• #Arnaud_Rousseau, un poids lourd de l’agrobusiness pour diriger la FNSEA | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/economie-et-social/270323/arnaud-rousseau-un-poids-lourd-de-l-agrobusiness-pour-diriger-la-fnsea

    « Aucun suspense mais une interrogation. Qui est Arnaud Rousseau ? Inconnu du grand public, cet #exploitant agricole de la Seine-et-Marne est pourtant un poids lourd de l’#agrobusiness français. Un homme qui a su se faire discret mais qui pourrait en réalité incarner un infléchissement à la tête du syndicat cogestionnaire de la #politique_agricole_française. Après les six années de mandat de l’éleveuse de porcs du Maine-et-Loire, ce n’est pas seulement le retour d’un cultivateur aux manettes. C’est aussi le retour, en grand, de l’agrobusiness dans les couloirs de la Rue de Varenne.

    Car Arnaud Rousseau n’est pas un simple #agriculteur. Il est le patron d’un mastodonte de l’économie française : #Avril-Sofiprotéol, le géant de ce que l’on appelle les oléagineux et protéagineux (#colza, tournesol, soja et protéines végétales de type luzerne, féverole, pois…), fondé par le syndicat de la filière. Rien de moins que le 4e groupe agroalimentaire français.

    On trouve ses produits dans nos assiettes, dans les rations d’élevage, dans l’industrie cosmétique, à la pompe… Les huiles Lesieur, Isio 4, Puget, les œufs Matines, l’agrocarburant Diester : tout cela vient d’Avril-Sofiprotéol et de ses usines de transformation de colza, de tournesol et de soja. »

    5,6 fois le montant moyen des subventions de la PAC
    Le futur numéro 1 de la FNSEA, cependant, n’a pas trop d’inquiétude à avoir sur ses capacités de production. En Seine-et-Marne, il règne sur plusieurs centaines d’hectares. Sur le papier, il est à la tête de trois exploitations agricoles : la SCEA du Haut Pays, la SCEA Ferme Saint Laurent, la SCEA du Moulin à vent. Selon nos informations, les trois sont bénéficiaires des aides publiques de la PAC (politique agricole commune), à hauteur d’environ 170 000 euros chaque année. En 2021, le total de cette manne européenne s’est élevé précisément à 173 441 euros. C’est 5,6 fois le montant moyen que touche une exploitation agricole en France.

  • La politica dell’Unione europea sui biocarburanti fa male al clima e ai sistemi alimentari

    Per produrre gli eco-combustibili utilizzati oggi in Europa si coltivano mais, colza e palma da olio su una superficie di 9,6 milioni di ettari, che basterebbe a sfamare 120 milioni di persone. “L’Ue non solo cede vaste aree coltivate per alimentare le automobili ma fa anche salire ulteriormente i prezzi”, denunciano T&E e Oxfam

    “I biocarburanti vegetali sono probabilmente la cosa più stupida mai promossa in nome del clima”. Non ha usato mezzi termini Maik Marahrens, biofuels manager di Transport&Environment nel commentare il nuovo rapporto pubblicato il 9 marzo che la federazione europea per i trasporti e l’ambiente ha curato insieme all’Ong Oxfam.

    Oggi l’Europa utilizza l’equivalente di circa 9,6 milioni di ettari di terre agricole (una superficie pari a quella dell’Irlanda) per coltivare colza, mais, soia, barbabietole da zucchero, grano e altre derrate alimentari che, invece di finire sulle nostre tavole, vengono utilizzati per produrre bioetanolo, biodiesel e biometano. “Stiamo cedendo vaste porzioni di terra per coltivazioni che poi bruciamo nelle nostre automobili -riprende Marahrens-. È uno spreco scandaloso: questi terreni potrebbero sfamare milioni di persone o, se restituiti alla natura, potrebbero diventare serbatoi di carbonio ricchi di biodiversità”.

    L’utilizzo di questi combustibili era stato introdotto a livello europeo con la Eu Renewable energy directive (Red) del 2009 con l’obiettivo di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili; ma già le successive direttive in materia (2015 e 2018) hanno introdotto delle limitazioni all’uso di biocarburanti di origine alimentare. Oggi Germania e Francia sono i due Paesi che ne consumano le maggiori quantità (facendo affidamento rispettivamente sull’olio di palma, che viene importato, e sulla colza) seguiti da Svezia, Regno Unito, Spagna e Italia.

