• Surge in arms imports to Europe, while US dominance of the global arms trade increases

    Imports of major arms by European states increased by 47 per cent between 2013–17 and 2018–22, while the global level of international arms transfers decreased by 5.1 per cent. Arms imports fell overall in Africa (–40 per cent), the Americas (–21 per cent), Asia and Oceania (–7.5 per cent) and the Middle East (–8.8 per cent)—but imports to East Asia and certain states in other areas of high geopolitical tension rose sharply. The United States’ share of global arms exports increased from 33 to 40 per cent while Russia’s fell from 22 to 16 per cent, according to new data on global arms transfers published today by the Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI).


    https://www.sipri.org/media/press-release/2023/surge-arms-imports-europe-while-us-dominance-global-arms-trade-increases

    #armes #commerce_d'armes #armement #rapport #SIPRI #2022 #statistiques #chiffres

    • S’impenna l’import di armi in Europa. Gli Stati Uniti dominano il commercio globale

      Nel quinquennio 2018-2022 le importazioni di armi in Europa sono cresciute del 47%, mentre a livello globale è stata registrata una diminuzione del 5,1%. Gli Stati Uniti si confermano il primo esportatore nel mondo, assorbendo il 40% del mercato, la Russia, con il 16%, è staccata. I nuovi dati del Sipri e il ruolo della guerra in Ucraina

      La guerra russa in Ucraina ha spinto il trasferimento internazionale di armamenti e rilanciato la corsa europea al riarmo: nel 2022 Kiev è diventata il terzo maggiore importatore e il quattordicesimo nel quinquennio 2018-2022. È quanto emerge dal report “Trends in international arms transfers, 2022” pubblicato a marzo dall’Istituto indipendente di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri) e che evidenzia come, a fronte di un calo globale del trasferimento di armamenti (-5,1% rispetto al quinquennio 2013-2017), l’Europa registri invece un aumento del 47%. Con punte del 65% nei Paesi membri della Nato. Oltre all’Ucraina, nel continente i principali acquirenti sono il Regno Unito (che a livello globale si attesta al tredicesimo posto) e la Norvegia. Quasi il 60% di sistemi d’arma acquistati in Europa sono stati esportati dagli Stati Uniti, al secondo posto si piazza la Russia, con il 5,8% (l’export di Mosca, tuttavia, è limitato alla Bielorussia). “Anche se i trasferimenti di armi sono diminuiti a livello globale, quelli verso l’Europa sono aumentati notevolmente a causa delle tensioni tra la Russia e la maggior parte degli altri Stati europei -ha spiegato Pieter D. Wezeman, ricercatore senior del Programma trasferimenti di armi del Sipri-. Dopo l’invasione dell’Ucraina, i Paesi europei vogliono dunque importare più armi e più velocemente. Ma la competizione strategica continua anche altrove: le vendite di armamenti verso l’Asia orientale sono aumentate e quelle verso il Medio Oriente restano a un livello elevato”.

      Secondo le analisi del Sipri a livello globale le spese militari sono in crescita dal 2013 e nel 2021 (ultimo anno per cui ci sono dati disponibili) e hanno superato la soglia record dei duemila miliardi di dollari (2.113) un valore quasi raddoppiato rispetto a quello raggiunto a fine anni Novanta. In parallelo, però, i trasferimenti di armi sono calati del 5,1% a livello mondiale. A diminuire il proprio import nel periodo 2018-2022 rispetto ai cinque anni precedenti sono stati soprattutto i Paesi dell’Africa (-40%), delle Americhe (-21%), dell’Asia e dell’Oceania (-7,5%) e in Medio Oriente (-8,8%). Mentre a livello locale la vendita di armi è aumentata verso i Paesi coinvolti in scontri e tensioni geopolitiche, come in Ucraina, in Corea del Sud o Giappone.

      Nel periodo 2018-2022 gli Stati Uniti hanno aumentato il proprio peso sul mercato globale passando dal 33% al 40%. Mentre la quota di mercato del secondo grande produttore, la Russia, è passata dal 22% al 16%: negli ultimi cinque anni il Paese ha registrato un calo delle vendite di sistemi d’arma, principalmente a causa del conflitto in Ucraina, e il suo divario verso la Francia (il terzo esportatore globale) si è ridotto. Gli Stati Uniti hanno aumentato i propri trasferimenti del 14% negli ultimi cinque anni rispetto al quinquennio precedente. La Russia, invece, ha diminuito il proprio export del 31%, passando dal 22% al 16% del mercato: dieci dei suoi otto maggiori partner, in particolare l’India, hanno ridotto gli acquisti dal Pese, in controtendenza solo Cina ed Egitto. “È probabile che l’invasione dell’Ucraina limiti ulteriormente le esportazioni militari di Mosca. Questo perché darà la priorità al rifornimento delle proprie forze armate e la domanda da parte di altri Stati rimarrà bassa a causa delle sanzioni commerciali e delle crescenti pressioni da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati per non finanziare i russi”, ha aggiunto Wezeman.

      In parallelo la Francia ha aumentato le proprie esportazioni militari del 44%, dirette soprattutto verso Asia, Oceania e Medio Oriente. L’India, in particolare, ha ricevuto il 30% delle armi vendute da Parigi. “Questa tendenza sembra destinata a continuare, dato che alla fine del 2022 la Francia aveva un numero di ordini in sospeso per l’esportazione di armamenti di gran lunga superiore a quello della Russia”, sottolinea ancora il Sipri.

      Gran parte della corsa al riarmo è stata causata dalla guerra in Ucraina. Ad esempio, tra il 2018 e il 2021 il principale ordine di armamenti da parte della Polonia comprendeva 32 aerei militari e quattro sistemi difensivi terra-aria dagli Stati Uniti. Ma nel 2022 Varsavia ha annunciato l’acquisto di 394 tank, 96 elicotteri da combattimento e 12 sistemi difensivi dagli Usa oltre a mille carri armati e 48 aerei dalla Corea del Sud. La Germania, invece, ha acquistato a fine 2022 35 bombardieri progettati per il trasporto di testate nucleari tattiche e che sostituiranno i precedenti modelli (ne abbiamo scritto a dicembre).

      L’Italia è al 28esimo posto a livello globale per le importazioni di sistemi d’arma, che acquista quasi esclusivamente dagli Stati Uniti (92%) e ha diminuito i trasferimenti del 41%. In nostro Paese, però, è uno dei principali produttori, al sesto posto (con una quota di mercato del 3,8%) e un incremento del 45% rispetto alla media del periodo 2012-2017: Qatar (24% delle vendite), Egitto (23%) e Turchia (12%) sono le prime tre destinazioni delle armi prodotte in Italia. E secondo le analisi del Sipri, le vendite italiane continueranno a crescere: a fine 2022, infatti, Roma aveva ordini in sospeso per 115 aerei ed elicotteri da combattimento, nove navi da guerra e 1.703 veicoli corazzati.

      “A causa delle preoccupazioni sul fatto che la fornitura di aerei da combattimento e missili a lungo raggio avrebbe potuto aggravare ulteriormente la guerra in Ucraina, gli Stati della Nato hanno rifiutato le richieste del Paese nel 2022. Allo stesso tempo, però, hanno fornito tali equipaggiamenti ad altri Stati coinvolti in situazioni di conflitto, in particolare in Medio Oriente e nell’Asia meridionale”, segnala poi il Sipri.

      A livello globale i maggiori importatori restano Asia e Oceania, che hanno ricevuto il 41% dei trasferimenti di armamenti, in queste due regioni infatti si trovano sei dei dieci maggiori acquirenti a livello globale: Australia, Cina, Corea del Sud, Pakistan, India e Giappone. Nell’area le importazioni sono state spinte verso l’alto dalle tensioni tra Corea del Nord e del Sud oltre che dal confronto tra Cina e Giappone. Tra il quinquennio 2013-2017 e il 2018-2022 Seoul ha aumentato del 61% i propri acquisti di sistemi d’arma e mentre nello stesso periodo Tokyo ha registrato un impressionante +171%. Infine l’Australia le ha aumentate del 23%. Anche le tensioni geopolitiche tra India e Pakistan hanno fatto crescere gli acquisti militari di entrambi i Paesi. L’India, nonostante un calo del 10%, rimane il maggior importatore a livello globale mentre il Pakistan risulta all’ottavo posto ricevendo per la maggior parte materiale di fabbricazione cinese.

      In Medio Oriente vi sono tre dei maggiori importatori di materiale bellico, Egitto, Qatar (i due più importanti partner dell’Italia) e l’Arabia Saudita, il secondo acquirente globale dopo l’India. L’Arabia Saudita, sempre tra 2018 e 2022, ha ricevuto 91 aerei da guerra e più di 20mila bombe guidate dagli Stati Uniti. Il Qatar ha quadruplicato le sue importazioni negli ultimi cinque anni, in particolare da Stati Uniti e Italia. Il Paese ha comprato 36 cacciabombardieri dalla Francia e altrettanti dagli Stati Uniti, oltre a tre fregate dall’Italia.

      https://altreconomia.it/simpenna-limport-di-armi-in-europa-gli-stati-uniti-dominano-il-commerci

  • Crescono le vendite di armi delle prime 100 aziende del mondo. Nonostante la crisi

    Nel 2021 le prime 100 multinazionali del settore -soprattutto statunitensi- hanno registrato un giro di affari pari a 592 miliardi di dollari, più 1,9% rispetto al 2020. L’Italia è tra i Paesi che cresce di più per via del forte incremento dei fatturati di Leonardo. I dati dall’istituto di ricerca indipendente Sipri

    La vendita di armamenti e sistemi d’arma da parte delle prime 100 aziende al mondo ha raggiunto nel 2021 quota 592 miliardi di dollari, in crescita dell’1,9% rispetto all’anno precedente e confermando un trend iniziato nel 2015. L’Italia, per via del boom dei ricavi di Leonardo, è tra le aree che segnano la crescita relativa più forte: più 15%, al primo posto con la Francia. Tutto questo nonostante gli effetti della pandemia da Covid-19 abbiano rallentato le commissioni e messo in crisi i fornitori, rendendo ad esempio i componenti più costosi e difficili da reperire. Lo mostrano i dati diffusi il 5 dicembre 2022 dal Sipri, l’Istituto indipendente di ricerca sulla pace di Stoccolma che si occupa di conflitti, armamenti, controllo delle armi e disarmo.

    “Avremmo potuto aspettarci una crescita ancora maggiore delle vendite di armi nel 2021 senza i persistenti problemi della catena di approvvigionamento -ha spiegato Lucie Béraud-Sudreau, direttrice del Programma di spesa militare e produzione di armi del Sipri-. Sia le grandi aziende produttrici di armi sia quelle più piccole hanno dichiarato che le loro vendite sono state influenzate durante l’anno da questi fattori. Alcuni produttori, come #Airbus e #General_dynamics, hanno anche segnalato carenze di manodopera”. Le catene di approvvigionamento hanno sofferto a causa della loro estensione e complessità: l’italiana Leonardo ha segnalato nei suoi rapporti una rete di fornitori pari a oltre 11mila aziende. A questo scenario si sono aggiunte le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina che ha portato ulteriori difficoltà anche per l’importanza che riveste Mosca nel commercio di componenti d’arma. “Sebbene i rapporti indichino che le aziende russe stanno aumentando la produzione a causa della guerra, queste hanno avuto difficoltà ad accedere ai semiconduttori. Inoltre hanno subito l’impatto delle sanzioni. Ad esempio #Almaz-Antey (non inclusa nella Top 100 per il 2021 per mancanza di dati, ndr) ha dichiarato di non essere riuscita a ricevere i pagamenti per alcune delle sue forniture di armi”, riportano gli esperti del Sipri.

    Veniamo ora alle 100 multinazionali oggetto dello studio. Gli Stati Uniti sono il Paese più rappresentato: sono 40 le aziende Usa tra le prime 100 e le prime cinque per valore assoluto: #Lockheed_Martin, #Raytheon_technologies, #Boeing, #Northrop_grumman e #General_dynamics. Nonostante abbiano affrontato una diminuzione delle vendite di armamenti, perdendo lo 0,9% rispetto al 2020, le principali aziende statunitensi hanno venduto materiale bellico per un totale di 300 miliardi di dollari, pari al 51% della spesa esaminata. Un calo che ha riguardato quattro dei maggiori cinque produttori con l’esclusione di Raytheon Technologies che ha aumentato le vendite del 9,1%. Una particolarità del “mercato” statunitense riguarda le recenti acquisizioni e fusioni tra i produttori del settore. Una delle operazioni più significative è stata l’acquisto da parte di Peraton di Perspecta, azienda specializzata in informatica governativa, per 7,1 miliardi di dollari. “Probabilmente nei prossimi anni potremo aspettarci un’azione più incisiva da parte del governo statunitense per limitare le fusioni e le acquisizioni nell’industria degli armamenti -ha dichiarato Nan Tian, ricercatore senior del Sipri-. Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha infatti espresso la preoccupazione che la riduzione della concorrenza nel settore possa avere effetti a catena sui costi di approvvigionamento e sull’innovazione”. Un timore piuttosto paradossale considerando come funziona il mercato delle armi, con gli Stati a fare da principali committenti.

