• La siccità e le politiche israeliane assetano i contadini palestinesi

    La crisi idrica ha stravolto l’economia del villaggio di #Furush_Beit_Dajan, in Cisgiordania: la tradizionale coltivazione di limoni ha lasciato spazio a serre di pomodori. E lo sfruttamento intensivo rischia di impoverire ulteriormente la terra

    Il telefono squilla incessantemente nello studio di Azem Hajj Mohammed. Il sindaco di Furush Beit Dajan, un villaggio agricolo nel Nord della Cisgiordania, ha lavorato tutta la notte per cercare di identificare due uomini del vicino villaggio di Jiftlik che, sfruttando l’oscurità, si sarebbero allacciati illegalmente alla rete di distribuzione idrica. Secondo la regolamentazione di epoca ottomana, gli abitanti di Furush Beit Dajan hanno diritto al 10% dell’acqua estratta dal pozzo artesiano situato a Nord del villaggio, mentre il 90% spetta a Jiftlik. Ma quando la pressione dell’acqua è bassa, alcuni residenti che ritengono di non riceverne abbastanza si allacciano illegalmente ai tubi, generando tensioni in questa comunità dove l’agricoltura è la principale fonte di reddito per nove abitanti su dieci.

    “Devo individuare rapidamente i responsabili e trovare una mediazione prima che il furto sfoci in un conflitto tra famiglie e che intervenga l’esercito israeliano -spiega il sindaco in un momento di pausa tra due chiamate-. Nessuno vuole autodenunciarsi. Dovrò visionare i filmati delle telecamere di sorveglianza, trovarli e andare a parlarci”, dice a un suo collaboratore. Il viso è segnato dalle occhiaie, dalla fatica e dallo stress accumulati per amministrare un villaggio la cui esistenza affoga in un paradosso: nonostante sorga su una ricca falda, l’acqua è centellinata goccia per goccia. Le restrittive politiche israeliane in materia, aggravate dalla siccità nella Valle del Giordano, hanno causato una profonda crisi idrica che ha stravolto l’economia del luogo, portando i contadini a optare per l’agricoltura intensiva.

    Se Azem Hajj Mohammed è così preoccupato è perché l’accesso all’acqua garantisce la pace sociale a Furush Beit Dajan. Il villaggio si era costruito una reputazione e una posizione sul mercato agricolo palestinese grazie alle floride distese di alberi di limone, piante molto esigenti in termini di fabbisogni idrici. “Il profumo avvolgeva il villaggio come una nuvola. L’acqua sgorgava liberamente, alimentava i campi e un mulino. I torrenti erano così tumultuosi che i bambini rischiavano di annegare”, ricorda l’agricoltore ‘Abd al-Hamid Abu Firas. Aveva diciannove anni quando nel 1967 gli israeliani consolidarono il loro controllo sul territorio e le risorse idriche in Cisgiordania dopo la Guerra dei sei giorni. Da allora, l’acqua ha iniziato a ridursi.

    Nel 1993 gli Accordi di Oslo hanno di fatto conferito a Israele la gestione di questa risorsa, che oggi controlla l’80% delle riserve idriche della Cisgiordania. Le Nazioni Unite stimano che gli israeliani, compresi i coloni, abbiano accesso in media a 247 litri d’acqua al giorno, mentre i palestinesi che vivono all’interno dell’Area C, sotto controllo militare, si devono accontentare di venti litri. Solo un quinto del minimo raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità.

    Il progressivo esaurimento delle falde e le crescenti esigenze idriche delle vicine colonie israeliane di Hamra e Mekhora hanno spinto gli agricoltori a una scelta radicale: abbandonare le varietà di limoni autoctone per sostituirle gradualmente con le coltivazioni verticali e pomodori in serra, che presentano un rapporto tra produttività e fabbisogno idrico più alto. Secondo l’istituto olandese di Delft, specializzato su questi temi, per produrre una tonnellata di pomodori sono necessari mediamente 214 metri cubi d’acqua. La stessa quantità di limoni ne richiederebbe tre volte di più. L’acqua, tuttavia, ci sarebbe. La vicina colonia di Hamra -illegale secondo il diritto internazionale e costruita nel 1971 su terreni confiscati ai palestinesi- possiede una coltivazione di palme da dattero di 40 ettari: per produrre una tonnellata di questi frutti servono 2.300 metri cubi d’acqua, quasi dieci volte la quantità necessaria per la stessa quantità di pomodori.

    Le distese di campi di limoni hanno lasciato il posto a quelle che Rasmi Abu Jeish chiama le “case di plastica”. Il paesaggio è radicalmente mutato: il bianco delle serre ha sostituito il verde delle piante. Dei suoi 450 alberi di limone, il contadino ne ha lasciati in piedi soltanto 30 per onorare la tradizione familiare. Il resto dei suoi 40 dunum di terre (unità di misura di origine ottomana corrispondente a circa mille metri quadrati) sono occupate da serre.

