• In questo mondo : qualche riflessione su #Io_Capitano

    Rappresentare il dolore, la pena e la povertà degli altri è sempre un compito delicato e complicato. La migrazione oggi, resa illegale dalla legislazione europea e spettacolarizzata dai media, è il caso più evidente. L’empatia è apparentemente generata solo quando l’anonimato dei corpi stranieri può essere individualizzato per essere raccontato. Poteri e relazioni strutturali più ampie sono solitamente allontanati dal racconto, ridotti a vaghi riconoscimenti. La storia richiede l’identificazione dell’individuo. O, almeno, questo è ciò che ci insegna la nostra cultura.

    Tutto ciò è stato istituzionalizzato sia nella filosofia politica che nei romanzi che raccontano le nostre vite. Tuttavia, è una prospettiva che ci lascia con una povertà di spiegazioni e di comprensione. Nel recente film di Matteo Garrone, Io Capitano, incontriamo tali domande e problemi. Il viaggio di Seydou e del suo amico Moussa dal Senegal attraverso il Sahel e la Libia, e poi il Mediterraneo, è intensamente raccontato in tutti i suoi strazianti dettagli. Seydou, indotto dai suoi rapitori libici a guidare un barcone verso l’Europa, sperimenta tutte le remore morali della sua responsabilità. Nonostante tutto, riesce nella sua impresa. È un eroe e c’è un (temporaneo) lieto fine. Ma sappiamo che non è così. Oltre alle torture in Libia, questi migranti affrontano anche le condizioni di quasi schiavitù in Italia. Senza documenti e protezione, sono soggetti alla condizione di non avere il diritto di avere diritti. Il sogno europeo è spesso un incubo. Intrappolata in questi meccanismi, ulteriormente codificati e rafforzati dal razzismo strutturale, questa non è certo una narrazione che può essere facilmente trasmessa. Soprattutto, se siamo onesti, essa rivela la nostra responsabilità primaria nel racconto. Nel caso del film di Garrone, la costruzione dell’Africa come luogo di estrazione umana e materiale a beneficio dell’Occidente – dalla schiavitù e l’inizio della modernità atlantica ai metalli preziosi dei nostri gioielli e cellulari – riguarda in ultima analisi la costituzione coloniale del presente. Il migrante moderno non è solo un rifugiato economico o uno sgradito portatore di crisi, ma rappresenta piuttosto il ritorno di quella storia repressa.

    Quindi, cosa sto dicendo? Il film di Garrone non avrebbe dovuto essere realizzato? È un fallimento politico ed etico (e quindi estetico)? Le cose non sono mai così semplici. La consolazione delle alternative binarie, persino del ragionamento dialettico, sfugge. Per il momento, siamo bloccati con la narrazione individualizzata, con scelte e orizzonti ridotti a una comprensione soggettiva del mondo che oscura forze più profonde e relazioni più ampie. Il trucco è lavorare su questa imposizione in modo tale da spingerci oltre questi parametri. La risposta umanista all’eroe migrante è insufficiente. Dopo tutto, ci conferma nella nostra formazione del sentimento, quella stessa formazione che ha prodotto il ‘migrante’ contemporaneo attraverso la nostra colonizzazione delle risorse umane e materiali del pianeta.

    Non c’è una formula ovvia o un’alternativa pronta. Si tratta, pensando con il cinema, di un’estetica cinematografica che ci prepara a un’altra etica in cui la nostra posizione e il nostro punto di vista sono messi in discussione, interrotti, persino emarginati o aggirati. Il metodo non può che risiedere nella pratica cinematografica stessa.

    Ho in mente due film che affrontano il percorso etico ed estetico proposto in Io Capitano. Uno è diretto nel suo stile ‘documentaristico’ come il film di Garrone: Cose di questo mondo (2002) di Michael Winterbottom. L’altro, di Abderrahmane Sissako, Aspettando la felicità (2002), suggerisce un modo poetico di riconfigurare le brutali imposizioni della modernità. Mi limito al film di Winterbottom, più vicino per stile e intenti a quello di Garrone, dove entrambi i registi europei affrontano l’alterità di altri mondi che la loro (mia) cultura ha inquadrato e ora punisce. Nel film In This World seguiamo due afghani, Jamal e Enayatullah, provenienti dal campo profughi di Shamshatoo, vicino a Peshawar, nel nord-ovest del Pakistan, mentre cercano di raggiungere Londra attraversando Iran, Kurdistan, Turchia, Italia e Francia. Enayatullah muore per soffocamento nel container che porta loro e altri migranti da Istanbul via mare a Trieste. Jamal alla fine riesce ad arrivare a Londra. La ruvida bellezza del paesaggio, la violenza dei confini e l’avidità dei trafficanti sono presenti in tutta la loro crudezza.

    Anche il giovanissimo Jamal è un eroe semplicemente per essere sopravvissuto a tutte le avversità. Tuttavia, le relazioni sociali che si creano lungo il percorso, dalla vita familiare allargata a Peshawar alla solidarietà in Kurdistan e all’amicizia nella ‘giungla’ di Calais, ci fanno costantemente entrare in un mondo più ampio. Il singolo viaggiatore non è semplicemente parte della migrazione moderna: il campo di Peshawar è presentato all’inizio del film come il prodotto dell’aggressione prima sovietica e poi americana e alleata, dove sono state spesi quasi 8 miliardi di dollari nel 2001 per sganciare delle bombe sull’Afghanistan. Le brutali semplicità della geopolitica trasformano un’odissea personale in una riorganizzazione radicale delle mappe del mondo moderno: dal basso, dai margini, dal silenzio di altre storie. Anche la mia narrazione non riesce a marcare la differenza. Ciò che si nasconde nel linguaggio cinematografico è un eccesso che allude a qualcosa in più della spiegazione verbale. L’immagine contiene sempre un supplemento in più del semplice svolgimento del racconto. Lasciarla per così dire respirare, sottraendoci alla linearità della narrazione, dissemina una complessità in cui la poetica sostiene una politica più opaca ma profonda (lo stesso si può dire del film di Sissako).

    Riflettendo sul film di Matteo Garrone, delle cui opere cinematografiche resto un ammiratore, sia l’idealizzazione della vita familiare in Senegal sia l’impeto incessante della narrazione che ci spinge verso il Mediterraneo e l’Europa ci negano quello spazio: le sue ambiguità e complessità. Le immagini sono drammatiche, i sentimenti ben intesi, ma la sua estetica resta bloccata da un’etica che ha il fiato corto, che non è disposta a scavare più a fondo e nemmeno a lasciare che il migrante abiti una storia e un mondo che non è semplicemente nostro da raccontare.

    Chiaramente, non esiste una soluzione. Solo un viaggio critico perpetuo. Nel continuum coloniale del presente i nostri fallimenti, una volta riconosciuti e registrati, segnano ulteriori percorsi da perseguire.

    http://www.technoculture.it/author/i-chambers
    #film #douleur #empathie #migrations #colonisation #présent_colonial #colonialité_du_présent #Afrique #esthétique #éthique #continuum_colonial

  • Fishing communities’ blues. The impacts of the climate crisis in Senegal

    This action-research documentary focuses on the climate crisis in Senegal and its devastating impacts on the livelihoods of those living in small fishing communities in Dakar and Saint Louis.

    Through stories of local people and activists, the film challenges depoliticised constructs of the climate crisis as solely ’natural’ and instead draws attention to the ongoing colonial continuities underpinning the climate crisis and the structures of racial capitalism that create socio-spatial inequalities in environment and mobility.

    This documentary was produced from the climate justice initiativ Climate of Change (climateofchange.info). It was produced with the fincial support of the European Union. Its contents are the sole responsibility of Südwind and do not necessarily reflext the views of the European Union.

    https://www.youtube.com/watch?v=mFKJrT1ndLc

    #Sénégal #pêche #climat #changement_climatique #Dakar #Saint-Louis #continuité_coloniale #capitalisme_racial #capitalisme #pêcheurs #néolibéralisme #urbanisation
    #film #film_documentaire #documentaire

  • Reinventing the path from #knowledge to #action in #Global_health
    https://redasadki.me/2022/10/12/reinventing-the-path-from-knowledge-to-action-in-global-health

    At #The_Geneva_Learning_Foundation (TGLF), we have just begun to share a publication like no other. It is titled Overcoming barriers to vaccine acceptance in the community: Key learning from the experiences of 734 frontline health workers. You can access the full report here in French and in English. Short summaries are also available in three special issues of The Double Loop, the Foundation’s free Insights newsletter, now available in both English and French. The report, prefaced by Heidi Larson who leads the Vaccine Confidence Project, includes DOI to facilitate citation in academic research. (The Foundation uses a repository established and maintained by the Geneva-based CERN for this purpose.) However, knowing that academic papers have (arguably) an average of three readers, we have (...)

    #Learning_strategy #Chris_Argyris #continuous_learning #double-loop_learning #Immunization_Agenda_2030 #knowledge_management #repositories

  • Scandales sanitaires : des femmes en première ligne
    https://www.caminteresse.fr/sante/scandales-sanitaires-des-femmes-en-premiere-ligne-11157697

    Dix ans après le scandale du Médiator révélé par la pneumologue Irène Frachon, les laboratoires Servier ont été reconnus coupables de "tromperie aggravée" et condamnés à 2,7 millions d’euros d’amende ce lundi. Derrière les récents combats de santé publique, il y a très souvent des femmes, qui militent pour une médecine plus sûre et plus transparente.

    Elles s’appellent Aurélie Joux, Marine Martin, Marielle Klein, Marion Larat… Toutes ont un point commun : elles ont mobilisé l’opinion contre les dangers d’un médicament, d’un dispositif médical ou le détournement de son usage : le Distilbène, la Dépakine, le Cytotec, les implants Essure, le Lévothyrox…

    De simples patientes, ces femmes sont devenues des « combattantes ». Des « Résistantes » même, juge Florence Méréo, spécialiste de la santé au Parisien, qui a recueilli le témoignage de douze d’entre elles dans son livre Les résistantes, paru en 2019. Douze femmes qui font bouger la médecine..

    Si toutes ces femmes ont été au cœur des récents scandales sanitaires, c’est aussi qu’elles « en ont payé le plus lourd tribut », analyse Florence Méréo. Les produits incriminés concernent en effet des problématiques typiquement féminines : grossesse, contraception, accouchement… Ou des médicaments utilisés majoritairement par les femmes, tel le Lévothyrox (85% des prescriptions). C’était aussi le cas du Médiator, destiné aux diabétiques mais prescrit comme coupe-faim (75% de consommatrices en France). La pneumologue Irène Frachon avait alerté dès 2008 sur sa toxicité cardiaque. Les lanceuses d’alerte qui ont suivi sa trace se réclament toutes de cette figure de proue.
    Le combat de femmes ordinaires

    Mais cette fois, ce sont les patientes elles-mêmes qui montent au créneau. Certaines sont des victimes directes, comme Marielle Klein, qui a subi de graves symptômes neurologiques et musculaires après la pose des implants Essure, en 2011. Les autres ont été touchées dans la chair de leur chair. Timéo, le fils d’Aurélie Joux, est né lourdement handicapé après le déclenchement de l’accouchement avec du Cytotec. Les deux enfants de Marine Martin, qui a dénoncé les effets de l’anti-épileptique Dépakine pendant la grossesse, souffrent aussi de handicap. Elles racontent comment des industriels ou des médecins ont tenté de les faire passer pour des « folles », des « hystériques » ou des « emmerdeuses ». Parce qu’elles sont des femmes ?

    Aucune étude ne le prouve, mais des travaux montrent que lorsque les femmes se plaignent de douleurs, par exemple, leur ressenti est moins bien pris en compte que celui des hommes.

    Une persévérance qui a un prix

    Envers et contre tout, elles ont persisté, parfois des années durant, jusqu’à devenir des « porteuses d’alerte » : un concept développé par Solène Lellinger, maître de conférence en histoire et épistémiologie des Sciences à Paris-7, dans sa thèse sur les accidents médicamenteux et la genèse du scandale du Médiator. « La lanceuse d’alerte tire la sonnette d’alarme. Mais le terme “porteuse” indique qu’il faut tenir sur la durée », explique- t-elle. Au prix de conséquences parfois lourdes : Marine Martin y a laissé son emploi pour se consacrer à son association depuis neuf ans. Marielle Klein, elle, a quitté la présidence de Resist au bout de trois ans pour retrouver une vie familiale plus sereine. Derrière, d’autres femmes prennent déjà la relève. Dans l’affaire du Distilbène, le combat se transmet de mère en fille. Des études suggèrent que les enfants de la 3e génération pourraient être impactés.

