatage :
    Opération qui consiste à remplir d’étoupe, au moyen d’un ciseau et à coups de maillet, les coutures des bordages ou des ponts en bois d’un navire afin de les rendre étanches. L’étoupe est ensuite recouverte de brai.

    #Calier :
    Homme employé spécialement à la distribution de l’eau douce.

    #Caliorne :
    Gros et fort palan destiné aux manoeuvres de force.

    #Cap de mouton :
    Morceau de bois plat et circulaire percé de trois ou quatre trous dans lesquels passent des rides pour raidir les haubans, galhaubans, etc...

    #Cape (à la) :
    On dit qu’un navire est à la cape quand, par gros temps, il réduit sa voilure ou diminue la vitesse de sa machine en gouvernant de façon à faire le moins de route possible et à dériver le plus possible pour éviter les effets de la mer.

    #Capeler :
    Capeler un mât, c’est faire embrasser la tête du mât par toutes les manoeuvres dormantes qui doivent entourer cette tête et s’y trouver réunies.

    #Capeyer :
    Tenir la cape.

    #Capon :
    Palan qui servait à hisser l’ancre sur les anciens navires (bossoirs de capon).

    #Carène :
    Partie immergée de la coque d’un navire.

    #Caréner (un navire) :
    Nettoyer et peindre sa carène.

    #Cartahu :
    Cordage volant, sans affectation spéciale, destiné à hisser ou amener les objets qu’on y attache. Les cartahus de linge servent à mettre le linge au sec ; ils se hissent parfois entre les mâts de corde.

    #Chadburn :
    Système mécanique employé pour transmettre les ordres de la passerelle aux machines (marine de commerce).

    #Chambre (d’embarcation) :
    Partie libre, à l’arrière de l’embarcation où peuvent s’asseoir les passagers.

    #Chandeliers :
    Barres généralement en acier fixées verticalement en abord d’un pont, autour des panneaux et des passerelles pour empêcher les chutes. Les chandeliers sont percés de trous dans lesquels passent les tringles ou les filières de garde-corps.

    #Chapelle, #Faire_chapelle :
    Se dit d’un navire qui, marchant, sous un vent favorable, vient à masquer par suite, d’une cause quelconque et est obligé de faire le tour pour reprendre les mêmes amures.

    #Charnier :
    Tonneau à couvercle, ayant généralement la forme d’un cône tronqué et dans lequel étaient conservés les viandes et les lards salés pour la consommation journalière de l’équipage (ancien). Par extension réservoir rempli d’eau potable.

    #Chasser (sur son ancre) :
    Entraîner l’ancre par suite d’une tenue insuffisante de fond.

    #Château :
    Superstructure établie sur la partie centrale d’un pont supérieur et qui s’étend d’un côté à l’autre du navire.

    #Chatte :
    Grappin à patte sans oreilles dont on se sert pour draguer les câbles ou les objets tombés à la mer.

    #Chaumard :
    Pièce de guidage pour les amarres solidement fixées sur le pont dont toutes les parties présentent des arrondis pour éviter d’user ou de couper les filins.

    #Chèvre :
    Installation de trois mâtereaux réunis à leur tête pour les manoeuvres de force.

    #Choquer :
    Filer ou lâcher un peu de cordage soumis à une tension.

    #Claire :
    Ancre haute et claire :
    ancre entièrement sortie de l’eau, ni surpattée, ni surjalée. On dira de même :
    manoeuvre claire, pavillon clair.

    #Clan :
    Ensemble formé par un réa tournant dans une mortaise qui peut être pratiquée dans un bordage, une vergue ou un mât.

    #Clapot :
    Petites vagues nombreuses et serrées qui se heurtent en faisant un bruit particulier.

    #Clapotis :
    Etat de la mer qui clapote ou bruit de clapot.

    #Clin :
    Les bordages sont disposés à clin quand ils se recouvrent comme les ardoises d’un toit :
    embarcation à clins.

    #Clipper :
    Nom donné à un
    voilier
    fin de carène, spécialement construit pour donner une grande vitesse (clipper du thé, de la laine).

    #Coaltar :
    Goudron extrait de la houille (protège le bois de la pourriture).

    #Coffre :
    Grosse bouée servant à l’amarrage des navires sur une rade.

    #Connaissement :
    Document où est consigné la nature, le poids et les marques des marchandises embarquées. Cette pièce est signée par le capitaine après réception des marchandises avec l’engagement de les remettre dans l’état où elles ont été reçues, au lieu de destination sauf périls et accidents de mer.

    #Conserve, Naviguer de conserve :
    Naviguer ensemble (un bâtiment est ainsi « conserve » d’un autre).

    #Contre-bord (navire à) :
    Navire faisant une route de direction opposée à celle que l’on suit.

    #Coque :
    Boucle qui se forme dans les cordages.

    #Coqueron :
    Compartiment de la coque souvent voisine de l’étrave ou de l’étambot, servant e soute à matériel.

    #Corde :
    Ce mot n’est employé par les marins que pour désigner la corde de la cloche.

    #Cornaux :
    W-C. de l’équipage consistant en auges inclinées qui découlent dans les conduits aboutissant à la mer ; les cornaux étaient autrefois placés à tribord et à bâbord sur le plancher de la poulaine.

    #Corps-morts :
    Chaînes et ancres disposées au fond de la mer, solidement retenues par des empennelages, et dont une branche qui part dès la réunion des chaînes est nommée itague revient au-dessus de l’eau où elle est portée par un corps flottant (bouée ou coffre).

    #Coupée :
    Ouverture pratiquée dans les pavois ou dans le bastingage permettant l’entrée ou la sortie du bord.

    #Couples :
    Axes de charpente posés verticalement sur la quille.

    #Coursive :
    Terme général pour désigner des passages étroits tels que ceux qui peuvent se trouver entre des chambres ou autres distributions du navire.

    #Crachin :
    Pluie très fine. Crachiner.

    #Crapaud (d’amarrage) :
    Forts crampons pris sur le fond et servant au mouillage des coffres et des grosses bouées.

    #Crépine :
    Tôle perforée placée à l’entrée d’un tuyautage pour arrêter les saletés.

    #Croisillon :
    Petite bitte en forme de croix.

    #Croupiat :
    Grelin de cordage quelconque servant à amarrer l’arrière d’un navire à un quai ou à un bâtiment voisin. Faire croupiat :
    appareiller le navire en s’aidant d’une amarre pour éviter le navire vers la sortie du port ou du bassin.

    #Cul :
    Fond, partie arrière, basse ou reculée, d’un objet.
    – Cul d’une poulie :
    Partie de la caisse opposée au collet.
    – Cul de poule :
    Arrière allongé et relevé.
    – Cul de porc :
    Sorte de noeud.

    #Culer :
    En parlant d’un navire : marche arrière en avant.

    D
    #Dalot :
    Trous pratiqués dans les ponts et laissant s’écouler dans un tuyau placé au-dessous l’eau qui se trouve à la surface du pont.

    #Dames :
    Échancrures du plat-bord d’un canot garnies de cuivre et destinées à recevoir et à maintenir les avirons pendant la nage.

    #Darse :
    Bassin d’un port.

    #Déborder :
    Action de pousser au large une embarcation ou un bâtiment accosté à un navire ou à un quai.

    #Débouquer :
    Sortir d’un canal ou d’une passe pour gagner la mer libre.

    #Décapeler :
    Un mât, une vergue, c’est enlever les cordages qui y sont capelés ; un cordage, entourant un objet quelconque, c’est le dépasser par-dessus cet objet et l’enlever. De façon générale : ôter, décapeler un tricot, etc...

    #Défense :
    Tout objet suspendu contre le bord d’un navire ou d’une embarcation pour préserver la muraille du choc des quais et de toute construction flottante.

    #Déferler :
    Larguer les rabans de ferlage qui tiennent une voile serrée et la laisser tomber sur ses cargues. La lame déferle lorsqu’elle brise en s’enroulant sur elle-même ou en choquant une plage, une roche.

    #Déferler_un_pavillon :
    Peser sur la drisse pour permettre au pavillon de se déployer.

    #Déhaler :
    Déplacer un navire au moyen de ses amarres.

    Se déhaler :
    S’éloigner d’une position dangereuse au moyen de ses embarcations, de ses voiles.

    #Dérader :
    Quitter une rade.

    #Déraper :
    Une ancre : l’arracher du fond. Un navire dérape lorsqu’il enlève du fond sa dernière ancre.

    #Dérive :
    Différence entre le cap vrai du bâtiment et sa route vraie sous l’effet du vent de la mer et du courant.On appelle aussi « dérive » les surfaces que l’on immerge au centre de la coque ou sur les côtés pour s’opposer à la pression latérale du vent ; on devrait dire dans ce cas « contre dérive ». Être en dérive : navire ou objet qui flotte au gré du vent, des lames, des courants.

    #Désaffourcher :
    Relever une des deux ancres qui tiennent un navire affourché.

    #Désarmé :
    Un navire est désarmé lorsqu’il est amarré dans un port sans équipage et qu’il n’y a, en général, que des gardiens à bord.

    #Détroit :
    Ancre installée à la poupe d’un bâtiment.

    #Déventer :
    Une voile : la brasser en ralingue de façon à ce qu’elle fasseye.

    #Dévers :
    Inclinaison de l’étrave et courbure vers l’extérieur des couples de l’avant ayant pour avantage d’éviter l’embarquement des lames, formées par la vitesse du bâtiment.

    #Délester :
    Décharger le lest d’un navire, par exemple, alléger un navire.

    #Démailler :
    Séparer les maillons d’une chaîne, ou l’ancre de sa chaîne.

    #Demande :
    Filer à la demande un cordage qui fait effort, c’est le laisser (à la) filer en n’opposant qu’une faible résistance, mais en se tenant prêt à arrêter le mouvement au besoin.

    #Dépaler :
    Être dépalé : être porté par les courants, en dehors de la route que l’on doit suivre.

    #Déplacement :
    Poids du volume d’eau déplacé par un navire qui flotte. Le déplacement s’exprime en tonnes de 1000 kg.

    #Dévirer :
    (Cabestan, treuil, etc...) : tourner en sens contraire.

    #Dinghy :
    Embarcation en caoutchouc. L’on dit aussi
    zodiac quel que soit le modèle.

    #Double :
    Le double d’une manoeuvre : la partie qui revient sur elle-même dans le sens de la longueur après avoir passé dans une poulie ou autour d’un cabillot ou de tout autre objet. Quart de vin supplémentaire à titre de récompense.

    #Doubler :
    – Au vent : naviguer au vent de, passer au vent de...
    – Un cap : manoeuvrer et faire route de manière à contourner un cap.
    – Un bâtiment : le gagner de vitesse.
    – Les manoeuvres, cordages : les disposer en double en cas de mauvais temps ou autrefois à l’approche du combat.

    #Draille :
    Cordage tendu le long duquel une voile, une tente peuvent courir ou glisser par le moyen d’un transfilage ou d’anneaux.

    #Drisse :
    Cordage ou palan servant à hisser une vergue, une corne, une voile.
    – De flamme : cordage confectionné au moyen d’une machine spéciale, en une tresse ronde avec huit faisceaux, de trois fils à voile non goudronnés et destiné à hisser les signaux.

    #Drome :
    Ensemble des embarcations, des pièces de rechange : mâts, vergues, avirons, etc... embarqués à bord d’un bâtiment.
    – Des embarcations : rassemblement en bon ordre des avirons, mâts, gaffes d’un canot sur les bancs.

    #Drosse :
    Cordage en filin, en cuir, en fil d’acier, ou en chaîne qui sert à faire mouvoir la barre de gouvernail.

    #Drosser :
    Entraîner hors de sa route par les vents et la mer.

    #Ducs d’albe :
    Nom donné à un ou plusieurs poteaux réunis, enfoncés dans le fond d’un bassin ou d’une rivière afin d’y capeler des amarres quand on le déhale d’un navire.

    E
    #Echafaud :
    Planches formant une plate-forme que l’on suspend le long de la coque pour travailler.

    #Echouer :
    Toucher le fond.

    #Ecope :
    Pelle en bois à long manche qui sert à prendre de l’eau à la mer pour en asperger la muraille d’un bâtiment pour la nettoyer. Elle sert également à vider les embarcations.

    #Écoutille :
    Ouverture rectangulaire pratiquée dans le pont pour pouvoir accéder dans les entreponts et dans les cales.

    #Ecubier :
    Conduit en fonte, en tôle ou en acier moulé ménagé de chaque bord de l’étrave pour le passage des chaînes de l’ancre. Ouverture par laquelle passe la chaîne d’une ancre.

    #Elingue :
    Bout de filin ou longue estrope dont on entoure les objets pesants tels qu’une barrique, un ballot, une pièce de machine, etc... A cette élingue, on accroche un palan ou la chaîne d’un mât de charge pour embarquer ou débarquer les marchandises.

    #Embardée :
    Abattée d’un navire en marche en dehors de sa route ou au mouillage ou sous l’effet du vent ou du courant.

    #Embarder :
    Se dit d’un navire qui s’écarte de sa route à droite ou à gauche en suivant une ligne courbe et irrégulière. On dit aussi qu’un navire, à l’ancre, embarde quand il change constamment de cap sous l’effet du vent ou du courant.

    #Embellie :
    Amélioration momentanée de l’état de la mer et diminution du vent pendant une tempête ou encore éclaircie du ciel pendant le mauvais temps ou la pluie.

    #Embosser :
    Un navire : mouiller ou amarrer le bâtiment de l’AV et de l’AR, pour le tenir dans une direction déterminée malgré le vent ou le courant.

    #Embouquer :
    S’engager dans un canal, un détroit ou une passe.

    #Embraquer :
    Tirer sur un cordage de manière à le raidir : embraquer le mou d’une aussière.

    #Embrun :
    L’embrun est une poussière liquide arrachée par le vent de la crête des lames.

    #Emerillon :
    Croc ou anneau rivé par une tige dans un anneau de manière à pouvoir tourner librement dans le trou de l’anneau.

    #Empanner :
    Un navire à voile empanne ou est empanné quand il est masqué par le côté de l’écoute de ses voiles.

    #Encablure :
    Longueur employée pour estimer approximativement la distance entre deux objets peu éloignés l’un de l’autre. Cette longueur est de 120 brasses (environ 200 mètres). Longueur normale d’une glène d’aussière. Autre définition de l’encablure : un dixième de mille soit environ 185 mètres.

    #Encalminé :
    Voilier encalminé : quand il est dans le calme ou dans un vent si faible qu’il ne peut gouverner.

    #Engager :
    Un navire est engagé quand il se trouve très incliné par la force du vent, le désarrimage du chargement ou la houle et qu’il ne peut se redresser. Cordage engagé : cordage qui bloque.

    #En grand :
    Tout à fait, sans retenue.

    #Entremise :
    Fil d’acier reliant deux têtes de bossoir et sur lequel sont frappés les tire-veilles. Pièces de bois, cornière, placées dans le sens longitudinal. Elles servent avec les barrots à établir la charpente des ponts, à limiter les écoutilles, etc...

    #Épauler :
    La lame : prendre la mer à quelques quarts de l’AV pour mieux y résister.

    #Epontille :
    Colonne verticale de bois ou de métal soutenant le barrot d’un pont ou d’une partie à consolider.

    #Erre :
    Vitesse conservée par un navire sur lequel n’agit plus le propulseur.

    #Espars :
    Terme général usité pour désigner de longues pièces de bois employées comme mâts, vergues, etc...

    #Essarder :
    Essuyer, assécher avec un faubert ou une serpillière.

    #Etale :
    – Sans vitesse.
    – Étale de marée : moment où la mer ne monte ni ne baisse

    #Etaler :
    Résister à.

    #Étalingure :
    Fixation de l’extrémité d’un câble, d’une chaîne sur l’organeau d’une ancre. - de cale : fixation du câble ou de la chaîne dans la cale ou le puits à chaînes.

    #Etambot :
    Pièce de bois de même largeur que la quille et qui s’élève à l’arrière en faisant avec celle-ci un angle généralement obtus qu’on nomme quête. Il reçoit les fémelots ou aiguillots du gouvernail.

    #Etamine :
    Étoffe servant à la confection des pavillons.

    #Etarquer :
    Une voile : la hisser de façon à la tendre le plus possible.

    #Étrangler :
    Une voile : l’étouffer au moyen de cordages.

    #Etrangloir :
    Appareil destiné à ralentir et à arrêter dans sa course une chaîne d’ancre.

    #Evitage :
    Mouvement de rotation d’un bâtiment sur ses ancres, au changement de marées ou par la force du vent qui agit plus sur lui que sur le courant. Espace nécessaire à un bâtiment à l’ancre pour effectuer un changement de cap, cap pour cap.

    F
    #Fanal :
    Lanterne d’embarcation.

    #Fardage :
    Tout ce qui se trouve au-dessus de la flottaison excepté la coque lisse et offrant de la prise au vent. Dans la marine de commerce, désigne aussi les planches , nattes, etc... que l’on place sur le vaigrage du fond pour garantir les marchandises contre l’humidité.

    #Fatiguer :
    Un bâtiment fatigue lorsque, par l’effet du vent, de la mer, ses liaisons sont fortement ébranlées.

    #Faubert :
    Sorte de balai fait de nombreux fils de caret et dont on fait usage à bord pour sécher un pont après la pluie ou le lavage.

    #Faux-bras :
    Cordage installé le long du bord, pour faciliter l’accostage des embarcations.

    #Femelots :
    Pentures à deux branches embrassant l’étambot ou le gouvernail et représentant des logements pour recevoir les aiguillots.

    #Ferler :
    – Une voile carrée : relever par plis sur la vergue une voile carguée et la fixer au moyen de rabans dits de ferlage qui entourent la voile et la vergue.
    – Un pavillon : le plier et le rouler en le maintenant ensuite avec sa drisse.

    #Filer :
    – Une amarre : laisser aller une amarre dont un des bouts est attaché à un point fixe.
    – La chaîne : augmenter la touée d’une chaîne en la laissant aller de la quantité voulue en dehors du bord.
    – Par le bout, une chaîne ou grelin : laisser aller du navire dans l’eau.

    #Filière :
    Cordage tendu horizontalement et servant de garde-corps ou à suspendre différents objets. - de mauvais temps : cordage qu’on tend d’un bout à l’autre du bâtiment et auquel les hommes se retiennent pendant les forts mouvements de roulis et de tangage.

    #Flux :
    Marée montante.

    #Forain :
    Ouvert : Rade foraine : rade sans abri, exposée au mauvais temps du large (mouillage d’attente).

    Forme :
    – Bassin de radoub, ou cale sèche : bassin de radoub.
    – Formes d’un navire : ses lignes.

    #Fraîchir :
    Se dit du vent qui augmente d’intensité.

    #Frais :
    Désigne la forme du vent : joli frais, bon frais, grand frais.

    #Franc-bord :
    Distance entre le niveau de l’eau à l’extérieur du navire et la partie supérieure du pont principal à la demi-longueur du navire.

    #Fret :
    Somme convenue pour le transport de marchandises par navire. Les marchandises composant le chargement du navire.

    #Fuir :
    Devant le temps ou devant la mer : gouverner de manière à recevoir le vent ou la mer par l’arrière.

    #Fune :
    Grelin qui traîne le chalut. Prolongement de la filière des tentes d’un navire (mettre les tentes en fune).

    G
    #Galhauban :
    Cordage en chanvre ou en acier servant à assujettir par le travers et vers l’arrière les mâts supérieurs.

    #Gambier :
    Changer la position d’une voile à antenne ou au tiers d’un côté à l’autre du navire en faisant passer la vergue de l’autre côté du mât. Synonyme : muder, trélucher.

    #Galipot :
    Sorte de mastic avec lequel on recouvre les pièces métalliques en cas de repos prolongé ou d’exposition à l’arrosage par l’eau de mer. Pâte formée en parties égales de céruse et de suif fondu, étalée à chaud, au pinceau, sur les surfaces à protéger. On l’enlève par grattage et lavage à l’huile. Galipoter (vieux).

    #Gite :
    Synonyme de bande : Giter.

    #Glène :
    De cordage : portion de cordage ployée en rond sur elle-même, c’est à dire lové.

    #Grain :
    Vent violent qui s’élève soudainement généralement de peu de durée. Les grains sont parfois accompagnés de pluie, de grêle ou de neige.

    #Gréement :
    L’ensemble des cordages, manoeuvres de toutes sortes et autres objets servant à l’établissement, à la tenue ou au jeu de la mâture, des vergues et des voiles d’un navire.

    #Guindeau :
    Appareil servant à virer les chaînes, à mouiller et à relever les ancres à bord d’un navire. Son axe de rotation est horizontal.

    H
    #Habitacle :
    Sorte de cuvette ou de caisse cylindrique en bois ou en cuivre recouverte à la partie supérieure d’une glace et qui contient le compas de route et les lampes qui l’éclairent.

    #Hale-bas :
    Petit cordage frappé au point de drisse des voiles enverguées sur des drailles et qui sert à les amener.

    #Haler :
    Remorquer un navire dans un canal ou le long d’un quai au moyen d’un cordage tiré au rivage. Tirer un cordage ou un objet quelconque au moyen d’un cordage sur lequel on fait un effort.

    #Hanche :
    Partie de la muraille d’un navire qui avoisine l’arrière. On relève un objet par la hanche quand il est à 45° par l’arrière du travers.

    #Haut-fond :
    Sommet sous-marin recouvert d’eau peu profonde et dangereux pour la navigation.

    #Hauturière :
    Navigation au large ; contrôlée par l’observation des astres. Long cours.

    I
    #Itague :
    Cordage passant par une poulie simple et sur lequel on agit à l’aide d’un palan pour augmenter la puissance. Chaîne retenant un coffre et maillée au point de jonction des chaînes des ancres de corps-mort.

    J
    #Jambettes :
    Montants, bouts d’allonges qui dépassent le plat-bord d’un bâtiment et sur lesquels on tourne des manoeuvres ou on prend un retour. Pièces de bois ou de fer légèrement inclinées et retenant les pavois.

    #Jarretière :
    Sangle qui sert à saisir une drôme dans une embarcation.

    #Jauge :
    Volume des capacités intérieures des navires exprimé en tonneaux de 2m3.83 ou 100 pieds cubes anglais.

    #Jauge brute :
    Volume de tous les espaces fermés du navire sans exception aucune.

    #Jauge nette :
    Volume des espaces utilisables commercialement.

    #Jaumière :
    Ouverture pratiquée dans la voûte d’un navire pour le passage et le jeu de la partie supérieure de la mèche du gouvernail.

    #Joue :
    Creux des formes de la coque à l’avant d’un navire. Synonyme : épaule. Face extérieure de la caisse d’une poulie.

    #Joute :
    Compétition d’embarcations à l’aviron.

    #Jusant :
    Marée descendante.

    L
    #Laisse :
    – De marée : partie du rivage alternativement couverte et découverte par la mer dans les mouvements de la marée.

    #Laize :
    Chacune des bandes de toile dont se compose une voile.

    #Lamanage :
    Pilotage restreint aux ports, baies, rade et rivières de peu d’importance. Dans la coutume d’Oléron, le pilote s’appelait loman, c’est à dire homme du lof (côté du vent) ; on en a fait laman, puis lamaneur.

    #Larder :
    Voir paillet.

    #Latte :
    – De hauban : patte métallique fixée sur le bordage pour servir de cadène de hauban.

    #Lège :
    Bâtiment lège : bâtiment vide.

    #Lest :
    Matières pesantes arrimées dans les fonds du navire pour en assurer la stabilité.

    #Libre pratique :
    Permission donnée par les autorités sanitaires d’un port à un navire de communiquer librement avec la terre.

    #Loch :
    Appareil servant à mesurer la vitesse du navire.

    #Lumières :
    Petits canaux ou conduits pratiqués sur la face antérieure des varangues et destinés à conduire les eaux de cale au pied des pompes. Synonyme : anguillers

    M
    #Mahonne :
    Chaland de port à formes très arrondies utilisé en Méditerranée.

    #Maille :
    Intervalle entre deux couples voisins d’un navire ou entre deux varangues. Ouverture laissée entre les fils des filets de pêche.

    #Main_courante :
    Barre en métal, ou pièces de bois mince, placées de chaque côté des échelles de dunette, de roof-passerelle, de gaillard, etc... pour servir de rampe.

    #Maistrance :
    (Marine Nationale) - L’ensemble des officiers mariniers de la Marine de guerre française et plus particulièrement ceux de carrière qui constituent le cadre de maistrance proprement dit.

    #Maître_bau :
    Bau situé dans la plus grande largeur du navire.

    #Maître_couple :
    Couple situé de même.

    #Maître_de_quart :
    (Marine nationale) - Gradé du service manoeuvre qui, à bord des bâtiments militaires, seconde l’officier de quart dans le service des embarcations et rend les honneurs du sifflet à l’arrivée et au départ des officiers.

    #Maniable :
    Modéré (vent) ; assez beau (temps).

    #Manifeste :
    Liste complète et détaillée par marque et numéros des colis de marchandises formant la cargaison d’un navire. Cette liste est remise à la Douane du port de destination.

    #Marie-Salope :
    Chaland à saletés.

    #Marnage :
    Synonyme : d’amplitude pour la marée.

    #Maroquin :
    Cordage tendu entre deux mâts pour servir à supporter une ou plusieurs poulies dans lesquelles passent des manoeuvres ou des drisses.

    #Mascaret :
    Phénomène qui se produit dans le cours inférieur d’un fleuve consistant en plusieurs lames creuses et courtes formées par la remontée du flot contre le courant du propre fleuve.

    #Mât_de_charge :
    Espar incliné tenu par des balancines portant des apparaux servant à déplacer des poids.

    #Mâter :
    Mettre un mât en place. Mâter une pièce, une barrique, les avirons : les dresser et le tenir dans une position verticale.

    #Mégaphone :
    Tronc de cône creux et léger servant à augmenter la portée de la voix.

    #Membrure :
    Pièce de bois ou de fer soutenant le bordé et les vaigres sur laquelle viennent se fixer les barrots (Synonyme : couple).

    #Midship :
    Aspirant ou enseigne de vaisseau, en général le plus jeune parmi les officiers. Désigne également des chaussures ouvertes utilisées à bord des bâtiments de la Marine en pays chaud.

    #Mole :
    Construction en maçonnerie, destinée à protéger l’entrée d’un port et s’élevant au-dessus du niveau des plus fortes marées.

    #Mollir :
    Diminuer de violence (vent / mer).

    #Mou :
    Un cordage a du mou quand il n’est pas assez tendu. Donner du mou : choquer une manoeuvre. Un navire est mou quand il a tendance à abattre.

    #Moucheter_un_croc :
    Amarrer un bout entre pointe et dos pour empêcher le décrochage.

    #Mouiller :
    Jeter l’ancre et filer la touée de la chaîne convenable.

    #Mousson :
    Vents périodiques, soufflant avec de légères variations pendant une moitié de l’année dans une direction et pendant l’autre moitié de l’année dans la direction opposée. (Mers de Chine et Océan Indien).

    #Musoir :
    Pointe extrême d’une jetée ou d’un môle ; se dit aussi de l’extrémité d’un quai à l’entrée d’un bassin ou d’un sas.

    N
    #Nable :
    Trou percé dans le fond d’une embarcation servant à la vider lorsque cette embarcation n’est pas à flot. S’obture au moyen d’un bouchon de nable.

    #Nage :
    Mouvement imprimé par l’armement aux avirons d’une embarcation.
    – Chef de nage : Nageurs assis sur le banc arrière dont les mouvements sont suivis par tous les autres.
    – Nage à couple : Quand il y a 2 (canot) ou 4 (chaloupe) nageurs sur chaque banc.
    – Nage en pointe : 1 nageur par banc (baleinière).

    #Natte :
    Nom donné aux paillets et aux sangles qu’on place en divers endroits de la mâture et du gréement qu’on veut garantir du frottement.

    #Nid de pie :
    Installation placée assez haut sur le mât avant de certains navires et dans laquelle se tient l’homme de vigie. A bord des navires polaires, on dit plutôt #nid_de_corbeau.

    O
    #Obéir :
    Un navire obéit bien à la barre quand il en sent rapidement l’action.

    #Obstructions :
    Défenses fixes, d’un port pour en interdire l’accès à un ennemi de surface, sous-marin ou aérien.

    #Oeil :
    Boucle formée à l’extrémité d’un filin.

    #Oeil de la tempête :
    Éclaircie dans le ciel au centre des ouragans.

    #Oeuvres_mortes :
    Partie émergée de la coque.

    #Oeuvres_vives :
    Partie immergée de la coque.

    #Opercule :
    Tape de hublot.

    #Oreilles_d_âne :
    Cuillers en tôle permettant d’augmenter le débit d’air entrant par les hublots.

    P
    #Paille de bitte :
    Tige de fer traversant la tête d’une bitte pour empêcher la chaîne ou l’aussière de décapeler.

    #Paillet :
    Réunion de fils de bitord, torons de cordage, etc... tressés ensemble et formant une sorte de natte. On les emploie pour garnir les manoeuvres dormantes afin empêcher le frottement.

    #Palanquée :
    Colis, ensemble de marchandises groupées dans une élingue ou un filet pour être embarquées ou débarquées en un seul mouvement de grue.

    #Palanquer :
    Agir sur un objet quelconque avec un ou plusieurs palans.

    #Panne (mettre en) :
    Manoeuvre qui a pour objet d’arrêter la marche du navire par le brasseyage de la voilure.

    #Pantoire :
    Fort bout de cordage terminé par un oeil muni d’une cosse.

    #Pantoire_de_tangon :
    Retient le tangon dans le plan vertical.

    #Paravane (un) :
    Deux brins de dragage fixés au brion terminés par des flotteurs divergents. Installation destinée à la protection contre les mines à orin.

    #Paré :
    Prêt, libre, clair, hors de danger.

    #Parer :
    – Un cap : le doubler ; - un abordage : l’éviter.
    – Une manoeuvre : la préparer.
    – Manoeuvres : commandement pour tout remettre en ordre.
    Faire parer un cordage : le dégager s’il est engagé ou empêcher de la faire.

    #Passerelle :
    Petit cordage servant de transfilage ou à passer une manoeuvre plus grosse dans les poulies ou un conduit.
    Aussière ou chaîne passée d’avance sous la coque d’un bâtiment afin de permettre une mise en place rapide d’un paillet makaroff.

    #Pataras :
    Hauban supplémentaire destiné à soulager temporairement à un hauban soumis à un effort considérable - très employé sur les yachts de course, ce hauban mobile appelle largement sur l’arrière.

    #Patente de santé :
    Certificat délivré à un navire par les autorités du port pour attester l’état sanitaire de ce port.

    #Pavois :
    Partie de coque au-dessus du pont formant garde corps.

    #Grand_pavois :
    Pavillon de signaux frappés le long des étais et de l’entremise dans un ordre déterminé.

    #Petit_pavois :
    Pavillons nationaux en tête de chacun des mâts. Au-dessus du pavois : Syn. « de montré » pour un signal par pavillon de 1 signe.

    P#eneau (faire) :
    Tenir l’ancre prête à mouiller par grands fonds après avoir filé une certaine quantité de chaîne pour atténuer la violence du choc sur le fond.

    #Perdant :
    Synonyme : jusant.

    #Perthuis :
    Détroit entre les îles, des terres ou des dangers.
    Ouverture d’accès dans une cale sèche.

    #Phare :
    Construction en forme de tour portant un feu à son sommet.
    Mât avec ses vergues, voiles et gréement. Ex. : phare de misaine, phare de l’avant, phare de l’arrière, phare d’artimon, phare carré.

    #Phoscar :
    Sorte de boîte à fumée et à feu jetée d’un bâtiment afin de matérialiser un point sur la mer.

    #Pic (a pic) :
    Position verticale de la chaîne de l’ancre au moment où celle-ci est sur le point d’être arrachée au fond. A long pic : laisser la chaîne de l’ancre un peu plus longue que pour être à pic.

    #Pied :
    Jeter un pied d’ancre : mouiller avec un peu de touée pour un court laps de temps.
    Mesure de longueur égale à 0,305mètre.

    #Pied_de_biche :
    Pièce de fonte, dans un guindeau.

    #Pied_de_pilote :
    Quantité dont on augmente le tirant d’eau pour être sur de ne pas talonner.

    #Pigoulière :
    Embarcation à moteur assurant à heures fixes à TOULON le service de transport du personnel entre différents points de l’Arsenal.

    #Piloter :
    Assurer la conduite d’un navire dans un port ou dans les parages difficiles de la côte.

    #Piquer_l_heure :
    Sonner l’heure au moyen d’une cloche.

    #Plat-bord :
    – Dans un bâtiment en bois : ensemble des planches horizontales qui recouvrent les têtes des allonges de sommet.
    – Dans un navire en fer : ceinture en bois entourant les ponts.

    #Plein :
    Synonyme : pleine mer.
    – Plus près bon plein : allure de 1 quart plus arrivée que le plus près.
    – Mettre au plein : échouer un bateau à la côte.

    #Poste (amarre de) :
    Aussière ou grelin de forte grosseur fournie par les ports pour donner plus de sécurité et plus de souplesse à l’amarrage des navires et éviter l’usure de leurs propres aussières d’amarrage.

    #Pot_au_noir :
    Zone des calmes équatoriaux caractérisés par des pluies torrentielles.

    #Poulaine :
    Partie extrême avant d’un navire : lieu d’aisance de l’équipage.

    #Poupée_de_guindeau :
    Bloc rond en fonte sur lequel on garnit les amarres que l’on veut virer au guindeau.

    #Prélart :
    Laize de toile à voile souple, cousues ensemble puis goudronnées, destinées à couvrir les panneaux d’une écoutille et empêcher l’accès de l’eau dans les entreponts ou la cale.

    #Puisard :
    Espace compris entre deux varangues et formant une caisse étanche dans laquelle viennent se rassembler les eaux de cale.

    #Pilot_chart :
    Cartes périodiques publiées par l’Office Météo des Etats-Unis fournissant des renseignements sur la direction et la force des vents et des courants probables et la position des icebergs.

    Q
    #Quart :
    32ème partie du tour d’horizon, vaut 11 degrés 15 minutes.
    Synonyme. : de rhumb de compas.

    #Queue _de_rat :
    – Cordage terminé en pointe.
    – D’un grain : rafale violente et subite à la fin d’un grain.
    – Aviron de queue : aviron servant de gouvernail.

    #Quille_de_roulis :
    Plan mince, en tôle, fixé normalement et extérieurement à la coque, dans la région du bouchain, sur une partie de la longueur du navire, et destiné à entraîner l’eau lors des mouvements de roulis pour les amortir plus rapidement.

    R
    #Raban :
    Tresse ou sangle de 8 à 9 mètres de long formée d’un nombre impair de brins de bitord.
    – De hamac : bout de quarantenier servant à suspendre le hamac.
    – De ferlage : cordon ou tresse servant à serrer une voile sur une vergue, un gui, etc...

