• Sulle tracce della Storia

    Attraverso azioni di #guerriglia_odonomastica, il collettivo bolognese #Resistenze_in_Cirenaica accende i riflettori su una delle pagine più buie della Storia italiana: l’epoca coloniale.

    Padre Reginaldo Giuliani, Antonio Locatelli, Duca d’Aosta, Tripoli e Amba Alagi sono figure e luoghi legati al colonialismo italiano. Questo, però, non è l’unico aspetto che condividono. A tutti loro, infatti, Bolzano ha dedicato anche una strada: via Giuliani, via Locatelli, via Amba Alagi, via Duca d’Aosta si trovano nei pressi di piazza Vittoria; via Tripoli è un po’ più nascosta e sorge nelle vicinanze di via Fago. Se su alcuni monumenti che rimandano a una delle pagine più buie della Storia italiana – come il Monumento alla Vittoria o il bassorilievo di Piffrader – sono stati operati dei processi di ricontestualizzazione storica, rispetto all’odonomastica il dibattito culturale e accademico – a Bolzano come in tantissime altre città italiane – non ha prodotto ancora interventi concreti a livello strutturale.

    Di fronte a questo generale rimosso collettivo, in Italia e in Europa, si segnalano alcune eccezioni. Nel 2017, per esempio, il comune di Udine ha eliminato piazza Cadorna, modificandone l’odonimo in piazzale Unità d’Italia. Lo stesso anno a Madrid ha avuto luogo un lavoro di risignificazione ancora più profondo, quando l’amministrazione comunale ha eliminato 52 odonimi intitolati a Franco e ad altri personaggi della dittatura. A Berlino, invece, l’articolo 5 del Berliner Straßengesetzes prevede per legge la ridenominazione delle strade con riferimenti a “pionieri e sostenitori del colonialismo, della schiavitù e delle ideologie razziste-imperialiste”. A fianco di queste poche iniziative istituzionali, nell’ultimo decennio sono germogliate anche realtà che, coniugando ricerca e attivismo, intervengono con azioni di guerriglia odonomastica dal forte impatto storico, politico e sociale. L’esperienza che ha fatto da apripista a questo tipo di operazioni è quella del collettivo Resistenze in Cirenaica (RIC) di Bologna.

    Il rione resistente

    “Partendo dalle strade e dai luoghi dedicati al colonialismo italiano, Resistenze in Cirenaica intende operare una profonda critica storica e avviare processi di condanna politica per colmare il vuoto prodotto dalla rimozione delle tracce del colonialismo nella Storia, nella cultura e nella psiche del Paese”. Lo scrittore, traduttore e regista Jadel Andreetto, insieme a Mariana Eugenia Califano fondatore e anima del collettivo bolognese, descrive così gli obiettivi principali del cantiere culturale permanente nato nel 2015. A Bologna, il rione Cirenaica fu edificato durante gli anni della guerra italo-turca del 1910-1911. Proprio per celebrare l’impresa coloniale in Tripolitania e Cirenaica, nel 1913 una delibera del Consiglio Comunale approvò gli odonimi via Tripoli, via Bengasi, via Libia, via Due Palme, via Zuara, via Homs, via Cirene per il reticolo di strade comprese tra via San Donato e via San Vitale. “Nel 1949, la giunta comunale guidata dal sindaco Dozza, però, modificò i nomi delle strade della Cirenaica: il racconto condiviso dalla collettività non avrebbe più celebrato i luoghi del colonialismo fascista, ma avrebbe onorato i partigiani che contribuirono alla Liberazione di Bologna”, spiega Andreetto. Via Tripoli divenne via Paolo Fabbri, via Bengasi via Giuseppe Bentivogli, via Zuara prese il nome di via Massenzio Masia, via Due Palme quello di Mario Musolesi e così via. Solo un odonimo rimase immutato: via Libia.

    Questo è il terreno da cui nasce Resistenze in Cirenaica. L’uso del plurale è d’obbligo, perché, come puntualizza Andreetto, “plurale e meticcia fu la Resistenza al nazifascismo in Italia: tra i partigiani, infatti, c’erano persone Nere, disertori tedeschi, polacchi, turchi di origine ebraica, addirittura mongoli”. Le prime tracce dell’iniziativa risalgono al 2012, quando nel rione venne costruito un palazzo adiacente a uno spazio verde, fino a quel momento gestito autonomamente dagli abitanti della zona. “La proprietà dell’immobile avrebbe voluto includere nell’area di sua competenza anche il giardinetto, ma il quartiere si oppose con una mobilitazione trasversale”, racconta Andreetto. Il giardino rimase uno spazio pubblico, ma a questo punto necessitava di un’intitolazione. Sulla scia di quanto accaduto nel 1949, il quartiere propose di intitolarlo a Lorenzo Giusti, ferroviere e partigiano anarchico. “Avevamo già preparato una targa – ricorda l’attivista, – ma il Comune ne appose una diversa, la cui descrizione recitava ‛amministratore comunale’, poiché Giusti fu anche assessore”. I residenti della Cirenaica non poterono fare altro che coprire questa scritta con un adesivo che definiva Giusti “partigiano anarchico”, in linea con la volontà della famiglia e con la Storia del rione.

    Tre anni dopo la conquista di questo giardino, il 15 settembre 2015, il collettivo organizzò poi il primo trekking urbano lungo le strade della Cirenaica, a cui parteciparono 3.500 persone. Utilizzando un formato che intrecciava narrazione e performance musicale, Andreetto e soci raccontarono le storie “doppie” delle vie del rione, quelle legate al passato coloniale e quelle dei partigiani da cui ancora oggi prendono il nome. “L’obiettivo finale della nostra prima azione fu via Libia, l’unica ad aver mantenuto l’odonimo legato al colonialismo”, ricorda Adreetto. La notte prima dell’evento gli attivisti modificarono i cartelli ufficiali lungo tutta la via e, così, al mattino la Cirenaica si svegliò con una nuova strada, via Vinka Kitarović, in onore della partigiana croata che, dopo essere stata deportata in Italia, fuggì dalla prigionia e si unì alla Resistenza.

    La guerriglia odonomastica

    “Questa prima azione fu importante e non la rinneghiamo, ma capimmo subito che per raccontare in maniera più efficace la Storia avremmo dovuto percorrere una strada diversa”, afferma Andreetto. La rinominazione, quindi, è un’azione che oggi il collettivo utilizza solo in situazioni specifiche. Accade, per esempio, ogni otto marzo, quando il gruppo reintitola informalmente “piazzetta delle Partigiane” lo spazio che il Comune ha battezzato “piazzetta degli Umarells” o quando individua un luogo ancora “senza nome”, come capitato per lo spiazzo dedicato informalmente a Sylvia Pankhurst, giornalista inglese che per prima denunciò le violenze del colonialismo italiano in Etiopia, o a Violet Gibson, la donna anglo-irlandese che il 7 aprile 1926 sparò a Benito Mussolini e che dopo il fallito attentato venne estradata a Londra e rinchiusa nell’Ospedale per malattie mentali di Northampton, dove morì nel 1956.

    Una delle azioni a cui Resistenze in Cirenaica ricorre ancora spesso, invece, è la risignificazione delle vie. “Le parole sono incantesimi e quindi, attraverso il suo odonimo, ogni spazio che attraversiamo ci racconta una storia”, riprende Andreetto. Pertanto per esorcizzare il male evocato da un odonimo, per esempio “Libia”, il Collettivo agisce una “magia bianca”, attraverso un adesivo descrittivo – “luogo di crimini del colonialismo italiano” – e un QR Code che ne racconta la Storia. In questi dieci anni, inoltre, il gruppo bolognese ha dato vita anche a diversi progetti multimediali. Viva Zerai! è la mappa interattiva dei luoghi di una sterminata “topografia colonialista” fatta di edifici, monumenti, odonimi, lapidi e fantasmi che incarnano nel paesaggio l’eredità coloniale italiana. Secondo coordinate analoghe si muove anche Bennywise, una cartina dell’Italia in cui vengono segnalate le città che hanno dato e riconfermato la cittadinanza onoraria a Mussolini e ad altri gerarchi fascisti.

    Andreetto confessa che “ricostruire il quadro delle città ‛infestate’ è un’operazione complessa, perché non esiste un archivio ufficiale o un elenco completo e le informazioni sono spesso frammentarie”. Le segnalazioni pervenute a RIC, quindi, provengono perlopiù da privati cittadini e dalla stampa locale di tutta Italia. A oggi è emerso un quadro per certi versi curioso: ci sono città che dopo il 1945 hanno immediatamente revocato la cittadinanza a Mussolini – Napoli, Matera, Latina – e altre invece che anche in tempi recenti l’hanno riconfermata. Tra queste molte città governate dal centrosinistra, come Bologna, secondo cui la revoca costituirebbe un’operazione di cancel culture. “Noi siamo convinti che sia esattamente il contrario: togliendo le onorificenze a chi ne è indegno si sollecita la Storia e si incentiva un dibattito, mentre è proprio mantenendole che si evita il confronto critico con il passato e, quindi, lo si cancella”, sottolinea l’attivista.

    La Federazione delle Resistenze

    Accendendo i riflettori su una questione ancora molto attuale, il lavoro di Resistenze in Cirenaica ha catturato l’attenzione di collettivi e gruppi di altre città, portando presto la pratica della guerriglia odonomastica oltre i confini del capoluogo emiliano. Il primo contatto con l’“esterno” avviene nel 2020, poco prima del lockdown, quando RIC viene contattata da alcuni cittadini di Reggio Emilia, interessati a intervenire sui nomi coloniali delle strade della propria città. È il primo tassello di un puzzle più grande che prende il nome di Federazione delle Resistenze e che oggi conta molte città, tra cui Padova, Milano, Carpi, Lodi, Salò, Brescia, Roma e Palermo. La base del lavoro delle Resistenze è il rigore storico, ma l’ambito in cui si muove ciascuna esperienza è soprattutto la strada. Questo approccio ritorna anche nelle collaborazioni che gli attivisti della Cirenaica hanno instaurato con diverse Università di tutto il mondo – dall’Italia alla Germania, dalla Serbia agli Stati Uniti. “In questi momenti condividiamo le nostre pratiche in una parte teorica e con dei workshop, ma poi chiediamo ai partecipanti di portare in strada le loro conoscenze attraverso azioni di guerriglia odonomastica”, spiega Andreetto.

    È quanto successo, per esempio, in occasione di una conferenza che RIC ha tenuto alla Scuola IMT Alti Studi di Lucca. Qui, dopo aver partecipato a una lezione, gli studenti hanno guidato due trekking urbani lungo le vie e i monumenti della città dedicati al colonialismo. Ovviamente, la guerriglia odonomastica va declinata in base al contesto in cui ci si trova ad agire. "A Belgrado, operare in strada può essere particolarmente rischioso per via della presenza di gruppi di estrema destra legati a doppia mandata con la Russia, e quindi insieme alla realtà locale e a uno storico serbo abbiamo pianificato un intervento che fosse innocuo per chi lo avrebbe allestito e, successivamente, per chi ne avrebbe usufruito”. Da questo incontro è scaturito il progetto Landmark-Question mark, che ha visto le strade della capitale serba tappezzate con un punto di domanda rosso e un QR Code, che permetteva di accedere ai contenuti storici.

    “Il lavoro accademico è fondamentale, ma la Storia è viva e deve tornare a circolare in strada. Ed è proprio in questa dimensione on the road che continueremo a operare”, conclude Andreetto. Attualmente Resistenze in Cirenaica è impegnato nell’Operazione Guastafeste – “progetto nato per decostruire il mito nazionalista, colonialista e guerrafondaio dell’impresa di Fiume e della figura di D’Annunzio” – e porta avanti varie collaborazioni con altre realtà italiane e internazionali interessate ad applicare i princìpi della guerriglia odonomastica nella propria città. Ad aprile, il collettivo bolognese toccherà anche Bolzano, per una due giorni allo Spazio autogestito 77 (vedi infobox). Un impegno che non conosce sosta, quello di Resistenze in Cirenaica, ma d’altra parte, se le iniziative di un piccolo gruppo di persone partito da un rione di Bologna continuano a riverberarsi in tutto il mondo, appare evidente che la guerriglia odonomastica nelle sue varie declinazioni sia ancora oggi una pratica necessaria per contrastare le tenebre della rimozione storica e le narrazioni tossiche che infestano le nostre città.

    https://salto.bz/it/article/31032025/sulle-tracce-della-storia
    #toponymie #toponymie_coloniale #Italie #colonialisme_italien #Italie_coloniale #traces_coloniales #noms_de_rue #Bologne #Bologna

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    • Traduit en français :
      “Sur les traces de l’Histoire coloniale italienne” un texte de doctrine pour l’action odonymique décoloniale

      Néotoponymie publie ici un texte traduit par Cristina Del Biaggio. L’article original, de Alessio Giordano, a été publié le 3 avril 2025 dans le quotidien en ligne SALTO, journal bilingue du Haut-Adige (Italie), sous le titre “Sulle tracce della Storia“.
      L’article retrace les activités collectif activiste décolonial Resistenze in Cirenaica, basé à Bologne. Par le biais notamment d’actions dites de “guérilla odonymique” le collectif entend mettre en lumière l’une des pages les plus sombres de l’histoire italienne : l’ère coloniale. Ce texte témoigne de l’usage de performances toponymiques sur la signalétique par remplacement ponctuel de nom par affichage sur une plaque officielle, ou plus souvent par ajouts explicatifs.

      https://neotopo.hypotheses.org/10471
      ici aussi :
      https://seenthis.net/messages/1111530

  • But We Built Roads for Them. The Lies, Racism and Amnesia that Bury Italy’s Colonial Past

    In the fiery political debates in and about Italy, silence reigns about the country’s colonial legacy. By reducing the European colonial sweep to Britain and France, Italy has effectively concealed an enduring phenomenon that lasted close to 80 years (1882 to 1960). It also blots out the history of the countries it colonized in Northeastern Africa.

    Italian colonial history began in 1882 with the acquisition of Assab Bay and came to a formal end only on July 1, 1960, when the Italian flag was lowered in Mogadishu, Somalia. It began well before Mussolini’s rise to power and lasted for many years thereafter. It involved both the Kingdom of Italy in the liberal period and the Republic of Italy after World War II.

    #Francesco_Filippi challenges the myth of Italians being “good” colonialists who simply built roads for Africans. Despite extensive historiography, the collective awareness of the nations conquered and the violence inflicted on them remains superficial, be it in Italy or internationally. He retraces Italy’s colonial history, focusing on how propaganda, literature and popular culture have warped our understanding of the past and thereby hampered our ability to deal with the present.

