• Découvrir les Afriques à Paris, et rendre visible une histoire méconnue
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2019/12/24/decouvrir-les-afriques-a-paris-et-rendre-visible-une-histoire-meconnue_60239

    Seize paires d’yeux sont braquées sur le Panthéon. Les visiteurs, emmitouflés dans les doudounes de décembre, sont suspendus aux révélations du guide qui doit les mener du temple républicain dédié aux personnalités qui ont fait l’histoire de France, à Saint-Germain-des-Prés, haut lieu de la vie intellectuelle parisienne. Mais cette visite touristique n’est pas comme les autres. Durant deux heures, Kévi Donat va raconter un Paris méconnu, ignoré des manuels scolaires et des circuits classiques : une histoire des Noirs de France et d’ailleurs qui ont marqué leur époque et dont la mémoire, faute d’être transmise, s’est presque perdue.

    #colonialisme #décolonialisme #paris #promenades_décoloniales

  • Afrique subsaharienne et #sionisme évangélique | Sciences Po L’Enjeu mondial
    https://www.sciencespo.fr/enjeumondial/fr/odr/afrique-subsaharienne-et-sionisme-evangelique

    Janvier 2017

    Dans sa politique étrangère en #Afrique subsaharienne, l’État d’Israël n’est pas insensible au poids joué par les cultures protestantes #évangéliques, nourries de Gospel. On peut aller jusqu’à faire l’hypothèse que les réseaux évangéliques sont même devenus un élément du soft power de Tel Aviv en Afrique. À chaque étape de sa tournée africaine 2016 (Ouganda, Kenya, Ethiopie, Rwanda), le premier ministre israélien Benyamin Netanyahou a ainsi pu compter sur l’appui local et les prières ferventes des puissants réseaux évangéliques d’Afrique de l’Est. Ces réseaux, en Afrique de l’Ouest, sont (un peu) moins influents, mais du point de vue français, ils sont francophones et pèsent des millions de fidèles : dans une #géopolitique des #religions où le conflit israélo-arabe demeure en toile de fond, ils méritent toute l’attention de la puissance publique.

    #évangélisme

  • Regrettable retirette

    Le « congé paternité maintenant ! » ne sera pas pour tout de suite. En tout cas pas la formule de quatre semaines réclamées par l’initiative populaire dont le comité porte ce nom, lancée en 2016 par Travail.suisse, faîtière des syndicats chrétiens. Le texte avait pourtant recueilli plus de 120 000 signatures en un temps record – six mois d’avance sur le délai – et était promis à une victoire dans les sondages en vue d’une prochaine votation. L’organisation à l’origine de l’initiative et ses alliés ont cependant annoncé mercredi la retirer, se contentant pour l’heure du contre-projet minimaliste adopté le 27 septembre par les Chambres, qui accorde deux semaines seulement aux pères à la naissance d’un enfant. Leur nouvel objectif : le lancement d’un projet plus ambitieux, celui d’un congé parental, déjà dans les tuyaux du Parti socialiste suisse.

    https://lecourrier.ch/2019/10/02/regrettable-retirette
    #congé_paternité #paternité #Suisse #congé_parental #parentalité

  • #Ebola : la #Tanzanie accusée de rétention d’information - BBC News Afrique
    https://www.bbc.com/afrique/49788413

    La Tanzanie a déclaré la semaine dernière qu’elle n’avait aucun cas confirmé ou suspect d’Ebola.

    Elle est voisine de la République démocratique du #Congo, où la fièvre hémorragique a fait quelque 2 000 morts depuis août 2018.

    L’#économie tanzanienne dépend fortement du #tourisme, un secteur qui pourrait connaître des difficultés si des cas d’Ebola sont confirmés dans le pays.

  • #Congo: miniere di cobalto e grandi interessi internazionali

    La narrazione dell’Africa come miniera del pianeta non è peregrina, e fonda le proprie basi su un’industria estrattiva che oggi è ricca e in fase espansiva. Dietro al dato aggregato, ossia che specialmente la parte centrale del continente contribuisce in maniera sostanziale al fabbisogno globale di materie prime, l’estrazione di alcuni minerali essenziali per l’industria tecnologica è perfino più significativa. Il cobalto in particolare è salito all’onore delle cronache economiche perché rappresenta una componente – quella che lascia incamerare elettroni – indispensabile delle batterie al litio; e queste ultime alimentano gran parte della tecnologia “mobile” del presente e del futuro: dagli smartphone alle automobili e alle biciclette elettriche.

    Probabilmente non esiste al mondo un paese che esemplifichi così bene la contraddizione tra ricchezza di risorse naturali e povertà della popolazione come la Repubblica Democratica del Congo (RDC) – l’ex Congo belga (da non confondere con la Repubblica del Congo, cioè l’ex Congo francese). Senza ombra di dubbio, le sue miniere sono le più ambite del pianeta: non solo per il quadro normativo molto elastico che ne regolamentava il funzionamento fino a poco tempo fa, ma soprattutto perché contribuiscono con una percentuale gargantuesca alla produzione mondiale.


    Si calcola che oltre il 53% del cobalto in circolazione nel 2016 veniva estratto in RDC (66mila tonnellate su circa 123mila). È comprensibile quindi che la RDC sia oggi una destinazione molto ambita per le multinazionali, sia quelle che si occupano di estrazione, sia quelle che muovono le migliaia di tonnellate estratte verso le raffinerie – localizzate per la maggior parte in Cina.

    In realtà, a dispetto dei potenziali vantaggi che tale posizione potrebbe portare al paese, la situazione in RDC è attualmente molto delicata: nonostante le grandi risorse, il paese trae un beneficio molto esiguo da questo traffico internazionale di materie prime. La Federazione delle Industrie della RDC stima che, sempre nel 2016, solamente 88 milioni di dollari siano entrati nelle casse dello stato come risultato dell’attività estrattiva legata al cobalto, a fronte di oltre 2.600 milioni di introito complessivo generato dalle multinazionali. Una percentuale praticamente insignificante. Ma nel 2018, il presidente Joseph Kabila, di comune accordo con il Ministro delle Miniere Martin Kwabelulu ha proposto una revisione sostanziale del codice che regolamenta lo sfruttamento delle risorse minerarie del paese (incluso chiaramente il cobalto), e quindi degli accordi transnazionali.

    Secondo molti, questo squilibrio fu inizialmente dettato dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), al tempo creditore della RDC e di cui finanzia tutt’oggi lo sviluppo. Preoccupato di liberalizzare un mercato asfittico, negli accordi post bellici del 2002 il FMI impose una tassa molto esigua – appena del 2% –sull’estrazione e il trasferimento all’estero di rame e cobalto, una percentuale talmente bassa da rendere praticamente infruttifera (almeno per le casse pubbliche) l’intera produzione. Da allora però le tonnellate estratte sono più che raddoppiate, passando da 450.000 a oltre un milione. Per questo motivo, l’esplosione dell’industria del cobalto in RDC non ha un reale impatto sui conti dello Stato, e presenta un ritorno ancora minore sulla qualità della vita della popolazione: a titolo d’esempio, la RDC occupa criticamente il 176° posto sui 188 paesi del mondo classificati per lo Human Development Index dell’ONU.

    Nell’attuale contesto, e nonostante la citata revisione del codice di sfruttamento, diverse multinazionali hanno potuto beneficiare dei ricavi prodotti dalla ricchezza del sottosuolo congolese. Industrie come Glencore, CDM, Randgold, China Molybdenum e altre hanno indirizzato le loro attività in RDC; ad esempio, gli svizzeri di Glencore concentrano nelle loro mani uno spaventoso 35% dell’intera produzione mondiale. Nel corso del tempo, molte altre industrie hanno aperto stabilimenti in diretta prossimità dei siti estrattivi (da Volkswagen ad Apple, da Microsoft a Huawei) assicurandosi così una fetta cospicua della torta mineraria congolese.

