• Il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di garantire più protezione alle vittime di tratta

    Nel rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) si chiede alle autorità di aumentare le indagini e le condanne, assicurare strumenti efficaci di risarcimento per le vittime e concentrarsi maggiormente sullo sfruttamento lavorativo. Oltre allo stop del memorandum Italia-Libia. Su cui il governo tira dritto.

    Più attenzione alla tratta per sfruttamento lavorativo, maggiori risarcimenti e indennizzi per le vittime e la necessità di aumentare il numero di trafficanti di esseri umani assicurati alla giustizia. Ma anche lo stop del memorandum Italia-Libia e la fine della criminalizzazione dei cosiddetti “scafisti”.

    Sono queste le principali criticità su cui il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) a fine febbraio ha chiesto al governo italiano di intervenire per assicurare l’applicazione delle normative europee e una tutela efficace per le vittime di tratta degli esseri umani. “Ogni anno in Italia ne vengono individuate tra le 2.100 e le 3.800 -si legge nel report finale pubblicato il 23 febbraio-. Queste cifre non riflettono la reale portata del fenomeno a causa dei persistenti limiti nelle procedure per identificare le vittime, nonché di un basso tasso di autodenuncia da parte delle stesse che temono di essere punite o deportate verso i Paesi di origine”. Una scarsa individuazione dei casi di tratta che riguarderebbe soprattutto alcuni settori “ad alto rischio” come “l’agricoltura, il tessile, i servizi domestici, l’edilizia, il settore alberghiero e la ristorazione”.

    L’oggetto del terzo monitoraggio di attuazione obblighi degli Stati stabiliti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani era proprio l’accesso alla giustizia per le vittime. Dal 13 al 17 febbraio 2023, il gruppo di esperti si è recato in Italia incontrando decine di rappresentanti istituzionali e di organizzazioni della società civile. La prima bozza del report adottata nel giugno 2023 è stata poi condivisa con il governo italiano che a ottobre ha inviato le sue risposte prima della pubblicazione finale del rapporto. Quello in cui il Greta, pur sottolineando “alcuni sviluppi positivi” dall’ultima valutazione svolta in Italia nel 2019, esprime “preoccupazione su diverse questioni”.

    Il risarcimento per le vittime della tratta è una di queste. Spesso “reso impossibile dalla mancanza di beni o proprietà degli autori del reato in Italia” ma anche perché “i meccanismi di cooperazione internazionale sono raramente utilizzati per identificare e sequestrare i beni degli stessi all’estero”. Non solo. Il sistema di indennizzo per le vittime -nel caso in cui, appunto, chi ha commesso il reato non abbia disponibilità economica- non funziona. “Serve renderlo effettivamente accessibile e aumentare il suo importo massimo di 1.500 euro”. Come ricostruito anche da Altreconomia, da quando è stato istituito questo strumento solo in un caso la vittima ha avuto accesso al fondo.

    Il Greta rileva poi una “diminuzione del numero di indagini, azioni penali e di condanne” osservando in generale una applicazione ristretta di tratta di esseri umani collegandola “all’esistenza di un elemento transnazionale, al coinvolgimento di un’organizzazione criminale e all’assenza del consenso della vittima”. Tutti elementi non previsti dalla normativa europea e italiana. Così come “desta preoccupazione l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, in particolare della fase investigativa”.

    Il gruppo di esperti sottolinea poi la persistenza di segnalazioni di presunte vittime di tratta “perseguite e condannate per attività illecite commesse durante la tratta, come il traffico di droga, il possesso di un documento d’identità falso o l’ingresso irregolare”. Un problema che spesso porta la persona in carcere e non nei progetti di accoglienza specializzati. Che in Italia aumentano. Il Greta accoglie infatti con favore “l’aumento dei fondi messi a disposizione per l’assistenza alle vittime e la disponibilità di un maggior numero di posti per le vittime di tratta, anche per uomini e transgender” sottolineando però la necessità di prevedere un “finanziamento più sostenibile”. In questo momento i bandi per i progetti pubblicati dal Dipartimento per le pari opportunità, hanno una durata tra i 17 e i 18 mesi.

    C’è poi la difficoltà nell’accesso all’assistenza legale gratuita che dovrebbe essere garantita alle vittime che invece, spesso, si trovano obbligate a dimostrare di non avere beni di proprietà non solo in Italia ma anche nei loro Paesi d’origine per poter accedere alle forme di consulenza legale gratuita. Problematico è anche l’accesso all’assistenza sanitaria. “I professionisti del Sistema sanitario nazionale -scrive il Greta- non sono formati per assistere le vittime di tratta con gravi traumi e mancano mediatori culturali formati per partecipare alla fornitura di assistenza psicologica”.

    Come detto, il focus degli esperti riguarda la tratta per sfruttamento lavorativo. Su cui l’Italia ha adottato diverse misure di protezione per le vittime ma che però restano insufficienti. “Lo sfruttamento del lavoro continua a essere profondamente radicato in alcuni settori che dipendono fortemente dalla manodopera migrante” ed è necessario “garantire risorse che risorse sufficienti siano messe a disposizione degli ispettori del lavoro, rafforzando il monitoraggio dei settori a rischio e garantendo che le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori migranti soddisfare i requisiti previsti dalla normativa al fine di prevenire abusi”.

    Infine il Greta bacchetta il governo italiano su diversi aspetti relativi alla nuova normativa sui richiedenti asilo. “Temiamo che le misure restrittive adottate dall’Italia favoriscano un clima di criminalizzazione dei migranti, con il risultato che molte potenziali vittime della tratta non denunciano i loro casi per paura di detenzione e deportazione”, scrivono gli esperti. Sottolineando la preoccupazione rispetto al “rischio di aumento del numero di richiedenti asilo nei centri di detenzione amministrativa” previsto dagli ultimi provvedimenti normativi che aumenterebbe la possibilità anche per le vittime di tratta non ancora identificate di essere recluse. Un rischio riscontrato anche per il Protocollo sottoscritto con l’Albania per gli impatti che avrà “sull’individuazione e la protezione delle persone vulnerabili salvate in mare”.

    Sul punto, nelle risposte inviate al Greta l’8 febbraio 2024, il governo italiano sottolinea che il protocollo siglato con la controparte albanese “non si applicherà alle persone vulnerabili, incluse le vittime di tratta”. Resta il punto della difficoltà di identificazione fatta subito dopo il soccorso, spesso in condizioni precarie dopo una lunga e faticosa traversata.

    Ma nelle dieci pagine di osservazioni inviate da parte dell’Italia, salta all’occhio la puntualizzazione rispetto alla richiesta del Greta di sospendere il memorandum d’intesa tra Italia e Libia che fa sì che “un numero crescente di migranti salvati o intercettati nel Mediterraneo vengano rimpatriati in Libia dove rischiano -scrivono gli esperti- di subire gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la schiavitù, il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale”. Nella risposta, infatti, il governo sottolinea che ha scelto di cooperare con le autorità libiche “con l’obiettivo di ridurre i morti in mare, nel pieno rispetto dei diritti umani” e che la collaborazione “permette di combattere più efficacemente le reti di trafficanti di esseri umani e di coloro che contrabbandano i migranti”. Con il rispetto dei diritti umani, del diritti umanitario e internazionale che è “sempre stata una priorità”. Evidentemente non rispettata. Ma c’è un dettaglio in più.

    Quel contrasto al traffico di migranti alla base anche del memorandum con la Libia, sbandierato a più riprese dall’esecutivo italiano (“Andremo a cercare gli ‘scafisti’ lungo tutto il globo terracqueo”, disse la premier Giorgia Meloni a inizio marzo 2023) viene messo in discussione nel rapporto. Dopo aver sottolineato la diminuzione delle indagini sui trafficanti di esseri umani, il Greta scrive che i “capitani” delle navi che arrivano in Italia “potrebbero essere stati costretti tramite minacce, violenza fisica e abuso di una posizione di vulnerabilità nel partecipare all’attività criminali”. Indicatori che li farebbero ricadere nella “categoria” delle vittime di tratta. “Nessuno, però, è stato considerato come tale”, osservano gli esperti. Si scioglie come neve al sole la retorica sulla “guerra” ai trafficanti. I pezzi grossi restano, nel frattempo, impuniti.

    https://altreconomia.it/il-consiglio-deuropa-chiede-allitalia-di-garantire-piu-protezione-alle-

    #traite_d'êtres_humains #Italie #protection #Conseil_de_l'Europe #exploitation #Greta #rapport #agriculture #industrie_textile #hôtelerie #bâtiment #BTS #services_domestiques #restauration #indemnisation #accès_à_la_santé #criminalisation_de_la_migration #Albanie

    • https://www.youtube.com/watch?v=b7LYJ2lt8yw&t=20s

      Questo è un canto
      contro la guerra
      mentre i tamburi
      suonano a bomba

      Questo è un canto
      contro la guerra
      sotto un cielo
      intinto di rosso

      E mi domando
      che posso fare
      stare a guardare
      oppure evitare
      che se poi mi coinvolgo
      ci sto così male
      si prende la vita
      quel telegiornale

      Questo è un canto
      contro l’idea
      che quella guerra
      non mi appartiene

      Era già lì
      quando son nata
      senza saperlo
      io l’ho finanziata

      Ogni volta che compro
      qualcosa distratta
      dando potere
      ai grandi in cravatta

      che sono i padroni
      dei nostri conti correnti
      e sotto le macerie
      a pagarne il prezzo
      ci son sempre gli innocenti

      Questo è un canto
      di rassegnazione
      perché non vale parola
      senza un’azione

      Questo è un canto
      che si appella all’amore
      che Cristo ha abitato
      nella legge del cuore

      Che se Dio si è nascosto
      tra quelle anime morte
      incarnate per uno scempio
      per un mondo e la sua sorte

      Un Dio che sembra assente
      da chi ormai sa solo delegare
      ma che si fa sempre trovare
      da quelli che lo sanno cercare

      Questo è un canto
      di consolazione
      che non ha torto
      e nemmeno ragione

      Questo è un canto
      per cambiare dentro
      ogni singola azione
      con chi mi vive accanto

      Per ogni bimbo che muore
      ce n’è uno che nasce
      non c’è bene senza male
      non c’è vita senza morte

      E io vi chiedo perdono
      se il mio tifo si è spento
      rimango custode
      e sveglia e attenta

      #guerre #chanson #musique #musique_et_politique #contre_la_guerre

  • Création d’une École Alternative
    https://ecovillageglobal.fr/23968

    Projet : L’association Chemins Faisant est en cours de création d’une école alternative dans un petit hameau du Morvan Recherchons : familles intéressées pour compléter le groupe déjà existant. - Rubriques : Contacts et Echanges / Education / Nièvre (58) - Plus d’info et contact : https://ecovillageglobal.fr/23968

    #Contacts_et_Echanges_/_Education

  • Les Palestiniens évacués de Gaza vers la France, entre inquiétude, déception et tristesse - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55325/les-palestiniens-evacues-de-gaza-vers-la-france-entre-inquietude-decep

    Les Palestiniens évacués de Gaza vers la France, entre inquiétude, déception et tristesse
    Par Leslie Carretero Moussa Abuzanoona Publié le : 20/02/2024 Dernière modification : 22/02/2024
    Cent-cinquante Palestiniens travaillant pour l’administration française à Gaza ont été évacués de l’enclave palestinienne par la France ces derniers mois. Mais depuis leur arrivée dans l’Hexagone, ces Gazaouis enchaînent les déceptions. Le plus compliqué à vivre pour eux est l’absence de statut administratif particulier qui aurait pu leur être accordé. Ils doivent, comme les autres exilés, déposer une demande d’asile. Avec le risque de devenir réfugié et de ne jamais pouvoir rentrer dans leur pays.
    Lundi 12 février, Paris a annoncé l’évacuation de 42 personnes de la bande de Gaza via le point de passage de Rafah vers l’Égypte : des ressortissants français, des résidents français ou encore des Gazaouis collaborateurs de l’Institut français, avec les membres de leurs familles.Quelques jours plus tôt, un professeur qui collaborait depuis 20 ans avec l’Institut français de Gaza est décédé de maladie faute de traitement du fait des « conditions sanitaires catastrophiques » sur place, selon des sources diplomatiques citées par l’AFP.En novembre dernier, Paris avait déjà fait évacuer un autre groupe de l’enclave palestinienne en proie à de violents bombardements de l’armée israélienne après l’attaque du Hamas le 7 octobre.
    Au total depuis cette date, plus de 200 personnes, dont 150 Palestiniens, ont été sorties de Gaza par les autorités françaises. Elles ont ensuite été accueillies côté égyptien par l’ambassade de France et le Consulat général de France au Caire. Puis, elles ont été transférées sur le sol français.
    C’est le cas de Yasmine*, venue avec ses enfants grâce à un visa C (tourisme) de trois mois, délivré par les autorités françaises en Égypte. À son arrivée à l’aéroport de Roissy Charles-de-Gaulle en novembre, cette femme d’une quarantaine d’années est prise en charge par l’association mandatée par l’État, France Horizons.
    Très vite, sa direction l’informe qu’elle va devoir déposer une demande d’asile dans le pays, comme n’importe quel exilé. Une mesure qui interroge. Jusque-là, selon les témoignages, la France délivrait le statut de réfugié généralement aux Palestiniens victimes de persécution en raison de leur orientation sexuelle ou à ceux menacés par le Hamas. « Sur quel fondement les autorités vont accorder leur protection à ces personnes ? Je ne comprends pas », déclare à InfoMigrants Stéphane Maugendre, avocat spécialisé en droit des étrangers. L’avoué fait là référence aux critères de la convention de Genève qui régit le droit d’asile, et qui précise les critères d’éligibilité à une protection (persécutions pour l’engagement politique, pour l’appartenance religieuse, ethnique, l’orientation sexuelle, etc.).Évacuée avec Yasmine de Gaza, Rim* n’a pas non plus eu le choix. « On m’a dit que je devais déposer un dossier » à l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra) pour être en règle. En effet, le visa tourisme expire au bout de trois mois et ne permet pas de demander un titre de séjour dans la foulée. La seule solution apportée par la France aux Palestiniens est donc de devenir réfugié ici. Or, « cela signifie que je ne pourrais jamais rentrer chez moi. Mais la Palestine est mon pays et je veux y vivre », insiste Rim. (...)Avoir l’asile peut entraîner des répercussions dans l’avenir. Lorsqu’une personne obtient le statut de réfugié en France, l’administration récupère son passeport et le réfugié n’a plus le droit de retourner dans son pays d’origine. S’il le fait, il perd la protection de la France et a peu de chance d’obtenir à l’avenir un autre visa pour venir sur le sol français, pour des raisons professionnelles par exemple.
    Stéphane Maugendre fustige un procédé « honteux ». « Quand on exfiltre ces gens, on va au bout du raisonnement. Le gouvernement a un pouvoir d’appréciation totale donc il pourrait très bien délivrer à ces Gazaouis évacués par ses services un titre de séjour pour raisons humanitaires [valable un an renouvelable, ndlr]. Vraisemblablement, les autorités françaises ne veulent pas leur donner un titre de séjour qui leur permettrait de prolonger leur séjour et éventuellement faire des allers retours en Palestine », estime l’avocat. Contacté à plusieurs reprises par InfoMigrants, le cabinet du ministère de l’Intérieur Gérald Darmanin a finalement répondu qu’il ne souhaitait pas « communiquer » sur cette affaire.
    La plupart des Palestiniens s’étonnent de ce traitement qui leur est réservé. Evacués par la France, ils espéraient un meilleur accueil dans le pays. « Je suis choquée et triste », affirme Yasmine. D’autant que d’après plusieurs témoignages, on leur a promis un statut spécial en France afin de pouvoir retourner légalement à Gaza à la fin de la guerre. « On pensait qu’on serait traité comme les Ukrainiens, mais tout le monde se ‘fout’ de nous », peste Rim. En 2022, lors de l’offensive russe en Ukraine, l’Union européenne avait mis en place une mesure particulière pour les Ukrainiens fuyant la guerre : la protection temporaire. Ce titre de séjour, prolongé jusqu’en 2025, permet aux quatre millions d’Ukrainiens vivant en Europe de résider en toute légalité dans les États membres, de travailler, d’accéder aux systèmes de santé et de scolarisation.
    Ce statut particulier n’a jamais été octroyé à d’autres nationalités, pourtant également en proie à des conflits comme les Afghans, les Syriens ou récemment les Palestiniens. Les Gazaouis évacués se plaignent également de leurs conditions de vie en France. Sur les 150 Palestiniens arrivés ces derniers mois, 60 ont intégré le dispositif national d’accueil (DNA), d’après les chiffres de l’Office français de l’immigration et de l’intégration (Ofii). Ils sont donc logés dans des centres d’accueil souvent dans des petites communes, éloignés des centres-villes. « Je dois marcher un certain temps pour croiser des gens ou accéder à un commerce », assure Khaled*, joint par InfoMigrants. « Je m’ennuie, je n’ai rien à faire de mes journées ». Niveau financier aussi, les difficultés s’accumulent. Leur salaire est - pour l’instant - toujours versé par la France mais cet argent repose dans une banque palestinienne, inaccessible sur le sol français. Ils vivent donc de l’allocation pour demandeurs d’asile (ADA), qui s’élève à quelques centaines d’euros. Trop peu pour subvenir aux besoins de toute la famille, disent-ils. Le Comité national de soutien et d’accueil aux rescapé.e.s du génocide en Palestine (CNaSAR) récolte un peu d’argent pour aider les Palestiniens évacués à s’acheter de la nourriture ou des vêtements.
    Un quotidien qui contraste avec la vie à Gaza de cette classe moyenne. « Il y a cinq mois, j’étais salariée et maintenant, je reçois des allocations », résume amèrement Rim.

