#cour_pénale_internationale

  • Libia, chiesti 6 mandati di cattura dalla Corte penale dell’Aja

    I nomi sono coperti dal segreto. Per 4 c’è l’ordine di arresto, per altri due si attende il via libera del tribunale. Il procuratore Khan: «Esecrabile spirale di violenza»

    «Posso annunciare oggi che i giudici indipendenti della Corte penale internazionale hanno emesso i quattro mandati d’arresto». Le parole del procuratore internazionale #Karim_Khan segnano un salto in avanti nelle inchieste per crimini contro i diritti umani in Libia. I mandati sono coperti dal segreto allo scopo di proteggere le operazioni investigative che potrebbero portare alla cattura dei ricercati. Ai quattro ordini di cattura convalidati se ne aggiungono altri due chiesti nelle ultime ore e sottoposti al vaglio dei giudici.

    Gli indagati provengono sia da forze affiliate al governo di Tripoli che da milizie legate al generale Haftar, che controlla la Cirenaica fino al confine meridionale con il Sudan. Nei mesi scorsi “Avvenire” aveva rivelato la richiesta d’arresto firmata dalla Procura internazionale, in attesa del vaglio dei giudici (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-corte-penale-internazionale-in-libia-mandati-d). Ma ieri è arrivato il via libera. A quanto trapela, i destinatari sono nomi noti ai governi europei e a quello italiano, anche per aver cooperato con alcuni gruppi criminali coinvolti nel traffico di esseri umani, petrolio e droga.

    Il rapporto della procura internazionale, pur senza rivelare i nomi degli indagati, circoscrive con precisione i reati per i quali sono perseguiti e conferma come i crimini siano ancora in corso. Sono compresi i crimini commessi a partire dal 2011, dal momento dell’esplosione del conflitto interno al momento della caduta del colonnello Gheddafi fino alle violazioni dei diritti umani «contro libici e non libici che continuano a essere commessi nei centri di detenzione» di tutto il Paese.

    «I crimini contro i migranti continuano a essere diffusi e numerosi in Libia», si legge. Già dal settembre 2022 l‘ufficio del procuratore si era unito a una «squadra congiunta» che indaga «sui principali sospetti responsabili di crimini contro i migranti, tra cui la tratta di esseri umani, il contrabbando di esseri umani, la riduzione in schiavitù, la tortura e l’estorsione». Inizialmente la Corte penale internazionale era stata incaricata dal Consiglio di sicurezza per i soli “crimini di guerra”, ma nei mesi scorsi il procuratore Khan è riuscito a dimostrare che «i crimini contro i migranti in Libia possono costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra». In altre parole, lo sfruttamento degli esseri umani e gli abusi commessi contro le persone sono in connessione diretta con i crimini di guerra poiché a gestire la filiera del traffico di esseri umani sono le milizie nel frattempo inglobate nelle istituzioni ufficiali, che vanno dalla cosiddetta guardia costiera al Dipartimento contro l’immigrazione illegale. «È un obbligo collettivo garantire che i responsabili di tali crimini siano chiamati a risponderne», ha sottolineato il procuratore Khan.

    Uno dei primi risultati della “squadra congiunta” di cui fa parte la Cpi è stato l’arresto di #Tewelde_Goitom, noto anche come #Amanuel_Gebreyesus_Negahs_Walid, estradato dall’Etiopia nei Paesi Bassi, dove sta affrontando un procedimento penale condotto dalla giustizia olandese. Durante l’udienza preliminare, i pubblici ministeri locali «hanno mostrato come diverse famiglie olandesi (di origine subsahariana, ndr) hanno ricevuto telefonate da loro parenti nei campi e nelle strutture di detenzione gestiti da alcuni dei sospettati, mentre i loro congiunti li imploravano di inviare denaro e in sottofondo si sentivano le urla delle vittime di tortura».

    Allo sviluppo delle indagini internazionali hanno contribuito anche inquirenti d i Paesi Bassi, Italia e Regno Unito, «dimostrando la loro determinazione a garantire la responsabilità per i crimini gravi», dice Khan.

    Gli investigatori coordinati dalla procura internazionale «hanno incontrato testimoni che hanno confermato - si legge nel dossier investigativo - la violenza diffusa e sistematica contro i migranti, tra cui torture, stupri e riduzione in schiavitù». Nel suo intervento davanti al Consiglio di sicurezza il capo della procura internazionale ha parlato di «esecrabile spirale di violenza», ricordando come «le violazioni dei diritti umani contro i migranti e i richiedenti asilo contro i migranti e i richiedenti asilo continuano impunemente».

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/libia-emessi-4-mandati-di-cattura-dalla-corte-penale-dell-aja
    #Cour_pénale_internationale #CPI #Libye #migrations #réfugiés #asile #justice #mandats_d'arrêt #mandat_d'arrêt #droits_humains #général_Haftar #milices #violence

  • Mandat d’arrêt contre Vladimir Poutine : la #Cour_pénale_internationale a-t-elle franchi le Rubicon ?
    https://lerubicon.org/publication/mandat-darret-contre-vladimir-poutine-la-cour-penale-internationale-a-t-e

    Une Cour forte avec les faibles, mais faible avec les forts ? Tel semblait ce que pouvait espérer de mieux la première juridiction pénale internationale permanente, cette « pierre angulaire d’un dispositif pénal international inédit » dont le statut constitutif fut conclu à Rome il y a 25 ans, en juillet 1998, au cœur d’une décennie d’euphorie pour les projets de paix par le droit (1991-2001). Qu’on en juge. En vingt ans d’exercice, la Cour pénale internationale (#CPI) a certes ouvert une petite vingtaine d’enquêtes et délivré publiquement une quarantaine de mandats d’arrêt. Près d’une cinquantaine d’individus ont ainsi été mis en accusation par le Bureau du Procureur. Mais les formations de jugements n’ont prononcé que 9 verdicts définitifs à ce jour – sur des charges de crimes de guerre ou de crimes contre l’humanité – dont 4 acquittements. Seuls quelques responsables de milices engagées dans différents conflits armés non-internationaux sur le continent africain ont été condamnés. Les poursuites contre les grandes figures politiques que sont – ou qu’étaient – Uhuru Kenyatta, Jean-Pierre Bemba ou Laurent Gbagbo ont fait pschitt. Et jusqu’au tournant ukrainien, les enquêtes hors Afrique, en Afghanistan ou en Palestine notamment, n’avaient manifestement pas été priorisées.

    La situation en #Ukraine est-elle susceptible de bouleverser cette première analyse, de signer le passage de l’âge de bronze à l’âge de fer de la Cour pénale internationale ? On voudrait en tout cas le croire. Son nouveau procureur, le Britannique Karim Khan, a en effet décidé de frapper fort. Le 22 février 2023, il a présenté à la Chambre préliminaire II ses premières demandes de mandats d’arrêt dans le cadre de son enquête sur place et la Chambre a fait droit à celles-ci le 17 mars dernier. Elle a délivré des mandats à l’encontre de deux personnalités russes dont Vladimir Poutine, Président de la Fédération de Russie. C’est un tournant majeur, à l’onde de choc sans précédent. Pour la première fois de l’histoire de la justice pénale internationale, le dirigeant d’un membre permanent du Conseil de sécurité, d’une puissance nucléaire, d’un pays au rôle indéniable dans les procès de Nuremberg, doit donc répondre d’une accusation de crimes de guerre. Et son arrestation puis sa remise pourraient être exigées de près des deux tiers des États membres de l’ONU également parties au Statut de Rome, sur le fondement de leurs obligations de coopération avec la Cour. À l’examen, si les perspectives judiciaires demeurent plus qu’incertaines et doivent nuancer tout enthousiasme excessif, les effets immédiats de ces mandats d’arrêts, et en particulier de celui visant le maître du Kremlin, ne sauraient être négligés.

  • Pentagon Blocks Sharing Evidence of Possible Russian War Crimes With Hague Court
    https://www.nytimes.com/2023/03/08/us/politics/pentagon-war-crimes-hague.html

    The Pentagon is blocking the Biden administration from sharing evidence with the International Criminal Court in The Hague gathered by American intelligence agencies about Russian atrocities in Ukraine, according to current and former officials briefed on the matter.