    Questo quadro è aggravato dalle condizioni di lavoro in cui versano i minatori. Poiché il cobalto si presenta sotto forma di sedimenti dalle ridotte dimensioni, una parte significativa viene estratta a mano; oltretutto, spesso i filoni sono accessibili solamente attraverso tunnel angusti e scavati in modo rudimentale. Diverse organizzazioni non governative, ed in particolare Amnesty International e Afrewatch (che hanno pubblicato anni fa un rapporto congiunto) hanno denunciato le ripetute e continue violazioni dei diritti umani nelle miniere. Incidenti e morti bianche sono frequenti, specialmente nelle regioni del Katanga, dove le miniere costruite e gestite in maniera artigianale sono numerose. Gli orari di lavoro superano spesso le 12 ore giornaliere. Per di più, l’UNICEF ha stimato in circa 40.000 i bambini dai 3 ai 7 anni che lavorano quotidianamente nelle miniere; altre centinaia di migliaia di lavoratori operano in condizioni precarie che sfidano le più elementari regole sulla sicurezza del lavoro. Le (deboli) protezioni sindacali vengono facilmente aggirate, col risultato di gonfiare un traffico illegale di materie prime che elude i controlli e viene iniettato direttamente nei flussi di commercio internazionale.

    Il nuovo codice minerario è entrato in vigore nel 2018. Ha previsto un aumento della tassazione dal 2% al 10%, allineando così il Congo alla media mondiale del settore. Tuttavia, la nuova legislazione ha ricevuto critiche da tutte le parti in causa, a cominciare dagli attivisti per i diritti umani che accusano il governo di aver perso un’occasione per regolamentare le condizioni dei minatori. Altri hanno richiamato l’assenza di provvedimenti in grado di contrastare la dilagante corruzione, che è stata per anni un freno ad azioni più decise da parte del Governo. Il settore estrattivo ne ha messo in evidenza il pregiudizio economico ai propri danni.

    In ogni caso, queste misure avranno una conseguenza sul mercato del cobalto. A maggior ragione, se si pensa che la maggior parte delle risorse sono concentrate in poche industrie estrattive, e raffinate per l’80% in Cina: le condizioni ideali di mercato sono ben lontane. Alcuni ritengono che le nuove tasse governative impatteranno sul prezzo del cobalto, ricadendo poi sul prezzo dei prodotti finiti: e il prezzo del cobalto è già aumentato del 195% negli ultimi 5 anni.

    Si tratta di un effetto diretto e cruciale per il mercato globale. La domanda sta crescendo in maniera molto più rapida rispetto all’offerta, e può mettere a repentaglio la tenuta del prodotto in futuro. Alcuni colossi della tecnologia stanno cercando di creare batterie senza cobalto da immettere sul mercato globale, e le ultime generazioni ne utilizzano effettivamente una quantità sempre minore; tuttavia, nel breve periodo è difficile immaginare che il mondo stacchi la spina dal cobalto.

    https://aspeniaonline.it/congo-miniere-di-cobalto-e-grandi-interessi-internazionali
    #extractivisme #mines #cobalt #RDC #cartographie #visualisation #mondialisation #globalisation #travail #exploitation #enfants #enfance
    ping @albertocampiphoto @daphne

  • Sammy Baloji – interview: ‘I’m not interested in colonialism as a thing of the past, but in the continuation of that system’
    https://www.studiointernational.com/index.php/sammy-baloji-im-not-interested-in-colonialism-as-a-thing-of-the

    Sammy Baloji – interview: ‘I’m not interested in colonialism as a thing of the past, but in the continuation of that system’
    The Brussels-based Congolese artist talks about the past and present of colonialism and mineral extraction in the context of his recent exhibition at Salzburg’s Stadtgalerie Museumspavillon, Salzburg Summer Academy

    #colonialisme

    • #néo-colonialisme #continuum #extractivisme #Sammy_Baloji #art #exposition

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      #Extractive_Landscapes

      How is history reflected in landscape? How does an object give evidence of its own transformations, and how do these become visible? Sammy Baloji’s exhibition in Salzburg enquires how history is inscribed in artefacts and landscapes. The exhibition shows traces left by mining in the province of #Katanga, rich in raw materials, in the Democratic Republic of #Congo. Starting from the exploitation of natural resources in this region, Baloji examines processes of abstraction and transformation. Geological maps become abstract compositions when separated from their legends. The habit of a mineral is no longer recognisable in its geometric form. Photographs of rugged landscapes give only an indirect suggestion of human bodies that have laboured there. Even copper shell casings can be unresistingly turned to decorative account as flower vases.

      Thus the historical living conditions and work processes in the mining region are rendered invisible. The power exerted by global value-chains, operative here, is lost in perfectly alluring images and objects that negate their origin. The traces of mining in Salzburg are still clearly evident in the landscape and in the wealth of the town – though quite differently from those left in Katanga. Without suggesting direct parallels, the exhibition invites the viewer to take a close look at landscapes, and asks how images and objects operate as bearers of testimony.


      https://www.summeracademy.at/en/kurse/an-exhibition-by-sammy-baloji
      #paysage_extractif #RDC #géographie_culturelle #mines #travail #in/visibilisation #visibilité #invisibilité #pouvoir

      ping @albertocampiphoto

    • What I found particularly interesting in this article is how Salmmy Baloji made art about copper mining in Katanga relevant for a city like Salzburg, thereby drawing connections between, what many believe to be, incomparable cities.

  • Les Mange-bitume
    http://carfree.fr/index.php/2019/08/19/les-mange-bitume

    Dans un #futur indéterminé mais relativement proche, la #civilisation est devenue « roulière », centrée sur la domination absolue de l’automobile. Les européens habitent tous dans des véhicules routiers aménagés qui circulent Lire la suite...

    #Fin_de_l'automobile #Fin_des_autoroutes #Livres #avenir #congestion #critique #dessins #progrès #technologie #voiture_autonome

  • Maladie à #virus #Ebola : deux ‎#médicaments très efficaces identifiés
    https://www.who.int/fr/news-room/detail/12-08-2019-update-on-ebola-drug-trial-two-strong-performers-identified

    Les coauteurs d’un essai thérapeutique effectué en République démocratique du #Congo (RDC) concernant la maladie à virus Ebola ont annoncé des progrès qui offriront aux patients de meilleures chances de survie. Deux des quatre médicaments testés sont plus efficaces pour traiter la maladie à virus Ebola. Dorénavant, ce seront les seuls médicaments que les futurs patients recevront.

    Rappel sur le #ZMapp, un des médicaments testé dans l’essai thérapeutique en question et considéré comme le plus efficace avant lui,
    https://seenthis.net/messages/282954

    #Ebola en passe de devenir une maladie curable grâce à deux traitements
    https://www.nouvelobs.com/sante/20190813.OBS17134/ebola-en-passe-de-devenir-une-maladie-curable-grace-a-deux-traitements.ht

    Les traitements REGN-EB3 et mAb114 « sont les premiers médicaments qui, dans le cadre d’une étude scientifique solide, ont clairement montré une diminution significative de la mortalité chez les personnes atteintes du virus Ebola », a souligné auprès de l’AFP Anthony Fauci, directeur de l’Institut américain des maladies infectieuses et des allergies, qui fait partie du NIH.

    Ces deux traitements sont des anticorps monoclonaux qui agissent en neutralisant la capacité du virus à affecter d’autres cellules.

    Ebola Is Now Curable. Here’s How the New Treatments Work | WIRED
    https://www.wired.com/story/ebola-is-now-curable-heres-how-the-new-treatments-work

    The monoclonal antibody cocktail produced by a company called Regeneron Pharmaceuticals had the biggest impact on lowering death rates, down to 29 percent, while NIAID’s monoclonal antibody, called mAb114, had a mortality rate of 34 percent. The results were most striking for patients who received treatments soon after becoming sick, when their viral loads were still low—death rates dropped to 11 percent with mAb114 and just 6 percent with Regeneron’s drug, compared with 24 percent with ZMapp and 33 percent with Remdesivir.