    #Rabanter :
    Fixer ou saisir un objet à son poste avec les rabans destinés à cet usage.
    – Une voile : la relever pli par pli sur la vergue et l’entourer, ainsi que la vergue, avec les rabans.

    #Radier :
    Maçonnerie sur laquelle on établit les portes d’un bassin et d’une forme.

    #Radoub :
    Passage au bassin d’un navire pour entretien ou réparation de sa coque.

    #Rafale :
    Augmentation soudaine et de peu de durée du vent.

    #Rafiau ou #Rafiot :
    Petite embarcation, mauvais navire.

    #Rafraîchir :
    Un câble, une amarre, c’est en filer ou en embraquer une certaine longueur de manière à ce que le portage ne soit jamais à la même place.

    #Raguer :
    Un cordage rague lorsqu’il s’use, se détériore en frottant sur un objet dur ou présentant des aspérités. Se dit aussi d’un bâtiment frottant contre un quai.

    #Rail :
    Pièce en cuivre vissée sur un mât à pible ou un gui sur laquelle sont enfilés les coulisseaux.

    #Rambarde :
    Garde-corps.
    Synonyme : de main courante.

    #Ras :
    Radeau servant aux réparations à faire à un bâtiment près de sa flottaison.
    Petits appontements flottants.

    #Ratier :
    Argot de bord - Matelot sans spécialité chargé de l’entretien de la coque.

    #Rattrapant :
    Yacht rattrapant. Terme de régate : lorsque deux yachts font la même route ou à peu près, celui qui est en route libre derrière l’autre commence à être considéré comme « yacht rattrapant l’autre » aussitôt qu’il s’en approche assez près pour qu’il y ait « risque de collision » et continue à être tel jusqu’à ce qu’il redevienne en roue libre devant ou derrière, ou s’en soit écarté par le travers jusqu’à écarter le risque de collision.

    #Raz :
    Courant violent dû au flot ou au jusant dans un passage resserré.

    #Reflux :
    Mouvement rétrograde de l’eau après la marée haute.
    Synonyme : jusant, ébe.

    #Refuser :
    Le vent refuse lorsque sa direction vient plus de l’avant. Contraire : adonner.

    #Relâcher :
    Un navire relâche quand par suite du mauvais temps, avaries subies, etc... il est forcé d’interrompre sa mission et d’entrer dans un port qui n’est pas son port de destination.

    #Renard :
    Plateau sur lequel sont pointés les noms des officiers qui descendent à terre.

    #Rencontrer :
    La barre ou simplement rencontrer : mettre la barre du côté opposé à celui où elle était auparavant pour arrêter le mouvement d’abatée du navire.

    #Rendre :
    Un cordage rend lorsqu’il s’allonge. Une manoeuvre est rendue lorsqu’on l’a amenée à son poste en halant dessus. Rendre le mou d’un cordage : tenir le cordage à retour d’un bout tandis qu’on hale de l’autre bout. Rendre le quart : remettre le quart à son successeur.

    #Renflouer :
    Remettre à flot un navire échoué.

    #Renverse :
    Du courant : le changement cap pour cap de sa direction.

    #Ressac :
    Retour violent des lames sur elles-mêmes lorsqu’elles vont se briser sur une côte, un haut-fond.

    #Retenue :
    Cordage en chanvre, en acier ou chaîne servant à soutenir un bout-dehors, un bossoir.

    #Rider :
    Une manoeuvre dormante : c’est la raidir fortement à l’aide de ridoirs ou de caps de mouton.

    #Riper :
    Faire glisser avec frottement.

    #Risée :
    Petite brise subite et passagère.

    #Rocambeau :
    Cercle en fer garni d’un croc, servant notamment à hisser la vergue d’une voile au tiers et à amurer le point d’amure du foc le long de son bout-dehors.

    #Rôle :
    Rôle de combat, rôle d’équipage, etc...

    #Rondier :
    Gradé ou matelot chargé d’une ronde.

    #Roof :
    Superstructure établie sur un pont supérieur et ne s’étendant pas d’un côté à l’autre du navire.

    #Roulis :
    Balancement qui prend le navire dans le sens transversal.

    #Routier :
    Carte marine à petite échelle comprenant

    S
    #Sabaye :
    Cordage avec lequel on hâle à terre un canot mouillé près de la côte.

    ##Sabord :
    Ouverture rectangulaire pratiquée dans la muraille d’un navire.

    Saborder :
    Faire des brèches dans les oeuvres vives d’un navire pour le couler.

    #Safran :
    Surface du gouvernail sur laquelle s’exerce la pression de l’eau pour orienter le navire.

    #Savate :
    Pièce de bois sur laquelle repose un navire au moment de son lancement.

    #Saisine :
    Cordage servant à fixer et à maintenir à leur place certains objets.

    #Sangle :
    Tissu en bitord qui sert à garantir du frottement certaines parties du navire ou du gréement ou à maintenir au roulis des objets suspendus.

    #Sas :
    Partie d’un canal muni d’écluses, destinée à établir une jonction entre deux bassins de niveaux différents. Compartiment en séparant deux autres dont les ouvertures ne peuvent s’ouvrir que l’une après l’autre.

    #Saute_de_vent :
    Changement subit dans la direction du vent.

    #Sauve-Garde :
    Cordages fourrés ou chaînes servant à empêcher le gouvernail d’être emporté s’il vient à être démonté. Ils sont fixés d’un bout sur le gouvernail, de l’autre sur les flancs du bâtiment.

    #Sec (à) :
    Un bâtiment court à sec, est à sec de toile lorsqu’il navigue sans se servir de ses voiles, mais poussé par le vent.

    #Semonce :
    Ordre donné par un navire armé à un autre navire de montrer ses couleurs et au besoin d’arrêter pour être visité.

    #Coup (coup de) :
    Coup de canon appuyant cet ordre.

    #Servir :
    Faire servir : manoeuvre d’un navire à voiles pour quitter la panne et reprendre la route.

    #Seuil :
    Élévation du fond de la mer s’étendant sur une longue distance.

    #Sillage :
    Trace qu’un navire laisse derrière lui à la surface de la mer.

    #Slip :
    Plan incliné destiné à mettre à l’eau ou à haler à terre de petits bâtiments ou des hydravions au moyen d’un chariot sur rails.

    #Soufflage :
    Doublage en planches minces sur le bordé intérieur ou extérieur.

    #Souille :
    Enfoncement que forme dans la vase ou le sable mou un bâtiment échoué.

    #Sous-venté :
    Un voilier est sous-venté quand il passe sous le vent d’un autre bâtiment, d’une terre qui le prive de vent.

    #Spardeck :
    Pont léger au-dessus du pont principal.

    #Suceuse :
    Drague travaillant par succion du fond.

    #Superstructures :
    Ensemble des constructions légères situées au-dessus du pont supérieur.

    #Surbau :
    Tôle verticale de faible hauteur encadrant un panneau, un roof ou un compartiment quelconque.

    #Syndic :
    Fonctionnaire de l’Inscription Maritime remplaçant les Administrateurs dans les sous-quartiers.

    #Syzygie (marée des) :
    Marées correspondant à la nouvelle ou à la pleine lune. Synonyme : marée de vive-eau.

    T
    #Table_à_roulis :
    Table percée de trous.
    Par gros temps, on y met des chevilles appelées violons ou cabillots qui permettent de fixer les objets qui s’y trouvent.

    #Tableau :
    Partie de la poupe située au-dessus de la voûte.
    Dans un canot ou une chaloupe, partie arrière de l’embarcation.

    #Talon_de_quille :
    Extrémité postérieure de la quille sur laquelle repose l’étambot.

    #Talonner :
    Toucher le fond de la mer avec le talon de la quille.

    #Tangon :
    Poutre mobile établie horizontalement à l’extérieur d’un navire, à la hauteur du pont supérieur et perpendiculairement à la coque, sur laquelle on amarre les embarcations quand le navire est à l’ancre.
    – De spinnaker ou de foc : espars servant à déborder le point d’écoute du spinnaker ou du foc au vent arrière.

    #Tangage :
    Mouvement que prend le navire dans le sens longitudinal.

    #Tanker :
    Navire pétrolier.

    #Tape :
    Panneau en tôle ou pièce de bois obturant une ouverture.

    #Taud :
    Abri de grosse toile qu’on établit en forme de toit au-dessus des ponts pour garantir l’équipage contre la pluie. Etui placé sur les voiles serrées pour les garantir de la pluie.

    #Teck :
    Bois des Indes presque imputrescibles aussi fort et plus léger que le chêne ; très employé dans la construction navale.

    #Tenir :
    Navire tenant la mer : se comportant bien dans le mauvais temps.

    #Tenir le large :
    Rester loin de la terre.

    #Tenue :
    Qualité du fond d’un mouillage. Les fonds de bonne tenue sont ceux dans lesquels les pattes des ancres pénètrent facilement et ne peuvent cependant en être arrachées qu’avec difficulté.
    La tenue d’un mât est son assujettissement par les étais et les haubans.

    #Teugue :
    Partie couverte du pont supérieur avant, constituant un gaillard d’avant où les hommes de l’équipage peuvent s’abriter.

    #Tiens-bon ! :
    Commandement à des hommes qui agissent sur un cordage, un cabestan, etc... de suspendre leurs efforts tout en restant dans la position où ils sont (voir « Tenir bon »).

    #Tiers (voile au) :
    Synonyme : de bourcet
    Voiles des canots et chaloupes.

    #Tillac :
    Pont supérieur ou parfois plancher d’embarcation.

    #Tins :
    Pièces de bois carrées placées à des distances régulières sur le fond d’une cale-sèche et destinées à soutenir la quille des navires.

    #Tire-veilles :
    Nom donné à un bout de filin terminé par une pomme à la rambarde au bas de l’échelle de coupée d’un navire et auquel on se tient pour monter à bord ou pour en descendre.
    Bout amarré sur l’entremise des bossoirs d’embarcation et auxquels se tient l’armement d’une embarcation quand on la met à l’eau ou quand on la hisse.

    #Tomber :
    – Sous le vent : s’éloigner de l’origine du vent.
    – Sur un navire, une roche : être entraîné par le vent, le courant ou toute autre cause vers un navire, un rocher, etc...
    – Le vent tombe, la mer tombe : le vent diminue d’intensité, les vagues de force.

    #Tonnage :
    Capacité cubique d’un navire ou de l’un de ses compartiments exprimée en tonneaux. Le tonneau est égal à cent pieds cubes anglais ou à 2,83 mètres cubes (c’est le tonneau de jauge) ; Le tonnage exprime toujours un volume.

    #Tonne :
    Grosse bouée en bois, en fer ou en toile.

    #Top :
    Prendre un top : comparer une pendule réglée avec son chronomètre, ou relever un signal horaire au compteur.

    #Tosser :
    Un navire tosse lorsque, amarré le long d’un quai, sa coque frappe continuellement contre le quai par l’effet de la houle.
    A la mer, le navire tosse quand l’AV retombe brutalement dans le creux des vagues.

    #Touage :
    Remorquage, plus particulièrement en langage de batellerie.

    #Toucher :
    Être en contact avec le fond. Toucher terre : faire escale.

    #Touée :
    Longueur de la remorque avec laquelle on hale un navire pour le déplacer.
    Longueur de la chaîne filée en mouillant une ancre. Par extension : longueur d’une certaine importance d’un câble filé ou d’un chemin à parcourir.

    #Touline :
    Petite remorque et plus généralement lance-amarre.

    #Tourner :
    Une manoeuvre : lui faire faire un nombre de tours suffisant autour d’un point fixe pour l’empêcher de filer ou de lâcher.

    #Traîne :
    Tout objet que l’on file à l’arrière d’un navire à l’aide d’un bout de filin.
    A la traîne : un objet est à la traîne lorsqu’il n’est pas placé à la place qui lui est assignée.

    #Transfiler :
    – Deux morceaux de toile : les rapprocher bord à bord au moyen d’un bout de ligne passant alternativement des oeillets pratiqués dans l’un dans ceux pratiqués dans l’autre.
    – Une voile : la fixer à sa vergue, gui ou corne au moyen d’un filin nommé transfilage et passant d’un oeillet à l’autre en embrassant la vergue, le gui, la corne.

    #Traversier :
    Amarre appelant d’une direction perpendiculaire à l’axe longitudinal.
    Un vent traversier est un vent bon pour aller d’un port à un autre et pour un revenir.

    #Trou_d_homme :
    Ouverture elliptique d’un double fond ou d’un ballast.

    #Tunnel :
    Conduit en tôlerie de dimensions suffisantes pour permettre le passage d’un homme et à l’intérieur duquel se trouve une ligne d’arbres entre la chambre des machines et la cloison de presse-étoupe AR.

    V
    #Va_et_vient :
    Cordage en double servant à établir une communication entre deux navires ou entre un navire et la côte, notamment pour opérer le sauvetage des naufragés.

    #Vadrouille :
    Bouts de cordage défaits, serrés sur un manche et servant au nettoyage. Faubert emmanché.

    #Vague_satellite :
    Soulèvement de la mer produit par le mouvement du navire en marche.

    #Varangue :
    La varangue est la pièce à deux branches formant la partie inférieure d’un couple et placées à cheval sur la quille. La varangue est prolongée par des allonges. Tôle placée verticalement et transversalement d’un bouchain à l’autre pour consolider le petit fond du navire.

    #Vase :
    Terre grasse, noirâtre, gluante. La vase peut être molle, dure mêlée ; elle présente généralement une bonne tenue.

    #Veille (ancre de) :
    Ancre prête à être mouillée.

    #Veiller :
    Faire attention, surveiller. Veiller l’écoute : se tenir prêt à la larguer, à la filer. Veiller au grain : l’observer, le suivre.

    #Vélique :
    Point vélique = centre de voilure de toutes les voiles.

    #Ventre :
    La partie centrale d’un bâtiment surtout lorsque ses couples sont très arrondis.

    #Verine :
    Bout de filin terminé par un croc ou une griffe et dont on fait usage en simple ou en double pour manier les chaînes des ancres.

    #Videlle :
    Reprise faite à un accroc dans une toile.

    #Virer :
    Exercer un effort sur un cordage ou sur une chaîne par enroulement sur un treuil, guindeau ou cabestan.
    – Virer à pic : virer suffisamment le câble ou la chaîne pour amener l’étrave du navire à la verticale de l’ancre.
    – Virer à long pic : virer en laissant la chaîne un peu plus longue que la profondeur de l’eau.

    #Virer_de_l_avant :
    faire avancer un navire en embraquant ses amarres de l’avant au cabestan ou au guindeau.
    – Virer sur la chaîne : rentrer une partie de la chaîne en se servant du cabestan ou du guindeau.
    – Virer de bord : changer les amures des voiles.

    #Vit_de_nulet ou #Vi_de_mulet :
    Tige de métal articulée fixée à une vergue, à un gui, à un mât de charge pour le relier au mât qui porte une douille. Employé en particulier pour les mâts de charge.

    #Vitesse :
    L’unité marine de vitesse est le noeud qui représente un mille marin (1852 mètres) à l’heure. Ne jamais dire un noeud à l’heure.

    #Vive-eau :
    Grande marée.

    #Voie_d_eau :
    Fissure ou ouverture accidentelle dans des oeuvres vives.

    W
    #Wharf :
    Littéralement quai, plus spécialement pour désigner un appontement qui s’avance dans la mer au-delà de la barre sur la côte occidentale d’Afrique.

    Y
    #Youyou :
    Très petite embarcation de service à l’aviron et à la voile.

  • Sortie scolaire polémique : les élèves devaient découper un sanglier et un chevreuil puis les manger - ladepeche.fr
    https://www.ladepeche.fr/2023/06/11/sortie-scolaire-polemique-les-eleves-devaient-decouper-un-sanglier-et-un-c

    Classe verte ? Visite d’un site historique ? Balade à vélo ? Dans une école de Badajoz en Espagne, à la frontière avec le Portugal, les élèves les plus grands devaient faire une sortie scolaire il y a quelques jours. L’école CEIP Lope de Vega avait annoncé aux parents un atelier de cuisine sur l’alimentation saine.

    L’atelier était en réalité organisé par la fédération de #chasse locale. Son ambition était de promouvoir la viande de gibier. Au programme : dépeçage de sanglier et de chevreuil, cuisson de la viande avant de la manger. Au cours de cette activité, les organisateurs entendaient vanter les atouts du sanglier et du chevreuil par rapport à d’autres viandes, explique le quotidien espagnol

    #viandards

  • Les subventions aux chasseurs sont passées de 27.000 à 6,3 millions d’euros en moins de cinq ans
    https://www.bfmtv.com/politique/les-subventions-aux-chasseurs-sont-passees-de-27-000-a-6-3-millions-d-euros-e

    Les fonds alloués à la Fédération nationale des chasseurs ont explosé durant le quinquennat d’Emmanuel Macron. Si certains s’insurgent et dénoncent des cadeaux, le gouvernement et les chasseurs évoquent une nouvelle organisation.
    Un bond impressionnant. Le montant des aides accordées à la Fédération nationale des chasseurs (FNC) a connu une valorisation fulgurante au cours du premier quinquennat d’Emmanuel Macron, passant de 27.000 euros à 6,3 millions d’euros en cinq ans, selon les comptes transmis par la FNC au Journal officiel les 8 et 9 août derniers, et repérés par Lanceuralerte.org.

    Cette augmentation massive vient notamment de la baisse du prix du permis national de chasse, rappellent nos confrères du Parisien. Accordée par le chef de l’État en 2018, elle divise son coût par deux (de 400 à 205 euros). La décision a par la suite permis d’attirer de nouveaux #chasseurs, puisque le nombre de demandes de validation de permis de #chasse a augmenté de près de 40% entre 2018 et 2019.

    Ces nouvelles arrivées ont permis aux revenus annuels de la Fédération de grimper à 28 millions d’euros en 2020, ainsi qu’en 2021. Ils ne s’élevaient qu’à 11 millions d’euros en moyenne les années précédentes, soit moins de la moitié.

    • largement plus d’un million d’électeurs fidèles à choyer ; quand on aime...

      https://www.liberation.fr/checknews/2018/03/13/y-a-t-il-reellement-5-millions-de-chasseurs-en-france_1653343 (2018)

      un million deux en 2018, j’ai vu passer un +40% sur 7 ans dans BFM

      https://www.bfmtv.com/societe/40-en-7-ans-en-france-le-nombre-de-chasseurs-est-en-forte-croissance_AV-20210

      « Il est très difficile de savoir aujourd’hui combien de permis de chasser - hors validation - sont en circulation mais le chiffre de 5 millions est particulièrement exagéré. Je ne pense pas qu’il y en ait plus de 3 millions aujourd’hui. »

    • […] Le million de chasseurs constitue une population qui, tout en étant en recul sensible actuellement, est loin d’être menacée de disparition. Et il y a longtemps que les politiciens, prompts à parler au nom de la défense de la France rurale, des territoires et des traditions, les caressent dans le sens du poil. À la fin des années 1980, une partie d’entre eux se sont eux-mêmes constitués en parti, dont le nom, CPNT (Chasse, pêche, nature et traditions), se voulait un programme. Voulant faire entendre les intérêts de ses membres, il s’est présenté à plusieurs reprises aux élections, obtenant par exemple 6,77 % des voix aux élections européennes de 1999, 1,67 % à l’élection présidentielle de 2002, et bien davantage à de multiples scrutins locaux, notamment dans le Sud-Ouest ou dans le Nord. Ayant l’oreille d’une fraction de l’électorat populaire, CPNT s’est assez vite, à l’instar de ses deux premiers chefs de file, Jean Saint-Josse et Frédéric Nihous, clairement positionné très à droite sur l’échiquier politique, se ralliant à Sarkozy, entrant dans l’UMP, avant de se transformer en LMR (Le Mouvement pour la ruralité).

      Le lobby des chasseurs, mais plus encore celui des plus riches d’entre eux, s’exprime davantage aujourd’hui par l’entremise de la puissante et riche Fédération nationale des chasseurs, dont le président, Willy Schraen, a ses entrées à l’Élysée et ne cesse d’encenser «  l’implication personnelle du président  » et «  sa vigilance de tous les instants  ». Ayant obtenu de Macron, à la veille des élections européennes de 2019, que le prix du permis national soit divisé par deux, Schraen lui est d’une certaine façon redevable. Il s’est même vanté d’avoir retiré ses troupes des ronds-points après le déclenchement du mouvement des gilets jaunes  : «  Si j’avais pas stoppé tout de suite, ils étaient 500 000 sur les ronds-points.  » Schraen n’a subi qu’un revers, la récente interdiction de la chasse à la glu, pratique au demeurant très marginale. Et c’est, dit-on, la présence dans les salons de l’Elysée d’un autre lobbyiste du secteur, Thierry Coste, «  conseiller politique  » de la Fédération nationale des chasseurs, qui aurait provoqué le départ de Nicolas Hulot du gouvernement en septembre 2018. […]

      La chasse, son business, les chasseurs et leur défense de la nature
      https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2020/10/25/la-chasse-son-business-les-chasseurs-et-leur-defense-de-la-n

    • Et tout cet argent crée dans les campagnes un revirement funeste. J’ai ainsi entendu des familles auparavant progressistes défendre les chasseurs, il faut dire que leurs jeunes adultes ayant effectué des études dans des secteurs écologiques ont fini par y trouver un emploi. Et voila, la boucle est bouclée, bouclez la.

  • Des militants européens venus manifester en France se retrouvent bannis du territoire

    Cinq #antifascistes italiens ont été arrêtés mardi 6 juin. Ils avaient participé à la manifestation en hommage à Clément Méric et risquent l’expulsion. Avant eux, un Suisse, une Allemande et un Belge ont subi le même sort, avant d’être placés en rétention et renvoyés dans leur pays.

    DepuisDepuis plusieurs mois, le ministère de l’intérieur multiplie les obligations de quitter le territoire français (OQTF) et les interdictions administratives du territoire (IAT) à l’égard de militantes et militants européens venus manifester en France, au prétexte qu’ils représentent une « menace réelle » pour le pays.

    Chaque fois, le procédé est le même : les personnes sont interpellées avant, pendant ou après une manifestation organisée sur le sol français, placées en centre de rétention administrative (CRA) puis expulsées lorsque le juge des libertés et de la détention ou le tribunal administratif ne décide pas de leur libération.

    Les militant·es ont alors interdiction de revenir en France, même lorsqu’ils y ont des attaches ou des liens familiaux. Pour les manifestant·es concerné·es comme pour les acteurs associatifs, ces pratiques du ministère s’apparentent à une nouvelle façon de mater les mobilisations dans le cadre de luttes politiques, sociales ou écologistes, à l’heure où l’« ultragauche », l’« écoterrorisme » et le « terrorisme intellectuel de l’extrême gauche » sont largement pointés du doigt par Gérald Darmanin.

    « Les services de renseignement anticipent la participation à la journée nationale d’action de mardi de membres de l’ultragauche venus de l’étranger », avait ainsi annoncé le ministre de l’intérieur dans un tweet le 4 juin, se targuant d’avoir déjà pris dix-sept interdictions administratives du territoire pour « empêcher ces individus de rejoindre les cortèges et le cas échéant de faciliter leur interpellation ».

    Interrogé sur les cas spécifiques que nous documentons dans cet article, le ministère de l’intérieur ne nous a pas répondu.

    Parmi eux, plusieurs ressortissantes et ressortissants italiens venus participer à la manifestation en hommage à Clément Méric, le week-end dernier à Paris, ont été interpellés mardi 6 juin au soir dans une pharmacie d’Aubervilliers. Cinq de ces militant·es antifascistes ont été embarqué·es au commissariat, et deux ont été depuis libérés. Les trois autres, deux femmes et un homme, ont été placé·es aux CRA de Vincennes (Val-de-Marne) et du Mesnil-Amelot (Seine-et-Marne) avec l’objectif de les expulser vers l’Italie.

    Mais leur audience devant le juge des libertés et de la détention jeudi 8 juin est venue contrarier la décision du ministère de l’intérieur et permettre leur sortie du CRA ; le juge estimant que la mesure, qui ne correspond pas à une mesure d’éloignement classique et reste limitée dans le temps, « visait à les évincer de la tenue d’une manifestation » et qu’il y avait eu là « un détournement des conditions ouvrant au placement en rétention administrative ».

    Selon nos informations, tous les trois font ainsi l’objet d’une interdiction administrative du territoire. Mais, fait surprenant, il s’agit d’une IAT temporaire, prise le 2 juin et allant jusqu’au 11 juin, ce qui est peu courant. La mesure, qui permet d’empêcher un étranger d’entrer en France lorsque sa présence constitue un danger grave comme des activités terroristes, peut concerner tous les étrangers, y compris les Européens. La personne concernée ne peut demander son retrait qu’au bout d’un an. Le ministère de l’intérieur doit réexaminer les motifs de l’IAT tous les cinq ans et peut l’abroger à tout moment.

    « Le ministère de l’intérieur tente sans avoir besoin de se justifier et voit ce qu’il se passe ensuite. On dépose des recours, mais les délais en justice sont longs », estime Me Camille Vannier, avocate particulièrement engagée sur ce type de dossiers. Des recours visant à contester l’IAT de ces militantes et militants antifascistes italiens devraient être déposés dans les jours qui viennent devant la justice. « Cela remet encore plus en question le droit de manifester en France et de circuler au sein de l’Union européenne », ont dénoncé leurs soutiens dans un communiqué.

    C’est aussi le cas de Lou*, 24 ans, originaire de Suisse et venu le 23 mars en France en vue de participer à des conférences sur l’accès à l’eau et « éventuellement » à la manifestation contre la mégabassine à Sainte-Soline le 25 mars. Il a été interpellé à Melle (Deux-Sèvres), la veille de la manifestation, lors d’un contrôle du véhicule qui le transportait, suivi d’un contrôle d’identité qui a tout fait basculer. « Les policiers ont dit qu’il y avait un souci avec moi. Ils m’ont dit : “Vous, vous vous écartez, vous savez pourquoi.” »

    Le jeune homme affirme ne pas savoir ce qui lui est reproché à ce moment-là. Les gendarmes finissent par lui expliquer qu’il est « interdit de territoire » en France. Lou tombe alors des nues et se voit contraint de les suivre au commissariat. « Au départ, raconte-t-il, je pensais que je sortirais dans la soirée. » Ses amis, qui n’ont pas été ennuyés après le contrôle d’identité, décident de l’attendre. Il passe finalement la nuit en cellule, après un échange avec une agente de police judiciaire qu’il juge « extrêmement cassante », dans le cadre d’une retenue administrative.

    « Dès le départ, quand je suis entré dans son bureau, j’ai été traité comme un ennemi et une personne dangereuse. Elle ne m’a pas laissé appeler mes proches. J’ai pu appeler une avocate mais elle a précisé que si elle ne répondait pas, je n’en aurais pas. » Le jeune homme, qui envisageait de participer à la manifestation de Sainte-Soline, avait pris soin de mémoriser le numéro de téléphone d’une avocate spécialisée – comme beaucoup de manifestant·es aujourd’hui. « Heureusement, elle a répondu alors qu’il était tard le soir. Elle était là le lendemain matin. »

    Il découvre qu’il fait l’objet d’un arrêté ministériel portant interdiction administrative du territoire « en raison de son comportement personnel », qui lui est alors notifié en présence de l’avocate. Sur le document que nous avons pu consulter, daté du 23 mars – soit le jour de son entrée en France et deux jours avant la manifestation de Sainte-Soline –, il est indiqué qu’il « constituerait une menace réelle, actuelle et suffisamment grave pour un intérêt fondamental de la société » et « qu’il y a urgence à [l’]éloigner du territoire français » vers la Suisse. Puis, plus loin : « Le suivi dont il a fait l’objet à ce titre a mis en évidence la gravité de la menace sur l’ordre et la sécurité publics qu’il représente. »
    « Le CRA et les joyeuses procédures qui vont avec »

    Lou raconte son transfert ultra-sécurisé jusqu’au CRA de Bordeaux le samedi soir, menotté durant tout le trajet, « à 160 km/heure sur l’autoroute » et avec un changement de véhicule sur un parking, de nuit, comme s’il était « au milieu d’un trafic de drogue ou pire encore ». « Ensuite, j’ai eu la chance de découvrir le CRA et les joyeuses procédures qui vont avec », ironise-t-il.

    Il y passe trois nuits avant de découvrir le mardi, lors de son passage devant la juge des libertés et de la détention (qui refuse de le libérer), qu’il est également fiché S. Sa quatrième nuit au CRA sera la dernière : il est renvoyé en Suisse mercredi 29 mars par avion.

    À ce jour, Lou ne comprend toujours pas pourquoi il fait l’objet de cette interdiction administrative d’entrée et de séjour en France. Il affirme n’avoir « jamais eu affaire à la police » sur le sol français. Celui qui se décrit comme un militant écologiste explique avoir commencé à participer à des actions de désobéissance civile en 2019 uniquement en Suisse, notamment avec Extinction Rebellion. Il dit avoir relayé, sur les réseaux sociaux, des appels à manifester à Sainte-Soline, mais aussi, depuis environ deux ans, des informations sur les violences policières.

    Le jeune homme a fait l’objet d’une condamnation en 2021, pour opposition aux actes de l’autorité et insoumission à une décision de l’autorité, après avoir bloqué une place publique dans le cadre d’une action et avoir refusé d’évacuer les lieux lorsque les forces de l’ordre le lui ont demandé, en septembre 2020. Des faits qui lui ont valu une amende et devraient être effacés de son casier le 15 juin prochain. « Des choses pas très graves », balaie-t-il, précisant que l’action était « pacifique ».

    Me Vannier, l’avocate de Lou, pointe une « chasse aux militants » et aux manifestants, de manière « totalement aveugle ». « Son cas en est emblématique. Il n’y a aucun détail, aucune motivation derrière cette interdiction de territoire, ce qui est très inquiétant. C’est un laboratoire de répression qui est réutilisé pour d’autres. » Le cas de son client serait le premier d’une longue série à venir, craint-elle.

    « C’est déjà en train de s’étendre, constate Paul Chiron, chargé du soutien et des actions juridiques à La Cimade, association de défense des droits des étrangers. On était surpris pour le Suisse et on retrouve le même schéma pour les Italiens. C’est un détournement du droit des étrangers et de la lutte antiterroriste. »

    Dans un registre très similaire, deux autres militant·es, un Belge et une Allemande, Julia*, ont aussi fait l’objet d’une interpellation dans le cadre d’une manifestation organisée en France et ont été placé·es en CRA en vue de leur éloignement vers leur pays d’origine, en mars et mai derniers. Bien qu’ils ne soient pas visés par une IAT, ils ont aussi eu l’interdiction de circuler sur le territoire français – depuis annulée par la justice dans le cas de Julia.

    Vivant entre la France et l’Allemagne depuis son enfance, Julia a pour coutume de manifester, où qu’elle se trouve, pour la journée internationale des travailleurs et des travailleuses. Ce 1er mai, elle est à Paris en vacances et participe avec des ami·es au rassemblement qui prend la direction de la place de la Nation.

    D’après son récit, il est 16 heures lorsqu’elle est interpellée après une charge policière : « Au moment où les CRS foncent vers nous, tout le monde commence à fuir. Je trébuche et me fais matraquer au sol, avant de me faire menotter, retrace-t-elle. J’ai eu l’impression que c’était complètement arbitraire, ça aurait pu être moi comme la personne à côté. » Elle est interpellée en possession d’une bombe de peinture, de pétards et d’une paire de lunettes de piscine, et n’est pas connue des services de police.

    Elle est ensuite embarquée dans un fourgon qui doit la conduire au commissariat. Dans le véhicule, elle affirme avoir assisté à une scène cocasse, où un fonctionnaire de police s’agace en découvrant que la fiche d’interpellation est incomplète. « Ceux qui m’ont interpellée n’avaient pas coché les faits qui m’étaient reprochés, raconte Julia. Les policiers débattent dans la voiture pour décider quelle case cocher : “On ne va pas noter port d’armes ?”, interroge celui qui tient la fiche d’interpellation. “Par contre, on lui met jet de projectiles”. » Des faits qui apparaissent sur sa fiche d’interpellation que nous avons pu consulter, mais pour lesquels elle n’est finalement pas poursuivie.
    Refus de signer pour un avertissement pénal

    Au commissariat, elle est immédiatement placée en garde à vue et passe la nuit dans une cellule « immonde », jonchée de déchets, et équipée d’un petit matelas et d’un seul plaid, qu’elle doit partager avec une autre gardée à vue. Le lendemain, Julia est conduite au tribunal de Paris et passe de longues minutes enfermée sans être fixée sur son sort.

    Elle est finalement présentée à un substitut du procureur qui lui propose de signer un avertissement pénal probatoire (APP), une procédure qui vaut reconnaissance de culpabilité, mais permet d’échapper aux poursuites.

    Il lui est reproché les infractions suivantes : « rébellion », « participation à un groupement en vue de commettre des actes de violence et de dégradation », « dissimulation volontaire du visage » et « outrage » envers un agent de police pour avoir craché à ses pieds. Elle indique seulement avoir voulu expulser les fumées de gaz lacrymogène inspirées pendant son interpellation.

    Julia refuse de signer l’APP, car elle ne s’estime coupable de rien. « Le substitut du procureur était pressé et contrarié, mais il finit par m’indiquer que je vais pouvoir sortir libre », se remémore-t-elle. Au bout de trente minutes d’une interminable attente, enfermée dans un box vitré, elle s’étonne de n’avoir toujours pas été libérée. On l’informe alors qu’elle est désormais visée par une OQTF et qu’elle va être transférée vers le CRA du Mesnil-Amelot. « J’étais complètement choquée et abasourdie », se souvient-elle.

    Sur le document que nous avons pu consulter, daté du 2 mai, le lendemain de l’interpellation, il est indiqué, comme pour Lou, que Julia « constitue une menace réelle, actuelle et suffisamment grave pour un intérêt fondamental de la société » et « qu’il y a urgence à l’éloigner du territoire français » sans « lui accorder aucun délai de départ volontaire ». Elle est par ailleurs visée par une interdiction de circuler en France (ICTF) pendant trois ans.

    La préfecture de police de Paris justifie le placement en CRA par le risque que Julia se soustraie à son obligation de quitter le territoire, alors même qu’elle dispose d’un billet retour pour l’Allemagne, d’un logement fixe à Berlin et d’un travail stable outre-Rhin.
    1 500 euros de dédommagement pour une semaine en CRA

    Elle retient de son séjour d’une semaine en CRA une leçon de vie sur « la formidable solidarité entre femmes, qui se serraient les coudes dans la précarité » et « l’absurdité de la menace à la sécurité publique construite autour d’elles, alors qu’elles sont mères de famille, travaillent et essayent simplement de s’en sortir ». Au cours de sa semaine d’enfermement, elle est présentée à deux reprises à un juge qui confirme son maintien en rétention.

