L’Europe doit mettre fin à la répression des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants
« Dans toute l’Europe, il est de plus en plus fréquent que des organisations et des individus soient harcelés, intimidés, victimes de violences ou considérés comme des délinquants simplement parce qu’ils contribuent à protéger les droits humains des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants. Les États européens doivent mettre fin à cette répression », a déclaré aujourd’hui la Commissaire aux droits de l’homme du Conseil de l’Europe, Dunja Mijatović, à l’occasion de la publication d’une Recommandation sur la situation des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe.
Cette Recommandation, intitulée Protéger les défenseurs : mettre fin à la répression des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe, donne un aperçu des défis auxquels sont confrontés les défenseurs des droits humains et présente les mesures que les États membres du Conseil de l’Europe devraient prendre pour les protéger.
Dans le contexte de politiques d’asile et de migration répressives, sécuritaires et militarisées, les États négligent de plus en plus leur obligation de veiller à ce que les défenseurs des droits humains puissent travailler dans un environnement sûr et favorable. En conséquence, de multiples formes de répression s’exercent sur les défenseurs qui participent à des opérations de sauvetage en mer, fournissent une aide humanitaire ou une assistance juridique, mènent des opérations de surveillance des frontières, assurent une couverture médiatique, mènent des activités de plaidoyer, engagent des procédures contentieuses, ou soutiennent par d’autres moyens encore les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe.
La Recommandation examine les problèmes auxquels sont confrontés les défenseurs des droits humains, notamment :
- des propos hostiles et stigmatisants tenus par des représentants gouvernementaux, des parlementaires et certains médias ;
– des violences et des menaces, et le manque de réaction des autorités pour y répondre ;
– la criminalisation du travail humanitaire ou de défense des droits humains mené auprès des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants, due à une application trop large des lois sur le trafic illicite de migrants ;
– le refus d’accès à des lieux où il est essentiel d’assurer un suivi de la situation des droits humains ou de fournir une aide, tels que des centres de détention ou d’accueil ou des zones frontalières.
« Les gouvernements européens devraient voir les défenseurs des droits humains comme des partenaires qui peuvent contribuer de manière déterminante à rendre les politiques d’asile et de migration plus efficaces et respectueuses des droits humains. Au lieu de cela, ils les traitent avec hostilité. Cette politique délibérée porte atteinte aux droits humains des acteurs de la société civile et des personnes auxquelles ils viennent en aide. Par extension, elle ronge le tissu démocratique des sociétés », a déclaré la Commissaire.
Afin d’inverser cette tendance répressive, la Commissaire appelle à prendre d’urgence une série de mesures, dont les suivantes :
- réformer les lois, politiques et pratiques qui entravent indûment les activités des défenseurs des droits humains ;
– veiller à ce que les lois sur le trafic illicite de migrants ne confèrent le caractère d’infraction pénale à aucune activité de défense des droits humains ou d’aide humanitaire menée auprès des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants ;
- lever les restrictions d’accès aux lieux et aux informations ;
- mettre fin au discours stigmatisant et dénigrant ;
- établir des procédures de sécurité efficaces pour les défenseurs confrontés à des violences ou à des menaces et veiller à ce que ces cas fassent l’objet d’enquêtes effectives.
▻https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/id/264775174?_com_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTAN
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Il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di garantire più protezione alle vittime di tratta
Nel rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) si chiede alle autorità di aumentare le indagini e le condanne, assicurare strumenti efficaci di risarcimento per le vittime e concentrarsi maggiormente sullo sfruttamento lavorativo. Oltre allo stop del memorandum Italia-Libia. Su cui il governo tira dritto.
Più attenzione alla tratta per sfruttamento lavorativo, maggiori risarcimenti e indennizzi per le vittime e la necessità di aumentare il numero di trafficanti di esseri umani assicurati alla giustizia. Ma anche lo stop del memorandum Italia-Libia e la fine della criminalizzazione dei cosiddetti “scafisti”.
Sono queste le principali criticità su cui il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) a fine febbraio ha chiesto al governo italiano di intervenire per assicurare l’applicazione delle normative europee e una tutela efficace per le vittime di tratta degli esseri umani. “Ogni anno in Italia ne vengono individuate tra le 2.100 e le 3.800 -si legge nel report finale pubblicato il 23 febbraio-. Queste cifre non riflettono la reale portata del fenomeno a causa dei persistenti limiti nelle procedure per identificare le vittime, nonché di un basso tasso di autodenuncia da parte delle stesse che temono di essere punite o deportate verso i Paesi di origine”. Una scarsa individuazione dei casi di tratta che riguarderebbe soprattutto alcuni settori “ad alto rischio” come “l’agricoltura, il tessile, i servizi domestici, l’edilizia, il settore alberghiero e la ristorazione”.
L’oggetto del terzo monitoraggio di attuazione obblighi degli Stati stabiliti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani era proprio l’accesso alla giustizia per le vittime. Dal 13 al 17 febbraio 2023, il gruppo di esperti si è recato in Italia incontrando decine di rappresentanti istituzionali e di organizzazioni della società civile. La prima bozza del report adottata nel giugno 2023 è stata poi condivisa con il governo italiano che a ottobre ha inviato le sue risposte prima della pubblicazione finale del rapporto. Quello in cui il Greta, pur sottolineando “alcuni sviluppi positivi” dall’ultima valutazione svolta in Italia nel 2019, esprime “preoccupazione su diverse questioni”.
Il risarcimento per le vittime della tratta è una di queste. Spesso “reso impossibile dalla mancanza di beni o proprietà degli autori del reato in Italia” ma anche perché “i meccanismi di cooperazione internazionale sono raramente utilizzati per identificare e sequestrare i beni degli stessi all’estero”. Non solo. Il sistema di indennizzo per le vittime -nel caso in cui, appunto, chi ha commesso il reato non abbia disponibilità economica- non funziona. “Serve renderlo effettivamente accessibile e aumentare il suo importo massimo di 1.500 euro”. Come ricostruito anche da Altreconomia, da quando è stato istituito questo strumento solo in un caso la vittima ha avuto accesso al fondo.
Il Greta rileva poi una “diminuzione del numero di indagini, azioni penali e di condanne” osservando in generale una applicazione ristretta di tratta di esseri umani collegandola “all’esistenza di un elemento transnazionale, al coinvolgimento di un’organizzazione criminale e all’assenza del consenso della vittima”. Tutti elementi non previsti dalla normativa europea e italiana. Così come “desta preoccupazione l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, in particolare della fase investigativa”.
Il gruppo di esperti sottolinea poi la persistenza di segnalazioni di presunte vittime di tratta “perseguite e condannate per attività illecite commesse durante la tratta, come il traffico di droga, il possesso di un documento d’identità falso o l’ingresso irregolare”. Un problema che spesso porta la persona in carcere e non nei progetti di accoglienza specializzati. Che in Italia aumentano. Il Greta accoglie infatti con favore “l’aumento dei fondi messi a disposizione per l’assistenza alle vittime e la disponibilità di un maggior numero di posti per le vittime di tratta, anche per uomini e transgender” sottolineando però la necessità di prevedere un “finanziamento più sostenibile”. In questo momento i bandi per i progetti pubblicati dal Dipartimento per le pari opportunità, hanno una durata tra i 17 e i 18 mesi.
C’è poi la difficoltà nell’accesso all’assistenza legale gratuita che dovrebbe essere garantita alle vittime che invece, spesso, si trovano obbligate a dimostrare di non avere beni di proprietà non solo in Italia ma anche nei loro Paesi d’origine per poter accedere alle forme di consulenza legale gratuita. Problematico è anche l’accesso all’assistenza sanitaria. “I professionisti del Sistema sanitario nazionale -scrive il Greta- non sono formati per assistere le vittime di tratta con gravi traumi e mancano mediatori culturali formati per partecipare alla fornitura di assistenza psicologica”.
Come detto, il focus degli esperti riguarda la tratta per sfruttamento lavorativo. Su cui l’Italia ha adottato diverse misure di protezione per le vittime ma che però restano insufficienti. “Lo sfruttamento del lavoro continua a essere profondamente radicato in alcuni settori che dipendono fortemente dalla manodopera migrante” ed è necessario “garantire risorse che risorse sufficienti siano messe a disposizione degli ispettori del lavoro, rafforzando il monitoraggio dei settori a rischio e garantendo che le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori migranti soddisfare i requisiti previsti dalla normativa al fine di prevenire abusi”.
Infine il Greta bacchetta il governo italiano su diversi aspetti relativi alla nuova normativa sui richiedenti asilo. “Temiamo che le misure restrittive adottate dall’Italia favoriscano un clima di criminalizzazione dei migranti, con il risultato che molte potenziali vittime della tratta non denunciano i loro casi per paura di detenzione e deportazione”, scrivono gli esperti. Sottolineando la preoccupazione rispetto al “rischio di aumento del numero di richiedenti asilo nei centri di detenzione amministrativa” previsto dagli ultimi provvedimenti normativi che aumenterebbe la possibilità anche per le vittime di tratta non ancora identificate di essere recluse. Un rischio riscontrato anche per il Protocollo sottoscritto con l’Albania per gli impatti che avrà “sull’individuazione e la protezione delle persone vulnerabili salvate in mare”.
Sul punto, nelle risposte inviate al Greta l’8 febbraio 2024, il governo italiano sottolinea che il protocollo siglato con la controparte albanese “non si applicherà alle persone vulnerabili, incluse le vittime di tratta”. Resta il punto della difficoltà di identificazione fatta subito dopo il soccorso, spesso in condizioni precarie dopo una lunga e faticosa traversata.
Ma nelle dieci pagine di osservazioni inviate da parte dell’Italia, salta all’occhio la puntualizzazione rispetto alla richiesta del Greta di sospendere il memorandum d’intesa tra Italia e Libia che fa sì che “un numero crescente di migranti salvati o intercettati nel Mediterraneo vengano rimpatriati in Libia dove rischiano -scrivono gli esperti- di subire gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la schiavitù, il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale”. Nella risposta, infatti, il governo sottolinea che ha scelto di cooperare con le autorità libiche “con l’obiettivo di ridurre i morti in mare, nel pieno rispetto dei diritti umani” e che la collaborazione “permette di combattere più efficacemente le reti di trafficanti di esseri umani e di coloro che contrabbandano i migranti”. Con il rispetto dei diritti umani, del diritti umanitario e internazionale che è “sempre stata una priorità”. Evidentemente non rispettata. Ma c’è un dettaglio in più.
Quel contrasto al traffico di migranti alla base anche del memorandum con la Libia, sbandierato a più riprese dall’esecutivo italiano (“Andremo a cercare gli ‘scafisti’ lungo tutto il globo terracqueo”, disse la premier Giorgia Meloni a inizio marzo 2023) viene messo in discussione nel rapporto. Dopo aver sottolineato la diminuzione delle indagini sui trafficanti di esseri umani, il Greta scrive che i “capitani” delle navi che arrivano in Italia “potrebbero essere stati costretti tramite minacce, violenza fisica e abuso di una posizione di vulnerabilità nel partecipare all’attività criminali”. Indicatori che li farebbero ricadere nella “categoria” delle vittime di tratta. “Nessuno, però, è stato considerato come tale”, osservano gli esperti. Si scioglie come neve al sole la retorica sulla “guerra” ai trafficanti. I pezzi grossi restano, nel frattempo, impuniti.
►https://altreconomia.it/il-consiglio-deuropa-chiede-allitalia-di-garantire-piu-protezione-alle-
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]]>Quand Emmanuel Macron maltraite le Conseil d’État - AOC media
▻https://aoc.media/opinion/2024/02/19/quand-emmanuel-macron-maltraite-le-conseil-detat
POLITIQUE
Quand Emmanuel Macron maltraite le Conseil d’État
Par Thomas Perroud
JURISTE
L’intervention directe d’Emmanuel Macron dans la nomination clé au Conseil d’État met en lumière la volonté présidentielle de contrôler étroitement les organes judiciaires et de s’inscrire dans le discours critiquant l’indépendance des juges. En ébranlant les fondements des contre-pouvoirs et en défiant ouvertement les normes européennes, le gouvernement actuel semble esquisser les contours d’un « Frexit » juridique, questionnant profondément le futur de la France dans son rapport aux droits fondamentaux et à son ancrage européen.
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La décision d’Emmanuel Macron de refuser la nomination de Rémy Schwartz pour présider la section des Finances du Conseil d’État pour lui préférer un autre candidat que celui qui avait été choisi en interne est loin d’être anecdotique.
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D’abord, elle est révélatrice d’un désaveu du Conseil d’État, accusé de ne pas juger en faveur de l’exécutif : elle reflète en ce sens un rejet des contre-pouvoirs tout en rejouant une petite musique – encore sourde mais de plus en plus audible –, de critique frontale des juges et des droits de l’Homme. Ensuite, elle s’inscrit dans une série de décisions menaçant les institutions indépendantes. Enfin, elle traduit, dans l’histoire constitutionnelle française, la propension des exécutifs forts à privilégier des personnalités proches du pouvoir pour occuper les postes majeurs au Conseil d’État : depuis sa création par Napoléon, le Conseil d’État a ainsi toujours été cronfort.
Le macronisme et le tournant populiste du conservatisme français
Quelle est la justification avancée pour refuser ainsi un candidat irréprochable ? Les explications fournies aussi bien dans l’Opinion que dans la Lettre doivent alerter. Il est reproché au Conseil d’État de suivre la jurisprudence de la Cour de justice de l’Union européenne et de la CEDH. Cet argument doit être pris au sérieux : il s’inscrit dans le lobbying exercé par certains cercles pour une forme de Frexit juridique. Déjà, le Conseil d’État a, dans une décision importante mais passée inaperçue dans l’opinion, fait prévaloir une lecture conservatrice de la Constitution sur une jurisprudence claire et protectrice des droits de la Cour de justice, allant ainsi dans le sens du ministère de l’Intérieur et permettant une surveillance de masse des données des internautes : avec cette décision, c’est la première fois que le Conseil d’État met un coup d’arrêt à sa posture accueillante au droit de l’Union européenne et au droit international en général, politique inaugurée à la fin des années quatre-vingt.
Si l’exécutif est engagé dans une politique de rupture vis-à-vis de l’Union européenne et de la CEDH, il est plus que temps d’ouvrir cette position au débat public. Au lieu d’affronter ce débat, il semble que les gouvernants actuellement au pouvoir tentent d’obtenir une sécession, par le bas, de l’Europe, en faisant pression sur les tribunaux. Au titre de l’Union européenne, c’est le droit de la protection des données qui est menacé et, bien entendu, le droit de l’environnement. Au titre de la CEDH, ce sont les droits qui ont offert aux individus des garanties contre la puissance étatique qui font l’objet des critiques, ainsi que les droits protégeant les migrants. Ce faisant, l’exécutif français se fait l’écho d’une voix qui perce dans l’espace public.
La critique des droits de l’Homme et du gouvernement des juges est de plus en plus insistante. Le 6 janvier 2024, Alain Finkielkraut, Franz-Olivier Giesbert et Jean-Louis Bourlanges se sont ainsi retrouvés d’accord dans « Répliques » pour estimer que le Conseil d’État, le Conseil constitutionnel et la Cour de justice comme la CEDH ont pris le pouvoir en France. Ce point de vue est partagé par Jean-Eric Schoettl, ancien Secrétaire général du Conseil constitutionnel[1] ou Noëlle Lenoir, ancienne juge constitutionnelle. Jean-Eric Schoettl, depuis sa critique du gouvernement des juges, est à l’origine de l’idée de « bouclier constitutionnel » pour se protéger de l’Europe. Le dernier livre de Franz-Olivier Giesbert tire ainsi sans ménagements sur le Conseil d’État avec une violence peu commune[2].
Si la décision précitée vient sanctionner une politique jurisprudentielle trop accommodante vis-à-vis de l’Europe – politique qui date des années 80, il faut le dire – les signaux annonciateurs d’un Frexit juridique s’accumulent depuis la décision sur la rétention de masse des données des internautes jusqu’à la décision de la Cour de cassation refusant l’effet direct de la Charte des droits sociaux de l’Union européenne pour donner sa pleine application aux fameux « barèmes Macron » en cas de licenciement. Le Brexit a lui aussi été précédé d’une campagne contre les juges – qui continue d’ailleurs. Des deux côtés de la Manche, c’est bien le même programme politique sous-jacent, profondément illibéral, visant à amenuiser les contre-pouvoirs, qui est à l’œuvre. Le macronisme s’inscrit dans cette veine, en combattant une indépendance de la justice qu’il a pourtant le devoir constitutionnel de défendre.
Le macronisme et les contre-pouvoirs
La décision doit aussi être inscrite dans une série témoignant une volonté de reprise en main des corps indépendants. L’instrumentalisation du Conseil constitutionnel, qui a été dénoncée récemment à l’occasion de la loi sur l’immigration, n’est sans doute pas récente : dès sa création, le Conseil a été pensé comme étant proche du Président de la République, son premier président, Léon Noël, inaugurant des entretiens réguliers avec le général de Gaulle, entretiens refusés avec les parlementaires.
Beaucoup plus insolite a été la décision d’Emmanuel Macron de ne pas renouveler Isabelle de Silva à la présidence de l’Autorité de la concurrence. C’est la première fois depuis les années quatre-vingt qu’un président de la République manifeste ainsi son pouvoir vis-à-vis d’une institution de ce rang. Cet acte n’est pas isolé : Laurent Mauduit a réalisé une enquête très approfondie sur tous les cas d’ingérence, qui se sont en réalité multipliés dans la période récente, en prenant pour levier le pouvoir de nomination détenu par le président de la République. Le parti Renaissance a aussi évoqué la suppression de certaines autorités administratives indépendantes en mai 2023[3].
L’intégrité du Conseil d’État victime des exécutifs forts
Il est aussi intéressant de regarder le type de profil privilégié pour le poste de président de la section des Finances. La Lettre explique que le profil « est allé au contact du politique » ». Alors que les précédents désaveux présidentiels étaient motivés par la trop grande proximité du profil retenu par le Conseil d’État avec un engagement partisan (François Mitterrand refusant Guy Braibant proche du parti communiste ou Nicolas Sarkozy rejetant Christian Vigouroux pour sa proximité avec le parti socialiste), c’est un motif opposé qui a animé le président Emmanuel Macron.
Or, préférer un profil proche du politique est une constante des présidents autoritaires de notre histoire constitutionnelle. En instituant le Conseil d’État, Napoléon ne voulait pas d’un juge indépendant ; la IIIe République avait renforcé cette indépendance, en supprimant sa fonction consultative pour les projets de loi. Après l’arrêt Canal en 1962, le général de Gaulle a été jusqu’à vouloir supprimer le Conseil d’Etat : si le projet a été abandonné, les réformes consécutives à cette crise ont consisté à rapprocher davantage le Conseil d’État du politique en créant notamment la double appartenance des membres du Conseil aux sections consultatives et aux sections contentieuses. Préférer un profil proche du politique, donc « conflicté » c’est faire sentir au Conseil d’État sa dépendance : c’est un rappel à l’ordre.
Qu’un président de la République veuille défendre une certaine politique est naturel dans une démocratie, particulièrement en France puisqu’il est élu au suffrage universel direct. Ce qui est navrant et profondément antilibéral, c’est un mode d’expression du mécontentement qui se passe d’explication, de motivation – et de motivation en droit – et fait dépendre la nomination des plus hauts fonctionnaires d’un critère politique plutôt que de l’intégrité d’une carrière dévouée au service de l’intérêt général.
Thomas Perroud
]]>#Université, service public ou secteur productif ?
L’#annonce d’une “vraie #révolution de l’Enseignement Supérieur et la Recherche” traduit le passage, organisé par un bloc hégémonique, d’un service public reposant sur des #carrières, des #programmes et des diplômes à l’imposition autoritaire d’un #modèle_productif, au détriment de la #profession.
L’annonce d’une « #vraie_révolution » de l’Enseignement Supérieur et la Recherche (ESR) par Emmanuel Macron le 7 décembre, a pour objet, annonce-t-il, d’« ouvrir l’acte 2 de l’#autonomie et d’aller vers la #vraie_autonomie avec des vrais contrats pluriannuels où on a une #gouvernance qui est réformée » sans recours à la loi, avec un agenda sur dix-huit mois et sans modifications de la trajectoire budgétaire. Le président sera accompagné par un #Conseil_présidentiel_de_la_science, composé de scientifiques ayant tous les gages de reconnaissance, mais sans avoir de lien aux instances professionnelles élues des personnels concernés. Ce Conseil pilotera la mise en œuvre de cette « révolution », à savoir transformer les universités, en s’appuyant sur celles composant un bloc d’#excellence, et réduire le #CNRS en une #agence_de_moyen. Les composantes de cette grande transformation déjà engagée sont connues. Elle se fera sans, voire contre, la profession qui était auparavant centrale. Notre objet ici n’est ni de la commenter, ni d’en reprendre l’historique (Voir Charle 2021).
Nous en proposons un éclairage mésoéconomique que ne perçoit ni la perspective macroéconomique qui pense à partir des agrégats, des valeurs d’ensemble ni l’analyse microéconomique qui part de l’agent et de son action individuelle. Penser en termes de mésoéconomie permet de qualifier d’autres logiques, d’autres organisations, et notamment de voir comment les dynamiques d’ensemble affectent sans déterminisme ce qui s’organise à l’échelle méso, et comment les actions d’acteurs structurent, elles aussi, les dynamiques méso.