    Secondo i dati del 2021 sono 27 le aziende in classifica con sede in Europa e le loro vendite complessive hanno registrato un incremento del 4,2%, raggiungendo i 123 miliardi di dollari. Le velocità di crescita cambiano a secondo del settore. “La maggior parte delle aziende europee specializzate nel settore aerospaziale militare ha registrato perdite per il 2021, imputate alle interruzioni della catena di approvvigionamento -ha fatto notare Lorenzo Scarazzato, ricercatore del Programma di spesa militare e produzione di armi del Sipri-. Al contrario i costruttori navali europei sembrano essere stati meno colpiti a e sono stati in grado di aumentare le loro vendite nel 2021″. Tra questi c’è #Fincantieri, che occupa la 46esima posizione e che ha registrato un incremento del 5,9% dei ricavi rispetto all’anno precedente. Crescita che condivide con l’altro gruppo italiano, Leonardo, che ha segnato un aumento fortissimo del 18% e che occupa la 12esima posizione con 13,9 miliardi di dollari di fatturato. Una delle poche aziende del settore aereo che hanno segnato una crescita è la francese Dassault aviation group che ha riportato una crescita del 59% grazie alla commissione di 25 aerei modello “Rafale”.

    Il mercato asiatico, infine, comprende 21 aziende tra le prime cento e ha raggiunto i 136 miliardi di dollari nel corso del 2021 con una crescita del 5,8% rispetto all’anno precedente. La tendenza è stata guidata dai produttori cinesi che da soli contano per 109 miliardi di dollari e hanno aumentato le loro vendite del 6,3%. “A partire dalla metà dello scorso decennio si è verificata un’ondata di consolidamento nell’industria degli armamenti cinese -ha sottolineato Xiao Liang, anch’egli ricercatore del Programma del Sipri-. Nel 2021 la #CSSC cinese è diventata il più grande costruttore di navi militari al mondo, con vendite per 11,1 miliardi di dollari, dopo una fusione tra due società già esistenti”.

    https://altreconomia.it/crescono-le-vendite-di-armi-delle-prime-100-aziende-del-mondo-nonostant
    #armes #armement #commerce_d'armes #statistiques #chiffres #monde #multinationales #business #vente_d'armes

  • La France a autorisé des livraisons d’armements à la Russie en 2021
    https://disclose.ngo/fr/article/la-france-a-autorise-des-livraisons-armements-a-la-russie-en-2021

    L’Etat français a validé la livraison d’équipements militaires à la Russie pour près de 7 millions d’euros. C’est ce que révèle un rapport du ministère des armées dont le gouvernement retarde la publication depuis juin dernier. Disclose le publie en intégralité. Lire l’article

  • Visualizing Turkey’s Activism in Africa

    As Turkey gradually expands its influence at the regional and global level, Africa has become a major area of focus for Ankara. Africa’s global significance is rising due to vast untapped resources, growing demographics, rapid urbanisation and the accompanying growth of the middle class. Thus, Africa is not only rich in terms of raw materials but it also represents an increasingly growing market. This led to the “new scramble for Africa” where all established and rising powers are vying for increased influence.

    Turkish intention of reaching out to Africa was first declared by the then Ministry of Foreign Affairs through the publication of the Africa Action Plan in 1998. However, prior to 2005, which was declared the “Year of Africa”, Turkey’s relations with Africa was confined mostly to the states of North Africa, with whom Turkey shares a common history and religion. Today, Africa is one of the regions in which Turkey’s new foreign policy activism is most visible. Turkish-Africa relations are now institutionalised through the establishment of periodical Turkey-Africa summits. The growing importance given to Africa reflects the Turkish desire to diversify economic and military relations. It is also part of Turkey’s efforts to present itself as a regional and global actor. Expansion to Africa is one of the few topics that the Justice and Development Party (Adalet ve Kalkinma Partisi, AKP) government has consistently pursued, since coming to power in 2002. Moreover, since this policy is largely considered a success story, it will likely be appropriated by other political parties, if and when there is a change of government in Turkey.

    This visual platform aims to provide an overview of Turkey’s increased foreign policy activism in Africa. It is mainly based on primary data sources. These sources are listed in detail underneath the visuals. Additionally, the parts on diplomatic activism, economy, and Turkey’s soft power tools draw upon the growing and highly valuable literature on Turkey’s engagement in Africa, such as Tepeciklioğlu (2020), García (2020), Donelli (2021), and Orakçi (2022).

    Turkish policy in Africa is comprehensive and encompasses diplomatic channels, airline connectivity, economic cooperation, trade, investments, development and humanitarian aid, the provision of health services and education, cultural cooperation, as well as religious and civil society activism. Particularly, on the rhetorical level, Turkey distinguishes itself from traditional Western actors, especially former colonial powers by emphasizing cultural and humanitarian proximities and activities.

    In recent years, Turkey has integrated a military and security component into its economic, political, and cultural relations with African states. And while Ankara’s increased military and security interaction with African states has raised serious concerns in the West, Turkey has only a limited capacity to project military power in distant regions. But Turkey seeks to expand its economic engagement and actively cultivate its diplomatic relations with the continent.

    Overall, across the entire continent, Turkey has limited capabilities compared to more traditional powers such as the US, France, Great Britain, and the EU and rising powers such as China and Russia. However, it is creating pockets of influence where it challenges these actors and makes use of its cultural and diplomatic strength. Furthermore, Turkey itself is a rising actor. Its influence in economic, diplomatic and military realms is growing much more rapidly than that of traditional powers, leading to the projection that Turkey will become an even more important actor in Africa. The EU needs to recognise the growing footprint of Turkey and look for opportunities for cooperation rather than solely focusing on competition.


    https://www.cats-network.eu/topics/visualizing-turkeys-activism-in-africa
    #Turquafrique (?) #Turquie #Afrique #influence #coopération #coopération_militaire #défense #sécurité #armes #commerce_d'armes #armement #diplomatie #activisme_diplomatique #commerce #investissements #cartographie #visualisation #soft_power #coopération_au_développement #aide_au_développement #aide_humanitaire #culture #religion #Diyanet #islam #Maarif #Yunus_Emre_Institute

  • Non c’è recessione per il mercato delle armi: nuovi contratti tra Turchia e Nigeria, affari per la #Leonardo

    La Turchia consegnerà elicotteri d’attacco alle forze armate della Nigeria ma a fregarsi le mani con Erdogan & C. ci sono pure i manager e gli azionisti di Leonardo SpA.

    Temel Kotil, direttore di #TAI#Turkish_Aerospace_Industries –, la principale azienda pubblica del comparto militare-industriale turco ha reso noto l’esportazione alla Nigeria di sei elicotteri da combattimento avanzato #T-129#Atak”. Ignoto ad oggi il valore della commessa.

    Il velivolo da guerra T-129 “Atak” viene costruito su licenza dell’azienda italo-britannica #AgustaWestland, interamente controllata dal gruppo italiano Leonardo. Si tratta di un bimotore di oltre 5 tonnellate, molto simile all’A129 “Mangusta” in possesso dell’Esercito italiano.

    Nel 2007 AgustaWestland e Turkish Aerospace Industries hanno firmato un memorandum che prevede lo sviluppo, l’integrazione, l’assemblaggio degli elicotteri in Turchia, demandando invece la produzione dei sistemi di acquisizione obiettivi, navigazione, comunicazione, computer e guerra elettronica agli stabilimenti del gruppo italiano di Vergiate (Varese).

    Gli elicotteri T129 “Atak” sono stati acquisiti dalle forze armate turche e utilizzati in più occasioni per sferrare sanguinosi attacchi contro villaggi e postazioni delle milizie kurde nel Kurdistan turco, siriano e irakeno.

    Nel giugno del 2020 TAI ha presentato una versione ancora più micidiale dell’elicottero “cugino” del “Mangusta”: con nuovi sistemi avanzati di individuazione e tracciamento dei bersagli e sofisticati di sistemi per la guerra elettronica, il nuovo velivolo è armato con razzi non guidati da 70 mm e missili anti-carro a lungo raggio #L-UMTAS.

    Sei #T-129 per un valore di 269 milioni di dollari sono stati venduti lo scorso anno alle forze armate delle Filippine; due velivoli sono stati già consegnati mentre i restanti quattro giungeranno a Manila entro la fine del 2023.

    La conferma della commessa degli elicotteri alla Nigeria giunge un paio di giorni dopo la missione in Turchia del Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare nigeriana, il generale Oladayo Amao.

    Incontrando il comandante delle forze aeree di Ankara, il generale Hasan Kucukakyuz, Amao ha espresso l’intenzione di rafforzare la cooperazione industriale-militare con la controparte “in vista del miglioramento dell’efficienza operativa nella lotta al terrorismo, così come stanno facendo in questi mesi i due Paesi”.

    Nigeria e Turchia si sono impegnati, in particolare, a scambiarsi le esperienze nell’impiego dei velivoli a pilotaggio remoto nelle operazioni anti-terrorismo e a moltiplicare le esercitazioni militari congiunte, a partire da quella multinazionale Anatolia Eagle che si svolge annualmente in Turchia. “I due paesi potranno beneficiare enormemente dello scambio di studenti militari durante i programmi di addestramento”, ha dichiarato il Capo di Stato maggiore nigeriano. “Chiediamo inoltre il supporto dell’Aeronautica militare turca per potenziare e modernizzare le piattaforme aeree e sviluppare programmi formativi per le forze speciali e per il personale nigeriano impiegato nelle tecnologie di intelligence e telecomunicazione”.

    Prima di lasciare la Turchia, lo staff dell’Aeronautica nigeriana ha effettuato un tour presso le maggiori industrie militari: TAI – Turkish Aerospace Industries, Aselsan, Havelsan, Manatek, BNW Group, Fly BVLOS – Airways Group ed Express Technics.

    La Nigeria si è rivolta ad Ankara pure per potenziare il dispositivo navale. Nel novembre dello scorso anno la Marina militare nigeriana ha sottoscritto un contratto con i cantieri navali Dearsan di Istanbul per la consegna di due pattugliatori d’altura tipo OPV-76 da completarsi entro tre anni.

    Secondo il capo di Stato maggiore della marina, l’ammiraglio Awwal Gambo, le due unità da guerra verranno utilizzate per le operazioni di interdizione marittima, sorveglianza e per il supporto alle forze speciali e alle unità terrestri. “I pattugliatori OPV-76 saranno anche in grado di svolgere attività di ricerca e salvataggio, anti-pirateria, anti-traffici e anti-droga e operazioni di pronto intervento in caso di disastri naturali”.

    Le due unità navali avranno una lunghezza di 76.8 metri e un dislocamento di oltre 1.100 tonnellate e ospiteranno a bordo 43 militari.

    Grazie a due potenti motori diesel esse raggiungeranno una velocità massima di 28 nodi con un raggio di azione di 3.000 miglia nautiche. Anche con i due pattugliatori d’altura si prospettano ottimi affari per Leonardo SpA e le aziende controllate: i sistemi d’arma che saranno impiegati a bordo comprendono infatti i cannoni da 76 mm Super Rapid e quelli “leggeri” da 40 mm (produzione Oto Melara/Leonardo) e i sistemi missilistici superficie-aria a corto raggio Simbad-RC (produzione MBDA).

    https://www.africa-express.info/2022/07/29/non-ce-recessione-per-il-mercato-delle-armi-nuovi-contratti-militar
    #armes #armement #commerce_d'armes #Turquie #Nigeria #Philippines #Anatolia_Eagle #Dearsan #OPV-76 #Super_Rapid #Oto_Melara #Simbad-RC #MBDA

  • Guerre en Ukraine : du matériel militaire français accusé d’avoir servi dans le massacre de Boutcha
    https://disclose.ngo/fr/article/des-equipements-militaires-francais-impliques-dans-le-massacre-de-boutcha

    Des caméras thermiques de Thales ont été retrouvées sur un char russe capturé par l’armée ukrainienne. Elles pourraient avoir été utilisées lors de crimes de guerre en Ukraine. Lire l’article

  • #EMSA signs cooperation agreements with EU Naval Missions to provide enhanced maritime awareness for operations in Somalia and Libya

    EMSA is supporting EU Naval Force operations – #Atalanta and #Irini – following the signature of two cooperation agreements with EU #NAVFOR-Somalia (#Operation_Atalanta) on the one hand and #EUNAVFOR_MED (#Operation_Irini) on the other. Operation Atalanta targets counter piracy and the protection of vulnerable vessels and humanitarian shipments off the coast of Somalia, while operation Irini seeks to enforce the UN arms embargo on Libya and in doing so contribute to the country’s peace process. By cooperating with EMSA in the areas of maritime security and #surveillance, multiple sources of ship specific information and positional data can be combined to enhance maritime awareness for the #EU_Naval_Force in places of particularly high risk and sensitivity. The support provided by EMSA comes in the context of the EU’s Common Security and Defence Policy.