    #Covid-19#migrant#migration#france#gaza#palestine#conflit#asile#CNASAR#OFII#DNA#sante

  • Comment l’UE a fermé les yeux sur le refoulement illégal de migrants par la #Bulgarie avant son adhésion à Schengen

    Des documents internes de Frontex révèlent des violations répétées. Malgré des alertes répétées, la Commission européenne salue les « résultats excellents » de la Bulgarie, qui s’apprête à rejoindre l’espace Schengen.

    Au printemps 2022, Ali, un Syrien de 16 ans, entre dans un centre d’accueil à Sofia (Bulgarie) pour demander une protection au titre de l’asile et un regroupement familial avec sa mère et ses cinq autres frères et sœurs, restés en Syrie et au Liban.

    Mais les choses ne se passent pas comme prévu. Au lieu de voir sa demande traitée, il est emmené dans un endroit qui, dit-il, « ressemble à une prison ». Pendant la nuit, comme une cinquantaine d’autres personnes, il est embarqué dans une voiture de la police des frontières et reconduit jusqu’à la frontière turque, à 300 kilomètres de là, sans recevoir la moindre information sur ses droits à l’asile.

    « Ils nous ont fait marcher jusqu’à une #clôture équipée de caméras. Après avoir franchi la clôture, il y avait comme un canal. En même temps, ils frappaient les gens, se remémore le garçon. Ils ont tout pris et m’ont frappé dans le dos, sur la tête. Après cela, ils m’ont jeté dans le canal. » Le groupe est invité à retourner en #Turquie et ne jamais revenir.

    Les refoulements, une « pratique courante »

    Les témoignages de refoulements (ou pushbacks, en anglais) comme celui d’Ali sont généralement réfutés par le gouvernement bulgare. Mais de nombreux abus ont été documentés par l’organe de surveillance des droits humains de Frontex au cours des dix-huit derniers mois, selon une série de documents internes de l’agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes consultés par le réseau Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) et publiés par Le Monde. Ces documents, obtenus grâce aux lois de transparence européennes, décrivent avec force détails des #brutalités commises par des agents bulgares participant aux opérations de Frontex : coups de bâton, #déshabillage de force, #vols d’effets personnels, #agressions verbales et #blessures graves infligées par des chiens, etc.

    Les documents montrent également que les preuves étayant ces pratiques illégales ont été dissimulées non seulement par les autorités bulgares, mais aussi par les hauts fonctionnaires de Frontex et de la Commission européenne. Dans le même temps, l’exécutif européen saluait les « excellents » progrès réalisés par la Bulgarie en matière de #gestion_des_frontières, facilitant l’adhésion du pays à l’espace Schengen – les contrôles aux frontières aériennes et maritimes seront levés le 31 mars, tandis que les contrôles terrestres restent en place pour l’instant.

    Les organisations non gouvernementales (ONG) de défense des droits humains locales et internationales alertent depuis de nombreuses années sur les refoulements violents en Bulgarie. Selon des données compilées par le Comité Helsinki de Bulgarie, 5 268 refoulements, touchant 87 647 personnes, auraient eu lieu au cours de la seule année 2022.

    Plusieurs experts affirment que la plupart des 325 000 entrées de migrants que le gouvernement bulgare revendique avoir « empêchées » depuis 2022 sont en fait des refoulements illégaux. « Ces personnes ont été interceptées à l’intérieur du pays. Nous ne parlons donc pas d’entrées empêchées, mais de retours », explique Iliyana Savova, directrice du programme pour les réfugiés et les migrants du Comité Helsinki de Bulgarie. « C’est un secret de Polichinelle que les gens sont repoussés. De tels ordres existent », admet, sous le couvert de l’anonymat, un haut fonctionnaire du gouvernement bulgare.

    Les preuves s’accumulent tellement que le Bureau des droits fondamentaux de Frontex (FRO) considère « établi » que les refoulements, « impliquant souvent des niveaux élevés de #violence et d’autres #traitements_inhumains_ou_dégradants », sont « une pratique régulière de la police des frontières bulgare », selon un bilan des « rapports d’incidents graves » couvrant la période 2022-2023 obtenu dans le cadre de cette enquête.

    Un lanceur d’alerte en mission discrète

    Pour l’Union européenne (UE), la situation est d’autant plus problématique que son agence des frontières collabore directement sur le terrain avec les forces de sécurité bulgares. Depuis 2022, dans le cadre de l’opération conjointe #Terra, Frontex a déployé des équipes de #gardes-frontières, des véhicules de patrouille et des #caméras_de_thermovision pour aider les autorités bulgares dans leurs activités de #surveillance aux frontières turque et serbe.

    En août 2022, un #rapport inquiétant atterrit sur le bureau de Jonas Grimheden, le chef du FRO. Il émane d’un agent de Frontex qui a mené une enquête de sa propre initiative lors d’un déploiement de six mois à la frontière avec la Turquie. Il révèle que les agents de Frontex sont tenus intentionnellement à l’écart des zones où les migrants sont généralement appréhendés et repoussés. « Lorsque des situations se produisent, le collègue local reçoit les indications pour déplacer l’équipe Frontex, en évitant certaines zones, note le lanceur d’alerte. Ils ont pour instruction d’empêcher Frontex de voir quoi que ce soit, pour éviter qu’ils rédigent un rapport officiel. »

    Pour l’eurodéputée écologiste Tineke Strik, cheffe de file d’un groupe d’eurodéputés chargé de surveiller Frontex, ces conclusions soulèvent de sérieux doutes quant à la capacité de l’agence à garantir le respect des droits humains dans le cadre de ses activités : « Il est étonnant qu’une agence de l’UE soit toujours incapable de faire respecter le droit européen après tant d’enquêtes institutionnelles, de rapports, de recommandations et d’avertissements. »

    Dans les mois qui suivent le rapport du lanceur d’alerte, Jonas Grimheden fait part de ses préoccupations croissantes concernant la conduite des agents frontaliers bulgares aux échelons supérieurs de Frontex, dont le siège se trouve à Varsovie.

    L’agence s’attache alors à restaurer sa réputation, ternie par la révélation de sa complicité dans les refoulements illégaux de migrants en Grèce. En avril 2022, son directeur, Fabrice Leggeri – qui vient de rallier le Rassemblement national en vue des élections européennes –, a été contraint de démissionner après avoir été reconnu coupable par l’Office européen de lutte antifraude d’avoir dissimulé des refoulements de bateaux de migrants en mer Egée.

    Aija Kalnaja, qui lui a succédé à la direction de Frontex pour un court intérim, semble prendre les avertissements du FRO au sérieux. En février 2023, elle exprime de « vives inquiétudes » dans une lettre adressée à Rositsa Dimitrova, alors cheffe de la direction des frontières bulgare, recommandant aux autorités du pays d’accorder au corps permanent de l’agence l’accès aux « contrôles de première ligne et aux activités de surveillance des frontières ».

    Dans sa réponse, #Rositsa_Dimitrova assure que « le respect des droits fondamentaux des ressortissants de pays tiers est une priorité absolue ». Disposée à organiser des séances d’information et des formations à l’intention de ses gardes-frontières, la responsable bulgare explique que chaque violation présumée des droits est examinée par une commission constituée par ses soins. Insuffisant, pour le FRO, qui préférerait un contrôle rigoureux par un « organisme indépendant opérant en dehors de la structure institutionnelle du ministère de l’intérieur bulgare ». Cinq agents ont été sanctionnés pour avoir violé leur code de conduite éthique au cours des dix premiers mois de 2023, précise aujourd’hui le ministère de l’intérieur bulgare.

    Une lettre jamais envoyée

    Au début de 2023, le Néerlandais Hans Leijtens est nommé à la tête de Frontex. On peut alors s’attendre à ce que ce nouveau directeur, engagé publiquement en faveur de la « responsabilité, du respect des droits fondamentaux et de la transparence », adopte une position ferme à l’égard des autorités bulgares. « Ce sont des pratiques du passé », déclare-t-il après sa nomination, en référence aux antécédents de Frontex en matière d’aide aux refoulements en Grèce.

    Soucieux de saisir l’occasion, Jonas Grimheden, à la tête du FRO, lui écrit deux jours après sa prise de fonctions, en mars 2023. Le courriel contient un projet de lettre « que vous pouvez envisager d’envoyer, en tout ou en partie », à Rositsa Dimitrova. La lettre rappelle les « allégations persistantes de retours irréguliers (appelés “refoulements”), accompagnées de graves allégations de #mauvais_traitements et d’#usage_excessif_de_la_force par la police nationale des frontières à l’encontre des migrants » et demande des enquêtes indépendantes sur les violations des droits. Ce brouillon de lettre n’a jamais quitté la boîte de réception d’Hans Leijtens.

    Quelques semaines plus tard, en mars 2023, le #FRO envoie un rapport officiel au conseil d’administration de Frontex, évoquant le « risque que l’agence soit indirectement impliquée dans des violations des droits fondamentaux sans avoir la possibilité de recueillir toutes les informations pertinentes et d’empêcher ces violations de se produire ».

    M. Leijtens a-t-il fait part aux autorités bulgares des conclusions du FRO ? Sollicité, le service de presse de Frontex explique que « les discussions directes ont été jugées plus efficaces », sans pouvoir divulguer « les détails spécifiques des discussions ».

    Une contrepartie pour Schengen ?

    Alors que ce bras de fer se joue en coulisses, sur la scène politique, la Bulgarie est érigée en élève modèle pour le programme de contrôle des migrations de la Commission européenne, et récompensée pour le durcissement de ses #contrôles_frontaliers, en contrepartie de l’avancement de sa candidature à l’entrée dans l’espace Schengen.

    En mars 2023, la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, annonce un #projet_pilote visant à « prévenir les arrivées irrégulières » et à « renforcer la gestion des frontières et des migrations », notamment par le biais de « #procédures_d’asile_accélérées » et d’#expulsions_rapides des migrants indésirables. La Commission sélectionne deux pays « volontaires » : la #Roumanie et la Bulgarie.

    Pour mettre en œuvre le projet, la Commission accorde à la Bulgarie 69,5 millions d’euros de #fonds_européens, principalement destinés à la surveillance de sa frontière avec la Turquie. « Toutes les activités menées dans le cadre de ce projet pilote doivent l’être dans le plein respect de la législation de l’UE et des droits fondamentaux, en particulier du principe de non-refoulement », précise d’emblée la Commission.

    Pourtant, à ce moment-là, l’exécutif bruxellois est parfaitement conscient de la situation désastreuse des droits humains sur le terrain. Deux mois avant le lancement du projet, en janvier 2023, deux hauts fonctionnaires de la direction des affaires intérieures (DG Home) ont rencontré à Stockholm la patronne des gardes-frontières bulgares « pour discuter des préoccupations du FRO concernant les allégations de #violations_des_droits_fondamentaux », révèle un compte rendu de la réunion.

    Au fil de l’avancement du projet pilote, les signaux d’alerte se multiplient. En septembre 2023, Jonas Grimheden alerte une nouvelle fois le conseil d’administration de Frontex sur des « allégations répétées de (…) refoulements et d’usage excessif de la force » par les agents bulgares. Si son rapport salue la participation des agents de Frontex aux « activités de patrouille terrestre de première ligne », il rappelle que ces derniers « continuent d’être impliqués dans un nombre limité d’interceptions » de migrants.

    Au cours du projet, deux documents sur les « droits fondamentaux » aux frontières extérieures de la Bulgarie ont circulé au sein de la DG Home. La Commission européenne a refusé de les communiquer au BIRN, arguant que leur divulgation mettrait en péril la « confiance mutuelle » avec le gouvernement bulgare.

    « Les résultats sont excellents »

    La participation de la Bulgarie au projet pilote de la Commission semble avoir joué un rôle crucial pour faire avancer son projet de rejoindre Schengen – un objectif prioritaire depuis plus d’une décennie. Il coïncide en tout cas avec un changement de ton très net du côté de Bruxelles et Varsovie, qui ont dès lors largement balayé les inquiétudes concernant les mauvais traitements infligés à grande échelle aux migrants.

    « Les résultats sont excellents », annonce Ylva Johansson lors d’une conférence de presse en octobre 2023. La commissaire européenne aux affaires intérieures, chargée des migrations, salue les efforts déployés par la Bulgarie pour empêcher les migrants « irréguliers » d’entrer sur le territoire de l’UE, appelant à prendre la « décision absolument nécessaire » d’admettre la Bulgarie dans l’espace Schengen. Cette décision est alors bloquée depuis des mois par les Pays-Bas et l’Autriche, qui exigent des contrôles plus stricts à la frontière terrestre avec la Turquie. Quelques semaines auparavant, Ursula von der Leyen avait salué la Bulgarie, qui « montre la voie à suivre en mettant en avant les meilleures pratiques en matière d’asile et de retour ». « Faisons-les enfin entrer, sans plus attendre », avait réclamé la présidente de la Commission.

    Selon Diana Radoslavova, directrice du Centre pour le soutien juridique, une ONG sise à Sofia, la fermeture effective de la frontière avec la Turquie est indispensable à l’entrée de la Bulgarie dans l’espace Schengen. « [Les autorités] sont prêtes à tout pour respecter cette injonction, y compris au prix de violations extrêmes des droits de l’homme », estime l’avocate. « Tant que la Bulgarie coopère en bonne intelligence avec la protection des frontières et la mise en œuvre du projet pilote, la Commission regarde ailleurs », ajoute l’eurodéputée Tineke Strik.