La transformation de la régulation administrée du #système_éducatif, dont nombre de règles perdurent, et l’émergence d’une #régulation_néolibérale de l’ESR, qui érode ces règles, procède par trois canaux : transformation du #travail et des modalités de construction des #carrières ; mise en #concurrence des établissements ; projection dans l’avenir du bloc hégémonique (i.e. les nouveaux managers). L’action de ces trois canaux forment une configuration nouvelle pour l’ESR qui devient un secteur de production, remodelant le système éducatif hier porté par l’État social. Il s’agissait de reproduire la population qualifiée sous l’égide de l’État. Aujourd’hui, nous sommes dans une nouvelle phase du #capitalisme, et cette reproduction est arrimée à l’accumulation du capital dans la perspective de #rentabilisation des #connaissances et de contrôle des professionnels qui l’assurent.
Le couplage de l’évolution du système d’ESR avec la dynamique de l’#accumulation, constitue une nouvelle articulation avec le régime macro. Cela engendre toutefois des #contradictions majeures qui forment les conditions d’une #dégradation rapide de l’ESR.
Co-construction historique du système éducatif français par les enseignants et l’État
Depuis la Révolution française, le système éducatif français s’est déployé sur la base d’une régulation administrée, endogène, co-construite par le corps enseignant et l’État ; la profession en assumant de fait la charge déléguée par l’État (Musselin, 2022). Historiquement, elle a permis la croissance des niveaux d’éducation successifs par de la dépense publique (Michel, 2002). L’allongement historique de la scolarité (fig.1) a permis de façonner la force de travail, facteur décisif des gains de productivité au cœur de la croissance industrielle passée. L’éducation, et progressivement l’ESR, jouent un rôle structurant dans la reproduction de la force de travail et plus largement de la reproduction de la société - stratifications sociales incluses.
À la fin des années 1960, l’expansion du secondaire se poursuit dans un contexte où la détention de diplômes devient un avantage pour s’insérer dans l’emploi. D’abord pour la bourgeoisie. La massification du supérieur intervient après les années 1980. C’est un phénomène décisif, visible dès les années 1970. Rapidement cela va télescoper une période d’austérité budgétaire. Au cours des années 2000, le pilotage de l’université, basé jusque-là sur l’ensemble du système éducatif et piloté par la profession (pour une version détaillée), s’est effacé au profit d’un pilotage pour et par la recherche, en lien étroit avec le régime d’accumulation financiarisé dans les pays de l’OCDE. Dans ce cadre, l’activité économique est orientée par l’extraction de la valeur financière, c’est à dire principalement par les marchés de capitaux et non par l’activité productive (Voir notamment Clévenot 2008).
L’ESR : formation d’un secteur productif orienté par la recherche
La #massification du supérieur rencontre rapidement plusieurs obstacles. Les effectifs étudiants progressent plus vite que ceux des encadrants (Piketty met à jour un graphique révélateur), ce qui entrave la qualité de la formation. La baisse du #taux_d’encadrement déclenche une phase de diminution de la dépense moyenne, car dans l’ESR le travail est un quasi-coût fixe ; avant que ce ne soit pour cette raison les statuts et donc la rémunération du travail qui soient visés. Ceci alors que pourtant il y a une corrélation étroite entre taux d’encadrement et #qualité_de_l’emploi. L’INSEE montre ainsi que le diplôme est un facteur d’amélioration de la productivité, alors que la productivité plonge en France (voir Aussilloux et al. (2020) et Guadalupe et al. 2022).
Par ailleurs, la massification entraine une demande de différenciation de la part les classes dominantes qui perçoivent le #diplôme comme un des instruments de la reproduction stratifiée de la population. C’est ainsi qu’elles se détournent largement des filières et des établissements massifiés, qui n’assurent plus la fonction de « distinction » (voir le cas exemplaire des effectifs des #écoles_de_commerce et #grandes_écoles).
Dans le même temps la dynamique de l’accumulation suppose une population formée par l’ESR (i.e. un niveau de diplomation croissant). Cela se traduit par l’insistance des entreprises à définir elles-mêmes les formations supérieures (i.e. à demander des salariés immédiatement aptes à une activité productive, spécialisés). En effet la connaissance, incorporée par les travailleurs, est devenue un actif stratégique majeur pour les entreprises.
C’est là qu’apparaît une rupture dans l’ESR. Cette rupture est celle de la remise en cause d’un #service_public dont l’organisation est administrée, et dont le pouvoir sur les carrières des personnels, sur la définition des programmes et des diplômes, sur la direction des établissements etc. s’estompe, au profit d’une organisation qui revêt des formes d’un #secteur_productif.
Depuis la #LRU (2007) puis la #LPR (2020) et la vague qui s’annonce, on peut identifier plusieurs lignes de #transformation, la #mise_en_concurrence conduisant à une adaptation des personnels et des établissements. Au premier titre se trouvent les instruments de #pilotage par la #performance et l’#évaluation. À cela s’ajoute la concurrence entre établissements pour l’#accès_aux_financements (type #Idex, #PIA etc.), aux meilleures candidatures étudiantes, aux #labels et la concurrence entre les personnels, pour l’accès aux #dotations (cf. agences de programmes, type #ANR, #ERC) et l’accès aux des postes de titulaires. Enfin le pouvoir accru des hiérarchies, s’exerce aux dépens de la #collégialité.
La généralisation de l’évaluation et de la #sélection permanente s’opère au moyen d’#indicateurs permettant de classer. Gingras évoque une #Fièvre_de_l’évaluation, qui devient une référence définissant des #standards_de_qualité, utilisés pour distribuer des ressources réduites. Il y a là un instrument de #discipline agissant sur les #conduites_individuelles (voir Clémentine Gozlan). L’important mouvement de #fusion des universités est ainsi lié à la recherche d’un registre de performance déconnecté de l’activité courante de formation (être université de rang mondial ou d’université de recherche), cela condensé sous la menace du #classement_de_Shanghai, pourtant créé dans un tout autre but.
La remise en question du caractère national des diplômes, revenant sur les compromis forgés dans le temps long entre les professions et l’État (Kouamé et al. 2023), quant à elle, assoit la mise en concurrence des établissements qui dépossède en retour la profession au profit des directions d’établissement.
La dynamique de #mise_en_concurrence par les instruments transforme les carrières et la relation d’#emploi, qui reposaient sur une norme commune, administrée par des instances élues, non sans conflit. Cela fonctionne par des instruments, au sens de Lascoumes et Legalès, mais aussi parce que les acteurs les utilisent. Le discours du 7 décembre est éloquent à propos de la transformation des #statuts pour assurer le #pilotage_stratégique non par la profession mais par des directions d’établissements :
"Et moi, je souhaite que les universités qui y sont prêtes et qui le veulent fassent des propositions les plus audacieuses et permettent de gérer la #ressource_humaine (…) la ministre m’a interdit de prononcer le mot statut. (…) Donc je n’ai pas dit qu’on allait réformer les statuts (…) moi, je vous invite très sincèrement, vous êtes beaucoup plus intelligents que moi, tous dans cette salle, à les changer vous-mêmes."
La démarche est caractéristique du #new_management_public : une norme centrale formulée sur le registre non discutable d’une prétérition qui renvoie aux personnes concernées, celles-là même qui la refuse, l’injonction de s’amputer (Bechtold-Rognon & Lamarche, 2011).
Une des clés est le transfert de gestion des personnels aux établissements alors autonomes : les carrières, mais aussi la #gouvernance, échappent progressivement aux instances professionnelles élues. Il y a un processus de mise aux normes du travail de recherche, chercheurs/chercheuses constituant une main d’œuvre qui est atypique en termes de formation, de types de production fortement marqués par l’incertitude, de difficulté à en évaluer la productivité en particulier à court terme. Ce processus est un marqueur de la transformation qui opère, à savoir, un processus de transformation en un secteur. La #pénurie de moyen public est un puissant levier pour que les directions d’établissement acceptent les #règles_dérogatoires (cf. nouveaux contrats de non titulaires ainsi que les rapports qui ont proposé de spécialiser voire de moduler des services).
On a pu observer depuis la LRU et de façon active depuis la LPR, à la #destruction régulière du #compromis_social noué entre l’État social et le monde enseignant. La perte spectaculaire de #pouvoir_d’achat des universitaires, qui remonte plus loin historiquement, en est l’un des signaux de fond. Il sera progressivement articulé avec l’éclatement de la relation d’emploi (diminution de la part de l’emploi sous statut, #dévalorisation_du_travail etc.).
Arrimer l’ESR au #régime_d’accumulation, une visée utilitariste
L’État est un acteur essentiel dans l’émergence de la production de connaissance, hier comme commun, désormais comme résultat, ou produit, d’un secteur productif. En dérégulant l’ESR, le principal appareil de cette production, l’État délaisse la priorité accordée à la montée de la qualification de la population active, au profit d’un #pilotage_par_la_recherche. Ce faisant, il radicalise des dualités anciennes entre système éducatif pour l’élite et pour la masse, entre recherche utile à l’industrie et recherche vue comme activité intellectuelle (cf. la place des SHS), etc.
La croissance des effectifs étudiants sur une période assez longue, s’est faite à moyens constants avec des effectifs titulaires qui ne permettent pas de maintenir la qualité du travail de formation (cf. figure 2). L’existence de gisements de productivité supposés, à savoir d’une partie de temps de travail des enseignants-chercheurs inutilisé, a conduit à une pénurie de poste et à une recomposition de l’emploi : alourdissement des tâches des personnels statutaires pour un #temps_de_travail identique et développement de l’#emploi_hors_statut. Carpentier & Picard ont récemment montré, qu’en France comme ailleurs, le recours au #précariat s’est généralisé, participant par ce fait même à l’effritement du #corps_professionnel qui n’a plus été à même d’assurer ni sa reproduction ni ses missions de formation.
C’est le résultat de l’évolution longue. L’#enseignement est la part délaissée, et les étudiants et étudiantes ne sont plus au cœur des #politiques_universitaires : ni par la #dotation accordée par étudiant, ni pour ce qui structure la carrière des universitaires (rythmée par des enjeux de recherche), et encore moins pour les dotations complémentaires (associées à une excellence en recherche). Ce mouvement se met toutefois en œuvre en dehors de la formation des élites qui passent en France majoritairement par les grandes écoles (Charle et Soulié, 2015). Dès lors que les étudiants cessaient d’être le principe organisateur de l’ESR dans les universités, la #recherche pouvait s’y substituer. Cela intervient avec une nouvelle convention de qualité de la recherche. La mise en œuvre de ce principe concurrentiel, initialement limité au financement sur projets, a été élargie à la régulation des carrières.
La connaissance, et de façon concrète le niveau de diplôme des salariés, est devenu une clé de la compétitivité, voire, pour les gouvernements, de la perspective de croissance. Alors que le travail de recherche tend à devenir une compétence générale du travail qualifié, son rôle croissant dans le régime d’accumulation pousse à la transformation du rapport social de travail de l’ESR.
C’est à partir du système d’#innovation, en ce que la recherche permet de produire des actifs de production, que l’appariement entre recherche et profit participe d’une dynamique nouvelle du régime d’accumulation.
Cette dynamique est pilotée par l’évolution jointe du #capitalisme_financiarisé (primauté du profit actionnarial sur le profit industriel) et du capitalisme intensif en connaissance. Les profits futurs des entreprises, incertains, sont liés d’une part aux investissements présents, dont le coût élevé repose sur la financiarisation tout en l’accélérant, et d’autre part au travail de recherche, dont le contrôle échappe au régime historique de croissance de la productivité. La diffusion des compétences du travail de recherche, avec la montée des qualifications des travailleurs, et l’accumulation de connaissances sur lequel il repose, deviennent primordiaux, faisant surgir la transformation du contenu du travail par l’élévation de sa qualité dans une division du travail qui vise pourtant à l’économiser. Cela engendre une forte tension sur la production des savoirs et les systèmes de transmission du savoir qui les traduisent en connaissances et compétences.
Le travail de recherche devenant une compétence stratégique du travail dans tous les secteurs d’activité, les questions posées au secteur de recherche en termes de mesure de l’#efficacité deviennent des questions générales. L’enjeu en est l’adoption d’une norme d’évaluation que les marchés soient capables de faire circuler parmi les secteurs et les activités consommatrices de connaissances.
Un régime face à ses contradictions
Cette transformation de la recherche en un secteur, arrimé au régime d’accumulation, suppose un nouveau compromis institutionnalisé. Mais, menée par une politique néolibérale, elle se heurte à plusieurs contradictions majeures qui détruisent les conditions de sa stabilisation sans que les principes d’une régulation propre ne parviennent à émerger.
Quand la normalisation du travail de recherche dévalorise l’activité et les personnels
Durant la longue période de régulation administrée, le travail de recherche a associé le principe de #liberté_académique à l’emploi à statut. L’accomplissement de ce travail a été considéré comme incompatible avec une prise en charge par le marché, ce dernier n’étant pas estimé en capacité de former un signal prix sur les services attachés à ce type de travail. Ainsi, la production de connaissance est un travail entre pairs, rattachés à des collectifs productifs. Son caractère incertain, la possibilité de l’erreur sont inscrits dans le statut ainsi que la définition de la mission (produire des connaissances pour la société, même si son accaparement privé par la bourgeoisie est structurel). La qualité de l’emploi, notamment via les statuts, a été la clé de la #régulation_professionnelle. Avec la #mise_en_concurrence_généralisée (entre établissements, entre laboratoires, entre Universités et grandes écoles, entre les personnels), le compromis productif entre les individus et les collectifs de travail est rompu, car la concurrence fait émerger la figure du #chercheur_entrepreneur, concerné par la #rentabilisation des résultats de sa recherche, via la #valorisation sous forme de #propriété_intellectuelle, voire la création de #start-up devenu objectifs de nombre d’université et du CNRS.
La réponse publique à la #dévalorisation_salariale évoquée plus haut, passe par une construction différenciée de la #rémunération, qui rompt le compromis incarné par les emplois à statut. Le gel des rémunérations s’accompagne d’une individualisation croissante des salaires, l’accès aux ressources étant largement subordonné à l’adhésion aux dispositifs de mise en concurrence. La grille des rémunérations statutaires perd ainsi progressivement tout pouvoir organisationnel du travail. Le rétrécissement de la possibilité de travailler hors financements sur projet est indissociable du recours à du #travail_précaire. La profession a été dépossédée de sa capacité à défendre son statut et l’évolution des rémunérations, elle est inopérante à faire face à son dépècement par le bloc minoritaire.
La contradiction intervient avec les dispositifs de concurrence qui tirent les instruments de la régulation professionnelle vers une mise aux normes marchandes pour une partie de la communauté par une autre. Ce mouvement est rendu possible par le décrochage de la rémunération du travail : le niveau de rémunération d’entrée dans la carrière pour les maîtres de conférences est ainsi passé de 2,4 SMIC dans les années 1980 à 1,24 aujourd’hui.
Là où le statut exprimait l’impossibilité d’attacher une valeur au travail de recherche hors reconnaissance collective, il tend à devenir un travail individualisable dont le prix sélectionne les usages et les contenus. Cette transformation du travail affecte durablement ce que produit l’université.
Produire de l’innovation et non de la connaissance comme communs
Durant la période administrée, c’est sous l’égide de la profession que la recherche était conduite. Définissant la valeur de la connaissance, l’action collective des personnels, ratifiée par l’action publique, pose le caractère non rival de l’activité. La possibilité pour un résultat de recherche d’être utilisé par d’autres sans coût de production supplémentaire était un gage d’efficacité. Les passerelles entre recherche et innovation étaient nombreuses, accordant des droits d’exploitation, notamment à l’industrie. Dans ce cadre, le lien recherche-profit ou recherche-utilité économique, sans être ignoré, ne primait pas. Ainsi, la communauté professionnelle et les conditions de sa mise au travail correspondait à la nature de ce qui était alors produit, à savoir les connaissances comme commun. Le financement public de la recherche concordait alors avec la nature non rivale et l’incertitude radicale de (l’utilité de) ce qui est produit.
La connaissance étant devenue un actif stratégique, sa valorisation par le marché s’est imposée comme instrument d’orientation de la recherche. Finalement dans un régime d’apparence libérale, la conduite politique est forte, c’est d’ailleurs propre d’un régime néolibéral tel que décrit notamment par Amable & Palombarini (2018). Les #appels_à_projet sélectionnent les recherches susceptibles de #valorisation_économique. Là où la #publication fait circuler les connaissances et valide le caractère non rival du produit, les classements des publications ont pour objet de trier les résultats. La priorité donnée à la protection du résultat par la propriété intellectuelle achève le processus de signalement de la bonne recherche, rompant son caractère non rival. La #rivalité exacerbe l’effectivité de l’exclusion par les prix, dont le niveau est en rapport avec les profits anticipés.
Dans ce contexte, le positionnement des entreprises au plus près des chercheurs publics conduit à une adaptation de l’appareil de production de l’ESR, en créant des lieux (#incubateurs) qui établissent et affinent l’appariement recherche / entreprise et la #transférabilité à la #valorisation_marchande. La hiérarchisation des domaines de recherche, des communautés entre elles et en leur sein est alors inévitable. Dans ce processus, le #financement_public, qui continue d’endosser les coûts irrécouvrables de l’incertitude, opère comme un instrument de sélection et d’orientation qui autorise la mise sous contrôle de la sphère publique. L’ESR est ainsi mobilisée par l’accumulation, en voyant son autonomie (sa capacité à se réguler, à orienter les recherches) se réduire. L’incitation à la propriété intellectuelle sur les résultats de la recherche à des fins de mise en marché est un dispositif qui assure cet arrimage à l’accumulation.
Le caractère appropriable de la recherche, devenant essentiel pour la légitimation de l’activité, internalise une forme de consentement de la communauté à la perte du contrôle des connaissances scientifiques, forme de garantie de sa circulation. Cette rupture de la non-rivalité constitue un coût collectif pour la société que les communautés scientifiques ne parviennent pas à rendre visible. De la même manière, le partage des connaissances comme principe d’efficacité par les externalités positives qu’il génère n’est pas perçu comme un principe alternatif d’efficacité. Chemin faisant, une recherche à caractère universel, régulée par des communautés, disparait au profit d’un appareil sous doté, orienté vers une utilité de court terme, relayé par la puissance publique elle-même.
Un bloc hégémonique réduit, contre la collégialité universitaire
En tant que mode de gouvernance, la collégialité universitaire a garanti la participation, et de fait la mobilisation des personnels, car ce n’est pas la stimulation des rémunérations qui a produit l’#engagement. Les collectifs de travail s’étaient dotés d’objectifs communs et s’étaient accordés sur la #transmission_des_savoirs et les critères de la #validation_scientifique. La #collégialité_universitaire en lien à la définition des savoirs légitimes a été la clé de la gouvernance publique. Il est indispensable de rappeler la continuité régulatrice entre liberté académique et organisation professionnelle qui rend possible le travail de recherche et en même temps le contrôle des usages de ses produits.
Alors que l’université doit faire face à une masse d’étudiants, elle est évaluée et ses dotations sont accordées sur la base d’une activité de recherche, ce qui produit une contradiction majeure qui affecte les universités, mais pas toutes. Il s’effectue un processus de #différenciation_territoriale, avec une masse d’établissements en souffrance et un petit nombre qui a été retenu pour former l’élite. Les travaux de géographes sur les #inégalités_territoriales montrent la très forte concentration sur quelques pôles laissant des déserts en matière de recherche. Ainsi se renforce une dualité entre des universités portées vers des stratégies d’#élite et d’autres conduites à accepter une #secondarisation_du_supérieur. Une forme de hiatus entre les besoins technologiques et scientifiques massifs et le #décrochage_éducatif commence à être diagnostiquée.
La sectorisation de l’ESR, et le pouvoir pris par un bloc hégémonique réduit auquel participent certaines universités dans l’espoir de ne pas être reléguées, ont procédé par l’appropriation de prérogatives de plus en plus larges sur les carrières, sur la valorisation de la recherche et la propriété intellectuelle, de ce qui était un commun de la recherche. En cela, les dispositifs d’excellence ont joué un rôle marquant d’affectation de moyens par une partie étroite de la profession. De cette manière, ce bloc capte des prébendes, assoit son pouvoir par la formation des normes concurrentielles qu’il contrôle et développe un rôle asymétrique sur les carrières par son rôle dominant dans l’affectation de reconnaissance professionnelle individualisée, en contournant les instances professionnelles. Il y a là création de nouveaux périmètres par la norme, et la profession dans son ensemble n’a plus grande prise, elle est mise à distance des critères qui servent à son nouveau fonctionnement et à la mesure de la performance.
Les dispositifs mis en place au nom de l’#excellence_scientifique sont des instruments pour ceux qui peuvent s’en emparer et définissant les critères de sélection selon leur représentation, exercent une domination concurrentielle en sélectionnant les élites futures. Il est alors essentiel d’intégrer les Clubs qui en seront issus. Il y a là une #sociologie_des_élites à préciser sur la construction d’#UDICE, club des 10 universités dites d’excellence. L’évaluation de la performance détermine gagnants et perdants, via des labels, qui couronnent des processus de sélection, et assoit le pouvoir oligopolistique et les élites qui l’ont porté, souvent contre la masse de la profession (Musselin, 2017).