    Je m’étonne au sujet de ce paragraphe :
    Aucune étude ne le prouve, mais des travaux montrent que lorsque les femmes se plaignent de douleurs, par exemple, leur ressenti est moins bien pris en compte que celui des hommes.
    Comment est-ce possible qu’aucune étude ne montre ce biais ?

    #violences_sexistes #violences_gynécologiques #violences_médicales #misogynie #continuum_féminicidaire #essure

  • Tuer les femmes, une histoire mondiale.
    Les couilles sur la table 74.
    https://www.youtube.com/watch?v=0eq4raE722k


    https://www.youtube.com/watch?v=JcwmGXs2zNs

    #fémicide - Mot inventé dans les années 1970 par les féministes de la seconde vague qui sert à nommé un crime qui n’existe pas car il est confondu avec les homicides. Le fémicide désigne un assassinat de femmes par un partenaire masculin. Ce concepts reste utilisé pendant 20 ans.

    #féminicide - Au Mexique, à Ciudad Juares les féministes montrent que les femmes n’ont pas été tuées par leur conjoint, donc le mot « féminicide » est formé pour apporté une nuance. La majorité des corps ont été supplicié, violés, mutilés, démembrés, on parle de « surmeurtre ». C’est Marcela Lagarde de los Ríos qui forge le mot en 2006 pour désigné une crime colléctif, car de très nombreux hommes sont impliqués, c’est un crime d’état car il a participé avec les cartels, il y a une tendance gynocidaire/génocidaire dans ces crimes qui cherche à détruir tout ce qui fait des femmes une groupe et un univers.

    #continuum_féminicidaire - Après #me_too on se rend compte qu’on ne peu pas parlé uniquement des partenaires intimes comme destructeurs de femmes, les agresseurs sont polymorphes car des femmes sont tuées par des membres de leur famille. En élargissant le concepts on arrive au « continum fémicidaire » car il s’agit d’un agrégat de violences que les femmes ont elles même du mal à perçevoir. (Ici je pense que les scandales sanitaires qui touchent systématiquement les femmes font partie de se continuum)

    #misogynie #masculinité #haine #terrorisme #domestication #crime_de_propriétaire #domination_masculine

    • Féminicides
      Une histoire mondiale
      Christelle Taraud
      Dans tous les pays du monde, à toutes les époques, des femmes ont été tuées parce qu’elles étaient des femmes.
      L’historienne Christelle Taraud réunit dans ce livre les meilleures spécialistes mondiales de la question, des œuvres d’artistes et d’écrivaines, des témoignages et des archives… pour comprendre le continuum de violences qui s’exerce contre les femmes depuis la préhistoire.
      Un ouvrage essentiel et inédit, autant scientifique que politique.

      Avec les contributions de Gita Aravamudan, Claudine Cohen, Silvia Federici, Rosa-Linda Fregoso, Elisa von Joeden-Forgey, Dalenda Larguèche, Patrizia Romito, Rita Laura Segato, Aminata Dramane Traoré et plus d’une centaine d’autres autrices et auteurs.

      https://www.editionsladecouverte.fr/feminicides-9782348057915

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      Dans tous les pays du monde, à toutes les époques, des femmes ont été tuées parce qu’elles étaient des femmes.
      L’historienne Christelle Taraud réunit dans ce livre évènement les meilleures spécialistes mondiales de la question, des œuvres d’artistes et d’écrivaines, des témoignages et des archives… pour comprendre le continuum de violences qui s’exerce contre les femmes depuis la préhistoire. Un ouvrage essentiel et inédit, autant scientifique que politique.

      Introductions
      Une histoire mondiale des féminicides : pour quoi faire ? Par Christelle Taraud
      Quand les femmes sont tuées en raison de leur genre : le regard d’une féministe tunisienne, par Dalenda Larguèche
      Et avant l’histoire ? Introduction par Claudine Cohen
      Partie I. Chasse aux « sorcières », introduction par Silvia Federici
      Partie II. Esclavage et colonisation comme féminicide, introduction par Christelle Taraud
      Partie III. Meurtres de femmes et féminicides de masse, introduction par Rosa-Linda Fregoso
      Partie IV. Masculinismes et féminicides, introduction par Patrizia Romito
      Partie V. Féminicides et génocides, introduction par Elisa von Joeden-Forgey
      Partie VI. Normes de beauté, mutilations corporelles et annihilations identitaires, introduction par Christelle Taraud
      Partie VII. Tuer les filles, les domestiquer et les marchandiser, introduction par Gita Aravamudan
      Conclusions
      La guerre contre les femmes : un manifeste en quatre thèmes, par Rita Laura Segato
      En finir avec les féminicides par une sororité renforcée, par Aminata Dramane Traoré
      Les autrices et les auteurs

      https://www.santementale.fr/2022/09/feminicides-une-histoire-mondiale

  • PlayStation: Xbox’s Call of Duty offer was “inadequate on many levels” | GamesIndustry.biz
    https://www.gamesindustry.biz/playstation-xboxs-call-of-duty-offer-was-inadequate-on-many-levels

    Microsoft has promised to keep Call of Duty on PlayStation for three years beyond the current agreement between Activision and Sony, says PlayStation CEO Jim Ryan.

    In a statement provided to GamesIndustry.biz, Ryan says the offer was “inadequate on many levels.”

    The disagreement between the two companies follows Microsoft’s offer to buy Call of Duty publisher Activision Blizzard in a deal worth nearly $69 billion. The deal is currently being scrutinised by competitions regulators, with the UK regulator (The Competition and Markets Authority) concerned over the possibility of Microsoft “withholding or degrading” Activision Blizzard’s content from other consoles or subscription services.

    Last week, Xbox revealed that it had “provided a signed agreement to Sony to guarantee Call of Duty on PlayStation, with feature and content parity, for at least several more years” beyond Sony’s existing contract with Activision. Xbox said this offer “goes well beyond typical gaming industry agreements.”

    The current deal between Sony and Activision Blizzard around Call of Duty is believed to cover the next three releases, including this year’s Call of Duty: Modern Warfare 2.

    However, Sony says the offer fails to consider the impact on PlayStation gamers.

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #business #microsoft #activision_blizzard #sony #playstation #xbox #jeu_vidéo_call_of_duty #contrat #continuation #poursuite #competition_and_markets_authority #call_of_duty_modern_warfare_2 #jim_ryan #phil_spencer #console

  • De la #démocratie en #Pandémie. #Santé, #recherche, #éducation

    La conviction qui nous anime en prenant aujourd’hui la parole, c’est que plutôt que de se taire par peur d’ajouter des polémiques à la confusion, le devoir des milieux universitaires et académiques est de rendre à nouveau possible la discussion scientifique et de la publier dans l’espace public, seule voie pour retisser un lien de confiance entre le savoir et les citoyens, lui-même indispensable à la survie de nos démocraties. La stratégie de l’omerta n’est pas la bonne. Notre conviction est au contraire que le sort de la démocratie dépendra très largement des forces de résistance du monde savant et de sa capacité à se faire entendre dans les débats politiques cruciaux qui vont devoir se mener, dans les mois et les années qui viennent, autour de la santé et de l’avenir du vivant.

    https://www.gallimard.fr/Catalogue/GALLIMARD/Tracts/De-la-democratie-en-Pandemie

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    Et une citation :

    « La conviction qui nous anime en prenant aujourd’hui la parole, c’est que plutôt que de se taire par peur d’ajouter des #polémiques à la #confusion, le devoir des milieux universitaires et académiques est de rendre à nouveau possible la discussion scientifique et de la publier dans l’espace public, seule voie pour retisser un lien de confiance entre le #savoir et les citoyens, lui-même indispensable à la survie de nos démocraties. La stratégie de l’ _#omerta_ n’est pas la bonne. Notre conviction est au contraire que le sort de la démocratie dépendra très largement des forces de résistance du monde savant et de sa capacité à se faire entendre dans les débats politiques cruciaux qui vont devoir se mener, dans les mois et les années qui viennent, autour de la santé et de l’avenir du vivant. »

    #syndémie #désert_médical #zoonose #répression #prévention #confinement #covid-19 #coronavirus #inégalités #autonomie #état_d'urgence #état_d'urgence_sanitaire #exception #régime_d'exception #Etat_de_droit #débat_public #science #conflits #discussion_scientifique #résistance #droit #santé #grève #manifestation #déni #rationalité #peur #panique #colère #confinement #enfermement #défiance #infantilisation #indiscipline #essentiel #responsabilité #improvisation #nudge #attestation_dérogatoire_de_déplacement #libéralisme_autoritaire #autoritarisme #néolibéralisme #colloque_Lippmann (1938) #économie_comportementale #Richard_Thaler #Cass_Sunstein #neuroscience #économie #action_publique #dictature_sanitaire #consentement #acceptabilité_sociale #manufacture_du_consentement #médias #nudging #consulting #conseil_scientifique #comité_analyse_recherche_et_expertise (#CARE) #conseil_de_défense #hôpitaux #hôpital_public #système_sanitaire #éducation #destruction #continuité_pédagogique #e-santé #université #portefeuille_de_compétences #capital_formation #civisme #vie_sociale #déconfinement #austérité #distanciation_sociale #héroïsation #rhétorique_martiale #guerre #médaille_à_l'engagement #primes #management #formations_hybrides #France_Université_Numérique (#FUN) #blended_learning #hybride #Loi_de_programmation_de_la_recherche (#LPR ou #LPPR) #innovation #start-up_nation #couvre-feu #humiliation #vaccin #vaccination
    #livre #livret #Barbara_Stiegler

    • secret @jjalmad
      https://twitter.com/jjalmad/status/1557720167248908288

      Alors. Pour Stiegler je veux bien des ref si tu as ça, j’avais un peu écouté des conf en mode méfiance mais il y a un moment, sans creuser, et je me disais que je devais pousser parce qu’en effet grosse ref à gauche

      @tapyplus

      https://twitter.com/tapyplus/status/1557720905828253698

      Check son entretien avec Desbiolles chez les colibris par ex. T’as aussi ses interventions à ASI, son entretien avec Ruffin, etc. C’est une philosophe médiatique, on la voit bcp. Et elle dit bien de la merde depuis qq tps. Aussi un live de la méthode scientifique avec Delfraissy

      Je suis pas sur le PC mais je peux te lister pas mal de sources. D’autant plus pbtk parce que « réf » à gauche. Mais dans le détail elle dit de la merde en mode minimiser le virus + méconnaissance de l’antivaccinisme. Et du « moi je réfléchit » bien claqué élitiste et méprisant.

      Quelques interventions de B Stiegler (en vrac) :
      Alors la première m’avait interpellée vu qu’elle était partie en HS complet à interpeller Delfraissy sur les effets secondaires des vaccins : https://radiofrance.fr/franceculture/podcasts/la-methode-scientifique/et-maintenant-la-science-d-apres-8387446
      (le pauve N Martin se retrouvait sur un débat complètement HS)

      Il y a d’une part la critique politique (rapport à la démocratie en santé publique), mais pour Stiegler outre la position « le gvt en fait trop, c’est des mesures autoritaires inutiles » elle se positionne par ailleurs sur des choix

      Parler des EI des vaccins sans balancer avec les effets de la maladie. Utilisation de la santé mentale des enfants pour critiquer le port du masque à l’école, lecture de la situation où il n’y aurait que gvt vs libertay, et en omettant complètement toutes les positions développées par l’autodéfense sanitaire et les militants antivalidistes et de collectifs de patients (immunodéprimés, covid long, ...) quand ils ne vont pas dans son narratif.

      Elle met de côté toutes les lectures matérialistes de la situation et sort clairement de son champ de compétence sur certains points, tout en ne donnant que très peu de sources et de points de référence pour étayer ses propos.

