• L’Italia cede alla Libia altre 14 navi veloci per intercettare le persone. Il ruolo di Invitalia

    La commessa è stata aggiudicata definitivamente per 6,65 milioni di euro. A curare la gara è stata l’agenzia del ministero dell’Economia che dovrebbe in realtà occuparsi di “attrazione degli investimenti e sviluppo d’impresa”. Intanto 40 Ong danno appuntamento a Roma il 26 ottobre per opporsi al rinnovo dell’accordo con Tripoli

    L’Italia fornirà altre 14 imbarcazioni alle milizie libiche per intercettare e respingere le persone in fuga nel Mediterraneo. La commessa è stata aggiudicata definitivamente nella primavera di quest’anno per 6,65 milioni di euro nell’ambito di una procedura curata da Invitalia, l’agenzia nazionale di proprietà del ministero dell’Economia che sulla carta dovrebbe occuparsi dell’”attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa” e che invece dall’agosto 2019 ha stipulato una convenzione con il ministero dell’Interno per garantire “supporto” tecnico anche sul fronte libico. La copertura finanziaria dei nuovi “battelli” è garantita, così come tante altre, dalla “prima fase” del progetto “Support to integrated Border and migration management in Libya” (Sibmmil) datato dicembre 2017, cofinanziato dall’Unione europea, implementato dal Viminale e inserito nel quadro del Fondo fiduciario per l’Africa (Eutf).

    Si tratta in questa occasione di 14 mezzi “pneumatici con carena rigida in vetroresina” da 12 metri -come si legge nel capitolato di gara-, in grado di andare a una velocità di crociera di almeno 30 nodi, con un’autonomia di 200 miglia nautiche, omologati al trasporto di 12 persone e destinati a “svolgere i compiti istituzionali delle autorità libiche” (è la seconda tranche di una procedura attivata oltre tre anni fa). Quali non si poteva specificarlo. Anche sull’identità dei beneficiari libici c’è scarsa chiarezza da parte di Invitalia, il cui amministratore delegato è Bernardo Mattarella. Negli atti non si fa riferimento infatti né all’Amministrazione generale per la sicurezza costiera (Gacs) né alla Direzione per la lotta all’immigrazione illegale (Dcim), che opera sotto il ministero dell’Interno libico, quanto a una generica “polizia libica”.

    Chi si è assicurato la commessa, con un ribasso del 5% sulla base d’asta, è stata la società B-Shiver Srl con sede a Roma. B-Shiver è la ragione sociale del marchio Novamarine, nato a Olbia nel 1983 e poi acquisito negli anni dal gruppo Sno. “È uno dei must a livello mondiale perché ha fatto una rivoluzione nel campo dei gommoni, con il binomio carena vetroresina e tubolare”, spiega in un video aziendale l’amministratore delegato Francesco Pirro.

    B-Shiver non si occupa soltanto della costruzione dei 14 mezzi veloci ma è incaricata anche di “erogare un corso di familiarizzazione sulla conduzione dei battelli a favore del personale libico”: 30 ore distribuite su cinque giorni.
    Nell’ultima versione del capitolato sembrerebbe sparita la possibilità di predisporre in ogni cabina di pilotaggio dei “gavoni metallici idonei alla custodia di armi”, come invece aveva ipotizzato il Centro nautico della polizia di Stato nelle prime fasi della procedura di gara.

    Le forniture italiane alla Libia per rafforzare il meccanismo di respingimenti delegati continuano, dunque, a oltre cinque anni dal memorandum tra Roma e Tripoli in fase di imminente rinnovo. Un accordo che ha prodotto “abusi, sfruttamento, detenzione arbitraria e torture”, come denunciano oltre 40 organizzazioni per i diritti umani italiane promotrici il 26 ottobre di una conferenza stampa e una manifestazione in Piazza dell’Esquilino a Roma per “chiedere all’Italia e all’Europa di riconoscere le proprie responsabilità e non rinnovare gli accordi con la Libia” (dall’Arci all’Asgi, da Msf a Emergency, dalla Fondazione Migrantes a Intersos, da Sea-Watch ad Amnesty International Italia).

    “Se entro il 2 novembre il governo italiano non deciderà per la sua revoca -ricordano le Ong-, il memorandum Italia–Libia verrà automaticamente rinnovato per altri tre anni. Si tratta di un accordo che da ormai cinque anni ha conseguenze drammatiche sulla vita di migliaia di donne, uomini e bambini migranti e rifugiati”. Dal 2016 all’ottobre 2022 sono infatti oltre 120mila le persone intercettate in mare dalla cosiddetta guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia (fonte Oim). “Un Paese che non può essere considerato sicuro”.

    I contorni dell’abisso libico li ha descritti più volte, tra gli altri, la Missione indipendente sulla Libia delle Nazioni Unite che a fine giugno 2022 ha presentato una (ennesima) relazione sul punto al Consiglio dei diritti umani dell’Onu. “Diversi migranti intervistati dalla Missione hanno raccontato di aver subito violenze sessuali per mano di trafficanti e contrabbandieri, spesso con lo scopo di estorcere denaro alle famiglie, nonché di funzionari statali nei centri di detenzione, datori di lavoro o altri migranti -si legge-. Il rischio di violenza sessuale in Libia è tale e così noto che alcune donne e ragazze migranti assumono contraccettivi prima di partire proprio per evitare gravidanze indesiderate dovute a tali violenze”. È una violenza istituzionale. “Il carattere continuo, sistematico e diffuso di queste pratiche da parte della Direzione per la lotta all’immigrazione illegale (Dcim) e di altri attori coinvolti riflette la partecipazione di funzionari di medio e alto livello al ciclo della violenza sui migranti”.

    La brutalità non scompone i promotori della strategia di respingimento per procura, condotta nella totale mancanza di trasparenza sull’utilizzo complessivo dei fondi. Ad esempio quelli del Fondo di rotazione ex legge 183/1987, nel quale è previsto anche un “subcapitolo” dedicato alle spese per iniziative progettuali “a favore dello Stato della Libia”.

    Quando quest’estate abbiamo chiesto all’Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea (Igrue) del ministero dell’Economia l’elenco dei pagamenti liquidati, dei beneficiari, delle causali di pagamento e degli estremi e del contenuto della voce di spesa in Libia, quest’ultimo ha rinviato al Viminale, sostenendo che la trasparenza fosse in capo a quell’amministrazione, “titolare del programma”. Il ministero dell’Interno ha però negato l’accesso perché “l’estrapolazione delle voci richieste comporterebbe un carico di lavoro tale da aggravare l’ordinaria attività dell’amministrazione”. La tipica cortina fumogena replicata anche per la convenzione del 2019 tra Invitalia e il Viminale, di cui ci è stato trasmesso il testo con cancellazioni sopra gli importi finanziari e orfano degli allegati, cioè della sostanza.

    https://altreconomia.it/litalia-cede-alla-libia-altre-14-navi-veloci-per-intercettare-le-person

    #Italie #Libye #navires #externalisation #frontières #contrôles_frontaliers #migrations #réfugiés #Méditerranée #Invitalia #Support_to_integrated_Border_and_migration_management_in_Libya (#Sibmmil) #fonds_fiduciaire #Bernardo_Mattarella #Amministrazione_generale_per_la_sicurezza_costiera (#Gacs) #Direzione_per_la_lotta_all’immigrazione_illegale (#Dcim) #police #police_libyenne #B-Shiver #Novamarine #Sno #Francesco_Pirro

    ping @isskein

  • CAF : le numérique au service de l’exclusion et du harcèlement des plus précaires
    https://www.laquadrature.net/2022/10/19/caf-le-numerique-au-service-de-lexclusion-et-du-harcelement-des-plus-p

    Depuis bientôt un an nous luttons au sein du collectif « Stop Contrôles »1Il est possible de contacter le collectif « Stop Contrôles » à l’adresse suivante : stop.contrôles@protonmail.com pour des récits ou des problématiques actuelles face au contrôles de la…

    #Surveillance

  • La farsa del confine

    In Alta Val Susa, là dove molti percorrono le piste da sci di Claviere o d’estate passeggiano tra i boschi, altre persone aspettano il favore della notte per passare il confine che divide l’Italia dalla Francia. Qualcuno sfida la luce e si camuffa tra i turisti. Ma tutti rischiano la vita nel tentativo di scappare dagli occhi attenti della polizia francese. Per i pochi fortunati che riescono a passare, tanti altri, almeno una volta, vengono respinti indietro, verso l’Italia. Il limbo della frontiera è fatto di attesa e paura per chi vuole raggiungere parenti e amici in altri Paesi europei, oppure scappa ancora in cerca di diritti. È nel muro invisibile tra Italia e Francia che si ripete da anni la farsa del confine. “Limbo - Le vite sospese di chi si fa migrante” è un podcast scritto da Silvia Baldetti e Luca Rondi. È prodotto da Engim Internazionale in collaborazione con Altreconomia nell’ambito di SEMI - Storie, Educazione, Migrazioni e Impegno, finanziato dall’Unione Europea, attraverso la regione Piemonte nel contesto del progetto Mindchangers – Regions and Youth for Planet and People. I contenuti non riflettono necessariamente le posizioni dell’Unione Europea e di chi è intervenuto nel podcast come ospite. Hanno collaborato Francesca Prandi e Daniela Pizzuto. Il montaggio è a cura di Border Radio con la collaborazione di Silvia Baldetti. Mix, master e composizione colonna di Raja Scudella.La sigla è di Federico Sgarzi.

    https://open.spotify.com/episode/25UgHDMVRJU9EeUZyWKWDA?si=259a80a8603c42bf

    #Val_de_Suse #Italie #France #migrations #asile #réfugiés #frontière_sud-alpine #frontières #Claviere #Montgenèvre #Oulx #Diaconia_Valdese #rifugio_Massi #PAF #gardes-frontière #Briançon #Hautes-Alpes #refoulements #Fréjus #refus_d'entrée #push-backs
    #podcast #audio #militarisation_des_frontières #farce #risques #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #contrôles_systématiques_aux_frontières

    Min. 23’18 : on cite la base de données sur les mort·es aux frontières alpines que Sarah Bachellerie et moi-même avons compilé à l’occasion de la contre-enquête pour Blessing :
    https://www.borderforensics.org/fr/investigations/la-mort-de-blessing-matthew-une-contre-enquete-sur-la-violence-aux-

  • #Décharge budgétaire de #Frontex à nouveau bloquée

    Le Parlement européen réaffirme
    le respect inconditionnel des droits des personnes exilées


    Ce 18 octobre, le #Parlement_européen a refusé pour la seconde fois d’accorder la décharge budgétaire à l’agence Frontex pour ses #comptes de l’exercice 2020, suivant de ce fait l’avis adopté récemment par sa commission de Contrôle budgétaire (#CONT), sur base des nombreux constats de violations des #droits_humains et de #dysfonctionnements_internes.

    « Cette décision met une nouvelle fois Frontex devant ses responsabilités face aux nombreux cas de violations de droits fondamentaux que la société civile internationale et les personnes exilées dénoncent depuis plus de 10 ans », déclare le CNCD-11.11.11. Frontex sait dorénavant que ses activités sont sous surveillance vis-à-vis du respect des droits fondamentaux. L’#impunité n’est plus possible. L’Agence va devoir se plier aux exigences de #transparence, de mise en #responsabilité et de #contrôle_démocratique pour continuer d’exister.

    En effet, le 6 octobre 2022, la commission CONT du parlement UE a bloqué la décharge du #budget de Frontex suite à « l’ampleur des #fautes_graves et des possibles #problèmes_structuraux sous le précédent directeur exécutif de l’agence, qui a depuis démissionné à la suite des révélations du rapport de l’#OLAF du 28 avril dernier ».

    Les députés déplorent « que Frontex n’ait pas mis en œuvre certaines des conditions établies dans le précédent rapport du Parlement. Ils demandent notamment la suspension de ses activités de soutien (retours) en Hongrie, compte tenu du contexte lié à l’État de droit dans le pays, ainsi que le suivi de ses activités en Grèce, où l’Agence aurait mené des opérations de surveillance des frontières dans des régions où, simultanément, des refoulements de migrants avaient lieu ».

    Par ailleurs, les parlementaires se disent « choqués et profondément préoccupés par le suicide d’un membre du personnel, lié à des pratiques présumées de harcèlement sexuel » et se félicitent de la réouverture de ce dossier par la nouvelle direction exécutive qu’ils accueillent favorablement. Le vote négatif du Parlement européen ce 18 octobre doit être l’occasion d’une remise en question fondamentale de l’orientation du mandat de l’agence et de la manière dont elle remplit ce dernier. Des réformes structurelles, y compris en interne, doivent être mises en place au plus vite pour garantir la transparence et le respect des droits humains. La Belgique, qui siège au Conseil d’administration de Frontex, doit utiliser ce levier de manière à obtenir ces réformes. Elle doit également les exiger lors des négociations autour du Pacte européen sur la migration et l’asile dont on annonce l’adoption sous la présidence belge de l’Union européenne, début 2024.

    https://www.cncd.be/Decharge-budgetaire-de-Frontex-a
    #blocage #enfin #frontières #contrôles_frontaliers #migrations #asile #réfugiés

  • France : Belleville : EDF vide le cœur d’un réacteur malgré un problème de refroidissement

    https://www.sortirdunucleaire.org/France-Belleville-EDF-vide-le-coeur-d-un-reacteur-malgre-un-probl

    L’incident en dit long sur l’absence de compréhension du fonctionnement de l’installation et plus largement, l’absence de réflexion des équipes lors des opérations, même les plus critiques. À Belleville (Centre - val de Loire), le cœur du réacteur 2 a été entièrement vidé de son combustible alors qu’une partie du circuit de refroidissement était hors-service [1]. Les équipes ont pensé que l’autre partie du circuit suffirait. Sauf que cette partie là n’était plus alimentée en électricité puisque le diesel de secours censé prendre le relai en cas de coupure avait été mis hors-service. Si coupure électrique il y avait eu, la seule partie du circuit de refroidissement disponible n’aurait pas pu fonctionner.

    Quand tu vois la quantité et la diversité des « incidents »...(https://www.sortirdunucleaire.org/Nucleaire-des-accidents-partout)
    Ça relève du miracle qu’on ait pas eu une catastrophe majeure en France...

  • Revealed : The #OLAF report on Frontex

    An infamous internal report by the EU anti-fraud agency OLAF shows how Frontex tried to cover up human rights violations. We are publishing it for the first time.

    “The plane circled over our heads again and again, but no one helped us,” says Samuel Abraham. On 10 April 2021, he left the Libyan shore in a rubber boat with 62 other people. They were on the high seas for five days. “We didn’t think this trip would take so long. That’s why, and to save space, we didn’t bring much food and water.” Out of desperation, they drank sea water.

    Last year, Samuel Abraham reported to us his attempted crossing and we published it with Buzzfeed News Germany. We changed his name to protect him.

    He told us that, at one point, a cargo ship had appeared in sight and that three people had jumped into the water. They did not reach the ship, they drowned. On the last day at sea, the remaining people were picked up by a supposed fishing boat and taken back to Libya. Only 51 of them reached Libya alive, next to the dead bodies of the others who had died on the way back.

    The plane Samuel Abraham saw circling over his head was operated by Frontex, the EU border and coast guard agency who witnessed what constituted a human rights violation. This was not only researched and documented by journalists and NGOs, but also by EU bodies.

    In cooperation with Der Spiegel and Lighthouse Reports, we are publishing the report on Frontex by the EU’s anti-fraud agency OLAF. A report that has been talked about throughout the last year, that led to the resignation of former Frontex Executive Director Fabrice Leggeri, but until now has not been revealed to the public in full – it was never meant to be revealed.
    Human rights violations swept under the carpet

    In fact, up until today, only a very reduced group of EU officials have been able to read the document in full: this includes European Commission representatives, the former Frontex Management Board, a few selected Members of the European Parliament, and OLAF itself.

    The Frontex OLAF report shows that Samuel Abraham’s story is not exceptional; a serious human rights violation witnessed and later brushed under the carpet. It is neither exceptional nor a matter of chance.

    It was finalised in February 2022; 16 months, 20 witnesses and over 120 pages after the moment the EU anti-fraud watchdog first received a whistleblower alert by post warning about serious wrongdoing within the agency.

    Under EU and international law, Frontex has the legal obligation to guarantee respect for human rights during its operations. But what OLAF found is that instead of taking steps to prevent human rights violations from happening, Frontex took recurrent, deliberate measures to make sure the violations that were indeed taking place, would not be witnessed, documented, investigated or accounted for.

    More precisely, it shows how the Fundamental Rights Officer was sidelined; internal reports on human rights violations were manipulated; and how Frontex misled the European Commission and Parliament.
    “Not one of us”: the isolation of the Frontex Fundamental Rights Officer

    As the OLAF report shows, on 3 September 2020 Frontex’s main operational departments met to discuss the following: some officials had become convinced that the Greek-Turkish relationship was evolving into a “kind of ‘war’”, where Frontex’s operational information was subject to being “misused” and could therefore cause potential reputational damage to the agency.

    The cornerstone of all this suspicion was the Frontex Fundamental Rights Office. This department had been created to ensure violations of human rights during Frontex operations were prevented by design. If violations do take place, it is the Office’s duty to conduct an investigation and recommend appropriate action.

    This department and, in particular, its head, the Fundamental Rights Officer (FRO), had been encountering resistance internally. Labelled as “leftists” who were too close to NGOs, WhatsApp messages exchanged among Frontex officials qualified the FRO’s pro-rights stance as an “intellectual dictatorship” comparable to “Khmer Rouge terror”. Frontex staff was encouraged to consider their fundamental rights peers not as colleagues, but as “externals”; “not one of us”.

    As such, Frontex’s leadership considered the information the FRO had access to needed to be limited – even in cases relating to a violation of human rights. At the 3 September 2020 meeting, this rationale was clearly set out: “Fundamental Rights has a right of access to all information. But it does not mean that we give all information. (...) Fundamental Rights asks and we try to be friendly. That’s the trap.”

    The trap was an information shutdown which, in practice, would make it substantially harder and, in some cases, impossible, for the FRO to monitor and investigate the human rights violations that were, at this point, certainly taking place during Frontex operations. Efforts had started already in 2016, and were well underway by the time the 3 September 2020 meeting was held.

    The OLAF report describes how already in 2016, e-mails from the FRO in which she required details and clarifications in the context of a potential human rights violation that had been reported “remained long unanswered or did not receive a reply at all.” In January 2018, Frontex leadership took the decision to severely restrict the FRO’s access to the agency’s main border surveillance and information-management tool, the EUROSUR system. This required a redesign of the EUROSUR architecture so that the FRO, from now on, would only be able to view a limited amount of operational information, while all classified information would not only be inaccessible, but also invisible: it became “impossible for FRO to be aware of the existence of that specific document in the system”.

    The FRO’s EUROSUR cut-off would cost 15.000 euros of taxpayer money. The justification reflects how human rights monitoring was considered a danger to effective border control: “At stake is the possibility to use EUROSUR as a reliable security tool for MS [Member States] in full compliance with security standards”.

    Shortly after, a new idea emerges: Frontex Serious Incident Reports should be considered classified information.
    Control of the paper trail

    Serious Incident Reports (SIRs) are at the heart of Frontex’s internal reporting system. These reports are meant to be filed by Frontex agents deployed on mission when they witness or become part of a serious incident. This could be, for example, when Frontex staff has a car accident while deployed; wakes up to their property having been vandalised with anti-police messages; exposed to Covid-19; and, most importantly, when Frontex officers witness or become involved in a human rights violation.

    SIRs are the agency’s primary paper trail for wrongdoing. As such, the existence and distribution of these reports became uncomfortable for an agency that considers its human rights obligations an obstacle for its ultimate goal and mission: border control.

    The OLAF report lays out the measures taken to undermine and circumvent SIRs as a reporting mechanism, in order to downplay or ignore severe human rights violations that were taking place to the knowledge of Frontex. In 2020, an essential step was taken in this direction: “In case a SIR is generated based on operational data collected by FRONTEX (…) this SIR must be restricted,” reads an internal e-mail. This could be done by scaling up the classification of SIRs. Internally, some officials warned the efforts to classify these reports “would be illegal”.

    The process for handling SIRs was also manipulated. Frontex’s internal rules establish four categories of SIRs – incident reports relating to a possible violation of human rights should be allocated Category 4, which would immediately trigger an involvement of the FRO, investigation, and adequate follow-up.

    On the day Samuel Abraham was in distress at high sea, Frontex staff wrote an internal e-mail stressing the need to launch a Serious Incident Report and asked for guidance about the categorisation. OLAF notes, that all information about the incident “highlighted strong indications of violations of human rights”, which would fall under Category 4. But internally this was waved off to avoid involving the FRO.

    In other occasions, a decision was taken not to create a SIR in the first place; it appears that in Frontex’s eyes, a human rights violation that is not recorded is a violation that doesn’t exist.