Le jeu des acteurs dominants, en lien étroit avec le pouvoir politique qui les reconnait et les renforce dans cette position, au moyen d’instruments de #rationalisation de l’allocation de moyens pénuriques permet de définir un nouvel espace pour ceux-ci, ségrégué du reste de l’ESR, démarche qui est justifié par son arrimage au régime d’accumulation. Ce processus s’achève avec une forme de séparatisme du nouveau bloc hégémonique composé par ces managers de l’ESR, composante minoritaire qui correspond d’une certaine mesure au bloc bourgeois. Celles- et ceux-là même qui applaudissent le discours présidentiel annonçant la révolution dont un petit fragment tirera du feu peu de marrons, mais qui seront sans doute pour eux très lucratifs. Toutefois le scénario ainsi décrit dans sa tendance contradictoire pour ne pas dire délétère ne doit pas faire oublier que les communautés scientifiques perdurent, même si elles souffrent. La trajectoire choisie de sectorisation déstabilise l’ESR sans ouvrir d’espace pour un compromis ni avec les personnels ni pour la formation. En l’état, les conditions d’émergence d’un nouveau régime pour l’ESR, reliant son fonctionnement et sa visée pour la société ne sont pas réunies, en particulier parce que la #rupture se fait contre la profession et que c’est pourtant elle qui reste au cœur de la production.
►https://laviedesidees.fr/Universite-service-public-ou-secteur-productif
#ESR #facs #souffrance
L’UE va octroyer 87 millions d’euros à l’Égypte pour la gestion des migrations en 2024
En 2024, l’UE fournira 87 millions d’euros ainsi que de nouveaux #équipements à l’Égypte pour un projet de gestion des migrations lancé en 2022, mis en œuvre par l’#Organisation_Internationale_pour_les_Migrations (#OIM) et l’opérateur de #coopération_technique du ministère français de l’Intérieur #Civipol, ont confirmé trois sources proches du dossier à Euractiv.
L’enveloppe de 87 millions d’euros pourrait passer à 110 millions d’euros après la prochaine réunion du #Conseil_d’association_UE-Egypte le 23 janvier, ont confirmé deux sources à Euractiv.
La Commission européenne mène également des #négociations parallèles avec Le Caire afin de conditionner un ensemble de financements pour d’autres projets couvrant un large éventail de secteurs, y compris les migrations, aux recommandations du #Fonds_monétaire_international (#FMI) en matière de réforme, a indiqué une source au fait des négociations.
Les 87 millions d’euros seront consacrés au renforcement de la #capacité_opérationnelle de la #marine égyptienne et des #gardes-frontières pour la #surveillance_des_frontières ainsi que pour les opérations de recherche et de sauvetage en mer.
Le projet de gestion des migrations UE-Égypte a débuté en 2022 avec un montant initial de 23 millions d’euros, 115 millions d’euros supplémentaires ayant été approuvés pour 2023, a confirmé l’une des trois sources.
Les #fonds pour 2022 et 2023 ont été utilisés pour la gestion des frontières, la lutte contre la contrebande et la traite des êtres humains, les retours volontaires et les projets de réintégration.
« Avec ces fonds de l’UE, l’OIM [l’Organisation internationale des migrations] soutient les autorités égyptiennes par le biais d’activités de renforcement des capacités qui promeuvent une #gestion_des_frontières fondée sur les droits humains et le respect du droit et des normes internationales, également en ce qui concerne les opérations de recherche et de sauvetage », a déclaré une source officielle de l’agence des Nations unies à Euractiv.
L’opérateur français Civipol travaille sur l’appel d’offres, la production et la livraison des nouveaux #bateaux de recherche et de sauvetage pour 2024, a confirmé l’une des trois sources.
Cependant, selon le rapport sur les migrations 2023 de l’Agence de l’Union européenne pour l’asile (AUEA), il n’y a pratiquement pas eu de départs irréguliers depuis les côtes égyptiennes depuis 2016, la plupart des migrants irréguliers égyptiens vers l’UE étant partis de Libye.
Dans le même temps, le nombre de citoyens égyptiens demandant des visas dans les États membres de l’UE a considérablement augmenté ces dernières années, selon le rapport de l’AUEA, principalement en raison de la détérioration de la situation intérieure du pays.
La crise s’aggrave en Égypte
L’Égypte, partenaire stratégique de l’UE, connaît une crise économique et politique de plus en plus grave. Les 107 millions d’habitants du pays sont confrontés à une instabilité croissante et à l’absence de garanties en matière de droits humains.
Dans une lettre adressée aux chefs d’État et aux institutions européennes en décembre dernier, l’ONG Human Rights Watch a demandé à l’UE de « veiller à ce que tout recalibrage de son #partenariat avec l’Égypte et de l’aide macrofinancière qui en découle soit l’occasion d’améliorer les droits civils, politiques et économiques du peuple égyptien ».
« Son impact ne sera durable que s’il est lié à des progrès structurels et à des réformes visant à remédier aux abus et à l’oppression du gouvernement, qui ont étranglé les droits de la population autant que l’économie du pays », a écrit l’ONG.
La crise des droits humains est indissociable de la crise économique, a expliqué à Euractiv Timothy E. Kaldas, directeur adjoint de l’Institut Tahrir pour les politiques au Moyen-Orient. « Les décisions et les pratiques politiques du régime jouent un rôle central dans l’état de l’économie égyptienne », a-t-il déclaré.
« Le régime exploite l’État égyptien de manière abusive. Par exemple, il impose des contrats à des entreprises appartenant au régime pour réaliser des projets d’infrastructure extrêmement coûteux et qui ne contribuent pas nécessairement au bien public », a affirmé M. Kaldas, citant la construction de nouvelles villes ou de « nouveaux palais pour le président ».
Alors que ces projets enrichissent les élites égyptiennes, le peuple est de plus en plus pauvre et, dans certains cas, il se voit contraint de quitter le pays, a expliqué M. Kaldas.
Avec une inflation des produits alimentaires et des boissons dépassant 70 % en Égypte en 2023, une monnaie en proie à de multiples chocs et effondrements qui réduisent le pouvoir d’achat des Égyptiens et des investisseurs privés qui ne considèrent pas le pays nord-africain comme un bon endroit pour investir, « la situation est très morose », a résumé l’expert.
En outre, l’indépendance du secteur privé a été pointée du doigt dans un rapport de Human Rights Watch en novembre 2018. Par exemple, les deux hommes d’affaires égyptiens de Juhayna Owners, le plus grand producteur de produits laitiers et de jus de fruits du pays, ont été détenus pendant des mois après avoir refusé de céder leurs parts dans leur entreprise à une société d’État.
Les évènements récents au poste-frontière de Rafah à Gaza, les frictions en mer Rouge avec les rebelles houthis au Yémen et la guerre dans le pays frontalier du Soudan ont aggravé l’instabilité dans cette république.
Relations UE-Égypte
Lors du dernier Conseil d’association UE-Égypte en juin 2022, les deux partenaires ont dressé une liste de priorités pour « promouvoir des intérêts communs et garantir la stabilité à long terme et le développement durable de part et d’autre de la Méditerranée, ainsi que pour renforcer la coopération et à réaliser le potentiel inexploité de cette relation ».
La liste des priorités concerne un large éventail de secteurs dans lesquels l’UE est disposée à aider l’Égypte.
Le document qui présente les résultats de la réunion met notamment l’accent sur les transitions numérique et écologique, le commerce et l’investissement, le développement social et la justice sociale, l’énergie, la réforme du secteur public, la sécurité et le terrorisme, ainsi que la migration.
▻https://www.euractiv.fr/section/international/news/lue-va-octroyer-87-millions-deuros-a-legypte-pour-la-gestion-des-migrations
#Egypte #externalisation #asile #migrations #réfugiés #aide_financière #conditionnalité_de_l'aide #UE #EU #Union_européenne
]]>Forêts : le Conseil d’Etat rejette la limitation des coupes rases
▻https://www.lemonde.fr/planete/article/2024/02/07/forets-le-conseil-d-etat-rejette-la-limitation-des-coupes-rases_6215210_3244
Plusieurs associations environnementales demandent purement et simplement l’interdiction des coupes rases, comme c’est le cas en Suisse et en Autriche pour toute coupe de plus de deux hectares.
Le #Conseil_d’Etat a rejeté une requête du parc naturel du Morvan visant à limiter les « coupes rases », abattages de la totalité des #arbres d’une parcelle accusés de dégrader durablement les #écosystèmes, a appris l’Agence France-Presse (AFP), mercredi 7 février, auprès du Conseil.
Le parc naturel régional du Morvan, recouvert de forêts sur 135 000 hectares, avait saisi le Conseil d’Etat en avril 2022. Il lui demandait de contraindre le gouvernement français à accepter sa demande, faite en 2018, de soumettre à autorisation toute coupe rase à partir de 0,5 hectare, contre quatre hectares actuellement.
Selon le parc, la France se serait ainsi conformée à la directive européenne du 13 décembre 2011, qui exige l’évaluation des « incidences sur l’environnement » de tout déboisement, laissant aux Etats membres le loisir de fixer le seuil d’application (à partir de 0,5 hectare, a décidé la France).
Des associations environnementales demandent son interdiction
Mais, dans un jugement consulté par l’AFP, le Conseil d’Etat rappelle qu’un arrêt de la Cour de justice de l’Union européenne a estimé que la directive invoquée par le parc « vise, non pas tout déboisement, mais uniquement les opérations réalisées en vue de conférer aux sols concernés un nouvel usage ». Les coupes rases qui ne mettent pas fin à une destination forestière ne sont donc pas concernées, selon le Conseil.
Ces coupes, également dites « à blanc », libèrent de grandes quantités de carbone tout en détruisant non seulement un paysage, mais également les écosystèmes et les sols, selon les opposants.
Plusieurs associations environnementales demandent purement et simplement l’interdiction des coupes rases, comme c’est le cas en Suisse – depuis 1876 – et en Autriche pour toute coupe de plus de deux hectares. De plus, ces coupes franches sont très souvent destinées à planter des monocultures de résineux, plus rentables mais très pauvres en biodiversité.
« L’enrésinement » (plantation de résineux) du Morvan, petite montagne qui forme un prolongement bourguignon du Massif central, est régulièrement dénoncé par les associations environnementales.
Les feuillus (chênes, hêtres et autres châtaigniers) représentent encore 54 % de la forêt morvandelle, contre 35 % pour les résineux et 11 % pour les essences mélangées. Mais la part des pins et autres épicéas progressent rapidement : de 2005 à 2016, 10 800 hectares de résineux ont été plantés, tandis que 4 300 hectares de feuillus ont été arrachés, selon les chiffres du parc.
#forêt #résineux #coupes_rases #économie #écologie #justice #propriété (la liberté d’user et d’abuser)
]]>Les pratiques zélées du Conseil d’Etat vis-à-vis des juifs sous le régime de Vichy
Le Conseil d’Etat et « le statut des juifs » 1|3
En octobre 1940, les juifs ont été exclus de toute la fonction publique, le Conseil d’Etat ayant alors à se prononcer sur des demandes de dérogation. L’institution a été plus impitoyable que le Commissariat général aux questions juives. Il a fallu attendre 1990 pour que la haute juridiction admette qu’elle s’était « sali les mains » sous Vichy.
La ligne était fort claire, et avait été fixée une fois pour toutes, en 1947, par l’éminent président Bouffandeau : le Conseil d’Etat s’était admirablement conduit pendant la guerre ; il avait été un précieux rempart pour assurer « la continuité et la sauvegarde des principes du droit public français ».
Tony Bouffandeau, membre de la prestigieuse section du contentieux dont il a pris la présidence quelques années plus tard, avait alors la bénédiction de René Cassin, vice-président du Conseil d’Etat depuis 1944. René Cassin était insoupçonnable : juif, chassé puis condamné à mort par Vichy, le futur Prix Nobel de la paix avait été l’un des premiers à rejoindre le général de Gaulle à Londres.
C’est d’ailleurs René Cassin qui a prononcé le 23 décembre 1944 un vibrant hommage à Alfred Porché, son prédécesseur au Conseil d’Etat sous l’Occupation – discrètement mis à la retraite, pour éviter le scandale –, en qui il voyait un homme « n’ayant pas hésité à annuler, en pleine occupation allemande, de nombreuses décisions prises à Vichy en violation des principes fondamentaux de notre droit public ». C’est ainsi que s’est gravée dans le marbre « la doctrine Bouffandeau », la haute juridiction administrative avait été la vigilante gardienne des principes républicains – il fallait en effet sauver des ombres de Vichy le Conseil d’Etat, dont l’existence même était vivement contestée.
La légende dorée a toujours cours en 1974, dans l’imposante somme dirigée par le conseiller Louis Fougère pour le 175e anniversaire du Conseil d’Etat : il y consacre un gros chapitre à la guerre, mais reste évasif sur le rôle de l’institution envers ses juifs. Et en 1988, l’ancien résistant et vice-président du Conseil d’Etat Bernard Chenot, en tenait toujours pour cette aimable version dans un discours devant l’Académie des sciences morales et politiques.
C’est un autre conseiller qui a mis au jour une vérité un peu plus cruelle. L’Institut d’histoire du temps présent a demandé en 1989, pour le colloque « Vichy et les Français », à Jean Massot, président de la section des finances du Conseil et féru d’histoire, une contribution sur le rôle à l’époque de son éminente institution.
Un an plus tard, le conseiller a conclu, à la grande stupeur de ses collègues, que le Conseil, sous Vichy, s’était bel et bien « sali les mains ». « J’ai demandé à mon vice-président, Marceau Long, s’il souhaitait qu’on reprenne le refrain de la doctrine Bouffandeau, explique aujourd’hui le vieux monsieur de 88 ans. Il m’a répondu : “Je crois qu’il faut quand même maintenant mettre les choses sur la table.” »
▻https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/02/06/les-pratiques-zelees-du-conseil-d-etat-vis-a-vis-des-juifs-sous-le-regime-de
j’ai trouvé cet article, publié ici sans les photos d’archives de la publication initiale...
#Histoire #Régime_de_Vichy #État_français #Conseil_d’Etat #statut_des_juifs #juifs #France
]]>La #Loi_Asile_Immigration raciste fait l’unanimité… CONTRE elle !
▻https://bascules.blog/2024/02/03/la-loi-asile-immigration-raciste-fait-lunanimite-contre-elle
Communiqué de presse après la décision du #Conseil_constitutionnel et la promulgation de la loi Asile Immigration APPEL À MANIFESTER LE 3 FÉVRIER 2024 Vendredi 26 janvier, le gouvernement a promulgué la loi Asile Immigration. Même si le Conseil constitutionnel a retiré un certain nombre de dispositions, ce qui en reste demeure l’une des pires […]
#Appel_à_manifester #Communiqué #Racisme_d'Etat
Ils sont gentils à Marianne...
Quand le #Conseil_Constitutionnel ne dit rien, il est à la botte.
Quand il s’exprime, il est vilain, #pabo. :-D :-D :-D
#Loi_immigration : « Neuf juges peuvent donc balayer d’un revers de manche un énorme travail parlementaire »
Ça s’appelle la #séparation_des_pouvoirs, et c’est pas trop mal comme ça... :-D :-D :-D
#politique #société #France #loi #régulation #régularité #seenthis #vangauguin
▻https://www.marianne.net/agora/tribunes-libres/loi-immigration-neuf-juges-peuvent-donc-balayer-dun-revers-de-manche-un-en
]]>Loi « immigration » : « Le Conseil a manqué l’occasion de se prononcer sur les limites constitutionnelles aux atteintes portées aux droits des étrangers »
►https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/01/28/loi-immigration-le-conseil-a-manque-l-occasion-de-se-prononcer-sur-les-limit
La décision du Conseil constitutionnel restera comme l’une des plus habiles qu’ait rendues l’institution de la rue de Montpensier : elle lui a permis de se sortir de la situation inextricable dans laquelle l’avait injustement placée la majorité présidentielle.
Le juge constitutionnel n’a en principe vocation qu’à contrôler la constitutionnalité des dispositions d’une loi adoptée par la majorité et contestée par l’opposition. Or, il s’est trouvé saisi d’un texte, fruit d’un compromis entre le gouvernement et les parlementaires de droite, dont des ministres et des membres de la majorité ont pointé publiquement, de manière inédite, les potentiels vices de constitutionnalité.
L’objet du contrôle de constitutionnalité a priori s’en trouvait dès lors détourné : la majorité présidentielle (relative) entendait en faire un mécanisme lui permettant de remporter juridiquement ce qu’elle n’avait pas su obtenir politiquement. Voilà pourquoi le gouvernement n’a pas pleinement exercé sa fonction de défenseur de la constitutionnalité de la loi devant le juge constitutionnel : il s’en est remis, de manière inhabituelle, « à la sagesse du Conseil constitutionnel » à propos du nombre de dispositions introduites par les sénateurs républicains avec lesquelles il était en désaccord.
Le Conseil constitutionnel se trouvait dès lors placé dans une impasse présentant des risques significatifs pour sa légitimité. Une censure des dispositions les plus sensibles du texte au regard de leur contrariété à certains droits ou libertés aurait conduit à la vive mise en cause de l’institution et au retour de l’antienne sur le « gouvernement des juges » – un risque bien réel au vu des attaques dont il avait fait l’objet, en 1993, à la suite de sa décision de censure d’une loi relative à l’immigration. A l’inverse, une déclaration de conformité aurait provoqué des doutes sur sa capacité à être un véritable gardien des droits et libertés constitutionnels.
Motifs procéduraux
En choisissant de qualifier l’essentiel des dispositions les plus controversées de la loi de « cavaliers législatifs », le Conseil constitutionnel a privilégié une solution ingénieuse : tout en se fondant sur une jurisprudence bien établie et sur un raisonnement juridique en apparence imparable, il évite de se prononcer sur l’atteinte éventuelle de ces dispositions aux droits et libertés constitutionnels.
Cette habileté du Conseil constitutionnel ne le préservera cependant pas de certaines critiques légitimes.
D’abord, si la jurisprudence relative aux « cavaliers législatifs » est ancienne, elle a en effet été appliquée avec un zèle particulier dans le cadre du contrôle de cette loi, et ce en dépit de la révision constitutionnelle de 2008 qui avait justement vocation à desserrer son contrôle. Rappelons qu’en l’état du droit, lorsqu’il contrôle une disposition qui a été ajoutée par voie d’amendement, le juge constitutionnel doit contrôler qu’elle présente un lien, même indirect, avec le contenu du projet de loi initialement déposé devant le Parlement.
La décision sur la loi « immigration » montre que ce contrôle n’est pas toujours exercé avec la même vigilance ou cohérence : dans sa décision sur la loi du 10 septembre 2018 pour une immigration maîtrisée, il avait ainsi admis des dispositions relatives à la nationalité sans y voir de « cavalier » alors qu’il vient de faire le contraire sans qu’on puisse objectivement expliquer cette différence.
Ensuite, ce choix de censurer une grande partie de la loi pour un motif procédural surprend d’autant plus quand on le met en parallèle avec sa décision du 14 avril 2023 sur la loi de réforme des retraites. Dans cette dernière, le Conseil constitutionnel avait refusé de voir un quelconque vice de constitutionnalité dans l’emploi, par le gouvernement, d’un projet de loi de financement rectificative de la Sécurité sociale et l’accumulation du recours aux mécanismes de rationalisation du parlementarisme, et ce alors même que cela avait largement tronqué les débats parlementaires.
Deux poids, deux mesures
La décision de censurer plus d’un tiers des articles de la loi « immigration » largement issus d’amendements parlementaires donne de ce fait l’impression d’un deux poids, deux mesures : le Conseil paraît appliquer les règles procédurales de manière plus pointilleuse à l’égard des parlementaires que du gouvernement.
Enfin, cette décision laisse en suspens la question de la conformité aux droits et libertés constitutionnels de certaines dispositions particulièrement controversées, comme l’article 19, qui instaure une « #préférence_nationale » en restreignant l’accès à certaines prestations sociales non contributives pour nombre d’étrangers. Certes, il y a peu de chance que ces articles soient de nouveau discutés à court terme : on imagine mal la majorité présidentielle soutenir la réintroduction de dispositions qu’elle a contestées publiquement et que le gouvernement n’a pas défendues devant le Conseil constitutionnel.
La question de la constitutionnalité de certains dispositifs va cependant inévitablement se reposer, au moins dans le cadre des campagnes électorales, dès lors que certains partis défendent cette « préférence nationale ». Le juge constitutionnel a manqué l’occasion de se prononcer au fond sur les limites constitutionnelles aux atteintes portées aux #droits des #étrangers. Une telle décision aurait pu informer les citoyens sur la compatibilité du programme politique de certains partis avec la Constitution, information qui apparaît d’autant plus nécessaire que la révision de la #Constitution n’est pas chose aisée.
Ainsi, si la décision du #Conseil_constitutionnel a le mérite d’empêcher la promulgation de dispositions contestables, elle ne marque pas pour autant un progrès de l’Etat de droit.
Samy Benzina est professeur de droit public à l’université de Poitiers
]]>Loi « immigration » : avec finalement 51 articles, un texte plus fourni que le projet initial du gouvernement
Le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, a estimé, après la #censure partielle du Conseil constitutionnel, que la version définitive correspond au texte « voulu par le gouvernement ». La première mouture, de 27 articles, a cependant été augmentée par la droite sénatoriale. De nombreux articles continuent d’inquiéter juristes et associations.
C’est une loi « immigration » composée de 51 articles que le président de la République, Emmanuel Macron, devrait promulguer de façon imminente. A l’issue de la censure partielle du texte par le Conseil constitutionnel, jeudi 25 janvier, environ 40 % de ses dispositions ont été invalidées, principalement pour des motifs de forme. Il s’agit quasi exclusivement d’éléments introduits par la droite parlementaire.
