• En Bretagne, l’eau potable coûtera plus cher à cause des pesticides
    https://www.off-investigation.fr/en-bretagne-leau-potable-coutera-plus-cher-a-cause-des-pesticides

    L’eau en Bretagne est polluée par des métabolites. La persistance de ces résidus de pesticides risque de plomber encore longtemps les factures des consommateurs.Lire la suite : En Bretagne, l’eau potable coûtera plus cher à cause des pesticides

    #Enquêtes

  • Migranti, nei centri italiani in Albania un rotolo di carta igienica a persona a settimana

    I paradossi del #bando da 34 milioni di euro pubblicato dal Viminale per la gestione delle strutture. Applicata la procedura di estrema urgenza, negoziazione tra tre soli operatori economici, una sola settimana di tempo per la manifestazione d’interesse.

    Un appalto da 34 milioni di euro e un rotolo di carta igienica a settimana per migrante. Basterebbe questo paradosso a bollare come frettoloso e sommario il bando per l’affidamento dei servizi per i centri di accoglienza e trattenimento dei richiedenti asilo che il governo Meloni prevede di aprire in Albania entro il 20 maggio. Una improbabile corsa contro il tempo per un’operazione che ancora manca del requisito di legittimità giuridico fondamentale ma che la premier intende giocarsi in vista della campagna elettorale per le Europee del 9 giugno.

    Misteriose ragioni di estrema urgenza

    E dunque ecco il ricorso a «#ragioni_di_estrema_urgenza» ( che non si sa quali siano visto che gli sbarchi sono nettamente diminuiti) per giustificare la procedura negoziale riservata a tre soli concorrenti che, nel giro di soli sette giorni, dovrà aggiudicare l’affidamento dei servizi di accoglienza e di gestione dei tre centri previsti dove i lavori non sono neanche cominciati: quello nel porto di Shengjin, adibito allo screening sanitario, all’identificazione e alla raccolta delle richieste di asilo, e i due di Gjader, la struttura di accoglienza da 880 posti dove i migranti resteranno (teoricamente) per un mese in attesa di conoscere l’esito della procedura accelerata di frontiera, e il Cpr da 144 posti dove verranno trasferiti quelli destinati al rimpatrio.

    Si risparmia sull’igiene dei migranti

    Il bando è stato pubblicato il 21 marzo, con avviso di manifestazione di interesse che si concluderà nel tempo record di una settimana. Un appalto da 34 milioni di euro a cui si aggiungono i rimborsi ( non quantificabili) di servizi di trasporto, utenze, raccolta dei rifiuti, manutenzione ordinaria e straordinaria, e dell’assistenza sanitaria. Non proprio quattro spiccioli, a fronte dei quali, però, spulciando il bando si trovano vere e proprie “perle”. Sull’igiene personale dei migranti, tanto per cominciare, chi si aggiudicherà l’appalto, potrà risparmiare: un solo rotolo di carta igienica a settimana a testa dove i richiedenti asilo attenderanno ( in detenzione amministrativa) l’esito della richiesta di asilo. Rotoli che, chissà poi perchè, diventeranno sei a settimana per gli sfortunati che, a fronte del diniego, verranno trasferiti nell’ala destinata a Cpr.

    Solo un cambio di abiti a stagione

    Nel kit di primo ingresso nei centri solo un paio di mutande e un paio di calze e, più in generale, un solo cambio di abiti a stagione.E dunque, a differenza dei centri di accoglienza italiani dove i migranti sono liberi e possono procurarsi altri abiti, i richiedenti asilo portati in Albania saranno detenuti e costretti ad indossare sempre gli stessi. Avranno il detersivo per lavarli due volte a settimana, nel frattempo evidentemente staranno in pigiama. Almeno si consoleranno con il cibo che prevede persino la pizza e il dolce due volte a settimana.

    Per raccontare la loro storia alla commissione d’asilo che deciderà il loro destino o per comparire davanti ai giudici di Roma, competenti sui ricorsi, dovranno accontentarsi di un collegamento da remoto, con tutte le limitazioni in tema di diritti che nascono dalle difficoltà di espressione e comprensione.

    Magi: “Un gigantesco spot elettorale”

    «Una bella photo-opportunity elettorale - commenta Riccardo Magi di Più Europa - Giorgia Meloni vuole allestire questi centri in fretta e furia e usarli come un gigantesco spot a pochi giorni dal voto a spese degli italiani».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2024/03/23/news/migranti_centri_albania_bando_viminale-422362144

    #Albanie #Italie #asile #migrations #réfugiés #coût #urgence #gestion #appel_d'offre #externalisation

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Protocollo Italia-Albania: il Viminale avvia la gara milionaria per la gestione dei centri

      Dal bando pubblicato il 21 marzo dalla prefettura di Roma emergono i primi dettagli dell’accordo contro i migranti: solo per le spese vive e il personale delle strutture, due hotspot e un Centro di permanenza per il rimpatrio, sono assicurati al gestore privato quasi 40 milioni di euro all’anno. I tempi sono strettissimi, le europee incombono

      Il ministero dell’Interno ha pubblicato i bandi di gara per la gestione delle nuove strutture per i migranti in Albania che diventeranno operative, documenti alla mano, entro il 20 maggio 2024. Un primo passo concreto verso la messa in pratica del protocollo annunciato dal Governo Meloni con Tirana lo scorso 6 novembre 2023 -poi ratificato dal Parlamento a fine febbraio 2024- e che prevede di dislocare i naufraghi soccorsi in operazioni di salvataggio in mare sul territorio albanese. Più precisamente in tre strutture con una capienza totale che supera i mille posti disponibili: due hotspot, ovvero i centri di identificazione, che in Italia troviamo nei cosiddetti “punti di crisi”, principali punti di sbarco (Lampedusa, Pozzallo e Taranto tra gli altri), più un Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) dove trattenere coloro che sono in attesa di essere espulsi nel proprio Paese d’origine. La spesa annuale stimata è pari a quasi 40 milioni di euro, calcolando esclusivamente il costo a persona (pro-capite pro-die), che però esclude diverse spese vive (dal trasporto all’assistenza sanitaria fino alle utenze).

      La gara è stata pubblicata il 21 marzo e individua nella prefettura di Roma la stazione appaltante, la quale ha scelto di attivare una procedura negoziata con cui consulterà un “numero congruo di operatori economici” per aggiudicare i servizi all’ente gestore. Un bando di questo genere può essere giustificato solo in casi di estrema urgenza. E secondo il ministero l’affidamento in oggetto, essendo un presupposto fondamentale per “l’attuazione del Protocollo tra Italia e Albania in conformità ai tempi ed agli adempimenti che risultano necessari per rispettare, alle scadenze previste, gli impegni assunti dal Governo della Repubblica Italiana”, rientra tra quelle procedure basate proprio su “ragioni di estrema urgenza”.

      La prima struttura è sita nella città portuale di Shenjin e sarà a tutti gli effetti un hotspot. “Una struttura dimensionata per l’accoglienza, senza pernottamento, dei migranti condotti in porto e destinati alle procedure di screening sanitario, identificazione e raccolta delle eventuali domande di asilo, all’esito delle quali i migranti saranno trasferiti presso le strutture di Gjader”. Gjader è la seconda località coinvolta dove saranno costruite le altre due strutture: un centro destinato “all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale” con un’accoglienza massima a regime di 880 migranti, e un altro, sempre nella stessa città albanese che sarà invece un Centro di permanenza per il rimpatrio, che ricalca quelli presenti sul territorio italiano, con una capienza fino a 144 persone. A Gjader saranno disponibili poi 168 posti per alloggi di servizio, di cui 60 riservati al personale dell’ente gestore.

      Come detto, i corrispettivi riconosciuti pro-capite pro-die, secondo la tipologia di centro ed il relativo numero degli ospiti presenti, ammontano “presuntivamente a complessivi 33.950.139 euro annui”. La gara d’appalto ha una durata di due anni, prorogabili fino ad un massimo di altri due. Sono esclusi dai quasi 40 milioni di euro, invece, i costi di trasporto, le utenze idriche, elettriche, del servizio di raccolta rifiuti, la connessione wifi e la manutenzione ordinaria e straordinaria. Così come quelli per la “predisposizione e manutenzione dei presidi antincendio” e quelli “relativi all’assistenza sanitaria”.

      Proprio questo è uno degli aspetti paradossali affrontati dal bando. Per la struttura sita nel porto di Shenjin si prevede “un ambulatorio medico dedicato per assistenza sanitaria, inclusa la stabilizzazione di condizioni cliniche ai fini del trasferimento” con “una sala per visite ambulatoriali, una stanza per osservazioni brevi con tre posti letto e una stanza di isolamento con due posti”.

      Invece nel sito di Gjader verrà di fatto allestito un vero e proprio “mini ospedale”. Vengono previste “tre sale per visite ambulatoriali, due stanze per osservazioni brevi (ognuna dotata di tre posti letto), una medicheria, una sala operatoria e una recovery room, un laboratorio analisi, una stanza per diagnostica per immagini (rx ed ecografia), una per visite psicologiche/psichiatriche all’uopo utilizzabile anche per consulenze in telemedicina e due stanze di isolamento”. Una struttura in cui opererà un elevatissimo numero di personale sanitario. Oltre a medici e infermieri per l’attività standard, viene prevista una équipe operativa 24 ore al giorno formata rispettivamente da: “medico specialista in anestesia-rianimazione, medico specialista in chirurgia generale, medico specialista in ortopedia con competenze chirurgiche, personale medico specialista in psichiatria, un infermiere strumentista, un operatore socio-sanitario (in caso di attivazione della sala operatoria), un tecnico di laboratorio, un tecnico di radiologia, un personale medico specialista in radiologia”.

      L’ente gestore, oltre a fornire kit di primo ingresso, sia igienici sia vestiari e a garantire la fornitura dei pasti e l’informativa legale, dovrà garantire la predisposizione di “appositi locali e strumenti tecnici che assicurino la connessione alla rete e il collegamento audio-visivo nel rispetto della privacy e della libertà di autodeterminazione del beneficiario per l’eventuale audizione da remoto davanti alle Commissioni territoriali, nonché davanti al Tribunale ordinario e ad altri uffici amministrativi”. In altri termini: saranno implementate delle stanze per svolgere le audizioni di chi, una volta richiesto asilo, dovrà affrontare l’iter per vedersi o meno riconosciuto il permesso di soggiorno. Tutto inevitabilmente online. Dovrà esserci anche un locale “al fine di tutelare la riservatezza della persona nei colloqui con il proprio legale” o favorire l’incontro con “eventuali visitatori ammessi”. La prefettura di Roma, dovrà essere messa a conoscenza “di ogni notizia di rilievo inerente la regolare conduzione della convivenza e le condizioni del centro e tenuta di un registro con gli eventuali episodi che hanno causato lesioni a ospiti od operatori”, nonché la consegna della certificazione di idoneità al trattenimento.

      La gara è aperta fino al 28 marzo. La prefettura valuterà le offerte pervenute da imprese o cooperative già attive nel settore con un fatturato complessivo, negli ultimi tre esercizi disponibili, non inferiore a cinque milioni di euro. Non certo piccole realtà dell’accoglienza. L’avvio dell’operatività dei centri è prevista non oltre il 20 maggio 2024. Quindici giorni prima di quella data, il ministero dell’Interno potrà confermare o meno l’effettivo avvio a pieno regime oppure anche con “una ricettività progressiva rispetto a quella massima prevista nelle more del completamento degli eventuali lavori di allestimento”. L’importante è partire: le elezioni europee di inizio giugno incombono.

      https://altreconomia.it/protocollo-italia-albania-il-viminale-avvia-la-gara-milionaria-per-la-g

  • Rwanda trips by UK ministers and officials have already cost over £400,000

    Sending ministers and officials to Rwanda has cost the government more than £400,000 before a single deportation flight has taken off, figures show.

    Ministers have spent a total of £413,541 on travel in the two years since the policy to send asylum seekers to Kigali started to be developed.

    The total, calculated by the Labour party, is based on government transparency releases. It includes trips by senior government officials and a succession of ministers and home secretaries including James Cleverly, Suella Braverman and Priti Patel.

    This week it emerged that Cleverly spent £165,561 on chartering a private jet for a one-day trip to sign a new treaty with Rwanda in December. The cost of the flight was published in a transparency document on Thursday.

    The shadow immigration minister, Stephen Kinnock, said: “Having clearly decided that committing £600m of taxpayers’ money to the Rwandan government for just 300 refugees wasn’t insulting enough, it now emerges that three home secretaries have blown hundreds of thousands of pounds on their various publicity stunts in Rwanda. This government’s enthusiasm for wasting taxpayers’ money knows no bounds.

    “Labour would redirect the cash set aside for Rwanda into a cross-border police unit and security partnership to smash the criminal smuggler gangs at source, and introduce a new returns unit to quickly remove those with no right to be here.”

    A succession of legal challenges have prevented the Rwanda policy, which would send asylum seekers who arrive in the UK on small boats to the east African country for processing, from being implemented.

    The plan was first announced by Boris Johnson in April 2022 but is yet to become operational two years later.

    The government insists that flights to Rwanda will take off this spring, after a bill intended to overcome legal hurdles to the policy becomes law.

    However, ministers have delayed the passage of the bill until after Easter, with the final votes on it expected to take place in mid-April. The government has yet to find an airline to operate the flight.

    Asked why he was waiting another three weeks to push the legislation through, Rishi Sunak said his plan to stop Channel crossings “is working”.

    “People should not be able to jump the queue, come here illegally, put pressure on local services, undermine our sense of fairness and ultimately put their lives at risk as they are exploited by gangs,” he told broadcasters. “That’s why I am determined to stop the boats. Our plan is working, the numbers last year were down by a third. That’s never happened before, that shows that we are making progress.”

    He added that the UK needed Rwanda flights as a “deterrent” to “finish the job”.

    Cleverly’s flight to Rwanda in December was to sign a new treaty that established a new appeal body, to be made up of judges with asylum expertise from a range of countries, to hear individual cases.