    Pour défendre la candidature de Sofia à l’espace Schengen, la Commission européenne s’est appuyée sur le rapport d’une mission d’enquête rassemblant les experts de plusieurs agences de l’UE et des Etats membres, dépêchés en novembre 2023 en Bulgarie pour évaluer son état de préparation à l’adhésion. La mission n’aurait trouvé aucune preuve de violation des obligations en matière de droits humains prévues par les règles européennes, y compris en ce qui concerne « le respect du principe de non-refoulement et l’accès à la protection internationale ».

    Ce rapport n’a pas dissipé les inquiétudes de Jonas Grimheden, qui affirme que ses services font encore « régulièrement » part de leurs « préoccupations » au conseil d’administration de Frontex, « auquel participe la Commission européenne ».
    Cette enquête a été produite en collaboration avec le réseau Balkan Investigative Reporting Network (BIRN), qui a reçu un soutien financier de la Fondation Heinrich-Böll. Son contenu relève de la seule responsabilité des auteurs et ne représente pas les points de vue et les opinions de la fondation.

    La réponse de Frontex et de la Commission européenne

    Un porte-parole de Frontex déclare que l’agence prend « très au sérieux » les « préoccupations concernant les refoulements ». « Dans les cas où des violations sont signalées, la question est transmise au directeur exécutif et, si nécessaire, discutée lors des réunions du conseil d’administration avec des représentants des Etats membres. Toutefois, ces discussions ne sont pas publiques, conformément à notre politique de confidentialité visant à garantir un dialogue franc et efficace. »

    Dans une réponse écrite, la Commission européenne rappelle « l’importance de maintenir des éléments de contrôle solides tout en renforçant les actions de suivi et d’enquête ». « Les autorités bulgares, comme celles de tous les Etats membres de l’UE, doivent respecter pleinement les obligations découlant du droit d’asile et du droit international, notamment en garantissant l’accès à la procédure d’asile », explique un porte-parole.

    L’institution précise qu’« il a été convenu de renforcer davantage le mécanisme national indépendant existant pour contrôler le respect des droits fondamentaux », mais qu’« il est de la responsabilité des Etats membres d’enquêter sur toute allégation d’actes répréhensibles ».

    Le Médiateur européen enquête actuellement sur la décision de la Commission de refuser la communication aux journalistes de BIRN de deux documents de la DG Home sur les « droits fondamentaux » aux frontières extérieures de la Bulgarie. Dans l’attente de l’enquête, la Commission a refusé de dire si ces documents avaient été pris en considération lorsqu’elle a émis des évaluations positives du programme pilote et de la conformité de la Bulgarie avec les règles de Schengen.

    https://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2024/02/26/comment-l-ue-a-ferme-les-yeux-sur-le-refoulement-illegal-de-migrants-par-la-

    #refoulements #push-backs #migrations #réfugiés #frontières #opération_Terra

  • 52% de policiers et gendarmes interrogés dans une étude considèrent que le succès de la mission prime sur le respect de la loi

    Des policiers et gendarmes ont répondu de manière volontaire à un questionnaire de la Défenseure des droits concernant leur pratique en matière de maintien de l’ordre et de secours à la personne.

    Plus de la moitié des policiers ou gendarmes (51,8%) considèrent que mener à bien leur mission est prioritaire sur le respect de la loi, selon une étude dévoilée mardi 27 février par la Défenseure des droits. Il s’agit d’un questionnaire rempli de manière volontaire et anonyme par 976 gendarmes et 655 policiers répartis sur sept départements. L’institution met en avant les perceptions « contrastées » des pratiques professionnelles des forces de l’ordre au sein de ces dernières.

    Si l’usage de la force pour obtenir des aveux est réprouvé par plus de 9 répondants sur 10, près de 6 sur 10 considèrent que dans « certains cas » (non précisés), l’utilisation de plus de force que ce qui est prévu dans les textes devrait être tolérée. Cette opinion est encore plus fortement répandue chez les policiers (69,1%, contre 54,2% chez les gendarmes). Une vision répressive du métier confirmée par le fait que plus de la moitié d’entre eux, policiers et gendarmes confondus, estiment que leur mission première est de faire respecter la loi, et d’arrêter les « délinquants », plutôt que de secourir les personnes en danger (un sur quatre), ou encore protéger les institutions républicaines (4%). Par ailleurs, seul un gendarme sur trois et moins d’un policier sur quatre (23,3%) pense que l’on peut faire confiance aux citoyens pour se comporter comme il faut.

    Les forces de l’ordre se considèrent aussi insuffisamment formées

    Les membres des forces de l’ordre interrogés pointent également du doigt le manque de formation au sein de leurs rangs : un sur cinq affirme connaître « bien » ou « parfaitement » la charte des droits fondamentaux de l’Union européenne, tandis que près de la moitié d’entre eux (45,7%) s’estime insuffisamment formée en matière de droits des citoyens et de règles de déontologie.

    L’étude révèle enfin l’œil critique qu’exercent les professionnels sur les contrôles d’identité : près de 40% des policiers et des gendarmes jugent que les contrôles fréquents ne sont pas ou peu efficaces pour garantir la sécurité d’un territoire.

    https://www.francetvinfo.fr/faits-divers/police/plus-d-un-policier-ou-gendarme-sur-deux-considere-que-le-succes-de-sa-m

    #France #police #gendarmes #forces_De_l'ordre #étude #Défenseur_des_droits #maintien_de_l'ordre #mission #respect_de_la_loi #secours_de_personne_en_danger #formation #droits_fondamentaux #droits_humains #déontologie #contrôles_d'identité

  • Jury convicts #Ibrahima_Bah : Statement from Captain Support UK

    Following a three-week trial, Ibrahima Bah, a teenager from Senegal, has been convicted by an all-white jury at Canterbury Crown Court. The jury unanimously found him guilty of facilitating illegal entry to the UK, and by a 10-2 majority of manslaughter by gross negligence. This conviction followed a previous trial in July 2023 in which the jury could not reach a verdict.

    Ibrahima’s prosecution and conviction is a violent escalation in the persecution of migrants to ‘Stop the Boats’. Observing the trial has also made it clear to us how anti-black racism pervades the criminal ‘justice’ system in this country. The verdict rested on the jury’s interpretation of generic words with shifting meanings such as ‘reasonable’, ‘significant’, and ‘minimal’. Such vagueness invites subjective prejudice, in this case anti-black racist profiling. Ibrahima, a teenage survivor, was perceived in the eyes of many jurors to be older, more mature, more responsible, more threatening, with more agency, and thus as more ‘guilty’.
    Why Ibrahima was charged

    Ibrahima was arrested in December 2022 after the dinghy he was driving across the Channel broke apart next to the fishing vessel Arcturus. Four men are known to have drowned, and up to five are still missing at sea. The court heard the names of three of them: Allaji Ibrahima Ba, 18 years old from Guinea who had travelled with Ibrahima from Libya and who Ibrahima described as his brother; Hajratullah Ahmadi, from Afghanistan; and Moussa Conate, a 15 year old from Guinea.

    The jury, judge, defense, and prosecution agreed the shipwreck and resultant deaths had multiple factors. These included the poor construction of the boat, water ingress after a time at sea, and later everyone standing up to be rescued causing the floor of the dinghy ripping apart. A report by Alarm Phone and LIMINAL points to other contributing factors, including the lack of aerial surveillance, the failure of the French to launch a search and rescue operation when first informed of the dinghy’s distress, and the skipper of Arcturus’ delay in informing Dover Coastguard of the seriousness of the wreck. Nonetheless, the Kent jury has decided to exclusively punish a black teenaged survivor.

    What the jury heard

    Many of the other survivors, all of whom claimed asylum upon reaching the UK, testified that Ibrahima saved their lives. At the moment the dinghy got into danger, Ibrahima steered it towards the fishing vessel which rescued them. He was also shown holding a rope to keep the collapsed dinghy alongside the fishing vessel while others climbed onboard. One survivor told the court that Ibrahima “was an angel”.

    The story told by witnesses not on the dinghy contrasted greatly to that of the asylum seekers who survived. Ray Strachan, the captain of the shipping vessel Arcturus offered testimony which appeared particularly prejudiced. He described Ibrahima using racist tropes – “mouthy”, not grateful enough following rescue, and as behaving very unusually. He complained about the tone in which Ibrahima asked the crew to rescue his drowning friend Allaji, who Strachan could only describe as being “dark brown. What can you say nowadays? He wasn’t white.” Strachan also has spoken out in a GB News interview against what he considers to be the “migrant taxi service” in the Channel, and volunteered to the jury, “It wasn’t my decision to take them to Dover. I wanted to take them back to France.” This begs the question of whether Strachan’s clearly anti-migrant political opinions influenced his testimony in a way which he felt would help secure Ibrahima’s conviction. It also raises the question if jury members identified more with Strachan’s retelling than the Afghans who testified through interpreters, and to what extent they shared some of his convictions.

    When Ibrahima took the stand to testify in his defense he explained that he refused to drive the rubber inflatable after he was taken to the beach and saw its size compared to the number of people expecting to travel on it. He told how smugglers, who had organised the boat and had knives and a gun, then assaulted him and forced him to drive the dinghy. The other survivors corroborated his testimony and described the boat’s driver being beaten and forced onboard.

    The prosecutor, however, sought to discredit Ibrahima, cross-examining him for one-and-a-half days. He demonised Ibrahima and insisted that he was personally responsible for the deaths because he was driving. Ibrahima’s actions, which survivors testified saved their lives, were twisted into dangerous decisions. His experiences of being forced to drive the boat under threat of death, and following assault, were disbelieved. The witness stand became the scene of another interrogation, with the prosecutor picking over the details of Ibrahima’s previous statements for hours.

    Ibrahima’s account never waivered. Yes he drove the dinghy, he didn’t want to, he was forced to, and when they got into trouble he did everything in his power to save everybody on board.
    Free Ibrahima!

    We have been supporting, and will continue to support, Ibrahima as he faces his imprisonment at the hands of the racist and unjust UK border regime.

    This is a truly shocking decision.

    We call for everybody who shares our anger to protest the unjust conviction of Ibrahima Bah and to stand in solidarity with all those incarcerated and criminalised for seeking freedom of movement.

    https://captainsupport.net/jury-convicts-ibrahima-bah-statement-from-captain-support-uk

    #scafista #scafisti #UK #Angleterre #criminalisation_de_la_migration #migrations #réfugiés #procès #justice #condamnation #négligence #Stop_the_Boats #verdict #naufrage #responsabilité #Arcturus

    • “NO SUCH THING AS JUSTICE HERE”. THE CRIMINALISATION OF PEOPLE ARRIVING TO THE UK ON ‘SMALL BOATS’

      New research shows how people arriving on small boats are being imprisoned for their ‘illegal arrival’. Among those prosecuted are people seeking asylum, victims of trafficking and torture, and children with ongoing age disputes.

      This research provides broader context surrounding the imprisonment of Ibrahima Bah, a Senegalese teenager, who has recently been found ‘guilty’ of both facilitating illegal entry and manslaughter. He was sentenced to 9 years and 6 months imprisonment on Friday 23rd February. In their statement, Captain Support UK argue that “Ibrahima’s prosecution and conviction is a violent escalation in the persecution of migrants to ‘Stop the Boats’.”

      The research

      This report, published by the Centre for Criminology at the University of Oxford and Border Criminologies, shows how people have been imprisoned for their arrival on a ‘small boat’ since the Nationality and Borders Act (2022) came into force. It details the process from sea to prison, and explains how this policy is experienced by those affected. Analysis is based on observations of over 100 hearings where people seeking asylum were prosecuted for their own illegal arrival, or for facilitating the arrival of others through steering the dinghy they travelled on. The report is informed by the detailed casework experience of Humans for Rights Network, Captain Support UK and Refugee Legal Support. It also draws on data collected through Freedom of Information requests, and research interviews with lawyers, interpreters, and people who have been criminalised for crossing the Channel on a ‘small boat’.

      Background

      In late 2018, the number of people using dinghies to reach the UK from mainland Europe began to increase. Despite Government claims, alternative ‘safe and legal routes’ for accessing protection in the UK remain inaccessible to most people. There is no visa for ‘seeking asylum’, and humanitarian routes to the UK are very restricted. For many, irregular journeys by sea have become the only way to enter the UK to seek asylum, safety, and a better life.

      Soon after the number of people arriving on small boats started to increase, the Crown Prosecution Service began to charge those identified as steering the boats with the offences of ‘illegal entry’ or ‘facilitation’. These are offences within Section 24 and Section 25 of the Immigration Act 1971. However, in 2021, a series of successful appeals overturned these prosecutions. This was on the basis that if the people on a small boat intended to claim asylum at port, there was no breach of immigration law through attempted ‘illegal entry’. The Court of Appeal found that those who arrive by small boat and claim asylum do not enter illegally, as they are granted entry as an asylum seeker.

      In response, in June 2022, the Nationality and Borders Act expanded the scope of criminal offences relating to irregular arrival to the UK. First, the offence of ‘illegal arrival’ was introduced, with a maximum sentence of 4 years. Second, the offence of ‘facilitation’ was expanded to include circumstances in which ‘gain’ was difficult to prove, and the maximum sentence was increased from 14 years to life imprisonment. During Parliamentary debates, members of both Houses of Parliament warned that this would criminalise asylum seeking to the UK.

      Who has been prosecuted since the Nationality and Borders Act (2022)?

      New data shows that in the first year of implementation (June 2022 – June 2023), 240 people arriving on small boats were charged with ‘illegal arrival’ off small boats. While anyone arriving irregularly can now be arrested for ‘illegal arrival’, this research finds that in practice those prosecuted either:

      – Have an ‘immigration history’ in the UK, including having been identified as being in the country, or having attempted to arrive previously ( for example, through simply having applied for a visa), or,
      – Are identified as steering the dinghy they travelled in as it crossed the Channel.

      49 people were also charged with ‘facilitation’ in addition to ‘illegal arrival’ after allegedly being identified as having their ‘hand on the tiller’ at some point during the journey. At least two people were charged with ‘facilitation’ for bringing their children with them on the dinghy.

      In 2022, 1 person for every 10 boats was arrested for their alleged role in steering. In 2023, this was 1 for every 7 boats. People end up being spotted with their ‘hand on the tiller’ for many reasons, including having boating experience, steering in return for discounted passage, taking it in turns, or being under duress. Despite the Government’s rhetoric, both offences target people with no role in organised criminal gangs.

      The vast majority of those convicted of both ‘illegal arrival’ and ‘facilitation’ have ongoing asylum claims. Victims of torture and trafficking, as well as children with ongoing age disputes, have also been prosecuted. Those arrested include people from nationalities with a high asylum grant rate, including people from Sudan, South Sudan, Afghanistan, Iran, Eritrea, and Syria.

      Those imprisoned are distressed and harmed by their experiences in court and prison

      This research shows how court hearings were often complicated and delayed by issues with interpreters and faulty video link technology. Bail was routinely denied without proper consideration of each individual’s circumstances. Those accused were usually advised to plead guilty to ‘illegal arrival’ at the first opportunity to benefit from sentence reductions, however, this restricted the possibility of legal challenge.

      Imprisonment caused significant psychological and physical harm, which people said was particularly acute given their experiences of displacement. The majority of those arrested are imprisoned in HMP Elmley. They frequently reported not being able to access crucial services, including medical care, interpretation services including for key documents relating to their cases, contact with their solicitors, immigration advice, as well as work and English lessons. People shared their experiences of poor living conditions, inadequate food, and routine and frequent racist remarks and abuse from prison staff as ‘foreign nationals’.

      Children with age disputes are being imprisoned for their arrival on small boats

      Research (see, for example, here) by refugee support organisations has highlighted significant flaws in the Home Office’s age assessment processes in Dover, resulting in children being aged as adults, and treated as such. One consequence of this is that children with ongoing age disputes have been charged as adults with the offences of ‘illegal arrival’ and ‘facilitation’ for their alleged role in steering boats across the Channel.