La version définitive correspond donc au « texte voulu par le gouvernement », s’est félicité le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, jeudi soir sur TF1. « Jamais la République n’a eu une loi aussi dure contre les étrangers délinquants », a-t-il insisté, soulignant que les dispositions initialement prévues par le gouvernement sont contenues dans le texte final (26 articles sur les 27 du projet présenté en février 2023).
Les juges constitutionnels ont, jeudi, estimé conformes dix mesures sur la quarantaine dont ils étaient saisis. Ainsi ont-ils validé la levée des protections à l’éloignement dont bénéficient certaines catégories d’étrangers, comme ceux arrivés en France avant l’âge de 13 ans. Cette disposition est censée permettre 4 000 expulsions supplémentaires de délinquants étrangers, promet la Place Beauvau. Elle est assimilée par ses opposants au rétablissement d’une forme de « double peine ».
De même, le Conseil a jugé conforme à la Constitution la généralisation du juge unique, au détriment des formations collégiales de trois juges, pour statuer plus rapidement sur les demandes d’asile devant la Cour nationale du droit d’asile (CNDA). La possibilité de recourir à des vidéoaudiences pour juger du maintien en rétention des étrangers a aussi été avalisée.
Quatre instructions d’application immédiate
Le Conseil a en outre déclaré conforme l’article imposant à l’étranger de signer un contrat d’engagement au respect des principes de la République. Alors qu’une disposition similaire avait été censurée dans la loi dite de lutte contre le séparatisme, en 2021, les juges constitutionnels ont cette fois considéré que le gouvernement avait listé les principes de la République de façon suffisamment détaillée, qui comprennent « la liberté personnelle, la liberté d’expression et de conscience, l’égalité entre les femmes et les hommes, la dignité de la personne humaine, la devise et les symboles de la République ».
Des dispositions introduites par la droite sénatoriale ont également été approuvées, et notamment celles conditionnant la délivrance de visas à la bonne coopération des pays d’origine en matière de réadmission de leurs ressortissants en situation irrégulière.
Validée aussi, la possibilité, ajoutée par la droite parlementaire, pour un département de refuser la prise en charge au titre de l’aide sociale à l’enfance des jeunes majeurs lorsqu’ils ont fait l’objet d’une obligation de quitter le territoire (OQTF), ou encore la création d’un fichier des mineurs étrangers suspectés d’être des délinquants.
Dans un registre satisfait, le ministre de l’intérieur a prévenu, jeudi soir sur TF1, qu’il réunirait dès vendredi 26 janvier les préfets pour leur transmettre au moins quatre instructions d’application immédiate. D’abord, M. Darmanin souhaite que l’intégralité des dossiers des étrangers délinquants soit réétudiée, afin d’envisager des expulsions sur la base de la nouvelle loi. Ensuite, il entend demander de régulariser certains travailleurs sans-papiers évoluant dans les secteurs en tension, ainsi que le facilite une disposition de la loi.
M. Darmanin souhaite aussi s’appuyer sur la loi pour accentuer la lutte contre l’immigration irrégulière, contre les marchands de sommeil ou contre le travail des autoentrepreneurs sans-papiers, à l’image des livreurs à domicile. Le ministère de l’intérieur veut enfin appliquer sans attendre l’interdiction en métropole du placement en rétention des mineurs. Dans les faits, la mesure est déjà pratiquement à l’œuvre.
« C’est un texte très mal rédigé »
Du côté des associations et des juristes, si la censure partielle de la loi a été accueillie positivement car elle balaye les mesures les plus dures, de vives inquiétudes demeurent sur les dispositions du texte restantes. Président d’Amnesty International France, Jean-Claude Samouiller a appelé le gouvernement à ne pas mettre en œuvre les mesures qui, « si elles ne sont pas jugées comme anticonstitutionnelles, n‘en sont pas moins attentatoires aux droits et aux libertés des personnes exilées ».
Par la voix de sa présidente, Adeline Hazan, l’Unicef France se dit également « préoccupé par le maintien de plusieurs dispositions qui, si elles n’ont pas été déclarées inconstitutionnelles, semblent toutefois incompatibles avec le respect des droits de l’enfant ». « Retour de la “double peine”, instauration d’un juge unique à la CNDA ou nouvelles conditions mises à la délivrance de titres de séjour. Ces dispositions, nous continuerons à les contester », a appuyé Dominique Sopo, le président de SOS Racisme.
Une série de 41 articles n’ont en outre pas été soumis au contrôle des juges constitutionnels. Parmi ceux-là : la possibilité de placer en rétention certains demandeurs d’asile à la frontière ; le fait qu’un parent étranger doit s’engager à éduquer ses enfants dans le respect « des valeurs et principes de la République », ou encore le passage d’un examen de français pour l’obtention d’une carte pluriannuelle de séjour. « Le Conseil ne s’est pas prononcé sur de nombreux articles, comme les mesures spécifiques à Mayotte », regrette Marie-Laure Basilien-Gainche, professeure de droit à l’université Lyon-3 et « membre sénior » de l’Institut universitaire de France.
« C’est un texte très mal rédigé, sa procédure d’adoption a été catastrophique », ajoute encore Samy Benzina, professeur de droit public à l’université de Poitiers, qui, comme d’autres de ses collègues, estime que la loi devrait engendrer de nombreux contentieux. « On peut déposer des questions prioritaires de constitutionnalité à l’occasion de la contestation des décrets d’application par exemple, prévient Serge Slama, professeur de droit public à l’université de Grenoble. Il peut aussi y avoir des contrôles de conventionnalité et de conformité au droit de l’Union européenne dans le cadre de contentieux individuels. » Des procédures qui prendront nécessairement du temps.
▻https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/01/26/loi-immigration-avec-51-articles-au-final-un-texte-plus-fourni-que-le-projet
#loi_immigration #conseil_constitutionnel #migrations #asile #réfugiés #France
]]>« Le Conseil constitutionnel n’a jamais défendu les droits des étrangers », Danièle Lochak [Gisti]
Que peut-on attendre de la saisine actuelle du Conseil constitutionnel à propos de la loi immigration ?
Danièle Lochak : Il y a trois éléments à prendre en compte. D’abord un élément de contexte général : on ne peut pas attendre grand-chose du Conseil constitutionnel lorsqu’il s’agit des droits des étrangers. Historiquement, à quelques nuances et réserves d’interprétation près, il a toujours validé l’ensemble des mesures votées par le législateur et accompagné sans ciller toutes les évolutions restrictives en la matière.
Ainsi en matière d’enfermement – ce qu’on appelle aujourd’hui la rétention – le Conseil constitutionnel a d’abord dit en 1980 que sa durée devait être brève et placée sous le contrôle du juge judiciaire, garant de la liberté individuelle. Mais la durée maximale de rétention a été progressivement étendue : de sept jours, elle est passée à dix en 1993, puis douze en 1998, puis 32 en 2003, puis 45 jours en 2011, et enfin, 90 jours en 2018 , sans que le Conseil constitutionnel y trouve à redire.
Il a affirmé que la lutte contre l’immigration irrégulière participait de la sauvegarde de l’ordre public, dont il a fait un objectif à valeur constitutionnelle. On voit mal, dans ces conditions, comment des mesures qui ont pour objectif proclamé de lutter contre l’immigration irrégulière pourraient être arrêtées par le contrôle de constitutionnalité…
Autre exemple : en 1993, lors de l’examen de la loi Pasqua, le Conseil constitutionnel a affirmé que les étrangers en situation régulière bénéficient du droit de mener une vie familiale normale. Mais une fois ce principe posé, il n’a censuré aucune mesure restreignant le droit au regroupement familial. Ainsi, même lorsqu’il a rappelé des principes et reconnu que les étrangers devaient bénéficier des garanties constitutionnelles, il a toujours trouvé des aménagements qui ont permis de valider les dispositions législatives restrictives.
Le président du Conseil constitutionnel Laurent Fabius a tancé le gouvernement, et rappelé que l’institution n’était pas « une chambre d’appel des choix du Parlement ». Le Conseil ne va-t-il pas se montrer plus sévère qu’à l’accoutumée ?
D. L. : En effet, le deuxième élément qui change la donne est le contexte politique, avec un gouvernement qui annonce d’emblée que certaines dispositions sont contraires à la #Constitution et charge le Conseil constitutionnel de « nettoyer » la loi. C’est bien entendu grotesque : en élaborant la loi, les responsables politiques sont censés respecter la Constitution.
Surtout, le Rassemblement national (#RN) s’est targué d’une « victoire idéologique ». C’est très habile de sa part. En réalité, voilà quarante ans que l’ombre portée du Front national (RN maintenant) pèse sur la politique d’immigration française. Depuis 1983 et l’élection partielle de Dreux où le #FN, allié à la droite, l’a emporté sur la liste de gauche menée par Françoise Gaspard, la droite court après l’extrême droite, et la gauche, de crainte de paraître laxiste, court après la droite sur les questions d’immigration.
Hormis quelques lois, dont la loi de 1981 adoptée après l’arrivée de la gauche au pouvoir et celle de 1984 sur la carte de résident, ou encore la loi Joxe de 1989, la politique de la gauche n’a été qu’une suite de renoncements, maintenant l’objectif de « maîtrise des flux migratoires » et de lutte contre l’immigration irrégulière. Il n’y a que sur la nationalité qu’elle n’a jamais cédé.
Cela étant, la revendication de victoire de la part du RN va probablement inciter le Conseil constitutionnel à invalider un plus grand nombre de dispositions de la loi que d’habitude, même si on ignore lesquelles.
Dans la saisine du Conseil constitutionnel sont invoqués beaucoup de « cavaliers législatifs », des dispositions qui n’ont pas de rapport avec l’objet du texte. Le garant de la constitutionnalité de la loi va-t-il trouver là des arguments faciles pour censurer certaines dispositions ?
D. L. : Oui, et c’est le troisième élément à prendre en considération dans les pronostics que l’on peut faire. La présence de nombreux cavaliers législatifs va faciliter la tâche du Conseil constitutionnel, car invalider une disposition pour des raisons procédurales est évidemment plus confortable que de se prononcer sur le fond. Le projet initial portait sur l’entrée, le séjour et l’éloignement des étrangers. Or le texte final, « enrichi » d’une multitude d’amendements, est loin de se limiter à ces questions.
Le Conseil constitutionnel peut très bien estimer que les dispositions sur la #nationalité, pour ne prendre que cet exemple, qui relèvent du Code civil, sont sans rapport avec l’objet du texte, et les invalider. Alors même qu’en 1993, il avait validé le retour à la manifestation de volonté pour acquérir la nationalité française à partir de 16 ans pour les enfants d’étrangers nés en France, mesure phare de la loi Pasqua1.
Il peut aussi invoquer « l’incompétence négative », qui désigne le fait pour le Parlement de n’avoir pas précisé suffisamment les termes de certaines dispositions et laissé trop de latitude au gouvernement pour les mettre en œuvre, sans compter les dispositions qui sont manifestement inapplicables tellement elles sont mal conçues.
Mais si les dispositions sont invalidées sur ce fondement, rien n’empêchera leur retour dans un prochain texte puisque le Conseil constitutionnel aura fait une critique sur la forme et ne se sera pas prononcé sur le fond. Et puis il faut être conscient que, même s’il invalide un plus grand nombre de dispositions que d’habitude, il restera encore suffisamment de mesures iniques qui rendront la vie impossible aux étrangers résidant en France, fût-ce en situation régulière et depuis de très longues années.
Le Conseil constitutionnel a tout de même consacré le principe de fraternité en 2018, et mis fin – au moins partiellement – au #délit_de_solidarité_ qui punit le fait d’aider les exilés dans un but humanitaire.
D. L. : Oui, c’est un exemple qu’on met souvent en avant. Le « délit de solidarité » – ce sont les militants qui l’ont nommé ainsi, bien sûr – punit l’aide à l’entrée, au séjour et à la circulation des étrangers en situation irrégulière sur le territoire français. A l’époque, les avocats du militant Cédric Herrou avaient posé une question prioritaire de constitutionnalité (#QPC) au Conseil constitutionnel en invoquant le principe de fraternité, qui figure dans la devise républicaine.
Le Conseil constitutionnel a en effet consacré la valeur constitutionnelle du principe de fraternité, et son corollaire, la liberté d’aider autrui dans un but humanitaire sans considération de la régularité de son séjour. Mais il a restreint la portée de cette liberté en n’y incluant pas l’aide à l’entrée sur le territoire, alors qu’à la frontière franco-italienne, par exemple, l’aide humanitaire est indispensable.
Vous dressez un constat pessimiste. Cela vaut-il la peine que les associations continuent à contester les politiques migratoires devant les juges ?
D. L. : Il faut distinguer les modes d’action. La saisine du Conseil constitutionnel après le vote de la loi est le fait de parlementaires et/ou du gouvernement, ou du président de la République.
Les membres de la « société civile » (associations, avocats, professeurs de droit…) peuvent déposer des contributions extérieures, qu’on appelle aussi « portes étroites » . Celles-ci n’ont aucune valeur officielle, et le Conseil constitutionnel, même s’il les publie désormais sur son site, n’est obligé ni de les lire, ni de répondre aux arguments qui y sont développés.
Les saisines officielles ont été accompagnées, cette fois, de très nombreuses portes étroites. Le #Gisti, une association de défense des droits des étrangers créée en 1972 et dont j’ai été la présidente entre 1985 et 2000, a décidé de ne pas s’y associer cette fois-ci, alors qu’il lui était arrivé par le passé d’en rédiger.
Outre que le Gisti ne fait guère confiance au Conseil constitutionnel pour protéger les droits des étrangers, pour les raisons que j’ai rappelées, l’association a estimé que la seule position politiquement défendable était le rejet de la loi dans sa globalité sans se limiter aux dispositions potentiellement inconstitutionnelles. Elle ne souhaitait pas non plus prêter main-forte à la manœuvre du gouvernement visant à instrumentaliser le contrôle de constitutionnalité à des fins de tactique politicienne.
Cela ne nous empêchera pas, ultérieurement, d’engager des contentieux contre les #décrets_d’application ou de soutenir les étrangers victimes des mesures prises sur le fondement de cette loi.
Les associations obtiennent-elles plus de résultats devant le Conseil d’Etat et la Cour de Cassation ?
D. L. : Les recours devant le Conseil d’Etat ont été historiquement la marque du Gisti. Il a obtenu quelques beaux succès qui lui ont valu de laisser son nom à des « grands arrêts de la jurisprudence administrative ». Mais ces succès ne doivent pas être l’arbre qui cache la forêt car, dans l’ensemble, ni le #juge_administratif – le plus sollicité – ni le #juge_judiciaire n’ont empêché la dérive constante du droit des étrangers depuis une quarantaine d’années.
Ils n’ont du reste pas vraiment cherché à le faire. Les juges sont très sensibles aux idées dominantes et, depuis cinquante ans, la nécessité de maîtriser les flux migratoires en fait partie. Dans l’ensemble, le Conseil d’Etat et la Cour de Cassation (mais le rôle de celle-ci est moindre dans des affaires qui mettent essentiellement en jeu l’administration) ont quand même laissé passer moins de dispositions attentatoires aux droits des étrangers que le Conseil constitutionnel et ont parfois refréné les ardeurs du pouvoir.
Il est vrai qu’il est plus facile pour le juge administratif d’annuler une décision du gouvernement (un décret d’application, une #circulaire), ou une mesure administrative individuelle que pour le juge constitutionnel d’invalider une loi votée par le parlement.
Les considérations politiques jouent assurément dans le contentieux administratif – on l’a vu avec l’attitude subtilement équilibrée du Conseil d’Etat face aux dissolutions d’associations ou aux interdictions de manifestations : il a validé la #dissolution du CCIF (Collectif contre l’islamophobie en France) et de la (Coordination contre le racisme et l’islamophobie), mais il a annulé celle des Soulèvements de la Terre.
Ces considérations jouent de façon plus frontale dans le contentieux constitutionnel, devant une instance qui au demeurant, par sa composition, n’a de juridiction que la fonction et craint d’être accusée de chercher à imposer « un gouvernement des juges » qui fait fi de la souveraineté du peuple incarnée par le Parlement.
En s’en remettant au Conseil constitutionnel et en lui laissant le soin de corriger les dispositions qu’il n’aurait jamais dû laisser adopter, le gouvernement a fait assurément le jeu de la droite et de l’extrême droite qui vont évidemment crier au gouvernement des juges.
Quelles seront les solutions pour continuer à mener la bataille une fois la loi adoptée ?
D. L. : Les mêmes que d’habitude ! Le Conseil constitutionnel n’examine pas la conformité des lois au regard des conventions internationales, estimant que ce contrôle appartient à la Cour de cassation et au Conseil d’Etat. On pourra alors déférer à ce dernier les décrets d’application de la loi.
Même si ces textes sont conformes aux dispositions législatives qu’ils mettent en œuvre, on pourra tenter de démontrer qu’ils sont en contradiction avec la législation de l’Union européenne, avec des dispositions de la Convention européenne telles qu’elles sont interprétées par la Cour de Strasbourg ou encore de la convention sur les droits de l’enfant.
Ultérieurement, on pourrait envisager de demander à la Cour européenne des droits de l’homme la condamnation de la France. Mais on ne peut le faire qu’à l’occasion d’une affaire individuelle, après « épuisement » de tous les recours internes. Donc dans très longtemps.
▻https://www.alternatives-economiques.fr/daniele-lochak-conseil-constitutionnel-na-jamais-defendu-droi/00109322
(sauf pour les questions et la mention D.L., le graissage m’est dû)
#loi_Immigration #xénophobie_d'État #étrangers #droit_du_séjour #lutte_contre_l’immigration_irrégulière #regroupement_familial #carte_de_résident #droit_du_sol #acquisition_de_la_nationalité #rétention #droit_des_étrangers #contentieux_administratif #Conseil_constitutionnel #Conseil_d'État #jurisprudence #jurisprudence_administrative #Cour_de_cassation #CEDH #conventions_internationales #Convention_européenne #convention_sur_les_droits_de_l’enfant
]]>Blinne Ní Ghrálaigh: Lawyer’s closing statement in ICJ case against Israel praised
This was the powerful closing statement in South Africa’s genocide case against Israel.
Senior advocate #Blinne_Ní_Ghrálaigh addressed the International Court of Justice on day one of the hearing.
ICJ: Blinne Ní Ghrálaigh’s powerful closing statement in South Africa case against Israel
▻https://www.youtube.com/watch?v=ttrJd2aWF-Y&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.thenational.sco
▻https://www.thenational.scot/news/24042943.blinne-ni-ghralaigh-lawyers-closing-statement-icj-case-israel
#Cour_internationale_de_justice (#CIJ) #Israël #Palestine #Afrique_du_Sud #justice #génocide
]]>Loi « immigration » : quand le président du Conseil constitutionnel, Laurent Fabius, tance Emmanuel Macron sur l’Etat de droit
►https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/01/08/loi-immigration-quand-le-president-du-conseil-constitutionnel-laurent-fabius
Loi « immigration » : quand le président du Conseil constitutionnel, Laurent Fabius, tance Emmanuel Macron sur l’Etat de droit
Par Abel Mestre
Dans l’exercice policé des vœux, il est parfois utile d’avoir de l’expérience en langage diplomatique. C’est le cas de Laurent Fabius. Le président du Conseil constitutionnel, ancien premier ministre (1984-1986) et ancien ministre des affaires étrangères (2012-2016), n’a pas son pareil pour faire passer certains messages. Et il ne s’en est pas privé lundi 8 janvier lors de ses vœux (à huis clos) au président de la République.
Au cœur des reproches : la manière dont l’exécutif s’est comporté avec le Conseil constitutionnel, fin décembre 2023, lors de l’adoption de la loi « immigration ». Gérald Darmanin, d’abord, Elisabeth Borne, ensuite et Emmanuel Macron, enfin, ont tous reconnu que le texte comportait des dispositions contraires à la Constitution. Des sorties qui avaient fait s’étrangler de nombreux juristes. Ainsi, Patrice Spinosi, avocat aux conseils et spécialistes des droits humains, estimait-il fin décembre « qu’il y a une volonté d’aller questionner les limites de la jurisprudence constitutionnelle et de créer une tension entre la volonté politique et les gardiens de l’Etat de droit ».
Apparemment, M. Fabius partage cet avis. « Monsieur le président, je soulignais au début de mon propos que le Conseil constitutionnel n’était ni une chambre d’écho des tendances de l’opinion, ni une chambre d’appel des choix du Parlement, mais le juge de la constitutionnalité des lois, et j’ajoutais que cette définition simple n’était probablement pas ou pas encore intégrée par tous, a ainsi lancé l’ancien chef du gouvernement. Deux mille vingt-trois nous a en effet frappés, mes collègues et moi, par une certaine confusion chez certains entre le droit et la politique. On peut avoir des opinions diverses sur la pertinence d’une loi déférée, on peut l’estimer plus ou moins opportune, plus ou moins justifiée, mais tel n’est pas le rôle du Conseil constitutionnel. La tâche du Conseil est, quel que soit le texte dont il est saisi, de se prononcer en droit. » Et de citer son « prédécesseur et ami Robert Badinter », autre socialiste qui présida le Conseil constitutionnel (1986-1995) : « Une loi inconstitutionnelle est nécessairement mauvaise, mais une loi mauvaise n’est pas nécessairement inconstitutionnelle. »
Une fois ce rappel fait, M. Fabius ne s’est pas arrêté là. « Sauf à prendre le risque d’exposer notre démocratie à de grands périls, ayons à l’esprit que, dans un régime démocratique avancé comme le nôtre, on peut toujours modifier l’Etat du droit mais que, pour ce faire, il faut toujours veiller à respecter l’Etat de droit, qui se définit par un ensemble de principes cardinaux comme la séparation des pouvoirs, le principe de légalité et l’indépendance des juges, a encore insisté M. Fabius. Il y a bientôt cinquante ans que la jurisprudence du Conseil constitutionnel l’affirme en ces termes : c’est dans le respect de la Constitution que la loi exprime la volonté générale. » En clair, le président du Conseil constitutionnel rappelle les bases d’un « Etat de droit » au chef de l’Etat, notamment cette règle : on ne peut pas voter une loi dont on sait que certaines dispositions sont contraires à la loi fondamentale.
