• “Ciò che è tuo è mio”. Fare i conti con la violenza economica

    In Italia una donna su due ha subito violenza economica. WeWorld ha raccolto in un dettagliato report le storie di donne vittime di questa forma di abuso che colpisce in modo particolare chi subisce forme multiple di discriminazione legate all’età, al background migratorio o a una condizione di disabilità.

    “Ogni mese lui mi portava alle Poste, mi faceva prelevare tutti i soldi della mia pensione di 550 euro in contanti e poi pagare le bollette. Se rimanevano dei soldi, anche cinquanta euro, lui li prendeva. Nella vita di tutti i giorni io non avevo controllo su nulla: ogni volta dovevo giustificare come spendevo. Veniva sempre con me e decideva che cosa potessi acquistare e cosa no. Soprattutto per le spese alimentari. Non mi lasciava mai più di uno o due euro nel borsellino per bere un caffè o fare delle stampe”.

    Anna (nome di fantasia) è una donna di 55 anni che ha deciso di lasciare il marito dopo dieci anni di violenze fisiche, sessuali e psicologiche. Una relazione segnata anche da una forma di abuso che ancora troppo spesso viene sottovalutata: quella economica. La donna, che da una quindicina d’anni è in carico al Centro di salute mentale di Bologna per depressione, doveva chiedere il permesso al marito per ogni singola spesa, comprese quelle sanitarie: “Tutte quelle per la mia cura personale dovevano passare per una contrattazione perché non aveva piacere che spendessi. Per più di dieci anni ho chiesto di potermi fare sistemare i denti, ma lui non ha mai acconsentito. Nel 2020 gli ho fatto vedere che uno dei miei ponti in bocca era saltato e allora ha acconsentito, ma non ha mai pagato tutto. Quindi sono rimasta con i lavori a metà”.

    Quella di Anna è una delle diverse testimonianze raccolte dalla Ong WeWorld all’interno degli “Spazi donna” attivi in diverse città italiane (Milano, Napoli, Bologna, Brescia, Roma, Pescara e Cosenza) e contenute nel report “Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica” pubblicato in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne con l’obiettivo di fare luce su questa forma di abuso.

    Il rapporto unisce alle testimonianze un’indagine inedita realizzata da WeWorld in collaborazione con Ipsos, da cui emerge che il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito violenza economica almeno una volta nella vita, percentuale che sale al 67% tra le divorziate e le separate. Più di una donna separata o divorziata su quattro (il 28%) ha affermato di aver subito le decisioni finanziarie prese dal partner senza essere stata consultata in precedenza. A una su dieci il marito o il compagno ha vietato di lavorare.

    Dai dati e dalle storie raccolte emerge poi come “gli abusi economici abbiano una natura trasversale, ma colpiscano maggiormente quelle persone che subiscono forme cumulative di discriminazione: donne molto anziane o molto giovani, con disabilità o dal background migratorio -commenta Martina Albini, coordinatrice del centro studi WeWorld-. E ha radici ben precise in sistemi socioculturali maschio-centrici e patriarcali che alimentano asimmetrie di potere”.

    Una delle definizioni più riportate nella letteratura scientifica identifica questa forma di violenza come “tutti i comportamenti volti a controllare l’abilità della donna di acquisire, utilizzare e mantenere risorse economiche”. Viene agita prevalentemente all’interno di relazioni intime o familiari ed è raro che avvenga singolarmente: tende infatti a essere parte di un più ampio ciclo di violenza fisica, psicologica e sessuale. “Le donne -si legge nel report– hanno maggiori probabilità di subirla perché sono proprio quei sistemi economici e sociali basati sul controllo maschile a favorirla”.

    Esemplificativa, in questo caso, è la vicenda di una giovane di origini sudamericane che si è rivolta allo “Spazio donna” del quartiere Corvetto di Milano. Ha conosciuto l’uomo che sarebbe diventato suo marito mentre frequentava l’università, nel volgere di poco tempo la coppia è andata a convivere ed è nata una bambina: la neomamma è stata quindi costretta a interrompere gli studi: “Tutte le decisioni economiche in casa spettavano a lui, io non pensavo a questi aspetti: non pensavo fossero cose importanti e lasciato che lui si prendesse la responsabilità -racconta-. Anche il bonus statale per la nascita della bambina l’ha preso lui, io non avevo nulla, né conto bancario né Poste Pay. Mi aveva detto che aprire un altro conto corrente non era conveniente”.

    Come avviene per altre forme di violenza, anche quella economica affonda le proprie radici nelle disuguaglianze di genere, nelle aspettative di ruoli tradizionali (la donna che rinuncia al lavoro per prendersi cura della casa e dei figli). Sempre dal sondaggio realizzato da Ipsos per WeWorld, infatti, emerge come il 15% degli intervistati pensi che la violenza sia frutto di comportamenti provocatori delle donne. Mentre il 16% degli uomini ritiene sia giusto che sia il marito o il compagno a comandare in casa.

    Per inquadrare meglio questo fenomeno può essere utile anche fare riferimento ad altri dati che mettono in evidenza la particolare fragilità della popolazione femminile: in Italia il 21,5% delle donne si trova in una condizione di dipendenza finanziaria. E il maggiore carico di cura familiare può costituire un fattore di rischio: prendersi cura della casa a dispetto dell’accesso al mondo del lavoro retribuito incrementa del 25,3% la probabilità di essere vittima di violenza economica. Un altro indicatore preoccupante è il fatto che il 37% delle donne italiane non possiede un conto corrente.

    In altre parole: nel nostro Paese sono ancora troppe le donne che non hanno adeguate competenze finanziarie, considerano “troppo complessi” questi temi e si affidano completamente alle scelte del partner. Oppure hanno sempre dato per scontato che dovessero essere gli uomini a occuparsi di gestire i bilanci familiari. “All’inizio della relazione con mio marito era mio padre a pensare agli aspetti economici in modo da non farmi mancare nulla -racconta una donna che si è rivolta allo “Spazio donna” di Scampia, periferia di Napoli-. Pensavo che fosse quella la normalità. Io non ricevevo soldi, se si doveva fare la spesa andavamo assieme ed è capitato che, a volte, al momento del pagamento lui era fuori a fumare e io facevo passare avanti le persone, perché non potevo pagare senza di lui. Queste piccole cose erano la normalità”.

    Il report di WeWorld evidenzia poi come le esperienze di violenza economica possono essere diverse e sfaccettate tra loro, a seconda dei contesti in cui si inseriscono, e si manifestano in modi differenti. A partire dal controllo economico: l’autore della violenza impedisce, limita o controlla l’uso delle risorse economiche e finanziarie della vittima e il suo potere decisionale, ad esempio monitorando le spese o facendo domande su come questa ha speso i propri soldi. Le donne possono anche essere vittima di sfruttamento economico all’interno della relazione di coppia (il partner ruba denaro, beni o proprietà, oppure costringe la vittima a lavorare più del dovuto) o di sabotaggio quando l’autore della violenza le impedisce di cercare, ottenere o mantenere un lavoro o un percorso di studi.

    Tutto questo ha gravi conseguenze sulla vita delle donne, non solo nel momento in cui vivono all’interno di una relazione violenta e che limita la loro libertà di autodeterminarsi, ma anche dopo che ne sono uscite. L’autonomia economica, infatti, rappresenta un elemento essenziale nella decisione della vittima di lasciare un partner violento, come emerge da uno studio condotto negli Stati Uniti: il 73% delle vittime di violenza economica intervistate ha riferito di essere rimasta con l’aggressore a causa di preoccupazione finanziarie per mantenere sé stessa o i propri figli.

    “L’impossibilità di allontanarsi dal compagno violento per mancanza di risorse economiche le espone inevitabilmente a ulteriori abusi -si legge nel report-. È stato dimostrato che questo rischio è maggiore tra le donne con uno status economico elevato rispetto agli uomini e nelle società in cui le donne hanno iniziato a entrare nel mondo del lavoro, poiché l’emancipazione femminile interviene come elemento di ‘disturbo’ nel contesto coercitivo instaurato dal partner violento”.

    Altrettanto gravi sono le conseguenze economiche indirette di lunga durata, che si ripercuotono sulla vita delle vittime anche quando si è conclusa la relazione abusante: l’impossibilità di studiare e il mancato inserimento nel mondo del lavoro, ad esempio, rendono più difficile per queste donne trovare un lavoro che permetta di mantenere sé stesse e i propri figli. Non hanno quindi nemmeno risparmi a cui poter attingere e spesso sono costrette a chiedere aiuto a familiari e conoscenti per sostenere le spese legali durante la fase di separazione.

    Uscire da queste situazioni di violenza è possibile, come dimostra la vicenda della donna che si è rivolta allo “Spazio donna” di Scampia e che, attraverso il supporto offerto dalle operatrici, ha potuto avviare prima un percorso di auto-consapevolezza della propria situazione e successivamente uno di formazione professionale. “Quando ho realizzato cosa stessi subendo non sono stata più bene, perché nel momento in cui ti rendi conto che hai speso anni di vita pensando di non meritare e precludendoti qualsiasi cosa, stai male -racconta la donna-. Mi sono sentita come una bomba che esplode”. Questa consapevolezza ha fatto maturare una voglia di riscatto unita all’esigenza di fare qualcosa per sé stessa e di costruirsi una professionalità. Ha seguito un corso di cucito e ha avviato una piccola attività sartoriale: “Questo ha naturalmente cambiato il mio rapporto di coppia perché è cambiata la mia mentalità: ora se dico a mio marito che voglio uscire, anche se sa che ho i soldi, mi dice di prendere quello che mi serve. Ora siamo separati in casa, ma se potessi me ne andrei. Sono molto diversa da quella che ero prima e voglio fare il mio lavoro, mi fa stare bene, è una fonte di guadagno, e se io devo andare a lavorare ora non ho problemi a dire a mio marito di prepararsi da mangiare da solo perché io sono impegnata”.

    https://altreconomia.it/cio-che-e-tuo-e-mio-fare-i-conti-con-la-violenza-economica
    #violence_économique #genre #femmes #hommes #violence #Italie #intersectionnalité #rapport #patriarcat #dépendance_financière #compte_bancaire #contrôle_économique #autonomie_économique #travail

    • “Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica”: il nostro report sulla violenza economica sulle donne in Italia

      Il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito violenza economica almeno una volta nella vita, percentuale che sale al 67% tra le donne divorziate o separate; più di 1 donna separata o divorziata su 4 (28%) dichiara di aver subito decisioni finanziarie prese dal partner senza essere stata consultata prima. Eppure, la violenza economica è considerata “molto grave” solo dal 59% dei cittadini/e.

      Sono alcune delle evidenze del report “Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica” pubblicato in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Il rapporto vuole fare luce su una delle forme di violenza contro le donne più subdola e meno conosciuta, concentrandosi sui risultati dell’indagine inedita realizzata insieme a Ipsos per valutare la percezione di italiani e italiane della violenza contro le donne e, in particolare, della violenza economica e dell’esperienza diretta.

      Un tempo considerata una forma di abuso emotivo o psicologico, oggi la violenza economica è riconosciuta come un tipo distinto di violenza, con cu si intendono tutti i comportamenti per controllare l’abilità della donna di acquisire, utilizzare e mantenere risorse economiche. Questo tipo di violenza viene messo in atto soprattutto all’interno di relazioni intime e/o familiari e spesso la violenza economica è parte di un più ampio ciclo di violenza intima e/o familiare (fisica, psicologica, sessuale, ecc.).

      LA VIOLENZA ECONOMICA IN ITALIA: I DATI DELL’INDAGINE

      Relazione tra violenza di genere e stereotipi

      - Più di 1 italiano/a su 4 (27%) pensa che la violenza dovrebbe essere affrontata all’interno della coppia.
      - Il 15% degli italiani/e pensa che la violenza sia frutto di comportamenti provocatori delle donne.
      – Il 16% degli uomini, contro il 6% delle donne, pensa che sia giusto che in casa sia l’uomo a comandare.

      L’immagine sociale delle diverse forme di violenza

      - Per 1 italiano/a su 2 la violenza sessuale è la forma più grave di violenza contro le donne.
      - La violenza economica è considerata molto grave solo dal 59% dei cittadini/e.
      – Per il 9% delle donne separate o divorziate, contro il 3% dei rispondenti, gli atti persecutori (stalking) rappresentano la forma più grave di violenza.

      La violenza economica

      - Il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito nella vita almeno un episodio di violenza economica. Il 67% tra le donne separate o divorziate.
      - 1 donna su 10 dichiara che il partner le ha negato di lavorare.
      – Più di 1 donna separata o divorziata su 4 (28%) dichiara di aver subito decisioni finanziarie prese dal suo partner senza essere stata consultata prima.
      – Quasi 1 italiano/a su 2 ritiene che le donne siano più spesso vittime di violenza economica perché hanno meno accesso degli uomini al mercato del lavoro.

      La situazione economica nei casi di separazione e divorzio

      - Dopo la separazione/divorzio, il 61% delle donne riporta un peggioramento della condizione economica.
      - Il 37% delle donne separate o divorziate dichiara di non ricevere la somma di denaro concordata per la cura dei figli/e.
      - 1 donna separata o divorziata su 4 avverte difficolta a trovare un lavoro con un salario sufficiente al suo sostentamento.

      L’educazione per contrastare la violenza economica

      - La quota di donne che non si sentono preparate rispetto ai temi finanziari è più del doppio di quella degli uomini (10% vs 4%).
      – Quasi 9 italiani/e su 10 (88%) sostengono che bisognerebbe introdurre programmi di educazione economico-finanziaria a partire dalle scuole elementari e medie.
      – Quasi 9 italiani/e su 10 (89%) pensano che bisognerebbe introdurre programmi di educazione sessuo-affettiva a partire dalle scuole elementari e medie.

      ”Dietro ai dati raccolti in questa indagine si trovano storie vere, voci di donne che hanno subito violenza economica e che vogliono raccontarla. Per questo abbiamo voluto inserire nel rapporto testimonianze dai nostri Spazi Donna WeWorld. Da qui emerge come gli abusi economici abbiano una natura trasversale, ma colpiscano maggiormente persone che subiscono forme cumulative di discriminazione: donne molto anziane o molto giovani, con disabilità o dal background migratorio”, commenta Martina Albini, Coordinatrice Centro Studi di WeWorld. “La violenza economica, come tutti gli altri tipi di violenza, ha radici ben precise in sistemi socioculturali maschio-centrici e patriarcali che alimentano asimmetrie di potere. Per questo è necessario un approccio trasversale che sappia sia includere gli interventi diretti, sia stimolare una presa di coscienza collettiva a tutti i livelli della società”.

      VIOLENZA ECONOMICA: I COMPORTAMENTI

      Le esperienze di violenza economica possono essere particolarmente complesse e sfaccettate a seconda dei contesti in cui si inseriscono: ad esempio, gli autori di violenza possono agire comportamenti abusanti culturalmente connotati nel Nord o Sud globale.

      I principali tipi di violenza economica identificati dalle evidenze in materia si distinguono in:

      – CONTROLLO ECONOMICO: L’autore della violenza impedisce, limita o controlla l’uso delle risorse economiche e finanziarie della vittima e il suo potere decisionale. Questo include, tra le altre cose, fare domande alla vittima su come ha speso il denaro; impedire alla vittima di avere o accedere al controllo esclusivo di un conto corrente o a un conto condiviso; monitorare le spese della vittima tramite estratto conto; pretendere di dare alla vittima la propria autorizzazione prima di qualsiasi spesa.
      - SFRUTTAMENTO ECONOMICO: L’autore della violenza usa le risorse economiche e finanziarie della vittima a suo vantaggio. Ad esempio rubando denaro, proprietà o beni della vittima; costringendo la vittima a lavorare più del dovuto (per più ore, svolgendo più lavori, incluso il lavoro di cura, ecc.); relegando la vittima al solo lavoro domestico.
      – SABOTAGGIO ECONOMICO: L’autore della violenza impedisce alla vittima di cercare, ottenere o mantenere un lavoro e/o un percorso di studi distruggendo, ad esempio, i beni della vittima necessari a lavorare o studiare (come vestiti, computer, libri, altro equipaggiamento, ecc.); non prendendosi cura dei figli/e o di altre necessità domestiche per impedire alla vittima di lavorare e/o studiare; adottando comportamenti abusanti in vista di importanti appuntamenti di lavoro o di studio della vittima.

      CONTRASTO ALLA VIOLENZA ECONOMICA: LE PROPOSTE DI WEWORLD

      Grazie all’esperienza maturata in dieci anni di intervento a sostegno delle donne e dei loro diritti, abbiamo sviluppato una serie di proposte per contrastare la violenza economica:

      PREVENIRE

      – Introduzione di curricula obbligatori di educazione sessuo-affettiva nelle scuole di ogni ordine e grado a partire dalla scuola dell’infanzia.
      – Introduzione di curricula obbligatori di educazione economico-finanziaria nelle scuole a partire dalla scuola primaria.
      – Campagne di sensibilizzazione multicanale e rivolte alla più ampia cittadinanza che individuino il fenomeno e le sue specificità.

      (RI)CONOSCERE E MONITORARE

      – Adozione di una definizione condivisa di violenza economica che ne specifichi i comportamenti.
      - Attuazione della Legge 53/2022, riservando attenzione alla raccolta e monitoraggio di dati sul fenomeno della violenza economica e su altri dati spia (condizione di comunione/separazione dei beni, presenza o meno di un conto in banca, condizione occupazionale, titolo di studio, presenza o meno di immobili o beni intestati, ecc.)

      INTERVENIRE

      - Maggiori e strutturali finanziamenti al reddito di libertà (sostegno economico per donne che cercano di allontanarsi da situazioni di violenza e sono in condizione di povertà) integrato a politiche abitative e del lavoro più solide e inclusive
      – Attività di prevenzione ed empowerment femminile che possano integrare l’operato della filiera dell’antiviolenza attraverso presidi territoriali permanenti.
      – Allargamento della filiera dell’antiviolenza a istituti finanziari con ruolo di “sentinella”.

      Pour télécharger le rapport:
      https://ejbn4fjvt9h.exactdn.com/uploads/2023/11/CIO-CHE-E-TUO-E-MIO-previewsingole-3.pdf

      https://www.weworld.it/news-e-storie/news/cio-che-e-tuo-e-mio-fare-i-conti-con-la-violenza-economica-il-nostro-report-
      #sabotage_économique #WeWorld

  • Combien faut-il de smartphones pour faire une vie humaine ?
    https://tagrawlaineqqiqi.wordpress.com/2023/11/18/combien-faut-il-de-smartphone-pour-faire-une-vie-humaine

    Pour environ la quarante-deux millionième fois, on m’a expliqué que ne pas avoir et ne pas vouloir de smartphone, c’est être un individu archaïque réfractaire au progrès. Parce que depuis le début du XIXe siècle, on nous présente tout nouvel objet, et désormais toute nouvelle automatisation comme un progrès inéluctable, insistant sur le fait qu’il […]

    #Article #autonomie #chroniques_agricoles #Société #contrôle_social
    https://0.gravatar.com/avatar/cd5bf583a4f6b14e8793f123f6473b33bb560651f18847079e51b3bcad719755?s=96&d=

  • #Contrôles_frontaliers : l’ère des #drones

    Le 7 septembre 2023, les préfets du Nord, du #Pas-de-Calais et de la Somme adoptaient un arrêté interdépartemental autorisant l’emploi de #caméras installées à bord d’aéronefs « dans le cadre de la mission de lutte contre l’immigration clandestine en zone Nord ». Il permet, durant 3 mois, l’utilisation de 76 caméras embarquées à bord de drones, #avions et #hélicoptères afin de surveiller une large bande côtière de 5 km s’étendant, hors agglomération, sur 150 km de #Mers-les-Bains à #Bray-Dunes. Peut notamment être mobilisé, pour la #surveillance nocturne, l’avion de la société privée, prestataire de la #police_aux_frontières, habituellement utilisé dans le cadre de missions de sauvetage…

    Depuis qu’un #décret du #19_avril_2023, pris en application de la loi du 24 janvier 2022 relative à la responsabilité pénale et à la sécurité intérieure, permet la #surveillance_des_frontières par des caméras embarquées « en vue de lutter contre leur franchissement irrégulier », les préfets des départements frontaliers n’ont pas tardé à édicter des arrêtés en série, faisant entrer la surveillance des frontières dans l’ère des drones.

    Le préfet des #Alpes-Maritimes s’est empressé de dégainer le premier. En guise de ballon d’essai, il autorisait, pour la seule journée du 4 mai, la surveillance par drones d’un très large périmètre couvrant le littoral mentonnais ainsi que les abords des postes frontières et des voies ferroviaires. Une semaine après, le 10 mai, le même préfet édictait, pour une durée de 3 mois, deux nouveaux arrêtés couvrant le secteur frontalier et ferroviaire de la commune de Menton, de Breil-sur-Roya, de Sospel et de Castellar.

    Au terme de ces 3 mois, le 10 août, un nouvel arrêté autorisait l’utilisation d’une caméra grand angle et d’une #caméra_thermique, durant 3 mois, pour surveiller, de jour comme de nuit, le secteur de la commune de #Menton. Puis un autre, le 11 septembre, toujours pour 3 mois, en vue de l’utilisation de caméras optiques et thermiques pour contrôler la #vallée_de_la_Roya. À n’en pas douter, ces arrêtés seront renouvelés alors même que la loi exige que la surveillance ne soit pas permanente.

    Le 24 mai, le préfet des #Hautes-Alpes autorisait à son tour, pour 3 mois, la surveillance par drones des points de passage du #Briançonnais. Loin d’empêcher le franchissement des cols alpins, l’utilisation de ces moyens technologiques pousse les exilés à emprunter des itinéraires plus dangereux. Fin août, l’association Refuges solidaires n’a-t-elle pas dû fermer les portes du centre d’accueil d’urgence en raison de saturation ?

    Pour tenter de freiner le déploiement massif des drones, les associations ne sont pas restées passives. Afin de respecter le droit au respect de la vie privée, le Conseil constitutionnel a exigé, dans sa décision du 20 janvier 2022, qu’« une telle autorisation ne saurait cependant […] être accordée qu’après que le préfet s’est assuré que le service ne peut employer d’autres moyens moins intrusifs… ». Cette réserve a permis à des associations locales de contester avec succès, en référé-liberté, un arrêté du 26 juin 2023 du préfet des Pyrénées-Atlantiques autorisant la surveillance par drones, durant 1 mois, d’un large périmètre des communes frontalières d’Urrugne et d’Hendaye. En appel, le Conseil d’État a confirmé la suspension de l’arrêté, estimant que les données produites par l’administration sur les flux migratoires, les caractéristiques géographiques de la zone concernée et les moyens affectés « ne sont pas suffisamment circonstanciés pour justifier, sur la base d’une appréciation précise et concrète de la nécessité de la proportionnalité de la mesure, que le service ne peut employer, pour l’exercice de cette mission dans cette zone et sur toute l’étendue de son périmètre, d’autres moyens moins intrusifs… [1] ».

    Plus récemment, des associations, dont le Gisti, ont contesté, sans succès [2], des arrêtés du préfet de Mayotte d’août 2023 autorisant, jusqu’en novembre, l’utilisation de drones « dans le cadre des opérations de maintien de l’ordre et de lutte contre l’immigration clandestine » sur un périmètre couvrant 9 communes, pour une superficie au moins égale à 200 km2, soit l’essentiel des zones habitées de l’île.

    Le déploiement de ces technologies de surveillance contribue à la déshumanisation accrue des contrôles frontaliers et à la mise à distance des migrants. Plusieurs indices font néanmoins craindre un développement rapide de ces technologies de surveillance. En mars 2023, la Commission européenne envisageait ainsi, dans une communication sur la gestion intégrée des frontières, de privilégier l’utilisation de drones. Quant à la loi « JO » du 19 mai 2023, elle permet aux forces de l’ordre d’expérimenter, jusqu’en 2025, le traitement algorithmique des images captées lors de manifestations sportives, récréatives ou culturelles – expérimentation qui sera, sans guère de doute, pérennisée à l’avenir et élargie aux contrôles frontaliers.

    Pour surveiller des périmètres plus vastes, il est aussi possible d’effectuer une surveillance des frontières par des drones munis de capteurs thermiques et infrarouge [3], des drones militaires (comme pour le défilé du 14 juillet 2023), des drones en essaim (comme à l’occasion de feux d’artifice), ou même des dirigeables. On peut aussi imaginer des drones équipés de dispositifs d’immobilisation à impulsion électrique (dit « taser ») [4] ou, pourquoi pas, comme Serge Lehman dans F.A.U.S.T. [5], des nano drones permettant de contrôler l’accès des citoyens à un territoire et tenir à l’écart les indésirables ?

    https://www.gisti.org/spip.php?article7132

    #frontières #Calais #justice #frontière_sud-alpine #Alpes #Mayotte #technologie #déshumanisation

  • L’accueil, une clinique d’hospitalité

    L’Utopie concrète du soin psychique

    A la suite de l’essai Emancipation de la psychiatrie qui remet en perspective les acquis institutionnels de la psychothérapie institutionnelle et du secteur de psychiatrie publique généraliste, L’accueil, une clinique d’hospitalité, utopie concrète du soin psychique, le reprend à partir de pratiques cliniques d’accueil du soin psychique émancipatrice de la « valeur humaine » en psychiatrie. L’humain, technique alternative en est l’enjeu politique majeur d’accès inconditionnel aux soins psychique dans la société, que ce soit pour les populations autochtones ou pour les réfugiés et exilés migrant de l’humanitaire.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/11/15/laccueil-une-clinique-dhospitalite

    #santé

  • Les pratiques de la France à la frontière franco-italienne jugées non conformes par Luxembourg

    Pour télécharger le communiqué : https://www.ldh-france.org/wp-content/uploads/2023/11/CP-interasso-Les-pratiques-de-la-France-a-la-frontiere-franco-italienne-

    Alors que le gouvernement soumet au Sénat son projet de loi sur l’asile et l’immigration, la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) de Luxembourg vient de rendre un arrêt, en réponse à une question préjudicielle du Conseil d’Etat, qui oblige la France à mettre ses pratiques aux frontières et notamment à la frontière franco-italienne en conformité avec le droit de l’Union européenne.

