• In Europa viaggiare in treno costa il doppio che viaggiare in aereo
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Europa/In-Europa-viaggiare-in-treno-costa-il-doppio-che-viaggiare-in-aereo-

    Un recente studio di Greenpeace conferma che viaggiare in aereo è spesso molto più economico che viaggiare in treno. La colpa ricade principalmente sulle compagnie aeree low cost (e sui governi che ne agevolano l’azione), che con pratiche scorrette scaricano costi ambientali, economici e sociali su lavoratori e cittadini

  • Julia Cagé et Thomas Piketty livrent une vision inédite de l’histoire politique française
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/09/05/julia-cage-et-thomas-piketty-livrent-une-vision-inedite-de-l-histoire-politi

    Dans « Une histoire du conflit politique », les économistes publient une somme sur l’histoire électorale de la France. En fonction des revenus, du milieu social et du lieu d’habitation des votants, ils analysent les rapports de force – bipartition ou tripartition – qui dominent le champ politique et leurs liens avec les inégalités sociales.

    La classe géosociale

    Mais comment fait-on pour savoir qui vote pour qui ? A cette question centrale, les auteurs ne peuvent s’appuyer que sur des informations électorales à l’échelon des communes – ce qui implique un niveau territorial et non individuel. Ils ne bénéficient pas, en effet, d’études d’opinions avant les années 1950. D’où la nécessité, de l’aveu même des auteurs, de redoubler de prudence quant aux interprétations, mais aussi de trouver une autre base de référence : la classe géosociale.

    Grâce à l’usage systématique de cette notion, les deux économistes arrivent à des conclusions fortes qui viennent contredire les débats politiques actuels. Ils expliquent notamment que les variables liées à la religion et aux origines étrangères ont beaucoup moins d’importance que celles liées à la classe géosociale. « Autrement dit, ce sont bien les enjeux socio-économiques – et non les questions identitaires ou la proportion d’étrangers – qui déterminent les clivages électoraux. » Ces résultats sont valables pour les scrutins présidentiels de 1848, mais aussi de 1965 à 2022, malgré l’omniprésence de ces thèmes dans le débat public.

    Les auteurs proposent aussi une chronologie originale de deux cent trente ans de vie politique française. Celle-ci a connu, expliquent-ils, des périodes de « bipolarisation » et de « tripartition ». Ainsi, de 1848 à 1910, on assiste à une première tripartition, avec des socialistes et radicaux-socialistes à gauche ; des républicains modérés et opportunistes au centre, et, à droite, des conservateurs catholiques et des monarchistes, permettant aux partis du centre de gouverner.

  • For Decades, I Defended Israel From Claims of #Apartheid. I No Longer Can - Israel News - Haaretz.com
    https://www.haaretz.com/israel-news/2023-08-10/ty-article-opinion/.highlight/for-decades-i-defended-israel-from-claims-of-apartheid-i-no-longer-can/00000189-d4ac-d821-afdd-dfacb4060000

    At the conference, I was disturbed and angered by the multitude of lies and exaggerations about Israel. During the years since, I have argued with all my might against the accusation that Israel is an apartheid state: in lectures, newspaper articles, on TV and in a book.

    However, the accusation is becoming fact. First, the Nation-State law elevates Jews above fellow citizens who are Arab – Muslim, Druze, Bedouin, and Christian. Every day sees government ministers and their allies venting racism, and following up with discriminatory actions. There is no mercy even for the Druze who, like Jews, have been conscripted into the military since 1948.

    Second, Israel can no longer claim security as the reason for our behavior in the West Bank and the siege of Gaza. After 56 years, our occupation can no longer be explained as temporary, pending a solution to the conflict with Palestinians. We are heading toward annexation, with calls to double the 500,000 Israeli settlers already in the West Bank.

  • Comment configurer Windows 11 sans compte Microsoft ?
    https://www.monwindows.com/blog/comment-configurer-windows-11-sans-compte-microsoft-t114074.html

    Microsoft tente d’imposer un compte chez eux pour toute installation de leurs OS (ils rêvent de faire ce qu’Apple fait depuis des années ^^) : 2 méthodes pour installer Windows 11 sans compte Microsoft

    Voir aussi https://www.it-connect.fr/avec-rufus-plus-besoin-dun-compte-microsoft-pour-installer-windows-11 pour créer avec Rufus une clé USB bootable avec un compte local prédéfini

    #compte_utilisateur #Windows #Microsoft #installation #rufus

  • Se il contrasto ai flussi via mare diventa un mercato dalle “ottime prospettive”

    A dieci anni dalla strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, il Mediterraneo è la rotta più fatale del Pianeta con oltre 30mila morti tra 2014 e metà 2023 (le stime ufficiali sono fortemente al ribasso). I Paesi però non investono su ricerca e soccorso ma sul “contrasto ai flussi”. Un giro d’affari d’oro. Il caso di #Cantiere_Navale_Vittoria.

    Le prospettive economiche del contrasto al “fenomeno della immigrazione illegale” per mare nei prossimi anni sono “ottime”, scrive nel suo ultimo bilancio Cantiere Navale Vittoria, azienda del settore della nautica civile, militare e paramilitare con sede ad Adria (Rovigo), partner strategico del ministero dell’Interno, della Guardia costiera, della Marina militare nonché fornitore, come riporta, dei “principali ministeri e marine del bacino del Mediterraneo”.

    Un mercato dalle “notevoli opportunità” che potrebbe portare a una “pipeline commerciale” superiore a 1,5 miliardi di euro solo per le nuove costruzioni previste nei prossimi anni, sommando commesse nazionali (della Marina, soprattutto) ed estere, tipo Tunisia, Grecia, Oman, Israele, Qatar, Malta, Libia, Romania, Croazia, Algeria.

    Là fuori, intanto, la stagione è terribile, segnata ancora una volta da mancati od ostacolati soccorsi e migliaia di morti nel Mediterraneo: 2.652 solo quelli registrati ufficialmente tra gennaio e metà agosto 2023 dalle Nazioni Unite, che schizzano a oltre 31mila se si fa il conto dal 2014 e si allarga lo sguardo alle diverse direttrici (dalla Libia, dalla Tunisia, dalla Turchia, dal Libano, dall’Egitto, dalla Siria, dai Paesi dell’Africa occidentale, etc.). Una strage -e le cifre dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni sono solo la punta dell’iceberg– che fa in pezzi il “mai più” promesso dai governi dell’Unione europea dieci anni fa, poche ore dopo il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, divenuto poi per legge la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione.

    Scorrere l’ultima relazione sulla gestione del cantiere di Adria adiacente al Canal Bianco, un ramo del Po, fa capire meglio dove vanno le politiche (e gli affari). “L’evoluzione del mercato di riferimento in cui opera la società -scrivono infatti gli amministratori- vede la decisa tendenza da parte di tutte le maggiori marine sovrane del Sud Europa nel volersi dotare di nuove unità destinate al pattugliamento d’altura e sotto costa oltre che a mezzi veloci necessari per contrastare efficacemente il fenomeno della immigrazione illegale”.

    Ecco perché la “linea di business” chiamata “#Fast_patrol_vessel” -cioè le navi da pattugliamento veloci- pesa sui ricavi del 2022 (circa 100 milioni di euro) per quasi il 50%. Un esempio sono i quattro pattugliatori da 38 metri consegnati nel biennio 2021-2022 alla guardia costiera greca, con altri due che potrebbero essere opzionati nel corso del 2023. La stessa guardia costiera che è finita di nuovo sotto accusa per la strage di Pylos del giugno scorso avendo, secondo i testimoni, imprudentemente trainato il peschereccio partito dalla Libia con a bordo oltre 700 persone e provocato così il suo inabissamento.

    La “linea” della ricerca e soccorso non arriva al 20% del fatturato, tallonata da quella del “#refitting”, ovvero la riparazione e rinnovo di assetti già esistenti. “La necessità di provvedere efficacemente al controllo costiero dei mari richiede anche l’ammodernamento delle unità già possedute -si legge ancora nel bilancio- e questo genera aperture molto interessanti nel mercato del refitting che Cantiere Navale Vittoria ha venduto ai propri clienti in anni precedenti”.

    Tipo le cosiddette guardie costiere libiche, che poi con quelle imbarcazioni, cedute con risorse pubbliche italiane ed europee, intercettano e riportano indietro i naufraghi verso il “cimitero più grande” che è il Nord Africa, per usare le parole di papa Francesco, in alcuni casi anche sparando contro le navi delle Ong. O la Guardia nazionale tunisina, per la quale l’azienda sta sistemando sei pattugliatori da 35 metri costruiti nel 2014. Ci sono poi veri e propri prototipi, come la serie di “#intercettori_fluviali_in_alluminio” lunghi dieci metri scarsi studiati per le “dure” condizioni affrontate dalla polizia romena o i due “#innovativi_intercettori” da 20 metri in grado di superare i 70 nodi (130 chilometri all’ora) commissionati dalla polizia reale omanita. Anche se la consegna più importante nell’ultimo anno è stata l’ammiraglia per le “forze armate maltesi”: 75 metri, un ponte di volo e 51,4 milioni di euro di valore. L’ipocrisia è in mezzo al mare.

    https://altreconomia.it/se-il-contrasto-ai-flussi-via-mare-diventa-un-mercato-dalle-ottime-pros

    Les fast patrol vessels (#FPV) :

    The patrol boat is excellent for navies and maritime police today strength: more than 43 knots of maximum sustainable speed, with negligible speed loss up to Beaufort 3, combined with high-level accommodations to maximize crew comfort even on extended missions. Built in a series of four sister ships for the Cyprus Navy and the Maritime Police, the high speed allows rapid deployment even at great distances from the base, while the excellent hull design and motion control capabilities minimize the loss of speed in the open sea.


    https://www.vittoria.biz/en/categoria-nave/defence-and-security-en//#section169

    #migrations #asile #réfugiés #business #complexe_militaro-industriel #contrôles_frontaliers #technologie #navires #frontières #Italie

  • Le “#navi_quarantena” sono costate più di 130 milioni di euro in due anni

    Tra l’aprile 2020 e il giugno 2022 almeno 56mila persone sono transitate dalle imbarcazioni messe a disposizione da operatori privati su volere del governo, per una spesa pro-capite di 220 euro al giorno. Dati inediti evidenziano un esborso pubblico molto più elevato di quanto avrebbe richiesto una più dignitosa accoglienza a terra

    Le “navi quarantena” utilizzate per oltre due anni dal governo italiano per l’isolamento preventivo dei richiedenti asilo arrivati sulle coste italiane durante l’emergenza sanitaria sono costate, in totale, quasi 132 milioni di euro: 220 euro a persona al giorno. “Una follia fuori da ogni logica, un simile costo è più di quattro volte quello che si sarebbe speso utilizzando soluzioni residenziali a terra. Un paradosso, considerando che oggi si grida all’emergenza ma si continua a spendere pochissimo per creare un sistema d’accoglienza dignitoso”, spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano solidarietà di Trieste (Ics) e membro dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).

    L’86% di quanto speso è andato a Grandi navi veloci Spa, la principale azienda che ha fornito le navi, ma il conto potrebbe essere parziale: dai documenti consultati da Altreconomia non è chiaro se la rendicontazione dei soggetti coinvolti sia già conclusa. Quel che è certo è che vanno aggiunti a questa cifra almeno 420mila euro per i costi sostenuti per la Raffaele Rubattino, proprietà della Compagnia italiana navigazione Spa, per l’accoglienza di 180 profughi tra il 17 aprile e il 5 maggio 2020.

    Ma andiamo con ordine. Nel pieno della pandemia da Covid-19, con il lockdown nazionale proclamato il 9 marzo 2020, un doppio decreto istituisce il sistema delle cosiddette “navi quarantena”: da un lato, il 7 aprile 2020 un decreto interministeriale emanato dai ministeri dell’Interno, della Salute e delle Infrastrutture stabilisce che, per tutta la durata dell’emergenza sanitaria, i porti italiani non potevano essere considerati “luoghi sicuri” per lo sbarco dei migranti; dall’altro cinque giorni dopo, il 12 aprile, la Protezione civile affida al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno la gestione dell’isolamento e della quarantena dei cittadini stranieri soccorsi o arrivati autonomamente via mare. È sulla base di questo decreto che il Viminale, insieme alla Croce rossa italiana, viene autorizzato a utilizzare navi per lo svolgimento della sorveglianza sanitaria “con riferimento alle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro)”. Quelle, quindi, non sbarcate autonomamente. Comincia così la stagione delle navi quarantena: tra il 17 aprile e il 5 maggio 183 persone vengono “ospitate”, come detto, sulla nave Rubattino seguita dal traghetto Moby Zaza (attivo dal 12 maggio), che può ospitare fino a 250 persone appartenente anche esso alla Compagnia di navigazione italiana. Sarà poi Grandi navi veloci, successivamente, a fornire quasi tutti i servizi.

    Traghetti su cui, in totale, dal 17 aprile 2020 al 7 giugno 2022 secondo i dati forniti ad Altreconomia dall’ufficio del Garante nazionale delle persone private della libertà personale, sono salite in totale 56.007 persone, per una permanenza media nel 2021 e 2022 di 10,7 giorni. Considerando un costo totale di 132 milioni di euro significa quindi più di 2.300 euro a persona e 220 al giorno.

    “Ipotizziamo di aumentare da 30 a 50 euro il costo pro-capite pro-die per l’accoglienza di queste persone in strutture residenziali sul territorio -osserva Schiavone-. Aumentiamo la diaria perché consideriamo l’oggettiva situazione di emergenza sanitaria che alza i costi. Ebbene, anche così facendo e considerando che comunque la spesa totale potrebbe essere al ribasso significa un costo quattro volte più alto. È irragionevole”. Di questi soldi, ricavati da Altreconomia dai giustificativi di pagamento dei servizi effettuati dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al ministero dell’Interno, come detto 113 milioni sono stati destinati a Grandi navi veloci (tra nave, carburante e personale), quasi sei milioni a Moby Zaza e poco più di 12 alla Croce rossa italiana (Cri) che assisteva le persone trattenute sulle navi. La stessa Croce rossa a gennaio 2022 aveva minacciato di non garantire più il servizio a seguito del ripetuto superamento del periodo massimo di permanenza sulla nave -10 giorni- per almeno mille persone e che, anche per questo motivo, aveva preoccupato tra gli altri l’Asgi che in un dettagliato report aveva pubblicato le sue perplessità sui rischi di un simile sistema.

    “L’accoglienza a terra avrebbe evitato note criticità logistiche, violazioni di alcune procedure e soprattutto, da un punto di vista strettamente economico avrebbe fatto risparmiare il ministero e aiutato, per esempio, albergatori in difficoltà che si sono trovati a dover chiudere le proprie attività. Chi non avrebbe accettato le accoglienze a 50 euro? Di certo, nessuno, ai 220 costati per le navi”. E forse si sarebbero anche evitate le morti di Bilal, ragazzo tunisino di 22 anni che si è suicidato dalla Moby Zaza a maggio 2020; Abou Diakite, 15 anni, nato in Costa d’Avorio e deceduto nell’ospedale di Palermo dopo essere stato trasportato d’urgenza dalla Gnv Allegra; Giorgio Carducci, psicologo volontario di 47 anni stroncato da un arresto cardiaco. E poi Abdallah Said deceduto a settembre 2020 all’ospedale di Catania dopo due settimane di permanenza sulla Gnv Azzurra.

    Abbiamo chiesto a Croce rossa italiana se era già terminata la rendicontazione delle spese effettuate ma non abbiamo ricevuto risposta nel merito. Il periodo di riferimento dei pagamenti effettuati va dall’ottobre 2020 al 24 febbraio 2023. Mancano però le informazioni del primo trimestre del 2021 che hanno una tabella “vuota”: non è chiaro se perché non sono state effettuati pagamenti o per un errore di caricamento.

    Un capitolo chiuso che ha ancora molto da “insegnare” anche per il presente. “Evidenzia come non ci sia nessun tipo di ragionata pianificazione che consenta di trovare delle soluzioni adeguate anche in contesti straordinari, come è indubbiamente stato il Covid-19, ma sulla base di criteri e paletti di ragionevolezza -conclude Schiavone-. Passiamo dalla spesa folle fatta con le navi quarantena al rifiuto attuale di adeguare e prevedere un corrispettivo pro die-pro capite dignitoso per l’accoglienza nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) con la conseguenza che le gare vanno deserte perché le condizioni sono economicamente insostenibili. La stessa amministrazione, certo con tempi diversi e governi, sembra non abbia nessun parametro logico su come operare in emergenza, su cosa e quanto sia ragionevole spendere per conseguire gli obiettivi pubblici. Tutto sembra invece avvenire in modo molto casuale in contrasto con il principio di efficienza che deve guidare l’operato della pubblica amministrazione”.

    https://altreconomia.it/le-navi-quarantena-sono-costate-piu-di-130-milioni-di-euro-in-due-anni
    #budget #coût #asile #migrations #réfugiés #Italie #privatisation #covid #Grandi_navi_veloci #navires #bateaux #Raffaele_Rubattino #Compagnia_italiana_navigazione #lockdown #confinement #isolement #quarantaine #Place_of_Safety #Rubattino #Moby_Zaza #ferry #Croce_rossa_italiana #croce_rossa #hébergement #accueil #GNV

    –-

    voir aussi ce fil de discussion:
    Rights in route. The “#quarantine_ships” between risks and criticisms
    https://seenthis.net/messages/866072

  • #Pre-frontier_information_picture

    Je découvre dans un billet de blog que j’ai lu ce matin, cette info :

    From the information gathered, Frontex produces, in addition to various dossiers, an annual situation report, which the agency calls an “Pre-frontier information picture.”

    https://digit.site36.net/2023/08/27/what-is-frontex-doing-in-senegal-secret-services-also-participate-in-t
    https://seenthis.net/messages/997841#message1014789

    ... et du coup, ce terme de « pre-frontier information picture ».