Plus largement, M. Fabius a longuement développé la notion d’Etat de droit aussi bien au niveau national qu’au niveau européen, alors que la liste menée par Jordan Bardella (Rassemblement national) est donnée favorite aux élections européennes de juin. Et il lance un avertissement, cette fois à une partie de la droite et à l’extrême droite, qui dénoncent de concert « le gouvernement des juges », plaident pour le recours systématique au référendum, et pour sortir également de ce qu’ils appellent le « carcan européen ». « Un sophisme se fait entendre selon lequel il faudrait se libérer de l’Etat de droit, soit au plan national, soit au plan européen, soit les deux, pour accomplir la volonté générale », note ainsi M. Fabius, qui évoque même un « pacte faustien ». Et de dénoncer « la “martingale des refus” – refus de la légitimité des juges, refus de plusieurs de nos engagements européens, refus de l’Etat de droit » qui, selon lui, « nous ferait rompre avec l’Europe et mettrait en cause notre démocratie elle-même ». Pour conclure son allocution, Laurent Fabius a répété la détermination des neuf juges constitutionnels « à veiller à ce que ne connaisse aucune éclipse le respect de la Constitution et de l’Etat de droit ». Une promesse qui sonne comme un rappel à l’ordre. Le Conseil constitutionnel se prononcera le 25 janvier sur la loi immigration adoptée mi-décembre.
#Covid-19#migrant#migration#france#loiimmigration#conseilconstitutionnel#etatdedroit#droit
]]>Loi « immigration » : les associations déterminées avant l’examen devant le Conseil constitutionnel
▻https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/01/05/loi-immigration-les-associations-determinees-avant-l-examen-devant-le-consei
Loi « immigration » : les associations déterminées avant l’examen devant le Conseil constitutionnel
Par Abel Mestre
Maintenir coûte que coûte la pression, c’est l’état d’esprit des opposants à la loi « immigration ». Voté le 19 décembre 2023, le texte comporte, selon l’exécutif lui-même, plusieurs mesures susceptibles d’être censurées par le Conseil constitutionnel. Saisis par le président de la République, Emmanuel Macron, mais aussi par l’opposition de gauche, les neuf juges constitutionnels doivent se prononcer d’ici à la fin du mois de janvier sur la conformité du texte. D’ici là, les partis de gauche, les associations, les syndicats et de nombreux juristes essaient d’organiser la riposte.
Cette dernière se mène sur plusieurs fronts. Juridique, d’abord. Plusieurs « contributions extérieures » (également appelées « portes étroites ») seront adressées au Conseil par des personnes physiques ou morales concernées par la loi « immigration ». Serge Slama, professeur de droit public à l’université Grenoble-Alpes et spécialiste du droit des étrangers, a été la cheville ouvrière de cette initiative. L’universitaire a été marqué par le nombre de ses collègues qui ont participé à ce travail, beaucoup plus nombreux qu’à l’ordinaire. « Cela dépasse le noyau dur habituel », estime-t-il. Selon lui, la loi « immigration » « est très mal rédigée, très mal ficelée et va être un nid à contentieux et poser beaucoup de problèmes d’interprétation ».
Ces contributions extérieures sont organisées par thèmes (nationalité, étudiants internationaux, protection sociale et hébergement d’urgence, étrangers gravement malades, asile, mineurs non accompagnés, contentieux judiciaire et rétention…) et ont été élaborées par des universitaires et des responsables associatifs. Elles donnent donc tous les arguments juridiques pour appuyer une censure des dispositions visées, voire une censure globale du texte.
Autre secteur qui se mobilise : celui des associations et des syndicats. Quarante-cinq organisations parmi les plus importantes – entre autres : Attac, la Fondation Abbé Pierre, Emmaüs, la Ligue des droits de l’homme, France Terre d’asile, la Cimade, Oxfam, la CFDT, la CGT – dénoncent « un point de bascule pour [les] principes républicains ». Les signataires donnent rendez-vous avant fin janvier « pour poursuivre cette dynamique de rassemblement, demander au président de la République de surseoir à la promulgation de la loi, intensifier et élargir la mobilisation contre ce texte et son idéologie ». Problème : on ne sait pas quelle forme prendra cette mobilisation. « La loi fait l’unanimité contre elle, d’où le nombre de signataires. Mais sur les modes d’action, on est un peu dans l’expectative, confesse Manuel Domergue, de la Fondation Abbé Pierre. Les cultures sont différentes et nous sommes dans l’attente de la décision du Conseil constitutionnel. »
D’autres ne sont pas aussi patients : plusieurs organisations, parmi lesquelles le Groupe d’information et de soutien des immigrés, La France insoumise (LFI) ou Europe Ecologie-Les Verts, ainsi que plusieurs collectifs de sans-papiers, ont d’ores et déjà appelé à « manifester massivement sur tout le territoire le dimanche 14 janvier pour empêcher que cette loi soit promulguée ». Car c’est là tout le paradoxe des larges fronts d’opposition : il est parfois difficile de mettre tout le monde d’accord sur la marche à suivre. Ainsi, certains poussent pour organiser un grand meeting unitaire où chacun pourrait s’exprimer. L’avantage de cette solution est que le risque est minimal : il suffit de réserver une salle un peu petite pour donner l’illusion du nombre. En revanche, rien de pire qu’une manifestation qui ne fait pas le plein pour casser un mouvement naissant… Les partisans des manifs, eux, rappellent qu’en 1997 les cortèges contre les lois Debré sur l’immigration avaient fait le plein (jusqu’à 100 000 personnes à Paris)…
Ce dilemme, les partis politiques en ont conscience. La France insoumise pousse pour que la démarche soit unitaire. « Il y a plusieurs cadres de discussion. On souhaite qu’il y ait tout le monde la même date, notamment les premiers concernés, comme la Marche des solidarités et les collectifs de sans-papiers, de même que les syndicats, associations, forces politiques opposés a la loi Darmanin », note Aurélie Trouvé, députée LFI de Seine-Saint-Denis. Surtout, une difficulté majeure s’ajoute : l’articulation avec les mobilisations pour la Palestine. Il est vrai que ces rassemblements concernent, en très grande partie, les mêmes organisations, le même milieu militant. Comment faire pour ne pas se marcher sur les pieds et ne pas abandonner un combat au profit de l’autre ? Une solution pourrait être une grande mobilisation mêlant les deux questions, sur le mode de la « convergence des luttes », mais le risque est de brouiller les messages. Une chose est sûre : la décision du Conseil constitutionnel ne réglera pas tout. Le scénario le plus probable est la censure (sur le fond ou comme « cavaliers législatifs », c’est-à-dire sans lien avec la loi) des dispositions les plus « aberrantes », selon l’expression de Serge Slama. Pourraient ainsi être concernées plusieurs mesures issues des amendements présentés par la droite, comme, par exemple, les mesures touchant aux prestations sociales ou celles sur le regroupement familial. Ces censures seraient une sorte de victoire à la Pyrrhus pour les opposants. En effet, le cœur du texte du gouvernement serait validé. Et il serait encore plus difficile de mobiliser contre une loi qui aura perdu ses aspects les plus clivants.
#Covid-19#migration#migrant#france#loiimmigration#droit#conseilconstitutionnel#syndicat#association#securitesociale#regroupementfamilial
]]>Mais Pourquoi le préfet des Alpes-Maritimes a sabordé son arrêté drones du 23 décembre 2023 ?
Le 18 décembre 2023, la préfecture des Alpes-Maritimes publiait un arrêté autorisant le survol pendant presque un mois de pas moins de dix communes des Alpes-Maritimes totalisant près de 10% de la population du département.
Cet #arrêté présentait toutes les caractéristiques d’un arrêté « de confort » pris « pour le cas où » s’inscrivant parfaitement dans la logique de banalisation de l’utilisation des drones de #vidéosurveillance dans laquelle le ministère de l’Intérieur souhaite nous entrainer, #banalisation contraire à l’esprit et à la lettre de la réglementation en vigueur.
Les avocat.e.s de la LDH et de l’association ADELICO ont immédiatement saisi en référé le tribunal administratif de Nice, lequel a rejeté la demande de suspension de l’arrêté préfectoral ; les deux associations ont aussitôt saisi en appel le Conseil d’Etat le 29 décembre 2023.
Le 1er janvier 2024 le préfet des Alpes-Maritimes abrogeait lui-même son arrêté qui n’était ni nécessaire ni proportionné par rapport aux objectifs qu’il se fixait.
La LDH et ADELICO avaient fait valoir que :
« L’arrêté ne permet pas de considérer que l’administration a justifié, sur la base d’une appréciation précise et concrète de la nécessité et de la #proportionnalité de la mesure, que la préfecture des Alpes-Maritimes ne pouvait employer pour l’exercice de la prévention d’une éventuelle atteinte à la sécurité des personnes et des biens, d’autres moyens moins intrusifs que celui de l’emploi 24h/24 pendant un mois de deux #caméras_aéroportées.
Il ne ressort pas de l’Arrêté litigieux que le Groupement départemental de gendarmerie des Alpes-Maritimes ne dispose pas des effectifs suffisants pour assurer la protection, de jour comme de nuit, des dix communes visées dans cet arrêté. Aucune « donnée chiffrée ou statistique, aucun travail de documentation, ne permettent au juge d’apprécier la réalité » (TA Nantes, 2 août 2023,) d’un risque de trouble grave à l’ordre public.
Les indications vagues, stéréotypées et tautologiques évoqués dans les visas de l’arrêté litigieux ne sont pas suffisamment circonstanciés pour justifier, sur la base d’une appréciation précise et concrète de la nécessité de la proportionnalité de la mesure. Aucun élément ne permet de comprendre pourquoi le service ne peut employer, pour l’exercice de cette mission dans cette zone de dix communes et sur toute l’étendue de son périmètre géographique et temporel, d’autres moyens moins intrusifs au regard du respect de la vie privée que les moyens habituellement mis en œuvre pour lutter contre le terrorisme et les graves troubles à l’ordre public […] »
Le 4 janvier 2024 le Conseil d’Etat constatait qu’il n’y a plus lieu de statuer sur la requête des associations du fait de l’#abrogation de l’#arrêté_préfectoral et condamne l’Etat à verser 4000 € de frais irrépétibles à chaque association.
▻https://site.ldh-france.org/nice/2024/01/04/mais-pourquoi-le-prefet-des-alpes-maritimes-a-saborde-son-arrete-dr
#drones #Alpes_Maritimes #France #justice #conseil_d'Etat
#Loi_immigration : l’accueil des étrangers n’est pas un fardeau mais une nécessité économique
Contrairement aux discours répétés ad nauseam, le #coût des aides accordées aux immigrés, dont la jeunesse permet de compenser le vieillissement des Français, est extrêmement faible. Le #poids_financier de l’#immigration n’est qu’un #faux_problème brandi pour flatter les plus bas instincts.
Quand les paroles ne sont plus audibles, écrasées par trop de contre-vérités et de mauvaise foi, il est bon parfois de se référer aux #chiffres. Alors que le débat sur la loi immigration va rebondir dans les semaines à venir, l’idée d’entendre à nouveau les sempiternels discours sur l’étranger qui coûte cher et prend nos emplois nous monte déjà au cerveau. Si l’on regarde concrètement ce qu’il en est, le coût de l’immigration en France, que certains présentent comme bien trop élevé, serait en réalité extrêmement faible selon les économistes. Pour l’OCDE, il est contenu entre -0,5% et +0,5% du PIB selon les pays d’Europe, soit un montant parfaitement supportable. Certes, les immigrés reçoivent davantage d’#aides que les autres (et encore, beaucoup d’entre elles ne sont pas réclamées) car ils sont pour la plupart dans une situation précaire, mais leur #jeunesse permet de compenser le vieillissement de la population française, et donc de booster l’économie.
Eh oui, il est bien loin ce temps de l’après-guerre où les naissances explosaient : les bébés de cette période ont tous pris leur retraite ou sont en passe de le faire et, bientôt, il n’y aura plus assez de jeunes pour abonder les caisses de #retraite et d’#assurance_sociale. Sans compter que, vu l’allongement de la durée de vie, la question de la dépendance va requérir énormément de main-d’œuvre et, pour le coup, devenir un véritable poids financier. L’immigration, loin d’être un fardeau, est bien une #nécessité si l’on ne veut pas voir imploser notre modèle de société. Les Allemands, eux, l’assument haut et fort : ils ont besoin d’immigrés pour faire tourner le pays, comme l’a clamé le chancelier Olaf Scholz au dernier sommet économique de Davos. Le poids financier de l’immigration est donc un faux problème brandi par des politiques qui ne pensent qu’à flatter les plus bas instincts d’une population qui craint que l’avenir soit pire encore que le présent. On peut la comprendre, mais elle se trompe d’ennemi.
▻https://www.liberation.fr/idees-et-debats/editorial/loi-immigration-laccueil-des-etrangers-nest-pas-un-fardeau-mais-une-neces
#économie #démographie #France #migrations
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voir aussi cette métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration... des arguments pour détruire l’#idée_reçue : « Les migrants profitent (voire : viennent POUR profiter) du système social des pays européens »...
►https://seenthis.net/messages/971875
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L’Etat de droit, nouvelle frontière de la bataille de l’extrême droite contre l’immigration
▻https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/12/28/l-etat-de-droit-nouvelle-frontiere-de-la-bataille-de-l-extreme-droite-contre
L’Etat de droit, nouvelle frontière de la bataille de l’extrême droite contre l’immigration
Le Rassemblement national se tient prêt à exploiter une censure partielle de la « loi immigration » par le Conseil constitutionnel, dont l’extrême droite cherche à réduire les prérogatives.
Par Clément Guillou
Il ne déplairait pas à la première ministre, Elisabeth Borne, et à son ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, que le Conseil constitutionnel censure une partie des dispositions contenues dans la loi sur l’immigration, adoptée par le Parlement, le 19 décembre. Un autre camp n’y verrait pas d’inconvénient : l’extrême droite.
« Cela nous intéresse que ce débat-là soit sur la place publique, avance Philippe Olivier, conseiller spécial de la cheffe de file du Rassemblement national (RN), Marine Le Pen. Si la loi n’est pas validée, voilà ce que se dira l’électeur : “Comment cela ? Les sondages indiquent que les gens sont contents de la loi et [le président du Conseil constitutionnel] Laurent Fabius, dans son bureau, la remet en question ?” Ça va être très mal pris. Bien sûr qu’on le dénoncera. » Et l’ancien mégrétiste de reprendre la vulgate lepéniste en voyant dans une éventuelle censure, non pas le respect du texte suprême par neuf juges, mais « le bricolage du système ».
Le second volet du discours lepéniste est résumé ainsi par le député RN de la Somme Jean-Philippe Tanguy, un autre proche de Marine Le Pen, le 21 décembre sur Franceinfo : « Si, malheureusement, le Conseil constitutionnel prend des dispositions de censure, cela prouvera que nous avions raison et qu’il faut une réforme de la Constitution [soumise à référendum] pour assurer que les dispositions passent. »
Depuis des décennies, l’extrême droite mène deux guerres idéologiques sur le terrain de l’immigration : l’une concerne la préférence nationale, dont le principe a été inscrit par le parti Les Républicains (LR) dans cette loi avec l’aval de la majorité ; l’autre concerne la lutte contre l’Etat de droit, qu’elle juge incompatible avec ses idées sur la question. Une censure partielle permettrait au Rassemblement national d’avancer ses pions sur deux thèmes : la nécessité de rogner les pouvoirs du juge constitutionnel et de modifier la Constitution en inversant la hiérarchie des normes. Le programme de Marine Le Pen prévoit de faire primer la Constitution sur l’ensemble des traités internationaux signés par la France, dont les traités européens. Un choix fait en 2021 par les nationalistes polonais, qui a mis Varsovie au ban de l’Union européenne jusqu’à la victoire électorale de Donald Tusk, en 2023. Une censure partielle du Conseil, d’autant plus s’il la justifiait par le respect du droit communautaire, viendrait nourrir le discours eurosceptique du RN à cinq mois des élections européennes de 2024.
S’enclenche ainsi, à quelques semaines de l’avis de la juridiction suprême, le processus annoncé au lendemain du vote, dans Le Monde, par le constitutionnaliste Jean-Philippe Derosier, proche du Parti socialiste : « La censure permettrait au Rassemblement national de dire : “Vous voyez bien que notre Constitution ne nous permet pas d’assurer la sécurité de nos concitoyens”. » Le RN n’est plus seul à tenir ce discours. Chez LR, des voix s’expriment aussi pour mettre en garde contre une décision défavorable des neuf juges constitutionnels, laissant entendre qu’il s’agirait alors d’une décision politique, sous la pression d’Emmanuel Macron. Depuis la candidature présidentielle de François Fillon en 2017, LR s’est rallié à l’hypothèse d’une révision constitutionnelle sur l’immigration – même l’ancien négociateur du Brexit Michel Barnier, pourtant l’un des plus europhiles de son camp, avait proposé de mettre un terme à la primauté du droit européen en matière migratoire.
Le 7 décembre, le président du parti, Eric Ciotti, avait défendu lors de sa niche parlementaire un tel « bouclier constitutionnel », appuyé par le RN. Si Gérald Darmanin avait étrillé la proposition sur la forme, la comparant à un « Frexit » déguisé, il se montrait moins hostile sur le fond, la jugeant « complémentaire » de sa loi « immigration ». « Combien de fois ai-je entendu les parlementaires dénoncer le fait que la menace de la censure constitutionnelle (…) rétrécisse les horizons des possibles ? Nous en sommes d’accord », avait-il déclaré. Durant les débats, il avait souligné l’intérêt d’un travail diplomatique pour réviser les traités européens et renégocier la Convention européenne des droits de l’homme, à laquelle se conforme la Constitution. Ces dernières semaines, le ministre de l’intérieur a multiplié les déclarations et décisions montrant la nécessité, selon lui, de modifier les traités internationaux ou d’aller contre l’Etat de droit. Il s’est félicité de déroger à une décision de la Cour européenne des droits de l’homme (CEDH), puis du Conseil d’Etat, dans un dossier d’expulsion d’un ressortissant ouzbek. Soupçonné de liens avec la mouvance islamiste, selon la Place Beauvau, l’homme, renvoyé en Ouzbekistan, y est menacé de torture selon ses défenseurs et la CEDH. Le penseur identitaire Jean-Yves Le Gallou, qui a mené les combats culturels de l’extrême droite depuis quarante ans, se rengorge d’avancées majeures dans sa bataille contre l’Etat de droit : « Il y a quinze ans, c’est avec beaucoup de prudence que je remettais en cause le diktat judiciaire sur la législation sur l’immigration. Or, c’est dit aujourd’hui avec beaucoup de force par la droite républicaine. »Ces dernières semaines, cette dénonciation d’un « gouvernement des juges » français et européens a été largement relayée par les têtes d’affiche des médias du groupe Bolloré, notamment les animateurs Cyril Hanouna et Pascal Praud, ou le chroniqueur Mathieu Bock-Côté. Dans Le Figaro, le 23 décembre, ce dernier se délecte de l’inquiétude de « la gauche » à l’idée que les Français découvrent « que l’Etat de droit contraint la souveraineté populaire » et en concluent « qu’il faudra ajuster les institutions politiques en conséquence ».
#Covid-19#migrant#migration#france#loiimmigration#CEDH#droit#conseilconstitutionnel#UE#politiquemigratoire#etatdedroit
]]>#Recherche : les tours de #passe-passe d’#Emmanuel_Macron
Le chef de l’Etat s’est targué d’un #bilan flatteur en matière d’investissement pour le monde de la recherche, en omettant des #indicateurs inquiétants et des promesses non tenues, tout en vantant une #concurrence délétère.
Devant un parterre de plusieurs centaines de scientifiques, le 7 décembre, à l’Elysée, le président de la République, Emmanuel Macron, était à l’aise, volontaire, et « en compagnonnage » avec la communauté académique, comme il l’a confessé. Mais c’est moins en passionné de science qu’en magicien qu’il s’est en fait comporté, escamotant ce qui ne rentrait pas dans son cadre, multipliant les tours de passe-passe, sortant quelques lapins du chapeau, pour aboutir à transformer les flatteries adressées à son auditoire en cinglantes critiques. Au point de faire « oublier » un autre discours célèbre, celui de Nicolas Sarkozy en janvier 2009, qui avait lâché : « Un chercheur français publie de 30 % à 50 % en moins qu’un chercheur britannique. (…) Evidemment, si l’on ne veut pas voir cela, je vous remercie d’être venu, il y a de la lumière, c’est chauffé… »
Premier tour de magie classique, celui de l’embellissement du bilan. Comme une baguette magique, son arrivée en 2017 aurait mis fin à des années de « #désinvestissement_massif ». Sauf que cela ne se voit pas dans le critère habituel de la part du PIB consacrée en recherche et développement (R&D), qui est restée stable depuis le début du premier quinquennat, à 2,2 %. Les estimations indiquent même une baisse à 2,18 % pour 2022.