    As in his previous No. 1 Italian bestseller Mussolini Also Did A Lot of Good, Filippi pits historical facts against tenacious popular myths about Italy and Italy’s colonial history.

    https://www.barakabooks.com/catalogue/italy-built-roads
    #colonialisme_italien #modernité #Italie #colonialisme #histoire_coloniale #mensonges #racisme #propagande #passé_colonial #livre

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  • Il colonialismo degli italiani. Storia di un’ideologia

    Cercare “posti al sole” in Africa per gli emigranti, lavoratori e “brava gente”: questa è l’idea che più di altre ha spinto gli italiani alla conquista di un impero coloniale, nella convinzione che i problemi sociali dovessero trovare una soluzione non in Italia, attraverso riforme o rivoluzioni, né all’estero, ma in terra d’Africa, sotto la bandiera italiana. Il volume racconta i 150 anni di un’ideologia capace di sopravvivere ai rovesci militari, all’ascesa e caduta di regimi, persino alla fine del colonialismo, ripercorrendo dal Risorgimento a oggi grandi progetti e grandi fallimenti, la nascita di una cultura coloniale sempre più diffusa e l’evoluzione di un’idea cantata da Pascoli, estremizzata da Mussolini, ereditata dalla Repubblica fino a diventare uno dei cardini dell’identità nazionale.

    http://old.carocci.it/index.php?option=com_carocci&task=schedalibro&Itemid=72&isbn=97888290150

    #idéologie #colonialisme #Italie #Italie_coloniale #colonialisme_italien #italiani_brava_gente #fascisme #identité_nationale #culture_coloniale
    #livre

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  • Mémoires. Genève dans le monde colonial

    Comment Genève a-t-elle traversé l’époque coloniale ? En quoi le Musée d’ethnographie est-il un acteur culturel majeur du contexte colonial ? Quels sont les futurs des collections qui y sont conservées ? Peut-on saisir aujourd’hui quelle est la véritable identité d’un objet, parfois des siècles après son entrée dans les collections muséales genevoises ?

    Autant de questions auxquelles cette exposition participative tente de répondre. De nombreux-ses partenaires ont accepté de construire avec le MEG un propos aligné avec l’actualité de la réflexion décoloniale. Nous les remercions d’avoir pris ce risque et de nous avoir accordé leur confiance. Un fil rouge relie toutes les histoires de cette exposition, celui de la #responsabilité du Musée envers les collections et de son engagement à tisser sur le long terme des relations respectueuses et apaisées avec leurs héritières et héritiers culturel-le-s.

    https://colonialgeneva.ch

    L’expo est super bien faite (je l’ai visitée hier) et tout a été mis en ligne sur ce site. C’est super !

    #exposition #musée #MEG #Genève #Genève_coloniale #Suisse #Suisse_coloniale #colonialisme_suisse #colonialisme #décolonial #objets

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  • Andrea Di Michele. Il segno coloniale

    Dopo decenni di rimozione collettiva, l’epoca delle colonie italiana viene oggi riletta in chiave critica. Di Michele, professore di Storia contemporanea a Bolzano, delinea le fasi di un passato ancora presente nelle piazze e nelle vie.

    Monumenti, mausolei, bassorilievi, intitolazioni di vie: le tracce del colonialismo italiano sono presenti ancora oggi in molte città. Negli ultimi anni il dibattito culturale e politico si è interrogato su come intervenire su queste opere. Lo storico Andrea Di Michele vede nelle iniziative di ricontestualizzazione la possibilità di leggere criticamente l’epoca coloniale italiana e di fornire alla cittadinanza gli strumenti per conoscere e approfondire questo periodo che costituisce una delle pagine più buie della storia del nostro Paese.

    Professor Di Michele, in quale cornice temporale si ascrive l’epoca coloniale italiana?
    ADM Si tende erroneamente a fare coincidere il colonialismo italiano con il fascismo, mentre il suo inizio si colloca immediatamente dopo l’unificazione del Paese e più precisamente nel 1869 con l’acquisto della baia di Assab, in Eritrea, da parte di una compagnia di navigazione privata. Nei primi anni Ottanta dell’Ottocento questo avamposto venne poi acquistato dallo Stato italiano e nel 1885 l’occupazione di Massaua segnò l’inizio dell’esperienza coloniale statale italiana.

    Come si sviluppò questo primo periodo coloniale?
    ADM In questa fase l’Italia fece i conti con i suoi limiti, subendo molte sconfitte. Nel 1887, a Dogali, cercò di espandere senza successo la propria posizione, arrivando a contare cinquecento morti tra le proprie fila. Ancora più pesante fu la sconfitta di Adua, in Etiopia, nel 1896: i morti italiani furono migliaia, il Governo Crispi cadde e la politica coloniale si arrestò temporaneamente per riprendere nel 1911 con la guerra di Libia.

    L’avvento del fascisco cambiò le cose?
    ADM Benito Mussolini ampliò le conquiste dell’Italia liberale e lo fece con una violenza inaudita nei confronti della popolazione civile. Ad esempio per invadere definitivamente la Cirenaica, all’inizio degli anni Trenta, più di un terzo della popolazione di questo territorio -circa 100mila persone- venne deportata e rinchiusa in veri e propri campi di concentramento con una tasso di mortalità spaventosa. Nel 1937, il fallito attentato a Rodolfo Graziani, a quel tempo viceré di Etiopia, scatenò una vera e propria caccia all’uomo che provocò migliaia di morti. Non va poi dimenticata la legislazione che portò alla “zonizzazione”, ovvero a un sistema di apartheid con aree separate per bianchi e neri.

    Il 1869 è stato l’anno in cui gli storici collocano l’inizio del colo-nialismo italiano che coincide con l’acquisto della baia di Assab, in Eritrea, da parte di una compagnia di navigazione privata

    La caduta del fascismo sancì una rottura con l’epoca coloniale?
    ADM No. Dopo il 1945 l’Italia cercò di mantenere il controllo dei territori che deteneva prima del fascismo. Vi fu anche una netta continuità nell’amministrazione pubblica: fino al 1953 ha operato il ministero dell’Africa italiana, in cui lavorava chi aveva le “competenze” giuste, ovvero chi aveva lavorato nel Paese fino a poco prima.

    Quando si è iniziato a guardare al passato coloniale italiano con uno sguardo critico?
    ADM L’immagine di un colonialismo italiano sostanzialmente un po’ “all’acqua di rose” ha resistito a lungo. Solo a partire dagli anni Ottanta una nuova generazione di studiosi si è interrogata sul ruolo dei fenomeni profondamente razzisti che avevano caratterizzato la storia d’Italia. Si sono ricostruite quindi le gravi responsabilità italiane nelle colonie, ad esempio per quanto riguarda l’uso dei gas, per molti anni negato. Poi dagli archivi militari sono emersi i documenti ufficiali, in molti casi tenuti prima volutamente nascosti, e con loro la verità storica.

    Secondo lei perché questo processo è stato così lento e osteggiato?
    ADM La politica della memoria è un tema molto caldo che rimanda spesso a dinamiche a livello nazionale e locale. Va inoltre sottolineato il ruolo giocato dalla presenza di forze politiche che non hanno mai rinnegato il passato fascista e coloniale. In questo senso è interessante monitorare cosa avviene nelle singole Regioni e nei Comuni, dove ancora oggi una determinata maggioranza politica e un certo clima consentono di intitolare monumenti e vie a personaggi che ebbero un ruolo drammatico in quel periodo storico.

    Ci può fare un esempio?
    ADM A Filettino, in provincia di Roma, nel 2012 è stato dedicato un mausoleo a Rodolfo Graziani. L’amministrazione comunale di destra si è giustificata dicendo di voler ricordare il proprio concittadino che fece “anche cose buone”.

    Che cosa fare con l’eredità architettonica e odonomastica del colonialismo?
    ADM Credo che la strada da percorrere non sia l’eliminazione di queste opere, ma la loro ricontestualizzazione. Ci sono, ad esempio, diversi progetti di mappatura dell’odonomastica, che coniugano ricerca e attivismo. Penso al caso di Bologna, dove “Resistenze in Cirenaica” (resistenzeincirenaica.com) ha operato una ridenominazione -non ufficiale ma parallela- delle vie, intitolandole a partigiani e ad altri personaggi politici e non della città. Un esempio forse unico è poi quello di Bolzano, con la risignificazione del Monumento alla Vittoria e del bassorilievo con il duce a cavallo.

    Di che cosa si tratta?
    ADM Il primo è un monumentale complesso marmoreo costruito tra il 1926 e il 1928, che celebrava la vittoria italiana sull’Austria-Ungheria nella Prima guerra mondiale. La seconda opera andò a decorare la “Casa Littoria”, sede del Partito nazionale fascista ed è costituita da 57 pannelli di larghezza variabile, alti 2,75 metri, posti su due file sovrapposte, per uno sviluppo lineare di 36 metri e una superficie di 198 metri quadrati.

    Quale intervento è stato fatto su queste due opere?
    ADM Nel 2011, un accordo tra Stato, Provincia e Comune di Bolzano ha previsto di accompagnare il restauro del Monumento con un intervento di contestualizzazione storica. Si è deciso di aprire al suo interno uno spazio museale su Bolzano, l’Alto Adige e i totalitarismi che ne hanno segnato la storia e di apporre all’esterno un segno visibile, che si è tradotto in un anello a led con un testo luminoso rotante recante la scritta “Un Monumento, una città, due dittature. Un percorso espositivo” intorno a una delle colonne dei fasci littori. Opposto è stato invece quanto fatto sul bassorilievo.

    “La strada da percorrere non è l’eliminazione delle opere, ma la loro ricontestualizzazione. Ci sono diversi progetti di mappatura dell’odonomastica, che coniugano ricerca e attivism0″

    Ovvero?
    ADM In questo caso l’equilibrio tra opera visiva e approfondimento storico è stato ribaltato. Si è scelto di privilegiare il linguaggio visivo ed emozionale, apponendo davanti al bassorilievo una frase di Hannah Arendt in tre lingue, italiano, tedesco e ladino: “Nessuno ha il diritto di obbedire”. Contestualmente nella piazza di fronte all’opera è stato realizzato un intervento di approfondimento storico con dei pannelli esplicativi.

    Che cosa ha reso possibile questo tipo di operazione a Bolzano?
    ADM La ricontestualizzazione di queste opere è avvenuta perché erano monumenti che continuavano a rappresentare un elemento di divisione e tensione tra i gruppi di lingua italiana e tedesca. Quello che per decenni ha rappresentato un problema quindi si è trasformato in una possibilità di apprendimento e approfondimento e, al contempo, il tema del monumentalismo fascista ha perso la sua carica divisoria.

    Questo intervento locale ha sortito qualche effetto a livello nazionale?
    ADM La stampa ha acceso i riflettori sul “caso-Bolzano” che però a oggi resta un esempio unico. Forse non è nemmeno necessario fare un lavoro del genere dappertutto, ma almeno nei luoghi dove un monumento ha un impatto a causa delle sue dimensioni sì. Penso all’Obelisco di Mussolini a Roma, dove un intervento sarebbe auspicabile. Se ne potrebbero immaginare differenti da quelli di Bolzano, magari legati a installazioni artistiche o utilizzando le nuove tecnologie.

    A quali progetti sta lavorando attualmente?
    ADM Da qualche settimana ho iniziato “Curating fascism”, un progetto in collaborazione con la facoltà di Design. Ho scritto un testo immaginando una passeggiata sulle tracce del colonialismo a Bolzano a partire dal retro del Monumento alla Vittoria, quindi la Colonna romana, le iscrizioni dei palazzi di Piazza Vittoria, le vie intitolate a personaggi e luoghi di quell’epoca come Reginaldo Giuliani e la battaglia dell’Amba Alagi. L’idea è di realizzare una pubblicazione in cui testo e immagini si combinino così da offrire alla cittadinanza e a chi visita la città una guida per conoscere i suoi monumenti, la loro storia e il loro significato.

    https://altreconomia.it/andrea-di-michele-il-segno-coloniale

    #toponymie #toponymie_coloniale #Italie #passé_colonial #présent_colonial #colonialisme_italien #Italie_coloniale #traces #recontextualisation #Erythrée #histoire_coloniale #Libye #fascisme #camps_de_concentration #Rodolfo_Graziani #Ethiopie #apartheid #zonizzazione #responsabilité #mémoire #politique_de_la_mémoire #Filettino #héritage #Bologne #Resistenze_in_Cirenaica #Bolzano #Monumento_alla_vittoria #Casa_Littoria #monuments #Reginaldo_Giuliani

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  • Italiani, brava gente ?

    Negli anni che vanno dall’unità del nostro Paese alla fine della seconda guerra mondiale si sono verificati molti episodi nei quali gli italiani si sono rivelati capaci di indicibili crudeltà. In genere le stragi sono state compiute...

    https://neripozza.it/libro/9788854503199

    #livre #Italie #histoire #colonisation #colonialisme #fascisme #colonialisme_italien #italiani_brava_gente #Angelo_del_Boca #WWII #seconde_guerre_mondiale
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    • Le livre a été traduit en anglais, avec un très beau titre :
      As Cruel as Anyone Else. Italians, Colonies and Empire

      Reveals a dark chapter in the Italian government’s colonial history that has been largely hidden from view.

      Between the end of the nineteenth century and over the first half of the twentieth, Italy invaded and occupied the Horn of Africa, Libya and several other territories. Yet recognition of this history of colonial destruction, racist violence and genocidal aerial and chemical warfare—carried out not only during the Fascist dictatorship but also under preceding liberal governments—has been consistently repressed beneath the myth that the Italians never truly practiced colonialism.

      The late journalist, historian, novelist, campaigner and former Resistance fighter Angelo Del Boca dismantles this myth. He expertly narrates episodes of state violence committed by Italians both abroad—from Ethiopia to Slovenia, from China to Libya—and ‘at home’ during the civil war following Unification in the 1860s or when the anti-Fascist Resistance faced off against the Republic of Salò after 1943. Attentive to the losses and pain suffered by all sides in war, Del Boca deftly demonstrates how such violence was not only a tool of domination but has also been central to creating and shaping an Italian ‘people’.