    Le 9 mai, elle quitte, menottes au poignet, le CRA du Mesnil-Amelot et se voit conduite au tribunal administratif de Melun pour une audience. Son avocate, Me Vannier, conteste devant le juge l’OQTF dont elle fait l’objet et demande l’annulation de son interdiction de circuler en France. Le tribunal satisfait entièrement à ces demandes et oblige l’État à verser à Julia 1 500 euros pour ses frais d’avocat.

    « 1 500 euros pour une semaine en CRA, je n’appelle pas ça un dédommagement », fustige Julia. Au cours de l’audience, le juge administratif inflige un camouflet au ministère public en concluant que la menace à l’ordre public n’était pas fondée.

    L’épilogue de cette semaine cauchemardesque ne rassure pas pour autant Julia, qui réfléchira désormais « à deux fois avant d’aller manifester en France ». Celle qui avait déjà participé à des rassemblements à Marseille pour le droit au logement assure toutefois qu’elle ne se laissera pas impressionner par ces décisions administratives, « qui sont faites pour intimider ». « Je continuerai à manifester avec mes amies en France », déclare-t-elle.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/090623/des-militants-europeens-venus-manifester-en-france-se-retrouvent-bannis-du

    #arrestation #manifestation #France #OQTF #IAT #interdiction_de_territoire #CRA #rétention #détention_administrative #expulsion #antifa #ultragauche #Clément_Méric #droit_de_manifester #menace #Extinction_Rebellion #chasse_aux_militants #répression

  • Drôme : les agriculteurs et les forestiers en rêvaient, les loups l’ont fait - FNE Auvergne Rhône Alpes
    https://www.fne-aura.org/communiques/region/drome-les-agriculteurs-et-les-forestiers-en-revaient-les-loups-lont-fait

    En clair, les chasseurs admettent enfin que les loups drômois ont réussi à faire en 10 ans ce qu’eux n’avaient pas réussi à réaliser depuis plus de 30 ans au grand dam des agriculteurs et forestiers drômois qui, malgré la multiplication des battues, six mois par an, voyaient toujours autant de sangliers, de cerfs et de chevreuils dans leurs cultures et leurs parcelles forestières.

    Les chasseurs confirment ainsi une belle réussite du loup à mettre à son crédit et leur propre échec à réduire les populations de « grand gibier » sans l’aide des loups.

    La chasse au « grand gibier », en particulier dans la Drôme, génère un commerce particulièrement lucratif (4). Il n’est pas étonnant que les chasseurs drômois voient d’un très mauvais œil le retour du loup qui menace directement leur « chiffre d’affaires ».

    Ils proposent à madame la préfète de la Drôme de tuer 100 (cent) loups par an dès l’année prochaine. De quoi remettre dans les cultures et dans les forêts du département des milliers de sangliers, cerfs et chevreuils supplémentaires… Pas sûr que cette idée réjouisse les agriculteurs et les forestiers drômois.

    #loup contre #chasse

  • Darmanin, on te bloque de Marseille à Mayotte ! | Blogapart | 25.04.23

    https://blogs.mediapart.fr/marseille-contre-la-loi-darmanin/blog/250423/darmanin-te-bloque-de-marseille-mayotte

    Contrairement à ce que le gouvernement veut nous faire croire, les personnes exilées et migrantes ne sont pas en France pour « profiter du système » (AME, CAF, RSA, APL), mais parce que leur monde est détruit par l’impérialisme. Cette loi raciste s’inscrit dans une offensive xénophobe en France et en Europe plus largement.
    [...]
    Aujourd’hui, Mayotte sert de terrain d’expérimentation d’un arsenal idéologique et répressif raciste contre les personnes sans papiers, étrangères, précaires.Nous dénonçons cette chasse aux pauvres et non aux causes d’une pauvreté résultant des politiques coloniales françaises. Les réponses de l’État aux logements informels et précaires installés sur l’île sont toujours des interventions policières prétextées par des arguments prétendûment hygiénistes et sécuritaires. Ainsi à Marseille, les expulsions des squats et des bidonvilles n’aboutissent jamais à des relogements dignes et sont simplement la démonstration de force d’un État en guerre contre les pauvres et les étranger·es.
    [...]

  • Le 1er Mai, manifestons pour nos retraites, nos salaires, et l’unité des travailleurs contre le nationalisme et la xénophobie !
    https://www.lutte-ouvriere.org/editoriaux/le-1er-mai-manifestons-pour-nos-retraites-nos-salaires-et-lunite-des | Éditorial de Lutte Ouvrière (24 avril 2023)

    Alors que le combat contre la retraite à 64 ans n’est pas terminé, le gouvernement allume un contre-feu sur l’#immigration, pour diviser le monde du travail. #Mayotte, le 101e département français, située dans l’océan Indien, est au cœur de cette #campagne_anti-immigrés.

    Darmanin vient d’y lancer l’opération de police #Wuambushu, qui se veut spectaculaire. Il a déployé 1800 policiers et gendarmes, des #CRS, des membres du #Raid et du #GIGN, des magistrats et installé un centre de rétention provisoire. L’objectif est de démanteler les #bidonvilles habités par les immigrés en situation irrégulière et d’en expulser 10 000, essentiellement vers #les_Comores.

    Autrement dit, à Mayotte, la #chasse_aux_pauvres est ouverte !

    Darmanin peut raconter ce qu’il veut, parler de délinquants et inventer de potentiels terroristes islamistes, il a ordonné la démolition de ce qui est le seul refuge pour des milliers de familles pauvres, comoriennes comme mahoraises. Ce sont des pauvres, avec ou sans papiers, qu’il va faire arrêter et peut-être expulser. Ce sont des familles pauvres qu’il va séparer et déchirer.

    À Mayotte, les hôpitaux, les écoles et toutes les infrastructures sont sous-dimensionnées pour une population croissante qui vit à plus de 70 % sous le seuil de pauvreté. Une partie de la jeunesse est la proie de bandes armées violentes vivant du racket et du vol. Mais le responsable de cette situation invivable, et d’abord pour les pauvres de Mayotte, toutes origines confondues, est l’État français qui ne met pas les moyens pour juguler cette pauvreté.

    Comme de bien entendu, la droite et l’#extrême_droite accusent l’immigration venue des Comores. Il n’y a rien de plus écœurant ! C’est la France qui a colonisé les Comores. Puis, au moment de leur indépendance, elle a détaché Mayotte de l’archipel avec un #référendum arrangé. Il y a 50 ans, les habitants des autres îles des Comores ont donc été transformés en étrangers, et la France, avec sa métropole à 8000 km, a gardé le pouvoir à Mayotte.

    Cette fois, les défenseurs de la « nation française » ne peuvent pas utiliser des différences de couleur de peau, de religion ou de culture pour dresser les Français de Mayotte contre les immigrés : ils font partie du même peuple ! Alors, cette opération n’est rien d’autre qu’une campagne infecte orchestrée par un gouvernement en mal de démagogie nationaliste et raciste.

    La politique de la France aux Comores est à l’image de la politique impérialiste qu’elle a imposée à toutes ses ex-colonies en Afrique et au Maghreb.

    Sur tous les continents, pour piller des régions entières et exploiter leur main-d’œuvre, les grandes puissances ont découpé les États dans la chair des peuples. Elles ont ainsi concentré les richesses et le progrès humain entre les mains de la bourgeoisie impérialiste et plongé le reste du monde dans un océan de misère et dans des conflits incessants entre les peuples. Ce sont ces fauteurs de misère et de guerres qu’il faut empêcher de nuire !

    Nos dirigeants et nos exploiteurs nous mettent en concurrence entre travailleurs, entre femmes et hommes, entre nationaux et immigrés. Ils voudraient nous voir nous déchirer pour les miettes qu’ils nous laissent. Ne les laissons pas nous diviser pour mieux écraser nos sœurs et nos frères d’exploitation ! Beaucoup de travailleurs ont besoin de circuler pour gagner leur pain, eh bien, cette revendication doit être celle de tous !

    Il faut répondre à la #lutte_de_classe menée par le #grand_patronat avec la conscience que nous faisons partie d’une seule et même classe ouvrière internationale. Le 1er Mai incarne cette perspective car il a été choisi par les travailleurs des différents pays pour être une journée de luttes communes.

    C’est aussi, cette année, la date que les organisations syndicales ont choisie pour continuer d’exprimer notre opposition à la retraite à 64 ans. À nous de faire que le 1er Mai 2023 sorte de l’ordinaire, avec des cortèges plus massifs que d’habitude ! Soyons nombreux, aussi, à affirmer que les travailleurs n’ont pas de patrie et qu’ils constituent par-delà les frontières une même classe sociale.

    Avant nous, dans tous les pays, des générations de travailleurs ont fait grève et ont, bien souvent, été en butte à la répression, le 1er Mai. Ils se sont battus pour les revendications ouvrières mais aussi contre le capitalisme, sa mise en concurrence des peuples, ses ravages sur la planète, son nationalisme, ses guerres.

    Ils affirmaient que les travailleurs ont intérêt à en finir avec l’#exploitation et l’#oppression des pays pauvres par les pays riches et qu’ils en ont la force. Ils affirmaient la nécessité de la révolution sociale à l’échelle internationale. Montrons que cette perspective est toujours vivante !

    #impérialisme #politique_criminelle #internationalisme #conscience_de_classe

    • 1er mai : contester le pouvoir du capital
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/04/26/1er-mai-contester-le-pouvoir-du-capital_634260.html

      L’intersyndicale a appelé les travailleurs à faire du 1er Mai un nouveau temps fort du mouvement contre la réforme des retraites, promulguée le 15 avril et qui, selon Macron, devrait prendre effet le 1er septembre.

      La lutte contre la réforme des retraites doit en effet continuer le 1er Mai et au-delà, non seulement parce que c’est une attaque directe mais parce qu’elle en prépare d’autres. L’inflation réduit chaque jour le pouvoir d’achat des salaires et des pensions, l’État sabre tous les budgets utiles à la population, le patronat fait pression sur l’emploi et les conditions de travail, le gouvernement multiplie les tentatives de division entre travailleurs en calomniant chômeurs, immigrés, sans-papiers, fonctionnaires, etc. Plus sombre encore, la situation internationale, l’augmentation parallèle des budgets militaires et des discours guerriers, la crise économique où s’enfonce le système capitaliste préparent de nouvelles catastrophes.

      C’est précisément parce que tout se résume et se résout par la lutte entre exploiteurs et exploités, capitalistes et prolétaires, que le mouvement ouvrier international a proposé, en 1890, de faire du 1er Mai la journée de lutte internationale des travailleurs. Il s’agissait d’affirmer ce jour-là dans les rues, partout dans le monde, qu’il n’y qu’une seule classe ouvrière et qu’elle représente le seul avenir possible pour l’humanité, sans exploiteurs et donc sans frontières et sans guerre. Cela est plus que jamais d’actualité.

      Au-delà de la question des retraites, c’est aussi cette perspective que Lutte ouvrière affirmera dans les cortèges du 1er Mai avec tous ceux qui voudront la rejoindre.

  • L’Union Européenne, organisation criminelle de masse.

    Bilan :

    La Méditerranée est devenue le plus grand cimetière d’exilés au monde, puisque c’est là qu’est survenue la moitié des 48 000 décès de migrants enregistrés sur la planète depuis 2014

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/03/09/en-mediterranee-la-politique-criminelle-de-l-union-europeenne-se-deploie-dan

    #crime_de_masse #union_européenne #migrants #Méditerranée #chasse_aux_pauvres #cimetière

  • Dans l’enfer de #Białowieża

    À cheval entre la #Biélorussie et la #Pologne, Białowieża est la dernière grande forêt primaire d’Europe. Vaste étendue de végétation dense et inhospitalière, elle est le théâtre d’une #chasse_aux_migrants orchestrée par le gouvernement de Varsovie. Un traitement implacable qui tranche avec l’hospitalité accordée aux #réfugiés_ukrainiens.


    À mesure que l’on progresse dans la forêt de Białowieża, écrasante masse verte, hérissée et fauve, l’impression s’impose qu’on n’y pénètre pas. Elle nous absorbe et se rend toujours plus profonde. Quoique muni d’un GPS et des coordonnées de sa destination, Stefan (1) ne sait pas où aller. Mais il continue d’avancer, d’escalader, de ramper sous les milliers d’arbres morts en suspension ou écroulés au sol. De tomber dans les bosquets d’orties se prenant pour des fougères arborescentes, de lutter contre le harcèlement permanent des hordes d’insectes. D’extirper ses bottes de l’effet de succion de la vase des marais putrescents. D’être en alerte, au moindre bruit suspect, d’une patrouille des forces de l’ordre ou d’un hélicoptère.

    Ce jeune militant cherche un groupe de migrants indiens qui lui ont envoyé leur position par texto après avoir traversé clandestinement la frontière entre la Pologne et la Biélorussie, en passant par cette forêt à cheval sur les deux pays. Ont-ils été arrêtés par l’armée polonaise, les garde-frontières ou la police ? Ici, les migrants ne sont pas les bienvenus. Des #haut-parleurs, installés le long de la démarcation, le rappellent, hurlant sans discontinuer un même message dans plusieurs langues — supposément celles des candidats à l’exil (anglais, arabe, chinois, espagnol, français…) : « Cette frontière est ferme (sic). C’est fini de votre voyage. Vous êtes trompés et votre argent s’est envolé. Ce n’est pas comme promis. Vous devrez retourner au Minsk. L’autorité de Biélorusse vous devrait transporter à votre pays. Votre cauchemar prendra fini », indique, dans un français approximatif, le message à destination des ressortissants d’Afrique francophone.

    Un #mur a également été construit pour empêcher les passages de migrants. Long de deux cents kilomètres, érigé au beau milieu de la forêt par Varsovie entre novembre 2021 et juin 2022 pour la somme de 340 millions d’euros, il fait la fierté du gouvernement polonais : grâce à cette barrière, le pays protégerait l’Union européenne d’une invasion. Le 5 septembre 2022, le premier ministre, M. Mateusz Morawiecki (parti Droit et justice [PiS], conservateur), se rendait ainsi au poste-frontière de Czeremcha pour se mettre en scène devant le mur et ses barbelés déployés comme un tourbillon de foire, étincelant dans les rayons du soleil couchant, pour se féliciter d’une construction infranchissable, « la meilleure preuve de l’efficacité du PiS en matière de sécurité (2) ».

    Ce discours s’est imposé à la faveur de la « crise migratoire » qui a opposé la Pologne et la Biélorussie à l’automne 2021, quand des milliers d’exilés, désireux d’entrer dans l’Union européenne, se sont massés dans la forêt de Białowieża. Bruxelles a alors accusé Minsk d’organiser l’afflux en guise de représailles aux nouvelles sanctions occidentales infligées au pays depuis 2020 (3). En visite à Washington le 10 novembre 2021, la présidente de la Commission européenne, Mme Ursula von der Leyen, affirmait ainsi : « Il ne s’agit pas d’une crise migratoire. Il s’agit d’une tentative de déstabilisation menée par un régime autoritaire contre ses voisins démocratiques. C’est l’ensemble de l’Union européenne qui est défiée. » Le même jour, lors d’un débat au Parlement, le président du Parti populaire européen (PPE), M. Manfred Weber, allait plus loin encore, évoquant une « guerre hybride contre l’Union européenne » (4). Pour se défendre, Bruxelles et Varsovie n’ont pas lésiné sur les moyens répressifs, repoussant les exilés au canon à eau malgré un froid glacial et pratiquant abondamment le refoulement systématique, immédiat et illégal des migrants qui ont réussi à franchir la frontière.

    « Personne ne respecte nos droits. On est traités comme des animaux »

    Si, depuis cette crise, les flux ont diminué, cette route de l’est ne s’est pas fermée pour autant. Plusieurs milliers de migrants continuent d’y passer chaque mois, venant des quatre coins du monde, principalement d’Afghanistan, du Pakistan, d’Inde et du Yémen, mais aussi d’Afrique subsaharienne, de Chine et même de Cuba. Une goutte d’eau comparée aux millions de réfugiés ukrainiens arrivés en Pologne depuis février 2022. Mais peu importent les chiffres : tandis qu’il se montre relativement accueillant avec les Ukrainiens (5), le gouvernement polonais traque les migrants qui tentent de passer par la porte biélorusse, ainsi que les militants qui les aident. Le 15 août 2022, lors de célébrations de la Journée de l’armée polonaise, le président Andrzej Duda a ainsi qualifié « d’imbéciles et de traîtres les personnes qui sauvent des réfugiés et des migrants à la frontière polono-biélorusse ».

    Alors qu’un énième passage d’hélicoptère au-dessus de son jardin fait trembler sa tasse de thé, Jan baisse la tête plutôt que de lever les yeux au ciel. Après avoir soigneusement éteint son téléphone, et l’avoir rangé dans un placard, ce « traître » déplore la légitime résignation, si ce n’est l’abattement, de certains activistes. Las des tensions permanentes qu’affrontent les habitants de la région depuis un an, il explique, les yeux humides : « On se croirait en zone de guerre. Nerveusement, on est à bout. On a aidé énormément et on continue comme on peut. Mais on est trop peu nombreux. On sait que des gens meurent dans notre forêt. On est criminalisé si on les aide. Mais on ne peut pas tolérer de les abandonner comme ça. Nos interventions dans cette nature hostile sont très périlleuses et éprouvantes émotionnellement. »

    La forêt de Białowieża apparaît comme une #zone_de_non-droit où le gouvernement polonais agit à sa guise, piétinant le droit international. Dès le 2 septembre 2021, le président Duda a décrété l’état d’urgence dans la région de Białowieża, ce qui lui a permis d’isoler la zone frontalière avec la Biélorussie de toute caméra et des regards indiscrets, ainsi que de s’opposer à la présence des organisations non gouvernementales (ONG) humanitaires (Médecins sans frontières, Amnesty International…), des Nations unies et même de Frontex, la police des frontières de l’Union européenne, pourtant guère réputée pour son sens de l’accueil. Si l’état d’urgence et ses diverses interdictions ont été levés le 1er juillet 2022, Varsovie a ainsi pu éviter qu’une lumière trop crue soit jetée sur sa « politique de gestion » des migrants. Laquelle se résume à un principe simple : reconduire, manu militari, tout intrus du côté biélorusse de la frontière. Une politique commode pour l’Union, qui endosse ainsi le beau rôle en se déchargeant de ses responsabilités sur Varsovie tout en lui reprochant de ne pas respecter les droits des migrants — dont Bruxelles se soucie moins quand il s’agit de les renvoyer en Libye.

    « Honte sur vous ! Honte sur vous ! », hurle, à travers les barbelés affûtés comme des rasoirs, un Irakien aux gardes-frontières polonais qui viennent de le rejeter, avec sa famille, en Biélorussie. Un de ses enfants, âgé de 6 ans, pleure dans les bras de sa mère après avoir été aspergé de gaz lacrymogène par des soldats encagoulés. Ils viennent d’être victimes d’un refoulement de la part de l’armée polonaise. « Vous êtes des Européens. Pensez-y !, reprend le père de famille. Même dans mon pays, personne ne se permettrait de faire ce que vous avez fait à un enfant ! » Selon Monika, bénévole dans l’association de soutien aux migrants Grupa Granica, la grande majorité de la population polonaise approuve cette politique répressive, et de nombreux bénévoles sont découragés.

    Andrzej n’est pas de ceux-là. Cet adolescent, qui porte un tee-shirt floqué du mot « Free », a abandonné les jeux vidéo qui occupaient son temps libre pour sillonner désormais la forêt de Białowieża à la recherche de migrants, auxquels il fournit de la nourriture et du matériel médical. À quelques encablures d’une prison de la région, alors qu’il regarde frénétiquement le GPS de son téléphone portable, Andrzej essaie de presser le pas en se frayant un chemin dans un dédale d’arbres morts tombés au sol. Il cherche un groupe de migrants venus de pays africains. « Est-ce qu’on peut vraiment parler de crise migratoire quand il s’agit en réalité de moins de cinquante mille tentatives de passage illégales de la frontière en un an ?, interroge-t-il. La Pologne accueille quatre millions d’Ukrainiens depuis le début de la guerre… Ça lui a permis d’obtenir que l’Union européenne lève en partie ses sanctions. Bruxelles punissait nos autorités, maintenant ce sont les Européens eux-mêmes qui laissent le PiS se moquer de l’État de droit », ajoute-t-il en faisant référence aux sanctions imposées par l’Union à Varsovie pour ses manquements à l’indépendance de la justice.

    Après un long parcours, Andrezj finit par retrouver le groupe de onze hommes et femmes. Emmurés dans la terreur de leur traversée de la forêt, ils n’ont qu’une supplique : « Aidez-nous à sortir de là ! Si on reste ici, on va mourir… » Dans un premier temps, les migrants n’ont souvent que faire des soins proposés par les volontaires polonais : ils veulent avant tout pouvoir déposer un dossier de demande d’asile et obtenir des papiers. « Cela fait plus de huit jours qu’on erre dans cette forêt qui nous rend malades et ronge jusqu’à nos chaussures, nous raconte une exilée togolaise. On est blessés à cause des branches cassées qui nous lacèrent le corps, on est malades d’avoir bu l’eau des marais. Nos blessures et les piqûres d’insectes sont infectées. On va y rester… On est partis de Brest [en Biélorussie] et il ne nous reste que 180 dollars. On a déjà perdu deux personnes qui étaient trop faibles pour suivre. On sait qu’ici personne ne respectera nos droits, on est traqués comme des animaux. On ne peut pas déposer de dossier de demande d’asile auprès des autorités. S’ils nous tombent dessus, ils nous expulseront sans considération à nouveau en Biélorussie. » Les yeux hagards, elle n’a pas remarqué qu’à proximité de son sac à dos un fémur humain dépassait des lambeaux d’un pantalon abandonné. Dans le trou de forêt putride où ces migrants surveillent chaque seconde qui passe avant que le crépuscule sonne la reprise de son odyssée vers l’ouest, les assauts incessants des moustiques font écho aux sifflements des drones scrutant la zone frontalière.

    Plus que jamais le « deux poids, deux mesures »

    Le lendemain, c’est au tour de quatre Cubains d’être assistés par un groupe d’activistes ayant battu la forêt avant de faire relâche dans une clairière. Après une lapidaire synthèse de leur situation, l’un d’eux laisse éclater son incompréhension : « Combien de Polonais sont prêts à nous aider ? On est abandonnés à notre propre sort, condamnés à disparaître dans cette forêt. On marche aux côtés de la mort en permanence. Seules quelques trop rares personnes risquent encore leur peau pour nous. Nos vies ne valent-elles rien par rapport à celles des Ukrainiens qui fuient leur pays comme nous ? »On apprendra quelques jours plus tard que les quatre hommes ont réussi à rejoindre l’Espagne. Moyennant près de 1 500 euros chacun, ils ont trouvé un chauffeur dont personne ne saura s’il est lié à des réseaux de passeurs organisés, ou isolé. Avec les passeurs, tout se monnaye. Jusqu’à l’eau, facturée 20 euros la bouteille dans la forêt de Białowieża.

    Changement de décor. Sous les colonnes de la terrasse du Bar Studio de Varsovie, Magdalena Chrzczonowicz, journaliste polonaise du média indépendant Oko.press, fait partie des rares reporters à avoir bravé l’interdiction du gouvernement de se rendre dans la région de Białowieża pendant l’état d’urgence. « Avec la propagande organisée par l’État, la zone d’exclusion et la peur de la population face à l’érosion de son pouvoir d’achat, la situation des migrants à la frontière biélorusse n’est pas un sujet d’intérêt particulier en Pologne. » Le PiS utilise même la situation pour séduire l’électorat conservateur, en mettant en scène son intransigeance en matière sécuritaire et en insistant sur son attachement à la défense de la souveraineté. Il s’en sert également comme d’un outil de politique extérieure pour arracher la mansuétude de Bruxelles, au même titre que son implication dans l’aide aux réfugiés ukrainiens. Comme le rappelle l’historien et politiste Jean-Yves Potel, « le gouvernement polonais s’est montré solidaire de l’Ukraine face à la Russie, il a mis en place la directive de protection temporaire débloquée le 3 mars 2022 par la Commission européenne. Une loi a été adoptée. Chaque réfugié venant d’Ukraine a pu bénéficier rapidement, parfois en quelques heures, d’un statut protecteur pour dix-huit mois renouvelables, comprenant des aides financières, un hébergement provisoire, le droit au travail, l’accès aux services de santé, à l’école pour les enfants, un numéro de sécurité sociale et le bénéfice de nombreux services sociaux (6) »

    En proposant aux exilés ukrainiens des conditions d’accueil décentes, propices à leur bonne intégration, la Pologne et l’Union européenne ont montré qu’elles pouvaient faire ce qu’elles disent impossible pour des êtres humains venus d’ailleurs. Plus que jamais, le « deux poids, deux mesures » régit les politiques migratoires. Et, de la Pologne à la France, l’heure est au tri entre « ceux qu’on veut accueillir et qu’on doit bien intégrer, et ceux qui ne méritent pas de rester et qui doivent donc être reconduits (7) » — selon le programme fièrement exposé par la présidente française du groupe Renaissance à l’Assemblée nationale, Mme Aurore Bergé.

    https://www.monde-diplomatique.fr/2023/03/COLOMA/65591
    #Bialowieza #frontières #asile #migrations #réfugiés #barrières_frontalières

  • Le président tunisien prône des « #mesures_urgentes » contre l’immigration subsaharienne

    Lors d’une réunion, mardi, du Conseil de sécurité nationale, le président tunisien, #Kaïs_Saïed, a tenu un discours très dur au sujet de « #hordes des #migrants_clandestins » en provenance d’Afrique subsaharienne, dont la présence est selon lui source de « #violence, de #crimes et d’#actes_inacceptables », insistant sur « la nécessité de mettre rapidement fin » à cette immigration.

    Il a en outre soutenu que cette immigration clandestine relevait d’une « entreprise criminelle ourdie à l’orée de ce siècle pour changer la composition démographique de la Tunisie », afin de la transformer en un pays « africain seulement » et estomper son caractère « arabo-musulman ».

    Il a appelé les autorités à agir « à tous les niveaux, diplomatiques sécuritaires et militaires » pour faire face à cette immigration et à « une application stricte de la loi sur le statut des étrangers en Tunisie et sur le franchissement illégal des frontières ». « Ceux qui sont à l’origine de ce phénomène font de la traite d’êtres humains tout en prétendant défendre les droits humains », a-t-il encore dit, selon le communiqué de la présidence.

    « Discours haineux »

    Cette charge de Kaïs Saïed contre les migrants subsahariens survient quelques jours après qu’une vingtaine d’ONG tunisiennes ont dénoncé jeudi la montée d’un « #discours_haineux » et du racisme à leur égard. Selon ces organisations « l’État tunisien fait la sourde oreille sur la montée du discours haineux et raciste sur les réseaux sociaux et dans certains médias ». Ce discours « est même porté par certains partis politiques, qui mènent des actions de propagande sur le terrain, facilitées par les autorités régionales », ont-elles ajouté.

    Dénonçant « les violations des droits humains » dont sont victimes les migrants, les ONG ont appelé les autorités tunisiennes « à lutter contre les discours de #haine, la #discrimination et le #racisme envers eux et à intervenir en cas d’urgence pour garantir la dignité et les droits des migrants ».

    La Tunisie, dont certaines portions de littoral se trouvent à moins de 150 kilomètres de l’île italienne de Lampedusa, enregistre très régulièrement des tentatives de départ de migrants, en grande partie des Africains subsahariens, vers l’Italie.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/47002/le-president-tunisien-prone-des-mesures-urgentes-contre-limmigration-s
    #Tunisie #migrations #migrants_sub-sahariens #anti-migrants #grand_remplacement #démographie

    ping @_kg_

    • Dans un contexte tendu, certains Tunisiens viennent en aide aux migrants subsahariens

      Après les propos du président Kaïs Saïed, les autorités ont averti : toute personne qui hébergerait des personnes étrangères sans carte de résidence ou déclaration au commissariat violerait la loi. L’avertissement vaut aussi pour les employeurs qui font appel à des travailleurs étrangers non déclarés. Ainsi, de nombreux migrants subsahariens en situation irrégulière se retrouvent expulsés et sans travail du jour au lendemain. Des Tunisiens tentent de les aider en organisant des collectes.

      Samia, dont le prénom a été changé pour préserver son anonymat, est en train de charger une voiture de vêtements et repas, résultats de collectes auprès de Tunisiens, solidaires avec les Subsahariens mis à la rue ces derniers jours.

      « Pour les personnes mises à la rue, malheureusement, il faut des repas prêts. Pour les personnes qui sont chez elles, de la viande des pâtes, du riz, des féculents… Des choses pour tenir, surtout qu’il fait un peu froid. Et puis, du lait pour les bébés, des couches et des lingettes, des produits d’hygiène intime… »

      Un geste de solidarité qui passe par le bouche-à-oreille et les réseaux sociaux, afin d’aider à la fois les migrants en attente d’un rapatriement chez eux et ceux qui restent cloîtrés sans pouvoir aller au travail.

      « La situation, elle, est très alarmante. Elle est très alarmante et elle peut dégénérer rapidement. Alors, j’entends et je comprends très bien que les gens sont contraints d’appliquer la loi. Mais c’est un peu court comme analyse. On peut donner un peu de temps aux personnes pour s’organiser. On peut leur donner une trêve parce qu’il fait froid, et on ne peut pas jeter des familles à la rue. Ça, c’est vraiment affligeant, parce qu’il y a des bébés en très bas âge qui sont à la rue avec les températures qu’il fait », poursuit Samia.

      Elle et son association aident une centaine de personnes, dont des migrants en sit-in depuis deux jours, devant l’organisation internationale pour les migrations.

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      L’analyse de l’historienne Sophie Bessis

      RFI : Comment le pays en est arrivé là ?

      Sophie Bessis : « La première chose, c’est, pour remonter loin dans l’histoire, il y a quand même une vieille tradition raciste anti-Noir en Tunisie qui n’a pas disparu, même si dans les années 1960 et 1970, le panafricanisme qui était à l’honneur avait un petit mis sous boisseau cette vieille tradition qui vient d’une tradition esclavagiste et du fait que les populations noires nationales ont toujours été marginalisées. La Tunisie est en crise actuellement. La recherche de bouc-émissaire est toujours un compagnon d’une population en crise. Nous avons en Tunisie un parti nationaliste, il faudrait se poser la question sur ce qu’il représente et pourquoi. Et la question la plus importante est pourquoi les plus hautes autorités de l’État ont repris cette rhétorique qui est d’un racisme absolument primaire. Ce sont les stéréotypes racistes les plus éculés que l’on retrouve dans toutes les extrêmes droites du monde. »

      À quel point l’externalisation de la sécurité des frontières européennes a-t-elle joué dans le discours des autorités ?

      Il y a une progression des droites européennes qui est tout à fait alarmante en ce qui concerne la question migratoire et il y a une influence réelle disons et les moyens de pression des pays européens sur des pays comme la Tunisie dont vous connaissez l’ampleur de la crise économique, monétaire, financière et sociale donc il n’est pas impossible du tout qu’une partie de cette chasse anti-migrants soient dues aussi à ces pressions anti-européennes. En revanche, là où il faut se poser une question, c’est pourquoi cette violence ? Parce que malheureusement, la politique anti-migrants est devenue quelque chose de banale dans le monde d’aujourd’hui, mais la violence à la fois de la parole publique et la violence des gens contre les Subsahariens oblige aujourd’hui à se poser des questions, sur l’État de la société tunisienne et de son appareil dirigeant.

      L’Union africaine a réagi, qualifiant les propos du président de « choquants » et appelant au calme, mais quel impact pourrait avoir ces déclarations sur la diplomatie tunisienne en Afrique ?

      Il y a une boussole qui a été perdue, il y a une boussole qui est cassée aujourd’hui en Tunisie et j’espère que les pairs africains de la Tunisie et en particulier les pays dont sont originaires une bonne partie des migrants Subsahariens, sera plus ferme à l’égard de la Tunisie.

      https://www.rfi.fr/fr/afrique/20230228-dans-un-contexte-tendu-certains-tunisiens-viennent-en-aide-aux-migrants

    • Étudiant congolais en Tunisie : « Je ne sors plus, je reste confiné chez moi »

      Marc* a 22 ans et vit en Tunisie depuis un an. Muni d’un visa étudiant, ce jeune homme congolais s’est installé à Tunis dans l’espoir de finaliser son cursus universitaire avant de rentrer dans son pays d’origine. Mais depuis le discours anti-migrants du président tunisien, Marc ne sort plus de chez lui de peur de se faire agresser ou embarquer par la police.

      Le 21 février, le président tunisien Kaïs Saïed n’a pas mâché ses mots à l’égard des quelque 21 000 Africains subsahariens vivant en Tunisie. Les accusant d’être source de « violence, de crimes et d’actes inacceptables », le chef de l’État a évoqué la mise en place de « mesures urgentes » pour lutter contre ces « clandestins ». Depuis, dans ce pays frappé par une grave crise économique, un vent de panique souffle parmi les personnes noires - tunisiennes comme immigrées, avec ou sans papiers. Ces derniers jours, les cas de personnes victimes d’attaques verbales et physiques, expulsées manu militari de leur appartement ou arrêtées arbitrairement dans la rue par les forces de l’ordre, se sont multipliées.

      Marc est, pour l’heure, épargné. Étudiant depuis un an à Tunis, installé dans un quartier résidentiel de la capitale et muni d’un titre de séjour étudiant, Marc n’est pas un « clandestin ». Pourtant, son statut ne le protège pas des agressions.
      « Je suis à l’abri chez moi, mais jusqu’à quand ? »

      "Je ne sors plus de chez moi. Je reste confiné. Ces derniers jours, je ne vais plus en cours. J’ai trop peur. Dans la rue, on entend souvent les mêmes phrases : ’Rentrez chez vous ! Rentrez chez vous !’. Comment voulez-vous que j’arrive à l’arrêt de bus ou au métro [au tramway, ndlr] pour aller étudier ? J’ai peur de me faire agresser verbalement ou physiquement sur le trajet.

      J’ai entendu parler de camarades expulsés de chez eux, juste à cause de leur couleur de peau. Certains étaient en règle, d’autres non. Ce n’est pas un papier administratif, mon statut d’étudiant, qui va me protéger. Moi, pour l’instant, on ne me jette pas dehors. Je vis en colocation avec trois autres étudiants congolais. Je suis à l’abri, mais jusqu’à quand ?

      Des dizaines de Subsahariens, dont des familles avec enfants, campent actuellement devant les ambassades de leur pays. Certains y ont trouvé refuge après avoir été chassés de chez eux. Selon les chiffres cités par les ONG, plus 20 000 ressortissants d’Afrique subsaharienne vivent en Tunisie, soit moins de 0,2% de la population totale.

      Il y a eu des attaques à l’arme blanche aussi. Un de mes amis a reçu un coup de couteau alors qu’il sortait d’une épicerie.

