• Della Terra riparte dalla “contadinanza” per favorire la giustizia sociale e ambientale

    La cooperativa “#Della_Terra_Contadinanza_Necessaria” gestisce alcuni terreni fra #San_Ferdinando, #Laureana_di_Borrello e #Rosarno proponendo una visione incentrata sull’umanità, sugli animali e sulla natura. Attraverso una rete coesa con le altre realtà del territorio porta avanti progetti che migliorano la vita dell’ambiente e delle persone.

    La seconda tappa del viaggio alla riscoperta della mia terra è più a sud. Autostrada direzione Rosarno, destinazione finale: San Ferdinando. Proprio lì c’è la tendopoli (l’ennesima) dove vivono circa 500 lavoratori migranti in gravi condizioni abitative, senza contare il campo container e gli insediamenti informali sparsi sul territorio. Ma non è lì che devo andare. Sto invece per conoscere la cooperativa Della Terra Contadinanza Necessaria, che si occupa di agricoltura sociale e agro-ecologia proprio in quell’area.

    Ad accogliermi in fondo a una stradina di campagna c’è Nino Quaranta, socio fondatore della cooperativa, o meglio “cantautore e contadino”, come si definisce lui stesso. Mentre mi mostra le coltivazioni e il punto vendita in costruzione sotto il primo sole caldo di questa primavera, mi racconta la storia del progetto.

    La cooperativa affonda le sue radici nelle lotte contro lo sfruttamento lavorativo e della terra nella piana di #Gioia_Tauro. Nata nel maggio 2020, alcuni dei suoi soci hanno fatto parte per molto tempo di #SOS_Rosarno, una rete nata nel 2012 – due anni dopo la rivolta di Rosarno – per sostenere i migranti sia da un punto di vista lavorativo (attraverso l’agricoltura) che abitativo. «Abbiamo sempre detto che la situazione dei migranti non va trattata come un fenomeno emergenziale, ma come un fenomeno strutturale», dice Nino, che denuncia le mancanze delle istituzioni nell’affrontare la questione.

    Negli anni, infatti, sono state costruite ben quattro tendopoli, mentre circa 34.000 abitazioni nei 33 comuni della Piana rimanevano sfitte. «Quello che invece noi abbiamo cercato di fare è una goccia in mezzo ad un mare di indifferenza e cattiveria: pensare ad una società diversa, partendo anche dall’economia e quindi dall’agricoltura».

    Grazie a Della Terra, ad esempio, i migranti assunti dalla cooperativa hanno potuto avere un’abitazione in cui vivere e sono sostenuti nelle spese con i fondi del progetto Liberiamo gli schiavi di Rosarno. Spartacus, che fa capo alla cooperativa Chico Mendes. Al momento, i lavoratori sono 6 (fra migranti e non) e fra loro c’è I., senegalese, che mi racconta come si trovi bene in questo contesto, dove ha trovato un po’ di stabilità dopo aver vissuto per circa due anni in una tendopoli. Si tratta dunque di un piccolo passo verso la costruzione di qualcosa di diverso, che non riguarda però solamente la questione dello sfruttamento lavorativo.

    Tutto questo, infatti, è strettamente intrecciato al rapporto con la natura: a Rosarno non sono sfruttate solo le braccia dei migranti, ma anche le terre, sottoposte a metodi colturali intensivi e devastanti. La cooperativa invece vuole portare alla ribalta il ruolo centrale della terra: «L’agricoltura spesso è considerata di basso livello, ma in realtà è proprio lei che porta nutrimento ed è da qui che bisogna partire: vediamo già da ora le conseguenze negative di un’agricoltura intensiva che non fa altro che contribuire alla distruzione del pianeta», continua Nino.

    «Per questo noi parliamo di agro-ecologia e di agricoltura resiliente». Tradotto nella pratica questo significa coltivazione naturale e diversificata, non intensiva o monoculturale, e nel rispetto dei cicli stagionali. Nei loro campi in questo momento ci sono fave, insalate, sedano, cipolle, peperoncini, ora persino piante di avocado. Da alcuni di questi, poi, danno vita a dei trasformati naturali e genuini.

    Nel frattempo arriva Germana Loiacono, altra socia fondatrice della cooperativa. Germana ha dato in comodato d’uso il terreno su cui ci troviamo in questo momento e gestisce il villaggio turistico Porta del sole, grazie al quale sostiene la cooperativa e promuove un turismo sostenibile anche attraverso l’alimentazione e i prodotti di Della Terra. In questa lotta, infatti, la cooperativa non è sola: «Ci sono altre persone che stanno facendo il nostro stesso discorso: piccoli e grandi produttori con cui collaboriamo, che producono eticamente e senza sfruttamento alcuno».

    E questo è il punto di partenza per creare sinergie positive, che portano verso un lavoro collettivo e non della singola realtà. Ad esempio, grazie al Consorzio Macramè di cui la cooperativa fa parte, Nino e gli altri hanno preso in gestione un terreno di Rosarno confiscato alla ‘ndrangheta: lo hanno rimesso in sesto e ci hanno creato un parco della biodiversità, rendendolo realmente un bene comune. O ancora, le cooperative del consorzio si sostengono in maniera reciproca, commercializzando quando possibile i prodotti le une delle altre. E poi c’è una finestra aperta sul mondo: Della Terra è rappresentante regionale dell’#Associazione_Rurale_Italiana e questo le permette di essere parte del #Coordinamento_Europeo_Via_Campesina, organizzazione europea di base di agricoltori, e di confrontarsi all’interno di un network internazionale.

    Grazie alla distribuzione nei #GAS (#Gruppi_di_Acquisto_Solidale), presidi di consumo equo e sostenibile, Della Terra riesce poi a raggiungere anche alcune città del Nord Italia e in alcuni casi dell’Europa. E ora si sta attrezzando per costruire un punto vendita proprio nel terreno in cui mi trovo: per adesso è solo una struttura vuota, ma presto si riempirà dei colori dell’estate. È arrivato il momento di andarsene. Si è fatta ora di pranzo, per loro arriva la pausa e io devo tornare verso nord. Prima di partire, Nino mi regala una cassetta di fresco: cipolle, sedani e fave appena raccolte. Ne assaggio una: sono dolcissime. E, con questa sensazione che mi pervade i sensi, saluto tutti e metto in moto.

    https://www.italiachecambia.org/2021/05/della-terra-contadinanza-giustizia-sociale-ambientale
    #contadinanza #Calabre #agriculture #coopérative #biens_confisqués #confiscation_de_biens_à_la_mafia #Nino_Quaranta #paysannerie

  • Copain⋅e⋅s de Route
    https://ecovillageglobal.fr/25596

    Escargotte solitaire, la coquille pleine d’idée de sentiers et d’exploration, cherche copain et copine de route pour partager quelques heures ou quelques jours. ♦ Actuellement en Bretagne du 22, je sillonne les beautés du coin sans aucune contrainte espace temps. Je me dirigerai doucement vers l’Est jusqu’à sortir du pays, alors moitié nord de la france, à vos balades ! Offre : Ma curiosité et mon amour pour la nature qui se baigne dans le printemps, compagnie pour d’autres solitaires, rien d’extraordinaire, que de la simplicité. Cherche : personnes souhaitant partager une randonnée, un joli lieu, une discussion, une galette beursuc - Rubriques : Contacts et Echanges / Vacances / Côtes-d’Armor (22) - Plus d’info et contact : (...)

    #Contacts_et_Echanges/Vacances

  • France Travail intensifie encore le contrôle des demandeurs d’emploi
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2025/04/24/france-travail-intensifie-encore-le-controle-des-demandeurs-d-emploi_6599712

    L’opérateur public va mettre en œuvre un système de contrôle rénové, avec l’objectif d’atteindre 1,5 million de personnes contrôlées en 2027.

    Les demandeurs d’emploi sont de plus en plus contrôlés, mais une part relativement faible se retrouve radiée à l’issue de la procédure.

    Avec la généralisation, depuis le 1er janvier, de la loi « plein-emploi », le système de contrôle va être amplement modifié. Il va d’abord poursuivre la dynamique engagée depuis plusieurs années avec une très forte augmentation du nombre de contrôles : près d’un million en 2025 pour atteindre ensuite l’objectif fixé par le gouvernement de 1,5 million en 2027. Le nouveau système de contrôle sera mis en œuvre à partir du mois de juin.

    [...] plateforme de contrôle, dont les effectifs vont être renforcés, avec près de 300 postes en plus d’ici à la fin de l’année − pour atteindre 900 personnes au total.

    En attendant ces grands changements, les résultats de l’année 2024 sont conformes à ceux des années précédentes. Ce sont 610 780 contrôles qui ont été effectués, une hausse de 16,7 % par rapport à 2023. 56 % d’entre eux ont été déclenchés sur des publics spécifiques, comme les demandeurs d’emploi recherchant un métier en tension ou ayant suivi une formation. Les autres sont notamment le fait de procédure aléatoire (20 %) et de signalement de conseillers en agence (15 %).