    The flights alone of the home secretary’s 24-hour trip cost more than four times the total cost of Braverman’s last visit in March 2023. Her trip cost just over £40,000, with flights at £35,041, hotels £4,301, transport £248 and “engagement” £2,056, the Daily Mirror reported last year.

    The government said Rwanda’s asylum system would be monitored by an independent committee, whose powers to enforce the treaty would be beefed up. The committee would develop a system to enable relocated people and their lawyers to lodge complaints.

    The government was criticised earlier this month for planning to spend £1.8m on each of the first 300 asylum seekers it plans to send to Rwanda. The overall cost of the scheme stands at more than half a billion pounds, according to the figures released to the National Audit Office.

    https://www.theguardian.com/uk-news/2024/mar/22/rwanda-trips-uk-ministers-officials-cost-over-400000

    #coût #Rwanda #externalisation #UK #Angleterre #préparation #asile #migrations #réfugiés

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    ajouté à la #métaliste sur les tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers (►https://seenthis.net/messages/731749), mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers :
    https://seenthis.net/messages/900122

  • #Carte de #France des #fuites d’#eau_potable les plus importantes : Ardèche, Pyrénées-Orientales, Hautes-Alpes, Corse particulièrement touchées

    L’association Intercommunalités de France publie ce mercredi 20 mars une cartographie de 198 services d’eau potable dont le taux de fuites sur le réseau égale ou dépasse les 50 %. Il s’agit essentiellement de petites communes dites « isolées », solitaires dans leur gestion de l’or bleu, qui couvrent quelque 64 000 habitants.

    La sécheresse historique de 2022 a montré que l’or bleu devait être mieux géré en France. Cette année-là, plus de 1 000 communes ont eu des difficultés d’approvisionnement au robinet, un phénomène accentué par de nombreuses fuites dans les canalisations. En France, 20 % de l’eau potable est perdue lors de son acheminement. « C’est une situation aberrante qu’on doit corriger en urgence », avait tranché le président de la République fin mars 2023, en présentant un « plan eau », dont une partie était censée répondre à cet enjeu en mobilisant davantage d’aides. Le gouvernement avait alors identifié 170 communes prioritaires, victimes d’au moins 50 % de fuites, appelées « #points_noirs ».

    Mais il semblerait que le chiffre ait été sous-estimé. Ce mercredi 20 mars, #Intercommunalités_de_France, fédération nationale qui réunit métropoles, agglomérations, communautés urbaines et communautés de communes, dévoile une nouvelle carte, sur laquelle figurent 198 « points noirs » qui perdent donc plus de la moitié de leur eau. Cela représente 4 % des services d’eau en France et concerne un peu plus de 64 000 habitants. L’association a utilisé les données les plus récentes et les plus fiables de l’Observatoire national des services d’eau et d’assainissement, qui datent de 2022. La base, qui avait servi aux premières estimations officielles de 2023, s’est depuis étoffée sans toutefois devenir exhaustive car les communes les plus petites n’ont pas l’obligation de l’alimenter.

    Des petites villes dans le triste palmarès

    Parmi les « points noirs », tous ne sont pas pilotés de la même façon : 151 sont des régies municipales, 22 sont gérés en intercommunalité et 25 dépendent de syndicats des eaux. A travers cette cartographie inédite, Intercommunalités de France entend démontrer ce que le gouvernement avait déjà identifié : l’écrasante majorité des cas problématiques concerne de petites communes se débrouillant seules pour s’approvisionner en eau. Les #ressources_financières leur manquent pour entretenir les #réseaux et les subventions restent insuffisantes pour les inciter à réaliser des travaux réguliers. Ainsi, #Astet (Ardèche), une commune d’environ 40 habitants, se classe en tête de la liste des communes ayant le plus haut niveau de fuites en métropole : 91 %. Elle présente le même profil que les autres « fuyards » : un village de montagne solitaire dans sa gestion de l’eau. Rien de surprenant : en altitude, les réseaux sont les plus étendus et plus sujets aux fuites.

    « Refaire les #canalisations sur 1 km, c’est 1 million. Ça coûte très cher, précise à Libération Régis Banquet, vice-président en charge de l’eau d’Intercommunalités de France et président de Carcassonne agglomération. On a pris un retard phénoménal. Il faut renouveler les #tuyaux tous les cinquante ans pour qu’ils soient en bon état, or on les renouvelle tous les 120 à 140 ans. La prise de conscience qu’il faut porter attention à la moindre goutte d’eau est récente. »

    Si les services d’eau les plus en difficulté ne desservent en général que quelques dizaines ou centaines d’habitants, de petites villes figurent cependant dans le triste palmarès, comme #Scionzier, en Haute-Savoie, environ 9 000 habitants, ou #Contes, dans les Alpes-Maritimes, un peu plus de 7 500 habitants, qui fait partie d’un syndicat de quinze communes à proximité de Nice.

    « On doit agir vite et fort »

    Et une gestion mutualisée ne protège pas de tout. La communauté d’agglomération du Pays de Dreux, qui rassemble 78 communes à cheval entre Eure-et-Loir et Eure, connaît un taux de fuites de 74,7 %. La métropole de Perpignan, 36 communes, totalise, elle, près de 60 % de fuites. Dans ce type de cas, « ça n’est jamais l’ensemble de ses services qui présentent un rendement inférieur à 50 %, mais généralement quelques communes », précise Intercommunalités de France.

    La situation a peu de chances de s’être significativement améliorée depuis 2022, malgré le plan eau et les 53 millions débloqués récemment par l’Etat pour les fuites, car la réalisation de travaux ambitieux prend du temps. « C’est forcément un chantier de longue haleine », a reconnu le ministère de la Transition écologique mardi lors d’un point presse sur l’avancée du plan eau.

    « La situation est grave. Dans le contexte du changement climatique, on doit agir vite et fort. Une des solutions est le transfert vers l’intercommunalité pour toutes les communes gérant seules afin que la solidarité s’organise sur les territoires. Cette mise en commun des moyens permet de réaliser les #investissements colossaux nécessaires », plaide Régis Banquet. Il estime que 15 à 20 milliards d’euros devraient être exclusivement consacrés au renouvellement des #réseaux_d’eau dans les cinq ans à venir pour rattraper le retard accumulé.

    « Les petites communes isolées sont en difficulté »

    Il y a un an, Emmanuel Macron avait appelé à « mutualiser différemment » les ressources, en prenant en exemple « l’intercommunalité », un modèle à « consolider partout où c’est accepté ». La loi va dans ce sens. En 2026, plus aucune commune ne pourra gérer seule son eau. Mais certains maires s’y opposent. « Il reste un imaginaire un peu Manon des sources : “C’est le puits de mon village, je n’ai pas envie de le partager”. Ceux qui ont de l’eau ne sont pas toujours très enclins à en fournir à ceux qui n’en ont pas », explique Régis Taisne, chef du département « cycle de l’eau » à la Fédération nationale des collectivités concédantes et régies. Et d’ajouter : « Les maires ruraux ont le sentiment qu’ils sont petit à petit dépossédés de toutes leurs compétences, celle sur l’eau est une de leurs dernières attributions. »

    Les deux départements comptant le plus de « points noirs » font justement partie de ceux dans lesquels beaucoup de maires rechignent au #regroupement, fait remarquer Intercommunalités de France. En tête, les Pyrénées-Orientales, avec 17 communes qui perdent plus d’un litre sur deux, alors que la sécheresse y sévit depuis trois ans, suivis par les Hautes-Alpes, qui en comptent quinze.

    « Le constat est clair : les petites communes isolées sont en difficulté, acquiesce Régis Taisne, qui est cependant moins catégorique qu’Intercommunalités de France. Il faut regrouper, mutualiser pour atteindre une taille critique permettant de faire face aux enjeux. Et dans beaucoup de cas, l’échelle intercommunale est cohérente. Mais dans d’autres, un autre #découpage_territorial peut s’imposer. Il existe par exemple de grands syndicats des eaux à l’échelle de toute la Vendée ou encore de l’Alsace-Moselle. » Cet expert invite surtout à rassembler des communes de diverses natures pour améliorer la solidarité : urbaines, rurales, de plaine, d’altitude, riches en eau ou dépourvues de ressources.

    https://www.liberation.fr/environnement/eau-potable-ardeche-alpes-maritimes-haute-savoie-la-carte-de-france-des-f
    #infrastructure #coût

    #cartographie #visualisation

    • Ce pays se « tiers mondise » à vitesse grand V. A quoi bon payer des impôts si c’est pour se retrouver avec des réseaux pareils !

  • Plaidoirie magistrale de Monique Chemillier-Gendreau à la CIJ – Aurdip

    "La plaidoirie magistrale de la Professeure Monique Chemillier-Gendreau au nom de l’Organisation de la coopération islamique devant la Cour Internationale de Justice concernant les « Conséquences juridiques découlant des politiques et pratiques d’Israël dans le Territoire palestinien occupé, y compris Jérusalem-Est »"

    https://aurdip.org/plaidoirie-magistrale-de-monique-chemillier-gendreau-a-la-cij

    #palestine #cij

  • #Ikea, le seigneur des forêts

    Derrière son image familiale et écolo, le géant du meuble suédois, plus gros consommateur de bois au monde, révèle des pratiques bien peu scrupuleuses. Une investigation édifiante sur cette firme à l’appétit démesuré.

    C’est une des enseignes préférées des consommateurs, qui équipe depuis des générations cuisines, salons et chambres d’enfants du monde entier. Depuis sa création en 1943 par le visionnaire mais controversé Ingvar Kamprad, et au fil des innovations – meubles en kit, vente par correspondance, magasins en self-service… –, la petite entreprise a connu une croissance fulgurante, et a accompagné l’entrée de la Suède dans l’ère de la consommation de masse. Aujourd’hui, ce fleuron commercial, qui participe pleinement au rayonnement du pays à l’international, est devenu un mastodonte en expansion continue. Les chiffres donnent le tournis : 422 magasins dans cinquante pays ; près d’un milliard de clients ; 2 000 nouveaux articles au catalogue par an… et un exemplaire de son produit phare, la bibliothèque Billy, vendu toutes les cinq secondes. Mais le modèle Ikea a un coût. Pour poursuivre son développement exponentiel et vendre toujours plus de meubles à bas prix, le géant suédois dévore chaque année 20 millions de mètres cubes de bois, soit 1 % des réserves mondiales de ce matériau… Et si la firme vante un approvisionnement responsable et une gestion durable des forêts, la réalité derrière le discours se révèle autrement plus trouble.

    Greenwashing
    Pendant plus d’un an, les journalistes d’investigation Xavier Deleu (Épidémies, l’empreinte de l’homme) et Marianne Kerfriden ont remonté la chaîne de production d’Ikea aux quatre coins du globe. Des dernières forêts boréales suédoises aux plantations brésiliennes en passant par la campagne néo-zélandaise et les grands espaces de Pologne ou de Roumanie, le documentaire dévoile les liens entre la multinationale de l’ameublement et l’exploitation intensive et incontrôlée du bois. Il révèle comment la marque au logo jaune et bleu, souvent via des fournisseurs ou sous-traitants peu scrupuleux, contribue à la destruction de la biodiversité à travers la planète et alimente le trafic de bois. Comme en Roumanie, où Ikea possède 50 000 hectares de forêts, et où des activistes se mobilisent au péril de leur vie contre une mafia du bois endémique. Derrière la réussite de l’une des firmes les plus populaires au monde, cette enquête inédite éclaire l’incroyable expansion d’un prédateur discret devenu un champion du greenwashing.

    https://www.arte.tv/fr/videos/112297-000-A/ikea-le-seigneur-des-forets
    #film #film_documentaire #documentaire #enquête
    #greenwashing #green-washing #bois #multinationale #meubles #Pologne #Mazovie #Mardom_House #pins #Ingvar_Kamprad #délocalisation #société_de_consommation #consumérisme #résistance #justice #Fondation_Forêt_et_citoyens #Marta_Jagusztyn #Basses-Carpates #Carpates #coupes_abusives #exploitation #exploitation_forestière #consommation_de_masse #collection #fast-furniture #catalogue #mode #marketing #neuro-marketing #manipulation #sous-traitance #chaîne_d'approvisionnement #Sibérie #Russie #Ukraine #Roumanie #accaparement_de_terres #Agent_Green #trafic_de_bois #privatisation #Gabriel_Paun #pillage #érosion_du_sol #image #prix #impact_environnemental #FSC #certification #norme #identité_suédoise #modèle_suédois #nation_branding #Estonie #Lettonie #Lituanie #lobby #mafia_forestière #coupes_rases #Suède #monoculture #sylviculture #Sami #peuples_autochtones #plantation #extrême_droite #Brésil #Parcel_Reflorestadora #Artemobili #code_de_conduite #justice #responsabilité #abattage #Nouvelle-Zélande #neutralité_carbone #compensation_carbone #maori #crédits-carbone #colonisation

    • #fsc_watch

      This site has been developed by a group of people, FSC supporters and members among them, who are very concerned about the constant and serious erosion of the FSC’s reliability and thus credibility. The group includes Simon Counsell, one of the Founder Members of the FSC; Hermann Edelmann, working for a long term FSC member organisation; and Chris Lang, who has looked critically at several FSC certifications in Thailand, Laos, Brazil, USA, New Zealand, South Africa and Uganda – finding serious problems in each case.

      As with many other activists working on forests worldwide, we share the frustration that whilst the structural problems within the FSC system have been known for many years, the formal mechanisms of governance and control, including the elected Board, the General Assembly, and the Complaints Procedures have been highly ineffective in addressing these problems. The possibility of reforming – and thus ‘saving’ – the FSC through these mechanisms is, we feel, declining, as power within the FSC is increasingly captured by vested commercial interest.