      Le discours du président a eu un retentissement terrible. Il y a toujours eu du racisme en Tunisie. Il y a toujours eu des arrestations, il y a toujours eu des contrôles dans la rue de manière arbitraire, mais c’était moins violent. Par exemple, moi, avant, les autorités pouvaient m’arrêter dans la rue, des agents contrôlaient mon identité sur place et ils me laissaient repartir cinq minutes après.
      « On ne prend plus les transports en commun, on prend des taxis »

      Désormais, on arrête les gens et on les embarque directement au poste de police, on peut les mettre en cellule plusieurs jours sans raison. Pour la première fois, il y a quelques jours, des agents m’ont arrêté dans la rue, ils n’ont pas voulu me laisser aller en cours, alors que je leur montrais mes papiers en règle. Ils m’ont embarqué au poste. J’ai eu tellement peur. Ils ont vérifié mon passeport, ma carte d’étudiant et ils m’ont laissé repartir. J’ai eu de la chance.

      Pour d’autres Noirs, ça se passe moins bien. Ils peuvent rester 3, 4, 5 jours au poste.

      Pour vous dire la vérité, pour aller travailler ou aller étudier, les ressortissants noirs ne marchent plus sur les trottoirs, ne prennent plus les transports en commun. Ils prennent des taxis.

      Cette situation a poussé des centaines de personnes à vouloir rentrer dans leurs pays. L’ambassade de Côte d’Ivoire a lancé une campagne de recensement de ses ressortissants souhaitant rentrer au pays. L’ambassade du Mali propose également à ses ressortissants de s’inscrire pour un « retour volontaire ». L’ambassade du Cameroun a, elle aussi, indiqué, dans un communiqué, que ses ressortissants pouvaient se « rapprocher de la chancellerie pour tout besoin d’information ou procédure dans le cadre d’un retour volontaire ». Marc souhaite, lui aussi, rentrer dans son pays.

      J’ai tellement peur que j’ai contacté les agents de l’OIM (Organisation internationale pour les migrations) pour qu’ils m’aident à rentrer chez moi [via le programme de ’retours volontaires’, ndlr], mais pour l’instant personne ne m’a répondu. Je ne comprends pas… En cette période difficile, on devrait avoir le soutien des instances internationales. Mais on n’a rien. C’est le silence radio."

      Si certains migrants ont réussi à rentrer chez eux via leurs ambassades ces dernières heures, des dizaines d’autres errent entre les bureaux du Haut commissariat aux réfugiés des Nations unies (HCR) et ceux de l’OIM, à Tunis. Beaucoup sont de Sierra Leone, de Guinée Conakry, du Cameroun, du Tchad ou du Soudan, des pays parfois sans ambassade dans la capitale tunisienne. Arrivés illégalement, ils se sont retrouvés, après les propos de Kaïs Saïed, soudainement à la rue et privés des emplois informels grâce auxquels ils survivaient.

      *Le prénom a été changé

      https://www.infomigrants.net/fr/post/47231/etudiant-congolais-en-tunisie--je-ne-sors-plus-je-reste-confine-chez-m

    • Racisme en Tunisie. « Le président a éveillé un monstre »

      Depuis quelques jours, la Tunisie est le théâtre d’une furieuse poussée de racisme contre les populations subsahariennes, déclenchée notamment par les récentes déclarations du président Kaïs Saïed. Du sud du pays à la capitale, Tunis, la crainte d’une escalade est grande.

      « Regarde ce qu’ils nous font, c’est terrible ! Comme si on n’était pas vraiment des hommes. » Sur l’écran du smartphone que me tend l’homme qui s’indigne ainsi, Adewale, deux hommes à la peau noire recroquevillés sur un canapé sont menacés par des assaillants encapuchonnés, armés de ce qui ressemble à des couteaux. Les victimes roulent des yeux terrifiés et psalmodient des suppliques. En réponse, leurs agresseurs hurlent, miment des coups. Puis la vidéo TikTok s’arrête et laisse place à une autre : elle montre des hommes et des femmes qui marchent dans la rue en criant des slogans, la mine hostile. « Ça ce sont des gens qui manifestaient contre la présence des Subsahariens dans le pays. Je ne comprends pas pourquoi ils nous détestent tant. »

      Adewale parle d’une voix lasse. Il l’a dit plusieurs fois pendant l’entretien : il n’en peut plus. De sa situation bloquée. De sa vie fracturée. De l’atmosphère viciée de ces derniers jours. Ce jeune Nigérian né à Benin City a beau avoir tout juste 30 ans, il a déjà derrière lui tout un passé de drames. Plus tôt, il m’avait raconté les larmes aux yeux comment sa femme est morte lors d’une tentative de fuir la Libye et de rejoindre l’Europe en bateau. Diminuée par les mauvais traitements endurés en Libye, malade, elle est décédée après un jour de traversée. « C’était le 27 mai 2017, je ne l’oublierai jamais », répète-t-il. Il explique avoir dû faire croire qu’elle s’était assoupie sur ses genoux pour éviter que son corps ne soit jeté à la mer par les autres voyageurs.

      Lui a été récupéré deux jours plus tard par un navire de gardes-côtes tunisiens alors qu’il dérivait au large de Sfax avec ses compagnons d’infortune. Depuis, il survit dans ce pays, obsédé par la perte de sa compagne dont il visite et fleurit régulièrement la tombe. Impossible pour lui de rentrer au Nigeria : la famille de sa compagne décédée le tient pour responsable et lui aurait signifié son arrêt de mort.

      À plusieurs reprises, Adewale me montre des photos personnelles pour mieux illustrer son propos. Défilent des portraits de sa défunte femme souriante, barrés d’un grand « RIP » coloré, suivis de clichés de sa tombe en béton ornée de fleurs. Puis ce sont des images où on le voit travailler sur un chantier de Zarzis, la ville où il réside désormais. Adewale me prend à témoin : c’est un bon travailleur, un ouvrier du bâtiment acharné, levé à l’aube, qui accepte de bosser au noir pour un salaire de misère. Depuis six ans qu’il réside en Tunisie, il n’a pas démérité. Comme tous ses camarades, ajoute-t-il. Alors aujourd’hui il tombe des nues : « Il y a peu de temps, j’ai été agressé dans la rue, à côté de chez moi. Un homme m’a donné un coup de poing dans l’estomac en me disant de rentrer dans mon pays. Tu imagines ? Dans ces cas-là, il ne faut surtout pas répondre sinon tout le monde se rue sur toi. C’est pour ça que je n’ai pas réagi. Mais je ne comprends pas cette haine. »

      Une version arabe du « #grand_remplacement »

      Zarzis n’est pourtant pas l’épicentre des violences racistes qui se déchaînent en Tunisie depuis plusieurs jours. Située dans le sud-est de la Tunisie, à moins de 100 kilomètres de la frontière libyenne, cette ville côtière d’environ 70 000 habitants est réputée plutôt « ouverte », avec une communauté de pêcheurs qui se sont parfois distingués par leur aide apportée aux embarcations de personnes exilées en détresse. Elle abrite aussi depuis peu un cimetière verdoyant nommé « Jardin d’Afrique », ou « Paradis d’Afrique », inauguré en 2021, qui se veut le symbole du respect accordé aux dépouilles des personnes décédées en mer.

      Mais à Zarzis comme ailleurs en Tunisie, la situation est tendue. Le déclencheur ? Un discours du président Kaïs Saïed le mardi 21 février 2023 lors d’une réunion du Conseil de sécurité nationale, qui a déchaîné ou réveillé chez certains une forme de racisme latent. Entre deux saillies sur les « violences, [...] crimes et actes inacceptables » prétendument commis par les « hordes » de personnes exilées clandestines, celui qui, depuis juillet 2021, s’est arrogé tous les pouvoirs, a déclaré que la migration correspondait à une « entreprise criminelle [...] visant à changer la composition démographique de la Tunisie ». L’objectif du complot ? En faire un pays « africain seulement » afin de dénaturer son fond identitaire « arabo-musulman ». Une traduction en arabe de la théorie du « grand remplacement » prônée en France par Renaud Camus, Éric Zemmour et leurs émules. Rodant déjà sur les réseaux sociaux, et portées par le Parti nationaliste tunisien, un mouvement relativement confidentiel jusqu’à ce début d’année, ces thèses ont soudain jailli au grand jour, entraînant une vague de violences qui s’est ressentie jusqu’à Zarzis.

      Adewale raconte ainsi qu’il se fait régulièrement insulter, qu’il ne peut plus se rendre au travail, et que plusieurs de ses amis subsahariens ont été mis à la porte de chez eux par leurs bailleurs pour la seule raison qu’ils étaient noirs. Il ajoute que lui a de chance : le sien est venu toquer à sa porte pour lui dire de le prévenir s’il avait des problèmes. Il n’empêche : il se terre chez lui. Et de dégainer encore une fois son smartphone pour me montrer une énième vidéo TikTok, ce réseau social devenu avec Facebook le vecteur principal du racisme – mais aussi la première source d’information des exilés. « Ça c’était à Sfax hier, explique Adewale, des jeunes ont attaqué un immeuble où vivaient des Subsahariens, et tout le monde a été mis dehors. » Sur l’écran, des hommes, des femmes et des enfants sont assis sur le trottoir avec leurs affaires, l’air désemparé. « Il y a des gens terribles ici », ajoute Adewale.

      « Une forme de psychose qui s’installe »

      Rencontrés à Zarzis, Samuel et Jalil vivent eux aussi dans la peur depuis le discours du 21 février. Ils ne sont pas d’origine subsaharienne, mais ils craignent que les temps à venir soient dramatiques pour les personnes exilées vivant en ville : « On conseille aux migrants qu’on suit de ne pas sortir, ou alors seulement au petit matin, pour aller faire les courses, parce qu’on ne sait pas comment ça peut tourner », explique Jalil. Il ne cache pas craindre une criminalisation de leur activité : « Les policiers savent qu’on assiste les personnes en transit ici. Dans le climat politique actuel, il y a forcément une forme de psychose qui s’installe. »

      L’entretien avec ces deux militants locaux a été fixé par WhatsApp, après vérification de ma situation : est-ce que les autorités savent que je suis journaliste ? Non ? J’en suis bien sûr ? Rendez-vous est finalement donné dans une sorte de villa touristique baroque, à quelques kilomètres du centre-ville. « C’est un peu notre cachette », dit Jalil, souriant de ce terme incongru. Tous deux expliquent en s’excusant que la situation politique les force à prendre des précautions dont ils préféreraient se passer. Âgés d’une quarantaine d’années, Samuel et Jalil s’emploient depuis des années à assister les nombreuses personnes exilées qui atterrissent dans la ville. Ils ont constaté que, bien avant l’envolée raciste du président, les personnes subsahariennes se voyaient déjà appliquer un traitement différencié : « On les accompagne s’ils doivent aller à l’hôpital, car sinon on ne les prend pas en charge. Et quand ils se font agresser, ce n’est même pas la peine pour eux de se rendre à la police, car elle n’enregistrera pas leur plainte. »

      C’est par le biais de ces deux militants que je rencontre leurs amis Yacine et Nathan. Le premier vient du Mali, le second de Côte d’Ivoire. Tous les deux sont passés par la Libye, qu’ils décrivent comme un enfer, entre sévices physiques et travail forcé. Interrogés sur la période passée là-bas, ils éclatent d’un rire nerveux. « C’est notre manière d’évacuer ces moments, explique Yacine. Personne ne peut comprendre l’horreur de ce pays pour un Noir s’il ne l’a pas vécu. »

      Quand ils ont finalement réussi à prendre la mer, après de longs mois d’errance et de labeur, ils ont été récupérés par un navire des gardes-côtes tunisiens, qui les a déposés à Zarzis. Ils ont ensuite été convoyés à Médenine puis à Djerba, où ils ont travaillé dans le bâtiment. De retour à Zarzis, ils ne pensent qu’à une chose : prendre la mer pour l’Europe. Et tant pis si pour cela ils doivent tenter la traversée sur un « iron boat », ces bateaux de métal conçus à la va-vite et qui ont sur certains rivages remplacé les navires en bois ou en résine – une évolution des conditions de navigation qui a provoqué de nombreux drames, ces embarcations de fortune prenant l’eau à la moindre vague.
      Des centaines de morts dans l’indifférence

      Plus de 580 personnes sont mortes en 2022 après avoir pris la mer depuis la Tunisie, dans l’indifférence de la communauté internationale. Pour Yacine et Nathan, qui ont déjà tenté la traversée depuis la Tunisie trois fois – pour se voir à chaque fois ramenés à quai par les gendarmes tunisiens des mers –, il existerait cependant des moyens concrets pour assurer une traversée plus sûre : « Il suffit de bien s’organiser, d’utiliser des applications pour connaître la météo dans les trois jours qui arrivent, et de regarder la hauteur des vagues. Après, tu te confies à Dieu. » Davantage que les éléments, ils craignent les hommes : « Le vrai problème, ce sont les gardes-côtes, qui se montrent violents et dangereux, au point de parfois faire couler les bateaux ».

      À Zarzis, une ville endeuillée par le terrible naufrage du 21 septembre 2022 au cours duquel 18 Tunisiens se sont noyés dans des circonstances troubles semblant impliquer les gardes-côtes, la question ne laisse pas la population insensible. De nombreuses manifestations ont eu lieu, notamment pour exiger des enquêtes sur les circonstances du drame. Début septembre a également été organisée une « commémorAction » réunissant Tunisiens et familles de disparus venus de divers pays africains. Mais dans le contexte actuel, la critique des politiques migratoires se retourne parfois contre les migrants, explique Jalil : « Certains disent que les jeunes Tunisiens sont morts à cause des Subsahariens, parce que le comportement violent des gardes-côtes serait dû à la volonté d’endiguer avant tout le départ des personnes noires. »

      Après plusieurs années passées en Tunisie, Yacine et Nathan assurent que le racisme était déjà sensible avant le discours du président. Refoulements à l’hôpital, loyers plus chers, charges d’électricité gonflées et travail sous-payé les poussent à considérer qu’eux et leurs camarades seraient en fait de pures aubaines pour ce pays. Pas dupes, ils font mine de s’étonner d’un traitement différencié avec des étrangers plus clairs de peau : « On s’est rendu compte que certains étrangers n’étaient pas concernés par les insultes et les mauvais traitements, notamment les Syriens, les Bangladais ou les Marocains. Peut-être que c’est la couleur de peau qui fait la différence ? Il faut dire qu’on est plus visuels ! »

      « Ici, c’est chez nous »

      Si l’ironie est de mise, la gravité aussi. Car les deux amis s’accordent à dire que le discours de Kaïs Saïed a jeté de l’huile sur le feu. Selon Nathan, « jouer sur la haine peut être très efficace, il suffit de voir ce qui se passe sur les réseaux sociaux ». Il s’inquiète logiquement du ralliement d’une partie de la population à cette croisade numérique. S’il a l’habitude de craindre la police, ne pas pouvoir marcher dans la rue ou se rendre à la boutique pour faire ses courses lui semble bien plus grave. Quant aux débordements, ils sont déjà là, s’indigne Yacine :

      Depuis le discours du président, on entend des insultes tout le temps. On te dit : « Ici, c’est chez nous. » Ça peut aussi passer par des petits gestes, quelqu’un à l’arrière d’un taxi qui s’étale de tout son long et ne te laisse qu’un bout de banquette, sans que tu puisses rien dire. Et parfois c’est grave : il y a quelques mois, un jeune Guinéen a été lapidé pour avoir changé une chaîne de télé dans un café. Des jeunes Tunisiens l’ont attendu à l’extérieur. Il a perdu un œil. J’ai peur que ce genre d’événements se reproduise bien plus souvent.

      Aux environs de Zarzis et dans la ville même, la plupart des personnes subsahariennes sont clandestines, n’ont aucune intention de rester en Tunisie et ont les yeux rivés sur la mer – à l’image d’Adewale, de Yacine et de Nathan. Pour beaucoup de celles et ceux passés par la Libye, ils n’ont de toute façon plus de papiers d’identité, les divers exploiteurs de misère croisés dans ce pays les leur ont confisqués. Mais les 21 000 ressortissants de pays subsahariens qui vivent en Tunisie sont tous plus ou moins logés à la même enseigne, qu’ils soient « légaux » ou « illégaux ».

      À Sfax, deuxième ville du pays secouée par plusieurs nuits de violences racistes dont le bilan est encore incertain, la tension imprègne les rues. Interrogés sur les derniers événements, certains Tunisiens déplorent les violences qu’ils attribuent à des jeunes écervelés agissant en bandes. « Ce sont des crétins qui se montent la tête sur Internet », estime un vieil homme rencontré à la terrasse d’un café. Mais d’autres assument un discours dont il ressort qu’il n’y a pas de fumée sans feu et que les victimes l’ont sans doute un peu cherché.

      Quant aux principaux concernés qui osent sortir de chez eux, certains ne croient plus vraiment au dialogue. À l’extérieur de la casbah de Sfax, en bordure de la large avenue des Martyrs, quelques exilés ont dressé les étals d’un petit marché africain – épices, fruits et légumes du pays. Interrogé, un jeune homme aux yeux tristes confie avoir « très peur des jours qui arrivent ». Il me renvoie vers un trio de femmes, apparemment chargées des communications. Tout en remballant leurs sacs de provisions, elles assurent ne pas vouloir témoigner : « On ne veut plus parler, on a trop parlé ! Et ça ne change rien ! C’est de pire en pire ! »

      « Les Noirs n’ont plus de valeur ici ! »

      Devant l’ambassade de Côte d’Ivoire à Tunis, par contre, les langues se délient. Cela fait quelques jours que le lieu excentré en banlieue est un point de rassemblement pour les Ivoiriens désemparés. Certaines familles dorment même sous des tentes, dressées sur un terre-plein à proximité du bâtiment, après qu’elles ont été expulsées de leur habitation. Tous ici affirment être arrivés par avion en Tunisie, donc par la voie légale. Leur désenchantement est immense.

      Parmi la grosse cinquantaine de présents, certains sont venus tenter de faire avancer leur situation administrative – qu’il s’agisse de rester dans le pays ou de le quitter. Beaucoup s’indignent de la question des « pénalités » que le gouvernement tunisien entend faire payer aux personnes désirant rentrer chez elles – et qui, selon la durée du séjour, peuvent atteindre de fortes sommes. Les autorités marchent sur la tête, s’accordent-ils : elles veulent qu’ils partent mais font tout pour que ce ne soit pas possible…

      Au-delà des épineuses questions administratives, les discours tenus ici sont unanimes : le racisme a explosé dans des proportions effrayantes. Prendre les transports en commun revient ainsi à s’exposer à de forts risques d’agression. Les témoignages s’enchaînent. « Moi je suis terrée chez moi depuis bientôt une semaine. C’est la première fois que je sors », dit l’une. « Des jeunes ont cassé ma porte en pleine nuit pour m’expulser de chez moi », s’émeut un autre, qui montre les contusions sur son visage et sur son cou en expliquant avoir été frappé. « J’étais dans le métro avec mes deux enfants quand des jeunes nous ont crié : “Rentrez chez vous, les singes !” », déplore une mère de famille, le petit dernier agrippé à son dos.

      Alors que plusieurs d’entre eux évoquent les rafles policières menées jusqu’à la sortie des crèches et la situation des personnes maintenues en prison, l’un d’eux sort un smartphone pour montrer les images passablement floues d’un homme noir insulté et frappé par ce qui ressemble à des policiers – « ils le torturent ». Puis c’est une autre où des Tunisiens crient « on n’est pas des Africains ! ». Enfin, une dernière qui déclenche des cris outrés quand l’orateur déclare : « Les Noirs n’ont plus de valeur ici ! »
      « Le feu vert à tous les débordements racistes »

      Face à ce déferlement de haine en ligne, les réactions sont contrastées. Un homme me déclare que le jour où il rentrera au pays il s’en prendra aux riches Tunisiens installés en Côte d’Ivoire – œil pour œil. Mais d’autres insistent pour imputer la responsabilité des violences à une minorité haineuse. « Beaucoup de Tunisiens m’ont aidé depuis que je suis arrivé », tient à témoigner Ismaël, jeune étudiant en informatique. Il parle d’une voix posée, évoque en souriant les délires administratifs qu’il a rencontrés jusqu’ici pour tenter de régulariser sa situation. Comme d’autres, il tempère, tente d’entrevoir une porte de sortie pour continuer à vivre dans ce pays qu’il dit aimer. Puis il se ravise : « En fait, je ne sais plus trop quoi penser. Le président a éveillé un monstre, et les derniers jours ont fait trop mal. »

      Une certitude : en pleine dérive autoritaire, le régime de Kaïs Saïed a libéré un fléau qui laissera des traces. « Il a donné le feu vert à tous les débordements racistes, qu’ils soient l’œuvre de la population ou des forces armées », explique un opposant tunisien, vétéran du renversement de Zine El-Abidine Ben Ali, en 2011, qui parle de « fascisme » pour désigner le pouvoir en place. « C’est un basculement très dangereux, contre lequel il va falloir lutter de toutes nos forces. »

      Inquiets, quelques centaines de manifestants se sont donné rendez-vous le 25 février pour dénoncer les discours et les violences racistes dans les rues de Tunis. Une initiative qui ne pèse pour l’instant pas lourd face à l’alliance de la parole présidentielle et des emballements racistes sur les réseaux sociaux.

      https://afriquexxi.info/Racisme-en-Tunisie-Le-president-a-eveille-un-monstre

    • Tunisie : des centaines de ressortissants d’Afrique subsaharienne rapatriés vers le #Mali et la #Côte_d’Ivoire

      Le président de la République tunisienne, Kaïs Saïed, a affirmé, le 21 février, que la présence dans le pays de « hordes » d’immigrés clandestins provenant d’Afrique subsaharienne était source de « violence et de crimes ».

      Des migrants subsahariens en attente de prendre un vol de rapatriement vers leur pays d’origine, au consul du Mali à Tunis, le 4 mars 2023. FETHI BELAID / AFP

      Quelque 300 Maliens et Ivoiriens ont quitté la Tunisie, samedi 4 mars, à bord de deux avions rapatriant des ressortissants d’Afrique subsaharienne cherchant à fuir des agressions et des manifestations d’hostilité après une violente charge du président, Kaïs Saïed, contre les migrants en situation irrégulière.

      Le 21 février, M. Saïed a affirmé que la présence en Tunisie de « hordes » d’immigrés clandestins provenant d’Afrique subsaharienne était source de « violence et de crimes » et relevait d’une « entreprise criminelle » visant à « changer la composition démographique » du pays.

      Samedi, « on a fait embarquer 133 personnes » parmi lesquelles « 25 femmes et 9 enfants ainsi que 25 étudiants » dans l’avion qui a quitté la Tunisie vers 11 heures, a déclaré à l’Agence France-Presse (AFP) un diplomate malien. Deux heures plus tard, un autre appareil devant rapatrier 145 Ivoiriens a décollé de Tunis, selon l’ambassadeur ivoirien en Tunisie, Ibrahim Sy Savané.

      Discours « raciste et haineux »

      Le discours présidentiel, condamné par des ONG comme « raciste et haineux », a provoqué un tollé en Tunisie, où les personnes d’Afrique subsaharienne font état depuis d’une recrudescence des agressions les visant et se sont précipitées par dizaines à leurs ambassades pour être rapatriées.

      Devant l’ambassade du Mali, surchargés de valises et ballots, tous ont dit fuir un climat lourd de menaces. « Les Tunisiens ne nous aiment pas, donc on est obligés de partir, mais les Tunisiens qui sont chez nous doivent partir aussi », a dit à l’AFP Bagresou Sego, avant de grimper dans un bus affrété par l’ambassade pour l’aéroport.

      Arrivé il y a quatre ans, Abdrahmen Dombia a interrompu ses études de mastère en pleine année universitaire : « La situation est critique ici, je rentre parce que je ne suis pas en sécurité. » Baril, un « migrant légal », s’est dit inquiet pour ceux qui restent. « On demande au président, Kaïs Saïed, avec beaucoup de respect de penser à nos frères et de bien les traiter », explique-t-il.
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      Selon le gouvernement ivoirien, 1 300 ressortissants ont été recensés en Tunisie pour un retour volontaire. Il s’agit d’une part importante de la communauté ivoirienne, qui, avec environ 7 000 personnes, est la plus importante d’Afrique subsaharienne en Tunisie, à la faveur d’une exemption de visa à l’arrivée.

      Quelque trente étudiants ivoiriens, en situation régulière, font partie des rapatriés. « Ils ne se sentent pas à l’aise, certains ont été victimes d’actes racistes, certains sont en fin d’études, d’autres les ont interrompues », a précisé à l’AFP par téléphone depuis l’aéroport Michael Elie Bio Vamet, président de l’Association des étudiants ivoiriens en Tunisie. « Il y a des agressions presque tous les jours, des menaces, ou bien ils sont mis dehors par leurs bailleurs, ou agressés physiquement », a-t-il ajouté.

      « Déferlement de haine »

      Pour la plupart issus de familles aisées, des dizaines d’étudiants d’Afrique subsaharienne étaient inscrits dans des universités ou des centres de formation en Tunisie. Apeurés, beaucoup sont déjà repartis par leurs propres moyens, selon leurs représentants.

      L’Association des étudiants et stagiaires africains en Tunisie (AESAT) a documenté l’agression, le 26 février, de « quatre étudiantes ivoiriennes à la sortie de leur foyer universitaire » et d’« une étudiante gabonaise devant son domicile ». Dès le lendemain du discours de M. Saïed, l’AESAT avait donné comme consigne aux étudiants subsahariens « de rester chez eux » et de ne plus « aller en cours ». Cette directive a été prolongée au moins jusqu’au 6 mars.

      Des Guinéens rentrés par le tout premier vol de rapatriement mercredi ont témoigné auprès de l’AFP d’un « déferlement de haine » après le discours de M. Saïed.
      Lire aussi : Article réservé à nos abonnés En Tunisie, le tournant répressif du régime de Kaïs Saïed

      Bon nombre des 21 000 ressortissants d’Afrique subsaharienne recensés officiellement en Tunisie, pour la plupart en situation irrégulière, ont perdu du jour au lendemain leur travail et leur logement. Des dizaines ont été arrêtés lors de contrôles policiers, certains sont encore en détention. D’autres ont témoigné auprès d’ONG de l’existence de « milices »qui les pourchassent et les détroussent.

      Cette situation a provoqué l’afflux de centaines de personnes à leurs ambassades pour être rapatriées. D’autres, encore plus vulnérables car issues de pays sans ambassade à Tunis, ont rejoint un campement improvisé devant le siège de l’Office international pour les migrations (OIM), où elles dorment dans des conditions insalubres.

      Selon l’ambassadeur ivoirien, la Tunisie a promis de renoncer à réclamer aux personnes en situation irrégulière des pénalités (80 dinars, soit 25 euros par mois de séjour irrégulier) qui, pour certains, dépassaient 1 000 euros

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/03/04/des-centaines-de-ressortissants-d-afrique-subsaharienne-rapatries-de-tunisie
      #renvois #expulsions #rapatriement #retour_au_pays

    • La Tunisie rongée par les démons du racisme

      L’éruption d’hostilité aux Africains subsahariens encouragée par le président Kaïs Saïed s’ajoute à la régression autocratique et entache encore un peu plus l’image de la Tunisie à l’étranger.

      Il est bien loin, le temps où la Tunisie inspirait hors de ses frontières respect et admiration. Chaque semaine qui passe entache un peu plus l’image de ce pays qui brilla jadis d’une flamme singulière dans le monde arabo-musulman. Que reste-t-il du prestige que lui conférait son statut d’avant-garde en matière de libertés publiques, de pluralisme politique, de droits de femmes et de respect des minorités ? Le chef de l’Etat, Kaïs Saïed, qui s’est arrogé les pleins pouvoirs à la faveur d’un coup de force en juillet 2021, lui impose désormais un tournant répressif, conservateur et xénophobe des plus préoccupants. La Tunisie en devient méconnaissable.

      Dans cette affaire, tout est lié : le retour à l’autocratie va de pair avec la crispation identitaire, les deux se nourrissant d’un prétendu « complot » contre l’Etat et la patrie. L’une des illustrations les plus déprimantes de cette régression est la récente vague de racisme anti-Noirs qui secoue le pays. Dans la foulée de la déclaration du 21 février du président Saïed, qui a fustigé des « hordes de migrants clandestins » associées à ses yeux à un « plan criminel » visant à « modifier la composition démographique » du pays en rupture avec son « appartenance arabo-islamique », l’hostilité se déchaîne contre les étudiants et les immigrés issus de l’Afrique subsaharienne.

      Ces derniers sont chaque jour victimes d’agressions physiques et verbales à Tunis et dans d’autres centres urbains. Le discours conspirationniste du chef de l’Etat, aux accents de type « grand remplacement », a libéré un racisme enfoui au tréfonds de la société tunisienne, héritage de l’esclavage en Afrique du Nord, aux séquelles psychologiques durables.
      L’embarras prévaut

      L’éruption de cette xénophobie cautionnée au plus haut niveau de l’Etat a obscurci la perception de la Tunisie à l’étranger. M. Saïed a beau avoir tenté de nuancer ses propos en précisant qu’il visait les immigrants en situation irrégulière, le mal est fait. Ses brigades de fidèles, dont certains sont affiliés à un Parti nationaliste tunisien aux discours et aux méthodes dignes de l’extrême droite européenne, traquent les Subsahariens. Les Tunisiens les plus progressistes avouent leur « honte » et tentent d’organiser dans l’adversité un front « antifasciste ». La consternation règne aussi dans de nombreuses capitales du continent. L’Union africaine a « condamné » les « déclarations choquantes » du président Saïed.
      Lire aussi : Article réservé à nos abonnés « Le régime de Kaïs Saïed en Tunisie n’a pas changé de nature, mais de degré de répression »

      Dans les capitales européennes, c’est plutôt l’embarras qui prévaut. Si les chancelleries ne manquent pas d’exprimer occasionnellement leur « préoccupation » face au recul de l’Etat de droit en Tunisie, elles n’ont pas réagi à la charge présidentielle contre les migrants subsahariens. Et pour cause : M. Saïed répond plutôt positivement aux appels de l’Europe – au premier chef de l’Italie – à mieux verrouiller ses frontières maritimes afin d’endiguer les traversées de la Méditerranée.

      Le cadenassage de « l’Europe forteresse », qui contribue à fixer en Afrique du Nord des candidats à l’exil européen, n’est pas étranger aux tensions migratoires dont cette région est le théâtre. Cherche-t-on à ménager M. Saïed afin d’éviter qu’il « lève le pied » sur la surveillance de son littoral ? Si telle était l’arrière-pensée, elle ajouterait le cynisme à un dossier déjà suffisamment dramatique.

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/03/04/la-tunisie-rongee-par-les-demons-du-racisme_6164127_3232.html

    • En Tunisie, le douloureux retour au pays des exilées subsahariennes

      Elles ont tout quitté pour venir en Tunisie, trouver un travail et subvenir aux besoins de leur famille dans leur pays. Souvent exploitées ou livrées à elles-mêmes durant leur parcours de vie en Tunisie, des femmes migrantes subsahariennes racontent comment elles ont quitté ou vont quitter le pays, après les propos du président Kaïs Saïed sur son intention de contrer le phénomène migratoire, source de violences et de crimes selon ses mots. Témoignages.

      À l’entrée de l’aéroport de Tunis Carthage, ce samedi 4 mars, l’aube commence à pointer et Mireille fait les cent pas. Emmitouflée dans une écharpe rouge pour se réchauffer, elle se confie : « J’ai vraiment hâte que tout ça se finisse. » Ivoirienne, elle attend, fébrile, avec une centaine d’autres de ses compatriotes en file indienne, valises à la main, le premier vol de rapatriement vers Abidjan, une opération lancée par l’ambassade peu après les propos polémiques de Kaïs Saïed du 21 février sur les migrants subsahariens.

      Dimanche soir, la Présidence de la République et celle du gouvernement tunisien ont tenté d’apaiser le ton tout en disant s’étonner de la « campagne liée au prétendu racisme en Tunisie » et rejette ces accusations. Mais elles ajoutent mettre en place des mesures pour les résidents subsahariens en Tunisie, notamment avec l’octroi de cartes de séjour d’un an pour les étudiants. Le gouvernement a également annoncé faciliter les départs volontaires pour ceux qui le souhaitent et un numéro vert pour signaler les violations de leurs droits.

      Après ses déclarations, qualifiées de « racistes » par de nombreuses associations, beaucoup de migrants ont été expulsés de chez eux par leur propriétaire, et ont perdu leur travail. Les agressions dans la rue se sont multipliées et les chancelleries de plusieurs pays ont décidé d’affréter des avions pour permettre des rapatriements à leurs ressortissants. Près de 2 000 Ivoiriens candidats au départ ont déjà été recensés en moins d’une semaine par l’ambassade et, chaque jour, la liste s’allonge. La Guinée a rapatrié une cinquantaine de ressortissants. Le Mali, 154.

      Depuis 2020, une étude de l’Observatoire national pour la lutte contre la violence à l’égard des femmes en partenariat avec le Fonds des Nations unies pour les questions de santé sexuelle et reproductive (UNFPA), note une « recrudescence » de la présence des femmes migrantes dans les centres d’accueil de femmes victimes de violences. « Les violences faites aux femmes migrantes sont difficilement condamnées et prises en charge par l’État en raison du statut irrégulier des femmes, de leur accès limité aux services en raison de la peur d’être dénoncées ou encore d’être expulsées du pays », peut-on lire dans le rapport.

      Aujourd’hui, le retour précipité au pays, le risque d’une expulsion brutale de leur logement ou d’une agression sont devenus une préoccupation quotidienne de la grande majorité des femmes subsahariennes en Tunisie, déjà souvent exposées à des violences et à la vulnérabilité économique. Mediapart a donné la parole à trois d’entre elles.
      Quatre ans en Tunisie et un traumatisme

      Mireille a été particulièrement choquée par ses derniers jours passés dans le pays. Cette coiffeuse de formation qui avait laissé, quatre ans plus tôt, ses trois enfants en Côte d’Ivoire pour tenter de soutenir financièrement sa famille, n’a vécu que des désillusions. « Dès que je suis arrivée, mes contacts sur place m’ont mise dans le circuit de femmes de ménage. Je gagnais 450 dinars par mois (135 euros) et je travaillais 12 heures par jour, j’ai eu sans arrêt des problèmes de santé à cause des produits nettoyants qu’on nous faisait utiliser et je ne sens plus mon dos », raconte-t-elle.

      Très vite, elle regrette d’être venue mais se rend compte que les pénalités pour avoir excédé sa durée de séjour dans le pays sont lourdes, 80 dinars par mois, à payer à la police des frontières. Ces pénalités sont plafonnées à 3 000 dinars (900 euros) depuis 2017. « Alors, comme d’autres, je me suis retrouvée coincée et j’ai continué de travailler pour tenter d’économiser et de payer mon retour », dit-elle.