    ça me rappelle, évidemment, la carte de @reka de la #triple_frontière européenne (où une « pré-frontière » est dessinée au milieu du désert du Sahara) :


    https://visionscarto.net/mourir-aux-portes-de-l-europe

    Je découvre ainsi, en faisant un peu de recherches, qu’il y a un #projet_de_recherche financé par #Horizon_2020 dédié à cette #pré-frontière, #NESTOR :

    aN Enhanced pre-frontier intelligence picture to Safeguard The EurOpean boRders

    Un système intégré de #surveillance des #frontières de l’UE

    Les frontières de l’Europe sont soumises à une pression considérable en raison des flux migratoires, des conflits armés dans les territoires avoisinants, du trafic de biens et de personnes, et de la criminalité transnationale. Toutefois, certains obstacles géographiques, tels que les forêts denses, les hautes montagnes, les terrains accidentés ou les zones maritimes et fluviales entravent la surveillance des itinéraires empruntés par les réseaux criminels. Le projet NESTOR, financé par l’UE, fera la démonstration d’un #système_global_de_surveillance des frontières de nouvelle génération, entièrement fonctionnel et proposant des #informations sur la situation #en_amont des frontières et au-delà des frontières maritimes et terrestres. Ce système repose sur le concept de la gestion européenne intégrée des frontières et recourt à des #technologies d’analyse d’#images_optiques et du spectre de fréquences radio alimentées par un réseau de #capteurs_interopérables.

    Objectif

    For the past few years, Europe has experienced some major changes at its surrounding territories and in adjacent countries which provoked serious issues at different levels. The European Community faces a number of challenges both at a political and at a tactical level. Irregular migration flows exerting significant pressure to the relevant authorities and agencies that operate at border territories. Armed conflicts, climate pressure and unpredictable factors occurring at the EU external borders, have increased the number of the reported transnational crimes. Smuggling activity is a major concern for Eastern EU Borders particularly, as monitoring the routes used by smugglers is being hindered by mountainous, densely forested areas and rough lands aside with sea or river areas. Due to the severity and the abrupt emergence of events, the relevant authorities operate for a long-time interval, under harsh conditions, 24 hours a day. NESTOR aims to demonstrate a fully functional next generation holistic border surveillance system providing pre-frontier situational awareness beyond maritime and land border areas following the concept of the European Integrated Border Management. NESTOR long-range and wide area surveillance capabilities for detection, recognition classification and tracking of moving targets (e.g. persons, vessels, vehicles, drones etc.) is based on optical, thermal imaging and Radio Frequency (RF) spectrum analysis technologies fed by an interoperable sensors network including stationary installations and mobile manned or unmanned vehicles (aerial, ground, water, underwater) capable of functioning both as standalone, tethered and in swarms. NESTOR BC3i system will fuse in real-time border surveillance data combined with web and social media information, creating and sharing a pre-frontier intelligent picture to local, regional and national command centers in AR environment being interoperable with CISE and EUROSUR.

    https://cordis.europa.eu/project/id/101021851/fr

    Projet de 6 mio. d’euro et coordonné par la #police_grecque (#Grèce) :

    Les participants (#complexe_militaro-industriel) au projet :


    #business

    #données #technologie #interopérabilité #frontières #migrations #asile #réfugiés #surveillance_des_frontières #_Integrated_Border_Management #fréquence_radio #NESTOR_BC3i_system #CISE #EUROSUR

  • Où le #classement_de_Shanghaï mène-t-il l’#université française ?

    Le classement de #Shanghaï, dont les résultats sont publiés mardi 15 août, a façonné une idée jamais débattue de l’« #excellence ». Des universitaires appellent à définir « une vision du monde du savoir » propre au service public qu’est l’enseignement supérieur français.

    Des universités à la renommée mondiale qui attirent les meilleurs étudiants, les chercheurs les plus qualifiés et les partenaires financiers les plus magnanimes : depuis l’avènement des classements internationaux dans l’#enseignement_supérieur, il y a vingt ans, la quête d’une certaine idée de l’« excellence » a intégré le vocabulaire universitaire, jusqu’à se muer en un projet politique.

    En France, en août 2003, la première édition du classement de Shanghaï, qui publie mardi 15 août son édition 2023, a été un coup de tonnerre : ignorant les subtilités administratives hexagonales et la tripartition entre #universités, grandes écoles et organismes de recherche, le palmarès n’avait distingué dans son top 50 aucun des fleurons nationaux. Piqués au vif, les gouvernements successifs se sont engouffrés dans la brèche et ont cherché les outils pour se conformer aux #standards. En 2010, le président de la République, #Nicolas_Sarkozy, avait fixé à sa ministre de l’enseignement supérieur, #Valérie_Pécresse, un #objectif précis : placer deux établissements français dans les 20 premiers mondiaux et 10 parmi les 100 premiers du classement de Shanghaï.

    La loi relative aux libertés et responsabilités des universités, votée en 2007, portait alors ses premiers fruits, présentés en personne par Mme Pécresse, en juillet 2010, aux professeurs #Nian_Cai_Liu et #Ying_Cheng, les deux créateurs du classement. Les incitations aux #regroupements entre universités, grandes écoles et organismes de recherche ont fleuri sous différents noms au gré des appels à projets organisés par l’Etat pour distribuer d’importants investissements publics (#IDEX, #I-SITE, #Labex, #PRES, #Comue), jusqu’en 2018, avec le nouveau statut d’#établissement_public_expérimental (#EPE). Toutes ces tactiques politiques apparaissent comme autant de stigmates français du palmarès chinois.

    Ces grandes manœuvres ont été orchestrées sans qu’une question fondamentale soit jamais posée : quelle est la vision du monde de l’enseignement supérieur et de la recherche que véhicule le classement de Shanghaï ? Lorsqu’il a été conçu, à la demande du gouvernement chinois, le palmarès n’avait qu’un objectif : accélérer la #modernisation des universités du pays en y calquant les caractéristiques des grandes universités nord-américaines de l’#Ivy_League, Harvard en tête. On est donc très loin du #modèle_français, où, selon le #code_de_l’éducation, l’université participe d’un #service_public de l’enseignement supérieur.

    « Société de marché »

    Pour la philosophe Fabienne Brugère, la France continue, comme la Chine, de « rêver aux grandes universités américaines sans être capable d’inventer un modèle français avec une #vision du savoir et la perspective d’un bonheur public ». « N’est-il pas temps de donner une vision de l’université ?, s’interroge-t-elle dans la revue Esprit (« Quelle université voulons-nous ? », juillet-août 2023, 22 euros). J’aimerais proposer un regard décalé sur l’université, laisser de côté la question des alliances, des regroupements et des moyens, pour poser une condition de sa gouvernance : une #vision_du_monde_du_savoir. »

    Citant un texte du philosophe Jacques Derrida paru en 2001, deux ans avant le premier classement de Shanghaï, la professeure à Paris-VIII définit l’université comme « inconditionnelle, en ce qu’elle peut #repenser_le_monde, l’humanité, élaborer des #utopies et des #savoirs nouveaux ». Or, « vingt ans après, force est de constater que ce texte reste un objet non identifié, et que rien dans le paysage universitaire mondial ne ressemble à ce qu’il projette, regrette Fabienne Brugère. Les grandes universités américaines que nous admirons et dans lesquelles Derrida a enseigné sont habitées par la société de marché ».

    Ironie du sort, c’est justement l’argent qui « coule à flots » qui garantit dans ces établissements de l’hyperélite des qualités d’étude et de bon encadrement ainsi qu’une administration efficace… Autant de missions que le service public de l’université française peine tant à remplir. « La scholè, le regard scolastique, cette disposition à l’étude, ce temps privilégié et déconnecté où l’on apprend n’est possible que parce que la grande machine capitaliste la fait tenir », déplore Mme Brugère.

    En imposant arbitrairement ses critères – fondés essentiellement sur le nombre de #publications_scientifiques en langue anglaise, de prix Nobel et de médailles Fields –, le classement de Shanghaï a défini, hors de tout débat démocratique, une #vision_normative de ce qu’est une « bonne » université. La recherche qui y est conduite doit être efficace économiquement et permettre un #retour_sur_investissement. « Il ne peut donc y avoir ni usagers ni service public, ce qui constitue un #déni_de_réalité, en tout cas pour le cas français », relevait le sociologue Fabien Eloire dans un article consacré au palmarès, en 2010. Est-il « vraiment raisonnable et sérieux de chercher à modifier en profondeur le système universitaire français pour que quelques universités d’élite soient en mesure de monter dans ce classement ? », questionnait le professeur à l’université de Lille.

    Derrière cet effacement des #spécificités_nationales, « une nouvelle rhétorique institutionnelle » s’est mise en place autour de l’« #économie_de_la_connaissance ». « On ne parle plus de “l’#acquisition_du_savoir”, trop marquée par une certaine #gratuité, mais de “l’#acquisition_de_compétences”, efficaces, directement orientées, adaptatives, plus en phase avec le discours économique et managérial », concluait le chercheur.

    Un poids à relativiser

    A y regarder de plus près, Shanghaï et les autres classements internationaux influents que sont les palmarès britanniques #QS_World_University_Rankings (#QS) et #Times_Higher_Education (#THE) valorisent des pays dont les fleurons n’accueillent finalement qu’un effectif limité au regard de leur population étudiante et du nombre total d’habitants. Le poids réel des « #universités_de_prestige » doit donc être relativisé, y compris dans les pays arrivant systématiquement aux tout premiers rangs dans les classements.

    Pour en rendre compte, Le Monde a listé les 80 universités issues de 16 pays qui figuraient en 2022 parmi les 60 premières des classements QS, THE et Shanghaï. Grâce aux sites Internet des établissements et aux données de Campus France, le nombre total d’étudiants dans ces universités a été relevé, et mis en comparaison avec deux autres statistiques : la démographie étudiante et la démographie totale du pays.

    Le cas des Etats-Unis est éclairant : ils arrivent à la 10e position sur 16 pays, avec seulement 6,3 % des étudiants (1,2 million) dans les 33 universités classées, soit 0,36 % de la population américaine.

    Singapour se place en tête, qui totalise 28,5 % des étudiants inscrits (56 900 étudiants) dans les huit universités de l’hyperélite des classements, soit 0,9 % de sa population. Suivent Hongkong, avec 60 500 étudiants dans quatre universités (20,7 % des étudiants, 0,8 % de sa population), et la Suisse, avec 63 800 étudiants dans trois établissements (19,9 % des étudiants, 0,7 % de sa population).

    Avec 98 600 étudiants dans quatre universités classées (Paris-Saclay, PSL, Sorbonne Université, Institut polytechnique de Paris), la France compte 3,2 % des étudiants dans l’hyperélite universitaire mondiale, soit 0,1 % de la population totale.

    La Chine arrive dernière : 255 200 étudiants sont inscrits dans les cinq universités distinguées (Tsinghua, Peking, Zhejiang, Shanghai Jiao Tong et Fudan), ce qui représente 0,08 % de sa population étudiante et 0,018 % de sa population totale.

    https://www.lemonde.fr/campus/article/2023/08/14/ou-le-classement-de-shanghai-mene-t-il-l-universite-francaise_6185365_440146

    #compétences #critique

    • Classement de Shanghaï 2023 : penser l’enseignement supérieur en dehors des palmarès

      Depuis vingt ans, les responsables politiques français ont fait du « standard » de Shanghaï une clé de #réorganisation des établissements d’enseignement supérieur. Mais cet objectif d’inscription dans la #compétition_internationale ne peut tenir lieu de substitut à une #politique_universitaire.

      Comme tous les classements, celui dit « de Shanghaï », censé comparer le niveau des universités du monde entier, suscite des réactions contradictoires. Que les championnes françaises y soient médiocrement placées, et l’on y voit un signe de déclassement ; qu’elles y figurent en bonne place, et c’est le principe du classement qui vient à être critiqué. Le retour de l’université française Paris-Saclay dans le top 15 de ce palmarès de 1 000 établissements du monde entier, établi par un cabinet chinois de consultants et rendu public mardi 15 août, n’échappe pas à la règle. Au premier abord, c’est une bonne nouvelle pour l’enseignement supérieur français, Paris-Saclay se hissant, derrière l’américaine Harvard ou la britannique Cambridge, au rang de première université non anglo-saxonne.

      Pourtant, ce succès apparent pose davantage de questions qu’il n’apporte de réponses sur l’état réel de l’enseignement supérieur français. Certes, la montée en puissance du classement chinois, créé en 2003, a participé à l’indispensable prise de conscience de l’inscription du système hexagonal dans un environnement international concurrentiel. Mais les six critères qui président arbitrairement à ce « hit-parade » annuel, focalisés sur le nombre de prix Nobel et de publications dans le seul domaine des sciences « dures », mais qui ignorent étrangement la qualité de l’enseignement, le taux de réussite ou d’insertion professionnelle des étudiants, ont conforté, sous prétexte d’« excellence », une norme restrictive, au surplus indifférente au respect des libertés académiques, politique chinoise oblige.

      Que les responsables politiques français aient, depuis vingt ans, cédé à ce « standard » de Shanghaï au point d’en faire une clé de réorganisation des établissements d’enseignement supérieur ne laisse pas d’étonner. Le principe « grossir pour être visible » (dans les classements internationaux) a servi de maître mot, il est vrai avec un certain succès. Alors qu’aucun établissement français ne figurait dans les cinquante premières places en 2003, ils sont trois aujourd’hui. Paris-Saclay résulte en réalité de la fusion d’une université, de quatre grandes écoles et de sept organismes de recherche, soit 13 % de la recherche française.

      Mais cette politique volontariste de #fusions à marche forcée, soutenue par d’importants crédits, n’a fait qu’alourdir le fonctionnement des nouvelles entités. Surtout, cette focalisation sur la nécessité d’atteindre à tout prix une taille critique et de favoriser l’excellence n’a fait que masquer les #impensés qui pèsent sur l’enseignement supérieur français : comment améliorer la #qualité de l’enseignement et favoriser la réussite du plus grand nombre ? Quid du dualisme entre universités et grandes écoles ? Quelles sources de financement pour éviter la paupérisation des universités ? Comment éviter la fuite des chercheurs, aux conditions de travail de plus en plus difficiles ? Et, par-dessus tout : quel rôle dans la construction des savoirs dans un pays et un monde en pleine mutation ?

      A ces lourdes interrogations, l’#obsession du classement de Shanghaï, dont le rôle de promotion des standards chinois apparaît de plus en plus nettement, ne peut certainement pas répondre. Certes, l’enseignement supérieur doit être considéré en France, à l’instar d’autres pays, comme un puissant outil de #soft_power. Mais l’objectif d’inscription dans la compétition internationale ne peut tenir lieu de substitut à une politique universitaire absente des débats et des décisions, alors qu’elle devrait y figurer prioritairement.

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/08/15/classement-de-shanghai-2023-penser-l-enseignement-superieur-en-dehors-des-pa

    • Au même temps, #Emmanuel_Macron...

      Avec 27 universités représentées, le classement de Shanghai met à l’honneur l’excellence française.

      Acteurs de l’enseignement et de la recherche : merci !

      Vous faites de la France une grande Nation de formation, de recherche et d’innovation. Nous continuerons à vous soutenir.


      https://twitter.com/EmmanuelMacron/status/1691339082905833473
      #Macron

    • Classement de Miamïam des universités françaises.

      Ayé. Comme chaque année le classement de Shangaï est paru. Et l’auto-satisfecit est de mise au sommet de l’état (Macron, Borne, et bien sûr Oui-Oui Retailleau). Imaginez un peu : 27 de nos établissements français (universités et grandes écoles) y figurent.

      Rappel pour les gens qui ne sont pas familiers de ces problématiques : le classement de Shangaï est un classement international très (mais vraiment très très très) sujet à caution, qui s’est imposé principalement grâce à une bonne stratégie marketing (et à un solide lobbying), et qui ne prend en compte que les publications scientifiques des enseignants-chercheurs et enseignantes-chercheuses de l’université : ce qui veut dire qu’il ne regarde pas “l’activité scientifique” dans sa globalité, et que surtout il n’en a rien à secouer de la partie “enseignement” ni, par exemple, du taux de réussite des étudiants et étudiantes. C’est donc une vision a minima hémiplégique de l’université. Il avait été créé par des chercheurs de l’université de Shangaï comme un Benchmark pour permettre aux université chinoises d’essayer de s’aligner sur le modèle de publication scientifique des universités américaines, donc dans un contexte très particulier et avec un objectif politique de soft power tout à fait explicite. Ces chercheurs ont maintenant créé leur boîte de consultants et se gavent en expliquant aux universités comment l’intégrer. L’un des co-fondateurs de ce classement explique notamment : “Avant de fusionner, des universités françaises nous ont demandé de faire une simulation de leur future place dans le classement“.

      Bref du quantitatif qui vise à souligner l’élitisme (pourquoi pas) et qui n’a pour objet que de le renforcer et se cognant ostensiblement de tout paramètre qualitatif a fortiori si ce qualitatif concerne les étudiant.e.s.

      Mais voilà. Chaque été c’est la même tannée et le même marronier. Et les mêmes naufrageurs de l’action publique qui se félicitent ou se navrent des résultats de la France dans ledit classement.

      Cette année c’est donc, champagne, 27 établissements français qui se retrouvent “classés”. Mal classés pour l’essentiel mais classés quand même : les 4 premiers (sur la jolie diapo du service comm du gouvernement) se classent entre la 16ème (Paris-Saclay) et la 78ème place (Paris Cité) et à partir de la 5ème place (sur la jolie diapo du service comm du gouvernement) on plonge dans les limbes (Aix-Marseille est au-delà de la 100ème place, Nantes au-delà de la 600ème). Alors pourquoi ce satisfecit du gouvernement ? [Mise à jour du 16 août] Auto-satisfecit d’ailleurs étonnant puisque si l’on accorde de la valeur à ces classements, on aurait du commencer par rappeler qu’il s’agit d’un recul : il y avait en effet 30 établissements classés il y a deux ans et 28 l’année dernière. Le classement 2023 est donc un recul. [/mise à jour du 16 août]

      Non pas parce que les chercheurs sont meilleurs, non pas parce que la qualité de la recherche est meilleure, non pas parce que les financements de la recherche sont plus importants et mieux dirigés, mais pour deux raisons principales.

