• Lancement de la première usine de recyclage | Plastic Odyssey
    https://plasticodyssey.org/installation-micro-usine-guinee-bgs-recyplast

    L’entreprise BGS Recyplast (Binedou Global Services) est installée à Conakry, en République de Guinée, depuis 2018. Elle produit de façon artisanale une centaine de pavés routiers par jour, à partir de déchets plastiques ramassés dans la ville. Depuis leur rencontre, Plastic Odyssey et Mariam travaillent main dans la main pour développer et faire grandir l’activité de recyclage existante de BGS Recyplast.

    #plastique #recyclage #conakry #Open_source #Low_tech

  • Il sistema delle “coop pigliatutto”

    Per anni hanno dominato il settore dell’accoglienza in Veneto prima di sbarcare nella detenzione amministrativa. Oggi gestiscono due Cpr, tra cui quello di Gradisca d’Isonzo, dove dalla sua riapertura sono morte quattro persone

    Il 16 dicembre del 2019 il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, riapre, a sei anni dalle proteste che hanno portato alla sua chiusura. Tra i primi trattenuti del nuovo corso, c’è un gruppo di circa settanta persone provenienti dal centro di Bari, dove sono stati bruciati tre degli ultimi quattro moduli rimasti dopo le proteste dei mesi precedenti. Bibudi Anthony Nzuzi è tra coloro che sono stati trasferiti «di punto in bianco», dice, in Friuli. L’accoglienza non è stata delle migliori: «Pioveva, faceva freddo, ci siamo ritrovati i poliziotti in tenuta antisommossa. Non avevamo materassi, non c’erano coperte, non avevamo niente per poterci vestire. Ci siamo ritrovati a dormire al freddo perché non c’era il riscaldamento», racconta.

    Nzuzi è nel Cpr friulano anche tra il 17 e il 18 gennaio 2020, quando muore un trattenuto georgiano di 37 anni, Vakhtang Enukidze. I poliziotti di cui parla Nzuzi stanno sedando una protesta. «Hanno inizialmente pestato tutti, solo che lui [Vakhtang Enukidze] era caduto – racconta – ma continuavano a pestarlo e gli altri ragazzi si sono buttati addosso ai poliziotti e l’hanno tirato via».

    Nzuzi si trova nello stesso reparto di Enukidze ma in un’altra cella. «La sera lui [Vakhtang Enukidze] lamentava dolori, non si sentiva bene – ricorda, ripensando ai momenti dopo che la polizia ha lasciato il Cpr -. È andato a dormire e non si è più risvegliato». Questa versione è stata confermata da alcune testimonianze raccolte dal deputato Riccardo Magi durante due visite ispettive subito dopo il decesso. Non dagli investigatori, però.

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    L’inchiesta in breve

    - Ekene nasce nel 2017 come diretta emanazione di Ecofficina ed Edeco, enti che hanno dominato il mercato dell’accoglienza in Veneto guadagnandosi l’appellativo di “coop pigliatutto”
    - A gestirla è Simone Borile, imprenditore padovano che proviene dal business dei rifiuti. Sebbene non compaia mai nella visura camerale, viene considerato dagli inquirenti di Venezia “amministratore di fatto” delle cooperative
    - Nel 2016, Ecofficina-Edeco si aggiudica due centri di accoglienza, a Cona e Bagnoli. Per la gestione dei due hub, sono nati due processi paralleli a Padova e Venezia, dove sono indagati alcuni funzionari delle due prefetture e i vertici della cooperativa, tra cui Simone Borile. Le accuse, a vario titolo, sono di frode nell’esecuzione del contratto, inadempimento e frode degli obblighi contrattuali, rivelazioni di segreto d’ufficio
    - Con la liquidazione di Edeco nasce Ekene, che segna l’ingresso nel mondo della detenzione amministrativa con l’aggiudicazione dei Cpr di Gradisca d’Isonzo, in Friuli-Venezia Giulia, e Macomer, in Sardegna
    – Dalla sua riapertura nel gennaio 2019, nel Cpr friulano sono morte quattro persone. Borile è indagato per omidicio colposo per il decesso di Vakhtang Enukidze, lasciato secondo l’accusa per nove ore senza soccorsi
    – Nell’ottobre 2022, la cooperativa veneta ha vinto la gara per la gestione del Cpr di Caltanissetta. Dopo sette mesi la Prefettura ha annullato l’aggiudicazione per i procedimenti a carico dei vertici

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    A seguito della morte di Enukidze, la procura di Gorizia ha cominciato a indagare. L’autopsia sul deceduto ha stabilito come causa della morte un edema polmonare e cerebrale dovuto non a un pestaggio, ma a un cocktail di farmaci e stupefacenti. Così a essere riviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo sono stati il direttore del centro, Simone Borile, e il centralinista che era di turno quel giorno. La cooperativa che ha in gestione il Cpr si chiama Ekene. È nata dalle ceneri di Ecofficina ed Edeco, conosciute in Veneto come “coop pigliatutto”, per aver dominato per anni la gestione dell’accoglienza in tutta la regione.

    Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Enukidze è stato lasciato senza soccorso per diverse ore, nonostante le richieste di aiuto degli altri trattenuti, prima di essere trasferito in ospedale, dove è morto alle 15:37. La sorella, Asmat, ricorda l’ultima telefonata in cui percepiva una voce diversa: «Sembrava che avesse bevuto. Aveva dei dolori e gli avevano dato qualcosa per calmarlo, un antidolorifico. Stava talmente male che non riusciva nemmeno ad andare all’udienza. Mi diceva di contattare l’ambasciata georgiana, per farlo uscire dal Cpr», racconta. Simone Borile, raggiunto al telefono da IrpiMedia, ha una versione diversa dei fatti: «È stato soccorso immediatamente, appena c’è stata la chiamata», il problema «riguarda il mancato funzionamento del sistema di chiamata. Niente a che vedere con il mancato soccorso».
    L’ascesa di Ecofficina tra le coop dell’accoglienza

    Borile ha cominciato a lavorare con i migranti dai tempi di Ecofficina Educational, cooperativa con sede a Battaglia Terme, in provincia di Padova, fondata il 2 agosto 2011. Il direttore del Cpr di Gradisca non appare nella visura camerale in quanto sarebbe stato un semplice consulente esterno. Gli inquirenti di Venezia e Padova che indagheranno sulla società, sosterranno tuttavia che sia lo stesso Borile l’amministratore di fatto delle “coop pigliatutto”.

    I legami tra Borile e i vertici di Ecofficina sono però evidenti: vicepresidente della cooperativa è la moglie Sara Felpati mentre il presidente del consiglio di amministrazione è Gaetano Battocchio, coinvolto con lui nel processo per bancarotta della società di gestione dei rifiuti della Bassa Padovana, Padova Tre srl, ma poi assolto, al contrario di Borile che a marzo 2023 è stato uno dei due condannati in primo grado a quattro anni e otto mesi per peculato perché avrebbe trattenuto illegalmente un importo di oltre tre milioni di euro.

    È nel dicembre 2014 che per la prima volta il nome di Ecofficina viene accostato a un caso di frode nelle pubbliche forniture e maltrattamenti sugli ospiti. Il processo che ne è scaturito si chiuderà otto anni e mezzo dopo, il 12 luglio 2023, con l’assoluzione dei vertici della cooperativa perché il fatto non sussiste.

    Durante gli anni passati a processo, Ecofficina Educational – che nel 2015 ha ceduto parte dell’azienda a un’altra cooperativa, Ecofficina Servizi – si aggiudica diversi appalti per l’accoglienza migranti in particolare nella provincia di Padova, con un monopolio che comprende l’ex Caserma Prandina di Padova, l’Hotel Maxim’s a Montagnana, lo Sprar del comune di Due Carrare e l’accoglienza di più di 700 migranti nelle province di Venezia, Vicenza e Rovigo.

    Nel caso dello Sprar di Due Carrare, uno dei requisiti fondamentali per partecipare era aver svolto in modo continuativo, e per almeno due anni, l’attività di accoglienza. A gennaio 2016, la cooperativa ha depositato una dichiarazione attestante una convenzione con la Prefettura di Padova che provava l’inizio dell’attività il 6 gennaio 2014, nonostante Ecofficina fosse entrata nel settore solo nel maggio dello stesso anno. Grazie alla documentazione falsa, secondo l’ipotesi degli inquirenti di Padova, Ecofficina avrebbe ottenuto l’aggiudicazione provvisoria delle gare per la gestione di centri di accoglienza. Il processo che è scaturito dall’indagine è ancora in corso, riporta il Mattino di Padova. IrpiMedia non ha ricevuto alcuna risposta a domande di chiarimento rivolte via email alla cooperativa su questo e su altri temi.

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    Cpa, Cas, Sai: le sigle dell’accoglienza

    In Italia il sistema di accoglienza dovrebbe svilupparsi su due binari: a un primo livello ci sono i Centri di prima accoglienza (Cpa) e gli hotspot, e a un secondo il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), strutture gestite dagli enti locali su base volontaria, che dovrebbero rappresentare il sistema ordinario. I Centri di accoglienza straordinaria (Cas), invece, dovrebbero essere individuati e istituiti dalle prefetture nel caso in cui i posti negli altri centri fossero esauriti. La maggior parte delle persone che arrivano sul territorio però sono accolte nei Cas, sintomo di una gestione perennemente emergenziale del fenomeno. In base ai dati del rapporto di Actionaid Centri d’Italia del 2022, i posti nei Cas, dove è ospitato oltre il 65% delle persone, e nei Cpa sono infatti quasi 63 mila, a fronte dei 34 mila posti del Sai.

    I centri di prima accoglienza e gli hotspot sono invece strutture nate per identificare, fotosegnalare e assistere dal punto di vista sanitario le persone appena arrivate in Italia. Dovrebbero fornire anche le prime informazioni legali per la richiesta di protezione internazionale.

    Nel Sai – prima conosciuto come Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) e prima ancora come Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) – i servizi assicurati sono solitamente superiori rispetto agli altri centri e mirano ad accompagnare le persone accolte nei loro percorsi di vita e di autonomia: oltre al vitto e all’alloggio, sono infatti assicurate assistenza legale, mediazione linguistica, orientamento lavorativo, insegnamento della lingua italiana, assistenza psicosociale.

    A parte alcune categorie di soggetti, come i minori stranieri non accompagnati, il decreto firmato il 10 marzo 2023 dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha escluso i richiedenti asilo dalla possibilità di essere accolti nel sistema ordinario, riservando loro i pochi servizi di base garantiti dal Cas, ulteriormente ridotti: l’assistenza materiale, sanitaria e linguistica, vitto e alloggio, eliminando i servizi di assistenza psicologica, i corsi di italiano e l’orientamento legale.

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    Gli anni di Edeco

    Dopo le vicende di Ecofficina, la cooperativa cambia nome. Spunta dunque un nuovo attore nel mercato dell’accoglienza in Veneto: Edeco. I vertici però rimangono invariati. La cooperativa inizia a partecipare ai bandi per la gestione dell’accoglienza a partire dal 2016, quando il suo organigramma si arricchisce di nuove figure. Tra queste, Annalisa Carraro, che con Battocchio, Felpati e Borile sarà imputata nel processo di Venezia. Quell’anno in Italia il numero dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) cresce di quasi il doppio rispetto all’anno precedente, con 137 mila strutture dove si concentra il 78% dei richiedenti asilo. In particolare, in Veneto questa tendenza si affianca alla resistenza degli amministratori locali verso il sistema di accoglienza diffusa rappresentato dagli Sprar (oggi Sai).

    È in questo contesto che nascono centri come la tendopoli nell’ex base militare di Cona, in provincia di Venezia, gestita provvisoriamente da Ecofficina fino al luglio del 2016. Quel mese sarà proprio Edeco, in un raggruppamento temporaneo d’imprese con Ecos e Food Service, ad aggiudicarsi il nuovo appalto.

    Le denunce sulle condizioni interne emergono già dal giugno dello stesso anno, quando alcune associazioni effettuano una visita al centro evidenziando il sovraffollamento e la carenza dei servizi essenziali. Le proteste successive dei richiedenti asilo spingono il presidente della Confcooperative del Veneto, Ugo Campagnaro, a prendere la decisione di sospendere Ecofficina-Edeco con queste motivazioni: «Non esiste una legge che impedisca di ospitare e gestire centinaia di profughi in un’unica struttura. Questo però è un sistema che non risponde alle logiche della buona accoglienza […]. Si tratta invece di un modello che guarda soprattutto al business».

    I problemi diventano evidenti quando a gennaio 2017 Sandrine Bakayoko, 25enne ivoriana ospite del centro di Cona, muore per trombosi polmonare. Questo episodio porterà ad alcuni lavori di ristrutturazione e alla riduzione degli ospiti da 1.600 a 1.000, misure comunque non sufficienti a evitare la protesta dei richiedenti asilo, che a novembre si mettono in marcia verso Venezia per ottenere un incontro con il prefetto di Venezia, che alla fine deciderà di spostarli in altre strutture, scrive Internazionale.

    Due anni più tardi la Procura di Venezia chiede il rinvio a giudizio per i vertici di Ecofficina-Edeco. Borile, sempre “amministratore di fatto” a quanto afferma l’accusa, e i suoi colleghi avrebbero impiegato un numero di operatori inferiore agli obblighi contrattuali, un’inadempienza che sarebbe stata coperta dai trasferimenti di personale dall’altro grande centro gestito dalla cooperativa, quello di Bagnoli, in provincia di Padova, e dalla falsificazione dei documenti, che avrebbero fatto apparire un numero di operatori superiore. Inoltre, l’impiego di medici e infermieri con turni e orari inferiori rispetto a quanto previsto dal capitolato d’appalto avrebbe procurato un ingiusto profitto di oltre 200 mila euro. Tutto questo sarebbe stato possibile anche grazie alle informazioni fornite dalla Prefettura. Secondo quanto emerge da alcune intercettazioni contenute nelle carte processuali, ex prefetti e funzionari avrebbero preannunciato e in alcuni casi concordato con i responsabili della cooperativa l’orario e la data delle visite ispettive. Una prassi che avrebbe permesso a Ecofficina-Edeco di organizzarsi in anticipo per coprire eventuali falle.

    Per questo motivo, la giudice per le indagini preliminari ha accolto le richieste di rinvio a giudizio, tra gli altri, anche nei confronti dell’ex prefetto pro tempore di Venezia Domenico Cuttaia e dell’allora vice prefetto vicario Vito Cusumano per rivelazione di segreto d’ufficio.

    Raggiunto al telefono, Simone Borile ha commentato in questo modo: «Non si trattava di ispezioni, ma esclusivamente di una visita di cortesia». Il processo è ancora in primo grado, in fase dibattimentale: nell’ultima udienza, un’ex operatrice ha raccontato che era il personale a firmare il foglio presenze per conto dei richiedenti asilo, in modo da poter ricevere dalla Prefettura la quota diaria per ogni persona accolta, riporta Il Gazzettino.