      Humans for Rights Network has identified 15 age-disputed children who were wrongly treated as adults and charged with these new offences, with 14 spending time in adult prison. This is very likely to be an undercount. The Home Office fails to collect data on how many people with ongoing age disputes are convicted. These young people have all claimed asylum, and several claim (or have been found to be) survivors of torture and/or trafficking. The majority are Sudanese or South Sudanese, who have travelled to the UK via Libya.

      Throughout the entirety of the criminal process, responsibility lay with the child at every stage to reject their ‘given’ age and reassert that they are under 18. Despite this, the Courts generally relied on the Home Office’s ‘given age’, without recognition of evidence highlighting clear flaws in these initial age enquiries. Children who maintained that they were under 18 in official legal proceedings faced substantial delays to their cases, due to the time required by the relevant local authority to carry out an age assessment, and delays to the criminal process. Due to this inaction, several children have decided to be convicted and sentenced as adults to try to avoid spending additional time in prison.

      These young people have experienced serious psychological and physical harm in adult courts and prisons, raising serious questions around the practices of the Home Office, Border Force, Ministry of Justice, magistrates and Judges, the CPS, defence lawyers, and prison staff.

      Pour télécharger le rapport :
      Full report:https://blogs.law.ox.ac.uk/sites/default/files/2024-02/No%20such%20thing%20as%20justice%20here_for%20publication.pdf
      Summary : https://blogs.law.ox.ac.uk/sites/default/files/2024-02/SUMMARY_No%20such%20thing%20as%20justice%20here_for%20publication.pd

      https://www.law.ox.ac.uk/content/news/report-launch-no-such-thing-justice-here
      #rapport

    • Ibrahima Bah was sentenced to nine years for steering a ‘death trap’ dinghy across the Channel. Was he really to blame?

      The young asylum seeker was forced into piloting the boat on which at least four people drowned. Under new ‘stop the boats’ laws, he’s responsible for their deaths – but others say he’s a victim

      In the dock at Canterbury crown court, Ibrahima Bah listened closely as his interpreter told him he was being sentenced to nine years and six months in prison.

      In December 2022, Bah had steered an inflatable dinghy full of passengers seeking asylum in the UK across the Channel from France. The boat collapsed and four people were confirmed drowned – it is thought that at least one other went overboard, but no other bodies have yet been recovered.

      Bah’s conviction – four counts of gross negligence manslaughter and one of facilitating a breach of immigration law – is the first of its kind. The Home Office put out a triumphant tweet after his sentencing, with the word “JAILED” in capital letters above his mugshot. According to the government, Bah’s sentence is proof that it is achieving one of Rishi Sunak’s main priorities: to “Stop the Boats”. But human rights campaigners are less jubilant and fear his conviction will be far from the last.

      Of the 39 passengers who survived that perilous journey in December 2022, about a dozen were lone children. Bah is a young asylum seeker himself, from Senegal. The judge determined he is now 20; his birth certificate says he is 17. Either way, he was a teenager at the time of the crossing. So how did his dream of a new life in the UK end up here, in this courtroom, being convicted of multiple counts of manslaughter?

      As with so many asylum seekers, details about Bah’s life are hazy and complicated. He has had little opportunity to speak to people since he arrived in the UK because he has been behind bars. His older sister, Hassanatou Ba, who lives in Morocco, says the whole family is devastated by his imprisonment, especially their mother. Hassanatou says her brother – the only son in the family, and the only male after the death of their father – has always been focused on helping them all.

      “He is gentle, kind and respectful, and loves his family very much,” she says. “He always wanted to take care of all of us. He knew about the difficulties in our lives and wanted our problems to stop.”

      In court, the judge, Mr Justice Johnson KC, noted that Bah’s early upbringing was difficult and that he was subjected to child labour. His initial journey from Senegal was tough, too, as he travelled to the Gambia, then Mali (where the judge acknowledged he had been subjected to forced labour), Algeria and Libya before crossing the Mediterranean to reach Europe. The risk of drowning in a flimsy and overcrowded boat in the Mediterranean is extremely high, with more than 25,000 deaths or people missing during the crossing since 2014. The Immigration Enforcement Competent Authority found there were reasonable grounds to conclude Bah was a victim of modern slavery based on some of his experiences on his journey. He told the police the boat journey was “terrifying”, and took four days and four nights in an “overcrowded and unsuitable” vessel.

      Bah and his fellow travellers were rescued and taken to Sicily. From there, he travelled to France and met Allaji Ba, 18, from Guinea, who became his friend and who he has described as his “brother”. The pair spent five months in Bordeaux before travelling to Paris, then Calais, then Dunkirk, spending three months in an area known as the Jungle – a series of small, basic encampments. The refugees who live there are frequently uprooted by French police. The vast original Calais refugee encampment – also known as the Jungle – was destroyed in October 2016, but the camps still exist, albeit in more compact and makeshift forms. Some people have tents, while others sleep in the open air, whatever the weather.

      In the Jungle, Bah met a group of smugglers. He was unable to pay the going rate of about £2,000 for a space on a dinghy to come to the UK, so instead he agreed to steer the boat in exchange for free passage. Smugglers don’t drive boats themselves: they either offer the job to someone like Bah, who can’t afford to pay for their passage; force a passenger to steer; or leave it to the group to share the task between them.

      When Bah saw how unseaworthy and overcrowded the boat was, he refused to pilot it, and in court, the judge accepted there was a degree of coercion by the smugglers. Bah said smugglers with a knife and a gun assaulted him, and other survivors corroborated his account of being beaten after refusing to board the boat.

      Once the dinghy was afloat, survivors have said the situation became increasingly terrifying. Out at sea, under a pitch black sky, the dinghy began taking in water up to knee level. It was when the passengers saw a fishing vessel, Arcturus, that catastrophe struck, with some standing up, hoping that at last they were going to be saved from what they believed was certain drowning.

      At Bah’s trial, witnesses gave evidence about his efforts to save lives by manoeuvring the stricken dinghy towards the fishing trawler, so that people could be rescued.

      One witness said that if it hadn’t been for Bah, everyone on board would have drowned. “He was trying his best,” he said. Another survivor called him an “angel” for his efforts to save lives, holding a rope so others could be hoisted to safety on the fishing vessel and putting the welfare of others first. The judge acknowledged that Bah was one of the last to leave the dinghy and tried to help others after he did so, including his friend Ba, “who tragically died before your eyes”.

      The dinghy was described by the judge as a “death trap”; he also recognised that the primary responsibility for what happened that night rests with the criminal gangs who exploit and endanger those who wish to come to the UK. He noted that Bah was “significantly less culpable” than the gangs and did not coerce other passengers or organise the trip.

      “Everything that has happened to Ibrahima since he was forced to drive the boat in 2022 has been bad luck,” says Hassanatou. “In fact, Ibrahima’s whole journey has been suffering on top of suffering.”

      Had Bah made the journey just a few months earlier, he would not be in this courtroom today. His conviction was made possible by recent changes in the law – part of the Conservative government’s clampdown on small boats. In June 2022, the Nationality and Borders Act (NABA) expanded the scope of criminal offences relating to irregular arrival to the UK. The offence of “illegal arrival” was introduced, with a maximum sentence of four years. This criminalises the act of arriving in the UK to claim asylum – and effectively makes claiming asylum impossible since, by law, you have to be physically in the country to make a claim.

      At the same time, the pre-existing offence of “facilitation” – making it possible for others to claim asylum by piloting a dinghy, for example – was expanded, with the maximum sentence increased from 14 years to life imprisonment. Hundreds of people, including children and victims of torture and smuggling, have subsequently been jailed for the first offence and a handful for the second.

      The reasons Bah and thousands of others are forced into this particularly deadly form of Russian roulette on the Channel is due to government policy not to provide safe and legal routes for those who are fleeing persecution. Last year, the government went further than NABA with the Illegal Migration Act, making any asylum claim by someone arriving by an “irregular” means, such as on a small boat, inadmissible. It is hard to overstate the significance of this change. The right to claim asylum was enshrined in the 1951 Geneva Convention after the horrors of the second world war – and has saved many lives. The UK is still signed up to that convention, but the Illegal Migration Act now makes it almost impossible to exercise that essential right, and has been strongly criticised by the UN.

      None of these legal changes are stopping the boats. Although the number of Channel crossings fell by 36% last year, much of that reduction was due to 90% fewer crossings by Albanians (there had been a spike in the numbers of Albanians coming over in 2022). Those fleeing conflict zones are still crossing in large numbers, and according to a report by the NGO Alarm Phone, measures introduced to stop the boats are likely to have increased the number of Channel drownings.

      Most asylum seekers do not seek sanctuary in the UK but instead head to the nearest safe country. Those who do come here often have family in the UK, or speak English. The decisions people make before stepping into a precarious dinghy on a beach in northern France are not a result of nuanced calculations based on the latest law to pass through parliament. “I come or I die,” one Syrian asylum seeker told me recently, when I asked about his decision to make a high-risk boat crossing after experiencing torture in his home country.

      Some lawyers who have followed Bah’s case and the broader implications of the new legislation are worried about these developments. “There is now no legal way to claim asylum,” one lawyer says.

      “The use of manslaughter in these circumstances is completely novel and demonstrates how pernicious the new laws are. It is the most vulnerable who end up piloting the boats and asylum seekers have no knowledge that the law has changed.”

      Bah’s case has also caused consternation among campaigners. “The conviction of Ibrahima Bah demonstrates a violent escalation in the prosecution of people for the way in which they arrive in the UK,” reads a joint statement from Humans for Rights Network and Refugee Legal Support, two of the organisations supporting Bah. They also point out that Bah had already spent 14 months in prison without knowing how long he would remain there, after a previous trial against him last year collapsed when the jury failed to reach a verdict.

      “He too is a survivor of the shipwreck he experienced in December 2022,” the statement continues. “Imprisonment has severely impacted his mental health and will continue to do so while he is incarcerated. Ibrahima navigated a horrific journey to the UK in the hope of finding safety here through the only means available to him and yet he has been punished for the deaths of others seeking the same thing, sanctuary.”

      The organisation Captain Support is helping 175 people who face prosecution as a result of the new laws to find legal representation. A letter-writing campaign calling for Bah to be freed has been launched.

      Hassanatou says she is struggling to comprehend the UK’s harsh laws towards people like her little brother, and she fears his age will make it particularly difficult for him to cope behind bars. He will be expected to serve two-thirds of his sentence in custody, first in a young offenders’ institute and then in an adult jail.

      In his sentencing remarks the judge said to Bah: “This is also a tragedy for you. Your dream of starting a new life in the UK is in tatters.”

      https://www.theguardian.com/uk-news/2024/mar/12/ibrahima-bah-teenage-asylum-seeker-manslaughter

  • Human rights monitors: new UK-Frontex agreement risks “axis of abuse”

    Charities on both sides of the English Channel have hit out at the new cooperation agreement between EU border agency Frontex and UK authorities signed in London today between UK officials and EU Home Affairs Commissioner Ylva Johansson; citing human rights scandals surrounding both organisations and an enforcement approach that is “flawed from conception.”

    - The “integrated border management” between countries described in today’s deal has had serious consequences. Frontex was recently found (https://www.lighthousereports.com/investigation/frontex-and-the-pirate-ship) to be systematically sharing the coordinates of Mediterranean boats in distress with militias and pirates that return people crossing to conditions of abuse and violence.
    - This news came over a year on from the forced resignation of its former director (now a European Parliament candidate for the French far-right National Rally) over the agency’s complicity and cover-ups in Greece’s deadly border campaign, which was supposed to herald a culture change.
    - The number of UK border drownings has doubled in the past year, which rescue NGO Alarmphone says is linked to Anglo-French border policy (https://www.theguardian.com/uk-news/2024/jan/29/uk-france-small-boats-pact-doubling-drownings-directly-linked). UK and French authorities have faced allegations of serious shortcomings in responding to Channel shipwrecks.
    - Meanwhile the UK continues to attempt to undermine its own courts and international refugee law with its plans to outsource its asylum processes to Rwanda, and its abuse-ridden detention estate is widely documented.

    Quotes from organisations responding to the move can be found below.

    Michele LeVoy, Director of the Brussels-based Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants (PICUM), said:

    “Frontex is signing this new agreement with the UK border forces after countless reports of complicity by the EU agency in serious violence.”

    “The plan is flawed from conception. Tougher enforcement does not reduce irregular crossings; it only makes people’s journeys more dangerous. These resources should instead be used to provide safe routes and proper support for people seeking safety.”

    Mary Atkinson, Campaigns and Networks Manager at the London-based Joint Council for the Welfare of Immigrants, said:

    “People move – they always have and always will. It’s something we should welcome, not something which needs to be ‘tackled’ or ‘cracked down’ upon. We urgently need change so that people can move without risking – and too often losing – their lives.

    “This latest development is just more of the same tired old thinking. Making our borders more violent has never stopped those in need from coming here and all these measures will do is make it more dangerous. The government needs to wake up and accept that ‘deterrents’ never have – and never will – work. Instead, we need to listen to the evidence and develop policies that prioritise people’s safety and human rights.”

    A spokesperson for Calais-based Human Rights Observers said:

    “Frontex, the EU’s biggest agency, which squanders European taxpayers’ money by massively violating human rights, is preparing to land on the French-British border. With at least 28 people killed by the murderous border policies of France and the UK in 2023, the presence of Frontex would only increase the insecurity of people seeking protection.”

    Josephine Valeske at Europe-wide campaign Abolish Frontex said:

    “UK border policy has seen deaths by drowning double in the last year, and its government continues to insist on violating both UK and international law by deporting people seeking asylum to Rwanda.”

    “Frontex claims to have made progress on rights – but joining the UK for its new so-called “crackdown” on migration shows that nothing has changed. The EU cannot claim to defend human rights while Frontex continues to exist, and expand a European axis of abuse, at our expense.”

    https://picum.org/blog/human-rights-monitors-new-uk-frontex-agreement-risks-axis-of-abuse

    #Frontex #Manche #La_Manche #migrations #réfugiés #contrôles_frontaliers #UK #Angleterre #accord #coopération #frontières #Calais #France

    • Shades of Anger
      (c’était en 2011...)
      https://www.youtube.com/watch?v=m2vFJE93LTI&t=72s

      Allow me to speak my Arab tongue
      before they occupy my language as well.
      Allow me to speak my mother tongue
      before they colonise her memory as well.
      I am an Arab woman of color.
      and we come in all shades of anger.
      All my grandfather ever wanted to do
      was wake up at dawn and watch my grandmother kneel and pray
      in a village hidden between Jaffa and Haifa
      my mother was born under an olive tree
      on a soil they say is no longer mine
      but I will cross their barriers, their check points
      their damn apartheid walls and return to my homeland

      I am an Arab woman of colour and we come in all shades of anger.
      And did you hear my sister screaming yesterday
      as she gave birth at a check point
      with Israeli soldiers looking between her legs
      for their next demographic threat
      called her baby girl “Janeen”.