      Genre elle critique la pharmacovigilance et les EI mais elle ne donne jamais aucune source ni aucune information sur les outils, méthodes et acteurs qui travaillent ces sujets. Pareil quand elle dit découvrir les critiques des vaccination. Il y a de quoi faire avec les travaux historique sur la #santé_publique et la vaccination. A t elle interrogé des spécialiste de ces sujets, notamment les spécialistes qui ne vont pas que dans le sens de son propos. Elle semble manquer cruellement de référence historique sur le sujet alors qu’elle s’en saisit et qu’elle a une aura d’#intellectuelle_de_gauche, donc plein de monde lui accorde une confiance et trouve qu’elle est très pertinente sur certains sujets. Mais sur le traitement des points techniques elle me semble plutôt à la ramasse et ce qui ne va pas dans son sens est renvoyé à la doxa gouvernementale ou technoscientiste liberale, sans apparemment regarder les contenus eux même. Et Desbiolles c’est pareil. Alla je connais moins et je l’ai entendu dire qq trucs pertinents (sur les profils des non vaccines par exemple) mais le fait qu’il cite Desbiolles devant l’opecst, alors que celle ci racontait des trucs bien limites sur les masques et les enfants, ça me met des warnings.

      Je rajouterai 2 points : 1) il y a des sujets super intéressants à traiter de trouver comment on construit une position collective sur des questions de santé publique, ni individualiste ni subissant l’autorité de l’état. Genre comment penser une réflexions sur les vaccinations (en général, pas spécifiquement covid) dans une perspective émancipatrice et libertaire, comment on fait collectif, comment on mutualise des risques, comment on se donne des contraintes individuelles pour soutenir celles et ceux qui en ont plus besoin.

      Stiegler ne fait que critiquer l’autoritarisme d’état, parle de démocratie, mais ne propose aucune piste concrète ni axe de réflexion pour développer cela. D’autres personnes le font et développent cela, et c’est des sujets non triviaux sur lesquels il est important de délibérer.

      2) Un autre point c’est son discours, comme ceux d’autres intellectuels, est surtout axé sur la partie « choix libre » de la phrase « choix libre et éclairé », et n’évoquent pas vraiment la manière dont on construit collectivement la partie « éclairé »

      Il y a des sujets super importants à traiter sur le rapport aux paroles d’expert, de la place des scientifiques dans un débat public, de la dialectique entre connaissance scientifique et choix politiques et éthiques, bref plein d’enjeux d’éducation populaire

      Ah et aussi dernier point que j’ai déjà évoqué par le passé : l’axe « liberté » sur les questions de vaccination, c’est un argument central des discours antivaccinaux, qui axent sur le fait que les individus peuvent choisir librement etc. C’est assez documenté et c’est par exemple un registre argumentaire historique de la Ligue Nationale Pour la Liberté de Vaccination (LNPLV), qui défend le rapport au choix, défendant les personnes qui ont refusé les vaccinations obligatoires. Mais sous couvert de nuance et de démocratie, ce sont des positions antivaccinales assez claires qui sont défendues. Ce truc de la nuance et de la liberté, tu la retrouves par exemple également chez les anthroposophes (j’en parlais récemment dans un thread).

      j’ai enfin compris pourquoi on dit intellectuel de gauche : c’est pour indiquer avec quel pied leur marcher dessus.

  • Drone Terror from Turkey. Arms buildup and crimes under international law - with German participation

    In Kurdistan, Libya or Azerbaijan, Turkish “#Bayraktar_TB2” have already violated international law. Currently, the civilian population in Ethiopia is being bombed with combat drones. Support comes from Germany, among others.

    For almost two decades, companies from the USA and Israel were the undisputed market leaders for armed drones; today, China and Turkey can claim more and more exports for themselves. Turkey is best known for its “Bayraktar TB2,” which the military has been using since 2016 in the Turkish, Syrian and now also Iraqi parts of Kurdistan in violation of international law. In the four-month #Operation_Olive_Branch in Kurdish #Rojava alone, the “TB2” is said to have scored 449 direct hits four years ago and enabled fighter jets or helicopters to make such hits in 680 cases. It has a payload of 65 kilograms and can remain in the air for over 24 hours.

    The Turkish military also flies the “#Anka”, which is also capable of carrying weapons and is manufactured by #Turkish_Aerospace_Industries (#TAI). In a new version, it can be controlled via satellites and thus achieves a greater range than the “#TB2”. The “Anka” carries up to 200 kilograms, four times the payload of its competitors. The newest version of both drones can now stay in the air for longer than 24 hours.

    Drone industry is dependent on imports

    The “Anka” is also being exported, but the “TB2” is currently most widely used. The drone is manufactured by #Baykar, whose founder and namesake is #Selçuk_Bayraktar, a son-in-law of the Turkish president. The “TB2” also flew attacks on Armenian troops off #Nagorno-Karabakh, for the Tripoli government in Libya and for Azerbaijan; there it might have even - together with unmanned aerial vehicles of Israeli production - been decisive for the war, according to some observers.

    The aggressive operations prompted further orders; after Qatar, Ukraine, Morocco, Tunisia and Turkmenistan, Baykar is the first NATO country to sell the drone to Poland. About a dozen countries are said to have already received deliveries, and about as many are said to be considering procurement. Interest is reportedly coming from as far away as Lithuania and even the United Kingdom.

    The comparatively young Turkish drone industry is able to produce many of the components for its unmanned aerial vehicles itself or buy them from domestic suppliers, but manufacturers are still dependent on imports for key components. This applies to engines, for example, which are also produced in Turkey but are less powerful than competing products. For this reason, the “TB2” flew with Rotax engines from Austria, among others. Following Turkey’s support for the Azerbaijani war of aggression, the company stopped supplying Baykar.

    Canada imposes export ban

    According to the Kurdish news agency ANF, Baykar has also made purchases from Continental Motors, a U.S. corporation partly based in Germany that took over Thielert Aircraft Engines GmbH eight years ago. A cruise control system made by the Bavarian company MT-Propeller was found in a crashed “TB2”. According to the Armenian National Committee of America, a radar altimeter manufactured by SMS Smart Microwave Sensors GmbH and a fuel filter made by Hengst were also installed in the drone.

    However, exports of these products are not subject to licensing, and sales may also have been made through intermediaries. Hengst, for example, also sells its products through automotive wholesalers; the company says it does not know how the filter came into Baykar’s possession.

    Originally, the “TB2” was also equipped with a sensor module from the Canadian manufacturer Wescam. This is effectively the eye of the drone, mounted in a hemispherical container on the fuselage. This so-called gimbal can be swiveled 360° and contains, among other things, optical and infrared-based cameras as well as various laser technologies. Wescam also finally ended its cooperation with Baykar after the government in Ottawa issued an export ban on the occasion of the war over Nagorno-Karabakh. The country had already imposed a temporary halt to deliveries following Turkish operations in the Kurdish region of Rojava in North Syria.

    “Eye” of the drone from Hensoldt

    Selçuk Bayraktar commented on the decision made by the Canadian Foreign Minister, saying that the required sensor technology could now also be produced in Turkey. In the meantime, the Turkish company Aselsan has also reported in newspapers close to the government that the sensor technology can now be produced completely domestically. Presumably, however, these devices are heavier than the imported products, so that the payload of small combat drones would be reduced.

    Hensoldt, a German company specializing in sensor technology, has been one of the suppliers. This was initially indicated by footage of a parade in the capital of Turkmenistan, where a freshly purchased “TB2” was also displayed to mark the 30th anniversary of the attainment of independence in Aşgabat last year. In this case, the drone was equipped with a gimbal from Hensoldt. It contains the ARGOS-II module, which, according to the product description, has a laser illuminator and a laser marker. This can be used, for example, to guide a missile into the target.

    Hensoldt was formed after a spinoff of several divisions of defense contractor Airbus, including its radar, optronics, avionics and electronic device jamming businesses. As a company of outstanding security importance, the German government has secured a blocking minority. The Italian defense group Leonardo is also a shareholder.

    Rocket technology from Germany

    The ARGOS module is manufactured by Hensoldt’s offshoot Optronics Pty in Pretoria, South Africa. When asked, a company spokesman confirmed the cooperation with Baykar. According to the company, the devices were delivered from South Africa to Turkey in an undisclosed quantity “as part of an order”. In the process, “all applicable national and international laws and export control regulations” were allegedly complied with.

    The arming of the “TB2” with laser-guided missiles was also carried out with German assistance. This is confirmed by answers to questions in the German Bundestag reported by the magazine “Monitor”. According to these reports, the German Foreign Ministry has issued several export licenses for warheads of an anti-tank missile since 2010. They originate from the company TDW Wirksysteme GmbH from the Bavarian town of Schrobenhausen, an offshoot of the European missile manufacturer MBDA.

    According to the report, the sales were presumably made to the state-owned Turkish company Roketsan. Equipment or parts for the production of the missiles are also said to have been exported to Turkey. The TDW guided missiles were of the “LRAT” and “MRAT” types, which are produced in Turkey under a different name. Based on the German exports, Roketsan is said to have developed the “MAM” missiles for drones; they are now part of the standard equipment of the “TB2”. These so-called micro-precision munitions are light warheads that can be used to destroy armored targets.

    Export licenses without end-use statement

    Roketsan sells the MAM guided missiles in three different versions, including a so-called vacuum bomb. Their development may have been carried out with the cooperation of the Bavarian company Numerics Software GmbH, according to ANF Deutsch. Numerics specializes in calculating the optimal explosive effect of armor-piercing weapons. According to the German Foreign Ministry, however, the company’s products, for which licenses have been issued for delivery to Turkey, are not suitable for the warheads in question.

    When the German government issues export licenses for military equipment, it can insist on a so-called end-use declaration. In the case of Turkey, the government would commit to obtaining German permission before reselling to a third country. The Foreign Ministry would not say whether such exchanges on missiles, sensors or other German technology have taken place. In total, export licenses for goods “for use or installation in military drones” with a total value of almost 13 million euros have been issued to Turkey, according to a response from last year.

    Deployment in Ethiopia

    As one of the current “hot spots”, the “Bayraktar TB2” is currently being deployed by Ethiopia in the civil war with the Tigray People’s Liberation Front (TPLF). As recently as December, the Tigrinese rebels were on the verge of entering the capital Addis Ababa, but the tide has since turned. Many observers attribute this to the air force. The Ethiopian military has 22 Russian MiG-23 and Sukhoi-27 fighter jets, as well as several attack helicopters.

    But the decisive factor is said to have been armed drones, whose armament allows far more precise attacks. “There were suddenly ten drones in the sky”, the rebel general Tsadokan Gebretensae confirmed to the New York Times in an interview. In a swarm, these had attacked soldiers and convoys. The Reuters news agency quotes a foreign military who claims to have “clear indications” of a total of 20 drones in use. However, these also come from China and Iran.

    Evidence, meanwhile, shows that the Turkish combat drones are used as before in Kurdistan and other countries for crimes under international law. On several occasions, they have also flown attacks on civilians, including in convoys with refugees. Hundreds of people are reported to have died under Turkish-made bombs and missiles.

    After the “TB2” comes the significantly larger “Akıncı”

    In the future, the Turkish military could deploy a significantly larger drone with two engines, which Baykar has developed under the name “Akıncı”. This drone will be controlled via satellites, which will significantly increase its range compared to the “TB2”. Its payload is said to be nearly 1.5 tons, of which 900 kilograms can be carried under the wings as armament. According to Baykar, the “Akıncı” can also be used in aerial combat. Unarmed, it can be equipped with optical sensors, radar systems or electronic warfare technology.

    Baykar’s competitor TAI is also developing a long-range drone with two engines. The “#Aksungur” is said to have capabilities comparable to the “#Akıncı” and was first flown for tests in 2019.

    http://kurdistan-report.de/index.php/english/1282-drone-terror-from-turkey-arms-buildup-and-crimes-under-interna
    #Turquie #Kurdistan #Kurdistan_turque #drones #armes #Allemagne #drones_de_combat #drones_armés #industrie_militaire #Rotax #Continental_Motors #SMS_Smart_Microwave_Sensors #Hengst #Wescam #Aselsan #technologie #ARGOS-II #Airbus #Optronics_Pty

  • #Emmanuel_Macron, 19.01.2022 : « Refonder le partenariat avec l’#Afrique »

    « En lien avec #Charles_Michel et #Ursula_von_der_Leyen, nous avons ainsi souhaité que nous puissions tenir un #sommet au mois de février afin de refonder notre partenariat avec le #continent_africain », a annoncé Emmanuel Macron

    Un partenariat notamment dans le cadre de la pandémie, Emmanuel Macron annonçant que « 700 millions de doses auront été distribuées d’ici juin 2022 », mais pas seulement, le président prônant aussi le fait de « réinventer une nouvelle alliance avec le continent, d’abord à travers un New Deal économique et financier avec l’Afrique ».