    “Il consumo di biocarburanti di origine vegetale in Europa richiede un’area totale di 9,6 milioni di ettari, pari al 9,2% del totale dei terreni coltivati nel continente”, si legge nel report che evidenzia come la gran parte di questa superficie (circa due terzi) si trovi in Europa. Mentre la quota restante, dove vengono coltivate soprattutto palma da olio e soia, si trova in Asia e in America Latina.

    Ma che cosa succederebbe se queste superfici venissero destinate ad altri scopi? La prima opzione presa in considerazione nel report riguarda la possibilità di abbandonare le monocolture per la produzione di mais e colza per da trasformare in biocombustibili per lasciare spazio al ritorno della vegetazione naturale e al ripristino dei boschi: “Questo permetterebbe di rimuovere dall’atmosfera 64,7 milioni di tonnellate di CO2 all’anno -si legge nel report- circa il doppio del risparmio netto generato, in termini di minori emissioni, dall’utilizzo di biocarburanti pari a circa 32,9 milioni di tonnellate”. La rinaturalizzazione di queste aree avrebbe poi ulteriori benefici, rappresentando un argine alla perdita di biodiversità che oggi interessa circa l’80% degli habitat del continente, secondo una stima della Commissione europea: “L’occupazione di vaste aree con monocolture per i biocarburanti significa invariabilmente meno spazio per gli ecosistemi naturali e meno habitat per piante e animali selvatici”, sottolinea il report.

    La seconda possibilità prevede la possibilità di installare pannelli fotovoltaici. I biocarburanti consumati in Europa consentono di percorrere circa 329mila milioni di chilometri: “Per coprire la stessa distanza con auto elettriche alimentate con energia prodotta da pannelli fotovoltaici servirebbe una superficie di 0,133 milioni di ettari -spiega Horst Fehrenbach dell’Istituto per l’energia e la ricerca ambientale (Ifeu), che ha curato la ricerca per conto di T&E e Oxfam-. In questo modo il 97,5% della superficie oggi utilizzata per produrre biocombustibili potrebbe essere destinata ad altro uso”.

    La terza possibile alternativa riguarda l’utilizzo dei terreni oggi destinati alla produzione di biocarburanti per coltivare generi alimentari destinati al consumo umano: secondo le stime contenuta nel report se la superficie oggi utilizzata solo in Europa (escludendo quindi dal conteggio le piantagioni in altri continenti) venisse utilizzata per produrre grano questo permetterebbe di soddisfare il fabbisogno calorico di circa 120 milioni di persone, circa un quarto della popolazione del continente. “La politica dell’Unione europea sui biocarburanti è una catastrofe per centinaia di milioni di persone che lottano per portare in tavola il loro prossimo pasto -commenta Julie Bos, consulente per la giustizia climatica dell’Unione europea di Oxfam-. Non solo cede vaste aree coltivate per alimentare le automobili ma fa anche salire ulteriormente i prezzi dei prodotti alimentari. I Paesi europei devono smettere una volta per tutte di usare il cibo per produrre carburante”.

    Marahrens ricorda poi come “ogni giorno 15 milioni di pagnotte e 19 milioni di bottiglie di olio di girasole e di colza vengono bruciati nei motori di camion e automobili. Continuare a farlo mentre il mondo sta affrontando una crescente crisi alimentare globale è al limite del criminale. Paesi come la Germania e il Belgio stanno discutendo di limitare i biocarburanti per le colture alimentari. Il resto dell’Europa deve seguirne l’esempio”.

    https://altreconomia.it/la-politica-dellunione-europea-sui-biocarburanti-fa-male-al-clima-e-ai-

    #biocarburants #alimentation #terres #agriculture #maïs #colza #huile_de_palme

    • Biofuels: An obstacle to real climate solutions

      The EU wastes land the size of Ireland on biofuels, missing enormous opportunities to fight climate change, biodiversity loss and the global food crisis.