      And did you hear Amni Mona screaming
      behind their prison bars as they teargassed her cell
      “We’re returning to Palestine!”
      I am an Arab woman of colour and we come in all shades of anger.
      But you tell me, this womb inside me
      will only bring you your next terrorist
      beard wearing, gun waving, towelhead, sand nigger
      You tell me, I send my children out to die
      but those are your copters, your F16′s in our sky
      And let’s talk about this terrorism business for a second
      Wasn’t it the CIA that killed Allende and Lumumba
      and who trained Osama in the first place
      My grandparents didn’t run around like clowns
      with the white capes and the white hoods on their heads lynching black people

      I am an Arab woman of colour and we come in all shades of anger.
      “So who is that brown woman screaming in the demonstration?”
      Sorry, should I not scream?
      I forgot to be your every orientalist dream
      Jinnee in a bottle, belly dancer, harem girl, soft spoken Arab woman
      Yes master, no master.
      Thank you for the peanut butter sandwiches
      raining down on us from your F16′s master
      Yes my liberators are here to kill my children
      and call them “collateral damage”
      I am an Arab woman of colour and we come in all shades of anger.
      So let me just tell you this womb inside me
      will only bring you your next rebel
      She will have a rock in one hand and a Palestinian flag in the other

      I am an Arab woman of color
      Beware! Beware my anger…

      https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=67746&lang=it

      #Rafeef_Ziadah #poésie #Palestine #arabe #langue #langue_arabe #poème #dommages_collatéraux #conflit #Israël #terrorisme #colère

  • La mission d’information sur le rôle de l’éducation et de la culture dans la Défense nationale a été créée par le bureau de la commission de la Défense nationale et des forces armées de l’Assemblée nationale le 14 novembre 2023. Ses travaux visent à s’interroger sur le rôle que peuvent ou que pourraient avoir l’éducation et la culture dans la consolidation de l’esprit de défense des citoyens. Les députés désignés rapporteurs de la mission d’information mènent depuis le mois de décembre 2023 de nombreuses auditions d’acteurs publics ou privés issus notamment des secteurs de l’éducation, de la culture ou du monde de la défense.

    Afin d’associer pleinement les citoyens à sa réflexion, la mission d’information a décidé de mener une consultation citoyenne. Cette initiative doit permettre de consulter directement les Français sur leur perception du rôle de l’éducation dans la Défense nationale, en les interrogeant notamment sur leur rapport à l’éducation à la défense, à la journée défense et citoyenneté (JDC) ou encore au service national universel (SNU). https://assemblee-nationale.limequery.org/516594?lang=fr

    #consultation #SNU #refuser_massivement

  • Je verrai toujours vos visages

    Depuis 2014, en France, la Justice Restaurative propose à des personnes #victimes et auteurs d’infraction de dialoguer dans des dispositifs sécurisés, encadrés par des professionnels et des bénévoles comme Judith, Fanny ou Michel. Nassim, Issa, et Thomas, condamnés pour vols avec violence, Grégoire, Nawelle et Sabine, victimes de homejacking, de braquages et de vol à l’arraché, mais aussi Chloé, victime de viols incestueux, s’engagent tous dans des mesures de Justice Restaurative. Sur leur parcours, il y a de la #colère et de l’#espoir, des #silences et des #mots, des #alliances et des #déchirements, des prises de conscience et de la #confiance retrouvée… Et au bout du chemin, parfois, la #réparation...

    https://www.youtube.com/watch?v=YecNA3DW334

    #justice #justice_transformative #film

  • Le vol de la délivrance : dans l’avion qui évacue des jeunes Gazaouis, malades et blessés, vers Abou Dhabi
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/02/24/le-vol-de-la-delivrance-dans-l-avion-qui-evacue-des-jeunes-gazaouis-malades-

    Le vol de la délivrance : dans l’avion qui évacue des jeunes Gazaouis, malades et blessés, vers Abou Dhabi
    Par Ghazal Golshiri (Envoyée spéciale à A Al-Arish et Abou Dhabi)
    Alors que le soleil se couche sur l’aéroport international d’El-Arich, dans la péninsule égyptienne du Sinaï, une dizaine d’ambulances et quelques bus sont garés côte à côte. Ce mardi 20 février, dans le hangar de la base aérienne, quelque deux cents Palestiniens, évacués de Gaza, terminent des démarches administratives avant de monter dans un Boeing 777 de la compagnie aérienne émiratie Etihad, à destination d’Abou Dhabi. Parmi eux : des enfants blessés, accompagnés d’au moins un proche, des malades atteints du cancer et des résidents des Emirats arabes unis (EAU).
    Depuis mi-novembre 2023, environ cinq cents Palestiniens de Gaza ont été accueillis et pris en charge dans la pétromonarchie du Golfe. Une goutte dans un océan de besoins, alors que selon les autorités de santé de l’enclave, la guerre a fait près de 30 000 morts et 70 000 blessés, côté palestinien. A la mi-février, seuls onze des trente-six hôpitaux de la bande de Gaza était encore en service.
    De plus en plus de rapports font état de familles qui luttent pour nourrir leurs enfants et d’un risque croissant de morts dues à la faim, notamment dans le nord de Gaza, quasiment hors d’atteinte des convois de ravitaillement. « La faim et la maladie forment une combinaison mortelle », a prévenu Mike Ryan, directeur exécutif du programme d’urgence sanitaire de l’Organisation mondiale de la santé (OMS), le 19 février.
    Le vol de ce 20 février entre El-Arich et Abou Dhabi est le douzième affrété par les Emirats depuis le début de la guerre, le 7 octobre 2023. (...) Quelques semaines après le début de la guerre à Gaza, les Emirats ont annoncé leur intention de recevoir mille enfants blessés de Gaza et autant de malades du cancer, de tous les âges. Les candidats à l’évacuation sont proposés par les équipes médicales dans la bande côtière, puis les noms sont soumis aux autorités israélienne et égyptienne pour validation. « Le plus grand défi est ensuite pour ces gens d’arriver au poste-frontière de Rafah, côté Gaza. Parfois, les patients sont beaucoup trop malades pour pouvoir l’atteindre. Souvent, les ambulances transportant les patients sont bloquées sur la route à cause des combats », explique Maha Barakat, la vice-ministre d’Etat au ministère des affaires étrangères émirati, qui chapeaute ces évacuations en personne.
    Certains jours, la frontière reste fermée, comme ce 20 février. Ceux qui sont évacués ce jour-là avaient quitté Gaza il y a quelques jours. « Parmi les patients, beaucoup souffrent de complications secondaires, par exemple une infection des os après une première amputation, qui, parfois, demande une amputation supplémentaire du membre affecté », regrette Maha Barakat. Dans ces vols affrétés par les Emiratis, des Gazaouis, évacués plus tôt aux Emirats, font parfois le chemin inverse et retournent à Gaza. Le 20 février, c’est le cas d’une mère de famille d’une cinquantaine d’années, souffrant de leucémie, qui, pendant deux mois, a pu être traitée à Abou Dhabi. « Contrairement aux conseils des médecins, elle a décidé de revenir auprès de ses enfants restés à Gaza, alors qu’il lui restait encore six mois de traitements », explique Maha Barakat. Elle se souvient d’une autre mère de famille qui a accompagné aux Emirats son fils, atteint de leucémie, pour qu’il y suive une chimiothérapie. Sa maladie étant trop avancée, l’enfant est mort. La mère est retournée à Gaza pour l’y enterrer. A côté de ces évacuations, les Emirats ont mis en place un hôpital de campagne de deux cents lits dans la bande de Gaza et ont construit une unité de désalinisation de l’eau de mer à la frontière entre Gaza et l’Egypte, fournissant de l’eau potable à 600 000 habitants de la bande côtière.
    Ces opérations humanitaires ne vont pas sans arrière-pensées politiques. Le massacre des Palestiniens de Gaza, retransmis en quasi direct sur la chaîne Al-Jazira et sur les réseaux sociaux, bouleverse l’opinion publique arabe. De l’Atlantique au golfe Persique, les populations exigent de leurs dirigeants qu’ils se mobilisent pour leurs frères palestiniens. L’attitude des EAU est particulièrement scrutée, en raison de l’accord de normalisation diplomatique qu’ils ont signé avec Israël, à l’été 2020. Une décision vue comme une trahison dans une large partie du monde arabe, où la Palestine constitue une cause identitaire, quasi sacrée. D’où les efforts déployés par Abou Dhabi pour venir en aide à la population de Gaza et pour le faire savoir.
    (...) Lorsque les bombardements israéliens ont commencé, les deux filles ont été privées de tout traitement. Finalement, début décembre 2023, accompagnées de leur mère et de leur sœur aînée, elles ont pu franchir le terminal de Rafah et pénétrer en Egypte. Leurs trois frères sont restés avec leur père dans le sud de Gaza. Fin janvier, dans un hôpital d’El-Arich, un médecin émirati s’intéresse au cas de May. (...) Il y a quelques jours, elle a demandé au médecin supervisant les soins de May ce qui adviendra d’elle après la guerre. Le praticien lui a dit : « Tant que la guerre se poursuit, vous restez ici et May reçoit son médicament. » Et après ? Le médecin a été franc : « Désolé ! Je n’ai pas de réponse pour vous. » Même pour les Palestiniens sortis de Gaza, l’avenir ressemble à un gigantesque point d’interrogation.

    #Covid-19#migrant#migration#gaza#egypte#Emiratsarabesunis#sante#evacuation#conflit#humanitaire#palestinien

  • 🌻 Tournesol Talks : Décrypter les enjeux du numérique avec des experts aujourd’hui rencontre avec Anne Alombert Maître de conférences en philosophie à l’Université Paris 8, spécialisée dans les rapports entre vie, technique et esprit. Elle a étudié à l’École Normale Supérieure de Lyon et est auteure d’une thèse sur Derrida et Simondon. Ses travaux explorent les enjeux des technologies contemporaines et elle a contribué au programme de recherche dirigé par Bernard Stiegler.

    Tournesol.app est un projet de recherche participatif sur l’éthique des systèmes de recommandation

    Comment ça marche ?
    – Regardez des vidéos sur la plateforme Tournesol.
    – Donnez votre avis sur chaque vidéo en répondant à un court questionnaire.
    – Aidez-nous à identifier les vidéos d’utilité publique qui devraient être largement recommandées.
    Pourquoi participer ?
    – Votre contribution est essentielle pour faire avancer la recherche sur l’éthique des systèmes de recommandation.
    – Participez à un projet citoyen qui vise à construire un numérique plus juste et plus responsable.
    – Donnez votre avis sur les contenus que vous souhaitez voir recommandés.

    En rejoignant le projet Tournesol, vous faites un geste concret pour un numérique plus riche, plus diversifié et plus humain.
    #IA #controverses #éthique #sciencespo #medialab #intelligenceartificielle #technologie #innovation #société #avenir
    https://www.youtube.com/watch?v=Z04ouls5yB4&feature=shared

  • L’IA : entre fascination et controverses ⚖️
    Plongez au cœur des débats brûlants autour de l’intelligence artificielle (IA) dans cette interview captivante avec Dominique Cardon, professeur de sociologie à Sciences Po, et Valérie Beaudouin, directrice d’études à l’EHESS. #IA #controverses #éthique #sciencespo #medialab #intelligenceartificielle #technologie #innovation #société #avenir
    Dans cet échange éclairant, ils explorent :
    – Les différentes formes de controverses liées à l’IA
    – Les défis de la régulation de ces technologies puissantes
    – Le rôle crucial de l’éthique dans le développement de l’IA
    – La responsabilité des mondes professionnels qui utilisent l’IA

    Visionnez cette interview incontournable pour mieux comprendre les enjeux de l’IA et participer à la construction de son avenir !
    https://www.youtube.com/watch?v=d-04sLEfcRE

    a voir aussi la revue réseaux : https://www.revue-reseaux.fr

  • #Profilage_raciste : la #Cour_européenne_des_droits_de_l’homme rend un #arrêt de principe dans l’affaire #Wa_Baile

    C’est un litige stratégique exemplaire : #Mohamed_Wa_Baile a recouru contre le contrôle de police raciste qu’il a subi devant toutes les instances suisses, jusqu’à la Cour européenne des droits de l’homme. Les juges de Strasbourg ont finalement donné raison à M. Wa Baile dans un arrêt de principe rendu aujourd’hui, constatant que la Suisse a enfreint l’interdiction de la #discrimination.


    C’est un incident qui a eu lieu il y a maintenant neuf ans : le 5 février 2015 au matin, Mohamed Wa Baile est le seul à se faire contrôler par deux fonctionnaires de police parmi la foule en gare de Zurich. Les agent·e·x·s ayant reconnu qu’aucune personne Noire n’était recherchée, Wa Baile refuse de décliner son identité. Après avoir trouvé sa carte AVS dans son sac à dos, les fonctionnaires de police le laissent partir.

    Peu de temps après, M. Wa Baile reçoit l’ordre de payer une amende de 100 francs pour #refus_d'obtempérer aux injonctions de la police. Il décide de contester cette décision, ayant déjà subi un grand nombre de contrôles de police dégradants en public en raison de la couleur de sa peau. A travers cette procédure judiciaire, il souhaite attirer l’attention sur la problématique du profilage raciste, qui touche de nombreuses personnes en Suisse.

    Soutenu par l’« #Alliance_contre_le_profilage_raciste » qui prend forme autour de son cas, Mohamed Wa Baile porte plainte et lance une procédure civile devant les tribunaux suisses. Le Tribunal fédéral n’ayant constaté aucune violation de l’interdiction de la discrimination dans cette affaire, M. Wa Baile dépose alors une requête devant la Cour européenne des droits de l’homme (CrEDH).

    En 2022, la CrEDH a reconnu l’importance du ce cas en le désignant comme une « affaire à impact ». Dans son arrêt rendu aujourd’hui, la Cour a constaté à l’unanimité trois violations de la Convention européenne des droits de l’homme (CEDH). Elle estime que la Suisse a violé à deux reprises l’interdiction de la discrimination, garantie par l’article 14 CEDH combiné avec l’article 8 (droit au respect de la vie privée) : d’une part, compte tenu des circonstances concrètes du contrôle d’identité, elle constate une discrimination de M. Wa Baile sur la base de sa couleur de peau ; d’autre part, elle conclut que les tribunaux suisses n’ont pas examiné de manière effective si des motifs discriminatoires avaient joué un rôle dans le contrôle subi par le requérant. Les juges de Strasbourg estiment également que la Suisse a violé l’article 13 CEDH (droit à un recours effectif), dans la mesure où M. Wa Baile n’a pas bénéficié d’un recours effectif devant les juridictions internes.

    « Cet arrêt constitue une étape importante dans la lutte contre le profilage raciste (délit de faciès) et le racisme institutionnel » déclare l’Alliance contre le profilage raciste dans son communiqué de presse. Cette décision phare a des répercussions sur la politique, le système judiciaire et la police en Suisse et dans tous les Etats ayant ratifié la Convention européenne des droits de l’homme. La Cour met la Suisse dans l’obligation de prendre des mesures efficaces et globales pour empêcher que les contrôles de police racistes se reproduisent à l’avenir.

    humanrights.ch accompagne ce litige stratégique depuis son lancement, l’ayant notamment documenté dans cet article : https://www.humanrights.ch/fr/litiges-strategiques/cas-traites/delit-facies

    https://www.humanrights.ch/fr/nouvelles/profilage-raciste-cour-europeenne-droits-homme-arret-principe-affaire-wa
    #CEDH #justice #racisme #police #contrôles_policiers #Suisse #profilage_racial #couleur_de_peau

  • #Frontex, comment sont gardées les frontières de l’Union européenne ?

    L’ancien directeur #Fabrice_Leggeri a annoncé rejoindre la liste du #Rassemblement_national pour les élections européennes. L’occasion de se demander quel est le #mandat de Frontex, et quel droit régule cette agence chargée de contrôler les frontières européennes.

    Fabrice Leggeri, ancien patron de Frontex, l’agence européenne chargée d’assister les États membres dans la gestion et le contrôle des frontières extérieures de l’espace Schengen, rallie le Rassemblement national ainsi que la liste de Jordan Bardella pour les #élections_européennes de juin prochain. L’occasion de revenir sur les attributions de Frontex.