    EUNAVFOR-Somalia Atalanta

    EMSA has been supporting the EU NAVFOR-Somalia Atalanta operation since April 2011 when piracy off the coast of Somalia was at its peak. The various measures taken to suppress piracy have been successful and the mandate of the operation was not only renewed at the beginning of last year but also expanded to include measures against illegal activities at sea, such as implementing the arms embargo on Somalia, monitoring the trafficking of weapons, and countering narcotic drugs. Through the cooperation agreement, EMSA is providing EU NAVFOR with access to an integrated maritime monitoring solution which offers the possibility of consulting vessel position data, central reference databases and earth observation products. This is integrated with EU NAVFOR data – such as vessel risk level based on vulnerability assessments – creating a specifically tailored maritime awareness picture. The new cooperation agreement extends the longstanding collaboration with EU NAVFOR for an indefinite period and is a great example of how EMSA is serving maritime security and law enforcement communities worldwide.

    EUNAVFOR MED Irini

    The EUNAVFOR MED operation Irini began on 31 March 2020 with the core task of implementing the UN arms embargo on Libya using aerial, satellite and maritime assets. It replaces #operation_Sophia but with a new mandate. While EMSA has been providing satellite AIS data to EUNAVFOR MED since 2015, the new cooperation agreement allows for access to EMSA’s #Integrated_Maritime_Services platform and in particular to the Agency’s #Automated_Behaviour_Monitoring (#ABM) capabilities. These services help EUNAVFOR officers to keep a close eye on Libya’s ports as well as to monitor the flow of maritime traffic in the area and target specific vessels for inspection based on suspicious behaviour picked up by the ABM tool. While the agreement is open ended, operation Irini’s mandate is expected to run until 31 March 2023.

    https://www.emsa.europa.eu/newsroom/press-releases/item/4648-emsa-signs-cooperation-agreements-with-eu-naval-missions-to-provide

    #coopération #Somalie #Libye #mer #sécurité #sécurité_maritime #Agence_européenne_pour_la_sécurité_maritime (#AESM) #piraterie #piraterie_maritime #armes #commerce_d'armes #drogues #trafic_maritime

    ping @reka @fil

  • Exportations d’armes : le commerce mortel de l’Europe (bande dessinée) | Benjamin Vokar, Philippe Sadzot et Tomasz Ka
    https://grip.org/bd-commerce-armes-europe

    Les armes fabriquées en Europe sont utilisées pour blesser et tuer dans le monde entier. Alors que des gens perdent leur vie, leur santé, leurs proches et leur logement dans les conflits armés, les fabricants d’armes génèrent des profits. L’industrie européenne de l’armement est un secteur opaque qui viole les lois, influence les décideurs et se dérobe souvent à ses responsabilités. Source : GRIP

  • Mon pays fabrique des #armes

    Depuis quelques années, les ventes d’armes françaises explosent et notre pays est devenu le troisième exportateur mondial. Pourtant, le grand public sait peu de choses de ce fleuron industriel français, de ses usines, de ses salariés, des régions productrices d’armes et des grandes instances d’État chargées de les vendre.
    Car la France exporte massivement vers le Moyen-Orient. Beaucoup vers l’Arabie Saoudite. Au sein de l’État, qui arbitre lorsqu’il s’agit de vendre à des régimes suspectés de crimes de guerre ? A quoi la realpolitik nous contraint-elle ? Dans le reste de l’Europe, la société civile réagit à cette question. Si les armes sont si cruciales pour l’emploi des Français, si elles participent autant à l’indépendance de notre pays, pourquoi y sont-elles un angle mort du débat public ?

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/54294_1

    #film #film_documentaire #documentaire
    #France #armement #commerce_d'armes #Dassault #Rafale #François_Hollande #Hollande #Inde #Qatar #Egypte #avions #bombes #munitions #missiles #MBDA #Nexter #Bourges #Avord #industrie_militaire #armée #La_Chapelle_Saint-Oursin #emploi #Jean-Yves_Le_Drian #ministère_de_l'armée #hélicoptère_Caïman #Direction_générale_de_l'armement (DGA) #commission_interministérielle_pour_l'étude_des_exportations_de_matériels_de_guerre (#CIEEMG) #Louis_Gautier #guerres #conflits #Cherbourg #CMN #Arabie_Saoudite #Yémen #crimes_de_guerre #ventes_d'armes #Traité_sur_le_commerce_des_armes (#TCA) #justice #contrat_Donas #Jean-Marc_Ayrault #licence_d'exportation #Jean-Charles_Larsonneur #canons_caesar #hypocrisie #impératif_de_vente #armes_de_surveillance #armes_d'interception #ERCOM #chiffrement #nexa_technologies #AMESYS #torture #complicité_d'actes_de_torture #Libye #al-Sissi #écoutes #Emmanuel_Macron #Macron #secret_défense

  • I #camalli genovesi in lotta contro le navi della morte

    Genova e il suo porto sono un centro logistico del traffico internazionali di armi. Ogni venti giorni circa le navi della #Bahri - la compagnia nazionale saudita, tra i più grandi armatori del mondo - fa tappa sullo scalo ligure. Nelle sue stive ci sono carri armati, elicotteri, esplosivi e altri armi caricate negli Stati Uniti e in altri porti europei e destinate ad essere impiegate nel conflitto dello Yemen. Di fronte a questa situazione c’è chi dice no. Sono gli attivisti del #Collettivo_Autonomo_Lavoratori_Portuali (#CALP) che da qualche anno si battono contro il transito da Genova di queste navi. La loro è una lotta dura, che solleva molte verità nascoste e dà fastidio, tanto che alcuni militanti sono finiti sotto indagine. Il nostro è un viaggio all’interno del mondo portuale genovese per cercare di capire le origini e il futuro di questa battaglia. Attraverso il racconto di alcuni militanti del CALP, oltre che di un rappresentante dell’ONG Weapon Watch e del console della principale compagnia di lavoratori portuali, abbiamo voluto dare voce ad un movimento che di recente ha ricevuto il sostegno anche di Papa Francesco. Un movimento che non si ferma certo con il nostro reportage: la #Bahri_Hofuf è attesa a Genova in questi giorni dopo che ha imbarcato merci al #Military_Ocean_Terminal di #Sunny_Point, nella Carolina del Nord, uno dei principali terminal militare del mondo. I lavoratori sono sul chi vive e di certo lanceranno l’allarme.

    https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/I-camalli-genovesi-in-lotta-contro-le-navi-della-morte-14877315.html?f=podcast-s
    #Gênes #port #armes #commerce_d'armes #port #Yémen #résistance #Arabie_Saoudite #Genova #Italie #grève

    –—
    Page Facebook du collectif:

    https://fr-fr.facebook.com/CalpGe

  • Opération Sirli - Les mémos de la terreur
    https://egypt-papers.disclose.ngo/fr/chapter/operation-sirli

    e projet de la mission Sirli naît le 25 juillet 2015. Ce jour-là, Jean-Yves Le Drian, alors ministre de la défense de François Hollande, s’envole pour Le Caire en compagnie du directeur du renseignement militaire, le général Christophe Gomart. Il y rencontre son homologue égyptien, le ministre Sedki Sobhi dans un contexte « extrêmement favorable (…) reposant sur les récents succès des contrats Rafale et [frégates] FREMM », souligne une note diplomatique obtenue par Disclose – en avril, l’Egypte a acheté 24 avions de chasse Rafale et deux navires de guerre pour un montant de 5,6 milliards d’euros.

  • Le Monde selon #Modi, la nouvelle #puissance indienne

    « Aucune puissance au monde ne peut arrêter un pays de 1,3 milliard d’habitants. Le 21e siècle sera le siècle de l’Inde ».
    #Narendra_Modi, nationaliste de droite, à la tête de l’Inde depuis 2014, est le nouvel homme fort de la planète. 3ème personnalité la plus suivie sur Twitter, au centre de « l’Indopacifique », une nouvelle alliance contre la Chine. C’est l’histoire d’un tournant pour l’Inde et pour le monde.

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/62159_1

    #film #film_documentaire #documentaire
    #Inde #Savarki #culte_de_la_personnalité #nationalisme #cachemire_indien #purge #militarisation #couvre-feu #RSS #patriotisme #religion #propagande_hindoue #colonialisme #impérialisme #BJP #parti_nationaliste_hindou #pogrom #islamophobie #Amit_Shah #Vibrant_Gujarat #hologramme #réseaux_sociaux #journée_internationale_du_yoga #yoga #soft_power #fierté_nationale #Alliance_indo-pacifique #Indo-Pacifique #armée #Routes_de_la_soie #route_de_la_soie #collier_de_perles #Chine #armes #commerce_d'armes #Ladakh #frontières #zones_disputées #disputes_frontalières #différends_frontaliers #litige_frontalier #zones_frontalières #zone-tampon #Israël #revanche_nationaliste #temple_Ajodhya #hindouisme #déchéance_de_nationalité #citizenship_amendment_act #citoyenneté #primauté_des_Hindous #résistance #milices_privées

  • Per sorvegliare i migranti l’Ue fa affari con i #contractor

    - È un’area grigia nel cuore del Mediterraneo, una zona d’ombra dove la parola “sovranità” è soprattutto #business. Produttori di armi e munizioni, mediatori specializzati in sicurezza e fornitura di #contractors, navi cariche di fucili automatici che funzionano come vere e proprie Santa barbara fluttuanti.
    – In questa terra di mezzo dove si incontrano trafficanti e governi, i migranti sono prima di tutto un lucroso affare.
    - Nel progetto #Rapsody di #Esa, che dovrebbe controllare il Mediterraneo con droni, compare #Sovereign_Global_Uk azienda riconducibile all’imprenditore #Fenech, arrestato per aver violato l’embargo sulla vendita di armi ai libici.

    (#paywall)

    https://www.editorialedomani.it/politica/mondo/per-sorvegliare-i-migranti-lue-fa-affari-con-i-contractor-pe98utxb

    #frontières #UE #migrations #réfugiés #armes #armement #commerce_d'armes #complexe_militaro-industriel #Libye #Méditerranée #drones

  • Smoking guns. How European arms exports are forcing millions from their homes

    The #nexus between the arms trade and forced displacement is rarely explored and the role of European arms trade policies that facilitate gross human rights violations in third countries is often absent from displacement and migration studies. This report joins the dots between Europe’s arms trade and forced displacement and migration.

    Key findings

    - Arms and military equipment manufactured and licensed in Europe and sold to third countries provokes forced displacement and migration. This arms trade is motivated by how highly lucrative the industry is and current control and monitoring mechanisms facilitate rather than curtail problematic licensing and exportation.

    – The arms trade is political and is driven by profit but is under-regulated. Although other sectors, such as food and agriculture, do not undermine the fundamental right to life and other human rights in the same way that the arms trade does, they are far more stringently regulated.

    - It is possible to methodically trace arms, military equipment and technology, from the point of origin and export to where these were eventually used, and document their devastating impact on the local population. The report confirms beyond any reasonable doubt that European arms are directly used not to defend populations or to enhance local or regional security as is often claimed, but to destabilise entire countries and regions.

    - The arms industry is involved in clear violations of non-transfer clauses and end user agreements (EUAs) despite a supposedly robust system of controls. The evidence shows that once arms are traded, and although they may be traced, it is virtually impossible to control how they may eventually be used. Furthermore, although importing countries were known to have breached EUAs, EU member states continued to sell them arms and military equipment.

    - Regardless of whether arms were exported to official state security forces or were eventually used by non-state armed actors, or whether EUAs and other control mechanisms were respected, the result was the same – European arms were used in military operations that led to destabilisation and resulting forced displacement and migration. The destabilisation, facilitated by arms supplied by Europe, then contributed to Europe hugely expanding its border security apparatus to respond to the apparent threat posed by refugees attempting to arrive and seek asylum.

    - European countries are among the top exporters of lethal arms equipment worldwide, comprising approximately 26% of global arms exports since 2015. The top five European arms exporters are France, Germany, Italy, Spain and the UK – together accounting for 22% of global arms exports in the 2016–2020 period.

    - Arms exports from Bulgaria, Croatia and Romania have soared in recent years, a large proportion of which is exported to West Asian countries. For example, before 2012, Croatia exported ammunition worth less than €1 million a year, but with the start of the Syrian war this surged every year to reach €82 million in 2016. The European Parliament called on Bulgaria and Romania to stop arms exports to Saudi Arabia and the US (if there was a risk that these arms may be diverted), so far to no avail.