      Drawing on a lifetime of interviews as a special correspondent, decades of work in private and state archives and his own experiences during the Second World War, Del Boca’s popular and influential work has contributed to overturning views of Italian history. Presenting many historical episodes in English for the first time, As Cruel as Anyone Else provides a key to reading contemporary Italy, its place in international politics and the disturbing permanence of the far-right within mainstream Italian politics.

      https://www.seagullbooks.org/as-cruel-as-anyone-else

  • Il massacro di Addis Abeba

    Ci sono pagine della storia d’Italia che conosciamo ormai a memoria, e altre su cui ancora non è stata scritta la parola “fine”. E poi ci sono le pagine dimenticate, relegate all’oblio perché troppo dolorose. Anche quelle, però, fanno parte del nostro passato. In questo caso, del nostro passato di “potenza imperialista”. La mattina del 19 febbraio 1937, ad Addis Abeba, il viceré Rodolfo Graziani e le autorità italiane che da nove mesi governano un terzo dell’Etiopia celebrano la nascita del primo figlio maschio del principe Umberto di Savoia. Ma un gruppo d’insorti riesce a superare i controlli e, all’improvviso, otto bombe a mano seminano il caos tra quei notabili. Di fronte al bilancio — sette morti e decine di feriti, compreso lo stesso Graziani — il Duce ordina la repressione: “Tutti i civili e religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi”. È così che si scatena uno dei massacri più ignobili della parentesi coloniale italiana: giorni di terrore, tra omicidi e saccheggi, durante i quali migliaia di innocenti vengono trucidati con sistematica brutalità. Repressione che culmina, nel maggio dello stesso anno, con l’eccidio di centinaia di monaci, preti e pellegrini cristiani della Chiesa etiope, tutti disarmati, radunati nel monastero di Debra Libanos. Intanto, le Camicie nere ne approfittano per azzerare l’intellighenzia del Paese, in un vero e proprio pogrom.Con precisione accademica e passo narrativo, Ian Campell ricostruisce in questo saggio una delle atrocità meno conosciute del regime fascista, analizzandone premesse e conseguenze, senza fare sconti a nessuno. Perché è venuto il momento di guardare in faccia la realtà e l’orrore di quanto accaduto, per non dimenticare né le vittime né i carnefici.

    https://www.rizzolilibri.it/libri/il-massacro-di-addis-abeba
    #livre #Italie #Italie_coloniale #histoire_coloniale #colonialisme #Ethiopie #colonialisme_italien #massacre

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  • Plotone chimico. Cronache abissine di una generazione scomoda

    In queste preziosissime memorie sul colonialismo italiano in Etiopia e in particolare sulla strage di #Zeret, al rigore della testimonianza storica si intrecciano la pietà e l’amore per un popolo e un paese che hanno lasciato il segno nell’animo del soldato italiano #Alessandro_Boaglio. La società e la cultura indigene vengono viste con gli occhi di chi tornato in patria ricorda, rivive e rivede in chiave diversa comportamenti, azioni e stragi efferate delle quali l’autore è stato protagonista, essendo partito per l’impero come sergente maggiore di un reparto chimico.

    https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857501567

    #livre #Italie #Italie_coloniale #histoire_coloniale #colonialisme #Ethiopie #colonialisme_italien

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  • Cronache dalla polvere

    Nel 1936 l’esercito italiano conquista la capitale dell’impero etiope, Addis Abeba. Per quelle popolazioni un nuovo inizio: la #pace_romana, come la definì Benito Mussolini. Cronache dalla polvere racconta questa pagina di storia dell’Italia dimenticata e troppo a lungo taciuta: l’occupazione dei territori dell’Abissinia da parte delle truppe fasciste. Il regime ambiva a farne il fiore all’occhiello dell’Impero italiano ma si trovò a reprimere con atroce violenza la resistenza dei fieri guerriglieri arbegnuoc. Le truppe italiane insieme alle camicie nere si resero protagoniste di rastrellamenti, distruzioni e massacri di uomini, donne e bambini, abbandonando umanità e pietà. Perdute per sempre in quelle terre lontane da Roma. Le popolazioni locali non hanno mai dimenticato quel passato di inaudita violenza. Cronache dalla polvere è un’occasione per ricordare l’orrore della guerra e delle ideologie di superiorità della razza. Questa storia batte al tempo inesorabile dei tamburi di guerra, respira polvere e vento e ha gli occhi dei suoi protagonisti: soldati italiani, guerriglieri etiopi e alcune misteriose presenze. Fantasmi. Il paesaggio africano del secolo scorso rivive con una vena fantastica grazie al racconto corale del collettivo di scrittrici, scrittori e illustratori in tutta la sua spettacolare intensità e drammaticità.

    https://www.bompiani.it/catalogo/cronache-dalla-polvere-9788830100220
    #livre #colonialisme_italien #Italie_coloniale #colonialisme #Italie #histoire_coloniale #Abyssinie #fascisme #arbegnuoc #résistance #violence #Ethiopie #guerre_d'Ethiopie #Rodolfo_Graziani #massacre

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  • Storia del colonialismo italiano. Politica, cultura e memoria dall’età liberale ai nostri giorni

    Il colonialismo si è intrecciato con la storia d’Italia dall’Ottocento alla Seconda guerra mondiale e ha proiettato la sua ombra anche nel periodo repubblicano, fino ai giorni nostri. Muovendo dal più recente dibattito storiografico, il volume ricostruisce per la prima volta in maniera sistematica e sintetica la storia dell’espansionismo italiano in Africa in età liberale e durante il ventennio fascista e ripercorre le vicende delle sue eredità e implicazioni nell’Italia del secondo Novecento e del XXI secolo. Si raccontano non solo i progetti politici, le relazioni diplomatiche, le operazioni militari, le violenze dell’occupazione, le leggi razziste, ma anche i movimenti di persone da e per l’Africa e il modo con cui la scuola, i libri, i film, la scienza e i monumenti hanno reso possibile l’espansione, contribuendo a costruire immaginari che influenzano ancora oggi le vite di milioni di donne e di uomini.

    https://www.carocci.it/prodotto/storia-del-colonialismo-italiano

    #histoire #Italie #colonialisme_italien #Italie_coloniale #histoire_coloniale #fascisme #expansionnisme #Afrique

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  • Le invisibili

    L’oscuro passato di un’Italia coloniale raggiunge il presente attraverso le generazioni. Le storie private di due famiglie catapultano il lettore in una Storia che, come ogni altra epoca che l’ha preceduta e che seguirà, si consuma sul corpo delle donne, mentre nessuno guarda.

    https://neripozza.it/libro/9788854529120

    #livre #Italie_coloniale #colonialisme_italien #roman #Italie_coloniale #femmes #Elena_Rausa

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  • La memoria rimossa del massacro di Debre Libanos e dell’età coloniale italiana

    Tra il 20 e il 29 maggio 1937 le truppe italiane massacrarono più di duemila monaci e pellegrini al monastero etiope. Una strage che, come altri crimini di guerra commessi nelle colonie, trova spazio a fatica nel discorso pubblico, nonostante i passi fatti da storiografia e letteratura. Con quel passato il nostro Paese non ha mai fatto i conti, né sul piano giuridico né su quello materiale.

    “Questo avvocato militare mi ha comunicato proprio in questo momento che habet raggiunto la prova assoluta della correità dei monaci del convento di Debra Libanos con gli autori dello attentato. Passi pertanto per le armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vice-priore. Prego farmi assicurazione comunicandomi il numero di essi”.

    È il 19 maggio 1937. Con queste poche parole Rodolfo Graziani, “viceré d’Etiopia”, dà il via al massacro dei monaci di Debre Libanos, uno dei monasteri più importanti del Paese, il cuore della chiesa etiopica. Solo tre mesi prima Graziani era sopravvissuto a un attentato da parte di due giovani eritrei, ex collaboratori dell’amministrazione coloniale italiana, che agirono isolatamente, seppur vicini alla resistenza anti-italiana. La reazione fu spietata: tra il 19 e il 21 febbraio le truppe italiane, appoggiate dai civili e dalle squadre fasciste, uccisero quasi 20mila abitanti di Addis Abeba.

    Le violenze proseguirono per mesi e si allargarono in tutta la regione dello Scioa fino a raggiungere la città-monastero di Debre Libanos, a circa 150 chilometri dalla capitale etiope dove tra il 20 e il 29 maggio 1937 ebbe luogo il più grande eccidio di cristiani mai avvenuto nel continente africano.

    “Vennero massacrate circa duemila persone tra monaci e pellegrini perché ritenuti in qualche modo conniventi con l’attentato a Graziani -spiega ad Altreconomia Paolo Borruso, docente di storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano e autore del saggio “Debre Libanos 1937” (Laterza, 2020)-. Si è trattato di un vero e proprio crimine di guerra, poiché l’eccidio è stato qualcosa che è andato al di là della logica militare, andando a colpire dei religiosi, peraltro cristiani e inermi”.

    Al pari di molte altre vicende legate al passato coloniale italiano, a partire proprio dal massacro di Addis Abeba, anche la tragica vicenda di Debre Libanos è rimasta ai margini del discorso pubblico. Manca una memoria consapevole sulle responsabilità per gli eccidi e le violenze commesse dagli italiani nel corso della loro “avventura” coloniale per andare alla ricerca di un “posto al sole” in Libia, in Eritrea, Somalia ed Etiopia al pari delle altre nazioni europee, vengono ancora oggi occultate dalla coscienza pubblica.

    “La storiografia, a partire dal lavoro di Angelo Del Boca, ha fatto enormi passi avanti. Non c’è un problema di ricerca storica sul tema, quello che manca, piuttosto, è la conoscenza di quello che è avvenuto in quella fase storica al di là dei circoli degli addetti ai lavori”, puntualizza Valeria Deplano, docente di storia contemporanea all’Università di Cagliari e autrice, assieme ad Alessandro Pes di “Storia del colonialismo italiano. Politica, cultura e memoria dall’età liberale ai nostri giorni” (Carocci, 2024).

    Se da un lato è molto difficile oggi trovare chi nega pubblicamente l’uso dei gas in Etiopia, dall’altro è ancora molto diffusa l’idea che le violenze furono delle eccezioni riconducibili alle decisioni di pochi, dei vertici: il mito degli italiani “brava gente”, dunque, resiste ancora a ben sedici anni di distanza dalla pubblicazione dell’omonimo libro di Angelo Del Boca.

    Che l’Italia non abbia ancora fatto compiutamente i conti con il proprio passato coloniale lo dimostrano, ad esempio, le accese polemiche attorno alle richieste avanzate da attivisti e comunità afro-discendenti per modificare e contestualizzare la toponomastica delle nostre città o per una ri-significazione dei di monumenti che celebrano il colonialismo italiano (ad esempio l’obelisco che celebra i cinquecento caduti italiani nella battaglia di Dogali a Roma, nei pressi della Stazione Termini) (https://altreconomia.it/perche-serve-mappare-i-segni-del-fascismo-presenti-nelle-nostre-citta). Temi che vengono promossi, tra gli altri, dalla rete Yekatit 12-19 febbraio il cui obiettivo è quello contribuire a un processo di rielaborazione critica e collettiva del ruolo del colonialismo nella storia e nel presente dell’Italia e che vorrebbe il riconoscimento di una giornata nazionale del ricordo delle oltre 700mila vittime del colonialismo italiano.

    “C’è un rifiuto a riconoscere il fatto che i monumenti e le strade intitolate a generali e luoghi di battaglia sono incompatibili con i valori di cui la Repubblica dovrebbe farsi garante”, sottolinea Deplano ricordando come fu proprio nel secondo Dopoguerra che si costruì un racconto del colonialismo finalizzato a separare quello “cattivo” del regime fascista da quello “buono” dell’Italia liberale. Una narrazione funzionale all’obiettivo di ottenere dalle Nazioni Unite un ruolo nella gestione di alcune ex colonie alla fine della Seconda guerra mondiale: se l’Eritrea (la “colonia primigenia”) nel 1952 entra a far parte della Federazione etiopica per decisione dell’Onu, Roma ottenne invece l’Amministrazione fiduciaria della Somalia, esercitando un impatto significativo sulle sorti di quel Paese per decenni.

    “Invece ci fu continuità -sottolinea Deplano-. Furono i governi liberali a occupare l’Eritrea nel 1882 e ad aprire le carceri dove vennero rinchiusi i dissidenti eritrei, a dichiarare guerra all’Impero ottomano per occupare la Libia nel 1911 dove l’Italia fu il primo Paese a utilizzare la deportazione della popolazione civile come arma di guerra. Il fascismo ha proseguito lungo questa linea con ancora maggiore enfasi, applicando in Africa la stessa violenza che aveva già messo in atto sul territorio nazionale”.

    Con quel passato l’Italia non ha mai fatto i conti, né sul piano giuridico né su quello materiale. Come ricorda Paolo Borruso in un articolo pubblicato su Avvenire (https://www.avvenire.it/agora/pagine/su-debre-libanos-il-dovere-della-memoria-e-conquista-di-civilta), Graziani venne condannato a 19 anni di reclusione per collaborazionismo con la Repubblica sociale italiana, ma non per i crimini commessi in Africa. Le ex colonie ricevettero indennizzi irrisori e persino gli oggetti sacri trafugati a Debre Libanos e portati in Italia non furono mai ritrovati.

    “Gli italiani non possono ricordare solo quelle pagine della loro storia funzionali alla costruzione di un’immagine positiva, serve una consapevolezza nuova”, riflette Borruso. Che mette l’accento anche su una “discrasia pericolosa: da un lato la giusta memoria delle stragi nazi-fasciste commesse ‘in Italia’ e dall’altro la pubblica amnesia sulle violenze commesse ‘dall’Italia’ nelle sue colonie in Africa. Questo distacco dalla storia è molto preoccupante perché lascia la coscienza pubblica in balìa di pericolose derive disumanizzanti, aprendo vuoti insidiosi e facilmente colmabili da slogan e da letture semplificate del passato, fino alla riemersione di epiteti e attributi razzisti, che si pensava superati e che finiscono per involgarire la coscienza civile su cui si è costruita l’Italia democratica”.

    Se agli storici spetta il compito di scrivere la storia, agli scrittori spetta quello di tracciare fili rossi tra passato e presente, portando alla luce memorie sepolte per analizzarle e contestualizzarle. Lo ha fatto, ad esempio, la scrittrice Elena Rausa autrice di “Le invisibili” (Neri Pozza 2024) (https://neripozza.it/libro/9788854529120), un romanzo che si apre ad Addis Abeba, durante la rappresaglia del 1937 per concludersi in anni più recenti e che dà voce a uno dei “reduci” dell’avventura coloniale italiana e a suo figlio. “Ho voluto indagare in che modo le memorie negate dei traumi inflitti o subiti continuano a influenzare l’oggi -spiega ad Altreconomia-. Tutto ciò che non viene raccontato continua a esercitare delle influenze inconsapevoli: si stima che un italiano su cinque abbia nella propria storia familiare dei cimeli legati alle campagne militari per la conquista dell’Eritrea, della Libia, della Somalia e dell’Etiopia. In larga parte sono uomini che hanno fatto o, più facilmente, hanno visto cose di cui pochi hanno parlato”.

    A confermare queste osservazioni, Paolo Borruso richiama il suo ultimo saggio “Testimone di un massacro” (Guerini 2022) (https://www.guerini.it/index.php/prodotto/testimone-di-un-massacro), relativa al diario di un ufficiale alpino che partecipò a numerose azioni repressive in Etiopia, al comando di un reparto di ascari (indigeni arruolati), fino alla strage di Debre Libanos, sia pur con mansioni indirette di sorveglianza del territorio: una testimonianza unica, mai apparsa nella memorialistica coloniale italiana.

    Un altro filo rosso è legato alle date: l’invasione dell’Etiopia da parte delle truppe dell’Italia fascista ebbe inizio il 3 ottobre 1935. Quasi ottant’anni dopo, nel 2013, in quello stesso giorno più di trecento profughi, in larga parte eritrei ed etiopi, perdevano la vita davanti all’isola di Lampedusa. Migranti provenienti da Paesi che hanno con l’Italia un legame storico.