    L’Europe a « le devoir de proposer une nouvelle alliance au continent africain, les destins des deux rives de la Méditerranée sont liés », a fait valoir Emmanuel Macron. « Nous ne pouvons aborder décemment le sujet des migrations sans traiter les causes profondes », a-t-il soutenu, ajoutant que « c’est en Afrique que se joue une partie du bouleversement du monde ».

    https://fr.finance.yahoo.com/actualites/avortement-russie-%C3%A9tat-droit-quil-111427046.html

    #Europe #Macron #partenariat #discours #alliance #New_Deal_économique #New_Deal #migrations #root_causes #causes_profondes

    via @karine4
    ping @isskein @rhoumour

  • Macron défend la « riche cohabitation » entre la #raison et la religion, permise grâce à la laïcité

    Le président de la République détaille dans L’Express les nombreuses « #continuités » qu’il décèle entre « #Dieu et la science ».

    C’est l’un des sujets sur lesquels le mystère demeure. Quel est le véritable rapport d’Emmanuel Macron au #spirituel ? Élevé dans un établissement jésuite de Picardie - à sa demande -, avant de multiplier ensuite les grandes écoles et les diplômes dans la capitale, le président de la République est-il un cartésien rationnel, ou un croyant qui se fait violence ? Pense-t-il qu’il faut « réparer » le lien entre l’Église et l’État qui « s’est abîmé », ou considère-t-il que les questions de mœurs - religieuses - ne sont « pas (s)on affaire » ?

    Pour répondre à toutes ces questions, L’Express a recueilli un texte du chef de l’État, publié ce mardi, jour de son quarante-quatrième anniversaire. Dans l’hebdomadaire, le locataire de l’Élysée débute par un éloge de la science dont, « jamais, sans doute, l’humanité » n’aura « autant eu besoin » qu’aujourd’hui. À la fois pour faire face à la pandémie, bien sûr, mais aussi pour affronter les bouleversements écologiques et environnementaux, ou encore pour permettre les innovations indispensables au progrès.

    L’#égalité des droits en dignité, nouvelle égalité des hommes devant Dieu ?

    « Et Dieu dans tout ça ? », interroge ensuite Emmanuel Macron. « Contrairement à ce que l’interprétation toute voltairienne des #Lumières françaises a longtemps imposé comme grille de lecture, ce programme de développement de l’#esprit_scientifique ne s’oppose en rien à l’expression des religions », estime le président de la République, rappelant « qu’il ne s’agit pas d’imposer un #positivisme_forcené, une #religion_de_la_science qui se substituerait à toutes les interprétations du monde ».

    À l’échelle de l’Europe, de nombreuses « continuités entre Dieu et la science, (entre) religion et raison », apparaissent ainsi aux yeux d’Emmanuel Macron. « L’égalité des droits de l’homme en #dignité et en #droits n’a-t-elle pas été préparée par l’égalité des hommes devant Dieu pensée par le #christianisme ? De même l’#esprit_critique défendu par les Lumières n’a-t-il pas été précédé par le rapport individuel au texte sacré défendu par le #protestantisme ? », feint-il d’interroger pour appuyer sa thèse.

    « Séparer l’#ordre_temporel de l’#ordre_spirituel »

    S’inspirant ensuite tour à tour de l’écrivain humaniste de la Renaissance Rabelais, du « penseur anglais Tom McLeish », ou encore du « grand Jürgen Habermas », Emmanuel Macron termine sa démonstration en citant Aristide Briand, célèbre porteur de la loi de 1905 sur la séparation des Églises et de l’État. « C’est en étant fidèle à (son) esprit, en suivant le chemin de concorde qu’il traçait que la France continuera à être une nation infiniment rationnelle et résolument spirituelle », estime le chef de l’État.

    Défenseur de la « riche cohabitation » - qui existe selon lui « en chacun de nous » - entre « aspiration à la raison et besoin de #transcendance », Emmanuel Macron affirme que « oui, la science et Dieu, la raison et la religion peuvent vivre côte à côte, parfois même se nourrir ». Ce que, d’ailleurs, il juge « même souhaitable ». Le tout, insiste-t-il cependant, grâce à au « cadre unique » de la laïcité, une « belle idée » dont la France dispose depuis un siècle. Et qui, en « séparant l’ordre temporel de l’ordre spirituel, rend (cela) possible ».

    https://www.lefigaro.fr/politique/macron-defend-la-riche-cohabitation-entre-la-raison-et-la-religion-permise-

    #Macron #Emmanuel_Macron #laïcité #religion #science

    • EXCLUSIF. Emmanuel Macron : «Ce en quoi je crois»

      Le chef de l’Etat expose sa vision de l’articulation entre rationalité et religion. L’une et l’autre peuvent se nourrir. « Cela est même souhaitable », écrit-il. Inattendu.

      Parce qu’il avait prévenu dès la campagne de 2017 - « Je ne sépare pas Dieu du reste » (confidence soufflée au JDD) -, nous avons eu envie de demander au chef de l’Etat : rationalité et spiritualité peuvent-elles, doivent-elles, vivre ensemble dans la France de 2022 ? Après une épidémie qui a mis la raison des uns sens dessus dessous, qui a vu la parole scientifique reléguée par les autres au rang de croyance en laquelle il est possible de ne pas avoir foi, Emmanuel Macron érige-t-il un mur entre science et religion ? Lui qui dans le passé n’a pas hésité à évoquer l’existence d’"une transcendance" le formule clairement dans le texte qu’il a écrit pour L’Express : « Aspiration à la raison et besoin de transcendance cohabitent en chacun de nous. »

      Cette certitude ne lui fait pas perdre de vue le nécessaire combat pour que « la science demeure un idéal et une méthode ». Inquiet de constater notamment la montée de l’intégrisme religieux, le président refait ici l’éloge de la laïcité, qui seule rend possible cette « cohabitation » en laquelle il croit de la rationalité et de la spiritualité.

      La pandémie que nous traversons en est l’exemple le plus prégnant. Sans la science qui, avec le conseil scientifique, les sociétés savantes, les médecins et les chercheurs du monde entier, a éclairé chacun de nos choix depuis le premier jour, nous aurions à déplorer beaucoup plus de décès. Sans la science qui, en quelques mois, a su inventer un vaccin, le produire et le distribuer, le monde continuerait de vivre au ralenti, de confinements en confinements, de drames en drames.

      La résolution du défi du siècle, le réchauffement climatique, est également indissociable de la science. A la fois pour comprendre la mécanique de ce phénomène, ce à quoi s’attellent régulièrement les milliers de scientifiques du Groupement international d’experts sur le climat. Et pour élaborer les solutions qui, énergies propres, stockage de carbone, matériaux biosourcés ou solutions agroécologiques, nous permettront de concilier développement humain et réduction des émissions de gaz à effet de serre, progrès et écologie.

      La science enfin se trouve au fondement des innovations qui changent et vont changer nos vies, elle est le moteur du progrès. Numérique, véhicules électriques, nouveau spatial : l’ensemble des produits et services qui façonnent notre époque de même que les révolutions qui, assises sur le quantique ou l’intelligence artificielle, feront la décennie sont marqués par une empreinte scientifique forte.

      Cette part croissante de la science dans le cours du monde exige des grandes puissances qu’elles investissent massivement dans ceux qui, chercheurs, techniciens, innovateurs, sont les artisans de la recherche et de l’innovation.

      Les acteurs privés bien sûr s’engagent qui, pour les plus importants, assument d’explorer des voies qui ne trouveront pas toujours d’issue marchande. Mais c’est d’abord à la sphère publique que revient la mission de constituer un terreau favorable à l’excellence scientifique.

      Depuis cinq ans, la France qui, de Louis Pasteur à Pierre et Marie Curie, se distingue par une tradition hors norme confirmée par les récents prix Nobel et médaille Fields obtenus par ses ressortissants, renoue avec une stratégie d’investissement massif dans ce domaine. La loi de programmation pour la recherche, dotée de 25 milliards d’euros sur dix ans, scelle un effort inédit pour rattraper le retard pris et permettre la montée en gamme de nos universités et de nos laboratoires de recherche. Nous avons aussi, dès 2017 puis à la faveur de France relance et de France 2030, acté de grandes ambitions pour l’intelligence artificielle, le quantique ou encore la santé.

      Au niveau européen, notre pays a été à l’initiative pour que le programme-cadre de recherche et développement de la Commission se dote d’un budget à la hauteur des enjeux - près de 100 milliards d’euros - et consente enfin un effort pour la recherche fondamentale et les jeunes chercheurs.

      Il ne s’agit toutefois là que d’un début, un rattrapage et une indispensable modernisation qui nous permettent plus d’ambition de changement et d’investissement pour l’avenir.

      Mais l’enjeu n’est pas seulement budgétaire, il est culturel. Car, parallèlement à l’augmentation du besoin de science, la remise en cause du discours scientifique n’a cessé de se développer dans nos sociétés.

      Le complotisme gagne du terrain et prend des formes de plus en plus extrêmes, comme en témoigne l’emprise croissante de la mouvance QAnon.

      L’intégrisme religieux, et ses explications totalisantes qui privilégient la foi sur la raison, la croyance sur le savoir et excluent le doute constructif, devient de plus en plus prégnant.

      L’avènement de l’ère du « tout-se-vaut » disqualifie chaque jour un peu plus l’autorité du chercheur, dont la parole est mise au même niveau que celle des commentateurs.

      En même temps que nous nous donnons les moyens d’atteindre l’excellence scientifique, il est donc nécessaire d’agir pour que la science demeure un idéal et une méthode, que le « vrai » retrouve ce statut d’"évidence lumineuse" que décrivait Descartes.

      Voilà pourquoi j’ai lancé le 29 septembre 2021 la commission les Lumières à l’ère numérique. Présidé par le sociologue Gérald Bronner, ce collectif de 14 experts reconnus formulera des propositions pour faire reculer le complotisme et éviter que le flux informationnel auquel chacun est confronté ne présente des faits orthogonaux à ce qui dit le consensus scientifique, ce qui est trop souvent le cas.

      Voilà pourquoi aussi la nation tout entière doit se mobiliser pour opposer au complotisme le raisonnement éclairé, au relativisme la culture des faits et la reconnaissance de l’autorité scientifique, à l’intégrisme une République ferme dans sa défense, forte de ses valeurs, nourrie par ses débats. Gaston Bachelard définissait « l’esprit scientifique » comme la faculté à « se défaire de l’expérience commune » et à accéder à cette idée que « rien ne va de soi, rien n’est donné, tout est construit ». Il nous faut faire de la formation à l’esprit scientifique dès le cycle primaire. L’école en effet ne saurait seulement instruire. Elle doit faire des républicains, c’est-à-dire forger des êtres informés et libres. Citoyens. Ce sera là un grand défi des années à venir.

      Et Dieu dans tout ça ? Contrairement à ce que l’interprétation toute voltairienne des Lumières françaises a longtemps imposé comme grille de lecture, ce programme de développement de l’esprit scientifique ne s’oppose en rien à l’expression des religions.

      D’une part parce qu’il ne s’agit pas d’imposer un positivisme forcené, une religion de la science qui se substituerait à toutes les interprétations du monde. Comme l’a si bien résumé Rabelais, la science ne vaut en effet que lorsqu’elle est éclairée et guidée par les sciences humaines, la philosophie, le politique et s’inscrit dans un débat démocratique visant à construire l’intérêt général.

      Dieu et la science ne s’opposent pas ensuite parce que la croyance en l’un est souvent allée historiquement avec le développement de l’autre. Les travaux sont anciens qui ont montré combien l’islam avait nourri une tradition d’algèbre, d’astronomie et de médecine puissante. Plus récemment, le penseur anglais Tom McLeish a fait état des apports réciproques entre développement de la science et développement du fait religieux lors de la petite Renaissance du XIIIe siècle - un évêque anglais aurait même eu l’intuition du big bang. Dans son dernier ouvrage, le grand Jürgen Habermas a montré comment la philosophie grecque a pu se nourrir du religieux, et notamment de la rupture avec les mythes à l’âge coaxial (de 800 à 200 av. J.-C.).

      Au-delà, je crois profondément qu’il peut exister des continuités entre Dieu et la science, religion et raison. Regardons notre Europe ! L’égalité des droits de l’homme en dignité et en droits n’a-t-elle pas été préparée par l’égalité des hommes devant Dieu pensée par le christianisme ? De même l’esprit critique défendu par les Lumières n’a-t-il pas été précédé par le rapport individuel au texte sacré défendu par le protestantisme ?