    #bonne_nouvelle #santé

  • #Congo War Threatens Progress Against #Ebola - Antiwar.com Original
    https://original.antiwar.com/morgan_hunter/2019/07/30/congo-war-threatens-progress-against-ebola

    Stepping back from the immediate emergency, the current ebola outbreak seems to be part of a pattern where US foreign policy, in pursuit of some allegedly humanitarian goal – stopping the Hutus from massacring Tutsis, stopping Qaddafi from massacring rival tribes in Bengazi, stopping Assad from massacring Sunnis – leads to horrible “unforeseen consequences” down the line: Islamist slave markets in “liberated” Libya, ISIS murdering and enslaving Yezidis, and now ebola in the Congo. Perhaps one day, instead of having to make enormous efforts to repair the consequences of our misguided policies, we can stop enacting those policies in the first place.

    #etats-unis

  • Eva_Joly balance tout sur la Françafrique La Rédaction - 23 Juillet 2019 - Investigaction
    https://www.investigaction.net/fr/eva-joly-balance-tout-sur-la-francafrique

    Nous ne résistons pas à l’envie de publier pour nos lecteurs ces extraits du dernier livre de la députée française Eva Joly, détaillant les « crimes » de la France en Afrique en général et au Cameroun en particulier ; elle parle notamment du massacre des #Bamilékés par son pays.
     
    Je n’avais rien compris à ce que l’écrivain #Slimane_Zeghidour appelle « le secret de famille de la République ». Lorsque j’ai pris en charge l’instruction de l’affaire #Elf, j’avais en face de moi les puissants du pétrole français, je n’aimais pas leur arrogance, la façon qu’ils avaient de se servir dans les caisses, mais lorsqu’ils invoquaient les intérêts supérieurs du pays, j’étais prête à les croire.

    Je sortais de plusieurs années en détachement au Ministère des Finances, entourée de hauts fonctionnaires intègres, d’une compétence absolue.

    J’avais confiance dans les institutions de mon pays d’adoption. Je n’imaginais pas que la finalité des dirigeants des sociétés nationales du #pétrole fut autre chose que le bien commun. Je traquais les dérives et non le système lui-même.

    Pourtant au fil de mon enquête, j’ai découvert un monde souterrain. Magistrate, limitée par le cadre de ma saisine et des compétences nationales, je devais m’arrêter sur le seuil de certaines portes, qui menaient vers l’étranger.

    Je découvrais des chemins qu’il aurait été passionnant de remonter, des connexions qui m’ahurissaient. Avec des chiffres, des comptes, nous avions sous nos yeux le déchiffrage d’un vaste réseau de #corruption institutionnalisé, dont les fils étaient reliés en direct à l’#Elysée.

    Ce n’était pas mon rôle d’en tirer les conclusions politiques, mais j’en ai gardé l’empreinte. Nous avions dessiné alors un vaste schéma, que j’ai toujours avec moi. Il fait huit mètres une fois déplié.

    Il serpente depuis le bureau d’un directeur des hydrocarbures d’Elf, jusqu’à des comptes obscurs alimentés par le Gabon, aux mains d’#Omar_Bongo : quarante ans de pouvoir et une difficulté récurrente à distinguer sa tirelire et sa famille d’une part, le budget de l’Etat et le Gouvernement d’autre part.

    J’emporte souvent ce schéma avec moi, au fil des rendez-vous. Je l’étale sur les tables, un peu comme un capitaine au combat sort ses vieilles cartes.

    Les positions ont sans doute varié, les techniques de camouflage se sont sophistiquées, mais le système est là : les tyrans sont des amis que la France a placés au pouvoir et dont elle protège la fortune et l’influence par de vastes réseaux de corruption ; en échange ils veillent sur les intérêts et les ressources des entreprises françaises venues creuser le sol. Tout ce beau monde a intérêt à ce que rien, jamais, ne stimule ni les institutions ni l’économie des pays.

    La France aide à appauvrir le Gabon.
    Et si je m’arrête un instant au Gabon, qu’est-ce que j’y vois ? Un pays riche qui exporte plus de treize milliards de dollars de pétrole brut par an et affiche un PIB par habitant largement au-dessus de la moyenne africaine (6 397 $) ? Ou un pays pauvre où l’espérance de vie est estimée à 55 ans pour les femmes et 53 pour les hommes, ce qui leur laisse un an de moins que les Malgaches nés sur un sol sans pétrole ? Le taux de mortalité infantile est au Gabon particulièrement élevé, le taux de vaccination contre la rougeole est de 40% contre une moyenne de 79% dans les pays en développement.

    Voilà où en est le Gabon, chasse gardée de la France, fournisseur des trésors du pétrole et de l’uranium, fief de #Total-Elf, la première capitalisation boursière française.

    Si les habitants de Libreville n’ont pas bénéficié de la richesse de leur pays, c’est parce que la France s’est accaparée ses ressources minières, avec la complicité d’un Président, enrôlé dès son service militaire par l’armée française et ses services secrets, placé à la tête du pays à 32 ans par Paris, il était alors le plus jeune Chef d’Etat du monde. La France contrôle son armée, ses élections et protège sa fortune.

    En retour, Omar Bongo fait table ouverte plusieurs fois par an, Avenue Foch ou l’Hôtel Crillon, où il reçoit les hommes politiques, des publicitaires et les journalistes français qui comptent. Chacun se presse à ces audiences.

    Dans les années 1990, un homme politique français de premier plan, alors en fonction, bénéficiait en parallèle d’un contrat de « consultant » signé par Omar Bongo et largement rémunéré. De #Roland_Dumas, le Président gabonais dit qu’il est un « ami intime ». Prévoyant, il apprécie aussi #Nicolas_Sarkozy, venu « prendre conseil » en tant que candidat à l’élection présidentielle.

    Lorsqu’au cours de l’instruction, nous avons perquisitionné au siège de la #FIBA, la banque franco-gabonaise, nous avons consulté le listing des clients qui paraissait tenu à la plume sergent-major. C’était une sorte de Who’s Who de la France en Afrique, qui en disait long sur l’envers de la République et des médias.

    La France fait semblant d’aider des pays qui sont riches en matières premières.

    A ceux qui croient encore à l’aide désintéressée de la France en Afrique, il suffit de consulter les chiffres du #PNUD (Programme des Nations Unies pour le Développement). La corrélation est régulière entre le montant de l’aide française et la richesse en matières premières.

    En clair, celui qui n’a rien dans son sous-sol ne doit pas attendre grand-chose de Paris. Il n’est pas étonnant de retrouver le Gabon comme l’un des premiers bénéficiaires de l’aide publique française au développement. Le résultat est affligeant en termes de système de santé et d’éducation. L’argent s’est perdu en route. Il est justement fait pour cela.

    Il ne s’agit pas d’une dérive mais d’une organisation cohérente et raisonnée. Dans chaque audition durant notre instruction, nous entendions parler de pressions physiques, d’espionnage permanent et de #barbouzes.

    Les perquisitions dans la tour Elf à la Défense livraient une moisson de documents révélant la confusion des genres, nous les transmettions au Parquet de Nanterre, qui se gardait bien d’ouvrir des enquêtes.

    Car #Elf hier, Total aujourd’hui, est un Etat dans l’Etat, conçu par #Pierre_Guillaumat, un ancien Ministre de la Défense, patron des services secrets et responsable du programme nucléaire français afin de servir les intérêts géopolitiques de Paris.

    La Norvège a utilisé son pétrole pour construire et assurer le paiement des retraites futures. La France se sert d’Elf Total pour affirmer sa puissance.