    Résultat, 55 % des contrôles clôturés en 2024 ont confirmé la recherche d’emploi et 21 % ont entraîné une « remobilisation de la personne ». Enfin, 17 % des contrôles ont abouti à une radiation d’un mois avec suppression d’autant de l’allocation, voire plus en cas de manquements répétés. La majeure partie de ces personnes sanctionnées (47 %) l’ont été après un contrôle lié à un signalement en agence.

    https://archive.ph/f0GwM

    #France_travail #contrôles #sanctions

  • Le #Défenseur_des_droits décrit des pratiques policières « d’#éviction » de personnes considérées comme « #indésirables » à #Paris

    Un #rapport publié ce mercredi par le Défenseur des droits dévoile les pratiques de contrôles policiers et de #multiverbalisation à Paris envers certaines catégories de la population. Décrites comme une « politique institutionnelle », ces stratégies viseraient à évincer ces personnes de l’#espace_public parisien.

    En analysant des #contrôles_d’identité policiers et #amendes à répétition, une étude publiée ce mercredi 9 avril par le Défenseur des droits décrit « une #politique_institutionnelle » destinée à évincer de l’espace public parisien des personnes considérées comme « indésirables », soit des jeunes racisés issus de milieux populaires.

    « Le contrôle d’identité et l’#amende_forfaitaire sont fréquemment présentés comme des outils relativement anodins de lutte contre la délinquance », relève ce rapport commandé au centre de recherche sur les inégalités sociales de Sciences-Po.

    « Or, les logiques qui ont accompagné leur mise en place et les lois qui les régissent montrent qu’ils ont en réalité des finalités multiples, favorisant leur usage à des fins d’éviction », sur la base de « l’#âge, le #genre, #assignation_ethno-raciale et #précarité_économique ».

    Les personnes ciblées exposées au « #harcèlement_policier »

    L’étude se base d’abord sur l’analyse d’une enquête menée par l’Inspection générale de la Police nationale (IGPN) après une plainte pour violences et discriminations mettant en cause des policiers du 12e arrondissement de Paris.

    Ce dossier montre comment, entre 2013 et 2015, « les policiers ont sélectionné, parmi les options fournies par le logiciel de la police nationale, “Perturbateurs - indésirables” comme motif d’intervention », et ce de manière « quasi quotidienne ».

    Or, « ni le terme “éviction” ni celui d’“indésirables” n’existent dans le Code de Procédure pénale, et la loi interdit la #discrimination sur la base de l’origine ou de la situation économique », souligne l’étude.

    Ces pratiques exposent les personnes ciblées « à des situations de harcèlement policier, renforcent leur exclusion sociale et économique et alimentent leur défiance envers les institutions étatiques ».

    Le rapport décrypte également « la pratique de la multiverbalisation » en région parisienne sur la base d’une quarantaine d’entretiens réalisés avec des jeunes multiverbalisés entre janvier 2019 et juin 2024 et qui vivent majoritairement intra-muros.

    Les jeunes ciblés « 140 fois plus verbalisés » lors du Covid

    Les amendes concernent des faits constatés aussi bien de jour qu’en soirée, et visent des tapages diurnes, des crachats ou des abandons d’ordures.

    Elles peuvent être conséquentes. C’est le cas d’Amadou, 19 ans, verbalisé plus d’une centaine de fois entre 2018 et 2023, et dont les dettes frôlent les 32 000 euros, gonflées par la majoration d’amendes non réglées.

    Le rapport souligne aussi les amendes « Covid », et note que « ces jeunes ont en moyenne été 140 fois plus verbalisés pour des #infractions liées à la pandémie de #Covid que le reste de la population d’Ile-de-France ».

    Les municipalités « encouragent » et « légitiment ces pratiques au nom de la protection de la tranquillité des “riverains”, catégorie dont elles excluent de fait les jeunes ciblés », poursuit l’étude qui rappelle qu’en 2023 le Conseil d’Etat a reconnu « l’existence de contrôles d’identité discriminatoires qui ne peuvent être réduits à des cas isolés ».

    https://www.nouvelobs.com/societe/20250409.OBS102530/le-defenseur-des-droits-decrit-des-pratiques-policieres-d-eviction-de-per
    #France
    ping @karine4

  • Sanctions contre les bénéficiaires du RSA : « Alors qu’en 1988, le problème public était la grande pauvreté, aujourd’hui le problème public est l’assistance »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2025/04/23/sanctions-contre-les-beneficiaires-du-rsa-alors-qu-en-1988-le-probleme-publi


    Astrid Panosyan-Bouvet (ministre du travail et de l’emploi), Laurent Marcangeli (ministre de l’action publique, de la fonction publique et de la simplification), Clara Chappaz (ministre déléguée chargée de l’intelligence artificielle et du numérique), Thibaut Guilluy (directeur général de France Travail) et Arthur Mensch (Arthur Mensch, son cofondateur et directeur général de Mistral AI), de gauche à droite, durant une visite dans une agence France Travail à Paris, France Travail le 4 février. LUDOVIC MARIN / AFP

    (...) l’existence même de bénéficiaires de l’assistance publique est perçue comme un problème public.

    Thibaut Guilluy [directeur général de France Travail] dévoile ce ressort lorsqu’il affirme en commission des affaires sociales du Sénat que la #paupérisation c’est d’abord et avant tout parce qu’on est passé de « zéro à 2 millions » de bénéficiaires du #RSA. Le problème apparaît donc avec l’allocation, puisqu’il n’y avait zéro bénéficiaire qu’avant la mise en place du revenu d’assistance, le revenu minimum d’insertion (RMI), en 1989. Autrement dit, alors qu’en 1988, le problème public était la grande pauvreté, aujourd’hui le problème public est l’#assistance. Il faut faire quelque chose ; faute de moyens ne restent plus que les sanctions.

    Guillaume Allègre est économiste à l’Observatoire français des conjonctures économiques (OFCE), auteur de « Comment verser de l’argent aux pauvres ? Dépasser les dilemmes de la justice sociale » (PUF, 2024).

    https://archive.ph/UfsSK

    #guerre_aux_pauvres

    • RSA : « La spirale de la pauvreté est alimentée par une technocratie qui ne cherche que la fraude et pas le non-recours », Guillaume Allègre, Economiste
      https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/03/05/rsa-la-spirale-de-la-pauvrete-est-alimentee-par-une-technocratie-qui-ne-cher

      L’économiste Guillaume Allègre propose, dans une tribune au « Monde », de modifier les règles de versement du revenu de solidarité active afin d’éviter les pièges qui aggravent la situation des plus vulnérables.Publié le 05 mars 2024

      Il a été démontré que l’#algorithme de la caisse d’allocations familiales pénalise les plus vulnérables parmi les allocataires d’aides sociales (« Dans la vie de Juliette, mère isolée, précaire et cible de l’algorithme des #CAF », Le Monde du 4 décembre 2023). Mais ce constat ne se limite pas à la question algorithmique.

      Le problème soulevé est plus profond, comme le montre le cas de Juliette, décrit par l’enquête du Monde. #Mère_isolée, allocataire du revenu de solidarité active (RSA), elle doit, après contrôle, rembourser les « revenus d’origine indéterminée », a priori les aides familiales reçues de ses frères et sœurs « pour qu’elle puisse rendre visite à leur père, tombé malade », un virement reçu pour son anniversaire, et les revenus de quelques heures de ménage non déclarées.

      Le RSA est en effet une prestation dite « différentielle » : l’intégralité des revenus doit être déclarée et est alors déduite de la prime versée aux allocataires. Les ressources prises en compte comprennent les revenus d’activité, de remplacement, mais aussi les pensions alimentaires, les prestations sociales et familiales, les héritages et les dons, les gains aux jeux, les loyers d’un logement loué, la valeur locative d’un logement non loué, les revenus des capitaux, et les revenus fictifs des biens non productifs comme les contrats d’assurance-vie, imputés à hauteur de 3 % de leur valeur marchande.

      Remarquons au passage que ces #revenus_fictifs ne rentrent en revanche pas en compte dans l’assiette des revenus au titre de l’impôt sur le revenu ou du plafonnement de l’impôt sur la fortune immobilière (IFI), alors même que ces ménages ont a priori moins de problèmes de liquidité que les allocataires du RSA…

      Première victime

      Le RSA est aussi une prestation dite « subsidiaire » : le demandeur doit faire valoir les droits aux autres prestations sociales et créances alimentaires avant de faire valoir ses droits au RSA. Cela crée des situations impossibles pour les allocataires, même sincères : s’ils reçoivent une aide familiale dans une situation d’urgence, une chaudière qui tombe en panne ou un parent malade, ils doivent déclarer cette aide… qui sera entièrement déduite de l’allocation versée !

      Pas besoin d’intelligence artificielle pour comprendre que, dans ce contexte, il y aura plus de fraudes détectées chez les personnes les plus vulnérables. La situation décrite est celle d’une spirale de la pauvreté alimentée par une technocratie rigoureusement asymétrique, qui ne cherche que la fraude et pas le non-recours.