      A new study by the IFEU institute quantifies for the first time the enormous opportunity costs across Europe of dedicating millions of hectares of fertile cropland to the production of biofuels. The results are clear – this land could be used much better in the interest of mitigating climate change, stemming biodiversity loss or increasing global food security.

      In 2009, the European Union (EU) introduced a biofuels mandate as part of its green fuels law, the ‘#Renewable_Energy_Directive’ (RED). The proposition at the time was attractive: farmers would be supported to produce ‘green fuels’. In reality, biofuels have harmed food security and obstructed climate change mitigation.

      The study carried out by the Institut für Energie- und Umweltforschung (IFEU) on behalf of T&E shows that production of crops for biofuels consumed in Europe requires 9.6 Mha of land – an area larger than the island of Ireland. This is 5.3 Mha if the production of co-products, mainly feed for industrial livestock farming, is taken into account.
      Key findings

      - If this land were returned to its natural state (‘rewilded’) it could absorb around 65 million tonnes of CO2 from the atmosphere – nearly twice the officially reported net CO2 savings from biofuels replacing fossil fuels.
      - Using the land for solar farms would be far more efficient. You need 40 times more land to power a car using biofuels vs an electric car powered by solar. Using an area equivalent to just 2.5% of this land for solar panels would produce the same amount of energy.
      - Crops cultivated on these lands could be used to provide the calorie needs of at least 120 million people.

      https://www.transportenvironment.org/discover/biofuels-an-obstacle-to-real-climate-solutions

      #rapport

  • L’#Europe nous impose-t-elle les #OGM ?
    https://www.franceinter.fr/emissions/le-vrai-faux-de-l-europe/le-vrai-faux-de-l-europe-07-janvier-2017

    C’est à la fois vrai et faux [...]

    Chaque État peut faire ce que bon lui semble : interdire ou autoriser. La France les interdit, tout comme 18 autres pays en Europe. Cette interdiction vaut, même si à Bruxelles, on a délivré une autorisation de mise sur le marché européen. Il suffit pour un État d’invoquer différents motifs, comme par exemple la politique agricole, l’environnement, ou les conséquences socio-économiques de ces OGM. Seule une dizaine de pays en Europe autorisent les cultures d’OGM ; mais en pratique seul le mais Monsanto 810 a reçu une autorisation européenne, il n’est cultivé que dans cinq pays, essentiellement d’ailleurs en Espagne.

    [...] On peut malgré tout importer des aliments à base d’OGM. Ces OGM, ils servent avant tout à nourrir du bétail, des volailles et des porcs. Quant au consommateur, il doit en être avertit, l’Europe impose que la présence d’OGM figure sur l’étiquette dès que la présence de 0,9% d’OGM.

    [...]

    Au final ces OGM se retrouvent donc dans nos assiettes ! Au total 72 aliments contenant des OGM ont reçu une autorisation de commercialisation en Europe : ça va du #maïs, au #soja en passant par le #colza, le coton ou la betterave sucrière.

    Les écologistes pointent que si en Pologne on éleve des porcs à base d’OGM, le jambon sera vendu dans les supermarchés en Allemagne ou en France. Ce qui n’est pas réglé c’est donc la cohabitation entre des pays qui autorisent et ceux qui interdisent les OGM. Il y a aussi le problème de la dispersion des semences le long des frontières.

    La Commission européenne a tenté de clarifier les choses, mais pour le moment, ni le Parlement Européen ni les états européens ne semblent très pressés de régler la question, autrement dit, le problème reste entier....

  • Colzas et tournesols génétiquement modifiés : la contamination a commencé - Libération
    http://www.liberation.fr/debats/2015/03/20/colzas-et-tournesols-genetiquement-modifiesla-contamination-a-commence_12

    En 2013, les #OGM cachés ont représenté en France près de 20 % des cultures de #tournesols. Plus inquiétant encore, les premiers semis de colzas VrTH ont démarré en 2014 et risquent de se poursuivre à une plus grande échelle en 2015. Or, comme l’a souligné une étude réalisée conjointement par une équipe de l’Inra/CNRS en 2013, « la caractéristique de tolérance aux #herbicides, introduite par manipulation génétique pourrait être diffusée à d’autres plantes, cultivées ou sauvages ». Cette #contamination est particulièrement importante avec le #colza qui peut transmettre cette caractéristique à toutes les crucifères sauvages qui lui sont botaniquement proches : moutarde des champs, ravenelle, rapistre, etc. Autrement dit, une contamination génétique à grande échelle. Ce sont ces mêmes risques graves de contamination qui avaient d’ailleurs amené le gouvernement français à suspendre en 1998 la mise sur le marché de colzas transgéniques résistants à un herbicide.