    – In Syria an estimated 13 million people need humanitarian assistance and more than half of the population remains displaced from their homes – including 6.6 million refugees living in neighbouring countries, such as Jordan and Lebanon, who subsequently attempt to flee to Europe in a reverse movement to the arms that displaced them. Another 6.7 million are internally displaced persons (IDPs) inside Syria.

    –-

    Five case studies document that:

    Italian T-129 ATAK helicopter components were exported to Turkey and used in 2018 and 2019 in two attacks in the district of Afrin in Northern Syria as part of Operation Olive Branch and in Operation Peace Spring on the Turkish–Syrian border. According to UN figures, 98,000 people were displaced during the Afrin offensive between January and March 2018, while 180,000, of whom 80,000 were children, were displaced, in October 2019 as a result of Operation Peace Spring.

    Bulgaria exported missile tubes and rockets to Saudi Arabia and the US, which eventually ended up in the hands of IS fighters in Iraq. The equipment was diverted and used in Ramadi and the surrounding region, where the International Organisation for Migration reported that from April 2015, following the outbreak of the Ramadi crisis, over half a million people were displaced from Anbar province, of which Ramadi is the capital city, while 85,470 were displaced specifically from Ramadi City between November 2015 and February 2016. Around 80% of all housing in Ramadi was severely damaged after the offensive. In 2017 another missile tube originating in Bulgaria was found to have been used by IS forces in the town of Bartella, located to the east of Mosul. At least 200,000 people from minority groups were displaced from the greater Mosul area between 2014 and January 2017. By July 2019, over two years after military operations had ended in Mosul, there were still over 300,000 people displaced from the city.

    British, French, and German components and production capacity, including missiles, missile batteries, and a bomb rack, were exported to Turkey, where they were mounted on Turkish-made drones and exported to Azerbaijan. These same drones, loaded with European-manufactured arms components, were used in the 44-day conflict in Naghorno- Karabakh, which provoked the forced displacement of half of the region’s Armenian population – approximately 90,000 people.

    Between 2012 and 2015 Bulgaria exported assault rifles, large-calibre artillery systems, light machine guns, hand-held under-barrel and mounted grenade launchers to the Democratic Republic of Congo’s (DRC) national police and military. The conflict in DRC is one of the world’s longest, yet Europe continues to supply arms that are used to perpetrate gross human rights violations. In 2017, Serbia exported 920 assault rifles and 114 light machine guns that were originally manufactured in Bulgaria. That same year, 2,166,000 people were forcibly displaced, making it one of the worst since the conflict began. Specifically, Bulgarian weapons were in use in North Kivu in 2017 coinciding with the forced displacement of 523,000 people.

    At least four Italian Bigliani-class patrol boats were donated to Libya and used by its coastguard to forcibly pull back and detain migrants who were fleeing its shores. In 2019, the Libyan coastguard mounted a machine gun on at least one of these boats and used it in the internal conflict against the Libyan National Army. Many of those fleeing Libya had most likely already fled other conflicts in other African and West Asian countries that may have purchased or were in receipt of European arms, so that at each step along their journey from displacement to migration, the European arms trade is making massive profits by firstly displacing them, and then later deterring and pushing them back.

    The arms companies we identified in these case studies include: Airbus (Franco-German), ARSENAL (Bulgaria), BAE Systems (UK), Baykar Makina (Turkey), EDO MBM (UK), Intermarine (Italy), Kintex (Bulgaria), Leonardo (Italy), Roketsan (Turkey), SB Aerospatiale (France), TDW (Germany), Turkish Aerospace Industry (Turkey), and Vazovski Mashinostroitelni Zavodi ЕAD (Bulgaria).

    https://www.tni.org/en/publication/smoking-guns
    #rapport #tni
    #armes #commerce_d'armes #migrations #asile #réfugiés #Europe #armée #militaire #industrie_de_l'armement #droits_humains #droits_fondamentaux #France #Allemagne #Italie #UK #Angleterre #Espagne #Bulgarie #Croatie #Roumanie #Arabie_Saoudite #Syrie #T-129_ATAK #Turquie #Operation_Olive_Branch #Operation_Peace_Spring #Irak #Ramadi #Bartella #Azerbaïjan #arméniens #Congo #RDC #République_démocratique_du_Congo #Serbie #Kivu #Nord_Kivu #Bigliani #Libye #gardes-côtes_libyiens #complexe_militaro-industriel
    #Airbus #ARSENAL #BAE_Systems #Baykar_Makina #EDO_MBM #Intermarine #Kintex #Leonardo #Roketsan #SB_Aerospatiale #TDW #Turkish_Aerospace_Industry #Vazovski_Mashinostroitelni_Zavodi_ЕAD

  • Data et nouvelles technologies, la face cachée du contrôle des mobilités

    Dans un rapport de juillet 2020, l’#Agence_européenne_pour_la_gestion_opérationnelle_des_systèmes_d’information_à_grande_échelle (#EU-Lisa) présente l’#intelligence_artificielle (#IA) comme l’une des « #technologies prioritaires » à développer. Le rapport souligne les avantages de l’IA en matière migratoire et aux frontières, grâce, entre autres, à la technologie de #reconnaissance_faciale.

    L’intelligence artificielle est de plus en plus privilégiée par les acteurs publics, les institutions de l’UE et les acteurs privés, mais aussi par le #HCR et l’#OIM. Les agences de l’UE, comme #Frontex ou EU-Lisa, ont été particulièrement actives dans l’expérimentation des nouvelles technologies, brouillant parfois la distinction entre essais et mise en oeuvre. En plus des outils traditionnels de #surveillance, une panoplie de technologies est désormais déployée aux frontières de l’Europe et au-delà, qu’il s’agisse de l’ajout de nouvelles #bases_de_données, de technologies financières innovantes, ou plus simplement de la récupération par les #GAFAM des données laissées volontairement ou pas par les migrant·e·s et réfugié∙e∙s durant le parcours migratoire.

    La pandémie #Covid-19 est arrivée à point nommé pour dynamiser les orientations déjà prises, en permettant de tester ou de généraliser des technologies utilisées pour le contrôle des mobilités sans que l’ensemble des droits des exilé·e·s ne soit pris en considération. L’OIM, par exemple, a mis à disposition des Etats sa #Matrice_de_suivi_des_déplacements (#DTM) durant cette période afin de contrôler les « flux migratoires ». De nouvelles technologies au service de vieilles obsessions…

    http://migreurop.org/article3021.html

    Pour télécharger la note :
    migreurop.org/IMG/pdf/note_12_fr.pdf

    #migrations #réfugiés #asile #frontières #mobilité #mobilités #données #technologie #nouvelles_technologies #coronavirus #covid #IOM
    #migreurop

    ping @etraces

    voir aussi :
    Migreurop | Data : la face cachée du contrôle des mobilités
    https://seenthis.net/messages/900232

    • European funds for African IDs: migration regulation tool or privacy risk?

      The first person you meet after you land at Blaise Diagne Airport in Dakar is a border guard with a digital scanner.

      The official will scan your travel document and photograph and take a digital print of your index fingers.

      It’s the most visible sign of the new state-of-the-art digital biometrics system that is being deployed in the airport with the help of EU funding.

      The aim is to combat the increasingly sophisticated fake passports sold by traffickers to refugees.

      But it also helps Senegal’s government learn more about its own citizens.

      And it’s not just here: countries across West Africa are adopting travel documentation that has long been familiar to Europeans.

      Passports, ID cards and visas are all becoming biometric, and a national enrolment scheme is underway.

      In Europe too, there are proposals to create a biometric database of over 400 million foreign nationals, including fingerprints and photographs of their faces.

      The new systems are part of efforts to battle illegal migration from West Africa to the EU.

      ‘Fool-proof’ EU passport online

      Many are still plying the dangerous route across the Sahara and the Mediterranean to reach Europe, but a growing number are turning to the criminal gangs selling forged passports to avoid the treacherous journey over desert and sea.

      There’s a burgeoning market in travel documents advertised as ‘fake but real”.

      Prices vary according to the paperwork: an EU Schengen transit visa costs €5,000, while a longer-stay visa can be twice as high.

      Some forgers have even mastered the ability to incorporate holograms and hack the biometric chips.

      “Morphing” is an image processing technique that merges two people’s photographs into a single new face that appears to contain entirely new biometric data.

      Frontex, the EU’s border guard agency, says 7,000 people were caught trying to enter the Schengen area in 2019 carrying such documents — but it admits the true figure could be much higher.

      Sending migrants back

      Last year, the largest number of travellers with fake documents arrived via Turkish and Moroccan international airports.

      Many were caught in Italy, having arrived via Casablanca from sub-Saharan countries like Ghana, Mali, Nigeria and Senegal.

      A Frontex team responsible for deporting migrants without the correct paperwork was deployed this year at Rome’s Fiumicino Airport.

      It’s the first sign of a new European Commission regulation expanding the agency’s role, which includes access to biometric data held by member states, according to Jane Kilpatrick, a researcher at the civil liberties think-tank Statewatch.

      “The agency’s growing role in the collection of data, it links overtly to the agency’s role in deporting individuals from the EU,” she said.

      Over 490,000 return decisions were issued by member states last year, but only a third were actually sent back to a country outside the EU.

      There are multiple reasons why: some countries, for example, refuse to accept responsibility for people whose identity documents were lost, destroyed or stolen.

      Legally binding readmission agreements are now in place between the EU and 18 other countries to make that process easier.
      There are no records

      But a bigger problem is the fact that many African countries know very little about their own citizens.

      The World Bank estimates the continent is home to roughly half of the estimated one billion people on the planet who are unable to prove their identities.

      An absence of digitisation means that dusty registers are piling up in storage rooms.

      The same goes for many borders: unlike the scene at Dakar’s airport, many are still without internet access, servers, scanners and cameras.

      That, the Commission says, is why EU aid funds are being used to develop biometric identity systems in West African countries.

      The EU Trust Fund for Africa has allotted €60 million to support governments in Senegal and Côte d’Ivoire in modernising their registry systems and creating a national biometric identity database.

      Much of the funding comes through Civipol, a consulting firm attached to France’s interior ministry and part-owned by Milipol, one of the most important arms trade fairs in the world.

      It describes the objective of the programme in Côte d’Ivoire as identifying “people genuinely of Ivorian nationality and organising their return more easily”.
      Data security concerns

      European sources told Euronews that the EU-funded projects in West Africa were not designed to identify potential migrants or deport existing ones.

      A Commission spokesperson insisted no European entity — neither Frontex, nor member states, nor their partners — had access to the databases set up by West African countries.

      But the systems they are funding are intimately connected to anti-migration initiatives.

      One is the Migrant Information and Data Analysis System (MIDAS), a migration database that can send automatic queries to Interpol watchlists to detect travel documents and people possibly linked to organised crime, including human trafficking.

      Connections like these, and the role of French arms giants like Thales in the growing biometric market, has led data protection experts to become worried about possible abuses of privacy.
      World’s newest biometric market

      As Africa becomes the coveted market for biometric identification providers, the watchdog Privacy International has warned it risks becoming a mere testing ground for technologies later deployed elsewhere.

      So far 24 countries on the continent out of 53 have adopted laws and regulations to protect personal data.

      A letter by Privacy International, seen by Euronews, says EU must “ensure they are protecting rights before proceeding with allocating resources and technologies which, in absence of proper oversight, will likely result in fundamental rights abuses.”

      It has published internal documents tracking the development of Senegal’s system that suggest no privacy or data protection impact assessments have been carried out.

      Civipol, the French partner, denies this: it told Euronews that the Senegalese Personal Data Commission took part in the programme and Senegalese law was respected at every stage.

      Yet members of Senegal’s independent Commission of Personal Data (CDP), which is responsible for ensuring personal data is processed correctly, admit implementation and enforcement remained a challenge — even though they are proud of their country’s pioneering role in data governance in Africa.

      For the Senegalese cyber activist Cheick Fall, the charge is more serious: “Senegal has sinned by entrusting the processing of these data to foreign companies.”

      https://www.euronews.com/2021/07/30/european-funds-for-african-ids-migration-regulation-tool-or-privacy-risk

      #biométrie #aéroport #Afrique #étrangers #base_de_données_biométrique #empreintes_digitales #passeports #visas #hologramme #Morphing #image #photographie #Frontex #EU_Trust_Fund_for_Africa #Trust_Fund #Civipol #Milipol #armes #commerce_d'armes #Côte_d’Ivoire #Afrique_de_l'Ouest #Migrant_Information_and_Data_Analysis_System (#MIDAS) #Interpol #Thales #Sénégal #Senegalese_Personal_Data_Commission #Commission_of_Personal_Data (#CDP)

    • EU Watchdog Finds Commission Failed to Protect Human Rights From its Surveillance Aid to African Countries

      The European #Ombudsman has found that the European Commission failed to take necessary measures to ensure the protection of human rights in the transfers of technology with potential surveillance capacity supported by its multi-billion #Emergency_Trust_Fund_for_Africa

      The decision by the EU’s oversight body follows a year-long inquiry prompted by complaints outlining how EU bodies and agencies are cooperating with governments around the world to increase their surveillance powers filed by Privacy International, Access Now, the Border Violence Monitoring Network, Homo Digitalis, International Federation for Human Rights (FIDH), and Sea-Watch.