Cela ne se voit pas non plus dans la part des #publications nationales dans le total mondial, dont il a rappelé qu’elle a baissé, sans dire qu’elle continue de le faire malgré ses efforts. Même les annexes au projet de loi de finances pour 2024 prévoient que cela va continuer. Pire, côté bilan, compte tenu de l’inflation, la « magique » #loi_de_programmation_de_la_recherche de 2020 donne en fait des #moyens en baisse aux #laboratoires l’an prochain.
Avec plus de « réussite », le président de la République a littéralement fait disparaître du paysage 7 milliards d’euros. Il s’agit de l’enveloppe, dont se prive volontairement l’Etat chaque année, pour soutenir la recherche et développement des entreprises – le #crédit_d’impôt_recherche – sans résultat macroéconomique. La part des dépenses de #R&D des #entreprises ne suit pas la progression du crédit d’impôt recherche. Mais il n’est toujours pas question d’interroger l’#efficacité du dispositif, absent de l’allocution, comme celle des mesures sur l’#innovation, le 11 décembre à Toulouse.
Autre rituel classique des discours, faire oublier les précédents. Le chef de l’Etat l’a tenté à deux reprises sur des thèmes centraux de son argumentaire : l’#évaluation et la #simplification. Dans son allocution de 2023, il regrette qu’en France « on ne tire toujours pas assez conséquence des évaluations », quand en novembre 2019, pour les 80 ans du CNRS, il critiquait « un système mou sans conséquence ». Entre ces deux temps forts, il a nommé à la tête de l’agence chargée des évaluations son propre conseiller recherche, #Thierry_Coulhon, qui n’a donc pas réussi à « durcir » l’évaluation, mais a été nommé à la tête du comité exécutif de l’Institut polytechnique de Paris.
Il y a quatre ans, Emmanuel Macron promettait également la « simplification », et obtenu… le contraire. Les choses ont empiré, au point qu’un rapport publié en novembre du Haut Conseil de l’évaluation de la recherche et de l’enseignement supérieur enjoint au CNRS de lancer une « opération commando » pour régler des #problèmes_administratifs, qu’un médaillé d’argent, ulcéré, renvoie sa médaille, et que le conseil scientifique du #CNRS dénonce les « #entraves_administratives ».
L’#échec de la #promesse de simplifier pointe aussi lorsqu’on fait les comptes des « #annonces » concernant le « #pilotage » du système. Emmanuel Macron a prévu pas moins de cinq pilotes dans l’avion : lui-même, assisté d’un « #conseil_présidentiel_de_la_science » ; le ministère de l’enseignement supérieur et de la recherche ; le « ministère bis » qu’est le secrétariat général à l’investissement, qui distribue des milliards jusqu’en 2030 sur des thématiques pour la plupart décidées à l’Elysée ; auxquels s’ajoutent les organismes de recherche qui doivent se transformer en « #agences_de_programmes » et définir aussi des stratégies.
Au passage, simplification oblige sans doute, le thème « climat, biodiversité et société durable » est confié au CNRS « en lien naturellement avec l’#Ifremer [Institut français de recherche pour l’exploitation de la mer] pour les océans, avec l’#IRD [Institut de recherche pour le développement] pour le développement durable » ; enfin, dernier pilote, les #universités, qui localement géreront les personnels employés souvent par d’autres acteurs.
Finalement, le principal escamotage du magicien élyséen consiste à avoir parlé pendant une heure de recherche, mais pas de celles et ceux qui la font. Ah si, il a beaucoup été question des « meilleurs », des « gens très bons », « des équipes d’excellence » . Les autres apprécieront. Le Président promet même de « laisser toute la #liberté_académique aux meilleurs », sous-entendant que ceux qui ne sont pas meilleurs n’auront pas cette liberté.
Cette #invisibilisation et cette #privation_de_droits d’une bonne partie des personnels fonctionnaires sont d’une rare violence symbolique pour des gens qui, comme dans d’autres services publics, aspirent à bien faire leur métier et avoir les moyens de l’exercer. Ces derniers savent aussi, parfois dans leur chair, quels effets délétères peuvent avoir ces obsessions pour la #compétition permanente aux postes et aux moyens. Et accessoirement combien elle est source de la #complexité que le chef de l’Etat voudrait simplifier.
La « #révolution », terme employé dans ce discours, serait évidemment moins d’accélérer dans cette direction que d’interroger ce système dont on attend encore les preuves de l’#efficacité, autrement que par les témoignages de ceux qui en bénéficient.
▻https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/12/21/recherche-les-tours-de-passe-passe-du-president-macron_6207095_3232.html
#ESR #Macron #France #université #facs
« Un bidouillage ahurissant » : à quoi joue Emmanuel #Macron en saisissant le #Conseil_constitutionnel ?
« Emmanuel Macron va saisir le Conseil constitutionnel sur la loi #immigration. L’opposition de gauche également. De nombreuses mesures pourraient être retoquées. (...) » #politique #France #président #irresponsable #double_jeu #double_langage #en_même_temps #tartuffe
▻https://actu.fr/politique/un-bidouillage-ahurissant-a-quoi-joue-emmanuel-macron-en-saisissant-le-conseil-
]]>Loi « immigration » : les mesures susceptibles d’être censurées par le Conseil constitutionnel
▻https://archive.ph/NMzBO#selection-2047.0-2057.103
C ’est un drôle d’aveu que Gérald Darmanin a fait, mardi 19 décembre, à la tribune du Sénat, à propos de la loi « immigration ». « Des mesures sont manifestement et clairement contraires à la Constitution. Le travail du Conseil constitutionnel fera son office, mais la politique ce n’est pas être juriste avant les juristes, a avancé le ministre de l’intérieur. La politique est d’élaborer des normes et de constater si elles sont ou pas, d’après nous, conformes. »
Suite de ▻https://seenthis.net/messages/1032496
et en particulier le post de @monolecte
D’un point de vue constitutionnel, ça devrait dégager : c’est une rupture d’égalité.
et celui de @biggrizzly
Les sages sauront réécrire ce que signifie l’égalité vraie.
Encore une nouvelle "victoir◙_id◙ologiqu◙"
Improving the humanitarian situation of refugees, migrants and asylum seekers in #Calais and #Dunkirk areas
The report presented by #Stephanie_Krisper (Austria, ALDE) to the Migration Committee, meeting in Paris, highlighted that the basic needs of a high number of refugees, migrants and asylum seekers in the areas of Calais and Dunkirk (France), were not met. It mentions in particular insufficient places of accommodation situated in remote places that are difficult to access, problematic access to food and water with insufficient and overcrowded distribution points, deficient access to non-food items such as blankets or tents, and limited access to healthcare.
This report follows a fact-finding visit carried out on 25 and 26 October 2023 by a parliamentary delegation chaired by Ms Krisper, whose objective was to examine the situation of asylum seekers and migrants as well as their defenders in the city of Calais and its surroundings.
It underlines that these people are stuck in Calais and Dunkirk areas mainly because they have nowhere to go and generally cannot return to their country of origin, a situation exacerbated by the inadequacy of the formal reception system, the lack of information about asylum seekers’ rights as well as cumbersome and long procedures.
Faced with “this appalling situation, especially since winter is here”, the parliamentarians recommend urgently increasing humanitarian and health assistance through additional volunteers and resources for the associations acting on spot, especially the non-mandated structures. The dignity and fundamental rights of these people must be preserved, and violations and harassments committed by police forces must end, they added.
The report also warns of the danger these people face by risking their lives when crossing the Channel to the United Kingdom, at the mercy of criminal smuggling networks.
Finally, the parliamentarians call for a shared responsibility between all European countries, “in order not to leave the burden to countries on the external border of the EU, where congestions points are observed”.
In addition to its President, Ms Krisper, the delegation was composed of Jeremy Corbyn (United Kingdom, SOC), Emmanuel Fernandes (France, GUE), Pierre-Alain Fridez (Switzerland, SOC) and Sandra Zampa (Italy, SOC).
Pour télécharger le rapport:
▻https://rm.coe.int/report-of-the-ad-hoc-sub-committee-to-carry-out-a-fact-finding-visit-t/1680adaf30
▻https://pace.coe.int/en/news/9317/improving-the-humanitarian-situation-of-refugees-migrants-and-asylum-seeke
#France #Manche #La_Manche #asile #migrations #réfugiés #rapport #visite_parlementaire #Dunkerque #frontières #hébergement #accès_à_l'eau #besoins_fondamentaux #nourriture #accès_à_la_nourriture #accès_aux_soins #santé #droits_fondamentaux #dignité #violences_policières #harcèlement_policier #harcèlement #traversée #passeurs #trafiquants_d'êtres_humains #conseil_de_l'Europe
Collectif Romain Rolland @RRolland94200
▻https://twitter.com/RRolland94200/status/1728481471285830137
‼️Parce qu’il a dit Allah Akbar, un élève passe en conseil de discipline pour « apologie du terrorisme ». Il organise sa défense, avec de nombreux soutiens.
Nous appelons les membres du conseil à réfuter cette accusation hors de propos, et demeurons vigilants jusqu’au délibéré.👇
#criminalisation #islamohobie #Lycée #élève #conseil_de_discipline #apologie_de_terrorisme
]]>Fraude dans les transports : les contrôleurs pourront consulter les fichiers du fisc
▻https://www.leparisien.fr/economie/fraude-dans-les-transports-les-controleurs-pourront-consulter-les-fichier
C’est un petit amendement du projet de loi de finances (PLF) 2024 mais un grand pas pour la lutte contre la fraude dans les transports en commun. Adopté par 49.3, il y a quinze jours, par l’Assemblée nationale, le texte autorise l’administration fiscale à communiquer en temps réel des informations sur les fraudeurs aux contrôleurs des transports en commun.
]]>Le #Conseil_d’État annule la #dissolution des #Soulèvements_de_la_Terre mais en valide trois autres
Si le mouvement écologiste, dans le viseur du gouvernement, a été sauvé par la justice administrative jeudi 9 novembre, celle-ci a confirmé la dissolution de la #Coordination_contre_le_racisme_et_l’islamophobie, du #Groupe_antifasciste_Lyon_et_environs et de l’#Alvarium.
« Et« Et paf. » C’est derrière ce slogan, sonnant comme une moquerie enfantine, que les Soulèvements de la Terre et leurs soutiens se sont rassemblés devant le Conseil d’État jeudi 9 novembre, en milieu d’après-midi, après l’annulation de leur dissolution. Pendant une heure, les interventions se sont succédé dans une ambiance à la fois réjouie et grave, en présence d’un groupe de policiers déployés devant l’entrée de l’institution.
Dans sa décision, le Conseil d’État rappelle que les Soulèvements de la Terre n’ont jamais incité à commettre des violences contre des personnes. En revanche, il estime qu’en appelant à la « désobéissance civile » et au « désarmement » des infrastructures portant atteinte à l’environnement, ils provoquent à la « violence contre les biens », l’un des nouveaux critères de dissolution introduits par la loi « séparatisme ». Le groupe se voit ainsi reprocher de « légitimer publiquement » la destruction d’engins de chantiers, de cultures intensives ou la dégradation de sites industriels polluants, dont il revendique la dimension « symbolique ».
Pour autant, le Conseil d’État conclut qu’au regard « de la portée de ces provocations, mesurée notamment par les effets réels qu’elles ont pu avoir », la dissolution ne serait pas « une mesure adaptée, nécessaire et proportionnée ». Il annule ainsi le décret pris en Conseil des ministres le 21 juin 2023. Le ministère de l’intérieur, à l’initiative de cette dissolution, n’a pas souhaité réagir.
Dans un communiqué, les Soulèvements de la Terre se réjouissent de leur « victoire » et d’« un sérieux revers pour le ministère de l’intérieur ». Le mouvement considère que cette décision « est porteuse d’espoirs pour la suite », car « en utilisant l’argument de l’absence de proportionnalité entre les actions du mouvement et la violence d’une dissolution, le Conseil d’État confirme l’idée que face au ravage des acteurs privés, de l’agriculture intensive, de l’accaparement de l’eau, nos modes d’actions puissent être considérés comme légitimes ».
Aïnoha Pascual, avocate des Soulèvements, dit son « soulagement » pour la défense des libertés publiques, notamment de la liberté d’association, mais aussi sa « prudence ». Son confrère Raphaël Kempf, également défenseur du mouvement écologiste, voit dans la décision du Conseil d’État la reconnaissance de la légitimité « d’une dose d’appel à la désobéissance civile et au désarmement ». Mais s’inquiète, lui aussi : la juridiction accepte l’idée que des agissements violents puissent concerner des biens, alors que le code pénal et la Cour européenne des droits de l’homme la restreignent aux personnes. Autre source d’inquiétude : la notion de « provocation » à commettre ces faits n’est pas clairement limitée, et le juge considère qu’elle peut être constituée même si elle n’est qu’implicite.
Sollicité par Mediapart, Michel Forst, rapporteur de l’Organisation des nations unies (ONU) sur la protection des défenseurs de l’environnement rappelle que cette dissolution « s’inscrivait dans un contexte où l’on constate dans beaucoup de pays d’Europe une érosion extrêmement inquiétante de l’espace civique ». Il cite notamment le cas de l’Allemagne ou de l’Italie, « où des mouvements écologistes et climatiques, qui ont recours à la désobéissance civile non-violente, sont en train d’être catégorisées comme des organisations criminelles par les autorités ». Et ajoute : « Je crois que ce qui inquiète le gouvernement, ce n’est pas tant les supposées provocations à la violence, mais la portée de la voix des Soulèvements de la Terre. C’est le fait qu’ils soient audibles, entendus, écoutés. »
Au nom du Syndicat des avocats de France (SAF), Lionel Crusoé a critiqué la recrudescence des dissolutions d’associations, qu’elles soient antiracistes, de soutien au peuple palestinien, ou antifascistes. Il y voit la traduction d’une « situation en demi-teinte » pour les libertés publiques, alors que « dans une société démocratique, il doit y avoir un espace de débats, et qu’il est aussi fait de rapports de force ».
L’Alvarium, un groupe d’extrême droite dissout pour « provocation à la haine »
S’il a annulé la dissolution des Soulèvements de la Terre, le Conseil d’État a validé celle de trois autres organisations. En ce qui concerne l’Alvarium, qui avait contesté sa dissolution mais ne s’était pas défendu à l’audience du 27 octobre, le Conseil d’État estime que les messages postés par le groupe d’extrême droite angevin incitaient bel et bien à la discrimination et à la haine « envers les personnes étrangères ou les Français issus de l’immigration par leur assimilation à des délinquants ou des criminels, à des islamistes ou des terroristes », comme le lui reproche le gouvernement dans le décret de dissolution du 17 novembre 2021.
Compte tenu de la « gravité » et de la « récurrence » de ces agissements, le Conseil d’État juge que la dissolution ne constitue pas une mesure disproportionnée. Il note, par ailleurs, les liens de l’Alvarium et de ses membres dirigeants « avec des groupuscules appelant à la discrimination, à la violence ou à la haine contre les étrangers », les personnes d’origine non européenne ou les musulmans. Mais ne dit pas un mot de la « provocation à commettre des violences » invoquée par le gouvernement dans ses motivations.
L’Alvarium, qui agrégeait des catholiques identitaires et des nationalistes révolutionnaires autour d’un bar associatif, entre 2018 et 2021, s’est fait connaître à Angers pour plusieurs rixes contre des militants d’extrême gauche, certaines ayant été suivies de condamnations. Après sa dissolution, le groupe s’est plus ou moins reconstitué sous le nom de « RED Angers » (Rassemblement des étudiants de droite, dont le local a été fermé par la mairie, à l’été 2023, après de nouvelles bagarres). D’anciens membres de l’Alvarium ont été jugés en août pour des violences contre des manifestants, et pour l’essentiel relaxés.
La CRI subit le même sort que le CCIF
Le Conseil d’État a également validé la dissolution de la Coordination contre le racisme et l’islamophobie (CRI), prononcée le 20 octobre 2021. Le gouvernement reprochait à cette association lyonnaise, fondée en 2008, d’instrumentaliser le concept d’islamophobie pour provoquer à la haine antisémite et à la violence, notamment en s’abstenant de modérer les commentaires d’internautes sur ses réseaux sociaux. Le mémoire du ministère de l’intérieur évoquait « une stratégie de communication comparable à celle du CCIF », dissout en 2020 sans que le Conseil d’État ne trouve rien à redire.
En préambule, la juridiction administrative écarte la « provocation à la violence » reprochée par le ministère de l’intérieur, estimant que les messages cités relèvent d’une critique « véhémente » de l’action de la police ou de réactions « injurieuses ou menaçantes », mais ne constituent pas des appels à la violence.
Le Conseil d’État se concentre plutôt sur les appels à la haine ou à la discrimination et estime que la CRI a posté des propos « outranciers sur l’actualité nationale et internationale, tendant, y compris explicitement, à imposer l’idée que les pouvoirs publics, la législation, les différentes institutions et autorités nationales ainsi que de nombreux partis politiques et médias seraient systématiquement hostiles aux croyants de religion musulmane et instrumentaliseraient l’antisémitisme pour nuire aux musulmans ». Elle considère aussi que « ces publications ont suscité de nombreux commentaires haineux, antisémites, injurieux et appelant à la vindicte publique, sans que l’association ne tente de les contredire ou de les effacer ».
Au Conseil d’État, où elle dénonçait un « pur procès d’intention », démentait tout antisémitisme et revendiquait le droit de critiquer des politiques publiques, la CRI avait reçu le soutien de la Ligue des droits de l’homme (LDH) et du Gisti, au nom de la liberté d’association, de réunion et d’expression. S’il se réjouit de la décision pour les Soulèvements de la Terre, l’avocat de la CRI, João Viegas, juge celle qui concerne ses clients « extrêmement décevante » et se réserve la possibilité de saisir la Cour européenne des droits de l’homme.
« C’est une reprise très évasive et insatisfaisante des griefs du ministère, qui ne reposent sur absolument rien, sauf des commentaires non modérés et des propos parfois à l’emporte-pièce. Si le Conseil d’État accepte l’idée qu’en critiquant l’État on devient anti-français, il reprend à son compte la théorie de la cinquième colonne et des ennemis de l’intérieur. Il ne rectifie pas la jurisprudence déjà désastreuse du CCIF, qui peut servir à couvrir des mesures très répressives de critiques politiques jugées inconvenantes. On parle d’associations qui saisissaient les pouvoirs publics et encourageaient les gens à le faire, les aidaient à déposer plainte et les assistaient en justice. »
Un groupe antifasciste dissout pour la première fois
Enfin, le Conseil d’État a confirmé la dissolution du Groupe antifasciste Lyon et environs (Gale), prononcée le 30 mars 2022 et suspendue deux mois plus tard. Le Gale devient donc le premier groupe d’extrême gauche dissout depuis Action directe, en 1982, après une campagne d’attentats et de braquages qui avaient fait plusieurs morts. Le collectif lyonnais, créé après la mort de Clément Méric en 2013 , comptait une trentaine de membres actifs.
Contrairement à l’Alvarium et à la CRI, dont la dissolution a été confirmée sur le fondement des appels à la haine ou à la discrimination, celle du Gale repose seulement sur la « provocation à commettre des violences contre des personnes ou des biens », c’est-à-dire le nouveau motif créé par la loi « séparatisme ». En l’occurrence ici, les personnes et les biens appartiennent aux adversaires privilégiés du Gale, la police et l’extrême droite, et sont quasiment mis sur le même plan.
La décision du Conseil d’État relève ainsi que certains messages postés par le Gale sur les réseaux sociaux montrent « des policiers ou des véhicules de police incendiés, recevant des projectiles ou faisant l’objet d’autres agressions ou dégradations, en particulier lors de manifestations, assortis de textes haineux et injurieux à l’encontre de la police nationale, justifiant l’usage de la violence envers les représentants des forces de l’ordre, leurs locaux et leurs véhicules, se réjouissant de telles exactions, voire félicitant leurs auteurs ».
Elle retient aussi des publications « approuvant et justifiant, au nom de “l’antifascisme”, des violences graves commises à l’encontre de militants d’extrême droite et de leurs biens ». Certains commentaires en réponse peuvent être considérés comme « des appels à la violence voire au meurtre » de militants d’ultradroite, sans faire l’objet d’une « quelconque modération ».
Les avocats du Gale, Agnès Bouquin et Olivier Forray, dénoncent une décision « très inquiétante » et s’apprêtent à saisir la Cour européenne des droits de l’homme, puisque « le Conseil d’État ne joue plus son rôle de garde-fou des libertés publiques ». À leurs yeux, la décision « raye d’un trait de plume la liberté d’association, d’expression et de réunion, parce que ça disconvient au gouvernement » et empêche « la dénonciation politique de l’action policière et de l’extrême droite ». « La lutte antifasciste ne s’arrête pas à l’étiquette “Gale” et va continuer », affirment les avocats du collectif.