    L’obligation d’assistance

    Créée en 2004, Frontex fête ses vingt ans cette année. Deux décennies, au cours desquelles l’agence chargée d’assister les États membres dans la gestion et le contrôle de leurs frontières, a démultiplié tant ses effectifs que son budget et s’est progressivement imposée au cœur du débat migratoire européen. Ludivine Richefeu, maîtresse de conférences en droit privé et sciences criminelles à l’université de Cergy-Pontoise, met en avant les exigences humanitaires et d’#assistance auxquelles l’organisation est soumise par le droit européen et international. “Frontex est une agence qui peut intervenir en amont, avant que les migrants soient dans le territoire européen, en apportant un soutien logistique et opérationnel aux États tiers. Par exemple en #Algérie, au #Maroc ou en #Tunisie en ce qui concerne les flux migratoires traversant les côtes maghrébines. Concrètement, le soutien se traduit par l’envoi de personnel Frontex, de #personnel_détaché des États membres ou encore de matériel. Lorsqu’une embarcation entre dans les eaux territoriales, le droit contraint l’agence à lui porter secours et à la rattacher à un port sûr. S’il y a des mineurs non accompagnés ou des femmes enceintes parmi les passagers, ils doivent obligatoirement être pris en charge. Juridiquement, le statut de réfugié est déclaratoire et n’est pas soumis à l’approbation des États membres. La personne est d’abord réfugiée en elle-même. Le #droit_international oblige les États à la prendre en charge pour ensuite examiner sa demande afin de la protéger des persécutions qu’elle risque ou subit dans son pays.”

    Une agence sous le feu des critiques

    Fabrice Leggeri, l’ancien directeur de Frontex entre 2015 et 2022 qui vient de rejoindre la liste du Rassemblement national pour les élections européennes, avait démissionné de son poste notamment à la suite d’accusations de refoulement illégaux de migrants. Ludivine Richefeu nous détaille cette pratique aussi appelée le "pushback" et ses origines. “Le refoulement a lieu lorsqu’une embarcation pénètre dans les eaux territoriales d’un État membre et qu’elle en est repoussée sans que les situations des passagers soient examinées et que l’assistance qui leur est due soit apportée. Des sources journalistiques et des rapports de l’#Office_Européen_Antifraude (#OLAF), nous détaillent ces pratiques. Concrètement, lorsque que l’embarcation est détectée, Frontex envoie les coordonnées aux équipes d’intervention des États membres qui repoussent le navire sous sa supervision. Pour ce faire, les équipes recourent à des menaces, à des formes coercitives et même parfois à l’usage d’armes.”

    Ces pratiques illégales s’inscrivent notamment dans l’élargissement des compétences de l’agence ces dernières années, rappelle la chercheuse. “Grâce à plusieurs règlements adoptés entre 2016 et 2019, Frontex a maintenant un rôle fondamental en matière de lutte contre la criminalité transfrontière et la migration irrégulière est intégrée à cet objectif de criminalité.”

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/la-question-du-jour/frontex-comment-sont-gardees-les-frontieres-de-l-union-europeenne-135792
    #frontières #migrations #réfugiés #audio #podcast #externalisation #contrôles_frontaliers #push-backs #refoulements

  • Des agriculteurs en colère investissent le siège de Lactalis, à Laval
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2024/02/21/des-agriculteurs-en-colere-investissent-le-siege-de-lactalis-a-laval_6217733

    A l’appel de la Confédération paysanne, membres du syndicat et éleveurs ont forcé l’entrée du géant de l’industrie laitière pour dénoncer ses pratiques et réclamer une meilleure rémunération.

    Quelque 200 manifestants en colère ont pénétré, mercredi 21 février, dans le siège de Lactalis à Laval (Mayenne), à l’appel de la Confédération paysanne, pour dénoncer les pratiques du géant de l’industrie laitière et réclamer une meilleure rémunération des éleveurs, a constaté un journaliste de l’Agence France-Presse (AFP).

  • Quand le #comité_d’éthique du #CNRS se penche sur l’#engagement_public des chercheurs et chercheuses

    #Neutralité ? #Intégrité ? #Transparence ?

    Le Comité d’éthique du CNRS rappelle qu’il n’y a pas d’#incompatibilité de principe, plaide pour un « guide pratique de l’engagement » et place la direction de l’institution scientifique devant les mêmes obligations que les chercheurs.

    Avec la crise climatique, la pandémie de covid-19, l’accroissement des inégalités, le développement de l’intelligence artificielle ou les technologies de surveillance, la question de l’#engagement public des chercheurs est d’autant plus visible que les réseaux sociaux leur permettent une communication directe.

    Cette question dans les débats de société n’est pas nouvelle. De l’appel d’#Albert_Einstein, en novembre 1945, à la création d’un « #gouvernement_du_monde » pour réagir aux dangers de la #bombe_atomique à l’alerte lancée par #Irène_Frachon concernant le #Médiator, en passant par celle lancée sur les dangers des grands modèles de langage par #Timnit_Gebru et ses collègues, les chercheurs et chercheuses s’engagent régulièrement et créent même des sujets de #débats_publics.

    Une question renouvelée dans un monde incertain

    Le #comité_d'éthique_du_CNRS (#COMETS) ne fait pas semblant de le découvrir. Mais, selon lui, « face aux nombreux défis auxquels notre société est confrontée, la question de l’engagement public des chercheurs s’est renouvelée ». Il s’est donc auto-saisi pour « fournir aux chercheurs des clés de compréhension et des repères éthiques concernant l’engagement public » et vient de publier son #rapport sur le sujet [PDF].

    Il faut dire que les deux premières années du Covid-19 ont laissé des traces dans la communauté scientifique sur ces questions de prises de paroles des chercheurs. Le COMETS avait d’ailleurs publié en mai 2021 un avis accusant Didier Raoult alors que la direction du Centre avait rappelé tardivement à l’ordre, en août de la même année, et sans le nommer, le sociologue et directeur de recherche au CNRS Laurent Mucchielli, qui appelait notamment à suspendre la campagne de vaccination.

    Le COMETS relève que les chercheurs s’engagent selon des modalités variées, « de la signature de tribunes à la contribution aux travaux d’ONG ou de think tanks en passant par le soutien à des actions en justice ou l’écriture de billets de blog ». Il souligne aussi que les #réseaux_sociaux ont « sensiblement renforcé l’exposition publique des chercheurs engagés ».

    La présidente du comité d’éthique, Christine Noiville, égrène sur le site du CNRS, les « interrogations profondes » que ces engagements soulèvent :

    « S’engager publiquement, n’est-ce pas contraire à l’exigence d’#objectivité de la recherche ? N’est-ce pas risquer de la « politiser » ou de l’« idéologiser » ? S’engager ne risque-t-il pas de fragiliser la #crédibilité du chercheur, de mettre à mal sa réputation, sa carrière ? Est-on en droit de s’engager ? Pourrait-il même s’agir d’un devoir, comme certains collègues ou journalistes pourraient le laisser entendre ? »

    Pas d’incompatibilité de principe

    Le comité d’éthique aborde les inquiétudes que suscite cet engagement public des chercheurs et pose franchement la question de savoir s’il serait « une atteinte à la #neutralité_scientifique ? ». Faudrait-il laisser de côté ses opinions et valeurs pour « faire de la « bonne » science et produire des connaissances objectives » ?

    Le COMETS explique, en s’appuyant sur les travaux de l’anthropologue #Sarah_Carvallo, que ce concept de neutralité est « devenu central au XXe siècle, pour les sciences de la nature mais également pour les sciences sociales », notamment avec les philosophes des sciences #Hans_Reichenbach et #Karl_Popper, ainsi que le sociologue #Max_Weber dont le concept de « #neutralité_axiologique » – c’est-à-dire une neutralité comme valeur fondamentale – voudrait que le « savant » « tienne ses #convictions_politiques à distance de son enseignement et ne les impose pas subrepticement ».

    Mais le comité explique aussi, que depuis Reichenbach, Popper et Weber, la recherche a avancé. Citant le livre d’#Hilary_Putnam, « The Collapse of the Fact/Value Dichotomy and Other Essays », le COMETS explique que les chercheurs ont montré que « toute #science s’inscrit dans un #contexte_social et se nourrit donc de #valeurs multiples ».

    Le comité explique que le monde de la recherche est actuellement traversé de valeurs (citant le respect de la dignité humaine, le devoir envers les animaux, la préservation de l’environnement, la science ouverte) et que le chercheur « porte lui aussi nécessairement des valeurs sociales et culturelles dont il lui est impossible de se débarrasser totalement dans son travail de recherche ».

    Le COMETS préfère donc insister sur les « notions de #fiabilité, de #quête_d’objectivité, d’#intégrité et de #rigueur de la #démarche_scientifique, et de transparence sur les valeurs » que sur celle de la neutralité. « Dans le respect de ces conditions, il n’y a aucune incompatibilité avec l’engagement public du chercheur », assure-t-il.

    Liberté de s’engager... ou non

    Il rappelle aussi que les chercheurs ont une large #liberté_d'expression assurée par le code de l’éducation tout en n’étant pas exemptés des limites de droit commun (diffamation, racisme, sexisme, injure ...). Mais cette liberté doit s’appliquer à double sens : le chercheur est libre de s’engager ou non. Elle est aussi à prendre à titre individuel, insiste le COMETS : la démarche collective via les laboratoires, sociétés savantes et autres n’est pas la seule possible, même si donner une assise collective « présente de nombreux avantages (réflexion partagée, portée du message délivré, moindre exposition du chercheur, etc.) ».

    Le comité insiste par contre sur le fait que, lorsque le chercheur s’engage, il doit « prendre conscience qu’il met en jeu sa #responsabilité, non seulement juridique mais aussi morale, en raison du crédit que lui confère son statut et le savoir approfondi qu’il implique ».

    Il appuie aussi sur le fait que sa position privilégiée « crédite sa parole d’un poids particulier. Il doit mettre ce crédit au service de la collectivité et ne pas en abuser ».

    Des #devoirs lors de la #prise_de_parole

    Outre le respect de la loi, le COMETS considère, dans ce cadre, que les chercheurs et chercheuses ont des devoirs vis-à-vis du public. Notamment, ils doivent s’efforcer de mettre en contexte le cadre dans lequel ils parlent. S’agit-il d’une prise de parole en nom propre ? Le thème est-il dans le domaine de compétence du chercheur ? Est-il spécialiste ? A-t-il des liens d’intérêts ? Quelles valeurs sous-tendent son propos ? Le #degré_de_certitude doit aussi être abordé. Le Comité exprime néanmoins sa compréhension de la difficulté pratique que cela implique, vu les limites de temps de paroles dans les médias.

    Une autre obligation qui devrait s’appliquer à tout engagement de chercheurs selon le COMETS, et pas des moindres, est de l’asseoir sur des savoirs « robustes » et le faire « reposer sur une démarche scientifique rigoureuse ».

    Proposition de co-construction d’un guide

    Le COMETS recommande, dans ce cadre, au CNRS d’ « élaborer avec les personnels de la recherche un guide de l’engagement public » ainsi que des formations. Il propose aussi d’envisager que ce guide soit élaboré avec d’autres organismes de recherche.

    La direction du CNRS à sa place

    Le Comité d’éthique considère en revanche que « le CNRS ne devrait ni inciter, ni condamner a priori l’engagement des chercheurs, ni opérer une quelconque police des engagements », que ce soit dans l’évaluation des travaux de recherche ou dans d’éventuelles controverses provoquées par un engagement public.

    « La direction du CNRS n’a pas vocation à s’immiscer dans ces questions qui relèvent au premier chef du débat scientifique entre pairs », affirme-t-il. La place du CNRS est d’intervenir en cas de problème d’#intégrité_scientifique ou de #déontologie, mais aussi de #soutien aux chercheurs engagés « qui font l’objet d’#attaques personnelles ou de #procès_bâillons », selon lui.

    Le comité aborde aussi le cas dans lequel un chercheur mènerait des actions de #désobéissance_civile, sujet pour le moins d’actualité. Il considère que le CNRS ne doit ni « se substituer aux institutions de police et de justice », ni condamner par avance ce mode d’engagement, « ni le sanctionner en lieu et place de l’institution judiciaire ». Une #sanction_disciplinaire peut, par contre, être envisagée « éventuellement », « en cas de décision pénale définitive à l’encontre d’un chercheur ».

    Enfin, le Comité place la direction du CNRS devant les mêmes droits et obligations que les chercheurs dans son engagement vis-à-vis du public. Si le CNRS « prenait publiquement des positions normatives sur des sujets de société, le COMETS considère qu’il devrait respecter les règles qui s’appliquent aux chercheurs – faire connaître clairement sa position, expliciter les objectifs et valeurs qui la sous-tendent, etc. Cette prise de position de l’institution devrait pouvoir être discutée sur la base d’un débat contradictoire au sein de l’institution ».

    https://next.ink/985/quand-comite-dethique-cnrs-se-penche-sur-engagement-public-chercheurs-et-cherc

    • Avis du COMETS « Entre liberté et responsabilité : l’engagement public des chercheurs et chercheuses »

      Que des personnels de recherche s’engagent publiquement en prenant position dans la sphère publique sur divers enjeux moraux, politiques ou sociaux ne constitue pas une réalité nouvelle. Aujourd’hui toutefois, face aux nombreux défis auxquels notre société est confrontée, la question de l’engagement public des chercheurs s’est renouvelée. Nombre d’entre eux s’investissent pour soutenir des causes ou prendre position sur des enjeux de société – lutte contre les pandémies, dégradation de l’environnement, essor des technologies de surveillance, etc. – selon des modalités variées, de la signature de tribunes à la contribution aux travaux d’ONG ou de think tanks en passant par le soutien à des actions en justice ou l’écriture de billets de blog. Par ailleurs, le développement des médias et des réseaux sociaux a sensiblement renforcé l’exposition publique des chercheurs engagés.

      Dans le même temps, de forts questionnements s’expriment dans le monde de la recherche. Nombreux sont ceux qui s’interrogent sur les modalités de l’engagement public, son opportunité et son principe même. Ils se demandent si et comment s’engager publiquement sans mettre en risque leur réputation et les valeurs partagées par leurs communautés de recherche, sans déroger à la neutralité traditionnellement attendue des chercheurs, sans perdre en impartialité et en crédibilité. Ce débat, qui anime de longue date les sciences sociales, irrigue désormais l’ensemble de la communauté scientifique.

      C’est dans ce contexte que s’inscrit le présent avis. Fruit d’une auto-saisine du COMETS, il entend fournir aux chercheurs des clés de compréhension et des repères éthiques concernant l’engagement public.

      Le COMETS rappelle d’abord qu’il n’y a pas d’incompatibilité de principe entre, d’un côté, l’engagement public du chercheur et, de l’autre, les normes attribuées ou effectivement applicables à l’activité de recherche. C’est notamment le cas de la notion de « neutralité » de la science, souvent considérée comme une condition indispensable de production de connaissances objectives et fiables. Si on ne peut qu’adhérer au souci de distinguer les faits scientifiques des opinions, il est illusoire de penser que le chercheur puisse se débarrasser totalement de ses valeurs : toute science est une entreprise humaine, inscrite dans un contexte social et, ce faisant, nourrie de valeurs. L’enjeu premier n’est donc pas d’attendre du chercheur qu’il en soit dépourvu mais qu’il les explicite et qu’il respecte les exigences d’intégrité et de rigueur qui doivent caractériser la démarche scientifique.

      Si diverses normes applicables à la recherche publique affirment une obligation de neutralité à la charge du chercheur, cette obligation ne fait en réalité pas obstacle, sur le principe, à la liberté et à l’esprit critique indissociables du travail de recherche, ni à l’implication du chercheur dans des débats de société auxquels, en tant que détenteur d’un savoir spécialisé, il a potentiellement une contribution utile à apporter.