    Letters to Greek authorities with regards to serious rights violations were re-drafted into a “politically softer” version, “less explicit on the gravity of the facts in question”. In April 2020, a SIR was launched after Frontex-deployed officers witnessed Greek authorities “towing an overcrowded fragile boat in the night towards the open sea is a situation that can seriously endanger the lives of the passengers”. Der Spiegel reported about this case end of October 2020. The FRO’s evaluation of the case found it a likely “case of an unprocessed return and violation of the principle of non-refoulement”. However, during its investigation, OLAF found no further follow-up: “no formal request for information or clarification was sent to the Hellenic Authorities in relation to this incident”. Human rights violation, once again, left unaddressed.
    Intimidation “bears fruit”: the silencing of officers

    But not only incidents were silenced, also those who report them. In summer of 2019, an internal e-mail warned: “we fear/have indications that potential violations are not always reported to Frontex [headquarters] because of possible repercussions of deployed officers in the Host MS [Member State]”. There had been at least one case where an officer deployed in a Frontex operation had filed a SIR and had later been relocated; the assumption was that “it could be linked to the fact of reporting”.

    Furthermore, Frontex-deployed officers were not making use of official reporting channels but were instead leaving mentions of what pointed to human rights violations in “unofficial reports”. When an officer was asked for the reason, (s)he argued that “it happened in the past that because of the initiation of a SIR the debriefing expert had serious conflict with the Greek Authorities and could that made [REDACTED] stay unbearable“. In order to avoid a similar situation, the officer had chosen to report incidents “via alternative channels”.

    Intimidation and threats to Frontex officers, notably by Greek authorities, in order to avoid formal reporting of violations of human rights, were well known to Frontex management. The topic had been “thoroughly discussed” internally, recognising that “threats of EL [Greek] authorities to sanction ‘critical’ deployed staff bears fruit”.

    However, no action was ever taken to address this problem or to prevent it from happening again. Out of “the need to keep a good relationship with the Greek authorities”, Frontex did “not ask for any specific action to be taken or checks to be done”. The matter was set aside.
    “So not to witness…”

    On 5 August 2020, the Frontex plane FSA METIS was surveilling the Aegean Sea when it witnessed a boat with approximately 30 people on board, in Greek territorial waters, being towed by Greek authorities towards Turkish territorial waters. The sighting amounted to a human rights violation. A Serious Incident Report was launched.

    Within a month, the Frontex plane was no longer operating in the Aegean but had instead been relocated to the Central Mediterranean “to support activities in the region”.

    Three months later, during a raid to the Frontex headquarters in Warsaw, OLAF finds a report mentioning the FSA METIS relocation. A handwritten note of a high representative on the last page of the document reads: “We have withdrawn our FSA some time ago, so not to witness...”.

    In an interview with OLAF, (s)he would elaborate on his handwritten remark: “the withdrawing of aerial surveillance served the purpose for FRONTEX to avoid witnessing incidents and alleged pushbacks by Greece, so avoiding to have to deal internally at the Agency with sensitive cases. Personally, the solution was good for me as I was in the middle of two different and opposite demands: [REDACTED] wanted to cover possible irregularities by Greece and [REDACTED] [REDACTED] wanted to deal with those cases in full compliance with the SOP [Standard Operating Procedure]”.

    Frontex’s choice was in fact much more effective than a cover-up of “irregularities”. It was a carte blanche for impunity.
    Disloyalty to the Union

    Internal control mechanisms disabled, there were few avenues left to hold Frontex accountable – mainly, EU institutions. When in 2020, media and civil society reports on Frontex became more and more frequent, the European Commission started seeking answers from the EU’s border agency. The Commission wanted to know whether progress had been made on several of the human rights protection mechanisms – as it is Frontex’s legal obligation.

    OLAF found Frontex misled the Commission when responding to its questions, offering “a partial view of the dynamics of the events“ and showed “lack of cooperation and the reluctance” to implement the Commission’s recommendations. Cooperating and following the EU Commission’s guidance was indeed not in Frontex’s plans, since for some years now, Frontex leadership had been harvesting an increasingly derogatory view of the EU legislative body which it saw less as a respectable authority and more like an enemy.

    Private messages exchanged among Frontex high-level reveal a view of the European Commission as “the legislator who makes Frontex a legal smuggler/taxi”.

    Demeaning messages, which harden in tone from 2019 onwards following the appointment of Ylva Johansson as Commissioner for Home Affairs, criticised the EU institution for “amateurism on operational subjects, obsession on FR [Fundamental Rights] subjects, and bureaucratic cretinism”.

    By 2020, the Commission had become an adversary: “Today the biggest risk for the European corps and Frontex comes from the Commission” – a striking conclusion since the proposal for a Frontex standing corps of 10,000 border guards initially originated, in 2018, from the European Commission itself.

    But it wasn’t only the European Commission’s questions getting shunned – also the European Parliament’s. In multiple occasions, the European Parliament’s Committee on Civil Liberties, Justice and Homme Affairs (LIBE) summoned Frontex and requested explanations and clarifications with regards to the recurrent reports of human rights violations. During its investigation, OLAF identified at least eleven stances where Frontex lied or misled the European Parliament in its responses.

    These lies, misleading statements and antagonistic views with respect to the European Commission and Parliament were found by OLAF as a “lack of loyalty towards the Union”.
    Eight months later: the aftermath of the OLAF report

    For almost eight months, some EU representatives have known about the explosive facts and findings of the report: the recurrent human rights violations taking place under Frontex’s eyes; Frontex’s studied efforts to brush off and conceal these violations; an unlawful system of impunity built by an agency of the EU, financed with EU taxpayer money.

    And yet the fact is, very little has changed in the aftermath of the OLAF investigation. Only the resignation of one person, former Frontex Executive Director Fabrice Leggeri, is the most visible consequence of the report’s findings to date, besides the fact that the European Parliament continues to refuse to approve the agency’s budget. A climate of silence and inaction seems to have been established, incomprehensibly to anyone familiar with the content of the OLAF report.

    In this context, on 21 September, Frontex issued a statement announcing “recent changes within the agency”, presenting in six vague bullet points. But the reality seems to be different: Crucially, a noticeable absence from Frontex’s “recent changes” press release is the suspension of operations in the Aegean. This is a provision set by Article 46 of the Frontex Regulation, which states that the Frontex Executive Director should “suspend or terminate any activity by the Agency, in whole or in part, if he or she considers that there are violations of fundamental rights or international protection obligations related to the activity concerned that are of a serious nature or are likely to persist.”

    These violations have been well-established by the OLAF report, which includes among its findings that, while being aware of the human rights violations taking place in Greece, Frontex “did not ensure appropriate follow-up, including taking any actions in relation to the scope of the Article 46 of the FRONTEX Regulation”. And yet Frontex continues to contradict OLAF’s findings, reiterating in the media that “Frontex’s actions in the Aegean Sea region had been carried out in compliance with the applicable legal framework, including in accordance with the responsibilities stemming from fundamental rights.”

    At the same time, some signs already point at some of Frontex’s “recent changes” which could be failing to materialise. Frontex argues that in 2021 it conducted a revision of its Serious Incident Reporting Mechanism “to improve the reporting on events at the external borders, including fundamental rights violations”. However, civil society has alerted to the fact that it has been over 1,000 days since Frontex last filed a SIR in the Greek island of Samos. It was precisely in Samos, as documented in the OLAF report, where Greek authorities’ intimidation tactics to discourage incident reporting had been bearing fruit.

    We have asked Frontex for a statement concerning the OLAF report and its investigations, but they have not replied to it yet.
    Commission remains inactive

    Meanwhile, the European Commission’s reluctance to take a stance, let alone any action, in response to the OLAF report has been remarkable. When questioned about Der Spiegel’s previous reporting on OLAF’s findings, the Commission merely made vague references to the one change in Frontex leadership, a “new Action Plan” for a Fundamental Rights Strategy, and the hiring of Fundamental Rights Monitors – which has been a legal obligation of Frontex since 2019. “A lot of work is being done,” stated the Commission spokesperson, who did not deliver specifics and made no mention of Article 46.

    In all, the OLAF report reveals the making of a system of impunity by Frontex: continuous efforts to downplay, conceal and enable serious violations of human rights and international law taking place on an ongoing basis at the EU’s borders. Despite OLAF’s investigation, Frontex’s system of impunity remains largely untouched.

    https://fragdenstaat.de/en/blog/2022/10/13/frontex-olaf-report-leaked

    #rapport #OLAF #Frontex #asile #migrations #réfugiés #frontières #push-backs #refoulements #Libye #droits_humains #Grèce #Turquie #Serious_Incident_Reports (#SIRs) #omerta #silence #intimidation #EU #Union_européenne #UE

    • Migration : un rapport pointe la gestion accablante de Frontex dans les eaux grecques

      L’agence européenne Frontex aurait-elle fermé les yeux face à des refoulements de migrants dans les eaux grecques ? C’est ce qui ressort d’un rapport confidentiel de l’OLAF, l’Office européen de lutte antifraude, rendu public par la plateforme FragDenStaat, basée en Allemagne, en collaboration avec Der Spiegel et Lighthouse Reports (Pays-Bas).

      Selon l’OLAF, des cadres de l’agence chargée des frontières extérieures de l’UE ont commis « des fautes graves », en ne signalant pas des refoulement de migrants de la part des garde-frontières grecs.

      Ce rapport indique que dans un cas, l’avion de l’agence de l’UE s’est volontairement éloigné d’une zone en mer Egée, pour ne pas être témoin d’un incident en cours. Le rapport pointe par ailleurs une multitude de manquements, face à l’arrivée de bateaux de fortune, souvent en provenance de Turquie.

      Ces conclusions confirment les accusations de plusieurs ONG, qui pointaient depuis plusieurs années les manquements de l’Union européenne dans la gestion de la crise migratoire, due notamment à la guerre en Syrie. En avril dernier, mis sous pression, le patron Frontex Fabrice Leggeri a démissionné.

      https://fr.euronews.com/my-europe/2022/10/14/migration-un-rapport-pointe-la-gestion-accablante-de-frontex-dans-les-e

    • "Des pratiques du passé" : Frontex réagit au rapport accablant ses dirigeants

      L’agence de garde-frontières Frontex a réagi aujourd’hui à la publication par des ONG et médias de l’intégralité du rapport de l’OLAF, l’organe anti-fraude de l’Union européenne. Ce rapport accusant les dirigeants de Frontex d’avoir dissimulé des refoulements, en violation du droit international, avait fait grand bruit il y a plusieurs mois, jusqu’à pousser à la démission l’ex-patron Fabrice Leggeri.

      Ce vendredi, l’agence des garde-frontières et des garde-côtes de l’Union européenne, Frontex, a réagi à la publication de l’intégralité du rapport de l’OLAF (office européen de lutte anti-fraude) par plusieurs ONG et médias. "L’Agence prend au sérieux les conclusions des enquêtes, audits et examens, et les utilise comme des opportunités pour changer et s’améliorer", a déclaré Frontex dans un communiqué de presse paru aujourd’hui.

      Ce rapport de l’OLAF se concentrait sur les activités de Frontex en Grèce du printemps à l’automne 2020. Il révélait que Frontex n’avait pas traité correctement des preuves de refoulements d’exilés aux frontières maritimes et terrestre, allant jusqu’à les dissimuler. Or, ces "puschback" sont contraire au droit international et européen, puisqu’ils empêchent tout examen d’une demande de protection.

      L’agence ne nie plus sa responsabilité dans les accusations détaillées par l’enquête de l’OLAF. Elle reconnaît volontiers de "graves fautes de conduites" commises par les dirigeants de Frontex d’alors. Le numéro un, Fabrice Leggeri, directeur général depuis 2015, avait démissionné fin avril face aux accusations relayées dans la presse.
      Changements dans les procédures de signalement

      Plusieurs enquêtes journalistiques menées par le consortium Lighthouse Reports et publiées notamment dans Le Monde, avaient ainsi démontré qu’entre mars 2020 et septembre 2021, Frontex avait enregistré des renvois illégaux dans les eaux grecques comme de simples "opérations de prévention au départ, menées dans les eaux turques".

      Or, toutes les investigations menées par des médias menaient à la conclusion "que les responsables de Frontex [étaient] conscients des pratiques illégales des gardes-frontières grecs et [étaient] en partie impliqués dans les refoulements eux-mêmes", écrivait le journal allemand Der Spiegel en octobre 2021.

      Aujourd’hui, Frontex qualifie ces actes répréhénsibles de "pratiques du passé" dans son communiqué. L’agence affirme ainsi avoir pris, depuis, des "mesures correctives". Par exemple, Frontex déclare avoir renforcé les procédures de signalement des incidents graves, y compris en ce qui concerne les refoulements.
      D’autres conclusions d’enquêtes à venir

      Enfin, Frontex assure avoir établi à la fin de l’été 2022 "un plan d’action pour réparer les torts du passé et du présent et pour engager un dialogue structuré" avec les autorités grecques.

      InfoMigrants reçoit depuis plusieurs années des témoignages d’exilés victimes de "pushbacks" par les garde-côtes et garde-frontières grecs. À l’été 2021, une Congolaise avait expliqué comment les garde-côtes avaient refoulé son embarcation en mer, mettant les passagers en danger. "Ils nous ont menacé avec leur armes (…) Ils ont tourné autour de nous, ce qui a fait de grandes vagues et du courant", avait-elle rapporté. Au mois de mai 2021, Samuel, un autre migrant d’Afrique subsaharienne, avait raconté comment son embarcation avait été refoulée vers les côtes turques.

      Au-delà de ces refoulements, d’autres enquêtes visent actuellement Frontex, notamment au sujet de dissimulations de maltraitances commises sur des exilés en Hongrie et en Bulgarie. Frontex nie, jusqu’ici, avoir couvert ces violences. Elle avait expliqué officiellement n’avoir “pas autorité sur le comportement des polices aux frontières locales".

      En attendant la progression de ces enquêtes, l’agence européenne prévoit de disposer d’un effectif propre de 10 000 garde-frontières et garde-côtes, à l’horizon 2027. Dans cette perspective, elle programme déjà des commandes d’armes "létales et non-létales".

      http://www.infomigrants.net/fr/post/44017/des-pratiques-du-passe--frontex-reagit-au-rapport-accablant-ses-dirige

    • Certificate le pratiche illegali di Frontex. Ma l’Agenzia resta a operare sulle frontiere

      L’Ufficio europeo per la lotta antifrode ha ricostruito le gravi violazioni dei diritti umani commesse in questi anni dall’Agenzia europea chiamata a sorvegliare i confini dell’Ue. Dalla copertura di centinaia di respingimenti al contrasto a chi voleva denunciare. Il cambio al vertice non è sufficiente, segnala il Parlamento europeo

      Frontex ha coperto centinaia di respingimenti illegali ai confini esterni dell’Unione europea e al suo interno ha ostacolato chi voleva denunciare queste pratiche. Il rapporto dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) sull’Agenzia, che aveva portato nell’aprile 2022 alle dimissioni dell’ex direttore esecutivo Fabrice Leggeri, è stato reso pubblico a metà ottobre 2022 dal settimanale tedesco Der Spiegel, testata che con le sue inchieste aveva dato avvio proprio all’indagine dell’Olaf sull’operato di Frontex. E martedì 18 ottobre il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione (con 345 voti favorevoli, 284 contrari e otto astenuti) contro la cosiddetta “procedura di discarico” del bilancio dell’Agenzia, ovvero una valutazione ex post che ha l’obiettivo di monitorarne l’attività degli anni precedenti (in questo caso del 2020). “Un segnale importante ma dalle conseguenze solo politiche: l’Agenzia purtroppo continuerà a fare quello che ha sempre fatto e di certo questo voto non bloccherà le sue attività -spiega Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona-. Questo significa che Frontex continua a poter utilizzare il suo ampio budget nonostante la votazione degli eurodeputati”. Un bilancio che per il 2022 ammonta a 754 milioni di euro: un aumento di più del 100% rispetto al 2006, il primo anno di piena operatività dell’Agenzia e che continuerà a crescere fino a toccare i 5,6 miliardi di euro entro il 2027 come ricostruito anche nel nostro libro “Respinti“.

      Scorrendo il report di 123 pagine dell’Olaf emergono chiaramente le lacune nei meccanismi di denuncia di situazioni di violazione dei diritti umani delle persone coinvolte (direttamente o indirettamente) nell’attività dell’Agenzia e come queste non siano emerse in precedenza per motivi politici. In altri termini le istituzioni europee hanno fatto finta di nulla perché l’obiettivo perseguito da Frontex, “chiudere” le frontiere, doveva essere raggiunto a qualsiasi costo. “L’Agenzia ha avuto un’espansione molto ampia con l’approvazione di due regolamenti (2016 e 2019) nel giro di tre anni e non accompagnati da un parallelo monitoraggio -sottolinea Salzano-. Le sue competenze, le sue capacità di incidere sui diritti umani dei rifugiati sono esponenzialmente aumentate ma senza adeguati meccanismi di ‘responsabilità’ interna”. Su questo punto secondo la ricercatrice è un “controsenso” che Frontex non sia mai responsabile di quanto succede durante le operazioni a cui partecipa: “Il direttore esecutivo ha grandi poteri, può prendere tantissime decisioni ma la responsabilità di quanto avviene lungo i confini ricade sugli Stati membri. Non può funzionare”.

      E che non funzioni lo si capisce analizzando alcuni stralci del rapporto. Parte dell’inchiesta di Olaf si concentra sui cosiddetti “Serious incident report”, ovvero le segnalazioni di “gravi incidenti” che, secondo il regolamento dell’Agenzia, sono “avvenimenti naturali o causati dall’azione umana che possono influire negativamente o essere rilevanti per una particolare attività di Frontex” che possono mettere a repentaglio la sua reputazione e includere situazioni di potenziali “violazione dei diritti fondamentali e di quanto stabilito dal diritto Ue e internazionale con particolare riferimento alla possibilità di richiedere asilo”. Una volta ricevuta una segnalazione di tali incidenti, l’ufficio del Frontex situation center individua un “coordinatore” che ha il compito di procedere con indagini interne per chiarire la situazione. Ci sono quattro categorie di segnalazioni classificate in base alla pericolosità: la quarta, la più grave, che riguarda proprio la possibile violazione dei diritti fondamentali delle persone coinvolte, prevede un particolare meccanismo per cui le indagini sono di responsabilità del “Fundamental rights officer”, l’ufficio che si occupa di monitorare il rispetto dei diritti umani.

      Tra il 10 e il 12 aprile 2020 l’aereo di Frontex che sorveglia il Mediterraneo centrale individua quattro imbarcazioni con a bordo circa 250 persone che si muovono dalla “zona Sar” libica a quella maltese. Le autorità de La Valletta non collaborano con l’Agenzia nell’implementare un’operazione di salvataggio. Alle 12.34 di mercoledì 13 aprile al Frontex situation center arriva una segnalazione in cui si sottolinea che le imbarcazioni sono “sovraffollate” e le persone sono “senza giubbotti di salvataggio”. Un’ora dopo, un ulteriore messaggio inviato al centro di comando sottolinea la mancanza di cooperazione delle autorità maltesi e segnala che due delle barche sono arrivate in Italia e avevano bottiglie d’acqua a bordo. “Probabilmente la Guardia costiera maltese le ha trainate fino alle coste italiane. Mi chiedo -scrive l’ufficiale di Frontex- se a livello politico si possa fare pressione su Malta dato che questa diventa una situazione umanamente irresponsabile”. Ventiquattr’ore dopo, l’ufficiale pretende che sia lanciato un “Serious incident report” e che sia classificato nella “Categoria quattro” dato che l’attività osservata è in chiara violazione di diritti fondamentali dei naufraghi. Ma dagli uffici dell’Agenzia non sono d’accordo: viene assegnata la “Categoria 2” -ovvero un incidente dall’alto interesse pubblico e politico- perché quanto osservato è avvenuto al di fuori delle operazioni di Frontex ed è necessario “tenere un profilo neutrale nelle discussioni tra Italia e Malta”. Solo successivamente si scopre che il 15 aprile 2020 una delle barche è arrivata a Tripoli dopo aver ricevuto l’assistenza di una nave commerciale nella zona Sar maltese: 51 persone superstiti, cinque morti. Il 4 maggio 2020 sempre il Frontex situation center chiede di riclassificare l’incidente nella “Categoria quattro”. Ma da Varsavia, sede dell’Agenzia, l’obiettivo è uno: fare in modo che la competenza non passi all’ufficio che si occupa dei diritti umani. La giustificazione? “Non vedo l’interesse di cambiare la classificazione, né il valore aggiunto di avere un Fundamental rights officer in sovrapposizione con le inchieste giudiziarie a Malta”. L’Olaf osserva, tra l’altro, come sia lo stesso regolamento che, in caso di incidenti gravi, non distingue tra “operazioni congiunte di Frontex con gli Stati membri o semplici attività messe in atto dalla stessa Agenzia”. Come in questo caso.