    La diminuzione dell’acqua per l’irrigazione ha generato un cambiamento nei metodi di produzione, portando gli agricoltori ad aumentare le quantità di pomodori prodotte per assicurarsi entrate sufficienti. “Le monocolture rendono i contadini più vulnerabili alle fluttuazioni dei prezzi, più inclini a usare pesticidi e fertilizzanti per assicurarsi entrate stabili. Sul lungo termine questo circolo vizioso rende il terreno infertile e inutilizzabile per l’agricoltura”, avverte Muqbel Abu-Jaish, del Palestinian agricultural relief committees, che accompagna gli agricoltori del villaggio nella gestione delle risorse idriche.

    Senza l’ombra degli alberi di agrumi, anche le temperature registrate all’interno del villaggio sono aumentate, rendendo la vita ancora più difficile d’estate, quando nella Valle del Giordano si superano i 40 gradi. La mancanza di accesso all’acqua e la politica espansionistica dei coloni israeliani, aggravate dalla crisi climatica, hanno portato così l’agricoltura a contribuire soltanto al 2,6% del Prodotto interno lordo della Cisgiordania.

    Il cambiamento di produzione è stato affrontato con più elasticità dalla nuova generazione di agricoltori, non senza difficoltà. “Nonostante questa situazione abbiamo deciso di continuare. Il lavoro è diminuito molto ma qui non abbiamo altre possibilità. È come se senza l’acqua fosse sparita anche la vita. Dobbiamo adattarci”, racconta Saeed Abu Jaish, 25 anni, la cui famiglia ha ridotto i terreni coltivati da 15 a due dunum convertendoli interamente alla coltivazione di pomodori in serra. Oggi il villaggio fornisce circa l’80% dei bisogni del mercato palestinese di questo prodotto.

    Le difficoltà sono accentuate dall’impossibilità di costruire infrastrutture, anche leggere, per la raccolta e lo stoccaggio di acqua piovana. Tutto il villaggio si trova in Area C, sotto controllo amministrativo e militare israeliano, dove ogni attività agricola e di costruzione è formalmente vietata. Quando, nel 2021, il sindaco di Furush Beit Dajan ha fatto installare un serbatoio d’acqua per uso agricolo l’esercito israeliano si è mobilitato per smantellarlo nel volgere di poche ore. Come era accaduto ad altri 270 impianti idrici negli ultimi cinque anni.

    Il sindaco non può nemmeno avviare lavori di ammodernamento della rete idrica, risalente al mandato britannico terminato nel 1948. Dei nove pozzi da cui dipendeva il villaggio, la metà si sono prosciugati, mentre il flusso d’acqua di quelli restanti è diminuito inesorabilmente, passando da duemila metri cubi all’ora prima del 1967, a soli 30 metri cubi oggi, secondo il sindaco Azem Hajj Mohammed.

    Le restrizioni sull’erogazione dell’acqua in Cisgiordania hanno anche un’altra conseguenza, cruciale sul lungo periodo, in questo territorio conteso. Una legge risalente all’epoca ottomana e incorporata dal sistema legislativo israeliano permette infatti allo Stato ebraico di dichiarare “terra di Stato” tutti i campi palestinesi lasciati incolti per almeno tre anni. La carenza d’acqua, i costi, e la disperazione spingono così i contadini palestinesi ad abbandonare il loro terreni che, senza la possibilità di essere irrigati, non producono reddito e pesano sulle finanze familiari. “Non vedo possibilità di miglioramento nell’attuale status quo, con gli Accordi di Oslo che conferiscono il controllo dell’acqua ad Israele. Il numero di coloni aumenta costantemente mentre l’acqua diminuisce. Senza un cambiamento, la situazione non può che peggiorare”, analizza Issam Khatib, professore di Studi idrici e ambientali dell’Università di Birzeit.

    Adir Abu Anish ha 63 anni e coltiva ormai soltanto un sesto dei 50 dunum che possiede. Oltre alle serre di pomodoro, si è concesso di piantare delle viti che afferma essere destinate a seccarsi in un paio d’anni. Il torrente da cui si approvvigionava è contaminato dalle acque reflue provenienti dalla vicina città di Nablus, un caso di inquinamento che il sindaco ha portato in tribunale. All’ombra del suo vigneto, Abu Anish sospira: “Di solito i genitori lasciano in eredità ai loro figli possedimenti e ricchezze. Noi lasciamo campi secchi”.

    https://altreconomia.it/la-siccita-e-le-politiche-israeliane-assetano-i-contadini-palestinesi

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  • Citrus Farmers Facing Deadly Bacteria Turn to Antibiotics, Alarming Health Officials - The New York Times
    https://www.nytimes.com/2019/05/17/health/antibiotics-oranges-florida.html

    Since 2016, the Environmental Protection Agency has allowed Florida citrus farmers to use the drugs, streptomycin and oxytetracycline, on an emergency basis, but the agency is now significantly expanding their permitted use across 764,000 acres in California, Texas and other citrus-producing states. The agency approved the expanded use despite strenuous objections from the Food and Drug Administration and the Centers for Disease Control and Prevention, which warn that the heavy use of antimicrobial drugs in agriculture could spur germs to mutate so they become resistant to the drugs, threatening the lives of millions of people.