      De plus, si les revenus d’activité de Juliette avaient été déclarés, elle aurait eu droit à la prime d’activité. Elle est ici pénalisée d’une situation dont elle est la première victime. La prime d’activité permet en effet de cumuler revenus d’activité professionnelle et prestations sociales afin d’inciter les travailleurs aux ressources modestes à reprendre une activité… et à la déclarer. Le cumul de la prime d’activité se limite aux revenus d’activité, hors allocations-chômage − les chômeurs ne sont donc pas considérés comme actifs au titre de cette prime.

      Tous les autres revenus sont déductibles à 100 % du RSA et de la prime d’activité. On vous fait un don 100 euros ? Il est déduit du RSA. Vous avez une chambre à Saint-Denis (Seine-Saint-Denis) que vous voulez louer pendant les Jeux olympiques ? Les revenus sont déduits à 100 % du RSA. Vous avez un logement non loué ? Les revenus fictifs sont (théoriquement) déduits. Vous avez un peu d’épargne dans un contrat d’assurance-vie ? Les revenus fictifs sont déduits. En tant qu’allocataire, vous n’avez que deux ressources disponibles : le RSA et le travail, augmenté de la prime d’activité.

      Peur de se tromper

      Cette situation poserait un moins gros problème si le travail était accessible à tous et si le RSA était d’un montant satisfaisant, permettant des conditions de vie dignes tout en répondant aux impondérables. La rigueur du calcul technocratique du moindre euro fictif pourrait se comprendre si elle était la contrepartie d’une prestation généreuse et que la même rigueur s’imposait aux plus aisés. Mais la prestation est manifestement insuffisante (607 euros par mois aujourd’hui, auxquels peuvent s’ajouter en partie des allocations logement) et son montant décroît régulièrement relativement aux salaires.

      Une solution au problème souligné ici serait d’augmenter la prestation d’assistance. Une autre solution serait de rendre le calcul de la prestation plus bienveillant en mettant en place un abattement sur l’ensemble des petits revenus : par exemple, les 600 premiers euros par trimestre (200 euros par mois) ne seraient pas pris en compte dans le calcul de la prestation, quelle que soit leur origine. Un autre avantage de cette solution est que le demandeur de l’allocation ayant des petits revenus n’aurait pas à détailler leur origine lors de la demande, il cocherait simplement la case « ressources inférieures à 600 euros ».

      Un tel système réduirait la peur de se tromper, la peur des indus à rembourser, et donc le non-recours au droit au RSA. Les premiers revenus d’activité seraient gardés à 100 % par les travailleurs, ce qui répond aussi à la problématique des coûts fixes à la reprise d’emploi. Au-delà de l’abattement, le taux de cumul des revenus d’activité et de la prime d’activité pourrait être abaissé pour garder les gains à la reprise d’emploi à plein temps constants par rapport à la situation actuelle.

      Si l’objectif est que les allocataires des minima sociaux en sortent par le haut, il faut évidemment éviter que les #contrôles ne ciblent les plus vulnérables, mais il faut aussi éviter d’annuler le moindre coup de pouce ou coup de chance.

  • Rima Hassan a été auditionnée pendant 11h30 sans pause et sans interruption
    https://bellaciao.org/Rima-Hassan-a-ete-auditionnee-pendant-11h30-sans-pause-et-sans-interrupti

    Rima Hassan a été auditionnée pendant 11h30 sans pause et sans interruption, pour apologie du terrorisme. Elle dénonce un acharnement judiciaire et la fuite de l’information et se réserve le droit d’utiliser son immunité parlementaire. La France Insoumise dénonce une instrumentalisation de la justice. La députée européenne de La France insoumise Rima Hassan a été entendue par la Brigade de répression de la délinquance aux personnes (BRDP) le mercredi 17 avril. Pendant près de 11 heures (…) #Contributions

  • Radiographie des #coûts de nos choix en matière de #transport

    Dans un monde où la durabilité devient une priorité, chaque choix en matière de transport a un #coût — financier, social et environnemental. Comment les entreprises peuvent-elles devenir de véritables leaders en mobilité durable ?

    Le transport pèse lourd sur les #finances, qu’il s’agisse des #budgets_publics ou de ceux des foyers québécois. Les coûts liés aux #infrastructures_routières, au #transport_collectif et même à la création de voies sécurisées pour les #mobilités_actives suscitent des débats passionnés sur les priorités à accorder et les #investissements à réaliser.

    Une étude menée par une équipe de HEC #Montréal donne une évaluation précise des #coûts_réels de la mobilité dans l’agglomération montréalaise, selon le mode de transport choisi : #automobile, transport collectif, #vélo ou #marche. Ce #calcul couvre à la fois les #coûts_privés — y compris l’achat et l’entretien des #véhicules, le #carburant, les #titres_de_transport, les #permis, les #taxes et les #contraventions — et les #coûts_sociaux.

    Ces derniers se divisent en deux catégories : d’une part, les coûts publics, tels que la construction et l’entretien des infrastructures, le déneigement et le fonctionnement des installations, qui sont inscrits explicitement dans les budgets fédéral, provincial et municipal ; d’autre part, les coûts ou bénéfices externes, économiquement invisibles, mais tout aussi importants, tels que les #émissions_de_gaz_à_effet_de_serre, la #congestion, les #accidents, l’occupation de l’#espace urbain et les effets bénéfiques sur la #santé_publique liés à l’utilisation des #transports_actifs.

    Ces facteurs, bien que cachés sur le plan économique, sont essentiels pour évaluer la véritable portée des choix en matière de #mobilité.

    En intégrant tous les éléments évalués, l’étude révèle que chaque kilomètre parcouru en automobile engendre un coût total de 2,27 $, tandis que les transports collectifs ne coûtent que 1,32 $, et le vélo, un modeste 0,87 $. Bien que ces sommes puissent sembler raisonnables si elles sont entièrement assumées par les utilisateurs, une analyse plus poussée montre que les coûts sociaux pèsent lourd sur la collectivité.

    Ainsi, pour chaque dollar dépensé par un automobiliste, la société doit assumer un coût additionnel de 1,44 $, ce qui en fait — et de loin ! — le mode de transport le plus onéreux. En comparaison, pour 1 $ investi dans les transports collectifs, les coûts sociaux sont de seulement 0,38 $. Quant aux mobilités actives, comme le vélo et la marche, elles génèrent des économies pour la collectivité : chaque dollar dépensé rattaché au vélo entraîne une réduction des coûts sociaux de 0,19 $, et la marche permet une économie de 0,03 $ par dollar, notamment grâce aux bienfaits pour la santé publique, qui réduisent la pression sur le système de santé.

    Ce que les entreprises peuvent faire

    Être un leader en #mobilité_durable est désormais un atout stratégique majeur dans le monde des affaires, particulièrement dans des villes comme Montréal, où les défis liés au transport sont omniprésents. Promouvoir des solutions de mobilité durable, telles que le transport actif ou collectif, ne se limite pas à réduire les émissions de gaz à effet de serre : cela permet surtout d’améliorer l’attractivité des entreprises en répondant aux attentes croissantes des nouvelles générations.

    Les jeunes, notamment les millénariaux et les membres de la génération Z, accordent une attention particulière aux enjeux environnementaux et au bien-être. Ils recherchent activement des employeurs qui partagent leurs valeurs et qui encouragent les pratiques durables. Ces générations n’hésitent pas à changer d’emploi si elles estiment que l’entreprise pour laquelle elles travaillent ne correspond pas à leurs attentes sur le plan de l’éthique.

    En parallèle, promouvoir la mobilité durable améliore aussi considérablement l’image de marque d’une organisation. Les entreprises peuvent ainsi non seulement répondre aux exigences des consommateurs actuels, mais aussi se bâtir une réputation basée sur des valeurs de durabilité. Les émissions de gaz à effet de serre qui englobent l’ensemble des émissions indirectes générées — notamment par les déplacements des employés —, peuvent représenter de 70 % à 90 % des émissions totales d’une entreprise. En mettant en place des solutions de mobilité durable, les entreprises peuvent réduire fortement leur empreinte carbone et renforcer leur leadership en matière de transition écologique.

    De multiples solutions

    Pour devenir des ambassadeurs en mobilité durable, les entreprises ne peuvent plus se cacher simplement derrière l’adoption de quelques mesures symboliques. Ce changement nécessite dorénavant la mise en place d’une stratégie globale qui intègre une politique interne de mobilité.