    E se oggi la migrazione segue una rotta che va da Sud verso Nord, in passato il percorso è stato inverso: “Come il protagonista del mio romanzo, anche il mio bisnonno è partito per l’Etiopia, ma non per combattere -racconta-. Migliaia di persone lasciarono l’Italia per lavorare in Etiopia e molti rimasero anche dopo il 1941. Anche in quel caso a partire furono persone che si misero in viaggio alla ricerca di condizioni migliori di vita per sé e per i propri figli. Ricordare anche quella parte di storia migratoria italiana significa riconoscere la radice inconsapevole del nostro modo di guardare chi oggi lascia la propria terra per compiere un viaggio inverso”.

    https://altreconomia.it/la-memoria-rimossa-del-massacro-di-debre-libanos-e-delleta-coloniale-it
    #colonialisme #Italie_coloniale #colonialisme_italien #massacre #Debre_Libanos #monastère #Ethiopie #histoire_coloniale #Rodolfo_Graziani #fascisme #Scioa #violence #crimes_de_guerre #mémoire #italiani_brava_gente #passé_colonial #toponymie #toponymie_politique #toponymie_coloniale #déportations

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    • Debre Libanos 1937. Il più grave crimine di guerra dell’Italia

      Tra il 20 e il 29 maggio 1937 ebbe luogo, in Etiopia, il più grave eccidio di cristiani mai avvenuto nel continente africano: nel villaggio monastico di Debre Libanos, il più celebre e popolare santuario del cristianesimo etiopico, furono uccisi circa 2000 tra monaci e pellegrini, ritenuti ‘conniventi’ con l’attentato subito, il 19 febbraio, dal viceré Rodolfo Graziani. Fu un massacro pianificato e attuato con un’accurata strategia per causare il massimo numero di vittime, oltrepassando di gran lunga le logiche di un’operazione strettamente militare. Esso rappresentò l’apice di un’azione repressiva ad ampio raggio, tesa a stroncare la resistenza etiopica e a colpire, in particolare, il cuore della tradizione cristiana per il suo storico legame con il potere imperiale del negus. All’eccidio, attuato in luoghi isolati e lontani dalla vista, seguirono i danni collaterali, come il trafugamento di beni sacri, mai ritrovati, e le deportazioni di centinaia di ‘sopravvissuti’ in campi di concentramento o in località italiane, mentre la Chiesa etiopica subiva il totale asservimento al regime coloniale. L’accanimento con cui fu condotta l’esecuzione trovò terreno in una propaganda (sia politica che ‘religiosa’) che andò oltre l’esaltazione della conquista, fino al disprezzo che cominciò a circolare negli ambienti coloniali fascisti ed ecclesiastici nei confronti dei cristiani e del clero etiopici, con pesanti giudizi sulla loro fama di ‘eretici’, scismatici. Venne a mancare, insomma, un argine ad azioni che andarono oltre l’obiettivo della sottomissione, legittimate da una politica sempre più orientata in senso razzista. I responsabili di quel tragico evento non furono mai processati e non ne è rimasta traccia nella memoria storica italiana. A distanza di ottant’anni, la vicenda riappare con contorni precisi e inequivocabili che esigono di essere conosciuti in tutte le loro implicazioni storiche.

      https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858141083
      #livre #Paolo_Borruso

    • Storia. Su Debre Libanos il dovere della memoria è conquista di civiltà

      Dal 21 al 27 maggio 1937 il viceré Graziani fece uccidere duemila etiopi. Un eccidio coloniale a lungo rimosso che chiede l’attenzione delle istituzioni e della storiografia.

      Il nome di Debre Libanos è tristemente legato al più grave crimine di guerra italiano, ordinato dal viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani come rappresaglia per un attentato da cui era sfuggito. È il più antico santuario cristiano dell’Etiopia, meta di pellegrini da tutto il paese. Il 12 Ginbot (20 maggio) ricorre la memoria della traslazione, nel 1370, dei resti di san Tekla Haymanot – fondatore nel XIII secolo della prima comunità monastica in quel sito –: è la festa più sacra dell’anno, particolarmente attesa a Debre Libanos non solo tra i monaci, ma da tutti i cristiani etiopici provenienti da ogni parte del paese. È il giorno di massima affluenza di persone nel monastero. Ed è il motivo che spinse il viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani ad una cinica pianificazione fin nei minimi dettagli. Tra il 21 e il 27 maggio 1937 i militari italiani, sotto la guida del generale Pietro Maletti, presidiarono il santuario e prelevarono i presenti, caricandoli a gruppi su camion verso luoghi isolati, dove ebbero luogo le esecuzioni, ordinate ai reparti coloniali musulmani per scongiurare possibili ritrosie degli ascari cristiani di fronte a correligionari. Nonostante le 452 esecuzioni dichiarate da Graziani per cautelarsi da eventuali inchieste, le indagini più recenti attestano un numero molto più alto, compreso tra le 1.800 e le 2.200.

      Sono passati 86 anni da quel tragico episodio, che andò molto al di là di una strategia puramente militare. Un «crimine di guerra», appunto, per il quale i responsabili non furono mai processati. Nel dopoguerra Graziani fu condannato a 19 anni di reclusione per collaborazionismo con la Repubblica sociale italiana, ma non per le violenze inflitte in Africa, e scontò solo quattro mesi in seguito ad amnistia, divenendo nel 1952 presidente onorario del Movimento sociale italiano, erede diretto del fascismo.

      Nell’Italia del dopoguerra, le esigenze del nuovo corso democratico spinsero a rimuovere memorie e responsabilità di quella violenta e imbarazzante stagione, potenziali ostacoli ad una sua collocazione nel campo occidentale auspicata da Usa e Inghilterra. Dei risarcimenti previsti dai trattati di pace del ‘47, fu elargita una cifra irrisoria, oltre i termini temporali stabiliti di dieci anni; i beni e arredi sacri trafugati a Debre Libanos e portati in Italia, mai ritrovati; unica restituzione, il noto obelisco di Axum, avvenuta nel 2004 (dopo quasi 60 anni!). Paradossalmente, la copertura dell’episodio parve una scelta obbligata anche per l’Etiopia di Haile Selassie, in nome di una ripresa del paese, dopo la fine dell’occupazione coloniale e della guerra mondiale, e di una inedita leadership internazionale negli anni della decolonizzazione, nonostante la persistenza di una ferita profonda mai rimarginata.

      Solo negli anni settanta, a partire dagli studi di Angelo Del Boca, l’«assordante» silenzio attorno ai «crimini» dell’Italia in Africa ha cominciato a dissolversi, decostruendo faticosamente il mito dell’«italiano brava gente». La storiografia ambiva divenire un polo di interlocuzione importante per la “memoria” pubblica del paese ed apriva la strada a nuove relazioni con l’Etiopia. Ne fu un segnale la visita ad Addis Abeba del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, nel 1997, il quale richiamò il tributo di sangue versato dal popolo etiopico durante la dolorosa esperienza dell’occupazione fascista e la necessità di quella memoria per rilanciare proficui rapporti di pace e cooperazione. Ricordo, successivamente, la proposta di Del Boca, nel 2006, di istituire una “giornata della memoria” per le vittime del colonialismo italiano, ma neppure fu discussa in parlamento, e quindi fu archiviata. È qui che la storiografia è chiamata a consolidare gli anticorpi di fronte rimozioni e amnesie che rischiano di erodere rapidamente la coscienza pubblica. È il caso del monumento in onore del maresciallo Graziani, eretto nel 2012 ad Affile, nel Lazio, con i fondi della Regione, ultimo eclatante atto di oscuramento della memoria, suscitando immediate reazioni della comunità scientifica e dell’associazionismo italiano.

      A partire dal 2016, alcuni articoli apparsi sulla stampa, tra cui ripetuti interventi di Andrea Riccardi, e lo sconcertante film documentario Debre Libanos, realizzato da Antonello Carvigiani per TV 2000, hanno richiamato l’attenzione su quell’eccidio fascista. Un riconoscimento pubblico venne esplicitato in quell’anno dal presidente Mattarella ad Addis Abeba, quando in un eloquente “silenzio” depose una corona di fiori al monumento della vittoria Meyazia 27, in piazza Arat Kilo, in memoria dei caduti della resistenza etiopica dell’epoca e salutò uno ad uno ex partigiani etiopici, ormai anziani. Sotto queste sollecitazioni, l’allora ministero della difesa emanò un comunicato stampa, che richiamava la tragica rappresaglia con cui «il regime fascista fece strage della comunità dei copti; monaci, studenti, e fedeli del monastero di Debra Libanos. L’eccidio durò vari giorni, crudele e metodico. In Italia con il silenzio di tutti, durante il fascismo ma anche dopo, l’episodio era stato dimenticato […]», e si assumeva l’impegno ad approfondirne le dinamiche storiche con la costituzione di un’apposita commissione di studiosi, militari ed esperti. Altre urgenze, tuttavia, s’imposero nell’agenda politica e l’iniziativa non ebbe seguito.

      L’attuale disattenzione da parte delle istituzioni dello Stato italiano chiama nuovamente in causa la storiografia per la sua funzione civile di preservazione della memoria storica. C’è, qui, una discrasia da colmare: a fronte degli eccidi nazifascisti sul territorio italiano – oggi noti, con luoghi memoriali di alto valore simbolico per la storia nazionale –, il massacro di Debre Libanos è accaduto in Africa, fuori dal territorio nazionale, in un’area rimasta, per decenni, assente anche sul piano storiografico, le cui responsabilità sono ascrivibili direttamente all’Italia e non possono essere negate né oscurate. Occorre, in questo senso, allargare i confini della memoria storica, rinsaldando il rapporto tra storia e memoria come un argine di resistenza fondamentale per la difesa di una cultura civile, oggi provata da un crescente e preoccupante distacco dal vissuto storico. Lo smarrimento del contatto con “quel” passato coloniale, e con quella lunga storia di rapporti con l’Africa, rischia di lasciare la coscienza pubblica in balìa di pericolose derive disumanizzanti e discriminatorie, potenziali o in atto.

      https://www.avvenire.it/agora/pagine/su-debre-libanos-il-dovere-della-memoria-e-conquista-di-civilta

  • La memoria rimossa. « Il Massacro di Addis Abeba »

    Il graphic novel racconta la strage che seguì al fallito attentato al governatore e viceré d’Etiopia #Rodolfo_Graziani, avvenuto ad Addis Abeba il 19 febbraio 1937. La feroce rappresaglia, che costò la vita a migliaia di etiopi, è una prova incontestabile del nostro comportamento coloniale utile a smontare il mito degli “#Italiani_Brava_Gente”.

    Destinato al pubblico più vasto, il lavoro di Giacopetti è pensato come strumento utile ad affrontare la storia coloniale anche nelle scuole, per questo include un agile glossario di termini, locuzioni e acronimi che arricchiscono la lettura.

    https://www.meltingpot.org/2024/03/la-memoria-rimossa-il-massacro-di-addis-abeba

    Pour télécharger la BD :
    https://resistenzeincirenaicacom.files.wordpress.com/2024/02/a5_il_massacro_di_addis_abeba_fumetto_federazione_delle_resistenze.pdf

    #bande_dessinée #BD #livre #massacre #Addis_Abeba #Italie #Italie_coloniale #colonialisme #mémoire #19_février_1937 #Ethiopie #colonialisme #histoire #Regno_d'Italia #impérialisme #colonialisme #Rubattino #baia_d'Assab #Ethiopie #Abyssinie #Adua #Regio_Esercito #Somalie #Pietro_Badoglio #Rodolfo_Graziani #passé_colonial #5_octobre_1935 #Italiani_brava_gente #fascisme #un_posto_al_sole #armes_chimiques #Empire #Benito_Mussolini #résistance #Arbegnuoc #Addis_Abeba #massacro_di_Addis_Abeba #Yekatit_12 #Guido_Cortese #vengeance #violence #bombardement #saccage #feu #incendie #représailles

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  • #Roma_coloniale

    Sul colonialismo italiano pesa il torto di una rimozione storica, culturale e politica, ancora inspiegabile: un buco nel registro delle morti del Novecento, pagine bianche nei manuali di storia nazionale.
    Il Colonialismo spiega, più di quel che si è portati a credere, il pregiudizio razzista che ancora oggi pervade le piaghe più nascoste della società italiana; un razzismo ordinario, che può esplodere, a certe condizioni, in episodi terribili, oppure continuare a covare sotto la cenere.

    Roma è una città distratta. Le tracce coloniali, incomprese, sono ovunque: viali, piazze, obelischi, cinema, statue, targhe, tutti omaggi dedicati all’impero. Si incontrano a Villa Borghese, al Circo Massimo, alla Stazione Termini, a San Giovanni, al Foro Italico, a Garbatella, a Casalbertone. E in un intero quartiere: quello Africano.
    Forse è venuto il momento di discuterne, di ricercarle e assegnare loro un significato storico più doloroso e più giusto, senza continuare a sperare nell’oblio.

    https://lecommariedizioni.it/prodotto/roma-coloniale
    #Rome #colonialisme #Italie #Italie_coloniale #colonialisme_italien #livre #traces #toponymie #toponymie_politique #toponymie_coloniale #noms_de_rue #liste #inventaire

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  • Ecco quello che hanno fatto davvero gli italiani “brava gente”

    In un libro denso di testimonianze e documenti, #Eric_Gobetti con “I carnefici del duce” ripercorre attraverso alcune biografie i crimini dei militari fascisti in Libia, Etiopia e nei Balcani, smascherando una narrazione pubblica che ha distorto i fatti in una mistificazione imperdonabile e vigliacca. E denuncia l’incapacità nazionale di assumersi le proprie responsabilità storiche, perpetuata con il rosario delle “giornate della memoria”. Ci fu però chi disse No.

    “I carnefici del duce” è un testo che attraverso alcune emblematiche biografie è capace di restituire in modo molto preciso e puntigliosamente documentato le caratteristiche di un’epoca e di un sistema di potere. Di esso si indagano le pratiche e le conseguenze nella penisola balcanica ma si dimostra come esso affondi le radici criminali nei territori coloniali di Libia ed Etiopia, attingendo linfa da una temperie culturale precedente, dove gerarchia, autoritarismo, nazionalismo, militarismo, razzismo, patriarcalismo informavano di sé lo Stato liberale e il primo anteguerra mondiale.

    Alla luce di tali paradigmi culturali che il Ventennio ha acuito con il culto e la pratica endemica dell’arbitrio e della violenza, le pagine che raccontano le presunte prodezze italiche demoliscono definitivamente l’immagine stereotipa degli “italiani brava gente”, una mistificazione imperdonabile e vigliacca che legittima la falsa coscienza del nostro Paese e delle sue classi dirigenti, tutte.

    Anche questo lavoro di Gobetti smaschera la scorciatoia autoassolutoria dell’Italia vittima dei propri feroci alleati, denuncia l’incapacità nazionale di assumere le proprie responsabilità storiche nella narrazione pubblica della memoria – anche attraverso il rosario delle “giornate della memoria” – e nell’ufficialità delle relazioni con i popoli violentati e avidamente occupati dall’Italia. Sì, perché l’imperialismo fascista, suggeriscono queste pagine, in modo diretto o indiretto, ha coinvolto tutta la popolazione del Paese, eccetto coloro che, nei modi più diversi, si sono consapevolmente opposti.

    Non si tratta di colpevolizzare le generazioni (soprattutto maschili) che ci hanno preceduto, afferma l’autore,­ ma di produrre verità: innanzitutto attraverso l’analisi storiografica, un’operazione ancora contestata, subissata da polemiche e a volte pure da minacce o punita con la preclusione da meritate carriere accademiche; poi assumendola come storia propria, riconoscendo responsabilità e chiedendo perdono, anche attraverso il ripudio netto di quel sistema di potere e dei suoi presunti valori. Diventando una democrazia matura.

    Invece, non solo persistono ambiguità, omissioni, false narrazioni ma l’ombra lunga di quella storia, attraverso tante biografie, si è proiettata nel secondo dopoguerra, decretandone non solo la radicale impunità ma l’affermarsi di carriere, attività e formazioni che hanno insanguinato le strade della penisola negli anni Settanta, minacciato e condizionato l’evolversi della nostra democrazia.