    American military leaders oppose helping the court investigate Russians because they fear setting a precedent that might help pave the way for it to prosecute Americans. The rest of the administration, including intelligence agencies and the State and Justice Departments, favors giving the evidence to the court, the officials said.

    President Biden has yet to resolve the impasse, officials said.

    The evidence is said to include details relevant to an investigation the chief prosecutor of the International Criminal Court, Karim Khan, began after Russia’s invasion of Ukraine a year ago. The information reportedly includes material about decisions by Russian officials to deliberately target civilian infrastructure and to abduct thousands of Ukrainian children from occupied territory.

    In December, Congress modified longstanding legal restrictions on American help to the court, allowing the United States to assist with its investigations and eventual prosecutions related to the war in Ukraine. But inside the Biden administration, a policy dispute over whether to do so continues to play out behind closed doors.

    [...] In late December, lawmakers enacted two laws aimed at increasing the chances that Russians would be held accountable for war crimes in Ukraine.

    One was a stand-alone bill expanding the jurisdiction of American prosecutors to charge foreigners for war crimes committed abroad. The other, a provision about the International Criminal Court embedded in the large appropriations bill Congress passed in late December, received little attention at the time.

    But that provision was significant. While the U.S. government remains prohibited from providing funding and certain other aid to the court, Congress created an exception that allows it to assist with “investigations and prosecutions of foreign nationals related to the situation in #Ukraine, including to support victims and witnesses.”

    Despite that legal change and Congress’s signal of support, the Pentagon has stood firm that the United States should not help the International Criminal Court investigate Russians for their actions in Ukraine since Russia is not a party to the treaty that established the court.

    That resistance has attracted criticism both inside and outside the executive branch. Some legal specialists contend that there is scant benefit to hewing to that position because the rest of the world essentially rejects that interpretation.

    #cour_pénale_internationale

  • #Chine : le drame ouïghour

    La politique que mène la Chine au Xinjiang à l’égard de la population ouïghoure peut être considérée comme un #génocide : plus d’un million de personnes internées arbitrairement, travail forcé, tortures, stérilisations forcées, « rééducation » culturelle des enfants comme des adultes…
    Quel est le veritable objectif du parti communiste chinois ?

     
    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/64324

    #Ouïghours #Xinjiang #camps_d'internement #torture #stérilisation_forcée #camps_de_concentration #persécution #crimes_contre_l'humanité #silence #matières_premières #assimilation #islam #islamophobie #internement #gaz #coton #charbon #route_de_la_soie #pétrole #Xi_Jinping #séparatisme #extrémisme #terrorisme #Kunming #peur #état_policier #répression #rééducation #Radio_Free_Asia #disparition #emprisonnement_de_masse #images_satellites #droits_humains #zone_de_non-droit #propagande #torture_psychique #lavage_de_cerveau #faim #Xinjiang_papers #surveillance #surveillance_de_masse #biométrie #vidéo-surveillance #politique_de_prévention #surveillance_d'Etat #identité #nationalisme #minorités #destruction #génocide_culturel #Ilham_Tohti #manuels_d'école #langue #patriotisme #contrôle_démographique #contrôle_de_la_natalité #politique_de_l'enfant_unique #travail_forcé #multinationales #déplacements_forcés #économie #colonisation #Turkestan_oriental #autonomie #Mao_Zedong #révolution_culturelle #assimilation_forcée #Chen_Quanguo #cour_pénale_internationale (#CPI) #sanctions

    #film #film_documentaire #documentaire

  • Une ONG allemande dépose une plainte contre des dirigeants européens pour #crimes_contre_l'humanité envers des migrants

    Le Centre européen pour les droits constitutionnels et humains a annoncé, mercredi, avoir déposé une plainte pour crimes contre l’humanité contre des dirigeants européens devant la Cour pénale internationale. L’ONG les accuse d’avoir collaboré avec la Libye pour l’interception de migrants en mer malgré les risques de sévices que les exilés encourent dans le pays.

    Le #Centre_européen_pour_les_droits constitutionnels_et_humains (#ECCHR) a déposé une plainte pour crimes contre l’humanité devant la #Cour_pénale_internationale (#CPI) visant plusieurs responsables européens, a annoncé, mercredi 30 novembre, cette ONG allemande, soutenue par l’ONG, Sea-Watch.

    Parmi les personnes visées par la plainte figurent l’ancien ministre de l’Intérieur italien #Matteo_Salvini, les ancien et actuel Premiers ministres maltais #Robert_Abela et #Joseph_Muscat, ou encore l’ancienne cheffe de la diplomatie européenne, #Federica_Mogherini.

    L’ECCHR estime que la politique européenne de soutien aux #garde-côtes_libyens chargés d’intercepter les exilés en #Méditerranée puis de les ramener en #Libye a rendu ces personnalités indirectement responsables des #violences et #exactions subies par les migrants dans le pays. Les exilés, qui sont interceptés en mer par les garde-côtes libyens, sont systématiquement envoyés dans des centres de détention, où ils subissent des violences physiques et sexuelles, des privations de nourriture et de la #torture.

    « Bien qu’ils aient eu connaissance de ces crimes, des fonctionnaires des agences de l’UE ainsi que de l’Italie et de Malte ont renforcé leur collaboration avec la Libye pour empêcher les réfugiés et les migrants de fuir la Libye par la mer », souligne l’ECCHR dans son communiqué, publié mercredi 30 novembre. « Ce soutien et cette #collaboration tendent à démontrer le rôle décisif que jouent les #hauts_fonctionnaires de l’UE dans la privation de liberté des migrants et des réfugiés fuyant la Libye », ajoute l’ONG.

    Enquête sur les faits de #collaboration

    L’ECCHR et #Sea-Watch appellent la CPI à enquêter sur ces faits de collaboration entre acteurs européens et libyens et à traduire en justice les responsables. Les deux ONG réclament également la fin du financement des programmes d’externalisation des frontières européennes qui s’appuient, entre autres, sur le soutien et la formation des garde-côtes libyens. Elles demandent enfin la création d’un programme civil de recherche et sauvetage européen qui serait financé par les États membres de l’Union européenne (UE).

    Environ 100 000 migrants ont été interceptés au large des côtes libyennes et renvoyés dans le pays depuis 2017, date de la signature d’un accord entre la Libye et l’Italie pour lutter contre l’immigration illégale. Outre l’Italie, l’UE a versé depuis 2015 plus de 500 millions d’euros au gouvernement de Tripoli pour l’aider à freiner les départs de migrants vers l’Europe.

    Malgré les preuves de plus en plus nombreuses des cas de maltraitance envers des migrants en Libye, l’UE n’a pas cessé son aide financière au pays. Pire, l’Union a elle-même reconnu dans un rapport confidentiel remis en début d’année que les autorités libyennes ont eu recours à un « usage excessif de la force » envers les migrants et que certaines interceptions en Méditerranée ont été menées à l’encontre de la règlementation internationale.

    En 2021, Amnesty international a accusé l’UE de « complicité » dans les atrocités commises sur le sol libyen à l’encontre des exilés. L’ONG, comme le fait l’ONU, exhorte régulièrement les États membres à « suspendre leur coopération sur les migrations et les contrôles des frontières avec la Libye ». En vain.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/45141/une-ong-allemande-depose-une-plainte-contre-des-dirigeants-europeens-p

    #migrations #asile #réfugiés #justice #plainte #responsabilité #complicité #décès #mourir_en_mer #morts_en_mer

    –—

    juin 2019 :
    ICC submission calls for prosecution of EU over migrant deaths
    https://seenthis.net/messages/785050

  • « Personne ne veut vraiment que les entreprises soient responsables »

    Pourquoi les #tribunaux_internationaux ont été si impuissants à poursuivre les #hommes_d'affaires ? Pourquoi le #droit_international a protégé les entreprises de toute responsabilité dans les #crimes_internationaux ? Poursuivre un #PDG serait-il assez subversif ou ne serait-ce qu’un changement cosmétique ? Et si le droit international avait en fait entravé les efforts nationaux pour tenir les entreprises responsables ? Avec audace, les professeurs de droit #Joanna_Kyriakakis et #Mark_Drumbl tentent d’analyser pourquoi si peu a été accompli sur la responsabilité des acteurs économiques.


    https://www.justiceinfo.net/fr/93596-personne-veut-vraiment-entreprises-responsables.html
    #globalisation #responsabilité #mondialisation #entreprises #impunité #justice #justice_internationale