      The complainants welcome the decision by the European Ombudsman and call on the Commission to urgently review its support for surveillance in non-EU countries and to immediately implement the Ombudsman’s recommendations in their entirety. 

      The inquiry, which investigated the support of projects across Africa aimed at bolstering surveillance and tracking powers and involved extensive evidence-gathering from the Commission and complainants, found that “the Commission was not able to demonstrate that the measures in place ensured a coherent and structured approach to assessing the human rights impacts”.

      It recommends that the Commission now require that an “assessment of the potential human rights impact of projects be presented together with corresponding mitigation measures.” The lack of such protections, which the Ombudsman called a “serious shortcoming”, poses a clear risk that these surveillance transfer might cause serious violations of or interferences with other fundamental rights. 

       

      Ioannis Kouvakas, Senior Legal Officer at Privacy International, commenting on the decision:

      “This landmark decision in response to our complaint marks a turning point for the European Union’s external policy and sets a precedent that will hopefully protect the rights of communities in some of the most vulnerable situations for the years to come.”

      An FIDH Spokesperson said:

      “Indeed, this decision warns once again the European Commission about its failure to comply with its human rights obligations. The decision makes clear that the EU has to better develop its processes to effectively put the protection of human rights at core of the design and the implementation of its policies and external activities. All human rights and all activities are at stake.”

      Marwa Fatafta from Access Now said:

      “We welcome the Ombudsman’s decision which scrutinises the EU’s failure to protect and respect the human rights of people living off its shores. The EU’s ongoing surveillance transfers to authoritarian regimes in Africa and elsewhere cannot continue business as usual. We hope this decision will help hold the EU accountable to its values overseas, and protect the rights and freedoms of vulnerable communities from intrusive tracking and government surveillance.”

      Homo Digitalis said:

      “The shortcomings that the Ombudsman has identified prove that the Commission is not able to demonstrate that the measures in place ensure a coherent and structured approach to assessing the human rights impacts of #EUTFA projects. This is an important first step, but we need specific accountability mechanisms in place to address violations of rights and freedoms in EUTFA projects. This cannot be ensured via just some revised templates.”

      https://privacyinternational.org/press-release/4992/eu-watchdog-finds-commission-failed-protect-human-rights-its-s
      #EUTF_for_Africa

  • Révélations : la France signe en secret la vente de Rafale à l’Egypte
    https://disclose.ngo/fr/article/la-france-signe-en-secret-la-vente-de-rafale-a-legypte

    Selon des documents confidentiels obtenus par Disclose, Paris et Le Caire ont signé fin avril un méga-contrat portant sur l’achat de trente avions de chasse. Montant du deal : 3,95 milliards d’euros.

  • En Ethiopie, la France partagée entre business et défense des droits humains

    Pillages, possibles crimes de #guerre, destructions de sites historiques : les témoignages en provenance du #Tigré, province en guerre depuis le 4 novembre, sont très inquiétants. La France reste pourtant discrète, et espère préserver ses chances sur un marché prometteur.

    L’ambassadeur a un échange « constructif » avec le ministre de l’éducation, l’ambassadeur a un échange « productif » avec le conseiller spécial du premier ministre sur les questions économiques, l’ambassadeur est « très honoré » de recevoir le ministre de l’énergie pour évoquer la participation française à plusieurs grands projets… Sur les réseaux sociaux de l’ambassade de France à Addis-Abeba, c’est #business_as_usual.

    Pour qui suit au quotidien le calvaire des habitants du Tigré – région où l’armée éthiopienne et ses alliés sont en guerre depuis le 4 novembre –, les photos de ces rencontres policées dans la capitale, où l’on discute #qaffaires, lovés dans de confortables canapés, semblent prises dans un monde parallèle.

    Loin, très loin, d’un Tigré littéralement à feu et à sang, où plus de deux millions de personnes ont dû fuir leur habitation, où l’on manque d’eau, d’électricité, de nourriture et de médicaments, où il est probable que la famine soit utilisée comme arme de guerre par les belligérants et où les humanitaires peinent toujours à accéder alors que 2,3 millions de personnes auraient besoin d’aide, selon les évaluations des ONG.

    Les affrontements y opposent le Front de libération du peuple du Tigré (TPLF) à l’armée fédérale éthiopienne, soutenue par des milices nationalistes amhara et des troupes érythréennes.

    « Nous recevons des rapports concordants à propos de violences ciblant certains groupes ethniques, d’assassinats, de pillages massifs, de viols, de retours forcés de réfugiés et de possibles crimes de guerre », a indiqué le 15 janvier le haut représentant de l’Union européenne pour les affaires étrangères et la politique de sécurité Josep Borrell, qui a annoncé par la même occasion la suspension de 88 millions d’euros d’aide destinée au gouvernement éthiopien.

    Dès le 13 novembre, la haute-commissaire de l’ONU aux droits de l’homme Michelle Bachelet évoquait elle aussi de possibles crimes de guerre et appelait à la mise en place d’une commission d’enquête indépendante pour le vérifier. À la veille de sa prise de fonction, le nouveau secrétaire d’État américain Antony Blinken s’est lui aussi inquiété publiquement de la situation.

    Une voix manque cependant à ce concert d’alertes : celle de la France. Le Quai d’Orsay n’a produit qu’un seul communiqué concernant le Tigré, le 23 novembre 2020. Il tient en quatre phrases convenues sur la dégradation de la situation humanitaire et la condamnation des « violences à caractère ethnique ». Exploit diplomatique, le mot « guerre » n’y apparaît pas ; celui de « crimes de guerre » encore moins. Il ne comporte ni interpellation des belligérants – qui ne sont d’ailleurs même pas cités –, ni appel à une enquête indépendante sur d’éventuelles violations des droits humains. Les mêmes éléments de langage étaient repris trois jours plus tard à l’occasion de la visite en France du ministre des affaires étrangères éthiopien Demeke Mekonnen.

    « Gênant, au minimum »

    Cette étrange pudeur française commence à interroger, voire à agacer certains alliés européens ainsi que nombre de chercheurs spécialisés sur l’Éthiopie – qui s’emploient, depuis deux mois et demi, à récolter les bribes d’informations qui parviennent du Tigré malgré la coupure des communications par les autorités.

    « J’ai des échanges réguliers avec l’#ambassade_de_France à Addis-Abeba depuis novembre. Je les ai questionnés sur leur position vis-à-vis du gouvernement éthiopien, et je les ai sentis très embarrassés », raconte le chercheur indépendant René Lefort, pour qui la #complaisance française vis-à-vis du gouvernement d’Abiy Ahmed Ali est incompréhensible : « Je crois qu’ils ne comprennent pas ce qu’est ce pays et ce qui s’y passe. »

    Au-delà des questions morales posées par le fait d’apporter un soutien tacite à un gouvernement qui a couvert ou laissé faire des violations des droits humains au Tigré, le soutien à #Abiy_Ahmed est une erreur d’analyse politique selon René Lefort : « Les Français parient tout sur lui, alors que son autorité personnelle est faible et que sa ligne politique n’est soutenue que par une minorité d’Éthiopiens. »

    La réserve française est en tout cas interprétée par l’armée fédérale éthiopienne et ses alliés comme un soutien de Paris. Le sociologue Mehdi Labzae était au Tigré, dans la région d’Humera, jusqu’à la mi-décembre : « Dans les zones conquises par les nationalistes amhara, se présenter comme Français facilite les relations avec les combattants, qui considèrent le gouvernement français comme un allié. Les déclarations françaises, ou leur absence, laissent penser que la réciproque est vraie », relève le chercheur, post-doctorant à la Fondation Maison des sciences de l’homme (FMSH). « Avec un ambassadeur à Addis qui fait comme si de rien n’était… Je trouve cela gênant, au minimum. »

    Selon une source diplomatique étrangère, la France ne se contente pas de rester discrète sur la situation au Tigré ; elle freine également les velléités des membres de l’Union européenne qui voudraient dénoncer plus ouvertement l’attitude des autorités éthiopiennes et de leurs alliés érythréens. Une attitude « parfois frustrante », déplore cette source.

    Interrogée par Mediapart sur cette « frustration » de certains alliés européens, l’ambassade de France à Addis-Abeba nous a renvoyé vers le Quai d’Orsay, qui n’a pas répondu sur ce point (voir boîte noire).

    Refus de répondre sur la création d’une commission d’enquête

    À ses partenaires européens, mais aussi aux chercheurs et humanitaires avec qui ils échangent, les services diplomatiques français expliquent que les accusations d’exactions visant l’armée éthiopienne et ses alliés ne « sont pas confirmées ». Il en va de même concernant la présence de troupes érythréennes sur place – cette présence a pourtant été confirmée à la fois par les autorités de transition du Tigré et par un général de l’armée éthiopienne.

    Une position difficilement tenable. D’abord parce que le gouvernement éthiopien empêche, en bloquant les communications avec le Tigré et en limitant l’accès des humanitaires, la récolte de telles preuves. Ensuite parce que, malgré ce blocus, les faisceaux d’indices s’accumulent : « Nous avons des informations qui nous viennent des ONG, d’équipes des Nations unies qui parlent off the record, de citoyens européens qui se trouvent toujours au Tigré ; nous avons aussi des listes de victimes, et de plus en plus de photos et vidéos », autant d’informations auxquelles l’ambassade de France a eu accès, explique un diplomate en poste à Addis-Abeba.

    La position française est difficilement tenable, enfin, parce que si elle tenait tant aux faits, la France ne se contenterait pas de refuser de condamner les crimes tant qu’ils ne sont pas « confirmés » : elle plaiderait pour la création d’une commission d’enquête indépendante qui permettrait, enfin, de les établir et de pointer les responsabilités respectives du TPLF, de l’armée éthiopienne et de ses alliés.

    Paris est dans une position idéale pour le faire, puisque la France vient d’être élue pour siéger au Conseil des droits de l’homme des Nations unies durant trois ans. Elle pourrait donc, aux côtés d’autres États membres, demander une session extraordinaire du Conseil sur l’Éthiopie (l’accord d’un tiers des 47 États qui composent le Conseil est nécessaire) qui déciderait de la création d’une commission d’enquête sur le Tigré.

    Or, interrogé par Mediapart sur son soutien à la création d’une telle commission, le Quai d’Orsay n’a pas souhaité répondre (voir boîte noire). Il assure avoir « appelé à plusieurs reprises les autorités éthiopiennes à faire la lumière sur les allégations de crimes et autres violations des droits de l’homme », sans toutefois préciser par quel canal.

    Hypothétique médiation

    Lors d’entrevues en privé, des diplomates de l’ambassade et du Quai d’Orsay assurent que cette absence de #dénonciation publique est volontaire et stratégique. Elle viserait à ne pas froisser le gouvernement éthiopien publiquement afin de « maintenir un canal de communication » pour mieux le convaincre en privé et, éventuellement, jouer un rôle de médiateur pour trouver une issue au conflit.

    « Des diplomates français m’ont dit, en résumé : “On reste discrets parce que si un jour il y a une #médiation à faire, le gouvernement pourrait se tourner vers nous” », indique René Lefort. Une analyse « totalement erronée », selon le chercheur : « Non seulement [le premier ministre] Abiy Ahmed Ali ne veut absolument pas d’une médiation, mais surtout, même s’il en acceptait le principe, je ne vois pas pourquoi il irait chercher la France plutôt que les États-Unis, l’Union européenne ou encore l’ONU. » Accessoirement, même si le gouvernement éthiopien souhaitait que la France soit médiatrice, il n’est pas dit que son principal adversaire, le TPLF, accepte le principe d’une médiation par un État qui a passé les derniers mois à multiplier les signes d’amitié envers Addis-Abeba et pourrait donc difficilement prétendre à la neutralité.

    Un (quasi-) #silence public pour mieux faire avancer les dossiers en privé : l’hypothèse est également avancée par l’ancien ambassadeur français en Éthiopie Stéphane Gompertz. « Il est possible que nous privilégions l’action en coulisses, qui peut être parfois plus efficace que de grandes déclarations. C’est d’ailleurs généralement l’option privilégiée par la #diplomatie française. » À l’appui de cette idée, l’ancien ambassadeur – qui fut aussi directeur Afrique au Quai d’Orsay – évoque des tractations discrètes mais couronnées de succès menées en 2005 afin de faire libérer des figures d’opposition.

    Si telle est la stratégie française actuellement, ses résultats sont pour l’instant peu concrets. Le quasi-silence français semble en réalité avoir d’autres explications : ne pas gâcher l’#amitié entre Emmanuel Macron et le premier ministre éthiopien Abiy Ahmed Ali et, surtout, ne pas compromettre les #intérêts_commerciaux français dans un pays vu comme économiquement prometteur et politiquement stratégique.