      Oui, la science et Dieu, la raison et la religion peuvent donc vivre côte à côte, parfois même se nourrir. Cela est même souhaitable tant aspiration à la raison et besoin de transcendance cohabitent en chacun de nous.

      Nous avons, en France, un cadre unique qui, séparant l’ordre temporel de l’ordre spirituel, rend possible cette riche cohabitation : la laïcité. Artisan de cette belle idée, Aristide Briand disait : « Il fallait que la séparation ne donnât pas le signal de luttes confessionnelles ; il fallait que la loi se montrât respectueuse de toutes les croyances et leur laissât la faculté de s’exprimer librement. »

      C’est en étant fidèle à l’esprit de Briand, en suivant le chemin de concorde qu’il traçait que la France continuera à être une nation infiniment rationnelle et résolument spirituelle.

      Nation de citoyens libres de critiquer et libres de croire.

      https://www.lexpress.fr/actualite/politique/exclusif-emmanuel-macron-ce-en-quoi-je-crois_2164676.html

      déjà signalé par @arno ici:
      https://seenthis.net/messages/940839

  • BALLAST • #Sahara_occidental : la dernière colonie du continent africain [portfolio]
    https://www.revue-ballast.fr/sahara-occidental-la-derniere-colonie-du-continent-africain-portfolio
    #conflit #photo

    Sahara occidental : la dernière colonie du #continent_africain [portfolio]

    16 novembre 2021

    Photoreportage inédit pour le site de #Ballast
    Au milieu des années 1970, le #Front_Polisario pro­cla­mait l’in­dé­pen­dance de la République arabe sah­raouie démo­cra­tique et, par­tant, l’au­to­dé­ter­mi­na­tion du peuple sah­raoui. Le #Maroc, qui occupe la majo­ri­té du #Sahara occi­den­tal depuis le départ de l’État espa­gnol, n’a eu de cesse de com­battre la jeune répu­blique. En 1991, un ces­sez-le-feu était conclu entre les deux par­ties. Après trente ans de gel d’un conflit qui a fini par som­brer dans les limbes diplo­ma­tiques et média­tiques, les com­bats ont repris fin 2020. Le Front Polisario dénonce aujourd’­hui « le mutisme de la com­mu­nau­té inter­na­tio­nale et de ses ins­tances à leur tête, l’#ONU, face aux exac­tions répé­tées de l’oc­cu­pant maro­cain ». #Rosa_Moussaoui, #grand_repor­ter à L’#Humanité, en revient : un #pho­to­re­por­tage par­mi les com­bat­tants et la #popu­la­tion civile.

  • Le travail de recherche de #Emilio_Distretti sur l’#Italie_coloniale

    Je découvre grâce à @cede le travail de recherche de #Emilio_Distretti, post-doc à l’Université de Bâle, sur le #colonialisme_italien et les #traces dans l’#architecture et l’espace.

    Sa page web :
    https://criticalurbanisms.philhist.unibas.ch/people/emilio-distretti

    Je mets dans ci-dessous des références à des travaux auxquels il a participé, et j’ajoute ce fil de discussion à la métaliste sur le colonialisme italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

    #colonisation #colonialisme #Italie #histoire #géographie_urbaine #urban_matter

  • États d’Urgence, Une histoire spatiale du continuum colonial français - Léopold Lambert | Premiers Matins de Novembre Éditions
    https://www.pmneditions.com/product/etats-d-urgence-une-histoire-spatiale-du-continuum-colonial-francais-le

    Une histoire spatiale du continuum colonial français - Léopold Lambert
    €18.00

    États d’Urgence, Une histoire spatiale du continuum colonial français - Léopold Lambert

    Préfaces de Nacira Guénif-Souilamas et de Anthony Tutugoro

    Loi contre-révolutionnaire par excellence, l’état d’urgence lie les trois espaces-temps de la Révolution algérienne de 1954-1962, l’insurrection kanak de 1984-1988 et le soulèvement des quartiers populaires en France de 2005.
    Cet ouvrage revient en détails sur chacune de ces trois applications ainsi que celle, plus récente de 2015 à nos jours, en tentant de construire des ponts entre chacune. Dans cette étude, l’auteur utilise le concept de continuum colonial tant dans sa dimension temporelle que géographique. En son sein circulent notamment un certain nombre d’officiers militaires et hauts fonctionnaires coloniaux, mais aussi des populations immigrées et des révolutionnaires.

    Architecte de formation, l’auteur ancre sa lecture dans la dimension spatiale de l’état d’urgence en liant aussi bien les camps de regroupement en Algérie, la ville blanche de Nouméa, les commissariats de banlieues françaises, que la Casbah d’Alger, les tribus kanak ou encore les bidonvilles de Nanterre.

    336 pages
    Sortie nationale 30 avril 2021
    Précommandes ouvertes !

    #colonialisme #Algérie #Kanaky #histoire_coloniale

  • La crise sanitaire aggrave les troubles psy des jeunes migrants

    Les « migrants » sont une population composite recouvrant des #statuts_administratifs (demandeurs d’asile, réfugiés, primo-arrivants…) et des situations sociales disparates. Certains appartiennent à des milieux sociaux plutôt aisés et éduqués avec des carrières professionnelles déjà bien entamées, d’autres, issus de milieux sociaux défavorisés ou de minorités persécutées, n’ont pas eu accès à l’éducation dans leur pays d’origine.

    Et pourtant, une caractéristique traverse ce groupe : sa #jeunesse.

    Ainsi, selon les chiffres d’Eurostat, au premier janvier 2019, la moitié des personnes migrantes en Europe avait moins de 29 ans ; l’âge médian de cette population se situant à 29,2 ans, contre 43,7 pour l’ensemble de la population européenne. Cette particularité est essentielle pour comprendre l’état de santé de cette population.

    En effet, on constate que, du fait de sa jeunesse, la population migrante en Europe est globalement en #bonne_santé physique et parfois même en meilleure #santé que la population du pays d’accueil. En revanche, sa santé mentale pose souvent problème.

    Des #troubles graves liés aux #parcours_migratoires

    Beaucoup de jeunes migrants – 38 % de la population totale des migrants selon une recherche récente – souffrent de #troubles_psychiques (#psycho-traumatismes, #dépressions, #idées_suicidaires, #perte_de_mémoire, #syndrome_d’Ulysse désignant le #stress de ceux qui vont vivre ailleurs que là où ils sont nés), alors que la #psychiatrie nous apprend que le fait migratoire ne génère pas de #pathologie spécifique.

    Les troubles dont souffrent les jeunes migrants peuvent résulter des #conditions_de_vie dans les pays d’origine (pauvreté, conflits armés, persécution…) ou des #conditions_du_voyage migratoire (durée, insécurité, absence de suivi médical, en particulier pour les migrants illégaux, parfois torture et violences) ; ils peuvent également être liés aux #conditions_d’accueil dans le pays d’arrivée.

    De multiples facteurs peuvent renforcer une situation de santé mentale déjà précaire ou engendrer de nouveaux troubles : les incertitudes liées au #statut_administratif des personnes, les difficultés d’#accès_aux_droits (#logement, #éducation ou #travail), les #violences_institutionnelles (la #répression_policière ou les #discriminations) sont autant d’éléments qui provoquent un important sentiment d’#insécurité et du #stress chez les jeunes migrants.

    Ceci est d’autant plus vrai pour les #jeunes_hommes qui sont jugés comme peu prioritaires, notamment dans leurs démarches d’accès au logement, contrairement aux #familles avec enfants ou aux #jeunes_femmes.

    Il en résulte des périodes d’#errance, de #dénuement, d’#isolement qui détériorent notablement les conditions de santé psychique.

    De nombreuses difficultés de #prise_en_charge

    Or, ainsi que le soulignent Joséphine Vuillard et ses collègues, malgré l’engagement de nombreux professionnels de santé, les difficultés de prise en charge des troubles psychiques des jeunes migrants sont nombreuses et réelles, qu’il s’agisse du secteur hospitalier ou de la médecine ambulatoire.

    Parmi ces dernières on note l’insuffisance des capacités d’accueil dans les #permanences_d’accès_aux_soins_de_santé (#PASS), l’incompréhension des #procédures_administratives, le besoin d’#interprétariat, des syndromes psychotraumatiques auxquels les professionnels de santé n’ont pas toujours été formés.

    Les jeunes migrants sont par ailleurs habituellement très peu informés des possibilités de prise en charge et ne recourent pas aux soins, tandis que les dispositifs alternatifs pour « aller vers eux » (comme les #maraudes) reposent essentiellement sur le #bénévolat.
    https://www.youtube.com/watch?v=Pn29oSxVMxQ&feature=emb_logo

    Dans ce contexte, le secteur associatif (subventionné ou non) tente de répondre spécifiquement aux problèmes de santé mentale des jeunes migrants, souvent dans le cadre d’un accompagnement global : soutien aux démarches administratives, logement solidaire, apprentissage du français, accès à la culture.

    Organisateurs de solidarités, les acteurs associatifs apportent un peu de #stabilité et luttent contre l’isolement des personnes, sans nécessairement avoir pour mission institutionnelle la prise en charge de leur santé mentale.

    Ces #associations s’organisent parfois en collectifs inter-associatifs pour bénéficier des expertises réciproques. Malgré leur implantation inégale dans les territoires, ces initiatives pallient pour partie les insuffisances de la prise en charge institutionnelle.

    Des situations dramatiques dans les #CRA

    Dans un contexte aussi fragile, la #crise_sanitaire liée à la #Covid-19 a révélé au grand jour les carences du système : si, à la suite de la fermeture de nombreux #squats et #foyers, beaucoup de jeunes migrants ont été logés dans des #hôtels ou des #auberges_de_jeunesse à l’occasion des #confinements, nombreux sont ceux qui ont été livrés à eux-mêmes.

    Leur prise en charge sociale et sanitaire n’a pas été pensée dans ces lieux d’accueil précaires et beaucoup ont vu leur situation de santé mentale se détériorer encore depuis mars 2020.

    Les situations les plus critiques en matière de santé mentale sont sans doute dans les #Centres_de_rétention_administrative (CRA). Selon le rapport 2019 de l’ONG Terre d’Asile, sont enfermés dans ces lieux de confinement, en vue d’une #expulsion du sol national, des dizaines de milliers de migrants (54 000 en 2019, dont 29 000 en outremer), y compris de nombreux jeunes non reconnus comme mineurs, parfois en cours de #scolarisation.

    La difficulté d’accès aux soins, notamment psychiatriques, dans les CRA a été dénoncée avec véhémence dans un rapport du Contrôleur général des lieux de privation de liberté (CGLPL) en février 2019, suivi, à quelques mois d’écart, d’un rapport tout aussi alarmant du Défenseur des droits.

    La #rupture de la #continuité des #soins au cours de leur rétention administrative est particulièrement délétère pour les jeunes migrants souffrant de pathologies mentales graves. Pour les autres, non seulement la prise en charge médicale est quasi-inexistante mais la pratique de l’isolement à des fins répressives aggrave souvent un état déjà à risque.

    La déclaration d’#état_d’urgence n’a pas amélioré le sort des jeunes migrants en rétention. En effet, les CRA ont été maintenus ouverts pendant les périodes de #confinement et sont devenus de facto le lieu de placement d’un grand nombre d’étrangers en situation irrégulière sortant de prison, alors que la fermeture des frontières rendait improbables la reconduite et les expulsions.

    Un tel choix a eu pour conséquence l’augmentation de la pression démographique (+23 % en un an) sur ces lieux qui ne n’ont pas été conçus pour accueillir des personnes psychologiquement aussi vulnérables et pour des périodes aussi prolongées.

    Des espaces anxiogènes

    De par leur nature de lieu de #privation_de_liberté et leur vocation de transition vers la reconduction aux frontières, les CRA sont de toute évidence des #espaces_anxiogènes où il n’est pas simple de distinguer les logiques de #soins de celles de #contrôle et de #répression, et où la consultation psychiatrique revêt bien d’autres enjeux que des enjeux thérapeutiques. Car le médecin qui apporte un soin et prend en charge psychologiquement peut aussi, en rédigeant un #certificat_médical circonstancié, contribuer à engager une levée de rétention, en cas de #péril_imminent.