    À Montréal, plusieurs grands employeurs ont pris des engagements concrets en signant un pacte de mobilité durable. Cette entente vise l’ouverture de nouveaux locaux à proximité des transports en commun, la réduction de la demande de stationnement individuel et l’électrification des parcs de véhicules. Ce type d’actions souligne l’importance des partenariats public-privé pour l’atteinte d’objectifs environnementaux ambitieux et appelle les gouvernements à investir massivement dans les infrastructures de transport durable.

    https://www.ledevoir.com/environnement/868882/radiographie-couts-choix-matiere-transport

    sur le site de HEC Montréal :
    https://www.revuegestion.ca/mobilite-durable-le-vrai-cout-de-nos-choix

    #transports #mobilité #économie

    via @freakonometrics

  • Monstruosité constitutionnelle et escroquerie monarchiste
    https://lundi.am/Monstruosite-constitutionnelle-et-escroquerie-monarchiste

    Depuis la seconde investiture de Donald Trump, de nombreux observateurs et commentateurs politiques n’hésitent pas à présenter le président américain comme une sorte de fou erratique, capricieux et un peu timbré. Ses déclarations et ses mesures politiques, n’obéiraient à aucune logique, si ce n’est à la brutalité coutumière d’un entrepreneur de l’immobilier pas très malin qui se serait retrouvé par mégarde aux commandes de la première puissance mondiale. Le texte qui suit défend l’hypothèse inverse, une hypothèse que l’auteur lui-même qualifie de « complotiste » mais qu’il étaye avec brio. La démonstration est convaincante : en se plongeant dans les relations et influences « intellectuelles » de Trump et de ses proches, on découvre l’importance de la pensée de Curtis Yarvin [1]

    [1] Dont nous avons déjà longuement parlé dans ces...
    et ses théorie néo-fascistes qui visent à remodeler la société américaine et le monde en suspendant tous les contre-pouvoirs constitutionnels. On s’aperçoit alors que derrière la confusion et le masque de l’absurdité, il pourrait y avoir un plan et une stratégie. Ce coup néo-réactionnaire qui se présente ouvertement comme une « contre-révolution », Daniel Grave l’interprète comme un retour de bâton après 15 ans de mouvements sociaux et de rue, d’Occupy Wall Street au soulèvement George Floyd en passant par MeToo, la menace fasciste comme boss de fin de niveau. De là, il s’agit d’être à la hauteur de ce que cela signifie, d’identifier ses points faibles et de l’affronter. C’est un texte important.

    […]

    Si cela peut nous paraître déroutant, c’est parce que ça l’est. C’est ce qu’on appelle le « paradoxe de la souveraineté », et c’est le cercle logique qui forme un grand trou au centre de toute constitution, aussi démocratique soit-elle : toutes les constitutions doivent permettre de suspendre légalement la loi afin de préserver l’ordre juridique. Exploiter ce trou a été la principale stratégie des mouvements fascistes.

    […]

    D’autant que je soutiens que tout cela a déjà été accompli, pour la simple et bonne raison que le Président l’a déjà fait valoir et qu’aucune autre branche du gouvernement n’a les moyens d’imposer sa décision au Président. Trump a déjà déclaré, par décret, que tous les employés du gouvernement étaient tenus par l’interprétation de la loi de l’exécutif. Vance a déjà déclaré que l’exécutif n’était pas tenu par les décisions des tribunaux. Nous devrions arrêter de croire qu’ils bluffent : dire que c’est illégal, c’est éluder la question, parce qu’ils ont déjà annoncé qu’ils étaient la loi. Ils ont le pouvoir parce qu’ils disent qu’ils ont le pouvoir et il n’y a apparemment aucun contre-pouvoir pour s’opposer à eux.

    […]

    Je ne dis pas que le calendrier est respecté et que tous les souhaits de Yarvin sont exaucés. J’insiste seulement sur le fait que nous ne sommes pas dans une situation où ils vont simplement purger le langage « woke » et les politiques de Diversité, Equité et Inclusion et qu’ensuite nous nous installerons dans une nouvelle normalité. Il veut que ce soit un chaos rapide et déroutant, de sorte que le temps que nous reprenions notre souffle et que nous comprenions ce qui se passe, il n’y ait plus de norme publique de vérité qui permette de prendre la mesure de ce qu’il s’est passé. Et j’insiste : tout comme ce que nous vivons aujourd’hui était largement inimaginable il y a seulement deux mois, nous devons nous attendre à ce que, d’ici deux mois, la situation soit tout aussi inimaginable.

    Aussi en référence :
    https://www.youtube.com/watch?v=5RpPTRcz1no

    #lumières_obscures #dark_enlightment #Curtis_Yarvin #accélérationnisme #États-Unis #USA #fascisme #néoréaction #contre-révolution

  • Y AURA-T-IL DU PAIN, VOIRE DU MUGUET LE 1ER MAI ?
    https://bellaciao.org/Y-AURA-T-IL-DU-PAIN-VOIRE-DU-MUGUET-LE-1ER-MAI

    C’est l’angoissante interrogation véhiculée depuis quelques jours par les médias, partie de la publication, le 15 avril dernier, d’un communiqué en ce sens de la Confédération Nationale de la Boulangerie-Pâtisserie Française suivi d’un autre de la Fédération Française des Artisans Fleuristes. Rappelons pourtant que, au terme de leur convention collective, les boulangeries peuvent déjà ouvrir les dix autres jours fériés légaux, ce qui explique pourquoi nous aurons droit à des œufs en (…) #Contributions

  • GÉNOCIDE ISRAÉLIEN A GAZA.
    https://bellaciao.org/GENOCIDE-ISRAELIEN-A-GAZA

    Les attaques ont repris le 18 mars après la rupture d’un cessez-le-feu qui avait maintenu un calme relatif pendant des semaines. Depuis lors, Israël a repris ses opérations aériennes et terrestres à Gaza, intensifiant une offensive qui a laissé un bilan dévastateur de plus de 51 000 morts et des dizaines de milliers de blessés palestiniens, ainsi que des infrastructures gravement endommagées. #Contributions

  • En ces temps difficiles, le désespoir n’est pas une option !
    https://bellaciao.org/En-ces-temps-difficiles-le-desespoir-n-est-pas-une-option

    Je ne remercie pas souvent Elon Musk, mais il a fait un travail remarquable en montrant ce que nous soutenons depuis des années - et le fait que nous vivons dans une société oligarchique où les milliardaires dominent non seulement notre politique et les informations que nous consommons, mais aussi notre gouvernement et notre économie... Cela n’a jamais été aussi clair qu’aujourd’hui. Mais compte tenu des nouvelles et de l’attention que M. Musk a reçues ces dernières semaines pour avoir (…) #Contributions

  • Il “clima di terrore” tra i lavoratori dei centri per migranti in Albania

    Riservatezza e “obbligo di fedeltà” sono alcune delle clausole che i dipendenti di Medihospes Albania hanno dovuto sottoscrivere per iniziare a lavorare nelle strutture di #Shëngjin e #Gjadër. Gli operatori lamentano cattiva gestione e licenziamenti improvvisi. A un anno dall’aggiudicazione dell’appalto, la prefettura di Roma e il gestore non hanno ancora firmato il contratto. Mentre il governo ha riavviato i trasferimenti nella massima opacità. La nostra inchiesta.

    “Firmando il contratto abbiamo dovuto accettare una clausola che prevede ‘l’obbligo di fedeltà’: all’interno dei centri c’era un clima di terrore”, dice Arben, nome di fantasia di un ex dipendente della Cooperativa #Medihospes, l’ente gestore delle strutture per migranti di Shëngjin e Gjadër, in Albania, volute dal Governo Meloni. Un castello di carta retto da silenzio e “fedeltà” che poche informazioni fanno crollare in fretta.

    Documenti ottenuti da Altreconomia dimostrano infatti la confusionaria gestione del ministero dell’Interno dopo la frettolosa apertura di metà ottobre 2024, quando i centri erano in gran parte inagibili. A pochi mesi di distanza, la sostanza non è cambiata: il nuovo avvio dell’11 aprile è avvenuto nel buio più totale e ancora senza un contratto esistente tra la prefettura di Roma e Medihospes.

    Riavvolgiamo però il nastro per capire che cosa è successo. Esattamente un anno fa, il 16 aprile 2024, viene aggiudicato l’appalto da oltre 133 milioni di euro per la gestione dei centri e quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si reca in Albania il 5 giugno 2024 per inaugurarli, l’apertura sembra imminente. Non è così: tutto resta fermo per settimane con l’esecutivo che posticipa di mese in mese l’apertura. Poi, in pochissimi giorni arriva un’accelerazione.

    L’8 ottobre avviene il doppio passaggio di “consegna” della struttura di Gjadër, il cuore del progetto albanese che prevede oltre 800 posti tra l’hotspot, il Cpr e la sezione destinata al carcere: il ministero della Difesa italiano, che ha svolto i lavori, consegna le strutture alla prefettura di Roma che a sua volta ne affida la gestione a Medihospes. Il documento, ottenuto da Altreconomia, sottolinea che l’avvio è parziale e “in via d’urgenza” ma il motivo dell’improvvisa fretta del governo non è indicato. Quel che è lampante, invece, è il ritardo dei lavori come dimostra la mappa allegata al verbale di inizio attività in cui vengono delimitate le aree ancora oggetto di cantiere che coprono gran parte del perimetro dei centri.