    Lune de miel

    Lors de sa nomination en 2018, le premier ministre éthiopien Abiy Ahmed Ali fait figure d’homme de paix et de chantre de la démocratie. Ses efforts de réconciliation avec l’Érythrée voisine lui valent le prix Nobel de la paix ; ses réformes sur la liberté de la presse ou la libération de prisonniers politiques lui attirent l’estime de nombreux chefs d’État étrangers.

    Est-ce une affaire de style ? Le fait qu’ils soient tous les deux jeunes, étiquetés comme libéraux, revendiquant une certaine manière de casser les codes ? Emmanuel Macron et Abiy Ahmed semblent en tout cas particulièrement s’apprécier. L’anecdote veut que lors d’une visite de #Macron à Addis-Abeba en 2019, Abiy Ahmed ait tenu à conduire lui-même la voiture amenant le président français à un dîner officiel.

    Lorsque le premier ministre éthiopien a pris ses fonctions, « les Allemands, les Français, l’UE, tout le monde a mis le paquet sur les aides, tout le monde s’est aligné sur lui. Sauf que, le temps passant, le malaise a grandi et la lune de miel a tourné au vinaigre, analyse une source dans les milieux économiques à Addis-Abeba. Les autres États ont rapidement déchanté. Pas les Français, pour qui la lune de miel a continué. »

    De fait, la transformation du Prix Nobel en chef de guerre ne semble pas avoir altéré sa belle entente avec le président français. Deux semaines après le début des hostilités au Tigré, et alors qu’Abiy Ahmed s’apprêtait à lancer un assaut « sans pitié » sur la ville de Mekele et ses 400 000 habitants, #Emmanuel_Macron qualifiait le premier ministre éthiopien de « role model ». Quelques semaines plus tard, toujours engagé dans ce conflit, Abiy Ahmed Ali trouvait le temps de souhaiter un prompt rétablissement à son « bon ami » Macron, atteint du Covid.

    Pour cette source, le facteur économique et commercial est essentiel : « Les Français sont restés très positifs parce qu’ils se positionnent clairement sur le secteur économique en Éthiopie : ils n’ont pas d’intérêt politique fort, ça n’est pas leur zone d’influence. Mais les #intérêts_économiques, eux, sont importants et sont grandissants. C’est potentiellement un #marché énorme. »

    Marché jugé prometteur

    Pour le conquérir, Paris a employé les grands moyens. En mars 2019, Emmanuel Macron s’est rendu en Éthiopie avec le ministère des affaires étrangères #Jean-Yves_le_Drian et sept patrons français pour y signer une flopée d’#accords visant à « promouvoir l’#attractivité de l’Éthiopie auprès des #investisseurs_français ».

    Les entreprises françaises intéressées par ce marché en voie de #libéralisation ne sont pas des moindres : #Orange (qui compte bien profiter de la privatisation de la compagnie nationale #Ethio_Telecom), le groupe #Castel (qui à travers sa filiale #BGI détient déjà 55 % des parts du marché de la #bière), #Bollore_Logistics ou encore #Canal+, qui compte développer une offre de #télévision locale.

    Les #intérêts_commerciaux français sont nombreux et variés. La #modernisation du #réseau_électrique éthiopien ? #Alstom (36 millions d’euros en 2011). La fabrication des #turbines de l’immense #barrage_hydroélectrique de la Renaissance ? Alstom encore (250 millions d’euros en 2013), qui désormais lorgne sur des projets ferroviaires. Le #bus « à haut niveau de service » qui desservira la capitale éthiopienne ? Les Français de #Razel-Bec (la filiale travaux publics du groupe #Fayat), qui ont remporté le marché en 2020.

    Peu après sa prise de poste, en octobre, l’ambassadeur français #Rémi_Maréchaux se félicitait : « Le nombre d’#entreprises_françaises en Éthiopie a doublé en cinq ans. Nous sommes prêts à travailler ensemble pour davantage d’investissements français. »

    #Contrats_militaires

    Dernier domaine stratégique pour les Français : la #coopération_militaire et les ventes d’#armes. Le dossier était en haut de la pile lors de la visite d’Emmanuel Macron en 2019. La ministre #Florence_Parly, qui était également du voyage, a signé un #accord_de_défense avec son homologue éthiopienne ainsi qu’une lettre d’intention « pour la mise en place d’une composante navale éthiopienne avec l’accompagnement de la France ».

    Une aubaine pour les fabricants d’armes et d’#équipements_militaires français, qui n’ont pas tardé, selon la presse spécialisée, à se manifester pour décrocher des contrats. Parmi eux, #Airbus, qui aimerait vendre des #hélicoptères de combat à l’Éthiopie. Le groupe a pu compter pour défendre ses intérêts sur l’attaché de défense de l’ambassade française à Addis-Abeba (jusque septembre 2020) #Stéphane_Richou, lui-même ancien commandant d’un régiment d’hélicoptères de combat.

    L’#armée de l’air éthiopienne a validé l’offre d’Airbus pour l’acquisition de 18 #hélicoptères_militaires et deux avions-cargos en octobre 2020, mais cherchait toujours des financements. Le déclenchement de la guerre au Tigré – où ces hélicoptères pourraient être utilisés – a-t-il conduit Airbus ainsi que le ministère des armées à reporter, voire annuler cette vente ?

    Ni Airbus ni le ministère n’ont souhaité nous répondre à ce sujet.

    Les affaires se poursuivent en tout cas entre la filiale civile d’Airbus et le gouvernement éthiopien : le 9 novembre, #Ethiopian_Airlines réceptionnait deux Airbus A350-900 pour sa flotte. Le 20 novembre encore, l’ambassadeur français à Addis-Abeba se félicitait d’une rencontre avec le PDG de la compagnie aérienne éthiopienne et ajoutait « Airbus » en hashtag.

    https://twitter.com/RemiMarechaux/status/1329829800031252481

    Quant à la coopération militaire France-Éthiopie, elle semble se poursuivre normalement si l’on en juge cette offre d’emploi de professeur de français à destination de militaires et policiers éthiopiens émise en décembre par la Direction de la coopération de sécurité et de défense du Quai d’Orsay (un contrat d’un an à pourvoir au 1er octobre 2021).

    Interrogé le 19 janvier sur le projet de création d’une #marine_éthiopienne, sur d’éventuelles livraisons d’armes récentes à l’Éthiopie et, plus généralement, sur la coopération militaire avec l’Éthiopie et le fait de savoir si l’évolution de la situation au Tigré était susceptible de la remettre en question, le ministère des armées a fait savoir 48 heures plus tard qu’il ne pourrait pas répondre « étant donné [les] délais ». Mediapart a proposé au ministère de lui accorder un délai supplémentaire pour fournir ses réponses. Le ministère n’a plus donné suite.

    Trop tard ?

    Le ministère des affaires étrangères, lui, n’a répondu à aucune des cinq questions précises que lui avait soumises Mediapart sur la présence de troupes érythréennes, les possibles crimes de guerres commis au Tigré et la coopération militaire avec l’Éthiopie notamment (voir boîte noire).

    Sa réponse condamne toutefois en des termes plus précis que par le passé les exactions commises au Tigré. La France est « profondément préoccupée » par la situation humanitaire sur place, « ainsi que par les allégations de violations des droits de l’homme », indique le Quai d’Orsay, avant d’appeler à la cessation des hostilités et au respect du droit international humanitaire par « toutes les parties au conflit ». Mais est-ce suffisant, et surtout n’est-ce pas trop tard ?

    Les dernières informations en provenance du Tigré évoquent des massacres qui auraient fait plusieurs centaines de morts. Plusieurs vidéos portent sur de possibles tueries dans la ville et l’église d’Aksoum, de la fin novembre à début décembre. Selon l’organisation belge Europe External Programme with Africa (EEPA) ainsi qu’un témoin interrogé par Le Monde, les troupes érythréennes y auraient tué plus de 750 personnes. Dans une interview mise en ligne le 17 janvier, une femme qui se dit témoin direct de ces tueries explique en amharique que « la ville entière, du dépôt de bus au parc, était recouverte de corps ».

    Les attaques et destructions concernent également des sites historiques inestimables ou jugés sacrés. La mosquée de Negash (site d’établissement des premiers musulmans éthiopiens, du temps du prophète Mahomet), datant du VIIe siècle, a été partiellement détruite et pillée. Le plus vieux monastère d’Éthiopie, le monastère orthodoxe de Debre Damo (VIe siècle), a également été attaqué.

    Enfin, Mediapart a pu consulter un témoignage de première main concernant un massacre commis dans l’église Maryam Dengelat – creusée dans la roche entre le VIe et le XIVe siècle par les premiers chrétiens d’Éthiopie –, qui estime que 80 personnes ont été tuées par l’armée érythréenne, parmi lesquelles des prêtres, des personnes âgées et des enfants. Ce témoignage fournit une liste comportant les noms de 35 victimes.

    « Si ces informations étaient confirmées, cela commencerait à ressembler à une stratégie d’anéantissement, non seulement du TPLF, mais du Tigré en tant qu’identité historique et territoriale », commente le chercheur Éloi Ficquet, de l’EHESS.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/210121/en-ethiopie-la-france-partagee-entre-business-et-defense-des-droits-humain
    #Ethiopie #France #armement #commerce_d'armes #vente_d'armes

  • #Vente_d’armes : en secret, l’#exécutif déclare la guerre au #Parlement

    Une note classée « confidentiel défense » dévoile la stratégie du gouvernement pour torpiller les propositions d’un rapport parlementaire sur un contrôle plus démocratique des #exportations d’armement.

    Silence radio. Depuis la publication, le 18 novembre dernier, du #rapport_parlementaire sur les ventes d’armes françaises, l’exécutif n’a pas réagi. Du moins pas officiellement. Car, en réalité, le gouvernement a préparé la riposte dans le secret des cabinets ministériels. Objectif : torpiller le rapport des députés #Jacques_Maire (La République en marche, LRM) et #Michèle_Tabarot (Les Républicains, LR) et les pistes qu’ils suggèrent pour impliquer le Parlement dans le processus de #contrôle des exportations d’armement.

    Disclose a été destinataire d’une note de quatre pages rédigée par le #Secrétariat_général_de_la_défense_et_de_la_sécurité_nationale (#SGDSN), un service directement rattaché à Matignon. Classée « confidentiel défense » – le premier niveau du « secret-défense » –, elle a été transmise au cabinet d’Emmanuel #Macron mais aussi à #Matignon, au #ministère_des_armées, et à celui des affaires étrangères et de l’économie, le 17 novembre dernier. Soit la veille de la publication du #rapport_Maire-Tabarot.

    étouffer les velléités

    Sobrement intitulé « Analyse des 35 propositions du rapport de la mission d’information sur les exportations d’armement Maire-Tabarot », ce document stratégique révèle l’opposition ferme et définitive du gouvernement à une proposition inédite : la création d’une #commission_parlementaire chargée « du contrôle des exportations d’armement ». D’après Jacques Maire et Michèle Tabarot, « cet organe n’interviendrait pas dans le processus d’autorisation des exportations mais contrôlerait, a posteriori, les grands #choix de la politique d’exportation de la France ». Impensable pour le gouvernement, qui entend peser de tout son poids pour étouffer dans l’œuf ces velléités de #transparence.

    Newsletter

    Selon les analystes de la SGDSN, cette proposition doit constituer le « point d’attention majeur » du pouvoir exécutif ; autrement dit, celui qu’il faut absolument enterrer. Le document explique pourquoi : « Sous couvert d’un objectif d’une plus grande transparence et d’un meilleur dialogue entre les pouvoirs exécutif et #législatif, l’objectif semble bien de contraindre la politique du gouvernement en matière d’exportation en renforçant le #contrôle_parlementaire. » A lire les gardiens du temple militaro-industriel français, plus de transparence reviendrait à entraver la #liberté_de_commerce de l’Etat. Et la SGDSN de prévenir : ces mesures pourraient « entraîner des effets d’éviction de l’#industrie françaises dans certains pays ».

    protéger les « clients »

    Si la commission parlementaire devait malgré tout voir le jour, le note préconise qu’elle ne puisse « en aucun cas » obtenir un suivi précis des transferts d’armes. Les élus devront se contenter du rapport qui leur est remis par le gouvernement chaque année, lequel ne précise ni les bénéficiaires du matériel ni son utilisation finale.

    « Cette implication de parlementaires, alertent encore les auteurs, pourrait mener à une fragilisation du principe du #secret_de_la_défense_nationale (…) ainsi que du #secret_des_affaires et du secret lié aux relations diplomatiques avec nos partenaires stratégiques. » Le risque pour l’Etat ? Que « les clients » soient « soumis à une politisation accrue des décisions » qui nuirait aux affaires et provoquerait la « fragilisation de notre #crédibilité et de notre capacité à établir des #partenariats_stratégiques sur le long terme, et donc de notre capacité à exporter ». En ligne de mire, des pays comme l’#Arabie_saoudite ou l’#Egypte, le principal client de l’industrie tricolore en 2019 (https://disclose.ngo/fr/news/la-france-bat-des-records-en-matiere-de-vente-darmes).