      Il copione si ripete, pochi giorni dopo, nel Mar Egeo. Nella notte tra il 18 e il 19 aprile dello stesso anno la sorveglianza area di Frontex permette di osservare le attività della Guardia costiera greca: dopo aver intercettato, già nelle acque territoriali di competenza, una barca con a bordo alcuni naufraghi questi vengono caricati su un vascello delle autorità elleniche. Poco dopo, vengono nuovamente trasferiti sulla loro imbarcazione e trainati verso le acque territoriali turche dove vengono lasciati in balia delle onde, senza motore, alle sei del mattino. Come nel caso descritto precedentemente viene richiesta la “Categoria quattro” anche perché in questo episodio un video ricostruisce quanto avvenuto: l’ufficiale scrive via WhatsApp che si tratta di “un nuovo caso, molto più problematico” a dimostrazione del “sistematico” utilizzo di questi metodi di respingimento. Ma da Varsavia arriva lo steso messaggio: “Frontex non ha assetti coinvolti, la segnalazione ricade nella ‘Categoria due’”. Nei giorni successivi si susseguono le richieste per riclassificare la segnalazione. Tutto resta uguale e addirittura il report viene classificato come “riservato” e raggiunge un numero ristretto di destinatari. Il Fundamental rights officer non riceverà mai il report finale di questo evento.

      Quando sul confine greco-turco si susseguono i casi descritti (dall’aprile 2020 a oggi secondo la ricerca del Forensic Architecture, l’Agenzia è stata coinvolta in 122 casi drift-back ed era a conoscenza di 417 che sono stati registrati negli archivi operativi e mascherati come “prevenzioni nell’ingresso”) la soluzione di Frontex va alla radice. Viene messo in discussione il termine respingimenti “che giuridicamente non esiste e non è possibile dire con certezza che siano tali anche considerando che la Turchia e le Ong hanno interessi comuni” ma soprattutto vengono “rimossi gli occhi scomodi”. Così il 5 agosto 2020 (“Senza alcun senso da un punto di vista di operazione Sar”, ha spiegato all’Olaf un agente) a seguito dell’ennesima procedura di traino della Guardia costiera greca verso la Turchia l’aereo dell’Agenzia viene “spostato a sorvegliare il confine terrestre greco facendolo muovere avanti e indietro per nove volte tra due punti in cui nessuna attività era stata osservata”. Il 7 settembre, un mese dopo, il velivolo viene ricollocato nel Mediterraneo centrale. Meglio non vedere quello che succede in Grecia.

      Dal rapporto emergono anche marcate fratture interne. Un membro del personale afferma che l’ufficio per i diritti fondamentali “non sono veri colleghi” mentre un altro agente osserva che “è il primo [nemico, ndr] di Frontex perché riferisce tutto alle Ong e fa regnare all’interno dell’Agenzia un regime di terrore simile a quello dei Khmer rossi”. E non stupisce che l’Ufficio non abbia mai avuto accesso a Eurosur, il Sistema europeo di sorveglianza delle frontiere che è il “cuore” delle prove dei respingimenti. A tutto questo si aggiunge la pessima gestione interna: si registra un suicidio di un membro legato a “presunte pratiche di molestie sessuali” e nel 2020 su 17 casi segnalati di molestie, 15 sono stati chiusi senza seguito.

      Questa è Frontex. Nonostante dal board dell’Agenzia si siano affrettati a dichiarare che “queste pratiche appartengono al passato” così come la Commissaria agli affari interni Ylva Johansson che si è definita “scioccata” ma “sicura che il consiglio di amministrazione si è assunto pienamente le proprie responsabilità”. “L’Agenzia ha problemi strutturali -osserva Salzano-. Finché non si risolvono è difficile che il suo mandato possa rispettare il diritto internazionale e quello dell’Unione europea. E l’unico passo possibile in questa direzione è una sentenza della Corte di giustizia che ristabilisca i confini del suo operato. Olaf segna un punto di svolta perché l’illegalità è finalmente certificata da un corpo dell’Ue ma resta un ente amministrativo, non una Corte”.

      L’Agenzia infatti è ancora lì (e nessun provvedimento disciplinare è stato preso contro l’ex direttore Leggeri e il suo ex capo di gabinetto, come nota con “rammarico” il Parlamento europeo), sulle frontiere tra Grecia e Turchia (e non solo) dove i respingimenti, così come le condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti del governo di Atene, sono proseguiti sistematicamente. E la scusa del “se c’è Frontex si rispettano maggiormente i diritti umani” oggi vacilla ancora di più. Fa poi riflettere che il rapporto Olaf, chiuso nel febbraio 2022, sia rimasto per mesi inaccessibile anche agli stessi parlamentari europei e che solo la sua pubblicazione da parte di alcuni quotidiani e Ong abbia portato l’assemblea di Strasburgo a votare nuovamente il discarico sul bilancio di Frontex e a parlare apertamente di quanto successo.

      https://altreconomia.it/certificate-le-pratiche-illegali-di-frontex-ma-lagenzia-resta-a-operare

    • voir aussi :

      La #LDH et #Utopia_56 portent #plainte pour #complicité de #crimes_contre_l'humanité et complicité de #torture contre le n°3 de la liste RN

      Pour rédiger cette plainte, la LDH et Utopia 56 s’appuient notamment sur un rapport de l’Office européen de lutte anti-fraude, qui a précisément mis au jour des pratiques illégales et a mis en cause le rôle de Fabrice Leggeri, dont il était par ailleurs souligné le dirigisme à son poste de numéro 1 de Frontex. Les conclusions de ce rapport avaient contraint Fabrice Leggeri à la démission en 2022. Moins de deux ans plus tard, en février dernier, celui qui a été formé à l’ENA et a fait toute sa carrière dans la haute fonction publique a annoncé rejoindre la liste du Rassemblement national, conduite par Jordan Bardella, pour les élections européennes du 9 juin prochain.

      https://seenthis.net/messages/1050966

  • Migrations. Face au retour des Syriens, la #Tchéquie renforce le contrôle de sa frontière avec la #Slovaquie

    En raison de l’arrivée d’un nombre croissant de migrants clandestins majoritairement d’origine syrienne sur son territoire, la Tchéquie a rétabli des contrôles le long de sa frontière avec la Slovaquie. Une décision très moyennement appréciée à Bratislava.

    « Une mesure inutile qui désintègre Schengen. Et qui, et c’est le plus important, ne réduira la migration clandestine, pas même d’un demi-pied. » SME n’y va pas par le dos de la cuillère pour commenter la décision du gouvernement tchèque. Le grand quotidien slovaque exprime une forme d’incompréhension : « Alors que plus de 1 million d’Ukrainiens sont passés par la Tchéquie [ces derniers mois] et que plus de 300 000 d’entre eux y sont restés (!), il est totalement déraisonnable d’imposer des contrôles pour quelque 11 000 Syriens. Et ce, avec un pays [la Slovaquie] avec lequel ils [les Tchèques] prétendent avoir des relations ’plus que remarquables’. »

    À lire aussi : Réfugiés. De Syrie ou d’Ukraine : la solidarité à deux vitesses des pays d’Europe centrale

    Dans la nuit de mercredi à jeudi, la Tchéquie a renforcé les contrôles policiers à vingt-sept points de passage essentiellement routiers et ferroviaires de la frontière avec son voisin, avec lequel elle célébrera, à la fin de cette année, le trentième anniversaire de la partition de l’ancien État commun tchécoslovaque. Une décision identique a été prise également par l’Autriche, comme le note la Radio tchèque, qui souligne que, « selon Vienne, il s’agit d’une réaction à la décision tchèque ».

    « Pays de transit »

    Comme on peut le voir dans une petite vidéo publiée sur le compte Twitter du ministère, le ministre de l’Intérieur tchèque a expliqué que « le but de cette mesure, qui ne fait plaisir à personne, n’est pas de compliquer la vie des citoyens tchèques et slovaques, mais de faire clairement comprendre aux groupes de passeurs qu’il y a là un obstacle ». Ce vendredi matin, l’agence de presse tchèque CTK annonçait que « la police de Moravie du Sud [la région qui sépare les deux pays] avait arrêté onze passeurs et découvert 247 migrants lors des vingt-quatre premières heures qui ont suivi l’introduction des contrôles ».

    Pour l’heure, ce renforcement le long des quelque 250 kilomètres de frontière n’est prévu que pour une durée de dix jours, alors que la Tchéquie, comme le souligne sur un ton toujours très critique SME, « n’est qu’un pays de transit vers l’Allemagne ».

    Dans un communiqué de presse publié en début de semaine, la police tchèque indiquait avoir interpellé près de 12 000 migrants clandestins, très majoritairement d’origine syrienne et en provenance de Turquie, depuis le début de l’année. « Soit une augmentation interannuelle de 1 200 % », selon le quotidien Lidové noviny, qui note aussi qu’il s’agit là « d’un chiffre plus élevé qu’au plus fort de la crise migratoire en 2015 ». À l’époque, les pays d’Europe centrale dans leur ensemble avaient été vivement critiqués pour leur manque de solidarité avec les autres États européens quant à la répartition des réfugiés.

    Frontières de l’UE

    « La Slovaquie respecte la décision de la Tchéquie. Cependant, Bratislava souhaite que cette mesure soit discutée au niveau de l’Union européenne (UE), car la décision de Prague affecte également d’autres pays européens », a de son côté réagi le ministère de l’Intérieur slovaque. Comme on peut le lire sur le site Postoj.sk, celui-ci estime que l’adoption de cette mesure est d’abord la conséquence « d’une protection insuffisante des frontières extérieures de l’UE ». Autrement dit, vu de Bratislava, cela concerne essentiellement la frontière entre la Hongrie voisine et la Serbie. Selon l’Agence européenne de garde-frontières Frontex, cette voie d’entrée illégale dans l’espace Schengen n’a jamais été aussi active depuis six ans.

    Moins diplomate, le Premier ministre slovaque, Eduard Heger, a critiqué la Tchéquie, estimant que « ce n’est pas une façon de faire », comme le relève Dennik N. Dans le même quotidien, le président de la police slovaque reconnaît toutefois « ne pas avoir la capacité et les moyens de faire face aux migrants », tandis qu’un commentateur du journal Pravda, qui considère la décision tchèque comme « la sonnerie du réveil », regrette, lui, que « le ministère de l’Intérieur [ait] trop longtemps dormi si profondément ».

    https://www.courrierinternational.com/article/migrations-face-au-retour-des-syriens-la-tchequie-renforce-le

    #contrôles_frontaliers #frontières #asile #migrations #réfugiés #route_des_Balkans #réfugiés_syriens #contrôles_policiers #fermeture_des_frontières #Balkans

  • Google Stadia to shut down in January 2023
    https://www.gamedeveloper.com/the-cloud/google-stadia-to-shut-down-in-january-2023

    Google Stadia is ending service in January 2023, though its cloud streaming technology will be used in other areas of the Google business.

    Stadia owners want Google to help controller survive shut down
    https://www.gamedeveloper.com/business/google-is-being-asked-to-expand-wireless-support-for-stadia-controlle

    A growing number of Stadia owners are asking Google to ensure the Stadia Controller can be used once the platform have been shut down.

    Red Dead Redemption 2 fan with nearly 6,000 hours on Stadia begs Rockstar for character transfer | GamesRadar+
    https://www.gamesradar.com/red-dead-redemption-2-fan-with-nearly-6000-hours-on-stadia-begs-rockstar

    A Red Dead Redemption player with almost 6,000 hours logged on Google Stadia is begging Rockstar to allow character transfers after the news of the service’s closure.

    A message about Stadia and our long term streaming strategy
    https://blog.google/products/stadia/message-on-stadia-streaming-strategy

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #business #google #fermeture #fin #stadia #google_stadia #cloud_gaming #gaas #sundar_pichai #contrôleur #ihm #jeu_vidéo_red_dead_redemption_2 #rockstar_games #transfert

  • EU to provide €80 million to Egyptian coast guard

    The European Commission has confirmed that €23 million will be allocated in 2022 and €57 million in 2023 to provide equipment and services to Egyptian authorities for “search and rescue and border surveillance at land and sea borders”.

    Following a Parliamentary question (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2022-002428_EN.html) submitted by MEPs Erik Marquardt and Tineke Strike (of the Greens), the Commission stated that while it is “developing an action in support of border management… in close coordination with Egyptian authorities… no overview of equipment or services to be delivered to Egyptian authorities is available at this stage.” (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2022-002428-ASW_EN.html)

    Responding to Marquardt and Strik’s concern over the “dire human rights situation in Egypt,” and the fact that this funding will go towards preventing Egyptians, 3,500 of whom have fled the country to Italy since January last year, from being able to exercise their right to leave their country, the Commission states that it:

    “...stands ready to support Egypt in maintaining its capacity to prevent irregular migration by sea, as well as to strengthen the control of its border with Libya and Sudan. This is of particular importance in light of the six-fold increase of irregular arrivals of Egyptian nationals to the EU in 2021 (9 219), of which over 90% to Italy, mostly via Libya.

    An ex ante risk assessment will be conducted and monitoring will take place throughout the action to ensure that it does not pose any threats to the respect of international human rights standards and the protection of refugees and migrants."

    The two paragraphs would appear to directly contradict one another. No answer was given as to what indicators the Commission will use to ensure compliance with Article 3(5) of the Treaty of the European Union on upholding and promoting human rights.

    Commenting on this response, Erik Marquardt states:

    "The commission wants ’to prevent irregular migration by sea’. Therefore, they are willing to work together with the Egyptian military-regime. The European Union should not cooperate with the Egyptian Coast Guard in order to prevent people from fleeing. We should use the tax payers money to prevent suffering and to support people in need of international protection - not to build a fortress europe

    “The Commission needs to tell us what exactly the €80 million are going to be spend on. We need to know if the funds will be used to buy weapons and see how exactly they plan to prevent people from fleeing. In Libya, we saw how funds were used to arm militias, we cannot let something similar happen again.”

    The €80 million allocation for border control makes up part of a €300 million total in short and long-term EU funding for Egypt.

    Après les #gardes-côtes_libyens... les #gardes-côtes_égyptiens

    #EU #UE #union_européenne #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #Méditerranée #mer_Méditerranée #externalisation #Egypte #financement

    ping @isskein @karine4 @_kg_

  • Classer pour dominer [et réprimer] : petite Histoire critique du fichage en France | LQDN | 07.09.22

    https://www.laquadrature.net/2022/09/07/classer-pour-dominer-petite-histoire-critique-du-fichage-en-france

    Qui c’est les plus forts ? Évidemment c’est les Bleus !

    Finalement abandonné face à la controverse, le projet SAFARI déboucha sur une commission d’enquête qui donna naissance à la Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL) et à la loi Informatique et Libertés du 6 janvier 1978, socle de la protection des données personnelles encore en vigueur aujourd’hui. Au-delà de la création d’un encadrement juridique, cet épisode marque une amorce de politisation sur le sujet. Cette réflexion avait d’ailleurs débuté avant ce scandale, le directeur du « service des écoles et techniques » mentionné plus haut écrivait lui-même en 1969 :

    « La mise en mémoire d’un certain nombre de données n’est-elle pas attentatoire à la liberté et même à la dignité de l’homme ? Ne présente t-elle pas des dangers si nous connaissons à nouveau comme naguère la férule d’un État totalitaire, le joug d’une police politique orientée non vers le maintien de l’ordre public, la prévention et la répression des crimes, mais vers l’asservissement des citoyens libres, privés par une minorité de leurs moyens d’expression ? Le problème vaut qu’on y réfléchisse longuement et profondément ».

    [sauf que]

    Malheureusement ce ne fut pas le cas, ces pratiques d’identification de surveillance étant probablement bien trop ancrées dans les rouages de l’institution policière.

    Dès les années 1980, avec la généralisation des ordinateurs, la police commençait à collecter des informations de façon massive et désordonnée. Plutôt que de limiter ces pratiques, il fut au contraire décidé de rationaliser et d’organiser cette quantité de données au sein de fichiers centralisés pour en tirer une utilité. C’est dans ce contexte qu’est apparue l’idée du fichier STIC (Système de traitement des infractions constatées), visant à intégrer toutes les informations exploitées par les services de police dans une seule et même architecture, accessible à tous les échelons du territoire. Finalement mis en œuvre et expérimenté dans les années 1990, le fichier STIC cristallisa de nombreuses tensions entre le Ministère de l’Intérieur et la CNIL qui durent négocier pendant plusieurs années afin d’en fixer le cadre légal. Si la CNIL a obtenu des garanties dans un accord à l’arrachée en 1998, cette victoire a paradoxalement signé la fin de son influence et de sa légitimité. En effet, dans les années qui suivirent, toutes les réserves qu’elles avait pu obtenir ont été ostensiblement bafouées. Mais surtout, cette longue bataille qui avait concrètement ralenti et empêché le développement du fichier souhaité par le Ministère poussa le gouvernement à supprimer par la suite le pouvoir d’autorisation attribué à la CNIL afin de ne plus être gêné dans ses projets. C’est pourquoi, en 2004, la modification de la Loi pour la confiance dans l’économie numérique (LCEN) acta la suppression du pouvoir de contrainte de la CNIL pour le transformer en simple avis consultatif. Cela signifie qu’elle ne dispose plus de l’autorité nécessaire pour empêcher ou limiter la création de fichiers de police par le gouvernement. Cette modification législative marque un tournant dans le droit des fichiers et des données personnelles ainsi que dans la pratique policière. Les garde-fous ayant sauté, l’espace politique pour parvenir à une surveillance massive se libère, les limites légales devenant purement cosmétiques.

    #chassez_le_naturel

  • La professeure Lieutenant-Duval soutient qu’elle ignorait le caractère délicat du mot en n Boris Proulx et Étienne Lajoie - Le Devoir
    https://www.ledevoir.com/societe/751533/la-professeure-lieutenant-duval-plaide-qu-elle-ignorait-la-sensibilite-du-

    Faute de suivre l’actualité, la chargée de cours Verushka Lieutenant-Duval n’était pas au courant du caractère délicat du mot en n avant de le mentionner en classe en septembre 2020, dit-elle. L’Université d’Ottawa l’a ensuite prestement suspendue sans prendre la peine de visionner l’enregistrement de la discussion.

    « J’étais concentrée sur mon objet d’étude. Je n’écoute pas la télévision. J’écoute la radio, mais je ne suis pas les réseaux sociaux. Je n’ai pas d’enfant, donc je ne suis pas trop au courant de ce qui se passe chez les jeunes. […] Je suis dans un milieu fermé, dans ma petite bulle », s’est défendue Mme Lieutenant-Duval mercredi.


    Archives iStockphoto Des étudiants sur le campus de l’Université d’Ottawa

    Elle comparaissait lors d’une séance publique d’arbitrage organisée dans le sous-sol d’un hôtel de la capitale fédérale. Les six journalistes présents à la séance étaient tous francophones.

    La professeure à temps partiel — il s’agit du titre donné aux chargés de cours en Ontario — a déposé deux griefs contre l’Université d’Ottawa en raison des commentaires formulés par l’établissement et la suspension qu’on lui a imposée.

    « Je suis sincère quand je dis ça, je ne savais pas », a-t-elle répété, soulignant que son milieu, en français, « n’avait pas l’habitude de censurer certains mots ».

    La chargée de cours et étudiante au doctorat de 45 ans a notamment raconté son parcours universitaire sans faute, où elle a cumulé les succès jusqu’à ce qu’elle prononce en entier — et en anglais — le mot en n, qui, en rendant certains étudiants mal à l’aise et en provoquant un scandale, compromet maintenant son rêve de décrocher un véritable poste de professeure d’université.

    Les événements se sont rapidement bousculés entre cette première déclamation du mot honni, lors du deuxième cours de la session d’automne 2020 sur la plateforme Zoom, le 23 septembre, et sa suspension avec solde le 2 octobre. Entre-temps, la professeure avait envoyé un courriel d’excuses à une étudiante choquée par ses propos et avait suggéré d’avoir une discussion approfondie concernant l’utilisation du mot lors du cours suivant, le 30 septembre.

    Critiquée sans avoir fourni sa version des faits  
    Au moment de la suspension, une seule plainte officielle avait été déposée par une étudiante, en plus d’une dénonciation sur Twitter par une autre. La professeure a été critiquée pour avoir dit que d’autres professeurs blancs faisaient usage du mot.

    Cette défense a choqué au moins 6 étudiants sur les 47 inscrits au cours, dont les deux premières dénonciatrices. Ils ont cosigné une déclaration à la faculté selon laquelle ils se sentaient « inconfortables » et « en danger » en cas de retour en classe de Mme Lieutenant-Duval après sa suspension.

    Bien que la discussion du 30 septembre sur Zoom fût enregistrée, l’Université d’Ottawa n’a jamais cru bon faire la demande des fichiers vidéo pour les examiner avant dimanche dernier. L’enregistrement, diffusé lors de l’audience publique d’arbitrage, témoigne d’un débat d’idées bref et poli sur la question de la pertinence de l’utilisation du mot en n dans un contexte pédagogique.

    Après la publication d’un article sur l’affaire dans le journal étudiant anglophone de l’Université d’Ottawa, cette dernière a publiquement dénoncé le choix de mots de Mme Lieutenant-Duval, le qualifiant de « langage offensant et complètement inacceptable dans nos salles de classe et sur le campus », et ce, avant même d’avoir obtenu sa version des faits.

    « Je n’en crois pas mes yeux, j’ai l’impression d’être dans un cauchemar, je n’ai pas l’impression d’être au Canada. […] Encore aujourd’hui, je n’arrive pas à comprendre pourquoi on ne m’a pas, au minimum, appelée pour me demander [ce qui s’est passé] », a indiqué la professeure.