      La première raison est que depuis plusieurs années on s’efforce d’accroître le “rendement” scientifique des personnels en vidant certaines universités de leurs activités et laboratoires de recherche (et en y supprimant des postes) pour le renforcer et le concentrer dans (très peu) d’autres universités. C’est le grand projet du libéralisme à la française qui traverse les présidences de Sarkozy à Macron en passant par Hollande : avoir d’un côté des université “low cost” dans lesquelles on entasserait les étudiant.e.s jusqu’à bac+3 et où on ferait le moins de recherche possible, et de l’autre côté des “universités de recherche et d’excellence” où on n’aurait pas grand chose à foutre de la plèbe étudiante et où on commencerait à leur trouver un vague intérêt uniquement à partir du Master et uniquement pour les meilleur.e.s et uniquement dans certains domaines (genre pas en histoire de l’art ni en études littéraires ni dans la plupart des sciences humaines et sociales).

      La seconde raison de ce “bon” résultat est que les universités se sont regroupées administrativement afin que les publications de leurs chercheurs et chercheuses soient mieux prises en compte dans le classement de Shangaï. Exemple : il y a quelques années, il y avait plusieurs sites universitaires dans les grandes villes. Chaque site était celui d’une discipline ou d’un regroupement de discipline. On avait à Toulouse, à Nantes et ailleurs la fac de droit, la fac de sciences, la fac de lettres, etc. Et les chercheurs et chercheuses de ces universités, quand ils publiaient des articles dans des revues scientifiques, “signaient” en s’affiliant à une institution qui était “la fac de sciences de Toulouse Paul Sabatier” ou “la fac de lettre de Toulouse le Mirail” ou “la fac de droit de Toulouse”. Et donc au lieu d’avoir une seule entité à laquelle rattacher les enseignants-chercheurs on en avait trois et on divisait d’autant les chances de “l’université de Toulouse” de monter dans le classement.

      Donc pour le dire rapidement (et sans pour autant remettre en cause l’excellence de la recherche française dans pas mal de disciplines, mais une excellence dans laquelle les politiques publiques de ce gouvernement comme des précédents ne sont pas pour grand-chose), la France gagne des places dans le classement de Shangaï d’une part parce qu’on s’est aligné sur les règles à la con dudit classement, et d’autre part parce qu’on a accepté de sacrifier des pans entiers de financements publics de la recherche dans certains secteurs (notamment en diminuant drastiquement le nombre de postes disponibles).

      Allez je vous offre une petite comparaison. Évaluer la qualité de l’université et de la recherche française à partir du classement de Shangaï c’est un peu comme si on prétendait évaluer la qualité de la gastronomie française à partir d’un référentiel établi par Mac Donald : on serait rapidement en capacité de comprendre comment faire pour gagner des places, mais c’est pas sûr qu’on mangerait mieux.

      Je vous propose donc un classement alternatif et complémentaire au classement de Shangaï : le classement de Miamïam. Bien plus révélateur de l’état actuel de l’université française.
      Classement de Miamïam.

      Ce classement est simple. Pour y figurer il faut juste organiser des distributions alimentaires sur son campus universitaire.

      Le résultat que je vous livre ici est là aussi tout à fait enthousiasmant [non] puisqu’à la différence du classement de Shangaï ce sont non pas 27 universités et établissements mais (au moins) 40 !!! L’excellence de la misère à la française.

      Quelques précisions :

      – ce classement n’est pas exhaustif (j’ai fait ça rapidement via des requêtes Google)
      – l’ordre des universités ne signifie rien, l’enjeu était juste de lister “l’offre” qu’elles proposaient sans prendre en compte l’ancienneté ou la fréquence de ces distributions ni le nombre d’étudiant.e.s touché.e.s
      - ce classement est très en dessous de la réalité : par exemple je n’ai inscrit qu’une seule fois l’université de Nantes alors que des distributions alimentaires sont aussi organisées sur son campus de la Roche sur Yon. Beaucoup des universités présentes dans ce classement organisent en fait des distributions alimentaires sur plusieurs de leurs campus et devraient donc y figurer 2, 3 ou 4 fois au moins.
      - je me suis autorisé, sans la solliciter, à utiliser comme crédit image la photo de Morgane Heuclin-Reffait pour France Info, j’espère qu’elle me le pardonnera.

      [Mise à jour du 16 Août]

      On invite aussi le gouvernement à regarder le classement du coût de la vie pour les étudiantes et étudiants : en constante augmentation, et atteignant une nouvelle fois, pour cette population déjà très précaire, des seuils d’alerte indignes d’un pays civilisé.

      Enfin on pourra, pour être complet dans la recension de l’abandon politique de l’université publique, signaler la stratégie de mise à mort délibérée par asphyxie conduite par les gouvernements successifs depuis plus de 15 ans. Extrait :

      “En dix ans, le nombre de recrutements d’enseignants-chercheurs titulaires a diminué de près de moitié, avec 1 935 ouvertures de poste en 2021, contre 3 613 en 2011. En 2022, on enregistre un léger sursaut, avec 2 199 postes de professeur d’université et de maître de conférences ouverts.

      La situation est d’autant plus paradoxale que les universités se vident de leurs enseignants-chercheurs chevronnés, avec un nombre de départs à la retraite en hausse de + 10,4 % en 2021 et de + 10,5 % en 2022, selon une note statistique du ministère publiée en juin. Un avant-goût de la décennie qui vient, marquée par des départs massifs de la génération du baby-boom : entre 2021 et 2029, le ministère prévoit une augmentation de 53 % en moyenne, et de 97 % en sciences – le bond le plus élevé.“

      https://affordance.framasoft.org/2023/08/classement-shangai-miam-miam

  • Crisi climatica, mobilità e giustizia sociale

    Un paese, il Senegal, due luoghi di ricerca, Dakar e St. Louis, quattro punti di vista, otto mani, e dodici storie raccolte sul campo. Attraverso il dialogo tra diverse prospettive di ricerca, questo libro restituisce un racconto corale sulla relazione complessa tra crisi climatica e diversi regimi di mobilità. Le quattro ricercatrici europee, bianche, durante il periodo trascorso in Senegal, si sono interrogate sulla loro posizionalità, sui loro privilegi, su metodologie di ricerca intersezionali e decoloniali, sforzandosi di riflettere con le persone in loco e non solo su di loro, valorizzando il più possibile la voce dei e delle protagoniste. Di fatto, che si tratti di crisi climatica o della cosiddetta crisi migratoria, nel Nord globale le immagini mediatiche e le narrazioni politiche sono sempre dominate da una prospettiva eurocentrica, che alimenta una percezione del cambiamento climatico come minaccia puramente naturale e dei migranti come invasione: entrambi nemici da combattere. Tramite le testimonianze delle persone che vivono ogni giorno gli effetti del clima che cambia, il libro racconta le diverse sfaccettature della crisi più ampia in atto, denunciando la matrice capitalistica, razzista, coloniale e patraircale della crisi stessa.

    https://deriveapprodi.com/libro/crisi-climatica-mobilita-e-giustizia-sociale

    #Sénégal #régime_de_mobilité #crise_climatique #migrations #capitalisme #racisme #colonialisme #patriarcat #crise #climat #justice_sociale #complexité #livre

  • In Italia si torna in miniera? Lo scottante tema del titanio nel #Parco_del_Beigua

    In un’intervista il ministro parla dell’estrazione dei minerali in Italia.

    Minerali rari che provengono dalla terra, essenziali per costruire batterie e immagazzinare l’energia prodotta da fonti rinnovabili: così il ministro delle Imprese e del Made in Italy, #Adolfo_Urso, come riporta un’intervista rilasciata oggi a Il Foglio, ha aperto una serie di tavoli per discutere della bozza del regolamento presentato dall’Unione Europea con l’obiettivo di ridurre la dipendenza di materie prime da un singolo paese oltre il livello del 65 per cento. Come? Con l’estrazione e la produzione, lo smaltimento e il riciclo, utilizzando il Fondo europeo per gli investimenti strategici.

    Il ministro in sostanza spiega che l’Italia ha le carte per giocare una partita importante: insomma, le batterie nascono dalle miniere e - per non dover dipendere dalla Cina - la direzione è quella di tornare a scavare, anche sfidando i cosiddetti «Nimby» (not in my backyard). Sempre l’articolo riporta che delle 34 materie prime definite «critiche», l’Italia ne possiede 15, di cui 8 estraibili in pochi anni con le tecnologie moderne. È possibile già mappare una serie di regioni ricche di minerali interessanti: la Liguria ad esempio ha il rame, ma non solo. Come spiega anche Il Foglio e come più volte riportato anche da GenovaToday, sotto il terreno del Parco del Beigua è stimato che si trovi uno dei più grandi giacimenti di titanio a livello mondiale.

    Ed è un tema scottante anche se non riguarda propriamente la costruzione di batterie perché è dagli anni ’70 che si parla di questo territorio, da quando gli occhi delle compagnie estrattive si sono posate sul suo giacimento (qui la storia). Nonostante la ferma opposizione dei Comuni e dell’ente parco (riconosciuto Unesco Global Geopark), è da anni che la Cet, Compagnia Europea per il Titanio, chiede di poter scavare. Lo scorso maggio, il Tar ha confermato il divieto di effettuare ricerche minerarie nell’area ma la Cet ha presentato ricorso al Consiglio di Stato.

    E dunque ogni volta che si parla di materie prime e miniere, sindaci, cittadini e associazioni ambientaliste del territorio fanno un «salto sulla sedia» e cercano di tenere alta l’attenzione per non trasformare una vasta area naturale in una miniera con tutti i disagi che l’operazione comporterebbe dal punto di vista ambientale e turistico. Ma, nonostante il giacimento record, anche Il Foglio ribadisce che la zona è stata inserita in un parco nazionale protetto e l’idea di accedervi, dunque, è quanto meno irrealistica.

    https://www.genovatoday.it/green/miniera-titanio-parco-beigua.html

    #montagne #Ligurie #extractivisme #matières_premières #terres_rares #titane #Italie #Beigua #dépendance #Fonds_européen_pour_les_investissements_stratégiques #batteries #mines #matières_premières_critiques #résistance #Compagnia_Europea_per_il_Titanio (#CET)

    • Ricerca titanio del Beigua, Tar accoglie ricorso ambientalisti

      Vittoria delle associazioni ambientaliste (LAC, WWF, LIPU) costituite in giudizio contro Regione Liguria e la società Cet, per evitare il potenziale rischio di una devastante maxi-cava


      Nessuno andrà alla ricerca di titanio nel parco del Beigua.

      Lo ha deciso il Tribunale amministrativo regionale della Liguria accogliendo il ricorso degli ambientalisti. Con la sentenza, depositata venerdì 27 maggio, il tar ha dunque confermato il divieto di ricerche minerarie nell’area del monte Tarinè respingendo il ricorso della società Cet che voleva effettuare campionamento anche dentro l’area protetta del Parco.

      I giudici amministrativi inoltre hanno censurato la parte del decreto del dirigente regionale alle attività estrattive della Regione Liguria, emesso nel febbraio 2021, relativa al permesso di ricerca mineraria in aree esterne (Monte Antenna) del comprensorio del Parco Beigua, nei comuni di Urbe e Sassello, perché comunque facenti parte di una ZSC (zone speciale di conservazione) ricompresa nell’elenco comunitario delle cosiddette aree “Natura 2000”.

      Le associazioni ambientaliste Lac, Wwf e Lipu, patrocinate dallo studio legale Linzola di Milano, sottolineano come «la pretestuosa, ennesima campagna di pseudo ’ricerca’ pare avesse come unico obiettivo quello di perseverare nella vecchia richiesta di concessione mineraria che, quando in futuro ritenuta economicamente sostenibile, non potrebbe che sfociare che in una distruzione dell’area interessata, mediante utilizzo di esplosivi per estrarre in cava , macinare e separare con flottazione ed acidi un 6% di rutilo, con immense quantità di scarti e grandi necessità di prelievi idrici dal bacino del torrente Orba».

      «Schizofrenico - a detta degli ambientalisti - il comportamento della Regione Liguria che, al netto delle fasulle dichiarazioni di contrarietà dei partiti di maggioranza ad una cava di Rutilo sui monti Antenna e Tarinè, ha negato i permessi di ricerca dentro il parco regionale del Beigua, ma li ha consentiti in alcune aree adiacenti senza mai interpellare i proprietari dei terreni».

      Per le associazioni ambientaliste si è così evitata la devastatizione di centinaia di ettari di terreno da attività di cava a cielo aperto e in aree ad alto valore naturalistico e paesistico; salvaguardate anche lo spreco di grandi consumi di acqua e derivazioni dei torrenti Orba e Orbarina, e loro inquinamento ed indisponibilità di acqua potabile per i comuni piemontesi a valle; una mega discariche a cielo aperto per contenere oltre il 90% di rocce macinate di scarto, la cui lavorazione ne avrebbe aumentato il volume e reso i suoli instabili; transiti per decine di migliaia di passaggi di camion, a fronte di compensazioni economiche inesistenti, in quanto non previsti dalla legislazione mineraria; danni per la salute dei cittadini a causa della presenza nelle rocce di asbesto blu.

      https://www.genovatoday.it/cronaca/beigua-tar-titanio-ricorso-ambientalisti.html
      #justice #recours

    • Titanio nel parco Beigua, Grammatico (Legambiente): «Grande preoccupazione per salute e ambiente»

      «La Regione Liguria concede per tre anni alla Cet, la Compagnia Europea per il Titanio, il permesso di ricerca: la riteniamo una scelta sbagliata»

      «Legambiente Liguria esprime grande preoccupazione dopo avere appreso che con il decreto numero 1211-2021 la Regione Liguria concede per tre anni alla Cet, la Compagnia Europea per il Titanio, il permesso di ricerca, che ha la finalità di portare all’apertura della miniera nel comprensorio del Beigua»: così si esprime Legambiente Liguria in un comunicato.

      Torna dunque alla ribalta una questione annosa che da molto tempo sta facendo discutere, ovvero quella dell’estrazione del titanio nell’area del Parco del Beigua, uno dei più grandi giacimenti a livello mondiale. Si stima che, specie sotto il monte Tariné, si trovino 400 milioni di tonnellate di titanio, metallo prezioso su cui le compagnie estrattive hanno messo gli occhi da più di 40 anni, trovando la resistenza di cittadini e dell’ente parco (l’area è protetta ed è riconosciuta anche come Geoparco Unesco). Dall’altra parte, il Cet aveva proposto più volte alla Regione diritti di estrazione milionari.

      «Riteniamo questa una scelta sbagliata - dichiara Santo Grammatico, presidente di Legambiente Liguria, riferendosi al permesso di ricerca concesso alla Cet - anche se limitata ai 229 ettari (su 458 interessati complessivamente) che si trovano ai margini del confine del Parco del Beigua, perché è evidente che tutti gli impatti negativi dell’apertura di attività minerarie ricadrebbero nell’area Parco. Con la scusa della ricerca scientifica si verifica un precedente pericoloso, preludio ad una attività insostenibile per impatto ambientale e lontana dai desideri di sviluppo delle comunità locali che da anni si oppongono a qualsiasi ipotesi di apertura di attività estrattive. Legambiente è vicina ai cittadini che vivono e operano nel Parco del Beigua valutando anche le modalità e le sedi opportune per opporsi a questo decreto».
      L’unico parco ligure riconosciuto Unesco Global Geopark

      L’associazione ambientalista ricorda che il gruppo montuoso del Beigua, diventato Parco nel 1995, Geoparco europeo e mondiale nel 2005 e nel 2015 è stato riconosciuto Unesco Global Geopark ed è l’unico parco ligure a potersi fregiare di tale riconoscimento. «Inoltre in questi anni l’Ente Parco ha portato avanti un lavoro su un modello di sviluppo basato su agricoltura sostenibile, manutenzione dei boschi, turismo di qualità e consorzi sempre più attenti alla filiera corta - aggiunge Grammatico - anche per questo ribadiamo la nostra contrarietà al progetto che devasterebbe un’area protetta di inestimabile valore per biodiversità e valori ecologici e paesaggistici oltre che mettere a repentaglio la salute di chi vive nel territorio. Da un punto di vista sanitario, diversi studi hanno inoltre evidenziato come nel minerale grezzo nella composizione delle rocce del giacimento risulta la presenza di un anfibolo del gruppo degli asbesti in una percentuale pari a circa il 10/15% che ha tendenza a separarsi sotto forma di fibra e minutissimi aghi ed è notoriamente dannoso per la salute».
      Rossetti (Pd): «Chi tocca il Beigua se ne assume le responsabilità»

      In giornata arriva anche il commento del consigliere regionale Pippo Rossetti (Pd): «Sconcerto e preoccupazione per la delibera che consente alla Compagnia Europa del Titanio di perforare aree del Parco del Beigua allo scopo di aprire una miniera per la raccolta del titanio. Mi chiedo se l’assessore Scajola sa cosa succede. Tre mesi fa, a novembre, ai colleghi Candia e Pastorino ha risposto in Consiglio che non c’era alcuna richiesta e che comunque la Giunta sarebbe stata contraria. Dopo trenta anni di tentativi inutili da parte della Compagnia, la Giunta Toti da il suo consenso! Unico Geopark della Liguria vengono cosi contraddette tutte le politiche economico turistiche ambientali del territorio. Toti finge di non sapere che perforazioni ed estrazioni in quel luogo sono pericoli per la salute degli abitanti, perché in quelle rocce ci sono fibre che inducono all’asbestosi. Chiedo che Asl 2 , Arpal e Uffici Regionali vengano immediatamente a riferire in Commissione e l’assessore Scajola a spiegarci come mai in tre mesi la Giunta ha cambiato idea, sperando che non si nasconda dietro ai pareri tecnici degli uffici, alibi che vale come il due di picche. Chiedo che immediatamente tutti gli atti e il verbale della Conferenza dei Servizi vengano resi pubblici. Ognuno potrà assumersi le sue responsabilità».
      La Regione: «Nessuna autorizzazione ad attività estrattiva»

      «Non è stata fatta alcuna delibera di giunta autorizzativa per la raccolta del titanio nell’area del Beigua - replica l’assessore regionale Marco Scajola -. Il consigliere Rossetti confonde, strumentalizza e non sa di cosa parla. Gli uffici tecnici competenti hanno permesso, nel pieno rispetto delle norme, uno studio non invasivo che non interessa l’area del parco del Beigua. Non vi sarà alcuna attività di cava: lo studio verrà condotto senza alcun prelievo né alcun intervento sul territorio. Degli oltre 450 ettari richiesti ne sono stati concessi poco più di 200, escludendo l’area del parco naturale regionale del Beigua. Questo è stato fatto nonostante ci fossero pareri favorevoli ad autorizzare attività di studio in tutta l’area, anche del parco, da parte della Provincia di Savona, dell’Arpal e dell’Asl competente. Lo stesso Ministero dell’Ambiente ha confermato che l’attività di studio non dev’essere soggetta a VIA, proprio in virtù delle modalità non invasive che verranno impiegate. Nessuna autorizzazione quindi da parte della Giunta: chi afferma il contrario afferma il falso, senza conoscere minimamente l’argomento».

      https://www.genovatoday.it/attualita/titanio-parco-beigua-cosa-succede.html

    • Titanio nel Beigua, la Cet fa ricorso al Consiglio di Stato per effettuare le ricerche minerarie

      La questione dell’ipotetica miniera di titanio nell’area del Geoparco Unesco va avanti dagli anni ’70

      Era solo questione di tempo e a fine anno la Cet - Compagnia Europea per il Titanio - è tornata alla carica, presentando ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar Liguria dello scorso maggio, che di fatto ha confermato il divieto di effettuare ricerche minerarie nell’area del monte Tarinè.