      Dans une étude publiée en 2020 par l’ONG Terre d’asile en Tunisie sur le parcours des femmes migrantes, la précarité et la vulnérabilité de femmes comme Mireille étaient déjà dénoncées. L’une des conclusions de l’étude invitait l’État tunisien à « travailler au développement de conditions d’accueil pour les femmes migrantes qui leur permettraient de s’autonomiser, notamment au moyen de l’accès à un travail décent et à un séjour régulier, et d’accéder véritablement à leurs droits », peut-on lire dans la conclusion de l’étude basée sur les témoignages d’une vingtaine de femmes. « Cette autonomisation leur permettra d’être moins vulnérables aux violences, aux arnaques et à la précarité, tout en leur donnant toutes les chances de s’intégrer au sein de la société tunisienne. »

      Pour Mireille, l’intégration a fini en traumatisme. Deux jours après le communiqué de la présidence sur les Subsahariens, sa maison a été mise à sac par deux jeunes Tunisiens dans la nuit du 23 février. « J’étais en train de cuisiner et j’ai entendu des coups à la fenêtre, avec des hommes qui criaient des mots en arabe, au début je n’ai pas compris », raconte-t-elle. Puis elle entend en français : « Les Africains, sortez, on veut plus de vous. »

      Elle prend peur et appelle son employeur, une femme tunisienne avec qui elle s’entend bien. « Elle a tenté de m’aider, raconte-t-elle. Elle voulait que je m’échappe sur la route principale pour passer la nuit chez elle, mais les agresseurs étaient devant ma porte. Il n’y avait aucune échappatoire et mes voisins au-dessus m’ont crié qu’ils étaient armés. »

      La police, alertée aussi par les Subsahariens vivant au-dessus de chez Mireille, arrive sur les lieux mais près d’une heure plus tard. Les deux jeunes ont pu rentrer et saccager toutes les affaires de Mireille, lui voler également une somme de 6 000 dinars (1 800 euros), l’argent qu’elle avait économisé pour rentrer chez elle et pour l’envoyer à sa famille.

      Les migrants en situation irrégulière ne peuvent pas ouvrir de compte en banque et transférer de l’argent à leur famille. L’envoi d’argent se fait surtout par des connaissances qui font des allers-retours, et certains migrants sont obligés d’emmagasiner de l’argent en espèces chez eux, faute de mieux.

      Juste avant que les agresseurs enfoncent la porte, Mireille est hissée par ses voisins à l’aide d’un drap au premier étage de la résidence, en passant par une fenêtre de la cour intérieure qui ne donne pas sur la rue. Jointe au téléphone un jour après son arrivée à Abidjan, elle se rappelle avec émotion ce moment. « Je n’arrête pas de penser jusqu’à maintenant à ce qu’ils m’auraient fait s’ils m’avaient trouvée sur place », témoigne-t-elle d’une voix tremblante.

      Aujourd’hui, elle attend de pouvoir revoir ses enfants dans un centre à Abidjan où ont été dispatchés les premiers rapatriés. « Je ne les ai pas vus depuis quatre ans, le plus important pour moi, c’est de les retrouver, ensuite je réfléchirai à l’après », dit-elle. Elle est partie avec seulement quelques affaires achetées juste avant le départ grâce à des dons.
      L’attente d’un retour, après avoir tout perdu

      Les vidéos de l’incident ont fait le tour des réseaux sociaux et ont alerté sur la recrudescence des agressions envers les Noirs en Tunisie après les propos de Kaïs Saïed, poussant de nombreux migrants à se cloîtrer chez eux ou à tenter de partir au plus vite.

      Devant l’ambassade de Côte d’Ivoire le vendredi 3 mars, Fortune, 33 ans, attend encore d’être convoquée pour faire partie des prochains vols de rapatriement mais un document lui manque, l’extrait de naissance de son enfant, né en Tunisie en 2019. « Lors de sa naissance, je n’ai pas eu l’extrait de naissance, il fallait payer et je n’avais pas d’argent, et ensuite j’avais passé le délai donc j’ai déposé une demande à l’OIM [l’Organisation internationale pour les migrations qui dépend des Nations unies – ndlr] et jusqu’à présent je n’ai pas le document. »

      Elle ne peut pas laisser son fils sur place mais elle se préparait au départ bien avant les propos de Kaïs Saïed. « Dès mon départ vers la Tunisie en 2018, des amies m’avaient avertie du racisme et des mauvais traitements que subissent les Noirs, mais je voulais quand même essayer pour gagner un peu d’argent et financer mes études au pays », dit-elle.

      Elle explique avoir eu de bons employeurs en Tunisie mais, pour elle, les propos de Kaïs Saïed, sont inacceptables. « Il y a différentes manières de dire qu’il faut mieux gérer les flux migratoires irréguliers, je peux comprendre que ça gêne vu que nous sommes tous sans statut légal ici, mais là, dans ses déclarations, j’avais l’impression d’avoir été traité comme un animal », commente-t-elle.

      À ses côtés Naomi, 33 ans, ronge son frein, déprimée. Elle avait investi toutes les économies de son salaire de coiffeuse en Tunisie pour ouvrir son propre salon. Près de 7 000 dinars (2 100 euros) dépensés dans du matériel et une location. « Je comptais sur l’été et les mariages pour gagner de l’argent et l’envoyer au pays », dit-elle. Comme Fortune, elle a tout perdu, la propriétaire lui a demandé de fermer boutique et elle attend devant l’ambassade pour s’enregistrer et partir au plus vite.
      L’impossible régularisation

      Ces deux femmes ont reçu des délais très courts de leurs propriétaires pour quitter leur logement, car les autorités ont annoncé une application stricte de la loi. Un Tunisien ne peut pas louer à un étranger sans lui demander sa carte de résidence ou bien le déclarer dans un commissariat. Une situation d’urgence à laquelle s’ajoute la peur d’être agressée.

      « Là, dès que l’on sort de chez nous, on regarde derrière nous de peur qu’un gosse nous jette des pierres. Cela m’était déjà arrivé avant les propos de Kaïs Saïed mais, désormais, c’est devenu une menace quotidienne », explique Évelyne, 30 ans, qui avait ouvert une crèche dans le quartier de l’Ariana au nord de Tunis pour permettre aux familles subsahariennes qui travaillent de laisser leurs enfants en journée. « Bien sûr que ce n’était pas déclaré, mais comment voulez-vous qu’on fasse ?, demande Évelyne. On dépense de l’argent dans des procédures pour avoir des papiers, et jamais nous n’arrivons à obtenir la carte de résidence. Tout se fait au noir parce que nous n’avons pas d’autre choix, et pendant des années personne n’y a trouvé à redire. »

      La loi tunisienne met sous conditions l’embauche d’un étranger avec la préférence nationale et très peu de migrants arrivent à se régulariser, à l’exception des étudiants.
      Rester et vivre dans la rue, le nouveau fardeau d’Aïcha

      Alors que ces femmes attendent un retour imminent vers leur pays, d’autres n’ont pas d’autre choix que de rester, dans des conditions parfois plus que précaires. Aïcha, 23 ans et originaire de la Sierra Leone, campe avec une centaine d’autres migrants devant le siège de l’OIM depuis une semaine, après avoir été expulsée de son logement.

      Son voyage pour venir en Tunisie en août 2022 par voie terrestre a pris presque trois mois. Durant son périple, elle dit avoir égaré son passeport. « Donc au final, je n’ai jamais pu travailler ici, ou alors des petits jobs ponctuels. En plus je ne parle qu’anglais donc la barrière de la langue était problématique », explique-t-elle. Elle dit attendre que la situation se calme pour voir comment rester dans le pays.

      « Au pire des cas, je rentrerai, mais vraiment j’aimerais bien rester ici, c’est difficile de repartir après avoir tout laissé dans son pays. J’étais étudiante mais je voulais tenter ma chance ailleurs et beaucoup d’amis m’ont dit qu’en Tunisie il y aurait du travail et des conditions de vie meilleures que chez nous », dit-elle. Son rêve est de suivre une formation pour devenir journaliste.

      « Au pays, on voulait que je me marie avec un homme plus âgé, moi je voulais vraiment avoir une carrière et un avenir », poursuit-elle. Mais en attendant, elle vit dans la rue avec d’autres migrants, cherchant des cafés aux alentours qui acceptent qu’elle utilise leurs toilettes. « Jamais je n’aurais imaginé me retrouver dans une telle situation, j’espère que l’OIM va nous trouver une solution ou au moins un abri. » La Tunisie n’a pas de loi régissant les demandeurs d’asile donc de nombreux migrants dans le cas d’Aïcha ne peuvent se tourner que vers les représentants des Nations unies pour demander un statut de réfugié ou demandeur d’asile.

      Depuis le début de la crise déclenchée par le communiqué de la présidence, les associations et organisations internationales disent être submergées par les appels et situations d’urgence. Une chaîne de solidarité organisée par des Tunisiens a été mise en place sur les réseaux sociaux et via le bouche-à-oreille pour apporter des denrées alimentaires à ces migrants et tenter de trouver des logements provisoires pour certains. Mais ce réseau reste discret de peur de tomber dans le viseur des autorités.

      Face à l’ampleur de la crise, les autorités tunisiennes ont indiqué ce week-end, exonérer des pénalités de séjour les migrants en situation irrégulière souhaitant rentrer dans leur pays « assistés par une instance diplomatique, une organisation internationale ou onusienne », un système qui existe déjà depuis 2018 mais avec une clause d’interdiction de retour sur le territoire tunisien.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/050323/en-tunisie-le-douloureux-retour-au-pays-des-exilees-subsahariennes

    • On the racist events in Tunisia – Background and Overview

      Current Situation

      “For several months, a racist campaign against Sub-Saharans in Tunisia has been growing. The president himself subscribed to these racist and conspiracy theories and pointed the finger at the Sub-Saharans, accusing them of being ‚hordes‘ and that sub-Saharan immigration is a ‚criminal enterprise‘ whose goal would be to ‚change the demographic composition of Tunisia‘.“ In the press statement published on the 21 February 2023 following a National Security Council meeting, president Kais Saied resurrected many racist and xenophobic tropes used by other fascist movements. He „ordered security forces to take ‚urgent measures‘. … Many „of the estimated 21,000 sub-Saharan African people in Tunisia – most of whom are undocumented – lost their jobs and housing overnight.“ The Association of African Students and Interns in Tunisia highlights that there is an „ongoing systemic campaign of control and arrests targeting [Black immigration], independently from their status, who are not carrying their residency card with them.“ „In the first three weeks of February, at least 1,540 people were detained, mostly in Tunis and provinces near the Algerian border“.

      The situation has become increasingly violent in the last weeks. In addition to the government forces targeting Black people, „violent attacks perpetrated by citizens, who taunt their victims with racial slurs“ are taking place. Attacked people report about fleeing „pogroming mobs consisting of, they said, 20+ Tunisian young men. ‚We were absolutely running for our lives,‘ said Latisha, who screamed at their son to run faster.“ There are accounts about „[a]rmed mobs“ and rape ‚by these mobs’“. On social media torture videos circulate. „In the suburbs of Tunis, a group of Sub-Saharan Africans have been attacked by young Tunisians who have broken down their doors and set fire to their building. Houses were ransacked.“

      „Everyone who falls under the socially constructed category of ‘African’ – those with or without jobs, those with university classes to attend – are too scared to leave their homes because the racist violence has spread to every street in Tunisia.“ A law from 1968 that criminalizes assistance to „illegal residence“ in Tunisia, is now being applied. Patricia Gnahoré explains „that the evictions started around February 9, when alarmist messages began circulating on social networks: landlords would be facing fines and prison sentences if they housed undocumented Sub-Saharans“. While some people are being supported by friends and activists who try to organize support, many have no choice but to sleep outside, with more than 100 people camping at the International Organization for Migration and in front of different embassies.

      „Guinea [and Mali] and Cote d’Ivoire are repatriating their citizens from Tunisia.“ „However, many people living irregularly in Tunisia have accumulated large sums of outstanding fees over the years, too much for them to pay. While Tunisian authorities are themselves pushing migrants to leave, they still insist on cashing in on those who desperately want to.“

      The African Union highlights that they are in „deep shock and concern at the form and substance of the statement targeting fellow Africans, notwithstanding their legal status in the country.“ The events of the last days strongly impacted Tunisia’s image in the African continent and within the African Union. Furthermore, an AU pan-African conference scheduled for mid-March in Tunis has been postponed. Former Senegalese Prime Minister Aminata Touré even called for Tunisia’s AU membership to be suspended and for the country to be excluded from the Africa Cup.
      Solidarity

      Multiple protests have been taking place in Tunisia with demonstrators denouncing the racist and fascist violence. Already on February 25th „over 1,000 people marched through downtown Tunis to protest what they called Saied’s fascist overtures.“ „Henda Chennaoui, one of the principal figures in the country’s new Front Antifasciste … [highlights that this] ‚the first time in the history of the republic that the president used fascist and racist speech to discriminate against the most vulnerable and the marginalised.’“ Protests in front of Tunisian embassies are being organized around the world, such as in Paris, Berlin as well as Canada.

      In the Front antifasciste – Tunisie activists and associations gather to organize support for Black people in the country. „Tunisian and foreign volunteers brought donations of food, water and blankets, along with some tents to help those displaced. … [However,] associations collecting donations [for migrants] are receiving threats.“
      Political Level

      President Saied is distracting from the political and economic situation in the country. He was elected in Fall 2019 and his governing style has become increasingly authoritarian. „Over the last two weeks, a spate of high-profile arrests has rocked Tunisia, as over a dozen political figures, trade unionists and members of the media have been taken into custody on security or graft charges. Some have been dragged from their homes without warrants; others, put on trial before military courts, despite being civilians. Many are being held in what their lawyers say are inhumane conditions, crammed in cells with scores of prisoners and without beds.“ A terrorism law allows the authorities to hold people „for a maximum of 15 days without charge or consultation with a lawyer“.

      In addition, „Saied has neutered parliament and pushed through a new constitution that gives him near-unlimited control and makes it almost impossible to impeach him.“ This was preceded and enabled by a very volatile situation in the country, as „there was increasing fragmentation within the executive branch, among state institutions, within and between political parties, within civil society, and even between regions of the country.“ The political and economic instability in the country, resulted in wide-spread support of his presidency, which has increasingly shifted to repressive centralization of power.

      The statement and development are connecting to a growing populist discourse. „Saied’s crackdown on undocumented sub-Saharan immigrants has taken place in the context of the rise of the hitherto unknown Parti Nationaliste Tunisien, which has been pushing a racist agenda relentlessly since early February. The party has flooded social media with conspiracy theories and dubiously edited videos that have encouraged Tunisians to report on undocumented neighbours before they can ‚colonise‘ the country – the same conspiratorial language adopted by Saied.“
      Economic Level

      Tunisia „is struggling under crippling inflation and debt worth around 80 percent of its gross domestic product (GDP)“. In addition, there is a shortage of basic foods such as rice, which is putting a lot of pressure on the population. ‘Les Africains’ are used as a scapegoat for the lack of products such as rice. „The rice-crisis is not the first time that populations racialized as ‘African’ are blamed for a social and economic disaster in Tunisia, which in reality is a direct consequence of the state’s abandonment of marginalized communities and the pressures of global capitalism.“ However, since the racist tropes are connecting to a familiar discourse, the „crackdown on immigrants and Saied’s political opponents has … won him favour among many in his working-class political base, who have been at the sharp end of a dire economic crisis.“

      The current events seem to have triggered international responses since Italy now supports Tunisia as it „is seeking to obtain a loan from the IMF due to a severe economic crisis.“ This is being explicitly connected to Europe’s border interests (see section on Externalization & Immigration).

      Ultimately these actions are enhancing the dependencies to Europe and weaken pan-African ties. „Kaïs Saied’s economic incompetence – as well as the refusal of North African governments to prioritize regional and inner-African trade which would allow evading dictates from the Global North and its proxies such as the IMF more effectively – are now once more fueling dynamics that in fact counter pan-African cooperation.“ In fact, the „president’s comments could also have direct consequences for Tunisian companies, which have increasingly expanded into other African countries in recent years. Guinean media report that several wholesalers have suspended imports of Tunisian products. Senegalese and Ivoirian importers want to join the boycott.“

      In addition, according to Human Rights Watch „at least 40 students have been detained so far“. This will have a detrimental impact on the education market, since „[f]or Tunisian private universities, students from other African countries are an essential part of their business model.“

      These factors might have contributed to ​​​​​​the statement posted by the government on Facebook on March 5th, attempting to backpedal the racist campaign and highlighting their „astonishment“ about the violence in the last weeks. Apart from now emphasising „Tunisia’s African identity“ and the significance of the anti-discrimination law from 2018, it announces plans to enhance the legal security of African migrants in Tunisia. Whether and how the statement will be implemented remains to be seen, „It appears likely that Tunisia is now also facing a considerable radicalization of its migration policies. […] Saied’s future migration policies, however, are likely to go beyond the ongoing wave of arrests, and in a worst-case scenario, will go even far beyond.“
      Externalization & Immigration

      „While the European Union’s violent securitization apparatus is indeed responsible for the oppression and murder of sub-Saharan migrants (and Tunisians) in Tunisia, the Tunisian state also contributes to their oppression and murder.“ Many people try to travel to Europe via and from Tunisia. „Its proximity to the EU’s external border has made Tunisia a major hub for migrants. Italy’s coasts are only around 150 kilometers (90 miles) away. Tunisia relaxed visa requirements in 2015, allowing many sub-Saharan and North Africans migrants to move to the country and work. … Authorities frequently turned a blind eye to workers without permits who were saving for a journey to Europe.“ This renders Black migrants very vulnerable to exploitation as well as policy changes.

      Already prior to the current escalation Black people experienced discrimination; Shreya Parikh highlighted in August 2022 that „Sub-Saharan women and men who depend on the labour market have spoken to me of persistent exploitation and racialised violence (both verbal and physical) at workplace.“ This is enhanced and enabled by the uncertain legal situation. „In the case of Tunisia, an im/migration non-policy is deliberately maintained by institutional actors at different levels (border police, internal affairs ministry, private legal agencies promising paper-work) because, among others, it is a lucrative site for corruption.“ This affects mostly Black people. „Most sub-Saharan migrants (like Western European migrants) enter Tunisia as legal migrants because of 3-month visa-free policies; but the Tunisian state forces all migrants to become illegal by its refusal to deliver legal documentation. This means that Tunisia also has European migrants living ‘illegally.’ But in the social and political construction of the ‘illegal migrant,’ white bodies never fit. It is the Black and dark-skinned bodies that are assumed to be illegal and criminal, as is clear from arrests of sub-Saharan migrants who carry residence permits, as well as absence of arrests of European ‘illegal’ migrants.“

      The current developments have to be understood in the context of the externalization of the European border. The Tunisian Forum for Social and Economic Rights (FTDES) highlights that the „European border outsourcing policies have contributed for years to transform Tunisia into a key player in the surveillance of Mediterranean migration routes, including the interception of migrant boats outside territorial waters and their transfer to Tunisia. Discriminatory and restrictive policies in Algeria also contribute to pushing migrants to flee to Tunisia. These policies deepen the human tragedy of migrants in a Tunisia in political and socio-economic crisis.“ Sofian Philip Naceur analyses that „[a]s Saieds government continues to play along as the watchdog for the European border regime, though not without ostentatiously displaying its self-interest in migration control, the Italian government is suddenly soliciting financial support for Tunisia’s deeply troubled public coffers from the EU and the International Monetary Fund (IMF). Interesting timing.“

      So far, the President’s statement has only provoked supportive reactions from European politicians. The French far-right politician, Eric Zemmour, who is one of the most prominent supporters of the conspiracy theory of the „Great Replacement“, supported the statement on Twitter. And the Italian foreign minister Antonio Tajani expressed in a phone call with his Tunisian counterpart that „the Italian government is at the forefront of supporting Tunisia in its border control activities, in the fight against human trafficking, as well as in the creation of legal channels to Italy for Tunisian workers and in the creation of training opportunities as an alternative to migration“ without mentioning the current violence at all. Furthermore, Italy is sending 100 more pick-ups worth more than 3.6 million Euro to reinforce the Tunisian Ministry of the Interior in the fight against ‚irregular‘ immigration.

      Or how Le Monde summarizes: „[The chancelleries] have not reacted to the presidential charge against sub-Saharan migrants. And for good reason: Mr. Said is responding rather positively to calls from Europe – primarily Italy – to better lock its maritime borders in order to stem the flow of migrants across the Mediterranean.“

      https://migration-control.info/on-the-racist-events-in-tunisia-background-overview

      via @_kg_

    • Aggressioni razziste e arresti: così la Tunisia diventa un “hotspot informale” dell’Europa

      I discorsi d’odio del presidente tunisino Saied contro presunte “orde di subsahariani irregolari” che minaccerebbero l’identità “arabo-musulmana” del Paese hanno fatto esplodere la tensione accumulata negli ultimi mesi, tra inflazione e penuria di generi di prima necessità. La “Fortezza Europa”, intanto, gongola. Il reportage

      Ogni mattina a Nadège vengono dati dieci dinari per la spesa. Esce di casa, si incammina fino all’alimentari più vicino e compra il necessario per la famiglia per cui lavora. È l’unico momento in cui le è consentito uscire. Altrimenti, Nadège vive e lavora 24 ore su 24, sette giorni su sette, tra le mura della casa di due persone anziane in un quartiere benestante di Tunisi. La sua paga mensile come domestica è di settecento dinari (225 euro), che diventeranno ottocento (240 euro) se “lavorerà bene”.

      Nadège, assicura, è qui per questo: “Sono venuta in Tunisia per metter da parte qualche soldo da mandare ai miei figli, in Costa d’Avorio”, racconta. Suo cugino, però, lavora nei campi di pomodori in Calabria. Le ha consigliato di partire per l’Italia e cercare lavoro lì. “Il cambio euro-franco Cfa è più conveniente di quello dinaro tunisino-franco Cfa. Guadagnando qualche soldo in Europa posso far vivere degnamente i miei due figli, metter da parte qualcosa e poi tornare da loro una volta che ci saremo sistemati”, spiega la trentenne ivoriana. Tre anni fa, Nadège vendeva sigarette lungo la sterrata che dal suo villaggio portava a Abidjan, ma con i lavori del governo per asfaltare la strada, il suo gabbiotto è stato abbattuto e mai più ricostruito. E lei è rimasta senza nulla.

      Nel 2022 anche Nadège ha tentato di imbarcarsi per Lampedusa da una spiaggia del Sud tunisino. A metà strada, però, la guardia costiera ha intercettato la sua barca e l’ha riportata a riva, nel porto di Sfax. Ha perso tutti i soldi che aveva messo da parte e si è ritrovata punto a capo, in Tunisia, a cercar di nuovo lavoro.

      Come nel caso di buona parte dei cittadini subsahariani presenti nel Paese, molti dei quali -a differenza di Nadège- hanno rinunciato all’idea di imbarcarsi, nessuno le ha mai proposto un contratto. Una volta scaduti i tre mesi di visto, il limite massimo per rimanere in Tunisia, tanti di loro rimangono in situazione di irregolarità accumulando una multa per la permanenza oltre i limiti del visto che aumenta di mese in mese. Dopo anni a lavorare, spesso con paghe misere e giornaliere, molti subsahariani rimangono intrappolati nelle maglie della burocrazia tunisina e, pur volendo tentare di regolarizzarsi e ottenere un permesso di soggiorno per rimanere nel Paese, non ci riescono perché non sono in grado di pagare la multa per lo sforamento del visto, che raggiunge un massimo di 3.000 dinari, mille euro. Ecco come i subsahariani finiscono in una sorta di limbo, bloccati in Tunisia, senza poter raggiungere l’Europa, senza poter tornare indietro. Si ritrovano così a costituire la manodopera in nero di aziende tunisine o estere presenti nel Paese, o di famiglie benestanti, che sfruttano la loro posizione precaria di irregolari per sottopagarli.

      Da metà febbraio di quest’anno Nadège ha dovuto rinunciare anche alla spesa quotidiana per paura di uscire dal cortile di casa. Lei, senza documenti, è oggetto di una campagna d’odio che si diffonde a macchia d’olio in Tunisia. È il 21 febbraio quando, dopo giorni di arresti di esponenti dell’opposizione alle politiche di Kais Saied, un comunicato della presidenza tunisina fa il punto sulla “lotta all’immigrazione irregolare nel Paese”, tema che è stato al centro della visita in Tunisia dei ministeri degli Esteri Antonio Tajani e dell’Interno Matteo Piantedosi di fine gennaio.

      Secondo quel comunicato, la Tunisia sarebbe invasa da “orde di subsahariani irregolari” che minaccerebbero “demograficamente” il Paese e la sua identità “arabo-musulmana”. È stata la miccia che ha fatto esplodere la tensione accumulata negli ultimi mesi, tra inflazione galoppante, impoverimento generale della popolazione e penurie continue di generi di prima necessità. A diffondere queste teorie xenofobe da fine 2022 è il cosiddetto Partito nazionalista tunisino, un gruppo di nicchia riconosciuto nel 2018, che ha intensificato la propria campagna sui social network prendendosela con le persone nere presenti in Tunisia. Non solo potenziali persone migranti in situazione di irregolarità che vorrebbero tentare di imbarcarsi verso l’Italia (come dichiarato dalle autorità), ma anche richiedenti asilo e rifugiati, studenti e lavoratori residenti nel Paese, accusati di “rubare il lavoro”, riprendendo gli slogan classici delle destre europee, spesso usati contro i tunisini stessi.

      Da allora in Tunisia si sono moltiplicate non solo le aggressioni razziste, ma anche gli arresti di cittadini subsahariani senza alcun criterio. Secondo un comunicato della Lega tunisina dei diritti umani, per esempio, otto studenti subsahariani regolarmente residenti nel Paese e iscritti nelle università tunisine sarebbero trattenuti senza alcun motivo nel centro di El-Wuardia, un centro gestito dalle autorità tunisine, non regolamentato, dove è complicato monitorare chi entra e chi esce. L’Associazione degli stagisti ivoriani e l’Aesat, la principale organizzazione degli studenti subsahariani in Tunisia, hanno consigliato alle proprie comunità di non uscire.

      Almeno cinquecento subsahariani si troverebbero invece nella prigione di Bouchoucha (Tunisi), senza che si conoscano le accuse nei loro confronti. A seguito delle misure prese dalla presidenza, molti proprietari di alloggi affittati a cittadini subsahariani hanno chiesto loro di lasciare casa, così come diversi datori di lavoro li hanno licenziati da un giorno all’altro per timore di ritorsioni da parte della polizia nei loro confronti. Centinaia di persone si sono così ritrovate per strada, senza stipendio e senza assistenza, rischiando l’arresto arbitrario, esposti a violenze e aggressioni nelle grandi città.

      In centinaia stanno optando per il rimpatrio nel Paese d’origine chiedendo assistenza per il cosiddetto ritorno volontario, che spesso di volontario ha ben poco. “Torniamo indietro per paura”, è il ritornello che ripetono in molti. Le liste per le richieste dei ritorni volontari gestiti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) erano già lunghe prima del 21 febbraio, tanto che decine di persone che si sono registrate mesi fa attendono in tende di fortuna costruite con sacchi di plastica lungo la via che porta alla sede dell’Oim, nel quartiere di Lac 1, dove hanno sede diverse organizzazioni internazionali.

      “Non ci è stato messo a disposizione un foyer per l’accoglienza”, si giustifica una fonte interna all’organizzazione puntando il dito contro le autorità tunisine. La tendopoli di Lac 1 era già stata smantellata dalle forze di polizia a giugno 2022 ma alle persone migranti non è stata data un’alternativa. Qualche settimana dopo, infatti, si è riformata poco lontano. Oggi si ingrandisce di giorno in giorno.

      È qui che da fine febbraio un gruppo di volontari si fa carico di fornire acqua e cibo alle duecento persone presenti, rimaste senza assistenza. L’Oim è l’unica alternativa per chi non dispone di documenti validi, chi si trova nell’impossibilità di pagare la multa di 3.000 dinari o chi non ha un’ambasciata in Tunisia a cui rivolgersi, come per esempio i cittadini della Sierra Leone, la cui rappresentanza è stata delegata all’ambasciata d’Egitto.

      Chi può, invece, ha tentato di chiedere aiuto alla propria ambasciata di riferimento, accampandosi di fronte all’entrata. Il primo marzo è atterrato in Tunisia il ministro degli Esteri della Guinea, che ha promesso ai propri cittadini di stanziare fondi per voli di rimpatrio. Il primo aereo a decollare è stato quello della Costa d’Avorio, partito sabato 4 marzo alle 7 del mattino dall’aeroporto di Tunisi con a bordo 145 persone.

      Era giugno 2018 quando la Commissione europea proponeva ad alcuni Paesi africani, tra cui la Tunisia, l’istituzione di piattaforme regionali di sbarco dove smistare, fuori dai confini europei, le richieste di asilo. La risposta all’epoca fu “No, non abbiamo né le capacità né i mezzi”, per citare l’ambasciatore tunisino a Bruxelles Tahar Chérif. Cinque anni più tardi, l’Ue sembra esser riuscita nella propria missione di trasformare la Tunisia in un informale hotspot europeo.

      https://altreconomia.it/aggressioni-razziste-e-arresti-cosi-la-tunisia-diventa-un-hotspot-infor

    • As the disturbing scenes in Tunisia show, anti-migrant sentiments have gone global

      President Saied is scapegoating his country’s small black migrant population to distract from political failings. Does this sound familiar?

      A little more than 10 years ago, calls for freedom and human rights in Tunisia triggered the Arab spring. Today, black migrants in the country are being attacked, spat at and evicted from their homes. The country’s racism crisis is so severe that hundreds of black migrants have been repatriated.

      It all happened quickly, triggered by a speech by the Tunisian president, Kais Saied, at the end of February. He urged security forces to take urgent measures against migrants from sub-Saharan Africa, who he claimed were moving to the country and creating an “unnatural” situation as part of a criminal plan designed to “change the demographic makeup” and turn Tunisia into “just another African country that doesn’t belong to the Arab and Islamic nations any more”. “Hordes of irregular migrants from sub-Saharan Africa” had come to Tunisia, he added, “with all the violence, crime and unacceptable practices that entails”.

      For scale, the black migrant population in Tunisia is about 21,000 out of a population of 12 million, and yet a sudden fixation with their presence has taken over. A general hysteria has unleashed a pogrom on a tiny migrant population whose members have little impact on the country’s economics or politics – reports from human rights organisations tell of night-time raids and daylight stabbings. Hundreds of migrants, now homeless, are encamped, cowering, outside the International Organization for Migration’s offices in Tunis as provocation against them continues to swirl.

      Josephus Thomas, a political refugee from Sierra Leone, spoke to me from the camp, where he is sheltering with his wife and child after they were evicted from their home and his life savings were stolen. They sleep in the cold rain, wash in a nearby park’s public toilet and sleep around a bonfire with one eye open in anticipation of night-time ambushes by Tunisian youths. So far, they have been attacked twice. “There are three pregnant women here, and one who miscarried as she was running for her life.” Due to the poor sanitation, “all the ladies are having infections”, he says. “Even those who have a UNHCR card”, who are formally recognised as legitimate refugees, are not receiving the help they are entitled to. “The system is not working.”

      Behind this manufactured crisis is economic failure and political dereliction. “The president of the country is basically crafting state policy based on conspiracy theories sloshing around dark corners of the internet basement,” Monica Marks, , a professor of Middle East studies and an expert on Tunisia, tells me. The gist of his speech was essentially the “great replacement” theory, but with a local twist. In this version of the myth, Europeans are using black people from sub-Saharan Africa to make Tunisia a black-inhabited settler colony.

      Confecting an immigration crisis is useful, not only as a distraction from Saied’s failures, but as a political strategy to hijack state and media institutions, and direct them away from meaningful political opposition or scrutiny.

      The speed with which the hysteria spread shows that these attitudes had been near the surface all along. Racism towards black Arabs and black sub-Saharan Africans is entrenched in the Arab world – a legacy of slavery and a fetishised Arab ethnic supremacy. In Arab north Africa, racism towards black people is complicated even further by a paranoia of proximity – being situated on the African continent means there is an extreme sensitivity to being considered African at all, or God forbid, black. In popular culture, racist tropes against other black Arabs or Africans are widespread, portraying them as thick, vulgar and unable to speak Arabic without a heavy accent.

      The movement of refugees from and through the global south has further inflamed bigotries and pushed governments, democratic or otherwise, towards extinguishing these people’s human rights. Local histories and international policies create a perfect storm in which it becomes acceptable to attack a migrant in their home because of “legitimate concerns” about economic insecurity and cultural dilution.

      Globally, there is a grim procession of countries that have made scapegoating disempowered outsiders a central plank of government policy. But there is a new and ruthless cruelty to it in the UK and Europe. The European Union tells the British prime minister, Rishi Sunak, that his small boat plans violate international law, but the EU has for years followed an inhumane migrant securitisation policy that captures and detains migrants heading to its shores in brutal prisons run by militias for profit. Among them are a “hellhole” in Libya and heavily funded joint ventures with the human rights-abusing dictatorship in Sudan.

      Only last week, in the middle of this storm, the Italian prime minister, Giorgia Meloni, had a warm call with her Tunisian counterpart, Najla Bouden Romdhane, on, among other topics, “the migration emergency and possible solutions, following an integrated approach”. This sort of bloodless talk of enforcement at all costs, Marks says, “speaks to the ease with which political elites, state officials, can render fascism part of the everyday political present”.

      So where do you turn if you are fleeing war, genocide and sexual violence? If you want to exercise a human right, agreed upon in principle more than 70 years ago, “to seek and enjoy in other countries asylum from persecution”? The answer is anywhere, because no hypothetical deterrent is more terrifying than an unsafe present.

      You will embark on an inhuman odyssey that might end with a midnight raid on your home in Tunis, a drowning in the Channel, or, if you’re lucky, a stay in Sunak and Macron’s newly agreed super-detention centres. People in jeopardy will move. That is certain. All that we guarantee through cynical deterrent policies is that we will make their already fraught journey even more dangerous.

      https://www.theguardian.com/commentisfree/2023/mar/13/tunisia-anti-migrant-sentiments-president-saied

    • Immigrés subsahariens, boucs émissaires pour faire oublier l’hémorragie maghrébine

      Les autorités tunisiennes mènent depuis début juillet une campagne contre les immigrés subsahariens accusés d’« envahir » le pays, allant jusqu’à les déporter en plein désert, à la frontière libyenne. Une politique répressive partagée par les pays voisins qui sert surtout à dissimuler l’émigration maghrébine massive et tout aussi « irrégulière », et à justifier le soutien des Européens.

      La #chasse_à_l’homme à laquelle font face les immigrés subsahariens en Tunisie, stigmatisés depuis le mois de février par le discours officiel, a une nouvelle fois mis en lumière le flux migratoire subsaharien vers ce pays du Maghreb, en plus d’ouvrir les vannes d’un discours raciste décomplexé. Une ville en particulier est devenue l’objet de tous les regards : Sfax, la capitale économique (270 km au sud de Tunis).