    Un processo molto simile si sta svolgendo a Padova sulla gestione del Cas di Bagnoli. Tra gli imputati ci sono ancora una volta Sara Felpati, Simone Borile, Gaetano Battocchio, oltre all’ex viceprefetto Pasquale Aversa, il vicario Alessandro Sallusto e una funzionaria della Prefettura. Le accuse a vario titolo sono di turbativa d’asta, frode nelle forniture pubbliche, truffa, concussione per induzione, rivelazione di segreti d’ufficio e falso ideologico. Secondo l’accusa, grazie ai contatti con la Prefettura, Borile, Battocchio e Felpati avrebbero ottenuto informazioni sui concorrenti, partecipando a un bando su misura per Edeco. Anche in questo caso viene contestata la presenza di personale in numero inferiore rispetto al capitolato d’appalto e le chiamate di preavviso della Prefettura prima di alcune ispezioni per permettere alla cooperativa di farsi trovare in regola.
    I danni delle indagini

    Le indagini finiscono per danneggiare la “coop pigliatutto” che alla fine del 2018, anno di chiusura delle strutture di Cona e Bagnoli, avvia una procedura di licenziamento collettivo per 57 lavoratori, a cui se ne aggiungono 71 in scadenza di contratto. Si tratta di addetti alle pulizie e custodia, operai, insegnanti, tecnici, psicologi, educatori che riducono sensibilmente la rosa di Edeco, composta fino ad allora da 228 dipendenti. Nel 2020, Edeco inizia il processo di liquidazione, ma comincia a prendere nuova forma, sempre con lo stesso sistema: la creazione di nuove cooperative.

    Questa volta sono due le cooperative che prendono il testimone di Edeco, segnando l’ingresso nel mondo del trattenimento dei cittadini stranieri: Ekene e Tuendelee. La prima è dedicata quasi esclusivamente alla gestione dei Cpr, la seconda all’attività principale di «pulizia generale (non specializzata) di edifici», oltre a servizi educativi e socio-sanitari come le «attività di prima accoglienza per cittadini stranieri».

    Simone Borile, che di nuovo non compare nelle visure camerali, ha giustificato così a La Nuova Venezia la necessità di creare nuovi soggetti: «Era impossibile continuare a lavorare a causa del danno reputazionale che abbiamo subito». Le stesse persone coinvolte nei processi di Padova e Venezia sono presenti anche nei nuovi organigrammi, come Sara Felpati, prima presidente del Cda di Ekene, ruolo passato poi alla sorella Chiara, e Annalisa Carraro, ex consigliera di Edeco, che oggi ricopre il ruolo di vicepresidente di Ekene e di consigliera in Tuendelee.

    Le controversie del passato non hanno quindi impedito l’aggiudicazione di nuove strutture: nell’agosto del 2019 Edeco ottiene in gestione il Cpr di Gradisca d’Isonzo, poi ceduto due anni dopo a Ekene, e nel dicembre 2021 quello di Macomer. In Friuli, la cooperativa si aggiudica una gara da quasi cinque milioni di euro, grazie al ribasso dell’11,9% rispetto alla base d’asta, dopo l’esclusione delle prime quattro società in graduatoria. Ekene a marzo 2023 vince anche un ricorso al Tar per ottenere la gestione di un centro di accoglienza a Oderzo, nel trevigiano, nell’ex caserma Zanusso.

    Ekene ha poi preso in gestione il Cpr di Macomer dopo l’aggiudicazione della gara del 2021. In una visita, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha riportato criticità simili a quelle emerse nella struttura friulana, come la violazione del diritto alla salute, all’informazione normativa e alla corrispondenza, poiché «neanche i difensori possono contattare i loro assistiti in caso di comunicazioni urgenti se non attraverso il filtro del gestore», si legge nel rapporto. Inoltre, secondo Asgi la visita medica è spesso assente o viene fatta in modo superficiale.

    La cooperativa veneta ha poi vinto, nell’ottobre 2022, la gara per la gestione del Cpr di Caltanissetta. Ma dopo sette mesi, a maggio 2023, la Prefettura ha annullato l’aggiudicazione per i procedimenti a carico dei vertici: nel decreto di esclusione si riconosce esplicitamente Ekene come diretta emanazione di Edeco. Ricordando i gravi reati contestati nei procedimenti penali in corso, la Prefettura afferma di non poter «valutare favorevolmente l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico». Considerazioni diverse rispetto a quelle della Prefettura di Gorizia, che ha permesso a Simone Borile di mantenere il ruolo di direttore del centro di Gradisca d’Isonzo.

    L’imputazione di Borile per omicidio colposo, secondo i verbali della nuova gara indetta dalla Prefettura di Gorizia per la gestione del Cpr, «può avere rilievo solo al fine di considerare l’affidabilità dell’operatore economico sotto la cui gestione è occorso l’evento morte», dato che Borile non ricopre alcun incarico formale in Ekene. Nella stessa gara, la cooperativa Badia Grande è stata esclusa per il rinvio a giudizio del rappresentante legale per diversi reati, tra cui frode nelle pubbliche forniture per la gestione dei Cpr di Trapani e Bari. Dai verbali della prefettura disponibili in rete risulta che la posizione della cooperativa veneta sia ancora in fase di valutazione.
    Morire di Cpr a Gradisca d’Isonzo

    Dalla riapertura del 2019 ad oggi sono morti quattro trattenuti al Cpr di Gradisca d’Isonzo. Dopo Vakhtang Enukidze, Orgest Turia, cittadino albanese di 28 anni, è morto per overdose da metadone quattro giorni dopo essere entrato nel centro, il 10 luglio 2020, in una cella di isolamento, dove si trovava con altre cinque persone per il periodo di quarantena. Andrea Guadagnini, avvocato di Turia, ha scoperto della sua morte proprio in sede di convalida del trattenimento ed esprime perplessità sulla provenienza di quella sostanza. Altre due persone si sono poi tolte la vita nella struttura: Anani Ezzedine era un cittadino tunisino di 44 anni. Anche lui in isolamento per il periodo di quarantena, si è suicidato nella sua cella nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2021. Arshad Jahangir, un ragazzo 28enne di origine pakistana, si è suicidato il 31 agosto 2022 in camera un’ora dopo essere entrato nel Cpr.

    «È chiaro che per noi i Cpr debbano essere chiusi, ma nel frattempo volevamo instaurare delle prassi virtuose per agevolare la tutela dei diritti dei detenuti», afferma Eva Vigato, che insieme ad altre due colleghe, tra dicembre 2019 e novembre 2020 ha svolto il servizio di assistenza legale per l’ente gestore. Sostiene che anche per lei fosse molto difficile intervenire: i diritti dei trattenuti nei Cpr non sono delineati da una legge, ma da un semplice regolamento ministeriale, di cui non possono essere contestate le violazioni.

    https://www.youtube.com/watch?v=xq-OrG9-V7c&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Firpimedia.irpi.eu%2

    «Sono successe delle cose che ci hanno sconvolto», ricorda l’avvocata Vigato. Dopo la morte di Vakhtang Enukidze, Vigato e le sue colleghe hanno assistito a un’altra serie di irregolarità: «Abbiamo deciso di tener duro e ci siamo date come limite la Convenzione di Ginevra – spiega -. Di fronte a una violazione del trattato internazionale avremmo sporto denuncia».

    L’occasione si è presentata a novembre 2020: le legali si sono rese conto che dal Cpr transitavano cittadini tunisini senza che venisse registrato il loro ingresso nel sistema e senza che riuscissero a incontrarli e a informarli dei loro diritti, tra cui la richiesta di asilo, tutelata proprio dalla Convenzione di Ginevra. Le avvocate avevano dunque incaricato formalmente i mediatori di informare i trattenuti della possibilità di chiedere protezione internazionale e di metterlo per iscritto. In risposta, l’ente gestore ha deciso di diminuire le ore di ufficio legale, portando l’avvocata a inviare una segnalazione per denunciare la violazione della Convenzione di Ginevra alla Prefettura e al Garante nazionale. Ha risposto «il prefetto in persona – racconta Vigato – dicendo che non c’era nulla di irregolare ravvisabile nell’operato. Mi domando come abbia fatto, in così pochi giorni e senza un serio controllo, ad affermare una cosa del genere». La sera stessa Edeco ha rimosso Vigato e le sue colleghe dall’incarico.

    Nella segnalazione inviata alle autorità, Vigato ha evidenziato la violazione di molteplici diritti, tra cui quello alla salute e all’assistenza legale. Sostiene ci fosse un abuso di medicine nella struttura: «A un certo punto ci siamo rese conto che non c’era un controllo reale sui farmaci e potevano essere utilizzati anche in modo improprio dai detenuti». Le legali spesso non riuscivano ad accedere alle informazioni sanitarie e, in alcuni casi, non veniva caricato il resoconto delle visite, soprattutto quelle psicologiche. «L’impressione che è uscita sia dal processo Edeco sia dalla mia esperienza nel Cpr – conclude Vigato – è che ci sia una sorta di soluzione di comodo tra l’ente gestore e l’istituzione, per cui va bene così».

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    La storia di Anthony

    Bibudi Anthony Nzuzi è nato in Libano, da genitori congolesi, nel 1983, in piena guerra civile. «Era la fase del bombardamento massiccio», racconta, ma dopo cinque anni «la situazione era diventata veramente insostenibile». Per questa ragione, sua madre ha deciso di mandare i figli fuori dal Paese: due dei tre fratelli più grandi sono emigrati in Congo Brazzaville, ma lui, il più piccolo, è rimasto con lei. Poi sono fuggiti insieme in Siria e, visto che il conflitto si stava avvicinando, in Turchia, ad Ankara e a Istanbul.

    Infine, hanno deciso di venire in Italia per ricongiungersi con il fratello maggiore, che si trovava nel Paese da diversi anni. «Nel 1998 mia madre, dopo anni di duro lavoro, è riuscita a riunire tutta la famiglia qui a Jesi, nelle Marche», dice Anthony, che ha poi studiato come perito elettrotecnico, mentre uno dei fratelli ha partecipato alle Olimpiadi di Pechino del 2008 con l’Italia nella disciplina delle arti marziali.

    Anthony vive quindi in Italia da quasi trent’anni e ha conosciuto il mondo dei Cpr «per un errore», racconta: «Vivevo a Modena e mi sono fidato di una persona, sbagliando. Mi sono trovato a dover scontare una pena di 11 mesi e 29 giorni in carcere». Mentre era recluso gli è scaduto il permesso di soggiorno senza, sostiene, che gli fosse data la possibilità di rinnovarlo. «A luglio mi è arrivato il foglio di via e il 10 ottobre a mezzanotte sono venuti a prendermi in cella, mi hanno fatto preparare tutte le mie cose perché dovevano espatriarmi in Congo». Ma dopo essere stato trasferito a Fiumicino alle quattro di mattina e alcune ore di attesa, il volo non è partito ed è stato riportato in cella.

    Uscito dal carcere, dopo uno sconto di pena per buona condotta, ha potuto passare un giorno con la famiglia per poi essere recluso in un Cpr. «Era l’unico modo per me per rimanere in Italia – racconta con commozione – non è facile, ma sono riuscito ad andare avanti». È stato portato al Cpr di Bari, ma per la sua avvocata, che esercita nelle Marche, era diventato difficile seguirlo.

    Dopo pochi giorni le condizioni nel centro pugliese erano già critiche: cibo ammuffito, carenze igieniche e, secondo Anthony, negli altri moduli la situazione era anche peggiore. Per questo sono iniziate rivolte interne che hanno reso inagibile la struttura, andata a fuoco. «La mattina dell’incendio ci siamo ritrovati caricati su dei pullman e portati a Gorizia – dice – di punto in bianco».

    Anthony considera il carcere molto meglio del Cpr: «Hai una vita dignitosa, per quanto è possibile. Sei detenuto, ma comunque hai la tua dignità. Nel Cpr ti tolgono tutto, o almeno ci provano». E aggiunge: «Se arrivo a dire una cosa del genere significa che stavo meglio in carcere per davvero. I primi giorni a Gradisca abbiamo patito il freddo, il cibo arrivava gelato e crudo. Non è stato per niente facile».

    Grazie all’assistenza legale della sua avvocata è riuscito a uscire, ma se fosse stato rimpatriato nel Paese di origine dei suoi genitori, dove lui non è mai stato, avrebbe dovuto arrangiarsi senza soldi: «Non mi hanno dato un euro quando sono arrivato in aeroporto», spiega. Anthony rischiava di essere rimpatriato in Congo, dove ha alcuni parenti, «ma non so neanche dove siano, come si chiamino o come contattarli». E, oltre ad avere sempre avuto i documenti in regola, già prima di entrare nel Cpr, aveva un figlio di nazionalità italiana.

    «Metà delle persone che trovi nel Cpr – conclude Anthony – hanno semplicemente voglia di trovare un futuro. Magari c’è chi vorrebbe veramente lavorare, ma non ha possibilità perché lo trattano come un cane. Dagli la possibilità di dimostrarti che può rimanere nel tuo Paese. Non ne vuole tante, gliene basta una».

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    https://irpimedia.irpi.eu/cprspa-coop-ekene-gradisca-isonzo-macomer

    ici aussi : https://seenthis.net/messages/1016060

    #accueil #rétention #détention_administrative #asile #migrations #réfugiés #sans-papiers #business #Gradisca_d'Isonzo #Italie #CPR #Vakhtang_Enukidze #Enukidze #Simone_Borile #Ecofficina-Edeco #Ecofficina #Edeco #Cona #Bagnoli #Ekene #Macomer #coopérative #Ecofficina_Educational #Sara_Felpati #Gaetano_Battocchio #Ecofficina_Servizi #Due_Carrare #CPA #CAS #SAI #centri_di_prima_accoglienza #Sistema_di_accoglienza_e_integrazione #Centri_di_accoglienza_straordinaria #Edeco #Annalisa_Carraro #Ecos #Food_Service #Sandrine_Bakayoko #Tuendelee #Oderzo #caserma_Zanusso #Caltanissetta #Badia_Grande

  • Hautes-Alpes : un migrant retrouvé mort entre #Briançon et #Montgenèvre

    Une enquête a été ouverte par le parquet de Gap. Une autopsie du corps devrait être pratiquée dans les prochains jours.

    Un migrant a été retrouvé mort lundi matin par un vététiste sur la route militaire des #Gondrans, entre Briançon et Montgenèvre, a appris BFM DICI.

    Le corps de la victime a été découvert face au sol sur cette piste, accessible aux randonneurs ainsi qu’aux véhicules de type 4x4, qui mène au #fort_de_Gondrans.

    Une autopsie prévue dans les prochains jours

    Selon les premières constatations, la victime était un jeune homme. Des techniciens en identification criminelle se sont rendus sur place pour effectuer des prélèvements ADN et des analyses afin d’identifier la victime.