    Depuis 2015, la France a rétabli les contrôles à ses frontières intérieures, par dérogation au principe de libre circulation dans l’espace Schengen. Et depuis cette date, elle enferme dans des bâtiments de fortune et refoule des personnes étrangères à qui elle refuse l’entrée sur le territoire, notamment à la frontière franco-italienne, comme c’est le cas, en ce moment même, à Menton ou à Montgenèvre. En prévision de l’augmentation des arrivées en provenance d’Italie à la mi septembre, les dispositifs de surveillance ont été renforcés et les baraquements dits de « mise à l’abri » se sont multipliés. Pour enfermer et expulser en toute illégalité, car les constats sur le terrain démontrent que ces contrôles débouchent sur de l’enfermement et des refoulements de personnes en dehors d’un cadre juridique défini.

    À de multiples reprises, depuis plusieurs années, nos associations ont protesté contre cette situation et ont saisi, en vain, les tribunaux français pour obtenir qu’il soit mis fin à ces pratiques en conséquence desquelles, au fil des années, des milliers de personnes ont été privées de liberté et expulsées, sans pouvoir accéder à leurs droits fondamentaux (accès à une procédure, accès au droit d’asile, recours effectif). Nos associations ayant contesté la conformité au droit européen de la disposition du code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile (Ceseda) qui permet à l’administration de prononcer des « refus d’entrée » aux frontières intérieures sans respecter les normes prévues par la directive européenne 2008/115/CE, dite directive « Retour », le Conseil d’État a saisi la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) d’une question préjudicielle sur ce point.

    Dans sa décision du 21 septembre 2023, la CJUE a répondu à cette question en retenant le raisonnement juridique défendu par nos organisations. Elle estime que lorsqu’un État membre a réintroduit des contrôles à ses frontières intérieures, les « normes et procédures prévues par cette directive » sont applicables aux personnes qui, se présentant à un point de passage frontalier situé sur son territoire, se voient opposer un refus d’entrer.

    Par cette décision, la CJUE rappelle à tous les Etats membres de l’UE leurs obligations lorsqu’ils rétablissent des contrôles à leurs frontières intérieures :
    – notifier à la personne à qui elle refuse l’entrée une décision de retour vers un pays tiers ainsi qu’une voie de recours effective (autrement dit on ne peut pas se contenter de refouler en la remettant aux autorités de l’État membre de provenance) ;
    – lui accorder un délai de départ volontaire (vers le pays tiers désigné dans la notification) ;
    – n’imposer une privation de liberté à cette personne, dans l’attente de son éloignement, que dans les cas et conditions de la rétention prévus par la directive « Retour ».

    Depuis fin septembre, nos associations organisent de manière régulière des observations des pratiques des forces de l’ordre à la gare de Menton Garavan et aux postes de la police aux frontières de Montgenèvre (Hautes-Alpes) et de Menton pont Saint-Louis (Alpes-Maritimes). Force est de constater que les pratiques à la frontière intérieure n’ont pas évolué. Les contrôles au faciès aux points de passage autorisés (PPA), ainsi que dans d’autres zones frontalières, sont quotidiens, les procédures de « refus d’entrée » sont toujours réalisées à la va-vite, sur le quai de la gare, devant le poste de police ou parfois à l’intérieur de celui-ci, sans interprète et sans examen individuel de la situation des personnes. Des majeurs comme des mineurs sont refoulés, des personnes à qui l’entrée sur le territoire est refusée sont privées de liberté, sans pouvoir demander l’asile ou contester la mesure d’enfermement à laquelle elles sont soumises, et sans accès à un avocat à ou une association.

    Interrogée par des élus qui, pour certains, se sont vu opposer des refus d’accès au locaux dits « de mise à l’abri », la police aux frontières a précisé qu’aucune directive ne lui avait été transmise depuis la décision de la CJUE.

    Parce que la France persiste dans son refus de se conformer au droit de l’UE, les pratiques illégales perdurent et des dizaines de personnes continuent, quotidiennement, à être victimes de la violation de leurs droits fondamentaux.

    Il revient désormais au Conseil d’État de tirer les enseignements de la décision de la CJUE et de mettre fin aux pratiques d’enfermement et de refoulement aux frontières, hors du cadre juridique approprié, notamment à la frontière franco-italienne.

    Organisations signataires : ADDE ; Anafé (Association nationale d’assistance pour les personnes étrangères) ; Emmaüs Roya ; Gisti ; Groupe accueil solidarité ; La Cimade ; LDH (Ligue des droits de l’Homme) ; Roya Citoyenne ; Syndicat de la Magistrature ; Syndicat des avocats de France ; Tous migrant.

    Paris, le 13 novembre 2023

    https://www.ldh-france.org/les-pratiques-de-la-france-a-la-frontiere-franco-italienne-jugees-non-co
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    • ARRÊT DE LA COUR (quatrième chambre)

      21 septembre 2023 (*)

      « Renvoi préjudiciel – Espace de liberté, de sécurité et de justice – Contrôle aux frontières, asile et immigration – Règlement (UE) 2016/399 – Article 32 – Réintroduction temporaire par un État membre du contrôle à ses frontières intérieures – Article 14 – Décision de refus d’entrée – Assimilation des frontières intérieures aux frontières extérieures – Directive 2008/115/CE – Champ d’application – Article 2, paragraphe 2, sous a) »

      Dans l’affaire C‑143/22,

      ayant pour objet une demande de décision préjudicielle au titre de l’article 267 TFUE, introduite par le Conseil d’État (France), par décision du 24 février 2022, parvenue à la Cour le 1er mars 2022, dans la procédure

      Association Avocats pour la défense des droits des étrangers (ADDE),

      Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (ANAFE),

      Association de recherche, de communication et d’action pour l’accès aux traitements (ARCAT),

      Comité inter-mouvements auprès des évacués (Cimade),

      Fédération des associations de solidarité avec tou.te.s les immigré.e.s (FASTI),

      Groupe d’information et de soutien des immigré.e.s (GISTI),

      Ligue des droits de l’homme (LDH),

      Le paria,

      Syndicat des avocats de France (SAF),

      SOS – Hépatites Fédération

      contre

      Ministre de l’Intérieur,

      en présence de :

      Défenseur des droits,

      LA COUR (quatrième chambre),

      composée de M. C. Lycourgos (rapporteur), président de chambre, Mme L. S. Rossi, MM. J.‑C. Bonichot, S. Rodin et Mme O. Spineanu‑Matei, juges,

      avocat général : M. A. Rantos,

      greffier : Mme M. Krausenböck, administratrice,

      vu la procédure écrite et à la suite de l’audience du 19 janvier 2023,

      considérant les observations présentées :

      – pour l’Association Avocats pour la défense des droits des étrangers (ADDE), l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (ANAFE), l’Association de recherche, de communication et d’action pour l’accès aux traitements (ARCAT), le Comité inter-mouvements auprès des évacués (Cimade), la Fédération des associations de solidarité avec tou.te.s les immigré.e.s (FASTI), le Groupe d’information et de soutien des immigré.e.s (GISTI), la Ligue des droits de l’homme (LDH), Le paria, le Syndicat des avocats de France (SAF) et SOS – Hépatites Fédération, par Me P. Spinosi, avocat,

      – pour le Défenseur des droits, par Mme C. Hédon, Défenseure des droits, Mmes M. Cauvin et A. Guitton, conseillères, assistées de Me I. Zribi, avocate,

      – pour le gouvernement français, par Mme A.-L. Desjonquères et M. J. Illouz, en qualité d’agents,

      – pour le gouvernement polonais, par M. B. Majczyna, Mmes E. Borawska-Kędzierska et A. Siwek-Ślusarek, en qualité d’agents,

      – pour la Commission européenne, par Mmes A. Azéma, A. Katsimerou, MM. T. Lilamand et J. Tomkin, en qualité d’agents,

      ayant entendu l’avocat général en ses conclusions à l’audience du 30 mars 2023,

      rend le présent

      Arrêt

      1 La demande de décision préjudicielle porte sur l’interprétation de l’article 14 du règlement (UE) 2016/399 du Parlement européen et du Conseil, du 9 mars 2016, concernant un code de l’Union relatif au régime de franchissement des frontières par les personnes (code frontières Schengen) (JO 2016, L 77, p. 1, ci-après le « code frontières Schengen »), ainsi que de la directive 2008/115/CE du Parlement européen et du Conseil, du 16 décembre 2008, relative aux normes et procédures communes applicables dans les États membres au retour des ressortissants de pays tiers en séjour irrégulier (JO 2008, L 348, p. 98).

      2 Cette demande a été présentée dans le cadre d’un litige opposant l’Association Avocats pour la défense des droits des étrangers (ADDE), l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (ANAFE), l’Association de recherche, de communication et d’action pour l’accès aux traitements (ARCAT), le Comité inter-mouvements auprès des évacués (Cimade), la Fédération des associations de solidarité avec tou.te.s les immigré.e.s (FASTI), le Groupe d’information et de soutien des immigré.e.s (GISTI), la Ligue des droits de l’homme (LDH), Le paria, le Syndicat des avocats de France (SAF) et SOS – Hépatites Fédération, au ministre de l’Intérieur (France) au sujet de la légalité de l’ordonnance no 2020-1733 du 16 décembre 2020 portant partie législative du code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile (JORF du 30 décembre 2020, texte no 41).

      Le cadre juridique

      Le droit de l’Union

      Le code frontières Schengen

      3 Aux termes de l’article 2 du code frontières Schengen :

      « Aux fins du présent règlement, on entend par :

      1) “frontières intérieures” :

      a) les frontières terrestres communes, y compris fluviales et lacustres, des États membres ;

      b) les aéroports des États membres pour les vols intérieurs ;

      c) les ports maritimes, fluviaux et lacustres des États membres pour les liaisons régulières intérieures par transbordeur ;

      2) “frontières extérieures” : les frontières terrestres des États membres, y compris les frontières fluviales et lacustres, les frontières maritimes, ainsi que leurs aéroports, ports fluviaux, ports maritimes et ports lacustres, pour autant qu’ils ne soient pas des frontières intérieures ;

      [...] »

      4 Le titre II de ce code, relatif aux « frontières extérieures », comprend les articles 5 à 21 de celui-ci.

      5 L’article 14 dudit code, intitulé « Refus d’entrée », prévoit :

      « 1. L’entrée sur le territoire des États membres est refusée au ressortissant de pays tiers qui ne remplit pas l’ensemble des conditions d’entrée énoncées à l’article 6, paragraphe 1, et qui n’appartient pas à l’une des catégories de personnes visées à l’article 6, paragraphe 5. Cette disposition est sans préjudice de l’application des dispositions particulières relatives au droit d’asile et à la protection internationale ou à la délivrance de visas de long séjour.

      2. L’entrée ne peut être refusée qu’au moyen d’une décision motivée indiquant les raisons précises du refus. La décision est prise par une autorité compétente habilitée à ce titre par le droit national. Elle prend effet immédiatement.

      La décision motivée indiquant les raisons précises du refus est notifiée au moyen d’un formulaire uniforme tel que celui figurant à l’annexe V, partie B, et rempli par l’autorité compétente habilitée par le droit national à refuser l’entrée. Le formulaire uniforme ainsi complété est remis au ressortissant de pays tiers concerné, qui accuse réception de la décision de refus au moyen dudit formulaire.

      Les données relatives aux ressortissants de pays tiers auxquels l’entrée pour un court séjour a été refusée sont enregistrées dans l’EES conformément à l’article 6 bis, paragraphe 2, du présent règlement et à l’article 18 du règlement (UE) 2017/2226 [du Parlement européen et du Conseil du 30 novembre 2017 portant création d’un système d’entrée/de sortie (EES) pour enregistrer les données relatives aux entrées, aux sorties et aux refus d’entrée concernant les ressortissants de pays tiers qui franchissent les frontières extérieures des États membres et portant détermination des conditions d’accès à l’EES à des fins répressives, et modifiant la convention d’application de l’accord de Schengen et les règlements (CE) no 767/2008 et (UE) no 1077/2011 (JO 2017, L 327, p. 20)].

      3. Les personnes ayant fait l’objet d’une décision de refus d’entrée ont le droit de former un recours contre cette décision. Les recours sont formés conformément au droit national. Des indications écrites sont également mises à la disposition du ressortissant de pays tiers en ce qui concerne des points de contact en mesure de communiquer des informations sur des représentants compétents pour agir au nom du ressortissant de pays tiers conformément au droit national.

      L’introduction d’un tel recours n’a pas d’effet suspensif à l’égard de la décision de refus d’entrée.

      Sans préjudice de toute éventuelle compensation accordée conformément au droit national, le ressortissant de pays tiers concerné a le droit à la rectification des données introduites dans l’ESS ou du cachet d’entrée annulé, ou les deux, ainsi qu’à la rectification de toute autre annulation ou ajout qui ont été apportés, de la part de l’État membre qui a refusé l’entrée, si, dans le cadre du recours, la décision de refus d’entrée est déclarée non fondée.

      4. Les gardes-frontières veillent à ce qu’un ressortissant de pays tiers ayant fait l’objet d’une décision de refus d’entrée ne pénètre pas sur le territoire de l’État membre concerné.

      5. Les États membres établissent un relevé statistique sur le nombre de personnes ayant fait l’objet d’une décision de refus d’entrée, les motifs du refus, la nationalité des personnes auxquelles l’entrée a été refusée et le type de frontière (terrestre, aérienne, maritime) auquel l’entrée leur a été refusée, et le transmettent chaque année à la Commission (Eurostat) conformément au règlement (CE) no 862/2007 du Parlement européen et du Conseil[, du 11 juillet 2007, relatif aux statistiques communautaires sur la migration et la protection internationale, et abrogeant le règlement (CEE) no 311/76 du Conseil relatif à l’établissement de statistiques concernant les travailleurs étrangers (JO 2007, L 199, p. 23)].

      6. Les modalités du refus d’entrée sont décrites à l’annexe V, partie A. »

      6 Le titre III du code frontières Schengen, relatif aux « frontières intérieures », comprend les articles 22 à 35 de celui-ci.

      7 L’article 25 dudit code, intitulé « Cadre général pour la réintroduction temporaire du contrôle aux frontières intérieures », dispose, à son paragraphe 1 :

      « En cas de menace grave pour l’ordre public ou la sécurité intérieure d’un État membre dans l’espace sans contrôle aux frontières intérieures, cet État membre peut exceptionnellement réintroduire le contrôle aux frontières sur tous les tronçons ou sur certains tronçons spécifiques de ses frontières intérieures pendant une période limitée d’une durée maximale de trente jours ou pour la durée prévisible de la menace grave si elle est supérieure à trente jours. La portée et la durée de la réintroduction temporaire du contrôle aux frontières intérieures ne doivent pas excéder ce qui est strictement nécessaire pour répondre à la menace grave. »

      8 L’article 32 du même code, intitulé « Dispositions s’appliquant en cas de réintroduction du contrôle aux frontières intérieures », énonce :

      « Lorsque le contrôle aux frontières intérieures est réintroduit, les dispositions pertinentes du titre II s’appliquent mutatis mutandis. »

      9 L’annexe V, partie A, du code frontières Schengen prévoit :

      « 1. En cas de refus d’entrée, le garde-frontière compétent :

      a) remplit le formulaire uniforme de refus d’entrée figurant dans la partie B. Le ressortissant de pays tiers concerné signe le formulaire et en reçoit une copie après signature. Si le ressortissant de pays tiers refuse de signer, le garde-frontière indique ce refus dans le formulaire, sous la rubrique “observations” ;

      b) en ce qui concerne les ressortissants de pays tiers dont l’entrée pour un court séjour a été refusée, enregistre dans l’EES les données relatives au refus d’entrée conformément à l’article 6 bis, paragraphe 2, du présent règlement et à l’article 18 du règlement (UE) 2017/2226 ;

      c) procède à l’annulation ou à la révocation du visa, le cas échéant, conformément aux conditions fixées à l’article 34 du règlement (CE) no 810/2009 [du Parlement européen et du Conseil, du 13 juillet 2009, établissant un code communautaire des visas (code des visas) (JO 2009, L 243, p. 1)] ;

      d) en ce qui concerne les ressortissants de pays tiers dont le refus d’entrée n’est pas enregistré dans l’EES, appose sur le passeport un cachet d’entrée, barré d’une croix à l’encre noire indélébile, et inscrit en regard, à droite, également à l’encre indélébile, la ou les lettres correspondant au(x) motif(s) du refus d’entrée, dont la liste figure dans le formulaire uniforme de refus d’entrée comme indiqué dans la partie B de la présente annexe. En outre, pour ces catégories de personnes, le garde-frontière enregistre tout refus d’entrée dans un registre ou sur une liste, qui mentionne l’identité et la nationalité du ressortissant de pays tiers concerné, les références du document autorisant le franchissement de la frontière par ce ressortissant du pays tiers, ainsi que le motif et la date de refus d’entrée.

      Les modalités pratiques de l’apposition du cachet sont décrites à l’annexe IV.

      2. Si le ressortissant de pays tiers frappé d’une décision de refus d’entrée a été acheminé à la frontière par un transporteur, l’autorité localement responsable :

      a) ordonne à ce transporteur de reprendre en charge le ressortissant de pays tiers sans tarder et de l’acheminer soit vers le pays tiers d’où il a été transporté, soit vers le pays tiers qui a délivré le document permettant le franchissement de la frontière, soit vers tout autre pays tiers dans lequel son admission est garantie, ou de trouver un moyen de réacheminement conformément à l’article 26 de la convention de Schengen et aux dispositions de la directive 2001/51/CE du Conseil[, du 28 juin 2001, visant à compléter les dispositions de l’article 26 de la convention d’application de l’accord de Schengen du 14 juin 1985 (JO 2001, L 187, p. 45)] ;

      b) en attendant le réacheminement, prend, dans le respect du droit national et compte tenu des circonstances locales, les mesures appropriées afin d’éviter l’entrée illégale des ressortissants de pays tiers frappés d’une décision de refus d’entrée.

      [...] »

      10 Aux termes de l’article 44 de ce code, intitulé « Abrogation » :

      « Le règlement (CE) no 562/2006 [du Parlement européen et du Conseil, du 15 mars 2006, établissant un code communautaire relatif au régime de franchissement des frontières par les personnes (code frontières Schengen) (JO 2006, L 105, p. 1)] est abrogé.

      Les références faites au règlement abrogé s’entendent comme faites au présent règlement et sont à lire selon le tableau de correspondance figurant à l’annexe X. »

      11 Conformément à ce tableau de correspondance, l’article 14 du code frontières Schengen correspond à l’article 13 du règlement no 562/2006.

      La directive 2008/115

      12 L’article 2, paragraphes 1 et 2, de la directive 2008/115 dispose :

      « 1. La présente directive s’applique aux ressortissants de pays tiers en séjour irrégulier sur le territoire d’un État membre.

      2. Les États membres peuvent décider de ne pas appliquer la présente directive aux ressortissants de pays tiers :

      a) faisant l’objet d’une décision de refus d’entrée conformément à l’article 13 du [règlement no 562/2006], ou arrêtés ou interceptés par les autorités compétentes à l’occasion du franchissement irrégulier par voie terrestre, maritime ou aérienne de la frontière extérieure d’un État membre et qui n’ont pas obtenu par la suite l’autorisation ou le droit de séjourner dans ledit État membre ;

      b) faisant l’objet d’une sanction pénale prévoyant ou ayant pour conséquence leur retour, conformément au droit national, ou faisant l’objet de procédures d’extradition. »

      13 Aux termes de l’article 3 de cette directive :

      « Aux fins de la présente directive, on entend par :

      [...]

      2) “séjour irrégulier” : la présence sur le territoire d’un État membre d’un ressortissant d’un pays tiers qui ne remplit pas, ou ne remplit plus, les conditions d’entrée énoncées à l’article 5 du [règlement no 562/2006], ou d’autres conditions d’entrée, de séjour ou de résidence dans cet État membre ;

      3) “retour” : le fait, pour le ressortissant d’un pays tiers, de rentrer – que ce soit par obtempération volontaire à une obligation de retour ou en y étant forcé – dans :

      – son pays d’origine, ou

      – un pays de transit conformément à des accords ou autres arrangements de réadmission communautaires ou bilatéraux, ou

      – un autre pays tiers dans lequel le ressortissant concerné d’un pays tiers décide de retourner volontairement et sur le territoire duquel il sera admis ;

      [...] »

      14 L’article 4, paragraphe 4, de ladite directive prévoit :

      « En ce qui concerne les ressortissants de pays tiers exclus du champ d’application de la présente directive conformément à l’article 2, paragraphe 2, point a), les États membres :

      a) veillent à ce que le traitement et le niveau de protection qui leur sont accordés ne soient pas moins favorables que ceux prévus à l’article 8, paragraphes 4 et 5 (limitations du recours aux mesures coercitives), à l’article 9, paragraphe 2, point a) (report de l’éloignement), à l’article 14, paragraphe 1, points b) et d) (soins médicaux d’urgence et prise en considération des besoins des personnes vulnérables), ainsi qu’aux articles 16 et 17 (conditions de rétention), et

      b) respectent le principe de non-refoulement. »

      15 L’article 5 de la directive 2008/115 dispose :

      « Lorsqu’ils mettent en œuvre la présente directive, les États membres tiennent dûment compte :

      a) de l’intérêt supérieur de l’enfant,

      b) de la vie familiale,

      c) de l’état de santé du ressortissant concerné d’un pays tiers,

      et respectent le principe de non-refoulement. »

      16 L’article 6 de cette directive dispose :

      « 1. Les État membres prennent une décision de retour à l’encontre de tout ressortissant d’un pays tiers en séjour irrégulier sur leur territoire, sans préjudice des exceptions visées aux paragraphes 2 à 5.

      2. Les ressortissants de pays tiers en séjour irrégulier sur le territoire d’un État membre et titulaires d’un titre de séjour valable ou d’une autre autorisation conférant un droit de séjour délivrés par un autre État membre sont tenus de se rendre immédiatement sur le territoire de cet autre État membre. En cas de non-respect de cette obligation par le ressortissant concerné d’un pays tiers ou lorsque le départ immédiat du ressortissant d’un pays tiers est requis pour des motifs relevant de l’ordre public ou de la sécurité nationale, le paragraphe 1 s’applique.

      3. Les État membres peuvent s’abstenir de prendre une décision de retour à l’encontre d’un ressortissant d’un pays tiers en séjour irrégulier sur leur territoire si le ressortissant concerné d’un pays tiers est repris par un autre État membre en vertu d’accords ou d’arrangements bilatéraux existant à la date d’entrée en vigueur de la présente directive. Dans ce cas, l’État membre qui a repris le ressortissant concerné d’un pays tiers applique le paragraphe 1.

      [...] »

      17 L’article 7, paragraphe 1, premier alinéa, de ladite directive prévoit :

      « La décision de retour prévoit un délai approprié allant de sept à trente jours pour le départ volontaire, sans préjudice des exceptions visées aux paragraphes 2 et 4. Les États membres peuvent prévoir dans leur législation nationale que ce délai n’est accordé qu’à la suite d’une demande du ressortissant concerné d’un pays tiers. Dans ce cas, les États membres informent les ressortissants concernés de pays tiers de la possibilité de présenter une telle demande. »

      18 L’article 15, paragraphe 1, de la même directive énonce :

      « À moins que d’autres mesures suffisantes, mais moins coercitives, puissent être appliquées efficacement dans un cas particulier, les États membres peuvent uniquement placer en rétention le ressortissant d’un pays tiers qui fait l’objet de procédures de retour afin de préparer le retour et/ou de procéder à l’éloignement, en particulier lorsque :

      a) il existe un risque de fuite, ou

      b) le ressortissant concerné d’un pays tiers évite ou empêche la préparation du retour ou de la procédure d’éloignement.