    The E.P.A. has proposed allowing as much as 650,000 pounds of streptomycin to be sprayed on citrus crops each year. By comparison, Americans annually use 14,000 pounds of aminoglycosides, the class of antibiotics that includes streptomycin.

    The European Union has banned the agricultural use of both streptomycin and oxytetracycline. So, too, has Brazil, where orange growers are battling the same bacterial scourge, called huanglongbing, also commonly known as citrus greening disease.

    “To allow such a massive increase of these drugs in agriculture is a recipe for disaster,” said Steven Roach, a senior analyst for the advocacy group Keep Antibiotics Working. “It’s putting the needs of the citrus industry ahead of human health.”

    But for Florida’s struggling orange and grapefruit growers, the approvals could not come soon enough. The desperation is palpable across the state’s sandy midsection, a flat expanse once lushly blanketed with citrus trees, most of them the juice oranges that underpin a $7.2 billion industry employing 50,000 people, about 40,000 fewer than it did two decades ago. These days, the landscape is flecked with abandoned groves and scraggly trees whose elongated yellow leaves are a telltale sign of the disease.

    The decision paves the way for the largest use of medically important antibiotics in cash crops, and it runs counter to other efforts by the federal government to reduce the use of lifesaving antimicrobial drugs. Since 2017, the F.D.A. has banned the use of antibiotics to promote growth in farm animals, a shift that has led to a 33 percent drop in sales of antibiotics for livestock.

    The use of antibiotics on citrus adds a wrinkle to an intensifying debate about whether the heavy use of antimicrobials in agriculture endangers human health by neutering the drugs’ germ-slaying abilities. Much of that debate has focused on livestock farmers, who use 80 percent of antibiotics sold in the United States.

    Although the research on antibiotic use in crops is not as extensive, scientists say the same dynamic is already playing out with the fungicides that are liberally sprayed on vegetables and flowers across the world. Researchers believe the surge in a drug-resistant lung infection called aspergillosis is associated with agricultural fungicides, and many suspect the drugs are behind the rise of Candida auris, a deadly fungal infection.

    Créer du doute là où il n’y en a pas, au nom de la science évidemment... une science « complète » qui est impossible avec le vivant, donc un argument qui pourra toujours servir.

    In its evaluation for the expanded use of streptomycin, the E.P.A., which largely relied on data from pesticide makers, said the drug quickly dissipated in the environment. Still, the agency noted that there was a “medium” risk from extending the use of such drugs to citrus crops, and it acknowledged the lack of research on whether a massive increase in spraying would affect the bacteria that infect humans.

    “The science of resistance is evolving and there is a high level of uncertainty in how and when resistance occurs,” the agency wrote.

    Since its arrival in Florida was first confirmed in 2005, citrus greening has infected more than 90 percent of the state’s grapefruit and orange trees. The pathogen is spread by a tiny insect, the Asian citrus psyllid, that infects trees as it feeds on young leaves and stems, but the evidence of disease can take months to emerge. Infected trees prematurely drop their fruit, most of it too bitter for commercial use.

    Taw Richardson, the chief executive of ArgoSource, which makes the antibiotics used by farmers, said the company has yet to see any resistance in the 14 years since it began selling bactericides. “We don’t take antibiotic resistance lightly,” he said. “The key is to target the things that contribute to resistance and not get distracted by things that don’t.”

    Many scientists disagree with such assessments, noting the mounting resistance to both drugs in humans. They also cite studies suggesting that low concentrations of antibiotics that slowly seep into the environment over an extended period of time can significantly accelerate resistance.

    Scientists at the C.D.C. were especially concerned about streptomycin, which can remain in the soil for weeks and is allowed to be sprayed several times a season. As part of its consultation with the F.D.A., the C.D.C. conducted experiments with the two drugs and found widespread resistance to them.

    Although the Trump administration has been pressing the E.P.A. to loosen regulations, Nathan Donley, a senior scientist at the Center for Biological Diversity, said the agency’s pesticides office had a long track record of favoring the interests of chemical and pesticide companies. “What’s in the industry’s best interest will win out over public safety nine times out of 10,” he said.

    A spokesman for the E.P.A. said the agency had sought to address the C.D.C.’s and F.D.A.’s concerns about antibiotic resistance by ordering additional monitoring and by limiting its approvals to seven years.

    #Antibiotiques #Citrons #Agrumes #Pesticides #Conflits_intérêt #Pseudo-science