    « Une autopsie sera rapidement pratiquée », a indiqué Florent Crouhy, le procureur de la république de Gap. « Une enquête en recherche des causes de la mort a été ouverte et confiée à la brigade de recherches de Briançon. »

    Selon les informations de BFM DICI, aucune trace de lutte ou de violences n’a été constatée par les techniciens en identification criminelle. Seules des écorchures sur les genoux de la victime ont été observées.

    https://www.bfmtv.com/bfm-dici/hautes-alpes-un-migrant-retrouve-mort-entre-briancon-et-montgenevre_AN-202308

    #décès #morts #morts_aux_frontières #frontière_sud-alpine #Alpes #Hautes-Alpes #migrations #asile #réfugiés

    #Fort_des_Gondrans :
    https://patrimoine.hautes-alpes.fr/home/fiche/3158

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    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière des Hautes-Alpes :
    https://seenthis.net/messages/800822

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Hautes-Alpes : le corps d’un jeune migrant retrouvé par un vététiste entre Montgenèvre et Briançon

      Une personne, probablement originaire d’Afrique du Nord, a été retrouvée morte ce lundi 7 août sur la route militaire des Gondrans. Une enquête en recherche des causes de la mort a été ouverte par le procureur de Gap.

      Un jeune migrant a été retrouvé mort ce lundi matin par un vététiste sur la route militaire des Gondrans, entre Montgenèvre et Briançon (Hautes-Alpes), à quelques kilomètres de la frontière italienne. L’information de BFM Dici a été confirmée à La Provence par le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy.

      La victime a été découverte face au sol sur cette piste, accessible aux randonneurs ainsi qu’aux véhicules de type 4x4, qui mène au fort de Gondrans. « Il s’agit d’une piste carrossable, a précisé le procureur. Ce n’est pas un terrain escarpé, dangereux. »

      Selon les premières constatations, la victime était un homme âgé entre 20 et 25 ans, de type nord-africain, vêtu de vêtements pas à sa taille.

      Des techniciens en identification criminelle se sont rendus sur place pour effectuer des prélèvements ADN et des analyses afin d’identifier la victime.
      « Hypothermie, crise cardiaque… toutes les hypothèses sont envisagées ».

      « Une autopsie sera rapidement pratiquée, a indiqué Florent Crouhy. Une enquête en recherche des causes de la mort a été ouverte et confiée à la brigade de recherches de Briançon. »

      Aucune trace de lutte ou de violences n’aurait été constatée par les techniciens en identification criminelle. Seules des écorchures sur les genoux de la victime ont été observées. « Hypothermie, crise cardiaque, toutes les hypothèses sont envisagées. En tout cas, à cette heure, personne n’a signalé sa disparition » a ajouté le procureur.

      https://www.laprovence.com/article/region/62547295827161/hautes-alpes-le-corps-dun-jeune-migrant-retrouve-par-un-vetetiste-entre-

    • Un migrant retrouvé mort par un cycliste dans les Alpes

      Pendant l’été, de nombreux migrants traversent chaque année à pied la frontière franco-italienne au niveau du col de Montgenèvre.

      Un migrant a été retrouvé mort lundi matin dans les Hautes-Alpes, sur une route entre Briançon et Montgenèvre, a indiqué ce mardi le procureur de Gap, confirmant une information de BFM DICI.

      Le corps a été retrouvé par une personne circulant en VTT sur la route militaire des Gondrans, une piste accessible aux randonneurs ainsi qu’aux véhicules tout-terrain. Le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy, a précisé à l’AFP que la mort de ce jeune adulte semblait « assez récente » et que « le corps ne portait pas de trace de violences ou de lutte ».

      Point de passage clandestin

      Des techniciens en identification criminelle se sont rendus sur place lundi pour effectuer des prélèvements ADN et des analyses, notamment afin d’identifier la victime. « Une autopsie sera pratiquée ces prochains jours », a ajouté le procureur, qui a ouvert une « enquête en recherche des causes de la mort », confiée à la brigade de recherches de Briançon.

      Pendant la saison estivale, de nombreux migrants traversent chaque année à pied la frontière franco-italienne au niveau du col de Montgenèvre pour atteindre Briançon, l’un des principaux points de passage de clandestins entre les deux pays depuis 2017.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2023/08/08/un-migrant-retrouve-mort-par-un-cycliste-dans-les-alpes

    • Mort d’un migrant dans les Alpes : « L’autopsie n’a pas permis de déterminer les causes de la mort »

      Un vététiste a découvert un homme mort sur la route militaire des Gondrans, une piste carrossable, entre Briançon et Montgenèvre. Il pourrait s’agir d’un migrant. L’autopsie a « confirmé l’absence de cause traumatique ». Le parquet de Gap a ouvert une enquête.

      n homme a été découvert mort ce lundi 7 août au matin, a indiqué le procureur de la République de Gap Florent Crouhy, confirmant une information de BFM D’Ici. C’est un vététiste qui a fait la découverte sur cette piste carrossable de la route militaire des Gondrans, accessible aux 4x4, entre Briançon et Montgenèvre. Elle est régulièrement utilisée par les randonneurs et vététistes, donc très fréquentée l’été. La victime pourrait être un migrant.

      Une enquête en recherches des causes de la mort a été ouverte par le parquet de Gap et confiée à la brigade de recherches de la gendarmerie de Briançon. Des techniciens en identification criminelle se sont rendus sur les lieux afin d’effectuer les constatations d’usage. Le procureur indiquait ce mardi 8 août dans la journée que, « les techniciens en identification criminelle de la gendarmerie n’ont relevé aucune trace de lutte ou de violences sur le corps. Les causes de la mort sont inconnues mais non suspectes et certainement pas d’origine traumatique ».

      Une autopsie a été pratiquée dans la journée. Le procureur de Gap déclarait, dans la soirée, qu’« elle n’a pas permis de déterminer les causes de la mort. Elle a toutefois confirmé l’absence de cause traumatique. Des expertises anatomopathologiques et toxicologiques seront réalisées en complément ». L’identification du jeune défunt est toujours en cours.
      Du côté des associations, ce mardi 8 août dans la soirée, aucune disparition de personne exilée n’était signalée.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2023/08/08/une-personne-decouverte-decedee-sur-la-piste-des-gondrans

    • Le corps d’un exilé découvert à la frontière franco-italienne : « On se retrouve confronté aux mêmes tragédies »

      Le parquet de Gap a annoncé le décès d’un jeune homme dont le corps a été retrouvé le long d’une route au-dessus du col de Montgenèvre, non loin de Briançon, à la frontière entre la France et l’Italie. La route est régulièrement empruntée par les personnes migrantes. Ce nouveau drame intervient alors que les traversées sont en hausse et les Terrasses solidaires, principal lieu d’accueil sur la commune, sont saturées.

      Une personne migrante a été retrouvée morte lundi 7 août dans les Alpes françaises, sur les hauteurs du col de Montgenèvre, non loin de Briançon, a indiqué ce mardi le parquet de Gap à l’AFP. Il s’agit d’un jeune adulte, dont la mort semblait « assez récente » et dont « le corps ne portait pas de trace de violences ou de lutte », a précisé le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy.

      Une « enquête en recherche des causes de la mort » a été ouverte. Des prélèvements ADN et des analyses ont été effectuées lundi, afin d’aider à l’identification de la victime. « Une autopsie sera pratiquée ces prochains jours », a ajouté le procureur auprès de l’AFP.

      Le corps du jeune homme a été retrouvé par un cycliste en VTT sur la route militaire des Gondrans. « Pas étonnant » qu’il s’agisse là des lieux du drame, commente Agnès Antoine, de l’association Tous Migrants : il s’agit de l’une des principales routes de montagne empruntées par les exilés pour passer la frontière franco-italienne.

      L’annonce du décès intervient dans un « climat déjà très lourd », expose cette bénévole impliquée depuis des années auprès des personnes exilées, jointe par Infomigrants. « Il y a énormément d’arrivées. On avait beaucoup de monde depuis le mois de mai, mais là, depuis le début de l’été, cela s’intensifie », précise-t-elle.

      200 exilés au refuge, d’une capacité de 80 places

      D’ordinaire, les associatifs et citoyens solidaires voient plutôt arriver « entre 5 et 30 personnes par jour » à Briançon, décrit Luc Marchello, responsable de la sécurité des Terrasses Solidaires. Ce site constitue le principal refuge pour les personnes parvenant à rejoindre la ville après leur traversée de la frontière. Or, ces dernières semaines, « les arrivées sont plus massives ».

      Ce week-end du 5 et 6 août, « on est monté jusqu’à 100 personnes en une journée ». Un pic intervenu alors que les forces de l’ordre étaient largement déployées au col de Montgenèvre pour empêcher le passage de la marche solidaire Passamontagna, menée par des activistes depuis la ville italienne de Clavière.

      Conséquence de cette situation : les Terrasses solidaires sont saturées. Ce mardi, pas moins de 200 personnes s’y trouvent hébergées. Or, la structure peut accueillir au maximum 80 personnes pour « rester dans les normes du bâtiment », rappelle Luc Marchello.

      Le réfectoire a été transformé en dortoir. « Il y a des tentes à l’extérieur, sur les terrasses », s’attriste le responsable de la sécurité du site. « On en est là. On essaie de gérer au mieux les départs pour faire de la place, mais les prix des trains sont très élevés ».

      Quant à l’hébergement chez des citoyens solidaires, « on en touche les limites », constate-t-il. En période estivale, donc touristique, les maisons sont occupées ou louées. Et au fil des années d’engagement, « il y a de l’épuisement ».
      « L’État refuse l’ouverture d’un centre d’accueil »

      Un courrier a été adressé au préfet, les communiqués se multiplient. Mais « personne ne vient nous appuyer avec d’autres solutions. L’Etat refuse l’ouverture d’un centre d’accueil, même simplement d’urgence », déplore Luc Marchello.

      Dès la fin mai, la préfecture assurait à Infomigrants avoir pris connaissance de ces alertes. Mais elle expliquait qu’il n’était « pour l’heure pas envisageable d’ouvrir de nouvelles places en hébergement d’urgence » dans le département et que « le dispositif [de 135 places pérennes] est actuellement saturé ».

      « Nous sommes mi-juillet, la population accueillie depuis mai est passée d’une moyenne par jour de 100 à 120, aujourd’hui nous sommes à 170 personnes pour un hébergement dans les normes ERP de 64 prévues », récapitule le conseil d’administration des Refuges Solidaires (gérant les Terasses), dans une lettre ouverte publiée le 18 juillet. « Depuis maintenant 6 années nous alertons les services de l’Etat pour qu’ils nous accompagnent dans cette action humanitaire ».

      « Psychologiquement, c’est assez dur », conclut Agnès Antoine de Tous Migrants. « Tous les bénévoles font des efforts incroyables pour les maraudes, pour tenir le refuge, pour mener des campagnes de sensibilisation... Et à chaque fois on se retrouve confrontés aux mêmes tragédies. »

      https://www.infomigrants.net/fr/post/50924/le-corps-dun-exile-decouvert-a-la-frontiere-francoitalienne--on-se-ret

    • LA FRONTIÈRE A ENCORE TUÉ !

      Une autre personne est morte à la frontière franco-italienne à Montgenèvre. Un autre mort, un autre corps sans vie a été retrouvé sur la route militaire de Claviere (Valsusa, IT) à Briançon (FR).

      Lundi 7 août, un autre cadavre a été retrouvé dans ces montagnes, tué par une frontière raciste où les routes sont traversées quotidiennement par des voitures, des bus et des trains transportant des touristes, des marchandises et du personnel militaire, tandis que les migrants sont contraints de marcher à travers les sentiers de montagne, échappant aux contrôles de la police française qui tente de bloquer leur voyage même dans les bois à 1800 mètres au-dessus du niveau de la mer.

      Il semble avoir été trouvé par un cycliste, par l’un des nombreux touristes qui affluent dans ces montagnes pour les vacances d’été. Ils s’amusent sur les mêmes routes qui sont traversées nuit et jour par des personnes obligées de se cacher parce qu’elles n’ont pas la bonne pièce d’identité. Depuis 2018, au moins 10 personnes ont perdu la vie en tentant de franchir la frontière de la Haute-Valusie. Pendant que les touristes s’amusent à jouer sur une pelouse impeccable signée Lavazza et la commune de Montgenèvre, des dizaines de personnes en déplacement meurent ou risquent leur vie à quelques encablures de là, sur les sentiers qui traversent la frontière.

      Nous n’avons pas beaucoup d’informations sur ce qui s’est passé, mais nous savons avec certitude que ceux qui ont tué à nouveau étaient le bras armé de l’État : les militaries, la gendarmerie, la police des frontières (PAF). Un bras armé qui, armé de jeeps, de drones et de lunettes de vision nocturne, cherche à protéger les intérêts nationaux d’un État néocolonial et raciste, élargissant et rétrécissant les mailles de cette frontière intérieure européenne qui continue de séparer, de réprimer et de tuer. Comme le désert du Niger, comme les prisons de Libye et de Tunisie, comme la mer Méditerranée, comme la Manche, comme toutes les frontières extra-européennes, de la Turquie à la Pologne en passant par le Maroc, comme les centres de rétention administrative disséminés dans de nombreuses villes, les montagnes de Valses sont, elles aussi, depuis des années, une frontière où l’on continue de mourir.

      Et ce qui tue, une fois de plus, ce n’est pas la montagne, la neige, le froid ou la fatigue. Ce qui tue, c’est l’Etat, la forteresse Europe, le système des frontières incarné par les hommes et les femmes en uniforme qui battent le pavé dans une chasse à l’homme, ce qui tue, ce sont tous ces indifférents qui se détournent pour ne pas remettre en cause leurs privilèges de bourgeois blancs, alors qu’à côté d’eux, ceux et celles qui sont nés du “mauvais” côté du monde souffrent et meurent dans le silence général.

      Ce week-end, il y avait un camp contre les frontières, avec l’idée de franchir collectivement cette frontière meurtrière, avec l’idée que l’union fait la force et que, pour une fois, les gens n’auraient pas dû être exposés à la violence policière ; la police a empêché notre passage, déployant tout son armement dans les bois et les chemins de montagne, armée de gaz lacrymogènes, de boucliers, de bombes TNT, de flashballs. Nous n’avons pas pu passer. Deux jours après cette marche qui a mal tourné, un cadavre a été retrouvé.

      Si les frontières n’existaient pas, il n’y aurait pas de gens qui meurent encore pour les franchir.
      Les mises à jour suivront, les rendez-vous suivront. Ne restons pas indifférents, faisons quelque chose pour éviter d’autres meurtres dans ces montagnes !

      Police assassine ! All Cops Are Borders. Smash the borders !

      CONTRE TOUTES LES FRONTIÈRES, LES ÉTATS QUI LES CRÉENT ET LES UNIFORMES QUI LES PROTÈGENT

      https://www.passamontagna.info/?p=4551&lang=fr

    • È un guineano di 20 anni il migrante morto sui sentieri per la Francia. Il freddo potrebbe essergli stato fatale

      Su di lui nessun segno, solo qualche sbucciatura sulle ginocchia. Vicino al corpo, lo zaino e il telefono. Indaga la procura di Gap

      Uno zainetto e un telefono accanto al corpo, scarponcini ai piedi qualche taglia più grande del necessario. Ha vent’anni e viene dalla Guinea. È morto a un passo dalla meta, Briançon. Arrivarci avrebbe significato aver superato i pericoli dei sentieri di montagna e i controlli della gendarmeria che ogni notte pattuglia il confine per fermare i migranti, come il giovane, che cercano di lasciare l’Italia — dove sono sbarcati — per raggiungere parenti che vivono altrove in Europa.