      Toute rétention est aussi brève que possible et n’est maintenue qu’aussi longtemps que le dispositif d’éloignement est en cours et exécuté avec toute la diligence requise. »

      Le droit français

      19 L’article L. 213-3-1 du code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile, dans sa version issue de la loi no 2018-778, du 10 septembre 2018, pour une immigration maîtrisée, un droit d’asile effectif et une intégration réussie (JORF du 11 septembre 2018, texte no 1) (ci-après le « Ceseda ancien »), énonçait :

      « En cas de réintroduction temporaire du contrôle aux frontières intérieures prévue au chapitre II du titre III du [code frontières Schengen], les décisions mentionnées à l’article L. 213-2 peuvent être prises à l’égard de l’étranger qui, en provenance directe du territoire d’un État partie à la convention signée à Schengen le 19 juin 1990, a pénétré sur le territoire métropolitain en franchissant une frontière intérieure terrestre sans y être autorisé et a été contrôlé dans une zone comprise entre cette frontière et une ligne tracée à dix kilomètres en deçà. Les modalités de ces contrôles sont définies par décret en Conseil d’État. »

      20 L’ordonnance no 2020-1733 a procédé à la refonte de la partie législative du code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile. L’article L. 332-2 de ce code ainsi modifié (ci-après le « Ceseda modifié ») dispose :

      « La décision de refus d’entrée, qui est écrite et motivée, est prise par un agent relevant d’une catégorie fixée par voie réglementaire.

      La notification de la décision de refus d’entrée mentionne le droit de l’étranger d’avertir ou de faire avertir la personne chez laquelle il a indiqué qu’il devait se rendre, son consulat ou le conseil de son choix. Elle mentionne le droit de l’étranger de refuser d’être rapatrié avant l’expiration du délai d’un jour franc dans les conditions prévues à l’article L. 333-2.

      La décision et la notification des droits qui l’accompagne lui sont communiquées dans une langue qu’il comprend.

      Une attention particulière est accordée aux personnes vulnérables, notamment aux mineurs accompagnés ou non d’un adulte. »

      21 L’article L. 332-3 du Ceseda modifié prévoit :

      « La procédure prévue à l’article L. 332-2 est applicable à la décision de refus d’entrée prise à l’encontre de l’étranger en application de l’article 6 du [code frontières Schengen]. Elle est également applicable lors de vérifications effectuées à une frontière intérieure en cas de réintroduction temporaire du contrôle aux frontières intérieures dans les conditions prévues au chapitre II du titre III du [code frontières Schengen]. »

      Le litige au principal et la question préjudicielle

      22 Les associations visées au point 2 du présent arrêt contestent devant le Conseil d’État (France), dans le cadre d’un recours en annulation de l’ordonnance no 2020‑1733, la validité de celle-ci au motif, notamment, que l’article L. 332-3 du Ceseda modifié qui en est issu méconnaît la directive 2008/115 en ce qu’il permet l’adoption de décisions de refus d’entrée aux frontières intérieures sur lesquelles des contrôles ont été réintroduits.

      23 Cette juridiction explique, en effet, que, dans son arrêt du 19 mars 2019, Arib e.a. (C‑444/17, EU:C:2019:220), la Cour a jugé que l’article 2, paragraphe 2, sous a), de la directive 2008/115, lu en combinaison avec l’article 32 du code frontières Schengen, ne s’applique pas à la situation d’un ressortissant d’un pays tiers arrêté à proximité immédiate d’une frontière intérieure et en séjour irrégulier sur le territoire d’un État membre, même lorsque cet État membre a réintroduit, en vertu de l’article 25 de ce code, le contrôle à cette frontière en raison d’une menace grave pour l’ordre public ou la sécurité intérieure dudit État membre.

      24 Le Conseil d’État souligne que, dans sa décision no 428175 du 27 novembre 2020, il a jugé contraires à la directive 2008/115, telle qu’interprétée par la Cour, les dispositions de l’article L. 213-3-1 du Ceseda ancien, qui prévoyaient que, en cas de réintroduction temporaire du contrôle aux frontières intérieures, l’étranger en provenance directe du territoire d’un État partie à la convention d’application de l’accord de Schengen, du 14 juin 1985, entre les gouvernements des États de l’Union économique Benelux, de la République fédérale d’Allemagne et de la République française relatif à la suppression graduelle des contrôles aux frontières communes, signée à Schengen le 19 juin 1990 et entrée en vigueur le 26 mars 1995 (JO 2000, L 239, p. 19, ci-après la « convention de Schengen »), pouvait faire l’objet d’une décision de refus d’entrée dans les conditions de l’article L. 213-2 du Ceseda ancien lorsqu’il avait pénétré sur le territoire métropolitain en franchissant une frontière intérieure terrestre sans y être autorisé et avait été contrôlé dans une zone comprise entre cette frontière et une ligne tracée à dix kilomètres en deçà.

      25 Certes, selon le Conseil d’État, l’article L. 332-3 du Ceseda modifié ne reprend pas les dispositions de l’article L. 213-3-1 du Ceseda ancien. Toutefois, l’article L. 332-3 du Ceseda modifié prévoirait encore qu’une décision de refus d’entrée peut être prise à l’occasion de vérifications effectuées aux frontières intérieures, en cas de réintroduction temporaire du contrôle à ces frontières, dans les conditions prévues au chapitre II du titre III du code frontières Schengen.

      26 Cette juridiction estime, dès lors, qu’il convient de déterminer si, dans un tel cas, le ressortissant d’un pays tiers, en provenance directe du territoire d’un État partie à la convention de Schengen et qui se présente à un point de passage frontalier autorisé sans être en possession des documents permettant de justifier d’une autorisation d’entrée ou du droit de séjourner en France peut se voir opposer une décision de refus d’entrée, sur le fondement de l’article 14 du code frontières Schengen, sans que soit applicable la directive 2008/115.

      27 Dans ces conditions, le Conseil d’État a décidé de surseoir à statuer et de poser la question préjudicielle suivante :

      « En cas de réintroduction temporaire du contrôle aux frontières intérieures, dans les conditions prévues au chapitre II du titre III du [code frontières Schengen], l’étranger en provenance directe du territoire d’un État partie à la [convention de Schengen] peut-il se voir opposer une décision de refus d’entrée, lors des vérifications effectuées à cette frontière, sur le fondement de l’article 14 de ce [code], sans que soit applicable la directive [2008/115] ? »

      Sur la question préjudicielle

      28 Par sa question préjudicielle, la juridiction de renvoi demande en substance si le code frontières Schengen et la directive 2008/115 doivent être interprétés en ce sens que, lorsqu’un État membre a réintroduit des contrôles à ses frontières intérieures, il peut adopter, à l’égard d’un ressortissant d’un pays tiers qui se présente à un point de passage frontalier autorisé où s’exercent de tels contrôles, une décision de refus d’entrée, au sens de l’article 14 de ce code, sans être soumis au respect de cette directive.

      29 L’article 25 du code frontières Schengen autorise, à titre exceptionnel et dans certaines conditions, un État membre à réintroduire temporairement un contrôle aux frontières sur tous les tronçons ou certains tronçons spécifiques de ses frontières intérieures en cas de menace grave pour l’ordre public ou la sécurité intérieure de cet État membre. Selon l’article 32 de ce code, lorsqu’un contrôle aux frontières intérieures est réintroduit, les dispositions pertinentes du titre II dudit code, titre qui porte sur les frontières extérieures, s’appliquent mutatis mutandis.

      30 Tel est le cas de l’article 14 du code frontières Schengen, qui prévoit que l’entrée sur le territoire des États membres est refusée au ressortissant d’un pays tiers qui ne remplit pas l’ensemble des conditions d’entrée énoncées à l’article 6, paragraphe 1, de ce code et qui n’appartient pas à l’une des catégories de personnes visées à l’article 6, paragraphe 5, du même code.

      31 Il importe toutefois de rappeler qu’un ressortissant d’un pays tiers qui, à la suite de son entrée irrégulière sur le territoire d’un État membre, est présent sur ce territoire sans remplir les conditions d’entrée, de séjour ou de résidence, se trouve, de ce fait, en séjour irrégulier, au sens de la directive 2008/115. Ce ressortissant relève, donc, conformément à l’article 2, paragraphe 1, de cette directive et sous réserve de l’article 2, paragraphe 2, de celle-ci, du champ d’application de ladite directive, sans que cette présence sur le territoire de l’État membre concerné soit soumise à une condition de durée minimale ou d’intention de rester sur ce territoire. Il doit donc, en principe, être soumis aux normes et aux procédures communes prévues par la même directive en vue de son éloignement et cela tant que son séjour n’a pas été, le cas échéant, régularisé (voir, en ce sens, arrêt du 19 mars 2019, Arib e.a., C‑444/17, EU:C:2019:220, points 37 et 39 ainsi que jurisprudence citée).

      32 Il en va ainsi y compris lorsque ce ressortissant d’un pays tiers a été appréhendé à un point de passage frontalier, pour autant que ce point de passage frontalier se situe sur le territoire dudit État membre. À cet égard, il convient, en effet, de relever qu’une personne peut être entrée sur le territoire d’un État membre avant même d’avoir franchi un point de passage frontalier [voir, par analogie, arrêt du 5 février 2020, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Enrôlement des marins dans le port de Rotterdam), C‑341/18, EU:C:2020:76, point 45].

      33 Il convient encore de préciser, à titre d’exemple, que, lorsqu’il est procédé à des vérifications à bord d’un train entre le moment où ce train quitte la dernière gare, située sur le territoire d’un État membre partageant une frontière intérieure avec un État membre ayant réintroduit des contrôles à ses frontières intérieures, et le moment où ledit train entre dans la première gare située sur le territoire de ce dernier État membre, le contrôle à bord de ce même train doit, sauf accord en sens contraire passé entre ces deux États membres, être considéré comme un contrôle réalisé à un point de passage frontalier situé sur le territoire de l’État membre ayant réintroduit de tels contrôles. En effet, le ressortissant d’un pays tiers ayant été contrôlé à bord de ce train séjournera nécessairement, à la suite de ce contrôle, sur le territoire de ce dernier État membre, au sens de l’article 2, paragraphe 1, de la directive 2008/115.

      34 Cela étant, il convient encore de relever que l’article 2, paragraphe 2, de la directive 2008/115 permet aux États membres d’exclure, à titre exceptionnel et sous certaines conditions, les ressortissants de pays tiers qui séjournent irrégulièrement sur leur territoire du champ d’application de cette directive.

      35 Ainsi, d’une part, cet article 2, paragraphe 2, de la directive 2008/115 permet, à son point a), aux États membres de ne pas appliquer cette dernière, sous réserve des prescriptions contenues à l’article 4, paragraphe 4, de celle-ci, dans deux situations particulières, à savoir celle de ressortissants de pays tiers qui font l’objet d’une décision de refus d’entrée à une frontière extérieure d’un État membre, conformément à l’article 14 du code frontières Schengen, ou celle de ressortissants de pays tiers qui sont arrêtés ou interceptés à l’occasion du franchissement irrégulier d’une telle frontière extérieure et qui n’ont pas obtenu par la suite l’autorisation ou le droit de séjourner dans ledit État membre.

      36 Cela étant, il ressort de la jurisprudence de la Cour que ces deux situations se rapportent exclusivement au franchissement d’une frontière extérieure d’un État membre, telle que définie à l’article 2 du code frontières Schengen, et ne concernent donc pas le franchissement d’une frontière commune à des États membres faisant partie de l’espace Schengen, même lorsque des contrôles ont été réintroduits à cette frontière, en vertu de l’article 25 de ce code, en raison d’une menace grave pour l’ordre public ou la sécurité intérieure de cet État membre (voir, en ce sens, arrêt du 19 mars 2019, Arib e.a., C‑444/17, EU:C:2019:220, points 45 et 67).

      37 Il s’ensuit, comme M. l’avocat général l’a relevé au point 35 de ses conclusions, que l’article 2, paragraphe 2, sous a), de la directive 2008/115 n’autorise pas un État membre ayant réintroduit des contrôles à ses frontières intérieures à déroger aux normes et aux procédures communes prévues par cette directive afin d’éloigner le ressortissant d’un pays tiers qui a été intercepté, sans titre de séjour valable, à l’un des points de passage frontaliers situés sur le territoire de cet État membre et où s’exercent de tels contrôles.

      38 D’autre part, si l’article 2, paragraphe 2, de la directive 2008/115 autorise, à son point b), les États membres à ne pas appliquer cette directive aux ressortissants de pays tiers faisant l’objet d’une sanction pénale prévoyant ou ayant pour conséquence leur retour, conformément au droit national, ou faisant l’objet de procédures d’extradition, force est de constater qu’un tel cas de figure n’est pas celui qui est visé par la disposition en cause dans le litige au principal.

      39 Il résulte de tout ce qui précède, d’une part, qu’un État membre ayant réintroduit des contrôles à ses frontières intérieures peut appliquer, mutatis mutandis, l’article 14 du code frontières Schengen ainsi que l’annexe V, partie A, point 1, de ce code à l’égard d’un ressortissant d’un pays tiers qui est intercepté, sans titre de séjour régulier, à un point de passage frontalier autorisé où s’exercent de tels contrôles.

      40 D’autre part, lorsque ce point de passage frontalier est situé sur le territoire de l’État membre concerné, ce dernier doit toutefois veiller à ce que les conséquences d’une telle application, mutatis mutandis, des dispositions citées au point précédent n’aboutissent pas à méconnaître les normes et les procédures communes prévues par la directive 2008/115. La circonstance que cette obligation qui pèse sur l’État membre concerné est susceptible de priver d’une large partie de son effectivité l’éventuelle adoption d’une décision de refus d’entrée à l’égard d’un ressortissant d’un pays tiers se présentant à l’une de ses frontières intérieures n’est pas de nature à modifier un tel constat.

      41 Concernant les dispositions pertinentes de cette directive, il convient de rappeler, notamment, qu’il résulte de l’article 6, paragraphe 1, de la directive 2008/115 que tout ressortissant d’un pays tiers en séjour irrégulier sur le territoire d’un État membre doit, sans préjudice des exceptions prévues aux paragraphes 2 à 5 de cet article et dans le strict respect des exigences fixées à l’article 5 de cette directive, faire l’objet d’une décision de retour, laquelle doit identifier, parmi les pays tiers visés à l’article 3, point 3, de ladite directive, celui vers lequel il doit être éloigné [arrêt du 22 novembre 2022, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Éloignement – Cannabis thérapeutique), C‑69/21, EU:C:2022:913, point 53].

      42 Par ailleurs, le ressortissant d’un pays tiers qui fait l’objet d’une telle décision de retour doit encore, en principe, bénéficier, en vertu de l’article 7 de la directive 2008/115, d’un certain délai pour quitter volontairement le territoire de l’État membre concerné. L’éloignement forcé n’intervient qu’en dernier recours, conformément à l’article 8 de cette directive, et sous réserve de l’article 9 de celle-ci, qui impose aux États membres de reporter l’éloignement dans les cas qu’il énonce [arrêt du 17 décembre 2020, Commission/Hongrie (Accueil des demandeurs de protection internationale), C‑808/18, EU:C:2020:1029, point 252].

      43 En outre, il découle de l’article 15 de la directive 2008/115 que la rétention d’un ressortissant d’un pays tiers en séjour irrégulier ne peut être imposée que dans certains cas déterminés. Cela étant, comme M. l’avocat général l’a relevé, en substance, au point 46 de ses conclusions, cet article ne s’oppose pas à ce que, lorsqu’il représente une menace réelle, actuelle et suffisamment grave pour l’ordre public ou la sécurité intérieure, ce ressortissant fasse l’objet d’une mesure de rétention, dans l’attente de son éloignement, pour autant que cette rétention respecte les conditions énoncées aux articles 15 à 18 de cette directive (voir, en ce sens, arrêt du 2 juillet 2020, Stadt Frankfurt am Main, C‑18/19, EU:C:2020:511, points 41 à 48).

      44 Par ailleurs, la directive 2008/115 n’exclut pas la faculté pour les États membres de réprimer d’une peine d’emprisonnement la commission de délits autres que ceux tenant à la seule circonstance d’une entrée irrégulière, y compris dans des situations où la procédure de retour établie par cette directive n’a pas encore été menée à son terme. Dès lors, ladite directive ne s’oppose pas davantage à l’arrestation ou au placement en garde à vue d’un ressortissant de pays tiers en séjour irrégulier lorsque de telles mesures sont adoptées au motif que ledit ressortissant est soupçonné d’avoir commis un délit autre que sa simple entrée irrégulière sur le territoire national, et notamment un délit susceptible de menacer l’ordre public ou la sécurité intérieure de l’État membre concerné (arrêt du 19 mars 2019, Arib e.a., C‑444/17, EU:C:2019:220, point 66).

      45 Il s’ensuit que, contrairement à ce que le gouvernement français soutient, l’application, dans un cas tel que celui visé par la demande de décision préjudicielle, des normes et des procédures communes prévues par la directive 2008/115 n’est pas de nature à rendre impossible le maintien de l’ordre public et la sauvegarde de la sécurité intérieure, au sens de l’article 72 TFUE.

      46 En égard à l’ensemble des considérations qui précèdent, il y a lieu de répondre à la question préjudicielle que le code frontières Schengen et la directive 2008/115 doivent être interprétés en ce sens que, lorsqu’un État membre a réintroduit des contrôles à ses frontières intérieures, il peut adopter, à l’égard d’un ressortissant d’un pays tiers qui se présente à un point de passage frontalier autorisé situé sur son territoire et où s’exercent de tels contrôles, une décision de refus d’entrée, en vertu d’une application mutatis mutandis de l’article 14 de ce code, pour autant que les normes et les procédures communes prévues par cette directive soient appliquées à ce ressortissant en vue de son éloignement.

      Sur les dépens

      47 La procédure revêtant, à l’égard des parties au principal, le caractère d’un incident soulevé devant la juridiction de renvoi, il appartient à celle-ci de statuer sur les dépens. Les frais exposés pour soumettre des observations à la Cour, autres que ceux desdites parties, ne peuvent faire l’objet d’un remboursement.

      Par ces motifs, la Cour (quatrième chambre) dit pour droit :

      Le règlement (UE) 2016/399 du Parlement européen et du Conseil, du 9 mars 2016, concernant un code de l’Union relatif au régime de franchissement des frontières par les personnes (code frontières Schengen), et la directive 2008/115/CE du Parlement européen et du Conseil, du 16 décembre 2008, relative aux normes et procédures communes applicables dans les États membres au retour des ressortissants de pays tiers en séjour irrégulier,

      doivent être interprétés en ce sens que :

      lorsqu’un État membre a réintroduit des contrôles à ses frontières intérieures, il peut adopter, à l’égard d’un ressortissant d’un pays tiers qui se présente à un point de passage frontalier autorisé situé sur son territoire et où s’exercent de tels contrôles, une décision de refus d’entrée, en vertu d’une application mutatis mutandis de l’article 14 de ce règlement, pour autant que les normes et les procédures communes prévues par cette directive soient appliquées à ce ressortissant en vue de son éloignement.

      https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=277630&doclang=FR

  • Rotta balcanica, Piantedosi lancia le brigate antimigranti

    A margine del trilaterale a Trieste il 2 novembre scorso, il ministro snocciola i numeri dei respingimenti dopo la sospensione di Schengen. E annuncia: quando i controlli alle frontiere finiranno, il governo vuole istituire “brigate miste” (di polizia). Dove? Con chi? E con quale mandato?

    Nell’edizione del 20 ottobre dell’Unità avevo esaminato la misura di ripristino dei controlli alle frontiere interne deciso dall’Italia al confine italo-sloveno mettendo in rilievo come tale decisione fosse in contrasto con quanto disposto dal Codice Schengen. Su questo il Codice prevede la possibilità di un temporaneo ripristino dei controlli alle frontiere interne solo come extrema ratio in caso di minaccia all’ordine pubblico e che “la migrazione e l’attraversamento delle frontiere esterne di un gran numero di cittadini di paesi terzi non dovrebbero in sé essere considerate una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna” (Codice Schengen, considerando 26). Ben presto le dichiarazioni del Governo italiano hanno reso evidente come dietro questo ripristino, inutile e quanto mai problematico per la vita sociale ed economica del Friuli Venezia Giulia, ci sia una sola finalità ovvero quella di ostacolare l’ingresso nell’Unione Europea, ad iniziare dal confine esterno tra la Croazia e la Bosnia, a coloro che sono in cerca di protezione e che, per il diritto dell’Unione, hanno invece diritto, alle frontiere e nel territorio degli Stati dell’Unione, di chiedere asilo (Direttiva 2013/32/UE art. 3) e gli Stati hanno il dovere assoluto di non respingerli.

    Le affermazioni rese dal ministro Piantedosi nella conferenza stampa tenutasi a Trieste il 2 novembre 2023, a conclusione dell’incontro trilaterale con gli omologhi sloveno e croato, sono state tanto esplicite quanto sconcertanti. Il ministro ha reso noto che nei primi dieci giorni di vigenza dei controlli alla frontiera sono stati effettuati 220 respingimenti. Non sono state fornite ulteriori informazioni, né il ministro, come ha fatto invece in passato, ha rivendicato la possibilità che vengano respinti o riammessi informalmente anche coloro che al confine italiano chiedono asilo. Sulla radicale illegittimità delle riammissioni informali attuate dall’Italia verso la Slovenia nei confronti di richiedenti asilo si era già espresso con estrema chiarezza il Tribunale ordinario di Roma con due distinte ordinanze, nel gennaio 2021 e nel maggio 2023. Non sappiamo se i dati forniti da Piantedosi riguardino cittadini stranieri che sono stati illegittimamente respinti dopo che è stato loro impedito di chiedere asilo in Italia e se, come impone la normativa a tutti coloro che sono fermati venga “assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale” (T.U. Immigrazione art. 10.3).

    Infine non sappiamo se nei confronti degli stranieri respinti sia stato emesso un provvedimento amministrativo scritto e motivato in fatto e in diritto, notificato al soggetto interessato e impugnabile innanzi all’autorità giudiziaria, o se di tali provvedimenti non c’è traccia. Neppure sappiamo se tali respingimenti sono stati realmente tali o se si è trattato di operazioni di impedimento all’ingresso in Italia attuati in territorio sloveno con la collaborazione della polizia italiana. Sono questioni dirimenti sulle quali il ministro dovrà fornire al più presto le necessarie informazioni. Lo stesso Piantedosi ha altresì annunciato che, non appena i controlli alle frontiere cesseranno (al momento sono prorogati fino al 20 novembre), è intenzione del Governo prevedere l’istituzione di “brigate miste” (di polizia) da “rendere stabili nel tempo”. Il termine utilizzato – brigate – è già piuttosto militaresco, ma, soprattutto, tali brigate miste come sarebbero composte, con quale mandato e con quali garanzie opererebbero al di fuori del territorio italiano? Anche sul confine sloveno-croato e su quello croato-bosniaco?

    Un’espressione in particolare, tra quelle usate da Piantedosi, risulta inquietante: il ministro ha affermato che le operazioni di respingimento finora attuate vanno considerate solo come i “primi segnali di una filiera della deterrenza da proseguire con i colleghi”. Il termine deterrenza è sempre associato a una funzione intimidatrice (nel diritto penale ci si è sempre interrogati se la minaccia della sanzione funga o meno da deterrenza). Nel linguaggio politico la deterrenza è rivolta verso un nemico ovvero verso colui che rappresenta un grave pericolo e nei cui confronti, all’occorrenza, si può usare violenza. A chi è diretta la funzione di deterrenza cui si riferisce Piantedosi? Agli stranieri che sono in fuga dai loro paesi affinché non lo facciano? A chi intende chiedere asilo affinché comprenda con metodi convincenti che ciò è inutile? Le parole usate dal ministro sono gravi perché le normative internazionali ed europee e il diritto interno dispongono che l’operato della polizia di frontiera non sia finalizzato ad attuare alcuna deterrenza bensì sia esclusivamente rivolto all’esecuzione di legittimi compiti di controllo dell’attraversamento dei confini; le guardie di frontiera sono tenute infatti ad operare nello stretto ambito delle funzioni attribuite loro dalla legge, e nei confronti di chi viene controllato “devono essere garantiti i diritti fondamentali sanciti nella Convenzione europea sui diritti dell’uomo e nella Carta sui diritti fondamentali dell’Unione europea. I controlli di frontiera devono rispettare pienamente i divieti di infliggere trattamenti inumani o degradanti e di agire in maniera discriminatoria” (Manuale per le guardie di frontiera a cura della Commissione Europea 6.11.2006 punto 1.2).

    Inoltre “a tutti i cittadini di paese terzo che lo desiderano deve essere data la possibilità di chiedere asilo/protezione internazionale alla frontiera (anche nelle zone di transito aeroportuali e portuali). A tal fine, le autorità di frontiera devono informare i richiedenti, in una lingua che possa essere da loro sufficientemente compresa, delle procedure da seguire” (Manuale punto 10.2). La rotta balcanica e i confini tra i diversi Stati, da sempre, ma in particolare dal 2018, sono segnati da inenarrabili violenze, illegalità e soprusi condotti dalle polizie dei diversi Stati coinvolti (a volte si tratta di uomini in divisa, altre volte mascherati, ma comunque operanti sempre all’interno di un preciso mandato). I rapporti su queste violenze sono scioccanti e sono così numerosi da riempire un’intera biblioteca; si tratta di violenze ed illegalità avvenute sia ai confini interni dell’Unione Europea che ai confini esterni della stessa. Una situazione che rappresenta, insieme alle violenze attuate sul confine polacco-bielorusso, una delle pagine più oscure dell’Europa. Uno dei luoghi caratterizzati da maggiori violenze è il confine della Croazia con la Bosnia dove i respingimenti arbitrari, uniti ad efferate violenze non sono mai cessati. Secondo il rapporto Trattati come animali – Respingimenti di persone in cerca di protezione dalla Croazia in Bosnia Erzegovina, edito nel maggio 2023 a cura di Human Rights Watch (H.C.R.) una delle più autorevoli organizzazioni di tutela dei diritti umani a livello internazionale, i respingimenti illegittimi e le violenze, anche efferate, da parte della polizia croata, solo nel 2022, hanno riguardato quasi 30.000 persone, e sono proseguiti nel 2023.