      Siamo nel cuore del Parco del Beigua (unico parco ligure riconosciuto Unesco Global Geopark) che comprende un’area da anni finita nell’occhio del ciclone poiché cela uno dei più grandi giacimenti di titanio - elemento molto ricercato - a livello mondiale. Si stima che, specie sotto il monte Tariné, si trovino 400 milioni di tonnellate di titanio, metallo prezioso su cui le compagnie estrattive hanno messo gli occhi da più di 40 anni, trovando la resistenza di cittadini e dell’ente parco all’idea di aprire un’enorme miniera proprio nel verde. Dall’altra parte, la Cet aveva proposto più volte alla Regione diritti di estrazione milionari.
      La sentenza del Tar contestata

      La Cet ha presentato ricorso contro la sentenza del Tar del 27 maggio, chiedendo l’annullamento di diversi documenti. Tornando indietro nel tempo, nel 2015 la Cet aveva chiesto il rilaascio di un permesso di ricerca mineraria sul monte Tarinè per un periodo di tre anni. La Regione Liguria aveva dichiarato che l’istanza era inammissibile perché contrastante con il piano del Parco Naturale Regionale del Beigua che vieta di asportare rocce, minerali e fossili, fatti salvi i prelievi per ricerche scientifiche.

      Il ricorso proposto della Cet - interessata a svolgere ricerche sul giacimento di titanio - contro il provvedimento era già stato respinto dal Tar nel 2020 (con un’altra sentenza impugnata): “La sottoposizione dell’area sulla quale si dovrebbe svolgere la ricerca mineraria a molteplici vincoli sia paesaggistici che ambientali - avevano scritto i giudici - è di tale pervasività che non residua nessuno spazio per intraprendere un’attività di ricerca che non essendo compiuta da un istituto scientifico ma da un’azienda estrattiva avrebbe avuto, come fine ultimo, l’estrazione di minerali attività certamente vietata dalle norme a tutela del Parco Regionale del Beigua che costituisce, per circa il 50% l’area interessata alla concessione”.

      L’ente parco aveva successivamente approvato un regolamento che subordina le attività di ricerca al rilascio di un’autorizzazione dello stesso parco, stabilendo che comunque non sono ammesse le ricerche attinenti svolte da soggetti che non abbiano come scopo la promozione di attività di studio. Ritenendo che queste ultime previsioni fossero lesive dei suoi interessi, la Cet aveva impugnato il regolamento del Parco del Beigua, ma il Tar nel maggio 2022 aveva dichiarato il ricorso inammissibile. Adesso si andrà avanti con il Consiglio di Stato.
      Buschiazzo: «Vorremmo impiegare le nostre risorse per lo sviluppo del territorio, non per difenderci»

      La vicenda giudiziaria si trascina appunto dal 2015 e, come chiarisce il presidente del Parco del Beigua Daniele Buschiazzo, che ha divulgato la notizia del ricorso al Consiglio di Stato della Tar, la questione «continua a impegnare ingenti risorse del Parco del Beigua. Risorse che vorremmo impiegare per favorire lo sviluppo turistico del territorio, ma che dobbiamo invece usare per proteggerne l’elevata qualità ambientale dell’area e di conseguenza la qualità di vita delle persone che ci vivono. Non a caso qui insistono un’area protetta, la più grande della Liguria, un Geoparco riconosciuto dall’Unesco e diverse Zsc – zone speciali di conservazione».

      Sicuramente il ricorso al Consiglio di Stato non giunge inatteso: «Il Parco del Beigua e tutte le sue comunità - continua Buschiazzo - faranno valere le proprie ragioni come hanno sempre fatto. Ci aspettiamo che si costruisca anche la Regione Liguria assieme a noi».
      Un territorio sotto la spada di Damocle dal 1976

      Il territorio riconosciuto dall’Unesco è di fatto sotto la «spada di Damocle» dal 1976, da quando gli occhi delle compagnie si sono posate sul suo giacimento.

      «Sarebbe bene una volta per tutte mettere la parola fine su questa vicenda che ci fa disperdere risorse che potrebbero essere utili per il nostro territorio. Tanto più in un momento in cui la zona infetta dalla peste suina è estesa su tutto il parco da ormai un anno, creando notevoli problemi a tutte quelle attività che contribuiscono a mantenere il nostro territorio» conclude Buschiazzo.
      La preoccupazione di Legambiente

      «La Cet ribadisce, con questo ennesimo atto contro lo sviluppo sostenibile del territorio, la propria essenza - dichiara Santo Grammatico, presidente Legambiente Liguria -. Non ha alcun interesse nella ricerca scientifica ma lo ha solo di mero sfruttamento minerario per una delle zone geologicamente più pregevole della Liguria, tutelata da un parco regionale e riconosciuta dall’Unesco. Spiace constatare, a valle del ricorso dell’azienda al Consiglio di Stato, contro la sentenza del Tar Liguria che impedisce la ricerca nell’area Parco e nelle Zone Speciali di Conservazione, che non si sia definitivamente risolta la questione sul piano politico. La Regione Liguria con il Decreto 1211 del febbraio 2021 ha concesso alla Cet, per tre anni la possibilità di effettuare ricerche minerarie anche in zone limitrofe all’area tutelata, aprendo di fatto un conflitto sociale, economico e ambientale a danno degli enti e della comunità locale».

      «Saremo sempre insieme e al fianco delle Comunità e dei Parchi che si oppongono a uno sviluppo predatorio del nostro territorio» conclude il presidente dell’associazione ambientalista.

      https://www.genovatoday.it/cronaca/titanio-beigua-ricorso-cet-consiglio-stato.html

  • Après la quantité, au tour de la qualité des aliments d’écoper Daniel Blanchette Pelletier - Radio Canada

    Un aliment que vous achetez souvent ne goûte plus comme avant ?
    Sa consistance a changé ?
    Saviez-vous que des entreprises modifient subtilement la recette ou les ingrédients de leurs produits pour réduire les coûts de production ? Incursion dans le monde de la déqualiflation.

    Contrairement à la réduflation, qui modifie la quantité d’un produit, la déqualiflation intervient plutôt sur sa qualité, note la nutritionniste Andréanne Martin, au risque de nuire à la santé de ses consommateurs.


    Déqualiflation n. f. ■ Contraction des mots « qualité » et « inflation », précédée du préfixe « dé » soulignant l’état inverse. Pratique commerciale visant à réduire la qualité d’un produit ou d’un service sans impact significatif sur le prix. Connue sous l’expression skimpflation, en anglais.

    E.D. Smith, par exemple, a modifié la recette de sa garniture pour tarte à la citrouille.

    L’huile végétale était auparavant au troisième rang de la liste des ingrédients. Elle occupe maintenant la sixième place et l’eau est désormais le troisième ingrédient en plus grande quantité dans le mélange à tarte.

    L’apport calorique est ainsi réduit, possiblement au détriment du goût et de la texture, suggère Andréanne Martin.

    Ce changement aurait pu passer inaperçu sans la vigilance des consommateurs qui ont remarqué l’état plus liquide du produit et ont inspecté son étiquette.

    « Allez lire de quoi sont faites les calories que vous mangez, insiste la nutritionniste. Même pour un produit qu’on achète régulièrement, par automatisme, ça vaut la peine d’aller lire si quelque chose a été modifié dans la recette. »

    E.D. Smith, Kraft et Quaker font partie des nombreuses marques à avoir ajusté leurs recettes au cours des dernières années.

    Au fil des ans, la recette de la célèbre tartinade Cheez Whiz a aussi changé à plusieurs reprises. Le fromage a notamment été devancé au premier rang des ingrédients par des substances laitières modifiées.

    Kraft avait répondu à l’époque que la proportion des ingrédients de son produit variait au fil des ans « en fonction de leur coût ou de leur disponibilité ».
    Les substances laitières modifiées sont d’ailleurs monnaie courante, tout comme le substitut de fromage, une imitation à base d’huile de palme moins coûteuse
    que le vrai fromage.
    « Ce qu’on voit aussi beaucoup dans l’industrie présentement, c’est l’utilisation d’huiles plus abordables, comme l’huile de carthame, l’huile de soya, l’huile de maïs et l’huile de tournesol », ajoute Andréanne Martin.

    Quaker a aussi remplacé le chocolat au lait de certaines de ses barres tendres par un « enrobage chocolaté » fabriqué à partir d’huile de palme. Résultat : le taux de gras saturés par barre a augmenté de 40 % et l’apport en protéines a été réduit de moitié.

    « Ça peut causer du tort à la santé des consommateurs, déplore la nutritionniste. Mais tout dépend de la qualité de l’aliment qui est utilisé pour faire la substitution. »
    « Ça réduit l’apport nutritif et la quantité de vitamines et de minéraux qu’on est capable d’aller chercher en tant que consommateur. »
     Andréanne Martin, nutritionniste

    Des gras de moins bonne qualité ou trop riches en oméga-6 peuvent, par exemple, avoir des effets inflammatoires sur le système digestif.

    « En modifiant les ingrédients ainsi, on affecte vraiment la santé globale du consommateur, mais en même temps, il est libre ou non d’acheter ces produits, à condition qu’il soit au courant des changements », résume-t-elle.

    Ni Winland Foods (E.D. Smith) ni PepsiCo (Quaker) n’ont répondu à nos demandes d’information.

    À l’insu des papilles gustatives ?
    De nombreux internautes nous ont écrit pour nous signaler que leurs barres tendres ou leur crème glacée préférées avaient changé de goût ou que leur soupe en conserve était plus liquide qu’auparavant. Même le savon à vaisselle leur apparaissait maintenant dilué.

    Ces impressions sont toutefois difficiles à vérifier.

    À moins de consulter régulièrement les étiquettes, de les conserver et de les comparer, ces changements laissent peu de traces. https://ici.radio-canada.ca/info/2023/reduflation/produits-epicerie-aliments-encadrement-surveillance-donnees-impact-

    La liste des ingrédients qui figurent sur l’emballage d’un produit est affichée par ordre décroissant de poids, mais leur proportion, ou quantité exacte, n’est pas indiquée.

    Ainsi, la recette d’un produit pourrait être modifiée sans impact sur la liste des ingrédients s’ils demeurent les mêmes et si leur proportion maintient le même ordre d’affichage.

    Les changements à apporter au tableau de la valeur nutritive pourraient également être minimes, d’autant plus que l’Agence canadienne d’inspection des aliments tolère une marge d’erreur de 20 %, justifiée entre autres par « la variabilité naturelle des vitamines et minéraux présents dans les aliments ».

    « Pour moi, ça n’a aucun sens », affirme la docteure en nutrition Isabelle Huot.

    « Une entreprise pourrait ne pas changer son étiquette pour épargner sur l’emballage : "Je ne peux pas la réimprimer, parce que ça va me coûter trop cher." »
    -- Isabelle Huot, docteure en nutrition

    Les lois et règlements sur les aliments et leur salubrité contraignent toutefois les entreprises à modifier leurs étiquettes si un changement dans la recette affecte leur exactitude ou « la véracité de la représentation de la composition du produit alimentaire », précise l’Agence canadienne d’inspection des aliments par courriel.

    L’introduction d’un allergène, à déclaration obligatoire, en serait un exemple.

    Les recettes des manufacturiers, et les modifications qu’ils y apportent, restent sinon à leur seule discrétion.

    L’identité numérique des produits
    Règle générale, « si le produit conserve le même volume ou poids, ils n’ont pas à informer personne qu’ils ont substitué un ingrédient », affirme Jordan LeBel, spécialisé en marketing alimentaire.

    Contrairement à la réduflation, un changement apporté à une recette n’en fait pas nécessairement un nouveau produit non plus aux yeux de GS1 Canada, un organisme qui supervise l’attribution du code à barres.

    Cette série de symboles est accolée à la majorité des produits vendus au Canada pour qu’ils soient lus par les lecteurs optiques des commerces. La pratique n’est pas obligatoire, mais fortement recommandée pour le roulement de la chaîne logistique.


    Les produits intègrent alors une base de données où sont colligées leurs informations, notamment une photo, le format et la liste des ingrédients. Ces données sont utilisées par les détaillants pour leurs circulaires ou les épiceries en ligne.

    La majorité des aliments vendus en épicerie sont dotés d’un code à barres, une identité numérique qui est gérée entre l’organisme GS1 Canada, les manufacturiers et les détaillants.

    Chaque fois qu’un produit subit un changement de quantité, la fiche doit être mise à jour et un nouveau code à barres lui est attribué.

    Ce n’est pas systématiquement le cas avec la liste des ingrédients.

    « Toute modification de la formulation [requiert un nouveau code à barres] si elle affecte les informations réglementaires déclarées sur l’emballage du produit et si le propriétaire de la marque souhaite que le consommateur ou le partenaire commercial remarque la différence, peut-on lire sur le site Internet de GS1 Canada. Les deux conditions doivent être remplies pour que l’attribution soit requise. »

    Tant que le changement apporté aux ingrédients n’implique pas un allergène, par exemple, ou qu’il n’a pas d’impact sur la quantité ou le poids du produit, il n’a donc pas à être signalé.

    Les informations détenues par GS1 Canada pourraient-elles permettre de répertorier les cas de réduflation ?
    Non. Sa base de données est constamment mise à jour, mais l’historique n’est pas conservé : les nouveaux produits remplacent donc les anciens. Il s’agit en plus d’informations privilégiées, entre manufacturiers et détaillants, auxquelles ni le public ni même le gouvernement n’ont accès.

    Dans sa mesure de l’inflation, Statistique Canada porte aussi attention à la déqualiflation, puisque la variation dans la qualité d’un produit peut influencer sa valeur, même si son prix, lui, est resté stable.

    Des ajustements sont faits pour que l’indice des prix à la consommation prenne en compte ces changements, sauf en ce qui a trait aux produits vendus à l’épicerie.

    « Nous n’avons aucun suivi de la déqualiflation pour les aliments », confirme l’agence fédérale. Il n’est pas facile de suivre la qualité des ingrédients qui entrent dans la fabrication des aliments vendus en magasin. »

    « Lorsque les ingrédients restent les mêmes, mais que leurs concentrations respectives changent, affectant la qualité globale du produit, nous n’avons pas l’information nécessaire pour repérer ce type de changement, poursuit-on. Il n’est pas possible pour nous de faire des ajustements de prix afin de refléter des changements dans la qualité ou les quantités utilisées des divers ingrédients des aliments. »

    Réduire plutôt que changer
    Les entreprises qui ont recours à la réduflation pour réduire leurs coûts répondent généralement qu’il s’agit d’un compromis https://ici.radio-canada.ca/info/2023/reduflation/entreprises-transparence-emballages-lois pour ne pas « amoindrir la qualité du produit ».

    Les experts estiment d’ailleurs que la déqualiflation est parfois pire que la réduction des formats, puisqu’elle implique généralement des ingrédients de moins bonne qualité ou vient diluer un produit.

    Des raisons de santé publique pourraient toutefois justifier un changement dans la formulation d’un produit, notamment pour réduire l’apport calorique ou encore diminuer la quantité de sucre, de sel ou de gras.

    « On a des bijoux qui peuvent apparaître sur les tablettes des supermarchés avec les substitutions alimentaires, estime la nutritionniste Andréanne Martin, justement parce qu’il y a une sensibilisation pour améliorer la qualité d’un produit », ou encore son empreinte sociale ou environnementale.


    Coca-Cola et Mars, notamment, ont parfois changé le format de leurs produits pour répondre à un engagement de réduire leur teneur en sucre, plutôt que d’en modifier la recette.

    Mais la réduflation apparaît parfois comme la « solution facile ».

    C’est le cas, par exemple, avec les barres de chocolat et les boissons gazeuses. Plutôt que de modifier les recettes – et de risquer d’altérer le goût – on réduit parfois leur format.

    « C’est sûr que si on diminue le format, on diminue le nombre de calories », convient Maryse Côté-Hamel, qui se spécialise en sciences de la consommation.

    « Est-ce qu’on fait ça pour aider le consommateur ? Est-ce une façon de justifier une réduction de format ou simplement de maintenir son image ? Ce sont des questions à poser. »
     Maryse Côté-Hamel, Université Laval

    « De plus en plus de produits vont se positionner avec le nombre de calories, poursuit l’experte. Mais, souvent, ce n’est pas un changement dans la recette, juste une diminution de format. »

    Quand des recettes mettent au jour la réduflation
    Pour déceler des cas plus anciens de réduflation, des internautes qui ont contribué à notre collecte de données se sont aussi tournés vers de vieux livres de recettes.
    Vous pourrez le constater en consultant notre base de données (que vous pouvez aussi continuer à alimenter en remplissant le formulaire ci-dessous).

    2023 Crème Campbell’s : Actuel 515 Avant 540 Réduction -4,6 %
    2023 Crème Nutrinor : Actuel 473 Avant 500 Réduction -5,4%
    2023 Pates alimentaires Barilla : Actuel 410 Avant 454 Réduction -9,7 %
    2023 Croquettes pour chiens Acana : Actuel 14,5 Kg Avant 17 Kg Réduction - 14,7 %
    . . . . .
    Consultez l’ensemble des produits : https://ici.radio-canada.ca/info/2023/reduflation/base-donnees-produits-aliments-epicerie-formats-taxes

    « Il y a des produits qui sont des ingrédients dans des recettes et qui voyagent dans le temps », rappelle le professeur Jordan LeBel, qui a aussi un passé de chef cuisinier.