      (#paywall)
      https://torino.repubblica.it/cronaca/2023/08/09/news/migrante_morto_monginevro-410541248

    • Il migrante morto a Briancon si chiamava Moussa e aveva 20 anni, cercava di sfuggire ai droni e ai controlli di frontiera

      È probabile che anche #Moussa abbia compiuto il percorso che attraversa Mali, Niger e poi Libia o Tunisia prima della traversata per raggiungere Lampedusa. Poi il viaggio fino alla Val di Susa.

      Sognava una casa, un lavoro e un futuro migliore e invece ha trovato la morte a 20 anni, di notte, cadendo da un sentiero di montagna al confine tra Italia e Francia. Mentre cercava di sfuggire ai droni e ai controlli di frontiera. I suoi compagni di avventura hanno avuto più fortuna e sono riusciti ad arrivare a Briancon. Hanno riconosciuto gli effetti personali di Moussa, un ragazzo con cui avevano percorso un pezzo di strada verso «la nuova vita», ma che avevano perso di vista durante la difficoltosa discesa al buio. Non si tratta di un riconoscimento ufficiale e il cadavere di quel giovane migrante ritrovato lunedì sul cammino militare che porta al forte di Gondrans, in Francia, è ancora senza un nome.

      Le procedure di identificazione avviate dalla polizia e dalla procura di Gap sono in corso, ma le dichiarazioni degli altri profughi che hanno raggiunto Briancon sembrano attendibili. #Moussa era partito dalla Guinea, come uno dei 4 sopravvissuti all’ultimo naufragio di un barcone nel canale di Sicilia, costato la vita a 41 persone. È probabile che anche Moussa abbia seguito la stessa rotta di quei migranti: Mali, Niger e poi Libia o Tunisia prima della traversata per raggiungere Lampedusa. Per arrivare in Val di Susa, una delle «porte di accesso» più frequentate per passare clandestinamente il confine con la Francia, Moussa ha dovuto aspettare ancora molto tempo.

      Secondo Paolo Narcisi, presidente di Rainbow4Africa, ogni anno almeno 13 mila persone transitano da Oulx e il giovane guineano potrebbe essere uno dei 5 ragazzi, con lo stesso nome e la stessa nazione di provenienza, che fra giovedì e lunedì hanno bussato alla porta del rifugio Fra Massi prima di dirigersi verso Claviere e inoltrarsi nel bosco. Moussa aveva seguito le indicazioni che aveva ricevuto ed era riuscito a superare la frontiera, ma probabilmente è caduto mentre scendeva verso valle, sperando di non essere scoperto.

      https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/23_agosto_09/migrante-morto-a-20-anni-mentre-cercava-di-sfuggire-ai-droni-e-ai-co

      –—

      La mention des drones (mais qui n’est pas confirmée par les personnes sur place) :

      Lo scorso 27 luglio il rifugio Fra Massi di Oulx era stato preso d’assalto da 180 persone e ogni notte si registrano circa cento presenze: «Una situazione più gestibile da medici e personale, ma sempre al limite – spiega Paolo Narcisi, presidente di Rainbow4Africa -. Non so nulla di questa ennesima tragedia, ma se sul corpo sono stati trovati i segni di una caduta è probabile si tratti di uno dei tanti migranti costretti a cercare strade sempre più pericolose per sfuggire ai controlli. E credo che ci sia una grossa responsabilità di chi utilizza droni, esercito e polizia per effettuare i respingimenti al confine».

      https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/23_agosto_08/migrante-morto-sul-sentiero-per-briancon-al-confine-italo-francese-e

    • Le corps découvert au Gondran est celui d’un jeune migrant guinéen

      L’homme, dont le corps a été retrouvé par un vététiste lundi 7 août sur une route militaire du Gondran, entre Briançon et Montgenèvre, a été identifié. Il s’agit d’un Guinéen né en 2004.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2023/08/13/le-corps-decouvert-au-gondran-est-celui-d-un-jeune-migrant-guineen

    • Pour info, Moussa serait mort la nuit du 6 au 7 août 2023, soit alors qu’avait lieu le #campeggio_itinerante organisé par le collectif #Passamontagna (donc : #militarisation accrue de la frontière) :

      CHIAMATA PER UN CAMPEGGIO ITINERANTE PASSAMONTAGNA – 4-5-6 Agosto 2023


      4-5-6 Agosto 2023

      Claviere (ITA)- Briancon (FR)
      Tre giorni in cammino verso un mondo senza frontiere né autoritarismi
      Tre giorni di incontri e discussioni, condividendo riflessioni, esperienze e pratiche
      TRE GIORNI DI LOTTA CONTRO LE FRONTIERE

      Le politiche dell’unione europea continuano ad aumentare le morti in mare e nei territori di passaggio, costruendo frontiere interne ed esterne alla stessa.
      Nuovi accordi vengono siglati con i paesi di transito e di partenza.
      Milioni di euro sono assegnati in tecnologie, polizie e nuovi muri per fermare le persone in viaggio verso l’europa o in lager d’oltremare.
      Uno schema funzionale all’annichilimento delle persone che migrano.

      Chi raggiunge l’u.e. è condannatx ad una vita da schiavx nella speranza di ottenere il lasciapassare ad uno status considerato accettabile dal sistema.
      Chi non riesce a districarsi nel percorso a ostacoli burocratico, chi non lavora in regola, chi si ribella, chi non viene consideratx integrabile o sfruttabile, diventa carne da macello per il sistema dei centri di detenzione o le patrie galere.

      In questo contesto aumenta anche il numero di persone costrette a migrare a causa della crisi climatica ed ecologica innescata dal modello produttivo degli stati occidentali. Per smascherare l’ipocrisia di questo sistema che saccheggia, respinge e deporta mentre predica ecologismo, pensiamo che l’azione diretta é la strada necessaria.

      Se, da un lato, l’unione europea attua un sistema che genera guerre e miseria per poi criminalizzare e sfruttare le persone che ne sfuggono, dall’altro, c’è chi con forza e determinazione ogni giorno questo sistema continua a sfidarlo.
      Gli attraversamenti di frontiere che sfuggono al controllo sempre più intenso degli stati, le rivolte e le lotte che inceppano gli ingranaggi dei centri di detenzione amministrativa, facendone talvolta macerie – come a febbraio 2023 nel CPR di Torino – indicano che la mostruosa macchina statale è meno invincibile di quanto non sembri.

      Per queste ragioni sentiamo l’esigenza di riunirci, incontrarci, riconoscerci, di organizzarci meglio, provando a sottrarci alle trappole dell’assistenzialismo o da azioni mediatiche.

      Nell’arco delle giornate di campeggio vorremmo ri-attraversare questa frontiera a noi vicina, ancora una volta in maniera collettiva.
      Vorremmo ribadirne la pratica e la portata simbolica, contro tutte le frontiere, interne ed esterne, e i dispositivi che le alimentano. Contro i nuovi decreti assassini italiani (Cutro) e francesi (Darmanin). Contro le nuove leggi europee che permetteranno una esternalizzazione sempre più forte e violenta delle frontiere, con future deportazioni dirette in paesi terzi non di origine.

      Tra queste montagne si stanno spendendo i miliardi nel tentativo di costruzione del TAV, devastando un territorio in nome della velocità di merci e trasporti, mentre chi non ha i documenti é costretto a rischiare la vita, subendo inseguimenti, vessazioni e violenze poliziesche per mancanza di quel pezzo di carta che continua a uccidere mentre merci e turisti viaggiano indisturbati.
      Su questa frontiera si contano almeno 9 morti. Molti i feriti, infiniti i respinti. Decine di persone al giorno cercano di attraversare questa linea immaginaria protetta da gendarmi francesi e guardie italiane.
      Noi eravamo, siamo e saremo al loro fianco!

      Partecipiamo numerosi al campeggio itinerante -Passamontagna- nel tentativo di rilanciare momenti di incontro e confronto collettivo, di agire insieme, provando a coordinarci tra differenti realtà e territori in lotta, nella prospettiva di nuovi possibili percorsi.


      https://www.passamontagna.info/?p=4435

    • NOUS RECHERCHONS LA FAMILLE DE MOUSSA SIDIBÉ. CE MIGRANT GUINÉEN DE 19 ANS, A ÉTÉ RETROUVÉ MORT, À LA FRONTIÈRE FRANCO-ITALIENNE .
      Le corps sans vie de l’exié a été retrouvé dans les Hautes-Alpes ( /#France ) entre BRIANÇON et MONTGENÈVRE , le lundi 07 août 2023 par un vététiste.
      Moussa a tenté la traversée de la #Méditerranée. Le chemin du jeune homme passe ensuite par l’île italienne de #Lampedusa . Puis il décide de franchir les Alpes pour aller en #France .
      Moussa a été vu le 06 août 2023 à #OULX ( ville italienne frontalière de la France. )
      Le 07 août , la victime a été retrouvé face au sol , sur une piste accessible aux randonneurs…
      ´Le jeune homme a été inhumé le 21 août 2023 a BRIANÇON. Nous n’avons aucune photo de ce dernier pour l’instant.
      Des associations souhaiteraient aider dans la mesure du possible. au rapatriement de son corps en #Guinée #conakry . Bien entendu si sa famille le souhaite.
      Si vous pensez connaître le jeune guinéen Moussa Sidibé , né en 2004 , contactez-nous . Merci svp de partager massivement.🙏🙏🙏
      ( #WHATSAPP : 00.33.6.27.78.78.41 )

      https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=pfbid02bj8KV8xJ4EGWb6M8YGiSby4YEEN2rtR5D2poTfSQHP

      #Moussa_Sidibé

  • Une vie tronquée

    #Abdoul_Mariga, 30 ans, est mort le 17 octobre dernier à #Conakry, un peu de l’#hépatite_B, beaucoup de la politique suisse en matière de migration. Ce jeune homme vivait depuis dix ans en #Suisse, où il exerçait le métier de cuisinier, lorsque les autorités fédérales l’ont expulsé, le 6 novembre 2019, probablement déjà malade, vers la Guinée, pays dans lequel il n’avait pas d’attaches. Ses proches le disaient intégré, le canton de #Vaud le jugeait intégré, le Tribunal fédéral l’admettait intégré, mais pas suffisamment, pas assez pour qu’il puisse poursuivre le cours de son existence.

    Seul à Conakry, sans documents d’identité que lui refusent les autorités guinéennes, Abdoul Mariga est livré au harcèlement policier et, dans l’incapacité de travailler, voit son pécule s’envoler. Sa santé décline également.

    A Berne, le Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM) est prévenu de sa situation en mars. L’administration fédérale sait que la Guinée, Etat vers lequel elle l’a expédié de force, refuse de le régulariser, le maintenant dans une situation dramatique. Les documents en notre possession sont formels. Mais Berne refuse de prendre ses responsabilités.

    « Ma santé ne va pas bien. Mes bras et mes jambes s’endorment. […] J’ai des vertiges et parfois je perds l’équilibre et je tombe. […] J’ai pris un traitement quelque temps, mais maintenant c’est fini, je n’ai plus de médicaments et plus de soins. Même me loger devient très difficile. […] Je suis complètement bouleversé, des fois, je ne mange pas. Je paie seulement l’hôtel. C’est trop difficile pour moi », témoignait-il1 encore en septembre, avant que ses amis suisses ne perdent le contact.

    Après onze mois de descente aux enfers, M. Mariga s’est éteint le 17 octobre 2020, seul, dans un hôpital de Conakry. « Sans ce renvoi décidé par le SEM, Abdoul Mariga serait certainement encore en vie, et travaillerait aujourd’hui encore au CHUV », résume le collectif Droit de rester qui, durant des mois, a vainement tenté de s’opposer au Moloch bureaucratique. Comment ne pas partager leur colère. Et l’exigence que Berne rende aujourd’hui des comptes sur les manquements qui ont conduit à ce drame.

    https://lecourrier.ch/2020/12/14/une-vie-tronquee

    #Guinée_Conakry #réintégration #intégration #asile #migrations #réfugiés #morts #décès #SEM #Guinée

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    Ajouté à la métaliste sur les exilés décédés en Suisse
    https://seenthis.net/messages/687445

    ping @isskein @karine4

    • Faire-part

      Arrivé à 19 ans en Suisse en octobre 2009, où il avait déposé une demande d’asile, Abdoul Mariga, titulaire d’un CFC en restauration, travaillait comme cuisiner au Centre Hospitalier Universitaire Vaudois (CHUV). Son employeur le décrivait comme un jeune homme exigeant, soigneux, respectueux, de très bonne sociabilité, apprécié de son entourage et investi dans son travail, « un collaborateur sur qui nous pouvons pleinement compter ». D’après d’autres témoignages de son entourage, Abdoul était persévérant, déterminé dans ses apprentissages et il avait montré beaucoup de courage pour mener à bien sa formation professionnelle, réussie avec succès.

      Renvoyé en Guinée par la force le 6 novembre 2019, Abdoul Mariga s’est retrouvé seul à Conakry, sans logement et rapidement désargenté. Il a survécu sur place grâce à son dernier salaire du CHUV puis grâce à l’aide privée d’amis suisses. Sa santé s’est vite dégradée et il n’a pas pu avoir accès aux soins médicaux. Il a été hospitalisé alors qu’il se trouvait au plus mal et est décédé quelques jours plus tard, seul, sans l’accompagnement d’aucun proche. Cette terrible nouvelle nous laisse dans l’incrédulité et la colère, ainsi que dans une profonde tristesse.

      Voici un témoignage d’Abdoul Mariga qui décrit sa situation et sa détresse à Conakry :

      « Ma santé ne va pas bien. Mes bras et mes jambes s’endorment. Ça a commencé pendant ma détention en Suisse, avant l’exécution du renvoi, et maintenant c’est de plus en plus fréquent. J’ai des vertiges et parfois je perds l’équilibre et je tombe. J’ai été à l’hôpital au début, mais je n’ai plus accès, faute d’argent. J’ai pris un traitement quelque temps, mais maintenant c’est fini, je n’ai plus de médicaments et plus de soins.

      Même me loger devient très difficile. Je suis là avec beaucoup d’angoisses parce que les prochains jours, je ne sais pas comment je vais être. Je vis très difficilement ici et chaque fois que la police me contrôle, ils me prennent tout l’argent que j’ai sur moi. Chaque sortie est risquée et me fait perdre encore mes moyens pour vivre.