    I problemi non sono solo relativi agli spazi inagibili. Con una nota del 14 ottobre 2024, a tre giorni dall’arrivo dei primi migranti intercettati in mare, Medihospes indica alla prefettura tutte le criticità di un avvio della gestione così precipitoso. “Sono state consegnate all’ente gestore due palazzine alloggi ma, come poi verificato nelle ore successive presso il sito di Gjadër, solo una è utilizzabile dal personale atteso che la seconda è priva di letti”. I posti destinati ad alloggi per l’ente gestore “da capitolato risultano essere 60” mentre al 14 ottobre erano stati consegnati “soli 24 posti e non 48”, come era stato evidentemente pattuito. Secondo la cooperativa ciò rappresenta una “enorme criticità che comporta un notevole aggravio dei costi per la conseguente sistemazione del personale trasfertista”.

    Ancora. “Il numero delle aree destinate a spogliatoio del personale dell’ente gestore risulta assolutamente insufficiente”. Un’altra criticità è l’assenza di un locale da destinare a mensa o sala per la distribuzione dei pasti, così come l’affidamento a Medihospes della gestione di una “control room” non rientrante nelle prestazioni previste dal capitolato e dagli atti di gara. Solo per questa attività, comunicata all’ente gestore a sette giorni dall’avvio del servizio, serviranno un totale di 336 ore settimanali per le operazioni di videosorveglianza, antintrusione, antincendio, gestione di accessi e la filodiffusione.

    La cooperativa si mette addirittura a disposizione per fornire servizi non previsti del bando di gara, compresa la citata “control room”. Il confine tra gestione e sorveglianza si fa così progressivamente sempre più labile. Tanto che l’ente segnala le problematiche relative ai “varchi con cancelli motorizzati, non essendoci cancelli pedonali per entrare nei singoli lotti”. Medihospes sottolinea che “l’apertura frequente dei cancelli carrabili aumenterebbe il rischio di tentativi di fuga dal singolo lotto verso le aree comuni”, auspicando la realizzazione di “cancelli metallici dotati di tornello” così da garantire un maggior controllo.

    Insomma, i centri allora sono ancora lontani dall’essere pronti ma il 15 ottobre, mentre la nave Libra sta trasportando le prime persone soccorse al largo di Lampedusa verso le coste albanesi, arriva la firma del “verbale di esecuzione anticipata”. La giustificazione indicata dalla prefettura è “l’esigenza e l’urgenza di assicurare nell’interesse pubblico l’avvio del servizio di accoglienza e dei servizi connessi”.

    “La mancata firma del contratto sembra testualmente fondarsi su ragioni di urgenza che tuttavia sono correlate all’interesse pubblico di vedere avviati i centri -osserva Maria Teresa Brocchetto, avvocata amministrativista di Milano e socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)– con una formulazione che suona solo tautologica e lascia inspiegata la ragione stessa dell’urgenza, a fronte di un protocollo della durata di cinque anni e di un contratto di gestione della durata di due anni prorogabile per altri due”. Un contratto che ancora oggi, a un anno di distanza, non sembra essere stato firmato.

    La confusione organizzativa poi ha avuto effetti negativi soprattutto sui lavoratori assunti da Medihospes, che a luglio 2024 ha aperto una filiale con sede a Tirana. “Ho siglato il contratto la notte prima dell’arrivo della nave Libra, non ho avuto neanche il tempo per leggere attentamente tutte le clausole”, riprende Arben, che racconta di non aver mai neanche ricevuto una copia dell’originale. “Ci è stata consegnata solo la fotocopia ma due mesi dopo la firma”, aggiunge, raccontando poi nel dettaglio come ha vissuto la prima operazione del governo. “Quando le prime persone sono arrivate sembravano spaventate, con gli sguardi assenti e sopraffatti dalle informazioni ricevute nell’hotspot di Shëngjin. Anche per noi è stato difficile seguire queste procedure”.

    Dopo il primo sbarco non sono stati solo i migranti ad affrontare la confusione ma anche gli operatori albanesi che non avevano ricevuto alcuna formazione. “Ci è stato detto di mantenere un ruolo di osservazione durante quella operazione. Non conoscevamo altri colleghi, né avevamo una visione d’insieme sul funzionamento dei centri. Fino alla fine di dicembre non abbiamo avuto nemmeno un ufficio”, sottolinea l’ex lavoratore, criticando la cattiva gestione e il caos della prima operazione avvenuta in fretta e furia. Tanto che i turni di lavoro sono stati forniti ai lavoratori molto tardi. “Tra le nove e le dieci della sera prima, e questo è accaduto anche nella seconda operazione”, spiega Arben.

    Inoltre, la prima formazione dello staff, durante la quale i lavoratori sono stati istruiti su tutte le procedure che si svolgono a Shëngjin e Gjadër con esercizi di simulazione sarebbe avvenuta solo una settimana dopo il primo trasferimento. Le sessioni informative sarebbero state condotte da Benedetto Bonaffini, imprenditore di Messina e già vicepresidente nazionale della Federazione italiana esercenti pubblici e turistici (Fiepet) di Confesercenti nonché colui che ha supportato Medihospes (allora Senis Hospes, come raccontato qui) a implementare le proprie attività nella città siciliana, soprattutto nell’ambito dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.

    I lavoratori albanesi assunti da Medihospes nei primi mesi di attività nei centri sono stati 99. Il contratto che hanno firmato ha stringenti clausole di riservatezza e fedeltà

    Nonostante gli esorbitanti investimenti per i centri stimati in 800 milioni di euro, i lavoratori hanno poi lamentato l’assenza di condizioni adeguate di base per il personale, tra cui il fatto che hanno dovuto viaggiare a proprie spese per coprire i venti chilometri di distanza che separano l’hotspot di Shëngjin ai centri di Gjadër. “Il mio turno più lungo è durato dalle otto del mattino alle undici di sera, anche se per legge non possiamo lavorare più di 12 ore -denuncia il lavoratore-. La cooperativa ci ha pagato tutti gli straordinari che abbiamo lavorato, ma non ci ha riconosciuto l’aumento del 25% del salario per le ore extra dopo le 19 previsto dal contratto”.

    Sulla base di una lista interna di lavoratori ottenuta da Altreconomia, Medihospes Albania avrebbe assunto 99 lavoratori nei primi mesi di attività dei centri. Tra ottobre 2024 e metà gennaio 2025 sono stati contrattualizzati dieci mediatori, 14 informatori legali, sette operatori sociali e altri professionisti sanitari e amministrativi. Uno di questi ci ha mostrato il contratto di lavoro, basato sul diritto albanese, evidenziando le stringenti clausole di riservatezza che hanno costretto molti dei suoi colleghi a non parlare con i giornalisti. L’articolo 11 s’intitola “Riservatezza”, quello successivo “Obbligo di fedeltà” e prevede il dovere dei lavoratori a “mantenere segrete tutte le informazioni relative all’attività del datore di lavoro, informazioni di cui è venuto a conoscenza durante il periodo di impiego presso il datore di lavoro”. Anche dopo la fine del rapporto di lavoro.

    Oltre al contratto, i lavoratori hanno dovuto firmare poi un codice di condotta, ovvero un documento interno che stabilisce le linee guida per garantire standard etici e professionali. Quest’ultimo li obbliga a consegnare il telefono all’ingresso del centro e a riporlo in un armadietto chiuso a chiave per utilizzarlo solo durante le pause, tranne nei casi in cui abbiano presentato al direttore del centro la richiesta di tenere il cellulare per esigenze di salute. Se non rispettano il codice di condotta, le persone assunte rischiano di incorrere in sanzioni che vanno dall’ammonimento scritto alla risoluzione del contratto. Come sostengono diversi ex dipendenti sentiti da Altreconomia, i rischi di infrangere il dovere di riservatezza ha fatto sì che si diffondesse paura nel denunciare potenziali abusi per timore di azioni legali o di licenziamento da parte dell’ente gestore.

    “Alcuni colleghi mi hanno raccontato di aver firmato il contratto il 3 febbraio quando i migranti erano già stati riportati in Italia. Appena due ore dopo la firma sono stati informati in una riunione che il rapporto di lavoro si sarebbe concluso a metà febbraio” – Arben

    Licenziamento che è comunque arrivato, per molti di loro, a metà febbraio. Infatti, dopo la conclusione dei primi tre mesi di contratto a gennaio 2025, alcuni dipendenti sono stati richiamati in vista del terzo tentativo del governo italiano di trasferire i migranti dopo i due “fallimenti” di ottobre. Ai lavoratori è stato fatto firmare un contratto di sei mesi ma le cose non hanno funzionato come il Governo Meloni auspicava: il 31 gennaio tutti e 43 i migranti portati in Albania hanno fatto rientro in Italia su decisione del Tribunale di Roma, che ha applicato la legge. “Alcuni colleghi mi hanno raccontato di aver firmato il contratto il 3 febbraio quando i migranti erano già stati riportati in Italia -sottolinea Arben-. Appena due ore dopo la firma sono stati informati in una riunione che il rapporto di lavoro si sarebbe concluso a metà febbraio”. La “giustificazione” data dall’ente gestore è stata fatta risalire a “una serie di pronunce giudiziarie contraddittorie e non conformi agli orientamenti della Corte di cassazione”, come si legge nella comunicazione di interruzione del contratto di lavoro inviata ai dipendenti da Walter Balice, l’amministratore di Medihospes Albania.