    Di un sistema di potere così organicamente strutturato – come quello che ha retto e alimentato l’imperialismo fascista – pervasivo nelle sue articolazioni sociali e culturali, il testo di Gobetti ­accanto alle voci dei criminali e a quelle delle loro vittime, fa emergere anche quelle di coloro che hanno detto no, scegliendo di opporsi e dimostra che, nonostante tutto, era comunque possibile fare una scelta, nelle forme e nelle modalità più diverse: dalla volontà di non congedarsi dal senso della pietà, al tentativo di rendere meno disumano il sopravvivere in un campo di concentramento; dalla denuncia degli abusi dei propri pari, alla scelta della Resistenza con gli internati di cui si era carcerieri, all’opzione netta per la lotta di Liberazione a fianco degli oppressi dal regime fascista, a qualunque latitudine si trovassero.

    È dunque possibile scegliere e fare la propria parte anche oggi, perché la comunità a cui apparteniamo si liberi dagli “elefanti nella stanza” – così li chiama Gobetti nell’introduzione al suo lavoro –­ cioè dai traumi irrisolti con cui ci si rifiuta di fare i conti, che impediscono di imparare dai propri sbagli e di diventare un popolo maturo, in grado di presentarsi con dignità di fronte alle altre nazioni, liberando dalla vergogna le generazioni che verranno e facendo in modo che esse non debbano più sperimentare le nefandezze e i crimini del fascismo, magari in abiti nuovi. È questo autentico amor di patria.

    “I carnefici del duce” – 192 pagine intense e scorrevolissime, nonostante il rigore della narrazione,­ è diviso in 6 capitoli, con un’introduzione che ben motiva questa nuova ricerca dell’autore, e un appassionato epilogo, che ne esprime l’alto significato civile.

    Le tappe che vengono scandite scoprono le radici storiche dell’ideologia e delle atrocità perpetrate nelle pratiche coloniali fasciste e pre-fasciste; illustrano la geopolitica italiana del Ventennio nei Balcani, l’occupazione fascista degli stessi fino a prospettarne le onde lunghe nelle guerre civili jugoslave degli anni Novanta del secolo scorso; descrivono la teoria e la pratica della repressione totale attuata durante l’occupazione, circostanziandone norme e regime d’impunità; evidenziano la stretta relazione tra la filosofia del regime e la mentalità delle alte gerarchie militari.


    Raccontano le forme e le ragioni dell’indebita appropriazione delle risorse locali e le terribili conseguenze che ne derivarono per le popolazioni, fino a indagare l’inferno, il fenomeno delle decine e decine di campi d’internamento italiani, di cui è emblematico quello di Arbe. Ciascun capitolo è arricchito da una testimonianza documentaria, significativa di quanto appena esposto. Impreziosiscono il testo, oltre ad un’infinità di note che giustificano quasi ogni passaggio – a riprova che nel lavoro storiografico rigore scientifico e passione civile possono e anzi debbono convivere – una bibliografia e una filmografia ragionata che offrono strumenti per l’approfondimento delle questioni trattate.

    https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/ecco-quello-che-hanno-fatto-davvero-gli-italiani-brava-gente
    #Italiani_brava_gente #livre #Italie #colonialisme #fascisme #colonisation #Libye #Ethiopie #Balkans #contre-récit #mystification #responsabilité_historique #Italie_coloniale #colonialisme_italien #histoire #soldats #armée #nationalisme #racisme #autoritarisme #patriarcat #responsabilité_historique #mémoire #impérialisme #impérialisme_fasciste #vérité #résistance #choix #atrocités #idéologie #occupation #répression #impunité #camps_d'internement #Arbe

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    • I carnefici del Duce

      Non tutti gli italiani sono stati ‘brava gente’. Anzi a migliaia – in Libia, in Etiopia, in Grecia, in Jugoslavia – furono artefici di atrocità e crimini di guerra orribili. Chi furono ‘i volenterosi carnefici di Mussolini’? Da dove venivano? E quali erano le loro motivazioni?
      In Italia i crimini di guerra commessi all’estero negli anni del fascismo costituiscono un trauma rimosso, mai affrontato. Non stiamo parlando di eventi isolati, ma di crimini diffusi e reiterati: rappresaglie, fucilazioni di ostaggi, impiccagioni, uso di armi chimiche, campi di concentramento, stragi di civili che hanno devastato intere regioni, in Africa e in Europa, per più di vent’anni. Questo libro ricostruisce la vita e le storie di alcuni degli uomini che hanno ordinato, condotto o partecipato fattivamente a quelle brutali violenze: giovani e meno giovani, generali e soldati, fascisti e non, in tanti hanno contribuito a quell’inferno. L’hanno fatto per convenienza o per scelta ideologica? Erano fascisti convinti o soldati che eseguivano gli ordini? O furono, come nel caso tedesco, uomini comuni, ‘buoni italiani’, che scelsero l’orrore per interesse o perché convinti di operare per il bene della patria?

      https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858151396
      #patrie #patriotisme #Grèce #Yougoslavie #crimes_de_guerre #camps_de_concentration #armes_chimiques #violence #brutalité

  • Partigiani d’oltremare. Dal Corno d’Africa alla Resistenza italiana

    Napoli, 1940. L’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale sorprende un gruppo di somali, eritrei ed etiopi chiamati ad esibirsi come figuranti alla #Mostra_delle_Terre_d’Oltremare, la più grande esposizione coloniale mai organizzata nel Paese. Bloccati e costretti a subire le restrizioni provocate dalle leggi razziali, i “sudditi coloniali” vengono successivamente spostati nelle Marche dove, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e lo sfaldamento dello Stato, alcuni decidono di raggiungere i gruppi di antifascisti, militari sbandati, prigionieri di guerra e internati civili che si stanno organizzando nell’area del #Monte_San_Vicino.

    Attraverso testimonianze, documenti e fotografie, l’autore ricostruisce il percorso di questi Partigiani d’Oltremare, raccontandone il vissuto, le possibili motivazioni alla base della loro scelta di unirsi alla Resistenza e la loro esperienza nella “#Banda_Mario”, un gruppo partigiano composto da donne e uomini di almeno otto nazionalità diverse e tre religioni: un crogiuolo mistilingue che trova nella lotta al fascismo e al nazismo una solida ragione unificante.

    https://www.pacinieditore.it/prodotto/partigiani-oltremare
    #Italie #résistance #exposition_coloniale #Italie_coloniale #colonialisme #histoire #colonialisme_italien #antifascisme #Marches #résistance #partisans #livre

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  • Perché è importante ricordare la storia di #Giorgio_Marincola, partigiano italo–somalo

    Cento anni fa nasceva uno dei pochi italiani afrodiscendenti nella storia della Resistenza, simbolo di una patria aperta e plurale che ancora oggi fa paura

    Figlio di un maresciallo di fanteria calabrese e di una donna somala, studente antifascista e partigiano. Il 23 settembre 1923 a Mahaddei Uen, presidio militare a cinquanta chilometri da Mogadiscio, nasceva Giorgio Marincola, uno dei pochi italiani afrodiscendenti nella storia della Resistenza.

    La sua vicenda è arrivata per la prima volta all’attenzione dell’opinione pubblica con Razza Partigiana (Iacobelli 2008) (http://www.razzapartigiana.it), una ricerca storica realizzata da due studiosi romani: Carlo Costa e Lorenzo Teodonio. Nonostante una circolazione tutto sommato limitata, il testo ha acceso una luce che negli ultimi quindici anni non si è più spenta sul partigiano italo-somalo, dando vita a numerose letture e presentazioni pubbliche, senza contare la pubblicazione di altri titoli legati alla sua figura. Tra questi il più importante è Timira. Romanzo meticcio (Einaudi 2012). Il libro è incentrato su Isabella, sorella minore di Giorgio scomparsa nel 2010, ed è stato scritto dal figlio Antar Mohamed Marincola e da Wu Ming 2, pseudonimo di Giovanni Cattabriga.

    Il riconoscimento da parte del padre Giuseppe dei due figli avuti da #Aschirò_Hassan e la decisione di portarli entrambi in Italia non sciolgono le contraddizioni di un rapporto sbilanciato e problematico, ma impediscono ingenerose semplificazioni. “A differenza di tante altre vicende, erano due persone che sostanzialmente si volevano bene”, sottolinea Teodonio.

    Dopo aver trascorso l’infanzia in Calabria con la famiglia dello zio paterno, nel 1933 Giorgio si trasferì a Roma. Nella capitale frequentò il liceo-ginnasio Umberto I ed ebbe come professore di storia e filosofia Pilo Albertelli, importante esponente antifascista ucciso alle Fosse Ardeatine. Questo incontro segnò profondamente il giovane Marincola.

    Nel 1943 entrò a far parte del movimento di liberazione nelle fila del #Partito_d’azione. Aderì alla #Resistenza_romana, spostandosi poi nel viterbese nella primavera del 1944, dove combatté in una formazione composta da partigiani di diverse aree e militari sbandati dopo l’8 settembre.

    All’indomani della liberazione di Roma il 4 giugno 1944, si offrì per l’arruolamento nell’intelligence militare britannica. Fu inserito in un’unità paramilitare che venne paracadutata in Piemonte, nel biellese. Arrestato durante un rastrellamento venne deportato al campo di concentramento di Bolzano. Sopravvissuto al lager, da cui uscì il 30 aprile 1945, decise di unirsi a una formazione partigiana della Val di Fiemme. Venne ucciso a Stramentizzo nell’ultima strage tedesca in territorio italiano il 4 maggio 1945.

    Secondo lo storico della mentalità e formatore Francesco Filippi “parlare della Resistenza fatta da persone come Giorgio Marincola, con un’idea di patria aperta e plurale lontana dalle brutalità razziste e dal nazionalismo becero di stampo fascista, potrebbe essere un ottimo esempio per l’antifascismo di oggi”.

    Sia Teodonio che Filippi ritengono che la figura di Giorgio Marincola abbia permesso di far emergere altre storie. Il pensiero di entrambi va alla vicenda rocambolesca raccontata da Matteo Petracci in Partigiani d’oltremare. Dal Corno d’Africa alla Resistenza italiana (Pacini Editore 2019), la storia di un gruppo di eritrei, somali, etiopi e libici che nel 1943 si ritrovarono bloccati nelle zone di montagna del centro Italia e decisero di unirsi alla Resistenza contro i nazifascisti. Petracci ha ricostruito attraverso testimonianze, documenti e fotografie l’esperienza di questi “sudditi coloniali” all’interno della “#Banda_Mario”, un gruppo partigiano composto da donne e uomini di almeno otto nazionalità diverse e tre religioni.

    Due anni dopo l’uscita di Razza Partigiana il sociologo Mauro Valeri pubblicò un libro dedicato al partigiano nero #Alessandro_Sinigaglia, nato a Fiesole da un ebreo di origini mantovane e da una donna afroamericana giunta in Italia come cameriera di una famiglia di Saint Louis.

    Il 9 settembre, in occasione dell’imminente centenario della nascita di Giorgio Marincola, la famiglia ha donato il suo piccolo ma prezioso archivio al Museo storico della Liberazione di via Tasso, a Roma.

    “Giorgio Marincola non è solo un mio parente. Non penso che i legami siano dettati dal sangue”, spiega il nipote Antar Mohamed, educatore e mediatore culturale che da anni vive e lavora a Bologna. “Per quanto mi riguarda i suoi cento anni servono a dire e dirci da che parte stiamo. Non ci sono messaggi o proclami da fare. Tuttavia ricordare che la memoria resistenziale italiana era qualcosa di sovranazionale stride in un Paese come il nostro in cui la cittadinanza è ancora legata al principio dello ius sanguinis”.

    Un’altra scelta politica che secondo alcuni stona non poco è quella adottata dall’attuale amministrazione comunale di Roma. Nell’estate del 2020 una petizione promossa dal giornalista Massimiliano Coccia e rilanciata da Roberto Saviano aveva ottenuto dall’allora sindaca Virginia Raggi l’impegno di intitolare la stazione della metropolitana Amba Aradam / Ipponio al partigiano italo-somalo Marincola.

    Ma come racconta Teodonio “l’attuale giunta Gualtieri con cui dovremmo avere un’affinità politica maggiore e che tra l’altro è composta da molti storici ha modificato questa intitolazione. Ad oggi il nome predisposto per quella fermata è Porta Metronia, senza richiamare né Giorgio né l’Amba Aradam, altopiano montuoso che dà il nome a una battaglia del 1936 che vide le truppe italiane utilizzare armi chimiche vietate dalle convenzioni internazionali contro migliaia di etiopi”.

    https://www.rollingstone.it/politica/attualita/perche-e-importante-ricordare-la-storia-di-giorgio-marincola-partigiano-italo-somalo/789405
    #histoire #résistance #Italie #afro-descendants #partisan #WWII #seconde_guerre_mondiale #mémoire

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    voir aussi ce texte que j’ai écrit pour le blog @neotoponymie :
    La guérilla odonymique gagne une bataille : une nouvelle station du métro romain sera dédiée à #Giorgio_Marincola, partisan italo-somalien, et non à un lieu d’oppression coloniale
    https://neotopo.hypotheses.org/3251
    https://seenthis.net/messages/871903

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    https://seenthis.net/messages/871953
    #colonialisme_italien

  • Le « #grand_dessein_africain » d’ENI. L’Italie et l’Afrique entre néo-impérialisme, indépendance énergétique et mémoire sélective.

    En #Italie, on parle peu de l’Afrique. Et quand on en parle, c’est pour lui attribuer la source de tous les maux du pays : l’immigration. Un phénomène instrumentalisé par une certaine rhétorique (de droite, mais de plus en plus répandue) pour désigner la cause de la criminalité, du chômage, du terrorisme, de la perte des valeurs et des traditions, entre autres.

    Il suffit de comparer les grands titres de la presse italienne et celle des autres pays européens pour s’apercevoir qu’en Italie, on parle peu de l’Afrique. En conséquence, les Italiens ignorent tout de ce continent si proche, de son présent comme de son passé. Ce que les Italiens ne savent pas, ne veulent pas savoir ou ne veulent pas que l’on sache, c’est avant tout la relation étroite qui lie historiquement leur pays au continent africain. Et nul n’est besoin de convoquer les temps anciens l’Empire romain ou les conquêtes coloniales extravagantes et cruelles du Royaume d’Italie pour mettre cette relation en lumière. Dans les années 60, du fait des luttes de libération, des intérêts économiques qui y étaient associés et du tiers-mondisme communiste et catholique, l’Afrique était une présence à l’horizon populaire de notre pays. Aujourd’hui, nous sommes passés de la fascination orientaliste et du désir de conquête à la peur, et l’Afrique a disparu de la carte géographique et mentale des Italiens. Pourtant, selon une étude de l’OCDE (l’Organisation de coopération et de développement économiques), l’Italie s’est classée au troisième rang des investisseurs mondiaux dans le continent, derrière la Chine et les Emirats arabes unis, sur la période 2015-2016.