      Le ministre de la sécurité a refusé de me donner un document de circulation. Je n’ai pas la nationalité guinéenne et pas de papier d’identité et je risque à tout moment d’être expulsé. J’ai pris un avocat pour avoir un permis de circulation. Mon avocat a saisi la Présidente du Tribunal de première instance de Kaloum. Mardi 25 février 2020, j’ai été convoqué devant le juge du tribunal de Kaloum. Actuellement, la procédure n’a pas abouti et je n’ai plus de moyen de recours et plus d’argent pour payer mon avocat.

      Je suis malade je ne dors plus. Partout quand je vais dans les hôtels on me demande un passeport et si je sors pour manger, je risque de me faire arrêter par la police et racketter. Pour le logement, on me demande de payer 8 à 12 mois d’avance, ce que je ne peux pas. Je suis complètement bouleversé, des fois, je ne mange pas. Je paie seulement l’hôtel. C’est trop difficile pour moi. »

      Sans ce renvoi décidé par le SEM, Abdoul Mariga serait certainement toujours en vie et contribuerait aujourd’hui encore aux services essentiels du CHUV, tant estimé en ces temps de pandémie. Son destin était dans vos mains. Nous vous tenons responsables de ce décès. Malgré les interventions de son avocate, vous avez persisté dans votre décision alors même que le canton de Vaud vous avait demandé de lui accorder un permis pour cas de rigueur après 10 ans de séjour en Suisse.

      Pourquoi lui avoir refusé ce permis ?

      http://droit-de-rester.blogspot.com/2020/12/arrive-19-ans-en-suisse-en-octobre-2009.html

  • Live facial recognition is tracking kids suspected of being criminals
    https://www.technologyreview.com/2020/10/09/1009992/live-facial-recognition-is-tracking-kids-suspected-of-crime

    In Buenos Aires, the first known system of its kind is hunting down minors who appear in a national database of alleged offenders. In a national database in Argentina, tens of thousands of entries detail the names, birthdays, and national IDs of people suspected of crimes. The database, known as the Consulta Nacional de Rebeldías y Capturas (National Register of Fugitives and Arrests), or CONARC, began in 2009 as a part of an effort to improve law enforcement for serious crimes. But there (...)

    #algorithme #CCTV #biométrie #criminalité #données #facial #reconnaissance #vidéo-surveillance #enfants (...)

    ##criminalité ##surveillance

  • #Bayer - #Monsanto Celebrates the Law to Promote Native Seed

    On March 24, in the midst of the crisis by Covid-19, the so-called federal law for the promotion and protection of native corn was approved with the unanimous vote of the Senate. With such a title many will have assumed that it would be a rule to stop the assault of transnational GM companies on seeds, indigenous peoples and peasant communities. Unfortunately, this is not the case. Beyond the intention of its promoters, this provision favors key interests of the companies that have wanted to advance in the country with their GM and other high-tech seeds for two decades.

    For this reason, the #Mexican_Seed_Association_AC (#AMSAC), whose board is made up of #Syngenta, #Bayer (now owner of #Monsanto), #Corteva (merger of #Dow and #DuPont-PHI Mexico) and other major global seed companies issued a bulletin the same day congratulating legislators on the approval of the law. They declare that this law “is an important step, (…) because it will give certainty to corn producers throughout the country”. They emphasize that “they will continue working to promote the object of this law (…) taking advantage of technological developments, such as improved seeds”. (https://tinyurl.com/vo9pawr)

    AMSAC is a board member of the National Agricultural Council (CNA), which in turn is a founding member of the #Business_Coordinating_Council. They represent, for the most part, the business sectors that have devastated peasant life, sustainable production and healthy food. The six global transnational companies that own more than 70 percent of the global seed and agrochemical markets (and 100 percent of the transgenic seeds) have been on the AMSAC board of directors for years. It is the main lobbyist for the seed industry, acting in conjunction with the ANC. They are the ones who fought for and obtained privileges for the transnationals in all the existing laws regarding seeds and patents. (https://tinyurl.com/ruoc3ka ; https://tinyurl.com/t6lxfov)

    Before the final vote in the Senate, from which the initiative came, the law to promote native corn was voted, with changes, in the Chamber of Deputies on March 18, with 270 votes in favor. No one opposed it anymore. Could it be that the PRI, PAN, PRD, Morena and all the parties suddenly realized the importance of protecting the corn peoples, their seeds and cultures against the transgenic invasion? Of course not. Because the law does not provide for such a thing. Nor does it prevent the patenting of peasant seeds. But it does separate corn from its peoples, reducing the complex process of thousands of years of many peoples creating milpas, assemblies, forests, and their own forms of government to the promotion of #community_seed_banks, an expression that the majority of the peoples reject, because it comes from the financial system and is alien to their conception of seeds as an element in the integral politics, economy, and worldview of their peoples. Furthermore, it establishes that only native corn is recognized by #Conabio, not by the peoples and communities themselves. It imposes on them a new #National_Maize_Council, which although merely consultative, has 16 members, of which only six are from indigenous communities or agrarian ejidos.

    But the main reason why the transnationals applaud this law is because it will delimit geographical areas, where the authorities will recognize that there are native maize production systems, which means it opens up the rest of the country to plant any other seed, from hybrids to transgenics or the new biotech seeds that the companies call genetic editing.

    Monsanto, Syngenta, and other companies have insisted on this point for decades: that areas must be defined, that in reality they are not interested in planting where there are farmers, only in the rest of the country. Against this fallacious and extremely risky position, which would eventually cause GM contamination to reach the entire country, we have insisted that all of Mexico – and Mesoamerica – is the center of origin of maize and therefore the planting of any genetically manipulated seed should be prohibited.

    This position of the so-called law of promotion and other serious errors of it – now approved – were clearly expressed by the Network in Defense of Maize since the publication of the commissions’ opinion, in October 2019 (https://tinyurl.com/vjk8qyl).

    Meanwhile, the #Monsanto_Law, as the current biosafety law passed in 2005 is called, remains untouched by all the now-legislators and officials who promised in the campaign that they would repeal it. Furthermore, Semarnat participated in an online forum on biosafety at the Biodiversity Convention in 2020 and its representative joined the seed industry’s position that there is no need to establish new biosafety frameworks, not even for the highly dangerous genetic promoters, transgenic exterminators.

    Why are none of the officials and legislators doing their job to really guarantee biosafety and that what AMLO announced, that no GM maize will be allowed in the country, is a reality?

    https://schoolsforchiapas.org/bayer-monsanto-celebrates-the-law-to-promote-native-seed

    #appropriation_intellectuelle #maïs #graines #semences #Mexiques #loi #peuples_autochtones #Chiapas #OGM #agriculture #multinationales #industrie_agro-alimentaire #loi #brevets #agriculture_paysanne

  • Coronavirus, le Ong fermano le missioni di salvataggio in mare. Migranti senza più soccorsi

    Mediterranea: «La pandemia ci impone di congelare l’attività operativa. Scelta obbligata anche se le partenze sono ricominciate». Bloccate in porto anche #Ocean_Viking, #Sea_watch e #Open_Arms

    Le partenze dei migranti dalle coste africane sono riprese ma il Mediterraneo è destinato a rimanere senza soccorsi per chissà quanto tempo. Il coronavirus ferma anche le navi umanitarie e, una dietro l’altra, le Ong comunicano a malincuore la sospensione delle missioni.

    «Una comunicazione inevitabile e difficile - dice Mediterranea, che pure nelle scorse settimane si era vista finalmente restituire le due navi, Mare Jonio e Alex, sequestrate per mesi dal decreto sicurezza - Eravamo pronti a ripartire con la tenacia e la determinazione di sempre: pronte le navi, pronti gli equipaggi. Ma lo svilupparsi della pandemia e le sacrosante misure adottate per tentare il contenimento del contagio e per tentare di salvare le persone più fragili ed esposte, ci impone oggi di congelare l’attività operativa in mare. Gli effetti di questa scelta obbligata ci fanno soffrire perchè in mare c’è chi rischia la morte ogni giorno». Mediterranea confida nella disponibilità, per i soccorsi in mare delle navi civili che continuano ad operare. «Daremo loro ogni supporto possibile».

    Restano al momento in porto anche le navi della Sea Watch e di Sos Mediterranée e Medici senza frontiere che hanno finito il periodo di quarantena dopo gli ultimi due sbarchi di migranti a Pozzallo e a Messina. E ferma è anche da una ventina di giorni per riparazione, la spagnola Open Arms. «Stiamo cercando di capire in che modo poter tornare in mare in sicurezza per tutti. Purtroppo in mare c’è bisogno di noi nonostante il coronavirus», dice la portavoce Veronica Alfonsi.

    Le partenze dall’Africa comunque non si fermano. Il centralino Alarm phone negli ultimi giorni ha segnalato diverse imbarcazioni in difficoltà in zona Sar libica e maltese. E preoccupano gli sbarchi autonomi sull’isola di Lampedusa dove nell’ultima settimana sono arrivate 150 persone. Il sindaco Salvatore Martello ne ha disposto subito la messa in quarantena nell’hot spot ma ha chiesto al ministro dell’Interno Lamorgese un protocollo per il loro immediato trasferimento sulla terraferma per la mancanza delle necessarie misure a salvaguardia della popolazione. Anche in Africa ormai sono centinaia i casi di coronavirus registrati nei Paesi di origine dei migranti e anche la Libia ha dichiarato lo stato di emergenza per l’epidemia.

    Al momento le Ong che hanno volontari impiegati nei servizi di assistenza medica e paramedica nelle aree più colpite dal territorio sono Medici senza frontiere, la cui presidente Claudia Lodesani da giorni sta lavorando a Codogno. Ma anche la piattaforma di terra di Mediterranea ha messo a disposizione le sue forze.

    https://www.repubblica.it/cronaca/2020/03/18/news/coronavirus_le_ong_fermano_le_missioni_di_salvataggio_in_mare_migranti_se
    #coronavirus #conavid-19 #ONG #Méditerranée #fin #arrêt #migrations #réfugiés #sauvetage

    via @isskein

  • Mapa de riesgo de propagación de COVID-19 por contagio comunitario en España

    Motivación

    La expansión de COVID-19 plantea muchos retos a nuestro sistema sanitario y social. Uno de ellos es el de poder predecir y cuantificar la emergencia de nuevos casos derivados de contagios comunitarios a escala nacional. Se entiende por contagio comunitario aquellas personas afectadas por el virus para las cuáles se desconoce la fuente de infección, es decir, sin historial de viajes recientes a zonas afectadas, ni vínculos directos con otros contagiados.

    Una de las mayores dificultades con las que nos enfrentamos es la de la detección temprana de casos para su aislamiento y tratamiento médico. Este virus se caracteriza por un estado epidémico asintomático, o con síntomas leves o moderados, bastante largo, que puede llegar hasta los 14 días de acuerdo con los datos disponibles. El resultado de no tener una detección temprana influye de manera importante en la propagación de la epidemia, y como resultado dificulta en gran medida la implementación de medidas de control eficaces.

    En esta web mostramos los resultados del riesgo epidémico estimado en España, a nivel de municipios, derivados de un modelo de propagación de epidemias basado en la movilidad habitual (recurrente) entre municipios, de la población activa en España, según datos proporcionados por el Instituto Nacional de Estadística (INE).

    Nuestro modelo incorpora los datos epidemiológicos reportados hasta el momento para el virus responsable de COVID-19, que se ha denominado oficialmente SARS-CoV-2, y datos demográficos y de movilidad entre municipios en España. El modelo se puede trasladar perfectamente a otras localizaciones donde se dispongan de estos datos.

    Resultados

    Mapa de riesgo

    El mapa de riesgo que se genera con el modelo produce un indicador por término municipal de la fracción de la población que se estima que puede haber contraído la infección del SARS-COV-2 por contagio comunitario. Los términos municipales sombreados en gris corresponden a aquellos para los cuales no se dispone de datos.

    Mapa de sobrecarga hospitalaria

    De acuerdo con la predicción de casos de CoVID-19, según el modelo, podemos prever el factor de sobrecarga del sistema sanitario de atención de cuidados intensivos UCI.

    En primer lugar, suponemos un escenario optimista de ocupación de UCIs del 0% pre-CoVID, es decir, todas las camas UCI se suponen libres. Sobre este escenario calculamos los casos totales con necesidad de UCI por CoVID-19 que tendremos el día 18 de Marzo. Este valor lo obtenemos como el 5% del total de casos por CoVID-19 que ofrece el modelo. Este 5% corresponde a los datos más recientes de atención UCI necesaria por CoVID-19 según el último reporte oficial de los casos en España.

    Predicción de la incidencia de casos CoVID-19 críticos en España

    Presentamos la evolución del número de pacientes que requerirán de hospitalización en unidades de cuidados intensivos (UCI) por CoVID-19. Las curvas se calculan con nuestro modelo de predicción, para tres tipos de intervenciones:

    Sin ningún tipo de restricción de movilidad.
    Con restricción de movilidad parcial (donde se permite movilidad laboral en un 50%)
    Con restricción total de movilidad (no se permite movilidad laboral salvo en servicios de primera necesidad)

    Se observa como las intervenciones nos alejan del riesgo de atravesar el techo sanitario los próximos días.

    Modelo

    El modelo que usamos es una nueva versión de una familia de modelos epidemiológicos en tiempo discreto, que ha sido especialmente modificado para representar las dinámicas de transmisión de SARS-COV-2, el virus que causa la enfermedad COVID-19.

    El modelo pretende estimar la tasa de riesgo de cada municipio de España, teniendo en cuenta: (I) La dinámica de trasmisión de SARS-COV-2, y (II) los patrones de movilidad recurrente en España, y (III) la demografía de la población española.

    Respecto a la trasmisión del virus, utilizamos un modelo compartimental, que quiere decir que se divide a la población según su estado epidemiológico en compartimentos, que son:

    Susceptible: individuo que no ha contraído la enfermedad pero puede contraerla.
    Expuesto: individuo que está infectado pero que está en fase de incubación y por tanto, todavía no es infeccioso.
    Asintomático (o con síntomas leves): individuo que ya está infectado y es infeccioso pero que no muestra síntomas relevantes que sean fácilmente identificables.
    Infectado: en nuestro modelo, un individuo infectado es infeccioso pero sí muestra síntomas fácilmente atribuibles a una infección COVID-19, lo que facilita su detección.
    Hospitalizado: individuo que está infectado pero ha sido detectado y precisa de hospitalización. Este individuo ya no propaga la enfermedad porque se supone confinado en el hospital.
    Recuperado: individuo que ya no es infeccioso y no puede contraer el mismo virus otra vez, sea porque se ha recuperado de la infección y ha desarrollado inmunidad, o bien porque ha fallecido.

    Las transiciones entre compartimentos las regulan las probabilidades de trasmisión, recuperación, etc, que hemos derivado de los estudios de COVID-19 publicados hasta el momento.