      We feel that unless drastic action is taken, the FSC is doomed to failure. Part of the problem, in our analysis, is that too few FSC members are aware of the many profound problems within the organisation. The FSC Secretariat continues to pour out ‘good news stories’ about its ‘successes’, without acknowledging, for example, the numerous complaints against certificates and certifiers, the cancellation of certificates that should never have been awarded in the first place, the calls for FSC to cease certifying where there is no local agreement to do so, the walk-outs of FSC members from national processes because of their disillusionment with the role of the economic chamber, etc. etc. etc.

      There has been no honest evaluation of what is working and what is not what working in the FSC, and no open forum for discussing these issues. This website is an attempt to redress this imbalance. The site will also help people who are normally excluded from the FSC’s processes to express their views and concerns about the FSC’s activities.

      Please share your thoughts or information. Feel free to comment on our postings or send us any information that you consider valuable for the site.

      UPDATE (25 March 2010): A couple of people have requested that we explain why we are focussing on FSC rather than PEFC. Shortly after starting FSC-Watch we posted an article titled: FSC vs PEFC: Holy cows vs the Emperor’s new clothes. As this is somewhat buried in the archives, it’s reproduced in full here (if you want to discuss this, please click on the link to go to the original post):
      FSC vs PEFC: Holy cows vs the Emperor’s new clothes

      One of the reasons I am involved in this website is that I believe that many people are aware of serious problems with FSC, but don’t discuss them publicly because the alternative to FSC is even worse. The alternative, in this case is PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification schemes) and all the other certification schemes (Cerflor, Certflor, the Australian Forestry Standard, the Malaysian Timber Certification Council and so on). One person has suggested that we should set up PEFC-Watch, in order “to be even-handed”.

      The trouble with this argument is that PEFC et al have no credibility. No NGOs, people’s organisations or indigenous peoples’ organisations were involved in setting them up. Why bother spending our time monitoring something that amounts to little more than a rubber stamp? I can just see the headlines: “Rubber stamp PEFC scheme rubber stamps another controversial logging operation!” Shock, horror. The Emperor is stark bollock naked, and it’s not just some little boy pointing this out – it’s plain for all to see, isn’t it?

      One way of countering all these other schemes would be to point out that FSC is better. But, if there are serious problems with FSC – which there are, and if we can see them, so can anyone else who cares to look – then the argument starts to look very shaky.

      FSC standards aren’t bad (apart from Principle 10, which really isn’t much use to anyone except the pulp and paper industry). They say lots of things we’d probably want forest management standards to say. The trouble is that the standards are not being applied in practice. Sure, campaign against PEFC, but if FSC becomes a Holy Cow which is immune to criticism (not least because all the criticism takes place behind closed doors), then we can hardly present it as an alternative, can we?…”

      By the way, anyone who thinks that PEFC and FSC are in opposition should read this interview with Heiko Liedeker (FSC’s Executive Director) and Ben Gunneberg (PEFC’s General Secretary). In particular this bit (I thought at first it must be a mix up between FSC and PEFC, or Liedeker and Gunneberg):

      Question: As a follow-up question, Heiko Liedeker, from your perspective, is there room ultimately for programs like the Australian Forestry Standard, Certfor and others to operate under the FSC umbrella?

      Heiko Liedeker: Absolutely. FSC was a scheme that was set-up to provide mutual recognition between national standard-setting initiatives. Every national initiative sets its standard. Some of them are called FSC working groups, some of them are called something else. In the UK they are called UKWAS. We’ve been in dialogue with Edwardo Morales at Certfor Chile. They are some of the FSC requirements listed for endorsement, we certainly entered into discussion. We’ve been in discussion with the Australian Forestry Standard and other standard-setting initiatives. What FSC does not do is, it has one global scheme for recognizing certification. So we do not, and that’s one of the many differences between FSC and PEFC, we do not require the development of a certification program as such. A standard-setting program is sufficient to participate in the network.

      https://fsc-watch.com

  • La forêt de mademoiselle Tang

    Après « Funan », récompensé en 2018 par le Cristal du long métrage au Festival d’Annecy, Denis Do balaie dans un superbe film d’animation deux siècles de l’histoire d’une famille chinoise.

    Swatow, aujourd’hui Shantou, ville du sud de la Chine. En 1886, les Occidentaux leur ayant interdit l’accès au port, Tang Hio, menuisier, n’a pu expédier par bateau la commande qu’il avait préparée avec sa femme Tang Leng Kung pour leur communauté installée au Cambodge. Pour s’occuper les mains, il part dans la forêt, où son épouse plante de jeunes pousses d’arbres, afin d’y chercher un beau tronc dans lequel réaliser une armoire pour y entreposer ce qu’ils ont de précieux. En 1922, peu après le terrible typhon qui s’est abattu sur la région, leur fils Siao Yi, devenu père de famille, songe à partir lui aussi au Cambodge. Mais ce n’est que sous l’occupation japonaise, en 1940, que son seul fils choisit l’exil…

    Héritage culturel
    Récompensé en 2018 à Annecy pour Funan, son premier long métrage d’animation inspiré du parcours de sa mère, Denis Do, réalisateur français d’origine cambodgienne, poursuit son exploration de la mémoire, de la transmission et de l’héritage familial, culturel et environnemental. Dialogué en dialecte teochew, en usage dans la province chinoise du Guandong, son moyen métrage animé nous entraîne, sur six générations et près de deux siècles, dans une évocation elliptique des grands bouleversements qui ont marqué l’histoire de la Chine, au travers d’une fresque familiale intimiste et sensible.

    https://www.arte.tv/fr/videos/090564-000-A/la-foret-de-mademoiselle-tang
    #film #court-métrage #Chine #histoire #film_d'animation #histoire_familiale #modernisation

  • The (many) costs of border control

    I have recently finished writing up a four-year study of the UK immigration detainee escorting system. This fully outsourced form of border control has not been the subject of academic inquiry before. While there is a growing body of work on deportation, few people have studied the process and its organisation in person, while sites of short-term detention have similarly been overlooked.

    The escorting contract is run as two separate businesses: ‘in-country’, known (confusingly for those more familiar with the US) as ICE, and Overseas, also referenced as OSE. ICE includes 31 sites of short-term immigration detention, many of which are in ports and airports including four in Northern France around Calais and Dunkirk, and a fleet of secure vans and vehicle bases. Overseas officers enforce removals and deportations. While staff may be cross deployed for ‘operational needs’, and some people do move from one part to another over the course of their careers, ICE and OSE are managed separately and staff in each tend to view themselves as distinct from colleagues working for the other.

    The study took many years to arrange and then was severely disrupted by the COVID-19 pandemic. It was one of the most taxing pieces of research I have ever done, and I am still recovering from it. A book about the project is currently in press and should be out later this year, with Princeton University Press. Here I explore some of the ‘costs’ of this system; in financial terms, in its impact on those employed within it, and on their communities. All these matters occur in the context of the impact of the system of those subject to it, as they are denied entry and forced to leave. As a researcher, I was also adversely affected by studying this system, but I shall leave reflections on that to a different piece.

    The current ten-year contract was awarded to Mitie, Care & Custody, in December 2017 at an estimated cost to the public of £525 million. Previous incumbents included Tascor, (part of the Capita group) and G4S. Like those competitors, Mitie holds many other contracts for a variety of public and private organisations. In their 2023 annual report, ‘Business Services’ (29%, £1172m) and ‘Technical’ Services (29% £1154m) provided the lion’s share of the company’s income, followed by ‘Central Government and Defence’ (20%, £828m). Profits generated by ‘Care & Custody’, which includes those generated by three immigration removal centres (Harmondsworth, Colnbrook and Derwentside) that are run under a different set of legal and financial arrangements, were not listed separately. Instead, they formed part of a general category of ‘Specialist Services’ made up of three other businesses areas: ‘Landscapes’, ‘Waste Management’ and, rather incongruously, ‘Spain’. Together, these four sets of contracts constituted just 10% of the company’s revenue (£411m) that year.

    The precise agreement that the Home Office signed for the services Mitie provides is hidden, like all contracts, under the veil of corporate confidentiality. But some information is available. The escorting contract, for instance, is subject to what is known as a ‘cap and collar’. This financial arrangement, which is designed to reduce exposure to financial risk for both parties, meant that during the pandemic, when the borders closed and the numbers detained in immigration removal centres dropped, that the company did not lose money. Despite detaining or deporting very few people, the collar ensured that staff continued to be paid as normal. Similarly, the cap means that Mitie is restricted in the additional costs they demand from the Home Office. The internal transportation of people under immigration act powers, for example, is paid for by ‘volume’, i.e. by the number of people moved within a daily requirement. Any additional movements that are requested that above that level generates profit for the company, but only within a set parameter.

    The cap and collar does not entirely protect Mitie from losing money. The contract includes a range of ‘service credits’, ie fines, which are applied by the Home office for cancellations, delays, injuries, and, escapes. The Home Office is also subject to small fines if they cancel a request without sufficient time for Mitie to redeploy the staff who had been assigned to the work.

    While a missed collection time (eg a person detained at a police station, who must be taken to an immigration removal centre) may incur Mitie a fine of £100, a delayed deportation would result in a fine ten times that sum, and a death ten times more again. These economic penalties form the basis of regular discussions between Mitie and the Home Office, as each side seeks to evade financial responsibility. They also shape the decisions of administrative staff who distribute detained people and the staff moving them, around the country and across the world. It is better to risk a £100 fine than a £1000 one.

    For staff, border control can also be considered in financial terms. This is not a particularly high paying job, even though salaries increased over the research period: they now hover around £30,000 for those employed to force people out of the country, and somewhat less for those who work in Short-term holding facilities. There is also, as with much UK employment, a north-south divide. A recent job ad for a post at Swinderby Residential Short-Term Holding Facility listed a salary of £26,520.54 for 42 hours a week; for two hours less work per week, a person could go to work in the nearby Vehicle base at Swinderby and earn £25,257.65. Down in Gatwick, the same kind of job in a vehicle base was advertised at £28,564.63. Both sums are well below the mean or median average salary for UK workers, which stand at £33,402 and £33,000 respectively. As a comparison, the salary for starting level prison officers, on band 3, is £32, 851, for fewer weekly hours.

    Under these conditions, it is not surprising to find that staff everywhere complained about their pay. Many struggled to make ends meet. As might be expected, there was a generational divide; unlike their older colleagues who were able to obtain a mortgage on their salary, younger people were often stuck either in the rental market or at home with their parents. Few felt they had many alternatives, not least because many of the sites of short-term holding facilities are in economically depressed areas of the UK, where good jobs are hard to come by. In any case, staff often had limited educational qualifications, with most having left school at 16.

    Border control has other kinds of costs. For those who are detained and deported, as well as their families and friends, these are likely to be highest of all, although they do not directly feature in my study since I did not speak to detained people. I could not see how interviewing people while they were being deported or detained at the border would be ethical. Yet the ethical and moral costs were plain to see. In the staff survey, for example, 12.35% of respondents reported suicidal thoughts in the past week, and 7.4% reported thoughts of self-harm over the same period. Both figures are considerably higher than the estimates for matters in the wider community.

    Finally, and this part is the springboard for my next project, there are clearly costs to the local community. When I first started visiting the short-term holding facility at Manston, near Dover, when the tents had only just gone up and the overcrowding had not yet begun, I was shocked at the size of it. A former RA base, it includes many buildings in various states of disrepair, which could have been redeveloped in any number of ways that did not include depriving people of their liberty. Perhaps it could have included affordable homes for those trapped in the rental market, as well as non-custodial accommodation for new arrivals, new schools, a hospital, perhaps some light industry or tech to employ people nearby. What would it take to work for a vision of the future which, in principle, would have room for us all?

    https://blogs.law.ox.ac.uk/border-criminologies-blog/blog-post/2024/03/many-costs-border-control
    #UK #Angleterre #rétention #détention_administrative #renvois #expulsions #business #ICE #OSE #Overseas #Calais #ports #aéroports #Dunkerque #privatisation #migrations #réfugiés #coûts #Mitie #Tascor #Care_&_Custody #G4S #Harmondsworth #Colnbrook #Derwentside #home_office #Swinderby_Residential_Short-Term_Holding_Facility #Swinderby #Gatwick #travail #salaire #contrôles_frontaliers #frontières #santé_mentale #suicides #Manston

  • Border security with drones and databases

    The EU’s borders are increasingly militarised, with hundreds of millions of euros paid to state agencies and military, security and IT companies for surveillance, patrols and apprehension and detention. This process has massive human cost, and politicians are planning to intensify it.

    Europe is ringed by steel fences topped by barbed wire; patrolled by border agents equipped with thermal vision systems, heartbeat detectors, guns and batons; and watched from the skies by drones, helicopters and planes. Anyone who enters is supposed to have their fingerprints and photograph taken for inclusion in an enormous biometric database. Constant additions to this technological arsenal are under development, backed by generous amounts of public funding. Three decades after the fall of the Berlin Wall, there are more walls than ever at Europe’s borders,[1] and those borders stretch ever further in and out of its territory. This situation is the result of long-term political and corporate efforts to toughen up border surveillance and controls.

    The implications for those travelling to the EU depend on whether they belong to the majority entering in a “regular” manner, with the necessary paperwork and permissions, or are unable to obtain that paperwork, and cross borders irregularly. Those with permission must hand over increasing amounts of personal data. The increasing automation of borders is reliant on the collection of sensitive personal data and the use of algorithms, machine learning and other forms of so-called artificial intelligence to determine whether or not an individual poses a threat.