    Il Rapporto evidenzia che “Le forze di polizia conducono spesso i respingimenti in modo violento, rendendosi responsabili di lesioni fisiche e umiliazioni deliberate”. Inoltre “secondo la maggior parte delle testimonianze raccolte da HRW, i poliziotti croati indossano le uniformi, guidano mezzi della polizia e si identificano come agenti per non lasciare alcun dubbio sull’ufficialità del loro ruolo”. Si tratta dunque di una pratica di esplicita deterrenza condotta verso persone inermi che stanno esclusivamente tentando di esercitare il loro diritto a chiedere asilo. “Molti bambini hanno dovuto assistere mentre i loro padri, fratelli maggiori o parenti venivano picchiati, o manganellati o presi a spintoni”, prosegue il Rapporto. La Slovenia non sfugge alla censura operata dalla citata organizzazione internazionale giacché il Rapporto osserva come “in base all’accordo di riammissione tra Slovenia e Croazia, la polizia slovena invia sommariamente i migranti irregolari che sono entrati nel paese passando dalla Croazia, indipendentemente dal fatto che abbiano chiesto asilo in Slovenia. A loro volta le autorità croate generalmente si affrettano a trasferirli in Bosnia o Serbia”.

    Al drammatico Rapporto di H.R.W. si aggiungono i dati diffusi dal Centro per la Pace di Zagabria che da anni svolge un attento lavoro di monitoraggio della situazione del rispetto della legalità in Croazia, secondo cui nel solo mese di luglio 2023 sono stati respinti illegalmente dalla Croazia alla Bosnia 673 persone, tra cui 43 bambini. 369 di essi erano afgani, con tutta evidenza rifugiati. Il 95% delle persone respinte ha subito trattamenti inumani e degradanti tassativamente proibiti dall’art. 3 della CEDU (Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo) mentre l’81% ha subito il furto dei propri averi e la distruzione delle proprie cose. E’ in questi cupi contesti che il ministro Piantedosi vorrebbe organizzare le “brigate”? Vuole forse trascinare la polizia italiana in inaccettabili contesti di violenza di cui essere spettatore inerme oppure complice? Confida nella collaborazione della piccola Slovenia, paese cuscinetto, nel realizzare una più respingimenti a catena? Un monitoraggio su quanto rischia di accadere al nostro tormentato confine orientale, da parte di enti di tutela ed organizzazioni internazionali, nonché da parte del Parlamento, è divenuto indispensabile ed urgente.

    https://www.unita.it/2023/11/07/rotta-balcanica-piantedosi-lancia-le-brigate-antimigranti
    #Balkans #route_des_Balkans #asile #migrations #réfugiés #Piantedosi #brigades_mixtes #contrôles_frontaliers #refoulements #push-backs #Slovénie #frontière_sud-alpine #contrôles_systématiques_aux_frontières #chiffres #statistiques #patrouilles_mixtes #dissuasion

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    ajouté au fil de discussion sur la réintroduction des contrôles systématiques à la frontière entre Italie et Slovénie :
    https://seenthis.net/messages/1021994

    et à la métaliste sur les patrouilles mixtes :
    https://seenthis.net/messages/910352

  • La Pologne prolonge à nouveau ses contrôles aux frontières pour lutter contre les passages irréguliers de migrants - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/53004/la-pologne-prolonge-a-nouveau-ses-controles-aux-frontieres-pour-lutter

    Contrôles à la frontière entre la Slovaquie et la Pologne, le 4 octobre 2023.
    La Pologne prolonge à nouveau ses contrôles aux frontières pour lutter contre les passages irréguliers de migrants
    Par La rédaction Publié le : 03/11/2023
    Le gouvernement polonais a décidé jeudi de poursuivre ses contrôles aux frontières jusqu’au 22 novembre. Ces contrôles avaient été établis début octobre et devaient normalement prendre fin ce vendredi. Leur but : réduire l’immigration clandestine et l’activité des passeurs.Le gouvernement polonais a annoncé jeudi 2 novembre la prolongation jusqu’au 22 novembre des contrôles aux frontières mis en place début octobre pour lutter contre l’immigration clandestine. Ses voisins slovaque et tchèque ont pris la même décision mercredi.
    Cette mesure avait été introduite le 4 octobre, initialement pour dix jours, en Pologne, en République tchèque ainsi qu’en Autriche. Les trois pays avaient ensuite prolongé une première fois ce dispositif, jusqu’à ce jeudi 2 novembre.Depuis un mois, « ces contrôles ont donné des résultats », et ont poussé les autorités slovaques à « agir », a commenté jeudi sur la radio publique polonaise le vice-ministre de l’Intérieur polonais Maciej Wasik.
    La Slovaquie a récemment connu une augmentation du nombre de migrants venant en grande partie de Serbie via la Hongrie et se dirigeant vers les pays plus riches d’Europe de l’ouest. Lundi, le nouveau gouvernement slovaque a envoyé des centaines de policiers et de soldats supplémentaires à sa frontière avec la Hongrie pour lutter contre l’augmentation de l’immigration clandestine. Début septembre, le pays avait déjà pris une mesure similaire en procédant au déploiement de 500 soldats à cette même frontière hongroise jusqu’à la fin de l’année.Depuis le début de l’année, la Slovaquie a détecté plus de 46 000 migrants sans papiers à ses frontières, selon le nouveau Premier ministre Robert Fico.Les pays qui renforcent les contrôles sont tous membres de l’Union européenne et de la zone européenne de frontières ouvertes Schengen. La réintroduction des contrôles aux frontières dans l’espace Schengen est autorisée dans des circonstances exceptionnelles et Bruxelles doit en être informée avant sa mise en œuvre.

    #Covid-19#migrant#migration#pologne#hongrie#serbie#UE#slovaquie#frontiere#controle#espaceschengen#routemigratoire#sante

  • RSA sous conditions : « Désormais, les classes laborieuses apparaissent profiteuses et paresseuses », Frédéric Farah
    https://www.marianne.net/agora/humeurs/rsa-sous-conditions-desormais-les-classes-laborieuses-apparaissent-profite

    Ambiance #restauration et ultralibéralisme : un minimum vital contre un peu de #travail renvoie à un amendement britannique voté… à l’époque victorienne, fustige l’économiste Frédéric Farah alors que sénateurs et députés se sont mis d’accord sur un conditionnement du #RSA à quinze heures d’activité.

    L’obligation d’exercer des heures d’activité en échange de l’obtention du revenu de solidarité active (RSA) au risque d’une #radiation n’a rien de neuf si l’on veut bien redonner de la profondeur historique à la question. Cette dernière doit nous conduire a plus précisément en 1834 au Royaume-Uni avec l’abolition de la loi sur les pauvres. Il s’agissait d’un système d’#assistance à l’œuvre dans les paroisses existant depuis 1795. Un système qui s’est vite retrouvé dans le viseur de certains députés de l’époque car il favorisait l’assistance et la #paresse, selon eux. Lors des débats à la Chambre des Communes, ils affirmaient qu’il fallait exposer les pauvres au vent vif de la #concurrence. C’est avec l’abolition des lois sur les pauvres que naît le #marché_du_travail contemporain. Il s’agit alors de mettre à disposition des industriels d’alors une main-d’œuvre bon marché et dont le pouvoir de négociation demeurait faible.

    De ce débat vont demeurer deux constantes, portées par le discours libéral, et qui survivent depuis plus d’un siècle et demi. La première se fonde sur l’anthropologie négative et discriminatoire : les #pauvres ont un penchant à la paresse et ont tendance à abuser des subsides publics. La seconde insiste sur la nécessité d’exercer sur eux un #contrôle_social et placer leurs droits sous conditions. En 1922, l’économiste libéral Jacques Rueff pestait contre la persistance du #chômage anglais au double motif que l’#allocation du chômage de l’époque était dissuasive pour le #retour_à_l’emploi et que les syndicats créaient de la rigidité sur le marché du travail et empêchaient les ajustements nécessaires.

    Cette antienne libérale s’est tue jusqu’à la fin des années 1970 pour une série de raisons : le keynésianisme triomphant d’après-guerre admettait que le #plein-emploi ne pouvait être la règle du fonctionnement du capitalisme mais l’exception. Il ne fallait donc pas accabler les #chômeurs. Par ailleurs, la présence d’un communisme fort doublé d’une puissance syndicale significative était aussi de réels garde-fous aux dérives libérales. Enfin, la dénonciation des méfaits de la finance en raison de la folie spéculative qui l’avait portée au krach en 1930 avait conduit à en limiter le pouvoir. Ces éléments avaient pour un temps rangé au magasin des oubliettes la vieille rengaine libérale sur la supposée paresse des #assistés. Il a fallu construire de véritables #allocations-chômage, comme en 1958 en France, et élargir le #droit_des_travailleurs. Le rapport de force penchait en faveur du travail. Cette brève parenthèse historique n’aura duré qu’un temps assez bref, soit une vingtaine années.

    DE PRÉJUGÉS EN LOIS
    Le retour du prêchi-prêcha libéral est venu d’outre-Atlantique là même où l’#État-providence se manifestait avec force lors de la période rooseveltienne. Cette fois, la contre-offensive était portée par le républicain Richard Nixon qui avait employé pour la première lors d’une allocution télévisée en 1969 le terme de « #workfare », en somme un État qui incite au travail et non à l’assistance comme le « welfare » (« État-providence ») aurait pu le faire. Ici, la critique de l’État-providence rejoignait la définition d’Émile Ollivier, inventeur du terme sous le Second Empire, pour se moquer de ceux qui attendent l’obole de l’État comme autrefois ceux qui espéraient le salut d’une divine Providence. La lame de fond a progressivement emporté l’Europe dans le sillage de la révolution conservatrice de la fin 1970 et la thématique libérale accusant les pauvres d’être peu travailleurs et de vivre au crochet de la société a retrouvé son actualité. La répression de la finance d’après-guerre laissa place à la répression sociale.

    Pire, ces préjugés se sont transformés en lois effectives. Les pouvoirs politiques devenaient l’instance de validation du café du commerce. Ainsi, en 1992 sera lancée l’#allocation_unique_dégressive qui visait à réduire les allocations-chômage dans le temps pour inciter au retour à l’emploi. Abandonnée en 2001, elle aura été un échec retentissant. Nicolas Sarkozy tout empreint de cette idéologie libérale et jamais en retard pour valider les propos de comptoir, donnera naissance à cette étrangeté : le Revenu de solidarité active (RSA) laissant entendre qu’il existerait une #solidarité passive. Prétextant que le « I » du revenu minimum d’insertion avait été négligé, il lancera une nouvelle version qui devait encourager la reprise d’activité d’où l’existence d’un RSA capable d’autoriser un cumul emploi et revenu de solidarité. Ce dispositif ne parviendra pas à atteindre ses objectifs. L’État a même réussi à faire des économies sur la population de bénéficiaires potentiels puisque le #non-recours permet à l’État en la matière d’économiser environ deux milliards d’euros à l’année. Plus de 30 % des Français qui pourraient le demander ne le font pas.

    TRIO CHÔMEUR-PROFITEUR-FRAUDEUR
    Ce workfare se retrouve dans la transformation de l’Agence nationale pour l’emploi (ANPE) en #Pôle_emploi en 2008. La définition du chômeur changeait aussi puisque l’allocataire était tenu de faire des #actes_positifs de recherche, laissant encore une fois accroire à une paresse presque naturelle qui le conduirait à ne pas en faire, sans compter la multiplication des critères de contrôle et, de ce fait, des #radiations. Last but not least, la dernière réforme de l’assurance chômage, en réduisant durée et montant des allocations et en les rendant cycliques, place les chômeurs en difficulté et les oblige à accepter des rémunérations inférieures à leurs qualifications, comme le souligne l’enquête de l’Unédic de ce mois d’octobre. Avant la transformation en obligation légale de suivre une quinzaine d’heures de formation, un autre vent devait souffler pour rendre légitime cette proposition, celle de la montée des fraudes à l’assurance sociale. Au chômeur, et au pauvre jugés paresseux, profiteur, devait s’ajouter le titre de fraudeur. Le trio commence à peser.

    C’est donc cette #histoire brossée ici à grands traits qu’il ne faut pas oublier pour comprendre que rendre obligatoire cet accompagnement pour la réinsertion n’a rien d’une nouveauté. Elle prend sa source dans une #stigmatisation ancienne des pauvres ou des allocataires des #minima_sociaux et un ensemble de préjugés relayés par l’État. La nouvelle version du RSA aurait pu s’affranchir de l’obligation de toutes sortes de tâches dont l’utilité reste à prouver, mais le caractère contraignant témoigne encore une fois de la défiance des pouvoirs publics à l’égard de populations en difficulté. Au fond il s’agit toujours de la même condescendance à l’œuvre. Il fut un temps où les classes laborieuses apparaissaient dangereuses. Désormais, elles apparaissent profiteuses et paresseuses. Mais demeure l’unique constante du pouvoir, la nécessité de les combattre.

    Travail gratuit contre RSA : « Le rentier trouve normal qu’on demande à tous de participer à l’effort commun », Jacques Dion
    https://www.marianne.net/agora/les-signatures-de-marianne/travail-gratuit-contre-rsa-le-rentier-trouve-normal-quon-demande-a-tous-de

    Cumuler RSA et emploi : mais au fait, qu’en pensent les premiers concernés ? Laurence Dequay
    https://www.marianne.net/economie/protection-sociale/cumuler-rsa-et-emploi-mais-au-fait-quen-pensent-les-premiers-concernes

    Travailler pour toucher le RSA : mais au fait, comment vont faire les pauvres ? Louis Nadau
    https://www.marianne.net/economie/protection-sociale/travailler-pour-toucher-le-rsa-mais-au-fait-comment-vont-faire-les-pauvres

    RSA sous condition : un retour des Ateliers nationaux de 1848 ?
    Mythe du plein-emploi, Audrey Lévy
    https://www.marianne.net/societe/rsa-sous-condition-un-retour-des-ateliers-nationaux-de-1848

    ébaubi par Marianne

  • Projet de loi « plein emploi » : les 15 heures d’activité concerneront potentiellement tous les demandeurs d’emploi- Rapports de Force
    https://rapportsdeforce.fr/chomage/projet-de-loi-plein-emploi-les-15-heures-dactivite-concerneront-pote

    Les députés et sénateurs, réunis en commission mixte paritaire, ont inscrit dans le projet de loi « plein emploi » l’obligation de suivre « au moins quinze heures » d’activité. Pas seulement pour les bénéficiaires du RSA : pour […] L’article Projet de loi « plein emploi » : les 15 heures d’activité (...) @Mediarezo Actualité / #Mediarezo

  • Bangladesh : « Ce qui frappe dans les camps de réfugiés de Rohingya, c’est l’abandon d’un peuple et la déstructuration sociale »

    L’annonce faite par Emmanuel Macron lors de son voyage au Bangladesh, le 11 septembre, d’augmenter d’un million d’euros la contribution française aux activités du Programme alimentaire mondial dans les camps de Rohingya de ce pays est-elle à la hauteur de la situation ?

    Rappelons-nous. Il y a six ans, des centaines de milliers de Rohingya quittaient l’Etat de Rakhine [Arakan] au #Myanmar, l’ex-Birmanie. Ils fuyaient les massacres, les viols, les incendies de leurs maisons commis pendant l’offensive militaire lancée en août 2017. A la fin de cette même année, plus de 700 000 nouveaux réfugiés étaient arrivés dans le district de #Cox’s_Bazar, dans le sud-est du #Bangladesh. Ils rejoignaient les 200 000 réfugiés rohingya issus de déplacements antérieurs.

    Pour accueillir ces populations, un camp entre jungle et rizières est sorti de terre. #Kutupalong-Balukhali est aujourd’hui le plus grand camp de réfugiés au monde. Il se compose de plusieurs sites contigus dont les artères centrales en brique et en ciment débouchent sur des ruelles étroites. Là, les familles vivent dans de petites habitations faites de bambou et de bâches.

    Toute une série de restrictions

    Certaines sont posées à flanc de colline et donc exposées aux glissements de terrain, conséquence des pluies diluviennes qui peuvent s’abattre pendant la mousson. Les points d’#eau_potable, certes nombreux, ne sont ouverts que quelques heures par jour, et il est fréquent de voir des disputes s’y dérouler. Quelle ironie dans cette région parmi les plus humides au monde. Parfois, on surprend le long des frontières du camp les barbelés qui nous rappellent qu’il s’agit d’un bidonville semi-fermé.

    Si le Bangladesh a ouvert ses portes aux réfugiés, il les soumet à toute une série de restrictions. Les boutiques rohingya qui fleurissent le font selon le bon vouloir de la police qui peut les fermer au motif qu’elles n’ont pas été autorisées. Les déplacements à l’intérieur de Kutupalong, même d’un camp à l’autre, sont extrêmement limités. Il est en outre interdit aux Rohingya de travailler, bien qu’un grand nombre d’entre eux le fassent.
    Ils sont alors à la merci de la #police, des #bakchichs et des #arrestations. L’éducation est par ailleurs très encadrée. De multiples obstacles sont posés à l’enregistrement des naissances. L’approche du gouvernement à l’égard des camps est un mélange ambigu de tolérance et de prohibition : cette élasticité laisse les Rohingya dans un état d’incertitude perpétuelle.

    Le #contrôle_social auquel sont soumis les réfugiés est aussi le fait des groupes politico-criminels rohingya qui pullulent dans le camp et dont la présence, ces dernières années, s’est faite plus intense. Ces groupes sont en conflit ouvert pour le contrôle du trafic de yaba. Ce mélange de méthamphétamine et de caféine est principalement produit au Myanmar, et le Bangladesh est l’un des principaux marchés où circule cette drogue.

    Viols et violences

    Le déploiement humanitaire est impressionnant, mais l’engagement des donateurs s’amenuise. Le mois dernier, le « Plan de réponse conjoint » 2023 élaboré par les Nations unies et le gouvernement n’était financé qu’à hauteur de 30 %. Entre mars et juin, les allocations alimentaires mensuelles – des paiements en espèces reçus sur une carte SIM – sont passées de 12 à 8 dollars par personne.

    Cette réduction a pour conséquence d’entraver la capacité des réfugiés d’acheter des produits frais sur le marché et des vêtements. Il faut trouver de quoi manger, coûte que coûte, ce qui amène les réfugiés à se livrer à des activités illicites – cambriolages et trafics en tout genre.

    Les conséquences du sous-investissement par les bailleurs de fonds sont aussi médicales et viennent s’ajouter à celles de l’augmentation de la population dans un espace qui, lui, ne s’accroît pas. Chaque année, y naissent entre 30 000 et 35 000 #bébés. Du fait de la densité des lieux et de la faiblesse des services sanitaires, il est estimé que 40 % de la population du camp souffre de la #gale. La fermeture de certains services de #santé a pour effet d’engorger les structures qui se maintiennent.

    Les #femmes seules, comme les personnes âgées et handicapées, sont parfois contraintes de payer des services pour des tâches qu’elles n’ont pas la possibilité d’accomplir seules : réparer leur maison, porter la bouteille de gaz du point de distribution jusque chez elles en dépit de l’existence d’une assistance prévue pour combler une partie de ces besoins spécifiques. Les femmes sont vulnérables aux #viols et aux violences – les cas sont nombreux et loin d’être mis au jour.

    Un « facteur d’attraction »

    Il est difficile d’imaginer que l’engagement présidentiel français modifiera la donne. Cela nécessite un tout autre investissement. La survie d’un peuple, condamné à vivre dans ces conditions de nombreuses années encore, relève du génie. Ce qui frappe dans les camps de réfugiés rohingya de Cox’s Bazar, ce sont moins les limites du système de l’aide que l’abandon d’un peuple et sa conséquence : la déstructuration sociale.

    La plupart des réfugiés espèrent retourner au Myanmar, une étape qui ne pourra être franchie que lorsque leurs terres et leur nationalité, dont ils ont été privés en 1982, leur seront restituées. Certains se résolvent malgré tout à rentrer clandestinement au Myanmar où ils s’exposent aux violences commises par les autorités birmanes.
    Quelques-uns ont bénéficié de rares opportunités de réinstallation dans d’autres pays, comme le Canada ou les Etats-Unis, mais le gouvernement bangladais a suspendu le programme de réinstallation en 2010, arguant qu’il agirait comme un « facteur d’attraction ». Les initiatives récentes visant à relancer le processus ont été timides.
    Une possibilité est la traversée risquée vers la #Malaisie, un pays qu’un nombre croissant de Rohingya à Kutupalong considère comme une voie de salut. Pour la très grande majorité des réfugiés, il ne semble n’y avoir aucun avenir à moyen terme autre que celui de demeurer entre deux mondes, dans ce coin de forêt pétri de #dengue et de #trafics en tout genre.

    Michaël Neuman est directeur d’études au Centre de réflexion sur l’action et les savoirs humanitaires (Crash) de la Fondation Médecins sans frontières.
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/31/bangladesh-ce-qui-frappe-dans-les-camps-de-refugies-de-rohingya-c-est-l-aban

    Massacre des Rohingya : « Facebook a joué un rôle central dans la montée du climat de haine » en Birmanie
    https://www.lemonde.fr/pixels/article/2022/09/29/massacre-des-rohingya-facebook-a-joue-un-role-central-dans-la-montee-du-clim
    https://archive.ph/DMWO8

    Au Bangladesh, l’exil sans fin des Rohingya
    https://www.lemonde.fr/international/article/2022/12/16/au-bangladesh-l-exil-sans-fin-des-rohingya_6154745_3210.html
    https://archive.ph/xKPyh

    #camp_de_réfugiés #Birmanie #Rohingya #réfugiés #musulmans #barbelés #drogues #déchéance_de_nationalité #aide_humanitaire #Programme_alimentaire_mondial

  • I confini non sono il luogo in cui accadono le violenze, sono il motivo per cui accadono le violenze
    https://www.meltingpot.org/2023/10/i-confini-non-sono-il-luogo-in-cui-accadono-le-violenze-sono-il-motivo-p

    Stazione di Sospel, Francia, ore 7.40. Nel paese della Val Roya passa il treno che collega Breil sur Roya a Nizza, all’interno poca gente. Appena il treno giunge alla stazione spuntano sette soldati e una dozzina di gendarmes. I militari circondano il treno, mitragliatrici in mano, mentre i poliziotti, a due a due, entrano nel treno, scrutano i passeggeri per rilevare soggettività razzializzate. Si fermano quando vedono due ragazzini, gli chiedono i documenti. I ragazzi glieli mostrano, vanno bene, i poliziotti scendono e il treno riparte. Stazione di Menton Garavan, Francia, ore 15.00. La situazione è identica, il treno (...)

  • « Contrôler » les migrations : entre laisser-mourir et permis de tuer

    À l’heure où le Conseil européen se réunit à Bruxelles, les 26 et 27 octobre 2023, pour évoquer, dans un monde en plein bouleversement, le renforcement des frontières européennes, le réseau Migreurop rappelle le prix exorbitant de cette #surenchère_sécuritaire et la #responsabilité accablante des États européens dans la #mise_en_danger constante des personnes en migration, qui tentent d’exercer leur #droit_à_la_mobilité au prix de leur vie.

    Depuis plus de 30 ans, la lutte contre l’immigration dite « clandestine » est la priorité des États européens, qui ont adopté diverses stratégies visant au fil des années à renforcer les #contrôles_migratoires et la sécuritisation des frontières des pays de destination, de transit et de départ. Quoi qu’il en coûte. Y compris au prix de vies humaines, les #morts_en_migration étant perçues par les autorités comme une conséquence dommageable de cette même « lutte ».

    Comme le dénonçait déjà Migreurop en 2009, « nombreuses sont les #frontières où tombent des dizaines de migrants, parfois tués par les #forces_de_l’ordre : des soldats égyptiens tirant à vue sur des Soudanais et des Érythréens à la frontière israélienne ; des soldats turcs abattant des Iraniens et des Afghans ; la marine marocaine provoquant sur les côtes d’Al Hoceima le naufrage de 36 personnes en partance pour l’Espagne (…) en perforant leur zodiac à coups de couteaux ; des policiers français à Mayotte faisant échouer volontairement des embarcations (Kwassa-kwassa) pour arrêter des migrants, engendrant ainsi la noyade de plusieurs d’entre eux. En Algérie, au Maroc, des migrants africains sont refoulés et abandonnés dans le désert, parfois miné, sans aucun moyen de subsistance » [1].

    Si l’objectif sécuritaire de #surveillance et #militarisation_des_frontières européennes reste le même, la stratégie mise en œuvre par les États européens pour ne pas répondre à l’impératif d’accueil des populations exilées a évolué au fil des années. Depuis des décennies, les « drames » se répètent sur le parcours migratoire. Ils ne relèvent en aucun cas de la #fatalité, de l’#irresponsabilité des exilé·e·s (ou de leurs proches [2]), du climat ou de l’environnement, de l’état de la mer, ou même d’abus de faiblesse de quelconques trafiquants, mais bien d’une politique étatique hostile aux personnes exilées, développée en toute conscience à l’échelle européenne, se traduisant par des législations et des pratiques attentatoires aux droits et mortifères : systématisation à l’échelle européenne des #refoulements aux portes de l’Europe [3], déploiement de dispositifs « anti-migrants » le long des frontières et littoraux (murs et clôtures [4], canons sonores [5], barrages flottants [6], barbelés à lames de rasoir [7], …), conditionnement de l’aide au développement à la lutte contre les migrations [8], #criminalisation du sauvetage civil [9]... Une stratégie qualifiée, en référence au concept créé par Achille Mbembe [10], de « #nécro-politique » lors de la sentence rendue par le Tribunal Permanent des Peuples en France, en 2018 [11].