    Respecto la movilidad, hemos utilizado datos proporcionados por el Instituto Nacional de Estadística que recogen los viajes hechos por trabajo entre municipios y dentro de municipios. Este conjunto de datos reporta el flujo entre municipios (pero sólo aquellos flujos que cuenten con más de 10 viajes), para todos los municipios de España mayores de 100 habitantes. Nosotros incorporamos la movilidad al modelo porque consideramos que es fundamental para entender cómo se propaga una infección por el territorio. Nuestro modelo permite simular que resultados de riesgo se obtendrían en caso de imponer restricciones de movilidad globales o locales.

    Respecto a la demografía, hemos considerado esencial dividir la población del país en tres compartimentos: jóvenes (de 0 a 25 años), adultos (26 - 65) y mayores (>66). Las evidencias más recientes que se reportan respecto a COVID-19 es que afecta en diferente medida a cada uno de estos grupos. En nuestro modelo, las diferencias que establecemos entre estos tres grupos son, esencialmente que:

    Los jóvenes y los mayores no se mueven por el territorio con la misma probabilidad que los adultos.
    Los jóvenes tienen, con más probabilidad que el resto, infecciones donde solo se observa una fase asintomática (o con síntomas leves), y que por tanto, son más difíciles de detectar.
    Las personas mayores precisan de hospitalización con mucha más probabilidad que los jóvenes o los adultos.

    Limitaciones

    El modelo no predice la importación de casos internacionales.
    El modelo asume los parámetros epidemiológicos reportados hasta el momento, pero que podrían ir variando en función de los estudios epidemiológicos.
    El modelo asume que los datos de movilidad reportados por el INE no varían, es decir, la estimación cambiaría sustancialmente si la movilidad sufre restricciones.

    Ventajas

    El modelo permite alterar los parámetros epidemiológicos según sean reportados en próximos estudios epidemiológicos.
    El modelo permite estudiar la influencia del periodo asintomático y su infectividad asociada.
    En función de estos parámetros podemos estimar el mapa de riesgo de nuevos casos, anticipándonos a la propagación del virus por individuos asintomáticos.
    Las restricciones de movilidad masiva (cuarentena) pueden ser fácilmente introducidas en el modelo, permitiendo la obtener nuevos valores de riesgo bajo esas medidas. Esto podría ser útil a las autoridades sanitarias, que podrían usar este modelo para testear la eficacia de restricciones de movilidad en la expansión del virus.

    El problema de los datos

    Nuestro modelo puede calcular, a partir de unas condiciones iniciales (un cierto número de casos detectados y su localización), una estimación de cómo evolucionaría la epidemia en nuestro país. En la primera fase de la propagación de la epidemia en España, la mayoría de los casos detectados eran “importados”, es decir, individuos que habían contraído la enfermedad fuera del país y que posteriormente habían viajado a España. Estos casos no pueden ser detectados por el modelo puesto que son ajenos a la dinámica de transmisión del virus dentro del país. Por este motivo, en una fase donde los infectados son mayoritariamente importados es imprescindible disponer de datos fiables a tiempo real para realizar predicciones. Al no disponer de datos oficiales decidimos interrumpir el mantenimiento de nuestro mapa de riesgo.

    En el momento actual, los casos autóctonos, es decir, los que han originado dentro del país por transmisión local representan una gran proporción de los casos totales. Esos casos sí son detectados por nuestro modelo, el cual, partiendo de las condiciones iniciales de los casos que había en la primera fase de la epidemia (mayoritariamente los casos importados), hace evolucionar el sistema y obtiene la estimación actual del riesgo de infección. Es por ello que volvemos a poner a disposición pública los resultados obtenidos.

    http://deim.urv.cat/~alephsys/COVID-19/spain/es/index.html#sobrecarga

    #coronavirus #Espagne #conavid-19

    ping @simplicissimus @fil

  • Resources For Novel Coronavirus COVID-19

    This post is intended to be the hub for Wolfram resources related to novel coronavirus disease COVID-19 that originated in Wuhan, China. The larger aim is to provide a forum for disseminating ways in which Wolfram technologies and coding can be utilized to shed light on the virus and pandemic. Possibilities include using the Wolfram Language for data-mining, modeling, analysis, visualizations, and so forth. Among other things, we encourage comments and feedback on these resources. Please note that this is intended for technical analysis and discussion supported by computation. Aspects outside this scope and better suited for different forums should be avoided. Thank you for your contribution!


    https://community.wolfram.com/groups/-/m/t/1872608
    #conavid-19 #coronavirus #modélisation #données #visualisations
    ping @fil @simplicissimus

  • Why outbreaks like coronavirus spread exponentially, and how to “flatten the curve” - Washington Post
    https://www.washingtonpost.com/graphics/2020/world/corona-simulator

    This so-called exponential curveexponential curve has experts worried. If the has experts worried. If thenumber of cases were to continue to double every three days, therenumber of cases were to continue to double every three days, therewould be about a hundred million cases in the United States bywould be about a hundred million cases in the United States byMay.May.That is math, not prophecy. The spread can be slowed, publicThat is math, not prophecy. The spread can be slowed, publichealth professionals say, if people practice “health professionals say, if people practice “social distancingsocial distancing” by” byavoiding public spaces and generally limiting their movement.avoiding public spaces and generally limiting their movement.Still, without any measures to slow it down, covid-19 will continueStill, without any measures to slow it down, covid-19 will continueto spread exponentially for months. To understand why, it isto spread exponentially for months. To understand why, it isinstructive to simulate the spread of a fake disease through ainstructive to simulate the spread of a fake disease through apopulation.population.We will call our fake disease simulitis. It spreads even more easilyWe will call our fake disease simulitis. It spreads even more easilythan covid-19: whenever a than covid-19: whenever a healthy personhealthy person comes into contact comes into contactwith a with a sick personsick person, the healthy person becomes sick, too., the healthy person becomes sick, too.

  • Pipe dreams: can ’nano apartments’ solve Hong Kong’s housing crisis? | Cities | The Guardian

    https://www.theguardian.com/cities/2018/may/21/nano-apartments-hong-kong-housing-crisis

    Pipe dreams: can ’nano apartments’ solve Hong Kong’s housing crisis?

    The city with the world’s tiniest and costliest living spaces may soon convert drainpipes into homes. The aim is to get young people on the property ladder – but how small is too small?

    #urban_matter #hongkong #habitat #habita_urbain

  • Abus sexuels : comment l’Eglise a exfiltré des prêtres entre la #Guinée et la #France
    https://www.mediapart.fr/journal/international/220317/abus-sexuels-comment-l-eglise-exfiltre-des-pretres-entre-la-guinee-et-la-f

    Des enfants montrent une photo du frère Albert M. © #Cash_investigation (France 2) Ce sont deux religieux soupçonnés d’avoir commis des agressions sexuelles. Le premier, à Lyon, a été exfiltré en Guinée. Le second, parti de #conakry, termine sa carrière en Haute-Loire. Ils n’ont jamais été dénoncés à la justice. Révélations tirées du livre Église, la mécanique du silence (JC Lattès), en partenariat avec « Cash Investigation ».

    #International #église #exfiltration #Martin_Boudot #pédophilie

  • #Sadio v. Italy and two other applications (nos. 3571/17, 3610/17 and 3963/17), communicated on 2 February 2017

    On 2 February 2017, the European Court of Human Rights communicated the case of Sadio et al v. Italy (nos. 3571/17, 3610/17 and 3963/17), which relates to the reception conditions of an adult man and four unaccompanied minors in the reception center of Cona.

    Relying on Article 3 of the Convention, the first applicant complains that the conditions of his accommodation in the #Cona reception center exposed him to inhuman and degrading treatment. He refers in particular to the overcrowding of the center, the lack of heating (the temperature in the dormitory was slightly above zero degrees) and the poor hygiene conditions. Under Article 3 of the Convention, the minor applicants complained that they had been subjected to inhuman and degrading treatment because of their placement in the center of Cona until 15 January 2016, the date of their transfer to other centers. Under Articles 3 and 8 of the Convention, the applicants also complain that there is no protection by the competent authorities with regard to their status as unaccompanied minors.

    http://us1.campaign-archive1.com/?u=8e3ebd297b1510becc6d6d690&id=bcb5da7db9&e=ae0fb9f55e#5
    #accueil #hébergement #logement #CEDH #mineurs_non_accompagnés #Italie #MNA

    • La protesta dei profughi a Cona. «Ore in fila sotto il sole per mangiare»

      CONA (VENEZIA) Non parlano una parola di italiano ma si fanno capire benissimo i profughi trincerati dietro i cancelli del centro di accoglienza di Cona: «Very bad problem. La notte scorsa sono arrivati gli autobus con 100 nuove persone, volevano portarli qui dentro nella base: abbiamo detto che non sarebbero entrati e non sarebbe entrato nessuno del personale». I profughi bloccati nei pullman a Cona e rispediti in altri centri di accoglienza del Veneto non erano 100 ma 23, ma l’esagerazione è tipica di chi è sempre più esasperato, come gli ospiti del centro di accoglienza di Cona che sono arrivati al limite di sopportazione. «Abbiamo bisogno di essere trasferiti, siamo troppi. La prefettura ha detto che porteranno da un’altra parte dieci di noi ogni settimana. Io non me ne vado, sto qui. Neanche nei prossimi sei mesi me ne vado, ci sono molte persone prima di me, la lista è lunga. Qui la gente sta per molto tempo, c’è chi ci sta da oltre un anno. We need transfer».

      http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2017/1-luglio-2017/protesta-profughi-cona-ore-fila-sotto-sole-mangiare-24017
      #accueil

  • Supermercati, il grande inganno del sottocosto

    La scritta campeggia ben visibile all’entrata del supermercato: “Sottocosto”. Bottiglie di passata di pomodoro vendute a 0,49 euro, pacchi di pasta a 0,39, confezioni di tonno da quattro scatolette a 1,99 euro. Il locale è un supermercato di una grande catena, in una zona semi-centrale di Roma. Ma la stessa promozione si può vedere nei suoi innumerevoli punti vendita. Simile a molte altre che si possono trovare in locali gestiti da aziende concorrenti in tutta Italia.


    http://www.internazionale.it/reportage/fabio-ciconte/2017/02/27/supermercati-inganno-sotto-costo

    #prix #coûts #supermarchés #italie #sottocosto
    cc @albertocampiphoto @wizo

    • Con le aste online i supermercati rovinano gli agricoltori

      “Vedete, è come giocare alla slot machine”. Seduto di fronte al suo computer, Francesco Franzese digita freneticamente sui tasti simulando il gioco al quale si è trovato suo malgrado a partecipare in un giorno non troppo lontano. Questo manager di 37 anni, amministratore delegato del gruppo che produce i pelati e la passata La Fiammante, ha il dente avvelenato contro una prassi che si sta sempre più affermando tra gli operatori della grande distribuzione organizzata (gdo): quella delle aste online al doppio ribasso.


      http://www.internazionale.it/reportage/fabio-ciconte/2017/03/13/aste-online-supermercati
      #agriculture #enchère

    • Il prezzo occulto del cibo a #basso_costo

      L’uomo allunga sul tavolo la busta paga. Sul modulo Inail sono indicate cinque giornate di lavoro per un compenso totale di 229 euro. “Questo mese è andata così”, dice sconsolato, “il resto me l’hanno dato in nero”. Su un altro foglio c’è una tabella: accanto alla data, un elenco di cifre moltiplicate per due o tre centesimi di euro. “Sono i mazzetti. Il padrone mi paga a seconda di quanti ne faccio”. Parla di ravanelli, la cui raccolta è regolata da un prezzario preciso: due centesimi per ogni mazzo da dieci, tre se sono quindici.

      Siamo nell’Agro Pontino, in provincia di Latina. Il nostro interlocutore – chiamiamolo Singh – è uno dei circa diecimila braccianti indiani che lavorano nei campi di quest’area resa fertilissima dalla bonifica di mussoliniana memoria. Oggi, la zona tra Sabaudia, Terracina, Fondi e Sezze è uno dei distretti agricoli più produttivi del centro Italia: distese di coltivazioni in serra e in campo aperto, che finiscono sulle tavole italiane e anche all’estero, soprattutto nell’Europa del nord. Molti degli ortaggi che troviamo in bella mostra nei supermercati – le zucchine, le melanzane, i pomodori, oltre che frutti prelibati come i kiwi e le angurie – provengono da qui. E li raccolgono i lavoratori stranieri, soprattutto indiani, ma anche romeni, marocchini e tunisini.

      Gli immigrati sono ormai un elemento imprescindibile dell’Agro Pontino, così come di tutto il comparto agricolo italiano: secondo uno studio del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), dal 1989 a oggi il numero di cittadini italiani impiegati in agricoltura è diminuito di due terzi, mentre quello degli stranieri è aumentato di quindici volte.

      I prodotti che raccolgono sui campi finiscono nei mercati rionali, nei piccoli fruttivendoli di quartiere e sempre di più nei punti vendita della grande distribuzione organizzata (gdo). Costano poco, a volte pochissimo. Un mazzetto di ravanelli non arriva a un euro. Lo stesso vale per le zucchine o per l’anguria, pagata pochi centesimi al chilo.

      Ma quello che paghiamo quando compriamo un prodotto non tiene conto di una serie di costi nascosti: perché gran parte del comparto si regge su lavoro grigio non denunciato e su sussidi di disoccupazione illeciti pagati dallo stato, cioè da tutti noi; e perché i braccianti stranieri che lavorano in Italia spesso figurano solo parzialmente negli elenchi dei lavoratori Inps, sostituiti da finti braccianti italiani che non hanno mai messo le mani nella terra eppure beneficiano di sussidi, assegni familiari e pensioni agricole.

      Un vero e proprio sistema
      Torniamo a Singh. A fine giornata i mazzetti di ravanelli sono contati e lui è pagato in base alla quantità raccolta. Eppure, sulla sua busta paga mensile non compariranno i mazzetti. Figurerà invece un numero di giornate lavorate. Singh è regolarmente assunto e non compare in nessuna statistica di lavoratori irregolari in agricoltura. Se un ispettore del lavoro irrompesse nell’azienda dove lavora non avrebbe nulla da ridire: ha un contratto, ha fatto la visita medica e indossa anche gli indumenti necessari per la raccolta.

      Ma alla fine del mese percepisce molto meno di quello che gli spetterebbe di diritto: “Funziona così, non c’è molto da discutere”, dice.

      Quello di Singh non è un caso isolato. Potremmo anzi dire che è la prassi nel settore agricolo. Mentre il lavoro nero – cioè il numero di braccianti che non hanno un contratto di assunzione – diminuisce sempre più, anche come risultato della legge 199 del 2016 (meglio nota come legge anticaporalato) che prevede pene severissime per lo sfruttamento lavorativo, il “lavoro grigio” si diffonde e diventa un vero e proprio sistema, mettendo al riparo il datore di lavoro e, se c’è, il caporale.

      Per alcune colture – come il ravanello, l’anguria, il pomodoro da industria – vige il pagamento informale a cottimo: i lavoratori sono pagati a cassone, mazzetto, quintale, ma il loro salario è conteggiato a giornata. Per altre colture, effettivamente pagate a giornata, vige invece una sorta di “salario di piazza”, cioè una paga inferiore a quella prevista dal contratto, ma che è informalmente accettata dalle parti.