    Those without permission to enter the EU – a category that includes almost any refugee, with the notable exception of those who hold a Ukrainian passport – are faced with technology, personnel and policies designed to make journeys increasingly difficult, and thus increasingly dangerous. The reliance on smugglers is a result of the insistence on keeping people in need out at any cost – and the cost is substantial. Thousands of people die at Europe’s borders every year, families are separated, and people suffer serious physical and psychological harm as a result of those journeys and subsequent administrative detention and social marginalisation. Yet parties of all political stripes remain committed to the same harmful and dangerous policies – many of which are being worsened through the new Pact on Migration and Asylum.[2]

    The EU’s border agency, Frontex, based in Warsaw, was first set up in 2004 with the aim of providing technical coordination between EU member states’ border guards. Its remit has been gradually expanded. Following the “migration crisis” of 2015 and 2016, extensive new powers were granted to the agency. As the Max Planck Institute has noted, the 2016 law shifted the agency from a playing “support role” to acting as “a player in its own right that fulfils a regulatory, supervisory, and operational role.”[3] New tasks granted to the agency included coordinating deportations of rejected refugees and migrants, data analysis and exchange, border surveillance, and technology research and development. A further legal upgrade in 2019 introduced even more extensive powers, in particular in relation to deportations, and cooperation with and operations in third countries.

    The uniforms, guns and batons wielded by Frontex’s border guards are self-evidently militaristic in nature, as are other aspects of its work: surveillance drones have been acquired from Israeli military companies, and the agency deploys “mobile radars and thermal cameras mounted on vehicles, as well as heartbeat detectors and CO2 monitors used to detect signs of people concealed inside vehicles.”[4] One investigation described the companies that have held lobbying meetings or attended events with Frontex as “a Who’s Who of the weapons industry,” with guests including Airbus, BAE Systems, Leonardo and Thales.[5] The information acquired from the agency’s surveillance and field operations is combined with data provided by EU and third country agencies, and fed into the European Border Surveillance System, EUROSUR. This offers a God’s-eye overview of the situation at Europe’s borders and beyond – the system also claims to provide “pre-frontier situational awareness.”

    The EU and its member states also fund research and development on these technologies. From 2014 to 2022, 49 research projects were provided with a total of almost €275 million to investigate new border technologies, including swarms of autonomous drones for border surveillance, and systems that aim to use artificial intelligence to integrate and analyse data from drones, satellites, cameras, sensors and elsewhere for “analysis of potential threats” and “detection of illegal activities.”[6] Amongst the top recipients of funding have been large research institutes – for example, Germany’s Fraunhofer Institute – but companies such as Leonardo, Smiths Detection, Engineering – Ingegneria Informatica and Veridos have also been significant beneficiaries.[7]

    This is only a tiny fraction of the funds available for strengthening the EU’s border regime. A 2022 study found that between 2015 and 2020, €7.7 billion had been spent on the EU’s borders and “the biggest parts of this budget come from European funding” – that is, the EU’s own budget. The total value of the budgets that provide funds for asylum, migration and border control between 2021-27 comes to over €113 billion[8]. Proposals for the next round of budgets from 2028 until 2035 are likely to be even larger.

    Cooperation between the EU, its member states and third countries on migration control comes in a variety of forms: diplomacy, short and long-term projects, formal agreements and operational deployments. Whatever form it takes, it is frequently extremely harmful. For example, to try to reduce the number of people arriving across the Mediterranean, member states have withdrawn national sea rescue assets (as deployed, for example, in Italy’s Mare Nostrum operation) whilst increasing aerial surveillance, such as that provided by the Israel-produced drones operated by Frontex. This makes it possible to observe refugees attempting to cross the Mediterranean, whilst outsourcing their interception to authorities from countries such as Libya, Tunisia and Egypt.

    This is part of an ongoing plan “to strengthen coordination of search and rescue capacities and border surveillance at sea and land borders” of those countries. [9] Cooperation with Tunisia includes refitting search and rescue vessels and providing vehicles and equipment to the Tunisian coastguard and navy, along with substantial amounts of funding. The agreement with Egypt appears to be structured along similar lines, and five vessels have been provided to the so-called Libyan Coast Guard in 2023.[10]

    Frontex also plays a key role in the EU’s externalised border controls. The 2016 reform allowed Frontex deployments at countries bordering the EU, and the 2019 reform allowed deployments anywhere in the world, subject to agreement with the state in question. There are now EU border guards stationed in Albania, Montenegro, Serbia, Bosnia and Herzegovina, and North Macedonia.[11] The agency is seeking agreements with Niger, Senegal and Morocco, and has recently received visits from Tunisian and Egyptian officials with a view to stepping up cooperation.[12]

    In a recent report for the organisation EuroMed Rights, Antonella Napolitano highlighted “a new element” in the EU’s externalisation strategy: “the use of EU funds – including development aid – to outsource surveillance technologies that are used to entrench political control both on people on the move and local population.” Five means of doing so have been identified: provision of equipment; training; financing operations and procurement; facilitating exports by industry; and promoting legislation that enables surveillance.[13]

    The report highlights Frontex’s extended role which, even without agreements allowing deployments on foreign territory, has seen the agency support the creation of “risk analysis cells” in a number of African states, used to gather and analyse data on migration movements. The EU has also funded intelligence training in Algeria, digital evidence capacity building in Egypt, border control initiatives in Libya, and the provision of surveillance technology to Morocco. The European Ombudsman has found that insufficient attention has been given to the potential human rights impacts of this kind of cooperation.[14]

    While the EU and its member states may provide the funds for the acquisition of new technologies, or the construction of new border control systems, information on the companies that receive the contracts is not necessarily publicly available. Funds awarded to third countries will be spent in accordance with those countries’ procurement rules, which may not be as transparent as those in the EU. Indeed, the acquisition of information on the externalisation in third countries is far from simple, as a Statewatch investigation published in March 2023 found.[15]

    While EU and member state institutions are clearly committed to continuing with plans to strengthen border controls, there is a plethora of organisations, initiatives, campaigns and projects in Europe, Africa and elsewhere that are calling for a different approach. One major opportunity to call for change in the years to come will revolve around proposals for the EU’s new budgets in the 2028-35 period. The European Commission is likely to propose pouring billions more euros into borders – but there are many alternative uses of that money that would be more positive and productive. The challenge will be in creating enough political pressure to make that happen.

    This article was originally published by Welt Sichten, and is based upon the Statewatch/EuroMed Rights report Europe’s techno-borders.

    Notes

    [1] https://www.tni.org/en/publication/building-walls

    [2] https://www.statewatch.org/news/2023/december/tracking-the-pact-human-rights-disaster-in-the-works-as-parliament-makes

    [3] https://www.mpg.de/14588889/frontex

    [4] https://www.theguardian.com/global-development/2021/dec/06/fortress-europe-the-millions-spent-on-military-grade-tech-to-deter-refu

    [5] https://frontexfiles.eu/en.html

    [6] https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/europe-s-techno-borders

    [7] https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/europe-s-techno-borders

    [8] https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/europe-s-techno-borders

    [9] https://www.statewatch.org/news/2023/november/eu-planning-new-anti-migration-deals-with-egypt-and-tunisia-unrepentant-

    [10] https://www.statewatch.org/media/4103/eu-com-von-der-leyen-ec-letter-annex-10-23.pdf

    [11] https://www.statewatch.org/analyses/2021/briefing-external-action-frontex-operations-outside-the-eu

    [12] https://www.statewatch.org/news/2023/november/eu-planning-new-anti-migration-deals-with-egypt-and-tunisia-unrepentant-, https://www.statewatch.org/publications/events/secrecy-and-the-externalisation-of-eu-migration-control

    [13] https://privacyinternational.org/challenging-drivers-surveillance

    [14] https://euromedrights.org/wp-content/uploads/2023/07/Euromed_AI-Migration-Report_EN-1.pdf

    [15] https://www.statewatch.org/access-denied-secrecy-and-the-externalisation-of-eu-migration-control

    https://www.statewatch.org/analyses/2024/border-security-with-drones-and-databases
    #frontières #militarisation_des_frontières #technologie #données #bases_de_données #drones #complexe_militaro-industriel #migrations #réfugiés #contrôles_frontaliers #surveillance #sécurité_frontalière #biométrie #données_biométriques #intelligence_artificielle #algorithmes #smugglers #passeurs #Frontex #Airbus #BAE_Systems #Leonardo #Thales #EUROSUR #coût #business #prix #Smiths_Detection #Fraunhofer_Institute #Engineering_Ingegneria_Informatica #informatique #Tunisie #gardes-côtes_tunisiens #Albanie #Monténégro #Serbie #Bosnie-Herzégovine #Macédoine_du_Nord #Egypte #externalisation #développement #aide_au_développement #coopération_au_développement #Algérie #Libye #Maroc #Afrique_du_Nord

  • Nos potes violeurs
    https://infokiosques.net/spip.php?article2033

    Compilation de textes parus dans le zine Tempête Mixeur en 2021-2022 à propos « des violeurs et des agresseurs dans notre entourage. Qu’est-ce qu’on fait à partir de là ? Comment on gère ces situations, comment on réagit, comment on fait évoluer les choses ? Que viser, à quoi s’attendre ? » #N

    / Féminisme, (questions de) genre, #Violences_patriarcales,_autodéfense_féministe, Coutoentrelesdents (Bretagne et région parisienne)

    #Féminisme,_questions_de_genre #Coutoentrelesdents_Bretagne_et_région_parisienne_
    https://infokiosques.net/IMG/pdf/nos_potes_violeurs_34page_par_page_a5-1.pdf
    https://infokiosques.net/IMG/pdf/nos_potes_violeurs_cahier.pdf

  • Au Brésil, le principal fournisseur d’Ikea accusé d’atteintes à l’environnement
    https://disclose.ngo/fr/article/au-bresil-le-principal-fournisseur-dikea-accuse-datteintes-a-lenvironnemen

    Pollutions chimiques, déforestation illégale… Au Brésil, Ikea se fournit en meubles auprès de l’entreprise Artemobili, accusée de multiples infractions environnementales entre 2018 et 2022. La justice brésilienne pointe aujourd’hui la responsabilité de la firme suédoise. Lire l’article

  • #Profilage_raciste : la #Cour_européenne_des_droits_de_l’homme rend un #arrêt de principe dans l’affaire #Wa_Baile

    C’est un litige stratégique exemplaire : #Mohamed_Wa_Baile a recouru contre le contrôle de police raciste qu’il a subi devant toutes les instances suisses, jusqu’à la Cour européenne des droits de l’homme. Les juges de Strasbourg ont finalement donné raison à M. Wa Baile dans un arrêt de principe rendu aujourd’hui, constatant que la Suisse a enfreint l’interdiction de la #discrimination.


    C’est un incident qui a eu lieu il y a maintenant neuf ans : le 5 février 2015 au matin, Mohamed Wa Baile est le seul à se faire contrôler par deux fonctionnaires de police parmi la foule en gare de Zurich. Les agent·e·x·s ayant reconnu qu’aucune personne Noire n’était recherchée, Wa Baile refuse de décliner son identité. Après avoir trouvé sa carte AVS dans son sac à dos, les fonctionnaires de police le laissent partir.

    Peu de temps après, M. Wa Baile reçoit l’ordre de payer une amende de 100 francs pour #refus_d'obtempérer aux injonctions de la police. Il décide de contester cette décision, ayant déjà subi un grand nombre de contrôles de police dégradants en public en raison de la couleur de sa peau. A travers cette procédure judiciaire, il souhaite attirer l’attention sur la problématique du profilage raciste, qui touche de nombreuses personnes en Suisse.

    Soutenu par l’« #Alliance_contre_le_profilage_raciste » qui prend forme autour de son cas, Mohamed Wa Baile porte plainte et lance une procédure civile devant les tribunaux suisses. Le Tribunal fédéral n’ayant constaté aucune violation de l’interdiction de la discrimination dans cette affaire, M. Wa Baile dépose alors une requête devant la Cour européenne des droits de l’homme (CrEDH).

    En 2022, la CrEDH a reconnu l’importance du ce cas en le désignant comme une « affaire à impact ». Dans son arrêt rendu aujourd’hui, la Cour a constaté à l’unanimité trois violations de la Convention européenne des droits de l’homme (CEDH). Elle estime que la Suisse a violé à deux reprises l’interdiction de la discrimination, garantie par l’article 14 CEDH combiné avec l’article 8 (droit au respect de la vie privée) : d’une part, compte tenu des circonstances concrètes du contrôle d’identité, elle constate une discrimination de M. Wa Baile sur la base de sa couleur de peau ; d’autre part, elle conclut que les tribunaux suisses n’ont pas examiné de manière effective si des motifs discriminatoires avaient joué un rôle dans le contrôle subi par le requérant. Les juges de Strasbourg estiment également que la Suisse a violé l’article 13 CEDH (droit à un recours effectif), dans la mesure où M. Wa Baile n’a pas bénéficié d’un recours effectif devant les juridictions internes.

    « Cet arrêt constitue une étape importante dans la lutte contre le profilage raciste (délit de faciès) et le racisme institutionnel » déclare l’Alliance contre le profilage raciste dans son communiqué de presse. Cette décision phare a des répercussions sur la politique, le système judiciaire et la police en Suisse et dans tous les Etats ayant ratifié la Convention européenne des droits de l’homme. La Cour met la Suisse dans l’obligation de prendre des mesures efficaces et globales pour empêcher que les contrôles de police racistes se reproduisent à l’avenir.

    humanrights.ch accompagne ce litige stratégique depuis son lancement, l’ayant notamment documenté dans cet article : https://www.humanrights.ch/fr/litiges-strategiques/cas-traites/delit-facies

    https://www.humanrights.ch/fr/nouvelles/profilage-raciste-cour-europeenne-droits-homme-arret-principe-affaire-wa
    #CEDH #justice #racisme #police #contrôles_policiers #Suisse #profilage_racial #couleur_de_peau

  • #Ikea, le seigneur des forêts - Regarder le #documentaire complet | #ARTE
    https://www.arte.tv/fr/videos/112297-000-A/ikea-le-seigneur-des-forets
    #disclose

    Derrière son image familiale et écolo, le #géant_du_meuble #suédois, plus gros consommateur de bois au monde, révèle des pratiques bien peu scrupuleuses. Une investigation édifiante sur cette firme à l’appétit démesuré.