    L’ennesimo tentativo di rendere operativi i centri è iniziato come detto l’11 aprile di quest’anno con il trasferimento a Gjadër di 40 persone straniere rinchiuse nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) italiani. Due sono già tornate in Italia ma è una delle poche informazioni note. L’operazione è infatti avvenuta nella più totale opacità. “Non abbiamo potuto avere accesso alla lista di chi è rinchiuso e ci sono già stati gravi atti di autolesionismo -racconta Rachele Scarpa, parlamentare del Partito democratico che ha visitato i centri il 16 aprile-. Sul contratto, invece, l’ente gestore non ha potuto rispondere altro che ‘no comment’”.

    I nodi critici rimangono così molti. Non si sa se è previsto un importo minimo garantito a Medihospes per questi mesi di stop forzato delle strutture ma soprattutto la prefettura oggi sembra trovarsi in una posizione scomoda con l’ente gestore, vista la mancata firma del contratto a un anno dall’aggiudicazione dell’appalto. La prefettura di Roma non ha risposto alle nostre richieste di chiarimento, così come la cooperativa che si è limitata a dire che “essendo un fornitore” non gli è permesso commentare quello che succede nei centri in Albania.

    https://altreconomia.it/il-clima-di-terrore-tra-i-lavoratori-dei-centri-per-migranti-in-albania
    #Albanie #Italie #externalisation #travail #conditions_de_travail #contrat_de_travail #Medihospes_Albania #licenciement #sous-traitance #privatisation #obbligation_de_loyauté #migrations #réfugiés #asile #control_room #Benedetto_Bonaffini #code_de_conduite #Walter_Balice

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Automutilation, « violation flagrante des droits », expulsion coûteuse... Les transferts de migrants vers l’Albanie sous le feu des critiques

      Dix jours après le transfert de 40 migrants d’Italie vers l’Albanie en vue d’une expulsion vers leur pays d’origine, deux personnes ont dû être rapatriées en Italie pour des cas d’automutilation et deux autres pour des questions juridiques. Dans la structure de Gjadër, les exilés sont confrontés à une « violation fragrante de leurs droits », estiment des parlementaires qui ont visité les lieux. Les autorités italiennes, de leur côté, vantent le « premier rapatriement d’un citoyen étranger » détenu en Albanie.

      Les revers s’enchaînent pour le gouvernement italien dirigé par la Première ministre d’extrême droite Giorgia Meloni. Dix jours après le transfert en Albanie de 40 migrants, quatre d’entre eux sont déjà de retour en Italie, indique la presse locale.

      Le 11 avril, 40 exilés maintenus en centre de rétention italien ont été expulsés vers le centre albanais de Gjadër, dans le cadre d’un accord entre Rome et Tirana. Ils sont désormais enfermés dans la structure en attendant leur renvoi dans leur pays d’origine. Une procédure qui peut prendre des mois.

      Très peu d’informations ont filtré sur la nationalité et le profil de ces personnes. Selon Rome, plusieurs d’entre elles ont des casiers judiciaires pour des faits de violences, de tentative de meurtre ou de trafic de drogue.
      Inaptes à la détention

      Mais ce transfert, largement salué par le gouvernement, semble déjà avoir du plomb dans l’aile. Quelques jours après leur arrivée en Albanie, deux migrants ont été rapatriés vers l’Italie pour des cas d’automutilation. Du fait de leur état psychologique, ils ont été jugés inaptes à ce type de détention.

      Deux autres ont été renvoyés sur le sol italien pour des questions juridiques : l’un car son appel sur sa demande d’asile n’a pas encore été traitée par la justice italienne, l’autre parce qu’il a déposé une demande de protection internationale à son arrivée en Albanie.

      En effet, l’accord entre les deux pays stipulent que seuls les migrants jamais entrés en Italie et les personnes en situation irrégulière présente sur le territoire national peuvent être transférés en Albanie. En demandant l’asile, même une fois arrivé sur le sol albanais, cette personne n’entre dans aucune de ces deux catégories, et ne peut donc être retenue à Gjadër.
      Première expulsion controversée vers le Bangladesh

      Le gouvernement, lui, préfère mettre en avant la réussite de son projet. Samedi 19 avril, le ministre de l’Intérieur Matteo Piantedosi s’est ainsi réjoui sur X du « premier rapatriement d’Albanie d’un citoyen étranger détenu au centre de Gjadër ». « Les opérations de rapatriement des migrants irréguliers se poursuivront dans les prochains jours comme le prévoit la stratégie du gouvernement pour une action plus efficace de lutte contre l’immigration illégale », a-t-il martelé.

      Mais le ministre omet de préciser que pour parvenir à cette évacuation, le processus a été long et coûteux. Selon la presse italienne, ce ressortissant bangladais de 42 ans a été transféré fin mars du centre de rétention de Pian del Lago, à Caltanissetta (Sicile) où il se trouvait, vers celui de Brindisi (Sicile). C’est depuis cette structure que les 40 exilés ont été envoyés en Albanie le 11 avril. Après six jours dans le centre de Gjadër, le Bangladais a été rapatrié en l’Italie, et enfin expulsé vers Dacca. Les expulsions d’étrangers vers un pays tiers ne pouvant se faire directement depuis le sol albanais.

      Au total, cette expulsion a coûté pas moins de 6 000 euros aux autorités italiennes, contre 2 800 euros si l’homme n’avait pas été transféré en Albanie, d’après les calculs de la Repubblica.

      « Comment peut-on qualifier, sinon de farce, le fait de déplacer un migrant déjà détenu dans un CPR [centre de rétention, ndlr] en Italie vers l’Albanie et de le rapatrier, alors qu’il aurait pu être rapatrié directement d’Italie, plus tôt et sans frais supplémentaires pour la communauté ? », s’est interrogé sur les réseaux sociaux le vice-président du parti libéral Italia Viva, Davide Faraone. « Les CPR en Italie ne sont pas pleins (...) Il n’existe aucune situation de surpopulation justifiant l’utilisation de centres albanais inutiles et les mouvements de navires militaires le long de la Méditerranée », a insisté le responsable politique.
      « Opacité et manque d’accès à l’information »

      Dès les premiers jours, les transferts vers l’Albanie ont suscité de vives critiques. Lors d’une visite dans la structure de Gjadër mi-avril, la députée italienne Rachele Scarpa, du Parti démocrate (centre gauche), et l’eurodéputée Cecilia Strada (Alliance progressiste des socialistes et démocrates) ont pu rencontrer quatre des quarante migrants retenus.

      Selon ces femmes politiques, toutes les personnes « ont appris dès leur arrivée qu’elles seraient transférées en Albanie. Aucune information préalable n’a été donnée, en violation flagrante de leurs droits ». L’un des exilés a raconté avoir été réveillé à 3h du matin dans le centre de rétention italien où il se trouvait, et qu’il avait découvert qu’il était en Albanie qu’après l’atterrissage. Il n’avait pas eu accès à un avocat.

      Les parlementaires dénoncent aussi le manque de transparence du gouvernement. « L’ensemble de l’opération en Albanie est mené dans l’opacité et dans un manque d’accès à l’information pourtant cruciale pour l’exercice adéquat de nos pouvoirs d’inspection en tant que parlementaires. »

      Avec le transfert de 40 exilés début avril, le gouvernement italien tente de « remettre en activité » les centres d’accueil pour demandeurs d’asile que Rome a construit à grands frais en Albanie. Fin mars, le Conseil des ministres avait adopté un décret-loi permettant de recycler les structures en centres de rapatriement pour migrants en situation irrégulière.

      Un projet de reconversion qui témoigne de l’inutilité de ces centres alors que la justice italienne a refusé à plusieurs reprises de valider la détention en Albanie de migrants interceptés en mer, exigeant même leur rapatriement sur le territoire italien.