      Le COMETS estime que l’engagement public doit être compris comme une liberté individuelle et ce, dans un double sens :

      -- d’une part, chaque chercheur doit rester libre de s’engager ou non ; qu’il choisisse de ne pas prendre position dans la sphère publique ne constitue en rien un manquement à une obligation professionnelle ou morale qui lui incomberait ;

      -- d’autre part, le chercheur qui s’engage n’a pas nécessairement à solliciter le soutien de communautés plus larges (laboratoire, société savante, etc.), même si le COMETS considère que donner une assise collective à une démarche d’engagement présente de nombreux avantages (réflexion partagée, portée du message délivré, moindre exposition du chercheur, etc.).

      S’il constitue une liberté, l’engagement nécessite également pour le chercheur de prendre conscience qu’il met en jeu sa responsabilité, non seulement juridique mais aussi morale, en raison du crédit que lui confère son statut et le savoir approfondi qu’il implique. En effet, en s’engageant publiquement, le chercheur met potentiellement en jeu non seulement sa réputation académique et sa carrière, mais aussi l’image de son institution, celle de la recherche et, plus généralement, la qualité du débat public auquel il contribue ou qu’il entend susciter. Le chercheur dispose d’une position privilégiée qui crédite sa parole d’un poids particulier. Il doit mettre ce crédit au service de la collectivité et ne pas en abuser. Le COMETS rappelle dès lors que tout engagement public doit se faire dans le respect de devoirs.

      Ces devoirs concernent en premier lieu la manière dont le chercheur s’exprime publiquement. Dans le sillage de son avis 42 rendu à l’occasion de la crise du COVID-19, le COMETS rappelle que le chercheur doit s’exprimer non seulement en respectant les règles de droit (lois mémorielles, lois condamnant la diffamation, l’injure, etc.) mais aussi en offrant à son auditoire la possibilité de mettre son discours en contexte, au minimum pour ne pas être induit en erreur. A cet effet, le chercheur doit prendre soin de :

      situer son propos : parle-t-il en son nom propre, au nom de sa communauté de recherche, de son organisme de rattachement ? Quel est son domaine de compétence ? Est-il spécialiste de la question sur laquelle il prend position ? Quels sont ses éventuels liens d’intérêts (avec telle entreprise, association, etc.) ? Quelles valeurs sous-tendent son propos ? ;
      mettre son propos en perspective : quel est le statut des résultats scientifiques sur lesquels il s’appuie ? Des incertitudes demeurent-elles ? Existe-t-il des controverses ?

      Le COMETS a conscience de la difficulté pratique à mettre en œuvre certaines de ces normes (temps de parole limité dans les médias, espace réduit des tribunes écrites, etc.). Leur respect constitue toutefois un objectif vers lequel le chercheur doit systématiquement tendre. Ce dernier doit également réfléchir, avant de s’exprimer publiquement, à ce qui fonde sa légitimité à le faire.

      En second lieu, les savoirs sur lesquels le chercheur assoit son engagement doivent être robustes et reposer sur une démarche scientifique rigoureuse. Engagé ou non, il doit obéir aux exigences classiques d’intégrité et de rigueur applicables à la production de connaissances fiables – description du protocole de recherche, référencement des sources, mise à disposition des résultats bruts, révision par les pairs, etc. Le COMETS rappelle que ces devoirs sont le corollaire nécessaire de la liberté de la recherche, qui est une liberté professionnelle, et que rien, pas même la défense d’une cause, aussi noble soit-elle, ne justifie de transiger avec ces règles et de s’accommoder de savoirs fragiles. Loin d’empêcher le chercheur d’affirmer une thèse avec force dans l’espace public, ces devoirs constituent au contraire un soutien indispensable à l’engagement public auquel, sinon, il peut lui être facilement reproché d’être militant.

      Afin de munir ceux qui souhaitent s’engager de repères et d’outils concrets, le COMETS invite le CNRS à élaborer avec les personnels de la recherche un guide de l’engagement public. Si de nombreux textes existent d’ores et déjà qui énoncent les droits et devoirs des chercheurs – statut du chercheur, chartes de déontologie, avis du COMETS, etc. –, ils sont éparpillés, parfois difficiles à interpréter (sur l’obligation de neutralité notamment) ou complexes à mettre en œuvre (déclaration des liens d’intérêt dans les médias, etc.). Un guide de l’engagement public devrait permettre de donner un contenu lisible, concret et réaliste à ces normes apparemment simples mais en réalité difficiles à comprendre ou à appliquer.

      Le COMETS recommande au CNRS d’envisager l’élaboration d’un tel guide avec d’autres organismes de recherche qui réfléchissent actuellement à la question. Le guide devrait par ailleurs être accompagné d’actions sensibilisant les chercheurs aux enjeux et techniques de l’engagement public (dont des formations à la prise de parole dans les médias).

      Le COMETS s’est enfin interrogé sur le positionnement plus général du CNRS à l’égard de l’engagement public.

      Le COMETS considère que de manière générale, le CNRS ne devrait ni inciter, ni condamner a priori l’engagement des chercheurs, ni opérer une quelconque police des engagements. En pratique :

      – dans l’évaluation de leurs travaux de recherche, les chercheurs ne devraient pas pâtir de leur engagement public. L’évaluation de l’activité de recherche d’un chercheur ne devrait porter que sur ses travaux de recherche et pas sur ses engagements publics éventuels ;

      – lorsque l’engagement public conduit à des controverses, la direction du CNRS n’a pas vocation à s’immiscer dans ces questions qui relèvent au premier chef du débat scientifique entre pairs ;

      – le CNRS doit en revanche intervenir au cas où un chercheur contreviendrait à l’intégrité ou à la déontologie (au minimum, les référents concernés devraient alors être saisis) ou en cas de violation des limites légales à la liberté d’expression (lois mémorielles, lois réprimant la diffamation, etc.) ; de même, l’institution devrait intervenir pour soutenir les chercheurs engagés qui font l’objet d’attaques personnelles ou de procès bâillons.

      – au cas où un chercheur mènerait des actions de désobéissance civile, le CNRS ne devrait pas se substituer aux institutions de police et de justice. Il ne devrait pas condamner ex ante ce mode d’engagement, ni le sanctionner en lieu et place de l’institution judiciaire. A posteriori, en cas de décision pénale définitive à l’encontre d’un chercheur, le CNRS peut éventuellement considérer que son intervention est requise et prendre une sanction.

      Plus généralement, le COMETS encourage le CNRS à protéger et à favoriser la liberté d’expression de son personnel. Il est en effet de la responsabilité des institutions et des communautés de recherche de soutenir la confrontation constructive des idées, fondée sur la liberté d’expression.

      Si le CNRS venait à décider de s’engager en tant qu’institution, c’est-à-dire s’il prenait publiquement des positions normatives sur des sujets de société, le COMETS considère qu’il devrait respecter les règles qui s’appliquent aux chercheurs – faire connaître clairement sa position, expliciter les objectifs et valeurs qui la sous-tendent, etc. Cette prise de position de l’institution devrait pouvoir être discutée sur la base d’un débat contradictoire au sein de l’institution.

      Pour télécharger l’avis :
      https://comite-ethique.cnrs.fr/wp-content/uploads/2023/09/AVIS-2023-44.pdf

      https://comite-ethique.cnrs.fr/avis-du-comets-entre-liberte-et-responsabilite-engagement-public

      #avis

  • Complicit of data surveillance tools? Bordering and education data tracking tools

    The University of #Sheffield has recently introduced an attendance monitoring app which tracks the location of students. Attendance monitoring was introduced in UK universities in order to fulfill the requirements around international student monitoring for the purposes of Home Office visa issuing status. While attendance monitoring, now in app form, is couched in the language of student wellbeing, monitoring and now tracking actually reflect the imperatives of government immigration monitoring.

    https://www.sheffield.ac.uk/migration-research-group/events/complicit-data-surveillance-tools-bordering-and-education-data-tracking
    #université #UK #Angleterre #frontières #surveillance #contrôles_frontaliers #Home_Office #app #hostile_environment #visas #géolocalisation #étudiants_étrangers #complicité

    • New tools available to support attendance monitoring

      New tools to support staff with attendance monitoring - following a successful pilot scheme - are being made available in the Faculty of Science.

      Staff across the Faculty will begin to use two tools to support attendance monitoring following a successful pilot undertaken in the previous academic year.

      The tools will support departments to efficiently collect attendance data in a transparent way that complies with UKVI and GDPR requirements, and supports greater consistency in the student experience across the University.

      The Digital Register app (used by students for data collection) will be supported by a new Attendance and Engagement Dashboard which shows - at a glance- where there may be attendance concerns, so that appropriate support can be offered to students.

      Dr Thomas Anderson, Director of Education in Chemistry, said: "It has been transformative for our administrative team in checking attendance of international students which they need to report for visa reasons - avoiding a great deal of paperwork and dealing with personal tutors directly. This has saved a significant amount of staff time.

      “The system has been excellent for easily being able to identify students at-a-glance who are serial non-attenders, allowing us to intervene before their situation becomes irrevocable.”

      More information about the tools are available on the web support pages. An online demo is also available that lasts just over two minutes.

      In preparation for teaching in semester one, lecturers should download the iSheffield app from the Apple App Store or Google Play store and look for the check in tile. Before each teaching event, a six-digit code will be accessible that lecturers will need to share with students. Students will then input this code into their sheffield app to register their attendance at their event.

      Jo Marriott, Deputy Faculty Director of Operations in the Faculty of Science, is overseeing the implementation of the tools in our departments and is keen to hear about your experiences as we move over to this new way of attendance monitoring. Questions, and details of any challenges you face, can also be directed to the wider development team at StudentProductTeam@sheffield.ac.uk

      https://www.sheffield.ac.uk/science/news/new-tools-available-support-attendance-monitoring

  • Quand Emmanuel Macron maltraite le Conseil d’État - AOC media
    https://aoc.media/opinion/2024/02/19/quand-emmanuel-macron-maltraite-le-conseil-detat

    POLITIQUE
    Quand Emmanuel Macron maltraite le Conseil d’État
    Par Thomas Perroud

    JURISTE
    L’intervention directe d’Emmanuel Macron dans la nomination clé au Conseil d’État met en lumière la volonté présidentielle de contrôler étroitement les organes judiciaires et de s’inscrire dans le discours critiquant l’indépendance des juges. En ébranlant les fondements des contre-pouvoirs et en défiant ouvertement les normes européennes, le gouvernement actuel semble esquisser les contours d’un « Frexit » juridique, questionnant profondément le futur de la France dans son rapport aux droits fondamentaux et à son ancrage européen.

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    La décision d’Emmanuel Macron de refuser la nomination de Rémy Schwartz pour présider la section des Finances du Conseil d’État pour lui préférer un autre candidat que celui qui avait été choisi en interne est loin d’être anecdotique.

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    D’abord, elle est révélatrice d’un désaveu du Conseil d’État, accusé de ne pas juger en faveur de l’exécutif : elle reflète en ce sens un rejet des contre-pouvoirs tout en rejouant une petite musique – encore sourde mais de plus en plus audible –, de critique frontale des juges et des droits de l’Homme. Ensuite, elle s’inscrit dans une série de décisions menaçant les institutions indépendantes. Enfin, elle traduit, dans l’histoire constitutionnelle française, la propension des exécutifs forts à privilégier des personnalités proches du pouvoir pour occuper les postes majeurs au Conseil d’État : depuis sa création par Napoléon, le Conseil d’État a ainsi toujours été cronfort.

    Le macronisme et le tournant populiste du conservatisme français
    Quelle est la justification avancée pour refuser ainsi un candidat irréprochable ? Les explications fournies aussi bien dans l’Opinion que dans la Lettre doivent alerter. Il est reproché au Conseil d’État de suivre la jurisprudence de la Cour de justice de l’Union européenne et de la CEDH. Cet argument doit être pris au sérieux : il s’inscrit dans le lobbying exercé par certains cercles pour une forme de Frexit juridique. Déjà, le Conseil d’État a, dans une décision importante mais passée inaperçue dans l’opinion, fait prévaloir une lecture conservatrice de la Constitution sur une jurisprudence claire et protectrice des droits de la Cour de justice, allant ainsi dans le sens du ministère de l’Intérieur et permettant une surveillance de masse des données des internautes : avec cette décision, c’est la première fois que le Conseil d’État met un coup d’arrêt à sa posture accueillante au droit de l’Union européenne et au droit international en général, politique inaugurée à la fin des années quatre-vingt.

    Si l’exécutif est engagé dans une politique de rupture vis-à-vis de l’Union européenne et de la CEDH, il est plus que temps d’ouvrir cette position au débat public. Au lieu d’affronter ce débat, il semble que les gouvernants actuellement au pouvoir tentent d’obtenir une sécession, par le bas, de l’Europe, en faisant pression sur les tribunaux. Au titre de l’Union européenne, c’est le droit de la protection des données qui est menacé et, bien entendu, le droit de l’environnement. Au titre de la CEDH, ce sont les droits qui ont offert aux individus des garanties contre la puissance étatique qui font l’objet des critiques, ainsi que les droits protégeant les migrants. Ce faisant, l’exécutif français se fait l’écho d’une voix qui perce dans l’espace public.

    La critique des droits de l’Homme et du gouvernement des juges est de plus en plus insistante. Le 6 janvier 2024, Alain Finkielkraut, Franz-Olivier Giesbert et Jean-Louis Bourlanges se sont ainsi retrouvés d’accord dans « Répliques » pour estimer que le Conseil d’État, le Conseil constitutionnel et la Cour de justice comme la CEDH ont pris le pouvoir en France. Ce point de vue est partagé par Jean-Eric Schoettl, ancien Secrétaire général du Conseil constitutionnel[1] ou Noëlle Lenoir, ancienne juge constitutionnelle. Jean-Eric Schoettl, depuis sa critique du gouvernement des juges, est à l’origine de l’idée de « bouclier constitutionnel » pour se protéger de l’Europe. Le dernier livre de Franz-Olivier Giesbert tire ainsi sans ménagements sur le Conseil d’État avec une violence peu commune[2].

    Si la décision précitée vient sanctionner une politique jurisprudentielle trop accommodante vis-à-vis de l’Europe – politique qui date des années 80, il faut le dire – les signaux annonciateurs d’un Frexit juridique s’accumulent depuis la décision sur la rétention de masse des données des internautes jusqu’à la décision de la Cour de cassation refusant l’effet direct de la Charte des droits sociaux de l’Union européenne pour donner sa pleine application aux fameux « barèmes Macron » en cas de licenciement. Le Brexit a lui aussi été précédé d’une campagne contre les juges – qui continue d’ailleurs. Des deux côtés de la Manche, c’est bien le même programme politique sous-jacent, profondément illibéral, visant à amenuiser les contre-pouvoirs, qui est à l’œuvre. Le macronisme s’inscrit dans cette veine, en combattant une indépendance de la justice qu’il a pourtant le devoir constitutionnel de défendre.

    Le macronisme et les contre-pouvoirs
    La décision doit aussi être inscrite dans une série témoignant une volonté de reprise en main des corps indépendants. L’instrumentalisation du Conseil constitutionnel, qui a été dénoncée récemment à l’occasion de la loi sur l’immigration, n’est sans doute pas récente : dès sa création, le Conseil a été pensé comme étant proche du Président de la République, son premier président, Léon Noël, inaugurant des entretiens réguliers avec le général de Gaulle, entretiens refusés avec les parlementaires.