    C’est une des #enseignes préférées des consommateurs, qui équipe depuis des générations cuisines, salons et chambres d’enfants du monde entier. Depuis sa création en 1943 par le visionnaire mais controversé Ingvar #Kamprad, et au fil des innovations – #meubles en #kit, vente par correspondance, magasins en self-service… –, la petite entreprise a connu une croissance fulgurante, et a accompagné l’entrée de la Suède dans l’ère de la consommation de masse. Aujourd’hui, ce fleuron commercial, qui participe pleinement au rayonnement du pays à l’international, est devenu un mastodonte en expansion continue. Les chiffres donnent le tournis : 422 magasins dans cinquante pays ; près d’un milliard de clients ; 2 000 nouveaux articles au catalogue par an… et un exemplaire de son produit phare, la bibliothèque Billy, vendu toutes les cinq secondes. Mais le modèle Ikea a un coût. Pour poursuivre son développement exponentiel et vendre toujours plus de meubles à bas prix, le géant suédois dévore chaque année 20 millions de mètres cubes de bois, soit 1 % des réserves mondiales de ce matériau… Et si la firme vante un approvisionnement responsable et une gestion durable des forêts, la réalité derrière le discours se révèle autrement plus trouble.
     
    #Greenwashing
    Pendant plus d’un an, les journalistes d’investigation Xavier Deleu (Épidémies, l’empreinte de l’homme) et Marianne Kerfriden ont remonté la chaîne de production d’Ikea aux quatre coins du globe. Des dernières forêts boréales suédoises aux plantations brésiliennes en passant par la campagne néo-zélandaise et les grands espaces de Pologne ou de Roumanie, le documentaire dévoile les liens entre la multinationale de l’ameublement et l’exploitation intensive et incontrôlée du bois. Il révèle comment la marque au logo jaune et bleu, souvent via des fournisseurs ou sous-traitants peu scrupuleux, contribue à la destruction de la biodiversité à travers la planète et alimente le trafic de bois. Comme en Roumanie, où Ikea possède 50 000 hectares de forêts, et où des activistes se mobilisent au péril de leur vie contre une mafia du bois endémique. Derrière la réussite de l’une des firmes les plus populaires au monde, cette enquête inédite éclaire l’incroyable expansion d’un prédateur discret devenu un champion du greenwashing.

    #FSC #certification #labels

  • Cassazione, dare i migranti ai guardiacoste di Tripoli è reato

    La consegna di migranti alla guardia costiera libica è reato perché la Libia «non è porto sicuro».

    E’ quanto sancisce una sentenza della Corte di Cassazione che ha reso definitiva la condanna del comandante del rimorchiatore #Asso_28 che il 30 luglio del 2018 soccorse 101 persone nel Mediterraneo centrale e li riportò in Libia consegnandoli alla Guardia costiera di Tripoli. Della sentenza scrive Repubblica.

    Per i supremi giudici favorire le intercettazioni dei guardiacoste di Tripoli rientra nella fattispecie illecita «dell’abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci e di sbarco e abbandono arbitrario di persone». Nella sentenza viene sostanzialmente sancito che l’episodio del 2018 fu un respingimento collettivo verso un Paese non ritenuto sicuro vietato dalla Convenzione europea per i diritti umani.

    Casarini, dopo Cassazione su migranti pronti a #class_action

    "Con la sentenza della Corte di Cassazione, che ha chiarito in maniera definitiva che la cosiddetta «guardia costiera libica» non può «coordinare» nessun soccorso, perché non è in grado di garantire il rispetto dei diritti umani dei naufraghi, diventa un reato grave anche ordinarci di farlo, come succede adesso. Ora metteremo a punto non solo i ricorsi contro il decreto Piantedosi, che blocca per questo le navi del soccorso civile, ma anche una grande class action contro il governo e il ministro dell’Interno e il memorandum Italia-Libia". E’ quanto afferma Luca Casarini della ong Mediterranea Saving Humans.

    "Dovranno rispondere in tribunale delle loro azioni di finanziamento e complicità nelle catture e deportazioni che avvengono in mare ad opera di una «sedicente» guardia costiera - aggiunge Casarini -, che altro non è che una formazione militare che ha come compito quello di catturare e deportare, non di «mettere in salvo» le donne, gli uomini e i bambini che cercano aiuto. La suprema corte definisce giustamente una gravissima violazione della Convenzione di Ginevra, la deportazione in Libia di migranti e profughi che sono in mare per tentare di fuggire da quell’inferno". Casarini ricorda, inoltre, che di recente la nave Mare Jonio di Mediterranea "di recente è stata colpita dal fermo amministrativo del governo per non aver chiesto alla Libia il porto sicuro. Proporremo a migliaia di cittadini italiani, ad associazioni e ong, di sottoscrivere la «class action», e chiederemo ad un tribunale della Repubblica di portare in giudizio i responsabili politici di questi gravi crimini. Stiamo parlando di decine di migliaia di esseri umani catturati in mare e deportati in Libia, ogni anno, coordinati di fatto da Roma e dall’agenzia europea Frontex.

    E il ministro Piantedosi, proprio ieri, l’ha rivendicato testimoniando al processo a Palermo contro l’allora ministro Salvini. Lui si è costruito un alibi, con la distinzione tra centri di detenzione legali e illegali in Libia, dichiarando che «l’Italia si coordina con le istituzioni libiche che gestiscono campi di detenzione legalmente. Finalmente questo alibi, che è servito fino ad ora a coprire i crimini, è crollato grazie al pronunciamento della Cassazione. Adesso questo ministro deve essere messo sotto processo, perché ha ammesso di avere sistematicamente commesso un reato, gravissimo, che ha causato morte e sofferenze a migliaia di innocenti».

    https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2024/02/17/cassazione-dare-i-migranti-a-guardiacoste-di-tripoli-e-reato_cfcb3461-c654-4f3c

    #justice #migrations #asile #réfugiés #frontières #gardes-côtes_libyens #Libye #jurisprudence #condamnation #externalisation #pull-backs #refoulements #push-backs #cour_de_cassation #cassation #port_sûr

    • Sentenza Cassazione: Consegnare gli immigranti alla guardia costiera libica è reato

      La Libia è un paese canaglia: bocciati Minniti, Conte e Meloni. Dice la sentenza della Cassazione, è noto che in Libia i migranti subiscono vessazioni, violenze e tortura. Quindi è un reato violare la legge internazionale e il codice di navigazione che impongono di portare i naufraghi in un porto sicuro

      Il governo italiano (sia questo in carica sia quelli di centrosinistra che avevano Marco Minniti come ministro dell’interno) potrebbe addirittura finire sotto processo sulla base di una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione.

      Dice questa sentenza che la Libia non è un porto sicuro, e che dunque non si possono consegnare alla Libia (o favorire la cattura da parte delle motovedette libiche) le persone salvate da un naufragio.

      Dice la sentenza, è noto che in Libia i migranti subiscono vessazioni, violenze e tortura. Quindi è un reato violare la legge internazionale e il codice di navigazione che impongono di portare i naufraghi in un porto sicuro.

      Che la Libia non fosse un porto sicuro era stranoto. Bastava non leggere i giornali italiani per saperlo. La novità è che questa evidente verità viene ora formalmente affermata con una sentenza della Cassazione che fa giurisprudenza. E che, come è del tutto evidente, mette in discussione gli accordi con la Libia firmati dai governi di centrosinistra e poi confermati dai governi Conte e infine dai governi di centrodestra.

      Accordi che si basarono persino sul finanziamento italiano e sulla consegna di motovedette – realizzate a spese del governo italiano – alle autorità di Tripoli. Ora quegli accordi devono essere immediatamente cancellati e in linea di principio si potrebbe persino ipotizzare l’apertura di processi (se non è scattata la prescrizione) ai responsabili di quegli accordi.

      I reati per i quali la Cassazione con questa sentenza ha confermato la condanna al comandante di una nave che nel luglio del 2018 (governo gialloverde, Salvini ministro dell’Interno) consegnò alla guardia costiera libica 101 naufraghi salvati in mezzo al Mediterraneo sono “abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci, e di sbarco e abbandono arbitrario di persone”. La Cassazione ha dichiarato formalmente che la Libia non è un porto sicuro.

      Tutta la politica dei respingimenti a questo punto, se dio vuole, salta in aria. La Cassazione ha stabilito che bisogna tornare allo Stato di diritto, a scapito della propaganda politica. E saltano in aria anche i provvedimenti recentemente adottati dalle autorità italiane sulla base del decreto Spazza-naufraghi varato circa un anno fa dal governo Meloni.

      Ancora in queste ore c’è una nave della Ocean Viking che è sotto fermo amministrativo perché accusata di non aver seguito le direttive impartite dalle autorità libiche. Ovviamente dovrà immediatamente essere dissequestrata e forse c’è anche il rischio che chi ha deciso il sequestro finisca sotto processo. Inoltre bisognerà restituire la multa e probabilmente risarcire il danno.

      E quello della Ocean Viking è solo uno di numerosissimi casi. Certo, perché ciò avvenga sarebbe necessaria una assunzione di responsabilità sia da parte del Parlamento sia da parte della magistratura. E le due cose non sono probabilissime.

      https://www.osservatoriorepressione.info/sentenza-cassazione-consegnare-gli-immigranti-alla-guardia

    • Italy’s top court: Handing over migrants to Libyan coast guards is illegal

      Italy’s highest court, the Cassation Court, has ruled that handing over migrants to Libyan coast guards is unlawful because Libya does not represent a safe port. The sentence could have major repercussions.

      Handing over migrants rescued in the Central Mediterranean to Tripoli’s coast guards is unlawful because Libya is not a safe port and it is conduct which goes against the navigation code, the Cassation Court ruled on February 17. The decision upheld the conviction of the captain of the Italian private vessel Asso 28, which, on July 30, 2018, rescued 101 individuals in the central Mediterranean and then handed them over to the Libyan coast guards to be returned to Libya.

      The supreme court judges ruled in sentence number 4557 that facilitating the interception of migrants and refugees by the Libyan coast guards falls under the crime of “abandonment in a state of danger of minors or incapacitated people and arbitrary disembarkation and abandonment of people.” This ruling effectively characterizes the 2018 incident as collective refoulement to a country not considered safe, contravening the European Convention on Human Rights.

      NGOs announce class action lawsuit

      Beyond its political implications, the Cassation’s decision could significantly impact ongoing legal proceedings, including administrative actions. NGOs have announced a class action lawsuit against the government, the interior minister, and the Italy-Libya memorandum.

      The case, which was first examined by the tribunal of Naples, focuses on the intervention of a trawler, a support ship for a platform, to rescue 101 migrants who were on a boat that had departed from Africa’s coast.

      According to investigators, the ship’s commander was asked by personnel on the rig to take on board a Libyan citizen, described as a “Libyan customs official”, who suggested sailing to Libya and disembarking the rescued migrants.

      The supreme court judges said the defendant “omitted to immediately communicate, before starting rescue operations and after completing them, to the centres of coordination and rescue services of Tripoli and to the IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Centre) of Rome, in the absence of a reply by the first,” that the migrants had been rescued and were under his charge.

      The Cassation ruled that, by operating in this way, the commander violated “procedures provided for by the International Convention for the Safety of Life at Sea (SOLAS) and by the directives of the International Maritime Organization,” thus carrying out a “collective refoulement to a port deemed unsafe like Libya.”

      Furthermore, the Cassation emphasized the commander’s obligation to ascertain whether the migrants wanted to apply for asylum and conduct necessary checks on accompanying minors.
      ’Cassation should not be interpreted ideologically on Libya’, Piantedosi

      “Italy has never coordinated and handed over to Libya migrants rescued in operations coordinated or directly carried out by Italy,” Interior Minister Matteo Piantedosi said on February 19, when asked to comment the Cassation’s ruling. “That sentence must be read well — sentences should never be interpreted in a political or ideological manner,” he said.

      Piantedosi contextualized the ruling within the circumstances prevailing in Libya at the time, citing efforts to assist Libya with EU cooperation. He highlighted the government’s adherence to principles governing repatriation activities and concluded by saying “there can be no spontaneity” and that “coordination” is essential.

      https://twitter.com/InfoMigrants/status/1759901204501438649?t=ZlLRzR3-jQ0e6-y0Q2GPJA

    • La construction des prix à la SNCF, une socio-histoire de la tarification. De la #péréquation au yield management (1938-2012)

      Cet article analyse les conditions de production et de légitimation des systèmes de prix des billets de train en France, depuis la création de la SNCF en 1938. Initialement fondé sur le principe d’un tarif kilométrique uniforme, le système historique de péréquation est lentement abandonné au cours des décennies d’après-guerre, au profit d’une tarification indexée sur les coûts marginaux. Au tournant des années 1980-1990, ce paradigme est lui-même remplacé par un dispositif de tarification en temps réel – le yield management – visant à capter le maximum du surplus des consommateurs. Les transformations des modèles tarifaires à la SNCF, qui s’accompagnent d’une redéfinition de la notion éminemment polymorphe de service public ferroviaire, résultent du travail de quelques acteurs de premier plan. Ces « faiseurs de prix », qui mobilisent les instruments de la discipline économique et usent de leur capacité d’influence, agissent dans des contextes (politiques, sociaux, techniques et concurrentiels) particuliers, qui rendent possibles, nécessaires et légitimes les innovations qu’ils proposent.

      https://www.cairn.info/revue-francaise-de-sociologie-2014-1-page-5.htm

      #Jean_Finez

    • Noël : est-ce vraiment moins cher de réserver son train SNCF 3 mois à l’avance ?

      C’est un fait : les tarifs des trajets en train pour la période de Noël ont explosé entre octobre et fin décembre 2023. Nous avons suivi, semaine après semaine, leur évolution. Voici les résultats, parfois surprenants, de notre enquête.

      « Plus on réserve un train à l’avance, plus les prix sont bas. » La phrase de la SNCF semble logique. Mais est-elle vérifiée ? À l’approche des fêtes de Noël, nous avons décidé de nous lancer dans une petite enquête. Numerama a relevé les tarifs d’une vingtaine de trajets en train à travers la France, sur les douze dernières semaines, pour en mesurer l’évolution.