    Déjà en août 2017, le rapport relatif à « la mort illégale de réfugiés et de migrants » de la rapporteuse spéciale du Conseil des droits de l’Homme onusien sur les exécutions extrajudiciaires, sommaires ou arbitraires, mettait en évidence « de multiples manquements des États en matière de respect et de protection du #droit_à_la_vie des réfugiés et des migrants, tels que des homicides illégaux, y compris par l’emploi excessif de la force et du fait de politiques et pratiques de #dissuasion aggravant le #danger_de_mort » [12].

    Mettant en place une véritable stratégie du #laisser-mourir, les États européens ont favorisé l’errance en mer en interdisant les débarquements des bateaux en détresse (Italie 2018 [13]), ont retiré de la mer Méditerranée les patrouilles navales au bénéfice d’une surveillance aérienne (2019 [14]), signe du renoncement au secours et au sauvetage en mer, ou en se considérant subitement « ports non-sûrs » (Italie et Malte 2020 [15]). Migreurop a également pointé du doigt la responsabilité directe des autorités et/ou des forces de l’ordre coupables d’exactions à l’égard des exilé·e·s (Balkans 2021 [16]), ou encore leur franche complicité (UE/Libye 2019 [17]).

    Le naufrage d’au moins 27 personnes dans la Manche le 24 novembre 2021 [18], fruit de la non-assistance à personnes en danger des deux côtés de la frontière franco-britannique, est une illustration de cette politique de dissuasion et du laisser-mourir. Le #naufrage de #Pylos, le 14 juin 2023, en mer Ionienne [19], est quant à lui un exemple d’action directe ayant provoqué la mort de personnes exilées. La manœuvre tardive (accrocher une corde puis tirer le bateau à grande vitesse) des garde-côtes grecs pour « remorquer » le chalutier sur lequel se trouvaient environ 700 exilé·e·s parti·e·s de Libye pour atteindre les côtes européennes, a probablement causé les remous qui ont fait chavirer le bateau en détresse et provoqué la noyade d’au moins 80 personnes, la mer ayant englouti les centaines de passager·e·s disparu·e·s.

    Le rapport des Nations unies de 2017 [20] pointe également les conséquences de l’#externalisation des politiques migratoires européennes et indique que « les autres violations du droit à la vie résultent de politiques d’extraterritorialité revenant à fournir aide et assistance à la privation arbitraire de la vie, de l’incapacité à empêcher les morts évitables et prévisibles et du faible nombre d’enquêtes sur ces morts illégales ». Le massacre du 24 juin 2022 aux frontières de Nador/Melilla [21], ayant coûté la vie à au moins 23 exilés en partance pour l’Espagne depuis le Maroc, désignés comme des « assaillants », 17 ans après le premier massacre documenté aux portes de Ceuta et Melilla [22], est un clair exemple de cette externalisation pernicieuse ayant entraîné la mort de civils. Tout comme les exactions subies en toute impunité ces derniers mois par les exilé·e·s Noir·e·s en Tunisie, en pleine dérive autoritaire, fruits du #racisme_structurel et du #marchandage européen pour le #contrôle_des_frontières [23].

    Nous assistons ainsi ces dernières années à un processus social et juridique de légitimation de législations et pratiques étatiques illégales visant à bloquer les mouvements migratoires, coûte que coûte, ayant pour conséquence l’abaissement des standards en matière de respect des droits. Un effritement considérable du droit d’asile, une légitimation confondante des refoulements – « légalisés » par l’Espagne (2015 [24]), la Pologne (2021 [25]) et la Lituanie (2023 [26]) –, une violation constante de l’obligation de secours en mer, et enfin, un permis de tuer rendu possible par la progressive #déshumanisation des personne exilées racisées, criminalisées pour ce qu’elles sont et représentent [27].

    Les frontières sont assassines [28] mais les États tuent également, en toute #impunité. Ces dernières années, il est manifeste que les acteurs du contrôle migratoire oscillent entre #inaction et action coupables, entre laisser-mourir (« let them drown, this is a good deterrence » [29]) et permis de tuer donné aux acteurs du contrôle frontalier, au nom de la guerre aux migrant·e·s, ces dernier·e·s étant érigé·e·s en menace(s) dont il faudrait se protéger.

    Les arguments avancés de longue date par les autorités nationales et européennes pour se dédouaner de ces si nombreux décès en migration sont toujours les mêmes : la défense d’une frontière, d’un territoire ou de l’ordre public. Les #décès survenus sur le parcours migratoire ne seraient ainsi que des « dommages collatéraux » d’une #stratégie_de_dissuasion dans laquelle la #violence, en tant que moyen corrélé à l’objectif de non-accueil et de mise à distance, est érigée en norme. L’agence européenne #Frontex contribue par sa mission de surveillance des frontières européennes à la mise en danger des personnes exilées [30]. Elle est une composante sécuritaire essentielle de cette #politique_migratoire violente et impunie [31], et de cette stratégie d’« irresponsabilité organisée » de l’Europe [32].

    Dans cet #apartheid_des_mobilités [33], où la hiérarchisation des droits au nom de la protection des frontières européennes est la règle, les décès des personnes exilées constituent des #risques assumés de part et d’autre, la responsabilité de ces morts étant transférée aux premier·e·s concerné·e·s et leurs proches, coupables d’avoir voulu braver l’interdiction de se déplacer, d’avoir exercé leur droit à la mobilité… A leurs risques et périls.

    Au fond, le recul que nous donne ces dernières décennies permet de mettre en lumière que ces décès en migration, passés de « évitables » à « tolérables », puis à « nécessaires » au nom de la protection des frontières européennes, ne sont pas des #cas_isolés, mais bien la conséquence logique de l’extraordinaire latitude donnée aux acteurs du contrôle frontalier au nom de la guerre aux migrant·e·s 2.0. Une dérive qui se banalise dans une #indifférence sidérante, et qui reste impunie à ce jour...

    Le réseau Migreurop continuera d’œuvrer en faveur de la liberté de circulation et d’installation [34] de toutes et tous, seule alternative permettant d’échapper à cette logique criminelle, documentée par nos organisations depuis bien trop longtemps.

    https://migreurop.org/article3211.html
    #nécropolitique #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #guerre_aux_migrants

  • EU to step up support for human rights abuses in North Africa

    In a letter (https://www.statewatch.org/media/4088/eu-com-migration-letter-eur-council-10-23.pdf) to the European Council trumpeting the EU’s efforts to control migration, European Commission president Ursula von der Leyen highlighted the provision of vessels and support to coast guards in Libya and Tunisia, where refugee and migrant rights are routinely violated.

    The letter (pdf) states:

    “…we need to build up the capacity of our partners to conduct effective border surveillance and search and rescue operations. We are providing support to many key partners with equipment and training to help prevent unauthorised border crossings. All five vessels promised to Libya have been delivered and we see the impact of increased patrols. Under the Memorandum of Understanding with Tunisia, we have delivered spare parts for Tunisian coast guards that are keeping 6 boats operational, and others will be repaired by the end of the year. More is expected to be delivered to countries in North Africa in the coming months.”

    What it does not mention is that vessels delivered to the so-called Libyan coast guard are used to conduct “pullbacks” of refugees to brutal detention conditions and human rights violations.

    Meanwhile in Tunisia, the coast guard has been conducting pullbacks of people who have subsequently been dumped in remote regions near the Tunisian-Algerian border.

    According to testimony provided to Human Rights Watch (HRW)¸ a group of people who were intercepted at sea and brought back to shore were then detained by the National Guard, who:

    “…loaded the group onto buses and drove them for 6 hours to somewhere near the city of Le Kef, about 40 kilometers from the Algerian border. There, officers divided them into groups of about 10, loaded them onto pickup trucks, and drove toward a mountainous area. The four interviewees, who were on the same truck, said that another truck with armed agents escorted their truck.

    The officers dropped their group in the mountains near the Tunisia-Algeria border, they said. The Guinean boy [interviewed by HRW) said that one officer had threatened, “If you return again [to Tunisia], we will kill you.” One of the Senegalese children [interviewed by HRW] said an officer had pointed his gun at the group.”

    Von der Leyen does not mention the fact that the Tunisian authorities refused an initial disbursement of €67 million offered by the Commission as part of its more than €1 billion package for Tunisia, which the country’s president has called “small” and said it “lacks respect.” (https://apnews.com/article/tunisia-europe-migration-851cf35271d2c52aea067287066ef247) The EU’s ambassador to Tunisia has said that the refusal “speaks to Tunisia’s impatience and desire to speed up implementation” of the deal.

    [voir: https://seenthis.net/messages/1020596]

    The letter also emphasises the need to “establish a strategic and mutually beneficial partnership with Egypt,” as well as providing more support to Türkiye, Jordan and Lebanon. The letter hints at the reason why – Israel’s bombing of the Gaza strip and a potential exodus of refugees – but does not mention the issue directly, merely saying that “the pressures on partners in our immediate vicinity risk being exacerbated”.

    It appears that the consequences rather than the causes of any movements of Palestinian refugees are the main concern. Conclusions on the Middle East agreed by the European Council last night demand “rapid, safe and unhindered humanitarian access and aid to reach those in need” in Gaza, but do not call for a ceasefire. The European Council instead “strongly emphasises Israel’s right to defend itself in line with international law and international humanitarian law.”

    More surveillance, new law

    Other plans mentioned in the letter include “increased aerial surveillance” for “combatting human smuggling and trafficking” by Operation IRINI, the EU’s military mission in the Mediterranean, and increased support for strengthening controls at points of departure in North African states as well as “points of entry by migrants at land borders.”

    The Commission also wants increased action against migrant smuggling, with a proposal to revise the 2002 Facilitation Directive “to ensure that criminal offences are harmonised, assets are frozen, and coordination strengthened,” so that “those who engage in illegal acts exploiting migrants pay a heavy price.”

    It appears the proposal will come at the same time as a migrant smuggling conference organised by the Commission on 28 November “to create a Global Alliance with a Call to Action, launching a process of regular international exchange on this constantly evolving crime.”

    Deportation cooperation

    Plans are in the works for more coordinated action on deportations, with the Commission proposing to:

    “…work in teams with Member States on targeted return actions, with a lead Member State or Agency for each action. We will develop a roadmap that could focus on (1) ensuring that return decisions are issued at the same time as a negative asylum decisions (2) systematically ensuring the mutual recognition of return decisions and follow-up enforcement action; (3) carrying out joint identification actions including through a liaison officers’ network in countries of origin; (4) supporting policy dialogue on readmission with third countries and facilitating the issuance of travel documents, as well as acceptance of the EU laissez passer; and (5) organising assisted voluntary return and joint return operations with the support of Frontex.”

    Cooperation on legal migration, meanwhile, will be done by member states “on a voluntary basis,” with the letter noting that any offers made should be conditional on increased cooperation with EU deportation efforts: “local investment and opportunities for legal migration must go hand in hand with strengthened cooperation on readmission.”

    More funds

    For all this to happen, the letter calls on the European Council to make sure that “migration priorities - both on the internal and external dimension - are reflected in the mid-term review of the Multiannual Financial Framework,” the EU’s 2021-27 budget.

    Mid-term revision of the budget was discussed at the European Council meeting yesterday, though the conclusions on that point merely state that there was an “in-depth exchange of views,” with the European Council calling on the Council of the EU “to take work forward, with a view to reaching an overall agreement by the end of the year.”

    https://www.statewatch.org/news/2023/october/eu-to-step-up-support-for-human-rights-abuses-in-north-africa

    #migrations #asile #réfugiés #Afrique_du_Nord #externalisation #Ursula_von_der_Leyen #lettre #contrôles_frontaliers #Tunisie #Libye #bateaux #aide #gardes-côtes_libyens #surveillance_frontalière #surveillance_frontalière_effective #frontières #Méditerranée #mer_Méditerranée #Memorandum_of_Understanding #MoU #pull-backs #Egypte #Turquie #Jourdanie #Liban #réfugiés_palestiniens #Palestine #7_octobre_2023 #Operation_IRINI #IRINI #surveillance_aérienne #passeurs #directive_facilitation #renvois #déportation #officiers_de_liaison #réadmissions #laissez-passer #Frontex

    ping @isskein @_kg_ @karine4

    • *Crise migratoire : le bilan mitigé des accords passés par l’Union européenne pour limiter les entrées sur son sol*

      Réunis en conseil jeudi et vendredi, les Vingt-Sept devaient faire le point sur la sécurisation des frontières extérieures de l’UE. Mardi, la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen, a proposé de conclure de nouveaux partenariats « sur mesure » avec le #Sénégal, la #Mauritanie et l’Egypte.

      Malgré la guerre entre Israël et le Hamas, qui s’est imposée à leur ordre du jour, le sujet de la migration demeure au menu des Vingt-Sept, qui se réunissent en Conseil européen jeudi 26 et vendredi 27 octobre à Bruxelles. Les chefs d’Etat et de gouvernement doivent faire un point sur la dimension externe de cette migration et la sécurisation des frontières extérieures de l’Union européenne (UE). Depuis janvier, le nombre d’arrivées irrégulières, selon l’agence Frontex, a atteint 270 000, en progression de 17 % par rapport à 2022. Sur certaines routes, la croissance est bien plus importante, notamment entre la Tunisie et l’Italie, avec une augmentation de 83 % des arrivées sur les neuf premiers mois de 2023.

      Si le #pacte_asile_et_migration, un ensemble de réglementations censé améliorer la gestion intra européenne de la migration, est en passe d’être adopté, le contrôle des frontières externes de l’Europe est au cœur des discussions politiques. A moins de huit mois des élections européennes, « les questions de migration seront décisives », prévient Manfred Weber, le patron du groupe conservateur PPE au Parlement européen.

      Nouveaux « #partenariats sur mesure »

      Mardi, dans une lettre aux dirigeants européens, Ursula von der Leyen, la présidente de la Commission, a rappelé sa volonté de « combattre la migration irrégulière à la racine et travailler mieux avec des #pays_partenaires », c’est-à-dire ceux où les migrants s’embarquent ou prennent la route pour l’UE, en établissant avec ces pays des « #partenariats_stratégiques_mutuellement_bénéficiaires ». Elle propose de conclure avec le Sénégal, la Mauritanie et l’Egypte de nouveaux « #partenariats_sur_mesure » sur le modèle de celui qui a été passé avec la Tunisie. Sans oublier la Jordanie et le Liban, fortement déstabilisés par le conflit en cours entre Israël et Gaza.

      L’UE souhaite que ces pays bloquent l’arrivée de migrants vers ses côtes et réadmettent leurs citoyens en situation irrégulière sur le Vieux Continent contre des investissements pour renforcer leurs infrastructures et développer leur économie. « L’idée n’est pas nécessairement mauvaise, glisse un diplomate européen, mais il faut voir comment c’est mené et négocié. Le partenariat avec la Tunisie a été bâclé et cela a été fiasco. »

      Depuis vingt ans, l’Europe n’a eu de cesse d’intégrer cette dimension migratoire dans ses accords avec les pays tiers et cette préoccupation s’est accentuée en 2015 avec l’arrivée massive de réfugiés syriens. Les moyens consacrés à cet aspect migratoire ont augmenté de façon exponentielle. Au moins 8 milliards d’euros sont programmés pour la période 2021-2027, soit environ 10 % des fonds de la coopération, pour des politiques de sécurisation et d’équipements des gardes-côtes. Ces moyens manquent au développement des pays aidés, critique l’ONG Oxfam. Et la Commission a demandé une rallonge de 15 milliards d’euros aux Vingt-Sept.

      Mettre l’accent sur les retours

      Tant de moyens, pour quels résultats ? Il est impossible de chiffrer le nombre d’entrées évitées par les accords passés, exception faite de l’arrangement avec la Turquie. Après la signature le 18 mars 2016, par les Vingt-Sept et la Commission, de la déclaration UE-Turquie, les arrivées de Syriens ont chuté de 98 % dès 2017, mais cela n’a pas fonctionné pour les retours, la Turquie ayant refusé de réadmettre la majorité des Syriens refoulés d’Europe. Cet engagement a coûté 6 milliards d’euros, financés à la fois par les Etats et l’UE.

      « Pour les autres accords, le bilan est modeste, indique Florian Trauner, spécialiste des migrations à la Vrije Universiteit Brussel (Belgique). Nous avons étudié l’ensemble des accords passés par l’UE avec les pays tiers sur la période 2008-2018 pour mesurer leurs effets sur les retours et réadmissions. Si les pays des Balkans, plus proches de l’Europe, ont joué le jeu, avec les pays africains, cela ne fonctionne pas. »

      Depuis le début de l’année, la Commission assure malgré tout mettre l’accent sur les retours. Selon Ylva Johansson, la commissaire chargée de la politique migratoire, sur près de 300 000 obligations de quitter le territoire européen, environ 65 000 ont été exécutées, en progression de 22 % en 2023. Ces chiffres modestes « sont liés à des questions de procédures internes en Europe, mais également à nos relations avec les Etats tiers. Nous avons fait beaucoup de pédagogie avec ces Etats en mettant en balance l’accès aux visas européens et cela commence à porter ses fruits. »

      « Généralement, explique Florian Trauner, les Etats tiers acceptent les premiers temps les retours, puis la pression de l’opinion publique locale se retourne contre eux et les taux de réadmissions baissent. Les accords qui conditionnent l’aide au développement à des réadmissions créent davantage de problèmes qu’ils n’en résolvent. La diplomatie des petits pas, plus discrète, est bien plus efficace. »

      L’alternative, juge le chercheur, serait une meilleure gestion par les Européens des migrations, en ménageant des voies légales identifiées pour le travail, par exemple. Dans ce cas, affirme-t-il, les pays concernés accepteraient de reprendre plus simplement leurs citoyens. « Mais en Europe, on ne veut pas entendre cela », observe M. Trauner.
      Statut juridique obscur

      Le développement de ces accords donnant-donnant pose un autre problème à l’UE : leur statut juridique. « Quel que soit leur nom – partenariat, déclaration…–, ce ne sont pas des accords internationaux en bonne et due forme, négociés de manière transparente avec consultation de la société civile, sous le contrôle du Parlement européen puis des tribunaux, rappelle Eleonora Frasca, juriste à l’Université catholique de Louvain (Belgique). Ce sont des objets juridiques plus obscurs. »

      En outre, les arrangements avec la Turquie ou la Libye ont conduit des migrants à des situations dramatiques. Qu’il s’agisse des camps aux conditions déplorables des îles grecques où étaient parqués des milliers de Syriens refoulés d’Europe mais non repris en Turquie, ou des refoulements en mer, souvent avec des moyens européens, au large de la Grèce et de la Libye, ou enfin du sort des migrants renvoyés en Libye où de multiples abus et de crimes ont été documentés.

      Concernant la Tunisie, « l’Union européenne a signé l’accord sans inclure de clause de respect de l’Etat de droit ou des droits de l’homme au moment même où cette dernière chassait des migrants subsahariens vers les frontières libyenne et algérienne, relève Sara Prestianni, de l’ONG EuroMed Droit. Du coup, aucune condamnation n’a été formulée par l’UE contre ces abus. » L’Europe a été réduite au silence.

      Sous la pression d’Ursula von der Leyen, de Giorgia Melloni, la présidente du conseil italien, et de Mark Rutte, le premier ministre néerlandais, ce partenariat global doté d’un milliard d’euros « a été négocié au forceps et sans consultation », juge une source européenne. La conséquence a été une condamnation en Europe et une incompréhension de la part des Tunisiens, qui ont décidé de renvoyer 60 millions d’euros versés en septembre, estimant que c’était loin du milliard annoncé. « Aujourd’hui, le dialogue avec la Tunisie est exécrable, déplore un diplomate. La méthode n’a pas été la bonne », déplore la même source.
      Exposition à un chantage aux migrants

      « L’Union européenne a déjà été confrontée à ce risque réputationnel et semble disposée à l’accepter dans une certaine mesure, nuance Helena Hahn, de l’European Policy Center. Il est important qu’elle s’engage avec les pays tiers sur cette question des migrations. Toutefois, elle doit veiller à ce que ses objectifs ne l’emportent pas sur ses intérêts dans d’autres domaines, tels que la politique commerciale ou le développement. »

      Dernier risque pour l’UE : en multipliant ces accords avec des régimes autoritaires, elle s’expose à un chantage aux migrants. Depuis 2020, elle en a déjà été l’objet de la part de la Turquie et du Maroc, de loin le premier bénéficiaire d’aides financières au titre du contrôle des migrations. « Ce n’est pas juste le beau temps qui a exposé Lampedusa à l’arrivée de 12 000 migrants en quelques jours en juin, juge Mme Prestianni. Les autorités tunisiennes étaient derrière. La solution est de rester fermes sur nos valeurs. Et dans notre négociation avec la Tunisie, nous ne l’avons pas été. »

      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/26/crise-migratoire-le-bilan-mitige-des-accords-passes-par-l-union-europeenne-p

    • EU planning new anti-migration deals with Egypt and Tunisia, unrepentant in support for Libya

      The European Commission wants to agree “new anti-smuggling operational partnerships” with Tunisia and Egypt before the end of the year, despite longstanding reports of abuse against migrants and refugees in Egypt and recent racist violence endorsed by the Tunisian state. Material and financial support is already being stepped up to the two North African countries, along with support for Libya.

      The plan for new “partnerships” is referred to in a newly-revealed annex (pdf) of a letter from European Commission president, Ursula von der Leyen, that was sent to the European Council prior to its meeting in October and published by Statewatch.

      In April, the Commission announced “willingness” from the EU and Tunisia “to establish a stronger operational partnership on anti-smuggling,” which would cover stronger border controls, more police and judicial cooperation, increased cooperation with EU agencies, and anti-migration advertising campaigns.

      The annex includes little further detail on the issue, but says that the agreements with Tunisia and Egypt should build on the anti-smuggling partnerships “in place with Morocco, Niger and the Western Balkans, with the support of Europol and Eurojust,” and that they should include “joint operational teams with prosecutors and law enforcement authorities of Member States and partners.”

      Abuse and impunity

      Last year, Human Rights Watch investigations found that “Egyptian authorities have failed to protect vulnerable refugees and asylum seekers from pervasive sexual violence, including by failing to investigate rape and sexual assault,” and that the police had subjected Sudanese refugee activists to “forced physical labor [sic] and beatings.” Eritrean asylum-seekers have also been detained and deported by the Egyptian authorities.

      The EU’s own report on human rights in Egypt in 2022 (pdf) says the authorities continue to impose “constraints” on “freedom of expression, peaceful assembly and media freedom,” while “concerns remained about broad application of the Terrorism Law against peaceful critics and individuals, and extensive and indiscriminate use of pre-trial detention.”

      Amr Magdi, Human Rights Watch’s Senior Researcher on the Middle East and North Africa, has said more bluntly that “there can be no light at the end of the tunnel without addressing rampant security force abuses and lawlessness.” The Cairo Institute for Human Rights said in August that the country’s “security apparatus continues to surveil and repress Egyptians with impunity. There is little to no access to participatory democracy.”

      The situation in Tunisia for migrants and refugees has worsened substantially since the beginning of the year, when president Kais Said declared a crackdown against sub-Saharan Africans in speeches that appeared to draw heavily from the far-right great replacement theory.

      It is unclear whether the EU will attempt to address this violence, abuse and discrimination as it seeks to strengthen the powers of the countries’ security authorities. The annex to von der Leyen’s letter indicates that cooperation with Tunisia is already underway, even if an anti-smuggling deal has not been finalised:

      “Three mentorship pairs on migrant smuggling TU [Tunisia] with Member States (AT, ES, IT [Austria, Spain and Italy]) to start cooperation in the framework of Euromed Police, in the last quarter of 2023 (implemented by CEPOL [the European Police College] with Europol)”

      Anti-smuggling conference

      The annex to von der Leyen’s letter indicates that the Egyptian foreign minister, Sameh Shoukry, “confirmed interest in a comprehensive partnership on migration, including anti-smuggling and promoting legal pathways,” at a meeting with European Commissioner for Migration and Home Affairs, Ylva Johansson, at the UN General Assembly.

      This month the fourth EU-Egypt High Level Dialogue on Migration and the second Senior Officials Meeting on Security and Law Enforcement would be used to discuss the partnership, the annex notes – “including on the involvement of CEPOL, Europol and Frontex” – but it is unclear when exactly the Commission plans to sign the new agreements. An “International Conference on strengthening international cooperation on countering migrant smuggling” that will take place in Brussels on 28 November would provide an opportune moment to do so.

      The conference will be used to announce a proposal “to reinforce the EU legal framework on migrant smuggling, including elements related to: sanctions, governance, information flows and the role of JHA agencies,” said a Council document published by Statewatch in October.

      Other sources indicate that the proposal will include amendments to the EU’s Facilitation Directive and the Europol Regulation, with measures to boost the role of the European Migrant Smuggling Centre hosted at Europol; step up the exchange of information between member states, EU agencies and third countries; and step up Europol’s support to operations.