  • #Relations_Internationales
    Les Nations unies face au conservatisme des grandes puissances, par Bertrand Badie (Le Monde diplomatique, juin 2015)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2015/06/BADIE/53104

    Le vieux monde de l’ONU - La Vie des idées.
    Nils Andersson, « Le vieux monde de l’ONU », La Vie des idées , 7 septembre 2017. ISSN : 2105-3030.
    http://www.laviedesidees.fr/Le-vieux-monde-de-l-ONU.html

    Dans les coulisses de l’Assemblée générale des Nations unies, par Anne-Cécile Robert & Romuald Sciora (Le Monde diplomatique, septembre 2017)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2017/09/ROBERT/57832

    Comment réformer les casques bleus ?, par Sandra Szurek (Le Monde diplomatique, janvier 2017)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2017/01/SZUREK/56983
    #ONU #Organisations_internationales #Relations_Internationales

    À quoi sert un casque bleu ?, par Chloé Maurel (Le Monde diplomatique, mai 2017)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2017/05/MAUREL/57454

    Même la guerre a ses lois, par Olivier Bailly (Le Monde diplomatique, octobre 2015)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2015/10/BAILLY/53962

    #Organisations_internationales_CPI #Cour_pénale_internationale
    La Cour pénale internationale en accusation, par Francesca Maria Benvenuto (Le Monde diplomatique, novembre 2013)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2013/11/BENVENUTO/49766

    Soupçons sur la Cour pénale internationale, par Francesca Maria Benvenuto (Le Monde diplomatique, avril 2016)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2016/04/BENVENUTO/55185

    L’ordre international piétiné par ses garants, par Anne-Cécile Robert (Le Monde diplomatique, février 2018)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2018/02/ROBERT/58353

    Ventes d’armes, les affaires reprennent (Le Monde diplomatique, avril 2016) #Conflits_d'intérêts #Histoire_Relations_Internationales
    https://www.monde-diplomatique.fr/2016/04/A/55243
    Armement : deux pas en avant, un pas en arrière (Le Monde diplomatique, avril 2016)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2016/04/A/55235

    #Relations_Internationales_cyberespace
    Penser la cyberpaix, par Camille François (Le Monde diplomatique, avril 2016)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2016/04/FRANCOIS/55211

    "Les conséquences pratiques de ce débat sémantique sont fondamentales pour la démocratie : elles déterminent le cadre juridique applicable, les conséquences et les acteurs impliqués. Dans la « vraie vie » (c’est-à-dire hors ligne), on ne mobilise pas l’armée pour un carreau cassé. Dans le cyberespace, une réaction aussi exagérée est bien plus plausible. En effet, à mesure que les sociétés dépendent de plus en plus étroitement d’Internet, elles doivent adapter leurs lois et leurs mécanismes sociaux pour assurer la paix, la justice et la sécurité, et ce dans un contexte où les complexes militaro-industriels mondiaux développent et imposent des méthodes de contrôle intrusives."

    "Si cette notion de « zone grise » caractérise si souvent la cyberguerre, c’est qu’elle est inhérente à son concept même. Elle apparaît dès les premiers travaux stratégiques sur le déploiement de la puissance de l’Etat dans le cyberespace."

    "Le flou du concept de cyberguerre contribue à sa dangerosité et empêche de replacer les situations qu’il décrit au sein d’un cadre juridique clair. La notion devrait inspirer la méfiance : elle empêche de penser la paix dans le cyberespace, là où nous en aurons besoin demain."

    #Cyberattaque globale : un cas de piratage confirmé en Belgique
    https://www.rtbf.be/info/economie/detail_cyberattaque-globale-un-cas-de-piratage-confirme-en-belgique?id=9605079
    Cyberattaque mondiale par un ransomware : une ampleur "sans précédent" selon Europol
    https://www.rtbf.be/info/medias/detail_les-etats-unis-mettent-en-garde-contre-une-vague-mondiale-de-cyberattaqu

    Quatre confidences d’un ancien espion - Libération
    http://www.liberation.fr/france/2016/09/04/quatre-confidences-d-un-ancien-espion_1482774

    #Relations_Internationales_Mers #Mers
    Droits maritimes, un enjeu géopolitique, par Didier Cormorand (Le Monde diplomatique, juin 2016)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2016/06/CORMORAND/55727

    #Relations_Internationales_Soft_Power
    « Diplomatie publique » de la guerre froide à l’invasion de l’Irak, par Maxime Audinet (Le Monde diplomatique, avril 2017)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2017/04/AUDINET/57380

    BHL, lu et approuvé par la CIA - Bibliobs - L’Obs
    http://bibliobs.nouvelobs.com/idees/20170428.OBS8716/bhl-lu-et-approuve-par-la-cia.html

    « le Congrès reposait sur l’idée que la défaite culturelle du marxisme passerait par la création d’une nouvelle gauche plutôt que par un soutien à la droite »

    nb : tout parallèle avec le #PS serait hors de propos.

    « L’OMS : dans les griffes des lobbyistes ? » : un documentaire troublant diffusé sur Arte
    https://mrmondialisation.org/loms-dans-les-griffes-des-lobbyistes
    #Conflits_d'intérêts #Documentaires #Organisations_internationales_OMS #Santé #Sciences #Multinationales

    Les réfugiés, une bonne affaire, par Nicolas Autheman (Le Monde diplomatique, mai 2017)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2017/05/AUTHEMAN/57444
    #Organisations_internationales_HCR #Multinationales #ONG

    « En 2016, Ikea n’était pas seulement fournisseur de tentes, mais aussi premier donateur privé du HCR, à hauteur de 32 millions d’euros »

    « comment réagir lorsque des parlementaires européens révèlent, comme cela s’est produit en février 2016, qu’Ikea est impliqué dans un vaste scandale d’évasion fiscale, échappant à l’impôt dans des États qui financent le HCR (La Tribune, 13 février 2016) ? L’agence de l’ONU n’en a jamais entendu parler... »

    « se pose la question du modèle économique et des forces politiques auxquels se soumet aujourd’hui l’agence chargée du sort de millions de personnes déplacées à travers le monde. »

    Les #Cryptomonnaies : une révolution pour la coopération internationale ? - Equal Times María Crespo
    https://www.equaltimes.org/les-cryptomonnaies-une-revolution?lang=en
    #Monnaie #Alternatives

    "« La chaîne de blocs est mondiale et ne connaît pas de frontières physiques ; ce qui la rend très attrayante pour la coopération et le progrès à travers le monde. Ce phénomène commence déjà à se produire, » déclare William Mougayar"

    "Ceci se révèle particulièrement intéressant dans le domaine de la coopération internationale, étant donné qu’elle génère également un enregistrement pour chaque transaction. En d’autres termes, il existe une véritable traçabilité de chaque opération"

  • Syrian NGO seeks a first before the ICC: Individual criminal liability for Greece’s abuses against refugees

    The #Syria_Justice_and_Accountability_Center (#SJAC) has called on the International Criminal Court (ICC) Prosecutor to investigate Greek authorities and European Border and Coast Guard Agency (#Frontex) agents for abuses against asylum-seekers that could amount to crimes against humanity.

    On January 28, the Syrian non-governmental organization based in Washington DC submitted a file documenting five years of violations against refugees at the Greek-Turkish border and reception and identification centers in Greece.

    Since this submission, Nessma Bashi, Legal Fellow at SJAC, said they have received “hundreds of notifications from victims, mainly Syrian saying: ‘We have witnesses, we have videos, we are willing to testify.’”

    Over one million people have journeyed from Turkey to Greece to seek asylum in Europe in the past five years. Greece currently hosts 120,000 asylum-seekers and migrants; 14% of asylum applicants in 2019 were Syrian.

    If the ICC’s Office of the Prosecutor decides to launch an investigation, “this will be the first major international criminal case pertaining to a European country,” Bashi said. It will be the first time the “individual criminal responsibility” of Greek and European officials “for crimes against humanity committed against asylum-seekers, refugees and migrants in a European country” is addressed, explained Alexandra Lily Kather, a legal consultant in the field of international justice.

    Previously, an ICC submission tried to seek accountability of EU member states for their complicity with human rights violations against migrants in Libya, but the case did not go forward.

    What crimes against humanity?