      Le président tunisien Kaïs Saïed s’est publiquement interrogé sur le « choix » fait par les immigrés subsahariens de se concentrer à Sfax, laissant flotter comme à son habitude l’impression d’un complot ourdi. En réalité et avant même de devenir une zone de départ vers l’Europe en raison de la proximité de celle-ci, l’explication se trouve dans le relatif dynamisme économique de la ville et le caractère de son tissu industriel constitué de petites entreprises familiales pour une part informelles, qui ont trouvé, dès le début de la décennie 2000, une opportunité de rentabilité dans l’emploi d’immigrés subsahariens moins chers, plus flexibles et employables occasionnellement. Au milieu de la décennie, la présence de ces travailleurs, devenue très visible, a bénéficié de la tolérance d’un État pourtant policier, mais surtout soucieux de la pérennité d’un secteur exportateur dont il a fait une de ses vitrines.
      L’arbre qui ne cache pas la forêt

      Or, focaliser sur la présence d’immigrés subsahariens pousse à occulter une autre réalité, dont l’évolution est autrement significative. Le paysage migratoire et social tunisien a connu une évolution radicale, et le nombre de Tunisiens ayant quitté illégalement le pays a explosé, les plaçant en tête des contingents vers l’Europe, aux côtés des Syriens et des Afghans comme l’attestent les dernières #statistiques. Proportionnellement à sa population, la Tunisie deviendrait ainsi, et de loin, le premier pays pourvoyeur de migrants « irréguliers », ce qui donne la mesure de la crise dans laquelle le pays est plongé. En effet, sur les deux principales routes migratoires, celle des Balkans et celle de Méditerranée centrale qui totalisent près de 80 % des flux avec près de 250 000 migrants irréguliers sur un total de 320 000, les Tunisiens se placent parmi les nationalités en tête. Avec les Syriens, les Afghans et les Turcs sur la première route et en seconde position après les Égyptiens et avant les Bengalais et les Syriens sur la deuxième.

      La situation n’est pas nouvelle. Durant les années 2000 — 2004 durant lesquelles les traversées « irrégulières » se sont multipliées, les Marocains à eux seuls étaient onze fois plus nombreux que tous les autres migrants africains réunis. Les Algériens, dix fois moins nombreux que leurs voisins, arrivaient en deuxième position. Lorsque la surveillance des côtes espagnoles s’est renforcée, les migrations « irrégulières » se sont rabattues vers le sud de l’Italie, mais cette répartition s’est maintenue. Ainsi en 2006 et en 2008, les deux années de pics de débarquement en Sicile, l’essentiel des migrants (près de 80 %) est constitué de Maghrébins (les Marocains à eux seuls représentant 40 %), suivis de Proche-Orientaux, alors que la part des subsahariens reste minime.

      La chose est encore plus vraie aujourd’hui. À l’échelle des trois pays du Maghreb, la migration « irrégulière » des nationaux dépasse de loin celle des Subsahariens, qui est pourtant mise en avant et surévaluée par les régimes, pour occulter celle de leurs citoyens et ce qu’elle dit de l’échec de leur politique. Ainsi, les Subsahariens, qui ne figurent au premier plan d’aucune des routes partant du Maghreb, que ce soit au départ de la Tunisie et de la Libye ou sur la route de Méditerranée occidentale (départ depuis l’Algérie et le Maroc), où l’essentiel des migrants est originaire de ces deux pays et de la Syrie. C’est seulement sur la route dite d’Afrique de l’Ouest (qui inclut des départs depuis la façade atlantique de la Mauritanie et du Sahara occidental) que les migrants subsahariens constituent d’importants effectifs, même s’ils restent moins nombreux que les Marocains.
      Négocier une rente géopolitique

      L’année 2022 est celle qui a connu la plus forte augmentation de migrants irréguliers vers l’Europe depuis 2016. Mais c’est aussi celle qui a vu les Tunisiens se placer dorénavant parmi les nationalités en tête de ce mouvement migratoire, alors même que la population tunisienne est bien moins importante que celle des autres nationalités, syrienne ou afghane, avec lesquelles elle partage ce sinistre record.

      Ce n’est donc pas un effet du hasard si le président tunisien s’est attaqué aux immigrés subsahariens au moment où son pays traverse une crise politique et économique qui amène les Tunisiens à quitter leur pays dans des proportions inédites. Il s’agit de dissimuler ainsi l’ampleur du désastre.

      De plus, en se présentant comme victimes, les dirigeants maghrébins font de la présence des immigrés subsahariens un moyen de pression pour négocier une rente géopolitique de protection de l’Europe et pour se prémunir contre les critiques.

      Reproduisant ce qu’avait fait vingt ans plus tôt le dirigeant libyen Mouammar Kadhafi avec l’Italie pour négocier sa réintégration dans la communauté internationale, le Maroc en a fait un outil de sa guerre diplomatique contre l’Espagne, encourageant les départs vers la péninsule jusqu’à ce que Madrid finisse par s’aligner sur ses thèses concernant le Sahara occidental. Le raidissement ultranationaliste que connait le Maghreb, entre xénophobie d’État visant les migrants et surenchère populiste de défiance à l’égard de l’Europe, veut faire de la question migratoire un nouveau symbole de souverainisme, avec les Subsahariens comme victimes expiatoires.
      Déni de réalité

      Quand il leur faut justifier la répression de ces immigrés, les régimes maghrébins parlent de « flots », de « hordes » et d’« invasion ». Ils insistent complaisamment sur la mendicité, particulièrement celle des enfants. Une image qui parle à bon nombre de Maghrébins, car c’est la plus fréquemment visible, et cette mendicité, parfois harcelante, peut susciter de l’irritation et nourrir le discours raciste.

      Cette image-épouvantail cache la réalité d’une importante immigration de travail qui, en jouant sur les complémentarités, a su trouver des ancrages dans les économies locales, et permettre une sorte d’« intégration marginale » dans leurs structures. Plusieurs décennies avant que n’apparaisse l’immigration « irrégulière » vers l’Europe, elle était déjà présente et importante au Sahara et au Maghreb.

      Depuis les années 1970, l’immigration subsaharienne fournit l’écrasante majorité de la main-d’œuvre, tous secteurs confondus, dans les régions sahariennes maghrébines, peu peuplées alors, mais devenues cependant essentielles en raison de leurs richesses minières (pétrole, fer, phosphate, or, uranium) et de leur profondeur stratégique. Ces régions ont connu de ce fait un développement et une urbanisation exceptionnels impulsés par des États soucieux de quadriller des territoires devenus stratégiques et souvent objets de litiges. Cette émigration s’est étendue à tout le Sahel à mesure du développement et du désenclavement de ces régions sahariennes où ont fini par émerger d’importants pôles urbains et de développement, construits essentiellement par des Subsahariens. Ceux-ci y résident et, quand ils n’y sont pas majoritaires, forment de très fortes minorités qui font de ces villes sahariennes de véritables « tours de Babel » africaines.

      À partir de cette matrice saharienne, cette immigration s’est diffusée graduellement au nord, tout en demeurant prépondérante au Sahara, jusqu’aux villes littorales où elle s’est intégrée à tous les secteurs sans exception : des services à l’agriculture et à la domesticité, en passant par le bâtiment. Ce secteur est en effet en pleine expansion et connait une tension globale en main-d’œuvre qualifiée, en plus des pénuries ponctuelles ou locales au gré de la fluctuation des chantiers. Ses plus petites entreprises notamment ont recours aux Subsahariens, nombreux à avoir les qualifications requises. Même chose pour l’agriculture dont l’activité est pour une part saisonnière alors que les campagnes se vident, dans un Maghreb de plus en plus urbanisé.

      On retrouve dorénavant ces populations dans d’autres secteurs importants comme le tourisme au Maroc et en Tunisie où après les chantiers de construction touristiques, elles sont recrutées dans les travaux ponctuels d’entretien ou de service, ou pour effectuer des tâches pénibles et invisibles comme la plonge. Elles sont également présentes dans d’autres activités caractérisées par l’informel, la flexibilité et la précarité comme la domesticité et certaines activités artisanales ou de service.
      Ambivalence et duplicité

      Mais c’est par la duplicité que les pouvoirs maghrébins font face à cette migration de travail tolérée, voire sollicitée, mais jamais reconnue et maintenue dans un état de précarité favorisant sa réversibilité. C’est sur les hauteurs prisées d’Alger qu’on la retrouve. C’est là qu’elle construit les villas des nouveaux arrivants de la nomenklatura, mais c’est là aussi qu’on la rafle. C’est dans les familles maghrébines aisées qu’est employée la domestique noire africaine, choisie pour sa francophonie, marqueur culturel des élites dirigeantes. On la retrouve dans le bassin algéro-tunisien du bas Sahara là où se cultivent les précieuses dattes Deglet Nour, exportées par les puissants groupes agrolimentaires. Dans le cœur battant du tourisme marocain à Marrakech et ses arrière-pays et dans les périmètres irrigués marocains destinés à l’exportation. À Nouadhibou, cœur et capitale de l’économie mauritanienne où elle constitue un tiers de la population. Et au Sahara, obsession territoriale de tous les régimes maghrébins, dans ces pôles d’urbanisation et de développement conçus par chacun des pays maghrébins comme des postes avancés de leur nationalisme, mais qui, paradoxalement, doivent leur viabilité à une forte présence subsaharienne. En Libye, dont l’économie rentière dépend totalement de l’immigration, où les Subsahariens ont toujours été explicitement sollicités, mais pourtant en permanence stigmatisés et régulièrement refoulés.

      Enfin, parmi les milliers d’étudiants subsahariens captés par un marché de l’enseignement supérieur qui en a fait sa cible, notamment au Maroc et en Tunisie et qui, maitrisant mieux le français ou l’anglais, deviennent des recrues pour les services informatiques, la communication, la comptabilité du secteur privé national ou des multinationales et les centres d’appel.
      Un enjeu national

      Entre la reconnaissance de leur utilité et le refus d’admettre une installation durable de ces populations, les autorités maghrébines alternent des phases de tolérance et de répression, ou de maintien dans les espaces de marge, en l’occurrence au Sahara.

      La négation de la réalité de l’immigration subsaharienne par les pays maghrébins ne s’explique pas seulement par le refus de donner des droits juridiques et sociaux auxquels obligerait une reconnaissance, ni par les considérations économiques, d’autant que la vie économique et sociale reste régie par l’informel au Maghreb. Cette négation se légitime aussi du besoin de faire face à une volonté de l’Europe d’amener les pays du Maghreb à assumer, à sa place, les fonctions policières et humanitaires d’accueil et de régulation d’une part d’exilés dont ils ne sont pas toujours destinataires. Mais le véritable motif consiste à éviter de poser la question de la présence de ces migrants sur le terrain du droit. C’est encore plus vrai pour les réfugiés et les demandeurs d’asile. Reconnaître des droits aux réfugiés, mais surtout reconnaitre leur présence au nom des droits humains pose en soi la question de ces droits, souvent non reconnus dans le cadre national. Tous les pays maghrébins ont signé la convention de Genève et accueilli des antennes locales du Haut-Commissariat aux réfugiés des Nations unies (UNHCR), mais aucun d’entre eux n’a voulu reconnaître en tant que tels des immigrés subsahariens qui ont pourtant obtenu le statut de réfugié auprès de ces antennes.

      En 2013, entre la pression d’une société civile galvanisée par le Mouvement du 20 février et le désir du Palais de projeter une influence en Afrique pour obtenir des soutiens à sa position sur le Sahara occidental, le Maroc avait promulgué une loi qui a permis temporairement de régulariser quelques dizaines de milliers de migrants. Elle devait aboutir à la promulgation d’un statut national du droit d’asile qui n’a finalement pas vu le jour. Un tel statut, fondé sur le principe de la protection contre la persécution de la liberté d’opinion, protègerait également les citoyens maghrébins eux-mêmes. Or, c’est l’absence d’un tel statut qui a permis à la Tunisie de livrer à l’Algérie l’opposant Slimane Bouhafs, malgré sa qualité de réfugié reconnue par l’antenne locale du HCR. C’est cette même lacune qui menace son compatriote, Zaki Hannache, de connaître le même sort.

      https://orientxxi.info/magazine/immigres-subsahariens-boucs-emissaires-pour-faire-oublier-l-hemorragie,6

      #répression #Sfax #migrants_tunisiens #rente_géopolitique #souverainisme #afflux #invasion #mendicité #économie #travail #émigration #immigration #précarité #précarisation #marginalisation

    • Tunisie : Pas un lieu sûr pour les migrants et réfugiés africains noirs

      Des forces de sécurité maltraitent des migrants ; l’Union européenne devrait suspendre son soutien au contrôle des migrations

      - La police, l’armée et la garde nationale tunisiennes, y compris les garde-côtes, ont commis de graves abus à l’encontre de migrants, de réfugiés et de demandeurs d’asile africains noirs.
      - Pour les Africains noirs, la Tunisie n’est ni un lieu sûr pour le débarquement de ressortissants de pays tiers interceptés ou sauvés en mer, ni un « pays tiers sûr » pour les transferts de demandeurs d’asile.
      - La Tunisie devrait mener des réformes de façon à respecter les droits humains et mettre fin à la discrimination raciale. L’Union européenne devrait suspendre le financement des forces de sécurité destiné au contrôle des migrations, et fixer des critères de référence en matière de droits humains auxquels conditionner son soutien futur.

      La police, l’armée et la garde nationale tunisiennes, y compris les garde-côtes, ont commis de graves abus à l’encontre de migrants, de réfugiés et de demandeurs d’asile africains noirs, a déclaré Human Rights Watch aujourd’hui. Parmi les abus documentés figurent des passages à tabac, le recours à une force excessive, certains cas de torture, des arrestations et détentions arbitraires, des expulsions collectives, des actions dangereuses en mer, des évictions forcées, ainsi que des vols d’argent et d’effets personnels.

      Pourtant, le 16 juillet, l’Union européenne (UE) a annoncé la signature d’un protocole d’accord avec la Tunisie, portant sur un nouveau « partenariat stratégique » et un financement allant jusqu’à un milliard d’euros, dont 105 millions d’euros sont destinés à « la gestion des frontières, [...] des opérations de recherche et sauvetage, […] la lutte contre le trafic de migrants et [...] la politique de retour ». Le Premier ministre néerlandais Mark Rutte a souligné que le partenariat porterait notamment sur « le renforcement des efforts visant à mettre un terme à la migration clandestine ». Le protocole d’accord, qui doit être formellement approuvé par les États membres de l’UE, ne prévoit aucune garantie sérieuse que les autorités tunisiennes empêcheront les violations des droits des migrants et des demandeurs d’asile, et que le soutien financier ou matériel de l’UE ne parviendra pas à des entités responsables de violations des droits humains.

      « Les autorités tunisiennes ont maltraité des étrangers africains noirs, alimenté des attitudes racistes et xénophobes, et renvoyé de force des personnes fuyant par bateau qui risquent de subir de graves préjudices en Tunisie », a déclaré Lauren Seibert, chercheuse au sein de la division Droits des réfugiés et migrants de Human Rights Watch. « En finançant les forces de sécurité qui commettent des abus lors de contrôles migratoires, l’UE partage la responsabilité de la souffrance des migrants, des réfugiés et des demandeurs d’asile en Tunisie ».

      Au total, entre 2015 et 2022, l’UE a consacré à la Tunisie entre 93 et 178 millions d’euros pour des objectifs liés aux migrations, dont une partie a renforcé et équipé les forces de sécurité afin de prévenir les migrations irrégulières et d’arrêter les bateaux à destination de l’Europe. L’UE devrait suspendre le financement des forces de sécurité tunisiennes destiné au contrôle des migrations et soumettre tout nouveau soutien à des critères clairs en matière de droits humains, a déclaré Human Rights Watch. Les États membres de l’UE devraient suspendre leur soutien à la gestion des migrations et des frontières dans le cadre du protocole d’accord récemment signé avec la Tunisie, jusqu’à ce qu’une évaluation approfondie de son impact sur les droits humains soit réalisée.

      Outre les abus attestés des forces de sécurité, les autorités tunisiennes n’ont pas assuré de manière adéquate une protection, une justice ou un soutien aux nombreuses victimes d’évictions forcées et d’attaques racistes, et ont même parfois bloqué ces efforts. C’est pourquoi, pour les Africains noirs, la Tunisie n’est ni un lieu sûr pour le débarquement de ressortissants de pays tiers interceptées ou sauvées en mer, ni un « pays tiers sûr » pour les transferts de demandeurs d’asile.

      Depuis mars, Human Rights Watch a mené des entretiens téléphoniques et en personne avec 24 personnes — 22 hommes, ainsi qu’une femme et une fille — qui vivaient en Tunisie, dont 19 migrant·e·s, quatre demandeur·euse·s d’asile et un réfugié, originaires du Sénégal, du Mali, de la Côte d’Ivoire, de la Guinée, de la Sierra Leone, du Cameroun et du Soudan. Dix-neuf personnes étaient entrées en Tunisie entre 2017 et 2022 : douze de manière irrégulière et sept de manière régulière. Pour cinq personnes interrogées, la date et le mode d’entrée n’étaient pas connus. Certaines des personnes interrogées ne sont pas nommées pour des raisons de sécurité ou à leur demande.

      Human Rights Watch a également mené des entretiens avec quatre représentants de groupes de la société civile en Tunisie — le Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES), Avocats sans frontières (ASF), EuroMed Rights et Alarm Phone, un réseau de lignes téléphoniques d’urgence —, ainsi qu’un volontaire qui a aidé des réfugiés à Tunis ; Elizia Volkmann, journaliste basée à Tunis ; et Monica Marks, professeure d’université et spécialiste de la Tunisie. Tous les sept avaient interrogé ou aidé des dizaines de migrants, de demandeurs d’asile et de réfugiés en Tunisie, et étaient informés des cas d’abus commis par la police ou les garde-côtes ou les avaient documentés.

      Parmi les migrants, demandeurs d’asile et réfugiés interrogés, neuf étaient rentrés dans leur pays à bord de vols de rapatriement d’urgence en mars, tandis que huit étaient restés à Tunis, la capitale tunisienne, ou à Sfax, une ville portuaire située au sud-est de Tunis. Sept d’entre eux faisaient partie des quelque 1 200 Africains noirs expulsés ou transférés de force par les forces de sécurité tunisiennes aux frontières terrestres avec la Libye et l’Algérie au début du mois de juillet.

      Au total, 22 personnes interrogées ont été victimes de violations de leurs droits humains commises par les autorités tunisiennes.

      Bien que les violations documentées aient eu lieu entre 2019 et 2023, elles se sont majoritairement produites après que le président Kais Saied, en février 2023, a ordonné aux forces de sécurité de réprimer la migration irrégulière, associant les migrants africains sans papiers à la criminalité et à un « complot » visant à modifier la structure démographique de la Tunisie. Le discours du président, qualifié de raciste par les experts des Nations Unies, a été suivi d’un déferlement de discours de haine, de discrimination et d’agressions.

      Quinze personnes interrogées ont déclaré avoir subi des violences de la part de la police, de l’armée ou de la garde nationale y compris des garde-côtes. Parmi ces personnes figurent un réfugié et un demandeur d’asile qui ont été battus et ont reçu des décharges électriques lors de leur détention par la police à Tunis. Cinq personnes ont déclaré que les autorités avaient confisqué leur argent ou leurs effets personnels et ne les leur avaient jamais rendus.

      Les sept personnes interrogées expulsées vers les zones frontalières en juillet ont déclaré que l’armée et la garde nationale les avaient laissées dans le désert avec des quantités insuffisantes de nourriture et d’eau. Si certaines ont été réinstallées en Tunisie une semaine plus tard par les autorités tunisiennes, d’autres avaient encore besoin d’aide ou étaient portés disparus.

      Au moins neuf personnes interrogées ont été arrêtées et détenues arbitrairement par la police à Tunis, Ariana et Sfax, apparemment au faciès, en raison de leur couleur de peau. Ces personnes ont déclaré que les policiers n’avaient pas vérifié leurs papiers avant de les arrêter et que, dans la plupart des cas, ils n’avaient pas procédé à une évaluation individuelle de leur statut légal et ne leur avaient pas permis de contester leur arrestation.

      Un Malien de 31 ans interrogé avait une carte de séjour valide lorsque la police l’a arrêté arbitrairement à la mi-2022 à Ariana. « Ils ne m’ont pas demandé si j’avais des documents ou non », a-t-il déclaré. « Mon ami a été arrêté avec moi [...], [c’est] un militaire guinéen venu en Tunisie pour se faire soigner. Il avait un passeport avec un cachet d’entrée [valide] ».

      Cinq personnes ont décrit des abus commis pendant ou après des interceptions et des sauvetages en mer près de Sfax, apparemment par la garde nationale maritime, également appelée garde côtière. Il s’agit notamment de passages à tabac, de vols, de l’abandon d’un bateau à la dérive sans moteur, du renversement d’un bateau, d’insultes et de crachats à l’encontre des survivants.

      Trois représentants de groupes de la société civile interrogés ont également décrit les pratiques de plus en plus problématiques des garde-côtes depuis 2022, notamment des passages à tabac, l’utilisation dangereuse de gaz lacrymogènes, des tirs en l’air, le fait de prendre ou d’endommager les moteurs des bateaux et de laisser les gens bloqués en mer, la création de vagues qui font chavirer les bateaux, des retards dans les sauvetages, et des vols d’argent et de téléphones.

      Human Rights Watch a écrit aux ministères tunisiens des Affaires étrangères et de l’Intérieur le 28 juin pour leur faire part des résultats de ses recherches et leur poser des questions, mais n’a reçu aucune réponse.

      Outre les abus des forces de sécurité, au moins 12 hommes interrogés ont déclaré avoir été victimes d’abus de la part de civils tunisiens : parmi eux, dix ont été agressés ou victimes de vols, et cinq ont été victimes d’évictions forcées par des propriétaires civils. Hormis deux de ces incidents, tous se sont produits après le discours de février du président Saeid.

      Dans les mois qui ont suivi ce discours, et dans le contexte de la détérioration de la situation économique de la Tunisie, de l’aggravation de la répression et de la violence xénophobe, et de l’augmentation des départs de bateaux et des décès en mer, plus d’une dizaine de responsables européens se sont rendues en Tunisie pour discuter d’économie, de sécurité et de migration avec des responsables politiques tunisiens. Le ministre de l’Intérieur allemand a évoqué l’importance des « droits humains des réfugiés » et la « création de voies d’immigration légales », mais peu d’autres ont mentionné publiquement les préoccupations en matière de droits humains. Le ministre de l’Intérieur français a déclaré que la France offrirait à la Tunisie 25,8 millions d’euros pour l’aider à « contenir le flux irrégulier de migrants ».

      Des millions d’euros de financements de l’UE et de financements bilatéraux — notamment de la part de l’Italie — ont déjà permis de soutenir, d’équiper et de former les garde-côtes tunisiens, les « forces de sécurité intérieure » et les « institutions de gestion des frontières terrestres ».

      L’« externalisation » des frontières, qui consiste à empêcher les arrivées irrégulières en confiant les contrôles migratoires à des pays tiers, est devenue un élément central de la réponse de l’UE aux migrations mixtes et a donné lieu à des violations flagrantes des droits humains. De plus, le soutien aux forces de sécurité qui commettent des abus ne fait qu’exacerber les violations des droits humains qui sont à l’origine des migrations.

      « L’UE et le gouvernement tunisien devraient réorienter fondamentalement leur manière d’aborder les défis migratoires », a déclaré Lauren Seibert. « Le contrôle des frontières ne justifie aucunement que les droits soient bafoués et les responsabilités en matière de protection internationale ignorées ».

      Contexte des migrations et de la situation des réfugiés en Tunisie

      La Tunisie est un pays d’origine, de destination et de transit pour les migrants, les réfugiés et les demandeurs d’asile. Au premier semestre 2023, elle a dépassé la Libye comme point de départ des bateaux accostant en Italie. Selon l’Agence des Nations Unies pour les réfugiés (HCR), sur les 69 599 personnes arrivées en Italie entre le 1er janvier et le 9 juillet par la mer Méditerranée, 37 720 étaient parties de Tunisie, 28 558 de Libye, et les autres de Turquie et d’Algérie.

      Les pays d’origine les plus courants pour les personnes arrivant en Italie étaient, par ordre décroissant, la Côte d’Ivoire, l’Égypte, la Guinée, le Pakistan, le Bangladesh, la Tunisie, la Syrie, le Burkina Faso, le Cameroun et le Mali. Le Cameroun, le Burkina Faso, le Mali et la Guinée ont été confrontés ces dernières années à des violations généralisées des droits humains liées à des conflits, à des coups d’État ou à des mesures de répression gouvernementales.

      Selon une estimation officielle datant de 2021, 21 000 étrangers originaires de pays africains non maghrébins se trouvent en Tunisie, dont la population est de 12 millions d’habitants. Depuis janvier, le pays a accueilli 9 000 réfugiés et demandeurs d’asile enregistrés. La Tunisie est un État partie aux Conventions des Nations Unies et de l’Afrique relatives au statut des réfugiés, et sa Constitution prévoit le droit à l’asile politique. Cependant, elle ne dispose pas d’une loi ou d’un système national d’asile. C’est le HCR qui effectue l’enregistrement des réfugiés et détermine leur statut.

      Bien que les normes internationales en matière de droits humains découragent la criminalisation de la migration irrégulière, les lois tunisiennes datant de 1968 et de 2004 criminalisent l’entrée, le séjour et la sortie irréguliers d’étrangers, ainsi que l’organisation ou l’aide à l’entrée ou à la sortie irrégulières, sanctionnées par des peines d’emprisonnement et des amendes. La Tunisie n’a pas de base légale explicite pour la détention administrative des immigrants, mais de nombreuses organisations ont documenté des cas de détention arbitraire de migrants africains. Pour plusieurs nationalités africaines, la Tunisie autorise les séjours de 90 jours sans visa avec tampon d’entrée, mais l’obtention d’une carte de séjour peut se révéler difficile.

      Selon le FTDES (un forum non gouvernemental), entre janvier et mai 2023, les autorités tunisiennes ont arrêté plus de 3 500 migrants pour « séjour irrégulier » et intercepté plus de 23 000 personnes tentant de quitter la Tunisie de manière irrégulière. Romdhane Ben Amor, porte-parole du FTDES, a déclaré à Human Rights Watch que la plupart des arrestations de migrants enregistrées ont eu lieu aux abords de la frontière algérienne, mais qu’après le discours du président, des centaines d’entre elles ont également eu lieu à Tunis, à Sfax et dans d’autres villes.

      Expulsions collectives aux frontières avec la Libye et l’Algérie

      Entre le 2 et le 5 juillet 2023, la police, la garde nationale et l’armée tunisiennes ont mené des raids à Sfax et dans ses environs, arrêtant arbitrairement des centaines d’étrangers africains noirs de nombreuses nationalités, en situation régulière ou irrégulière. La garde nationale et l’armée ont expulsé ou transféré de force, sans aucun respect des procédures légales, jusqu’à 1 200 personnes, réparties en plusieurs groupes, vers les frontières libyenne et algérienne.

      Selon cinq personnes interrogées qui ont été expulsées, les autorités ont conduit environ 600 à 700 personnes vers le sud jusqu’à la frontière libyenne, non loin de la ville de Ben Guerdane. Elles en ont conduit des centaines d’autres vers l’ouest, à divers endroits le long de la frontière algérienne, dans les gouvernorats de Tozeur, Gafsa et Kasserine, selon deux personnes expulsées, des représentants des Nations Unies, le FTDES et le réseau Alarm Phone.

      Parmi les centaines de personnes expulsées vers une zone éloignée et militarisée située à la frontière entre la Tunisie et la Libye, se trouvaient au moins 29 enfants et trois femmes enceintes. Au moins six d’entre elles étaient des demandeurs d’asile enregistrés auprès du HCR. Les personnes interrogées ont déclaré avoir été battues et agressées par des membres de la garde nationale ou des militaires pendant leur expulsion ; une jeune fille de 16 ans, notamment, a affirmé avoir été agressée sexuellement. Ces personnes ont ajouté que les agents de sécurité avaient jeté leur nourriture, détruit leurs téléphones et les avaient laissées dans une zone d’où, repoussées par les forces de sécurité des deux pays, elles ne pouvaient ni entrer en Libye ni retourner en Tunisie. Elles ont fourni les positions GPS des endroits où elles se trouvaient du 2 au 4 juillet, ainsi que des vidéos et des photos des personnes expulsées, de leurs blessures, des téléphones brisés, des passeports, des cartes consulaires et des cartes de demandeur d’asile.

      Le 7 juillet, Human Rights Watch a interrogé deux personnes qui avaient été expulsées ou transférées de force vers ou près de la frontière algérienne les 4 et 5 juillet. Elles se trouvaient dans deux groupes différents totalisant 15 personnes dont sept femmes — y compris deux femmes enceintes — et un enfant. Selon leurs dires, elles ont été transportées depuis Sfax dans des bus, forcées de marcher dans le désert sans nourriture ni eau suffisantes, et repoussées par les forces de sécurité algériennes et tunisiennes. Une demandeuse d’asile guinéenne a communiqué la position GPS de son groupe, dans le gouvernorat de Gafsa, tandis qu’un Ivoirien a partagé la position du sien, dans le gouvernorat de Kasserine. Ils ont également fourni des vidéos de leurs groupes marchant dans le désert.

      Dans une déclaration du 8 juillet, le président Saied a qualifié les accusations d’abus commis par les forces de sécurité à l’encontre des migrants de « mensonges » et de « fausses informations ». Le week-end du 8 juillet, les équipes du Croissant-Rouge tunisien ont fourni de la nourriture, de l’eau et une aide médicale à quelques migrants qui se trouvaient aux frontières de l’Algérie et de la Libye, ou à proximité. Il s’agit du seul groupe d’aide humanitaire que les autorités tunisiennes ont autorisé à pénétrer dans la zone frontalière avec la Libye.

      Le 10 juillet, les autorités tunisiennes ont finalement transféré plus de 600 personnes de la frontière libyenne vers des abris de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) et d’autres installations à Ben Guerdane, Medenine et Tataouine, selon des représentants des Nations Unies et un Ivoirien qui se trouvait parmi les personnes emmenées à Medenine, qui a fourni sa localisation. Cependant, le 11 juillet, Human Rights Watch s’est entretenu avec deux migrants affirmant qu’ils faisaient partie d’un groupe de plus de cent personnes expulsées toujours bloquées à la frontière libyenne. Ils ont fourni des vidéos et leur localisation.
      Des migrant·e·s aux deux frontières ont déclaré à Human Rights Watch et à d’autres que plusieurs avaient péri ou avaient été tués à la suite d’une expulsion, bien que Human Rights Watch n’ait pas pu confirmer leurs récits de manière indépendante. Le 11 juillet, l’Agence France-Presse a indiqué que les corps de deux migrants avaient été retrouvés dans le désert près de la frontière entre la Tunisie et l’Algérie. Al Jazeera, qui s’est rendu à plusieurs reprises dans la zone frontalière entre la Tunisie et la Libye, a publié des images du 11 juillet montrant deux groupes de migrant·e·s africain·e·s toujours bloqué·e·s — plus de 150 personnes au total — et le corps d’un migrant décédé.

      La Tunisie est un État partie à la Convention internationale sur l’élimination de toutes les formes de discrimination raciale ; à la Charte africaine des droits de l’homme et des peuples, qui interdit les expulsions collectives ; ainsi qu’aux Conventions des Nations Unies et de l’Afrique relatives au statut des réfugiés, à la Convention contre la torture et au Pacte international relatif aux droits civils et politiques, qui interdisent les retours forcés ou les expulsions vers des pays où les personnes risquent d’être torturées, de voir leur vie ou leur liberté menacées, ou de subir d’autres préjudices graves.

      Abus commis par la police

      Outre les personnes expulsées, onze personnes interrogées ont été victimes d’abus de la part de la police à Tunis, à Sfax, à Ariana et dans une ville proche de la frontière algérienne ; parmi celles-ci, au moins huit ont subi des violences. Deux ont déclaré que la police les avait expulsées de force de leur logement. Sept ont fait état d’insultes racistes de la part de la police et l’une d’entre elles a été menacée de mort.

      Sidy Mbaye, un Sénégalais de 25 ans rapatrié en mars, était entré en Tunisie de manière irrégulière en 2021 et travaillait comme vendeur ambulant. Il a décrit les abus commis par la police à Tunis :

      [Le 25 février], je suis allé en ville pour vendre des téléphones, des T-shirts et des tissus au marché [...]. Trois policiers se sont approchés de moi et m’ont demandé ma nationalité. Ils ont dit : « Tu as entendu ce que le président a dit ? Tu dois partir [...] ». Ils ne m’ont demandé aucun document. Ils ont pris toute ma marchandise [...]. J’ai [résisté] [...] ils m’ont durement battu, me donnant des coups de poing et me frappant avec des matraques. Du sang coulait de mon nez [...].

      Ils m’ont emmené au poste de police, m’ont mis dans une cellule et ont continué à me frapper et à m’insulter [...]. Ils ont dit quelque chose sur le fait que j’étais noir [...]. Ils ne m’ont toujours pas demandé de documents. J’y ai passé une journée. Je refusais de partir parce que je voulais récupérer mes affaires, mais j’ai fini par partir. Ils m’ont menacé et m’ont dit : « Si tu reviens et que tu vends encore ces choses, on va te tuer. Quittez le pays immédiatement ». [...] Là où je vivais avec cinq autres Sénégalais, le propriétaire était un policier [...] En revenant, nous avons trouvé nos affaires dehors.

      Papi Sakho, un Sénégalais de 29 ans qui est venu à Tunis de manière irrégulière pour travailler, a été victime de violences et d’une éviction forcée par la police avant d’être rapatrié, en mars :

      Fin février [...], cinq officiers de police sont venus [...]. Nous étions quatre en train de travailler au garage-lavage, moi, deux Gambiens et un Ivoirien. [...] Ils ne nous ont pas demandé nos papiers [...]. Ils nous criaient dessus, nous insultaient [...] Ils m’ont battu durement avec des matraques [...]. L’Ivoirien était blessé et saignait [...] ils ont fermé notre garage [...]. Et c’est nous qui lavions habituellement leurs voitures de police !

      La police nous a alors conduits à notre logement et a averti le propriétaire que nous n’avions plus le droit d’y rester. [...]. Ils ont pris nos bagages et les ont mis dehors [...]. Mon passeport est resté à l’intérieur. La police a pris mes deux téléphones [...]. Les autres m’ont dit que la police avait pris une partie de leur argent.

      Moussa Baldé, mécanicien sénégalais de 30 ans, a déclaré être arrivé en Tunisie en 2021 avec un visa de travail. Il s’est rendu à Tunis en février 2023 pour acheter des pièces détachées. « Un policier a arrêté mon taxi, m’a fait descendre et m’a poussé. Il m’a dit : “Tu es noir, tu n’as pas le droit d’être ici [...]”. Il ne m’a pas demandé mes papiers, il m’a juste indexé à cause de la couleur de ma peau. [Au poste de police,] deux policiers m’ont donné des coups de poing et m’ont frappé. Ils ne m’ont donné à manger qu’une seule fois pendant les deux jours [de détention], et j’ai dormi par terre ». La police ne lui a posé aucune question sur son statut juridique. « Ils m’ont dit : “Nous allons te libérer, mais tu dois quitter le pays” ».