    #transgenèse #semence #agro-industrie

  • Aux Etats-Unis, les nouvelles variétés d’#OGM sont tolérantes à plusieurs pesticides - Reporterre
    http://www.reporterre.net/Aux-Etats-Unis-les-nouvelles

    Bienvenue dans la nouvelle ère des OGM ! Le ministère états-unien de l’Agriculture (USDA) et l’Agence pour la protection de l’Environnement (EPA) des Etats-Unis sont en passe de donner leur accord pour la commercialisation et la mise en culture d’une « nouvelle génération » d’OGM destinés aux agriculteurs. #Semences miracles ou plantes à haut rendement capables de pousser sans eau, penserez-vous ? Rien de cela !

    La première génération de plantes génétiquement modifiées commercialisées pour l’agriculture, depuis bientôt vingt ans, consistait surtout en deux types de transgènes intégrés à la majorité des cultures GM (#maïs, #soja, #coton, #colza...) : un transgène de production d’un insecticide par la plante ou un transgène de tolérance à un herbicide, le plus souvent le Roundup de Monsanto (70 % des cultures américaines).

    La seconde génération consiste, elle, à combiner ces modifications dans une même plante, en « empilant les traits », jusqu’à obtenir un OGM capable de produire jusqu’à six #insecticides et tolérer au moins deux #herbicides différents (technologie Smartstax).

    #pesticides #agrobusiness

  • Les aliments qui reçoivent le plus de pesticides - JDN Business
    http://www.journaldunet.com/economie/agroalimentaire/aliments-et-pesticides.shtml

    Blé, maïs, colza, pomme de terre... Quelles sont les cultures où sont déversés le plus d’herbicides et autres insecticides ?

    Un champ de pomme de terre reçoit en moyenne 15,6 doses de produits phytosanitaires par an. Largement plus que toutes les autres grandes cultures comme le colza (5,5 doses de traitement par an) ou le blé tendre (3,8 doses de traitement par an). Les chiffres du ministère de l’Agriculture, qui prennent en compte à la fois le nombre d’épandages et la quantité reçue (voir la méthodologie) et portent sur l’année 2011, ont de quoi surprendre. Qui aurait pu penser qu’une pomme de terre subissait autant de traitements ?

    La nature des produits utilisée est très variable selon les cultures. Pour la pomme de terre, ce sont essentiellement des fongicides (traitement contre les maladies dues aux champignons microscopiques) qui sont répandus, à raison de 11,6 doses par an. Pour le triticale (un croisement entre le blé et le seigle destiné à l’alimentation animale), ce sont les herbicides, permettant de détruire les mauvaises herbes, qui sont en cause. Les insecticides, utilisés assez massivement pour les cultures de colza ou de pois protéagineux, sont eux essentiellement destinés à lutter contre les pucerons. Les autres traitements comprennent notamment les régulateurs de croissance (des traitements qui limitent la pousse de la plante pour éviter aux tiges de casser) et des anti-limaces....

    #aliments
    #blé
    #maïs
    #colza
    #pomme-de-terre...
    #herbicides
    #insecticides

  • Qu’est-ce que la navette ?
    C’est en lisant la composition du pain de ce matin, à la recherche de traces de lactose, que je découvre l’huile de navette.
    L’ancêtre du colza est un Brassicaceae, une version oléagineuse du chou-navet. Le colza est un hybride agricole, qui possède un meilleur rendement que la version sauvage - entre d’autres choux et la navette. Avec les topinambours et autres rutabagas, l’huile de navette reste comme un cauchemard dans les mémoires des rejetons de la seconde guerre mondiale mais obtiens les faveurs des générations « j’veux du bio ». D’hiver ou d’été, la navette sert aussi au fourrage.