    SJAC’s submission has gathered documentation of abuses that could amount to five crimes against humanity under Article 7 of the Rome Statute, the founding treaty of the ICC:

    Deportation and forcible transfer of a population:

    Greek and Frontex agents have breached international law by expelling asylum seekers by land and sea without allowing them to apply for asylum.
    The Hellenic Coast Guard sped past refugee boats and towed them from Greek to Turkish waters, putting people at risk and violating international refugee law and the United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS).
    Deportation has been done via coercive measures like physical and psychological violence.

    Persecution:

    Refugees have been deprived of their fundamental rights in attempts to push them out of Greece. For instance, they have been subjected to inhuman treatment, arbitrary arrests and have been denied their right to a standard of living adequate for their health.

    Inhumane acts of the deprivation of humanitarian aid:

    Greece has criminalized humanitarian workers accusing them of human-smuggling charges. For instance, in September 2020, 33 NGOs workers were charged with facilitating the clandestine arrival of migrants to Greek territory.
    At reception and identification centers, inhuman conditions such as inadequate food, unsanitary conditions, or limited medical support or access to NGOs have been documented.
    Frontex and the Hellenic Coast Guard have ignored calls of refugee boats in life-threatening situations.

    Sexual violence:

    At reception and identification centers, some police officers have allegedly purchased minors sold into prostitution.
    At the border, organizations have documented inappropriate touching at searches, where some individuals were forced to strip naked.

    Torture:

    The accounts of physical mistreatment could amount to torture by conduct, and the deplorable living conditions in centers of carceral nature could amount to torture by treatment.

    Who might be liable?

    If an investigation is launched, the Prosecutor will have to define who can be liable for the abuses perpetrated. But how can individual criminal responsibility be established when the alleged violations stem from a broader national and European policy of sealing EU borders?

    Lower-level officials may argue that they are just following orders. However, Bashi pointed out that this “means that there is a chain of command and the higher-ups can be implicated,” adding that these actions are “part of a widespread and systematic attacks.”

    Although “Greece has made certain judicial, administrative and policy decisions that led to the situation in camps and the border violence, it should not be the only state held accountable,” Kather argued, “because the entire of the European continent and all the states are contributing to this decision making.” Nonetheless, Kather saw this as an opportunity to end the impunity gap on a “system of endless human rights violations against asylum-seekers, refugees and migrants.”

    Why to the ICC?

    The International Criminal Court, the world’s first permanent international criminal court, was created in 2002 by the Rome Statute.

    The court hears cases referred by the United Nations Security Council (UNSC), a State Party or - as with this case - by organizations. Bashi hopes the ICC’s Prosecutor will answer during 2021. The ICC has territorial jurisdiction on this case because Greece is a State Party and the alleged crimes occurred in Greek territory.

    The ICC can prosecute individuals for crimes against humanity if national courts are unable or unwilling to investigate a crime. SJAC argues that neither Greek nor European courts are able to carry out a serious investigation since the alleged crimes are part of a national policy backed by the European Union.

    In addition, previous rulings against Greece’s unlawful migration practices by the European Court of Human Rights, the UN Special Rapporteur on the human rights of migrants, and the UNHCR, as well as complaints before the European Commission have been ignored. As such, SJAC considers the ICC as the court of last resort.

    “The fact that this happened on European soil, the continent that claims to be a bastion of human rights, is really unjust,” Bashi said. Kather labeled it “a bold strategy” to go after a European country. Still, it is “a necessary development to uphold the credibility of the ICC, that from a Eurocentric perspective, it is often argued that crimes are always happening elsewhere, but never on the European territory,” she said. It is noteworthy that nine of the ten ICC cases relate to African countries.

    Where can this lead?

    If this case goes ahead, it will “send a very clear sign” to European countries that fail to protect the refugee population from violations that there is “no impunity” and “similar actions could follow,” Kather explained. “Greece is just the first one, but we are hoping that Italy and Spain will learn that these crimes are indeed crimes,” Bashi added.

    Traditionally, violations against asylum-seekers have been framed under international human rights law, but Kather points out that there is a shift towards “the realm of international criminal law” due to the “ever mounting violence at the border.”

    Last week, members of the European Parliament launched a probe against Frontex for allegations of harassment and unlawful operations to stop people from reaching European borders. Last month, the UN Human Rights Committee found that Italy had failed to protect the right to life for not assisting a vessel in distress in 2013. This decision responds to a complaint by three Syrians and a Palestinian who lost a combined 13 relatives in the sinking that cost 200 lives total.

    All these developments “send a broader sign that violence, at the sea or land border, is being monitored and legal actions are being filed,” Kather said.

    The ball is in the ICC’s court.

    https://syriadirect.org/news/syrian-ngo-seeks-a-first-before-the-icc-individual-criminal-liability-f
    #Grèce #réfugiés #justice #ICC #Cour_pénale_internationale #CPI #crimes_contre_l'humanité #droits_humains #asile #migrations

    ping @isskein @karine4

  • Au Mali, le procès Al Hassan entre crainte et indifférence
    https://www.justiceinfo.net/fr/tribunaux/cpi/45741-mali-proces-al-hassan-crainte-indifference.html

    Les audiences du procès « Al Hassan » ont repris le 13 octobre devant la Cour pénale internationale (CPI), à La Haye. Alors que la #CPI et certaines ONG accordent une importance particulière à ce procès, les populations locales, dont celles de Tombouctou où le djihadiste malien et ses hommes sont suspectés d’avoir imposé un régime de terreur, sont nettement plus mesurées. Et l’écho du procès y est faible.

    A Bamako, dans la capitale malienne, les réactions à l’évocation du nom d’Al Hassan Ag Abdoul Aziz Ag Mohamed Ag Mahmoud passent d’un léger silence à une moue qui semble dire : « Al Hassan qui ? » Le procès de celui qui aurait été le commissaire de la police islamique de Tombouctou il y a huit ans se tient depuis juillet dernier à quelque 6,500 kilomètres de là, devant la Cour pénale internationale (CPI) à la Haye, (...)

  • #Trump autorise des #sanctions économiques contre des responsables de la #CPI
    https://www.lapresse.ca/international/etats-unis/2020-06-11/trump-autorise-des-sanctions-economiques-contre-des-responsables-de-la-cpi

    (Washington) Déjà engagé dans une offensive sans précédent contre la #Cour_pénale_internationale, Donald Trump a encore haussé le ton jeudi en annonçant des sanctions économiques pour dissuader la juridiction de poursuivre des militaires américains pour leur implication dans le conflit en Afghanistan.

    #etats-unis

  • Vers des jours heureux... | Le Club de Mediapart

    https://blogs.mediapart.fr/edition/les-invites-de-mediapart/article/280420/vers-des-jours-heureux

    Un virus inconnu circule autour de la planète depuis le début de l’année. Péril mortel et invisible, nous obligeant à nous écarter les uns des autres comme si nous étions dangereux les uns pour les autres, il a retourné les tréfonds des sociétés comme on retourne un gant et il a mis au grand jour ce que l’on tentait jusqu’ici de masquer. Sans doute provoque-t-il un nombre important de morts et met-il sous une lumière crue les limites des systèmes de santé des pays développés, y compris les plus riches d’entre eux. Sans doute, ailleurs, expose-t-il les populations de pays plus pauvres à un extrême danger, les contraignant pour se protéger à accomplir une obligation impossible, le confinement. Mais ceci n’est que la surface des choses.

    Le gant retourné donne à voir la voie périlleuse dans laquelle le monde se trouve engagé depuis des décennies. En mettant les services hospitaliers sous contrainte budgétaire, là où ils étaient développés, et en les négligeant là où ils sont insuffisants, les responsables politiques affolés se sont trouvés pris de court devant l’arrivée de la pandémie. En France, l’impréparation criante à ce type d’évènements, la liquidation coupable de la réserve de masques, la délocalisation de l’industrie pharmaceutique avec pour seule raison la recherche de profits plus grands, la faiblesse des moyens de la recherche scientifique, mettent le gouvernement en situation d’improvisation. En prenant le chemin du confinement dont il ne sait comment sortir, il s’est engagé dans la voie d’une mise en cause radicale des libertés publiques. S’étant privé des autres moyens de protection de la population, il bénéficie d’un acquiescement forcé de cette dernière. Pour le cas où cet acquiescement manquerait, un discours moralisateur et culpabilisant se déploie. Et pourtant, partout, d’innombrables initiatives contredisent l’individualisme entretenu par le modèle économique et social et témoignent de la permanence de la fraternité entre les humains.