    Pour ma recherche de doctorat en études urbaines à l’université de Bâle, je me suis fixé pour objectif de rattacher les fils de ces multiples relations à partir de la fin des #conquêtes_coloniales proprement dites. Mon projet s’intéresse en particulier au « grand dessein africain » de la société nationale d’hydrocarbures (l’ente nazionale idrocarburi) ou ENI, autrement dit, à la pénétration systématique du continent pour conquérir de nouvelles #ressources et de nouveaux marchés potentiels. Le « grand dessein » n’avait ni la précision ni la finesse de détail d’un véritable projet ; il s’agissait plutôt une vision expansionniste fondée sur des stratégies diplomatiques, politiques, économiques, propagandistes et infrastructurelles.

    La « pénétration » de l’ENI a été favorisée par la situation géopolitique instable qui prévalait autour de 1960, dite l’Année de l’Afrique, qui vit la dissolution des empires coloniaux et la formation ultérieure de nouveaux Etats-nations luttant pour leur indépendance politique et énergétique. Au cours de ces années, l’entreprise d’Etat italienne a réussi à se transformer en multinationale pétrolière et à rivaliser avec les majors du secteur, à la faveur de contrats plus avantageux pour les Etats hôtes (la fameuse « formule Mattei ») et une attitude paternaliste de soutien aux nouveaux dirigeants africains et à leurs revendications. Une situation rendue possible par les financements de l’Etat italien qui, un peu comme c’est le cas aujourd’hui pour les entreprises chinoises qui opèrent en Afrique, était en mesure de fournir des prêts à long terme assortis de faibles taux d’intérêt, surclassant les offres des sociétés privées.

    Pour concrétiser leurs visions de développement, les dirigeants africains d’alors ont su profiter de la guerre froide en obtenant des soutiens financiers et technologiques des deux blocs, hors de tout discours idéologique. Dans le cadre de ce scénario, ENI a su tenir, de façon magistrale (et ambiguë), le rôle de compagnie pétrolière multinationale et celui d’entreprise d’Etat menant une politique énergétique bénévole à l’égard des pays en voie de développement et sans préjugés, indépendamment des règles imposées par le cartel des multinationales pétrolières et des limites imposées par l’appartenance de l’Italie au bloc occidental.

    En quelques années, ENI et ses sociétés filiales, parmi lesquelles Agip, la plus connue et la plus visible puisqu’elle assure la vente de carburant au détail, ont réussi à pénétrer le marché et le territoire de plus de 20 nouveaux pays africains, de l’Afrique du Nord (Egypte, Maroc et Tunisie) et des anciennes colonies italiennes (Libye, Ethiopie, Erythrée) jusqu’à l’Afrique subsaharienne (Ghana, Congo, Nigeria et Tanzanie, pour n’en citer que quelques-uns).

    Ma thèse de doctorat étudie en particulier l’aspect matériel, spatial et propagandiste du dessein africain qui a permis au célèbre chien à six pattes, « l’ami fidèle de l’homme à quatre roues » comme disait le slogan d’Agip, de se dresser le long des routes d’une grande partie du continent. Les infrastructures pétrolières, des raffineries aux stations-service, ont joué un rôle fondamental dans cette pénétration, en liant de manière indissoluble le destin des nouveaux pays africains à l’entreprise italienne.

    Par un changement de perspectives et un renversement de la vision italo-centrée de l’entreprise d’Etat et de ses filiales, cette recherche se concentre sur l’Afrique et s’efforce de comprendre quelle a été son influence – matérielle et culturelle – sur ENI et sur l’Italie de l’après-guerre.

    Ce processus permet de voir comment les ressources extraites en Afrique et au Moyen-Orient sont devenues (avec les financements du plan Marshal) la matière première du boom industriel et économique de l’Italie d’après-guerre et montre comment l’expansion post-coloniale d’ENI a contribué à créer l’image d’un pays moderne et technologiquement avancé.

    Ce qui s’est véritablement matérialisé à partir du « grand dessein » initial est donc le résultat positif de négociations et de tractations, en dépit de multiples échecs, changements de caps et renoncements. Le projet entrepris dans les années 1950, que l’on peut considérer comme encore en cours, constitue la base de la présence actuelle d’ENI dans le continent africain. En effet, avec plus de 8 milliards d’euros investis, ENI est aujourd’hui le troisième investisseur privé sur le continent. Et même si bien des choses ont changé au cours de 60 dernières années, sa présence dans des pays comme le Nigeria et la Libye ne s’est jamais interrompue.

    Etudier le parcours complexe et ambigu d’ENI permet de comprendre l’histoire de l’Italie d’après-guerre et de faire la lumière sur certains aspects, trop souvent ignorés, de sa relation embrouillée et complexe avec le continent africain.

    Image : propagande d’ENI représentant l’enseigne d’une station-service Agip avec le mont Kilimandjaro en toile de fond ; tirée de l’article « Dal Mediterraneo al Kilimanjaro », publié en 1976 dans le journal d’entreprise d’ENI, « Ecos. ».

    https://blogs.letemps.ch/istituto-svizzero/2020/12/16/le-grand-dessein-africain-deni-litalie-et-lafrique-entre-neo-imperiali

    #Italie #ENI #histoire #Enrico_Mattei #grande_disegno_africano #néo-colonialisme #formula_Mattei #paternalisme #post-colonialisme #Agip #colonialisme_italien #expansionnisme #multinationale #pétrole #Giulia_Scotto

  • Mediterraneo nero. Archivio, memorie, corpi

    L’importanza di una riflessione sul Mediterraneo nero è legata alle profonde trasformazioni, in termini culturali, sociali ed economici, che avvengono non solo in Europa, ma nel mondo intero. Oggi è necessario leggere il Mediterraneo in una prospettiva globale e transnazionale, ma anche quale archivio di memorie, pratiche e immagini che stanno ridiscutendo le geografie culturali. Centro di questo sistema epistemologico è il corpo, il rapporto di prossimità e distanza non solo con l’Europa, ma anche con una parte specifica del suo passato: il colonialismo e lo schiavismo. Connettendo passato e presente, l’autore si sofferma sulle memorie orali delle migrazioni raccolte in Italia: voci di etiopi, eritrei, somali e di persone che potremmo definire ‘seconde generazioni’ a proposito delle traversate mediterranee. L’obiettivo è quello di contribuire a una nuova riflessione sul rapporto tra il Mediterraneo nero e la riscrittura/reinvenzione dell’Europa e dell’identità europea.

    http://www.manifestolibri.it/shopnew/product.php?id_product=801

    #Méditerranée_noire #Méditerranée #livre #mémoire #corps #proximité #distance #passé #colonialisme #esclavage #passé_colonial #mémoire_orale #deuxième_génération #identité #identité_européenne #Gabriele_Proglio

    Et plein d’autres ressources intéressantes de ce chercheur (historien) sur son CV :
    https://www.unisg.it/docenti/gabriele-proglio
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    ping @olivier_aubert @cede

    • The Horn of Africa Diasporas in Italy

      This book delves into the history of the Horn of Africa diaspora in Italy and Europe through the stories of those who fled to Italy from East African states. It draws on oral history research carried out by the BABE project (Bodies Across Borders: Oral and Visual Memories in Europe and Beyond) in a host of cities across Italy that explored topics including migration journeys, the memory of colonialism in the Horn of Africa, cultural identity in Italy and Europe, and Mediterranean crossings. This book shows how the cultural memory of interviewees is deeply linked to an intersubjective context that is changing Italian and European identities. The collected narratives reveal the existence of another Italy – and another Europe – through stories that cross national and European borders and unfold in transnational and global networks. They tell of the multiple identities of the diaspora and reconsider the geography of the continent, in terms of experiences, emotions, and close relationships, and help reinterpret the history and legacy of Italian colonialism.

      https://link.springer.com/book/10.1007/978-3-030-58326-2#toc

    • Libia 1911-1912. Immaginari coloniali e italianità

      L’Italia va alla guerra per conquistare il suo ’posto al sole’ senza realmente sapere cosa troverà sull’altra sponda del Mediterraneo. Il volume analizza la propaganda coloniale e, in particolare, la stretta relazione tra la costruzione narrativa della colonia libica e le trasformazioni dell’italianità. All’iniziale studio degli immaginari sulla Libia precedenti il 1911, segue una disamina di quelle voci che si mobilitarono a favore della guerra, partendo dai nazionalisti di Enrico Corradini con i riferimenti all’Impero romano, al Risorgimento, al mito della ’terra promessa’. L’archivio coloniale è indagato anche attraverso lo studio delle omelie funebri per i soldati caduti durante la guerra, con immagini che vanno dal buon soldato al figlio della patria. Un altro campo d’analisi è quello dell’infanzia: i discorsi dei docenti sul conflitto, del «Corriere dei Piccoli» e della letteratura per ragazzi lavorano per «costruire» i corpi dei piccoli italiani. Non manca, infine, lo studio della letteratura interventista: Gabriele D’Annunzio, Giovanni Pascoli, Filippo Tommaso Marinetti, Matilde Serao, Ezio Maria Gray, Umberto Saba, Ada Negri, Giovanni Bevione.

      https://www.mondadoristore.it/Libia-1911-1912-Immaginari-Gabriele-Proglio/eai978880074729
      #imaginaire_colonial #italianité #Libye

  • Ethiopie, la légende #Luciano_Vassalo n’est plus

    https://africafootunited.com/ethiopie-carnet-noir-la-legende-luciano-vassalo-nest-plus

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    LUCIANO VASSALLO : IL MAGNIFICO SUPERSTITE

    L’incredibile storia di Luciano Vassallo, italo-eritreo, protagonista assoluto della vittoria dell’Etiopia alla Coppa d’Africa del 1963, miglior calciatore della competizione, miglior calciatore etiope della storia, definito il «Di Stefano africano». Una bellissima storia di discriminazione razziale nell’Eritrea colonia italiana, di straordinari successi sportivi, di fuga dalla dittatura di Menghistu, fino alla nuova vita costruita a Roma. Di seguito la versione italiana del pezzo uscito oggi su France Football.

    http://www.antoniofelici.it/2013/01/luciano-vassallo-il-magnifico-superstite.html

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    Luciano Vassallo e Coppa Africa

    Nel 1968, prima di lasciare definitivamente l’Eritrea, dove sono nato e cresciuto, seguii per l’ultima volta come redattore sportivo del Quotidiano Eritreo la Coppa Africa di calcio, che si disputava in quello che era allora l’Impero Etiopico di Haile Sellassie I, Negus Neghesti, Re dei Re, Leone Conquistatore della Tribù di Giuda. Ricordo che la squadra del Congo era venuta all’Asmara per il girone di qualificazione e il suo gioco mi aveva incantato. Ricordo un giovane giornalista congolese con un nome che in italiano era femminile che era sorpreso di essere trattato alla pari da un collega bianco. Ricordo che le speranze etiopiche erano grandi perché sei anni prima la squadra di casa aveva vinto la finale contro l’Egitto ad Addis Abeba per 4-2 e il capitano aveva ricevuto il trofeo dalle mani dell’Imperatore. Quel capitano era il mio amico Luciano Vassallo, che aveva speso inutilmente qualche ora a tentare di insegnarmi come toccare la palla con la parte esterna del piede, da fermo, per spostarla lateralmente e lasciare in asso il difensore avversario. Era una mossa che aveva inventato lui e della quale era molto fiero. Non riuscii mai a farla come aveva tentato di insegnarmi.

    In quella Coppa Africa, vinta dalla squadra congolese che aveva un attacco brillante e un portiere fenomenale, l’Etiopia non arrivò alla finale, dovette accontentarsi del quarto posto, ma Luciano Vassallo fu votato miglior giocatore del torneo.

    Negli anni successivi ci fu la diaspora degli italiani dell’Eritrea. La guerra civile che covava dal 1962, anno in cui l’Etiopia aveva seppellito la Federazione e incamerato l’Eritrea fra le province dell’Impero, aveva portato alla rivoluzione e al terrore rosso del colonnello Menghistu Hailemariam. Io, che dal giornale avevo un osservatorio privilegiato, me n’ero andato già nel 1968, altri avevano tenuto duro fino al 1973-74, ma poi chi non se l’era sentita di unirsi ai partigiani eritrei e di andare nella boscaglia a combattere i carri armati e i jet etiopi aveva dovuto comunque prendere la strada dell’esilio. Fra loro Luciano Vassallo.

    Non ne avevo saputo più niente fino a quando, la settimana scorsa, Emanuela Curnis, già console d’Italia a Città del Capo, mi ha mandato da New York la copia di un ritaglio di giornale con la nota: “Ho appena letto l’articolo allegato e non ho potuto non pensare al Ciro asmarino che potrebbe avere anche conosciuto questa persona”. Grazie Emanuela.

    Eccovi dunque la storia di Luciano Vassallo come è stata pubblicata dall’Avvenire il 31 gennaio 2013:

    Vassallo, il re del gol cancellato dall’Etiopia –

    La vicenda sportiva e umana di un eritreo (figlio di un ufficiale italiano) che negli anni Sessanta era il capitano della nazionale etiope di cui è ancora il recordman con 104 gare disputate e 90 gol segnati –

    Massimiliano Castellani –
    Avvenire del 31 gennaio 2013 –

    Girma alza le braccia sotto il cielo di Nelspruit (Sudafrica). Esulta felice, quasi incredulo per il gol segnato ai campioni d’Africa dello Zambia. Grazie a quella rete, l’Etiopia è riuscita a pareggiare la sua prima (e sola) partita di Coppa d’Africa dopo 31 anni di assenza dalla competizione continentale.

    Spento il televisore il nostro primo pensiero è stato: chissà se Girma ha mai sentito parlare di Luciano Vassallo? Un eroe dimenticato del calcio africano, un capitano, come Girma, la “bandiera” di quella nazionale che riportò ad Addis Abeba l’unica Coppa d’Africa conquistata dall’Etiopia. Il perche di questa «storia insabbiata», ce lo racconta la viva voce del 77enne Luciano Vassallo dalla sua casa di Marcellina (Roma).

    «I ricordi mi fanno stare ancora male, ma questa storia vorrei tanto che arrivasse al cuore dei giovani etiopi e anche di quelli italiani…».

    Quella di Luciano è stata una giovinezza e un’esistenza tutta in salita. «Nostra madre Mebrak (“Luce” in italiano) ad Asmara mi mise al mondo nel 1935 – l’anno dell’invasione delle truppe italiane – e cinque anni dopo nacque il mio “fratellino” Italo», comincia il racconto in un italiano che conserva forte l’accento dell’«eritreo, cattolico apostolico e romano», dice orgoglioso.

    «Nostro padre, Vittorio Vassallo, era un ufficiale dell’esercito coloniale di Mussolini, ma noi non lo abbiamo mai conosciuto. Di suo c’è rimasto solo il cognome. Così la mamma, tra stenti e mille rinunce, ci ha cresciuti da sola povera donna». L’infanzia di due ragazzini meticci, orfani di un padre di cui si persero subito le tracce e che vennero emarginati fin dai banchi di scuola. «Gli etiopi ci consideravano dei “bastardi”. Con gli italiani era la stessa storia. Per via delle leggi razziali anche i coloniali ci trattavano con disprezzo. Eravamo additati come i “figli delIa colpa”. Sfottuti e umiliati tutti i giorni, così in terza elementare ho abbandonato gli studi».