    Selon les analystes de le SGDSN, la création d’un contrôle parlementaire sur les exportations aurait également « des conséquences pour le gouvernement, dont les différents ministres seraient exposés ». Comme ce fut le cas en 2019, lorsque la ministre des armées, #Florence_Parly, dû s’expliquer sur ses #mensonges répétés après les révélations de Disclose sur les armes vendues à l’Arabie saoudite et utilisées dans la guerre au #Yémen (https://made-in-france.disclose.ngo/fr).

    « effet de bord »

    Un autre élément semble susciter l’inquiétude au plus haut sommet de l’Etat : la volonté de convergence entre les représentants des différents parlements de l’Union européenne. Pour Jacques Maire et Michèle Tabarot, ce « #dialogue_interparlementaire » permettrait une meilleure coopération entre Etats membres. Trop risqué, selon le gouvernement, qui y voit « le risque d’un effet de bord qui exposerait notre politique à des enjeux internes propres à certains de nos voisins européens ».

    Sur ce point, l’analyse aurait pu s’arrêter là. Mais le Quai d’Orsay a voulu préciser le fond de sa pensée, comme le révèlent les modifications apportées au document d’origine. Le cabinet de Jean-Yves Le Drian précise, en rouge dans le texte, qu’une telle convergence entre élus européens serait « particulièrement préoccupante », en particulier concernant le Parlement allemand. « Nous n’avons aucun moyen de maîtriser les vicissitudes [de la politique intérieure allemande] »,et la « forte mobilisation, très idéologique, du Parlement [allemand] sur les exportations d’armement », souligne le ministère des affaires étrangères dans ce mail que Disclose s’est procuré.

    Ce commentaire illustre les tensions sur ce sujet avec le voisin allemand, qui a mis en place en octobre 2018 un #embargo, toujours en cours, sur ses ventes d’armes à l’Arabie saoudite à la suite de l’assassinat du journaliste #Jamal_Khashoggi à Istanbul. Une décision jugée à l’époque incompréhensible pour Emmanuel Macron. Les ventes d’armes « n’ont rien à voir avec M. #Khashoggi, il ne faut pas tout confondre », avait alors déclaré le chef de l’Etat, précisant que cette mesure était, selon lui, « pure #démagogie ». Une fois le problème allemand évacué, le Quai d’Orsay désigne enfin le véritable ennemi : les #institutions_européennes, considérées comme « hostiles à nos intérêts dans le domaine du contrôle des exportations sensibles ».

    ouverture en trompe-l’œil

    L’exécutif aurait-il peur du #contrôle_démocratique ? Il s’en défend et feint même de vouloir protéger les députés contre un piège tendu à eux-mêmes. « Les parlementaires impliqués dans le contrôle des exportations (…) ne pourraient pas répondre aux demandes de transparence » et se retrouveraient « de facto solidaires des décisions prises », explique le document. En d’autres termes, s’il leur prenait de vouloir contester la politique de ventes d’armes de la France, les élus seraient de toute façon soumis au « #secret-défense ». Inutile, donc, qu’ils perdent leur temps.

    Pour finir, les services du premier ministre formulent une liste de recommandations quant à la réaction à adopter face à cet épineux rapport. Première d’entre elles, « adopter une position ouverte » sur les propositions de « renforcement de l’information du Parlement ». Un trompe-l’œil, car l’essentiel est ailleurs. « Il convient, poursuit le texte, de confirmer avec les principaux responsables de l’[#Assemblée_nationale] » qu’ils s’opposeront à la plus importante proposition du texte, soit la création d’une #délégation_parlementaire.

    En guise de dernière suggestion, les auteurs de la note invitent l’exécutif à définir « une #ligne_de_communication » face à la médiatisation du rapport et les réactions des ONG. Une ligne de communication désormais beaucoup plus claire, en effet.

    La note « confidentiel défense » dont Disclose a été destinataire est protégée par l’article 413-9 du code pénal sur le secret de la défense nationale. Nous avons néanmoins décidé d’en publier le contenu car ces informations relèvent de l’intérêt général et doivent par conséquent être portées à la connaissance du public. Par souci pour la sécurité de nos sources, nous ne publions pas le document dans son intégralité.

    https://disclose.ngo/fr/article/vente-darmes-en-secret-lexecutif-declare-la-guerre-au-parlement
    #armes #commerce_d'armes #armement #France #UE #EU #démocratie

    ping @reka @simplicissimus

  • #Vente_d’armes : en secret, l’#exécutif déclare la guerre au #Parlement

    Une note classée « confidentiel défense » dévoile la stratégie du gouvernement pour torpiller les propositions d’un rapport parlementaire sur un contrôle plus démocratique des #exportations d’armement.

    Silence radio. Depuis la publication, le 18 novembre dernier, du #rapport_parlementaire sur les ventes d’armes françaises, l’exécutif n’a pas réagi. Du moins pas officiellement. Car, en réalité, le gouvernement a préparé la riposte dans le secret des cabinets ministériels. Objectif : torpiller le rapport des députés #Jacques_Maire (La République en marche, LRM) et #Michèle_Tabarot (Les Républicains, LR) et les pistes qu’ils suggèrent pour impliquer le Parlement dans le processus de #contrôle des exportations d’armement.

    Disclose a été destinataire d’une note de quatre pages rédigée par le #Secrétariat_général_de_la_défense_et_de_la_sécurité_nationale (#SGDSN), un service directement rattaché à Matignon. Classée « confidentiel défense » – le premier niveau du « secret-défense » –, elle a été transmise au cabinet d’Emmanuel #Macron mais aussi à #Matignon, au #ministère_des_armées, et à celui des affaires étrangères et de l’économie, le 17 novembre dernier. Soit la veille de la publication du #rapport_Maire-Tabarot.

    étouffer les velléités

    Sobrement intitulé « Analyse des 35 propositions du rapport de la mission d’information sur les exportations d’armement Maire-Tabarot », ce document stratégique révèle l’opposition ferme et définitive du gouvernement à une proposition inédite : la création d’une #commission_parlementaire chargée « du contrôle des exportations d’armement ». D’après Jacques Maire et Michèle Tabarot, « cet organe n’interviendrait pas dans le processus d’autorisation des exportations mais contrôlerait, a posteriori, les grands #choix de la politique d’exportation de la France ». Impensable pour le gouvernement, qui entend peser de tout son poids pour étouffer dans l’œuf ces velléités de #transparence.

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    Selon les analystes de la SGDSN, cette proposition doit constituer le « point d’attention majeur » du pouvoir exécutif ; autrement dit, celui qu’il faut absolument enterrer. Le document explique pourquoi : « Sous couvert d’un objectif d’une plus grande transparence et d’un meilleur dialogue entre les pouvoirs exécutif et #législatif, l’objectif semble bien de contraindre la politique du gouvernement en matière d’exportation en renforçant le #contrôle_parlementaire. » A lire les gardiens du temple militaro-industriel français, plus de transparence reviendrait à entraver la #liberté_de_commerce de l’Etat. Et la SGDSN de prévenir : ces mesures pourraient « entraîner des effets d’éviction de l’#industrie françaises dans certains pays ».

    protéger les « clients »

    Si la commission parlementaire devait malgré tout voir le jour, le note préconise qu’elle ne puisse « en aucun cas » obtenir un suivi précis des transferts d’armes. Les élus devront se contenter du rapport qui leur est remis par le gouvernement chaque année, lequel ne précise ni les bénéficiaires du matériel ni son utilisation finale.

    « Cette implication de parlementaires, alertent encore les auteurs, pourrait mener à une fragilisation du principe du #secret_de_la_défense_nationale (…) ainsi que du #secret_des_affaires et du secret lié aux relations diplomatiques avec nos partenaires stratégiques. » Le risque pour l’Etat ? Que « les clients » soient « soumis à une politisation accrue des décisions » qui nuirait aux affaires et provoquerait la « fragilisation de notre #crédibilité et de notre capacité à établir des #partenariats_stratégiques sur le long terme, et donc de notre capacité à exporter ». En ligne de mire, des pays comme l’#Arabie_saoudite ou l’#Egypte, le principal client de l’industrie tricolore en 2019 (https://disclose.ngo/fr/news/la-france-bat-des-records-en-matiere-de-vente-darmes).

    Selon les analystes de le SGDSN, la création d’un contrôle parlementaire sur les exportations aurait également « des conséquences pour le gouvernement, dont les différents ministres seraient exposés ». Comme ce fut le cas en 2019, lorsque la ministre des armées, #Florence_Parly, dû s’expliquer sur ses #mensonges répétés après les révélations de Disclose sur les armes vendues à l’Arabie saoudite et utilisées dans la guerre au #Yémen (https://made-in-france.disclose.ngo/fr).

    « effet de bord »

    Un autre élément semble susciter l’inquiétude au plus haut sommet de l’Etat : la volonté de convergence entre les représentants des différents parlements de l’Union européenne. Pour Jacques Maire et Michèle Tabarot, ce « #dialogue_interparlementaire » permettrait une meilleure coopération entre Etats membres. Trop risqué, selon le gouvernement, qui y voit « le risque d’un effet de bord qui exposerait notre politique à des enjeux internes propres à certains de nos voisins européens ».

    Sur ce point, l’analyse aurait pu s’arrêter là. Mais le Quai d’Orsay a voulu préciser le fond de sa pensée, comme le révèlent les modifications apportées au document d’origine. Le cabinet de Jean-Yves Le Drian précise, en rouge dans le texte, qu’une telle convergence entre élus européens serait « particulièrement préoccupante », en particulier concernant le Parlement allemand. « Nous n’avons aucun moyen de maîtriser les vicissitudes [de la politique intérieure allemande] »,et la « forte mobilisation, très idéologique, du Parlement [allemand] sur les exportations d’armement », souligne le ministère des affaires étrangères dans ce mail que Disclose s’est procuré.

    Ce commentaire illustre les tensions sur ce sujet avec le voisin allemand, qui a mis en place en octobre 2018 un #embargo, toujours en cours, sur ses ventes d’armes à l’Arabie saoudite à la suite de l’assassinat du journaliste #Jamal_Khashoggi à Istanbul. Une décision jugée à l’époque incompréhensible pour Emmanuel Macron. Les ventes d’armes « n’ont rien à voir avec M. #Khashoggi, il ne faut pas tout confondre », avait alors déclaré le chef de l’Etat, précisant que cette mesure était, selon lui, « pure #démagogie ». Une fois le problème allemand évacué, le Quai d’Orsay désigne enfin le véritable ennemi : les #institutions_européennes, considérées comme « hostiles à nos intérêts dans le domaine du contrôle des exportations sensibles ».

    ouverture en trompe-l’œil

    L’exécutif aurait-il peur du #contrôle_démocratique ? Il s’en défend et feint même de vouloir protéger les députés contre un piège tendu à eux-mêmes. « Les parlementaires impliqués dans le contrôle des exportations (…) ne pourraient pas répondre aux demandes de transparence » et se retrouveraient « de facto solidaires des décisions prises », explique le document. En d’autres termes, s’il leur prenait de vouloir contester la politique de ventes d’armes de la France, les élus seraient de toute façon soumis au « #secret-défense ». Inutile, donc, qu’ils perdent leur temps.

    Pour finir, les services du premier ministre formulent une liste de recommandations quant à la réaction à adopter face à cet épineux rapport. Première d’entre elles, « adopter une position ouverte » sur les propositions de « renforcement de l’information du Parlement ». Un trompe-l’œil, car l’essentiel est ailleurs. « Il convient, poursuit le texte, de confirmer avec les principaux responsables de l’[#Assemblée_nationale] » qu’ils s’opposeront à la plus importante proposition du texte, soit la création d’une #délégation_parlementaire.

    En guise de dernière suggestion, les auteurs de la note invitent l’exécutif à définir « une #ligne_de_communication » face à la médiatisation du rapport et les réactions des ONG. Une ligne de communication désormais beaucoup plus claire, en effet.

    La note « confidentiel défense » dont Disclose a été destinataire est protégée par l’article 413-9 du code pénal sur le secret de la défense nationale. Nous avons néanmoins décidé d’en publier le contenu car ces informations relèvent de l’intérêt général et doivent par conséquent être portées à la connaissance du public. Par souci pour la sécurité de nos sources, nous ne publions pas le document dans son intégralité.

    https://disclose.ngo/fr/article/vente-darmes-en-secret-lexecutif-declare-la-guerre-au-parlement
    #armes #commerce_d'armes #armement #France #UE #EU #démocratie

    ping @reka @simplicissimus

  • East Mediterranean tension boosts France’s arms sales – Middle East Monitor
    September 26, 2020 at 12:45 pm
    https://www.middleeastmonitor.com/20200926-east-mediterranean-tension-boosts-frances-arms-sales

    French-backed tension between East Mediterranean states and Turkey boosts French arms sales, Paul Iddon, contributor to Forbes, revealed on Thursday.