    Mais le gant retourné fait apparaître aussi, au moins aux yeux les plus lucides, que la réponse aux enjeux auxquels l’humanité dans son ensemble est en ce moment confrontée, ne saurait être une addition de politiques nationales, encore moins si ces politiques tentent de se mener en vase clos. Il y manquera toujours une part, celle de la communauté des humains qui ne peut refuser plus longtemps de se voir pour ce qu’elle est : une communauté de destin, ce qu’Hannah Arendt nommait une association politique d’hommes libres.

    Ainsi, derrière la crise sanitaire qui est au premier plan, avec la crise économique qui s’amorce et la catastrophe écologique en cours, c’est une crise de civilisation qui émerge enfin. Le monde entièrement dominé par le système capitaliste qui ne cesse de creuser les inégalités et de détruire la nature, est aujourd’hui un bateau ivre qui n’a d’autre horizon que son naufrage à travers des violences insoupçonnées.

    S’il est encore temps de reprendre les commandes, alors ce séisme inédit est l’occasion que le monde doit saisir pour rompre enfin avec sa destruction largement amorcée et inventer une société entièrement différente. Ainsi, ayant conjuré la terreur de l’inconnu, les peuples danseront de joie sur les décombres du vieux monde qui menaçait de les emporter.

    Pour cela, il faut :

    – ne pas tricher avec les constats qu’il y a lieu de faire ;
    – mesurer les risques d’une sortie de crise orientée à un retour à la situation antérieure ou à d’autres dérives ;
    – saisir cette opportunité pour poser les fondements radicalement différents d’une société mondiale juste et viable.

    #covid-19 #le_monde_d_après

  • The Gambia v #Myanmar at the International Court of Justice: Points of Interest in the Application

    On 11 November 2019, The Gambia filed an application at the International Court of Justice against Myanmar, alleging violation of obligations under the Genocide Convention.

    This legal step has been in the works for some time now, with the announcement by the Gambian Minister of Justice that instructions had been given to counsel in October to file the application. As a result, the application has been much anticipated. I will briefly go over some legally significant aspects of the application.

    On methodology, the application relies heavily on the 2018 and 2019 reports of the Independent International Fact-Finding Mission on Myanmar (FFM) for much of the factual basis of the assertions – placing emphasis on the conclusions of the FFM in regard to the question of genocide. What struck me particularly is the timeline of events as the underlying factual basis of the application, commencing with the ‘clearance operations’ in October 2016 and continuing to date. This is the same timeframe under scrutiny at the International Criminal Court, but different from the FFM (which has now completed its mandate), and the Independent Investigative Mechanism for Myanmar (IIMM). The IIMM was explicitly mandated to inquire into events from 2011 onwards, while the FFM interpreted its mandate to commence from 2011. While these are clearly distinct institutions with vastly different mandates, there may well be points of overlap and a reliance on some of the institutions in the course of the ICJ case. (See my previous Opinio Juris post on potential interlinkages).

    For the legal basis of the application, The Gambia asserts that both states are parties to the Genocide Convention, neither have reservations to Article IX, and that there exists a dispute between it and Myanmar – listing a number of instances in which The Gambia has issued statements about and to Myanmar regarding the treatment of the Rohingya, including a note verbal in October 2019. (paras. 20 – 23) The Gambia asserts that the prohibition of genocide is a jus cogens norm, and results in obligations erga omnes and erga omnes partes, leading to the filing of the application. (para. 15) This is significant as it seeks to cover both bases – that the obligations arise towards the international community as a whole, as well as to parties to the convention.

    On the substance of the allegations of genocide, the application lays the groundwork – the persecution of the Rohingya, including denial of rights, as well as hate propaganda, and then goes on to address the commission of genocidal acts. The application emphasizes the mass scale destruction of villages, the targeting of children, the widespread use of rape and sexual assault, situated in the context of the clearance operations of October 2016, and then from August 2017 onwards. It also details the denial of food and a policy of forced starvation, through displacement, confiscation of crops, as well as inability to access humanitarian aid.

    Violations of the following provisions of the Genocide Convention are alleged: Articles I, III, IV, V and VI. To paraphrase, these include committing genocide, conspiracy to commit, direct and public incitement, attempt to commit, complicity, failing to prevent, failure to punish, and failure to enact legislation). (para. 111)

    As part of the relief asked for, The Gambia has asked that the continuing breach of the Genocide Convention obligations are remedied, that wrongful acts are ceased and that perpetrators are punished by a competent tribunal, which could include an international penal tribunal – clearly leaving the door open to the ICC or an ad hoc tribunal. In addition, as part of the obligation of reparation, The Gambia asks for safe and dignified return of the Rohingya with full citizenship rights, and a guarantee of non-repetition. (para. 112) This is significant in linking this to a form of reparations, and reflects the demands of many survivors.

    The Gambia makes detailed submissions in its request for provisional measures, in keeping with the evolving jurisprudence of the court. It addresses the compelling circumstances that necessitate provisional measures and cites the 2019 FFM report in assessing a grave and ongoing risk to the approximately 600,000 Rohingya that are in Myanmar. Importantly, it also cites the destruction of evidence as part of the argument (para. 118), indicating the necessity of the work of the IIMM in this regard.

    In addressing ‘plausible rights’ for the purpose of provisional measures, the application draws upon the case ofBelgium v Senegal, applying mutatis mutandis the comparison to the Convention against Torture. In that case, the court held that obligations in relation to the convention for the prohibition of torture would apply erga omnes partes – thereby leading to the necessary argument that in fact the rights of The Gambia also need to be protected by the provisional measures order. (para. 127) (For more on this distinction between erga omnesand erga omnes partes, see this post) The Gambia requests the courts protection in light of the urgency of the matter.

    As a last point, The Gambia has appointed Navanethem Pillay as an ad hoc judge. (para. 135) With her formidable prior experience as President of the ICTR, a judge at the ICC, and head of the OHCHR, this experience will be a welcome addition to the bench. (And no, as I’ve been asked many times, unfortunately we are not related!)

    The filing of the application by The Gambia is a significant step in the quest for accountability – this is the route of state accountability, while for individual responsibility, proceedings continue at the ICC, as well as with emerging universal jurisdiction cases. Success at the ICJ is far from guaranteed, but this is an important first step in the process.

    http://opiniojuris.org/2019/11/13/the-gambia-v-myanmar-at-the-international-court-of-justice-points-of-in
    #Birmanie #justice #Rohingya #Gambie #Cour_internationale_de_justice

    • Rohingyas : feu vert de la #CPI à une enquête sur des crimes présumés

      La #Cour_pénale_internationale (CPI) a donné jeudi son feu vert à une enquête sur les crimes présumés commis contre la minorité musulmane rohingya en Birmanie, pays confronté à une pression juridique croissante à travers le monde.

      Les juges de la Cour, chargée de juger les pires atrocités commises dans le monde, ont donné leur aval à la procureure de la CPI, #Fatou_Bensouda, pour mener une enquête approfondie sur les actes de #violence et la #déportation alléguée de cette minorité musulmane, qui pourrait constituer un #crime_contre_l'humanité.

      En août 2017, plus de 740.000 musulmans rohingyas ont fui la Birmanie, majoritairement bouddhiste, après une offensive de l’armée en représailles d’attaques de postes-frontières par des rebelles rohingyas. Persécutés par les forces armées birmanes et des milices bouddhistes, ils se sont réfugiés dans d’immenses campements de fortune au Bangladesh.

      Mme Bensouda a salué la décision de la Cour, estimant qu’elle « envoie un signal positif aux victimes des atrocités en Birmanie et ailleurs ».

      « Mon enquête visera à découvrir la vérité », a-telle ajouté dans un communiqué, en promettant une « enquête indépendante et impartiale ».

      La Cour pénale internationale (CPI) a donné jeudi son feu vert à une enquête sur les crimes présumés commis contre la minorité musulmane rohingya en Birmanie, pays confronté à une pression juridique croissante à travers le monde.