    Les placements en CRA de personnes atteintes de pathologies psychologiques et/ou psychiatriques sont en constante hausse, tout comme les actes de #détresse (#automutilations et tentatives de #suicide) qui ont conduit, depuis 2017, cinq personnes à la mort en rétention.

    La prise en charge effective de la santé mentale des jeunes migrants se heurte aujourd’hui en France aux contradictions internes au système. Si les dispositifs sanitaires existent et sont en théorie ouverts à tous, sans condition de nationalité ni de régularité administrative, l’état d’incertitude et de #précarité des jeunes migrants, en situation irrégulière ou non, en fait un population spécialement vulnérable et exposée.

    Sans doute une plus forte articulation entre la stratégie nationale de prévention et lutte contre la pauvreté et des actions ciblées visant à favoriser l’intégration et la stabilité via le logement, l’éducation et l’emploi serait-elle à même de créer les conditions pour une véritable prévention des risques psychologiques et une meilleure santé mentale.

    https://theconversation.com/la-crise-sanitaire-aggrave-les-troubles-psy-des-jeunes-migrants-152

    #crise_sanitaire #asile #migrations #réfugiés #jeunes_migrants #santé_mentale #troubles_psychologiques #genre #vulnérabilité #bénévolat #rétention #détention_administrative #sans-papiers

    ping @isskein @karine4

  • La santé mentale est un enjeu crucial des migrations contemporaines

    Si la migration est source d’espoirs liés à la découverte de nouveaux horizons, de nouveaux contextes sociaux et de nouvelles perspectives économiques, elle est également à des degrés divers un moment de rupture sociale et identitaire qui n’est pas sans conséquence sur la santé mentale.

    #Abdelmalek_Sayad, l’un des sociologues des migrations les plus influents de ces dernières décennies, a défini la condition du migrant comme étant suspendu entre deux mondes parallèles. #Sayad nous dit que le migrant est doublement absent, à son lieu d’origine et son lieu d’arrivée.

    Il est, en tant qu’émigrant, projeté dans une condition faite de perspectives et, très souvent, d’illusions qui l’éloignent de son lieu d’origine. Mais le migrant est tout aussi absent dans sa #condition ^_d’immigré, dans les processus d’#adaptation à un contexte nouveau et souvent hostile, source de nombreuses #souffrances.

    Quelles sont les conséquences de cette #double_absence et plus largement de cette transition de vie dans la santé mentale des migrants ?

    Migrer implique une perte de #capital_social

    Migrer, c’est quitter un #univers_social pour un autre. Les #contacts, les #échanges et les #relations_interpersonnelles qui soutiennent chacun de nous sont perturbés, fragmentés ou même rompus durant cette transition.

    Si pour certains la migration implique un renforcement du capital social (ou économique), dans la plupart des cas elle mène à une perte de capital social. Dans un entretien mené en 2015, un demandeur d’asile afghan souligne cette #rupture_sociale et la difficulté de maintenir des liens avec son pays d’origine :

    « C’est très difficile de quitter son pays parce que ce n’est pas seulement ta terre que tu quittes, mais toute ta vie, ta famille. J’ai des contacts avec ma famille de temps en temps, mais c’est difficile parce que les talibans détruisent souvent les lignes de téléphone, et donc, c’est difficile de les joindre. »

    Pour contrer ou éviter cette perte de capital social, de nombreux #réseaux_transnationaux et organisations d’immigrants dans les pays d’accueil sont créés et jouent dans la vie des migrants un rôle primordial.

    À titre d’exemple, la migration italienne d’après-guerre s’est caractérisée par une forte structuration en #communautés. Ils ont créé d’importants organisations et réseaux, notamment des organisations politiques et syndicales, des centres catholiques et culturels, dont certains sont encore actifs dans les pays de la #diaspora italienne.

    L’#environnement_social et la manière dont les sociétés d’arrivée vont accueillir et inclure les migrants, vont être donc des éléments clés dans la #résilience de ces populations face aux défis posés par leur trajectoire de vie et par leur #parcours_migratoire. Les migrants peuvent en effet rencontrer des situations qui mettent en danger leur #santé physique et mentale dans leur lieu d’origine, pendant leur transit et à leur destination finale.

    Cela est particulièrement vrai pour les migrants forcés qui sont souvent confrontés à des expériences de #détention, de #violence et d’#exploitation susceptibles de provoquer des #troubles_post-traumatiques, dépressifs et anxieux. C’est le cas des centaines de milliers de réfugiés qui fuient les #conflits_armés depuis 2015, principalement dans les régions de la Syrie et de l’Afrique subsaharienne.

    Ces migrants subissent des #violences tout au long de leur parcours, y compris la violence des lois de l’asile dans nos sociétés.

    L’environnement social est une des clés de la santé mentale

    Dans son document d’orientation « Mental health promotion and mental health care in refugees and migrants », l’Organisation mondiale de la santé (OMS) indique l’#intégration_sociale comme l’un des domaines d’intervention les plus importants pour combattre les problèmes de santé mentale dans les populations migrantes.

    Pour l’OMS, la lutte contre l’#isolement et la promotion de l’#intégration sont des facteurs clés, tout comme les interventions visant à faciliter le relations entre les migrants et les services de soins, et à améliorer les pratiques et les traitements cliniques.

    Cependant, l’appartenance à des réseaux dans un environnement social donné est une condition essentielle pour le bien-être mental de l’individu, mais elle n’est pas suffisante.

    Le philosophe allemand #Axel_Honneth souligne notamment que la #confiance_en_soi, l’#estime_de_soi et la capacité à s’ouvrir à la société trouvent leurs origines dans le concept de #reconnaissance. Chaque individu est mu par le besoin que son environnement social et la société, dans laquelle il ou elle vit, valorisent ses #identités et lui accordent une place comme #sujet_de_droit.

    Les identités des migrants doivent être reconnues par la société

    À cet égard, se construire de nouvelles identités sociales et maintenir une #continuité_identitaire entre l’avant et l’après-migration permet aux migrants de diminuer les risques de #détresse_psychologique.

    https://www.youtube.com/watch?v=oNC4C4OqomI&feature=emb_logo

    Être discriminé, exclu ou ostracisé du fait de ses appartenances et son identité affecte profondément la santé mentale. En réaction à ce sentiment d’#exclusion ou de #discrimination, maintenir une estime de soi positive et un #équilibre_psychosocial passe souvent parla prise de distance par rapport à la société discriminante et le #repli vers d’autres groupes plus soutenants.

    La #reconnaissance_juridique, un élément central

    Or ce principe de reconnaissance s’articule tant au niveau de la sphère sociale qu’au niveau juridique. Dans les sociétés d’accueil, les migrants doivent être reconnus comme porteurs de droits civils, sociaux et politiques.

    Au-delà des enjeux pragmatiques liés à l’accès à des services, à une protection ou au #marché_de_l’emploi, l’obtention de droits et d’un #statut_juridique permet de retrouver une forme de contrôle sur la poursuite de sa vie.

    Certaines catégories de migrants vivant soit en procédure pour faire reconnaître leurs droits, comme les demandeurs d’asile, soit en situation irrégulière, comme les « #sans-papiers », doivent souvent faire face à des situations psychologiquement compliquées.

    À cet égard, les sans-papiers sont presque totalement exclus, privés de leurs #droits_fondamentaux et criminalisés par la justice. Les demandeurs d’asile sont quant à eux souvent pris dans la #bureaucratie du système d’accueil durant des périodes déraisonnablement longues, vivant dans des conditions psychologiques difficiles et parfois dans un profond #isolement_social. Cela est bien exprimé par un jeune migrant kenyan que nous avions interviewé en 2018 dans une structure d’accueil belge :

    « Je suis arrivé quand ils ont ouvert le [centre d’accueil], et je suis toujours là ! Cela fait presque trois ans maintenant ! Ma première demande a été rejetée et maintenant, si c’est un “non”, je vais devoir quitter le territoire. […] Tous ces jours, les mois d’attente, pour quoi faire ? Pour rien avoir ? Pour devenir un sans-papiers ? Je vais devenir fou, je préfère me tuer. »

    Être dans l’#attente d’une décision sur son statut ou être dénié de droits plonge l’individu dans l’#insécurité et dans une situation où toute #projection est rendue compliquée, voire impossible.

    Nous avons souligné ailleurs que la lourdeur des procédures et le sentiment de #déshumanisation dans l’examen des demandes d’asile causent d’importantes #frustrations chez les migrants, et peuvent avoir un impact sur leur #bien-être et leur santé mentale.

    La migration est un moment de nombreuses #ruptures sociales et identitaires face auxquelles les individus vont (ré)agir et mobiliser les ressources disponibles dans leur environnement. Donner, alimenter et construire ces ressources autour et avec les migrants les plus vulnérables constitue dès lors un enjeu de #santé_publique.

    https://theconversation.com/la-sante-mentale-est-un-enjeu-crucial-des-migrations-contemporaines

    #santé_mentale #asile #migrations #réfugiés

    ping @_kg_ @isskein @karine4

  • La #Technopolice, moteur de la « #sécurité_globale »

    L’article 24 de la #loi_Sécurité_Globale ne doit pas devenir l’arbre qui cache la forêt d’une politique de fond, au cœur de ce texte, visant à faire passer la #surveillance et le #contrôle_de_la_population par la police à une nouvelle ère technologique.

    Quelques jours avant le vote de la loi Sécurité Globale à l’Assemblée Nationale, le ministère de l’Intérieur présentait son #Livre_blanc. Ce long #rapport de #prospective révèle la #feuille_de_route du ministère de l’Intérieur pour les années à venir. Comme l’explique Gérard Darmanin devant les députés, la proposition de loi Sécurité Globale n’est que le début de la transposition du Livre dans la législation. Car cette loi, au-delà de l’interdiction de diffusion d’#images de la police (#article_24), vise surtout à renforcer considérablement les pouvoirs de surveillance des #forces_de_l’ordre, notamment à travers la légalisation des #drones (article 22), la diffusion en direct des #caméras_piétons au centre d’opération (article 21), les nouvelles prérogatives de la #police_municipale (article 20), la #vidéosurveillance dans les hall d’immeubles (article 20bis). Cette loi sera la première pierre d’un vaste chantier qui s’étalera sur plusieurs années.

    Toujours plus de pouvoirs pour la police

    Le Livre blanc du ministère de l’Intérieur envisage d’accroître, à tous les niveaux, les pouvoirs des différentes #forces_de_sécurité (la #Police_nationale, la police municipale, la #gendarmerie et les agents de #sécurité_privée) : ce qu’ils appellent, dans la novlangue officielle, le « #continuum_de_la_sécurité_intérieure ». Souhaitant « renforcer la police et la rendre plus efficace », le livre blanc se concentre sur quatre angles principaux :

    - Il ambitionne de (re)créer une #confiance de la population en ses forces de sécurité, notamment par une #communication_renforcée, pour « contribuer à [leur] légitimité », par un embrigadement de la jeunesse – le #Service_National_Universel, ou encore par la création de « #journées_de_cohésion_nationale » (page 61). Dans la loi Sécurité Globale, cette volonté s’est déjà illustrée par la possibilité pour les policiers de participer à la « #guerre_de_l’image » en publiant les vidéos prises à l’aide de leurs #caméras_portatives (article 21).
    - Il prévoit d’augmenter les compétences des #maires en terme de sécurité, notamment par un élargissement des compétences de la police municipale : un accès simplifié aux #fichiers_de_police, de nouvelles compétences en terme de lutte contre les #incivilités … (page 135). Cette partie-là est déjà en partie présente dans la loi Sécurité Globale (article 20).
    - Il pousse à une #professionnalisation de la sécurité privée qui deviendrait ainsi les petites mains de la police, en vu notamment des #Jeux_olympiques Paris 2024, où le besoin en sécurité privée s’annonce colossal. Et cela passe par l’augmentation de ses #compétences : extension de leur #armement, possibilité d’intervention sur la #voie_publique, pouvoir de visionner les caméras, et même le port d’un #uniforme_spécifique (page 145).
    - Enfin, le dernier grand axe de ce livre concerne l’intégration de #nouvelles_technologies dans l’arsenal policier. Le titre de cette partie est évocateur, il s’agit de « porter le Ministère de l’Intérieur à la #frontière_technologique » (la notion de #frontière évoque la conquête de l’Ouest aux États-Unis, où il fallait coloniser les terres et les premières nations — la reprise de ce vocable relève d’une esthétique coloniale et viriliste).