    Quello che poi ha appreso e gli è servito nella vita gliel’ha insegnato la strada, dove cominciò presto a tirare calci ad un pallone fatto di stracci. «Ma il calcio è sempre venuto dopo il lavoro. Grazie a un milanese, un certo Cattaneo, entrai, ragazzino, nell’officina delle Ferrovie e imparai il mestiere di meccanico. Finito il turno mi allenavo con una formazione di soli meticci, la Stella Asmarina. Il nostro “meticciato” si riconosceva già dalla maglia: era nera con una striscia sottile, bianca, che indicava il colore della pelle del genitore che ci aveva generati».

    Dalla squadra dei meticci al Gaggiret e poi in una formazione di italiani, il Gs Asmara. “Un anno eravarno arrivati a un passo dalla vittoria del titolo nazionale, ma la federazione fece di tutto per impedirlo e ci riuscì». In quel campionato al quale partecipavano 12 squadre, Vassallo ci tiene a sottoIineare che «c’erano tanti calciatori di notevole livello tecnico che non avrebbero sfigurato nel campionato italiano. Uno di questi era mio fratello Italo, la punta di diamante dell’Hamasien». Due fratelli unitissimi fuori, ma mai in campo, almeno con le squadre di club si ritrovarono sempre da avversari. Poi, finalmente, assieme nella nazionale del 62. «Eravamo una squadra fortissima come non si e più rivista in Etiopia. Io e Italo disputammo una Coppa d’Africa eccezionale e nella finale di Addis Abeba, vinta contro l’Egitto, due dei 4 gol (la gara finì 4-2) li segnammo noi, i fratelli Vassallo». Una rete del bomber ltalo e una di Luciano, il capitano, il primo a salire sul palco delle autorità per ricevere la Coppa direttamente dalle mani dell’Imperatore, sua maestà Haile Selassie (foto). «Un grande uomo Selassie, fatto fuori (scomparso misteriosamente il 27 agosto 1975) da quelle “iene” del regime militare, il terrorismo rosso scatenato da Menghistu Haile Mariam».

    Menghistu era anche il nome del calciatore che segnò il 4° gol nella finale della Coppa d’Africa del ’62. «E infatti per l’omonimia con quell’aguzzino, nell’albo ufficiale tutti e 4 i gol adesso risultano realizzati da Menghistu. Hanno scandalosamente cancellato i nostri nomi dalle statistiche dei marcatori». Luciano Vassallo a tutt’oggi invece sarebbe il calciatore con più presenze nella nazionale d’Etiopia. «Ho indossato quella maglia 104 volte e sono anche il miglior marcatore di sempre con 90 gol – ci tiene a precisare -. Era stato eletto anche miglior giocatore della Coppa d’Africa del ’68, ma anche quel riconoscimento non risulta più negli annali della federazione. Il regime del resto voleva cancellarmi anche fisicamente. Cominciarono, complice l’allenatore Milosevic, con il togliermi il posto di lavoro al cotonificio di Dire Dawa, a 1.400 km da Asmara. Lavoravo duro e giocavo con la squadra locale per mandare i soldi a casa a nostra madre. Percepivo uno stipendio da 630 dollari al mese, quando un etiope a malapena arrivava a 40». Soldi guadagnati lavorando sodo e reinvestiti ad Addis Abeba per costruire una casa con annessa officina di quasi 3mila metri quadrati.

    «Mi hanno confiscato tutto, ma prima mi fecero arrestare dalle “squadracce della morte”. Quelle arrivavano con una Volkswagen verdolina, ti caricavano su e poi sparivi per sempre. A migliaia sono finiti così… Grazie a Dio mi sono salvato. In carcere un militare che era mio tifoso, mi ha riconosciuto e ha fatto in modo che potessi fuggire in Italia”. Nel ’70 Luciano lascia per sempre il suo Paese per venire in quello dell’uomo che non ha mai potuto chiamare papà. «Ero troppo vecchio per continuare a giocare, però sentivo di poter dare ancora qualcosa al calcio e così mi sono iscritto al corso per allenatori a Coverciano». Suoi compagni di corso erano Cesare Maldini, Luis Vinicio e Armando Picchi, i quali trovarono subito una panchina in Serie A, mentre l’eritreo Vassallo dovette accontentarsi di aprire una scuola calcio ad Ostia.

    http://www.ethioroma.com/luciano-vassallo-e-coppa-africa

    #football #Erythrée #Ethiopie #Luciano_Vassallo #métisse #métissage #Italie_coloniale

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  • #Tempo_di_uccidere (#film)
    Le Raccourci

    Etiopia, 1936: il Tenente Silvestri soffre di un terribile mal di denti e intraprende un viaggio per raggiungere l’accampamento militare più vicino munito di servizi ospedalieri. Durante il percorso, incontra un’indigena e, incapace di controllarsi di fronte alla sua bellezza, la violenta. Silvestri fa fuoco nel tentativo di tener lontane alcune bestie feroci ma la donna viene ferita a morte da un proiettile vagante, al che il tenente, per non incorrere in un processo militare, ne nasconde il cadavere. Raggiunto l’ospedale militare egli viene colto dal rimorso per il terribile incidente e, via via roso dal sospetto di essere stato contagiato dalla lebbra durante lo stupro, perde la ragione.

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    L’action se déroule pendant l’invasion de l’Éthiopie par l’Italie en 1936.

    Ethiopie, 1936. Parce qu’il a raté un virage avec son camion, le jeune lieutenant Enrico Silvestri se retrouve à pied, et prend un raccourci qui le conduit dans la brousse. Il y rencontre une jeune indigène, Mariam, qu’il viole. Il la tue accidentellement, et l’enterre sur place. La terreur d’être découvert le transforme en animal traqué : il s’enfuit, prêt à tout pour ne pas être pris. Une angoisse proche de la névrose s’empare de lui quand il croit avoir contracté la lèpre...

    https://it.wikipedia.org/wiki/Tempo_di_uccidere_(film)
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Le_Raccourci

    Le film est tiré du roman homonyme de #Ennio_Flaiano :

    «Quando la campagna sarà finita non po­chi si precipiteranno a scrivere dei libri» annota Flaiano nel febbraio del 1936, men­tre, sottotenente del Genio, partecipa alla guerra d’Etiopia. «Già immagino il con­tenuto e i titoli: “Fiamme nel Tigrai”, “Africa te teneo”, “Tricolore sull’Amba”!». Non a caso, attenderà dieci anni prima di rica­vare da quella sofferta esperienza – fatta di sete e stanchezza, caldo e paura – un ro­manzo. Un romanzo sconcertante, tanto più in pieno clima neorealista, che ha come sfondo non la «terra ideale dei films Para­mount», ma il paese triste, ingrato, ambi­guo, sfuggente delle iene (e che dunque cela di necessità «qualcosa di guasto»), e al centro una vicenda «assolutamente fan­tastica»: un delitto futile e fatale, che scate­na in chi l’ha commesso un corrosivo deli­rio. E gli trasmette il morbo di un «impe­ro contagioso», di un senso di colpa in­scindibile dal rancore, di una pietà com­mista a disprezzo per un mondo ignoto, l’Africa – «lo sgabuzzino delle porcherie», dove gli occidentali vanno «a sgranchirsi la coscienza».

    https://www.adelphi.it/libro/9788845935152
    #livre

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    #cinéma #Ethiopie #colonialisme #colonialisme_italien #colonisation #viol

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  • Un leone, le stragi, la censura e uno schifezzario

    Quanto fu infame l’Italia in Libia. Stragista 100 anni fa e poi negli anni ’20-30. Ma infame anche nel nuovo secolo l’Italia di Berlusconi-Frattini con i profughi ma – sarà bene non scordarlo – l’accordo per il respingimento fu bipartisan (pochissimi a sinistra votarono contro).

    Il 16 settembre di 81 anni fa viene ammazzato «il leone del deserto»: è una storia che i nostri governanti (di vario colore) ritengono non dovremmo conoscere, dunque io la racconto ogni volta che posso.

    Omar Al Mukhtar ha 63 anni quando, nel 1923, diventa il capo della resistenza anti-italiana in Cirenaica, come allora veniva chiamata la Libia. Una vita da insegnante del Corano e poi gli ultimi anni da eroe e genio militare. Infinitamente superiori per numero (oltre 20 mila contro 2-3mila) e per armamento (aerei e gas tossici massicciamente usati) i fascisti ci misero un decennio per piegare la resistenza libica che dalla sua aveva solo l’appoggio della popolazione e la conoscenza del territorio.
    A vincere fu il generale Rodolfo Graziani, con massacri e campi di concentramento. Fascisti certo. Ma anche il colonialismo di Giolitti fu sanguinario quando nel 1911 (su fortissime pressioni del Banco di Roma, legato a interessi vaticani) aggredì la Libia: repressione scientifica, deportazioni (migliaia tra Favignana, Ustica e Ventotene ma anche tantissimi schiavizzati nelle grandi fabbriche del Nord Italia) e massacri come quello di Sciara Sciat su cui calò la censura. «Tripoli, bel suol d’amore» si cantava: in realtà suolo di orrore. Fra il 1911 e il ’15 la popolazione della Cirenaica passa da 300mila a 120 mila. Allora la sinistra italiana si opponeva al colonialismo. Forse perché una sinistra c’era.
    Un salto avanti nel tempo. Fu dunque Graziani, un criminale di guerra al pari delle Ss, a sconfiggere Omar al Mukhtar. A esempio deportando circa 100mila libici in 13 campi di concentramento: in 40mila vi moriranno. Non erano guerriglieri ma avrebbero potuto dar cibo o rifugio ai nemici dell’Italia.

    Nell’estate del ’31 «il leone del deserto» è con soli 700 uomini, pochi viveri e quasi zero munizioni. L’11 settembre è catturato e dopo un processo-farsa impiccato il 16 settembre. Ha 70 anni e sale al patibolo sereno. «Non ci arrenderemo, la prossima generazione combatterà e poi la successiva e la successiva ancora». Da uomo religioso aggiunge: «da Dio veniamo e a Dio torniamo».
    Di tutto questo sapremmo in Italia zero se non fosse per il coraggio di Angelo Del Boca e di pochi altri storici. Come si sa, il fascismo non ebbe la sua Norimberga. Una serie di amnistie (assai discutibili e comunque applicate in modo scandaloso) poi procedimenti archiviati, documenti nascosti per anni negli “armadi della vergogna” consentirono la libertà sia agli anelli minori di quella catena criminale che fu il fascismo che ai peggiori assassini e ai capi, compresi boia confessi come Rodolfo Graziani o Valerio Borghese.

    Quasi tutti in Italia, compreso Gianfranco Fini, hanno chiesto «scusa» – chi prima e chi molto dopo – agli ebrei per le persecuzioni ma le istituzioni non hanno ricordato e pianto quelli che siamo andati a massacrare in Africa. Anzi passano gli anni e i governi le imprese africane degli italiani – fascisti e non – restano nascoste.

    Nei libri e persino nelle sale cinematografiche.

    La censura – strisciante, mai dichiarata ma netta – colpisce dagli anni ‘80 sino a oggi Il leone del deserto di Moustapha Akkad, un campione d’incasso in molti Paesi. Un filmone tipico di Hollywood, con tutti i pregi e i difetti delle grandi produzioni, con ottimi attori (Anthony Quinn, Oliver Reed, Rod Steiger, Irene Papas, John Gielgud… ) e nessun falso storico anti-italiano; anzi, notò Del Boca, facciamo miglior figura che nella realtà: nel film alcuni italiani si ribellano a Graziani il che purtroppo non accadde (avvenne invece in Etiopia e in Somalia, pochi anni dopo). Quel film non lo si vide e tuttora non si può vedere. Questioni burocratiche pare; no anzi, è “vilipendio”; rettifica “manca il visto”; anzi no “è il distributore che preferisce non farlo girare”; in ogni modo qua e là arriva la Digos a sequestrarlo; passa solo in un paio di festival minori e in qualche cineclub coraggioso.

    Il vero, solo, indubitabile motivo della censura è che Akkad mostra, in modo documentato, gli orrori italiani in Libia. Il «leone» del titolo era appunto Omar Al Muktar, tuttora notissimo nell’Africa intera (in ogni grande città si trova una via a lui intitolata).

    Per riparare a tanta viltà si potrebbe chiedere adesso al nostro ministro della Pubblica istruzione di aprire il prossimo anno scolastico con questo film. Scusate, avevo dimenticato che non abbiamo più una scuola pubblica ma solo macerie dove resistono (questo sì) un po’ di professori, professoresse, studentesse e studenti non asserviti, non rincoglioniti, non domati da manganelli (molti) e carote (poche).

    Da questa estate all’ignoranza, alla rimozione, all’auto-assoluzione si aggiunge uno schifezzario: ad Affile (nel Lazio) c’è un sacrario dedicato al boia Graziani che lì era nato. Il cosiddetto sacrario è una doppia vergogna: per l’omaggio a un criminale ma anche per lo sperpero di soldi pubblici. Vi immaginate cosa succederebbe se in Germania si facesse un monumento a Himmler o a Eichmann? Naturalmente la classe politica italiana non si è accorta – prima, durante la costruzione e dopo – dell’omaggio al massacratore (in Africa ma anche altrove). Ben pochi – Zingaretti, Vincenzo Vita, Touadi, Vendola – hanno preso posizione e/o hanno chjesdyo spiegazioni o interventi del governo che “ovviamente” si è fatto di nebbia. La s-governatrice Polverini, prima di dimettersi, ha stanziato altri 20mila euro per il completamento e la video-sorveglianza dello schifezzario che lei chiama sacrario. Se in Italia quasi tutto tace “in alto” (“in basso no: manifestazioni di protesta ci sono state e, se vi interessa saperne di più, ne racconto sul mio blog) fuori dallo stagno italiano il monumento a Graziani è uno scandalo internazionale.

    Ovviamente il passato si lega sempre al presente e al futuro. Oggi nel Lazio i gruppi neofascisti vengono aiutati dalle istituzioni: Casa Pound ha avuto in regalo (di nuovo denaro pubblico) un bel palazzo dal sindaco Eia-Eia-Ale-danno. E voi credete che sui molti misfatti di Forza Nuova o sui senegalesi uccisi il 13 dicembre 2011 a Firenze si sia davvero indagato? E che qualche istituzione si sia davvero preoccupata dei feriti, uno dei quali rimarrà del tutto paralizzato? E’ pur vero che alcuni magistrati e poliziotti con coraggio indagano sul neo-nazifascismo e sui suoi complici. Ma che peso volete abbiano nei palazzi dell’Italia che non ha trovato i colpevoli di piazza Fontana e delle altre stragi, che censura un serio film anticolonialista e che non manda subito le ruspe ad Affile?