      Additional support

      The proposed “partnerships” with Egypt and Tunisia come on top of ongoing support provided by the EU to control migration.

      In July the EU signed a memorandum of understanding with Tunisia covering “macro-economic stability, economy and trade, green energy, people-to-people contacts and migration and mobility.”

      Despite the Tunisian government returning €67 million provided by the EU, the number of refugee boat departures from Tunisia has decreased significantly, following an increase in patrols at sea and the increased destruction of intercepted vessels.

      Violent coercion is also playing a role, as noted by Matthias Monroy:

      “State repression, especially in the port city of Sfax, has also contributed to the decline in numbers, where the authorities have expelled thousands of people from sub-Saharan countries from the centre and driven them by bus to the Libyan and Algerian borders. There, officials force them to cross the border. These measures have also led to more refugees in Tunisia seeking EU-funded IOM programmes for “voluntary return” to their countries of origin.”

      The annex to von der Leyen’s letter notes that the EU has provided “fuel to support anti-smuggling operations,” and that Tunisian officials were shown around Frontex’s headquarters in mid-September for a “familiarisation visit”.

      Egypt, meanwhile, is expected to receive the first of three new patrol boats from the EU in December, €87 million as part of the second phase of a border management project will be disbursed “in the coming months,” and Frontex will pursue a working arrangement with the Egyptian authorities, who visited the agency’s HQ in Warsaw in October.

      Ongoing support to Libya

      Meanwhile, the EU’s support for migration control by actors in Libya continues, despite a UN investigation earlier this year accusing that support of contributing to crimes against humanity in the country.

      The annex to von der Leyen’s letter notes with approval that five search and rescue vessels have been provided to the Libyan Coast Guard this year, and that by 21 September, “more than 10,900 individuals reported as rescued or intercepted by the Libyan authorities in more than 100 operations… Of those disembarked, the largest groups were from Bangladesh, Egypt and Syria”.

      The letter does not clarify what distinguishes “rescue” and “interception” in this context. The organisation Forensic Oceanography has previously described them as “conflicting imperatives” in an analysis of a disaster at sea in which some survivors were taken to Libya, and some to EU territory.

      In a letter (pdf) sent last week to the chairs of three European Parliament committees, three Commissioners – Margaritas Schinas, Ylva Johansson and Oliver Várhelyi – said the Commission remained “convinced that halting EU assistance in the country or disengagement would not improve the situation of those most in need.”

      While evidence that EU support provided to Libya has facilitated the commission of crimes against humanity is not enough to put that policy to a halt, it remains to be seen whether the Egyptian authorities’ violent repression, or state racism in Tunisia, will be deemed worthy of mention in public by Commission officials.

      The annex to von der Leyen’s letter also details EU action in a host of other areas, including the “pilot projects” launched in Bulgaria and Romania to step up border surveillance and speed up asylum proceedings and returns, support for the Moroccan authorities, and cooperation with Western Balkans states, amongst other things.

      https://www.statewatch.org/news/2023/november/eu-planning-new-anti-migration-deals-with-egypt-and-tunisia-unrepentant-

      en italien:
      Statewatch. Mentre continua il sostegno alla Libia, l’UE sta pianificando nuovi accordi anti-migrazione con Egitto e Tunisia
      https://www.meltingpot.org/2023/11/statewatch-mentre-continua-il-sostegno-alla-libia-lue-sta-pianificando-n

    • Accord migratoire avec l’Égypte. Des #navires français en eaux troubles

      Les entreprises françaises #Civipol, #Défense_Conseil_International et #Couach vont fournir à la marine du Caire trois navires de recherche et sauvetage dont elles formeront également les équipages, révèle Orient XXI dans une enquête exclusive. Cette livraison, dans le cadre d’un accord migratoire avec l’Égypte, risque de rendre l’Union européenne complice d’exactions perpétrées par les gardes-côtes égyptiens et libyens.

      La France est chaque année un peu plus en première ligne de l’externalisation des frontières de l’Europe. Selon nos informations, Civipol, l’opérateur de coopération internationale du ministère de l’intérieur, ainsi que son sous-traitant Défense Conseil International (DCI), prestataire attitré du ministère des armées pour la formation des militaires étrangers, ont sélectionné le chantier naval girondin Couach pour fournir trois navires de recherche et sauvetage (SAR) aux gardes-côtes égyptiens, dont la formation sera assurée par DCI sur des financements européens de 23 millions d’euros comprenant des outils civils de surveillance des frontières.

      Toujours selon nos sources, d’autres appels d’offres de Civipol et DCI destinés à la surveillance migratoire en Égypte devraient suivre, notamment pour la fourniture de caméras thermiques et de systèmes de positionnement satellite.

      Ces contrats sont directement liés à l’accord migratoire passé en octobre 2022 entre l’Union européenne (UE) et l’Égypte : en échange d’une assistance matérielle de 110 millions d’euros au total, Le Caire est chargé de bloquer, sur son territoire ainsi que dans ses eaux territoriales, le passage des migrants et réfugiés en partance pour l’Europe. Ce projet a pour architecte le commissaire européen à l’élargissement et à la politique de voisinage, Olivér Várhelyi. Diplomate affilié au parti Fidesz de l’illibéral premier ministre hongrois Viktor Orbán, il s’est récemment fait remarquer en annonçant unilatéralement la suspension de l’aide européenne à la Palestine au lendemain du 7 octobre — avant d’être recadré.

      La mise en œuvre de ce pacte a été conjointement confiée à Civipol et à l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) de l’ONU, comme déjà indiqué par le média Africa Intelligence. Depuis, la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen a déjà plaidé pour un nouvel accord migratoire avec le régime du maréchal Sissi. Selon l’UE, il s’agirait d’aider les gardes-côtes égyptiens à venir en aide aux migrants naufragés, via une approche « basée sur les droits, orientée vers la protection et sensible au genre ».
      Circulez, il n’y a rien à voir

      Des éléments de langage qui ne convainquent guère l’ONG Refugees Platform in Egypt (REP), qui a alerté sur cet accord il y a un an. « Depuis 2016, le gouvernement égyptien a durci la répression des migrants et des personnes qui leur viennent en aide, dénonce-t-elle auprès d’Orient XXI. De plus en plus d’Égyptiens émigrent en Europe parce que la jeunesse n’a aucun avenir ici. Ce phénomène va justement être accentué par le soutien de l’UE au gouvernement égyptien. L’immigration est instrumentalisée par les dictatures de la région comme un levier pour obtenir un appui politique et financier de l’Europe. »

      En Égypte, des migrants sont arrêtés et brutalisés après avoir manifesté. Des femmes réfugiées sont agressées sexuellement dans l’impunité. Des demandeurs d’asile sont expulsés vers des pays dangereux comme l’Érythrée ou empêchés d’entrer sur le territoire égyptien. Par ailleurs, les gardes-côtes égyptiens collaborent avec leurs homologues libyens qui, également soutenus par l’UE, rejettent des migrants en mer ou les arrêtent pour les placer en détention dans des conditions inhumaines, et entretiennent des liens avec des milices qui jouent aussi le rôle de passeurs.

      Autant d’informations peu compatibles avec la promesse européenne d’un contrôle des frontières « basé sur les droits, orienté vers la protection et sensible au genre ». Sachant que l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes Frontex s’est elle-même rendue coupable de refoulements illégaux de migrants (pushbacks) et a été accusée de tolérer de mauvais traitements sur ces derniers.

      Contactés à ce sujet, les ministères français de l’intérieur, des affaires étrangères et des armées, l’OIM, Civipol, DCI et Couach n’ont pas répondu à nos questions. Dans le cadre de cette enquête, Orient XXI a aussi effectué le 1er juin une demande de droit à l’information auprès de la Direction générale du voisinage et des négociations d’élargissement (DG NEAR) de la Commission européenne, afin d’accéder aux différents documents liés à l’accord migratoire passé entre l’UE et l’Égypte. Celle-ci a identifié douze documents susceptibles de nous intéresser, mais a décidé de nous refuser l’accès à onze d’entre eux, le douzième ne comprenant aucune information intéressante. La DG NEAR a invoqué une série de motifs allant du cohérent (caractère confidentiel des informations touchant à la politique de sécurité et la politique étrangère de l’UE) au plus surprenant (protection des données personnelles — alors qu’il aurait suffi de masquer lesdites données —, et même secret des affaires). Un premier recours interne a été déposé le 18 juillet, mais en l’absence de réponse de la DG NEAR dans les délais impartis, Orient XXI a saisi fin septembre la Médiatrice européenne, qui a demandé à la Commission de nous répondre avant le 13 octobre. Sans succès.

      Dans un courrier parvenu le 15 novembre, un porte-parole de la DG NEAR indique :

      "L’Égypte reste un partenaire fiable et prévisible pour l’Europe, et la migration constitue un domaine clé de coopération. Le projet ne cible pas seulement le matériel, mais également la formation pour améliorer les connaissances et les compétences [des gardes-côtes et gardes-frontières égyptiens] en matière de gestion humanitaire des frontières (…) Le plein respect des droits de l’homme sera un élément essentiel et intégré de cette action [grâce] à un contrôle rigoureux et régulier de l’utilisation des équipements."

      Paris-Le Caire, une relation particulière

      Cette livraison de navires s’inscrit dans une longue histoire de coopération sécuritaire entre la France et la dictature militaire égyptienne, arrivée au pouvoir après le coup d’État du 3 juillet 2013 et au lendemain du massacre de centaines de partisans du président renversé Mohamed Morsi. Paris a depuis multiplié les ventes d’armes et de logiciels d’espionnage à destination du régime du maréchal Sissi, caractérisé par la mainmise des militaires sur la vie politique et économique du pays et d’effroyables atteintes aux droits humains.

      La mise sous surveillance, la perquisition par la Direction générale de la sécurité intérieure (DGSI) et le placement en garde à vue de la journaliste indépendante Ariane Lavrilleux fin septembre étaient notamment liés à ses révélations dans le média Disclose sur Sirli, une opération secrète associant les renseignements militaires français et égyptien, dont la finalité antiterroriste a été détournée par Le Caire vers la répression intérieure. Une enquête pour « compromission du secret de la défense nationale » avait ensuite été ouverte en raison de la publication de documents (faiblement) classifiés par Disclose.

      La mise en œuvre de l’accord migratoire UE-Égypte a donc été indirectement confiée à la France via Civipol. Société dirigée par le préfet Yann Jounot, codétenue par l’État français et des acteurs privés de la sécurité — l’électronicien de défense Thales, le spécialiste de l’identité numérique Idemia, Airbus Defence & Space —, Civipol met en œuvre des projets de coopération internationale visant à renforcer les capacités d’États étrangers en matière de sécurité, notamment en Afrique. Ceux-ci peuvent être portés par la France, notamment via la Direction de la coopération internationale de sécurité (DCIS) du ministère de l’intérieur. Mais l’entreprise travaille aussi pour l’UE.

      Civipol a appelé en renfort DCI, société pilotée par un ancien chef adjoint de cabinet de Nicolas Sarkozy passé dans le privé, le gendarme Samuel Fringant. DCI était jusqu’à récemment contrôlée par l’État, aux côtés de l’ancien office d’armement Eurotradia soupçonné de corruption et du vendeur de matériel militaire français reconditionné Sofema. Mais l’entreprise devrait prochainement passer aux mains du groupe français d’intelligence économique ADIT de Philippe Caduc, dont l’actionnaire principal est le fonds Sagard de la famille canadienne Desmarais, au capital duquel figure désormais le fonds souverain émirati.

      DCI assure principalement la formation des armées étrangères à l’utilisation des équipements militaires vendus par la France, surtout au Proche-Orient et notamment en Égypte. Mais à l’image de Civipol, l’entreprise collabore de plus en plus avec l’UE, notamment via la mal nommée « Facilité européenne pour la paix » (FEP).
      Pacte (migratoire) avec le diable

      Plus largement, ce partenariat avec l’Égypte s’inscrit dans une tendance généralisée d’externalisation du contrôle des frontières de l’Europe, qui voit l’UE passer des accords avec les pays situés le long des routes migratoires afin que ceux-ci bloquent les départs de migrants et réfugiés, et que ces derniers déposent leurs demandes d’asile depuis l’Afrique, avant d’arriver sur le territoire européen. Après la Libye, pionnière en la matière, l’UE a notamment signé des partenariats avec l’Égypte, la Tunisie — dont le président Kaïs Saïed a récemment encouragé des émeutes racistes —, le Maroc, et en tout 26 pays africains, selon une enquête du journaliste Andrei Popoviciu pour le magazine américain In These Times.

      Via ces accords, l’UE n’hésite pas à apporter une assistance financière, humaine et matérielle à des acteurs peu soucieux du respect des droits fondamentaux, de la bonne gestion financière et parfois eux-mêmes impliqués dans le trafic d’êtres humains. L’UE peine par ailleurs à tracer l’utilisation de ces centaines de millions d’euros et à évaluer l’efficacité de ces politiques, qui se sont déjà retournées contre elles sous la forme de chantage migratoire, par exemple en Turquie.

      D’autres approches existent pourtant. Mais face à des opinions publiques de plus en plus hostiles à l’immigration, sur fond de banalisation des idées d’extrême droite en politique et dans les médias, les 27 pays membres et les institutions européennes apparaissent enfermés dans une spirale répressive.

      https://orientxxi.info/magazine/accord-migratoire-avec-l-egypte-des-navires-francais-en-eaux-troubles,68

  • Database delays: new timetable for interoperable EU policing and migration systems by 2027

    EU interior ministers have agreed another revised timeline for the plan to make all justice and home affairs databases “interoperable”, with the aim now to have the systems up and running by 2027. Mandatory biometric border checks may now be introduced progressively, in the hope of limiting delays at border crossing points.

    The new timetable, agreed at the Justice and Home Affairs Council last week, follows on from previous delays. A revision to the timeline adopted in November 2021 included a plan for the Entry/Exit System (EES), a biometric border-crossing registration database, to be functional by September 2022. Further changes saw the deadline extended to May this year. A Belgian proposal to “decouple” the EES and the European Travel Information and Authorisation System (ETIAS) does not appear to have been taken on board.

    Under the new plan, the EES is supposed to come into use at some point in the second half of 2024 - though a note from the Spanish Presidency (pdf) suggests that even then, the “capturing and storing of biometrics... could be activated progressively.” This is because of the extra waiting times that the introduction of mandatory biometric capture, storage and verification at all EU border crossing points is likely to introduce.

    As previously reported by Statewatch, the Austrian government expects “process times to double compared to the current situation,” the Croatian government is clear that “the waiting time for border checks will certainly be significantly longer,” and the German government has said “control times for passengers will increase significantly by the introduction of EES.”

    To mitigate this, the Spanish Presidency’s note says that “derogation measures will be available for activation at individual border crossing points to prevent long waiting times. The date that will be retained for the entry into operation will be outside periods of major events and high travel times.”

    The introduction of the EES in the second half of 2024 is supposed to be followed by the ETIAS in the first half of 2025, the European Criminal Records Information System for Third Country Nationals (ECRIS-TCN) in mid-2026, finalisation of “the technical implementation of the IO [interoperability] architecture” in late 2026, followed by work to “upgrade and evolve the IO architecture” from 2027 onward.

    The timetable published by eu-Lisa also foresees the eventual integration of the expanded #Eurodac database, depending on the adoption of the law, which is currently under discussion in the Council and the Parliament.

    https://www.statewatch.org/news/2023/october/database-delays-new-timetable-for-interoperable-eu-policing-and-migratio
    #EU #UE #Union_européenne #biométrie #contrôles_frontaliers #asile #migrations #réfugiés #interopérabilité #frontières #Entry/Exit_System (#EES) #European_Travel_Information_and_Authorisation_System (#ETIAS) #European_Criminal_Records_Information_System_for_Third_Country_Nationals (#ECRIS-TCN) #agenda

  • Sénateurs et députés trouvent un accord sur le projet de loi « pour le plein-emploi »
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/10/24/senateurs-et-deputes-trouvent-un-accord-sur-le-projet-de-loi-pour-le-plein-e

    [...] Malgré les réticences des sénateurs, l’accord de la CMP consacre le changement de nom de Pôle emploi en France Travail, comme le souhaitait le président de la République, Emmanuel Macron. Un nouveau nom pour l’opérateur auquel seront désormais inscrits tous les demandeurs d’emploi, y compris les bénéficiaires du RSA, qui n’étaient pas tous enregistrés à Pôle emploi. Les allocataires devront signer un « contrat d’engagement » défait de son caractère « réciproque », comme cela avait été ajouté par l’opposition de gauche à l’Assemblée nationale.

    Ce nouveau contrat engagera les bénéficiaires du RSA à des heures d’activité conditionnant le versement de l’allocation, mesure phare de ce projet de loi. Les allocataires devront s’acquitter d’« au moins quinze heures » d’activité hebdomadaires, sans borne haute, pour toucher les 607 euros mensuels (pour une personne seule). Une du[...]rée qui pourra être minorée « pour des raisons liées à la situation individuelle de l’intéressé », notamment s’il fait face à de trop sérieux freins à l’emploi. « Mais cela ne pourra pas être zéro non plus », précise le député (Horizons) du Nord et rapporteur du texte, Paul Christophe. Seules « les personnes rencontrant des difficultés particulières et avérées, en raison de leur état de santé, de leur handicap » ou les parents isolés « sans solution de garde pour un enfant de moins de 12 ans » peuvent être exclus du dispositif.[...]

  • Lutte contre l’immigration irrégulière : 361 candidats, dont 29 femmes et 51 mineurs interpellés en 2 jours
    https://www.dakaractu.com/Lutte-contre-l-immigration-irreguliere-361-candidats-dont-29-femmes-et-51

    Lutte contre l’immigration irrégulière : 361 candidats, dont 29 femmes et 51 mineurs interpellés en 2 jours
    La Marine nationale a intercepté, les 20 et 21 octobre 2023, trois pirogues transportant au total 361 candidats à l’émigration irrégulière dont 29 femmes et 51 mineurs. Les migrants ont été débarqués à la BNAFG et remis aux services compétents de l’État.

    #Covid-19#migrant#migration#senegal#migrationirreguliere#emigration#routemigratoire#atlantique#traversee#controle#frontiere#politiquemigratoire

  • [on veut un chiffrement de bourre en bourre] Casser le chiffrement des messageries, un serpent de mer politique inapplicable
    https://www.lemonde.fr/pixels/article/2023/10/20/casser-le-chiffrement-des-messageries-un-serpent-de-mer-politique-inapplicab

    Interrogé sur BFM-TV, jeudi 19 octobre, le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, a désigné une cible bien commode pour expliquer que le terroriste ayant assassiné le professeur de français Dominique Bernard à Arras, vendredi 13 octobre, ait pu agir alors même qu’il était sous surveillance rapprochée des services de renseignement : les applications de #messagerie.
    « Hier encore, les écoutes téléphoniques classiques nous renseignaient sur la grande criminalité et le terrorisme. Aujourd’hui, les gens passent par Telegram, par WhatsApp, par Signal, par Facebook (…) Ce sont des messageries cryptées (…) On doit pouvoir négocier avec ces entreprises ce que vous appelez une “porte dérobée”. On doit pouvoir dire : “Monsieur Whatsapp, Monsieur Telegram, je soupçonne que M. X va peut-être passer à l’acte, donnez-moi ses conversations.” »
    L’argument semble frappé au coin du bon sens et M. Darmanin s’est dit favorable à un changement de la loi pour imposer aux plates-formes de fournir le contenu des messages chiffrés lorsque les autorités le requièrent. Le problème, pourtant, c’est que ces demandes sont contraires à des lois bien plus difficiles à faire évoluer que celles de la République : celles des mathématiques.

    .... la seule méthode efficace dont disposent les enquêteurs pour lire le contenu de conversations WhatsApp ou Signal est tout simplement d’avoir accès aux téléphones ou ordinateurs utilisés par un ou plusieurs interlocuteurs d’une conversation. C’est d’ailleurs ce qu’ont tenté de faire les agents qui surveillaient l’auteur de l’attentat d’Arras, a rappelé M. Darmanin, en le contrôlant la veille de l’attaque dans l’espoir de mettre la main sur son téléphone portable, sans succès.

    https://www.lemonde.fr/pixels/article/2023/10/20/casser-le-chiffrement-des-messageries-un-serpent-de-mer-politique-inapplicab
    https://justpaste.it/c9a2b

    #police #surveillance #signal #chiffrement_de_bout_en_bout

    • Attentat d’Arras : comment la DGSI a échoué à accéder aux messages cryptés de Mogouchkov
      https://www.lexpress.fr/societe/attentat-darras-comment-la-dgsi-a-echoue-a-acceder-aux-messages-cryptes-de-

      .... le travail de la Direction générale de la sécurité intérieure (#DGSI) a bel et bien été compliqué par une immense faiblesse technique : l’incapacité du service secret français à accéder aux conversations du terroriste, Mohammed Mogouchkov, sur les messageries cryptées, WhatsApp, Signal, Telegram et Snapchat. L’enquête judiciaire en cours montre d’ailleurs que l’assaillant entretenait une correspondance troublante sur Snapchat avec un détenu fiché S pour radicalisation islamiste, Maxime C., par l’intermédiaire d’un des membres de la famille de ce dernier. Dans une de ces missives, le prisonnier radicalisé et prosélyte évoque « la mort douce avec l’épée à la main », selon Le Parisien.

      Le #contrôle_d’identité diligenté à l’encontre de Mogouchkov par les policiers, jeudi 12 octobre, la veille de l’attentat, avait notamment pour but de placer un #logiciel_espion dans son téléphone portable. Gérald Darmanin l’a reconnu au détour d’une réponse passée inaperçue lors de sa conférence de presse du 14 octobre : "La veille de l’attentat, nous avons procédé à l’interpellation de cette personne pour vérifier qu’il n’avait pas des armes sur lui mais aussi pour procéder à d’autres techniques de #renseignement plus intrusives, c’est-à-dire notamment d’avoir accès à son téléphone et aux messageries

      #Paywall

  • Nostalgie
    https://tagrawlaineqqiqi.wordpress.com/2023/10/21/nostalgie

    Chose rare, j’ai été saisie hier d’une vague de nostalgie. Ça ne m’arrive pas souvent, ça n’est pas franchement dans ma nature, et il y a un je-ne-sais-quoi de « c’était mieux avant » que je n’aime pas dans la nostalgie. Mais ça m’arrive quand même parfois de regarder le passé, puis le présent, et de pousser […]

    #Société #contrôle_social #musique #Politique
    https://0.gravatar.com/avatar/cd5bf583a4f6b14e8793f123f6473b33bb560651f18847079e51b3bcad719755?s=96&d=

  • 18.10.2023 : Reintroduzione dei controlli delle frontiere interne terrestri con la Slovenia, nota di Palazzo Chigi

    Il Governo italiano ha comunicato la reintroduzione dei controlli delle frontiere interne terrestri con la Slovenia, in base all’articolo 28 del Codice delle frontiere Schengen (Regolamento Ue 2016/339).

    Il ripristino dei controlli alle frontiere interne, già adottato nell’area Schengen, è stato comunicato dal ministro Piantedosi al vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schinas, al commissario europeo agli Affari interni Ylva Johansson, alla presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, al segretario generale del Consiglio dell’Unione europea Thérèse Blanchet e ai ministri dell’Interno degli Stati membri Ue e dei Paesi associati Schengen.

    L’intensificarsi dei focolai di crisi ai confini dell’Europa, in particolare dopo l’attacco condotto nei confronti di Israele, ha infatti aumentato il livello di minaccia di azioni violente anche all’interno dell’Unione. Un quadro ulteriormente aggravato dalla costante pressione migratoria cui l’Italia è soggetta, via mare e via terra (140 mila arrivi sulle coste italiane, +85% rispetto al 2022). Nella sola regione del Friuli Venezia Giulia, dall’inizio dell’anno, sono state individuate 16 mila persone entrate irregolarmente sul territorio nazionale.

    Questo scenario, oggetto di approfondimento anche da parte del Comitato di analisi strategica anti-terrorismo istituito presso il ministero dell’Interno, conferma la necessità di un ulteriore rafforzamento delle misure di prevenzione e controllo. Nelle valutazioni nazionali, infatti, le misure di polizia alla frontiera italo-slovena non risultano adeguate a garantire la sicurezza richiesta. La misura verrà attuata dal 21 ottobre prossimo per un periodo di 10 giorni, prorogabili ai sensi del Regolamento Ue 2016/339. Le modalità di controllo saranno attuate in modo da garantire la proporzionalità della misura, adattate alla minaccia e calibrate per causare il minor impatto possibile sulla circolazione transfrontaliera e sul traffico merci.
    Ulteriori sviluppi della situazione ed efficacia delle misure verranno analizzati costantemente, nell’auspicio di un rapido ritorno alla piena libera circolazione.

    https://www.governo.it/it/articolo/reintroduzione-dei-controlli-delle-frontiere-interne-terrestri-con-la-sloven

    #Slovénie #Italie #frontières #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_systématiques_aux_frontières #frontière_sud-alpine #Alpes
    –—

    ajouté à cette métaliste sur l’annonce du rétablissement des contrôles frontaliers de la part de plusieurs pays européens :
    https://seenthis.net/messages/1021987

    • Terrorismo, l’Italia sospende Schengen: Blindato il confine sloveno. Gli 007: “Falle nei controlli, i lupi solitari passano da lì”

      Meloni sui social: “La sospensione del Trattato di Schengen sulla libera circolazione in Europa si è resa necessaria per l’aggravarsi della situazione in Medio Oriente, me ne assumo la piena responsabilità”. Vertice tra la premier e i servizi di intelligence sul rischio attentati

      Non hanno nome. E nemmeno un volto. Sono fantasmi, impossibili da intercettare per l’intelligence e la Prevenzione. “Per un terrorista, come dimostra la cronaca, il corridoio balcanico rappresenta un percorso privilegiato verso l’Italia e l’Europa: niente fotosegnalazione, nessuna identificazione”, spiegano da settimane la Polizia e i Servizi al governo. Un’indicazione ribadita martedì, durante il comitato di analisi strategica antiterrorismo.