    La compagnie intervient dans le Golfe de #Guinée, au #Nigeria, au #Congo-Brazzaville, en #Angola… Tous ces pays ont connu la guerre civile et la dictature, derrière laquelle la main française s’est fait sentir. Le chaos, lorsqu’il se produit, ne trouble pas le système. Il n’est qu’à voir l’Angola en guerre pendant des dizaines d’années, mais dont aucune goutte de pétrole, jamais, n’a raté sa destination.

    Pendant la guerre, les affaires continuaient…les banques françaises, #Bnp-Paribas en tête, ont même profité de l’occasion pour élaborer des montages financiers destinés aux pays en guerre, à des taux affolants, tout en sachant qu’elles ne prenaient pas le moindre risque. L’argent, là aussi, n’a pas été perdu pour tout le monde. C’est un miroir dans lequel il ne faut pas trop souvent regarder les élites françaises.

    Depuis que j’ai ouvert le dossier Elf dans mon bureau de la galerie financière, j’ai voyagé physiquement et intellectuellement bien loin de la Seine et de ses quais gris et bleus…j’ai appris en marchant. A l’arrivée, le tableau est effrayant.

    L’Afrique a refait de moi une Norvégienne, fière de l’être. Mon pays est riche, mais, il se souvient avoir été pauvre, un peuple d’émigrants regardant vers le nouveau monde américain.

    Son esprit de conquête, ses allures vikings sont des traces d’un passé très lointain, vinrent ensuite les tutelles danoise puis suédoise, dont il fallut se libérer, Il envoya vers l’Afrique des missionnaires protestants, personnages austères au visage buriné, taillé par la parole chrétienne et l’œuvre humanitaire, plutôt que des nouveaux colons, comme on les croise encore dans les quartiers d’expatriés blancs.

    Pendant que la France fondait Elf, la Norvège mettait en place l’exploitation des ressources de la mer du Nord, accumulant un fonds de réserve, aussitôt placé pour les générations futures et soigneusement contrôlé. Ce petit pays des terres gelées est devenu la première nation donatrice en dollars par habitant.

    Bien sûr, les pétroliers norvégiens ne sont pas des enfants de chœur. De récentes enquêtes ont montré que certains d’entre eux ont versé des commissions et que la tentation d’abuser de leur pouvoir est permanente. Mais la Norvège n’a pas à rougir de ce qu’elle a fait de son pétrole. Ce que j’ai vu, les rapports internationaux qui l’attestent, est une œuvre d’espoir.

    La République française, à la même époque, a mis en place en Afrique un système loin de ses valeurs et de l’image qu’elle aime renvoyer au monde. Comment des institutions solides et démocratiques, des esprits brillants et éclairés, ont-ils pu tisser des réseaux violant systématiquement la loi, la justice et la démocratie ? Pourquoi des journalistes réputés, de tout bord, ont-ils toléré ce qu’ils ont vu ? Pourquoi des partis politiques et des ONG, par ailleurs prompts a s’enflammer, n’ont-ils rien voulu voir ?

    L’Occident a fermé les yeux sur les #crimes de la France.
    Je ne condamne pas. J’ai partagé cet aveuglement. J’étais comme eux, avant de glisser l’œil dans le trou de la serrure et de prendre la mesure de ce secret de famille : la France reste un #empire et ne se remet pas de sa puissance perdue. L’indépendance politique a été largement une mascarade en Afrique de l’Ouest.

    L’Occident a fermé les yeux, car la France se prévalait d’être le « gendarme » qui défendait la moitié du continent contre le communisme. Les Français ont laissé faire, car astucieusement, De Gaulle et ses successeurs ont présenté leur action comme un rempart contre l’hydre américaine. Elf était l’une des pièces maîtresses de cette partie géopolitique.

    Le double jeu a été facilité par la certitude, ancrée dans les mentalités, que « là-bas, c’est différent ». Là-bas, c’est normal la corruption, le #népotisme, la #guerre, la #violence. Là-bas, c’est normal la présence de l’armée française, les proconsuls à l’ambassade ou à l’état-major, les camps militaires. Là-bas, c’est normal l’instruction des gardes présidentielles. Là-bas, c’est normal la captation des richesses naturelles.

    D’ailleurs, « tout le monde fait pareil ». Jeune ou vieux, de gauche ou de droite, nul Français ne songe à s’offusquer de voir nos soldats mener, presque chaque année, une opération militaire en Afrique, au #Tchad, en Côte_d_Ivoire, au #Rwanda, quand tous se gaussent de cette Amérique venue faire la police en Irak, en maquillant d’un fard démocratique les intérêts géopolitiques et pétroliers de Washington. Il y a pourtant bien des symétries.

    J’ai vu récemment un documentaire sur la guerre du #Biafra, quatre ou cinq demi-heures de témoignage brut des principaux acteurs, sans commentaires. Je suis restée sans voix. A ceux qui sont nés après 1970, le Biafra ne dit rien. Dans cette région du #Nigeria, riche en pétrole, une ethnie, chrétienne et animiste armée par la France, réclama l’indépendance. S’ensuivit une guerre meurtrière de trois ans, révolte financée depuis l’Elysée via des sociétés #suisses.

    La télévision française aimait alors montrer les enfants affamés que les militaires français ramenaient par avion pour les soigner, jamais elle ne laissait voir la cargaison de l’aller, remplie d’armes. A l’image maintenant, les anciens collaborateurs de #Jacques_Foccart, repus dans leurs fauteuils Louis XV, détaillent sans émotion ces montages illégaux. Les officiers, lieutenants d’alors, généraux d’aujourd’hui, racontent ce bon tour le sourire aux lèvres. Fin du documentaire. Pas un mot, pas une ligne dans les livres d’histoire.

    La France au cœur de la guerre du Biafra et du massacre des #Bamilékés au Cameroun
    Des drames comme celui-ci, l’Afrique en contient des dizaines, soigneusement passés sous silence. Les massacres des Bamiléké au Cameroun par la France du Général De Gaulle, le génocide des #Tutsi commis par un régime soutenu par #François_Mitterrand, les assassinats d’opposants, les manipulations d’élections.. Le passif de la France sur le continent africain n’a rien à envier à l’#impérialisme américain en Amérique latine ou au Moyen-Orient.

    Il est à la mode parmi les intellectuels français de se plaindre du mouvement de repentance qui s’est répandu depuis quelques années. Les bienfaits de la colonisation, à inscrire dans les manuels scolaires, ont même fait l’objet d’une proposition de loi, largement soutenue par les députés.
    Bien sûr, l’histoire de la France en Afrique ou en Asie du sud-est a compté aussi des aventuriers sincères, exportateurs, instituteurs ou pionniers, qui ont fait corps avec les pays qu’ils ont découverts. A Madagascar, les #Vazas, ces pieds noirs malgaches, ne cessent de louer devant moi l’état des routes et des infrastructures françaises au moment de l’indépendance.

    Mais les peuples sont comme les familles. On ne peut pas faire le tri de la mémoire. Il est des secrets soigneusement cachés dont l’onde portée va bien au-delà d’une ou de deux générations. Les enfants héritent de tout : du malheur comme du bonheur, de la richesse comme des dettes.

    La République française paie aujourd’hui la facture de son passé. Il suffit de dérouler la liste des appellations officielles des Maghrébins nés dans un département français avant 1962 ou sur le sol hexagonal depuis les années 1970. Par la loi, ils furent et sont des Français comme les autres.

    Les gouvernements successifs n’ont pourtant cessé d’inventer des périphrases : « indigène musulman », « sujet africain non naturalisé », « JFOM » (Jeune français originaire du Maghreb), « jeune issu de l’immigration », « fils de harkis », « jeune des quartiers », « Arabo-musulman », « Français d’origine arabe », « Français musulman »…

    La France vit encore comme si en Afrique, elle était chez elle, et comme si, ses enfants d’ascendance africaine n’étaient pas Français. Le développement de la Françafrique, notre tolérance vis-à-vis des réseaux, tout ramène à ce secret colonial, cet empire qui hante les esprits comme un fantôme. Oui, Total, la première entreprise française, est riche et prospère.