    Avant même le début de la session universitaire, Verushka Lieutenant-Duval avait écrit dans son plan de cours que des sujets délicats allaient être abordés en classe, a-t-elle raconté mercredi.
     
    Elle avait invité ses étudiants à s’exprimer en cas de malaise, et avait même annulé la première séance pour permettre à ses étudiants de participer à une manifestation de Black Lives Matters qui tombait ce jour-là.

    Elle a détaillé devant l’arbitre Michelle Flaherty et les avocats de l’Université d’Ottawa comment, dans un cours sur le sujet de la représentation du genre dans les arts visuels, elle a voulu expliquer la réappropriation de certains mots, comme « queer ». Elle dit avoir fait la comparaison avec le mot en n, comme l’avait fait un chercheur dont elle a demandé de taire le nom « parce qu’il n’a pas encore été victime de la culture de l’annulation ».

    « Rectifier les faits »
    Il s’agissait de la deuxième journée de plaidoirie dans le dossier. Lundi, l’Université a maintenu qu’elle n’avait pas porté atteinte à la liberté universitaire.

    Deux griefs ont été déposés par la professeure Lieutenant-Duval. Dans le premier, elle soutient avoir été condamnée par l’établissement postsecondaire de façon prématurée, sans qu’une enquête soit faite. Le second porte sur des commentaires faits par l’établissement et son recteur, Jacques Frémont.

    L’objectif de ses démarches est d’obtenir une compensation financière pour « les souffrances » qu’elle a subies, en plus d’une « rectification des faits » qui lui permettrait de continuer sa carrière universitaire.

    D’après Luc Angers, le vice-président de la mobilisation des membres de l’Association des professeurs et professeures à temps partiel de l’Université d’Ottawa (APTPUO), les griefs ont une « importance capitale ».

    Tant devant le comité d’arbitrage que par voie de communiqué en novembre 2020, l’Université soutient que Verushka Lieutenant-Duval, qui est actuellement chargée de cours à l’UQAM et à l’Université de Sherbrooke, « n’a jamais été suspendue à des fins disciplinaires » et qu’elle avait plutôt été suspendue de manière administrative, avec salaire, pendant une journée ouvrable.

    « L’Université d’Ottawa a été en mesure d’envoyer un communiqué de presse au journal étudiant, de répondre aux courriels des étudiants condamnant la professeure en question avant même de lui avoir parlé. Après, l’Université a laissé croire qu’elle avait contribué à la tempête médiatique », a dénoncé l’avocat de l’APTPUO, Wassim Garzouzi, qui représente Mme Lieutenant-Duval.

    Les événements entourant la suspension de la professeure — en plus des commentaires sur les réseaux sociaux de son collègue Amir Attaran — ont mené à la formation en avril 2021 d’un comité sur la liberté universitaire à l’Université d’Ottawa. Dans un rapport d’une quarantaine de pages déposé en novembre dernier, le comité avait déclaré ne pas être favorable « à la censure institutionnelle ni à l’autocensure quand elle est susceptible de compromettre la diffusion des savoirs ».

    Les parties devraient être de retour devant l’arbitre au plus tard le 1er décembre.

    #violences et #débilité dans les #universités du #canada à #ottawa #censure #autocensure #savoirs #harcèlement #chasse_aux_sorcières pseudo #antiracisme #art_négre #réseaux_sociaux

    • Pour se re faire une virginité suite aux massacres des peuples autochtones qu’elle n’a jamais vu, l’université canadienne va réhabiliter les bûchers, de préférence pour les femmes, en cas d’utilisation du mot « nègre » , le mot en N. interdit.

    • Des professeurs de l’Université Laval dénoncent des « abus » des comités d’éthique Anne-Marie Provost
      - Le Devoir

      https://www.ledevoir.com/societe/education/753498/universite-laval-des-professeurs-denoncent-des-abus-des-comites-d-ethique

      Des dizaines de professeurs de l’Université Laval (UL) affirment être victimes de restrictions abusives de la part des Comités d’éthique de la recherche de l’Université Laval (CERUL). Ils dénoncent devoir attendre très longtemps avant d’avoir le feu vert pour mener leurs projets de recherche, et estiment que l’approche « rigide et tatillonne » nuit aux possibilités de découverte, à l’avancement des connaissances, à la créativité et à la liberté universitaire.

      « Le désarroi des collègues, il est criant, laisse tomber Madeleine Pastinelli, responsable du dossier au Syndicat des professeurs et professeures de l’Université Laval (SPUL). Les comités iraient plus loin que ce que les règles demandent, et tout ce qui est original comme approche serait susceptible de coincer lors de l’évaluation éthique. »

      Le syndicat, qui représente près de 1300 professeurs, a mené une consultation récemment sur le sujet après avoir noté une hausse des plaintes dans les deux dernières années. Plus de 50 professeurs et directeurs de centres de recherche et de départements ont décrit de façon détaillée les embûches qu’ils vivent, dans un rapport qui fait état d’une situation « particulièrement alarmante et problématique ».

      Les professeurs et les étudiants des cycles supérieurs doivent déposer une demande à un CERUL quand leur recherche implique, par exemple, des sorties sur le terrain, la tenue d’entrevues ou l’utilisation d’animaux. Ces comités évaluent la méthodologie et appliquent les lois et cadres réglementaires en matière d’éthique, dans le but que soit atteint un équilibre entre les avantages de la recherche et la protection des participants.

      « Ce qui se dégage des témoignages, c’est que les comités éthiques semblent particulièrement tatillons et rigides, détaille Madeleine Pastinelli. Comme s’ils étaient dans une démarche qui visait uniquement à mettre l’université à l’abri de toute procédure. » Certains renoncent à des approches « qui sont pourtant reconnues comme scientifiquement valables, pertinentes, importantes et tout à fait acceptables sur le plan éthique ».

      Dans le rapport, une chercheuse rapporte avoir vu son projet de recherche bloqué parce qu’il comportait « des éléments qui pourraient causer des réactions politiques et pourraient nuire à l’image de l’Université Laval ». Presque tous ceux qui ont témoigné ont demandé l’anonymat, de peur que leurs confidences nuisent à leurs projets de recherche ainsi qu’à ceux de leurs étudiants.

      Denis Jeffrey, professeur titulaire et directeur du Centre de recherche interuniversitaire sur la formation et la profession enseignante, a été le seul à accepter de témoigner à visage découvert au Devoir . Il rencontre des problèmes pour la recherche sur le terrain, a-t-il expliqué dans un échange de courriels alors qu’il se trouvait à l’extérieur du pays.

      « On leur demande [aux comités] de jouer le jeu de douaniers scrupuleux. Et plusieurs jouent ce rôle sans distance critique », dénonce-t-il. Au point où il oriente ses étudiants vers des recherches sans terrain.

      Le fédéral interpellé
      Le SPUL a envoyé une lettre fin août aux présidents des trois conseils subventionnaires du gouvernement fédéral, responsables de l’Énoncé de politique qui balise le travail des comités d’éthique des universités, ainsi qu’aux directions des Fonds de recherche du Québec (FRQ).

      « Ce qu’on espère, c’est qu’ils interviennent en faisant un rappel à l’ordre », souligne Madeleine Pastinelli.

      Contactés par Le Devoir , les FRQ ont indiqué ne pas avoir de commentaires à faire, mais suivre le dossier de près. Les organismes fédéraux répondront quant à eux au syndicat dans les prochaines semaines.

      De son côté, une porte-parole a indiqué que l’UL était ouverte « au dialogue avec toutes les parties prenantes » et qu’elle accordait au rapport « toute l’attention nécessaire ». Les membres des comités « disposent des formations nécessaires au bon exercice de leurs fonctions », souligne Andrée-Anne Stewart.

      Elle rappelle que les CERUL sont dirigés par des professeurs actifs en recherche, et que plusieurs autres participent aux comités en tant que membres scientifiques.
       
      « L’application des règles éthiques est donc en grande partie entre les mains de professeurs, qui sont appuyés dans leurs tâches par un personnel administratif compétent et professionnel », dit-elle.

      #restrictions #éthique #conformisme #contrôle #Recherche #contrôle des #chercheurs et des #chercheuses #Quebec #censure

  • Le pouvoir du son : un entretien avec Juliette Volcler
    On a parfois le sentiment que la pensée critique tourne en rond. Que chaque petit détail de notre quotidien comme toute méga-structure institutionnelle ont déjà été décortiqués, analysés et contextualisés dans les régimes de pouvoir qui nous enserrent, nous calibrent, nous tiennent. Juliette Volcler vient justement prouver le contraire. Depuis plusieurs années, la chercheuse s’intéresse à une dimension du réel à la fois proche et omniprésente mais impensée : le son. Le son comme arme et ses usages policiers et militaires, le son comme dispositif de contrôle et de manipulation et plus récemment dans son dernier ouvrage paru à La Découverte , le son comme orchestration du quotidien. De la musique d’ascenseur, aux annonces de la SNCF, des publicités au maintien de l’ordre, Juliette Volcler raconte et explique comment nos oreilles sont elles aussi un champs de bataille.

    https://www.youtube.com/watch?v=BVDNg5P70yU

    • Le son comme arme. Les usages policiers et militaires du son

      « Lalafalloujah », tel est le surnom donné par les GI’s à la ville irakienne de Falloujah en 2004, alors qu’ils bombardaient ses rues de hard rock à plein volume. « C’était comme envoyer un fumigène », dira un porte-parole de l’armée états-unienne. Les années 2000 ont en effet vu se développer un usage répressif du son, symptomatique de la porosité entre l’#industrie_militaire et celle du divertissement, sur les champs de bataille et bien au-delà. Rap, metal et même chansons pour enfants deviennent des instruments de #torture contre des terroristes présumés. Des alarmes directionnelles servent de technologies « non létales » de #contrôle_des_foules dans la bande de Gaza comme lors des contre-sommets du G20, à Toronto et à Pittsburgh. Des #répulsifs_sonores éloignent des centres-villes et des zones marchandes les indésirables, adolescents ou clochards.
      L’enrôlement du son dans la #guerre et le #maintien_de_l’ordre s’appuie sur plus d’un demi-siècle de recherches militaires et scientifiques. La généalogie des #armes_acoustiques, proposée ici pour la première fois en français, est tout autant celle des échecs, des fantasmes et des projets avortés, que celle des dispositifs bien réels qui en ont émergé. Aujourd’hui, l’#espace_sonore est sommé de se plier à la raison sécuritaire et commerciale. Souvent relégué au second plan au cours du XXe siècle, celui de l’image, il est devenu l’un des terrains d’#expérimentation privilégiés de nouvelles formes de #domination et d’#exclusion. Et appelle donc de nouvelles résistances.

      https://www.editionsladecouverte.fr/le_son_comme_arme-9782707168856
      #livre #son #weaponization #police #armée #Juliette_Volcler #le_son_comme_arme #son_comme_arme

    • L’orchestration du quotidien. Design sonore et écoute au 21e siècle

      Qu’ont en commun le « taa dam tâ-dâm » d’une annonce de la SNCF, le « ting » de validation d’un titre RATP, le « tu-tû-du dûûûû » d’un certain opérateur de télécoms, mais aussi le « pop » d’ouverture d’un jus de fruit, le « clic » d’un tube de mascara de luxe ? Tous ces sons et environnements qui font partie de notre quotidien partagent le fait d’avoir été composés. Derrière leur grande disparité, ils relèvent de ce que l’on nomme le design sonore. Sous ses formes commerciales dominantes, ce dernier agit comme un révélateur des évolutions récentes du capitalisme. Lorsqu’il se fonde, bien plus rarement, sur une exigence d’utilité sociale, il peut en revanche devenir un outil d’émancipation.
      Pour appréhender les spécificités du design sonore, Juliette Volcler entrecroise des cultures industrielles généralement étanches les unes aux autres et tire des fils entre des époques, des pratiques, des secteurs ou des objets auparavant isolés. Optant pour une approche littéraire et subjective, elle applique l’exercice de la critique sonore à l’espace urbain comme à des boissons gazeuses, à des alarmes autant qu’à des installations artistiques. À travers le design sonore et son développement actuel comme outil d’ingénierie sociale se pose plus largement la question politique de l’écoute au 21e siècle. Cet ouvrage invite ainsi les lectrices et lecteurs à opérer un déplacement dans leur manière d’entendre le quotidien et à éveiller une écoute critique.

      https://www.editionsladecouverte.fr/l_orchestration_du_quotidien-9782348064715
      #design_sonore

      voir aussi :
      « Le design sonore rend désirable la malbouffe auditive », entretien avec Juliette Volcler
      https://seenthis.net/messages/965119

  • #Sémiologie : la #police dans l’épicentre de la #violence

    Compte tenu des preuves et des liens de ces mêmes #symboles avec les milieux extrémistes et violents, la négligence du gouvernement et de la hiérarchie s’accorde dans une résolution ; celle de l’acceptation de la violence et l’#extrémisme chez la police républicaine.

    Le pouvoir d’un symbole réside dans sa capacité à produire du sens et à communiquer ce sens. Loin d’être une entité floue, le sens réfère à quelque chose d’extérieur à soi, plus exactement un objet, qui devient existant par le truchement d’une relation interpersonnelle.

    C’est au travers d’une large panoplie de #signes, #insignes, symboles, #slogans, etc, que des policier·ères visiblement sans honte ni crainte de leur hiérarchie, affichent publiquement, leur amour de la violence, du thème de la vengeance, et parfois, du racisme, de la mort, voire des idéologies fascistes ou nazis.

    Dans le monde des images, certaines nous font sourire, d’autres nous font pleurer, provoquent le choc, la peur, l’incompréhension ou l’amour et l’espoir. La sémiologie a pour objectif de cerner le sens général qui se dégage quand on voit un logo, un insigne, et de prévoir les réactions sensorielles ou émotionnelles occasionnées.

    Les expert·es s’appuient sur le fait que les symboles ne viennent pas de nulle part, ils portent une histoire. Ces armoiries, logos, blasons, symboles, drapeaux, couleurs et formes, ont été depuis la nuit des temps, un moyen de communication, chargés d’une puissance conceptuelle mais aussi émotionnelle dont émanent valeurs éthiques et morales.

    La production et la circulation de formes symboliques constituent des phénomènes centraux dans la recherche en sciences sociales et les psychologues sociaux ont plus particulièrement étudié les processus par lesquels le sens est construit, renforcé et transformé dans la vie sociale.

    L’intérêt pour la fonction symbolique a permis l’émergence de nouveaux courants de recherche conceptuel et empirique dédiés à la compréhension de l’engagement des individus quand ils construisent du sens sur le monde dans lequel ils vivent et communiquent avec d’autres à ce sujet.

    Ces écussons, comme celui dans l’image suivante, en contact avec les citoyenne·s, se traduisent par un réflexe inconscient pour la majorité et un terrible constat pour les plus informés. D’une manière ou d’une autre, une signification se crée automatiquement, malgré la volonté de chacun·e.

    En rapport à la politique des symboles, chez le·a policier·ère tout est une représentation. Selon l’écrivain Arnaud-Dominique Houte "Au-delà de l’utilité pratique du costume, policiers et gendarmes affichent une prestance militaire qui renforce leur prestige. Mais ils montrent aussi qu’ils travaillent en toute transparence, en assumant leurs actes et en se plaçant au service du public". Le code vestimentaire du policier, son armement et sa posture font état d’une logique d’autorité et d’obéissance à la loi. Juger le port de ces écussons qui "appellent à la mort" comme inoffensifs ou insignifiants, comme l’excuse parfois la hiérarchie, révèle de la négligence politique. Si chaque interaction entre le public et la police "doit être conçue comme une expérience socialisatrice" contribuant à consolider la confiance et la légitimité de l’action policière, en quoi le port de tels symboles additionne un point positif à l’équation ?

    Devoir d’obéissance bafoué ou négligence de la hiérarchie ?

    La loi est précise. Néanmoins des policiers continuent à exhiber dans l’exercice de leurs fonctions et sur la place publique, leur affection aux "symboles repères" associés aux néo-nazis et à l’extrême droite. Au cours des dernières années, à plusieurs reprises, la police a été dans le collimateur de l’opinion publique consécutivement à la quantité importante de scandales qui ont émergés dans les médias et les réseaux sociaux. Comme pour les violences policières, de plus en plus de citoyens et de journalistes commencent à capter des images des insignes qui ornent parfois l’équipement de la police.

    Au large dossier des photos de cagoules/foulards tête-de-mort, écussons, tatouages, locutions, s’ajoutent les enquêtes de StreetPress ou Mediapart qui ont révélé, l’existence de groupes Facebook ou Whatsapp, où des policiers pour se divertir, nourrissent la violence virtuelle et propagent du racisme et du suprémacisme blanc à travers les réseaux sociaux. Le port de ces symboles pendant le temps de travail devient-il un prolongement des convictions politiques quotidiennes de certains policiers ?

    Selon la terminologie gouvernementale, ce sont des "signes faibles" d’une tendance vers "l’idéologie de la violence" qui s’intensifie dans la police et qui, coïncidence ou pas, s’aligne sur un mandat répressif, l’escalade de la violence, la logique punitive et liberticide. Une tendance politique favorisée et propagée par la Macronie ou des syndicats de police, synchrone aux logiques d’extrême droite, et qui malheureusement, modèle la doctrine des forces de l’ordre, ses intérêts et ses croyances. Enfin, elle matérialise un nouveau monde libéral, où légitimer la violence apparaît être plus qu’une nécessité mais une obligation.

    A la vue du défilé de scandales associés aux symboles d’extrême droite dans la police, il est difficile de croire que les policier·ères concerné·es puissent utiliser ces symboles par pure naïveté. Une simple recherche sur internet et il est possible de trouver facilement des informations qui attestent de l’utilisation de ces mêmes symboles par l’extrême droite, en France et notamment aux États-Unis. Frédéric Lambert, Professeur des universités et de l’Institut français de presse, également chercheur en Sémiologie et sémiotique des images d’information et de communication, nous explique très pragmatiquement que :

    « Les représentants de la loi et les professionnels qui doivent faire appliquer la loi, dont les policiers, travaillent pour l’État français. À ce titre, ils doivent porter les signes de l’institution qu’ils représentent, un uniforme réglementaire. Si certains policiers s’autorisent d’ajouter à leur tenue de service des signes qui ne sont pas autorisés, ils deviennent hors-la-loi eux-mêmes.

    Hélas cette dérive a pu s’observer en France, et l’on a vu des policiers municipaux porter le symbole du Punisher, héros de bande dessinée, puis insigne de certains groupe militarisés nazis, adopté par certains policiers aux États Unis. Deux remarques : les récits fictionnels envahissent nos réalités sociales, et il faudrait à ces policiers et à leur tutelle revenir dans la réalité de la justice sociale. La République française peut rêver mieux que de voir ses représentants porter des menaces en forme de tête de mort. Les signes au sein de la vie sociale sont bien trop importants pour que des policiers même municipaux s’en saisissent avec arrogance. »

    A chaque scandale, un rappel à la loi. Des policier·ères de différentes compagnies (police nationale, CRS ou BAC) se sont vus demander de respecter le code de déontologie et de retirer leurs écussons non-réglementaires. Néanmoins, malgré tous ces rappels et articles de presse, le Ministre de l’Intérieur et les préfets de police, n’arrivent pas à purger ces agents qui méprisent les principes de la neutralité politique.

    Le ministère de l’Intérieur Christophe Castaner en 2018, interpellé par Libération, au sujet d’un écusson ΜΟΛΩΝ ΛΑΒΕ, du grec - "viens prendre" sur l’uniforme d’un policier, clarifie.

    « Le RGEPN (règlement de la police nationale, ndlr) prohibe le port sur la tenue d’uniforme de tout élément, signe, ou insigne, en rapport avec l’appartenance à une organisation politique, syndicale, confessionnelle ou associative. On ne sait pas à quelle référence l’insigne renvoie, mais il ne devrait pas figurer sur l’uniforme du CRS. »

    Ces dérives ne devraient pas exister. Cependant, depuis 2018, nous avons recensé plus d’une vingtaine de cas où les policiers affichent explicitement des insignes, signes, drapeaux, cagoules ou écussons à têtes de mort, tee-shirts BOPE (Batalhão de Operações Policiais Especiais - Brazil), etc ; symboles de référence majoritairement chez l’extrême droite, mais aussi chez les nationalistes, intégristes, militaristes, hooligans, etc.

    La tête de mort Punisher, le Totenkopf moderne.

    Le Punisher est un héros issu des comics Marvel, ancien soldat du corps des Marines, consumé par le désir de vengeance suite à l’assassinat de sa famille dans le Central Park. Il fut créé par le scénariste Gerry Conway en 1974.

    Le crâne ou tête-de-mort, a été utilisé dans plusieurs domaines depuis la Grèce antique soit dans le milieu littéraire, où il était associé à la sagesse, ou dans le milieu médical, funèbre, etc. L’un des premiers récits enregistré du "crâne et des os croisés" remonte à l’histoire militaire allemande et à la guerre de Trente Ans, lorsque les soldats bavarois, connus sous le nom "d’Invincibles", portaient des uniformes noirs avec des Totenkopfs blancs sur leurs casques.