      De leur côté, les juges de la CPI, également basée à La Haye, ont évoqué des allégations « d’actes de violence systématiques », d’expulsion en tant que crime contre l’humanité et de persécution fondée sur l’appartenance ethnique ou la religion contre les Rohingya.

      Bien que la Birmanie ne soit pas un État membre du Statut de Rome, traité fondateur de la Cour, celle-ci s’était déclarée compétente pour enquêter sur la déportation présumée de cette minorité vers le Bangladesh, qui est lui un État partie.

      La Birmanie, qui a toujours réfuté les accusations de nettoyage ethnique ou de génocide, avait « résolument » rejeté la décision de la CPI, dénonçant un « fondement juridique douteux ».

      En septembre 2018, un examen préliminaire avait déjà été ouvert par la procureure, qui avait ensuite demandé l’ouverture d’une véritable enquête, pour laquelle les juges ont donné jeudi leur feu vert.

      Les investigations pourraient à terme donner lieu à des mandats d ?arrêt contre des généraux de l’armée birmane.

      Des enquêteurs de l’ONU avaient demandé en août 2018 que la justice internationale poursuive le chef de l’armée birmane et cinq autres hauts gradés pour « génocide », « crimes contre l’humanité » et « crimes de guerre ». Des accusations rejetées par les autorités birmanes.

      https://www.courrierinternational.com/depeche/rohingyas-feu-vert-de-la-cpi-une-enquete-sur-des-crimes-presu

    • Joint statement of Canada and the Kingdom of the Netherlands

      Canada and the Kingdom of the Netherlands welcome The Gambia’s application against Myanmar before the International Court of Justice (ICJ) on the alleged violation of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Genocide Convention). In order to uphold international accountability and prevent impunity, Canada and the Netherlands hereby express their intention to jointly explore all options to support and assist The Gambia in these efforts.

      The Genocide Convention embodies a solemn pledge by its signatories to prevent the crime of genocide and hold those responsible to account. As such, Canada and the Netherlands consider it their obligation to support The Gambia before the ICJ, as it concerns all of humanity.

      In 2017, the world witnessed an exodus of over 700,000 Rohingya from Rakhine State. They sought refuge from targeted violence, mass murder and sexual and gender based violence carried out by the Myanmar security forces, the very people who should have protected them.

      For decades, the Rohingya have suffered systemic discrimination and exclusion, marred by waves of abhorrent violence. These facts have been corroborated by several investigations, including those conducted by the UN Independent Fact Finding Mission for Myanmar and human rights organizations. They include crimes that constitute acts described in Article II of the Genocide Convention.

      In light of this evidence Canada and the Kingdom of the Netherlands therefore strongly believe this is a matter that is rightfully brought to the ICJ to provide international legal judgment on whether acts of genocide have been committed. We call upon all States Parties to the Genocide Convention to support The Gambia in its efforts to address these violations.

      https://www.government.nl/documents/diplomatic-statements/2019/12/09/joint-statement-of-canada-and-the-kingdom-of-the-netherlands
      #Canada #Pays-Bas

  • ICC submission calls for prosecution of EU over migrant deaths

    Member states should face punitive action over deaths in Mediterranean, say lawyers.

    The EU and member states should be prosecuted for the deaths of thousands of migrants who drowned in the Mediterranean fleeing Libya, according to a detailed legal submission to the international criminal court (ICC).

    The 245-page document calls for punitive action over the EU’s deterrence-based migration policy after 2014, which allegedly “intended to sacrifice the lives of migrants in distress at sea, with the sole objective of dissuading others in similar situation from seeking safe haven in Europe”.

    The indictment is aimed at the EU and the member states that played a prominent role in the refugee crisis: Italy, Germany and France.

    The stark accusation, that officials and politicians knowingly created the “world’s deadliest migration route” resulting in more than 12,000 people losing their lives, is made by experienced international lawyers.

    The two main authors of the submission are Juan Branco, who formerly worked at the ICC as well as at France’s foreign affairs ministry, and Omer Shatz, an Israeli lawyer who teaches at Sciences Po university in Paris.
    Most refugees in Libyan detention centres at risk – UN
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    The allegation of “crimes against humanity” draws partially on internal papers from Frontex, the EU organisation charged with protecting the EU’s external borders, which, the lawyers say, warned that moving from the successful Italian rescue policy of Mare Nostrum could result in a “higher number of fatalities”.

    The submission states that: “In order to stem migration flows from Libya at all costs … and in lieu of operating safe rescue and disembarkation as the law commands, the EU is orchestrating a policy of forced transfer to concentration camps-like detention facilities [in Libya] where atrocious crimes are committed.”

    The switch from Mare Nostrum to a new policy from 2014, known as Triton (named after the Greek messenger god of the sea), is identified as a crucial moment “establishing undisputed mens rea [mental intention] for the alleged offences”.

    It is claimed that the evidence in the dossier establishes criminal liability within the jurisdiction of the ICC for “causing the death of thousands of human beings per year, the refoulement [forcible return] of tens of thousands migrants attempting to flee Libya and the subsequent commission of murder, deportation, imprisonment, enslavement, torture, rape, persecution and other inhuman acts against them”.

    The Triton policy introduced the “most lethal and organised attack against civilian population the ICC had jurisdiction over in its entire history,” the legal document asserts. “European Union and Member States’ officials had foreknowledge and full awareness of the lethal consequences of their conduct.”

    The submission does not single out individual politicians or officials for specific responsibility but does quote diplomatic cables and comments from national leaders, including Angela Merkel and Emmanuel Macron.

    The office of the prosecutor at the ICC is already investigating crimes in Libya but the main focus has been on the Libyan civil war, which erupted in 2011 and led to the removal of Muammar Gaddafi. Fatou Bensouda, the ICC prosecutor, has, however, already mentioned inquiries into “alleged crimes against migrants transiting through Libya”.

    The Mare Nostrum search and rescue policy launched in October 2013, the submission says, was “in many ways hugely successful, rescuing 150,810 migrants over a 364-day period”.

    Criticism of the policy began in mid-2014 on the grounds, it is said, that it was not having a sufficient humanitarian impact and that there was a desire to move from assistance at sea to assistance on land.

    “EU officials sought to end Mare Nostrum to allegedly reduce the number of crossings and deaths,” the lawyers maintain. “However, these reasons should not be considered valid as the crossings were not reduced. And the death toll was 30-fold higher.”

    The subsequent policy, Triton, only covered an “area up to 30 nautical miles from the Italian coastline of Lampedusa, leaving around 40 nautical miles of key distress area off the coast of Libya uncovered,” the submission states. It also deployed fewer vessels.

    It is alleged EU officials “did not shy away from acknowledging that Triton was an inadequate replacement for Mare Nostrum”. An internal Frontex report from 28 August 2014, quoted by the lawyers, acknowledged that “the withdrawal of naval assets from the area, if not properly planned and announced well in advance – would likely result in a higher number of fatalities.”

    The first mass drownings cited came on 22 January and 8 February 2015, which resulted in 365 deaths nearer to the Libyan coast. It is alleged that in one case, 29 of the deaths occurred from hypothermia during the 12-hour-long transport back to the Italian island of Lampedusa. During the “black week” of 12 to 18 April 2015, the submission says, two successive shipwrecks led to the deaths of 1,200 migrants.

    As well as drownings, the forced return of an estimated 40,000 refugees allegedly left them at risk of “executions, torture and other systematic rights abuses” in militia-controlled camps in Libya.

    “European Union officials were fully aware of the treatment of the migrants by the Libyan Coastguard and the fact that migrants would be taken ... to an unsafe port in Libya, where they would face immediate detention in the detention centers, a form of unlawful imprisonment in which murder, sexual assault, torture and other crimes were known by the European Union agents and officials to be common,” the submission states.

    Overall, EU migration policies caused the deaths of “thousands civilians per year in the past five years and produced about 40,000 victims of crimes within the jurisdiction of the court in the past three years”, the report states.

    The submission will be handed in to the ICC on Monday 3 June.

    An EU spokesperson said the union could not comment on “non-existing” legal actions but added: “Our priority has always been and will continue to be protecting lives and ensuring humane and dignified treatment of everyone throughout the migratory routes. It’s a task where no single actor can ensure decisive change alone.

    “All our action is based on international and European law. The European Union dialogue with Libyan authorities focuses on the respect for human rights of migrants and refugees, on promoting the work of UNHCR and IOM on the ground, and on pushing for the development of alternatives to detention, such as the setting up of safe spaces, to end the systematic and arbitrary detention system of migrants and refugees in Libya.