    Mais la manière dont la firme s’est bâtie fait partie de l’héritage. Qui osera un jour rendre au Nigeria, au Cameroun, au Gabon, au Congo-Brazzaville ce que la France leur doit ? Qui contestera les contrats conclus par #Areva pour l’#uranium du #Niger ou ceux des mines d’or de #Sadiola au #Mali, deux pays parmi les plus pauvres du globe, qui ne touchent qu’une part dérisoire des richesses prélevées dans leur sol ? La République a contracté une dette qu’il lui faudra bien honorer.

    Notre prospérité est nourrie de #richesses que nous détournons. A certains de ces sans-papiers qui risquent leur vie pour gagner l’Europe, il pourrait-être versé une rente au lieu d’un avis d’expulsion. Je rêve pour ce pays que j’aime, d’un réveil collectif.

    Une France digne de son idéal et de son héritage de 1789 est incompatible avec la Françafrique : ce qu’une génération a fait, une autre peut le défaire. C’est possible.
     
    Extrait de : La force qui nous manque. Eva Joly. Editions des Arènes (Paris) 190 pages. https://www.jmtvplus.com/eva-joly-balance-toutmeme-sur-le-cameroun-40110

    #françafrique #afrique #france  #colonialisme #tchad #armée_française #centrafrique  #francafrique #armée #guerre #Livre #Eva_Joly #Femme

  • Des « #sciences_coloniales » au questionnement postcolonial : la #décolonisation invisible ?

    En 1962, se tient à Accra, au Ghana, le premier #congrès_international_des_africanistes. Il naît par scission, l’idée a été lancée au congrès des orientalistes de Moscou en 1960, et il se conclut sur la fondation d’une association internationale chargée de promouvoir les #études_africaines sur une base internationale, d’encourager les contributions africaines dans tous les domaines pour renforcer ainsi la conscience d’eux-mêmes des Africains , enfin d’organiser tous les trois ans un nouveau congrès. Accueilli par le premier État en Afrique subsaharienne à avoir obtenu son indépendance en 1957, le congrès incarne les ambitions et les ambiguïtés du moment des indépendances en #Afrique. Il veut internationaliser les études africaines tout en les mettant au service de la cause panafricaine. De même, les héritages scientifiques coloniaux suscitent des évaluations contradictoires. Lors de l’ouverture du congrès, Kwame N’Krumah (président du Ghana) oppose frontalement les sciences coupables de collusion avec le colonialisme (l’anthropologie) et celles qui sont appelées à devenir les sciences de l’indépendance (l’histoire). Chargé de présenter les études africaines dans leur ensemble, l’historien nigérian Kenneth Onwuka Dike, rend au contraire un hommage appuyé aux structures coloniales de recherche, en particulier au réseau des Instituts Français (puis Fondamentaux) d’Afrique Noire [2]. Ainsi, tout en admettant des formulations assez différentes, la question de la #décolonisation des sciences et de leurs pratiques est solennellement posée au moment des indépendances.

    https://www.cairn.info/revue-histoire-des-sciences-humaines-2011-1-page-3.htm
    #colonialisme #colonisation #post-colonialisme #in/visibilité #invisibilité #panafricanisme

  • H5N1: The politics of Ebola updates
    https://crofsblogs.typepad.com/h5n1/2019/07/the-politics-of-ebola-updates.html

    For example, why don’t we learn daily about the children infected and killed by Ebola? Why don’t we know about their families? Why don’t we know about how those families were exposed to the disease, and what they did about it, and how the response actually responded? Too many healthcare workers, even vaccinated, have contracted Ebola; why, and why are any of them still working unvaccinated?

    The world that can help fight Ebola is wretchedly ignorant about the DR Congo in general and North Kivu and Ituri in particular. Where are the towns and villages where people are getting sick? (...)

    Just this afternoon, I downloaded a new report from the UN Development Programme on the Multidimensional Poverty Index. It tells me that 76.6% of Congolese live on less than US$1.90 a day, and 44% of its 92 million people live in severe multidimensional poverty—of which violence is just one of the dimensions. These numbers certainly help to explain the persistence of the outbreak and the resistance of the people to the response. Why should they cooperate with the government of a country of incredible wealth, which has left them in poverty through 60 years of independence?

    #santé #ebola #congo #information

  • Briefing: How Congo’s Ebola epidemic became the world’s second deadliest

    More than 11 months after an Ebola outbreak was declared in eastern Democratic Republic of Congo, the viral disease has claimed more than 1,500 lives, infected 2,244 people, and spread across the border into neighbouring Uganda, where two deaths and three suspected cases were reported mid-June. A new confirmed case just 43 miles from South Sudan’s border was reported Monday.


    https://www.thenewhumanitarian.org/news/2019/07/02/Ebola-outbreak-congo-epidemic-attacks-community
    #ébola #ebola #Congo #épidémie #RDC #république_Démocratique_du_congo #Ouganda
    ping @fil

  • À la recherche du vinyle d’ébène

    http://vodflash.tv5monde.com/bas/BIM_EXPERIENCE_ET_A_LA_RECHERCHE_DU_VINYLE_D_EBENE_BA_VNET.mp4


    https://www.tv5mondeplus.com/toutes-les-videos/documentaire/a-la-recherche-du-vinyle-d-ebene-a-la-recherche-du-vinyle-d-ebene

    Aidan, disquaire du Havre, cherche à Brazzaville (Congo) des vieux vinyles de musique africaine. Le réalisateur congolais Rufin Mbou Mikima, lui, se lance à la quête des voix populaires qui ont bercé son enfance. L’occasion, au gré des rencontres, de découvrir l’histoire mouvementée du Congo et de sa musique.

    Réalisation : Rufin Mbou Mikima (France, 2017)
    #musique #vinyle #Congo

    • Verckys & l’orchestre vévé
      https://analogafrica.bandcamp.com/track/talali-talala

      Congo’s turbulent and exhilarating ’70s: Nightclubs and dance floors were packed to the brim in the capital, Kinshasa. Exuberant crowds, still giddy from independence a decade prior, grooved to the sounds of the country`s classics. In fact the whole continent was submerged into the Congolese Rumba craze. Encouraged by the fantastic productions of the Ngoma label, vibrant radio waves had been spreading the Congo sound from Leopoldville all over the continent, becoming the countries’ No.1 export. The unexpected success nurtured an incredible wealth of talented musicians. One of them was Verckys, who, at age 18, became a member of the country´s most dominant and influential band; Franco´s OK Jazz.

      https://analogafrica.bandcamp.com

  • #PLAIDOYER POUR L’OUVERTURE DES FRONTIÈRES ET LA LIBRE CIRCULATION DES ÊTRES HUMAINS À L’ÉCHELLE MONDIALE : CAS DE LA DIASPORA DE LA RD CONGO.

    https://www.emmaus-international.org/images/site/menu/qui-sommes-nous/emmaus-monde/europe/danemark/GTU/docs_FR/Julien_K_M_Murhula_migration.pdf
    #RDC #Congo #République_démocratique_du_congo #ouverture_des_frontières #libre_circulation

    signalé par @karine4, qui commente :

    dans ce plaidoyer pour l’ouverture des frontières écrit par un Congolais de la diaspora, beaucoup d’éléments sur les #transferts_financiers, notamment en comparaison avec l’#aide_publique_au_développement.

    #APD #remittances

  • Le numéro 1, un très beau numéro de la revue
    #Nunatak , Revue d’histoires, cultures et #luttes des #montagnes...