    Beaucoup plus insolite a été la décision d’Emmanuel Macron de ne pas renouveler Isabelle de Silva à la présidence de l’Autorité de la concurrence. C’est la première fois depuis les années quatre-vingt qu’un président de la République manifeste ainsi son pouvoir vis-à-vis d’une institution de ce rang. Cet acte n’est pas isolé : Laurent Mauduit a réalisé une enquête très approfondie sur tous les cas d’ingérence, qui se sont en réalité multipliés dans la période récente, en prenant pour levier le pouvoir de nomination détenu par le président de la République. Le parti Renaissance a aussi évoqué la suppression de certaines autorités administratives indépendantes en mai 2023[3].

    L’intégrité du Conseil d’État victime des exécutifs forts
    Il est aussi intéressant de regarder le type de profil privilégié pour le poste de président de la section des Finances. La Lettre explique que le profil « est allé au contact du politique » ». Alors que les précédents désaveux présidentiels étaient motivés par la trop grande proximité du profil retenu par le Conseil d’État avec un engagement partisan (François Mitterrand refusant Guy Braibant proche du parti communiste ou Nicolas Sarkozy rejetant Christian Vigouroux pour sa proximité avec le parti socialiste), c’est un motif opposé qui a animé le président Emmanuel Macron.

    Or, préférer un profil proche du politique est une constante des présidents autoritaires de notre histoire constitutionnelle. En instituant le Conseil d’État, Napoléon ne voulait pas d’un juge indépendant ; la IIIe République avait renforcé cette indépendance, en supprimant sa fonction consultative pour les projets de loi. Après l’arrêt Canal en 1962, le général de Gaulle a été jusqu’à vouloir supprimer le Conseil d’Etat : si le projet a été abandonné, les réformes consécutives à cette crise ont consisté à rapprocher davantage le Conseil d’État du politique en créant notamment la double appartenance des membres du Conseil aux sections consultatives et aux sections contentieuses. Préférer un profil proche du politique, donc « conflicté » c’est faire sentir au Conseil d’État sa dépendance : c’est un rappel à l’ordre.

    Qu’un président de la République veuille défendre une certaine politique est naturel dans une démocratie, particulièrement en France puisqu’il est élu au suffrage universel direct. Ce qui est navrant et profondément antilibéral, c’est un mode d’expression du mécontentement qui se passe d’explication, de motivation – et de motivation en droit – et fait dépendre la nomination des plus hauts fonctionnaires d’un critère politique plutôt que de l’intégrité d’une carrière dévouée au service de l’intérêt général.

    Thomas Perroud

    #Conseil_d'Etat #illibéralisme #Macron

  • Widespread contamination of soils and vegetation with current use pesticide residues along altitudinal gradients in a European Alpine valley

    Pesticides are transferred outside of cropland and can affect animals and plants. Here we investigated the distribution of 97 current use pesticides in soil and vegetation as central exposure matrices of insects. Sampling was conducted on 53 sites along eleven altitudinal transects in the Vinschgau valley (South Tyrol, Italy), in Europe’s largest apple growing area. A total of 27 pesticides (10 insecticides, 11 fungicides and 6 herbicides) were detected, originating mostly from apple orchards. Residue numbers and concentrations decreased with altitude and distance to orchards, but were even detected at the highest sites. Predictive, detection-based mapping indicates that pesticide mixtures can occur anywhere from the valley floor to mountain peaks. This study demonstrates widespread pesticide contamination of Alpine environments, creating contaminated landscapes. As residue mixtures have been detected in remote alpine ecosystems and conservation areas, we call for a reduction of pesticide use to prevent further contamination and loss of biodiversity.


    https://www.nature.com/articles/s43247-024-01220-1
    #montagne #Alpes #Tyrol_du_sud #contamination_du_sol #sols #sol #pollution #agriculture #pollution_du_sol #pommes #pesticides #Sud-Tyrol #Italie #cartographie #visualisation

  • Cassazione, dare i migranti ai guardiacoste di Tripoli è reato

    La consegna di migranti alla guardia costiera libica è reato perché la Libia «non è porto sicuro».

    E’ quanto sancisce una sentenza della Corte di Cassazione che ha reso definitiva la condanna del comandante del rimorchiatore #Asso_28 che il 30 luglio del 2018 soccorse 101 persone nel Mediterraneo centrale e li riportò in Libia consegnandoli alla Guardia costiera di Tripoli. Della sentenza scrive Repubblica.

    Per i supremi giudici favorire le intercettazioni dei guardiacoste di Tripoli rientra nella fattispecie illecita «dell’abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci e di sbarco e abbandono arbitrario di persone». Nella sentenza viene sostanzialmente sancito che l’episodio del 2018 fu un respingimento collettivo verso un Paese non ritenuto sicuro vietato dalla Convenzione europea per i diritti umani.

    Casarini, dopo Cassazione su migranti pronti a #class_action

    "Con la sentenza della Corte di Cassazione, che ha chiarito in maniera definitiva che la cosiddetta «guardia costiera libica» non può «coordinare» nessun soccorso, perché non è in grado di garantire il rispetto dei diritti umani dei naufraghi, diventa un reato grave anche ordinarci di farlo, come succede adesso. Ora metteremo a punto non solo i ricorsi contro il decreto Piantedosi, che blocca per questo le navi del soccorso civile, ma anche una grande class action contro il governo e il ministro dell’Interno e il memorandum Italia-Libia". E’ quanto afferma Luca Casarini della ong Mediterranea Saving Humans.

    "Dovranno rispondere in tribunale delle loro azioni di finanziamento e complicità nelle catture e deportazioni che avvengono in mare ad opera di una «sedicente» guardia costiera - aggiunge Casarini -, che altro non è che una formazione militare che ha come compito quello di catturare e deportare, non di «mettere in salvo» le donne, gli uomini e i bambini che cercano aiuto. La suprema corte definisce giustamente una gravissima violazione della Convenzione di Ginevra, la deportazione in Libia di migranti e profughi che sono in mare per tentare di fuggire da quell’inferno". Casarini ricorda, inoltre, che di recente la nave Mare Jonio di Mediterranea "di recente è stata colpita dal fermo amministrativo del governo per non aver chiesto alla Libia il porto sicuro. Proporremo a migliaia di cittadini italiani, ad associazioni e ong, di sottoscrivere la «class action», e chiederemo ad un tribunale della Repubblica di portare in giudizio i responsabili politici di questi gravi crimini. Stiamo parlando di decine di migliaia di esseri umani catturati in mare e deportati in Libia, ogni anno, coordinati di fatto da Roma e dall’agenzia europea Frontex.

    E il ministro Piantedosi, proprio ieri, l’ha rivendicato testimoniando al processo a Palermo contro l’allora ministro Salvini. Lui si è costruito un alibi, con la distinzione tra centri di detenzione legali e illegali in Libia, dichiarando che «l’Italia si coordina con le istituzioni libiche che gestiscono campi di detenzione legalmente. Finalmente questo alibi, che è servito fino ad ora a coprire i crimini, è crollato grazie al pronunciamento della Cassazione. Adesso questo ministro deve essere messo sotto processo, perché ha ammesso di avere sistematicamente commesso un reato, gravissimo, che ha causato morte e sofferenze a migliaia di innocenti».

    https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2024/02/17/cassazione-dare-i-migranti-a-guardiacoste-di-tripoli-e-reato_cfcb3461-c654-4f3c

    #justice #migrations #asile #réfugiés #frontières #gardes-côtes_libyens #Libye #jurisprudence #condamnation #externalisation #pull-backs #refoulements #push-backs #cour_de_cassation #cassation #port_sûr

    • Sentenza Cassazione: Consegnare gli immigranti alla guardia costiera libica è reato

      La Libia è un paese canaglia: bocciati Minniti, Conte e Meloni. Dice la sentenza della Cassazione, è noto che in Libia i migranti subiscono vessazioni, violenze e tortura. Quindi è un reato violare la legge internazionale e il codice di navigazione che impongono di portare i naufraghi in un porto sicuro

      Il governo italiano (sia questo in carica sia quelli di centrosinistra che avevano Marco Minniti come ministro dell’interno) potrebbe addirittura finire sotto processo sulla base di una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione.

      Dice questa sentenza che la Libia non è un porto sicuro, e che dunque non si possono consegnare alla Libia (o favorire la cattura da parte delle motovedette libiche) le persone salvate da un naufragio.

      Dice la sentenza, è noto che in Libia i migranti subiscono vessazioni, violenze e tortura. Quindi è un reato violare la legge internazionale e il codice di navigazione che impongono di portare i naufraghi in un porto sicuro.

      Che la Libia non fosse un porto sicuro era stranoto. Bastava non leggere i giornali italiani per saperlo. La novità è che questa evidente verità viene ora formalmente affermata con una sentenza della Cassazione che fa giurisprudenza. E che, come è del tutto evidente, mette in discussione gli accordi con la Libia firmati dai governi di centrosinistra e poi confermati dai governi Conte e infine dai governi di centrodestra.

      Accordi che si basarono persino sul finanziamento italiano e sulla consegna di motovedette – realizzate a spese del governo italiano – alle autorità di Tripoli. Ora quegli accordi devono essere immediatamente cancellati e in linea di principio si potrebbe persino ipotizzare l’apertura di processi (se non è scattata la prescrizione) ai responsabili di quegli accordi.

      I reati per i quali la Cassazione con questa sentenza ha confermato la condanna al comandante di una nave che nel luglio del 2018 (governo gialloverde, Salvini ministro dell’Interno) consegnò alla guardia costiera libica 101 naufraghi salvati in mezzo al Mediterraneo sono “abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci, e di sbarco e abbandono arbitrario di persone”. La Cassazione ha dichiarato formalmente che la Libia non è un porto sicuro.

      Tutta la politica dei respingimenti a questo punto, se dio vuole, salta in aria. La Cassazione ha stabilito che bisogna tornare allo Stato di diritto, a scapito della propaganda politica. E saltano in aria anche i provvedimenti recentemente adottati dalle autorità italiane sulla base del decreto Spazza-naufraghi varato circa un anno fa dal governo Meloni.

      Ancora in queste ore c’è una nave della Ocean Viking che è sotto fermo amministrativo perché accusata di non aver seguito le direttive impartite dalle autorità libiche. Ovviamente dovrà immediatamente essere dissequestrata e forse c’è anche il rischio che chi ha deciso il sequestro finisca sotto processo. Inoltre bisognerà restituire la multa e probabilmente risarcire il danno.

      E quello della Ocean Viking è solo uno di numerosissimi casi. Certo, perché ciò avvenga sarebbe necessaria una assunzione di responsabilità sia da parte del Parlamento sia da parte della magistratura. E le due cose non sono probabilissime.

      https://www.osservatoriorepressione.info/sentenza-cassazione-consegnare-gli-immigranti-alla-guardia

    • Italy’s top court: Handing over migrants to Libyan coast guards is illegal

      Italy’s highest court, the Cassation Court, has ruled that handing over migrants to Libyan coast guards is unlawful because Libya does not represent a safe port. The sentence could have major repercussions.

      Handing over migrants rescued in the Central Mediterranean to Tripoli’s coast guards is unlawful because Libya is not a safe port and it is conduct which goes against the navigation code, the Cassation Court ruled on February 17. The decision upheld the conviction of the captain of the Italian private vessel Asso 28, which, on July 30, 2018, rescued 101 individuals in the central Mediterranean and then handed them over to the Libyan coast guards to be returned to Libya.

      The supreme court judges ruled in sentence number 4557 that facilitating the interception of migrants and refugees by the Libyan coast guards falls under the crime of “abandonment in a state of danger of minors or incapacitated people and arbitrary disembarkation and abandonment of people.” This ruling effectively characterizes the 2018 incident as collective refoulement to a country not considered safe, contravening the European Convention on Human Rights.

      NGOs announce class action lawsuit

      Beyond its political implications, the Cassation’s decision could significantly impact ongoing legal proceedings, including administrative actions. NGOs have announced a class action lawsuit against the government, the interior minister, and the Italy-Libya memorandum.

      The case, which was first examined by the tribunal of Naples, focuses on the intervention of a trawler, a support ship for a platform, to rescue 101 migrants who were on a boat that had departed from Africa’s coast.

      According to investigators, the ship’s commander was asked by personnel on the rig to take on board a Libyan citizen, described as a “Libyan customs official”, who suggested sailing to Libya and disembarking the rescued migrants.

      The supreme court judges said the defendant “omitted to immediately communicate, before starting rescue operations and after completing them, to the centres of coordination and rescue services of Tripoli and to the IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Centre) of Rome, in the absence of a reply by the first,” that the migrants had been rescued and were under his charge.

      The Cassation ruled that, by operating in this way, the commander violated “procedures provided for by the International Convention for the Safety of Life at Sea (SOLAS) and by the directives of the International Maritime Organization,” thus carrying out a “collective refoulement to a port deemed unsafe like Libya.”

      Furthermore, the Cassation emphasized the commander’s obligation to ascertain whether the migrants wanted to apply for asylum and conduct necessary checks on accompanying minors.
      ’Cassation should not be interpreted ideologically on Libya’, Piantedosi

      “Italy has never coordinated and handed over to Libya migrants rescued in operations coordinated or directly carried out by Italy,” Interior Minister Matteo Piantedosi said on February 19, when asked to comment the Cassation’s ruling. “That sentence must be read well — sentences should never be interpreted in a political or ideological manner,” he said.

      Piantedosi contextualized the ruling within the circumstances prevailing in Libya at the time, citing efforts to assist Libya with EU cooperation. He highlighted the government’s adherence to principles governing repatriation activities and concluded by saying “there can be no spontaneity” and that “coordination” is essential.

      https://twitter.com/InfoMigrants/status/1759901204501438649?t=ZlLRzR3-jQ0e6-y0Q2GPJA

  • Emmanuel Macron défend la suppression du droit du sol sur l’île de Mayotte, devenue « la première maternité de France »
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/02/19/emmanuel-macron-defend-la-suppression-du-droit-du-sol-sur-l-ile-de-mayotte-d

    Emmanuel Macron défend la suppression du droit du sol sur l’île de Mayotte, devenue « la première maternité de France »
    Le Monde avec AFP
    Le président de la République, Emmanuel Macron, a défendu, dans un entretien à l’Humanité publié dimanche 18 février au soir, le projet de loi, controversé, du gouvernement consistant à supprimer le droit du sol à Mayotte, département français d’outre-mer, pour endiguer l’immigration illégale, en majorité en provenance de l’archipel des Comores. « Il est légitime de poser cette question, car les Mahorais souffrent. Ils ont d’ailleurs accueilli très positivement cette proposition, quelles que soient leurs sensibilités politiques. Nous devons casser le phénomène migratoire à Mayotte, au risque d’un effondrement des services publics sur l’île », plaide-t-il.
    Mayotte est un département français situé dans l’archipel très pauvre des Comores. « Des familles y circulent et arrivent en France, via Mayotte, où elles ont accès à des prestations complètement décorrélées de la réalité socioéconomique de l’archipel », juge le président. « Mayotte est la première maternité de France, avec des femmes qui viennent y accoucher pour faire des petits Français. Objectivement, il faut pouvoir répondre à cette situation », affirme-t-il.« A cela s’ajoute un nouveau phénomène, ces derniers mois, compte tenu des difficultés sécuritaires dans la région des Grands Lacs : une arrivée massive de personnes en provenance de Tanzanie et d’autres pays », explique-t-il. Pour « casser ce phénomène migratoire », M. Macron veut aussi « restreindre l’accès aux droits sociaux pour les personnes en situation irrégulière ». Mais le président assure que « restreindre le droit du sol pour Mayotte ne signifie pas le faire pour le reste du pays », comme le réclament la droite et l’extrême droite. « Je reste très profondément attaché à ce droit pour la France », assure-t-il.

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