    C’est le cas de la tasse de crème (250 ml) et de la livre de margarine (454 g) dont les contenants sont passés au fil des ans à 237 ml et à 427 g.

    Devant la disparition de ces formats « traditionnels », on gagne maintenant à spécifier des quantités exactes dans les recettes plutôt qu’à faire référence à une boîte de tomates en dés ou de lait condensé, par exemple.

    « Quand la boîte de crème de champignons qu’on demande dans une casserole passe de 450 ml à 435 ml ou encore à 400 ml, ça vient jouer dans la consistance de la recette », renchérit Jordan LeBel.

    « La réduflation a des conséquences auxquelles on ne réfléchit pas nécessairement. »
    -- Jordan LeBel, Université Concordia

    « Ça pose des problèmes pratico-pratiques », appuie Sylvie De Bellefeuille, d’Option consommateurs.

    Si la réduflation vient parfois avec l’argument de réduction du gaspillage alimentaire, en mettant en marché de plus petites portions pour les consommateurs seuls ou les familles réduites, l’effet inverse peut aussi en résulter, rappelle l’avocate.

    « Pour une recette qui demande une tasse de crème, il faut maintenant acheter deux contenants », argumente-t-elle, au risque de gaspiller le restant du deuxième.

    #Ersatz #inflation #alimentation #alimentations #Santé #diminution #achats_alimentaires #consommation #format #composition

    Source https://ici.radio-canada.ca/info/2023/reduflation/base-donnees-produits-aliments-epicerie-formats-taxes

    • Pour que les courageux journalistes des médias français parlent de cette escroquerie, attendre les articles de Que Choisir, 60 Millions de consommateurs.
      Pour l’instant, au Canada, les échotiers se contentent d’inventer de nouveaux mots, pour cette pratique vieille comme la fabrication de la nourriture industrielle.

      déqualiflation  : Déqualification de la composition
      réduflation  : Réduction de format

  • « Contre le complotisme, parlez de valeurs, pas des vaccins » : entretien avec Marie Peltier | Céline Gautier & Quentin Noirfalisse
    https://medor.coop/magazines/medor-n30-hiver-2023-2024/contre-le-complotisme-parlez-de-valeurs-pas-des-vaccins-democratie-justice-syrie-covid-harcelement-terrorisme/?full=1#continuer-a-lire

    [Marie Peltier affronte en ce mois d’août une enième vague de harcèlement. Elle évoquait son travail et les attaques qu’il occasionne dans cet article de mars 2023.] Marie Peltier a subi la force de frappe du complotisme durant la guerre en Syrie. Depuis, elle ausculte ce phénomène de société qu’on ne déjoue pas avec du fact-checking, mais bien en défendant la démocratie, la solidarité et la justice, suggère-t-elle. Rencontre avec une historienne qui étudie les grands récits de notre époque. Source : Médor

    • (...) le conspirationnisme n’est pas un problème d’intelligence ni de manière de penser. Ces personnes font des liens logiques. Ils bossent leur sujet – et souvent bien plus que nous.

      Il s’agit souvent, comme moteur premier, d’une recherche de sens et aussi d’une soif de justice, qui se retrouvent dévoyées par des sphères qui les instrumentalisent à des fins réactionnaires.

      sinon, ça me parait pas trop costaud. c’est assez pyskologisant, sur ce qui détermine les politiciens, dont Macron, par exemple, ce qui offre une lecture pas trés analytique. « antisémitisme sans juifs », c’est une bonne punch line (ça doit intriguer y compris des antisémites sans vergogne), à fortes limites. ça s’affaiblit encore là où des faits passent à la trappe (investissement U.S. dans la révolte en Syrie), ce qui dessert la justesse et la logique du propos, là où les faits ne sont pas assumés, par exemple sur le vaccin covid défendu de manière générale au nom de l’histoire des vaccins, en se refusant d’aborder (je ne suis pas médecin) la chose même (virus et vaccin) comme l’exigerait une argumentions un tant soit peu spécifique.

      #complotisme #conspirationnisme #Marie_Peltier #harcèlement

    • M. P. : Parce que depuis vingt ans, on encourage la neutralité chez les personnes qui transmettent les récits : un journaliste doit être neutre, un professeur, un chercheur aussi. Mais la neutralité ça profite à qui au final  ? À ceux qui disent quelque chose de manière claire depuis vingt ans, en l’occurrence l’extrême droite. Ce dogme de la neutralité a fait beaucoup de mal et il est temps de réapprendre aux gens à se repositionner politiquement.

      M : Ne pas donner son avis, en classe, cela nourrit le complotisme  ?

      M. P. : L’obligation d’être neutre sème une véritable confusion dans la tête des professeurs. Ils pensent qu’il ne faut plus parler de la société. Pour ma part, j’ai décidé de redonner un peu mon avis. Je ne fais pas de politique partisane avec mes étudiants, mais, par exemple, j’ai parlé avec eux du vaccin. Si personne ne leur en parle de façon frontale, on ne peut pas leur en vouloir d’aller se vautrer dans des contenus conspirationnistes.

      #neutralité #politique

  • Le débat politique s’empare des prévisions météorologiques aussi en Suisse Etienne Kocher - Miroslav Mares - RTS

    Trop alarmantes, erronées ou encore orientées politiquement : les prévisions météorologiques sont souvent critiquées cet été. La télévision alémanique SRF est même accusée de truquer les températures pour créer la panique.

    Dans plusieurs pays, les météorologues sont pris à partie, accusés de se tromper dans leurs prévisions, mais aussi de manipuler les bulletins pour les rendre plus alarmants.


    Normal de colorer le pays en rouge orangé

    Une situation vécue au mois de mai par l’agence météorologique nationale d’Espagne, lorsqu’elle a annoncé des températures anormalement élevées. La vague de chaleur s’est avérée correcte, mais les prévisions et les analyses ont généré un flot d’insultes et de menaces.

    Plusieurs messages anonymes ont mis en doute la véracité du changement climatique et ont sous-entendu que l’agence participait à un large complot pour créer la panique. Le gouvernement espagnol a dû prendre position pour dénoncer ces attaques.

    Un mois plus tard, en France, la chaîne publique France 2 a également constaté une hausse des accusations de désinformation à propos des évènements extrêmes et de leur lien avec le climat.

    La Suisse entre aussi dans le débat
    Au mois de juillet, Météosuisse avait lancé une alerte orage de quatre sur quatre, mais par rapport aux prévisions, la tempête s’est avérée moindre. A l’inverse, la tempête qui a ravagé La Chaux-de-Fonds n’a pas été prévue. A chacun de ces épisodes, les météorologues doivent s’expliquer, voire défendre leur travail.

    Des critiques viennent aussi du monde politique. Récemment, le journal conservateur Weltwoche a dénoncé les prévisions de l’application météo de SRF. Elles prévoyaient, dans certains endroits de la Méditerranée, des températures plus élevées de quelques degrés.

    Un conseiller national UDC accuse donc le diffuseur alémanique de truquer délibérément les prévisions pour alimenter une panique climatique et faire avancer l’agenda des Verts. Le météorologue en chef de SRF a reconnu des erreurs, tout en jugeant la critique absurde puisque ces prévisions sont le résultat d’un algorithme complètement automatique.

    Le public attend davantage de précision
    Invitée mercredi dans l’émission Forum, Marianne Giroud-Gaillard, météorologue à Météosuisse, constate une augmentation des critiques sur les réseaux sociaux. « Par moments, on a l’impression que cela est lié au fait que l’on est un service public ».

    « On peut estimer qu’il y a davantage d’attente du public en termes de précision et de durée de la prévision. On sait aussi que la population a accès à davantage d’information », observe la météorologue.

    Les phénomènes météorologiques restent complexes, ils intègrent une part d’incertitude, « on communique de plus en plus en termes de probabilité et de scénarios possibles. (...) En cas d’orages, on ne peut pas dire avant une heure où ils auront lieu », rappelle Marianne Giroud-Gaillard.

    #météo #propagande sur le #réchaufement_climatique #Climat #température #complot #panique #désinformation #journalistes #médias

    Source : https://www.rts.ch/info/suisse/14229728-le-debat-politique-sempare-des-previsions-meteorologiques-aussi-en-suis

  • La Compil’ de la Semaine
    https://www.les-crises.fr/la-compil-de-la-semaine-105

    Chaque semaine, nous vous proposons notre Compil’ de la Semaine : une sélection de dessins de presse à la fois drôles et incisifs, ainsi que des vidéos d’analyse participant à l’indispensable travail d’auto-défense intellectuelle. Bonne lecture et bon visionnage à toutes et à tous ! Dessins de Presse Vidéos Blast : Italie, les dix premiers […]

    #Miscellanées #Compil_de_la_Semaine #Miscellanées,_Compil_de_la_Semaine

  • Conference on innovative technologies for strengthening the Schengen area

    On 28 March 2023, the European Commission (DG HOME), Frontex and Europol will jointly hold a conference on innovative technologies for strengthening the Schengen area.


    The conference will provide a platform for dialogue between policy decision-makers, senior technology project managers, and strategic industry leaders, essential actors who contribute to making the Schengen area more secure and resilient. The conference will include discussions on the current situation and needs in Member States, selected innovative technology solutions that could strengthen Schengen as well as selected technology use cases relevant for police cooperation within Schengen.

    The conference target participants are ‘chief technology officers’ and lead managers from each Member State’s law enforcement and border guard authorities responsible for border management, security of border regions and internal security related activities, senior policy-makers and EU agencies. With regards to the presentation of innovative technological solutions, a dedicated call for industry participation will be published soon.

    https://www.europol.europa.eu/publications-events/events/conference-innovative-technologies-for-strengthening-schengen-area

    Le rapport est téléchargeable ici:
    Report from the conference on innovative technologies for strengthening the Schengen area

    In March 2023, the European Commission (DG HOME), Frontex and Europol jointly hosted a conference on innovative technologies for strengthening the Schengen area. The event brought together policy makers, senior technology project managers, and strategic industry leaders, essential actors who contribute to making the Schengen area more secure and resilient. The conference included discussions on the current situation and needs in Member States, selected innovative technology solutions that could strengthen Schengen as well as selected technology use cases relevant for police cooperation within Schengen.

    https://frontex.europa.eu/innovation/announcements/report-from-the-conference-on-innovative-technologies-for-strengtheni
    Lien pour télécharger le pdf:
    https://frontex.europa.eu/assets/EUresearchprojects/2023/Conference_on_innovative_technologies_for_Schengen_-_Report.pdf

    #technologie #frontières #Frontex #Europol #conférence #Schengen #UE #EU #commission_européenne #droits #droits_fondamentaux #biométrie #complexe_militaro-industriel #frontières_intérieures #contrôles_frontaliers #interopérabilité #acceptabilité #libre-circulation #Advanced_Passenger_Information (#API) #One-stop-shop_solutions #données #EU_Innovation_Hub_for_Internal_Security #Personal_Identification_system (#PerIS) #migrations #asile #réfugiés #vidéosurveillance #ePolicist_system #IDEMIA #Grant_Detection #OptoPrecision #Airbus_Defense_and_Space #Airbus #border_management #PNR #eu-LISA #European_Innovation_Hub_for_Internal_Security

  • #Texas prepares to deploy #Rio_Grande buoys in governor’s latest effort to curb border crossings

    Texas began rolling out what is set to become a new floating barrier on the Rio Grande on Friday in the latest escalation of Republican Gov. Greg Abbott’s multibillion-dollar effort to secure the U.S. border with Mexico, which already has included bussing migrants to liberal states and authorizing the National Guard to make arrests.

    But even before the huge, orange buoys were unloaded from the trailers that hauled them to the border city of Eagle Pass, there were concerns over this part of Abbott’s unprecedented challenge to the federal government’s authority over immigration enforcement. Migrant advocates voiced concerns about drowning risks and environmentalists questioned the impact on the river.

    Dozens of the large spherical buoys were stacked on the beds of four tractor trailers in a grassy city park near the river on Friday morning.

    Setting up the barriers could take up to two weeks, according to Lt. Chris Olivarez, a spokesperson for the Texas Department of Public Safety, which is overseeing the project.

    Once installed, the above-river parts of the system and the webbing they’re connected with will cover 1,000 feet (305 meter) of the middle of the Rio Grande, with anchors in the riverbed.

    Eagle Pass is part of a Border Patrol sector that has seen the second highest number of migrant crossings this fiscal year with about 270,000 encounters — though that is lower than it was at this time last year.

    The crossing dynamics shifted in May after the Biden administration stopped implementing Title 42, a pandemic era public health policy that turned many asylum seekers back to Mexico. New rules allowed people to seek asylum through a government application and set up appointments at the ports of entry, though the maximum allowed in per day is set at 1,450. The Texas governor’s policies target the many who are frustrated with the cap and cross illegally through the river.

    Earlier iterations of Abbott’s border mission have included installing miles of razor wire at popular crossing points on the river and creating state checkpoints beyond federal stops to inspect incoming commercial traffic.

    “We always look to employ whatever strategies will be effective in securing the border,” Abbott said in a June 8 press conference to introduce the buoy strategy.

    But the state hasn’t said what tests or studies have been done to determine risks posed to people who try to get around the barrier or environmental impacts.

    Immigrant advocates, including Sister Isabel Turcios, a nun who oversees a migrant shelter in Piedras Negras, Mexico, which sits just across the river from Eagle Pass, have remained vigilant about the effects of the new barrier on migration. Turcios said she met with the Texas Department of Public Safety in the days leading up to the arrival of the buoys and was told the floating barrier would be placed in deep waters to function as a warning to migrants to avoid the area.

    Turcios said she is aware that many of the nearly 200 migrants staying in her shelter on any given day are not deterred from crossing illegally despite sharp concertina wire. But that wire causes more danger because it forces migrants to spend additional time in the river.

    “That’s more and more dangerous each time ... because it has perches, it has whirlpools and because of the organized crime,” Turcios said.

    Texas Department of Public Safety Director Steven McCraw addressed the danger that migrants may face when the buoys are deployed during the June press conference when Abbott spoke: “Anytime they get in that water, it’s a risk to the migrants. This is the deterrent from even coming in the water.”

    Less than a week ago — around the Fourth of July holiday — four people, including an infant, drowned near Eagle Pass as they attempted to cross the river.

    The federal International Boundary and Water Commission, whose jurisdiction includes boundary demarcation and overseeing U.S.-Mexico treaties, said it didn’t get a heads up from Texas about the proposed floating barrier.

    “We are studying what Texas is publicly proposing to determine whether and how this impacts our mission to carry out treaties between the US and Mexico regarding border delineation, flood control, and water distribution, which includes the Rio Grande,” Frank Fisher, a spokesperson for the commission, said in a statement.

    On Friday morning, environmental advocates from Eagle Pass and Laredo, another Texas border city about 115 miles (185 kilometers) downriver, held a demonstration by the border that included a prayer for the river ahead of the barrier deployment.

    Jessie Fuentes, who owns a canoe and kayaking business that takes paddlers onto the Rio Grande, said he’s worried about unforeseen consequences. On Friday, he filed a lawsuit to stop Texas from using the buoys. He’s seeking a permanent injunction, saying his paddling business is impacted by limited access to the river.

    “I know it’s a detriment to the river flow, to the ecology of the river, to the fauna and flora. Every aspect of nature is being affected when you put something that doesn’t belong in the river,” Fuentes said.

    Adriana Martinez, a professor at Southern Illinois University who grew up in Eagle Pass, studies the shapes of rivers and how they move sediment and create landforms. She said she’s worried about what the webbing might do.

    “A lot of things float down the river, even when it’s not flooding; things that you can’t see like large branches, large rocks,” Martinez said. “And so anything like that could get caught up in these buoys and change the way that water is flowing around them.”

    https://apnews.com/article/buoys-texas-immigration-rio-grande-mexico-522e45febd880de1453460370043a25f

    https://twitter.com/clemrenard_/status/1679018421449637888

    #mur_flottant #frontières #migrations #asile #réfugiés #USA #Etats-Unis #barrières_frontalières #barrière_flottante

    En #Grèce...
    Grèce. Le « #mur_flottant » visant à arrêter les personnes réfugiées mettra des vies en danger
    https://seenthis.net/messages/823621

    • Gov. Abbott is destroying the Rio Grande for a fearmongering photo-op.


      Miles of deadly razor-wire have been deployed to ensnare & impale border crossers. Bobcats, bear, mule deer & other wildlife will also be cut off from their main source of water.

      https://twitter.com/LaikenJordahl/status/1691158344361480194

      #fil_barbelé #barbelé

    • Un mur flottant équipé de « scies circulaires » à la frontière américano-mexicaine

      Des vidéos diffusées sur les réseaux sociaux le 8 août 2023 permettent d’observer de plus près la barrière frontalière flottante installée par le gouverneur du Texas, Greg Abbott, et destinée à empêcher les migrants clandestins d’entrer aux États-Unis. Ces installations controversées, près desquelles un corps a récemment été retrouvé, sont équipées de disques métalliques pointus fabriqués par Cochrane Global.

      Quand le gouverneur du Texas, Greg Abbott, a annoncé le 6 juin 2023 l’installation d’une « barrière marine flottante » pour dissuader les migrants de franchir illégalement la frontière sud des États-Unis, un détail important a été omis : entre les bouées orange qui composent l’ouvrage se trouvent des lames de scie circulaire aiguisées, qui rendent le franchissement presque impossible sans risque de se blesser.

      Des représentants de l’association Congressional Hispanic Caucus (CHC) se sont rendus le 8 août 2023 à Eagle Pass, au Texas, et ont partagé de nombreuses vidéos sur leur compte X (anciennement Twitter).

      Les vidéos montrent de plus près les installations et ces disques métalliques tranchants entre les #bouées_flottantes.

      La petite ville d’#Eagle_Pass est devenue l’un des points de passage les plus dangereux de la frontière américano-mexicaine, marquée à cet endroit par le fleuve Rio Grande : les noyades de migrants y sont devenues monnaie courante.