      Nous avions une question principale : est-ce vrai qu’il vaut mieux réserver son billet de train trois mois à l’avance, pour le payer moins cher ? Suivie d’une autre : comment les tarifs évoluent-ils à travers le temps, et à quel rythme les trains deviennent-ils complets ?

      Nous avons choisi arbitrairement dix allers-retours à travers la France. La date est toujours la même, pour simuler un voyage pour les fêtes de fin d’année : un aller le 22 décembre, un retour le 27 décembre. Nous avons choisi un train par jour et suivi l’évolution du tarif des billets chaque semaine, à compter du mercredi 4 octobre, soit la date de l’ouverture des ventes (qui avaient d’ailleurs mis en panne SNCF Connect).
      Prendre ses billets tôt pour Noël permet d’éviter le pire

      Après douze semaines de relevés et une agrégation des données, le premier constat est clair : les tarifs ont énormément augmenté sur cette période. Il est évident que, même s’il y a des exceptions, il reste très intéressant de prendre son billet le plus tôt possible. C’est d’ailleurs ce que la SNCF nous a confirmé, par mail : « Plus on réserve à l’avance, plus les prix sont bas. Le mieux est donc de réserver dès l’ouverture des ventes, ou alors dans les semaines qui suivent. »

      Sur ce graphique, nous avons matérialisé la hausse de tous les trajets confondus. À part une ou deux exceptions (en TER), tous les billets ont augmenté, parfois beaucoup. Certains trajets se sont retrouvés complets très vite — nous les avons matérialisés avec un petit rond barré sur le graphique ci-dessous.

      Les prix peuvent parfois varier du simple au double. Le trajet Nantes-Bordeaux, par exemple, est passé de 58 euros à 136 euros (dernières places en première classe), soit une augmentation de 164 %. Un Strasbourg-Paris a terminé à 153 euros, au lieu de 93 euros il y a trois mois.

      Des hausses de prix jusqu’à 150 %

      Au global, les TGV sont les trains qui subissent les plus grosses hausses à travers le temps, sauf quelques exceptions (Marseille-Nice n’a pas changé d’un iota au fil des 12 semaines, par exemple).

      Sur cette carte réalisée par l’équipe design de Numerama, Adèle Foehrenbacher et Claire Braikeh, on observe quels sont les trajets qui ont subi la plus forte hausse (en rouge foncé), par rapport à ceux qui n’ont pas beaucoup bougé sur 3 mois (en rose).

      Pour les retours de Noël sur la journée du 27 décembre, les trajets les plus onéreux sont les mêmes (Paris-Toulouse, Paris-Strasbourg, Nantes-Bordeaux).

      Certains billets sont moins chers quelques jours avant le départ

      Lorsque nous avons commencé cette enquête, nous nous sommes demandé s’il serait possible qu’un billet devienne moins cher à l’approche de la date du voyage, ce qui est plutôt contre-intuitif. Une occurrence est venue, sur la dernière semaine, être l’exception qui confirme la règle : le trajet Paris-La Rochelle (en jaune ci-dessous) est devenu, au dernier moment, moins cher à l’approche du voyage, par rapport au tarif d’il y a trois mois.

      Autre cas curieux : nous avons constaté au fil des semaines une variation à la baisse sur le trajet Nancy-Grenoble, avec une correspondance. « Ce phénomène est extrêmement rare », nous assure la SNCF. « Nancy-Grenoble n’est pas un train direct. Il se peut que l’un des deux trains se remplissent moins vite et que des petits prix aient été rajoutés à un moment donné », explique-t-on. Le voyage a fini par augmenter de nouveau, pour devenir complet deux semaines avant le départ.

      Le trajet n’est pourtant pas le seul exemple. Prenons le trajet en TER et Train NOMAD Caen-Le Havre. Le 4 octobre, le voyage revenait à 38,4 euros. Surprise ! Dès la semaine suivante, il est tombé à 18 euros, pour rester fixe pendant plusieurs mois. Jusqu’au 13 décembre, où le prix a re-grimpé jusqu’à 48 euros — l’horaire du train de départ ayant été modifié de quelques minutes. Ici, ce n’est pas la SNCF, mais les conseils régionaux qui valident les prix. Par mail, l’établissement régional des lignes normandes nous assure que « la baisse des prix 15 jours après l’ouverture des ventes est impossible ». C’est pourtant le constat que nous avons fait, dès une semaine après l’ouverture.

      Pourquoi de telles hausses ?

      Cela fait plusieurs années que la SNCF a commencé à modifier la manière dont elle décide des tarifs, selon le journaliste spécialisé Gilles Dansart. La compagnie aurait décidé de « faire payer beaucoup plus cher à mesure que l’on s’approche de la date de départ du train », alors qu’auparavant, elle se calquait sur la longueur des kilomètres parcourus pour étalonner ses prix, a-t-il analysé sur France Culture le 21 décembre.

      Contactée, la SNCF nous explique : « Les prix sont les mêmes que pour n’importe quelles dates. Il n’y a pas de prix spécifiques pour Noël. Ce qui fait évoluer les prix, c’est le taux de remplissage et la demande. À Noël les trains se remplissent plus vite et les paliers maximum peuvent être atteints plus rapidement. »

      Ces paliers sont un véritable enjeu, lorsque l’on voit que certains trajets se retrouvent complets très rapidement — le Paris-Toulouse du 22 décembre s’est en effet retrouvé complet, selon nos constats, en à peine une semaine, début octobre.

      En 10 ans, la SNCF a perdu 105 TGV, soit 30 000 sièges, a calculé récemment France 2 dans un reportage. « On n’arrivait plus à remplir les TGV, il y avait des taux d’occupation à moins de 60 % », a expliqué à leur micro Christophe Fanichet, directeur général de SNCF Voyageurs.

      Cette politique de financement de la SNCF ne va pas aller en s’arrangeant pour les voyageurs et voyageuses : l’entreprise a déjà entériné une augmentation du prix des TGV pour 2024, rappelle le Parisien.

      https://www.numerama.com/vroom/1593454-noel-est-ce-vraiment-moins-cher-de-reserver-son-train-3-mois-a-lav

    • Mais on sait que l’investissement sur l’infra était sous dimensionnée autour de 2005, donc voir monter les coûts de péages de l’infra n’a rien d’anormal.
      Nos voisins sont-ils sous le prix réel ? Alors il vont subir un effet boomerang plus tard (effet dette).

  • These Philadelphians got rid of their cars in the last year. They haven’t looked back.

    “Now that I’m forced to walk, I’m seeing the city more than I did before," said one newly carless resident. She used to pay about $400 a month on her car payment and insurance.

    Dajé Walker’s Hyundai Elantra was stolen from a Brewerytown parking lot in July, only to be found a week later on the side of a local highway.

    The car that Walker had driven for three years was “in shambles,” Walker said, and the insurance company deemed it a total loss.

    “I had that existential crisis moment where I was like, ‘Do I need a car or do I want a car?’” she said.

    Around the same time, Walker, 28, got a new, completely remote job as a project manager. The news sealed her decision: She took the insurance payout of about $15,000, putting some of the money in savings and using the rest to move from Brewerytown to Old City, and never looked back.

    She no longer has to set aside $300 a month for her car payment and another $100 for insurance. When she recently moved to Old City, she didn’t have to worry about securing a convenient and safe parking spot, which can cost at least $250 a month at private lots.

    The benefits of Walker’s new lifestyle aren’t just financial, though — they’re mental and physical, too.

    “My car, it was a complete crutch,” Walker said. “Now that I’m forced to walk, I’m seeing the city more than I did before.”

    She feels like she’s “seeing the sun more often” on regular walks to judo class, City Fitness, and social gatherings, she added. For outings farther away that require taking the bus, “it’s more time for me to be zen or read a book on the way there.”

    After a surge in car-buying statewide at the height of the pandemic, there are signs that some Philadelphians like Walker have made the decision to do away with their cars in recent years, bucking larger trends.

    In 2022, more than 638,000 passenger vehicles were registered in the city, about 24,000 fewer cars than were registered here a year prior, according to the most recent state data. That represents a 3.6% decline in registered vehicles over a period when the city’s population decreased 1.4%, the largest one-year drop in 45 years.

    The latest registration data was captured before the price of car ownership skyrocketed.

    In 2023, drivers who owned a new car paid more than $12,000 a year on average, a more than 13% increase from the prior year, according to AAA, which accounted for the costs of car payments, gas, maintenance, and insurance.

    In the last year, car insurance premiums nationwide have far outpaced inflation, increasing 20% on average. Philadelphia-area residents told The Inquirer last month that they’ve recently been quoted rates as much as 100% higher than what they were previously paying. A recent Bankrate report found Philadelphia-area residents paid $4,753 a year on average, and the region saw the largest increase of 26 major metro areas last year in terms of average comprehensive coverage costs.

    What you gain by going carless

    So far across the country, the increased cost of car ownership “does not appear to affect whether people are buying or what people are buying,” said Greg McBride, chief financial analyst at Bankrate. “A much longer-term trend is that American consumers have increasingly been moving away from smaller compact vehicles to larger SUVs and trucks.”

    Philadelphia, meanwhile, is consistently ranked among the metro areas with the lowest car ownership and is known for being one of the best cities to live in without a car (though historically not all neighborhoods have the same access to public transit).

    Some residents like Walker also cited a psychological cost to car ownership in the city. Even before she became one of the tens of thousands of residents who had their cars stolen last year, she was constantly worried about her car. And residents who choose to park on the street — which is free in some areas and $35 a year in others — may have a difficult time finding an open spot depending on the neighborhood and what time of day they’re coming home.

    Of course, the ease of driving and parking in the city is all relative.

    “Philly is really hard to have a car,” said Pascale Questel, 30, a copywriter who moved to Brewerytown from Florida three years ago. Every time she walks her dog, she checks on her Honda, which she parks on the street, and her Hyundai Elantra was stolen last year.

    Last year, Leo Walsh, 31, of West Philadelphia, sold his Subaru Forester, a car he said he felt like had become “an extension of me.” He had even lived out of it three months on a solo cross-country road trip.

    He suddenly realized he was resorting to driving at the smallest inconvenience, including for trips to Trader Joe’s a couple miles away or on rainy days when he didn’t feel like biking or walking to the trolley.

    He didn’t end up getting any money for his car — it was a 2004 and needed work — but he is saving on insurance, gas, and maintenance. And there’s an “unquantifiable” benefit, too: how it feels every day to see the faces of passersby as you bike past them, or to end your commute by thanking a conductor instead of slamming your car door shut, alone.

    “I have fallen more in love with the city now, just biking and getting to know all the streets,” said Walsh, who works for Jawnt, a technology company that provides transit benefits for some city employers. “You just don’t get that in a car. You’re in your little bubble.”

    https://www.inquirer.com/business/get-rid-of-car-sales-ownership-philadelphia-20240209.html
    #voitures #villes #urban_matter #piétons #Philadelphie #USA #Etats-Unis #marche #coût #santé #TRUST #Master_TRUST

  • Move to sustainable food systems could bring $10tn benefits a year, study finds

    Existing production destroys more value than it creates due to medical and environmental costs, researchers say

    A shift towards a more sustainable global food system could create up to $10tn (£7.9tn) of benefits a year, improve human health and ease the climate crisis, according to the most comprehensive economic study of its type.

    It found that existing food systems destroyed more value than they created due to hidden environmental and medical costs, in effect, borrowing from the future to take profits today.

    Food systems drive a third of global greenhouse gas emissions, putting the world on course for 2.7C of warming by the end of the century. This creates a vicious cycle, as higher temperatures bring more extreme weather and greater damage to harvests.

    Food insecurity also puts a burden on medical systems. The study predicted a business-as-usual approach would leave 640 million people underweight by 2050, while obesity would increase by 70%.

    Redirecting the food system would be politically challenging but bring huge economic and welfare benefits, said the international team of authors behind the study, which aims to be the food equivalent of the Stern review, the 2006 examination of the costs of climate change.

    Johan Rockström, of the Potsdam Institute for Climate Impact Research and one of the study’s authors, said: “The global food system holds the future of humanity on Earth in its hand.”

    The study proposes a shift of subsidies and tax incentives away from destructive large-scale monocultures that rely on fertilisers, pesticides and forest clearance. Instead, financial incentives should be directed towards smallholders who could turn farms into carbon sinks with more space for wildlife.

    A change of diet is another key element, along with investment in technologies to enhance efficiency and cut emissions.

    With less food insecurity, the report says, undernutrition could be eradicated by 2050, with 174 million fewer premature deaths, and 400 million farm workers able to earn a sufficient income. The proposed transition would help to limit global heating to 1.5C above pre-industrial levels and halve nitrogen run-offs from agriculture.

    Overall, they estimate the costs of the transformation at between 0.2% and 0.4% of global GDP per year.

    In early research, Rockström and his colleagues found food was the largest sector of the economy breaching planetary boundaries. As well at the climate impact, it is a major driver of land-use change and biodiversity decline, and is responsible for 70% of freshwater drawdown.

    The report was produced by the Food System Economics Commission, which has been formed by the Potsdam Institute, the Food and Land Use Coalition, and EAT, a holistic food-system coalition of the Stockholm Resilience Centre, the Wellcome Trust and the Strawberry Foundation. Academic partners include the University of Oxford and the London School of Economics.

    It estimated the hidden costs of food, including climate change, human health, nutrition and natural resources, at $15tn, and created a new model to project how these hidden costs could develop over time, depending on humanity’s ability to change. Their calculations were in line with a report last year by the United Nations Food and Agriculture Organization, which estimated off-books agrifood costs at more than $10trillion globally in 2020.

    Dr Steven Lord, of the University of Oxford’s Environmental Change Institute, said in a statement: “This analysis puts a first figure on the regional and global economic opportunity in transforming food systems. While not easy, the transformation is affordable on a global scale and the accumulating costs into the future of doing nothing pose a considerable economic risk.”