    http://www.ars-grin.gov/~sbmljw/cgi-bin/taxon.pl?319648
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Brassicaceae

    #herbier #huiles #alimentation #colza #agriculture #glandouille

  • Fortes inégalités des #revenus entre #éleveurs et #céréaliers :

    La publication, en décembre 2012, par le ministère de l’#agriculture, des revenus moyens d’un exploitant agricole selon son secteur d’activité, a jeté une lumière crue sur la situation. Céréaliers et betteraviers caracolent en tête, avec un #record historique compris entre 72 000 et 80 000 euros en 2012. Quand les éleveurs d’ovins et de bovins ferment la marche à 15 000 euros. Rarement, le différentiel aura été aussi marqué.

    Les céréaliers ont bénéficié de la fièvre qui s’est emparée des #cours des céréales, mais aussi du #colza, depuis l’été 2012. Une envolée qui pèse à l’inverse dans les comptes des éleveurs. « Il y a un an, j’achetais mes protéines, c’est-à-dire du colza, à 230 euros la tonne ; début 2013, je les ai payées 410 euros la tonne », témoigne Gérard Durand qui élève 70 vaches laitières en Loire-Atlantique.

    Bien qu’il soit moins dépendant que d’autres, puisqu’il produit sur son exploitation des céréales et de la luzerne, il dit « être sur la corde raide », alors que le prix du lait reste stable, voire s’érode. « Pour les céréales, on a connu deux chocs depuis 2007, avec des fortes hausses et des fortes baisses des cours, mais aujourd’hui il est moins question de volatilité que de niveau qui reste élevé, au-dessus de 200 euros la tonne », estime Thierry Blandinières, directeur général de la coopérative Maïsadour.

    Source : http://www.lemonde.fr/economie/article/2013/02/22/coup-de-blues-chez-les-eleveurs_1836947_3234.html

    Et l’encadré sur la même page sur le problème de la prise en compte de l’#environnement et des #inégalités pour les aides de la politique agricole commune de l’Union européenne.

    Repeindre la #PAC en vert

    Une politique agricole commune (PAC) repeinte en vert. C’était le souhait du commissaire européen à l’agriculture, Dacian Ciolos. Bruxelles avait même joué le jeu de la consultation des citoyens européens. A ses yeux, ce budget, le plus important de l’Europe, ne pouvait se justifier que si le respect de l’environnement, une répartition plus juste des aides et un soutien aux jeunes désireux de s’installer, accompagnaient le projet agricole des Vingt-Sept.

    Au gré des discussions entre gouvernements, et commissions parlementaires, le vert pâlit, constatent les écologistes. Le compte à rebours est lancé. D’ici à juin, la PAC pour les années 2014-2020 sera dessinée. Difficile ensuite de modifier l’épure. Restera-t-il une touche de vert dans le tableau ? Pour maintenir la pression sur le pinceau, les ONG veulent ouvrir le débat. Eviter qu’il ne se déroule en catimini, entre initiés.

    La Fondation Nicolas Hulot a lancé une campagne, « I Field Good », pour sensibiliser les Français – ils contribuent chacun en moyenne à hauteur de 100 euros par an pour l’agriculture européenne. La campagne se veut « positive ». Loin de la stigmatisation de l’agriculteur-pollueur. On se souvient de l’émoi qu’avait causé, il y a deux ans, la publicité choc de France Nature Environnement, lors du Salon de l’agriculture. Oubliés, l’épi de maïs OGM sur la tempe ou l’image des algues vertes. Place aux ambassadeurs de l’#agroécologie, un thème cher au ministre de l’agriculture, Stéphane Le Foll.

    « Produire autrement ? C’est possible », nous disent Christophe, céréalier dans la Marne ou Quentin, éleveur bio dans la Loire. Ils parlent du mur technique auxquels ils se sont heurtés dans la logique du produire plus. De l’impasse économique, quand le coût des engrais, des pesticides ou du soja ne cesse de croître. Ils évoquent le regard des autres. Aujourd’hui, ils sont fiers d’être agriculteurs.