    Ce livre prévoit une multitude de projets plus délirants et effrayants les uns que les autres. Il propose une #analyse_automatisée des #réseaux_sociaux (page 221), des #gilets_connectés pour les forces de l’ordre (page 227), ou encore des lunettes ou #casques_augmentés (page 227). Enfin, le Livre blanc insiste sur l’importance de la #biométrie pour la police. Entre proposition d’#interconnexion des #fichiers_biométriques (#TAJ, #FNAEG, #FAED…) (page 256), d’utilisation des #empreintes_digitales comme outil d’#identification lors des #contrôles_d’identité et l’équipement des #tablettes des policiers et gendarmes (#NEO et #NEOGEND) de lecteur d’empreinte sans contact (page 258), de faire plus de recherche sur la #reconnaissance_vocale et d’#odeur (!) (page 260) ou enfin de presser le législateur pour pouvoir expérimenter la #reconnaissance_faciale dans l’#espace_public (page 263).

    Le basculement technologique de la #surveillance par drones

    Parmi les nouveaux dispositifs promus par le Livre blanc : les #drones_de_police, ici appelés « #drones_de_sécurité_intérieure ». S’ils étaient autorisés par la loi « Sécurité Globale », ils modifieraient radicalement les pouvoirs de la police en lui donnant une capacité de surveillance totale.

    Il est d’ailleurs particulièrement marquant de voir que les rapporteurs de la loi considèrent cette légalisation comme une simple étape sans conséquence, parlant ainsi en une phrase « d’autoriser les services de l’État concourant à la #sécurité_intérieure et à la #défense_nationale et les forces de sécurité civile à filmer par voie aérienne (…) ». Cela alors que, du côté de la police et des industriels, les drones représentent une révolution dans le domaine de la sécurité, un acteur privé de premier plan évoquant au sujet des drones leur « potentiel quasiment inépuisable », car « rapides, faciles à opérer, discrets » et « tout simplement parfaits pour des missions de surveillance »

    Dans les discours sécuritaires qui font la promotion de ces dispositifs, il est en effet frappant de voir la frustration sur les capacités « limitées » (selon eux) des caméras fixes et combien ils fantasment sur le « potentiel » de ces drones. C’est le cas du maire LR d’Asnières-sur-Seine qui en 2016 se plaignait qu’on ne puisse matériellement pas « doter chaque coin de rue de #vidéoprotection » et que les drones « sont les outils techniques les plus adaptés » pour pallier aux limites de la présence humaine. La police met ainsi elle-même en avant la toute-puissance du #robot par le fait, par exemple pour les #contrôles_routiers, que « la caméra du drone détecte chaque infraction », que « les agents démontrent que plus rien ne leur échappe ». Même chose pour la #discrétion de ces outils qui peuvent, « à un coût nettement moindre » qu’un hélicoptère, « opérer des surveillances plus loin sur l’horizon sans être positionné à la verticale au-dessus des suspects ». Du côté des constructeurs, on vante les « #zooms puissants », les « #caméras_thermiques », leur donnant une « #vision_d’aigle », ainsi que « le #décollage possible pratiquement de n’importe où ».

    Tout cela n’est pas que du fantasme. Selon un rapport de l’Assemblée nationale, la police avait, en 2019, par exemple 30 drones « de type #Phantom_4 » et « #Mavic_Pro » (ou « #Mavic_2_Enterprise » comme nous l’avons appris lors de notre contentieux contre la préfecture de police de Paris). Il suffit d’aller voir les fiches descriptives du constructeur pour être inondé de termes techniques vantant l’omniscience de son produit : « caméra de nacelle à 3 axes », « vidéos 4K », « photos de 12 mégapixels », « caméra thermique infrarouge », « vitesse de vol maximale à 72 km/h » … Tant de termes qui recoupent les descriptions faites par leurs promoteurs : une machine volante, discrète, avec une capacité de surveiller tout (espace public ou non), et de loin.

    Il ne s’agit donc pas d’améliorer le dispositif de la vidéosurveillance déjà existant, mais d’un passage à l’échelle qui transforme sa nature, engageant une surveillance massive et largement invisible de l’espace public. Et cela bien loin du léger cadre qu’on avait réussi à imposer aux caméras fixes, qui imposait notamment que chaque caméra installée puisse faire la preuve de son utilité et de son intérêt, c’est-à-dire de la nécessité et de la #proportionnalité de son installation. Au lieu de cela, la vidéosurveillance demeure une politique publique dispendieuse et pourtant jamais évaluée. Comme le rappelle un récent rapport de la Cour des comptes, « aucune corrélation globale n’a été relevée entre l’existence de dispositifs de vidéoprotection et le niveau de la délinquance commise sur la voie publique, ou encore les taux d’élucidation ». Autre principe fondamental du droit entourant actuellement la vidéosurveillance (et lui aussi déjà largement inappliqué) : chaque personne filmée doit être informée de cette surveillance. Les drones semblent en contradiction avec ces deux principes : leur utilisation s’oppose à toute notion d’information des personnes et de nécessité ou proportionnalité.

    Où serons-nous dans 4 ans ?

    En pratique, c’est un basculement total des #pratiques_policières (et donc de notre quotidien) que préparent ces évolutions technologiques et législatives. Le Livre blanc fixe une échéance importante à cet égard : « les Jeux olympiques et paralympiques de Paris de 2024 seront un événement aux dimensions hors normes posant des enjeux de sécurité majeurs » (p. 159). Or, « les Jeux olympiques ne seront pas un lieu d’expérimentation : ces technologies devront être déjà éprouvées, notamment à l’occasion de la coupe de monde de Rugby de 2023 » (p. 159).

    En juillet 2019, le rapport parlementaire cité plus haut constatait que la Police nationale disposait de 30 drones et de 23 pilotes. En novembre 2020, le Livre blanc (p. 231) décompte 235 drones et 146 pilotes. En 14 mois, le nombre de drones et pilotes aura été multiplié par 7. Dès avril 2020, le ministère de l’Intérieur a publié un appel d’offre pour acquérir 650 drones de plus. Rappelons-le : ces dotations se sont faites en violation de la loi. Qu’en sera-t-il lorsque les drones seront autorisés par la loi « sécurité globale » ? Avec combien de milliers d’appareils volants devra-t-on bientôt partager nos rues ? Faut-il redouter, au cours des #JO de 2024, que des dizaines de drones soient attribués à la surveillance de chaque quartier de la région parisienne, survolant plus ou moins automatiquement chaque rue, sans répit, tout au long de la journée ?

    Les évolutions en matières de reconnaissance faciale invite à des projections encore plus glaçantes et irréelles. Dès 2016, nous dénoncions que le méga-fichier #TES, destiné à contenir le visage de l’ensemble de la population, servirait surtout, à terme, à généraliser la reconnaissance faciale à l’ensemble des activités policières : enquêtes, maintien de l’ordre, contrôles d’identité. Avec le port d’une caméra mobile par chaque brigade de police et de gendarmerie, tel que promis par Macron pour 2021, et la retransmission en temps réel permise par la loi « sécurité globale », ce rêve policier sera à portée de main : le gouvernement n’aura plus qu’à modifier unilatéralement son #décret_TES pour y joindre un système de reconnaissance faciale (exactement comme il avait fait en 2012 pour permettre la reconnaissance faciale à partir du TAJ qui, à lui seul, contient déjà 8 millions de photos). Aux robots dans le ciel s’ajouteraient des humains mutiques, dont le casque de réalité augmentée évoqué par le Livre Blanc, couplé à l’analyse d’image automatisée et aux tablettes numériques NEO, permettrait des contrôles systématiques et silencieux, rompus uniquement par la violence des interventions dirigées discrètement et à distance à travers la myriade de drones et de #cyborgs.

    En somme, ce Livre Blanc, dont une large partie est déjà transposée dans la proposition de loi sécurité globale, annonce le passage d’un #cap_sécuritaire historique : toujours plus de surveillance, plus de moyens et de pouvoirs pour la police et consorts, dans des proportions et à un rythme jamais égalés. De fait, c’est un #État_autoritaire qui s’affirme et se consolide à grand renfort d’argent public. Le Livre blanc propose ainsi de multiplier par trois le #budget dévolu au ministère de l’Intérieur, avec une augmentation de 6,7 milliards € sur 10 ans et de 3 milliards entre 2020 et 2025. Une provocation insupportable qui invite à réfléchir sérieusement au définancement de la police au profit de services publiques dont le délabrement plonge la population dans une #insécurité bien plus profonde que celle prétendument gérée par la police.

    https://www.laquadrature.net/2020/11/19/la-technopolice-moteur-de-la-securite-globale
    #France #Etat_autoritaire

    ping @isskein @karine4 @simplicissimus @reka @etraces

  • Les classes filmées : éléments de réglementation | -
    http://dane.web.ac-grenoble.fr/article/les-classes-filmees-elements-de-reglementation

    Le retour progressif des élèves lors de la phase de déconfinement et la limite du nombre d’élèves présents en classe afin de respecter le protocole sanitaire soulèvent de nombreuses questions. En effet, durant cette période, dans la plupart des cas, le professeur fait cours en présence d’une partie seulement de ses élèves tandis qu’une autre partie de la classe est à distance et peut suivre le cours en direct.

    À quelles conditions le professeur peut-il alors filmer son cours et le transmettre en direct au reste de la classe à distance ?

    Pour ce cours hybride, faut-il que les représentants légaux des élèves présents filmés (ou seulement entendus) donnent explicitement leur accord pour cette diffusion par internet ?

    #continuitépédagogique

  • Au Portugal, la solidarité LGBT+ s’organise en réseaux face à la crise sanitaire
    https://www.komitid.fr/2020/05/28/au-portugal-la-solidarite-lgbt-sorganise-en-reseaux-face-a-la-crise-sanitair

    #ContinuamosAMarchar (« nous continuons à marcher »). C’est sous ce mot d’ordre que la commission organisatrice de la Marche des fiertés de Lisbonne a annoncé début mai que la Marche des fiertés, prévue pour le 20 juin 2020, était annulée. « Comme la Marche est plus qu’une fête et que nous voulons continuer à marcher pour défendre les droits des personnes LGBTI +, la commission organisatrice a décidé de la transformer en une initiative de grande portée », déclare le communiqué. Continuer à marcher, en s’entraidant.

    Car, si la crise est sanitaire, c’est aussi une « situation d’urgence sociale », qui attire l’attention sur « de nombreux cas de personnes ayant besoin de médicaments réguliers, d’alimentation et d’abris ». « Lorsqu’il y a une crise, quelle qu’elle soit, ce sont les personnes qui subissent des oppressions, les personnes fragiles et/ou précaires, qui la subissent encore plus de plein fouet », souligne à Komitid Alice, activiste trans.

    Derrière paywall.
    #LGBT #solidarité #Portugal

  • Télétravail, #travail_à_distance dans l’#ESR : l’entourloupe

    Depuis le #confinement, en pratique, les agents de l’#enseignement_supérieur et de la recherche font du télétravail, mais les administrations préfèrent dire que l’on fait du travail à distance, pour une bête raison juridique. Le télétravail dans la #fonction_publique est normalement une pratique encadrée – par le décret du 11 février 2016 (https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000032036983), dont l’une des premières conditions réglementaires est le #volontariat. Il n’existe pas de télétravail imposé dans la fonction publique.

    Le télétravail qui s’est accompli de facto1 ces dernières semaines n’avait, de ce point de vue, pas de #base_juridique formellement identifiable. Nous en avions déjà parlé au moment de la discussion de la continuité académique sur Academia. Pour la fonction publique, il n’existe pas l’équivalent de l’article L. 1222-11 du #code_du_travail (https://www.legifrance.gouv.fr/affichCodeArticle.do?idArticle=LEGIARTI000035643952&cidTexte=LEGITEX) :

    « En cas de circonstances exceptionnelles, notamment de menace d’épidémie, ou en cas de force majeure, la mise en œuvre du télétravail peut être considérée comme un aménagement du poste de travail rendu nécessaire pour permettre la #continuité de l’activité de l’entreprise et garantir la protection des salariés ».

    Ce qui ne signifie pas, pour autant, que cette mise au télétravail sans base légale ou réglementaire était illégale : il ne fait aucun doute qu’en cas de contentieux, le juge administratif soutiendra qu’en période d’épidémie, la mise en œuvre du télétravail doit être considérée comme un aménagement du poste de travail rendu nécessaire pour permettre la continuité du service public et garantir la protection des agents.