      (#paywall)

      https://www.repubblica.it/politica/2023/10/18/news/terrorismo_italia_allerta_slovenia-418144267

      #terrorismo

    • L’Italia vuole ristabilire i controlli alla frontiera con la Slovenia

      Il governo ha motivato la decisione – inedita – citando il conflitto israelo-palestinese e l’aumento degli arrivi di migranti

      Mercoledì pomeriggio il governo italiano ha annunciato di voler ristabilire dei controlli alla frontiera tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia: la misura entrerà in vigore dal 21 ottobre prossimo, avrà una durata iniziale di 10 giorni e potrà eventualmente essere prorogata. La notizia è stata data dalla presidenza del Consiglio, dopo che era stata comunicata alle istituzioni europee da Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno e titolare delle procedure di controllo alle frontiere. «L’intensificarsi dei focolai di crisi ai confini dell’Europa, in particolare dopo l’attacco condotto nei confronti di Israele, ha infatti aumentato il livello di minaccia di azioni violente anche all’interno dell’Unione» ha detto in un comunicato il governo, che dunque giustifica questa decisione con le tensioni generate dal conflitto israelo-palestinese.

      Di fatto quindi l’Italia vuole sospendere l’accordo di Schengen, ovvero un’intesa che garantisce la libera circolazione di persone e merci sul territorio europeo a cui aderiscono 23 dei 27 paesi membri dell’Unione Europea (e tra questi anche la Slovenia). È una scelta senza precedenti: l’Italia aveva sospeso Schengen solo in concomitanza con lo svolgimento sul territorio nazionale di eventi internazionali di grande rilevanza. Per il G20 di Roma (tra il 27 ottobre e il primo novembre del 2021), per il G7 di Taormina (tra il 10 e il 30 maggio del 2017) e per il G8 dell’Aquila (tra il 28 giugno e il 15 luglio del 2009). A seguito degli attentati terroristici a Parigi del 2015 si parlò dell’eventualità di un ripristino dei controlli alle frontiere, ma l’ipotesi fu poi accantonata dal governo di Matteo Renzi.

      Sono stati numerosi, invece, i paesi europei che hanno fatto ricorso a questa procedura negli ultimi due anni, cioè da quando dopo la lunga fase della pandemia la libera circolazione nell’area Schengen era stata reintrodotta stabilmente: Francia, Germania, Austria, Polonia, Danimarca, Slovacchia, Norvegia, Repubblica Ceca, quasi sempre per ragioni legate a un aumento dei flussi migratori ritenuto eccessivo e, più di rado, per minacce legate al terrorismo o a seguito di un attentato subito sul territorio nazionale.

      Insieme all’Italia vari altri paesi dell’Unione Europea hanno notificato alle istituzioni europee la decisione di sospendere Schengen temporaneamente in questi giorni e nelle prossime settimane: tra questi Austria, Germania, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. L’Italia è però l’unica, finora, a citare tra le ragioni a giustificazione della sospensione il conflitto israelo-palestinese. La motivazione ufficiale del governo cita anche «la costante pressione migratoria via mare e via terra» collegandola a una presunta «possibile infiltrazione terroristica» che «conferma la necessità di un ulteriore rafforzamento delle misure di prevenzione e controllo».

      Pochi minuti dopo l’annuncio, la Lega di Matteo Salvini ha diffuso a sua volta un comunicato in cui dice che la decisione adottata «è un’ottima notizia che conferma la serietà e la concretezza del governo. Avanti così, a difesa dell’Italia e dei suoi confini».

      https://www.ilpost.it/2023/10/18/controlli-frontiera-slovenia-schengen

    • Ripristinati i controlli al confine tra Italia e Slovenia

      ICS - Ufficio Rifugiati di Trieste: usato uno stratagemma che può riproporre gravissime condotte illegali

      7.000 sono le persone migranti intercettate e respinte in Slovenia nel corso del 2023. A fornire questi numeri è direttamente il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, all’indomani del ripristino dei controlli sul confine orientale per prevenire, secondo il Viminale, “infiltrazione terroristiche“.

      E’ difatti con questa motivazione che il Governo italiano giustifica la decisione di ripristinare i controlli: il Codice frontiere Schengen (Regolamento UE n. 2016/399) prevede che il ripristino dei controlli di frontiera interni può avvenire “solo come misura di extrema ratio (…) in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro” (Codice, art. 25) per il tempo più breve possibile. Il rischio di “attentati o minacce terroristiche” (Codice, art. 26) può motivare il temporaneo ripristino dei controlli di frontiera, ma tale rischio deve essere concreto e specifico.

      Secondo ICS – Ufficio Rifugiati onlus di Trieste le motivazioni del governo «appaiono del tutto vaghe e inadeguate; in particolare l’inserimento, nelle motivazioni, dell’esistenza di presunto problema dell’arrivo in tutto il Friuli Venezia-Giulia di un modestissimo numero di rifugiati (circa 1.500 persone al mese nel corso del 2023), in assoluta prevalenza provenienti dall’Afghanistan, risulta risibile e del tutto privo di alcuna connessione logico-giuridica con i criteri richiesti dal Codice Schengen per legittimare una scelta così estrema quale il ripristino dei confini interni».

      «E non può – ricorda l’associazione – comportare alcuna compressione o limitazione del diritto d’asilo in quanto “gli Stati membri agiscono nel pieno rispetto (…) del pertinente diritto internazionale, compresa la convenzione relativa allo status dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 «convenzione di Ginevra»), degli obblighi inerenti all’accesso alla protezione internazionale, in particolare il principio di non-refoulement (non respingimento), e dei diritti fondamentali”. (Codice, art. 3)».
      Ciò significa «che anche durante il periodo di temporaneo ripristino dei controlli di frontiera rimane dunque inalterato, alla frontiera italo-slovena, l’obbligo da parte della polizia, di recepire le domande di asilo degli stranieri che intendono farlo e di ammettere gli stessi al territorio per l’espletamento delle procedure previste dalla legge».

      L’Italia non più tardi di cinque mesi fa è stata condannata per le riammissioni / respingimenti illegali attuate nel 2020 e perfino al risarcimento economico dei richiedenti asilo, mentre la Corte di giustizia UE ha ribadito, a fine settembre, che è vietato il respingimento sistematico alle frontiere interne.

      Tutto questo fa emergere che l’inadeguatezza delle motivazioni fornite da Roma rendono non infondato il sospetto che la decisione – secondo ICS – «ben poco abbia a che fare con la difficile situazione internazionale, bensì rappresenti una misura propagandistica e uno stratagemma, attraverso le quasi già annunciate proroghe della misura, per riproporre gravissime condotte illegali al confine italo-sloveno tramite respingimenti di richiedenti asilo che sono tassativamente vietati dal diritto internazionale ed europeo».

      «In un pericolosissimo effetto domino, la situazione potrebbe facilmente degenerare in uno scenario di respingimenti collettivi a catena, radicalmente vietati dal diritto internazionale, in ragione della decisione assunta dalla Slovenia a seguito della decisione italiana di ripristinare a sua volta i controlli di frontiera con la Croazia e l’Ungheria», conclude l’associazione.

      https://www.meltingpot.org/2023/10/ripristinati-i-controlli-al-confine-tra-italia-e-slovenia
      #terrorisme

    • 27 ottobre 2023: Controlli ai confini con la Slovenia: divieto di circolazione, libertà di respingimento

      Preoccupa la reintroduzione dei controlli ai confini interni con la Slovenia annunciata il 18 ottobre dal Governo Meloni dopo gli attacchi compiuti da Hamas in territorio israeliano. Si tratta infatti di un’iniziativa infondata e strumentale, per la distorsione della presunta “costante pressione migratoria” (appena 1.500 persone al mese in Friuli-Venezia Giulia dall’inizio dell’anno), grave, per l’equivalenza che suggerisce all’opinione pubblica tra migranti in transito e potenziali “lupi solitari”, e che rischia soprattutto di tradursi in un palese “via libera” a riammissioni e respingimenti a catena a danno dei migranti e richiedenti asilo, in violazione del diritto interno ed europeo.

      Il tutto in un punto di transito, quello tra Italia e Slovenia, che ha già vissuto nel 2020 l’esperienza delle riammissioni informali attive disposte dall’allora capo di gabinetto della ex ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e oggi titolare di quel dicastero, Matteo Piantedosi. Pratiche che hanno comportato il respingimento a catena delle persone, esponendole a violenze e trattamenti inumani e degradanti, e per questo dichiarate illegittime dai tribunali nel corso di questi anni. E che pure sembrano rappresentare ancora in principio l’unico strumento per l’esecutivo: uno strumento, è bene ribadirlo, illegale.

      Come hanno già fatto notare anche altri osservatori e organizzazioni sul campo, il ripristino dei controlli di frontiera interni e il sacrificio della libera circolazione può avvenire in base al Codice frontiere Schengen (Regolamento (UE) 2016/399) “solo come misura di extrema ratio […] in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro” (Codice, art. 25) per il tempo più breve possibile. Il rischio di “attentati o minacce terroristiche” (Codice, art. 26) può motivare il temporaneo ripristino dei controlli di frontiera, ma tale rischio deve essere concreto e specifico.

      Giocando all’equivoco intorno al concetto di minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, e liquidando in poche battute il flop delle preesistenti “misure di polizia alla frontiera italo-slovena” annunciate in pompa magna solo pochi mesi fa, il governo ha però già esplicitato di voler prorogare il ripristino dei controlli per i prossimi mesi (la misura doveva durare per 10 giorni dal 21 ottobre 2023). A significare che il reale scopo della reintroduzione dei controlli ai confini interni non è contrastare la minaccia terroristica -verso la quale, come noto, è totalmente inefficace- quanto tentare di dar parvenza di (non) legittimità a prassi operative sovrapponibili a riammissioni e respingimenti. Puntando magari a vietare l’accesso al territorio per coloro che intendano chiedere asilo, scavalcando gli obblighi di informativa che stanno in capo alle autorità di frontiera, respingendo le persone senza lasciar loro in mano alcun provvedimento.

      “Le modalità di controllo saranno attuate in modo da garantire la proporzionalità della misura, adattate alla minaccia e calibrate per causare il minor impatto possibile sulla circolazione transfrontaliera e sul traffico merci”, ha provato a chiarire Palazzo Chigi. Ci si augura che dietro queste parole non si prefiguri il ricorso a forme di profilazione razziale, tema sul quale il nostro Paese è già stato bacchettato dal Comitato Onu per l’eliminazione delle discriminazioni razziali.

      Ecco perché è fondamentale monitorare l’attività delle autorità italiane al confine sloveno. La rete RiVolti ai Balcani, tramite le realtà che vi aderiscono, lo sta già facendo.

      Ed è molto importante al riguardo informare correttamente la cittadinanza.
      Ecco perché giovedì 9 novembre alle ore 18.30 sui canali social della rete è stata organizzata l’iniziativa pubblica online “Divieto di circolazione. Libertà di respingimento” per fare il punto della situazione sia per quanto riguarda la frontiera Italia-Slovenia e sia per quanto attiene alla condizione delle persone in transito lungo le rotte balcaniche, dove le violenze sono tornate ancora una volta a governare la “gestione” dei passaggi. Una gestione oscura, come insegna anche la “novità” italiana della reintroduzione dei controlli ai confini interni con la Slovenia.

      https://www.rivoltiaibalcani.org/news-5

    • Rotta balcanica, Piantedosi lancia le brigate antimigranti

      Lo stesso Piantedosi ha altresì annunciato che, non appena i controlli alle frontiere cesseranno (al momento sono prorogati fino al 20 novembre), è intenzione del Governo prevedere l’istituzione di “brigate miste” (di polizia) da “rendere stabili nel tempo”. Il termine utilizzato – brigate – è già piuttosto militaresco, ma, soprattutto, tali brigate miste come sarebbero composte, con quale mandato e con quali garanzie opererebbero al di fuori del territorio italiano? Anche sul confine sloveno-croato e su quello croato-bosniaco?

      https://seenthis.net/messages/1025275

  • Suspendira se Schengen ? Slovenija : Upozorili smo Hrvate da je problem ogroman
    –-> Schengen est-il suspendu ? Slovénie : nous avons prévenu les Croates que le problème est énorme

    ITALIJA je obavijestila Sloveniju da zbog promijenjene situacije u Europi i na Bliskom istoku uvodi kontrolu na granici sa Slovenijom, priopćilo je slovensko ministarstvo unutarnjih poslova, a neformalno se najavljuje da bi kontrole uskoro mogle biti uvedene i na slovensko-hrvatskoj granici.

    Prema neslužbenim informacijama, kontrole bi trebale biti uvedene u subotu, za početak na 10 dana, s mogućnošću produljenja. Zbog toga bi Slovenija trebala uvesti kontrolu na granicama s Hrvatskom i Mađarskom, navodi agencija STA.

    Sve je izglednije da će se granične kontrole, barem privremeno, vratiti niti godinu dana nakon što su ukinute.

    Kako primjećuje slovenski portal Siol, i Rim i Ljubljana upozorili su Hrvatsku da mora napraviti više kako bi se suzbile ilegalne migracije. Zagrebu je nuđena pomoć u kontroli vanjskih granica, posebno na granici s BiH, ali i na granicama sa Srbijom i Crnom Gorom.
    Ljubljana upozoravala, Plenković odbio pomoć

    Prijedlozi su išli u smjeru pomoći europske agencije za nadzor vanjskih granica Frontexa, a Slovenija i Italija ponudile su Hrvatskoj i mješovite policijske patrole. No hrvatski premijer Andrej Plenković odbio je takve prijedloge jer hrvatska policija “dobro kontrolira vanjsku granicu”.

    Bilo je to krajem lipnja.

    “Ministar unutarnjih poslova je već dogovorio da će doći šest savjetnika Frontexa koji će pomagati Hrvatskoj na pitanjima sprječavanja nezakonitih migracija, ali ne na način da bismo mi stavili policajce iz drugih država članica na svoje granice”, rekao je Plenković odgovarajući na pitanje novinara o ideji slovenskog premijera da se pripadnici Frontexa rasporede na granici između Hrvatske i BiH kako bi pomogli u sprječavanju ilegalnih ulazaka migranata.

    “Hrvatska, kao članica EU i članica šengenskog prostora, ima dovoljno svojih kapaciteta, 6500 policajaca čuva granicu i vanjsku granicu Europske unije, koja je sada i vanjska granica šengenskog prostora”, rekao je Plenković. Bilo je to nakon što je slovenski premijer Robert Golob prije summita EU najavio da će tražiti raspoređivanje pripadnika Frontexa na granice Hrvatske i BiH.

    S druge strane, i Rim i Ljubljana proljetos su počeli upozoravati da bi se zbog povećanog broja ilegalnih prelazaka granice mogla ponovo uvesti sustavna kontrola granice. Slovenska vlada počela je mjestimično uklanjati “tehničke prepreke” na granici s Hrvatskom, odnosno ogradu, no politika je uvijek više ili manje glasno upozoravala Zagreb da će, ako Italija uvede kontrolu na granici sa Slovenijom, i Slovenija učiniti to na granici s Hrvatskom, da ne postane “džep”. Tim više što Austrija kontrolira granicu sa Slovenijom još od migrantske krize 2015.-2016., navodi Siol.

    Glavni ravnatelj slovenske policije Senad Jušić prošli je tjedan u Brežicama također upozorio hrvatskog kolegu da je problem velik. Istaknuo je da je slovenska policija ove godine već obradila više od 45.000 ilegalnih prelazaka granice.

    https://www.index.hr/vijesti/clanak/suspendira-se-schengen-slovenija-upozorili-smo-hrvate-da-je-problem-ogroman/2505165.aspx?index_ref=naslovnica_vijesti_prva_d

    #Slovénie #Croatie #frontières #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_systématiques_aux_frontières #frontière_sud-alpine #Alpes

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    ajouté à cette métaliste sur l’annonce du rétablissement des contrôles frontaliers de la part de plusieurs pays européens :
    https://seenthis.net/messages/1021987

    • Schengen e i flussi migratori, tra retorica e realtà

      L’article original en croate: https://www.portalnovosti.com/patka-o-migracijama

      Il sistema di libera circolazione di Schengen viene sempre più spesso messo in crisi da sospensioni applicate da alcuni stati membri chiamando in causa la necessità di contrastare le migrazioni, spesso senza il riscontro dei numeri. La situazione in Croazia e Slovenia.

      Il fiore all’occhiello dell’integrazione europea, come un tempo i burocrati di Bruxelles chiamavano il sistema di Schengen, è stato seriamente messo a repentaglio dalla decisione di undici stati membri dell’UE di sospendere temporaneamente il regime di libera circolazione. Dal centro dell’Unione (Germania, Francia, Danimarca, Svezia) alla periferia, ossia al confine tra Slovenia e Croazia, passando per la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l’Italia e l’Austria, si è assistito al ripristino dei controlli alle frontiere. Una misura che non ha colto di sorpresa chi, soprattutto tra gli studiosi del fenomeno migratorio e i migranti stessi, negli ultimi mesi ha attraversato uno dei paesi di cui sopra a bordo di un autobus o un treno.

      Tra chi non è rimasto stupito c’è anche Marijana Hameršak, ricercatrice presso l’Istituto di etnologia e studi sul folklore di Zagabria, responsabile del progetto ERIM , che indaga i meccanismi di gestione dei flussi migratori alle periferie dell’UE.

      Hameršak spiega che da anni ormai nell’UE il sistema di Schengen e la questione migratoria vengono sfruttati in un’ottica strategica, come strumento di politica estera, ma anche come mezzo di polarizzazione dell’elettorato e, in ultima analisi, come espediente per normalizzare l’idea – che peraltro non trova alcun riscontro nella realtà, né tanto meno è corroborata da ricerche – secondo cui le migrazioni rappresentano un problema.

      “L’aumento dei numeri, di cui si parla cercando di spiegare la decisione della Slovenia di introdurre controlli al confine con la Croazia, è una variazione relativa, in parte conseguenza dell’applicazione dei diversi sistemi e tattiche amministrative. Ad ogni modo, non è un aumento recente – i numeri hanno iniziato a crescere nella primavera del 2022, se non addirittura prima – così come l’introduzione dei controlli, per quanto ci si sforzi di presentarla in un’ottica emergenziale, non è una misura inattesa”, sottolinea Hameršak.

      Se alcuni stati membri, come l’Austria, hanno continuato quasi ininterrottamente ad effettuare controlli alle frontiere sin dall’ondata migratoria del 2015, altri paesi solo negli ultimi mesi hanno dispiegato le cosiddette pattuglie mobili ai confini, giustificando tale decisione con un possibile ripetersi della crisi, alimentando così un sentimento di paranoia tra la popolazione.

      Stando ad un’analisi pubblicata sul portale Euractiv alla fine di settembre (https://www.euractiv.com/section/justice-home-affairs/news/schengen-how-europe-is-ruining-its-crown-jewel), un quarto dei paesi dell’area Schengen ha impiegato le pattuglie mobili lungo i confini prima ancora della sospensione ufficiale del regime di libera circolazione, rendendo così più difficile la vita di molti cittadini dell’UE, ma anche dei rifugiati e altre persone in movimento che attraversano i paesi Schengen.

      Uršula Lipovec Čebron, professoressa associata presso il Dipartimento di Etnologia e Antropologia culturale della Facoltà di Filosofia di Lubiana e collaboratrice al progetto ERIM, fa il punto della situazione al confine sloveno-croato.

      “Anche prima della sospensione di Schengen la polizia slovena effettuava controlli giornalieri su treni e autobus, ricorrendo alla profilazione razziale. Quindi, fermava sistematicamente i migranti, registrava i loro dati personali e poi li faceva scendere dai mezzi di trasporto. Negli ultimi mesi, viaggiando in treno da Zagabria a Lubiana, ho spesso assistito a simili scene a Dobova e ad altri valichi di frontiera”, spiega Uršula Lipovec Čebron.

      Per la professoressa Lipovec Čebron, la sospensione di Schengen da un lato ha legittimato una prassi già esistente, dall’altro ha portato ad una spettacolarizzazione del lavoro della polizia di frontiera.

      Anche Marijana Hameršak è dello stesso avviso. Stando alle sue parole, sono state proprio le pratiche impiegate dalla polizia di frontiera a spingere molte persone, anche dopo l’ingresso della Croazia nello spazio Schengen, ad attraversare il confine croato-sloveno di notte, al di fuori dei valichi ufficiali, anche cercando di superare il filo spinato.

      “Ora che sono stati introdotti controlli sistematici, chiudendo anche i passaggi nella recinzione al confine, quei percorsi stanno nuovamente diventando l’unica opzione”, afferma Marijana Hameršak.

      Se il premier croato Andrej Plenković e il ministro dell’Interno Davor Božinović si sono sforzati di presentare la sospensione della libera circolazione da parte della Slovenia come una decisione legata esclusivamente agli attacchi terroristici sul suolo europeo, il ministro dell’Interno sloveno Boštjan Poklukar ha a più riprese criticato le autorità croate a causa dell’aumento del numero di migranti giunti in Slovenia dalla Croazia. Lubiana ha anche offerto aiuto a Zagabria, proponendo più volte di formare pattuglie miste lungo il confine, ma la Croazia ha sempre rifiutato di collaborare.

      Nel frattempo, le procedure applicate nei confronti dei migranti intercettati nel territorio croato sono cambiate. Nella primavera del 2022 la polizia croata aveva iniziato a rilasciare ai migranti un foglio di via, intimando loro di lasciare la Croazia e lo Spazio economico europeo entro sette giorni. Poi però da marzo di quest’anno l’atteggiamento della polizia è cambiato: molte persone sorprese mentre cercavano di entrare in Croazia, ma anche quelle che soggiornavano irregolarmente nel paese sono state registrate come richiedenti asilo, per poi essere sollecitate a proseguire il loro viaggio verso ovest.

      Marijana Hameršak spiega che i documenti rilasciati ai migranti durante quella procedura praticamente significano una regolarizzazione temporanea del loro status, ossia un riconoscimento delle persone in transito in cerca di protezione internazionale.

      “Non sappiamo ancora quali possano essere le conseguenze di tale prassi, né tantomeno sappiamo se le persone interessate rischino di essere maggiormente esposte a reclusioni e deportazioni in altri stati membri dell’UE. È chiaro però che bisogna trovare la forza politica per perseguire una strada finalizzata alla decriminalizzazione del transito e dei flussi migratori in generale, tenendo conto dei bisogni dei singoli individui. Non è una strada impossibile, ci sono diversi precedenti storici. Posso citare il cosiddetto passaporto di Nansen, che prende il nome dal primo commissario per i rifugiati della Società delle Nazioni, che nel periodo tra le due guerre mondiali aveva permesso a centinaia di migliaia di sfollati di raggiungere luoghi dove – per motivi economici, legami familiari o altri fattori – volevano provare a rifarsi una vita”, spiega la ricercatrice.

      Stando alle statistiche ufficiali, in Croazia nei primi sei mesi del 2023 oltre 24mila persone hanno chiesto asilo, una cifra di gran lunga superiore rispetto agli anni scorsi. Tuttavia, le espulsioni violente continuano: nei primi nove mesi di quest’anno sono stati registrati circa duemila respingimenti. Sul sito dell’iniziativa No Name Kitchen sono stati riportati i dettagli di un recente caso in cui dieci cittadini afghani e due indiani sono stati gettati nell’acqua fredda dopo essere stati privati dei loro beni e intimiditi con colpi d’arma da fuoco, manganellate e altre forme di abuso fisico da parte della polizia croata. Secondo le testimonianze delle vittime, l’episodio si è verificato all’inizio di ottobre nei pressi di Bihać, al confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina.

      Nel frattempo, in vista delle elezioni europee e nazionali, molti leader politici, come anche le forze di opposizione, continuano ad alimentare un clima emergenziale, parlando del collasso di Schengen e spingendo ostinatamente per l’adozione del nuovo patto sulla migrazione e l’asilo in cui vedono l’unica soluzione. La proposta del patto – che, vista la situazione attuale, potrebbe essere approvata prima del previsto – rappresenta un passo indietro nella tutela dei diritti dei migranti e dei rifugiati.

      Se il testo dovesse essere approvato nella sua versione attuale, l’accesso all’asilo in Europa diventerebbe ancora più difficile, si cercherebbe di tenere i migranti il più lontano possibile dall’UE e molti di quelli già presenti sul suolo europeo verrebbero rimpatriati. A lungo termine, la Croazia, la Serbia e la Bosnia Erzegovina con ogni probabilità verrebbero trasformate nella cosiddetta “zona cuscinetto”, ma anche in una sorta di dumping ground dove confinare gli “indesiderati”. E per questo si è deciso in fretta e furia di costruire un centro di identificazione a Dugi Dol, nei pressi di Krnjak, in Croazia.