    Sommaire :

    Une sensation d’étouffement/Aux frontières de l’Iran et de l’Irak/Pâturages et Uniformes/La Banda Baudissard/
    À ceux qui ne sont responsables de rien/Des plantes dans l’illégalité/Conga no va !/Mundatur culpa labore

    La revue est disponible en pdf en ligne (https://revuenunatak.noblogs.org/numeros), voici l’adresse URL pour télécharger le numéro 1 :
    https://revuenunatak.noblogs.org/files/2017/03/Nunatak1HiverPrintemps2017.pdf

    Je mettrai ci-dessous des mots-clés et citations des articles...

    –—

    métaliste des numéros recensés sur seenthis :
    https://seenthis.net/messages/926433

  • #Patrice_Lumumba: the most important assassination of the 20th century | Georges Nzongola-Ntalaja | Global development | The Guardian
    https://www.theguardian.com/global-development/poverty-matters/2011/jan/17/patrice-lumumba-50th-anniversary-assassination

    Patrice Lumumba, the first legally elected prime minister of the Democratic Republic of the Congo (DRC), was assassinated 50 years ago today, on 17 January, 1961. This heinous crime was a culmination of two inter-related assassination plots by American and Belgian governments, which used Congolese accomplices and a Belgian execution squad to carry out the deed.

    #afrique #rdc #résistance

    • Thomas Giefer, le grand réalisateur de films documentaires sur le mouvement ’68 en Allemagne a retrouvé l’un des membres belges du commado qui a assassiné Patrice Lumumba. En 1999 peu de temps avant sa mort celui-ci donne sa version des événements dans un film qui retrace les développements qui ont mené à la mort du premier ministre congolais. Dan le film Thomas Giefer parle aussi avec l’assassin de la CIA chargé de l’exécution.

      Oui, il y a des sous-titres !

      Patrice Lumumba - Mord im Kolonialstil (2000)
      https://www.youtube.com/watch?v=NOwPERiRyOw

      AGDOK - Mitglieder | Thomas Giefer | Film / Funk, Journalist | Vita
      http://member.agdok.de/de_DE/members_detail/8097/vita

      Thomas Giefer | DFFB
      https://dffb-archiv.de/dffb/thomas-giefer

      Thomas Giefer
      https://de.wikipedia.org/wiki/Thomas_Giefer

      Harun Farocki Institut » Thomas Giefer
      https://www.harun-farocki-institut.org/en/tag/thomas-giefer-en

      Instructions on how to Pull off Police Helmets

      News from the archive : INSTRUCTIONS ON HOW TO PULL OFF POLICE HELMETS and UNTITLED OR : NIXON COMES TO BERLIN, both made in 1969.
      https://www.harun-farocki-institut.org/en/2017/11/30/november-2017-instructions-on-how-to-pull-off-police-helmets

      Farocki presumed the films to be lost. Surprisingly, they resurfaced just now, in November 2017. Thomas Giefer , dffb student of the year 1967 and one of the 18 students relegated in 1968, found them among the films he kept from the time.

      Here’s an image from INSTRUCTIONS ON HOW TO PULL OFF POLICE HELMETS, filmed from the Steenbeck by Giefer.

      Farocki about the film: »According to Fritz J. Raddatz, Rosa Luxemburg cried when she read Marx’s concept of value. I was just as disappointed by the Cine-Tracts made in May 1968 in Paris and shown shortly afterwards in Berlin.

      I must have been expecting something more like television news coverage; in much the same way, each crowd which saw our handbill films during those years was similarly disappointed. Because we didn’t make ‘real’ films, as my mother called them, it seemed to them that their cause wasn’t being acknowledged in suitably official form, something which workers’ films and Fassbinder were later to achieve.

      We made this spot during one of the many breaks in filming a somewhat reckless film about playgroups by Susanne Beyeler. Wolfgang Gremm stripped naked on a flat roof and played a policeman. We played on the anti-humanist provocation of showing, purely technically, how to fight a policeman, but didn’t go so far as to use an androgynous, long-haired actor – something which Gremm, the fattest and shortest-haired of us all, accepted with a grin.«

      #Congo #Kongo #film #histoire #Berlin #1968

  • Villes – jamais sans ma voiture ?
    http://carfree.fr/index.php/2019/05/29/villes-jamais-sans-ma-voiture

    Un épisode de la série « Le dessous des cartes » diffusée sur la chaîne Arte fait le point sur les transports dans les villes du #monde. L’épisode s’intitule « Villes – jamais Lire la suite...

    #Etalement_urbain #Fin_de_l'automobile #Pollution_automobile #Belgique #carte #cartographie #congestion #france #pollution #Suisse #trafic #vidéo

  • #pollution du #temps
    http://carfree.fr/index.php/2019/05/22/pollution-du-temps

    Bien que le gain de temps constitue la principale justification économique des nouveaux aménagements routiers, l’expansion du réseau routier et l’augmentation du #trafic ne semblent pas avoir donné plus de Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Argumentaires #Etalement_urbain #Fin_de_l'automobile #Fin_des_autoroutes #Ressources #angleterre #circulation #congestion #critique #société #transport #usa #vitesse

  • En plein cœur de Kinshasa : une rivière de plastique Esmeralda Labye - 19 Mai 2019 - RTBF
    https://www.rtbf.be/info/monde/detail_en-plein-c-ur-de-kinshasa-une-riviere-de-plastique?id=10224885

    Une rivière de plastique au cœur de la capitale de la République démocratique du Congo. Ce sont les correspondants de Media Congo Press qui ont alerté l’opinion publique et les journalistes étrangers. Les affluents du fleuve Congo sont chargés de déchets. Des détritus qui se retrouvent ensuite sur les berges du fleuve puis dans l’océan Atlantique.


    En plein cœur de Kinshasa : une rivière de plastique - © Tous droits réservés

    On se croirait dans une décharge publique. Les bouteilles flottent sur l’eau. Elles recouvrent toute la surface de la rivière. Des gosses marchent sur ce tapis de plastique dans l’indifférence presque générale.


    En plein cœur de Kinshasa : une rivière de plastique - © Tous droits réservés

    « Ça a commencé en 2003-2004, l’entassement des déchets plastiques et les gens qui jettent les déchets plastiques » explique Eric Katankupole, un habitant de la commune de Kalamu. « Surtout lorsqu’il pleut, tout le monde profite de jeter les ordures sous la pluie, dans la rivière de Kalamu. »


    En plein cœur de Kinshasa : une rivière de plastique - © Tous droits réservés

    Une triste réalité qui implique d’autres rivières, d’autres cours d’eau.
    . . . . . . . .

    #RDC #Congo #plastique #pollution #déchets #environnement #recyclage #it_has_begun #écologie #catastrophe #Afrique #brèves_d'afrique_et_d'ailleurs #civilisation #capitalisme #exportation #civilisation

  • Statement by AAG regarding #Harassment_Free_Meetings and Recent Incidents

    The AAG is fully committed to having harassment free meetings. We have recently implemented a new wide-ranging Harassment Free AAG meetings policy that was rolled out at the Washington, DC meeting, and it has already made a positive contribution. The AAG is now compiling all the information currently available on each of the five harassment incidents which have been reported at the recent Annual Meeting. We have presented this information to our attorney, and will be undertaking formal investigations of each of the incidents as promptly as legally possible. The AAG also has a legally-reviewed policy in place on how to proceed regarding such incidents, and a special AAG Committee to handle these cases. That process is moving forward now on each of these incidents as rapidly as possible, and each will be thoroughly investigated, and enforceable sanctions will be forthcoming as warranted.