    Mais cette absence de base légale ou réglementaire ne peut pas durer éternellement. Et c’est pourquoi le #décret du 11 février 2016 a été modifié il y a une semaine (décret du 5 mai 2020 : https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000041849917&categorieLien=id), pour prévoir en particulier qu’il est possible, désormais, de déroger à la règle selon laquelle « La #quotité des fonctions pouvant être exercées sous la forme du télétravail ne peut être supérieure à trois jours par semaine » et selon laquelle « Le temps de #présence sur le lieu d’affectation ne peut être inférieur à deux jours par semaine ». Désormais, cette règle ne s’applique pas « Lorsqu’une #autorisation_temporaire de télétravail a été demandée et accordée en raison d’une #situation_exceptionnelle perturbant l’accès au service ou le #travail_sur_site », modification introduite dans le décret du 5 mai 2020 (https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000041849917&categorieLien=id) pour tirer les conséquences de l’#épidémie. Mais on n’a pas modifié un point, et c’est important : le télétravail doit dans tous les cas être demandé par l’agent. La nécessité du volontariat est maintenue : il faudrait une loi, et non un simple décret, pour revenir sur cette disposition.

    En toute logique (sic), les administrations – les administrations universitaires, entre autres – devraient donc être en train d’engager les procédures pour régulariser le télétravail en cours, pour revenir dans les clous du droit tel qu’il a été modifié par le décret du 5 mai. On peut douter que beaucoup d’administrations soient en train de le faire de manière active, mais on peut toujours se tromper. Elles savent, en particulier, que si l’on revient dans le droit « normal » du télétravail dans la fonction publique, il va falloir respecter l’ensemble des règles du télétravail. Ce qui signifie en particulier respecter l’article 6 du décret de 2016 :

    « Les agents exerçant leurs fonctions en télétravail bénéficient des mêmes droits et obligations que les agents exerçant sur leur lieu d’affectation. L’employeur prend en charge les coûts découlant directement de l’exercice des fonctions en télétravail, notamment le coût des matériels, logiciels, abonnements, communications et outils ainsi que de la maintenance de ceux-ci ».

    En fait, c’est plus subtil que cela. Les lectrices et lecteurs d’Academia vont admirer le choix fourbe qui a été fait : le décret du 5 mai 2020 n’a pas exactement mis entre parenthèses cette obligation de prendre en charge les #coûts_de_l’exercice des fonctions en télétravail. Il a précisé avec une certaine roublardise que lorsque l’agent demande l’autorisation temporaire de télétravail mentionnée au 2° de l’article 4 — c’est-à-dire l’autorisation de télétravail « demandée et accordée en raison d’une situation exceptionnelle perturbant l’accès au service ou le travail sur site » — alors « l’administration peut autoriser l’utilisation de l’équipement informatique personnel de l’agent ».

    Conclusion : si l’on en croit le décret, ce n’est pas l’administration qui impose le télétravail aux agents – il aurait fallu une loi pour ouvrir cette possibilité, qui n’a pas été prise sur ce point – mais les agents qui le demandent ; et ce n’est pas l’administration qui prend en charge les moyens, notamment informatiques, dont ont besoin les agents pour faire du télétravail, ce sont les agents qui demandent à être autorisés à utiliser leurs équipements informatiques personnels.

    C’est amusant comme on peut tordre le réel avec le droit, non ?

    https://academia.hypotheses.org/23799
    #travail #mots #vocabulaire #terminologie #droits #université #facs #France #équipement

  • L’école à distance à l’heure du déconfinement : Premier bilan
    http://www.cafepedagogique.net/LEXPRESSO/Pages/2020/05/13052020Article637249542396794122.aspx

    Morceaux choisis :

    =>Sur l’étude :

    L’étude est construite à partir de deux questionnaires, l’un adressé aux enseignants du 1er et 2nd degrés, un autre adressé à leurs élèves de la maternelle au lycée . Ces questionnaires mis en ligne le 8 avril 2020, à propos de l’activité des enseignants et des élèves en période de confinement, totalisent plus de 6000 réponses à ce jour.

    Perrine Martin, Christine Félix, Pierre-Alain Filippi et Sophie Gebeil (Aix-Marseille Université)

    => Sur l’état de préparation :

    Les résultats de notre enquête confirment que la communauté éducative s’est largement interrogée - voire inquiétée - sur la mise en œuvre réelle de cette continuité pédagogique, à la fois sur des questions techniques, pédagogiques et didactiques : quels devoirs faut-il déposer et à quelle fréquence ? Sur quels supports ? Comment ? Faut-il prévoir des sessions synchrones, des modalités d’évaluation du travail, de contrôle de l’assiduité ? Faut-il assurer une permanence à distance pour répondre aux questions des élèves ...et/ou de leurs parents et sur quelles plages horaires, etc. ? Sans oublier toutes les questions d’enseignement/apprentissage qui vont bien au-delà de la seule réflexion à propos du dilemme « faire faire des révisions » vs « aborder de nouvelles notions ».

    Seulement 19,7% des enseignants déclarent travailler avec un ordinateur professionnel. Pendant la période de confinement, les enseignants ont donc majoritairement utilisé leur matériel personnel, souvent partagé avec leurs enfants (47,1%) ou leur conjoint (42,4%).

    A cela s’ajoute le fait que toutes les familles ne sont pas équipées en matériel informatique, en imprimante, en scanner et en connexion Internet.

    Il est donc important de souligner que c’est bien l’équipement personnel des enseignants et des élèves qui a permis d’assurer cette continuité pédagogique et de suppléer à une dotation insuffisante de matériel professionnel portable. De plus, ces écarts d’équipements révèlent également que cette situation creuse des inégalités entre élèves ce qui doit nous alerter sur d’autres points (suivi des cours à distance, vérification de l’assiduité, notation...) à ne pas négliger dans la réflexion qui s’amorce.

    => Sur le numérique et l’enseignement à distance

    96,5 % des enseignants affirment utiliser les outils numériques pour travailler même avant le contexte de confinement. De plus, 67,1% d’entre eux se considèrent comme des personnes connectées et 69,2 % s’estiment à l’aise avec les outils numériques.

    L’usage du numérique en classe est majoritairement consacré à la diffusion de supports (67%) et non pas réellement à l’enseignement à distance.

    D’ores et déjà, on comprend que la mise en œuvre d’un enseignement à distance efficace ne s’improvise pas ... même avec une profusion de ressources mises à disposition des équipes dans le cadre du plan numérique. Les questions de la scénarisation et de la didactisation des contenus, par exemple, restent fondamentales pour la mise en œuvre d’un enseignement à distance.

    Il est important de ne pas oublier qu’en distanciel, les élèves ont également besoin d’être autonomes dans l’usage des outils numériques. En effet, beaucoup d’entre eux ont été confrontés à des difficultés liées à la méconnaissance de certains outils ou pratiques qu’ils ne maîtrisaient pas.

    => Sur l’auto-formation des enseignants :

    54,8% estiment ne pas avoir été conseillés quant aux choix des outils numériques. Pour faire face, 76,4% des enseignants se sont tournés vers des collègues en cas de difficultés, ou vers leurs proches (50,9%). D’ailleurs 84% d’entre eux affirment d’ailleurs avoir eu des contacts réguliers avec l’équipe pédagogique.

    Les enseignants, dans leur grande majorité, ont travaillé seuls durant les premières semaines de confinement pour organiser la scénarisation des enseignements et le suivi de leurs élèves

    63% d’entre eux déclarent travailler plus de 4h par jour et 21% au-delà de 7h, avec un temps passé devant un écran qui a doublé ou quadruplé pour 80% des enseignants.

    => Sur le bilan :

    il ne s’agissait pas d’un enseignement à distance “préparé” mais bien d’un enseignement à distance improvisé dans l’urgence par les équipes éducatives.

    Pour aborder au mieux la nouvelle phase qui s’ouvre, “mi à distance, mi en présentiel”, il est sans doute urgent d’envisager que tous les enseignants soient dotés, à domicile, d’un matériel professionnel performant pour assurer ce fonctionnement mixte.

    Il est également nécessaire de réaffirmer la dimension collective de l’enseignement, y compris à distance, et de penser une coordination centralisée quant au travail exigé des élèves.

    #continuitepedagogique #education #etude

  • Tribune : Maurice Danicourt : Un haut fonctionnaire parle…
    http://www.cafepedagogique.net/lexpresso/Pages/2020/05/12052020Article637248579147820153.aspx

    Morceaux choisis :

    Sans relâche, depuis le début de son mandat, le ministre réserve ses annonces à la presse. Depuis le début, il joue le grand public contre eux Depuis le début, il les considère tout juste bons à appliquer ses directives, traduits en vade-mecum, guides et fiches de tous genres et de toutes couleurs, niant leur professionnalisme et ne comptant que sur leur obéissance, voire sur leur conscience professionnelle. Il n’y a donc pas eu lieu de s’étonner quand, au début de l’année, les enseignants n’ont jamais cru un mot de leur ministre quand il leur annonçait, suite à la réforme des retraites, une revalorisation en milliards d’euros… qui n’aura jamais lieu.

    Nous en arrivons au niveau intermédiaire celui des académies et départements où le problème est un peu plus ancien, même s’il ne date seulement que de quelques années. Depuis début 2012 , la gestion des écoles primaires, depuis plus d’un siècle effectuée par les IA (ancêtres des DASEN), fait l’objet d’une appropriation progressive par les recteurs. En effet, à cette date, le recteur est devenu le seul pilote de ses inspecteurs territoriaux (IEN compris) et le seul responsable du second degré, mais aussi du premier, jusque-là chasse gardée des IA. Et, si, universitaire ou haut fonctionnaire, il s’y connait beaucoup moins que l’IA, il s’y intéresse de plus en plus, souvent avec le souci louable de convergence des politiques ou de mutualisation des bonnes pratiques, en nommant un conseiller technique premier degré ou un doyen des inspecteurs du primaire, en réunissant tous les IEN de l’académie, en rencontrant les directeurs, en s’adressant directement à eux, etc.

    La dyarchie est celle que compose l’IEN et la directrice ou le directeur d’école. Rappelons au préalable que ce dernier n’est pas un chef d’établissement : il n’a guère d’autorité sur ses collègues (appelés d’ailleurs traditionnellement ses « adjoints » ; ces derniers sont surtout enclins à reconnaître sa fonction éminente quand la photocopieuse est en panne ou les toilettes bouchées, rarement pour animer un travail pédagogique collectif), il doit très majoritairement faire classe une bonne partie de son service et il n’a aucun collaborateur pour l’assister dans la multiplicité de ses tâches, contrairement au principal du collège voisin qui, même si celui-ci a moins d’élèves dans son établissement qu’une grosse école, peut s’appuyer sur un CPE et des surveillants, une secrétaire, un gestionnaire, même à temps partiel, et souvent un adjoint.

    La crise actuelle l’illustre malheureusement trop parfaitement. On a confié directement aux directrices et directeurs le soin de gérer la question, nouvelle et délicate, de l’enseignement à distance, avec les enseignants et les parents. On leur demande désormais, à eux et presqu’à eux seuls, oubliant les IEN, d’appliquer un protocole sanitaire et une circulaire de reprise, tâche qui relève presque de la mission impossible, au sens où il faudrait oublier que les enfants sont des enfants et que l’acte d’enseigner implique une nécessaire proximité à l’école maternelle comme à l’école élémentaire.

    La crise du Covid 19 est un révélateur. Elle montre qu’à l’école primaire, on marche sur la tête depuis des années, en misant sur l’autonomie de l’école, qui n’en a en fait aucune dans les textes, et sur les responsabilités accrues d’une directrice ou d’un directeur qui ne peut compter que sur son engagement, ses compétences et son charisme pour piloter ses collègues. La coupe est pleine. Il n’y a pas si longtemps que cela, une directrice mettait dramatiquement fin à ses jours, rappelons-nous-en. Le système actuel est à bout de souffle. Tout doit changer, vite, à tous les niveaux, bouleversant une organisation vieille de plus d’un siècle, remettant en cause un management plus récent et renvoyant un ministre dépassé. C’est à ce prix que le président de la République montrera, pour le « monde d’après », qu’il a vraiment retenu la leçon du Covid 19.

    #continuitepedagogique #1erdegre #education