      La Première ministre d’extrême droite Giorgia Meloni défend, depuis son arrivée au pouvoir en octobre 2022, un projet de d’externalisation du traitement de l’immigration dans un pays tiers, présenté comme un « modèle » pour toute l’Europe.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/64111/automutilation-violation-flagrante-des-droits-expulsion-couteuse-les-t

  • Une journaliste de Télérama convoquée par la police pour un article non publié.
    https://bellaciao.org/Une-journaliste-de-Telerama-convoquee-par-la-police-pour-un-article-non-p

    Le Syndicat National des Journalistes (SNJ) dénonce une intimidation et défend la liberté de la presse et la protection des sources, piliers démocratiques face aux pressions répétées. Une journaliste de Télérama, qui travaille depuis plusieurs mois sur une personnalité du monde culturel, a été convoquée par la police, à la suite d’une plainte pour diffamation… alors qu’aucun article n’a encore été publié. L’organisation de défense des salariés a tenu à dénoncer une nouvelle atteinte à (…) #Contributions

  • Israël a tué la photojournaliste Fatima Hassouna...
    https://bellaciao.org/Israel-a-tue-la-photojournaliste-Fatima-Hassouna

    Israël a tué la photojournaliste Fatima Hassouna ainsi que 10 membres de sa famille lors du bombardement de sa maison, dans la bande de Gaza. La photojournaliste palestinienne, héroïne d’un documentaire sélectionné à Cannes en mai prochain, a été tuée mercredi 16 avril dans le bombardement de sa maison familiale à Gaza. Fatima était surnommée l’œil de Gaza en référence au travail gigantesque qu’elle a fait pour documenter les 18 mois de massacres à Gaza. L’ACID (association pour le (…) #Contributions

  • Construire un Nouveau Monde en Coopération
    https://ecovillageglobal.fr/25558

    Formation Oasis Construire un Nouveau Monde en Coopération ♦ avec Chloé Hermanowicz (cofondatrice de l’Oasis des âges et formatrice chez Fertiles) : formation à la coopération du 12 au 14 mai. ♦ Et Sophie Rabhi : formation à la médiation et sur la CNV les 15 et 16 mai. Propose : ♦ apprendre, partager et co-créer un avenir harmonieux. ♦ Pour porteur de projet, curieux ou en transition - Rubriques : Contacts et Echanges / Contacts / Saône-et-Loire (71) - Plus d’info et contact : https://ecovillageglobal.fr/25558

    #Contacts_et_Echanges/Contacts

  • La tyrannie de la #commodité (par #Tim_Wu)

    Traduction d’un texte essentiel sur la notion de commodité, de #confort, publié en 2018 par le juriste américain Tim Wu dans le New York Times[1]. Les organisations (institutions étatiques, think tanks, ONG, associations, etc.) et influenceurs de la mouvance éco-capitaliste ne remettent aucunement en question le confort moderne. Le pouvoir ne remettra évidemment jamais en cause ce qui lui permet de tenir le peuple en laisse. Ce texte est à mettre en relation avec une excellente réflexion critique sur le confort publiée récemment par l’anthropologue Stefano Boni.

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    La commodité est la force la plus sous-estimée et la moins comprise dans le monde d’aujourd’hui. En tant que moteur des décisions humaines, elle n’offre pas le frisson coupable des désirs sexuels inconscients de Freud ou l’élégance mathématique des incitations de l’économiste. La commodité est ennuyeuse. Mais l’ennui se différencie de la banalité.

    Dans les pays développés du XXIe siècle, la commodité – c’est-à-dire des moyens plus efficients et plus pratiques pour accomplir des tâches quotidiennes – semble être la force la plus puissante qui façonne nos vies et nos économies. C’est particulièrement vrai en Amérique, où, malgré tous les hymnes à la liberté et à l’individualité, on se demande parfois si la commodité n’est pas en fait la valeur suprême.

    Comme l’a récemment déclaré Evan Williams, co-fondateur de Twitter, « la commodité décide de tout ». La commodité semble prendre les décisions à notre place, l’emportant sur ce que nous aimons imaginer être nos véritables préférences. (Je préfère faire mon café, mais le Starbucks instantané est si pratique que je ne fais presque jamais ce que je « préfère »). Faciliter les choses ne suffit pas, il faut trouver la manière la plus facile de faire, la meilleure.

    La commodité a la capacité de rendre d’autres options impensables. Une fois que vous avez utilisé une machine à laver, le lavage du linge à la main semble irrationnel, même s’il est probablement moins onéreux. Une fois que vous avez fait l’expérience de la télévision à la demande, attendre de voir une émission à une heure déterminée à l’avance semble idiot, voire un peu indigne. Résister à la commodité – ne pas posséder de téléphone portable, ne pas utiliser Google – en vient à exiger un dévouement particulier souvent pris pour de l’excentricité, voire du fanatisme.

    Malgré toute son influence dans sa manière de façonner les décisions individuelles, la part la plus importante du pouvoir de la commodité pourrait découler de décisions prises à un échelon global, à un niveau où il contribue de manière critique à structurer l’économie moderne. La bataille pour la commodité, particulièrement dans les secteurs liés à la #technologie, c’est la bataille pour s’assurer la #domination dans l’#industrie.

    Les Américains disent qu’ils accordent une grande importance à la #concurrence, à la multiplication des #choix, à l’individu. Pourtant, notre goût pour la commodité engendre plus de commodité, grâce à la combinaison des #économies_d’échelle et du pouvoir de l’#habitude. Plus il est facile d’utiliser Amazon, plus Amazon devient puissant – ce qui rend encore plus facile d’utiliser Amazon. La commodité et le #monopole semblent être des alliés naturels.

    Compte tenu de la croissance de la commodité – en tant qu’#idéal, #valeur, #mode_de_vie – il est utile de se demander ce que notre obsession pour celle-ci fait pour nous et pour notre pays. Je ne veux pas suggérer que la commodité est une force malfaisante. Rendre les choses plus faciles n’est pas un mal en soi. Au contraire, elle ouvre souvent des possibilités qui semblaient autrefois trop onéreuses à envisager, et elle rend généralement la vie moins pénible, en particulier pour les personnes les plus vulnérables aux corvées quotidiennes.

    Mais nous nous trompons en présumant que la commodité est toujours une bonne chose, car elle entretient une relation complexe avec d’autres idéaux qui nous sont chers. Bien qu’elle soit comprise et promue comme un instrument de libération, la commodité dévoile une face plus sombre. Avec sa promesse d’#efficacité en douceur et sans effort, elle menace d’effacer le genre de luttes et de défis qui donnent un sens à la vie. Créée pour nous libérer, elle peut devenir une #contrainte influençant ce que nous sommes prêts à faire. Et donc de manière subtile, elle peut nous asservir.

    Il serait pervers d’ériger l’inconfort en idéal, mais lorsque nous laissons la commodité décider de tout, nous capitulons trop souvent.

    La commodité telle que nous la connaissons aujourd’hui est un produit de la fin du XIXe siècle et du début du XXe siècle, lorsque des dispositifs permettant d’économiser le travail à la maison ont été inventés et commercialisés. Parmi les #innovations marquantes, citons l’invention des premiers « #aliments_de_confort », tels que le porc et les haricots en conserve et le Quaker Quick Oats [flocons d’avoine en boîte, NdT], les premières machines à laver électriques, les produits de nettoyage comme la poudre à récurer Old Dutch, et d’autres merveilles comme l’aspirateur électrique, le mélange pour gâteau instantané et le four à micro-ondes.

    La commodité apparaissait comme la version domestique d’une autre idée de la fin du XIXe siècle – l’#efficience_industrielle et la « gestion scientifique du travail » qui l’accompagnait. Elle représentait l’adaptation de la philosophie de l’usine à la vie domestique.

    Aussi banal que cela puisse paraître aujourd’hui, la commodité, grande libératrice de l’humanité enfin délivrée du #travail, était un #idéal_utopique. En faisant gagner du #temps et en éliminant la #corvée, elle créerait la possibilité de s’adonner à des #loisirs. Et avec les loisirs viendrait la possibilité de consacrer du temps à l’apprentissage, aux passe-temps ou à tout ce qui pouvait vraiment compter. La commodité mettrait à la disposition du grand public le type de liberté et d’élévation culturelle autrefois réservé à l’aristocratie. Dans cette perspective, la commodité apparaissait également comme une grande niveleuse des inégalités.

    Cette idée – la commodité perçue comme une #émancipation – peut être enivrante. Ses représentations les plus captivantes se trouvent dans la science-fiction et les univers futuristes imaginés au milieu du XXe siècle. Des magazines sérieux comme Popular Mechanics et des divertissements loufoques comme The Jetsons nous ont enseigné que la vie dans le futur atteindrait l’idéal du confort parfait. La nourriture serait préparée en appuyant sur un bouton. Les trottoirs en mouvement nous épargneraient l’ennui de la marche. Les vêtements se nettoieraient d’eux-mêmes ou s’autodétruiraient après une journée à les porter. La fin de la lutte pour l’existence pourrait enfin être envisagée.

    Le rêve de la commodité se fonde sur une représentation cauchemardesque de l’#effort_physique. Mais le travail éprouvant est-il toujours un cauchemar ? Voulons-nous vraiment être émancipés de tout cela ? Peut-être que notre humanité s’exprime parfois par des actions incommodes et des quêtes de longue durée. C’est peut-être la raison pour laquelle, à chaque avancée du confort, des résistants se manifestent. Ils résistent par entêtement, oui (et parce qu’ils ont le luxe de le faire), mais aussi parce qu’ils voient une menace pour leur identité, pour leur capacité à contrôler les choses qui comptent pour eux.