      Marijana Hameršak sottolinea che la sospensione di Schengen e i discorsi che l’accompagnano contribuiranno ad un’ulteriore stigmatizzazione dei migranti, alla normalizzazione delle pratiche di profilazione razziale e alla polarizzazione della società – dinamiche che ultimamente sono diventate molto evidenti su entrambi i lati del confine croato-sloveno. Se in Croazia l’opposizione di destra invoca l’invio dell’esercito al confine e un referendum sull’immigrazione, in Slovenia vogliono ribaltare la decisione di rimuovere il filo spinato lungo il confine, una delle principali promesse elettorali dell’attuale premier sloveno Robert Golob.

      “Da tempo ormai in Slovenia si cerca di strumentalizzare politicamente le migrazioni, con l’intento di dividere la popolazione che di solito ha pochi contatti con i rifugiati, quindi non riesce attraverso la propria esperienza ad acquisire un’adeguata consapevolezza del fenomeno migratorio. È facile incutere paura diffondendo informazioni non veritiere, tanto che molti cittadini continuano a non vedere nulla di problematico nella recinzione al confine. C’è però anche chi protesta pubblicamente contro la chiusura dei valichi di frontiera e altre misure che rendono più difficile e mettono a rischio la vita dei migranti, ma non potranno mai fermarli nel loro tentativo di trovare una via per raggiungere l’Unione europea”, conclude la professoressa Lipovec Čebron.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Slovenia/Schengen-e-i-flussi-migratori-tra-retorica-e-realta-227884

      #patrouilles_mobiles #spectacle #foglio_di_via

  • Cet automne c’est une suite d’annonces du rétablissement des #contrôles_systématiques_aux_frontières dans les pays de l’#Union_européenne (#UE / #EU)... tentative de #métaliste

    La liste complète des demandes de réintroduction des contrôles systématiques à la commission européenne :
    https://home-affairs.ec.europa.eu/policies/schengen-borders-and-visa/schengen-area/temporary-reintroduction-border-control_en

    #Schengen #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #2023 #automne_2023

  • Olivier Dussopt au comité de liaison de Pôle emploi (reçu par mel)
    https://vimeo.com/872343624

    Le 4 octobre, nous sommes entrés en groupe au comité de liaison de Pôle Emploi, pour protester contre la loi dite du "plein emploi"

    Nous nous réunissons tous les 15 jours en AG de précaires et chômeureuses contre cette loi. En PJ, notre tract.

    donnez nous des nouvelles de vos luttes !!

    AG de Grenoble

    L’assemblée générale des chômeur-euses et précaires se réunit et s’organise depuis plusieurs semaines contre la loi « pour le #plein_emploi ». Mercredi 4 octobre, à Meylan, un groupe émanant de l’assemblée a envahi le comité de liaison de #Pôle_emploi, une instance où ce dernier rencontre les représentant-es de ses usager-ères pour leur tenir des discours lénifiants.

    Et ça tombe bien, parce que ça a été l’occasion d’une irruption plus que nécessaire de la réalité vécue par les personnes aux minimas sociaux, venues protester fermement contre cette nouvelle loi qui, une fois de plus, considère les #précaires comme des problèmes pour la société, et non comme des personnes qui subissent l’injustice sociale. La loi (pas encore passée) prévoit que tout-e nouveau-elle allocataire du #RSA sera désormais automatiquement inscrit-e à Pôle emploi, ce qui donnera à celui-ci un pouvoir de #contrôle direct sur elles et eux ; sans compter que les #Conseils_départementaux pourront aussi déléguer la gestion des allocataires du RSA à Pôle emploi, qui est donc concerné au premier chef par cette loi anti-sociale.

    À Grenoble comme ailleurs, les précaires ne resteront pas passif-ves face aux attaques du gouvernement contre leurs #droits et leurs conditions de vie.

    https://seenthis.net/messages/1021293#message1021295

    #Droit_au_chômage #luttes

  • Attentat à Arras : en Auvergne - Rhône-Alpes, les lycées sont déjà équipés de portiques de sécurité

    C’est une des pistes envisagées par les ministères de l’Intérieur et de l’Éducation pour renforcer la sécurité de tous les établissements scolaires en France, au lendemain de l’attentat d’Arras.

    Depuis 2016, la région a beaucoup investi afin de renforcer la sécurité dans ses lycées et empêcher les intrusions extérieures. Sur les 305 établissements publics dont elle a la gestion, 250 sont aujourd’hui équipés de portiques ou d’un #sas étanche surveillé par un gardien - selon la configuration du lycée - afin de mieux contrôler les entrées et sorties.

    La région a par ailleurs déployé la #vidéosurveillance dans l’ensemble des lycées publics dont elle a la gestion. Face à la hausse des faits d’incivilités, d’agression et de harcèlement, des équipes mobiles d’accueil renforcé sont aussi chargées de #contrôler les entrées et sorties, en lien avec les chefs d’établissements de certains lycées. À Givors (Rhône), par exemple, dans le principal lycée professionnel de la ville, des portiques ont été installés il y a de cela quatre ans. « Il y a un portillon d’accès pour contrôler les entrées et un portillon d’accès pour les sorties, explique un enseignant. C’est rassurant pour tous. »

    Pour pénétrer dans l’enceinte de l’établissement chaque matin, les élèves doivent impérativement avoir leur Pass’région en poche. Ils l’utilisent aussi pour déjeuner à la cantine et accéder à différents services (manuels scolaires, licence sportive, etc.). « C’est la carte à avoir pour entrer et sortir », confirme le professeur. En cas d’oubli ? La gardienne se charge de faire rentrer exceptionnellement l’élève. « Mais ils n’ont pas intérêt à oublier leur badge trop souvent, sinon à midi ils ne peuvent pas manger à la cantine », précise-t-il.

    ça a de la gueule ces écoles sanctuarisées.

    https://seenthis.net/messages/1021148

    #Meurtre_d'Arras #lycées #sécurité #portiques #école

  • #France : Nouvelle prolongation des contrôles aux frontières internes françaises du 1/11/2023 au 30/04/2024.
    Motifs : nouvelles menaces terroristes et situation aux frontières extérieures

    https://home-affairs.ec.europa.eu/policies/schengen-borders-and-visa/schengen-area/temporary-reintroduction-border-control_en

    #contrôles_systématiques_aux_frontières #France #frontières_intérieures #frontières #asile #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine #prolongation #2023 #2024 #terrorisme #liste #chronologie #frontières_extérieures #contrôles_frontaliers

    –—

    ajouté à cette métaliste sur l’annonce du rétablissement des contrôles frontaliers de la part de plusieurs pays européens :
    https://seenthis.net/messages/1021987

    • Germany prepares to widen fixed border checks

      Germany is expected to notify the EU about plans to introduce fixed border checks on the Polish, Czech Republic and Swiss borders. Previously, this had only been possible at the Austrian frontier.

      The German Interior Ministry is expected to register fixed border controls with Poland, the Czech Republic and Switzerland with the European Commission in light of a high number of refugees entering Germany.

      The intention of the checks is to more effectively fight against people smugglers and to detect and stop unauthorized entries.
      What we know so far

      According to government sources, the necessary notification in Brussels was being prepared on Monday.

      The plan is an extension of police checks directly at the border in place at the border with Austria since 2015.

      German Interior Minister Nancy Faeser had long rejected permanent fixed contro points, citing, among other things, the effects on commuters and freight transport. The norm in the EU’s Schengen Zone is for open borders but with police reserving the right to check anybody crossing at random, but not at set checkpoints.

      Interior ministers of the eastern German states of Brandenburg and Saxony have pressed Faeser to implement fixed checks.

      Germany had introduced additional controls at border crossings with Poland and the Czech Republic in September, but these were not intended to be permanent.

      German municipalities have urged the federal government to provide more funding to cope with the surge in migrant arrivals. They have pointed to stretched accommodation and services that seem similar to the events of 2015, when Germany took in over 1 million refugees mainly fleeing war in the Middle East.

      Opposition parties in Germany have also called on the government to limit the number of asylum-seekers, with Bavaria’s conservative Premier Markus Söder suggesting an annual upper limit on asylum seekers of 200,000.

      https://www.dw.com/en/germany-prepares-to-widen-fixed-border-checks/a-67109731

      #Allemagne #Pologne #Suisse #République_Tchèque

  • The State of #Chihuahua Is Building a 20-Story Tower in #Ciudad_Juarez to Surveil 13 Cities–and Texas Will Also Be Watching

    Chihuahua state officials and a notorious Mexican security contractor broke ground last summer on the #Torre_Centinela (Sentinel Tower), an ominous, 20-story high-rise in downtown Ciudad Juarez that will serve as the central node of a new AI-enhanced surveillance regime. With tentacles reaching into 13 Mexican cities and a data pipeline that will channel intelligence all the way to Austin, Texas, the monstrous project will be unlike anything seen before along the U.S.-Mexico border.

    And that’s saying a lot, considering the last 30-plus years of surging technology on the U.S side of the border.

    The Torre Centinela will stand in a former parking lot next to the city’s famous bullring, a mere half-mile south of where migrants and asylum seekers have camped and protested at the Paso del Norte International Bridge leading to El Paso. But its reach goes much further: the Torre Centinela is just one piece of the Plataforma Centinela (Sentinel Platform), an aggressive new technology strategy developed by Chihuahua’s Secretaria de Seguridad Pública Estatal (Secretary of State Public Security or SSPE) in collaboration with the company Seguritech.

    With its sprawling infrastructure, the Plataforma Centinela will create an atmosphere of surveillance and data-streams blanketing the entire region. The plan calls for nearly every cutting-edge technology system marketed at law enforcement: 10,000 surveillance cameras, face recognition, automated license plate recognition, real-time crime analytics, a fleet of mobile surveillance vehicles, drone teams and counter-drone teams, and more.

    If the project comes together as advertised in the Avengers-style trailer that SSPE released to influence public opinion, law enforcement personnel on site will be surrounded by wall-to-wall monitors (140 meters of screens per floor), while 2,000 officers in the field will be able to access live intelligence through handheld tablets.

    https://www.youtube.com/watch?v=NKPuur6s4qg

    Texas law enforcement will also have “eyes on this side of the border” via the Plataforma Centinela, Chihuahua Governor Maru Campos publicly stated last year. Texas Governor Greg Abbott signed a memorandum of understanding confirming the partnership.

    Plataforma Centinela will transform public life and threaten human rights in the borderlands in ways that aren’t easy to assess. Regional newspapers and local advocates–especially Norte Digital and Frente Político Ciudadano para la Defensa de los Derechos Humanos (FPCDDH)—have raised significant concerns about the project, pointing to a low likelihood of success and high potential for waste and abuse.

    “It is a myopic approach to security; the full emphasis is placed on situational prevention, while the social causes of crime and violence are not addressed,” FPCDDH member and analyst Victor M. Quintana tells EFF, noting that the Plataforma Centinela’s budget is significantly higher than what the state devotes to social services. “There are no strategies for the prevention of addiction, neither for rebuilding the fabric of society nor attending to dropouts from school or young people at risk, which are social causes of insecurity.”

    Instead of providing access to unfiltered information about the project, the State of Chihuahua has launched a public relations blitz. In addition to press conferences and the highly-produced cinematic trailer, SSPE recently hosted a “Pabellón Centinel” (Sentinel Pavillion), a family-friendly carnival where the public was invited to check out a camera wall and drones, while children played with paintball guns, drove a toy ATV patrol vehicle around a model city, and colored in illustrations of a data center operator.

    Behind that smoke screen, state officials are doing almost everything they can to control the narrative around the project and avoid public scrutiny.

    According to news reports, the SSPE and the Secretaría de Hacienda (Finance Secretary) have simultaneously deemed most information about the project as classified and left dozens of public records requests unanswered. The Chihuahua State Congress also rejected a proposal to formally declassify the documents and stymied other oversight measures, including a proposed audit. Meanwhile, EFF has submitted public records requests to several Texas agencies and all have claimed they have no records related to the Plataforma Centinela.

    This is all the more troubling considering the relationship between the state and Seguritech, a company whose business practices in 22 other jurisdictions have been called into question by public officials.

    What we can be sure of is that the Plataforma Centinela project may serve as proof of concept of the kind of panopticon surveillance governments can get away with in both North America and Latin America.
    What Is the Plataforma Centinela?

    High-tech surveillance centers are not a new phenomenon on the Mexican side of the border. These facilities tend to use “C” distinctions to explain their functions and purposes. EFF has mapped out dozens of these in the six Mexican border states.

    https://www.eff.org/files/2023/09/14/c-centers_map.png
    https://www.google.com/maps/d/viewer?mid=1W73dMXnuXvPl5cSRGfi1x-BQAEivJH4&ll=25.210543464111723%2C-105.379

    They include:

    - C4 (Centro de Comunicación, Cómputo, Control y Comando) (Center for Communications, Calculation, Control, and Command),
    - C5 (Centro de Coordinación Integral, de Control, Comando, Comunicación y Cómputo del Estado) (Center for Integral Coordination for Control, Command, Communications, and State Calculation),
    - C5i (Centro de Control, Comando, Comunicación, Cómputo, Coordinación e Inteligencia) (Center for Control, Command, Communication, Calculation, Coordination and Intelligence).

    Typically, these centers focus as a cross between a 911 call center and a real-time crime center, with operators handling emergency calls, analyzing crime data, and controlling a network of surveillance cameras via a wall bank of monitors. In some cases, the Cs may be presented in different order or stand for slightly different words. For example, some C5s might alternately stand for “Centros de Comando, Control, Comunicación, Cómputo y Calidad” (Centers for Command, Control, Communication, Computation and Quality). These facilities also exist in other parts of Mexico. The number of Cs often indicate scale and responsibilities, but more often than not, it seems to be a political or marketing designation.

    The Plataforma Centinela however, goes far beyond the scope of previous projects and in fact will be known as the first C7 (Centro de Comando, Cómputo, Control, Coordinación, Contacto Ciudadano, Calidad, Comunicaciones e Inteligencia Artificial) (Center for Command, Calculation, Control, Coordination, Citizen Contact, Quality, Communications and Artificial Intelligence). The Torre Centinela in Ciudad Juarez will serve as the nerve center, with more than a dozen sub-centers throughout the state.

    According to statistics that Gov. Campos disclosed as part of negotiations with Texas and news reports, the Plataforma Centinela will include:

    - 1,791 automated license plate readers. These are cameras that photograph vehicles and their license plates, then upload that data along with the time and location where the vehicles were seen to a massive searchable database. Law enforcement can also create lists of license plates to track specific vehicles and receive alerts when those vehicles are seen.
    - 4,800 fixed cameras. These are your run-of-the-mill cameras, positioned to permanently surveil a particular location from one angle.
    - 3,065 pan-tilt-zoom (PTZ) cameras. These are more sophisticated cameras. While they are affixed to a specific location, such as a street light or a telephone pole, these cameras can be controlled remotely. An operator can swivel the camera around 360-degrees and zoom in on subjects.
    - 2,000 tablets. Officers in the field will be issued handheld devices for accessing data directly from the Plataforma Centinela.
    - 102 security arches. This is a common form of surveillance in Mexico, but not the United States. These are structures built over highways and roads to capture data on passing vehicles and their passengers.
    - 74 drones (Unmanned Aerial Vehicles/UAVs). While the Chihuahua government has not disclosed what surveillance payload will be attached to these drones, it is common for law enforcement drones to deploy video, infrared, and thermal imaging technology.
    - 40 mobile video surveillance trailers. While details on these systems are scant, it is likely these are camera towers that can be towed to and parked at targeted locations.
    - 15 anti-drone systems. These systems are designed to intercept and disable drones operated by criminal organizations.
    - Face recognition. The project calls for the application of “biometric filters” to be applied to camera feeds “to assist in the capture of cartel leaders,” and the collection of migrant biometrics. Such a system would require scanning the faces of the general public.
    - Artificial intelligence. So far, the administration has thrown around the term AI without fully explaining how it will be used. However, typically law enforcement agencies have used this technology to “predict” where crime might occur, identify individuals mostly likely to be connected to crime, and to surface potential connections between suspects that would not have been obvious to a human observer. However, all these technologies have a propensity for making errors or exacerbating existing bias.

    As of May, 60% of the Plataforma Centinela camera network had been installed, with an expected completion date of December, according to Norte Digital. However, the cameras were already being used in criminal investigations.

    All combined, this technology amounts to an unprecedented expansion of the surveillance state in Latin America, as SSPE brags in its promotional material. The threat to privacy may also be unprecedented: creating cities where people can no longer move freely in their communities without being watched, scanned, and tagged.

    But that’s assuming the system functions as advertised—and based on the main contractor’s history, that’s anything but guaranteed.
    Who Is Seguritech?

    The Plataforma Centinela project is being built by the megacorporation Seguritech, which has signed deals with more than a dozen government entities throughout Mexico. As of 2018, the company received no-bid contracts in at least 10 Mexican states and cities, which means it was able to sidestep the accountability process that requires companies to compete for projects.

    And when it comes to the Plataforma Centinela, the company isn’t simply a contractor: It will actually have ownership over the project, the Torre Centinela, and all its related assets, including cameras and drones, until August 2027.

    That’s what SSPE Secretary Gilberto Loya Chávez told the news organization Norte Digital, but the terms of the agreement between Seguritech and Chihuahua’s administration are not public. The SSPE’s Transparency Committee decided to classify the information “concerning the procedures for the acquisition of supplies, goods, and technology necessary for the development, implementation, and operation of the Platforma Centinela” for five years.

    In spite of the opacity shrouding the project, journalists have surfaced some information about the investment plan. According to statements from government officials, the Plataforma Centinela will cost 4.2 billion pesos, with Chihuahua’s administration paying regular installments to the company every three months (Chihuahua’s governor had previously said that these would be yearly payments in the amount of 700 million to 1 billion pesos per year). According to news reports, when the payments are completed in 2027, the ownership of the platform’s assets and infrastructure are expected to pass from Seguritech to the state of Chihuahua.

    The Plataforma Centinela project marks a new pinnacle in Seguritech’s trajectory as a Mexican security contractor. Founded in 1995 as a small business selling neighborhood alarms, SeguriTech Privada S.A de C.V. became a highly profitable brand, and currently operates in five areas: security, defense, telecommunications, aeronautics, and construction. According to Zeta Tijuana, Seguritech also secures contracts through its affiliated companies, including Comunicación Segura (focused on telecommunications and security) and Picorp S.A. de C.V. (focused on architecture and construction, including prisons and detention centers). Zeta also identified another SecuriTech company, Tres10 de C.V., as the contractor named in various C5i projects.

    Thorough reporting by Mexican outlets such as Proceso, Zeta Tijuana, Norte Digital, and Zona Free paint an unsettling picture of Seguritech’s activities over the years.

    Former President Felipe Calderón’s war on drug trafficking, initiated during his 2006-2012 term, marked an important turning point for surveillance in Mexico. As Proceso reported, Seguritech began to secure major government contracts beginning in 2007, receiving its first billion-peso deal in 2011 with Sinaloa’s state government. In 2013, avoiding the bidding process, the company secured a 6-billion peso contract assigned by Eruviel Ávila, then governor of the state of México (or Edomex, not to be confused with the country of Mexico). During Enrique Peña Nieto’s years as Edomex’s governor, and especially later, as Mexico’s president, Seguritech secured its status among Mexico’s top technology contractors.

    According to Zeta Tijuana, during the six years that Peña Nieto served as president (2012-2018), the company monopolized contracts for the country’s main surveillance and intelligence projects, specifically the C5i centers. As Zeta Tijuana writes:

    “More than 10 C5i units were opened or began construction during Peña Nieto’s six-year term. Federal entities committed budgets in the millions, amid opacity, violating parliamentary processes and administrative requirements. The purchase of obsolete technological equipment was authorized at an overpriced rate, hiding information under the pretext of protecting national security.”

    Zeta Tijuana further cites records from the Mexican Institute of Industrial Property showing that Seguritech registered the term “C5i” as its own brand, an apparent attempt to make it more difficult for other surveillance contractors to provide services under that name to the government.

    Despite promises from government officials that these huge investments in surveillance would improve public safety, the country’s number of violent deaths increased during Peña Nieto’s term in office.

    “What is most shocking is how ineffective Seguritech’s system is,” says Quintana, the spokesperson for FPCDDH. By his analysis, Quintana says, “In five out of six states where Seguritech entered into contracts and provided security services, the annual crime rate shot up in proportions ranging from 11% to 85%.”

    Seguritech has also been criticized for inflated prices, technical failures, and deploying obsolete equipment. According to Norte Digital, only 17% of surveillance cameras were working by the end of the company’s contract with Sinaloa’s state government. Proceso notes the rise of complaints about the malfunctioning of cameras in Cuauhtémoc Delegation (a borough of Mexico City) in 2016. Zeta Tijuana reported on the disproportionate amount the company charged for installing 200 obsolete 2-megapixel cameras in 2018.

    Seguritech’s track record led to formal complaints and judicial cases against the company. The company has responded to this negative attention by hiring services to take down and censor critical stories about its activities published online, according to investigative reports published as part of the Global Investigative Journalism Network’s Forbidden Stories project.

    Yet, none of this information dissuaded Chihuahua’s governor, Maru Campos, from closing a new no-bid contract with Seguritech to develop the Plataforma Centinela project.
    A Cross-Border Collaboration

    The Plataforma Centinela project presents a troubling escalation in cross-border partnerships between states, one that cuts out each nation’s respective federal governments. In April 2022, the states of Texas and Chihuahua signed a memorandum of understanding to collaborate on reducing “cartels’ human trafficking and smuggling of deadly fentanyl and other drugs” and to “stop the flow of migrants from over 100 countries who illegally enter Texas through Chihuahua.”

    https://www.eff.org/files/2023/09/14/a_new_border_model.png

    While much of the agreement centers around cargo at the points of entry, the document also specifically calls out the various technologies that make up the Plataforma Centinela. In attachments to the agreement, Gov. Campos promises Chihuahua is “willing to share that information with Texas State authorities and commercial partners directly.”

    During a press conference announcing the MOU, Gov. Abbot declared, “Governor Campos has provided me with the best border security plan that I have seen from any governor from Mexico.” He held up a three-page outline and a slide, which were also provided to the public, but also referenced the existence of “a much more extensive detailed memo that explains in nuance” all the aspects of the program.

    Abbott went on to read out a summary of Plataforma Centinela, adding, “This is a demonstration of commitment from a strong governor who is working collaboratively with the state of Texas.”

    Then Campos, in response to a reporter’s question, added: “We are talking about sharing information and intelligence among states, which means the state of Texas will have eyes on this side of the border.” She added that the data collected through the Plataforma Centinela will be analyzed by both the states of Chihuahua and Texas.

    Abbott provided an example of one way the collaboration will work: “We will identify hotspots where there will be an increase in the number of migrants showing up because it’s a location chosen by cartels to try to put people across the border at that particular location. The Chihuahua officials will work in collaboration with the Texas Department of Public Safety, where DPS has identified that hotspot and the Chihuahua side will work from a law enforcement side to disrupt that hotspot.”

    In order to learn more about the scope of the project, EFF sent public records requests to several Texas agencies, including the Governor’s Office, the Texas Department of Public Safety, the Texas Attorney General’s Office, the El Paso County Sheriff, and the El Paso Police Department. Not one of the agencies produced records related to the Plataforma Centinela project.

    Meanwhile, Texas is further beefing up its efforts to use technology at the border, including by enacting new laws that formally allow the Texas National Guard and State Guard to deploy drones at the border and authorize the governor to enter compacts with other states to share intelligence and resource to build “a comprehensive technological surveillance system” on state land to deter illegal activity at the border. In addition to the MOU with Chihuahua, Abbott also signed similar agreements with the states of Nuevo León and Coahuila in 2022.
    Two Sides, One Border

    The Plataforma Centinela has enormous potential to violate the rights of one of the largest cross-border populations along the U.S.-Mexico border. But while law enforcement officials are eager to collaborate and traffic data back and forth, advocacy efforts around surveillance too often are confined to their respective sides.

    The Spanish-language press in Mexico has devoted significant resources to investigating the Plataforma Centinela and raising the alarm over its lack of transparency and accountability, as well as its potential for corruption. Yet, the project has received virtually no attention or scrutiny in the United States.

    Fighting back against surveillance of cross-border communities requires cross-border efforts. EFF supports the efforts of advocacy groups in Ciudad Juarez and other regions of Chihuahua to expose the mistakes the Chihuahua government is making with the Plataforma Centinela and call out its mammoth surveillance approach for failing to address the root social issues. We also salute the efforts by local journalists to hold the government accountable. However, U.S-based journalists, activists, and policymakers—many of whom have done an excellent job surfacing criticism of Customs and Border Protection’s so-called virtual wall—must also turn their attention to the massive surveillance that is building up on the Mexican side.

    In reality, there really is no Mexican surveillance and U.S. surveillance. It’s one massive surveillance monster that, ironically, in the name of border enforcement, recognizes no borders itself.

    https://www.eff.org/deeplinks/2023/09/state-chihuahua-building-20-story-tower-ciudad-juarez-surveil-13-cities-and-sta
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