    “Search and Rescue operations in the Mediterranean need to follow international law, and responsibility depends on where they take place. EU operations cannot enter Libya waters, they operate in international waters. SAR operations in Libyan territorial waters are Libyan responsibility.”

    The spokesperson added that the EU has “pushed Libyan authorities to put in place mechanisms improving the treatment of the migrants rescued by the Libyan Coast Guard.”

    https://www.theguardian.com/law/2019/jun/03/icc-submission-calls-for-prosecution-of-eu-over-migrant-deaths
    #justice #décès #CPI #mourir_en_mer #CPI #cour_pénale_internationale

    ping @reka @isskein @karine4

    Ajouté à la métaliste sur les sauvetages en Méditerranée :
    https://seenthis.net/messages/706177

    • L’Union Européenne devra-t-elle un jour répondre de « crimes contre l’Humanité » devant la Cour Pénale Internationale ?

      #Crimes_contre_l'humanité, et #responsabilité dans la mort de 14 000 migrants en 5 années : voilà ce dont il est question dans cette enquête menée par plusieurs avocats internationaux spécialisés dans les Droits de l’homme, déposée aujourd’hui à la CPI de la Haye, et qui pourrait donc donner lieu à des #poursuites contre des responsables actuels des institutions européennes.

      La démarche fait l’objet d’articles coordonnés ce matin aussi bien dans le Spiegel Allemand (https://www.spiegel.de/politik/ausland/fluechtlinge-in-libyen-rechtsanwaelte-zeigen-eu-in-den-haag-an-a-1270301.htm), The Washington Post aux Etats-Unis (https://www.spiegel.de/politik/ausland/fluechtlinge-in-libyen-rechtsanwaelte-zeigen-eu-in-den-haag-an-a-1270301.htm), El Pais en Espagne (https://elpais.com/internacional/2019/06/02/actualidad/1559497654_560556.html), The Guardian en Grande-Bretagne, et le Monde, cet après-midi en France... bref, ce qui se fait de plus retentissant dans la presse mondiale.

      Les auteurs de ce #plaidoyer, parmi lesquels on retrouve le français #Juan_Branco ou l’israélien #Omer_Shatz, affirment que Bruxelles, Paris, Berlin et Rome ont pris des décisions qui ont mené directement, et en connaissance de cause, à la mort de milliers de personnes. En #Méditerrannée, bien sûr, mais aussi en #Libye, où la politique migratoire concertée des 28 est accusée d’avoir « cautionné l’existence de centres de détention, de lieux de tortures, et d’une politique de la terreur, du viol et de l’esclavagisme généralisé » contre ceux qui traversaient la Libye pour tenter ensuite de rejoindre l’Europe.

      Aucun dirigeant européen n’est directement nommé par ce réquisitoire, mais le rapport des avocats cite des discours entre autres d’#Emmanuel_Macron, d’#Angela_Merkel. Il évoque aussi, selon The Guardian, des alertes qui auraient été clairement formulées, en interne par l’agence #Frontex en particulier, sur le fait que le changement de politique européenne en 2014 en Méditerranée « allait conduire à une augmentation des décès en mer ». C’est ce qui s’est passé : 2014, c’est l’année-bascule, celle où le plan Mare Nostrum qui consistait à organiser les secours en mer autour de l’Italie, a été remplacé par ce partenariat UE-Libye qui, selon les auteurs de l’enquête, a ouvert la voix aux exactions que l’on sait, et qui ont été documentées par Der Spiegel dans son reportage publié début mai, et titré « Libye : l’enfer sur terre ».

      A présent, dit Juan Branco dans The Washington Post (et dans ce style qui lui vaut tant d’ennemis en France), c’est aux procureurs de la CPI de dire « s’ils oseront ou non » remonter aux sommet des responsabilités européennes. J’en terminerai pour ma part sur les doutes de cet expert en droit européen cité par El Pais et qui « ne prédit pas un grand succès devant la Cour » à cette action.

      https://www.franceculture.fr/emissions/revue-de-presse-internationale/la-revue-de-presse-internationale-emission-du-lundi-03-juin-2019


      #UE #Europe #EU #droits_humains

    • Submission to ICC condemns EU for ‘crimes against humanity’

      EU Commission migration spokesperson Natasha Bertaud gave an official statement regarding a recently submitted 245-page document to the International Criminal Court by human rights lawyers Juan Branco and Omer Shatz on June 3, 2019. The case claimed the EU and its member states should face punitive action for Libyan migrant deaths in the Mediterranean. The EU says these deaths are not a result of EU camps, rather the dangerous and cruel routes on which smugglers take immigrants. Bertaud said the EU’s track record on saving lives “has been our top priority, and we have been working relentlessly to this end.” Bertaud said an increase in EU operations in the Mediterranean have resulted in a decrease in deaths in the past 4 years. The accusation claims that EU member states created the “world’s deadliest migration route,” which has led to more than 12,000 migrant deaths since its inception. Branco and Shatz wrote that the forcible return of migrants to Libyan camps and the “subsequent commission of murder, deportation, imprisonment, enslavement, torture, rape, persecution and other inhuman acts against them,” are the grounds for this indictment. Angela Merkel and Emmanuel Macron were named specifically as those knowingly supporting these refugee camps, which the lawyers explicitly condemned in their report. The EU intends to maintain its presence on the Libyan coast and aims to create safer alternatives to detention centers.

      https://www.youtube.com/watch?time_continue=28&v=AMGaKDNxcDg

    • Migration in the Mediterranean: why it’s time to put European leaders on trial

      In June this year two lawyers filed a complaint at the International Criminal Court (ICC) naming European Union member states’ migration policies in the Mediterranean as crimes against humanity.

      The court’s Prosecutor, Fatou Bensouda, must decide whether she wants to open a preliminary investigation into the criminality of Europe’s treatment of migrants.

      The challenge against the EU’s Mediterranean migrant policy is set out in a 245-page document prepared by Juan Branco and Omer Shatz, two lawyer-activists working and teaching in Paris. They argue that EU migration policy is founded in deterrence and that drowned migrants are a deliberate element of this policy. The international law that they allege has been violated – crimes against humanity – applies to state policies practiced even outside of armed conflict.

      Doctrinally and juridically, the ICC can proceed. The question that remains is political: can and should the ICC come after its founders on their own turf?

      There are two reasons why the answer is emphatically yes. First, the complaint addresses what has become a rights impasse in the EU. By taking on an area stymying other supranational courts, the ICC can fulfil its role as a judicial institution of last resort. Second, by turning its sights on its founders (and funders), the ICC can redress the charges of neocolonialism in and around Africa that have dogged it for the past decade.
      ICC legitimacy

      The ICC is the world’s first permanent international criminal court. Founded in 2002, it currently has 122 member states.

      So far, it has only prosecuted Africans. This has led to persistent critiques that it is a neocolonial institution that “only chases Africans” and only tries rebels. In turn, this has led to pushback against the court from powerful actors like the African Union, which urges its members to leave the court.

      The first departure from the court occurred in 2017, when Burundi left. The Philippines followed suit in March of this year. Both countries are currently under investigation by the ICC for state sponsored atrocities. South Africa threatened withdrawal, but this seems to have blown over.

      In this climate, many cheered the news of the ICC Prosecutor’s 2017 request to investigate crimes committed in Afghanistan. As a member of the ICC, Afghanistan is within the ICC’s jurisdiction. The investigation included atrocities committed by the Taliban and foreign military forces active in Afghanistan, including members of the US armed forces.

      The US, which is not a member of the ICC, violently opposes any possibility that its military personnel might be caught up in ICC charges. In April 2019 the ICC announced that a pre-trial chamber had shut down the investigation because US opposition made ICC action impossible.

      Court watchers reacted with frustration and disgust.
      EU migration

      An estimated 30,000 migrants have drowned in the Mediterranean in the past three decades. International attention was drawn to their plight during the migration surge of 2015, when the image of 3-year-old Alan Kurdi face-down on a Turkish beach circulated the globe. More than one million people entered Europe that year. This led the EU and its member states to close land and sea borders in the east by erecting fences and completing a Euro 3 billion deal with Turkey to keep migrants there. NATO ships were posted in the Aegean to catch and return migrants.