      Il trucco
      Come fanno i datori di lavoro a segnare meno giornate di quelle lavorate e sfuggire ai controlli? Il trucco è che in agricoltura le giornate non sono dichiarate all’Inps contestualmente a quando sono lavorate, ma a posteriori, con il modulo della dichiarazione di manodopera agricola, Dmag, compilato trimestralmente (da gennaio 2019 dovrà essere fatto mensilmente, ma sempre a posteriori).

      In pratica, il lavoro che tu fai oggi, è dichiarato dopo tre mesi. Quindi, se in quel frangente di tempo arriva un controllo dell’ispettorato, l’imprenditore potrà mostrare il contratto di lavoro – che comunque segnala solo indicativamente quante sono le giornate di lavoro previste – e dimostrare che è tutto in regola. In teoria. In pratica l’imprenditore segna il numero di giornate che ritiene opportuno, in base al salario informale imposto o concordato con i braccianti. Oppure, nel caso del cottimo, in base alla quantità effettivamente raccolta.

      Nelle grandi aziende agricole, gli uffici amministrativi fanno uso di varie tabelle di conversione che trasformano le ore lavorate o i cassoni/mazzetti/casse raccolti in giornate secondo il contratto provinciale. Sono queste le tabelle mostrate da Singh. A lui non sono tanto chiare quelle operazioni: l’unica cosa che sa è che ogni mazzo è pagato due o tre centesimi, e che a fine giornata se è stato veloce è riuscito a guadagnare una trentina di euro. Alla somma guadagnata per questo lavoro a cottimo, il bracciante aggiunge poi la disoccupazione agricola, corrisposta in un’unica soluzione l’anno successivo.

      La disoccupazione, infatti, è il grimaldello che rende il meccanismo accettabile per tutti. Perché parte di quello che l’operaio agricolo non percepisce dal datore di lavoro lo ottiene l’anno dopo dallo stato. “Si tratta di un sistema diventato prassi comune, approvato dagli stessi lavoratori. Nessuno vuole essere assunto a tempo indeterminato, perché perderebbe l’accesso alla disoccupazione, che è un’importante integrazione del reddito”, confida un imprenditore della zona, che preferisce rimanere anonimo.

      Poiché la disoccupazione agricola è erogata in base al numero di giornate lavorate ed è tanto più vantaggiosa quanto più ci si avvicina alle 180 giornate – superate le quali comincia invece a diminuire – tutti accettano e a volte richiedono esplicitamente di vedersi registrate un numero di giornate inferiore a quel numero. L’importo della somma è variabile, ma può raggiungere anche i quattromila euro all’anno.

      “È un segreto di Pulcinella. Lo stato integra il salario del lavoratore e permette al datore di lavoro di risparmiare. Tutti sono contenti”, continua l’imprenditore.

      La politica dei bassi prezzi non dà benefici a nessuno degli attori della filiera

      Così a fine anno, il salario complessivo del bracciante è il risultato della somma di tre voci: quella delle giornate segnate in busta paga, la quota data in nero dal datore di lavoro e la disoccupazione agricola.

      Basta analizzare le tabelle provinciali Inps sul numero di persone impiegate in agricoltura per trovare la plastica conferma che si tratta di un meccanismo diffuso: nella provincia di Latina gli operai agricoli assunti a tempo determinato nel 2017 erano 19.330, mentre quelli con contratti a tempo indeterminato erano 3.478.

      Tra i primi, la quasi totalità ha un numero di giornate registrate inferiore a 180. Una circostanza apparentemente sorprendente in un territorio dove quella agricola non è un’attività stagionale, ma è svolta tutto l’anno, con una pausa di massimo un mese nel periodo estivo più caldo.

      L’imprenditore che preferisce non rivelare il proprio nome ammette che il sistema è disfunzionale. Ma aggiunge: “Io sarei ben felice di pagare i salari previsti dai contratti provinciali, ma se lo facessi chiuderei il giorno dopo, perché non riuscirei a starci dentro con i costi. I contratti non tengono conto di quanto pagano il prodotto gli acquirenti, in particolare la grande distribuzione organizzata”.

      Le responsabilità della grande distribuzione
      Le insegne dei supermercati, diventate negli ultimi anni il principale canale di vendita, tendono a pagare sempre meno i prodotti agricoli, generando disfunzioni lungo tutta la filiera. “La discussione sul lavoro in agricoltura e sui bassi salari non è mai inserita in un’ottica più ampia che analizza le cause di questi deplorevoli fenomeni. Si parla tanto di caporalato, di sfruttamento ma raramente si analizza la scarsa valorizzazione del prodotto ortofrutticolo che penalizza la parte agricola”, sottolinea Gennaro Velardo, presidente di Italia Ortofrutta, unione di produttori agricoli molto impegnata nella valorizzazione delle produzioni.

      “La politica dei bassi prezzi non dà benefici a nessuno degli attori della filiera. Anzi, sta erodendo il valore dell’ortofrutta agli occhi del consumatore. I produttori che gestiscono una merce altamente deperibile sostenendone tutti i costi certi della produzione sono la parte debole della filiera, hanno difficoltà a fare reddito e a coprire i costi di produzione, dati di fatto questi che determinano una iniqua distribuzione del valore lungo la filiera”, aggiunge Velardo.

      Gli operatori agricoli, schiacciati dalle imposizioni della grande distribuzione organizzata, tendono a rifarsi sugli anelli più deboli della filiera, in particolare sui braccianti. Risparmiano sul lavoro – e addossano parte dei costi di manodopera sullo stato, che non percepisce parte dei contributi e paga disoccupazioni non dovute. In una specie di gigantesca partita di giro, il cibo venduto ai consumatori ha un prezzo basso, ma è di fatto sovvenzionato da loro stessi attraverso sussidi non dovuti.

      Nella piana del Sele
      Questo sistema è talmente diffuso e strutturato che colpisce anche distretti agricoli a più alta redditività, come quello della piana del Sele, in provincia di Salerno. Con i suoi settemila ettari di serre sparsi tra Eboli, Battipaglia e Pontecagnano, questa zona è diventata il principale polo produttivo della “quarta gamma”, l’insalata in busta pronta al consumo e sempre più diffusa nei supermercati.

      Il prodotto non è venduto a prezzi bassi: le busta di lattuga o di rucola da cento grammi costa almeno un euro, cioè l’equivalente di dieci euro al chilo. Grazie alla valorizzazione del prodotto, le realtà agricole della zona, hanno fatturati importanti. Alcune hanno creato impianti di lavaggio e imbustaggio dei prodotti raccolti. Altre li vendono a grandi gruppi del nord o all’estero.

      Eppure, l’organizzazione del lavoro segue le stesse dinamiche dell’Agro Pontino. I lavoratori – anche qui prevalentemente indiani e marocchini – sono assunti a tempo determinato e hanno buste paga in cui è registrato un numero di giornate inferiore a quelle lavorate. Il resto è pagato in parte al nero, in parte attraverso la disoccupazione agricola, che compensa anche in questo caso il mancato guadagno.

      “Il lavoro grigio è diffuso nell’intero settore produttivo. Aziende di diverse dimensioni e tutti gli stranieri occupati nel settore ne sono interessati: la consuetudine del lavoro grigio è la caratteristica strutturale di ampia parte dell’agricoltura italiana”, sottolinea Gennaro Avallone, ricercatore all’università di Salerno e autore del libro Sfruttamento e resistenze: migrazioni e agricoltura in Europa, Italia, Piana del Sele. “Il lavoro grigio consente di aumentare i profitti, ma anche di tenere costantemente il bracciante in una situazione di ricatto, perché soggetto al rinnovo del contratto necessario per rinnovare anche il permesso di soggiorno”.

      In una casupola vicino a Pontecagnano dove vive insieme a quattro suoi connazionali, un bracciante indiano mostra le sue buste paga. Sono identiche a quelle del connazionale che vive e lavora nell’Agro Pontino, salvo che qui non sono indicate le tabelle di conversione. Sventola quella di settembre: sono segnati 12 giorni. “Ma io ho lavorato tutto il mese!”.

      Keetan, il nome è di fantasia, sottolinea che una parte gli viene data in contanti – cioè in nero – e che poi ogni anno ottiene la disoccupazione agricola. “Ma con questo reddito non raggiungo la cifra necessaria per attivare il ricongiungimento familiare e far venire qui mia moglie e i miei figli”.

      Gli imprenditori della zona interpellati in proposito ammettono tutti – anche se in forma rigorosamente anonima – l’esistenza del lavoro grigio. Alcuni minimizzano, altri sostengono che volentieri farebbero le assunzioni a tempo indeterminato, ma che nessuno dei lavoratori accetterebbe. “Bisognerebbe abolire la disoccupazione agricola per mettere ordine nel sistema!”, dice provocatoriamente uno di loro.

      Cambiare il sistema
      Alla sede centrale dell’Inps hanno ben chiare le dimensioni del fenomeno. “In vaste aree del paese, l’agricoltura è soggetta a un forte grado di opacità nell’erogazione dei sostegni pubblici”, dice il presidente Tito Boeri, mostrando una serie di tabelle e di documenti che già nel 2015 aveva portato all’attenzione delle commissioni riunite lavoro e agricoltura della camera dei deputati.

      “Bisognerebbe cambiare il sistema di registrazione delle giornate e il modo in cui è conteggiata ed erogata la disoccupazione agricola, adeguandola a quella di altri comparti, per i quali vige la nuova assicurazione sociale per l’impiego (un sussidio di disoccupazione pagato su base mensile, ndr)”, continua Boeri.

      Oggi la disoccupazione agricola è corrisposta in un’unica soluzione l’anno successivo a quello in cui si è lavorato ed è versata anche se in quel momento si sta lavorando. Si tratta quindi non tanto di un sussidio – giustamente previsto per compensare le stagioni in cui in cui in agricoltura non si lavora – ma di una vera e propria integrazione del reddito.

      I finti braccianti
      Al danno erariale causato dalle disoccupazioni non dovute e dalla mancata denuncia delle giornate lavorate si aggiunge poi la beffa dei finti braccianti, operai agricoli che non lavorano sulla terra ma percepiscono sussidi e assegni familiari. “I due temi si intrecciano. In alcune aree del paese c’è una coesistenza di lavoro svolto ma non dichiarato e di lavoro fittizio, mai svolto ma dichiarato per beneficiare di sussidi”, sostiene Boeri.

      Nelle provincia di Foggia l’esistenza dei finti braccianti non è un segreto per nessuno. “Io vorrei assumere italiani, ma non li riesco a trovare. Eppure, nelle liste Inps ce ne sono migliaia”, si indigna Raffaele Ferrara, presidente dell’organizzazione dei produttori La Palma, che coltiva duecento ettari a pomodoro nella zona di Lesina. “Quello dei finti braccianti è uno scandalo che grida vendetta. Ma nessuno fa nulla”. Nei campi di pomodoro – e in quelli di asparagi, finocchi, carciofi – si vedono solo stranieri.

      Eppure nella provincia di Foggia su 49.868 braccianti agricoli registrati nel 2017 il 58 per cento (29.143) è di nazionalità italiana, percentuale che raggiunge il 74 per cento se si considerano solo i braccianti che hanno avuto segnate più di 51 giornate, ossia il numero minimo per accedere agli ammortizzatori sociali. Dove sono tutti questi operai agricoli? “A casa a grattarsi la pancia”, scherza Ferrara.

      Ma come funziona il sistema dei finti braccianti? In un contesto completamente deregolamentato – in cui gli stranieri spesso lavorano a cottimo e senza che gli siano registrate tutte le giornate di lavoro nei campi – c’è un vero e proprio scambio di giorni lavorati tra veri e falsi operai agricoli. Insomma le aziende non segnano le giornate ai braccianti stranieri che effettivamente lavorano nei campi, ma le attribuiscono a persone di nazionalità italiana che non hanno mai toccato la terra, e che in cambio danno i soldi alle aziende per pagare i loro contributi previdenziali, più altro denaro per il “favore”.

      Senza mai lavorare queste persone ottengono la disoccupazione, gli assegni familiari e, raggiunta l’età, anche la pensione agricola. Non sono cifre da poco: solo negli ultimi tre anni, l’Inps ha scovato più di 90mila operai agricoli fittizi, per un danno all’erario di centinaia di milioni di euro.

      Tra falsi braccianti che ottengono benefici di cui non avrebbero diritto, braccianti reali che sono pagati meno di quanto gli spetterebbe e che a loro volta integrano il reddito con sussidi che non dovrebbero avere, a perdere sono l’agricoltura e il sistema agricolo in Italia nel suo complesso. Perché un settore che vive di lavoro sfruttato e di sussidi indiretti sarà destinato ad avere sempre una posizione subalterna nei confronti degli altri attori della filiera, dalle industrie di trasformazione alla grande distribuzione organizzata, fino ad arrivare ai consumatori, cioè tutti noi, che compriamo cibo a basso costo senza sapere quello che c’è dietro il nostro apparente risparmio.

      https://www.internazionale.it/reportage/stefano-liberti/2018/11/19/prezzo-occulto-cibo
      #prix #alimentation

    • Chi comanda davvero nella grande distribuzione organizzata italiana

      È notizia di qualche giorno fa: #Conad compra gli oltre 1600 supermercati #Auchan e #Simply in Italia. La quota di mercato del gruppo sale così dal 12,9% al 16,5%, mentre l’aggregato del fatturato passa da 13,4 a 17,1 miliardi di euro. Il gruppo guidato da Francesco Pugliese diventa così leader incontrastato del settore, sopravanzando la rivale Coop. Ma chi comanda davvero nell’universo della grande distribuzione organizzata? Qual è il ruolo dei discount in Italia? E tra sconti, aste e offerte, quali sono gli anelli deboli della catena? Alcune risposte si trovano ne Il grande carrello. Chi decide cosa mangiamo (Laterza, Bari, 2019, pp. 119), firmato da Stefano Liberti, giornalista, e da Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra! onlus.

      La tesi del libro è che la concorrenza tra supermercati, basata esclusivamente sul prezzo, impone alle catene di sedurre i consumatori con offerte sottocosto. Per garantire prezzi bassi, però, la grande distribuzione si vede costretta a rifornirsi al più basso costo possibile dai produttori, che quindi per tenere in ordine i conti delle loro aziende medio-piccole, si vedono obbligati a ridurre all’osso qualsiasi costo di produzione, in particolare i corrispettivi per la manodopera dei lavoratori. “Perché quando compriamo sottocosto, c’è sempre qualcun altro che quel costo lo sta pagando”, scrivono gli autori.

      A monte della pasta comprata «sottocosto» dal cliente, ci sono inevitabilmente una piccola azienda che entra in affanno e un produttore di grano che non riesce più a vendere il proprio prodotto, perché il pastificio in affanno preferisce comprare il grano canadese, più economico. Dietro la passata di pomodoro venduta in 3×2 ci potrebbe essere un’industria di trasformazione che ha accettato una commessa poco vantaggiosa, pur di non perdere l’accesso al mercato. “E che cercherà poi di pagare meno la materia prima a un produttore agricolo, che a sua volta proverà magari a risparmiare sulla forza lavoro, pagando i braccianti il meno possibile”, scrivono Ciconte e Liberti.