    http://annualmeeting.aag.org/conduct
    #science #université #congrès #conférences #conférences_scientifiques #sexisme #résistance #harcèlement #harcèlement_sexuel #AAG #géographie

    ping @reka

    • Geography, Green Resolutions, and Graduation

      Complex organizations have complex interests and responsibilities, especially in the 21st century. My October 2018 Column reminded us to keep our eyes on the prize of equity for all. Together, we Geographers have worked diligently over the last several years to shine a light on equity and banish harassment and bullying from our meetings, our places of work, and our lives. We have more work to do, but we do have a heightened awareness, and a strong, renewed resolve to move forward with justice. Even though we have a strong Statement of Ethics (2009) condemning workplace harassment and discrimination, we further renewed our resolve to fight bullying and harassment with the Harassment Free AAG Initiative of 2019 (Please also remember to take the Post-Meeting Survey). And we will keep working to improve the climate for all. While keeping an eye on our social and civil well-being, the well-being of our planet also needs our attention and actions as strongly as ever. Protecting the civil rights and human rights of scientists helps to advance and protect science, to the benefit of people and the planet.

      http://news.aag.org/2019/05/geography-green-resolutions-and-graduation

  • Travail forcé et exploitation coloniale : souvenons-nous Olivier Lecour Grandmaison - 10 Mai 2019 - Investigaction
    https://www.investigaction.net/fr/travail-force-et-exploitation-coloniale-souvenons-nous

    Légitimé et défendu, sous la Troisième République, par de nombreux hommes politiques, juristes et professeurs d’université notamment, le travail forcé a, sous différentes formes, été la règle dans les possessions françaises jusqu’à son abolition tardive le 11 avril 1946. Rares sont ceux qui, comme la philosophe Simone Weil, ont dénoncé « les déportations massives » des « indigènes » et le recours meurtrier au travail forcé en Afrique française et en Indochine.

    « L’exploitation [coloniale] a été perpétrée si souvent (…) avec une telle cruauté, par l’homme blanc sur les populations arriérées du monde, qu’on fait preuve (…) d’une insensibilité totale si on ne lui accorde pas la place d’honneur chaque fois que l’on parle du problème colonial. »
    Karl Polanyi (1944)

    Le 11 avril 1946, après de nombreux atermoiements, l’Assemblée nationale constituante votait enfin la proposition de loi de Félix Houphouët-Boigny tendant à la suppression « immédiate » du travail forcé dans les colonies françaises.

    Quelques jours auparavant, ce député était intervenu à la tribune pour dénoncer la situation des « indigènes » toujours soumis à des formes exceptionnelles et particulièrement brutales d’exploitation. Usant d’une anaphore qui lui a permis de brosser un tableau précis des pratiques coloniales, il déclarait : « il faut avoir vu ces travailleurs usés, squelettiques, couverts de plaies, dans les ambulances ou sur les chantiers ; il faut avoir vu ces milliers d’hommes rassemblés pour le recrutement, tremblant de tout leur corps au passage du médecin chargé de la visite ; il faut avoir assisté à ces fuites éperdues (…) vers la brousse ; (…) il faut avoir vu ces théories d’hommes, de femmes, de filles, défiler silencieusement, le front plissé, le long des chemins, qui mènent au chantier. (…) L’indigène ne peut plus comprendre ni admettre ce servage, cent cinquante après la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen et cent ans après l’abolition de l’esclavage. »

    Précision essentielle : ce travail forcé – tâches de construction, transport de marchandises, entretien des agglomérations… – est imposé de façon autoritaire et souvent violente aux autochtones qui n’ont commis ni crime ni délit. En effet, les hommes et les femmes visés ne sont pas des individus condamnés à une peine privative de liberté prononcée par un tribunal, à laquelle viendrait s’ajouter celle des travaux forcés ; cette obligation concerne les populations civiles de l’empire dont les membres sont « sujets indigènes », soit l’écrasante majorité des individus. Légitimé et défendu, sous la Troisième République, par de nombreux hommes politiques, juristes et professeurs d’université notamment, le travail forcé a, sous différentes formes, été la règle dans les possessions françaises jusqu’à son abolition tardive le 11 avril 1946.

    Ainsi fut construit, par exemple, le chemin de fer destiné à relier Brazzaville à Pointe-Noire, sur la côte atlantique. Bilan de cet “exploit”, réputé témoigner de la glorieuse « mise en valeur » du Congo français : 17000 morts « indigènes » pour la réalisation des 140 premiers kilomètres et un taux de mortalité sur ce chantier de 57% en 1928. Qui a livré ce dernier chiffre ? Un anticolonialiste farouche ? Non, le ministre des Colonies, André Maginot, dans une déclaration faite devant une commission ad hoc de la Chambre des députés. L’entreprise chargée des travaux ? La Société de construction des Batignolles dont la prospérité est en partie liée aux nombreux contrats remportés dans les possessions françaises. Son héritier et successeur n’est autre que le groupe bien connu aujourd’hui sous le nom de SPIE-Batignolles. En 2013, Jean Monville, ancien PDG de ce groupe, rappelait benoîtement « la fierté de ce qu’on avait fait dans le passé, de notre professionnalisme et de notre engagement dans nos “aventures” d’outre-mer ». (Le Monde, 21 mai 2013). Nul doute, les descendants de ceux qui sont morts à l’époque apprécieront la délicatesse de ces propos.

    Réformé mais jamais véritablement supprimé, le travail forcé a ainsi perduré sous la Troisième République, le régime de Vichy et dans les colonies passées aux côtés de la France libre. A preuve, les orientations soutenues par Félix Éboué, gouverneur général de l’Afrique équatoriale française, pendant la Seconde Guerre mondiale. Souvent présenté comme un grand humaniste, qui a toujours défendu les droits de l’homme, Éboué, comme la majorité de ses pairs, ne s’est jamais prononcé dans ses écrits pour l’abolition immédiate du travail forcé. De même les résistants prestigieux qui, à partir du 30 janvier 1944, se réunissent à Brazzaville pour définir la politique à mettre en œuvre dans les territoires d’outre-mer.

    Inaugurée par le général de Gaulle, cette conférence doit prendre une décision relativement à cette forme particulière de labeur. En raison de « l’effort de guerre », les représentants de la France libre, rassemblés dans la capitale du Congo français, décident de prolonger le travail forcé pour une durée de cinq ans ! En métropole, ils n’ont de cesse de dénoncer le Service du travail obligatoire (STO) établi par les autorités de Vichy le 16 février 1943 ; dans les colonies, ils trouvent normal d’imposer aux « indigènes » de vingt à vingt-cinq ans reconnus aptes, mais non incorporés à l’armée, un Service obligatoire du travail (SOT). Subtilité des sigles et triomphe du relativisme politico-juridique. De là ces indignations sélectives et hexagonales cependant que dans les possessions ultra-marines la condamnation cède le pas à l’acceptation.

    Rares sont ceux qui, comme la philosophe Simone Weil, ont dénoncé « les déportations massives » des « indigènes » et le recours meurtrier au travail forcé en Afrique française et en Indochine. En dépit de ses protestations, exprimées dès 1943 alors qu’elle a rejoint la Direction de l’Intérieur de la France libre dans la capitale du Royaume-Uni, S. Weil n’a pas été entendue. Tout comme André Gide et Albert Londres une quinzaine d’années auparavant. Voilà qui aide à comprendre les lenteurs de l’Assemblée nationale constituante à la Libération.

    Joli tableau, n’est-il pas, de la très glorieuse colonisation française toujours présentée, par de nombreux contemporains, comme une entreprise généreuse destinée à apporter la civilisation aux peuples qui en ignoraient jusque-là les bienfaits. Cette sinistre réécriture de l’histoire prospère avec la caution de quelques faiseurs de livres – A. Finkielkraut, P. Bruckner et E. Zemmour, notamment – qui prennent leur ignorance et leurs audaces prétendues pour de brillantes découvertes. Ils n’hésitent pas à se dire amis de la connaissance et de la vérité ; sur ces sujets, comme sur beaucoup d’autres, ils ne sont que de vulgaires idéologues qui traitent les faits établis en chiens crevés. Demeurent de pauvres écholalies qui réhabilitent un discours impérial-républicain forgé sous la Troisième République. Audaces intellectuelles ? Stupéfiante régression et grand retour du roman national.