      Le CHC a déclaré que ses membres étaient venus au Texas pour « tirer la sonnette d’alarme sur ces tactiques inhumaines mises en place par le gouverneur Abbott ».

      Une vidéo de 12 secondes, partagée par l’élue à la Chambre des représentants Sylvia Garcia, a été visionnée plus de 25 millions de fois.

      Appalled by the ongoing cruel and inhumane tactics employed by @GovAbbott at the Texas border. The situation’s reality is unsettling as these buoys’ true danger and brutality come to light. We must stop this NOW ! pic.twitter.com/XPc4C8Tnl0
      — Rep. Sylvia Garcia (@RepSylviaGarcia) August 8, 2023

      Le 21 juillet 2023, le ministère américain de la Justice a déposé une plainte contre le gouverneur Greg Abbott au sujet de la barrière frontalière flottante. L’action en justice qualifie d’"illégale" la mise en place d’une telle barrière et vise à forcer le Texas à l’enlever pour des raisons humanitaires et environnementales.

      « Ils traitent les êtres humains comme des animaux »

      La militarisation de la frontière sud des États-Unis avec le Mexique fait partie de l’#investissement de plusieurs milliards de dollars déployé par le gouverneur du Texas Greg Abbott pour stopper « de manière proactive » les arrivées de migrants par cette zone frontalière.

      La clôture flottante n’est qu’un seul des six projets de loi crédités en tout de 5,1 milliards de dollars de dotation et qui ont été annoncés le 6 juin 2023.

      La politique migratoire stricte du Texas, qui consiste notamment à transporter des personnes par car vers les États démocrates du Nord et à autoriser la Garde nationale à procéder à des arrestations, a incité d’autres États républicains à prendre des mesures similaires pour freiner l’immigration illégale.

      Contacté à plusieurs reprises par la rédaction des Observateurs, le bureau du gouverneur Abbott ne nous a pas répondu.

      Everyone needs to see what I saw in Eagle Pass today.

      Clothing stuck on razor wire where families got trapped. Chainsaw devices in the middle of buoys. Land seized from US citizens.

      Operation Lone Star is barbaric — and @GovAbbott is making border communities collateral damage. pic.twitter.com/PzKyZGWfds
      — Joaquin Castro (@JoaquinCastrotx) August 8, 2023

      « Je veux que vous regardiez ici le dispositif de type tronçonneuse qu’ils ont caché au milieu de ces bouées. Et quand vous venez ici, vous pouvez voir au loin tous ces fils de fer barbelés près du fleuve », a commenté le membre du Congrès américain Joaquin Castro, qui a également participé à la visite du CHC au Texas.

      « Le gouvernement de l’État [du Texas, NDLR] et Greg Abbott traitent les êtres humains comme des animaux », a-t-il ajouté dans une vidéo publiée le 8 août 2023 sur son compte X.

      Une frontière flottante fabriquée par Cochrane Global

      Texas began installation of its marine barrier near Eagle Pass. One pro-illegal immigration activist I met taking video elsewhere was outraged, saying it’ll never work. But… if she believes that, why get so verklempt ?Just shrug, smirk and go away. But they must think it’ll work ! pic.twitter.com/4fzdHdNJw8
      — Todd Bensman (@BensmanTodd) July 11, 2023

      Dans la vidéo de 12 secondes de Sylvia Garcia, on entend une personne dire : « Quelqu’un a fait beaucoup d’efforts ridicules pour concevoir ces installations. »

      Sur les bouées, on peut lire le mot « #Cochrane ». #Cochrane_Global est une multinationale spécialisée dans les « barrières [...] de haute sécurité » destinées à l’usage de gouvernements, d’entreprises ou de particuliers.

      Sur son site web, Cochrane Global indique que « la barrière flottante brevetée est composée de plusieurs bouées interconnectées qui peuvent être étendues à n’importe quelle longueur et personnalisées en fonction de l’objectif ».

      Le 4 août 2023, un corps a été retrouvé près du mur flottant installé sur le fleuve, en face d’Eagle Pass, au Texas.

      Il n’est pas clair à ce stade si l’ajout de lames de scie circulaire aux bouées orange a été pensé et fabriqué par Cochrane Global ou s’il a été fait à la demande des autorités de l’État.

      La rédaction des Observateurs a contacté Cochrane Global pour obtenir un commentaire, sans succès. Nous publierons sa réponse dès que nous l’aurons reçue.

      https://observers.france24.com/fr/am%C3%A9riques/20230811-un-mur-flottant-%C3%A9quip%C3%A9-de-scies-circulaires-%

      #business

    • The Floating Barrier and the Border Industrial Complex

      The Texas water wall gives a glimpse into rapidly proliferating border enforcement worldwide and the significant profit to be made from it.

      When I first came across Cochrane International, the company that built the floating barrier deployed in Eagle Pass, Texas, I watched a demonstration the company gave with detached bemusement. I was at a gun range just outside San Antonio. It was 2017, three months after Donald Trump had been sworn in and the last day of that year’s Border Security Expo, the annual gathering of Department of Homeland Security’s top brass and hundreds of companies from the border industry. Among industry insiders, the optimism was high. With Trump’s wall rhetoric at a fever pitch, the money was in the bank.

      All around me, all morning, Border Patrol agents were blasting away body-shaped cutouts in a gun competition. My ears were ringing, thanks in part to the concussion grenade I had launched—under the direction of an agent, but with great ineptitude—into an empty field as part of another hands-on demonstration. The first two days of the expo had been in the much-posher San Antonio convention center, where companies displayed their sophisticated camera systems, biometrics, and drones in a large exhibition hall. But here on the gun range we seemed to be on its raw edge.

      So when a red truck with a camo-painted trailer showed up and announced its demonstration, it wasn’t too much of a surprise. The blasting bullets still echoed all around as if they would never cease. Two men jumped out of the truck wearing red shirts and khaki pants. They frantically ran around the camo trailer, like mice scurrying around a piece of cheese trying to figure out the proper angle of attack. Then the demo began. One of the men got back in the truck, and as it lurched forward, coiling razor wire began to spill out of its rear end as if it were having a bowel movement. As the truck moved forward, more and more of Cochrane’s Rapid Deployment Barrier spilled out until it extended the length of a football field or more. It was like a microwavable insta-wall, fast-food border enforcement.

      Little did I know that six years later, this same company, Cochrane, would give us the floating barrier, with its wrecking ball–sized buoys connected side by side with circular saws. The floating barrier, as the Texas Standard put it, is the “centerpiece of #Operation_Lone_Star,” Texas governor Greg Abbott’s $4.5 billion border enforcement plan. For this barrier, which has now been linked to the deaths of at least two people, the Texas Department of Public Safety awarded Cochrane an $850,000 contract.

      While the floating wall is part of Abbott’s right-wing fear-fueled border operations, it is also a product of the broader border buildup in the United States. It embodies the deterrence strategy that has driven the buildup—via exponentially increasing budgets—for three decades, through multiple federal administrations from both sides of the aisle. In this sense, Cochrane is one of hundreds upon hundreds of companies that have received contracts, and made revenue, from border enforcement. Today, the Biden administration is giving out border and immigration enforcement contracts at a clip of 27 contracts a day, a pace that will top that of all other presidents. (Before Biden, the average was 16 contracts a day.)

      And there is no sign that this will abate anytime soon. Take the ongoing Homeland Security appropriations debate for fiscal year 2024: a detail in a statement put out by House Appropriations chair Kay Granger caught my eye: $2.1 billion will be allocated for the construction of a “physical wall along the southern border.” (This is something readers should keep a keen eye on! Cochrane certainly is.) At stake is the 2024 presidential request for CBP and ICE, at $28.2 billion. While that number is much higher than any of the Trump administration’s annual border enforcement budgets, it is less than the 2023 budget of $29.8 billion, the highest ever for border and immigration enforcement.

      But the $1.6 billion difference between 2023 and 2024 might soon disappear, thanks to supplemental funding requested by the White House, funding that would include nearly $1 billion in unrestricted funds for CBP and ICE enforcement, detention, and surveillance, and more funds for “community-based residential facilities,” among other things. While these “residential facilities” might sound nice, the National Immigrant Justice Center says they will “essentially reinstate family detention.” In other words, the White House aims to build more prisons for migrants, probably also run by private companies. The prison initiative has the support of the Senate Appropriations Committee, which has indicated that it will craft a bill that ensures the supplemental funding’s enactment.

      The tributaries of money into the broader border industrial complex are many, and all indications are that Operation Lone Star, which is drawing money from all kinds of different departments in the Texas state government, will continue as long as Abbott remains at the helm. Moreover, the Department of Homeland Security supplies local and state governments with border enforcement funding via a program called Operation Stonegarden. Under this program, Texas received $39 million in 2022, the equivalent of 47 floating barriers. Or more ambitiously the potential $2.1 billion mentioned above by Granger would amount to 2,470 of Cochrane’s water walls.

      As Cochrane project manager #Loren_Flossman testified (the Department of Justice is suing the state of Texas for building the floating barrier), the water barrier was first contracted by CBP in 2020 but shut down when Biden took office. At the time, the new president said that the administration would not build any more wall (although it has and is). Flossman would know, because he himself came to Cochrane after 17 years working in acquisitions at CBP, as he stated in his testimony. There is a trend in which CBP high brass cruise through the proverbial public-private revolving door, and Flossman is the newest well-connected former government employee peddling barriers across the globe in a world where there is a “rapid proliferation of border walls,” and there exists a border security market projected to nearly double in a decade.

      Cochrane has certainly jumped into this with full force. Besides the floating barrier, its products include an invisible wall known as ClearVu, the “finest fence you’ve never seen.” The same brochure shows this “invisible” wall around a Porsche dealership, an American Airlines building, and the Egyptian pyramids, and it says that the company’s walls can be found “across six continents” and “100 countries.” And that’s not all; such walls can be enhanced with accessories like the Cochrane Smart Coil, Electric Smart Coil, and Spike Toppings. The Smart Coil’s description reads like a menu at a fine-dining restaurant: composed of “a 730mm high Ripper Blade smart Concertina Coil, produced from the finest galvanized steel available on the market.” The “smart” part is that it will provide an “intrusion alert,” and the electric part means a potentially deadly electric current of 7,000 volts. From this menu, CBP has one contract with Cochrane from 2020 for “coil units,” but the contract doesn’t specify if it is “smart,” “electric,” or both.

      When I first saw Cochrane back in 2017 among the ear-ringing gunfire on the last day of the Border Security Expo, I had a feeling I might see them again. No matter how ludicrous the rapid barrier deployment camo truck seemed to me then, there was, indeed, plenty of money to be made.

      https://www.theborderchronicle.com/p/the-floating-barrier-and-the-border
      #complexe_militaro-industriel

  • La #géographie, c’est de droite ?

    En pleine torpeur estivale, les géographes #Aurélien_Delpirou et #Martin_Vanier publient une tribune dans Le Monde pour rappeler à l’ordre #Thomas_Piketty. Sur son blog, celui-ci aurait commis de coupables approximations dans un billet sur les inégalités territoriales. Hypothèse : la querelle de chiffres soulève surtout la question du rôle des sciences sociales. (Manouk Borzakian)

    Il y a des noms qu’il ne faut pas prononcer à la légère, comme Beetlejuice. Plus dangereux encore, l’usage des mots espace, spatialité et territoire : les dégainer dans le cyberespace public nécessite de soigneusement peser le pour et le contre. Au risque de voir surgir, tel un esprit maléfique réveillé par mégarde dans une vieille maison hantée, pour les plus chanceux un tweet ironique ou, pour les âmes maudites, une tribune dans Libération ou Le Monde signée Michel Lussault et/ou Jacques Lévy, gardiens du temple de la vraie géographie qui pense et se pense.

    Inconscient de ces dangers, Thomas Piketty s’est fendu, le 11 juillet, d’un billet de blog sur les #inégalités_territoriales (https://www.lemonde.fr/blog/piketty/2023/07/11/la-france-et-ses-fractures-territoriales). L’économiste médiatique y défend deux idées. Premièrement, les inégalités territoriales se sont creusées en #France depuis une génération, phénomène paradoxalement (?) renforcé par les mécanismes de #redistribution. Deuxièmement, les #banlieues qui s’embrasent depuis la mort de Nahel Merzouk ont beaucoup en commun avec les #petites_villes et #villages souffrant de #relégation_sociospatiale – même si les défis à relever varient selon les contextes. De ces deux prémisses découle une conclusion importante : il incombe à la #gauche de rassembler politiquement ces deux ensembles, dont les raisons objectives de s’allier l’emportent sur les différences.

    À l’appui de son raisonnement, le fondateur de l’École d’économie de Paris apporte quelques données macroéconomiques : le PIB par habitant à l’échelle départementale, les prix de l’immobilier à l’échelle des communes et, au niveau communal encore, le revenu moyen. C’est un peu court, mais c’est un billet de blog de quelques centaines de mots, pas une thèse de doctorat.

    Sus aux #amalgames

    Quelques jours après la publication de ce billet, Le Monde publie une tribune assassine signée Aurélien Delpirou et Martin Vanier, respectivement Maître de conférences et Professeur à l’École d’urbanisme de Paris – et membre, pour le second, d’ACADIE, cabinet de conseil qui se propose d’« écrire les territoires » et de « dessiner la chose publique ». Point important, les deux géographes n’attaquent pas leur collègue économiste, au nom de leur expertise disciplinaire, sur sa supposée ignorance des questions territoriales. Ils lui reprochent le manque de rigueur de sa démonstration.

    Principale faiblesse dénoncée, les #données, trop superficielles, ne permettraient pas de conclusions claires ni assurées. Voire, elles mèneraient à des contresens. 1) Thomas Piketty s’arrête sur les valeurs extrêmes – les plus riches et les plus pauvres – et ignore les cas intermédiaires. 2) Il mélange inégalités productives (le #PIB) et sociales (le #revenu). 3) Il ne propose pas de comparaison internationale, occultant que la France est « l’un des pays de l’OCDE où les contrastes régionaux sont le moins prononcés » (si c’est pire ailleurs, c’est que ce n’est pas si mal chez nous).

    Plus grave, les géographes accusent l’économiste de pratiquer des amalgames hâtifs, sa « vue d’avion » effaçant les subtilités et la diversité des #inégalités_sociospatiales. Il s’agit, c’est le principal angle d’attaque, de disqualifier le propos de #Piketty au nom de la #complexité du réel. Et d’affirmer : les choses sont moins simples qu’il n’y paraît, les exceptions abondent et toute tentative de catégoriser le réel flirte avec la #simplification abusive.

    La droite applaudit bruyamment, par le biais de ses brigades de twittos partageant l’article à tour de bras et annonçant l’exécution scientifique de l’économiste star. Mais alors, la géographie serait-elle de droite ? Étudier l’espace serait-il gage de tendances réactionnaires, comme l’ont laissé entendre plusieurs générations d’historiens et, moins directement mais sans pitié, un sociologue célèbre et lui aussi très médiatisé ?

    Pensée bourgeoise et pensée critique

    D’abord, on comprend les deux géographes redresseurs de torts. Il y a mille et une raisons, à commencer par le mode de fonctionnement de la télévision (format, durée des débats, modalité de sélection des personnalités invitées sur les plateaux, etc.), de clouer au pilori les scientifiques surmédiatisés, qui donnent à qui veut l’entendre leur avis sur tout et n’importe quoi, sans se soucier de sortir de leur champ de compétence. On pourrait même imaginer une mesure de salubrité publique : à partir d’un certain nombre de passages à la télévision, disons trois par an, tout économiste, philosophe, politologue ou autre spécialiste des sciences cognitives devrait se soumettre à une cérémonie publique de passage au goudron et aux plumes pour expier son attitude narcissique et, partant, en contradiction flagrante avec les règles de base de la production scientifique.

    Mais cette charge contre le texte de Thomas Piketty – au-delà d’un débat chiffré impossible à trancher ici – donne surtout le sentiment de relever d’une certaine vision de la #recherche. Aurélien Delpirou et Martin Vanier invoquent la rigueur intellectuelle – indispensable, aucun doute, même si la tentation est grande de les accuser de couper les cheveux en quatre – pour reléguer les #sciences_sociales à leur supposée #neutralité. Géographes, économistes ou sociologues seraient là pour fournir des données, éventuellement quelques théories, le cas échéant pour prodiguer des conseils techniques à la puissance publique. Mais, au nom de leur nécessaire neutralité, pas pour intervenir dans le débat politique – au sens où la politique ne se résume pas à des choix stratégiques, d’aménagement par exemple.

    Cette posture ne va pas de soi. En 1937, #Max_Horkheimer propose, dans un article clé, une distinction entre « #théorie_traditionnelle » et « #théorie_critique ». Le fondateur, avec #Theodor_Adorno, de l’#École_de_Francfort, y récuse l’idée cartésienne d’une science sociale détachée de son contexte et fermée sur elle-même. Contre cette « fausse conscience » du « savant bourgeois de l’ère libérale », le philosophe allemand défend une science sociale « critique », c’est-à-dire un outil au service de la transformation sociale et de l’émancipation humaine. L’une et l’autre passent par la #critique de l’ordre établi, dont il faut sans cesse rappeler la contingence : d’autres formes de société, guidées par la #raison, sont souhaitables et possibles.

    Quarante ans plus tard, #David_Harvey adopte une posture similaire. Lors d’une conférence donnée en 1978 – Nicolas Vieillecazes l’évoque dans sa préface à Géographie de la domination –, le géographe britannique se démarque de la géographie « bourgeoise ». Il reproche à cette dernière de ne pas relier les parties (les cas particuliers étudiés) au tout (le fonctionnement de la société capitaliste) ; et de nier que la position sociohistorique d’un chercheur ou d’une chercheuse informe inévitablement sa pensée, nécessitant un effort constant d’auto-questionnement. Ouf, ce n’est donc pas la géographie qui est de droite, pas plus que la chimie ou la pétanque.

    Neutralité vs #objectivité

    Il y a un pas, qu’on ne franchira pas, avant de voir en Thomas Piketty un héritier de l’École de Francfort. Mais son texte a le mérite d’assumer l’entrelacement du scientifique – tenter de mesurer les inégalités et objectiver leur potentielle creusement – et du politique – relever collectivement le défi de ces injustices, en particulier sur le plan de la #stratégie_politique.