      Abdoulaye Ba, 27 ans, également originaire du Sénégal, vivait à Tunis depuis 2022. En février 2023, la police est venue sur le chantier où il travaillait et a arrêté au moins dix travailleurs, certains avec papiers et certains sans papiers, originaires d’Afrique de l’Ouest et d’Afrique centrale :

      Il y avait des Tunisiens et des Marocains, mais ils n’ont arrêté que des personnes à la peau noire. Ils nous ont demandé de quel pays nous venions mais n’ont pas demandé nos papiers [...]. Nous avons résisté à l’arrestation et une partie de la ville est sortie [...] et nous jetait des pierres [...]. La police nous a frappés avec des matraques [...] Ils nous ont emmenés dans un poste de police à Tunis et nous ont détenus pendant cinq heures, sans demander à voir nos papiers [...]. Ils nous ont ensuite relâchés et nous ont demandé de quitter la Tunisie. [...] La police a également volé mon iPhone 12, et d’autres ont dit que la police avait pris leur argent.

      Un Malien de 24 ans sans papiers a déclaré qu’avant son rapatriement en mars, il travaillait dans un restaurant à Tunis. En février, la police l’a arrêté alors qu’il rentrait du travail avec un autre Malien, mais n’a procédé à aucune vérification légale. Il a raconté :

      Ils ne m’ont pas demandé mes papiers [...]. S’ils voient un Noir, ils le prennent et l’emmènent dans leur voiture. Pendant l’arrestation, des Tunisiens regardaient et criaient : « Vous, les Noirs, vous devez partir… ». La police a pris l’argent [de mon ami] [...], environ 600 dinars [...]. Ils nous ont gardés pendant quatre jours [au poste de police]. [...] Nous dormions par terre [...]. Ils ne nous donnaient que du pain et de l’eau deux fois par jour. [...] [...] Nous avons trouvé une centaine d’Africains [détenus] là-bas [...]. Ils nous considéraient comme si nous n’étions pas des humains.

      Un Camerounais de 24 ans vivant à Sfax sans papiers a déclaré qu’à plusieurs reprises, début 2023, la police avait fait des descentes dans la maison qu’il partageait avec plusieurs migrants et avait pris leurs téléphones et leur argent.

      Les abus commis par la police ne datent pas seulement de 2023. Un Malien de 31 ans a déclaré qu’en décembre 2021, un groupe de 6 à 8 policiers l’avait trouvé endormi dans une gare et l’avait agressé avant de l’arrêter pour entrée irrégulière, dans une ville proche de la frontière algérienne : « Ils m’ont frappé à plusieurs reprises avec leurs matraques, jusqu’à ce que je tombe, puis ils m’ont donné des coups de pied ».

      Un Malien de 32 ans, rapatrié en mars, a déclaré que la police de Sfax lui avait pris deux de ses téléphones à la mi-2022, en plus de l’argent que transportait son ami. « Les policiers, s’ils voient une personne noire avec un petit sac, ils fouillent le sac. Lorsqu’ils trouvent de l’argent [ou des objets de valeur], ils le prennent », a-t-il témoigné.

      Répression policière contre des réfugiés participant à des manifestations

      Après le discours du président Saeid un grand nombre de réfugiés, de demandeurs d’asile et d’autres personnes devenues sans abri à la suite d’évictions ou craignant pour leur sécurité ont campé devant les bureaux du HCR et de l’OIM au Lac 1, à Tunis. Parmi les personnes qui se trouvaient devant le HCR, certaines ont barricadé la zone et ont commencé à protester. Le 11 avril, après l’entrée de force de plusieurs personnes dans une partie des locaux du HCR, la police est arrivée pour disperser le camp. La police a fait usage de gaz lacrymogènes et de la force, et certaines personnes ont jeté des pierres sur des voitures ou la police.

      « En réaction, la police a fait un usage disproportionné de la violence [...], en particulier compte tenu du fait que des personnes vulnérables se trouvaient là, ainsi que des familles et des jeunes enfants », a déclaré Elizia Volkmann, une journaliste qui s’est rendue sur les lieux plus tard dans la journée. Human Rights Watch a écouté un entretien enregistré par Elizia Volkmann le 11 avril avec un témoin des événements, qui a déclaré avoir vu la police gifler une Soudanaise avant que la situation ne dégénère, et que la police avait battu les gens avec des bâtons et tiré « de nombreux coups de gaz lacrymogène ».

      Un demandeur d’asile soudanais, qui campait devant le bureau du HCR depuis novembre 2022, a déclaré à Human Rights Watch que lui et d’autres avaient barricadé la zone pour se protéger, et que le 10 avril, ils étaient entrés dans les locaux du HCR « pour boire de l’eau et utiliser les toilettes ». Selon ses dires, le 11 avril, « C’est la police qui a commencé les violences. Ils [...] sont venus et ont tiré des gaz [lacrymogènes] sur nous. Et c’était la première fois que les policiers nous jetaient des pierres — j’ai vu deux d’entre eux le faire ». Il a raconté avoir ensuite vu des personnes jeter à leur tour des pierres sur la police. Il a précisé qu’après avoir fui la zone, lui et d’autres ont été battus et arrêtés dans la rue par la police.

      La police a d’abord placé 80 à 100 personnes — dont des femmes et des enfants — en garde à vue au poste de police de Lac 1 et détruit le camp. Plus tard dans la journée, ils ont libéré le demandeur d’asile soudanais, entre autres, mais selon un représentant d’Avocats sans frontières (ASF), ils ont transféré 31 hommes à la prison de Mornaguia au titre de divers chefs d’accusation, notamment pour désobéissance et agression. ASF a fourni une assistance juridique aux accusés, qui ont été libérés fin avril, les charges ayant été abandonnées pour la moitié du groupe et l’autre moitié étant en attente d’une audience en septembre, a déclaré le représentant d’ASF.

      Un demandeur d’asile sierra-léonais, qui campait devant l’OIM et le HCR depuis son expulsion de son appartement en février, figurait parmi les personnes arrêtées. Human Rights Watch a examiné un document officiel confirmant sa libération de la prison de Mornaguia fin avril. Lors de la répression du camp le 11 avril, il a déclaré avoir « vu un [demandeur d’asile] libérien se faire battre par la police [...] il y avait tellement de sang ». Il affirme ne pas avoir participé à des actes de violence, mais a enregistré des vidéos et passé des appels téléphoniques. Il a raconté que la police l’avait attrapé, arrêté et torturé en détention :

      Dans le véhicule de police, un [agent] a commencé à m’étrangler pour me forcer à ouvrir mon téléphone. [...] Ils m’ont emmené au poste de police de Lac 1. Ils ont séparé trois d’entre nous, moi, un [demandeur d’asile] sierra-léonais et le Libérien [blessé] [...].

      [Ils] nous ont placé dans une pièce non ouverte au public, où ils nous ont torturés. Deux [agents en uniforme] ont utilisé [...] un bâton en bois [...] pour nous frapper à la tête, aux chevilles, là où se trouvent les os [...]. Deux [autres agents en uniforme] nous ont transmis des chocs électriques avec des appareils comme des tasers [...]. Un [homme en civil] [...] m’a dit en anglais : « Vous [...]dites que la Tunisie n’est pas sûre [...]. Vous êtes des putains d’immigrés et de réfugiés, vous voulez gâcher notre image » [...] ». Les autres policiers nous ont insultés en arabe [...]. Ils nous ont torturés [...] pendant environ 45 minutes.

      Un réfugié soudanais a également déclaré à Human Rights Watch avoir été battu et avoir reçu des chocs électriques au poste de police de Lac 1, avant d’être transféré à la prison de Mornaguia.

      Un Tunisois qui a aidé plusieurs hommes à obtenir une aide médicale après leur libération de la prison de Mornaguia en mai, a déclaré que deux réfugiés, un Érythréen et un Centrafricain, avaient fait état de l’usage d’armes électriques, telles que des tasers, par la police à leur encontre lors de leur arrestation. Selon ses dires, deux réfugiés érythréens lui avaient également raconté qu’au poste de Lac 1, « la police les [avait] battus [...] hors du champ de la caméra ».

      Le demandeur d’asile soudanais qui a été détenu puis relâché le même jour a déclaré avoir vu plusieurs détenus africains emmenés dans une autre pièce du commissariat et les avoir entendus pleurer de douleur ; plus tard, certains lui ont dit que la police avait utilisé des appareils pour leur administrer des chocs électriques. Les violences policières l’ont convaincu de quitter la Tunisie : « Je demande à des personnes que je connais de m’aider à traverser la mer, à m’éloigner de ce pays ».

      Abus des garde-côtes et interceptions en mer

      Sur les six personnes interrogées par Human Rights Watch qui avaient tenté une ou plusieurs traversées en bateau vers l’Europe, cinq avaient subi des retours forcés de leurs bateaux. De telles mesures de rétention ou de retour forcé des personnes, appelées « pullbacks » en anglais – des actions des autorités visant à empêcher les gens de quitter un pays en dehors des points de passage officiels de la frontière, y compris les retours forcés de bateaux en partance – peuvent constituer une atteinte au droit des personnes à demander l’asile et à quitter tout pays, qu’il s’agisse du leur ou d’un autre, et les piéger dans des situations abusives.

      Cinq personnes interrogées ont également décrit des abus commis par les autorités tunisiennes près de Sfax entre 2019 et 2023, pendant ou après des interceptions en mer (quatre personnes) ou des sauvetages (une personne).

      Salif Keita, un Malien de 28 ans rapatrié en mars, a déclaré avoir tenté une traversée en bateau depuis Sfax en 2019. « Les garde-côtes nationaux ont pris notre moteur et nous ont laissés bloqués en mer », a-t-il relaté. « Nous avons dû casser des morceaux de bois du bateau [...] pour revenir en pagayant ».

      Un Ivoirien de Sfax a tenté un voyage en mer en janvier 2022. Il a déclaré que les garde-côtes avaient intercepté le bateau et avaient frappé les passagers à coups de bâton. Pendant qu’il était en mer, il a également vu un bateau de migrants, qui transportait également des enfants, renversé par des vagues que provoquait un bateau des garde-côtes.

      Un Malien de 32 ans avait également tenté un voyage en mer. Il était entré régulièrement en Tunisie, mais son tampon d’entrée avait expiré. Ne pouvant obtenir de carte de séjour, il a embarqué en décembre 2021 près de Sfax, sur un bateau qui transportait une cinquantaine d’Africains de l’Ouest et du Centre. Les autorités les ont interceptés dans les 15 minutes qui ont suivi leur départ. Il a raconté : « Ils ont pris l’argent ou les téléphones des gens [...]. Ceux qui n’avaient ni l’un ni l’autre, ils ont frappés et insultés. J’ai même vu un [agent] frapper une des femmes [...]. Ils ont pris mon téléphone ».

      Un Camerounais de 24 ans a déclaré qu’en avril 2023, après le retournement de leur bateau près de Sfax, lui et d’autres personnes avaient été secourus par des garde-côtes qui, une fois à terre, s’étaient mis à les insulter, à leur cracher de dessus et à les battre avant de les relâcher.

      Moussa Kamara, un Malien de 28 ans vivant à Sfax, était entré en Tunisie en mai 2022. En décembre 2022, il a embarqué près de Sfax avec environ 25 Africain·e·s de l’Ouest. « Au bout de 30 minutes à peine, les garde-côtes sont arrivés [en positionnant leur bateau à côté du nôtre] et ont dit “Stop !”. Nous ne nous sommes pas arrêtés, alors l’un des gardes a commencé à nous frapper avec un bâton [...]. Ils ont frappé trois hommes, dont moi… Un de mes amis a été blessé ». Les autorités les ont emmenés à Sfax puis les ont relâchés.

      Après cette expérience, Kamara est resté en Tunisie, mais le discours du président Saied et ses conséquences l’ont fait changer d’avis : « J’ai décidé d’essayer encore [un voyage en mer]. Le président nous a dit de quitter le pays. Si je ne pars pas, je ne trouverai pas une maison ou un travail ».

      « Le président a créé un climat d’horreur pour les migrants en Tunisie, si bien que beaucoup se précipitent pour partir », a expliqué Ben Amor, du Forum tunisien, FTDES. « Ces derniers mois, les garde-côtes ont commencé à utiliser des gaz lacrymogènes pour obliger [les bateaux] à s’arrêter [...]. Ils se sont visés sur les migrants qui essaient de les filmer [...] ; ils confisquent les téléphones après chaque opération ».

      Une bénévole d’Alarm Phone à Tunis a déclaré que son équipe avait recueilli des témoignages similaires : « Depuis 2022, il y a des comportements récurrents des garde-côtes tunisiens en attaquant des bateaux[...] ; ils utilisent des bâtons pour frapper les gens, dans certains cas, des gaz lacrymogènes, [...] ils tirent en l’air ou en direction du moteur [...] et parfois [...] ils laissent les gens bloqués [en mer dans des bateaux hors d’usage] ». De nombreuses pratiques de ce type ont été citées dans une déclaration de décembre de plus de 50 groupes en Tunisie, et à nouveau en avril.

      Soutien au contrôle des migrations de l’Union européenne

      Entre 2015 et 2021, l’Union européenne a alloué 93,5 millions d’euros à la Tunisie sur son « Fonds d’affectation spéciale d’urgence pour l’Afrique » (EUTF), qui vise à lutter contre la migration irrégulière, les déplacements et l’instabilité. Ce montant comprend 37,6 millions d’euros destinés à la « gestion des frontières » et à la lutte contre le « trafic de migrants et la traite des êtres humains ». Un document de l’UE de février 2022 indiquait que le financement de la lutte contre le trafic et la traite de migrants « [prévoyait] l’équipement et la formation des agents des forces de sécurité intérieure, ainsi que de la douane tunisienne ».

      Ce document indiquait également que l’UE « désignerait » jusqu’à 85 millions d’euros en tant que somme à allouer à des projets liés à la migration en Tunisie en 2021 et 2022. Il ne précisait pas ce qui avait déjà été dépensé ; cependant, selon un document de l’UE de février 2021, « un programme de soutien très important, financé par l’UE et bénéficiant aux garde-côtes tunisiens, [était] en cours de mise en œuvre ». Sur les 85 millions d’euros, 55 millions auraient pu être alloués au soutien du contrôle des migrations en Tunisie, selon la répartition fournie dans le document de 2022, à savoir : 25 millions d’euros pour la gestion des frontières, y compris le soutien aux garde-côtes ; 6-10 millions d’euros pour le « gouvernance » des migrations et la protection ; 20-25 millions d’euros pour la migration légale et la mobilité du travail ; 12-20 millions d’euro pour la lutte contre le trafic et la traite de migrants ; et 5 millions d’euros pour des retours.

      Le document de 2022 détaille également le soutien bilatéral important apporté à la Tunisie par l’Italie, l’Espagne, la France, l’Allemagne et d’autres États membres de l’UE. En plus de son « fonds pour la coopération migratoire (environ 10 millions d’euros) », l’Italie a fourni des équipements (véhicules, bateaux, etc.) « pour une valeur totale de 138 millions d’euros depuis 2011 », ainsi qu’une « assistance technique liée au contrôle des frontières (2017-2018) [...] pour un total de 12 millions d’euros », qui comprenait un soutien à la police et à la garde nationale tunisiennes. L’Allemagne a également fourni des bateaux et des véhicules, et l’Espagne du matériel informatique.

      Le Programme plurinational 2021 - 2027 sur les migrations pour le voisinage méridional de l’UE, qui englobe la Tunisie, comporte des éléments positifs tels que le soutien à l’élaboration de politiques d’asile, des voies légales de migration et le dialogue avec la société civile, mais il met toujours l’accent sur le soutien aux « mesures répressives » et aux « autorités frontalières et garde-côtes » pour le contrôle des frontières. De plus, les indicateurs de projet sont problématiques, puisqu’ils confondent interceptions et sauvetages en mer (« nombre de migrants interceptés/secourus grâce à des opérations de recherche et de sauvetage en mer » et « sur terre »).

      Les responsables politiques européens ont proposé à plusieurs reprises divers partenariats migratoires à la Tunisie visant notamment à mettre en place des centres de traitement délocalisés et à conclure des accords avec des « pays tiers sûrs », ainsi que des accords susceptibles de permettre le retour des ressortissants de pays tiers ayant transité par la Tunisie.

      Le droit international reconnaît la possibilité de désigner un pays tiers sûr, ce qui permet aux pays d’accueil de transférer des demandeurs d’asile vers un pays de transit ou vers un autre pays qui est en mesure d’examiner équitablement leurs demandes de statut de réfugié et de les protéger de façon adéquate. Les lignes directrices du HCR énumèrent les conditions de ces transferts, y compris le respect des normes du droit des réfugiés et des droits humains et « la protection contre les menaces à leur sécurité physique ou à leur liberté ». La directive sur les procédures d’asile de l’UE exige que les États non-membres de l’UE remplissent des critères spécifiques pour être désignés comme « sûrs », notamment « l’absence de risque de préjudice grave ».

      Compte tenu des abus documentés commis par les forces de sécurité et des attaques xénophobes contre les migrants, les demandeurs d’asile et les réfugiés en Tunisie, ainsi que de l’absence d’une loi nationale sur l’asile, il semble que la Tunisie ne réponde pas aux critères de l’UE définissant un pays tiers sûr. Les Africains noirs, en particulier, ne devraient pas être renvoyés ou transférés de force en Tunisie.

      Recommandations

      - Le Parlement européen, dans ses négociations avec le Conseil de l’UE sur le Pacte européen sur la migration et l’asile, devrait chercher à limiter l’utilisation discrétionnaire du concept de « pays tiers sûr » par les différents États membres de l’UE. Les institutions européennes et les États membres devraient convenir de critères clairs pour désigner un pays comme « pays tiers sûr » aux fins du retour ou du transfert de ressortissants de pays tiers, afin de garantir que les États membres de l’UE n’érodent pas les critères de protection dans leur application du concept, et déterminer publiquement si la Tunisie répond à ces critères, en tenant compte des agressions et des abus dont les Africains noirs sont continuellement la cible dans ce pays.
      - L’UE et les États membres concernés devraient suspendre le financement et les autres formes de soutien aux forces de sécurité tunisiennes destinées au contrôle des frontières et de l’immigration, et conditionner toute aide future à des critères vérifiables en matière de droits humains.
      – Le gouvernement tunisien devrait enquêter sur tous les abus signalés à l’encontre des migrants, des demandeurs d’asile et des réfugiés commis par les autorités ou les civils ; veiller à ce que les responsables rendent des comptes, notamment par le biais d’actions en justice appropriées ; et mettre en œuvre des réformes et des systèmes de surveillance au sein de la police, de la garde nationale (y compris les garde-côtes) et de l’armée afin de garantir le respect des droits humains, de mettre fin à la discrimination raciale ou à la violence, et de s’abstenir d’attiser la haine raciale ou la discrimination à l’encontre des Africains noirs.

      https://www.hrw.org/fr/news/2023/07/19/tunisie-pas-un-lieu-sur-pour-les-migrants-et-refugies-africains-noirs

      #rapport #HRW #human_rights_watch

    • Von Angst getrieben

      Rassistische Ausschreitungen gegen Schwarze Menschen zwingen immer mehr auf die lebensgefährliche Reise über das Mittelmeer.

      Die Bedingungen, unter denen Schwarze Menschen in Tunesien leben, sind prekär. Insbesondere wenn sie in das Land migriert sind und dort illegalisiert leben, also ohne offiziellen Aufenthaltsstatus und damit meist ohne Zugang zu sozialen Dienstleistungen. Der zunehmend rassistische Diskurs im Land, lässt ihre Situation noch unsicherer werden. Im Herbst 2022 hatte die Nationalistische Partei Tunesiens ihre rassistischen Äußerungen in sozialen Medien massiv verstärkt. Auf ihrer Website spricht sie von „einer Millionen Migranten“ die sich im Land befänden und auf europäisches Geheiß hin vorhätten, das Land zu übernehmen. Die Partei und ihre Hetze spielten bis kürzlich in der politischen Landschaft Tunesiens keine große Rolle. Laut Angaben ihres Vorsitzenden Sofien Ben Sghaïer hat die 2018 gegründete Partei derzeit nur drei Mitglieder. Relevant wurde ihr politisches Denken erst, als es vom tunesischen Präsidenten Kaïs Saïed aufgegriffen und zur Regierungslinie erklärt wurde.

      Ein Verständnis dafür, wie dies geschehen konnte, ist möglich, wenn man die politisch-ökonomische Lage betrachtet, die sich seit Juli 2021 stark verändert hatte: Präsident Kaïs Saïed löste damals die Regierung und die Versammlung der Volksvertreter*innen per Staatsstreich auf. Die sozioökonomische Lage ist in Tunesien extrem angespannt. Der Staat steht angesichts gescheiterter Verhandlungen mit dem IWF vor dem Bankrott, die Inflation liegt bei 10 Prozent, die Arbeitslosigkeit bei 15 Prozent und die Jugendarbeitslosigkeit noch weit höher. In diesem Klima finden rassistische Thesen wie die der Nationalistischen Partei Tunesiens Anklang.

      Als der Anti-Schwarze Rassismus in Tunesien dann in Form einer Pressemitteilung von Präsident Saïed am 21. Februar 2023 aufgegriffen wurde – so sprach er von einem „Plan“, der aufgesetzt worden sei, um die „demographische Zusammensetzung Tunesiens zu verändern“ und rief zu „dringenden Maßnahmen“ auf, „um dieses Phänomen zu stoppen“ – eskalierte die Situation. In den Tagen nach der Erklärung griffen vor allem Gruppen marginalisierter junger Männer in verschiedenen Städten gezielt Schwarze Menschen an. Einige wurden schwer verletzt, als ihre Wohnungen oder Häuser angezündet wurden. Eine bis heute unbekannte Zahl von Menschen ist in diesen Tagen verschwunden. Schwarze Menschen verloren von heute auf morgen ihre Arbeit und wurden von ihren Vermieter*innen vor die Tür gesetzt. Viele verließen ihre Wohnungen über Tage nicht mehr, aus Angst, ebenfalls Opfer der Angriffe zu werden. Auch gültige Aufenthaltspapiere schützten Schwarze Menschen nicht vor der Gewalt, zahlreiche Menschen wurden unabhängig von ihrem Aufenthaltsstatus verhaftet, die Angst vor Polizeikontrollen und willkürlichen Festnahmen besteht bis heute.

      Aya Koffi* aus Côte d’Ivoire („Elfenbeinküste“), die seit mehreren Jahren in Tunesien lebt, hat die Angriffe in der Hauptstadt Tunis miterlebt: „Sie griffen die Häuser an, sie griffen die Familien an, sie griffen die Kindertagesstätten an, dort wo die Kinder der Schwarzen waren. Es gab Leute, die mit Babys im Gefängnis landeten, Kinder, die im Gefängnis landeten. Es gab Frauen, die vergewaltigt wurden. Die Tunesier haben die Häuser und Wohnungen der Schwarzen in Brand gesetzt. Jeder versteckte sich. Ich habe mich zwei Wochen lang zu Hause eingesperrt und keinen Fuß vor die Tür gesetzt, weil ich so viel Angst hatte.“
      Schiffsunglücke, Leichen am Strand und anonyme Grabsteine

      Aus Angst um ihr Leben und weil ihnen infolge der rassistischen Übergriffe jede Lebensgrundlage entzogen wurde, haben sich seit Februar 2023 viele illegalisierte und nach Tunesien migrierte Personen aus subsaharischen Ländern für eine Überquerung des Mittelmeers entschieden. Die italienische Insel Lampedusa ist von Teilen der tunesischen Küste nur 150 Kilometer entfernt. Vor allem aus der Hafenstadt Sfax haben die Abfahrten stark zugenommen – und mit ihnen die Todeszahlen. Seit Kaïs Saïed Erklärung sind mehrere Hundert Menschen nach einer Abfahrt von Tunesien im Mittelmeer ertrunken, viele weitere werden vermisst. Immer wieder werden Leichen aus dem Wasser geborgen oder an den Stränden angespült.

      Laut Faouzi Masmoudi, Sprecher des Gerichts in Sfax, hat das Universitätskrankenhaus der Stadt keine Kapazitäten mehr: Allein am 25 April wurden fast 200 Leichen in das Krankenhaus gebracht. Nur wenige Tote können identifiziert werden. Einige von ihnen sind auf dem christlichen Friedhof in Sfax begraben. Die meisten jedoch bleiben anonym: manche bekommen einen Grabstein, auf dem nur das Datum des Leichenfundes steht.

      Aya hat ein solches Schiffsunglück überlebt, ihr Mann kam dabei ums Leben. Eine Mitarbeiterin der Internationalen Organisation für Migration (IOM) bestätigte, dass der Körper ihres Mannes geborgen wurde. Doch trotz Nachfragen bei der IOM und der Botschaft der Côte d’Ivoire und trotz Protesten vor der Leichenhalle konnte Aya den Körper ihres Mannes nicht mehr sehen. Bis heute ist nicht klar, was mit ihm passiert ist. Kein Einzelfall. Aya erzählt von ihrer Nachbarsfamilie in Tunis: „Viele sind aus Angst, nicht mehr in Tunesien bleiben zu können, auf das Meer hinausgefahren. Ganze Familien sind bei Schiffbrüchen ums Leben gekommen. Die Tür meiner Nachbarin, mit der ich alle Freuden geteilt, mit der ich zusammen gegessen habe, bleibt verschlossen. Sie, ihr Mann und ihr Baby werden vermisst. Wir wissen, dass sie mit dem Boot aufgebrochen sind.“

      Infolge der rassistischen Ausschreitungen haben viele Menschen Wohnung und Einkommen verloren. Rund 250 Menschen, hauptsächlich aus subsaharischen Herkunftsländern, hatten deshalb ein Lager vor dem Gebäude des UN-Flüchtlingskommissariats UNHCR in der Hauptstadt Tunis aufgeschlagen. Sie nennen sich „Refugees in Tunisia“ und fordern bis heute ihre Evakuierung in ein sicheres Land. Am 11. April wurde das Protestcamp vor dem UNHCR-Gebäude gewaltvoll durch die tunesische Polizei geräumt und bis zu 150 Menschen festgenommen. Die Räumung wurde nach Angaben des tunesischen Innenministeriums durch das UNHCR-Büro selbst veranlasst. Dabei wurden mehrere Menschen, darunter auch Kinder, durch den Einsatz von Tränengas verletzt. 30 Personen wurden der „öffentlichen Unruhe“ beschuldigt und für mehrere Wochen inhaftiert. Die Festgenommenen berichteten von Schlägen und Folter mit Elektroschocks. Die meisten der Protestierenden harren seit der Räumung des UNHCR-Camps nun vor dem Gebäude der IOM aus, wo sie ohne Zugang zu Wasser und Sanitäranlagen weiterhin für ihre Evakuierung kämpfen.
      Europas Verantwortung

      Am 25. Juli 2022, ein Jahr nach dem Staatsstreich Präsident Kaïs Saïeds, wurde zwar eine neue Verfassung per Referendum bestätigt. Laut Expertise eines tunesischen Juristen mit Spezialisierung auf Menschenrechte, der aus Sicherheitsgründen anonym bleiben will, ähnelt die neue Konstitution im Bereich der kollektiven und individuellen Freiheiten formell der vorherigen, doch in der Praxis werden diese Rechte aktuell stark eingeschränkt: „Der Beweis dafür sind Oppositionelle und Journalist*innen, die derzeit im Gefängnis sitzen, und Menschenrechtsverletzungen im Zusammenhang mit sehr vulnerablen Personen, insbesondere Menschen die nach Tunesien migriert sind. Zusammenfassend kann man also sagen, dass es eine Beschränkung der Menschenrechte gibt.“

      Eine zentrale Rolle für die rassistische Eskalation spielen aber auch die EU und ihre Mitgliedstaaten. Als wichtigste Handelspartnerin beeinflusst die EU die Regierungen der Maghreb-Länder erheblich und nimmt besonders Einfluss auf die Gestaltung ihrer Migrationspolitiken. Bereits seit den 1990er Jahren liegt der Fokus auf Tunesien und seit 2011 übt die EU zunehmend Druck aus, um das Land noch stärker in das EU-Grenzregime zu integrieren und Migrationsbewegungen durch und aus Tunesien langfristig zu beenden. Im Rahmen immer wieder neu aufgelegter Programme wurden seitdem 3 Milliarden Euro gezahlt. Schwerpunkte sind unter anderem der Aufbau „engerer Beziehungen zwischen den beiden Ufern des Mittelmeers und die Steuerung von Migration und Mobilität“. Von 2014 bis 2020 wurden zum Beispiel 94 Millionen ausschließlich für migrationsbezogene Aktivitäten gezahlt, unter anderem für Tunesiens Grenzschutzsystem. Der aktuelle „EU Action Plan“ für das zentrale Mittelmeer aus dem Jahr 2022 nennt als drittes Ziel die „Stärkung der Kapazitäten Tunesiens, Ägyptens und Libyens insbesondere zur Entwicklung gemeinsamer gezielter Maßnahmen zur Verhinderung der irregulären Ausreise, zur Unterstützung eines wirksameren Grenz- und Migrationsmanagements und zur Stärkung der Such- und Rettungskapazitäten unter uneingeschränkter Achtung der Grundrechte und internationalen Verpflichtungen“.

      Von einer „Achtung der Grundrechte“ ist in der Realität wenig zu sehen. Stattdessen unterstützt die EU ein immer autoritäreres Regime, für das die Leben von Menschen, die über das Meer wollen, nichts zählen. Immer wieder sterben Menschen infolge sogenannter „Rettungsaktionen“. Bei diesen fährt die tunesische Küstenwache aus, um Boote zu „retten“, rammt diese jedoch oft, wodurch Menschen ins Meer fallen und ertrinken. Zudem gibt es vermehrt Berichte, denen zufolge Motoren von der Küstenwache konfisziert werden, die Boote mit den Menschen aber weitere Tage auf dem Wasser treiben gelassen werden, wodurch die Todeszahlen steigen. Zugleich sind rassistische Diskurse in Tunesien immer auch von Europa beeinflusst. Es wird wahrgenommen, wie Salvini, Meloni, Le Pen und auch Zemmour sprechen. „It was not Saïed who introduced anti-Black racism to Tunisia“, schreibt Haythem Guesmi, ein tunesischer Wissenschaftler und Schriftsteller in einem Artikel für Al Jazeera. Nicht nur das europäische Grenzregime wird externalisiert, sondern auch der rassistische Diskurs.

      https://www.medico.de/blog/von-angst-getrieben-19095

      #peur

  • Forêt de Compiègne. Les anti-chasse déposent plainte pour violence contre les veneurs qui réclament des sanctions - Oise Hebdo
    https://www.oisehebdo.fr/2023/01/19/foret-compiegne-anti-chasse-plainte-pour-violence-contre-veneurs-reclament

    Forêt de Compiègne. Les anti-chasse déposent plainte pour violence contre les veneurs qui réclament des sanctions

    Mercredi 18 janvier en fin d’après-midi près de l’étang du Vivier-Corax à Compiègne, une altercation a éclaté entre veneurs et militants anti-chasse à courre.
    19 janvier 2023
    Par Guillaume Grasset
    Stanislas Broniszewski, chef des AVA, observe le cerf dans l’étang du Vivier-Corax. Photo : AVA Compiègne.

    Une enquête de police est encours pour des violences en réunion, après une altercation entre veneurs et militants d’AVA, survenue mercredi 18 janvier. Des plaintes pour coups ont été déposées par les anti-chasse, tandis que les veneurs demandent des sanctions contre les militants parce qu’ils n’ont pas respecté l’arrêté leur interdisant cette parcelle, ainsi qu’à toute personne étrangère à la chasse.

    Cet après-midi-là, un cerf traqué par l’équipage de chasse à courre la Futaie des Amis s’est réfugié dans l’étang du Vivier-Corax à Compiègne, peu avant sa mise à mort.
    Les veneurs disent que les AVA s’en sont pris aux chiens

    Les veneurs auront été les premiers à s’exprimer, par le biais d’un communiqué de presse, dans lequel ils disent que « la chasse s’est déroulée dans le plus strict respect des règles, malgré les tentatives répétées de quatre militants du collectif AVA, emmenés par leur responsable Stanislas Broniszewski, de la perturber, notamment en s’en prenant aux chiens ».

    Les militants d’AVA (Abolissons la vènerie aujourd’hui), disent que « des membres de l’équipage de chasse à courre ont sauvagement agressé nos volontaires présents comme d’habitude pour filmer la scène » : « L’un de nos volontaires a été roué de coups au sol, recevant des coups de pieds dans la tête et dans le dos. Trois autres ont été également frappés et certains jetés par terre. »

    Pendant ce temps, le cerf est tué par le piqueux, « qui va lui enfoncer une dague dans la poitrine ».
    Les AVA disent que les chasseurs ont voulu les empêcher de filmer. Photo : AVA Compiègne
    Les AVA disent que les veneurs leur ont arraché les caméras

    Puis les militants disent que des veneurs « ont arraché les caméras » à une jeune femme et à un homme au sol, tandis que des suiveurs ont tenté « de voler les téléphones pour faire disparaître les images restantes ». Ils déclarent même avoir été pourchassés avec un épieu.

    La version des chasseurs est la suivante : « Priés de quitter les lieux par les veneurs, les activistes lancent insultes et provoquent une bousculade avec ceux-ci et les suiveurs de l’équipage. La police arrivera une fois le calme revenu et devra faire preuve d’autorité pour calmer les militants anti-chasse. »

    « Suite à cette agression en réunion, deux de nos volontaires ont été emmenés aux urgences pour des blessures sur tout le corps », poursuivent les anti-chasse d’AVA.
    Les militants d’AVA ont filmé l’altercation. Photo : AVA Compiègne
    La police était sur les lieux

    Les veneurs réfutent toute violence : « Non contents d’arriver à leurs fins, les membres du collectif AVA feront déplacer pas moins de quatre véhicules de pompiers de façon totalement injustifiée, comme pourraient le confirmer les policiers présents. »

    Les anti-chasse déplorent le parti pris des policiers envers les chasseurs à courre, ce que dément le commissaire de Compiègne : « Nous avons ouvert une enquête en flagrance, poursuivie avec les plaintes des victimes. Ce n’est pas parce qu’une enquête commence d’un côté qu’elle ne va pas explorer de l’autre. Nous prenons tous les témoignages en considération, concernant ces violences. On travaille à charge et à décharge. »
    Parcelle interdite à toute personne étrangère à la chasse

    Le commissaire rappelle l’existence de l’arrêté qui interdit toute personne étrangère à la chasse et rappelle que l’entrave à la chasse est un délit. D’où la réaction des policiers qui, en voyant les volontaires, leur ont ordonné : « Sortez des parcelles, vous n’avez rien à faire là ! »

    « Nous les appelions à l’aide… », poursuivent les AVA, qui disent avoir récolté insultes et menaces. Ils déclarent qu’une plainte est en cours auprès de l’IGPN, la police des polices.
    Lutte médiatique

    « Les vidéos qui ont pu être sauvées partent directement à la Police pour plaintes et seront diffusées après les auditions des agresseurs », promettent les AVA.