    La tête-de-mort sera utilisée ainsi par les forces militaires allemandes à partir du XVIIe siècle jusqu’aux Nazis, où elle sera reconnue comme un "symbole de terreur", inscrit dans l’histoire de la Seconde Guerre mondiale.

    Dans un monde belliqueux dédié à la violence et à la mort, les symboles qui visent à inspirer la peur, l’horreur et la terreur, passent de main en main, d’époque en époque, et se répandent dans les forces militaires en guerre partout dans le monde.

    Le surprenant by-pass est que les forces militaires post-WorldWar II (en ce qui touche le War-Comics comme source de moral pour le troupes), éviteront de s’inspirer directement de la Totenkopf Nazie "crâne et des os croisés" étant donnée la charge historique ; mais le feront sous la forme de la tête-de-mort symbole du Punisher. Un malheureux choix, car elle aussi s’inspire de la Totenkopf Nazie, comme l’a révélé le magazine Forbes dans l’article :The Creator Of ‘The Punisher’ Wants To Reclaim The Iconic Skull From Police And Fringe Admirers.

    Parallèlement, la tête de mort nazie, continuera à être utilisé par des groupuscules extrémistes de droite et néo-nazis aux États-Unis, comme l’a démontré l’organisation ADL (Anti-Defamation League, créée 1913) dans une de ses enquêtes Bigots on Bikes-2011.

    Ce processus de récupération des symboles des personnages DC Comics et Marvel par des forces militaires pendant les guerres d’Irak et d’Afghanistan, appelés "Morale Patches non-réglementaires", fascine et donne encore aujourd’hui lieu à des thèses et des mémoires universitaires.

    Dans une étude pour la Loyola University of Chicago, Comics and Conflict : War and Patriotically Themed Comics in American Cultural History From World War II Through the Iraq War ; Cord A. Scott, cerne le moment ou la tête de mort Punisher commence à décorer les uniformes militaires pendant la guerre en Irak.

    (en 2003, NDLR), une unité de Navy SEAL en Irak a conçu des patchs avec l’emblème du crâne au centre, avec le slogan “God will judge our enemies we’ll arrange the meeting – Dieu jugera nos ennemis, nous organiserons la réunion.” Cela était cohérent avec le rôle original du personnage : comme une arme pour punir les coupables de leurs crimes contre la société, une mission qui reste la même qu’ils soient mafieux ou fedayin.

    Au fil de l’histoire, l’utilisation de la tête-de-mort Punisher ne se restreint pas aux forces militaires mais, au contraire, elle va se propager d’abord chez l’extrême droite puis dans la police américaine.

    Le phénomène s’extrapole en Europe vers 2010 et les premières photos de policier·ères français·es portant la tête de mort, datent de 2014, à Nantes. Cependant, des dizaines de policier·ères furent photographié depuis, affichant l’écusson, des foulards ou t-shirts avec la tête-de-mort Punisher.

    Récemment, dans une interview pour le Huffingtonpost, Gerry Conway l’auteur du comic Punisher, regrette le fait que cet insigne soit utilisé par les forces de police en France. Il explique pourquoi :

    “C’est assez dérangeant pour moi de voir les autorités porter l’emblème de ‘Punisher’ car il représente l’échec du système judiciaire. Ce symbole, c’est celui de l’effondrement de l’autorité morale et sociale. Il montre que certaines personnes ne peuvent pas compter sur des institutions telles que la police ou l’armée pour agir de manière juste et compétente”.

    Il est important de reconnaitre que la symbolique derrière ces insignes est très méconnue d’une grande partie de la population. Dans une situation où la police intervient, le calme, le respect et la neutralité religieuse, politique, de genre, sont des valeurs exigées pour éviter l’escalade de la violence. Lorsqu’un·e citoyen·ne face à la police aperçoit une tête-de-mort sur la tenue d’uniforme du policier et la locution « Le pardon est l’affaire de Dieu - notre rôle est d’organiser la rencontre » , que peut-ielle interpréter ? Une menace, un appel à la mort ?

    Le port de cet écusson bafoue le principe constitutionnel de neutralité auquel sont astreints tous les agents publics, ainsi que le code de la sécurité intérieure, lequel précise à son article R515-3 : « Les agents de police municipale s’acquittent de leurs missions dans le respect de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen, de la Constitution, des conventions internationales et des lois. ». De plus,L’affirmation « nous organisons la rencontre » est extrêmement inquiétante.

    Notre histoire, nos symboles, le ressort du repli identitaire.

    Le rapprochement entre la tête-de-mort Punisher et l’ancienne locution du commandant Arnaud-Amalric en 1209, " Tuez-les. Le Seigneur connaît ceux qui sont les siens", reprise et modifiée en "Dieu jugera nos ennemis, nous organisons la rencontre" n’est pas une coïncidence. Ces deux cultures qui semblent complètement éloignées, s’unissent dans un univers commun, celui du suprémacisme blanc, du nationalisme, du pan-européanisme et de la guerre des religions.

    Retrouvé, le fil perdu, l’histoire de ce "Morale Patche" Punisher avec sa locution qui fait référence aux croisades, se construit d’abord par la croissante islamophobie après les attentats de 2001 en Amérique. Puis il se matérialise pendant les incursions militaires en Irak et en Afghanistan. Dans l’image suivante, issue du magazine 1001mags-2009-Afganistan 2005, une panoplie d’écussons racistes, suprémacistes, font revivre à nouveau les croisades au Moyen Orient.

    L’affection identitaire aux Templiers et l’éloge des croisades catholiques au cœur de l’extrême droite sont bien connus. L’aspect inquiétant et qui semble de plus en plus une preuve que l’extrême droite s’investit dans les rangs policiers se dessine lorsque que nous corroborons que les deux idolâtrent les mêmes symboles.

    La dernière tragédie qui a frappé les agents de la paix doit sans l’ombre d’un doute interroger le Ministre de l’Intérieur sur l’utilisation de ce type de écussons. Un templier sur le bras d’un policier et un homme qui les attaque et leur crie "Allah Akbar", ne sont pas une pure coïncidence. La hiérarchie de police est responsable pour ce genre de dérives.

    A Paris, un agent de la BAC se balade comme un gangster à côté des manifestants, avec son holster super personnalisé et son tatouage représentant le bouclier du Captain America. Ce dernier renvoie d’abord à l’identité chrétienne puis au nationalisme. Historiquement, les guerriers Templiers ont anéanti la menace musulmane en Europe et au Moyen-Orient et ont permis au christianisme de se renouveler. Mais, ce policier ignore-t-il que les croisades ont fauché quelques 3.000.000 de vies en près de 200 ans ? Les croisades sont-elles vraiment un événement à glorifier et faire valoir dans la police ? Sommes-nous là devant un policier islamophobe ?

    A Marseille à l’été 2019, un autre policier de la BAC, qui au-delà de porter ses grenades (CS et GMD) dans les poches arrières de son pantalon, de manière non-réglementaire, exhibe ses tatouages. Le tatouage sur son bras droit est un des symboles les plus connus du christianisme, le Chrisme ("le Christ") avec l’Α-Alpha et l’Ω-Omega (le Christ est le début et la fin).

    Lorsqu’un.e citoyen.ne face à la police aperçoit le holster avec un guerrier templier, ou des tatouages chrétiens, cela peut être choquant et déclencher la peur. Encore pire, pour les communautés musulmanes en France, les réfugié·es, les sans-papiers, les gens du voyage, souvent victimes de contrôles au faciès par la police.

    Pour conclure ce sujet, qu’il s’agisse des Templiers ou du Punisher, tous deux exacerbent la violence, la vengeance, la suprématie blanche, des valeurs religieuses et l’éthique occidentale. Un code de conduite qui a été dans l’histoire imposé au monde à travers la violence, la mort, la colonisation et évidemment l’assimilation. En fin de compte, la grande question reste : quel est l’objectif de ces forces de l’ordre qui portent ces symboles dans la police républicaine ?

    Spartiates, les gardiens de la paix se trompent

    Ces agents de la police aveuglé·es par le repli identitaire, deviennent des Templiers mais aussi des Spartiates. Le "Force et Honneur" répondant à l’inspiration romaine, le “si vis pacem para bellum”, le ΜΟΛΩΝ ΛΑΒΕ et d’autres slogans repris depuis longtemps par l’extrême droite, débordent au sein de la police. D’autres agents arborent aussi la fleur de lys, symbole de la monarchie française et de la chrétienté.

    Pendant l’année de 2018, plusieurs symboles associés à l’Antiquité seront identifiés sur la tenue d’uniforme de policier·ères. En mai, sur une photo du journaliste Taha Bouhafs, on voit un CRS qui décore son uniforme avec l’insigne, ΜΟΛΩΝ ΛΑΒΕ, du grec - "viens prendre", référence à la bataille des Thermopyles. Un insigne, comme le "Lambda", très en vogue chez les groupuscules d’extrême droite comme la "Génération Identitaire".

    Dans le cas des écussons décorés avec le casque spartiate et qui définissent les unités d’intervention, ils sont pour la plupart réglementés et autorisées par les services de police. L’amalgame est plus insidieux, puisque le casque spartiate est utilisé en Grèce par les forces militaires, mais aussi par la police depuis plusieurs siècles. Le problème que pose l’utilisation de ce symbole nationaliste est que ces signes et insignes sont devenues depuis une cinquantaine d’années des slogans du lobby pro-arme américain, le symbole de milices, mais est aussi très répandu dans l’extrême droite haineuse.

    Le portrait plus angoissant et pervers de cet amour aux symboles est la violence que va avec. La hiérarchie se trompe et les gardiens de la paix aussi, quand ils acceptent de porter ce genre de symboles sans les questionner.

    La création de l’uniforme et des insignes, avaient comme objectif primaire le renforcement de l’image sociale et psychologique des anciens Sergents ou la Maréchaussée, et à partir du XIXe siècle des policiers, dans l’office de la répression et obéissance à la loi. Porter un écusson du roi était un symbole d’autorité, de la même façon que porter la Totenkopf dans le nazisme aspirait à la terreur.

    L’insigne officiel d’une des compagnies présentes le jour où les lycéen·nes de Mantes la Jolie ont été mis à genoux, portait l’écusson avec le casque spartiate. Effectivement, on parle de violence et de punition "in situ ", valeurs très éloignées de l’idée de gardien de la paix.

    Sur Checknews de Libération, au sujet du casque spartiate : “Rien d’étonnant à cela, puisque selon la préfecture des Yvelines, il s’agit « depuis très longtemps » de l’insigne officiel de la CSI (compagnie de sécurisation et d’intervention) du département, qui est intervenue hier. « C’est une compagnie de maintien de l’ordre, ils travaillent parfois avec des casques. Ils ont un casque sur leur uniforme, quel est le problème ? », dit la préfecture.”

    Un autre article du Figaro, Une petite ville bretonne s’inquiète d’une possible réunion néonazie, qui touche le sujet des franges radicales de l’extrême droite, identifie le même casque spartiate comme symbole de la “division nationaliste“.

    En Amérique, le mouvement suprémaciste blanc Identity Evropa, n’échappe pas au scan de PHAROS. Lors des manifestations de Berkeley en avril 2017, la plate-forme colaborative PHAROS (espace où les érudits et le public en général, peuvent s’informer sur les appropriations de l’antiquité gréco-romaine par des groupes haineux) explique que ces symboles sont utilisés par “les partisans de la théorie du « génocide blanc », soutenant des opinions anti-gay, anti-immigrés, antisémites et anti-féministes”., sont les mêmes symboles ou le même drapeau raciste “confédéré” affiché par des agents de police en France.

    Si dans le passé ces écussons spartiates avaient un sens, aujourd’hui leur utilisation parait complètement réactionnaire, et même dangereuse. Permettre que ce genre de concepts violents soit associé au travail des "gardiens de la paix" reflète un énorme manque de respect pour la profession, mais aussi pour la population française.

    Compte tenu des preuves et des liens de ces mêmes symboles avec les milieux extrémistes et violents, la négligence du gouvernement et de la hiérarchie s’accorde dans une résolution ; celle de l’acceptation de la violence et de l’extrémisme au sein de la police républicaine.

    Article sur : https://www.lamuledupape.com/2020/12/09/semiologie-la-police-dans-lepicentre-de-la-violence

    https://blogs.mediapart.fr/ricardo-parreira/blog/091220/semiologie-la-police-dans-l-epicentre-de-la-violence

    #vengeance #mort #tête_de_morts #racisme #fascisme #nazisme #écussons #signification #politique_des_symboles #légitimité #confiance #loi #code_vestimentaire #symboles_repères #néo-nazis #extrême_droite #suprémacisme_blanc #signes_faibles #idéologie #forces_de_l'ordre #France #dérive #Punisher #CRS #BAC #police_nationale #déontologie #neutralité_politique #uniforme #ΜΟΛΩΝ_ΛΑΒΕ #RGEPN #dérives #Batalhão_de_Operações_Policiais_Especiais (#BOPE) #Totenkopf #Marvel #Gerry_Conway #crâne #peur #horreur #terreur #Anti-Defamation_League (#ADL) #Morale_Patches_non-réglementaires #escalade_de_la_violence #Templiers #croisades #Captain_America #tatouages #Chrisme #Α-Alpha #Ω-Omega #contrôles_au_faciès #Spartiates #Force_et_Honneur #slogans #Lambda #génération_identitaire #nationalisme

    ping @karine4

    déjà signalé en 2020 par @marielle :
    https://seenthis.net/messages/890630

  • Albanian police could be brought to UK to help stop Channel crossings

    Albania has offered senior law enforcement support to the UK to provide authorities with intelligence and to help processing and removals.

    https://news.sky.com/story/albanian-police-could-be-brought-to-uk-to-help-stop-channel-crossings-1268

    –-> Comment appeler ce processus ? #Externalisation_interne ?
    Comme suggéré par Charles Heller et Lorenzo Pezzani dans ce papier sur les pratiques de non-assistance ?

    “The Dublin Convention thus came to operate for northern EU states as the internal dimension of the policies of externalisation that were being applied outside the EU: a policy of internal externalization through which an inner rim of control was erected in order to select and control migrants’ movements.”

    http://nearfuturesonline.org/ebbing-and-flowing-the-eus-shifting-practices-of-non-assistance-a

    #Albanie #UK #Angleterre #Manche #La_Manche #frontières #contrôles_frontaliers #militarisation_des_frontières #police #police_albanaise #réfugiés_albanais #migrants_albanais

    ping @isskein @karine4

  • Summer Body, ou l’injonction toxique du corps parfait
    https://www.blast-info.fr/emissions/2022/summer-body-ou-linjonction-toxique-du-corps-parfait-hrcWC46pSueZBCWgYKMKm

    Sur les réseaux sociaux, on trouve de nombreux défis comme #summerbodychallenge ou encore le très célèbre #objectifbikini qui vous enjoignent à travailler pour arborer un corps parfait à la plage. Une injonction présente dans la publicité, la presse, les…

    #Contrôle #Femmes #Publicité
    https://static.blast-info.fr/stories/2022/thumb_story_list-summer-body-ou-linjonction-toxique-du-corps-parfa

  • « Les #réfugiés sont les #cobayes des futures mesures de #surveillance »

    Les dangers de l’émigration vers l’Europe vont croissant, déplore Mark Akkerman, qui étudie la #militarisation_des_frontières du continent depuis 2016. Un mouvement largement poussé par le #lobby de l’#industrie_de_l’armement et de la sécurité.

    Mark Akkerman étudie depuis 2016 la militarisation des frontières européennes. Chercheur pour l’ONG anti-militariste #Stop_Wapenhandel, il a publié, avec le soutien de The Transnational Institute, plusieurs rapports de référence sur l’industrie des « #Safe_Borders ». Il revient pour Mediapart sur des années de politiques européennes de surveillance aux frontières.

    Mediapart : En 2016, vous publiez un premier rapport, « Borders Wars », qui cartographie la surveillance aux frontières en Europe. Dans quel contexte naît ce travail ?

    Mark Akkerman : Il faut se rappeler que l’Europe a une longue histoire avec la traque des migrants et la sécurisation des frontières, qui remonte, comme l’a montré la journaliste d’investigation néerlandaise Linda Polman, à la Seconde Guerre mondiale et au refus de soutenir et abriter des réfugiés juifs d’Allemagne. Dès la création de l’espace Schengen, au début des années 1990, l’ouverture des frontières à l’intérieur de cet espace était étroitement liée au renforcement du contrôle et de la sécurité aux frontières extérieures. Depuis lors, il s’agit d’un processus continu marqué par plusieurs phases d’accélération.

    Notre premier rapport (https://www.tni.org/en/publication/border-wars) est né durant l’une de ces phases. J’ai commencé ce travail en 2015, au moment où émerge le terme « crise migratoire », que je qualifierais plutôt de tragédie de l’exil. De nombreuses personnes, principalement motivées par la guerre en Syrie, tentent alors de trouver un avenir sûr en Europe. En réponse, l’Union et ses États membres concentrent leurs efforts sur la sécurisation des frontières et le renvoi des personnes exilées en dehors du territoire européen.

    Cela passe pour une part importante par la militarisation des frontières, par le renforcement des pouvoirs de Frontex et de ses financements. Les réfugiés sont dépeints comme une menace pour la sécurité de l’Europe, les migrations comme un « problème de sécurité ». C’est un récit largement poussé par le lobby de l’industrie militaire et de la sécurité, qui a été le principal bénéficiaire de ces politiques, des budgets croissants et des contrats conclus dans ce contexte.

    Cinq ans après votre premier rapport, quel regard portez-vous sur la politique européenne de sécurisation des frontières ? La pandémie a-t-elle influencé cette politique ?

    Depuis 2016, l’Europe est restée sur la même voie. Renforcer, militariser et externaliser la sécurité aux frontières sont les seules réponses aux migrations. Davantage de murs et de clôtures ont été érigés, de nouveaux équipements de surveillance, de détection et de contrôle ont été installés, de nouveaux accords avec des pays tiers ont été conclus, de nouvelles bases de données destinées à traquer les personnes exilées ont été créées. En ce sens, les politiques visibles en 2016 ont été poursuivies, intensifiées et élargies.

    La pandémie de Covid-19 a certainement joué un rôle dans ce processus. De nombreux pays ont introduit de nouvelles mesures de sécurité et de contrôle aux frontières pour contenir le virus. Cela a également servi d’excuse pour cibler à nouveau les réfugiés, les présentant encore une fois comme des menaces, responsables de la propagation du virus.

    Comme toujours, une partie de ces mesures temporaires vont se pérenniser et on constate déjà, par exemple, l’évolution des contrôles aux frontières vers l’utilisation de technologies biométriques sans contact.

    En 2020, l’UE a choisi Idemia et Sopra Steria, deux entreprises françaises, pour construire un fichier de contrôle biométrique destiné à réguler les entrées et sorties de l’espace Schengen. Quel regard portez-vous sur ces bases de données ?

    Il existe de nombreuses bases de données biométriques utilisées pour la sécurité aux frontières. L’Union européenne met depuis plusieurs années l’accent sur leur développement. Plus récemment, elle insiste sur leur nécessaire connexion, leur prétendue interopérabilité. L’objectif est de créer un système global de détection, de surveillance et de suivi des mouvements de réfugiés à l’échelle européenne pour faciliter leur détention et leur expulsion.

    Cela contribue à créer une nouvelle forme d’« apartheid ». Ces fichiers sont destinés certes à accélérer les processus de contrôles aux frontières pour les citoyens nationaux et autres voyageurs acceptables mais, surtout, à arrêter ou expulser les migrantes et migrants indésirables grâce à l’utilisation de systèmes informatiques et biométriques toujours plus sophistiqués.

    Quelles sont les conséquences concrètes de ces politiques de surveillance ?

    Il devient chaque jour plus difficile et dangereux de migrer vers l’Europe. Parce qu’elles sont confrontées à la violence et aux refoulements aux frontières, ces personnes sont obligées de chercher d’autres routes migratoires, souvent plus dangereuses, ce qui crée un vrai marché pour les passeurs. La situation n’est pas meilleure pour les personnes réfugiées qui arrivent à entrer sur le territoire européen. Elles finissent régulièrement en détention, sont expulsées ou sont contraintes de vivre dans des conditions désastreuses en Europe ou dans des pays limitrophes.

    Cette politique n’impacte pas que les personnes réfugiées. Elle présente un risque pour les libertés publiques de l’ensemble des Européens. Outre leur usage dans le cadre d’une politique migratoire raciste, les technologies de surveillance sont aussi « testées » sur des personnes migrantes qui peuvent difficilement faire valoir leurs droits, puis introduites plus tard auprès d’un public plus large. Les réfugiés sont les cobayes des futures mesures de contrôle et de surveillance des pays européens.

    Vous pointez aussi que les industriels qui fournissent en armement les belligérants de conflits extra-européens, souvent à l’origine de mouvements migratoires, sont ceux qui bénéficient du business des frontières.

    C’est ce que fait Thales en France, Leonardo en Italie ou Airbus. Ces entreprises européennes de sécurité et d’armement exportent des armes et des technologies de surveillance partout dans le monde, notamment dans des pays en guerre ou avec des régimes autoritaires. À titre d’exemple, les exportations européennes au Moyen-Orient et en Afrique du Nord des dix dernières années représentent 92 milliards d’euros et concernent des pays aussi controversés que l’Arabie saoudite, l’Égypte ou la Turquie.