    Iddon noted that French President Emmanuel Macron is a strong critic of Turkey’s foreign policy and poses himself as a supporter of the East Mediterranean states, which are on opposite sides of the tension with Turkey.

    Therefore, the French military has participated in a series of military exercises this year with Turkey’s rivals in the Eastern Mediterranean to signal Paris’ support of these countries.

    He confirmed that France has shown its support for Greece by deploying two Dassault Rafale fighter jets to the Greek island of Crete, along with a warship in August.

    Greece, according to Iddon, turned to France after it had decided to expand its military to buy 18 Rafale jets, including six brand new and 12 second-hand ones that have already served in the French Air Force, noting that Greece is the first European country to buy the Rafale jets.

    Iddon also disclosed that Athens already reached a €260 million ($305 million) deal with France to upgrade its existing fleet of Dassault Mirage 2000-5 fighter jets in December 2019. This deal would prevent Turkey from establishing air superiority over the Aegean Sea, or parts of the East Mediterranean.

    Meanwhile, the Republic of Cyprus reached a $262 million arms deal with France for short-range Mistral air defence systems and Exocet anti-ship missiles.

    These deals are not comparable with those reached between France and Egypt, which has been a major rival of Turkey’s since the current President Abdel Fattah Al-Sisi came to power through his military coup in July 2013.

    “Under Sisi,” Iddon wrote in Forbes, “Egypt rapidly became a major multi-billion euro French arms client. His country was the first to buy Rafale jets, along with four Gowind corvettes, a FREEM multipurpose frigate, and two Mistral-class amphibious assault ships.”

    Iddon concluded: “So long as these territorial disputes and tensions between these countries and Turkey remain unresolved, France isn’t likely going to have any shortage of arms clients in the Eastern Mediterranean anytime soon.”

    #FranceGrèce #FranceTurquie #marchand_de_canons

  • Les exportations d’armes russes se tournent vers une nouvelle clientèle
    https://www.franceculture.fr/geopolitique/les-exportations-darmes-russes-se-tournent-vers-une-nouvelle-clientele

    « Par ailleurs, la Russie est connue pour ne pas exiger de conditions, en matière de droits de l’homme par exemple, lorsqu’elle vend », poursuit l’expert.

    Ah les vilains, ben oui parce que c’est bien connu que les autres demandent des garanties sur les droits de l’homme avant de signer leur contrats.

    https://www.rusarmyexpo.com
    https://www.sipri.org
    https://seenthis.net/messages/425094
    #armement #france #usa #urss #marchands_de_canons

  • I documenti segreti della #Cia sul caso #Ilaria_Alpi

    L’Espresso ha ottenuto i rapporti inediti americani sul periodo in cui in Somalia fu uccisa la giornalista. Si parla di un’azienda molto pericolosa e di trafficanti italiani.

    Trentadue pagine, dodici documenti classificati “Secret” e “Top Secret”. Report in grado, dopo ventisei anni, di riportarci nelle strade di Mogadiscio poco prima del 20 marzo 1994, la data dell’agguato mortale contro Ilaria Alpi e #Miran_Hrovatin. Carte oggi declassificate dalla principale agenzia dell’intelligence statunitense, la Cia, dopo una richiesta dell’Espresso in base al Freedom of Information Act (Foia). Un anno e mezzo di istruttoria, una risposta per ora parziale, ma in grado di aggiungere elementi importanti al contesto somalo oggetto dell’ultimo reportage di Ilaria Alpi. Doveva andare in onda la sera di quel 20 marzo, non arrivò mai in Italia, se non per frammenti, filmati incompleti. I report Usa aprono una porta sul mondo che Ilaria seguiva durante il suo ultimo viaggio. Traffici di armi, società della cooperazione italiana, alleanze segrete.

    Mogadiscio, 1994. La sconfitta della missione Onu per riappacificare la Somalia era compiuta. È la storia di un fallimento lo scenario che ha visto l’agguato mortale contro Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Roma, 2020. Le indagini per capire chi ha armato il commando di sei uomini sono ancora aperte. Movente, mandanti, esecutori: un foglio bianco.

    Mogadiscio era il crocevia di tante storie. Traffico di armi, prima di tutto. Razzi Rpg, Kalashnikov, munizioni di ogni tipo, un flusso inarrestabile che alimentava la guerra tra le due principali fazioni. Ali Mahdi, alleato con le forze Onu. Mohammed Farah Hassan, detto Aidid, il “vittorioso”, a capo delle forze islamiste. Quel mondo Ilaria lo conosceva come pochi suoi colleghi; si era laureata in lingua e cultura araba, con una lunga gavetta, prima di approdare alla Rai, raccontando il nord Africa, spesso in maniera rocambolesca. Delicata e profonda, nelle sue cronache. In grado di capire le sfumature, le alleanze che si nascondevano dietro l’apparenza. La giornalista giusta, per raccontare l’inferno. Un target per chi alimentava il caos.

    LA ROTTA DELLE ARMI

    #Mohammed_Aidid era il nemico numero uno della coalizione Onu quando la missione #Unosom inizia, con lo spettacolare sbarco dei Marines a Mogadiscio. Almeno in apparenza. Il 3 ottobre del 1993 i Rangers erano sulle sue tracce. Preparano una missione nel cuore di Mogadiscio, un’incursione che doveva durare pochi minuti, giusto il tempo per permettere a reparti speciali di catturare il signore della guerra. Tutto andò storto, i miliziani colpirono uno dei quattro elicotteri Black Hawk, uccidendo 19 soldati americani. Un’azione divenuta famosa con il film di Ridley Scott (“Black Hawk Down”)del 2001, icona cinematografica della sconfitta in Somalia.

    Da mesi la Cia era sulle tracce di Aidid, monitorando ogni suo spostamento. L’obiettivo fondamentale, per l’Onu e gli Stati Uniti, era individuarlo, ma anche capire chi finanziasse il capo della fazione islamista e da dove provenissero le armi utilizzate dalle sue milizie. In una nota del 18 settembre 1993, declassificata su richiesta dell’Espresso, gli analisti della Cia scrivono: «L’abilità del signore della guerra nel reperire nuove armi ha senza dubbio contribuito alle recenti indicazioni che Aidid si sente sicuro di vincere contro gli Stati Uniti e le Nazioni Unite». Dal mese di agosto del 1993 gli agenti statunitensi segnalavano un aumento di flussi di armi dirette alla fazione islamista. In realtà la Somalia fin dall’inizio della guerra civile era una vera e propria Santabarbara. Per anni il governo di Siad Barre - stretto alleato dell’Italia - aveva acquistato armi, creando magazzini letali nell’intero paese. L’Italia era stato uno dei principali fornitori, fin dai primi anni ’80. L’ex generale del Sismi Giuseppe Santovito - iscritto alla P2 - in un interrogatorio davanti all’allora giudice istruttore di Trento Carlo Palermo aveva raccontato delle ingenti forniture di armamenti al paese da sempre ritenuto come una e propria estensione geopolitica dell’Italia.

    Pochi mesi prima della morte di Ilaria Alpi e Miran Horvatin c’è una accelerazione. Aidid ha l’obiettivo - che ritiene raggiungibile - di far fallire la missione Onu, rimandando a casa i paesi della coalizione. Acquisire armi aveva un doppio scopo, spiegano le note Cia: essere pronti al combattimento, ma soprattutto convincere gli altri signori della guerra ad allearsi con gli islamisti.

    L’AIUTO SEGRETO ITALIANO

    Il primo ottobre 1993, due giorni prima di Black Hawk Down, a Washington arriva una nota dalla capitale somala: «Le rotte per la fornitura di armamenti, nascondigli e legami operativi delle forze di Aidid». Dal mese di settembre gli Usa avevano iniziato a monitorare le carovane che partivano dal lungo confine con l’Etiopia dirette nell’area di Mogadiscio, dove la situazione era divenuta estremamente critica: «Gli armamenti - che includono mortai e Rpg - sono trasportati lungo le strade che collegano Mogadiscio con Belet Weyne, Tigielo e Afgoi». L’obiettivo era chiaro: «Stanno pianificando di usare i mortai e gli Rpg contro Unosom».

    Nella stessa nota la Cia fornisce, per la prima volta, un’indicazione sulla rete logistica di appoggio alla fazione degli islamisti: «I supporter di Aidid stanno utilizzando la società Sitt, che è situata dall’altra parte della strada rispetto al compound Unosom. La società Sitt appartiene a Ahmed Duale “Hef”. (omissis) Commento: questa presenza è una minaccia per il personale Unosom e per chiunque entri nel compound». Duale e Sitt, due nomi da appuntare.

    Quando mancano quattro mesi all’ultimo viaggio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin la situazione a Mogadiscio diventa ancora più critica: «I compratori pro-Aidid stanno acquistando una inusuale grande quantità di munizioni», segnala la Cia in una nota del 23 novembre 1993. Un secondo report, con la stessa data, aggiunge un altro dettaglio: «C’è una consegna di armi e munizioni in una casa nel distretto Halilua’a di Mogadiscio, trasportata da un unico camion di produzione italiana, con sei casse di Ak-47, fucili di assalto Fal, quattro lanciatori di granata russi. L’origine del carico è ignota».

    IL DOPPIO GIOCO

    Per l’intelligence Usa, dunque, era la società Sitt lo snodo logistico utilizzato dai supporter di Aidid. «Una minaccia per l’Onu», scrivevano. Il nome era ben noto negli ambienti del contingente italiano. Appena due mesi prima della nota della Cia, la Sitt aveva inviato una serie di fatture per migliaia di dollari al comando Italfor relative alla fornitura di materiale di ogni tipo. Prima del conflitto la stessa società aveva operato come supporto logistico per la cooperazione italiana. A capo di quell’impresa, oltre all’imprenditore somalo Ahmed Duale, citato nella nota Usa, c’era Giancarlo Marocchino, trasportatore originario del Piemonte che operava in Somalia da anni. Fu lui ad intervenire per primo sul luogo dell’attentato mortale contro Alpi e Hrovatin. «Marocchino è stato un collaboratore che ho ritenuto affidabile fino a quando ho trovato le armi nel suo compound diffidandolo ufficialmente», racconta all’Espresso il generale Bruno Loi, a capo del contingente italiano fino al settembre 1993. «Ma per quanto riguarda la nota della Cia - prosegue Loi - mi stupisce che abbiano trovato questa minaccia senza fare nulla per eliminarla; c’è qualcosa che non quadra».

    L’INCHIESTA
    Sull’agguato del 20 marzo 1994 la Cia sostiene di non avere nessun record in archivio. Eppure l’ultima inchiesta di Ilaria Alpi si intreccia strettamente con quel traffico di armi diretto alla fazione di Aidid. Il 14 marzo 1994 i due reporter di Rai 3 arrivano a Bosaso, nel nord della Somalia. C’era un nome appuntato sul quaderno di Ilaria, la compagnia di pesca italo-somala Shifco. Una nave della società era ferma al largo della costa migiurtina, sequestrata dalle milizie locali. In un appunto del Sismi declassificato nel 2014 dall’allora presidente della Camera Laura Boldrini l’intelligence italiana racconta come quella compagnia, diretta da Said Omar Mugne - imprenditore somalo che aveva vissuto a lungo in Italia - proprio in quei mesi stava preparando il trasporto di un carico di armi «acquistato in Ucraina da tale Osman Ato, cittadino somalo naturalizzato statunitense, per conto del generale Aidid». Sulla Shifco e su Osman Ato la Cia ha risposto con la consueta formula: «Non possiamo confermare o smentire l’esistenza o la non esistenza di record». La questione, in questo caso, sembra avere ombre di segreto ancora oggi.

    “CROGIOLO DI MENZOGNE”
    Per il generale Bruno Loi la Somalia è ancora una ferita aperta: «Eravamo pronti a catturare Aidid nel giugno 1993 - racconta - avevamo il consenso del governo italiano, ma Unosom ci bloccò». Il fallimento di quella missione, spiega, va cercata nelle stesse regole di ingaggio delle Nazioni Unite: «L’Onu non ha capito che la democrazia non si esporta, ma si costruisce con anni di supporto», commenta Loi. E forse il caso Alpi rimane una ferita aperta perché è bene non entrare in quel labirinto senza fine della missione nel corno d’Africa: «La Somalia è stata un crogiolo di bugie, menzogne, disinformazione», spiega Loi, ventisei anni dopo. E di segreti che durano ancora oggi.

    https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/08/18/news/ilaria-alpi-cia-documenti-1.352110
    #journalisme #assassinat #Somalie #armes #trafic_d'armes #commerce_d'armes