    Numerous other studies have demonstrated the health and climate benefits of a shift towards a plant-based diet. A report last year by the Climate Observatory notes that Brazil’s beef industry – and its related deforestation – now has a bigger carbon footprint than all the cars, factories, air conditioners, electric gadgets and other sources of emissions in Japan.

    The new study is not prescriptive about vegetarianism, but Rockström said demand for beef and most other meat would fall if hidden health and environmental costs were included in the price.

    Nicholas Stern, the chair of the Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment at the London School of Economics, welcomed the study: “The economics of today’s food system are, sadly, broken beyond repair. Its so-called ‘hidden costs’ are harming our health and degrading our planet, while also worsening global inequalities. Changing the ways we produce and consume food will be critical to tackling climate change, protecting biodiversity, and building a better future. It is time for radical change.”

    The main challenge of the proposed food transition is that costs of food would rise. Rockström said this would have to be handled with political dexterity and support for poor sections of society otherwise the result could be protests, such as the gilets jaunes (yellow vests) demonstrations held in France over petrol price hikes.

    Christiana Figueres, the former executive secretary of the UN Framework Convention on Climate Change, emphasised the forward-looking nature of the report: “This research … proves that a different reality is possible, and shows us what it would take to turn the food system into a net carbon sink by 2040. This opportunity should capture the attention of any policymaker who wants to secure a healthier future for the planet and for people.”

    https://www.theguardian.com/environment/2024/jan/29/sustainable-food-production-economic-benefits-study?CMP=share_btn_tw

    #système_alimentaire #alimentation #agriculture #coût #bénéfices #économie #agriculture_biologique #

    • The Economics of the Food System Transformation

      The text emphasizes the urgent need for a transformation of food systems, highlighting the economic, environmental, and social benefits of such a transformation. It outlines the negative impacts of current food systems on health, the environment, and climate change, identifying unaccounted costs estimated at 15 trillion USD a year. The report also discusses the unsustainable trajectory of the global food system and the potential economic benefits of a transformation, estimating them to be worth 5 to 10 trillion USD a year.

      Proposed Solutions for Food System Transformation:

      1. Shifting consumption patterns towards healthy diets: The report suggests regulating the marketing of unhealthy foods to children, providing front-of-pack nutritional guidance, targeting public food procurement on healthy options, taxing sugar-sweetened beverages and unhealthy foods, and reformulating packaged food to encourage healthier dietary choices.

      2. Resetting incentives by repurposing government support for agriculture: It is recommended to repurpose subsidies to improve access to healthy diets and make them more affordable. This involves reforming agricultural support to incentivize choices in line with the goals of the food system transformation, with a focus on lowering the hidden costs of food systems.

      3. Targeting revenue from new taxes to support food system transformation: The report recommends taxing carbon and nitrogen pollution to help achieve positive outcomes and align with expert recommendations from bodies such as the IPCC and OECD. Designing new taxes to suit the local context and targeting resulting revenues towards direct and progressive benefits for poorer households is essential to ensure inclusive outcomes and garner political support for a food system transformation.

      4. Innovating to increase labor productivity and workers’ livelihood opportunities: Public institutions can accelerate the development and diffusion of innovations that meet the needs of poorer producers and remove barriers to their adoption. Priority areas for public research and innovation include improving plant breeding, supporting environmentally sustainable, biodiversity-friendly, and low-emission farming systems, and developing digital technologies useful to small farmers.

      5. Scaling-up safety nets to keep food affordable for the poorest: Developing and strengthening safety nets is crucial to making food system transformations inclusive and politically feasible. Countries should prioritize targeting limited transfer resources on children’s nutritional needs and mobilizing more resources to put in place comprehensive safety nets.

      Additionally, the report addresses various tensions and obstacles in transforming food systems, highlighting the need to manage concerns such as fears of food price rises, job losses, policy siloes, global inequalities, and entrenched vested interests. It emphasizes the importance of addressing these concerns to facilitate change and ensure that the benefits of food system transformation can be realized. The report also highlights the rising visibility of transforming food systems as a policy priority, as well as the new ambition to seize the opportunities offered by such transformation, as evidenced by the COP28 UAE declaration on Sustainable Agriculture, Resilient Food Systems, and Climate Action signed by over 150 countries.

      https://knowledge4policy.ec.europa.eu/publication/economics-food-system-transformation_en
      https://foodsystemeconomics.org/wp-content/uploads/FSEC-Global_Policy_Report.pdf
      #rapport #coûts_cachés #pauvreté

  • Stage « Tournez dans un film de cinéma muet » 2024

    Pour les enfants, adolescents et adultes confondus, « Le Bateau Ivre » (organisme de formation depuis 1998) propose deux sessions du Stage de Mime « Tournez dans un film de cinéma muet » à Paris (75009) pendant 4 jours de 14 à 17h en avril 2024. https://www.silencecommunity.com/events/event/view/48629/stage-%C2%AB%C2%A0tournez-dans-un-film-de-cinema-muet%C2%A0%C2%BB-

    #Paris #ÎleDeFrance #stage #formation #tournage #enfants #adolescents #adultes #cinéma #mime #pantomime #mimique #ArtisteMime #muet #CinémaMuet #film #CourtMétrage #laussat #pillavoine #avril #lbi2324

    • « Il est logique de reconnaître aux Maires la possibilité d’exiger des devoirs en contrepartie de droits, le respect de son pays et des morts pour la France en fait partie. »

      Le front de l’air est vraiment putride.
      Bientot le RSA conditionné à la présence lors des commemoration de Pétain et Maurras. La CAF à condition de dire notre fierté pour Depardieu....
      Bientôt tu pourra crever la dalle si t’es pas Charlie

    • Le tribunal administratif de Toulon a (...) validé le 26 janvier 2024, cette décision du maire, adoptée en septembre 2022, par la majorité des élus de #droite. Cette mesure avait été cependant contestée par la suite par la préfecture qui dénonçait : "une ingérence dans les libertés d’association et de conscience".

      Le tribunal administratif de Toulon a estimé que cette dernière favorisait "l’engagement des associations lors d’événements ayant un intérêt public local" sans enfreindre "le principe de neutralité".

      #Associations #subventions

      Droits et devoirs : la rupture Macron
      https://www.mediapart.fr/journal/france/250322/droits-et-devoirs-la-rupture-macron

      Pour le président-candidat, « les devoirs valent avant les droits ». Cette logique, qui va à l’encontre des principes fondamentaux de l’État social et l’#État_de_droit, irrigue l’ensemble de son projet de réélection. En distinguant les bons et les mauvais citoyens.
      Romaric Godin et Ellen Salvi
      25 mars 2022


      EmmanuelEmmanuel Macron a rarement parlé de « droits » sans y accoler le mot « devoirs ». En 2017 déjà, il présentait les contours de sa future réforme de l’assurance-chômage, en expliquant vouloir « un système exigeant de droits et de devoirs ». Deux ans plus tard, au démarrage du « grand débat national », pensé comme une campagne de mi-mandat pour endiguer la crise des « gilets jaunes », il déplorait l’usage de l’expression « cahier de doléances », lui préférant celle de « cahiers de droits et de devoirs » [le droit de se plaindre, et surtout le devoir de la fermer et d’obéir, ndc]..
      À l’époque, le chef de l’État prenait encore soin, au moins dans son expression, de maintenir un semblant d’équilibre. Mais celui-ci a volé en éclats au printemps 2021, en marge d’un déplacement à Nevers (Nièvre). Interpellé par un homme sans papiers, le président de la République avait déclaré : « Vous avez des devoirs, avant d’avoir des droits. On n’arrive pas en disant : “On doit être considéré, on a des droits.” » Avant d’ajouter, sans l’ombre d’une ambiguïté : « Les choses ne sont pas données. »

      Jeudi 17 mars, le président-candidat a de nouveau invoqué la question des devoirs en abordant le volet régalien de son projet. Rappelant son engagement à accueillir des familles ukrainiennes fuyant la guerre, il a immédiatement prévenu vouloir « changer les modes d’accès aux titres de séjour » et notamment les titres de séjour longs, qui seront désormais accordés « dans des conditions beaucoup plus restrictives ». Parce que non, définitivement, « les choses ne sont pas données ».
      Cette rhétorique du donnant-donnant irrigue aujourd’hui l’ensemble du programme d’Emmanuel Macron. Elle s’impose ainsi dans le volet économique de celui-ci. La mesure la plus représentative en la matière étant sans doute la mise sous condition de travail ou de formation du revenu de solidarité active (#RSA). Le porte-parole du gouvernement, Gabriel Attal, a d’ailleurs explicitement indiqué que cette proposition s’inscrivait dans cette « logique de droits et devoirs » proposée par le candidat.
      Une logique, ou plus exactement une précédence, que le chef de l’État a lentement installée, l’étendant des sans-papiers à tous les citoyens et citoyennes. « Être #citoyen, ce n’est pas demander toujours des droits supplémentaires, c’est veiller d’abord à tenir ses devoirs à l’égard de la nation », avait-il lancé en août 2021. « Être un citoyen libre et toujours être un citoyen responsable pour soi et pour autrui ; les devoirs valent avant les droits », insistait-il en décembre, à destination des personnes non vaccinées.

      Une vision digne de l’Ancien Régime

      Emmanuel Macron a balayé, en l’espace de quelques mois, l’héritage émancipateur de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen de 1789. Pour les rédacteurs de cette dernière, rappelait l’avocat Henri Leclerc dans ce texte, « les droits qu’ils énoncent sont affaire de principe, ils découlent de la nature de l’homme, et c’est pourquoi ils sont imprescriptibles ; les devoirs eux sont les conséquences du contrat social qui détermine les bornes de la liberté, par la loi, expression de la volonté générale ».
      « Ce sont les sociétés totalitaires qui reposent d’abord sur l’#obéissance à des impératifs non négociables qui, en fait, ne sont pas des devoirs auxquels chacun devrait subordonner librement ses actes, écrivait-il en guise de conclusion. Les sociétés démocratiques reposent sur l’existence de droits égaux de citoyens libres qui constituent le peuple d’où émane la souveraineté. Chacun y a des devoirs qui, sans qu’il soit nécessaire de les préciser autrement, répondent à ses droits universels. »
      Début 2022, face aux critiques – Jean-Luc Mélenchon avait notamment tweeté : « Les devoirs avant les droits, c’est la monarchie féodale et ses sujets. Le respect des droits créant le devoir, c’est la République et la citoyenneté » –, Gabriel Attal avait assuré un nouveau service après-vente. Dans Le Parisien, le porte-parole du gouvernement avait expliqué vouloir « poursuivre la redéfinition de notre contrat social, avec des devoirs qui passent avant les droits, du respect de l’autorité aux prestations sociales ».

      La conception conservatrice du « bon sens »

      Cette « redéfinition de notre contrat social » se traduit par plusieurs mesures du projet présidentiel : le RSA donc, mais aussi l’augmentation des salaires du corps enseignant contre de nouvelles tâches – « C’est difficile de dire : on va mieux payer tout le monde, y compris celles et ceux qui ne sont pas prêts à davantage s’engager ou à faire plus d’efforts », a justifié Emmanuel Macron [avant d’introduire la notion de #salaire_au_mérite dans la fonction publique, ndc]–, ou même la réforme des retraites qui soumet ce droit devenu fondamental à des exigences économiques et financières.
      Cette vision s’appuie sur une conception conservatrice du « bon sens », qui conditionne l’accès aux droits liés aux prestations sociales à certains comportements méritants. Elle va à l’encontre total des principes qui fondent l’État social. Ce dernier, tel qu’il a été conçu en France par le Conseil national de la Résistance, repose en effet sur l’idée que le capitalisme fait porter sur les travailleurs et travailleuses un certain nombre de risques contre lesquels il faut se prémunir.

      Ce ne sont pas alors d’hypothétiques « devoirs » qui fondent les droits, c’est le statut même du salarié, qui est en première ligne de la production de valeur et qui en essuie les modalités par les conditions de travail, le chômage, la pénibilité, la faiblesse de la rémunération. Des conditions à l’accès aux droits furent toutefois posées d’emblée, l’État social relevant d’un compromis avec les forces économiques qui ne pouvaient accepter que le risque du chômage, et sa force disciplinaire centrale, ne disparaisse totalement.
      Mais ces conditions ne peuvent prendre la forme de devoirs économiques, qui relèvent, eux, d’une logique différente. Cette logique prévoit des contreparties concrètes aux aides sociales ou à la rémunération décente de certains fonctionnaires. Et ce, alors même que chacun, y compris Emmanuel Macron, convient de la dévalorisation du métier d’enseignant. Elle conduit à modifier profondément la conception de l’aide sociale et du traitement des fonctionnaires. À trois niveaux.
      Le premier est celui de la définition même des « devoirs ». Devoirs envers qui ou envers quoi ? Répondre à cette question, c’est révéler les fondements philosophiques conservateurs du macronisme. Un bénéficiaire du RSA aurait des devoirs envers un État et une société qui lui demandent de vivre avec un peu plus de 500 euros par mois ? Il aurait en quelque sorte des « contreparties » à payer à sa propre survie.
      Si ces contreparties prenaient la forme d’un travail pour le secteur privé, celui-ci deviendrait la source du paiement de l’allocation. C’est alors tout le centre de gravité de l’État social qui évoluerait, passant du travail au capital. En créant la richesse et en payant l’allocation, les entreprises seraient en droit de demander, en contrepartie, du travail aux allocataires au RSA, lesquels deviendraient forcément des « chômeurs volontaires » puisque le travail serait disponible.

      Les allocataires du RSA devront choisir leur camp

      Ce chômage volontaire serait une forme de comportement antisocial qui ferait perdre à la société sa seule véritable richesse : celle de produire du profit. On perçoit, dès lors, le retournement. La notion de « devoirs » place l’allocataire du RSA dans le rôle de #coupable, là où le RMI, certes imaginé par Michel Rocard dans une logique d’insertion assez ambiguë, avait été pensé pour compléter l’assurance-chômage, qui laissait de côté de plus en plus de personnes touchées par le chômage de longue durée.