    Si elles fuient leur pays, les populations civiles exposées à la guerre dans ces régions du monde se retrouveront très certainement confrontées à des technologies produites par les mêmes industriels lors de leur passage aux frontières. C’est une manière profondément cynique de profiter, deux fois, de la misère d’une même population.

    Quelles entreprises bénéficient le plus de la politique européenne de surveillance aux frontières ? Par quels mécanismes ? Je pense notamment aux programmes de recherches comme Horizon 2020 et Horizon Europe.

    J’identifie deux types d’entreprises qui bénéficient de la militarisation des frontières de l’Europe. D’abord les grandes entreprises européennes d’armement et de sécurité, comme Airbus, Leonardo et Thales, qui disposent toutes d’une importante gamme de technologies militaires et de surveillance. Pour elles, le marché des frontières est un marché parmi d’autres. Ensuite, des entreprises spécialisées, qui travaillent sur des niches, bénéficient aussi directement de cette politique européenne. C’est le cas de l’entreprise espagnole European Security Fencing, qui fabrique des fils barbelés. Elles s’enrichissent en remportant des contrats, à l’échelle européenne, mais aussi nationale, voire locale.

    Une autre source de financement est le programme cadre européen pour la recherche et l’innovation. Il finance des projets sur 7 ans et comprend un volet sécurité aux frontières. Des programmes existent aussi au niveau du Fonds européen de défense.

    Un de vos travaux de recherche, « Expanding the Fortress », s’intéresse aux partenariats entre l’Europe et des pays tiers. Quels sont les pays concernés ? Comment se manifestent ces partenariats ?

    L’UE et ses États membres tentent d’établir une coopération en matière de migrations avec de nombreux pays du monde. L’accent est mis sur les pays identifiés comme des « pays de transit » pour celles et ceux qui aspirent à rejoindre l’Union européenne. L’Europe entretient de nombreux accords avec la Libye, qu’elle équipe notamment en matériel militaire. Il s’agit d’un pays où la torture et la mise à mort des réfugiés ont été largement documentées.

    Des accords existent aussi avec l’Égypte, la Tunisie, le Maroc, la Jordanie, le Liban ou encore l’Ukraine. L’Union a financé la construction de centres de détention dans ces pays, dans lesquels on a constaté, à plusieurs reprises, d’importantes violations en matière de droits humains.

    Ces pays extra-européens sont-ils des zones d’expérimentations pour les entreprises européennes de surveillance ?

    Ce sont plutôt les frontières européennes, comme celle d’Evros, entre la Grèce et la Turquie, qui servent de zone d’expérimentation. Le transfert d’équipements, de technologies et de connaissances pour la sécurité et le contrôle des frontières représente en revanche une partie importante de ces coopérations. Cela veut dire que les États européens dispensent des formations, partagent des renseignements ou fournissent de nouveaux équipements aux forces de sécurité de régimes autoritaires.

    Ces régimes peuvent ainsi renforcer et étendre leurs capacités de répression et de violation des droits humains avec le soutien de l’UE. Les conséquences sont dévastatrices pour la population de ces pays, ce qui sert de moteur pour de nouvelles vagues de migration…

    https://www.mediapart.fr/journal/international/040822/les-refugies-sont-les-cobayes-des-futures-mesures-de-surveillance

    cité dans l’interview, ce rapport :
    #Global_Climate_Wall
    https://www.tni.org/en/publication/global-climate-wall
    déjà signalé ici : https://seenthis.net/messages/934948#message934949

    #asile #migrations #complexe_militaro-industriel #surveillance_des_frontières #Frontex #problème #Covid-19 #coronavirus #biométrie #technologie #Idemia #Sopra_Steria #contrôle_biométrique #base_de_données #interopérabilité #détection #apartheid #informatique #violence #refoulement #libertés_publiques #test #normalisation #généralisation #Thales #Leonardo #Airbus #armes #armements #industrie_de_l'armement #cynisme #Horizon_Europe #Horizon_2020 #marché #business #European_Security_Fencing #barbelés #fils_barbelés #recherche #programmes_de_recherche #Fonds_européen_de_défense #accords #externalisation #externalisation_des_contrôles_frontaliers #Égypte #Libye #Tunisie #Maroc #Jordanie #Liban #Ukraine #rétention #détention_administrative #expérimentation #équipements #connaissance #transfert #coopérations #formations #renseignements #répression

    ping @isskein @karine4 @_kg_

    • Le système électronique d’#Entrée-Sortie en zone #Schengen : la biométrie au service des #frontières_intelligentes

      Avec la pression migratoire et la vague d’attentats subis par l’Europe ces derniers mois, la gestion des frontières devient une priorité pour la Commission.

      Certes, le système d’information sur les #visas (#VIS, #Visa_Information_System) est déployé depuis 2015 dans les consulats des États Membres et sa consultation rendue obligatoire lors de l’accès dans l’#espace_Schengen.

      Mais, depuis février 2013, est apparu le concept de « #frontières_intelligentes », (#Smart_Borders), qui recouvre un panel ambitieux de mesures législatives élaborées en concertation avec le Parlement Européen.

      Le système entrée/sortie, en particulier, va permettre, avec un système informatique unifié, d’enregistrer les données relatives aux #entrées et aux #sorties des ressortissants de pays tiers en court séjour franchissant les frontières extérieures de l’Union européenne.

      Adopté puis signé le 30 Novembre 2017 par le Conseil Européen, il sera mis en application en 2022. Il s’ajoutera au « PNR européen » qui, depuis le 25 mai 2018, recense les informations sur les passagers aériens.

      Partant du principe que la majorité des visiteurs sont « de bonne foi », #EES bouleverse les fondements mêmes du #Code_Schengen avec le double objectif de :

      - rendre les frontières intelligentes, c’est-à-dire automatiser le contrôle des visiteurs fiables tout en renforçant la lutte contre les migrations irrégulières
      - créer un #registre_central des mouvements transfrontaliers.

      La modernisation de la gestion des frontières extérieures est en marche. En améliorant la qualité et l’efficacité des contrôles de l’espace Schengen, EES, avec une base de données commune, doit contribuer à renforcer la sécurité intérieure et la lutte contre le terrorisme ainsi que les formes graves de criminalité.

      L’#identification de façon systématique des personnes qui dépassent la durée de séjour autorisée dans l’espace Schengen en est un des enjeux majeurs.

      Nous verrons pourquoi la reconnaissance faciale en particulier, est la grande gagnante du programme EES. Et plus seulement dans les aéroports comme c’est le cas aujourd’hui.

      Dans ce dossier web, nous traiterons des 6 sujets suivants :

      - ESS : un puissant dispositif de prévention et détection
      - La remise en cause du code « frontières Schengen » de 2006
      - EES : un accès très réglementé
      - La biométrie faciale : fer de lance de l’EES
      - EES et la lutte contre la fraude à l’identité
      - Thales et l’identité : plus de 20 ans d’expertise

      Examinons maintenant ces divers points plus en détail.

      ESS : un puissant dispositif de prévention et détection

      Les activités criminelles telles que la traite d’êtres humains, les filières d’immigration clandestine ou les trafics d’objets sont aujourd’hui la conséquence de franchissements illicites de frontières, largement facilités par l’absence d’enregistrement lors des entrées/ sorties.

      Le scénario de fraude est – hélas – bien rôdé : Contrôle « standard » lors de l’accès à l’espace Schengen, puis destruction des documents d’identité dans la perspective d’activités malveillantes, sachant l’impossibilité d’être authentifié.

      Même si EES vise le visiteur « de bonne foi », le système va constituer à terme un puissant dispositif pour la prévention et la détection d’activités terroristes ou autres infractions pénales graves. En effet les informations stockées dans le nouveau registre pour 5 ans– y compris concernant les personnes refoulées aux frontières – couvrent principalement les noms, numéros de passeport, empreintes digitales et photos. Elles seront accessibles aux autorités frontalières et de délivrance des visas, ainsi qu’à Europol.

      Le système sera à la disposition d’enquêtes en particulier, vu la possibilité de consulter les mouvements transfrontières et historiques de déplacements. Tout cela dans le plus strict respect de la dignité humaine et de l’intégrité des personnes.

      Le dispositif est très clair sur ce point : aucune discrimination fondée sur le sexe, la couleur, les origines ethniques ou sociales, les caractéristiques génétiques, la langue, la religion ou les convictions, les opinions politiques ou toute autre opinion.

      Sont également exclus du champ d’investigation l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance, un handicap, l’âge ou l’orientation sexuelle des visiteurs.​

      La remise en cause du Code frontières Schengen

      Vu la croissance attendue des visiteurs de pays tiers (887 millions en 2025), l’enjeu est maintenant de fluidifier et simplifier les contrôles.

      Une initiative particulièrement ambitieuse dans la mesure où elle remet en cause le fameux Code Schengen qui impose des vérifications approfondies, conduites manuellement par les autorités des Etats Membres aux entrées et sorties, sans possibilité d’automatisation.

      Par ailleurs, le Code Schengen ne prévoit aucun enregistrement des mouvements transfrontaliers. La procédure actuelle exigeant seulement que les passeports soient tamponnés avec mention des dates d’entrée et sortie.

      Seule possibilité pour les gardes-frontières : Calculer un éventuel dépassement de la durée de séjour qui elle-même est une information falsifiable et non consignée dans une base de données.

      Autre contrainte, les visiteurs réguliers comme les frontaliers doivent remplacer leurs passeports tous les 2-3 mois, vue la multitude de tampons ! Un procédé bien archaïque si l’on considère le potentiel des technologies de l’information.

      La proposition de 2013 comprenait donc trois piliers :

      - ​La création d’un système automatisé d’entrée/sortie (Entry/ Exit System ou EES)
      - Un programme d’enregistrement de voyageurs fiables, (RTP, Registered Traveller Program) pour simplifier le passage des visiteurs réguliers, titulaires d’un contrôle de sûreté préalable
      – La modification du Code Schengen

      Abandon de l’initiative RTP

      Trop complexe à mettre en œuvre au niveau des 28 Etats Membres, l’initiative RTP (Registered Travelers Program) a été finalement abandonnée au profit d’un ambitieux programme Entry/ Exit (EES) destiné aux visiteurs de courte durée (moins de 90 jours sur 180 jours).

      Précision importante, sont maintenant concernés les voyageurs non soumis à l’obligation de visa, sachant que les détenteurs de visas sont déjà répertoriés par le VIS.

      La note est beaucoup moins salée que prévue par la Commission en 2013. Au lieu du milliard estimé, mais qui incluait un RTP, la proposition révisée d’un EES unique ne coutera « que » 480 millions d’EUR.

      Cette initiative ambitieuse fait suite à une étude technique menée en 2014, puis une phase de prototypage conduite sous l’égide de l’agence EU-LISA en 2015 avec pour résultat le retrait du projet RTP et un focus particulier sur le programme EES.

      Une architecture centralisée gérée par EU-LISA

      L’acteur clé du dispositif EES, c’est EU-LISA, l’Agence européenne pour la gestion opérationnelle des systèmes d’information à grande échelle dont le siège est à Tallinn, le site opérationnel à Strasbourg et le site de secours à Sankt Johann im Pongau (Autriche). L’Agence sera en charge des 4 aspects suivants :

      - Développement du système central
      - Mise en œuvre d’une interface uniforme nationale (IUN) dans chaque État Membre
      - Communication sécurisée entre les systèmes centraux EES et VIS
      - Infrastructure de communication entre système central et interfaces uniformes nationales.

      Chaque État Membre sera responsable de l’organisation, la gestion, le fonctionnement et de la maintenance de son infrastructure frontalière vis-à-vis d’EES.

      Une gestion optimisée des frontières

      Grâce au nouveau dispositif, tous les ressortissants des pays tiers seront traités de manière égale, qu’ils soient ou non exemptés de visas.

      Le VIS répertorie déjà les visiteurs soumis à visas. Et l’ambition d’EES c’est de constituer une base pour les autres.

      Les États Membres seront donc en mesure d’identifier tout migrant ou visiteur en situation irrégulière ayant franchi illégalement les frontières et faciliter, le cas échéant, son expulsion.

      Dès l’authentification à une borne en libre–service, le visiteur se verra afficher les informations suivantes, sous supervision d’un garde-frontière :

      - ​Date, heure et point de passage, en remplacement des tampons manuels
      - Notification éventuelle d’un refus d’accès.
      - Durée maximale de séjour autorisé.
      - Dépassement éventuelle de la durée de séjour autorisée
      En ce qui concerne les autorités des Etats Membres, c’est une véritable révolution par rapport à l’extrême indigence du système actuel. On anticipe déjà la possibilité de constituer des statistiques puissantes et mieux gérer l’octroi, ou la suppression de visas, en fonction de mouvements transfrontières, notamment grâce à des informations telles que :

      - ​​​Dépassements des durées de séjour par pays
      - Historique des mouvements frontaliers par pays

      EES : un accès très réglementé

      L’accès à EES est très réglementé. Chaque État Membre doit notifier à EU-LISA les autorités répressives habilitées à consulter les données aux fins de prévention ou détection d’infractions terroristes et autres infractions pénales graves, ou des enquêtes en la matière.

      Europol, qui joue un rôle clé dans la prévention de la criminalité, fera partie des autorités répressives autorisées à accéder au système dans le cadre de sa mission.

      Par contre, les données EES ne pourront pas être communiquées à des pays tiers, une organisation internationale ou une quelconque partie privée établie ou non dans l’Union, ni mises à leur disposition. Bien entendu, dans le cas d’enquêtes visant l’identification d’un ressortissant de pays tiers, la prévention ou la détection d’infractions terroristes, des exceptions pourront être envisagées.​

      Proportionnalité et respect de la vie privée

      Dans un contexte législatif qui considère le respect de la vie privée comme une priorité, le volume de données à caractère personnel enregistré dans EES sera considérablement réduit, soit 26 éléments au lieu des 36 prévus en 2013.

      Il s’agit d’un dispositif négocié auprès du Contrôleur Européen pour la Protection des Données (CEPD) et les autorités nationales en charge d’appliquer la nouvelle réglementation.

      Très schématiquement, les données collectées se limiteront à des informations minimales telles que : nom, prénom, références du document de voyage et visa, biométrie du visage et de 4 empreintes digitales.

      A chaque visite, seront relevés la date, l’heure et le lieu de contrôle frontière. Ces données seront conservées pendant cinq années, et non plus 181 jours comme proposé en 2013.

      Un procédé qui permettra aux gardes-frontières et postes consulaires d’analyser l’historique des déplacements, lors de l’octroi de nouveaux visas.
      ESS : privacy by design

      La proposition de la Commission a été rédigée selon le principe de « respect de la vie privée dès la conception », mieux connue sous le label « Privacy By Design ».

      Sous l’angle du droit, elle est bien proportionnée à la protection des données à caractère personnel en ce que la collecte, le stockage et la durée de conservation des données permettent strictement au système de fonctionner et d’atteindre ses objectifs.

      EES sera un système centralisé avec coopération des Etats Membres ; d’où une architecture et des règles de fonctionnement communes.​

      Vu cette contrainte d’uniformisation des modalités régissant vérifications aux frontières et accès au système, seul le règlement en tant que véhicule juridique pouvait convenir, sans possibilité d’adaptation aux législations nationales.

      Un accès internet sécurisé à un service web hébergé par EU-LISA permettra aux visiteurs des pays tiers de vérifier à tout moment leur durée de séjour autorisée.

      Cette fonctionnalité sera également accessible aux transporteurs, comme les compagnies aériennes, pour vérifier si leurs voyageurs sont bien autorisés à pénétrer dans le territoire de l’UE.

      La biométrie faciale, fer de lance du programme EES

      Véritable remise en question du Code Schengen, EES permettra de relever la biométrie de tous les visiteurs des pays tiers, alors que ceux soumis à visa sont déjà enregistrés dans le VIS.

      Pour les identifiants biométriques, l’ancien système envisageait 10 empreintes digitales. Le nouveau combine quatre empreintes et la reconnaissance faciale.

      La technologie, qui a bénéficié de progrès considérables ces dernières années, s’inscrit en support des traditionnelles empreintes digitales.

      Bien que la Commission ne retienne pas le principe d’enregistrement de visiteurs fiables (RTP), c’est tout comme.

      En effet, quatre empreintes seront encore relevées lors du premier contrôle pour vérifier que le demandeur n’est pas déjà répertorié dans EES ou VIS.

      En l’absence d’un signal, l’autorité frontalière créera un dossier en s’assurant que la photographie du passeport ayant une zone de lecture automatique (« Machine Readable Travel Document ») correspond bien à l’image faciale prise en direct du nouveau visiteur.

      Mais pour les passages suivants, c’est le visage qui l’emporte.

      Souriez, vous êtes en Europe ! Les fastidieux (et falsifiables) tampons sur les passeports seront remplacés par un accès à EES.

      La biométrie est donc le grand gagnant du programme EES. Et plus seulement dans les aéroports comme c’est le cas aujourd’hui.

      Certains terminaux maritimes ou postes frontières terrestres particulièrement fréquentés deviendront les premiers clients de ces fameuses eGates réservées aujourd’hui aux seuls voyageurs aériens.

      Frontex, en tant qu’agence aidant les pays de l’UE et les pays associés à Schengen à gérer leurs frontières extérieures, va aider à harmoniser les contrôles aux frontières à travers l’UE.

      EES et la lutte contre la fraude à l’identité

      Le dispositif EES est complexe et ambitieux dans la mesure où il fluidifie les passages tout en relevant le niveau des contrôles. On anticipe dès aujourd’hui des procédures d’accueil en Europe bien meilleures grâce aux eGates et bornes self-service.

      Sous l’angle de nos politiques migratoires et de la prévention des malveillances, on pourra immédiatement repérer les personnes ne rempliss​​ant pas les conditions d’entrée et accéder aux historiques des déplacements.

      Mais rappelons également qu’EES constituera un puissant outil de lutte contre la fraude à l’identité, notamment au sein de l’espace Schengen, tout visiteur ayant été enregistré lors de son arrivée à la frontière.

      Thales et l’identité : plus de 20 ans d’expertise

      Thales est particulièrement attentif à cette initiative EES qui repose massivement sur la biométrie et le contrôle des documents de voyage.

      En effet, l’identification et l’authentification des personnes sont deux expertises majeures de Thales depuis plus de 20 ans. La société contribue d’ailleurs à plus de 200 programmes gouvernementaux dans 80 pays sur ces sujets.

      La société peut répondre aux objectifs du programme EES en particulier pour :

      - Exploiter les dernières technologies pour l’authentification des documents de voyage, l’identification des voyageurs à l’aide de captures et vérifications biométriques, et l’évaluation des risques avec accès aux listes de contrôle, dans tous les points de contrôle aux frontières.
      - Réduire les coûts par l’automatisation et l’optimisation des processus tout en misant sur de nouvelles technologies pour renforcer la sécurité et offrir davantage de confort aux passagers
      - Valoriser des tâches de gardes-frontières qui superviseront ces dispositifs tout en portant leur attention sur des cas pouvant porter à suspicion.
      - Diminuer les temps d’attente après enregistrement dans la base EES. Un facteur non négligeable pour des frontaliers ou visiteurs réguliers qui consacreront plus de temps à des activités productives !

      Des bornes d’enregistrement libre-service comme des frontières automatiques ou semi-automatiques peuvent être déployées dans les prochaines années avec l’objectif de fluidifier les contrôles et rendre plus accueillant l’accès à l’espace Schengen.

      Ces bornes automatiques et biométriques ont d’ailleurs été installées dans les aéroports parisiens d’Orly et de Charles de Gaulle (Nouveau PARAFE : https://www.thalesgroup.com/fr/europe/france/dis/gouvernement/controle-aux-frontieres).

      La reconnaissance faciale a été mise en place en 2018.

      Les nouveaux sas PARAFE à Roissy – Septembre 2017

      Thales dispose aussi d’une expertise reconnue dans la gestion intégrée des frontières et contribue en particulier à deux grand systèmes de gestion des flux migratoires.

      - Les systèmes d’identification biométrique de Thales sont en particulier au cœur du système américain de gestion des données IDENT (anciennement US-VISIT). Cette base de données biographiques et biométriques contient des informations sur plus de 200 millions de personnes qui sont entrées, ont tenté d’entrer et ont quitté les États-Unis d’Amérique.

      - Thales est le fournisseur depuis l’origine du système biométrique Eurodac (European Dactyloscopy System) qui est le plus important système AFIS multi-juridictionnel au monde, avec ses 32 pays affiliés. Le système Eurodac est une base de données comportant les empreintes digitales des demandeurs d’asile pour chacun des états membres ainsi que des personnes appréhendées à l’occasion d’un franchissement irrégulier d’une frontière.

      Pour déjouer les tentatives de fraude documentaire, Thales a mis au point des équipements sophistiqués permettant de vérifier leur authenticité par comparaison avec les modèles en circulation. Leur validité est aussi vérifiée par connexion à des bases de documents volés ou perdus (SLTD de Interpol). Ou a des watch lists nationales.

      Pour le contrôle des frontières, au-delà de ses SAS et de ses kiosks biométriques, Thales propose toute une gamme de lecteurs de passeports d’équipements et de logiciels d’authentification biométriques, grâce à son portefeuille Cogent, l’un des pionniers du secteur.