    S’il est évident que la discussion sur les bonnes et les mauvaises manières de mesurer les #inégalités, territoriales ou autres, doit avoir lieu en confrontant des données aussi fines et rigoureuses que possible, ce n’est pas manquer d’objectivité que de revendiquer un agenda politique. On peut même, avec Boaventura de Sousa Santos, opposer neutralité et objectivité. Le sociologue portugais, pour des raisons proches de celles d’Horkheimer, voit dans la neutralité en sciences sociales une #illusion – une illusion dangereuse, car être conscient de ses biais éventuels reste le seul moyen de les limiter. Mais cela n’empêche en rien l’objectivité, c’est-à-dire l’application scrupuleuse de #méthodes_scientifiques à un objet de recherche – dans le recueil des données, leur traitement et leur interprétation.

    En reprochant à Thomas Piketty sa #superficialité, en parlant d’un débat pris « en otage », en dénonçant une prétendue « bien-pensance de l’indignation », Aurélien Delpirou et Martin Vanier désignent l’arbre de la #rigueur_intellectuelle pour ne pas voir la forêt des problèmes – socioéconomiques, mais aussi urbanistiques – menant à l’embrasement de banlieues cumulant relégation et stigmatisation depuis un demi-siècle. Ils figent la pensée, en font une matière inerte dans laquelle pourront piocher quelques technocrates pour justifier leurs décisions, tout au plus.

    Qu’ils le veuillent ou non – et c’est certainement à leur corps défendant – c’est bien la frange réactionnaire de la twittosphère, en lutte contre le « socialisme », le « wokisme » et la « culture de l’excuse », qui se repait de leur mise au point.

    https://blogs.mediapart.fr/geographies-en-mouvement/blog/010823/la-geographie-cest-de-droite

  • Privilegi fiscali delle compagnie aeree europee, un biglietto da 34,2 miliardi di euro

    I colossi dell’aviazione civile del continente, che hanno già beneficato di sussidi pubblici durante la pandemia, sfruttano generose esenzioni sul cherosene, sulle emissioni e sui prezzi dei biglietti. Evitando ogni anno di pagare tasse che potrebbero essere investite dagli Stati in modalità di trasporto più sostenibili. Il report di T&E

    Nel 2022 i Paesi europei hanno perso 34,2 miliardi di euro a causa delle tasse non pagate dalle compagnie aeree, pari a circa quattro milioni di euro all’ora. Quanto si sarebbe speso per installare oltre 1.400 chilometri di rete ferroviaria ad alta velocità.

    Lo evidenzia lo studio pubblicato a luglio della Federazione europea per il trasporto e l’ambiente (Transport&Environment, T&E) che analizza e stima i danni causati dai privilegi fiscali di cui godono le compagnie aree sui voli passeggeri (la componente cargo non è stata considerata).

    “Questa differenza è dovuta a tre componenti: zero tasse sull’acquisto del cherosene (il carburante utilizzato per i voli aerei, ndr), Iva assente o molto ridotta sul costo dei biglietti e infine la tassazione delle emissioni secondo il mercato europeo (Emission trading scheme, Ets) solo sui voli tra scali europei”, si legge nella relazione.

    Dei 34,2 miliardi di euro non pagati la maggior parte (20,5 miliardi) sarebbero dovuti alle mancate imposte su carburante ed emissioni. Se non verranno presi provvedimenti, con la ripresa e la crescita del settore, questa quota è destinata ad aumentare, superando i 47 miliardi di euro nel 2025, quando il numero di voli sarà tornato ai livelli pre pandemia da Covid-19.

    Il settore dell’aviazione è tra i più emissivi, ed è infatti responsabile del 2,5% delle emissioni di CO2 a livello globale, un valore in forte crescita. Se nel 2013 l’impronta di carbonio era di 706 milioni di tonnellate di CO2 (MtCO2) nel 2019 questo valore era salito a 920. Nonostante il forte calo dei voli durante la pandemia da Covid-19, è previsto che il numero di partenze e arrivi dai Paesi dell’Unione europea aumenti del 62% al 2050 (rispetto ai livelli pre pandemici). Uno dei motivi di questa crescita, secondo T&E, è dovuto proprio agli ampi vantaggi fiscali del settore che non solo favoriscono le aziende ma non le incentivano a ridurre le proprie emissioni, ad esempio tramite l’utilizzo di carburanti alternativi o a emissioni nette nulle.

    Applicare una tassazione equa permetterebbe di ottenere numerosi vantaggi ambientali ed economici. A iniziare dall’incentivare la transizione ecologica del settore rendendo i combustibili fossili mono convenienti, oltre a diminuire la forbice tra voli e trasporto ferroviario favorendo mezzi di trasporto più ecologici (come indica anche Greenpeace). Inoltre, con le tasse pagate dalle aziende si potrebbero finanziare investimenti in tecnologie sostenibili non solamente nel settore dei trasporti. Il tutto secondo il principio per il quale dovrebbero essere le aziende più inquinanti a dover pagare per le proprie emissioni.

    Eppure dall’analisi di T&E emerge come siano proprio le compagnie aeree con le emissioni più alte ad aver beneficiato di uno sconto maggiore. Poco più della metà (il 56%) del tax gap è dovuto infatti alle 15 compagnie aeree più inquinanti d’Europa. A guidare questa classifica sono Air France e Lufthansa che sono le due maggiori responsabili del tax gap in Europa, a causa delle dimensioni della loro attività. L’Europa ha perso rispettivamente 2,4 e 2,3 miliardi di euro di entrate derivanti dalle attività di queste compagnie aeree.

    Come è possibile? Torniamo alle tre “cause”, partendo dal carburante. In Europa solo Norvegia e Svizzera impongono una tassa sul cherosene ma questa è limitata ai voli domestici. La Norvegia impone una tassa pari a 17 centesimi di euro per litro e nel 2022 ha portato a entrate per “soli” 68 milioni di euro. Mentre in Svizzera si pagano 45 centesimi per ogni litro consumato, ma la componente di voli domestici nel Paese è così bassa da rendere le sue entrate trascurabili.

    La seconda è la tassazione sui biglietti. Tutti i Paesi europei applicano un’aliquota Iva nulla al trasporto aereo internazionale e cinque (Cipro, Danimarca, Irlanda, Malta e Regno Unito) la impongono anche per le tratte domestiche. Gli altri Stati applicano un’aliquota ridotta (ad esempio Francia, Svezia) o l’aliquota Iva generale (ad esempio Grecia, Ungheria). T&E stima che l’Iva imposta ai viaggi aerei sia stata pari a 1,1 miliardi di euro nel 2022, con Italia (221 milioni) e Spagna (182 milioni) che hanno ottenuto il maggior gettito.

    La terza componente è dovuta all’esclusione dei voli extra-europei dal mercato del carbonio (Ets), il che comporta che la compagnia non debba compensare affatto le emissioni su questi voli. L’esclusione di queste tratte, che nonostante rappresentino solo il 6% dei voli sono responsabili del 51% delle emissioni del settore, non è solo problematica dal punto di vista ambientale ma favorisce compagnie di grandi dimensioni (come Air France, appunto) rispetto alle low cost, in quanto queste ultime, a causa della maggior quota di tratte europee, pagano un’imposta media maggiore sulle emissioni. Per queste ragioni nel febbraio 2022 quattro compagnie low cost (easyJet, Ryanair, Jet2 e Wizz Air), con il supporto di T&E, hanno scritto una lettera alla Commissione europea per chiedere di mettere fine a questo privilegio.

    Non solo i governi europei mantengono una fiscalità agevolata verso le compagnie aeree ma, in particolare durante la pandemia, hanno anche elargito loro finanziamenti pubblici. “La crisi da Covid-19 ha evidenziato la posizione favorevole delle compagnie aeree nell’accesso ai fondi statali. Ciò sottolinea che i governi tengono artificialmente a galla un settore ad alta intensità di carbonio con sussidi considerevoli. Durante la pandemia, il governo britannico ha fornito sostegno finanziario a British Airways, easyJet, Wizz air e Ryanair, per un ammontare di due miliardi di euro. La Svizzera ha destinato 1,8 miliardi di euro al settore dell’aviazione, di cui 1,2 miliardi a Swiss e 568 milioni di euro a Swissport, Gategroup e Sr technics. La Norvegia ha salvato le sue compagnie aeree con 559 milioni di euro -denuncia ancora T&E-. Questi sussidi non rientrano nella nostra analisi, ma sono importanti da menzionare quando si parla dell’accesso privilegiato dell’aviazione ai fondi pubblici”.

    Secondo la Federazione è necessario perciò che i Paesi europei pongano fine alle esenzioni fiscali ingiustificate sul carburante per aerei, garantendo che i mercati del carbonio coprano le emissioni di tutte le compagnie aeree (anche e soprattutto per i voli a lungo raggio) e applicando un’Iva del 20% su tutti i biglietti aerei. “Nel breve termine, i governi nazionali dovrebbero applicare le proprie tasse sui biglietti al livello necessario per colmare questo divario fiscale, in assenza di questi cambiamenti. In media, queste tasse vanno dai 23 euro per un viaggio nazionale, ai 51 euro per un viaggio intra-europeo e ai 259 euro per i viaggi extra-europei -suggerisce T&E-. Oltre a garantire che parte delle entrate raccolte sia reinvestita in tecnologie pulite come le energie rinnovabili e la produzione di carburanti sintetici (i cosiddetti e-fuel, combustibili a emissioni neutre necessari per la decarbonizzazione dei trasporti aerei e navali a lungo raggio) o nella promozione di modalità di trasporto alternative più pulite come la ferrovia”.

    Ciò potrebbe comportare una diminuzione della domanda e un risparmio di emissioni di CO2. Lo studio rileva che porre fine alle esenzioni nel 2022 avrebbe consentito di evitare la produzione di 35 milioni di tonnellate di CO2.

    “La tassazione non dovrebbe essere percepita come una punizione ma come un modo di far pagare in modo equo a coloro che beneficiano maggiormente della sotto regolamentazione dell’aviazione. Le persone più agiate della società hanno pagato troppo poco per le loro abitudini di volo -spiega Jo Dardenne, responsabile per l’aviazione presso T&E-. Un aumento delle imposte non ridurrà l’innovazione ma, al contrario, porterà benefici ai cittadini e al settore nel lungo periodo, poiché i governi interverranno per finanziare la transizione verso l’energia pulita, anche per i trasporti aerei”.

    https://altreconomia.it/privilegi-fiscali-delle-compagnie-aeree-europee-un-biglietto-da-342-mil
    #transport_aérien #compagnies_aériennes #subventions #fisc #exonération_fiscale #privilèges_fiscaux #avions #contradiction #absurdistan #absurdité #changement_climatique #fiscalité

    #OnEstPasAUneContradictionPrès

  • North Africa a ’testing ground’ for EU surveillance technology

    The EU is outsourcing controversial surveillance technologies to countries in North Africa and the Sahel region with no human rights impact assessments, reports say.

    Controversial surveillance technologies are being outsourced by the European Union to countries in North Africa and the Sahel region with no transparency or regulation, according to two new reports.

    Funding, equipment and training is funnelled to third countries via aid packages, where autocratic governments use the equipment and techniques to surveil the local population.

    Beyond the borders of Europe, the movements of asylum seekers are being policed and eventually used to assess their asylum applications.

    Antonella Napolitano, author of a report for human rights group EuroMed Rights, told Middle East Eye that the implementation of these projects is opaque and lacks proper consideration for the rights of civilians and the protection of their data.

    “There aren’t enough safeguards in those countries. There aren’t data protection laws,” Napolitano said. “I think the paradox here is that border externalisation means furthering instability [in these countries].”

    The complex web of funding projects and the diversity of actors who implement them make the trails of money difficult to track.

    “This enables states to carry out operations with much less transparency, accountability or regulation than would be required of the EU or any EU government,” Napolitano told MEE.

    The deployment of experimental technologies on the border is also largely unregulated.

    While the EU has identified AI regulation as a priority, its Artificial Intelligence Act does not contain any stringent provision for the use of the technologies for border control.

    “It’s creating a two-tiered system,” Napolitano told MEE. “People on the move outside the EU don’t have the same rights by design.”
    Asylum claims

    The surveillance of migrants on the move outside of Europe is also brought to bear back inside Europe.

    A Privacy International report published in May found that five companies were operating GPS tagging of asylum seekers for Britain’s Home Office.

    “It’s been massively expanded in the past couple of years,” Lucie Audibert, legal officer at Privacy International, told MEE.

    Other, less tangible forms of surveillance are also deployed to monitor asylum seekers. “We know, for example, that the Home Office uses social media a lot… to assess the veracity of people’s claims in their immigration applications,” Audibert told MEE.

    According to the reports, surveillance equipment and training is supplied by the EU to third countries under the guise of development aid packages.

    These include the EU Emergency Trust Fund for Africa (EUTF for Africa) and now the Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument.

    The reports cite multiple instances of how these funding instruments served to bolster law enforcement agencies in Algeria, Egypt, Libya and Tunisia, furnishing them with equipment and training that they then used against the local population.

    The EUTF for Africa allocated 15 million euros ($16.5m USD) in funding to these countries to train up a group of “cyber specialists” in online surveillance and data extraction from smart devices.

    A Privacy International investigation into the role of CEPOL, the EU law enforcement training agency, revealed that it had supplied internet surveillance training to members of Algeria’s police force.

    The investigation highlights a potential connection between these tactics, which contravened the EU’s own policies on disinformation, and the wave of online disinformation and censorship driven by pro-regime fake accounts in the aftermath of the 2019 Hirak protests in Algeria.
    A dangerous trend

    For journalist Matthias Monroy, the major development in border surveillance came after the so-called migration crisis of 2015, which fuelled the development of the border surveillance industrial complex.

    Prior to that, Europe’s border agency, Frontex, was wholly dependent on member states to source equipment. But after 2015, the agency could acquire its own.

    “The first thing they did: they published tenders for aircraft, first manned and then unmanned. And both tenders are in the hands of private operators,” Monroy told MEE.

    Frontex’s drones are now manned by the British company Airbus. “The Airbus crew detected the Crotone boat,” Monroy told MEE, referring to a shipwreck off the coast of Crotone, Italy, in February.

    “But everybody said Frontex spotted the boat. No, it was Airbus. It’s very difficult to trace the responsibility, so if this surveillance is given to private operators, who is responsible?”

    Almost 100 people died in the wreck.

    Since 2015, with the expansion of the border surveillance industrial complex, its digitisation and control has been concentrated increasingly in the hands of private actors.

    “I would see this as a trend and I would say it is very dangerous,” Monroy said.

    https://www.middleeasteye.net/news/eu-north-africa-surveillance-technology-testing-ground

    #surveillance #technologie #test #Afrique_du_Nord #Sahel #asile #migrations #réfugiés #frontières #intelligence_artificielle #IA #EU_Emergency_Trust_Fund_for_Africa (#EUTF_for_Africa) #développement #Emergency_Trust_Fund #Algérie #Egypte #Tunisie #Libye #complexe_militaro-industriel #contrôles_frontaliers #Frontex #Airbus #drones #privatisation

    ping @_kg_

    • The (human) cost of Artificial Intelligence and Surveillance technology in migration

      The ethical cost of Artificial Intelligence tools has triggered heated debates in the last few months. From chatbots to image generation software, advocates and detractors have been debating the technological pros and societal cons of the new technology.

      In two new reports, Europe’s Techno-Borders and Artificial Intelligence: The New Frontier of the EU’s Border Externalisation Strategy, EuroMed Rights, Statewatch and independent researcher Antonella Napolitano have investigated the human and financial costs of AI in migration. The reports show how the deployment of AI to manage migration flows actively contribute to the instability of the Middle East and North African region as well as discriminatory border procedures, threatening the right to asylum, the right to leave one’s country, the principle of non-refoulement as well as the rights to privacy and liberty.

      European borders and neighbouring countries have been the stage of decades-long efforts to militarise and securitise the control of migration. Huge sums of public money have been invested to deploy security and defence tools and equipment to curb arrivals towards the EU territory, both via externalisation policies in countries in the Middle East and North Africa and at the EU’s borders themselves. In this strategy of “muscling-up” the borders, technology has played a crucial role.

      EuroMed Rights’ new reports highlight how over the decades, surveillance technology has become a central asset in the EU’s migration policies with serious impacts on fundamental rights and privacy. In Artificial Intelligence: The New Frontier of the EU’s Border Externalisation Strategy we analyse how surveillance technology has been a crucial part of the European policy of externalisation of migration control. When surveillance technologies are deployed with the purpose of anti-smuggling, trafficking or counterterrorism in countries where democracies are fragile or there are authoritarian governments, they can easily end up being used for the repression of civic space and freedom of expression. What is being sold as tools to curb migrant flows, could actually be used to reinforce the security apparatus of repressive governments and fuel instability in the region.

      At the same time, Europe’s Techno-Borders highlights how this security obsession has been applied to the EU’s borders for decades, equipping them with ever-more advanced technologies. This architecture for border surveillance has been continuously expanding in an attempt to detect, deter and repel refugees and migrants. For those who manage to enter, they are biometrically registered and screened against large-scale databases, raising serious concerns on privacy violations, data protection breaches and questions of proportionality.

      Decades of “muscling-up” the EU’s borders keep showing the same thing: military, security, defence tools or technology do not stop migration, they only make it more dangerous and lethal. Nonetheless, the security and surveillance apparatus is only expected to increase: more and more money is being invested to research and develop new tech tools to curb migration, including through Artificial Intelligence.

      In a context that is resistant to public scrutiny and accountability, and where the private military and security sector has a vested interest in expanding the surveillance architecture, it is crucial to keep monitoring and denouncing the use of these technologies, in the struggle for a humane migration policy that puts the right of people on the move at the centre!