    Source : Le Blog d’Olivier Lecour Grandmaison https://blogs.mediapart.fr/olivier-le-cour-grandmaison/blog

    #esclavage #france #exploitation #Congo_français #déportation #SPIE-Batignolles #STO #SOT #roman_national #Simone_Weil (la Philosophe)

  • LE #MANIFESTE ACADÉMIQUE POUR LA GRÈVE FÉMINISTE DU 14 JUIN 2019 EN SUISSE

    Nous sommes des #scientifiques de différentes disciplines et nous allons nous mettre en grève le 14 juin 2019. Les femmes* sont systématiquement et massivement sous-représentées au sein des universités et des hautes écoles spécialisées suisses. Cet état de fait a des conséquences fondamentales sur les processus de production et de transmission du savoir. Nous portons les revendications suivantes en lien avec notre environnement de travail :

    – Jusqu’à ce que 50 pourcent des postes professoraux soient occupés par des femmes* dans toutes les disciplines, chaque université et haute école suisse doit pourvoir les #postes_professoraux nouvellement mis au concours par des femmes* à hauteur de 50 pourcent. Les femmes* ne doivent pas être renvoyées à des emplois moins bien dotés. Le même principe vaut pour tous les organes directeurs et postes académiques des hautes écoles et des universités.
    – Nous exigeons un #salaire égal pour un travail égal, sans distinction de genre. Pour cela les classifications salariales individuelles et les #barèmes_salariaux doivent être rendus transparents.
    – Chaque poste professoral doit permettre le job sharing. Toutefois, le #job_sharing n’équivaut pas à fournir la même quantité de travail pour la moitié du salaire. Seule une réelle réduction de la charge de travail permet une meilleure compatibilité des activités professionnelles et extra-professionnelles.
    – Au minimum 50% des postes faisant suite au doctorat et financés par les universités doivent être de durée indéterminée.
    – L’#enseignement et la #recherche doivent être rémunérés à leur juste valeur. Le fait que les privat-docents doivent enseigner gratuitement afin de ne pas perdre leur titre doit être immédiatement aboli. Les titulaires de contrats d’enseignement et de mandats ne doivent pas avoir à attendre la fin du semestre pour recevoir leur rémunération.
    – La #parité de genre est requise au sein de chaque commission de recrutement, de chaque jury et de chaque organe décisionnel du Fonds national suisse #FNS de la recherche scientifique, ce pour chaque discipline.
    – Afin de garantir des procédures de recrutement équitables et une gestion du personnel sensible aux dimensions de genre, nous exigeons des #formations_continues obligatoires pour les personnes siégeant dans des commissions de recrutement ou qui occupent des fonctions de cadres.
    – L’enseignement de même que les procédures administratives au sein des universités et hautes écoles suisses doivent être attentives aux questions de genre. Nous exigeons pour cela des mesures de #sensibilisations adaptées aux fonctions de chaque groupe professionnel concerné au sein des hautes écoles et des universités suisses. L’enseignement doit sensibiliser à un usage de la langue prenant en compte les questions de genre.
    – Nous appelons à des mesures globales pour une meilleure compatibilité des activités professionnelles et extra-professionnelles.
    – La #mobilité (notamment pour les mesures d’encouragement) doit être promue, mais ne doit pas constituer un impératif.
    – Les #obligations_professionnelles régulières, telles que les réunions ou les séances administratives liées à l’institution doivent avoir lieu durant la semaine et se terminer à 17 heures.
    – La #vie_familiale doit être rendue possible dans les universités et les hautes écoles et les familles doivent être soutenues. Nous exigeons l’introduction et le développement du #congé_parental, afin qu’un partage équitable des #gardes_d’enfants et des tâches éducatives soit réellement possible.
    – La couverture légale et financière du congé parental doit également être assurée dans le cadre des projets financés par des fonds tiers. Le congé parental ne peut être déduit de la période de recherche définie pour le projet au détriment des chercheuses et chercheurs.
    – Les infrastructures pour la garde d’enfants au sein des hautes écoles et des universités doivent être renforcées. Un nombre suffisant de places de #crèche à des prix abordables doit être garanti, de même qu’une offre suffisante d’espaces parents-enfants.
    – Nous exigeons que les acquis pour lesquels le mouvement féministe s’est battu - comme la mise en place d’études genre dans les universités ainsi qu’au sein de différentes disciplines - soient étendus et non pas démantelés.
    – Nous exigeons davantage de moyens pour la prévention et la répression du #harcèlement_sexuel au sein des institutions universitaires.
    – L’instrument d’encouragement qui soutenait spécifiquement les femmes* en lien avec leur situation familiale aux niveaux doctoral et post-doctoral (Marie Heim-Vögtlin) a été aboli par le FNS au profit d’un format se réduisant à l’#excellence à partir du niveau post-doctoral. Nous appelons à la création de nouveaux instruments d’encouragement et au renforcement des instruments existants, afin que les jeunes chercheuses et chercheurs indépendamment de leur situation familiale ou de leur genre et des réseaux professionnels liés au genre, bénéficient des mêmes perspectives professionnelles.
    – Les #coming_out forcés, les imputations erronées de genre et les assignations de genre superflues doivent être combattues au sein des hautes écoles et des universités. Nous exigeons des adaptations administratives et institutionnelles pour les personnes non-binaires, trans et inter ; par ex. adaptations simplifiées ou suppression de l’indication de genre et toilettes non-genrées. Nous exigeons des formations à destination du personnel ainsi que des services compétents sur ces questions dans toute université et haute école.
    – Les #discriminations liées au genre et à l’#identité_de_genre sont étroitement liées à d’autres types de discriminations telles que celles fondées sur la racialisation, la religion, les origines sociales ou géographiques, l’orientation sexuelle, l’âge ou le handicap. Nous demandons à ce que les discriminations liées au genre au sein des établissements de recherche soient combattues dans une perspective multidimensionnelle et intersectionnelle.
    – Enfin, nous exigeons des mécanismes et des mesures de contrôle réels et contraignants pour mettre en œuvre l’#égalité des genres.

    Nous nous solidarisons avec le personnel non-académique des hautes écoles et des universités qui s’engage pour des conditions de travail meilleures et égalitaires, ainsi qu’avec les étudiant-e-s en grève. Nous soutenons par ailleurs toutes les autres revendications émises dans le cadre de la grève des femmes*.

    https://www.feminist-academic-manifesto.org
    #grève #grève_féministe #Suisse #14_juin_2019 #université #femmes #féminisme #lutte #résistance #genre #rémunération #travail #salaire

    • La grève des femmes, Suisse repetita

      Il y a vingt-huit ans, le 14 juin 1991, en Suisse, plus de 500000 femmes descendaient dans la rue pour réclamer l’application de l’article constitutionnel sur l’égalité entre hommes et femmes. Au bureau, à l’usine, à la maison, à l’école, elles décident de pas travailler pendant une journée, pour montrer que sans leur travail, la société ne peut continuer à fonctionner… Vingt-huit ans plus tard, l’égalité n’ayant toujours pas été obtenue, de très nombreuses femmes préparent une nouvelle journée de grève qui aura lieu le 14 juin prochain. Au pays de la « paix du travail », c’est un événement absolument exceptionnel, pour lequel se mobilisent particulièrement les jeunes générations de femmes.

      Victoire Tuaillon du podcast Les Couilles Sur La Table, et Emilie Gasc, journaliste à la Radio Télévision Suisse, ont interrogé ces femmes d’hier et d’aujourd’hui qui incarnent ce combat. Un documentaire en trois épisodes, à retrouver à partir du 11 juin dans Programme B pour Binge Audio, et sur Play RTS, Apple Podcasts et Spotify pour la RTS.

      https://www.binge.audio/la-greve-des-femmes-suisse-repetita

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