      Pour en savoir plus, n’hésitez pas à nous contacter.​

      https://www.thalesgroup.com/fr/europe/france/dis/gouvernement/biometrie/systeme-entree-sortie
      #smart_borders #Thales #overstayers #reconnaissance_faciale #prévention #détection #fraude_à_l'identité #Registered_Traveller_Program (#RTP) #EU-LISA #interface_uniforme_nationale (#IUN) #Contrôleur_Européen_pour_la_Protection_des_Données (#CEPD) #Privacy_By_Design #respect_de_la_vie_privée #empreintes_digitales #biométrie #Frontex #bornes #aéroport #PARAFE #IDENT #US-VISIT #Eurodac #Gemalto

  • EU’s Drone Is Another Threat to Migrants and Refugees

    Frontex Aerial Surveillance Facilitates Return to Abuse in Libya

    “We didn’t know it was the Libyans until the boat got close enough and we could see the flag. At that point we started to scream and cry. One man tried to jump into the sea and we had to stop him. We fought off as much as we could to not be taken back, but we couldn’t do anything about it,” Dawit told us. It was July 30, 2021, and Dawit, from Eritrea, his wife, and young daughter were trying to seek refuge in Europe.

    Instead, they were among the more than 32,450 people intercepted by Libyan forces last year and hauled back to arbitrary detention and abuse in Libya.

    Despite overwhelming evidence of torture and exploitation of migrants and refugees in Libya – crimes against humanity, according to the United Nations – over the last few years the European Union has propped up Libyan forces’ efforts to intercept the boats. It has withdrawn its own vessels and installed a network of aerial assets run by private companies. Since May 2021, the EU border agency Frontex has deployed a drone out of Malta, and its flight patterns show the crucial role it plays in detecting boats close to Libyan coasts. Frontex gives the information from the drone to coastal authorities, including Libya.

    Frontex claims the surveillance is to aid rescue, but the information facilitates interceptions and returns to Libya. The day Dawit and his family were caught at sea, Libyan forces intercepted at least two other boats and took at least 228 people back to Libya. One of those boats was intercepted in international waters, inside the Maltese search-and-rescue area. The drone’s flight path suggests it was monitoring the boat’s trajectory, but Frontex never informed the nearby nongovernmental Sea-Watch rescue vessel.

    Human Rights Watch and Border Forensics, a nonprofit that uses innovative visual and spatial analysis to investigate border violence, are examining how the shift from sea to air surveillance contributes to the cycle of extreme abuse in Libya. Frontex’s lack of transparency – they have rejected ours and Sea-Watch’s requests for information about their activities on July 30, 2021 – leaves many questions about their role unanswered.

    Dawit and others panicked when they saw the Libyan boat because they knew what awaited upon return. He and his family ended up in prison for almost two months, released only after paying US$1,800. They are still in Libya, hoping for a chance to reach safety in a country that respects their rights and dignity.

    https://www.hrw.org/news/2022/08/01/eus-drone-another-threat-migrants-and-refugees
    #Frontex #surveillance_aérienne #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #drones #contrôles_frontaliers #frontières #push-backs #pull-backs #refoulements #Libye #interception

    • Libia: il drone anti-migranti di Frontex

      Frontex, la controversa agenzia di sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea, pur avendo smesso la vigilanza marittima delle coste, attraverso l’utilizzo di un drone, sta aiutando la guardia costiera libica a intercettare i barconi dei migranti e rifugiati che tentano di raggiungere le coste italiane. I migranti, perlopiù provenienti dall’Africa subsahariana, sono così ricondotti in Libia dove sono sfruttati e sottoposti a gravi abusi.

      Lo denuncia l’organizzazione internazionale Human Rights Watch. È dal maggio del 2021 che Frontex ha dislocato un drone a Malta: secondo l’ong i piani di volo dimostrerebbero che il velivolo ha un ruolo cruciale nell’individuazione dei battelli in prossimità delle coste libiche; Frontex trasmette infatti i dati raccolti dal drone alle autorità libiche.

      L’agenzia europea sostiene che l’utilizzo del drone ha lo scopo di aiutare il salvataggio dei barconi in difficoltà, ma Human Rights Watch ribatte che questa attività manca di «trasparenza». Il rapporto vuole sottolineare che all’Europa non può bastare che i migranti non arrivino sulle sue coste. E non può nemmeno fingere di non sapere qual è la situazione in Libia.

      L’instabilità politica che caratterizza la Libia dalla caduta di Gheddafi nel 2011 ha fatto del paese nordafricano una via privilegiata per decine di migliaia di migranti che cercano di raggiungere l’Europa attraverso le coste italiane che distano circa 300 km da quelle libiche. Non pochi di questi migranti sono bloccati in Libia, vivono in condizioni deprecabili e in balia di trafficanti di esseri umani.

      https://www.nigrizia.it/notizia/libia-il-drone-anti-migranti-di-frontex

  • Quand les algorithmes de la CAF ouvrent la chasse aux pauvres ~ SILO
    https://silogora.org/quand-les-algorithmes-de-la-caf-ouvrent-la-chasse-aux-pauvres


    #chasse_aux_pauvres

    Première observation générale, le « monde merveilleux de la dématérialisation », qui s’accompagne d’une baisse considérable des moyens en termes d’accueil physique et téléphonique, génère des inégalités d’accès aux droits. Les raisons en sont d’une part les fractures numériques (territoriales, économiques pour la détention d’équipements, ergonomiques pour les personnes souffrant d’un handicap), d’autre part l’illectronisme (17% des Français) et la méconnaissance de l’outil numérique. En 2021 selon l’INSEE, 31% des Français ont renoncé à effectuer une démarche administrative.

    Deuxième observation, le traitement informatique des dossiers nécessite évidemment des algorithmes de calculs des droits, mais il entraine aussi le développement de techniques de ciblage via le datamining, c’est-à-dire la récolte et le croisement de données de différents fichiers administratifs. Officiellement, ces techniques visent à rendre la branche famille de la sécurité sociale plus efficiente, à appliquer le « juste droit », à repérer les personnes en situation de non recours et à punir justement les fraudeurs.

    Dans les faits, le ciblage des allocataires s’apparente à un véritable contrôle social. Plus de 1000 données sont collectées sur chacun d’entre eux, et la CNAF (Caisse nationale d’allocation familiale) l’écrivait elle-même dès 2017 dans son rapport « La politique de contrôle et de prévention des CAF » : « Ce traitement informatique permet de calculer la probabilité qu’une erreur se produise, en donnant un score de risque prédictif. Généralisé à tout le réseau des CAF, ce dispositif permet de repérer ainsi plus précisément les dossiers à risques ». Sur quels critères et selon quelles variables (décidés humainement) sont effectuées ces prédictions ? Mystère. Mais on peut aisément en imaginer quelques-uns… Maman solo, revenus irréguliers, lieu de naissance, par exemple.

    Les dossiers aux scores de risques élevés sont plus étroitement surveillés, y compris par les logiciels informatiques. Sur les quelque 37 millions de contrôles réalisés en 2020, touchant la moitié des allocataires, 32,25 millions étaient automatisés. Et 75% des contrôles effectués par des agents en chair et en os ont été déclenchés par le dispositif de ciblage. Pour schématiser, un logiciel repère des incohérences dans un dossier, tire la sonnette d’alarme, effectue les calculs débouchant sur un indu…

  • À #Calais, une #surveillance du ciel au tunnel

    #Drones, #reconnaissance_faciale, #capteurs_de_CO2 et de battements cardiaques : face à l’afflux de réfugiés, la frontière franco-britannique est surveillée à grands coups d’#intelligence_artificielle. Premier volet de notre série sur la #cybersurveillance des frontières.

    Pablo lève les yeux au ciel et réfléchit. Brusquement, il fixe son ordinateur. Le chargé de communication et plaidoyer chez Human Rights Observers (HRO) fouille dans ses dossiers, ouvre un document d’une quinzaine de pages. « Tu vois, ce jour-là, ils ont utilisé un drone », indique-t-il en pointant l’écran du doigt. Le 9 juin, l’association pour laquelle il travaille assiste à une expulsion de réfugié·es à #Grande-Synthe. Dans son compte-rendu, elle mentionne la présence d’un drone. Des vols d’aéronefs, hélicoptères ou avions, devenus routiniers.

    En cette matinée de fin juin, Pablo a donné rendez-vous sur son lieu de travail, « l’entrepôt », comme il l’appelle. Ce vaste bâtiment désaffecté d’une zone industrielle à l’est de Calais héberge plusieurs associations locales. Les bureaux de HRO sont spartiates : un simple préfabriqué blanc planté dans la cour.

    C’est ici que ses membres se réunissent pour documenter les #violences d’État perpétrées contre les personnes en situation d’exil à la frontière franco-britannique, plus spécifiquement à Calais et à Grande-Synthe. Depuis plus de 20 ans, la ville est érigée en symbole de la crise migratoire. L’évacuation et la destruction de la jungle en octobre 2016 n’ont rien changé. Désormais réparties dans de multiples camps précaires, des centaines de migrants et migrantes tentent le passage vers l’Angleterre au péril de leur vie. Selon le ministère de l’intérieur, ils et elles étaient 52 000 en 2021, un record, contre « seulement » 10 000 en 2020.

    Sous l’impulsion des pouvoirs publics, Calais se barricade. Plus que les maisons de briques rouges, ce sont les #clôtures géantes, les rangées de #barbelés et les #marécages_artificiels qui attirent la vue. Tout semble construit pour décourager les exilé·es de rejoindre la Grande-Bretagne. « Avant, il n’y avait pas tout ça. C’est devenu assez oppressant », regrette Alexandra. Arrivée il y a sept ans dans le Pas-de-Calais, elle travaille pour l’Auberge des migrants, association qui coordonne le projet HRO.

    Quatre #caméras empilées sur un pylône à l’entrée du port rappellent que cette frontière n’est pas que physique. #Vidéosurveillance, #drones, #avions, #détecteurs_de_CO2… Le littoral nord incarne le parfait exemple de la « #smart_border ». Une frontière invisible, connectée. Un eldorado pour certaines entreprises du secteur de l’intelligence artificielle, mais un cauchemar pour les exilé·es désormais à la merci des #algorithmes.

    Si des dizaines de #caméras lorgnent déjà sur le port et le centre-ville, la tendance n’est pas près de s’inverser. La maire LR, #Natacha_Bouchart, qui n’a pas donné suite à notre demande d’interview, prévoit d’investir 558 000 euros supplémentaires en #vidéosurveillance en 2022.

    « C’est la nouvelle étape d’une politique en place depuis plusieurs décennies », analyse Pierre Bonnevalle, politologue, auteur d’un long rapport sur le sujet. À Calais, la #bunkérisation remonte, selon le chercheur, au milieu des années 1990. « À cette époque commencent les premières occupations des espaces portuaires par des personnes venues des pays de l’Est qui souhaitaient rejoindre la Grande-Bretagne. Cela entraîne les premières expulsions, puis un arrêté pris par la préfecture pour interdire l’accès au port. »

    Les années suivantes, c’est à #Sangatte que se dessinent les pratiques policières d’aujourd’hui. Dans cette commune limitrophe de Calais, un hangar préfigure ce que sera la « #jungle » et héberge jusqu’à 2 000 exilé·es. « La police cible alors tous ceux qui errent dans la ville, tentent d’ouvrir des squats, de dormir dans un espace boisé. » Une manière de « contenir le problème », de « gagner du temps ».

    En parallèle, la ville s’équipe en vidéosurveillance et en barbelés. En 2016, l’expulsion de la jungle fait émerger la politique gouvernementale actuelle : l’#expulsion par les forces de l’ordre, toutes les 24 ou 48 heures, des camps où vivent les personnes exilées.

    #Surveillance_aérienne

    Calme et grisâtre en ce jour de visite, le ciel calaisien n’est pas épargné. Depuis septembre 2020, l’armée britannique fait voler un drone #Watchkeeper, produit par l’industriel français #Thales, pour surveiller la mer. « Nous restons pleinement déterminés à soutenir le ministère de l’intérieur britannique alors qu’il s’attaque au nombre croissant de petits bateaux traversant la Manche », se félicite l’armée britannique dans un communiqué.

    Selon des données de vol consultées par Mediapart, un drone de l’#Agence_européenne_pour_la_sécurité_maritime (#AESM) survole également régulièrement les eaux, officiellement pour analyser les niveaux de pollution des navires qui transitent dans le détroit du Pas-de-Calais. Est-il parfois chargé de missions de surveillance ? L’AESM n’a pas répondu à nos questions.

    Au sein du milieu associatif calaisien, la présence de ces volatiles numériques n’étonne personne. « On en voit souvent, comme des hélicoptères équipés de caméras thermiques », confie Marguerite, salariée de l’Auberge des migrants. Chargée de mission au Secours catholique, Juliette Delaplace constate que cette présence complexifie leur travail. « On ne sait pas si ce sont des drones militaires, ou des forces de l’ordre, mais lorsque l’on intervient et que les exilés voient qu’un drone nous survole, c’est très compliqué de gagner leur confiance. »

    En décembre 2021, à la suite d’une demande expresse du ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, l’agence européenne #Frontex a dépêché un #avion pour surveiller la côte pendant plusieurs semaines. « Une mission toujours en cours pour patrouiller aux frontières française et belge », précise Frontex.

    « On sent une évolution des #contrôles depuis l’intervention de cet avion, qui a œuvré principalement la nuit, confie le maire d’une ville du Nord. Beaucoup de gens tentaient de monter dans des camions, mais cela a diminué depuis que les contrôles se sont durcis. »

    Il faut dire que la société #Eurotunnel, qui gère le tunnel sous la Manche, ne lésine pas sur les moyens. En 2019, elle a dépensé 15 millions d’euros pour installer des sas « #Parafe » utilisant la reconnaissance faciale du même nom, mise au point par Thales. Lors du passage de la frontière, certains camions sont examinés par des capteurs de CO2 ou de fréquence cardiaque, ainsi que par de l’#imagerie par #ondes_millimétriques, afin de détecter les personnes qui pourraient s’être cachées dans le chargement.

    « C’est un dispositif qui existe depuis 2004, lorsque Nicolas Sarkozy a fait évacuer le camp de Sangatte, informe un porte-parole d’Eurotunnel. Depuis 2015, il y a tellement de demandes de la part des routiers pour passer par ce terminal, car ils peuvent recevoir des amendes si un migrant est trouvé dans leur camion, que nous avons agrandi sa capacité d’accueil et qu’il fait partie intégrante du trajet. »

    Des outils de plus en plus perfectionnés qui coïncident avec l’évolution des modes de passage des personnes exilées, analyse le politologue Pierre Bonnevalle. « Pendant longtemps, il s’agissait de surveiller les poids lourds. Le #port et le #tunnel sont aujourd’hui tellement bunkérisés que les exilés traversent en bateau. »

    Les technologies employées suivent : en novembre 2021, le ministère de l’intérieur annonçait la mise à disposition de 4 x 4, de lunettes de vision nocturne ou de #caméras_thermiques pour équiper les gendarmes et policiers chargés de lutter contre l’immigration clandestine sur les côtes de la Manche.

    « Ces technologies ne servent à rien, à part militariser l’espace public. J’ai encore rencontré des associatifs la semaine dernière qui me disaient que cela n’a aucun impact sur le nombre de passages et les risques pris par ces gens », tempête l’eurodéputé et ancien maire de Grande-Synthe Damien Carême.

    Elles ont malgré tout un #coût : 1,28 milliard d’euros depuis 1998, selon Pierre Bonnevalle, dont 425 millions pour la seule période 2017-2021. « C’est une estimation a minima, pointe-t-il. Cela ne prend pas en compte, par exemple, le coût des forces de l’ordre. »

    Publié en novembre 2021, un rapport de la commission d’enquête parlementaire sur les migrations détaille les dépenses pour la seule année 2020 : l’État a investi 24,5 millions dans des dispositifs humanitaires d’hébergement, contre 86,4 pour la mobilisation des forces de l’ordre. Des sommes qui désespèrent Pablo, le militant de Human Rights Observers. « Cela aurait permit de bâtir de nombreux centres d’accueil pour que les exilés vivent dans des conditions dignes. » L’État semble avoir d’autres priorités.

    #technologie #frontières #contrôles_frontaliers #asile #migrations #réfugiés #surveillance_des_frontières #militarisation_des_frontières #IA #AI #complexe_militaro-industriel #Manche #La_Manche #France #UK #Angleterre
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    via @olaf #merci :
    https://seenthis.net/messages/968794

  • Le #Conseil_d’Etat enterre l’#espace_Schengen et s’oppose à la #Cour_de_justice_de_l’Union_européenne

    Dans une décision du #27_juillet_2022, le Conseil d’Etat valide une nouvelle fois la prolongation du rétablissement des #contrôles_aux_frontières_intérieures par le gouvernement français, prenant ainsi l’exact contrepied de la position de la Cour de justice de l’Union européenne (#CJUE).

    Alors que, depuis 2015, les autorités françaises prolongent systématiquement tous les 6 mois les contrôles aux frontières intérieures au motif d’une « #menace_persistante » liée au #terrorisme, le Conseil d’Etat, dans sa décision du 27 juillet, se livre à une lecture tronquée de l’arrêt de la CJUE. Pour voler au secours du gouvernement, il s’autorise à réécrire le #droit_européen ignorant délibérément certains développements essentiels apportés par la Cour.

    Ainsi, éludant la définition retenue par la CJUE d’une « nouvelle menace » à savoir, une menace « distincte de celle initialement identifiée », le Conseil d’Etat persiste dans la position qu’il avait adoptée en 2017 et 2019 en considérant qu’une « menace identique mais renouvelée » pourrait suffire à justifier la prolongation des contrôles.

    Pire, le Conseil d’Etat conforte encore le gouvernement en lui permettant d’avance de procéder à des #prolongations sans fin des contrôles aux frontières intérieures, ce que précisément l’arrêt de la CJUE interdit.

    Or, ces contrôles et les pratiques policières qui y sont associées ont pour conséquence des violations quotidiennes des droits des personnes aux frontières pouvant aller jusqu’à provoquer des décès, comme nos organisations le dénoncent inlassablement depuis près de 7 ans.

    Alors qu’il aurait pu et dû mettre un terme à l’illégalité de ces pratiques et faire respecter le principe de #primauté_du_droit_européen, le Conseil d’Etat porte le coup de grâce à la #liberté_de_circulation dans l’espace Schengen.

    https://www.lacimade.org/presse/le-conseil-detat-enterre-lespace-schengen-et-soppose-a-la-cour-de-justice-

    #frontières_intérieures #contrôles_frontaliers #rétablissement #France #justice #migrations #asile #réfugiés #2022 #droit

  • L’Union européenne a discrètement fourni au Maroc de puissants systèmes de piratage des téléphones
    https://disclose.ngo/fr/article/union-europeenne-a-discretement-fourni-au-maroc-de-puissants-systemes-de-p

    Pour renforcer le contrôle des migrants, l’Union européenne a fourni à la police marocaine des logiciels d’extraction de données des téléphones. Faute de contrôle, ces technologies pourraient servir à accentuer la surveillance des journalistes et défenseurs des droits humains au Maroc. Lire l’article

    • Délits d’opinions, harcèlements, intimidations policières. Au Maroc, la répression contre celles et ceux qui contestent le régime s’est durement intensifiée. Abdellatif Hamamouchi, 28 ans, en a fait les frais. Un soir de juillet 2018, le journaliste et militant de l’Association marocaine des droits humains a fait l’objet d’une violente agression. Des hommes qui appartenaient selon lui à la police politique du régime l’ont « battu et jeté par terre » avant de lui prendre son téléphone portable. « Ils n’ont pris que mon téléphone, se souvient-il. Grâce à lui, ils ont pu avoir accès à mes e-mails, ma liste de contacts, mes échanges avec mes sources. » Comme lui, une dizaine de journalistes et militants marocains dont nous avons recueilli le témoignage expliquent s’être vu confisquer leurs téléphones à la suite d’une arrestation arbitraire. Selon eux, cette pratique obéirait à un unique objectif : renforcer le fichage des opposants présumés en collectant un maximum d’informations personnelles. Un contrôle qui, depuis 2019, pourrait être facilité par le soutien technologique et financier de l’Union européenne.

      Disclose, en partenariat avec l’hebdomadaire allemand Die Spiegel, révèle que l’UE a livré au Royaume du Maroc des puissants systèmes de surveillance numérique. Des logiciels conçus par deux sociétés spécialisées dans le piratage des téléphones et l’aspiration de données, MSAB et Oxygen forensic, avant d’être livrés aux autorités marocaines par Intertech Lebanon, une société franco-libanaise, sous la supervision du Centre international pour le développement des politiques migratoires (ICMPD). Objectif de ce transfert de technologies financé sur le budget du « programme de gestion des frontières pour la région Maghreb » de l’UE : lutter contre l’immigration irrégulière et le trafic d’êtres humains aux portes de l’UE.