      Read our reports here:

      - Artificial Intelligence: the new frontier of the EU’s border externalisation strategy: https://euromedrights.org/wp-content/uploads/2023/07/Euromed_AI-Migration-Report_EN-1.pdf
      - Europe’s Techno-Borders: https://euromedrights.org/wp-content/uploads/2023/07/EuroMed-Rights_Statewatch_Europe-techno-borders_EN-1.pdf

      https://euromedrights.org/publication/the-human-cost-of-artificial-intelligence-and-surveillance-technology
      #rapport #EuroMed_rights

  • La Compil’ de la Semaine
    https://www.les-crises.fr/la-compil-de-la-semaine-104

    Chaque semaine, nous vous proposons notre Compil’ de la Semaine : une sélection de dessins de presse à la fois drôles et incisifs, ainsi que des vidéos d’analyse participant à l’indispensable travail d’auto-défense intellectuelle. Bonne lecture et bon visionnage à toutes et à tous ! Dessins de Presse Vidéos Blast : Fausses promesses et manipulations, […]

    #Miscellanées #Compil_de_la_Semaine #Miscellanées,_Compil_de_la_Semaine

  • “Sound of Freedom”, le film à succès qui réjouit les complotistes américains
    https://www.telerama.fr/cinema/sound-of-freedom-le-film-a-succes-qui-rejouit-les-complotistes-americains-7

    Il faut dire que Sound of Freedom a tout pour plaire à la droite la plus conservatrice et conspirationniste, qui prospère dans les États du Middle West et du Sud. Il y a tout d’abord la personnalité de Tim Ballard, un « héros » américain à la religiosité exacerbée (il est mormon et a neuf enfants), qui a, d’ailleurs, utilisé les réseaux QAnon pour financer son ONG. Il y a, ensuite, le sujet même du film : la lutte contre la pédophilie est une obsession de longue date des réseaux conspirationnistes, comme l’a rappelé sur Twitter l’universitaire Marie Peltier : « C’est en réalité un vieil imaginaire, profondément ancré dans l’antisémitisme, qui refait surface, analyse cette professeure à l’institut supérieur de pédagogie Galilée de Bruxelles et spécialiste du complotisme. Le postulat : les “élites” seraient à la tête ou a minima couvriraient des réseaux pédocriminels. »

    Pour rappel, les partisans de QAnon sont persuadés qu’une guerre secrète oppose Trump aux élites démocrates de la finance, des médias et de Washington qui seraient à la tête de réseaux satanico-pédophiles et tortureraient des enfants pour leur soutirer de l’adrénochrome, une substance rajeunissante… Jim Caviezel, l’acteur principal – et par ailleurs catholique intégriste – de Sound of Freedom, a lui même repris ces accusations lors de sa tournée de promotion du film sur les médias pro-Trump (comme la télé en ligne Real America’s Voice), accusant notamment les agences de renseignement américaines de couvrir les réseaux pédophiles…

  • L’agenzia europea che costruisce le frontiere in Tunisia
    https://irpimedia.irpi.eu/thebigwall-icmpd-tunisia

    A metà luglio è stato siglato il Memorandum of understanding tra Ue e Tunisia, con al centro il tema migratorio. Le esigenze di Tunisi sono rappresentate all’Europa anche da un’agenzia austriaca, l’Icmpd, di un cui un documento interno svela alcuni segreti Clicca per leggere l’articolo L’agenzia europea che costruisce le frontiere in Tunisia pubblicato su IrpiMedia.

  • La mutation radicale de Twitter en X : un nouveau logo et bientôt un nouveau nom
    https://www.frandroid.com/android/applications/1751949_la-mutation-radicale-de-twitter-en-x-un-nouveau-logo-et-bientot-u

    L’arrivée de Musk à la tête de Twitter a été marquée par une fusion avec une société nouvellement formée, nommée X Corp. Il semble qu’Elon Musk voit cette fusion comme une opportunité de transformer la nature de Twitter, en faisant allusion à son désir de faire de la plateforme « X, l’application de tout ».

    • #compuserve #aol #cimetière

      Le projet de service X semble vouloir s’imposer comme une sorte de « marché mondial d’idées, de biens, de services et d’opportunités » soutenu par l’intelligence artificielle. Il inclurait des services bancaires et de paiement, mais aussi de l’audio, de la vidéo et de la messagerie. Linda Yaccarino, la CEO de Twitter, a ainsi défini X comme une plateforme englobant des capacités audio, vidéo, de messagerie et bancaires, traduisant une véritable ambition de tout-en-un.

    • Le réseau social qui fait tout, c’est pas nouveau comme idée. Par exemple Facebook qui se rêvait en certificateur d’identité numérique pour toute la planète et tous les services (supposant que nous on rêvait tous de s’identifier sur le site des impôts avec notre identifiant Facebook…).

      Avec ce gros écueil que jusqu’à présent, ce sont ceux qui tiennent les systèmes d’exploitation des smartphones qui peuvent « tout faire » : certifier l’identité, accepter ou bloquer le tracking, accepter ou bloquer la publicité, faciliter les paiements numériques, accepter ou bloquer les outils qui jouent avec vie privée (genre identification des personnes sur les photos), et plus simplement encore intégrer directement dans leur système tel outil qui jusque là était l’objet d’une entreprise tiers (tuant ainsi le produit de cette entreprise).

      Facebook a tenté sa petite guerre contre Apple, et n’a pas gagné.

    • « Le sens du rachat de Twitter par Musk, c’est que l’agora des conversations et des débats publics n’est plus rentable. Bye bye Twitter : X est l’annonce d’un projet de services payants, qui reste à élaborer. Mais l’oiseau bleu n’aura pas de successeur… »
      https://www.journaldunet.com/media/publishers/1523915-twitter-devient-x-derriere-le-chaos-une-veritable-strategie

      Elon Musk transforme peu à peu l’ex réseau de microblogging pour se rapprocher de la super app qu’il imagine depuis des années. Un pari risqué.

      En devenant X, Twitter ne change pas seulement de logo et de nom. Le réseau de microblogging devra à terme devenir une super app, comme le précise Linda Yaccarino, sa directrice générale. « X est l’avenir de l’interactivité illimitée – centrée sur l’audio, la vidéo, la messagerie, les paiements, les opérations bancaires – créant une place de marché mondiale pour les idées, les biens, les services et les opportunités. Propulsé par l’IA, X nous connectera tous d’une manière que nous commençons à peine à imaginer », indique-t-elle dans un tweet publié ce dimanche 23 juillet. Le changement radical de stratégie consistant à transformer Twitter en une « application à tout faire » est donc acté, comme Elon Musk l’avait publiquement déclaré à l’occasion de la nomination de sa nouvelle DG le 12 mai dernier. Mais ce pari est-il réaliste ? Et les mesures annoncées depuis l’arrivée de son nouveau patron, cohérentes ?

  • Migrations : l’Union européenne, droit dans le mur

    La Commission européenne affirme que l’UE ne finance pas de « murs » anti-migrants à ses #frontières_extérieures, malgré les demandes insistantes d’États de l’est de l’Europe. En réalité, cette « ligne rouge » de l’exécutif, qui a toujours été floue, s’efface de plus en plus.

    Le 14 juin dernier, le naufrage d’un bateau entraînait la noyade de centaines de personnes exilées. Quelques jours auparavant, le 8 juin, les États membres de l’Union européenne s’enorgueillissaient d’avoir trouvé un accord sur deux règlements essentiels du « Pacte européen pour l’asile et la migration », qui multipliera les procédures d’asile express dans des centres de détention aux frontières de l’Europe, faisant craindre aux ONG une nouvelle érosion du droit d’asile.

    Dans ce contexte délétère, un groupe d’une douzaine d’États membres, surtout d’Europe de l’Est, réclame que l’Union européenne reconnaisse leur rôle de « protecteurs » des frontières de l’Union en autorisant le financement européen de murs, #clôtures et #barbelés pour contenir le « flux migratoire ». Le premier ministre grec, Kyriákos Mitsotákis, avait même estimé que son pays était en première ligne face à « l’invasion de migrants ».

    Officiellement, la Commission européenne se refuse toujours à financer les multiples projets de clôtures anti-migrants qui s’érigent le long des frontières extérieures de l’UE. « Nous avons un principe bien établi : nous ne finançons pas de murs ni de barbelés. Et je pense que cela ne devrait pas changer », avait encore déclaré Ylva Johansson, la commissaire européenne aux affaires intérieures, le 31 janvier. Pourtant, la ligne rouge semble inexorablement s’effacer.

    Le 7 octobre 2021, les ministres de douze États, dont la #Grèce, la #Pologne, la #Hongrie, la #Bulgarie ou les #Pays_baltes, demandaient par écrit à la Commission que le financement de « #barrières_physiques » aux frontières de l’UE soit une « priorité », car cette « mesure de protection » serait un outil « efficace et légitime » dans l’intérêt de toute l’Union. Une demande qu’ils réitèrent depuis à toute occasion.

    Les États membres n’ont pas attendu un quelconque « feu vert » de la Commission pour ériger des clôtures. Les premières ont été construites par l’Espagne dans les années 1990, dans les enclaves de Ceuta et Melilla. Mais c’est en 2015, après l’exil de centaines de milliers de Syrien·nes fuyant la guerre civile, que les barrières se sont multipliées. Alors que l’Union européenne comptait 315 kilomètres de fil de fer et barbelés à ses frontières en 2014, elle en totalisait 2 048 l’an passé.

    Depuis 2021, ce groupe d’États revient sans cesse à la charge. Lors de son arrivée au sommet des dirigeants européens, le 9 février dernier, Victor Orbán (Hongrie) annonçait la couleur : « Les barrières protègent l’Europe. » Les conclusions de ce sommet, ambiguës, semblaient ouvrir une brèche dans la politique européenne de financement du contrôle aux frontières. Les États demandaient « à la Commission de mobiliser immédiatement des fonds pour aider les États membres à renforcer […] les infrastructures de protection des frontières ».

    Dans ses réponses écrites aux questions de Mediapart, la Commission ne mentionne plus aucune ligne rouge : « Les États membres ont une obligation de protéger les frontières extérieures. Ils sont les mieux placés pour définir comment le faire en pratique d’une manière qui […] respecte les droits fondamentaux. »

    Si l’on en croit le ministre de l’intérieur grec, Panagiótis Mitarákis, les dernières résistances de la Commission seraient en train de tomber. Le 24 février, il affirmait, au sujet du projet grec d’#extension et de renforcement de sa clôture avec la Turquie, le long de la rivière #Evros, que la Commission avait « accepté que certaines dépenses pour la construction de la barrière soient financées par l’Union européenne ».

    Pour Catherine Woollard, de l’ONG Ecre (Conseil européen pour les réfugiés et exilés), « c’est important que la Commission résiste à ces appels de financement des murs et clôtures, car il faut respecter le droit de demander l’asile qui implique un accès au territoire. Mais cette position risque de devenir symbolique si les barrières sont tout de même construites et qu’en plus se développent des barrières d’autres types, numériques et technologiques, surtout dans des États qui utilisent la force et des mesures illégales pour refouler les demandeurs d’asile ».

    D’une ligne rouge à une ligne floue

    Au sein de l’ONG Statewatch, Chris Jones estime que « cette “ligne rouge” de la Commission européenne, c’est du grand n’importe quoi ! Cela fait des années que l’Union européenne finance des dispositifs autour ou sur ces clôtures, des #drones, des #caméras, des #véhicules, des #officiers. Dire que l’UE ne finance pas de clôtures, c’est uniquement sémantique, quand des milliards d’euros sont dépensés pour fortifier les frontières ». Même diagnostic chez Mark Akkerman, chercheur néerlandais au Transnational Institute, pour qui la « #ligne_rouge de la Commission est plutôt une ligne floue ». Dans ses travaux, il avait déjà démontré qu’en 2010, l’UE avait financé l’achat de #caméras_de_vidéosurveillance à #Ceuta et la construction d’un #mirador à #Melilla.

    Lorsqu’il est disponible, le détail des dépenses relatives au contrôle des frontières montre que la politique de non-financement des « murs » est une ligne de crête, car si la Commission ne finance pas le béton ni les barbelés, elle finance bien des #dispositifs qui les accompagnent.

    En 2021, par exemple, la #Lituanie a reçu 14,9 millions d’euros de fonds d’aide d’urgence pour « renforcer » sa frontière extérieure avec la Biélorussie, peut-on lire dans un rapport de la Commission. Une frontière qui, selon le ministère de l’intérieur lituanien, contacté par Mediapart, est « désormais longée d’une clôture de 530 km et d’une barrière surmontée de fils barbelés sur 360 kilomètres ». Si la barrière a pesé 148 millions d’euros sur le #budget de l’État, le ministère de l’intérieur affirme que la rénovation de la route qui la longe et permet aux gardes-frontières de patrouiller a été financée à hauteur de « 10 millions d’euros par des fonds européens ».

    En Grèce, le détail des dépenses du gouvernement, dans le cadre du fonds européen de sécurité intérieur, de 2014 à 2020, est éclairant. Toujours le long de la rivière Evros, là où est érigée la barrière physique, la police grecque a pu bénéficier en 2016 d’un apport de 15 millions d’euros, dont 11,2 millions financés par le fonds européen pour la sécurité intérieure, afin de construire 10 #pylônes et d’y intégrer des #caméras_thermiques, des caméras de surveillance, des #radars et autres systèmes de communication.

    Cet apport financier fut complété la même année par 1,5 million d’euros pour l’achat d’#équipements permettant de détecter les battements de cœur dans les véhicules, coffres ou conteneurs.

    Mais l’enjeu, en Grèce, c’est avant tout la mer, là où des bateaux des gardes-côtes sont impliqués dans des cas de refoulements documentés. Dans son programme d’action national du fonds européen relatif à la gestion des frontières et des visas, écrit en 2021, le gouvernement grec envisage le renouvellement de sa flotte, dont une dizaine de bateaux de #patrouille côtière, équipés de #technologies de #surveillance dernier cri, pour environ 60 millions d’euros. Et malgré les refoulements, la Commission européenne octroie les fonds.

    Technologies et barrières font bon ménage

    Les États membres de l’UE qui font partie de l’espace Schengen ont pour mission de « protéger les frontières extérieures ». Le droit européen leur impose aussi de respecter le droit d’asile. « Les exigences du code Schengen contredisent bien souvent l’acquis européen en matière d’asile. Lorsqu’un grand nombre de personnes arrivent aux frontières de l’Union européenne et qu’il existe des pressions pour faire baisser ce nombre, il est presque impossible de le faire sans violer certaines règles relatives au droit d’asile », reconnaît Atanas Rusev, directeur du programme « sécurité » du Centre pour l’étude de la démocratie, basé en Bulgarie.

    La Bulgarie est au cœur de ces tiraillements européens. En 2022, la police a comptabilisé 164 000 passages dits « irréguliers » de sa frontière, contre 55 000 l’année précédente. Des demandeurs d’asile qui, pour la plupart, souhaitent se rendre dans d’autres pays européens.

    Les Pays-Bas ou l’Autriche ont fait pression pour que la #Bulgarie réduise ce nombre, agitant la menace d’un report de son intégration à l’espace Schengen. Dans le même temps, des ONG locales, comme le Helsinki Committee Center ou le Refugee Help Group, dénoncent la brutalité qui s’exerce sur les exilé·es et les refoulements massifs dont ils sont victimes. Le pays a construit une clôture de 234 kilomètres le long de sa frontière avec la Turquie.

    Dans son plan d’action, le gouvernement bulgare détaille son intention de dépenser l’argent européen du fonds relatif à la gestion des frontières, sur la période 2021-2027, pour renforcer son « système de surveillance intégré » ; une collecte de données en temps réel par des caméras thermiques, des #capteurs_de_mouvements, des systèmes de surveillance mobiles, des #hélicoptères.

    Philip Gounev est consultant dans le domaine de la gestion des frontières. Il fut surtout ministre adjoint des affaires intérieures en Bulgarie, chargé des fonds européens, mais aussi de l’érection de la barrière à la frontière turque. Il explique très clairement la complémentarité, à ses yeux, des différents dispositifs : « Notre barrière ne fait que ralentir les migrants de cinq minutes. Mais ces cinq minutes sont importantes. Grâce aux caméras et capteurs qui détectent des mouvements ou une brèche dans la barrière, l’intervention des gardes-frontières est rapide. »

    L’appétit pour les technologies et le numérique ne fait que croître, au point que des ONG, comme l’EDRi (European Digital Rights) dénoncent la construction par l’UE d’un « #mur_numérique ». Dans ce domaine, le programme de recherche européen #Horizon_Europe et, avant lui, #Horizon_2020, tracent les contours du futur numérisé des contrôles, par le financement de projets portés par l’industrie et des centres de #recherche, au caractère parfois dystopique.

    De 2017 à 2021, « #Roborder » a reçu une aide publique de 8 millions d’euros. L’idée est de déployer une armada de véhicules sans pilotes, sur la mer ou sur terre, ainsi que différents drones, tous munis de caméras et capteurs, et dont les informations seraient croisées et analysées pour donner une image précise des mouvements humains aux abords des frontières. Dans son programme d’action national d’utilisation du fonds européen pour la gestion des frontières, la Hongrie manifeste un intérêt appuyé pour « l’adaptation partielle des résultats » de Roborder via une série de projets pilotes à ses frontières.

    Les #projets_de_recherche dans le domaine des frontières sont nombreux. Citons « #Foldout », dont les 8 millions d’euros servent à développer des technologies de #détection de personnes, à travers des #feuillages épais « dans les zones les plus reculées de l’Union européenne ». « Le développement de technologies et de l’#intelligence_artificielle aux frontières de l’Europe est potentiellement plus puissant que des murs, décrypte Sarah Chandler, de l’EDRi. Notre inquiétude, c’est que ces technologies soient utilisées pour des #refoulements aux frontières. »

    D’autres projets, développés sous l’impulsion de #Frontex, utilisent les croisements de #données et l’intelligence artificielle pour analyser, voire prédire, les mouvements migratoires. « Le déploiement de nouvelles technologies de surveillance, avec la construction de barrières pour bloquer les routes migratoires, est intimement lié à des dangers accrus et provoque davantage de morts des personnes en mouvement », peut-on lire dans un rapport de Statewatch. Dans un contexte de droitisation de nombreux États membres de l’Union européenne, Philip Gounev pense de son côté que « le financement de barrières physiques par l’UE deviendra inévitable ».

    https://www.mediapart.fr/journal/international/170723/migrations-l-union-europeenne-droit-dans-le-mur
    #murs #barrières_frontalières #migrations #financement #UE #EU #Union_européenne #technologie #complexe_militaro-industriel