      Ce retournement a une fonction simple : #discipliner le monde du travail par trois mouvements. Le premier, c’est celui qui veut lui faire croire qu’il doit tout au capital et qu’il doit donc accepter ses règles. Le second conduit à une forme de #criminalisation de la #pauvreté qui renforce la peur de cette dernière au sein du salariat – un usage central au XIXe siècle. Le dernier divise le monde du travail entre les « bons » citoyens qui seraient insérés et les « mauvais » qui seraient parasitaires.
      C’est le retour, déjà visible avec les « gilets jaunes », à l’idée que déployait Adolphe Thiers dans son discours du 24 mai 1850, en distinguant la « vile multitude » et le « vrai peuple », « le pauvre qui travaille » et le « vagabond ». Bientôt, les allocataires du RSA devront choisir leur camp. Ce qui mène à la deuxième rupture de cette logique de « devoirs ». Le devoir suprême, selon le projet d’Emmanuel Macron, est de travailler. Autrement dit de produire de la valeur pour le capital.

      Individualisation croissante

      C’est le non-dit de ces discours où se retrouvent la « valeur #travail », les « devoirs générateurs de droits » et le « #mérite ». Désormais, ce qui produit des droits, c’est une capacité concrète à produire cette valeur. Il y a, dans cette démarche, une logique marchande, là où l’État social traditionnel voyait dans la protection sociale une fenêtre de démarchandisation – c’est parce qu’on devenait improductif qu’on devait être protégé. À présent, chacun, y compris les plus fragiles, doit faire preuve de sa capacité constante de production pour justifier son droit à survivre.

      Cette #marchandisation va de pair avec une individualisation croissante. Dans le modèle traditionnel, la pensée est systémique : le capitalisme produit des risques sociaux globaux dont il faut protéger tous les travailleurs et travailleuses. Dans le modèle des contreparties, chacun est mis face à l’injonction de devoir justifier individuellement ses droits par une mise à l’épreuve du marché qui est le juge de paix final. On comprend dès lors pourquoi Christophe Castaner prétend que l’allocation sans contrepartie est « la réponse des lâches ».
      Car ce choix laisserait les individus sans obligations devant le marché. Or, pour les partisans d’Emmanuel Macron, comme pour Friedrich Hayek, la seule façon de reconnaître un mérite, c’est de se confronter au marché qui donne à chacun ce à quoi il a droit. La vraie justice est donc celle qui permet d’être compétitif. C’est la vision qu’a d’ailleurs défendue le président-candidat le 22 mars, sur France Bleu, en expliquant que la « vraie inégalité » résidait dans « les inégalités de départ ». L’inégalité de résultat, elle, n’est pas remise en cause. [voir L’égalité des chances contre l’égalité http://www.cip-idf.org/article.php3?id_article=4443]

      Le dernier point d’inflexion concerne l’État. Dans la logique initiale de la Sécurité sociale, la protection contre les risques induits par le capitalisme excluait l’État. De 1946 à 1967, seuls les salariés géraient la Sécu. Pour une raison simple : toutes et tous étaient les victimes du système économique et les bénéficiaires de l’assurance contre ces risques. Le patronat cotisait en tant qu’origine des risques, mais ne pouvait décider des protections contre ceux qu’il causait. Ce système a été progressivement détruit, notamment en s’étatisant.
      Le phénomène fut loin d’être anecdotique puisqu’il a modifié le modèle initial et changé la nature profonde de l’État : désormais, le monde du travail est redevable à celui-ci et au patronat de ses allocations. Ces deux entités – qui en réalité n’en forment qu’une – exigent des contreparties aux allocataires pour compenser le prix de leur prise en charge. L’État étant lui-même soumis à des choix de rentabilité, l’allocataire doit devenir davantage rentable. Dans cet état d’esprit, cette « #rentabilité » est synonyme « d’#intérêt_général ».
      Les propositions sur le RSA et le corps enseignant entrent dans la même logique. Emmanuel Macron agit en capitaliste pur. Derrière sa rhétorique des droits et des devoirs se profilent les vieilles lunes néolibérales : marchandisation avancée de la société, discipline du monde du travail et, enfin, idée selon laquelle l’État serait une entreprise comme les autres. Le rideau de fumée de la morale, tiré par un candidat qui ose parler de « dignité », cache mal le conservatisme social de son système de pensée.

      Romaric Godin et Ellen Salvi

      #subventions #associations #contrepartie #droits #devoirs #égalité #inégalité

  • #Risques_industriels : la #Cour_des_comptes au renfort d’#Amaris
    https://www.banquedesterritoires.fr/risques-industriels-la-cour-des-comptes-au-renfort-damaris

    Il y a peu, l’association Amaris déplorait que les pouvoirs publics n’aient pas tiré le bilan de la loi dite Bachelot relative à la prévention des risques technologiques et naturels, adoptée il y a 20 ans (voir notre article du 20 septembre 2023). L’association vient de recevoir un renfort de poids : celui de la Cour des comptes. En conclusion du rapport(https://www.ccomptes.fr/sites/default/files/2024-01/20240201-S2023-1508-ICPE-industrielles.pdf) qu’elle vient de consacrer à la gestion des installations classées pour la protection l’environnement (#ICPE) dans le domaine industriel, […] si elle constate que la grande majorité des PPRT a été approuvée, la rue Cambon relève comme Amaris que "beaucoup de questions demeurent sans réponse : de nombreux #logements resteront exposés […] et la mise en #sécurité des entreprises riveraines et des bâtiments publics n’est pas suivie". Elle ajoute que les ouvrages d’infrastructures de transports de matières dangereuses sont ignorés. Pour y remédier, elle recommande de prévoir des mesures de protection foncière et des travaux pour les "zones d’effets létaux" qui y sont liées, mais aussi de modifier la législation pour généraliser la mise en place de commissions consultatives analogues aux commissions de suivi de site des ICPE.

    Sont insuffisamment pris en compte également selon elle, des risques dont l’acuité va pourtant croissant, comme les "NaTechs" (#accidents_technologiques dus à un événement naturel) ou les #cyberattaques. C’est encore le cas des risques chroniques. Elle juge ainsi que "les impacts sanitaires et environnementaux de la #pollution des sols et #nappes_phréatiques ne sont pas assez étudiés", alors que nombre de ces derniers sont "durablement pollués". Elle souligne en outre que "la volonté de simplifier et d’accélérer les procédures afin de faciliter les implantations industrielles a conduit à restreindre le champ de l’obligation de l’étude d’impact et à rendre facultative la consultation du comité départemental de l’environnement et des risques sanitaires et technologique" (#Coderst – via la loi Asap — https://www.banquedesterritoires.fr/simplification-tout-ce-que-les-collectivites-peuvent-retenir-de — et son décret d’application — https://www.banquedesterritoires.fr/simplification-des-procedures-environnementales-le-decret-asap-), et que la loi pour l’industrie verte (https://www.banquedesterritoires.fr/industrie-verte-le-projet-de-loi-adopte-par-le-parlement) introduit de nouvelles mesures de #simplification. Elle déplore encore que nombre de « #polluants_émergents » (au regard de leur prise en compte, et pas de leur existence) ne sont toujours pas réglementés, leur encadrement se heurtant souvent à l’absence de valeurs toxicologiques de référence.

    De manière générale, la Cour dénonce l’insuffisance des moyens accordés. Pour elle, c’est notamment le cas des moyens alloués au recensement des sites pollués – et à leur# dépollution (mais le fonds vert est salué). Cela l’est également singulièrement des moyens de #police_environnementale de l’inspection des installées classées, fortement sollicités par l’essor des éoliennes terrestres et des méthaniseurs, mais aussi par l’application du règlement européen REACH et l’instruction des projets soutenues par le plan France 2030 (voir notre article du 22 juin 2023).

    […] Côté #sanctions, ce n’est guère mieux : "Les suites administratives demeurent peu dissuasives à l’exception des astreintes", les plafonds n’étant ni proportionnels aux capacités financières des contrevenants, ni à l’enrichissement qu’ils sont susceptibles de tirer de la situation de non-conformité.

    […] En dépit des efforts conduits en la matière – notamment le lancement du plan d’actions "Tous résilients face aux risques" –, la rue Cambon juge que "l’information institutionnelle sur les risques majeurs peine à atteindre ses cibles". Elle relève que "les organismes de concertation mis en place sont souvent critiqués pour leur fonctionnement vertical" et que "nombre de secrétariats permanents pour la prévention des pollutions industrielles ne sont plus actifs depuis plusieurs années". Elle estime également que "la culture de sécurité reste inégale parmi les élus, y compris parmi ceux des #collectivités accueillant des ICPE à hauts risques" et que "les collectivités s’estiment peu éclairées sur les risques chroniques et leurs effets sur l’environnement et la santé".

  • Forêts : le Conseil d’Etat rejette la limitation des coupes rases
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2024/02/07/forets-le-conseil-d-etat-rejette-la-limitation-des-coupes-rases_6215210_3244

    Plusieurs associations environnementales demandent purement et simplement l’interdiction des coupes rases, comme c’est le cas en Suisse et en Autriche pour toute coupe de plus de deux hectares.

    Le #Conseil_d’Etat a rejeté une requête du parc naturel du Morvan visant à limiter les « coupes rases », abattages de la totalité des #arbres d’une parcelle accusés de dégrader durablement les #écosystèmes, a appris l’Agence France-Presse (AFP), mercredi 7 février, auprès du Conseil.
    Le parc naturel régional du Morvan, recouvert de forêts sur 135 000 hectares, avait saisi le Conseil d’Etat en avril 2022. Il lui demandait de contraindre le gouvernement français à accepter sa demande, faite en 2018, de soumettre à autorisation toute coupe rase à partir de 0,5 hectare, contre quatre hectares actuellement.
    Selon le parc, la France se serait ainsi conformée à la directive européenne du 13 décembre 2011, qui exige l’évaluation des « incidences sur l’environnement » de tout déboisement, laissant aux Etats membres le loisir de fixer le seuil d’application (à partir de 0,5 hectare, a décidé la France).

    Des associations environnementales demandent son interdiction
    Mais, dans un jugement consulté par l’AFP, le Conseil d’Etat rappelle qu’un arrêt de la Cour de justice de l’Union européenne a estimé que la directive invoquée par le parc « vise, non pas tout déboisement, mais uniquement les opérations réalisées en vue de conférer aux sols concernés un nouvel usage ». Les coupes rases qui ne mettent pas fin à une destination forestière ne sont donc pas concernées, selon le Conseil.
    Ces coupes, également dites « à blanc », libèrent de grandes quantités de carbone tout en détruisant non seulement un paysage, mais également les écosystèmes et les sols, selon les opposants.

    Plusieurs associations environnementales demandent purement et simplement l’interdiction des coupes rases, comme c’est le cas en Suisse – depuis 1876 – et en Autriche pour toute coupe de plus de deux hectares. De plus, ces coupes franches sont très souvent destinées à planter des monocultures de résineux, plus rentables mais très pauvres en biodiversité.
    « L’enrésinement » (plantation de résineux) du Morvan, petite montagne qui forme un prolongement bourguignon du Massif central, est régulièrement dénoncé par les associations environnementales.
    Les feuillus (chênes, hêtres et autres châtaigniers) représentent encore 54 % de la forêt morvandelle, contre 35 % pour les résineux et 11 % pour les essences mélangées. Mais la part des pins et autres épicéas progressent rapidement : de 2005 à 2016, 10 800 hectares de résineux ont été plantés, tandis que 4 300 hectares de feuillus ont été arrachés, selon les chiffres du parc.

    #forêt #résineux #coupes_rases #économie #écologie #justice #propriété (la liberté d’user et d’abuser)

  • A la recherche d’économies, le gouvernement se penche sur les maladies chroniques | Les Echos
    https://www.lesechos.fr/economie-france/budget-fiscalite/a-la-recherche-deconomies-le-gouvernement-se-penche-sur-les-maladies-chroni

    Reste enfin la piste des affections de longue durée (#ALD). Si l’exécutif a décidé de se pencher sur ces #maladies_chroniques, c’est que celles-ci se développent, sur fond de vieillissement de la population mais aussi de progrès médical. Celui-ci permet d’augmenter l’espérance de vie des personnes atteintes. Résultat : le nombre des bénéficiaires d’ALD augmente régulièrement, tout comme le poids des ALD dans la structure des dépenses de #santé, qui représentent près de 66 % de celles-ci (en 2020).

    Près de 20 % des Français assurés (12 millions de personnes) bénéficiaient en 2022 de la reconnaissance d’une affection longue durée par l’Assurance Maladie, car ils sont atteints d’une maladie grave, longue et coûteuse à soigner. Ce système garantit une prise en charge à 100 % des dépenses de soins par la Sécurité sociale (dans la limite des plafonds de remboursement, hors dépassements d’honoraires, franchises médicales, etc.). Parmi les ALD les plus répandues figurent le diabète, les cancers, les affections psychiatriques ou les problèmes d’insuffisance cardiaque.

    Exercice difficile

    Existant depuis le début de la Sécurité sociale, ce dispositif a été modifié en 2011, pour sortir l’hypertension artérielle de la liste des ALD, qui compte aujourd’hui une trentaine d’affections.
    Si modifier de nouveau la liste des ALD promet d’être un exercice difficile, l’exécutif pourrait chercher à agir sur d’autres tableaux. Notamment en se penchant sur les soins qui ne sont pas liés à la pathologie éligible à l’ALD, et qui ne doivent pas donner lieu à la même prise en charge à 100 % depuis 1987. Les médecins sont censés différencier les prescriptions. Pas sûr cependant que cette distinction soit toujours bien faite. L’Assurance Maladie a d’ailleurs mis ce sujet sur la table dans le cadre des négociations en cours avec les médecins libéraux sur le tarif des consultations.

    #malades #budget #coupes_budgétaires