      Il libro resta però fondamentalmente uno studio sui consumi, le nostre abitudini alimentari e l’influenza che la grande distribuzione esercita su consumatori e produttori. Muovendo le leve del marketing emozionale, le grandi insegne orientano le nostre abitudini d’acquisto. Servendosi invece della posizione dominante acquisita sul mercato, le catene impongono ai produttori medio-piccoli modalità di accesso agli scaffali che finiscono per generare lavoro a basso costo e bassa qualità. Tutto in nome di due paroline magiche – “offerta” e “sottocosto” – che rappresentano ormai l’imperativo per distributori e consumatori.

      I rapporti di forza tra piccoli produttori e grande distribuzione pendono a favore delle grandi insegne sostanzialmente perché quasi 3 acquisti alimentari su 4 oggi si verificano in un punto vendita della grande distribuzione organizzata. E sono questi numeri a delineare il potere contrattuale che le insegne esercitano sui piccoli produttori, costretti a fare carte false pur di intercettare la mole di consumatori che si servono esclusivamente nei supermercati. Le insegne così si sentono libere di adoperare meccanismi che mettono in grande difficoltà i “piccoli”. Per ospitare i prodotti sugli scaffali, i supermercati chiedono ai singoli produttori di versare un corrispettivo chiamato listing fee, una sorta di tassa per l’esposizione più o meno in evidenza. “I grandi gruppi industriali non pagano la listing fee, perché un supermercato che non ha la Coca-Cola o la pasta Barilla rischia di perdere clienti. Ma piccole e medie imprese dovranno pagare una tariffa non indifferente per avere l’onore di vedere esposti i propri prodotti”, annotano Ciconte e Liberti.

      Anche il meccanismo delle aste al ribasso contribuisce a mettere in difficoltà i produttori. Per proporre una passata di pomodoro a 0,39 e un pacco di pasta a 0,49 centesimi, le insegne della grande distribuzione, in particolare i discount, mettono contemporaneamente in competizione vari fornitori, per acquistare il prodotto finale al prezzo più basso possibile. Il gruppo manda alle aziende produttrici un’email chiedendo di fare un’offerta. Raccolte tutte le proposte, convoca una nuova gara dove la base d’asta è l’offerta più bassa fra quelle presentate. Il tempo per rilanciare in questa seconda fase è molto limitato. Pochi minuti per dire sì o no a una commessa di milioni di bottiglie o di scatole. Commesse non indifferenti per produttori che hanno come principale canale di vendita proprio i supermercati. “Questi meccanismi possono mettere in difficoltà alcuni produttori o agricoltori, ma la responsabilità è del mercato, che a volte è cattivo”, ha riconosciuto Eurospin.

      Gli autori individuano cinque diverse tipologie di consumatori, che si distinguono per consuetudini d’acquisto differenti. Il «cliente Cacciatore» si sposta da una catena all’altra a caccia di offerte, il «cliente Pragmatico» bada solo alle caratteristiche del prodotto e al costo, il «Prudente» è influenzato da fonti che considera affidabili come negozianti e pubblicità, l’«Esperto» ha capacità di spesa e legge si informa confrontando le etichette, infine i «Brand Fan» che acquistano solo prodotti di marca. Curiosamente nessuna delle categorie fa caso al rincaro pari al 700-800% su un prodotto come l’insalata in busta, venduta al prezzo rassicurante di 0,99 euro, eppure pagata – a conti fatti – non meno di 10 euro al chilo. Nessuno coglie la contraddizione, perché la percezione resta quella del prezzo basso, veicolata dal bollino giallo che comunica una spesa inferiore all’euro.

      Del resto il vantaggio competitivo alla base del successo dell’insalata in busta è il risparmio di tempo. C’è il tempo guadagnato al supermercato, dove il prodotto va solo messo nel carrello, mentre quello sfuso va invece scelto, imbustato, pesato ed etichettato. E poi c’è il tempo risparmiato a casa, dove l’insalata va soltanto condita. “Su questo insistono le strategie dei principali attori del settore, che hanno intercettato il moderno bisogno di non indulgere troppo in cucina, pubblicizzando a chiare lettere lo slogan «Si vende tempo libero». Del resto i prezzi che finiscono con la doppia cifra ‘99’ risvegliano la sensazione subliminale del risparmio: anche se sappiamo che 2,99 è uguale a 3 euro, il nostro cervello registra che il prodotto in questione costa poco più di 2 euro”, scrivono gli autori.

      Un capitolo a parte viene poi riservato all’attenzione per certi versi esasperata alle scelte dietetiche, anche per chi non ne ha bisogno. Del resto viviamo nell’epoca dei cosiddetti consumi «evolutivi», quelli in cui l’aggiunta o l’eliminazione di qualcosa costituisce un tratto distintivo e genera consumi. Gli scaffali abbondano ormai di prodotti in cui la sottrazione diventa marchio distintivo: senza zuccheri aggiunti, senza glutine, senza lattosio, senza grassi idrogenati, senza sale, senza aspartame, senza OGM. Nel 2017 il settore ha registrato acquisti per quasi 7 miliardi di euro in Italia, con un trend in continua ascesa anno per anno. Se si escludono acqua e alcolici, i prodotti “senza” costituiscono oggi il 18,6% degli acquisti alimentari.

      La tendenza è ben riassunta dal caso “olio di palma”. Nel 2014 fa il suo ingresso ufficiale nelle etichette dell’industria alimentare e dei cosmetici, su indicazione del regolamento europeo 1169/11 che obbliga i produttori in tal senso. Secondo buona parte dei nutrizionisti l’assunzione giornaliera di dosi elevate di olio di palma potrebbe risultare dannosa per la salute a causa della presenza dei grassi saturi. Eppure nel gennaio 2018 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) specifica che «i livelli di consumo tramite gli alimenti sono considerati privi di rischi per la maggior parte dei consumatori». Ragionano Ciconte e Liberti: “Il messaggio però è ormai passato: l’olio di palma è potenzialmente dannoso per la salute e quasi tutte le grandi catene di distribuzione e i produttori industriali bandiscono l’uso dell’olio di palma dai loro prodotti”. Si aprano i festeggiamenti.

      https://forbes.it/2019/05/22/gdo-chi-comanda-davvero-nella-grande-distribuzione-organizzata-in-italia

    • Aste al doppio ribasso, uno strumento che schiaccia i piccoli produttori

      In un mercato agroalimentare dove la grande distribuzione organizzata domina quasi incontrastata, i piccoli e medi produttori sono in difficoltà. Uno dei loro problemi è rappresentato dalle aste online al doppio ribasso.


      https://www.tvsvizzera.it/tvs/qui-italia/filiera-agroalimentare_aste-al-doppio-ribasso--uno-strumento-che-schiaccia-i-piccoli-produttori/44968772

  • By the #Light of the arrivals gate
    http://africasacountry.com/2017/02/by-the-light-of-the-arrivals-gate

    For more than a decade, night-time arrivals at Gbessia International Airport in #Conakry, #Guinea, were greeted by dozens and sometimes hundreds of secondary school students studying in the parking lot. A foreign visitor’s bemusement would quickly evaporate, however, as they noticed that beyond the bright lights of the partially French-owned and operated airport, block after…

    #CULTURE #documentary #education #Film #Future #infrastructure #Power #Review #Youth

  • « La lutte contre l’#excision échoue depuis 40 ans en Guinée » – EurActiv.fr
    http://www.euractiv.fr/section/aide-au-developpement/interview/la-lutte-contre-lexcision-echoue-depuis-40-ans-en-guinee

    Il y a deux explications principales. D’abord, les Guinéens se conforment aux normes collectives dominantes et personne ne s’autorise une réflexion ou un débat là-dessus. Il y a aussi l’idée que l’excision est une aide à l’abstinence, qui permet à la femme d’arriver vierge au mariage. Cette croyance n’est pas d’inspiration religieuse, mais signifie qu’une mère a bien éduqué sa fille. Enfin, l’excision permet de brider la #sexualité. Dans cette logique, le besoin sexuel des femmes est plus élevé que celui des hommes, donc l’excision permet de limiter le désir sexuel de la femme par rapport à celui de l’homme et de favoriser la survivance de la polygamie. Du côté du religieux, le message des mosquées est ambivalent : parfois les Imans disent qu’il faut exciser des fois non, en fonction des financements dont ils dépendent.

  • Italie : la mort d’une Ivoirienne provoque une révolte dans un centre de migrants

    Dans une structure d’hébergement du nord du pays, 25 employés ont été retenus jusqu’à 2 heures dans la nuit de lundi à mardi. Les pensionnaires protestaient après le décès d’une femme de 25 ans, « malade depuis des jours » selon son compagnon.


    http://www.liberation.fr/planete/2017/01/03/italie-la-mort-d-une-ivoirienne-provoque-une-revolte-dans-un-centre-de-mi
    #asile #migrations #réfugiés #décès #révolte #Cona #soins #mort


  • J’ai mieux dans ma chambre, qu’est-ce que fous cette main ridicule sur l’affiche ?, moi, il y a douze ans j’ai acheté une affiche de collection beaucoup plus belle
    The Haunting, La Maison du Diable, Robert Wise, 1963

    La maison. La conscience. L’intérieur. La maison comme le cerveau.
    Le principe du film d’épouvante est un masque pour dire. Parfois le cinéma a besoin des oripeaux du genre pour faire métaphore. On va arrêter avec cette expression : « faire métaphore ». Ca commence à être un lieu commun dans mes #critique_a_2_balles . Je veux dire que le principe du genre est un carcan, des bandes de tissus très très serrées pour plonger le et la spectateuse dans un univers qui va, à son tour décaler la règle. Translater le regard.
    Ai-je raison @mad_meg de penser que Wise nous parle de la perte de la virginité ? Il y a les mythes freudiens dans ce film de l’œdipe et d’Electre. Et en même temps les bases de la pléthore de teen movies qui suivront beaucoup plus tard.
    Et l’importance de la maison dans ce film. Elle est belle, putain. J’imagine les décors et les artisans sous-payés...
    Il n’y a pas l’horreur qu’un ou qu’une spectatrice pourrait imaginer si on lui dit film d’horreur... mais il y a l’angoisse, la solitude et l’inconnu.
    A ce moment là je ne sais plus trop quoi écrire sur ce film merveilleux. C’est sur aujourd’hui il faut, pour le regarder dans son salon, fermer les volets, éteindre son téléphone, fermer toutes ses applis et ne pas se laisser emmerder par un « la base virale de votre ordinateur a été mise à jour ». Il faut vraiment se laisser prendre. C’est assez envoutant mais il faut y mettre un peu du sien. Mais si on fait un petit peu d’effort... on voyage.
    Je disais donc que comme je ne sais plus trop quoi écrire, je dis quelques phrases inspirées de la discussion sur le film que je viens d’avoir avec Marie.
    La maison est un personnage. L’héroïne ne s’appelle pas Abigail, elle s’appelle Eleonor. Ah oui, Abigail c’est le fantôme. Oui mais c’est aussi un peu son double. On peut donc dire que l’héroïne du film est Abigail. Oui tu as raison finalement, mais Conan le Barbare est un film à chier. Non, je n’écrirai pas ça. C’est pas toi qui tape c’est moi. Ben oui d’accord, c’est le contrat, mais si je veux pas écrire j’écris pas, d’accord ? Ecoute Marie je n’ai pas envie de te contredire et puis cette critique à 2 balles ne parle pas de Conan le Barbare. Bon d’accord mais j’ai raison. Oui d’accord tu as raison.

    https://www.youtube.com/watch?v=AeAzGxWlEcg

    #La_maison_du_diable # The_Haunting #Robert_Wise #1963 #Cinema #pas_viol #Conan_le_barbare #Marie #Maison_et_travaux #N&B #film_d'horreur #epouvante #Jean-Michel_Freud #Œdipe #Electre

    • Je vais revoir ce bijou et je reviens te dire ce que je pense de la métaphore de la virginité. Au sujet de Conan le barbare je dirais pas qu’il est à chier (c’est le chef-d’œuvre ultime pour un de mes frère) mais si tu le regarde juste après La maison du Diable...

    • Oui @aude_v ce caractère de la femme en noir crève l’écran. Mais quel passage ? Quel transfert ? Quelle translation de la femme en noir comme lesbienne formatrice jusqu’à la femme en noir des films d’Hitchcock, les femmes brunes dans ses films sont le diable, de la à dire que les films du père Alfred sont homophobes... Très très belle analyse sans aucun rapport de The searchers sur Hors-série.
      Hier soir j’ai téléchargé l’intégrale de l’ami Paul. J’ai hate j’ai hate...

  • Powerful #Portraits Of #Ebola Survivors Back Home And Still Fighting To Live

    French photographer #Livia_Saavedra travelled to the Guinean capital #Conakry in October for Waha International to document Ebola survivors who have returned to their communities. Some have lost family to the disease, others no longer have jobs or face rejection from their community. “The stigma they face is terrible,” Saavedra wrote in an email to WorldPost.


    http://www.huffingtonpost.com/2014/11/22/ebola-survivors-photos-livia-saavedra_n_6194496.html
    #photographie #survivant #Guinée_Conakry
    cc @albertocampiphoto

  • #Africa_is_a_Country_Radio : Episode 3
    http://africasacountry.com/africa-is-a-country-radio-episode-3

    Episode 3 of Africa is a Country Radio is live on Groovalizacion and the AIAC Mixcloud page. This month is a music only episode because I had been touring the U.S., and only just arrived back to Rio to record the show. However, there is a still a bit of a theme. #Brazil being on much […]

    #Algeria #Bissau #Cabo_Verde #Conakry #Congo #Nigeria #World_Cup

  • Le « conatus » vous dis-je !
    http://www.politis.fr/Le-conatus-vous-dis-je,26796.html

    Si vous n’avez pas déjà vu Bienvenue dans l’angle alpha, ne manquez pas les prochaines représentations, en juin, à la Manufacture des Abbesses. Cette pièce, mise en scène par Judith Bernard et sa troupe Ada-Théâtre, est une adaptation du livre de Frédéric Lordon, Capitalisme, désir et servitude. Marx et Spinoza (La Fabrique, 2010). La complicité entre eux est grande, puisque c’est elle aussi qui avait mis en scène d’Un retournement l’autre, une comédie en alexandrins.

    Cette pièce jubilatoire fouaille et met à nu les ressorts de l’univers du travail. Les deux pivots en sont : une double échelle, rouge, objet magique symbolisant la pyramide hiérarchique, l’échelle sociale, la volonté d’ascension vers le sommet, la croissance, bref, le monde capitaliste dans toute sa splendeur, et le « conatus », concept-clé de la pensée de Spinoza.

    #Lordon #Judith_bernard #Conatus #theatre #capitalisme #Spinoza