    NOTA CON QUASI SPOT

    Se già sapete cos’è il mensile «Pollicino gnus» (quel «gnus» sarebbe «news» all’emiliana) e conoscete la sovversiva Mag-6 (Mutua auto gestione) di Reggio Emilia mi congratulo. Se no… informatevi. Questo qui sopra è l’editoriale del numero di gennaio 2013 dedicato alla Libia. Visto che sono il direttore ir/responsabile della rivista mi hanno chiesto di introdurlo: ho ripreso discorsi perlopiù già fatti in blog, cercando di attualizzarli. Se andate su www.pollicinognus.ittrovate l’indice di questo numero e indicazioni utili (sugli arretrati, su come abbonarsi, sull’info-shop). Di abbonarvi e di capire come funziona la Mag – una piccola, lunga, vincente storia di un modo diverso per rapportarsi al denaro – lo consiglio davvero. (db)

    https://www.labottegadelbarbieri.org/un-leone-le-stragi-la-censura-e-uno-schifezzario
    #mémoire #fascisme #histoire #Italie #Rodolfo_Graziani #Graziani #colonisation #passé_colonial #Italie_coloniale #colonisation #leone_de_deserto #Omar_Al_Mukhtar #Omar_al-Mokhtar #résistance #Libye #Cyrénaïque #résistance_libyenne #camps_de_concentration #massacres #Giolitti #censure #Sciara_Sciat #déportations #amnistie #Valerio_Borghese #Affile #leone_del_deserto #cinéma

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  • Village’s Tribute Reignites a Debate About Italy’s Fascist Past

    This village in the rolling hills east of Rome is known for its fresh air, olive oil and wine — and its residual appreciation of Benito Mussolini, whose image adorns some wine bottles on prominent display in local bars.

    This month, the town’s fascist sympathies became the subject of intense debate when its mayor unveiled a publicly financed memorial to one of its most controversial former citizens: Rodolfo Graziani, a general under Mussolini who was accused of war crimes at the end of World War II and earned the title of “the Butcher” in two campaigns during Italy’s colonization of North Africa in the 1920s and ’30s.

    The monument, in a style reminiscent of fascist architecture, sits on the town’s highest hill, with the Italian flag flying from the top and inscriptions reading “Honor” and “Homeland.” Inside sits an austere marble bust of General Graziani, surrounded by original copies of the front pages of the newspapers from the day of his death in 1955, a plaque from a street once dedicated to him here and a list of his deeds and honors.

    The dedication elicited harsh criticism from left-wing politicians and commentators in the pages of some Italian newspapers, and has raised deeper questions about whether Italy, which began the war on the side of the Axis powers and ended it with the Allies, has ever fully come to terms with its wartime past.

    In an interview, Ettore Viri, the mayor of Affile, brushed off the criticism. “The head is a donation of a citizen,” he said, glancing proudly at the bust, before quickly acknowledging that he was the citizen. “Actually, I had it in my living room,” he said, adding that he had given large donations of his own money to maintain Mussolini’s grave in northern Italy.

    Yet the mayor’s political opponents are aghast at the town’s honoring General Graziani — and using $160,000 in public money to do so. In a statement released the day before the dedication ceremony, Esterino Montino, a regional leader of the Democratic Party, said, referring to the Nazi leader Hermann Goering: “It’s as if some little village in some German province built a monument to Goering. The fact that such a scandal is planned in a small village outside of Rome does not downgrade the episode to provincial folklore.”

    By and large, however, the memorial appears to have won acceptance in this mostly conservative town of 1,600. More than 100 people attended the dedication, some of them holding flags of far-right extremist groups and wearing black shirts in a nod to Mussolini’s Blackshirt squads, according to several people who attended.

    For some, General Graziani’s crimes from World War II pale in comparison to what he did in Africa earlier, killing hundreds of thousands of people — sometimes with chemical weapons — and wiping out entire communities, especially in Eritrea.

    In the 1930s, General Graziani commanded some of the Italian troops who invaded Ethiopia under the reported slogan “ ‘Il Duce’ will have Ethiopia, with or without the Ethiopians.” He later became the viceroy of Ethiopia, where he earned his second title as butcher — the first came in Libya — for a particularly brutal campaign in reprisal for an attempt on his life.

    After the fall of Mussolini’s government in 1943, General Graziani remained loyal to him and became the minister of war of the Italian Social Republic, a rump government led by Mussolini in the parts of Italy not controlled by the Allies. General Graziani was never prosecuted for any war crimes in Africa, but in 1948 the United Nations War Crimes Commission said there were plausible charges against him and other Italians.

    In 1948, an Italian court in Rome sentenced General Graziani to 19 years in prison for collaborating with the Nazis, but he received a suspended sentence that was later commuted.

    But it was the African campaigns, which went entirely unpunished, that critics say are the greatest stain on his record, and the strongest argument against a memorial. “A monument to somebody who committed crimes against humanity in his fierce repression using gas against young Ethiopians is serious and unacceptable, regardless of where it happens,” Mr. Montino, the left-wing lawmaker, wrote.

    Here in Affile, many regard General Graziani more as a local boy who made good than the perpetrator of some of the most heinous massacres in Mussolini’s bloody colonization campaigns.

    “To me it’s a recognition of our fellow citizen who was the youngest colonel of the Italian Army,” said Alberto Viri, a 65-year-old retiree who lives in Milan but was vacationing on a recent afternoon in his native Affile. “He defended the homeland until the end, as he was loyal to our first allies, the Germans, even after Sept. 8,” Mr. Viri added, referring to the armistice when Italy shifted from the Axis to the Allies.

    Some are more upset by the financing than by the monument itself. “I am not a fascist,” said Aldo Graziani, 72, a retiree (no relation) who joined in the conversation in a local bar. “I am not bothered by the monument to Graziani, per se. I am rather bothered by the fact that they should have built it with their own money, not with public money.”

    Mr. Viri, the retiree, has childhood memories of General Graziani riding around the village on his white horse with a white dog to get the paper at the Viri family’s news kiosk. He remembers how soldiers attending the general’s funeral in 1955 distributed food to hungry local children.

    Some scholars say that Italy’s failure to bring fascist officials to justice has caused a “selective memory” of the fascist era, where visions of the past fall along contemporary political lines.

    “Antifascist culture has remained the privilege of the left, some liberals and Christian Democrats,” said Luca Alessandrini, the director of the Parri Institute in Bologna, referring to the centrist Catholic party that dominated in the postwar era. “The big weakness of Italian history is that these forces have failed to produce an historical judgment on fascism,” he added.

    Much the same is true of the colonial era. Compared with Britain and France, Italy developed colonial aspirations rather late in the game, invading Libya in 1911 and Ethiopia, for the second time, in 1935. (The first Ethiopian invasion, in 1895, failed.) Even today, few Italians are particularly aware of the colonial episodes, which have not been central to national debate.

    “Italy was so poor and destroyed after World War II that nobody really worried about the colonies, and the loss thereof, let alone people’s education on this,” said the historian Giorgio Rochat.

    In Affile, many deny that General Graziani was a fascist tyrant, arguing that he just obeyed his superiors’ orders. But some are outraged by the monument.

    “This has always been a center-right village,” said Donatella Meschini, 52, a teacher who served on the City Council from 2003 to 2008 under the only center-left mayor in Affile in 50 years. “But after this memorial, what can we expect? That they call us up on Saturday to do gymnastics in the main square like the fascist youth used to do?”

    “April 25 has just never arrived here,” Ms. Meschini added, referring to the day of the Allied liberation of Italy in 1945.

    https://www.nytimes.com/2012/08/29/world/europe/village-reignites-debate-over-italys-fascist-past.html

    #Affile #mémoire #fascisme #histoire #Italie #Mussolini #Benito_Mussolini #Rodolfo_Graziani #Graziani #mémorial #colonisation #passé_colonial #Italie_coloniale #colonisation #monument #patria #onore #Ettore_Viri

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    • Flash mob dell’ANPI ad Affile, Pagliarulo: «Il monumento al boia Rodolfo Graziani è un’ ignominia!»

      In occasione dell’84esimo anniversario della strage di Debra Libanos (Etiopia) ordita dal criminale di guerra Rodolfo Graziani. L’intervento del Presidente nazionale ANPI Gianfranco Pagliarulo

      Oggi 28 maggio alle 18 si è svolto ad Affile (Roma) un flash mob promosso dall’ANPI - con la presenza del Presidente nazionale Gianfranco Pagliarulo e del Presidente dell’ANPI provinciale di Roma Fabrizio De Sanctis - in occasione dell’84esimo anniversario della strage di Debra Libanos (Etiopia).

      Dal 21 al 29 maggio 1937 nel monastero di Debra Libanos furono trucidati monaci, diaconi, pellegrini ortodossi, più di 2.000, per opera degli uomini del generale Pietro Maletti, dietro ordine di Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia. Ad Affile è situato un monumento dedicato proprio a Graziani.

      In un passaggio del suo intervento così si è espresso Pagliarulo: «Siamo qui per denunciare una grande ignominia: un monumento intitolato non al soldato affilano più rappresentativo, come incautamente affermato, ma all’uomo delle carneficine, delle impiccagioni, dei gas letali. Perché questo fu Rodolfo Graziani. E le due parole sulla pietra del monumento, Patria e Onore, suonano come il più grande oltraggio alla Patria e all’Onore. Onore è parola che significa dignità morale e sociale. Quale onore in un uomo che sottomette un altro popolo in un’orgia di sangue? Patria. La nostra patria è l’Italia. La parola Italia è nominata nella Costituzione due sole volte: L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, L’Italia ripudia la guerra. Tutto il contrario di un Paese fondato sul razzismo imperiale. Perché, vedete, le stragi di Graziani furono certo l’operato di un criminale di guerra, e non fu certo l’unico. Ma furono anche stragi dello Stato fascista, di una macchina di violenza e di costrizione verso l’altro».

      Era presenta anche una delegazione dell’Associazione della Comunità etiopica di Roma.

      https://www.anpi.it/articoli/2504/flash-mob-dellanpi-ad-affile-pagliarulo-il-monumento-al-boia-rodolfo-graziani-e
      #résistance #flash_mob

    • Nicola Zingaretti: no al monumento per ricordare un criminale di guerra fascista, stragista del colonialismo. #25aprile

      Caro Presidente Nicola Zingaretti,

      mi chiamo Igiaba Scego, sono una scrittrice, figlia di somali e nata in Italia. Sono una della cosiddetta seconda generazione. Una donna che si sente orgogliosamente somala, italiana, romana e mogadisciana.

      Le scrivo perchè l’11 Agosto 2012 ad Affile, un piccolo comune in provincia di Roma, è stato inaugurato un “sacrario” militare al gerarca fascista Rodolfo Graziani. Il monumento è stato costruito con un finanziamento di 130mila euro erogati della Regione Lazio ed originariamente diretti ad un fondo per il completamento del parco di Radimonte.

      Rodolfo Graziani, come sa, fu tra i più feroci gerarchi che il fascismo abbia mai avuto. Si macchiò di crimini di guerra inenarrabili in Cirenaica ed Etiopia; basta ricordare la strage di diaconi di Debra Libanos e l’uso indiscriminato durante la guerra coloniale del ’36 di gas proibiti dalle convenzioni internazionali.

      Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, l’imperatore d’Etiopia Hailè Selassié, chiese a gran voce che Rodolfo Graziani fosse inserito nella lista dei criminali di guerra. La Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra lo collocò naturalmente al primo posto.

      Il monumento a Rodolfo Graziani è quindi un paradosso tragico, una macchia per la nostra democrazia, un’offesa per la nostra Costituzione nata dalla lotta antifascista.

      In questi ultimi giorni, i neoparlamentari Kyenge, Ghizzoni e Beni hanno depositato un’interpellanza affinché il Governo si pronunci sulla questione di Affile.

      Io in qualche modo legandomi alla loro iniziativa chiedo a lei, Presidente Zingaretti un impegno concreto contro questo monumento della vergogna. Non solo parole, ma fatti (demolizione e/o riconversione del monumento) che possano far risplendere un sole di democrazia in questa Italia che si sta avviando a celebrare il 68° anniversario del 25 Aprile.

      Mio nonno è stato interprete di Rodolfo Graziani negli anni ’30. Ha dovuto tradurre quei crimini e io da nipote non ho mai vissuto bene questa eredità. Mio nonno era suddito coloniale, subalterno, costretto a tradurre, suo malgrado, l’orrore. Oggi nel 2013 io, sua nipote, ho un altro destino per fortuna. Per me e per tutt* le chiedo un impegno serio su questa questione cruciale di democrazia.

      _____________________________________________________________

      Dear President Nicola Zingaretti,

      My name is Igiaba Scego, I am a writer, born in Italy, daughter of Somali people.

      I am one of the so-called «second generation». A woman who proudly feel herself both Somali, Italian, Roman.

      I am writing to you because on the 11th of August 2012, in Affile, a small town in the province of Rome, it was inaugurated a monument in honour of the fascist Rodolfo Graziani. The monument was built with a loan of 130 thousand euro from the Lazio region, a fund originally intended to finance the Radimonte park.

      Rodolfo Graziani, as you know, was one of the most ferocious commander that fascism has ever had. He was found guilty of war crimes in Cyrenaica and Ethiopia; the massacre of deacons in Debra Libanos and the use of prohibited gas during the colonial war of ’36 are just two of those massacres that can be mentioned.

      After the end of World War II, the emperor of Ethiopia, Haile Selassie, firmly asked for Rodolfo Graziani to be included in the list of war criminals. The Commission of the United Nations War Crimes placed him at the first place in that list.

      The monument to Rodolfo Graziani is therefore a tragic paradox, a stain on our democracy, an insult to our constitution born from the struggle against fascism.

      In the recent days, the neoparlamentari Kyenge, Ghizzoni and Beni filed an interpellation to address this problem to the Government.

      I am somehow trying to be with them, by asking to you, Mr President Zingaretti, a real commitment against this monument of shame. I am not only asking for words but for a real commitment (demolition and / or conversion of the monument) that can let the sun of democracy to shine again in Italy, approaching the 68th anniversary of the April 25.

      My grandfather had to translate Graziani’s crimes, he was a colonial victim, and had to translate the horror, against his will. Today in 2013, his niece, has another destiny. For me and for all I am asking to you a serious commitment on this crucial issue of democracy.

      https://www.change.org/p/nicola-zingaretti-no-al-monumento-per-ricordare-un-criminale-di-guerra-fasci

      #pétition

  • Violence coloniale, violence de guerre, violence totalitaire

    The conquest of Ethiopia was the only colonial enterprise overseas carried out by a totalitarian power. Miss-timed in history, it was a war of expansion taking place in a period when decolonization was already underway in several empires. Being a colonial war, it was also a national and total war due to the range of Italian mobilization on the military, political and ideological levels. The question remains : was it war of Fascism or a Fascist war ? This query is dealt with in the present article as seen through the prism of violence. The object is not so much to present an inventory of crimes and massacres perpetuated in Abyssinia – well-known thanks to the historiography of the last thirty years – but to examine the effects of the arbitrariness of Fascist totalitarianism and the “permanent exception” that was colonial rule. Already tested on a large scale by Fascism in Lybia and Somalia, the violence employed in Ethiopia was first a means, as in other colonial contexts, to cause submission and to dominate. However, in studying these administrative modalities from the top echelons of the state to the implementers, it seems that violence was not only a means, but also a value in itself.

    https://www.cairn.info/revue-revue-d-histoire-de-la-shoah-2008-2-page-431.htm?contenu=resume

    #impérialisme #Italie #colonialisme_italien #Italie_coloniale #histoire #colonialisme #colonisation #Italie #violence #violence_coloniale #guerre #violence_totalitaire #Ethiopie #fascisme #domination #arbitraire #exception_permanente

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    ajouté à la métaliste sur la #colonialisme_italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

    via @olivier_aubert

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