      Selon des documents obtenus par Disclose et Die Spiegel auprès des institutions européennes, la société MSAB, d’origine suédoise, a fourni à la police marocaine un logiciel baptisé XRY capable de déverrouiller tous types de smartphones pour en extraire les données d’appels, de contacts, de localisation, mais aussi les messages envoyés et reçus par SMS, WhatsApp et Signal. Quant à Oxygen forensic, domiciliée pour sa part aux Etats-Unis, elle a livré un système d’extraction et d’analyse de données baptisé « Detective » (https://www.oxygen-forensic.com/uploads/doc_guide/Oxygen_Forensic_Detective_Getting_Started.pdf). Sa spécificité ? Contourner les verrouillages d’écran des appareils mobiles afin d’aspirer les informations stockées dans le cloud (Google, Microsoft ou Apple) ou les applications sécurisées de n’importe quel téléphone ou ordinateur. La différence notable avec le logiciel Pegasus, les deux logiciels nécessitent d’accéder physiquement au mobile à hacker, et ne permet pas de surveillance à distance.
      La police marocaine formée au piratage numérique

      A l’achat des logiciels et des ordinateurs qui vont avec, l’Union européenne a également financé des sessions de formations dispensées aux forces de police marocaine par les collaborateurs d’Intertech et les salariés de MSAB et Oxygen Forensic. Mais ce n’est pas tout. Selon des documents internes obtenus par l’ONG Privacy International, l’Europe a aussi envoyé ses propres experts issus du Collège européen de police, le CEPOL, pour une formation de quatre jours à Rabat entre le 10 et le 14 juin 2019. Au programme : sensibilisation à « la collecte d’information à partir d’Internet » ; « renforcement des capacités d’investigation numérique », introduction au « social hacking », une pratique qui consiste à soutirer des informations à quelqu’un via les réseaux sociaux.
      Contrôle inexistant

      Reste à savoir si ces outils de surveillance sont réellement, et exclusivement, utilisés à des fins de lutte contre l’immigration illégale. Or, d’après notre enquête, aucun contrôle n’a jamais été effectué. Que ce soit de la part des fabricants ou des fonctionnaires européens. Dit autrement, le Maroc pourrait décider d’utiliser ses nouvelles acquisitions à des fins de répression interne sans que l’Union européenne n’en sache rien. Un risque d’autant plus sérieux, selon des chercheurs en sécurité numérique joints par Disclose, que les logiciels XRY et Detective ne laissent pas de traces dans les appareils piratés. A la grande différence d’une autre technologie bien connue des services marocains : le logiciel israélien Pegasus, qui permet de pirater un appareil à distance. Le système Pegasus a été massivement employé par le Maroc dans le but d’espionner des journalistes, des militants des droits humains et des responsables politiques étrangers de premier plan, comme l’a révélé le consortium de journalistes Forbidden Stories (https://forbiddenstories.org/fr/case/le-pegasus-project) en 2021. Avec les solutions XRY et Detective, « dès que vous avez un accès physique à un téléphone, vous avez accès à tout », souligne Edin Omanovic, membre de l’ONG Privacy international. Un élément qu’il estime « inquiétant », poursuit-il, « dans un contexte où les autorités ciblent les défenseurs des droits de l’homme et les journalistes ».

      Afin de garantir que le matériel ne sera pas détourné de son objet officiel, la Commission européenne, sollicitée par Disclose, affirme qu’un document d’engagement a été signé par les autorités marocaines – il ne nous a pas été transmis. D’après un porte-parole, ledit document mentionnerait l’usage de ces technologies dans le seul but de lutter « contre le trafic d’êtres humains ». Rien d’autre ? « L’UE fait confiance à Rabat pour respecter son engagement, c’est de sa responsabilité », élude le porte-parole.En réalité, ce transfert de technologies devrait faire l’objet d’une attention particulièrement accrue. Pour cause : les systèmes fournis par l’UE sont classés dans la catégorie des biens à double usage (BDU), c’est-à-dire des biens qui peuvent être utilisés dans un contexte militaire et civil. Ce type d’exportation est même encadré par une position commune de l’UE, datée de 2008. Celle-ci stipule que le transfert des biens à double usage est interdit dès lors qu’il « existe un risque manifeste » que le matériel livré puisse être utilisé à des fins de « répression interne ». Un risque largement établi dans le cas marocain, comme l’a démontré l’affaire Pegasus.

      Contactés, MSAB et Oxygen Forensic ont refusé de nous répondre. Même chose du côté des régulateurs suédois et américains sur les exportations de biens à double usage. Alexandre Taleb, le PDG d’Intertech, la société responsable du déploiement des technologies, a été plus loquace. « Mes clients savent ce qu’ils achètent, je n’ai pas à les juger. Ils ont plus de 400 millions d’habitants qui peuvent s’en charger, déclare-t-il. Si le Maroc a des problèmes démocratiques, c’est une chose, mais nos outils ne sont pas la cause de ces problèmes ». Pour ce marché, Intertech a empoché près de 400 000 euros.

      Au parlement européen, ces exportations sont loin de faire l’unanimité. « Sous prétexte de sécuriser nos frontières, nous ne pouvons pas nous contenter des promesses d’un régime autoritaire, déplore ainsi l’eurodéputée Markéta Gregorová (groupe des Verts). C’est une négligence délibérée et moralement inacceptable de la part de l’Europe ». Une négligence qui passe d’autant plus mal que la société MSAB a été accusée (https://theintercept.com/2021/06/14/myanmar-msab-eu-technology-regulation) d’avoir équipé la police birmane en 2019, à un moment où des exactions contre des civils étaient connues et documentées.

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  • Prédire les flux migratoires grâce à l’intelligence artificielle, le pari risqué de l’Union européenne
    https://disclose.ngo/fr/article/union-europeenne-veut-predire-les-flux-migratoires-grace-a-lintelligence-a

    Depuis plusieurs mois, l’Union européenne développe une intelligence artificielle censée prédire les flux migratoires afin d’améliorer l’accueil des migrants sur son sol. Or, selon plusieurs documents obtenus par Disclose, l’outil baptisé Itflows pourrait vite se transformer en une arme redoutable pour contrôler, discriminer et harceler les personnes cherchant refuge en Europe. Lire l’article

    • C’est un logiciel qui pourrait sa place dans une dystopie. Une intelligence artificielle capable de compiler des milliers de données afin de prédire des flux migratoires et identifier les risques de tensions liées à l’arrivée de réfugiés aux frontières de l’Europe. Son nom : Itflows, pour « outils et méthodes informatiques de gestion des flux migratoires ». Financé à hauteur de 5 millions d’euros par l’Union européenne et développé par un consortium composé d’instituts de recherche, d’une société privée (Terracom) et d’organisations caritatives, Itflows qui est en phase de test devrait rentrer en service à partir d’août 2023. Et ce, malgré des alertes répétées quant aux risques de détournement de ses capacités prédictives à des fins de contrôle et de restrictions des droits des réfugiés sur le sol européen.

      Encore méconnu, ce programme doit venir compléter un dispositif technologique destiné à la surveillance des frontières, notamment espagnoles, italiennes et grecques. Financé sur le budget d’« Horizon 2020 », le programme de recherche et d’innovation de l’Union européenne, Itflows s’ajoutera alors aux drones de surveillance autonome, aux détecteurs de mensonges dans les zones de passages ou à l’utilisation de logiciels d’extraction de données cellulaires.

      D’après notre enquête, les deux ONG contribuent à nourrir l’intelligence artificielle de Itflows en lui fournissant des informations précieuses. Des données directement issues d’entretiens réalisés dans des camps de réfugiés, auprès de Nigérians, de Maliens, d’Érythréens ou encore de Soudanais. Il pourra s’agir d’éléments liés à l’origine ethnique, l’orientation sexuelle ou encore la religion des personnes interrogées. Pour leur contribution, les branches italiennes de la Croix-Rouge et d’Oxfam ont respectivement reçu 167 000 euros et 116 000 euros de fonds publics européens.

      « Nous avons contribué à réaliser trente entretiens de migrants arrivés en Italie au cours des six dernières années », confirme la Croix rouge Italie, sollicitée par Disclose. Une fois analysées, puis rendues accessibles via une application baptisée EUMigraTool, ces informations serviront aux autorités italiennes dans leur analyse « des routes migratoires et des raisons qui poussent les gens à faire le voyage », ajoute l’association. Même son de cloche du côté de Oxfam Italie, qui salue l’intérêt pour « les responsables politiques des pays les plus exposés aux flux migratoires. » Les dirigeants pourront également s’appuyer sur l’analyse des risques politiques liés à l’arrivée de migrants sur leur sol. Le projet inclut en effet la possibilité d’étudier l’opinion publique dans certains pays européens vis-à-vis des migrants à travers une veille sur le réseau social Twitter.
      Des rapports internes alarmants

      En réalité, les risques de détournement du programme existent bel et bien. C’est ce que révèlent des rapports internes (https://www.documentcloud.org/projects/logiciel-itflows-208987) au consortium que Disclose a obtenu à la suite d’une demande d’accès à des documents administratifs. Lesdits rapports, datés de janvier et juin 2021, ont été rédigés par les membres du comité éthique du projet Itflows. Leurs conclusions sont alarmantes. Le premier document, une somme de 225 pages, révèle que « le consortium Itflows est pleinement conscient des risques et des impacts potentiels en matière de droits de l’homme, que les activités de recherche empirique sur les migrations (…) et les développements technologiques prévus dans le projet peuvent poser ». Plus loin, les auteurs enfoncent le clou. Selon eux, les informations fournies par l’algorithme pourraient servir, si elles devaient être utilisées « à mauvais escient », à « stigmatiser, discriminer, harceler ou intimider des personnes, en particulier celles qui sont vulnérables comme les migrants, les réfugiés et les demandeurs d’asile ».

      Cinq mois plus tard, le comité éthique rend un second rapport. Il détaille un peu plus le danger : « Les États membres pourraient utiliser les données fournies pour créer des ghettos de migrants » ; « risque d’identification physique des migrants » ; « discrimination sur la base de la race, du genre, de la religion, de l’orientation sexuelle, d’un handicap ou de l’âge » ; « risque que les migrants puissent être identifiés et sanctionnés pour irrégularités ». Et le régulateur d’alerter sur un autre péril : la poussée des « discours de haine » que pourrait induire une éventuelle diffusion des prédictions du logiciel dans « les zones où les habitants sont informés de déplacements » de populations.
      L’Europe fait la sourde oreille

      Des alertes qui ne semblent pas avoir été entendues. Comme en atteste un bilan dressé lors d’une réunion (https://www.documentcloud.org/documents/22120596-emt-symposium-agenda-16-sep-2021?responsive=1&title=1) en ligne le 16 septembre 2021 par la coordinatrice du comité éthique de Itflows, #Alexandra_Xanthaki, devant des responsables européens, dont #Zsuzsanna_Felkai_Janssen, rattachée à la direction générale des affaires intérieures de la Commission. « Nous avons passé six mois à travailler jour et nuit pour rédiger un rapport instaurant un cadre qui intègre les droits de l’homme », débute la responsable du comité éthique, selon un enregistrement que Disclose s’est procuré. Elle poursuit : « Il me semble pourtant que ce que disent les techniciens de l’équipe aujourd’hui c’est : nous n’en tenons pas compte ». Un manque de précaution qui inquiète jusqu’au sein du conseil d’administration d’Itflows. Joint par Disclose, Alexander Kjærum, analyste pour le conseil danois pour les réfugiés et membre du conseil de surveillance estime en effet qu’il existe « un risque important que des informations se retrouvent entre les mains d’États ou de gouvernements qui les utiliseront pour implanter davantage de barbelés le long des frontières. »

      Sollicitée, la coordinatrice du programme, #Cristina_Blasi_Casagran, assure que le logiciel « ne sera pas utilisé à mauvais escient ». Selon elle, Itflows « devrait même faciliter l’entrée des migrants [dans l’Union européenne] en permettant une meilleure affectation des ressources engagées dans l’#accueil ».

      #Frontex inquiète

      Un dernier point vient renforcer le risque d’un détournement du logiciel : l’intérêt de Frontex pour Iflows. D’après des documents internes, l’agence en charge de la surveillance des frontières de l’UE suit étroitement les avancées du programme. Jusqu’à y contribuer activement via la fourniture de données récoltées dans le cadre de ses missions. Or, depuis plusieurs années, l’agence européenne est régulièrement accusée d’expulsions illégales et de violations des droits de l’homme. Interrogée sur ce point, l’ONG Oxfam considère qu’il n’y a pas de risque de détournement du logiciel au profit de l’agence. La branche italienne de la Croix rouge déclare quant à elle que « la convention de subvention régissant la mise en œuvre du projet Itflows ne désigne pas Frontex comme utilisateur de l’outil, mais simplement comme source de données ouvertes ». En 2021, Frontex a élu l’interface Itflows parmi les projets d’Horizon 2020 au « potentiel opérationnel et innovant » le plus élevé.

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  • Immigration : Ia politique publique la plus coût-inefficace ?

    Le 24 novembre 2021, au lendemain du naufrage d’une embarcation ayant causé la mort de vingt-sept exilés dans la Manche, le président de la République, tout en disant sa « compassion » pour les victimes, appelait à « un renforcement immédiat des moyens de l’agence Frontex aux frontières extérieures ».

    Alors qu’il dénonçait les « passeurs » qui organisent les traversées vers l’Angleterre, les organisations de droits humains critiquaient au contraire une politique qui, en rendant le périple plus périlleux, favorise le développement des réseaux mafieux. Et, tandis qu’il invoquait la nécessité d’agir dans la « dignité », les associations humanitaires qui viennent en aide aux exilés dans le Calaisis pointaient le démantèlement quasi quotidien, par les forces de l’ordre, des campements où s’abritent ces derniers et la destruction de leurs tentes et de leurs maigres effets.

    De semblables logiques sont à l’œuvre en Méditerranée, autre cimetière marin, dont les victimes sont bien plus nombreuses, et même littéralement innombrables, puisque le total de 23 000 morts comptabilisées par l’Office international des migrations est une sous-estimation d’ampleur inconnue. Bien que Frontex y conduise des opérations visant à « sécuriser les frontières » et « traquer les passeurs », l’Union européenne a largement externalisé le contrôle des entrées sur son territoire.

    Le don par le ministère des Armées français de six navires aux garde-côtes libyens, afin qu’ils puissent intercepter et ramener dans leur pays les réfugiés et les migrants qui tentent de rejoindre l’Europe, donne la mesure de cette politique. On sait en effet que les exilés ainsi reconduits sont emprisonnés, torturés, exploités, à la merci de la violence de l’Etat libyen autant que de groupes armés et de bandes criminelles.

    Une répression qui coûte très cher

    Au-delà des violations des droits humains et des principes humanitaires, la question se pose de l’efficacité de cette répression au regard de son coût. Un cas exemplaire est celui de la frontière entre l’Italie et la France, dans les Alpes, où, depuis six ans, le col de l’Echelle, puis le col de Montgenèvre sont les principaux points de passage entre les deux pays. Chaque année, ce sont en moyenne 3 000 personnes sans titre de séjour qui franchissent la frontière, hommes seuls et familles, en provenance du Maghreb, d’Afrique subsaharienne et du Moyen Orient et pour lesquels la France n’est souvent qu’une étape vers l’Allemagne, l’Angleterre ou l’Europe du Nord.

    Jusqu’en 2015, le poste de la police aux frontières avait une activité réduite puisque l’espace Schengen permet la circulation libre des personnes. Mais le contrôle aux frontières est rétabli suite aux attentats du 13 novembre à Paris et Saint-Denis. Les effectifs s’accroissent alors avec l’adjonction de deux équipes de nuit. Il y a aujourd’hui une soixantaine d’agents.

    En 2018, à la suite d’une opération hostile aux exilés conduite par le groupe d’extrême droite Génération identitaire et d’une manifestation citoyenne en réaction, un escadron de gendarmes mobiles est ajouté au dispositif, puis un deuxième. Chacun d’eux compte 70 agents.

    Fin 2020, après une attaque au couteau ayant causé la mort de trois personnes à Nice, le président de la République annonce le doublement des forces de l’ordre aux frontières. Dans le Briançonnais, 30 militaires de l’opération Sentinelle sont envoyés.

    Début 2022, ce sont donc 230 agents, auxquels s’ajoutent un état-major sous les ordres d’un colonel et trois gendarmes réservistes, qui sont spécifiquement affectés au contrôle de la frontière.

    En novembre dernier, une commission d’enquête parlementaire présidée par le député LREM Sébastien Nadot avait fourni dans son rapport une évaluation des coûts, pour une année, des forces de l’ordre mobilisées dans le Calaisis pour y gérer la « présence de migrants ». Suivant la même méthode, on peut estimer à 60 millions d’euros, soit 256 000 euros par agent, les dépenses occasionnées par les efforts pour empêcher les exilés de pénétrer sur le territoire français dans le Briançonnais. C’est là une estimation basse, qui ne prend pas en compte certains frais spécifiques au contexte montagneux.
    Une politique inefficace

    Au regard de ce coût élevé, quelle est l’efficacité du dispositif mis en place ? Une manière de la mesurer est de compter les non-admissions, c’est-à-dire les reconduites à la frontière. Il y en a eu 3 594 en 2018, 1 576 en 2019 et 273 au premier semestre 2020. Mais, comme l’explique la préfecture des Hautes-Alpes, ces chiffres indiquent une activité, et non une efficacité, car de nombreux migrants et réfugiés tentent plusieurs fois de franchir la frontière, et sont comptabilisés à chaque arrestation et reconduite.

    Bien plus significatives sont les données recueillies à Oulx, en Italie, où le centre d’hébergement constate que presque toutes les personnes renvoyées tentent à nouveau de passer, quitte à emprunter des voies plus dangereuses, et à Briançon, où le refuge solidaire reçoit la quasi-totalité de celles qui ont réussi à franchir la frontière. Elles étaient 5 202 en 2018, 1 968 en 2019 et 2 280 en 2020. Les chiffres provisoires de 2021 montrent une augmentation des passages liée surtout à une arrivée de familles afghanes.

    Les policiers et les gendarmes en conviennent, non sans amertume : tous les exilés finissent par passer. On ne saurait s’en étonner. Beaucoup ont quitté plusieurs années auparavant leur pays pour échapper à la violence ou à la misère. Les uns ont parcouru le Sahara, vécu l’internement forcé en Libye, affronté au péril de leur vie la Méditerranée. Les autres ont été menacés en Afghanistan, enfermés dans un camp à Lesbos, battus et dépouillés à la frontière de la Croatie. Comment imaginer que le franchissement d’un col, même en hiver, pourrait les arrêter ?

    Le constat est donc le suivant. Malgré un coût considérable – auquel il faudrait ajouter celui, difficilement mesurable, de la souffrance, des blessures, des amputations et des décès causés par les risques pris dans la montagne – la politique visant à interdire à quelques milliers d’exilés l’entrée sur le territoire français a une efficacité proche de zéro. Elle est probablement la plus coût-inefficace des politiques publiques menées par l’Etat français, sans même parler des multiples irrégularités commises, à commencer par le refus fréquent d’enregistrer les demandes d’asile.

    Mais, peut-être l’efficacité n’est-elle pas à évaluer en matière de passages empêchés et de personnes non admises. Ce qui est recherché relève plutôt de la performance face à l’opinion. Il s’agit, pour l’Etat, de mettre en scène le problème de l’immigration irrégulière et de donner le spectacle de son action pour l’endiguer.

    Dans cette perspective, la militarisation de la frontière a bien alors une efficacité : elle est purement politique.

    https://www.alternatives-economiques.fr/didier-fassin/immigration-ia-politique-publique-plus-cout-inefficace/00102098

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  • Japan sees fewer foreign visitors even after opening border to tourists | South China Morning Post
    https://www.scmp.com/news/asia/east-asia/article/3185950/japan-sees-fewer-foreign-visitors-even-after-opening-border

    Japan sees fewer foreign visitors even after opening border to tourists
    The number of foreign arrivals was 120,400 compared with 147,000 in May – visitors in June were down 96 per cent compared with three years ago
    The country began accepting tourists on June 10, doubling the daily entry limit to 20,000 – most came from Vietnam, followed by China, then South Korea. Foreign visitors to Japan fell in June from the previous month, even after the country began taking steps to reopen its borders to tourists for the first time in more than two years.The total number of foreign arrivals was 120,400 compared with 147,000 in May, according to data released from the Japan National Tourism Organisation on Wednesday. Japan officially began accepting tourists on June 10, doubling the daily entry limit to 20,000 visitors.While the tally doesn’t provide a breakdown on the types of visitors, the decline suggests Japan isn’t seeing a flood of tourists even as a weaker yen makes visits more affordable.Tourists are still limited to group tours with strict controls – including mandatory mask-wearing, temperature checks and limited free movement – appearing to be making it difficult to plan for and attract visitors.Japan is facing its 7th Covid wave, but the tourism industry’s not worried. The biggest number of visitors came from Vietnam, followed by China, then South Korea.Before the pandemic, Japan was at the peak of a tourism boom, with inbound visitors reaching a record in 2019. Now, the island nation is one of the last remaining rich economies with strict border controls. Visitors in June were down 96 per cent compared with the same month three years ago.

    #Covid-19#migrant#migration#japon#sante#tourisme#frontiere#controlesanitaire