Une clarification toute relative
Dans le communiqué de presse qui accompagne ses quatre décisions, le Conseil d’État se félicite de « préciser le mode d’emploi » et les « critères » du nouveau motif de dissolution instauré par la loi « séparatisme », autour de la provocation à la violence (contre les personnes ou les biens). Il considère ainsi avoir posé les bornes d’une dissolution acceptable.
Ce n’est pourtant pas si clair. D’une part, sa décision sur les Soulèvements de la Terre laisse entendre qu’une petite quantité de « violence contre les biens » ne suffit pas à signer l’arrêt de mort d’une organisation, pour des raisons de proportionnalité. Mais elle laisse ouverte la possibilité de dissoudre un groupe - voire les Soulèvements de la Terre eux-mêmes, plus tard - sur la seule base de dégradations matérielles, si elles étaient plus lourdes, ou plus fréquentes, ou plus chères, sans définir de seuil.
D’autre part, et uniquement pour les Soulèvements de la Terre, le Conseil d’État établit un lien entre la provocation à des agissements violents et ses effets concrets (ici jugés modestes). Pour le #Gale, la provocation est retenue sans considération pour ses conséquences : les appels à commettre telle ou telle action, à s’en prendre à telle ou telle cible, ont-ils entraîné des passages à l’acte ? Peut-on en attribuer la responsabilité au groupe ?
Depuis l’arrivée au pouvoir d’Emmanuel Macron, les dissolutions administratives se sont succédé à un rythme inédit sous la Cinquième République. Sous son premier mandat, 29 associations et groupements de fait, pour l’essentiel soupçonnés de proximité avec l’#islamisme (#Baraka_City, le #CCIF) ou liés à l’#extrême_droite (le #Bastion_social, les #Zouaves) ont disparu. Depuis sa réélection, le 24 avril 2022, le gouvernement a prononcé la dissolution de quatre organisations : le #Bloc_Lorrain, #Bordeaux_nationaliste, #Les_Alerteurs et #Civitas. Sans compter les Soulèvements de la Terre, qui célèbrent leur victoire.
▻https://www.mediapart.fr/journal/france/091123/le-conseil-d-etat-annule-la-dissolution-des-soulevements-de-la-terre-mais-
#justice #antifa #anti-fascisme #SdT
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voir ce fil de discussion (via @arno) :
►https://seenthis.net/messages/1025608
Le conseil d’État annule la dissolution des Soulèvements de la Terre :
▻https://www.conseil-etat.fr/actualites/soulevements-de-la-terre-gale-alvarium-cri-le-conseil-d-etat-precise-le
Cependant, il estime que la dissolution des Soulèvements de la Terre ne constituait pas une mesure adaptée, nécessaire et proportionnée à la gravité des troubles susceptibles d’être portés à l’ordre public au vu des effets réels qu’ont pu avoir leurs provocations à la violence contre des biens, à la date à laquelle a été pris le décret attaqué.
Pour ces raisons, le Conseil d’État annule le décret de dissolution des Soulèvements de la Terre et rejette les demandes de la GALE, de l’Alvarium et du CRI.
]]>Libia. Il Consiglio di sicurezza Onu conferma le sanzioni ai guardacoste-trafficanti
Approvato all’unanimità l’inasprimento delle sanzioni per i boss del traffico di esseri umani, petrolio e armi. Dal guardacoste «#Bija» ai capi della «polizia petrolifera» fino al direttore dei «#lager»
La Libia non è un porto sicuro di sbarco, e le connessioni dirette tra guardia costiera libica e trafficanti di esseri umani, petrolio e armi, sono il motore della filiera dello sfruttamento e dell’arricchimento. All’unanimità il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha accolto le richieste degli investigatori Onu, che hanno proposto l’inasprimento delle sanzioni contro i principali boss di un sistema criminale che tiene insieme politica, milizie e clan.
La decisione mette in difficoltà il governo italiano e le direttive Piantedosi, secondo cui le organizzazioni del soccorso umanitario dovrebbero prima coordinarsi con la cosiddetta guardia costiera libica, che invece l’Onu indica tra i principali ingranaggi del sistema criminale. Dopo una lunga discussione interna il Consiglio di sicurezza ha accolto le richieste degli investigatori Onu in Libia a cui è stato rinnovato il mandato fino al 2025. Gli esponenti per i quali è richiesto il blocco dei beni e il divieto assoluto di viaggio sono cinque, ma uno risulta deceduto il 16 marzo di quest’anno in Egitto. Gli altri componenti del «poker libico» sono nomi pesanti, a cominciare da #Saadi_Gheddafi, il figlio ex calciatore del colonnello Gheddafi, che sta tentando di vendere una proprietà in Canada aggirando le sanzioni anche attraverso il consolato libico in Turchia. Il cinquantenne Gheddafi avrebbe viaggiato indisturbato e il 27 giugno 2023, gli esperti Onu hanno scritto al governo turco «in merito all’attuazione delle misure di congelamento dei beni e di divieto di viaggio. Non è stata ricevuta alcuna risposta». Secondo gli investigatori la firma di Gheddafi su una procura depositata in Turchia, costituisce «una prova della mancata osservanza da parte della Turchia della misura di divieto di viaggio».
Se i Gheddafi rappresentano il passato che continua a incombere sulla Libia, soprattutto per lo smisurato patrimonio lasciato dal patriarca dittatore e mai realmente quantificato, nella lista dei sanzionati ci sono i nuovi boss della Libia di oggi. Come #Mohammed_Al_Amin_Al-Arabi_Kashlaf. «Il Gruppo di esperti ha stabilito che la #Petroleum_Facilities_Guard di Zawiyah è un’entità che è nominalmente sotto il controllo del Governo di unità nazionale», dunque non una polizia privata in senso stretto ma un gruppo armato affiliato alle autorità centrali e incaricato di sorvegliare i principali stabilimenti petroliferi, da cui tuttavia viene fatta sparire illegalmente un certa quantità di idrocarburi che poi vengono immessi nel mercato europeo grazie a una fitta rete di contrabbandieri. «Il gruppo di esperti - si legge ancora - ha chiesto alle autorità libiche di fornire informazioni aggiornate sull’attuazione del congelamento dei beni e del divieto di viaggio nei confronti di questo individuo, compresi i dettagli sullo status attuale e sulla catena di comando della Petroleum Facilities Guard a Zawiyah, nonché sulle sue attività finanziarie e risorse economiche personali». Anche in questo caso le autorità libiche «non hanno ancora risposto».
Collegato a Kashlaf è #Abd_al-Rahman_al-Milad, forse il più noto del clan. Noto anche come “Bija”, ha utilizzato «documenti delle Nazioni Unite contraffatti nel tentativo di revocare il divieto di viaggio - si legge - e il congelamento dei beni imposti nei suoi confronti». Bija si è però mosso trovando appoggi sia «nel governo libico che in interlocutori privati all’interno della Libia», con l’obiettivo di ottenere il sostegno «alla sua richiesta di cancellazione» delle sanzioni. In particolare, gli investigatori Onu sono in possesso «di un documento ufficiale libico, emesso il 28 settembre 2022 dall’Ufficio del Procuratore Generale, in cui si ordina alle autorità responsabili - denunciano gli esperti - di rimuovere il nome di #Al-Milad dal sistema nazionale di monitoraggio degli arrivi e delle partenze». Una copertura al massimo livello della magistratura, che lo aveva già assolto dalle accuse di traffico di petrolio, e che «consentirebbe ad Al-Milad di lasciare la Libia con i beni in suo possesso, in violazione della misura di congelamento dei beni». Il 25 gennaio 2023 «il Gruppo di esperti ha chiesto alle autorità libiche di fornire informazioni aggiornate sull’effettiva attuazione del congelamento dei beni e del divieto di viaggio nei confronti di Al-Milad. La richiesta è stata fatta a seguito della ripresa delle sue funzioni professionali nelle forze armate libiche, compresa la nomina a ufficiale presso l’Accademia navale di Janzour dopo il suo rilascio dalla custodia cautelare l’11 aprile 2021». A nove mesi di distanza, le autorità libiche «non hanno ancora risposto».
La risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza si basa anche su un’altra accusa del «Panel of Expert» i quali hanno «hanno stabilito che il comandante della Petroleum Facilities Guard di Zawiyah, Mohamed Al Amin Al-Arabi Kashlaf , e il comandante della Guardia costiera libica di #Zawiyah, Abd al-Rahman al-Milad (Bija), insieme a #Osama_Al-Kuni_Ibrahim, continuano a gestire una vasta rete di traffico e contrabbando a Zawiyah». Le sanzioni non li hanno danneggiati. «Da quando i due comandanti sono stati inseriti nell’elenco nel 2018, hanno ulteriormente ampliato la rete includendo entità armate che operano nelle aree di Warshafanah, Sabratha e Zuara». Tutto ruota intorno alle prigioni per i profughi. «La rete di Zawiyah continua a essere centralizzata nella struttura di detenzione per migranti di Al-Nasr a Zawiyah, gestita da Osama Al-Kuni Ibrahim», il cugino di Bija identificato grazie ad alcune immagini pubblicate da Avvenire nel settembre del 2019. Il suo nome ricorre in diverse indagini. Sulla base «di ampie prove di un modello coerente di violazioni dei diritti umani, il Gruppo di esperti ha rilevato - rincara il “panel” - che Abd al-Rahman al-Milad e Osama al-Kuni Ibrahim, hanno continuano a essere responsabili di atti di tortura, lavori forzati e altri maltrattamenti nei confronti di persone illegalmente confinate nel centro di detenzione di Al-Nasr», allo scopo di estorcere «ingenti somme di denaro e come punizione».
Il modello di #business criminale è proprio quello che Roma non vuole riconoscere, ma che gli investigatori Onu e il Consiglio di sicurezza ribadiscono: «La rete allargata di Zawiyah - si legge nel rapporto - comprende ora elementi della 55esima Brigata, il comando dell’Apparato di Supporto alla Stabilità a Zawiyah, in particolare le sue unità marittime, e singoli membri della Guardia Costiera libica, tutti operanti al fine di eseguire il piano comune della rete di ottenere ingenti risorse finanziarie e di altro tipo dalle attività di traffico di esseri umani e migranti».
Al Consiglio di Sicurezza è stato mostrato lo schema che comprende «quattro fasi operative: (a) la ricerca e il ritorno a terra dei migranti in mare; (b) il trasferimento dai punti di sbarco ai centri di detenzione della Direzione per la lotta alla migrazione illegale; (c) l’abuso dei detenuti nei centri di detenzione; (d) il rilascio dei detenuti vittime di abusi». Una volta rimessi in libertà i migranti, rientrano nel ciclo dello sfruttamento: rimessi in mare, lasciando che una percentuale venga catturata dai guardacoste per giustificare il sostegno italiano ed europeo alla cosiddetta guardia costiera libica, e di nuovo «trasferimento dai punti di sbarco ai centri di detenzione della Direzione per la lotta alla migrazione illegale; l’abuso dei detenuti nei centri di detenzione; il rilascio dei detenuti vittime di abusi».
Il rapporto Onu e il voto unanime dei 15 Paesi che siedono nel Consiglio di sicurezza sono uno schiaffo. «Per quanto riguarda il divieto di viaggio e il congelamento dei beni - si legge in una nota riassuntiva della seduta al Palazzo di Vetro -, gli Stati membri, in particolare quelli in cui hanno sede le persone e le entità designate, sono stati invitati a riferire» al Comitato delle sanzioni circa «le rispettive azioni per attuare efficacemente entrambe le misure in relazione a tutte le persone incluse nell’elenco delle sanzioni». Tutte gli esponenti indicati dal «Panel of expert» sono inclusi nell’elenco degli «alert» dell’Interpol. La risoluzione approvata ieri riguarda anche il contrabbando di petrolio e di armi. Il Consiglio di Sicurezza ha prorogato «l’autorizzazione delle misure per fermare l’esportazione illecita di prodotti petroliferi dalla Libia e il mandato del gruppo di esperti che aiuta a supervisionare questo processo».
▻https://www.avvenire.it/attualita/pagine/libia-il-consiglio-di-sicurezza-conferma-le-sanzioni-ai-guardacoste-traffic
#gardes-côtes_libyens #sanctions #migrations #asile #réfugiés #Libye #externalisation #sanctions #conseil_de_sécurité_de_l'ONU #conseil_de_sécurité #ONU #détention #prisons
[en ce jour de recours au 49.3 pour l’adoption du budget] La loi « immigration » contiendra une disposition permettant d’expulser un étranger sans qu’il ait commis d’infraction pénale, selon Olivier Véran
▻https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/10/18/loi-immigration-un-etranger-expulsable-sans-infraction-penale-selon-olivier-
« Le but est de faire en sorte que quand une personne étrangère dans notre pays ne respecte pas les valeurs de notre République (…) », que celle-ci « ne soit pas contrainte de la conserver sur son territoire », a insisté le porte-parole du gouvernement.
Le port ostensible d’un signe religieux à l’école ou le refus d’être reçu par un agent de sexe opposé dans un service public pourront être des motifs pour retirer un titre de séjour si le projet de loi « immigration » est adopté, a fait valoir mercredi 18 octobre le porte-parole du gouvernement Olivier Véran. « Actuellement, il n’est pas possible de retirer un titre de séjour pour des comportements non constitutifs d’une infraction pénale, mais démontrant des comportements non conformes à nos valeurs », a souligné M. Véran lors de son point presse à l’issue du conseil des ministres.
Dans son projet de loi qui sera débattu en novembre au Sénat, à l’article 13, le ministre de l’intérieur propose de retirer un titre de séjour en cas de non-respect des principes de la République, a souligné M. Véran.
« Sortir du tout-pénal » [chic !]
[ah ben non] Cet article prévoit dans son premier alinéa que « l’étranger qui sollicite un document de séjour s’engage à respecter la liberté personnelle, la liberté d’expression et de conscience, l’égalité entre les femmes et les hommes, la dignité de la personne humaine, la devise et les symboles de la République au sens de l’article 2 de la Constitution et à ne pas se prévaloir de ses croyances ou convictions pour s’affranchir des règles communes régissant les relations entre les services publics et les particuliers ».
#étrangers #expulsions #droit_au_séjour #valeurs_de_la_république #immigration #loi_immigration
]]>Olivier Dussopt au comité de liaison de Pôle emploi (reçu par mel)
▻https://vimeo.com/872343624
Le 4 octobre, nous sommes entrés en groupe au comité de liaison de Pôle Emploi, pour protester contre la loi dite du "plein emploi"
Nous nous réunissons tous les 15 jours en AG de précaires et chômeureuses contre cette loi. En PJ, notre tract.
donnez nous des nouvelles de vos luttes !!
AG de Grenoble
L’assemblée générale des chômeur-euses et précaires se réunit et s’organise depuis plusieurs semaines contre la loi « pour le #plein_emploi ». Mercredi 4 octobre, à Meylan, un groupe émanant de l’assemblée a envahi le comité de liaison de #Pôle_emploi, une instance où ce dernier rencontre les représentant-es de ses usager-ères pour leur tenir des discours lénifiants.
Et ça tombe bien, parce que ça a été l’occasion d’une irruption plus que nécessaire de la réalité vécue par les personnes aux minimas sociaux, venues protester fermement contre cette nouvelle loi qui, une fois de plus, considère les #précaires comme des problèmes pour la société, et non comme des personnes qui subissent l’injustice sociale. La loi (pas encore passée) prévoit que tout-e nouveau-elle allocataire du #RSA sera désormais automatiquement inscrit-e à Pôle emploi, ce qui donnera à celui-ci un pouvoir de #contrôle direct sur elles et eux ; sans compter que les #Conseils_départementaux pourront aussi déléguer la gestion des allocataires du RSA à Pôle emploi, qui est donc concerné au premier chef par cette loi anti-sociale.
À Grenoble comme ailleurs, les précaires ne resteront pas passif-ves face aux attaques du gouvernement contre leurs #droits et leurs conditions de vie.
]]>Une amie a besoin de #conseils #lecture pour un jeune adolescent qui se pose plein de questions sur le #conflit entre #Israël et #Palestine...
Et aussi des références sur l’#actualité du conflit !!!
Un #livre, un #article, une #BD qui pourrait expliquer ce conflit, dans sa #complexité, mais en manière #simple, sans #simplification et sans justifier le #Hamas...
Je compte sur vous :-)
@seenthis... des idées ?
Plus de 2 500 hommes, femmes et enfants sont morts ou disparus en Méditerranée en 2023, selon l’ONU
▻https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/29/plus-de-2-500-migrants-morts-ou-disparus-en-mediterranee-depuis-le-debut-de-
lus de 2 500 hommes, femmes et enfants sont morts ou disparus en Méditerranée en 2023, selon l’ONU
Cela représente une augmentation de près de 50 % par rapport à la même période en 2022. Au total, 186 000 personnes sont arrivées dans le sud de l’Europe depuis le 1ᵉʳ janvier, soit une hausse de 83 %.
Le Monde avec AFP
Publié le 29 septembre 2023 à 01h05, modifié le 29 septembre 2023 à .
Le nombre de migrants qui ont essayé de traverser la Méditerranée vers l’Europe a significativement augmenté en 2023, selon les Nations unies, entraînant mécaniquement une hausse du nombre de personnes mortes ou portées disparues lors de ces tentatives périlleuses.
« Au 24 septembre, plus de 2 500 personnes ont été comptabilisées comme mortes ou disparues » depuis le début de l’année, soit une augmentation de près de 50 % en comparaison « aux 1 680 personnes lors de la même période » en 2022, a déclaré, jeudi 28 septembre, Ruven Menikdiwela, directrice du bureau du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR). « Des vies sont également perdues sur terre, loin de l’attention du public », a-t-elle insisté lors d’une réunion du Conseil de sécurité, à New York, consacrée à la crise des migrants en Méditerranée.
« Le voyage depuis l’Afrique de l’Ouest ou depuis l’est de l’Afrique – [notamment depuis] la Corne de l’Afrique – vers la Libye, et [depuis] la côte [vers l’Europe] reste l’un des plus dangereux au monde, a souligné Mme Menikdiwela. Les réfugiés et les migrants voyageant sur les routes terrestres depuis l’Afrique subsaharienne risquent la mort et des violations graves des droits humains à chaque étape. »
Selon les chiffres de l’ONU, entre le 1er janvier et le 24 septembre 2023, au total 186 000 migrants sont arrivés dans le sud de l’Europe (Italie, Grèce, Chypre et Malte), dont 130 000 en Italie, « soit une augmentation de 83 % par rapport à la même période en 2022 ». Quant aux pays de départ, entre janvier et août 2023, plus de 102 000 migrants ont tenté de traverser la Méditerranée depuis la Tunisie, et 45 000 depuis la Libye. Sur ce nombre, 31 000 ont été secourus en mer ou ont été interceptés et débarqués en Tunisie, et 10 600 en Libye, a ajouté Ruven Menikdiwela.
Evoquant les récentes arrivées massives sur l’île de Lampedusa, elle a souligné que l’Italie « ne pouvait pas répondre seule aux besoins » de ces migrants. Avant de répéter l’appel du HCR à « la mise en place d’un mécanisme régional de débarquement et de redistribution » des personnes arrivées par la mer. Une question controversée parmi les Etats membres de l’Union européenne (UE).
L’ambassadeur russe à l’ONU, Vassily Nebenzia, qui avait demandé cette réunion du Conseil de sécurité, a d’ailleurs mis en cause l’UE, dénonçant sa responsabilité dans le « piège mortel » que représente la Méditerranée. « Nous avons l’impression que l’Union européenne mène une guerre non déclarée contre les migrants, qui meurent parce qu’ils n’ont pas d’autre voie plus sûre », a-t-il lancé. « L’UE ne s’occupe de la question migratoire que lorsqu’il s’agit des Ukrainiens », a-t-il ajouté, déplorant que les autres migrants ne jouissent pas du « même niveau de solidarité ». La Russie « comme toujours est absente dès qu’il s’agit de répondre concrètement aux crises humanitaires », a répondu l’ambassadeur français à l’ONU, Nicolas de Rivière, évoquant les contributions russes au budget du HCR. « La présence [du groupe paramilitaire russe] Wagner au Sahel contribue à l’instabilité de la région, qui nourrit le terrorisme et conduit à des déplacements de population », a ajouté le diplomate français.
#Covid-19#migrant#migration#france#sahel#onu#ue#crise#mediterranee#hcr#routemigratoire#conseildesecurite#mortalite
]]>#Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile, tentative d’une #métaliste
#migrations #asile #réfugiés #UE #EU #Union_européenne #frontières
]]>🚨 RÉFORME DU RSA : LA NOTE SUR LE DANGER DE LA RÉFORME QUE LE GOUVERNEMENT VOULAIT CACHER. 🧶, Arthur Delaporte, député de la 2ème circonscription du Calvados • Porte-parole du groupe PS à l’A.N.
▻https://threadreaderapp.com/thread/1706736451625370073.html
Comment la réforme du RSA va mettre les Français dans la galère plutôt qu’au travail.
Depuis lundi, l’Assemblée nationale étudie le texte « pour le plein emploi ». Au menu : 15h d’activité obligatoire par semaine pour les allocataires du RSA et des sanctions à la pelle.
C’est là que ça se corse. On a beau demander au ministre @olivierdussopt d’avoir des données sur les sanctions : combien ? sur quels territoires ? pour quelle efficacité ?
Aucune réponse. Le parlement légifère à l’aveugle.
ce Monsieur publie en 1ère page cette note, réputée publique, mais ne la publie pas. je ne la trouve nulle part...