    La Société de Vènerie appelle à des sanctions contre les militants d’AVA. Dans son communiqué de presse, elle anticipe l’attaque médiatique adverse dont elle va faire l’objet : « La Société de Vènerie dénonce les agissements d’une poignée d’activistes et les propos diffamatoires qui pourraient être diffusés sur les réseaux sociaux dans les prochaines heures pour relater ces évènements. »

    #chasse_à_courre

    • https://www.assemblee-nationale.fr/dyn/opendata/PIONANR5L16B0734.html

      Description : LOGO

      N° 734

      ___

      ASSEMBLÉE NATIONALE

      CONSTITUTION DU 4 OCTOBRE 1958

      SEIZIÈME LÉGISLATURE

      Enregistré à la Présidence de l’Assemblée nationale le 17 janvier 2023.

      PROPOSITION DE LOI

      tendant à créer un délit d’entrave à un acte de chasse,

      (Renvoyée à la commission du développement durable et de l’aménagement du territoire, à défaut de constitution d’une commission spéciale dans les délais prévus par les articles 30 et 31 du Règlement.),

      présentée par Mesdames et Messieurs

      Pierre CORDIER, Thibault BAZIN, Valérie BAZIN-MALGRAS, Anne‑Laure BLIN, Hubert BRIGAND, Fabrice BRUN, Dino CINIERI, Vincent DESCOEUR, Francis DUBOIS, Justine GRUET, Patrick HETZEL, Marc LE FUR, Véronique LOUWAGIE, Christelle PETEX‑LEVET, Alexandre PORTIER, Jean-Pierre TAITE, Pierre VATIN,

      député.

      – 1 –

      EXPOSÉ DES MOTIFS

      Mesdames, Messieurs,

      Depuis un décret du 4 juin 2010, codifié à l’article R. 428‑12‑1 du code de l’environnement, le fait d’empêcher, par des actes d’obstruction concertés, le déroulement d’un ou plusieurs actes de chasse tels que définis par l’article L. 420‑3 est puni d’une simple contravention de 5e classe.

      Validé par un arrêt du Conseil d’État du 11 juillet 2012 (n° 344938, ASPAS), rejetant un recours de l’Association pour la protection des animaux sauvages, ce texte a trouvé à s’appliquer dans quelques cas à l’occasion de chasses à courre.

      Aujourd’hui, compte tenu de la récurrence et de la fréquence de ces actes violents à l’encontre des chasseurs, qui les mettent même parfois en danger, le reclassement en délit est devenu nécessaire pour permettre aux agents en charge de la police de la chasse, ainsi qu’aux forces de l’ordre, d’intervenir pour sanctionner les auteurs de ces obstructions violentes dont sont victimes les chasseurs. Il ne s’agit pas d’empêcher une manifestation contre la pratique de la chasse mais de punir la mise en danger dans chasseurs par des actions militantes frôlant la délinquance.

      En effet, l’extrême violence des attaques organisées par des groupuscules s’est soldée non seulement par des maltraitances envers les chiens de chasse, mais aussi par des agressions de chasseurs ou de garde‑chasses particuliers ou même de traqueurs. Sans compter les destructions de miradors, ou leurs sabotages destinés à faire tomber ceux qui y montent. Ce n’est pas seulement une dégradation de biens privés, c’est aussi une mise en danger d’autrui !

      Lors de l’examen du projet de loi relatif à la création du futur Office français de la biodiversité, le Sénat a voté un amendement du gouvernement élargissant les possibilités de retrait du permis de chasser « en cas de constatation d’un incident grave, ayant pu mettre en danger la vie d’autrui ». En parallèle, un amendement créant le délit d’entrave avait été adopté. Malheureusement, il a été supprimé par la Commission Mixte Paritaire chargée d’aboutir à un accord entre députés et sénateurs sur ce projet de loi.

      Les signataires de la présente proposition de loi estiment que les chasseurs font des efforts importants en matière de sécurité, et qu’il faut en contrepartie que leurs concitoyens, même s’ils sont opposés à la pratique de la chasse, respectent leur droit à pratiquer cette activité. Il ne faut pas oublier l’importance de la chasse dans la gestion des espaces forestiers, agricoles et ruraux. Les chasseurs ont un rôle prépondérant, dans le cadre des Groupement d’intérêt cynégétique (GIC), dans la gestion cynégétique et la protection de la faune sauvage et de ses habitats.

      Cette proposition de loi vise par conséquent à sanctionner spécifiquement ces actes violents, avec des peines proportionnées à la gravité des faits, en punissant d’un an d’emprisonnement et de 30 000 euros d’amende le fait d’entraver un acte de chasse.

      Tel est, Madame, Monsieur, le sens de la proposition de loi suivante que nous vous demandons de bien vouloir adopter.

      proposition de loi

      Article unique

      La sous‑section 2 de la section 1 du chapitre VIII du titre II du livre IV du code de l’environnement est complétée un article L. 428‑3‑1 ainsi rédigé :

      « Art. L. 428‑3‑1. – Est puni d’un an d’emprisonnement et de 30 000 euros d’amende le fait de s’opposer à un acte de chasse en commettant un ou plusieurs des faits suivants :

      « 1° Empêcher, entraver ou gêner l’acte de chasse ou le déroulement d’une action de chasse en cours, individuelle ou collective, par quelque moyen ou agissement que ce soit ;

      « 2° Utiliser des produits ou substances destinés à empêcher l’action normale des chiens de chasse ou à les détourner de leur utilisation cynégétique ;

      « 3° Bloquer les véhicules des chasseurs, leurs chiens ou leurs chevaux afin d’entraver une action de chasse à venir ou en cours ;

      « 4° Détruire des miradors ou des échelles d’affût. »

  • Entre la #Grèce et la #Turquie, une frontière de plus en plus meurtrière

    Athènes continue de renforcer la surveillance de la région de l’Evros, qui sépare le pays de son voisin. Les exilés passant par les terres militarisées de la région sont instrumentalisés, au détriment de leur droit d’asile, comme le montrent les dérives et les drames rapportés en 2022.

    AlexandroupoliAlexandroupoli, Orestiada, Poros (Grèce).– Dans le ciel plombé de ce matin de décembre, le vent frappe le drapeau grec à l’entrée de Poros. Un chien errant détale sur la route abîmée qui longe l’église orthodoxe. Il laisse filer les voitures de police, rares véhicules à traverser ce village des confins de l’Evros, un nome (division administrative) du nord-est de la Grèce. Au nord, au loin, s’élèvent les collines de la Bulgarie ; à l’est s’étend la campagne turque.

    Les patrouilles s’avancent jusqu’à un long mur. Séparant la Grèce de la Turquie, ce serpent d’acier tranche des plaines vides sur 27 kilomètres. Ses poteaux de cinq mètres de haut épousent les courbes de l’Evros. Le fleuve, appelé Meriç en turc et Maritsa en bulgare, délimite la frontière gréco-turque, d’une longueur totale d’environ 200 kilomètres.

    Objectif de ce mur, « obstacle technique » comme le nomment les autorités grecques : « Dissuader les migrants de venir et affecter le commerce des passeurs. » Il bouche les points d’accès fréquentés de cette rivière boueuse au lit étroit que les personnes exilées franchissent à la rame. Athènes a investi 63 millions d’euros, selon la presse locale, pour construire cet édifice en 2021.

    Depuis plus de trente ans, les migrants d’Afrique ou d’Asie qui veulent trouver refuge dans l’Union européenne traversent cette frontière entre la Turquie et la Grèce, deux pays membres de l’Otan en désaccord sur la délimitation de leurs frontières maritimes. En 2022, 5 000 personnes sont officiellement parvenues à traverser le fleuve, majoritairement venues de Turquie, de Syrie ou d’Afghanistan, fuyant des conflits ou des tensions politiques. À l’ombre des regards, car personne ne pénètre ce coin de nature : c’est une zone militaire grecque inaccessible sans l’autorisation d’Athènes. Seuls les drones, les caméras thermiques, l’armée et la police ont un œil sur cette frontière.

    Tout est fait pour la rendre hermétique. « Il est illégal de venir sur le territoire grec clandestinement, nous faisons en sorte que les migrants ne rentrent pas, c’est notre travail », précise Giorgos Tournakis, le major de police du département du nord de l’Evros. « Nous détectons les migrants de l’autre côté, grâce à notre matériel, explique un autre agent de police anonyme, en désignant, à quelques mètres, la rive turque hérissée de roseaux. Nous montrons notre présence. Nous utilisons les sirènes, les haut-parleurs, etc. Souvent cela fonctionne, les migrants rebroussent chemin. »

    Il n’existe pourtant aucune entrée pour les exilé·es voulant requérir l’asile en Grèce. « Pour cela, ils doivent aller formuler cette demande à l’ambassade d’Athènes en Turquie », répond le ministère grec de l’immigration.

    Ce mur en pleine nature n’est qu’un aperçu de la frontière gréco-turque que les forces de l’ordre grecques quadrillent. La police et l’armée sont les recruteuses principales du secteur, confirment les habitant·es, même si les autorités ne donnent aucun chiffre global. 400 renforts de police sont arrivés en 2022, 250 arriveront en 2023, selon le major Tournakis.

    Les villages isolés qui constellent les collines rousses et les sous-bois d’arbres nus sont fantomatiques, loin de l’image des îles grecques touristiques. Ici, les grappes d’oiseaux survolent les maisons trapues, boulangeries ou stations d’essence à l’abandon. En dix ans, 8 % de la population a déserté les champs de tournesol, de blé, de coton, principale activité devenue peu rentable, pour se diriger vers des villes grecques ou européennes. Nombre de celles et ceux qui restent s’engagent pour ou avec l’État.

    Le gouvernement grec de droite de la Nouvelle Démocratie justifie cette surveillance accrue de la frontière par l’épisode de mars 2020. Le président turc, Recep Tayyip Erdoğan, avait annoncé son ouverture, provoquant l’afflux de milliers de réfugié·es. En alerte, Athènes avait bloqué leur venue et massé ses soldats.

    La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, déclarait alors que la Grèce était le « bouclier de l’Europe ». L’expression est toujours appréciée par Manos Logothetis, le secrétaire d’État grec à l’immigration, qui nous reçoit dans son bureau à Athènes. « Nous préférons être le bouclier plutôt que l’idiot de l’Europe ! », s’emballe ce politicien volubile, entre deux bouffées de cigarette et gorgées de café froid. Ce langage martial utilisé par l’UE pour contrer la migration semble aussi avoir fait office de blanc-seing à Athènes pour la fortification de sa frontière.

    « Nous construisons des barrières à nos frais pour arrêter les traversées illégales de migrants. Mais l’UE ne paie pas, car sinon d’autres pays, comme la Pologne, par exemple, pourraient aussi demander à ce que l’on paye leurs murs frontaliers », précise Manos Logothetis. Le gouvernement grec va d’ailleurs prolonger en 2023 les murs antimigrants dans l’Evros jusqu’à 80 kilomètres, annonce-t-il. L’UE octroie à Athènes d’autres aides parallèles pour la gestion de l’immigration. Depuis 2018, environ 1,9 milliard d’euros ont été alloués à la Grèce. Quatre-vingt-six agents et experts de l’agence européenne Frontex sont ainsi présents dans l’Evros.

    À entendre Manos Logothetis, la politique migratoire grecque semble parfois se confondre avec sa politique de défense, elle-même liée à la Turquie. « La migration est politique, dix fois plus qu’il y a vingt ans, l’instrumentalisation des migrants [par Ankara – ndlr] est incomparable aujourd’hui, s’exclame le secrétaire d’État grec. En mars 2020, la Turquie a manipulé les réfugiés pour nous mettre sous pression. Elle pourrait très bien recommencer en 2023, par exemple. Car cette année est importante politiquement. Nous avons des élections législatives et la Turquie a une élection présidentielle. » Dans les deux pays, les scrutins devraient se tenir au printemps. Malgré nos sollicitations, Ankara n’a pas répondu à nos demandes d’interview.

    Les réfugié·es en quête d’Europe se retrouvent au cœur de ce conflit larvé entre les deux pays. Au fur et à mesure que les tensions entre Athènes et Ankara s’accentuent, ces migrant·es sont perçu·es comme des « armes », au détriment de leur droit d’asile, estiment plusieurs organisations des droits humains.

    Alarm Phone, une ONG basée à l’étranger, reçoit des appels d’exilé·es en détresse, bloqué·es aux frontières. « Nous avons de plus en plus d’appels à l’aide de l’Evros depuis 2020, relate son directeur, qui reste anonyme. Des gouvernements comme ceux de la Grèce, de la Turquie ou d’autres “militarisent” la migration et présentent les personnes en déplacement comme une menace militaire. Nous condamnons ce discours déshumanisant. Nous exigeons la liberté de circulation pour tous et le droit de demander l’asile. »

    De son côté, Styliani Nanou, représentante du Haut-Commissariat aux réfugiés des Nations unies (HCR), se dit « profondément préoccupée par le nombre croissant de signalements d’incidents de retours forcés, qui s’apparentent dans certains cas à des refoulements [soit des push back, démentis par Athènes – ndlr]. Nous en avons compté 540 en Grèce en 2020 et 2021. Ils sont souvent accompagnés de violences et de violations des droits de l’homme à diverses frontières européennes ».
    Des drames à huis clos

    Le HCR a des équipes dans la ville d’Orestiada, commune érigée il y a cent ans par des Grecs chassés de Turquie, dans le nord-est de l’Evros. Peu d’associations et organisations de défense des réfugié·es sont toutefois présentes dans cette ville de 25 000 habitant·es. Outre le HCR, une poignée de personnes d’organisations comme Human Rights 360, Greek Council for Refugees et Arsis sont présentes dans l’Evros. « Il est difficile pour les ONG de travailler. Nous manquons d’autorisations d’accès à la frontière », explique un responsable humanitaire à Athènes.

    Les drames se déroulent à huis clos. De fait, outre les « push back », la liste des dérives inhumaines rapportées par la presse ou les associations dans l’Evros en 2022 est longue. En février, 12 migrants ont été retrouvés morts de froid côté turc. Athènes et Ankara se rejettent fréquemment la responsabilité de nombreux sauvetages d’exilé·es bloqué·es sur les îlots de la rivière Evros, entourés d’un flou juridique.

    Trente-huit personnes, majoritairement syriennes, sont ainsi restées coincées des jours en août, pendant que les pays voisins se renvoyaient la balle pour leur venir en aide. Une fillette est morte, selon sa famille, piquée par un scorpion, et a été enterrée sur l’île. Pour le secrétaire d’État grec à la migration, « il n’y a pas de petite fille morte : les autorités ne trouvent pas de corps ». Une enquête grecque et une de la Cour européenne des droits de l’homme sont en cours.

    Certains drames deviennent l’argument des joutes verbales entre Grèce et Turquie. Mi-octobre, 92 migrants ont été retrouvés nus, en pleine nature, à la frontière côté grec. Le ministre grec de l’immigration, Nótis Mitarákis, a rapidement publié un tweet contre la Turquie, en diffusant la photo de ces hommes humiliés. « Le comportement de la Turquie envers ses 92 migrants que nous [la Grèce] avons sauvés à cette frontière est une honte pour la civilisation », s’est indigné le ministre. La Turquie a réfuté ces accusations.

    Dans ce système, les migrants finissent par être criminalisés. Christiana Kavvadia, avocate pour l’organisation Greek Council for Refugees dans l’Evros, compte parmi ses clients des personnes poursuivies par la justice pour « entrée illégale » sur le territoire. Ils risquent jusqu’à cinq ans de prison et une amende de 1 500 euros. « Du 1er au 31 mars 2020, un texte législatif interdisant la demande d’asile est entré en vigueur pour cette période, l’ensemble des migrants arrivés à ces dates ont été accusés d’entrée illégale et nombre d’entre eux ont été envoyés en prison pour une longue période. Depuis, cette pratique consistant à sanctionner l’entrée illégale existe toujours mais avec des peines moins sévères, explique-t-elle. La pénalisation des demandeurs d’asile n’est pas conforme à la convention de Genève et vise à être une mesure dissuasive. »
    Record de décès en 2022

    Dans l’Evros, il est aussi rare d’assister à des situations dramatiques que d’entendre des voix locales qui les commentent. « Nous sommes peu nombreux à défendre les droits des réfugiés dans le coin… C’est un système contre lequel on ne peut pas lutter : 90 % des gens à Orestiada travaillent avec la police », regrette Dimitrios Zeferiades, le gérant d’un bar alternatif de cette ville. « Il y a cent ans, nos ancêtres (grecs) sont passés par cette frontière par milliers, ils étaient réfugiés. Maintenant, il existe des milices dans les villages pour faire fuir les migrants : les habitants ont oublié leurs racines », dénonce-t-il.

    En 2020, des villageois de la frontière avaient exhibé leur « chasse » aux migrants face à la presse. Pour Dimitrios Zeferiades, plus que des outils « politiques », « les migrants sont devenus des produits sur lesquels la Grèce se fait de l’argent. Les autorités demandent des financements pour acheter tout un arsenal [drones, caméras – ndlr] qui ne sert à rien : personne ne peut surveiller cette rivière de 200 kilomètres ».

    Entre les murs saumon de la morgue de l’hôpital de la ville d’Alexandroupoli, la plus grande ville de l’Evros, Pavlos Pavlidis approuve. « Les murs n’empêchent rien », déclare, grave, ce médecin légiste. Il montre sur son téléphone la photo d’un homme inerte. Le froid de décembre a emporté dans son sommeil ce jeune adulte d’une vingtaine d’années, dans un cabanon au pied d’une montagne enneigée de l’Evros. « Hypothermie. Il y a environ deux jours, le 10 décembre », a conclu Pavlos Pavlidis. Dans son bureau au sous-sol, où règne une odeur de cigarette, le médecin méticuleux expose deux cartes bleues et deux bagues ayant appartenu à la victime, « probablement d’Afrique du Nord ». Ces indices permettront peut-être de l’identifier, espère-t-il.

    « 2022 constitue un record, je n’avais jamais autopsié autant de personnes [exilées] », annonce Pavlos Pavlidis. En poste depuis 2000, l’expert a vu plus de 660 cadavres d’étrangers, dont 63 cette année. Derrière sa fenêtre s’élèvent deux conteneurs renfermant depuis des mois 30 corps d’exilés : « Je n’ai plus de place dans les frigos. »

    Le fleuve est le premier à faucher les réfugiés. L’hypothermie est la deuxième cause de mortalité. Les réfugiés se perdent, trempés, dans la nature. « Ils évitent les villages. Ils savent que les habitants ne les aident plus comme avant », explique Pavlos Pavlidis. Les accidents de la route sont enfin la troisième cause des décès de migrants. « Certains s’entassent dans des véhicules et tentent de fuir les autorités », dit-il.

    Le portable de Pavlos Pavlidis vibre pendant qu’il parle : « Mon numéro a fuité. » Il reçoit des messages de détresse d’inconnu·es : des mères, des frères, à la recherche de leurs proches. Si 5 000 migrants sont officiellement arrivés dans l’Evros en 2022, combien sont-ils à s’être égarés dans ses collines ?

    https://www.mediapart.fr/journal/international/200123/entre-la-grece-et-la-turquie-une-frontiere-de-plus-en-plus-meurtriere

    Dans cet article, l’annonce d’une ultérieure #extension du mur :

    Le gouvernement grec va d’ailleurs prolonger en 2023 les murs antimigrants dans l’Evros jusqu’à 80 kilomètres, annonce-t-il.

    Première extension (passage de 12,5 km en 2012 à 12,5 km + 35 km en 2020/2021) :
    https://seenthis.net/messages/830355
    https://seenthis.net/messages/935658

    #frontières #migrations #réfugiés #barrières_frontalières #murs #barrières_frontalières #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Evros #Thrace #obstacle_technique #dissuasion #surveillance #instrumentalisation_de_la_migration #refoulements #push-backs #retours_forcés #violence #décès #milices #chasse_aux_migrants

    • Some updates on the #Evros wall from earlier this week. N. Mitarakis, now Minister of Citizen Protection, stated that a further extension of the wall will be tendered in 2024, to be completed in 2027.

      –—
      Φράχτης στον Έβρο : Πότε ολοκληρώνεται το έργο (vid)

      Προτεραιότητα για τη νέα κυβέρνηση χαρακτήρισε την ολοκλήρωση του φράχτη στον Έβρο ο Υπουργός Προστασίας του Πολίτη, Νότης Μηταράκης.

      Αναλυτικότερα, μιλώντας στην ΕΡΤ και την εκπομπή « Συνδέσεις », ο κ. Μηταράκης επεσήμανε ότι ο φράχτης του Έβρου αποτελεί πρώτη προτεραιότητα τόσο για την κυβέρνηση όσο και προσωπικά για τον ίδιο και το Υπουργείο Προστασίας του Πολίτη.

      « Η Ελλάδα θα εξακολουθήσει να εφαρμόζει την ίδια αυστηρή αλλά δίκαιη πολιτική », τόνισε.

      Μάλιστα, όπως τόνισε, ο φράχτης του Έβρου συνεχίζει να προχωρά με γρήγορα βήματα προς την ολοκλήρωσή του, η οποία αναμένεται στα μέσα του 2027.

      « Έχουμε εξασφαλίσει 100 εκατομμύρια ευρώ – απ΄όταν ήμουν στο προηγούμενο χαρτοφυλάκιο της Μετανάστευσης από την Ε.Ε – γι΄αυτό που ονομάζουμε συνοδά έργα του Φράχτη (έργα υποδομής και τεχνολογίας που συνδυάζονται με τον Φράχτη (π.χ τα φυλάκια χρηματοδοτούνται από τα ευρωπαϊκά κονδύλια).

      Από τα 72 χιλιόμετρα του Φράχτη σήμερα μελετάμε την τελική του φάση επέκτασης. Δεν θα χρειαστεί να καλύψουμε όλα τα 200 χιλιόμετρα.

      Προχωράμε στην τελική φάση επέκτασης με το μεικτό σύστημα χρηματοδότησης με κρατικά και ευρωπαϊκά κονδύλια. Ο καινούριος Φράχτης θα προκηρυχθεί για να κατασκευαστεί μέσα στο 2024, ώστε να είναι έτοιμος μέσα στο 2027 », σχολίασε.

      « Χρήση καμερών από τους αστυνομικούς »

      Κληθείς να σχολιάσει το πρόσφατο περιστατικό στη Λάρισα, που στοίχισε τη ζωή σε έναν 20χρονο, ο κ. Μηταράκης επεσήμανε ότι θα προχωρήσει η χρήση καμερών στους αστυνομικούς.

      « Για να αποφευχθούν φαινόμενα αστυνομικής αυθαιρεσίας θα προχωρήσουν οι κάμερες στους αστυνομικούς. […]

      « Θέλουμε και την συνεργασία των ανεξάρτητων αρχών, να μην τεθούν εμπόδια στη χρήση αυτών των καμερών.

      Αυτές είναι εκεί για να προστατεύσουν τον πολίτη, στην όποια περίπτωση κρατικής αυθαιρεσίας, αλλά και για να καταγράφουν με κάποιον ισχυρά αποτρεπτικό τρόπο το οποιοδήποτε αδίκημα μπορεί να τελείται, για να μην υπάρχουν αμφιβολίες για το εάν κάποιος συμμετείχε ή όχι σε μια παράνομη δράση.

      Είτε είναι αστυνομικός που δεν έκανε σωστά τη δουλειά του και δεν ακολούθησε το πρωτόκολλο εμπλοκής, είτε είναι ένας πολίτης ο οποίος παρανόμησε », υποστήριξε.

      https://twitter.com/lk2015r/status/1680548700077129729

      https://www.mynews.gr/frachtis-ston-evro-pote-oloklironetai-to-ergo-vid

  • La Battue. L’Etat, la police et les étrangers

    « #Zéro_point_de_fixation. » De Calais à #Dunkerque, c’est l’expression employée par les autorités pour définir la politique de la France en matière d’immigration à la frontière franco-britannique. Caractérisée par des battues ou chasses à l’homme organisées toutes les 48 heures, cette stratégie de gestion policière des #campements d’exilés a pour but de dissuader les personnes de s’installer et de se regrouper. Une manière de gouverner par l’image, l’exemple et la violence.

    Louis Witter a passé dix-huit mois sur place. Dix-huit mois à enquêter sur cette stratégie de politique intérieure lancée par Bernard Cazeneuve et renforcée par Emmanuel Macron et son ministre de l’Intérieur Gérald Darmanin. Une stratégie cachée, qui se joue derrière un périmètre que très peu de journalistes ont franchi, dont Louis Witter.

    Dans ce livre, à mi-chemin entre l’enquête et l’essai, Louis Witter montre comment la politique locale, le droit, les politiques institutionnelles et les pratiques policières œuvrent de concert pour légitimer toujours plus de violences envers les personnes étrangères.

    Un phénomène qui témoigne d’un rapport particulier, inquiétant et renouvelé que la police et l’État entretiennent avec les étrangers et la citoyenneté.

    https://www.seuil.com/ouvrage/la-battue-louis-witter/9782021498523
    #livre #Calais #migrations #asile #réfugiés #violence #police #forces_de_l'ordre #points_de_fixation #répression #frontières #battue #chasse_à_l'homme #dissuasion

  • Un chasseur abat un chien et menace de mort son propriétaire dans le Var - Var-Matin
    https://www.varmatin.com/faits-divers/un-chasseur-abat-un-chien-et-menace-de-mort-son-proprietaire-dans-le-var-8

    État de choc et peur des représailles... Jean-Luc (1) a attendu deux jours avant de porter plainte. Ce lundi après-midi, ce père de famille a finalement poussé les portes de la gendarmerie du Luc pour dénoncer des faits de « violence avec usage ou menace d’une arme sans incapacité ». Samedi dernier, sa chienne aurait été abattue par un chasseur dans le centre-Var avant que ce dernier le menace de mort et pointe son fusil sur lui. Récit d’une partie de chasse qui aurait mal tourné, telle que racontée dans le procès-verbal et la plainte, dont nous avons pris connaissance.

  • Pas d’interdiction le dimanche, délit d’alcoolémie : ce que contient le plan chasse du gouvernement
    https://www.francebleu.fr/infos/societe/plan-chasse-du-gouvernement-un-delit-d-alcoolemie-et-de-stupefiants-insta

    Bientôt une autorisation pour avoir le droit de se balader !

    Parmi les 14 mesures détaillées par la secrétaire d’État à l’Écologie, l’interdiction de chasser sous l’empire de l’alcool ou encore la création d’une application mais pas d’instauration d’un jour sans chasse comme le réclamaient les associations...

    Le gouvernement souhaite lancer à l’automne prochain d’une plateforme numérique qui permettra au public d’identifier les zones et horaires non chassés. Cette application pour smartphone doit permettre visualiser en temps réel les chasses en cours, grâce à l’obligation de déclaration par les organisateurs de chasse collective.

    #facepalm #fatigue

  • MacKinséisation de la France : ça ne peut être qu’un cabinet de conseils qui préconise ce genre de solution ...

    L’interdiction de la chasse le dimanche a du plomb dans l’aile
    https://www.lefigaro.fr/politique/l-interdiction-de-la-chasse-le-dimanche-a-du-plomb-dans-l-aile-20230105

    NFO LE FIGARO - L’exécutif préfère développer une application à destination des promeneurs, où les chasseurs se signaleront.

    Les chasseurs pourront-ils continuer à chasser le dimanche ? La question, régulièrement évoquée dans le débat public à la suite d’accidents, arrive à la table de l’exécutif. La secrétaire d’État à l’Écologie, Bérangère Couillard, doit faire connaître la position du gouvernement lundi à 11h. Elle se rendra dans le Loiret, à la rencontre des agents de l’Office français de la biodiversité (OFB) pour faire une déclaration.

    La sécurité dans les espaces naturels est devenue un sujet très clivant, entre les partisans et les contempteurs des chasseurs. Un sondage de l’Ifop publié lundi par Actu.fr révèle que 80% des Français souhaitent que la chasse soit interdite le dimanche. Seuls 30% d’entre eux affirment se sentir en sécurité lors d’une balade dans la nature. C’est 16 points de moins qu’en juillet 2009, souligne l’enquête.

  • Au Liban, après un meurtre sauvage, un village se déchire sur la présence des réfugiés syriens
    https://www.lemonde.fr/international/article/2022/12/14/au-liban-le-village-d-aqtanit-se-dechire-sur-la-presence-des-refugies-syrien

    Au Liban, après un meurtre sauvage, un village se déchire sur la présence des réfugiés syriens
    Des centaines de réfugiés qui vivaient à Aqtanit, petit village au sud-est de Saïda, ont été chassés, s’abritant dans les environs. Une poignée sont revenus.

    #Liban #racisme #chasse_à_l'homme #discrimination #migrations #pauvreté #réfugiés #Syrie

  • S’opposer à la chasse et à la corrida, est-ce un truc de bourgeois citadin ?
    https://www.frustrationmagazine.fr/chasse-corrida

    Dans un entretien mené par Eugénie Bastié pour le journal Le Figaro, le philosophe d’inspiration marxiste et orwellienne Jean-Claude Michéa dénonce “la vision Walt Disney de l’animalité” qu’auraient les “habitants des métropoles” et qui se traduirait par leur hostilité à la chasse et à la corrida. Il fait même de la proposition de loi d’interdiction de […]

  • Mort de Morgan Keane : Deux ans après, le débat sur la sécurité à la #chasse est très loin d’être apaisé via @hypathie
    https://www.20minutes.fr/societe/4010148-20221116-mort-morgan-keane-deux-ans-apres-debat-securite-chasse-tr
    https://img.20mn.fr/4QSoSM23TM6UZeguQILw6ik/1200x768_un-homme-avec-un-fusil-lors-d-une-partie-de-chasse-illustration

    « Ils parlent de 80 % de terrains privés, mais les chasseurs ne possèdent pas 80 % des terrains en France. C’est une hypocrisie », critique Léa Jaillard pour qui les annonces du gouvernement sont très loin d’être suffisantes. Pour le collectif « Un jour, un chasseur », la question des journées de chasse doit être traité au niveau national et non local, comme cela a été un temps évoqué. « Sept Français sur dix demandent une interdiction le dimanche, les jours fériés, voire vacances scolaires. Ce n’est pas normal de se demander à chaque fois que l’on sort de chez soi si on va se prendre une balle dans la tête, dans le bras ou les jambes. On voit bien que rien n’est fait dans le sens des citoyens et tout va dans le sens des chasseurs, c’est un problème », déplore l’amie de Morgan Keane qui espère qu’une peine d’interdiction de chasser à vie sera prononcée à l’issue du procès. Il encourt aussi jusqu’à trois ans d’emprisonnement et 75.000 euros d’amende.

  • Sablé sur Sarthe - Pourchassés par des tueurs alors que leur habitat se réduit comme peau de chagrin sous la poussée humaine incontinente, il leur reste à se cogner contre les barrières et grillages des villes pour protéger leur vie de la prédation humaine.
    Un jeune cervidé désorienté a été aperçu, ce dimanche 30 octobre 2022, dans le quartier de Montreux, à Sablé-sur-Sarthe, alors qu’une partie de chasse matinale était en cours non loin de là, à proximité de l’hippodrome.

    https://www.ouest-france.fr/pays-de-la-loire/sable-sur-sarthe-72300/sarthe-a-sable-une-biche-se-refugie-dans-la-rue-pendant-la-partie-de-ch
    #chasse

  • Le Député Richard Ramos obtient l’unanimité à l’Assemblée nationale pour désengrillager les propriétés françaises

    (Source : Richard Ramos)

    Mercredi 28 septembre, Richard Ramos, Député de la 6ème circonscription du Loiret, a fait adopter la proposition de loi visant à limiter l’engrillagement des domaines de chasse, un moment historique ! Un vote unanime de tous les partis politiques qui devrait se confirmer dans l’hémicycle, jeudi 6 octobre.

    Dans certains territoires français, de nombreux domaines privés forestiers sont entourés de clôtures enterrées dans le sol et dont la hauteur peut atteindre jusqu’à 2 mètres. Ce phénomène est particulièrement présent en Sologne où les routes sont bordées de grillages, une situation qui alarme les habitants et créée de nombreux dommages pour la biodiversité́.

    Le Sénateur Jean-Noël Cardoux avait fait examiner sa proposition de loi limitant l’engrillagement au Sénat au début de l’année 2022. Elle a été largement modifiée par le Député Richard Ramos et adoptée à l’unanimité le 28 septembre en commission du développement durable de l’Assemblée nationale, une victoire contre l’installation incontrôlée des clôtures en milieu naturel.

    « C’est une atteinte à la liberté de circulation des animaux sauvages, au respect de l’environnement », déclare le Député Richard Ramos. « En Sologne, le phénomène est si important que l’on parle de Solognisation ! Cela ne pouvait plus durer, nous devions légiférer, aussi la hauteur des clôtures va être règlementée, tout propriétaire ne se conformant pas à la nouvelle législation sera durement sanctionné, cependant la propriété privée sera mieux respectée. »

    La proposition de loi sera à nouveau examinée dans l’hémicycle, au sein de la niche Modem, jeudi 6 octobre. Le Député Richard Ramos compte bien de nouveau la faire adopter à l’unanimité !

  • Le Sénat préconise un délit d’entrave à la chasse | Public Senat
    https://www.publicsenat.fr/article/societe/un-rapport-du-senat-rejette-les-jours-sans-chasse-et-demande-un-delit-d-

    Issue d’une pétition pour interdire la chasse le dimanche et le mercredi, une mission de contrôle du Sénat vient de remettre son rapport sur la sécurisation de la chasse. Interdiction de l’alcool et des stupéfiants, formation renforcée, présentation annuelle d’un certificat médical… Mais pas de jour sans chasse parmi leurs propositions. Un délit d’entrave à la chasse est, par contre, préconisé.

  • Le sang de Ginette de Sonia Cabrita
    https://soundcloud.com/user-184517489/le-sang-de-ginette-2

    Si c’était un documentaire, ce serait le portrait de ma grand mère chasseresse. Si c’était un western, elle serait le schérif dans son ranch et moi un cavalier solitaire.
    Le monde de Ginette m’est à la fois naturel et totalement étranger. Manipuler une arme ou du gibier à peine mort, être réveillée par l’odeur du sang, fréquenter des personnes souvent infréquentables, être une femme au milieu de tant de mâles. Moi, qui lors de parties de chasse ai plutôt tendance à m’identifier à Bambi, j’espère réussir à changer de camps.

    #chasse #docu_sonore