    À la fin des années 1960, la première révolution de la commodité commença à s’étouffer. La perspective d’une vie où l’inconfort aurait disparu semblait avoir perdu la première place parmi les grandes aspirations de la société. Commodité signifiait #conformité. La #contre-culture incarnait le besoin des gens de s’exprimer, de réaliser leur potentiel individuel, de vivre en harmonie avec la nature plutôt que de chercher constamment à surmonter ses nuisances. Jouer de la guitare n’était pas facile. Il n’était pas non plus aisé de cultiver ses propres légumes ou de réparer sa propre moto, mais de telles choses étaient néanmoins considérées comme ayant de la valeur – ou plutôt considérées comme un accomplissement. Les gens recherchaient à nouveau à se réaliser en tant qu’individus.

    Dès lors, il était peut-être inévitable que la deuxième vague de technologies de confort – la période que nous vivons – cherche à récupérer cet idéal. Elle rendrait l’#individualité plus pratique.

    Vous pouvez faire remonter le début de cette période à la sortie du Walkman de Sony en 1979. Avec le #Walkman, nous pouvons observer un changement subtil mais fondamental dans l’idéologie de la commodité. Si la première révolution de la commodité promettait de vous faciliter la vie et le travail, la seconde promettait de vous faciliter d’être vous-même. Les nouvelles technologies étaient des catalyseurs de l’#individualité. Elles ont permis l’application de l’efficience industrielle à l’expression individuelle.

    Prenons l’homme du début des années 1980 qui se promenait dans la rue avec son walkman et ses écouteurs. Il est enfermé dans un environnement acoustique de son choix. Il profite, en public, du genre d’expression qu’il ne pouvait autrefois connaître que dans son salon privé. Une nouvelle technologie lui permet de montrer plus facilement qui il est, ne serait-ce qu’à lui-même. Il se pavane dans le monde entier telle une vedette jouant dans son propre film.

    Cette vision est si séduisante qu’elle en est venue à dominer notre existence. La plupart des technologies puissantes et dominantes créées au cours des dernières décennies mettent la commodité au service de la #personnalisation et de l’#individualité. Pensez au magnétoscope, à la playlist, à la page Facebook, au compte Instagram. Ce genre de commodité ne consiste plus à économiser du travail physique – beaucoup d’entre nous n’avons plus à transpirer pour gagner notre vie. Il s’agit de minimiser les ressources mentales nécessaires pour choisir parmi les options disponibles afin d’exprimer son individualité ; la commodité en un clic, un guichet unique, l’expérience sans accroc du « plug and play ». L’idéal poursuivi ? La #préférence_individuelle, le tout sans effort.

    Bien sûr, nous sommes prêts à payer un prix plus élevé pour la commodité, mais nous réalisons moins souvent que nous acceptons de remplacer un service gratuit par un service payant plus commode. Par exemple, à la fin des années 1990, les technologies de distribution de la musique comme Napster ont permis de mettre de la musique en ligne gratuitement, et beaucoup de gens ont profité de cette nouvelle option. Mais s’il reste facile d’obtenir de la musique gratuitement, pratiquement plus personne n’en télécharge illégalement aujourd’hui. Pourquoi ? Parce que le lancement de l’iTunes store en 2003 a rendu l’achat de musique encore plus pratique que le téléchargement illégal. La commodité a battu la #gratuité.

    Alors que les tâches quotidiennes se simplifient, un désir croissant pour davantage de confort crée une incitation à rendre tous les aspects de notre vie encore plus simple. Ce qui ne devient pas plus commode se fait distancer. Nous sommes pourris gâtés par l’instantanéité et nous sommes agacés par les tâches qui restent à un niveau antérieur d’effort et de durée. Lorsque vous pouvez éviter la file d’attente et acheter des billets de concert sur votre téléphone, faire la queue pour voter lors d’une élection devient irritant. C’est particulièrement vrai pour ceux qui n’ont jamais eu à faire la queue (ce qui peut expliquer le faible taux de participation des jeunes aux élections).

    La vérité paradoxale à laquelle je veux en venir, c’est que les technologies actuelles d’individualisation forment un ensemble de technologies d’individualisation de masse. La personnalisation peut être étonnamment uniformisante. Tout le monde ou presque est sur Facebook : c’est le moyen le plus pratique pour garder le contact avec vos amis et votre famille, qui en théorie devraient représenter ce qui il y a d’unique en vous et dans votre vie. Pourtant, avec Facebook, nous nous ressemblons tous. Son format et ses conventions nous privent de toutes les expressions d’individualité, sauf les plus superficielles telle que la photo d’une plage ou d’une chaîne de montagnes que nous choisissons en image de couverture.

    Je ne nie pas que faciliter les choses peut être d’une grande utilité en nous offrant de nombreux choix (de restaurants, de services de taxi, d’encyclopédies open-source) là où nous n’en avions que peu ou pas du tout auparavant. Mais être humain ne se résume pas à avoir des choix à faire. Il s’agit également de savoir comment faire face aux situations qui nous sont imposées, comment surmonter les défis qui en valent la peine et comment mener à bien les tâches difficiles – les combats qui contribuent à faire de nous ce que nous sommes. Qu’advient-il de l’expérience humaine lorsque tant d’obstacles et d’entraves, d’exigences et de préparatifs sont supprimés ?

    Le culte moderne de la commodité ne reconnaît pas que la #difficulté est une caractéristique constitutive de l’expérience humaine. La commodité y est décrite comme une destination et non un voyage. Mais escalader une montagne, ce n’est pas pareil que de prendre le tramway pour se rendre jusqu’au sommet, même si l’on arrive au même endroit. Nous devenons des personnes qui se soucient principalement ou uniquement des résultats. Nous risquons de faire de la plupart de nos expériences de vie une série de trajets en tramway.

    La commodité doit servir un but plus élevé qu’elle-même, de peur qu’elle ne conduise qu’à plus de commodité. Dans un ouvrage paru en 1963 devenu depuis un classique (The Feminine Mystique), Betty Friedan a examiné l’apport des technologies domestiques pour les femmes. Elle en a conclu que l’#électroménager avait simplement créé plus de demandes. « Même avec tous les nouveaux appareils qui permettent d’économiser du travail », écrit-elle, « la femme au foyer américaine moderne passe probablement plus de temps à faire des #travaux_ménagers que sa grand-mère ». Lorsque les choses deviennent plus faciles, nous pouvons chercher à remplir notre temps de vie avec d’autres tâches plus « faciles ». À un moment donné, la lutte déterminante pour la vie se transforme en une tyrannie de petites corvées et de décisions insignifiantes.

    Une conséquence fâcheuse de la vie dans un monde où tout est « facile » ? La seule compétence qui compte se résume à la capacité de faire plusieurs choses à la fois. À l’extrême, nous ne faisons rien ; nous ne faisons qu’organiser ce qui sera fait, une base bien peu solide pour une vie décente.

    Nous devons consciemment accepter l’#inconfort – pas toujours, mais plus souvent. De nos jours, faire au moins quelques choix incommodes, c’est cela l’individualité. Vous n’avez pas besoin de baratter votre propre beurre ou de chasser pour vous procurer votre propre viande, mais si vous voulez être quelqu’un, vous ne pouvez pas permettre que la commodité soit la valeur qui transcende toutes les autres. La lutte n’est pas toujours un problème. Parfois, la #lutte est une solution. Elle peut devenir une solution pour découvrir qui vous êtes.

    Accepter l’inconfort peut sembler étrange, mais nous le faisons déjà sans le considérer comme telle. Comme pour masquer le problème, nous donnons d’autres noms à nos choix incommodes : nous les appelons #hobbies, loisirs, #vocations, #passions. Ce sont les activités non utilitaires qui contribuent à nous définir. Elles nous récompensent en façonnant notre personnalité car elles impliquent de se frotter à une résistance significative – avec les lois de la nature, avec les limites de notre propre corps – par exemple en sculptant du bois, en faisant fondre des matières premières, en réparant un appareil cassé, en écrivant un code, en surfant des vagues ou encore en persévérant au moment où vos jambes et vos poumons commencent à se rebeller lorsque vous courez.

    De telles activités prennent du temps, mais elles nous redonnent aussi du #temps. Elles nous exposent au risque de #frustration et d’#échec, mais elles peuvent aussi nous apprendre quelque chose sur le monde et sur la place que nous y occupons.

    Réfléchissons donc à la #tyrannie_de_la_commodité, essayons plus souvent de résister à sa puissance stupéfiante, et voyons ce qui se passe. Nous ne devons jamais oublier le plaisir pris à faire quelque chose de lent et de difficile, la #satisfaction de ne pas faire ce qui est le plus facile. Cette constellation de choix inconfortables est probablement ce qui nous sépare d’une vie totalement conforme et efficiente.

    https://greenwashingeconomy.com/tyrannie-commodite-par-tim-wu
    #facilité #résistance