]]>Hungary: Gravely concerned over pushbacks of asylum seekers, the Committee of Ministers urges authorities to terminate this practice without further delay
Authorities exhorted to immediately cease practice of summarily removing asylum-seekers to Serbia.
▻https://rm.coe.int/0900001680aca70e
#conseil_de_l'Europe #Hongrie #push-backs #refoulements #avertissement #asile #migrations #réfugiés #frontières #Serbie #frontières_intérieures
]]>À #Montagnac, le maire balance sa source à #Cristaline
Pour 30 000 euros, la marque est en passe de mettre la main sur une gigantesque masse d’eau près de #Béziers. Dans une zone frappée de plein fouet par les #sécheresses.
Au début du printemps, au sortir d’une sécheresse hivernale inédite (lire l’épisode 1, « Eau, rage et désespoir » : ▻https://lesjours.fr/obsessions/eau-guerres/ep1-macron-bassines), certains habitants d’#Occitanie ont appelé à l’aide leurs divinités pour faire venir la pluie. Ç’a été le cas à #Perpignan, mais aussi dans l’#Hérault, dans le village de #Corneilhan, près de Béziers. Le 30 mars, un cortège mené par un curé avait transporté une statue de Marie en plein cagnard pendant deux kilomètres et demi. Le #cortège, racontait alors France Bleu, s’était arrêté pour prier dans les vignes. Un viticulteur avait expliqué : « L’eau, on en manque. Donc, je demande au bon #Dieu de nous l’envoyer. Les politiques ne sont pas encore capables de faire tomber la pluie. Donc à part lui, je ne vois pas ! »
Tout cela en vain, puisque la pluie ne s’est que peu montrée, en dehors de quelques averses en juin. Puis certaines communes alentour ont affronté l’angoisse du robinet à sec, le #lac_du_Salagou a connu son plus bas niveau depuis vingt ans, tandis que mi-août, un arrêté préfectoral plaçait pour la première fois les communes limitrophes de l’#étang_de_Thau en état de « #crise », seuil maximal de #restriction des usages face à la #sécheresse. En clair, l’#eau est rare dans le coin. Mais elle n’est pas forcément chère.
L’association #Veille_Eau_Grain estime qu’il y a de quoi fournir de l’#eau_potable à 20 000 habitants pendant quinze ans
C’est ce qu’on découvert les 4 000 habitants de Montagnac, à une trentaine de kilomètres au nord-est de #Corneilhan. Fin 2022 ils ont appris, un peu par hasard vous le verrez, que leur mairie avait décidé de vendre pour à peine 30 000 euros une parcelle dotée d’un #forage qui plonge à 1 500 mètres sous terre, jusqu’à une masse d’eau gigantesque. À l’abandon aujourd’hui, le #puits pourrait, moyennant de gros travaux, donner accès à cette #nappe_d’eau_souterraine de qualité et dont les volumes suscitent bien des convoitises. L’association Veille Eau Grain, née contre la vente de ce forage, a depuis réuni des informations permettant d’estimer qu’il y a là de quoi fournir de l’eau potable à 20 000 habitants pendant quinze ans !
La générosité municipale est d’autant plus étonnante que le futur acquéreur n’est pas sans le sou : il s’agit de la #Compagnie_générale_d’eaux_de_source, une filiale du géant #Sources_Alma, connu pour ses bouteilles #Saint-Yorre, #Vichy_Célestins et surtout Cristaline. Cette dernière eau, née en 1992 et numéro 1 en #France aujourd’hui, est une simple marque et s’abreuve à 21 sources différentes dans l’Hexagone – et même en Allemagne et au Luxembourg. À Montagnac et en particulier dans le secteur où est situé le forage, elle est plébiscitée. Voisin, viticulteur et fondateur de l’association Veille Eau Grain, #Christophe_Savary_de_Beauregard s’en explique : « La zone qu’on habite est quasiment désertique, nous n’avons pas l’eau potable. L’eau, on l’achète, et celle qu’on choisit, c’est la Cristaline parce que c’est la moins chère. » Cruel.
Comment expliquer une telle vente ? Cristaline et Alma ont été pointés du doigt pour leurs méthodes commerciales et pour leur capacité à obtenir les faveurs des autorités locales, le tout, selon leurs détracteurs, grâce à du #chantage à l’#emploi. Les généreuses #dérogations_préfectorales accordées à Cristaline pour des #prélèvements d’eau dans les #Pays-de-la-Loire ont aussi été dénoncées en 2018 par les représentants locaux du Mouvement national de lutte pour l’environnement. Rien de tout ça ici, semble-t-il, puisque c’est la mairie de Montagnac elle-même qui a démarché #Alma. C’est en tout cas ce que l’équipe de communication du géant de la bouteille nous a affirmé par écrit.
Des #viticulteurs ont raconté avoir été démarchés par des intermédiaires pour autoriser le passage de tuyaux et de canalisations menant jusqu’à une future usine. C’est là qu’on a découvert que le conseil municipal avait voté la vente du forage.
Christophe Savary de Beauregard, fondateur de l’association Veille Eau Grain
Après plusieurs sollicitations en juillet et en septembre, #Yann_Llopis, le maire de Montagnac, nous a fait savoir qu’il refusait de répondre à la presse – lui qui ne rechigne pourtant pas à parler de lui et de sa « préoccupation » pour l’environnement sur le site de la ville. On ne saura donc pas s’il a vendu à vil #prix l’eau de sa commune dans l’espoir de #retombées_fiscales et de créations d’emplois. Ce silence n’étonnera pas les riverains, qui disent n’avoir à aucun moment été informés par l’édile et son équipe des tractations avec le groupe Alma. Christophe Savary de Beauregard raconte avoir découvert par hasard la décision du #conseil_municipal actant la vente de la parcelle et du forage : « Fin 2022, des viticulteurs nous ont raconté qu’ils avaient été démarchés par des intermédiaires, afin d’autoriser le passage sur le terrain de tuyaux et de canalisations venant du forage et menant jusqu’à une future usine. On s’est renseignés, et c’est là qu’on a découvert qu’en septembre le conseil municipal avait délibéré et voté pour la vente du terrain et du forage au groupe Alma. »
Habitant de Montagnac, le conseiller régional socialiste René Moreno confirme et dénonce ce manque de transparence, avant de dresser une chronologie de ce forage qu’il connaît bien. Creusé en 1980 par deux entrepreneurs locaux, il est devenu propriété de l’État à la mort de ces derniers, en 2018. La parcelle et son forage ont alors été mis en vente sous le contrôle d’une instance locale, le comité technique de la #Safer (Société d’aménagement foncier et d’établissement rural), dont l’élu est membre. « À l’époque, il y avait plusieurs projets de reprise, dont celui de la mairie de Montagnac qui avait pour ambition de le destiner à un élevage privé d’esturgeons, se souvient René Moreno. Ce genre d’élevage est consommateur d’eau mais dans de faibles quantités. J’ai insisté pour que la mairie obtienne le forage. » Il obtiendra gain de cause.
Après l’achat de la parcelle par la mairie (pour la somme de 30 000 euros, déjà), les porteurs du projet d’élevage d’esturgeons ont malheureusement baissé les bras. La mairie s’est alors retrouvée le bec dans l’eau, selon le service de communication du groupe Alma. Celui-ci indique par mail que si celle-ci ne vend pas le forage aujourd’hui, elle devra assumer les coûts de son obturation (qu’il estime à 300 000 euros) ou de sa remise en service (on dépasserait alors les 500 000 euros). René Moreno assure de son côté que ces sommes, si elles étaient avérées, pourraient être déboursées en partie par l’État ou d’autres collectivités, afin de préserver la précieuse ressource souterraine ou la destiner aux populations locales en cas de crise.
Le projet actuel est on ne peut plus à l’opposé : construire une gigantesque #usine privée d’#embouteillage d’#eau_minérale pour une grande marque, occasionnant quelques joyeusetés comme l’artificialisation de plusieurs milliers de mètres carrés ou le passage quotidien de plusieurs dizaines de camions pour le transport des packs. Une perspective qui inquiète les riverains, tout autant que la réputation sulfureuse du groupe. Une enquête de Médiacités publiée en décembre 2022 a, par exemple, révélé que 13 de ses 34 usines françaises avaient été épinglées par les services de l’État depuis 2010 : non-conformités, contaminations, pollution de ruisseau et mêmes fraudes…
Derrière Cristaline, deux hommes à la réputation sulfureuse : le milliardaire #Pierre_Castel et #Pierre_Papillaud, le visage des pubs télé Rozana
Quant aux créateurs de Cristaline, ils se signalent autant par leurs succès que par leurs casseroles. Le milliardaire Pierre Castel, l’un des dix Français les plus riches, a été condamné pour avoir abrité son immense fortune – faite dans la bière en Afrique et dans le vin partout dans le monde (les cavistes Nicolas, la marque Baron de Lestac…) – dans des #paradis_fiscaux. Il apparaît dans les listings des « Pandora Papers ». Son groupe est en prime visé par une enquête du parquet antiterroriste pour « complicité de crimes contre l’humanité » et « complicité de crimes de guerre » parce qu’il aurait financé en Centrafrique une milice coupables d’exactions en masse. Pierre Castel a vendu ses parts à son compère Pierre Papillaud en 2008. Celui-ci, dont vous avez vu la tête dans les pubs télé pour la marque d’eau gazeuse #Rozana, a été accusé par d’anciens salariés de méthodes managériales violentes et de harcèlement moral, et condamné pour une campagne de dénigrement de l’eau du robinet. Il apparaît, lui, dans les listings des « Panama Papers ». Il est décédé en 2017.
C’est face à ce groupe que se dressent la vingtaine de membres de l’association Veille Eau Grain. Ceux-ci ont entamé une procédure devant le tribunal administratif pour faire annuler la délibération du conseil municipal de Montagnac concernant la vente du forage, arguant que cette décision a été prise sans informer la population et à partir d’un corpus de documents trop limité pour juger de sa pertinence. Ce n’est que le début du combat. L’exploitation du forage est soumise à une étude d’impact environnementale, qui, selon le groupe Alma, a démarré en juillet et durera dix-huit mois.
►https://lesjours.fr/obsessions/eau-guerres/ep7-montagnac-cristaline
#accès_à_l'eau #impact_environnemental
voir aussi :
▻https://seenthis.net/messages/1016901
L’interdiction de l’abaya, symptôme d’une France en pleine panique identitaire, Carine fouteau
Dit autrement, la #laïcité est une pratique vivante, au cas par cas, qui suppose de comprendre le sens que donnent les élèves à leur tenue et d’apporter une appréciation sur leur caractère « manifestement ostentatoire ». Sa mise en œuvre implique avant tout dialogue et échange – c’est ce qui a lieu dans l’immense majorité des établissements. L’interdiction telle qu’elle a été édictée va immanquablement conduire les proviseur·es à décider, a priori, sans tenir compte de la parole des élèves. Comment vont-ils s’y prendre pour différencier une abaya d’une robe longue ordinaire ? Ils risquent de se référer, plus ou moins consciemment, à l’idée qu’ils se font de l’identité religieuse des jeunes femmes, de la couleur de leur peau ou de la consonance de leur nom, autrement dit cela pourrait se traduire par des pratiques discriminatoires.
L’exécutif est entré dans une spirale infernale. Chaque nouvelle interdiction en appellera mécaniquement d’autres. Initialement conçue comme une « loi de liberté », la laïcité devient un outil d’humiliation, de contrôle et d’exclusion. La traduction judiciaire de cette interdiction ne s’est d’ailleurs pas fait attendre : dans une circulaire du 5 septembre adressée aux procureur·es, le ministre de la justice Éric Dupond-Moretti demande « une réponse pénale ferme, rapide et systématique » en cas d’atteinte grave à la loi dans les établissements scolaires.
Emmanuel Macron, qui citait Aristide Briand en 2016, aurait dû relire ses mises en garde, qui s’inscrivent dans l’histoire de France puisqu’il est l’un des principaux concepteurs de la loi originelle de 1905. La question des vêtements s’était déjà posée à l’époque. Et Aristide Briand avait pris parti contre l’interdiction du port de la soutane : il estimait tout d’abord que, par principe, la loi de 1905 ne devait pas « interdire à un citoyen de s’habiller de telle ou telle manière » et il considérait ensuite, par souci d’efficacité, que le résultat serait « plus que problématique » : la soutane interdite, on pourrait compter sur « l’ingéniosité combinée des prêtres et des tailleurs » pour créer un « vêtement nouveau ».
▻https://www.mediapart.fr/journal/france/060923/l-interdiction-de-l-abaya-symptome-d-une-france-en-pleine-panique-identita
▻https://justpaste.it/cbzgn
#abaya #interdiction #école #racisme #sexisme #police_du_vêtement
]]>La dissolution des Soulèvements de la Terre suspendue par le Conseil d’État | Mediapart
▻https://www.mediapart.fr/journal/france/110823/la-dissolution-des-soulevements-de-la-terre-suspendue-par-le-conseil-d-eta
Le Conseil d’État a adressé, vendredi 11 août, un véritable camouflet au ministère de l’intérieur en ordonnant la suspension du décret du 21 juin 2023 ayant prononcé la dissolution du mouvement des Soulèvements de la Terre.
Si cette décision n’a été rendue qu’en référé, une procédure sur le fond étant en cours, elle n’en constitue pas moins un cinglant désaveu du volumineux rapport des services de renseignement, brandi par le ministère de l’intérieur pour justifier cette dissolution.
Alors que celui-ci dépeignait les Soulèvements de la Terre en groupuscule organisé et hiérarchisé, inspiré des stratégies du Black Bloc, n’hésitant pas à recourir à la violence, y compris contre les personnes, le Conseil d’État affirme qu’« il ne résulte pas des pièces versées au dossier […] ni des éléments exposés à l’audience que ce collectif cautionne d’une quelconque façon les violences à l’encontre des personnes ».
L’ordonnance rejette également le portrait dressé par les services de renseignement d’un mouvement revendiquant le recours à la violence contre les biens en appelant massivement au « sabotage ».
Même si certaines dégradations ont pu être commises lors d’actions auxquelles des membres des Soulèvements ont pu participer, celles-ci « se sont inscrites dans les prises de position de ce collectif en faveur d’initiatives de désobéissance civile et de “désarmement” de dispositif portant atteinte à l’environnement ». En outre, ces actions revêtaient un « caractère symbolique » et « ont été en nombre limité ».
Sans se prononcer sur le fond, le Conseil d’État affiche de sérieux doutes sur une autre des accusations du ministère l’intérieur selon laquelle les Soulèvements auraient explicitement incité à commettre des violences durant ses actions, et seraient donc responsables de celles-ci.
En effet, selon l’ordonnance, le « caractère circonscrit », « la nature » et « l’importance des dommages résultant de ces atteintes » sont « propres à créer un doute sérieux quant à la légalité » du décret du 21 juin 2023.
]]>Le chef de la police attaque la Constitution, sa femme siège au Conseil Constitutionnel - Contre Attaque
▻https://contre-attaque.net/2023/07/25/le-chef-de-la-police-attaque-la-constitution-sa-femme-siege-au-conse
À gauche, Frédéric Veaux. Un policier, passé par l’anti-terrorisme, la BRI et le renseignement. Il a notamment travaillé avec Bernard Squarcini, chef de la police politique sous Sarkozy, aujourd’hui consultant privé au service de milliardaires et mis en cause dans plusieurs affaires judiciaires. En 2020, Frédéric Veaux est nommé Directeur Général de la Police National, c’est-à-dire patron de tous les policiers de France, à la tête de 150.000 hommes. En juillet 2023, Frédéric Veaux sort de son devoir de réserve et prend la défense d’un agent de la BAC ayant fracassé la tête d’un jeune homme à Marseille, avant de le laisser pour mort. Il déclare que savoir le policer en prison « l’empêche de dormir » et « qu’avant un éventuel procès, un policier n’a pas sa place en prison ». Le numéro 1 de la police française dénonce donc une décision de justice, viole ouvertement la Constitution et piétine le principe de séparation des pouvoirs. C’est-à-dire, en principe, la garantie minimale pour ne pas être en dictature.
Véronique Malbec est une femme de loi. Elle a été procureure à Rennes et à Versailles, puis secrétaire générale du ministère de la Justice et directrice de cabinet du ministère, sous les ordres de Dupont Moretti. En février 2022, elle est nommée par le clan Macron pour siéger au Conseil Constitutionnel, l’instance chargée de veiller au respect de la Constitution et du principe de séparation des pouvoirs. C’est le Conseil Constitutionnel qui a notamment validé la réforme des retraites en avril 2023, alors que la loi avait été imposée par 49-3 en violant tous les principes démocratiques.
S’il fallait respecter la Constitution, le chef de la police aurait dû être mis à pied immédiatement après ses propos. Et l’on aurait dû lui rappeler que commettre une infraction en étant policier est en principe une circonstance aggravante, et pas atténuante. Mais Véronique ne va pas sanctionner son mari Frédéric. Le macronisme est un petit clan qui s’est emparé de tous les postes clés de la République et qui a donc supprimé tous les contre-pouvoirs institutionnels. Méthodiquement.
]]>En tant qu’ #expert ERP, je suis sollicité par mes interlocuteurs pour donner quelques #conseils pratiques pour tirer le meilleur parti d’un #progiciel. Voici quelques recommandations basées sur mon expérience professionnelle en #entreprise dans les solutions de #gestion. Si vous envisagez une #migration ERP, elles vous seront utiles.
▻https://michelcampillo.com/blog/5816.html
Drowning in Lies. Greece tries to cover up its own role in the #Pylos shipwreck by tampering with evidence
On the night of 13 June, a vessel carrying around 750 men, women and children mainly from Pakistan, Egypt and Syria capsized in the Central Mediterranean, in Greek waters. The Greek authorities had been aware of the overloaded vessel the day before because Europe’s border agency Frontex and activists had warned them.
Instead of rescuing the people, the Greek coast guard stayed close to the boat and observed it from the sky with a helicopter, ignoring Frontex’s offer for help. They sent commercial vessels to the area and later a coast guard boat.
Shortly after the coast guard vessel arrived on the scene, the overloaded boat capsized. Only 104 men survived. All the others, including all the women and children on board, drowned.
Survivors alleged that their vessel was towed by the Greek coast guard boat, causing the fatal wreck. The Greek coast guard and the government strongly denied these allegations and claimed the boat was never towed.
We decided to collect as many survivor testimonies as possible and try to establish what really happened, and whether there had been efforts to cover up the truth.
METHODS
Finding visual evidence to determine the cause of the shipwreck was nearly impossible since it happened on the high seas and commercial vessels and surveillance planes were sent away by the Greek authorities. Videos survivors might have had on their phones were no longer accessible due to water damage or because they lost their phones.
We decided to put a team together, including journalists from the same regions as the passengers, and carried out 17 interviews with survivors – the largest number collected in a single investigation into the wreck so far – to compare their accounts. We also spoke to sources inside the European border agency Frontex.
We obtained crucial court documents containing two sets of testimonies given by the same nine survivors. They spoke first to the Greek coast guard and later to a local Greek court.
STORYLINES
Documents and witness testimony obtained by Lighthouse Reports, Der Spiegel, Monitor, SIRAJ, El País, Reporters United and The Times show the Greek coast guard tampered with official statements to conceal their role in the wreck and pressured survivors into naming certain people as the smugglers.
Nine survivors were asked by the coast guard to give witness statements just hours after the wreck. On analysing the documents, we discovered that critical parts of several testimonies contain identical phrases.
The documents reveal that the translator used during one of the survivor’s interviews with the coast guard is a member of the coast guard himself. Other translators were local residents who spoke Arabic and other languages, who were sworn in on the day.
In the documents, eight survivors are stated to have blamed the capsizing on factors unrelated to towing. Four of them are stated to have testified – in nearly identical wording – that the boat capsized because it was “old” and “there were no life jackets”. Their interviews were translated by three different interpreters.
None of the survivors interrogated by the coast guard blamed the coast guard at all, according to the transcriptions. But in a later round of questioning by a Greek court of the same nine survivors, six of them are stated to have said the coast guard towed the boat shortly before it capsized.
We spoke to two of the nine survivors who testified; they told us that the coast guard had omitted the parts of their testimony mentioning towing.
“They asked me what happened to the boat and how it sank. I told them the Greek coast guard came and tied the rope to our boat and towed us and caused the capsizing of the boat,” said one survivor. “They didn’t type that in my testimony. When they presented it at the end I couldn’t find this part.”
He added that the coast guard pressured him to single out certain people as the smugglers in charge of the operation. This claim is supported by our analysis of the documents: two answers to the coast guard’s questions about smugglers contain identical sentences.
Another survivor who testified said he also blamed the shipwreck on towing when asked by the coast guard, but still signed the deposition at the end despite knowing it did not reflect what he said, because he felt “terrified”.
Sixteen out of the seventeen survivors we spoke to said the coast guard attached a rope to the vessel and tried to tow it shortly before it capsized. Four also claimed that the coast guard was attempting to tow the boat to Italian waters, while four reported that the coast guard caused more deaths by circling around the boat after it capsized, making waves that caused the boat’s carcass to sink.
While Europe and its border agency Frontex have largely backed Greece on its border practices and said following the shipwreck that they believed the coast guard did everything it could to save the people who drowned, Frontex is now doubting the official version
The border agency has circulated an internal report on the incident based on survivor testimony, in which survivors state that the Greek coast guard was to blame for the drownings, according to sources.
▻https://www.lighthousereports.com/investigation/drowning-in-lies
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