      Migrant-saving projects, such as the Italian Mare Nostrum programme that collected 150,000 migrants in 2013-2014, were replaced by border guarding projects. Political pressure designed to reduce the number of migrants who made it to European shores led to the revocation and non-renewal of licenses for boats registered to NGOs whose purpose was to rescue migrants at sea. This has led to the current situation, where there is only one boat patrolling the Mediterranean.

      The EU has handed search and rescue duties over to the Libyan coast guard, which has been accused repeatedly of atrocities against migrants. European countries now negotiate Mediterranean migrant reception on a case-by-case basis.
      A rights impasse

      International and supranational law applies to migrants, but so far it has inadequately protected them. The law of the sea mandates that ships collect people in need. A series of refusals to allow ships to disembark collected migrants has imperilled this international doctrine.

      In the EU, the Court of Justice oversees migration and refugee policies. Such oversight now includes a two-year-old deal with Libya that some claim is tantamount to “sentencing migrants to death.”

      For its part, the European Court of Human Rights has established itself as “no friend to migrants.” Although the court’s 2012 decision in Hirsi was celebrated for a progressive stance regarding the rights of migrants at sea, it is unclear how expansively that ruling applies.

      European courts are being invoked and making rulings, yet the journey for migrants has only grown more desperate and deadly over the past few years. Existing European mechanisms, policies, and international rights commitments are not producing change.

      In this rights impasse, the introduction of a new legal paradigm is essential.
      Fulfilling its role

      A foundational element of ICC procedure is complementarity. This holds that the court only intervenes when states cannot or will not act on their own.

      Complementarity has played an unexpectedly central role in the cases before the ICC to date, as African states have self-referred defendants claiming that they do not have the resources to try them themselves. This has greatly contributed to the ICC’s political failure in Africa, as rights-abusing governments have handed over political adversaries to the ICC for prosecution in bad faith, enjoying the benefits of a domestic political sphere relieved of these adversaries while simultaneously complaining of ICC meddling in domestic affairs.

      This isn’t how complementarity was supposed to work.

      The present rights impasse in the EU regarding migration showcases what complementarity was intended to do – granting sovereign states primacy over law enforcement and stepping in only when states both violate humanitarian law and refuse to act. The past decade of deadly migration coupled with a deliberately wastrel refugee policy in Europe qualifies as just such a situation.

      Would-be migrants don’t vote and cannot garner political representation in the EU. This leaves only human rights norms, and the international commitments in which they are enshrined, to protect them. These norms are not being enforced, in part because questions of citizenship and border security have remained largely the domain of sovereign states. Those policies are resulting in an ongoing crime against humanity.

      The ICC may be the only institution capable of breaking the current impasse by threatening to bring Europe’s leaders to criminal account. This is the work of last resort for which international criminal law is designed. The ICC should embrace the progressive ideals that drove its construction, and engage.

      https://theconversation.com/migration-in-the-mediterranean-why-its-time-to-put-european-leaders
      #procès

    • Naufrages en Méditerranée : l’UE coupable de #crimes_contre_l’humanité ?

      Deux avocats – #Omer_Shatz membre de l’ONG #Global_Legal_Action_Network et #Juan_Branco, dont le livre Crépuscule a récemment créé la polémique en France – ont déposé une plainte auprès de la Cour pénale internationale (CPI) à Paris le 3 juin dernier.

      Cette plainte qualifie de crimes contre l’humanité les politiques migratoires des États membres de l’Union européenne (UE) en Méditerranée.

      Selon le journal Le Monde :
      Pour les deux avocats, en permettant le refoulement des migrants en Libye, les responsables de l’UE se seraient rendus complices « d’expulsion, de meurtre, d’emprisonnement, d’asservissement, de torture, de viol, de persécution et d’autres actes inhumains, [commis] dans des camps de détention et les centres de torture libyens ».

      Les deux avocats ont transmis un rapport d’enquête (https://www.la-croix.com/Monde/Europe/Deces-migrants-Mediterranee-lUnion-europeenne-poursuivie-crimes-contre-lhu) de 245 pages sur la politique méditerranéenne de l’UE en matière de migration, à la procureure de la Cour, Fatou Bensouda, qui doit décider si elle souhaite ouvrir une enquête préliminaire sur la criminalité liée au traitement des migrants en Europe.

      Ils démontrent que la politique migratoire de l’UE est fondée sur la dissuasion et que les migrants noyés sont un élément délibéré de cette politique. Le droit international qu’ils allèguent avoir été violé – les crimes contre l’humanité – s’applique aux politiques étatiques pratiquées même en dehors des conflits armés.

      Sur les plans doctrinal et juridique, la CPI peut agir. La question qui demeure est politique : la CPI peut-elle et doit-elle s’en prendre à ses fondateurs sur leurs propres territoires ?

      Il y a deux raisons pour lesquelles la réponse est catégoriquement oui. Premièrement, la plainte porte sur ce qui est devenu une impasse en matière de droits au sein de l’UE. En s’attaquant à un domaine qui paralyse d’autres cours supranationales, la CPI peut remplir son rôle d’institution judiciaire de dernier ressort. Deuxièmement, en se tournant vers ses fondateurs (et ses bailleurs de fonds), la CPI peut répliquer à ses détracteurs qui l’accusent d’avoir adopté une posture néocolonialiste vis-à-vis du continent africain, une image qui la poursuit depuis au moins la dernière décennie.
      La légitimité de la cour pénale

      La CPI est la première cour pénale internationale permanente au monde. Fondée en 2002, elle compte actuellement 122 états membres.

      Jusqu’à présent, la cour n’a poursuivi que des ressortissants issus de pays africains. Cela a conduit à des critiques persistantes selon lesquelles il s’agit d’une institution néocoloniale qui « ne poursuit que les Africains », ne jugeant que les adversaires politiques de certains leaders ayant fait appel à la CPI.

      En retour, cela a conduit à des pressions à l’encontre de la cour de la part d’acteurs puissants comme l’Union africaine, qui exhorte ses membres à quitter la cour.

      Le premier départ du tribunal a eu lieu en 2017, avec le Burundi. Les Philippines en est sorti en mars 2019.

      Les deux états font actuellement l’objet d’enquêtes au sein de la CPI : respectivement au sujet d’exactions commises au Burundi depuis 2015 et aux Philippines concernant la campagne de lutte contre la drogue menée par le président Duterte. L’Afrique du Sud avait menacé de se retirer, avant de faire machine arrière.

      C’est dans ce contexte sensible que le procureur de la CPI avait décidé en 2017 d’enquêter sur les exactions commises en Afghanistan par les talibans, mais aussi par les forces militaires étrangères actives en Afghanistan, y compris les forces armées américaines. Si l’acte avait été alors salué, le projet n’a pu aboutir.

      Les États-Unis, qui ne sont pas membres de la CPI, se sont violemment opposés à toute possibilité d’investigation. En avril 2019, la CPI a annoncé qu’une chambre préliminaire avait mis fin à l’enquête car l’opposition américaine rendait toute action de la CPI impossible. Une décision qui a suscité de vives réactions et beaucoup de frustrations au sein des organisations internationales.

      La CPI connaît une période de forte turbulence et de crise de légitimité face à des états récalcitrants. Un autre scénario est-il envisageable dans un contexte où les états mis en cause sont des états membres de l’Union européenne ?
      Migrations vers l’Union européene

      On estime que plus de 30 000 personnes migrantes se sont noyées en Méditerranée au cours des trois dernières décennies. L’attention internationale s’est attardée sur leur sort lors de la vague migratoire de 2015, lorsque l’image du jeune Alan Kurdi, 3 ans, face contre terre sur une plage turque, a circulé dans le monde.

      Plus d’un million de personnes sont entrées en Europe cette année-là. Cela a conduit l’UE et ses États membres à fermer les frontières terrestres et maritimes à l’Est en érigeant des clôtures et en concluant un accord de 3 milliards d’euros avec la Turquie pour y maintenir les migrants. Des navires de l’OTAN ont été positionnés dans la mer Égée pour capturer et rapatrier les migrants.

      Les projets de sauvetage des migrants, tels que le programme italien Mare Nostrum – qui a permis de sauver 150 000 migrants en 2013-2014,- ont été remplacés par des projets de garde-frontières. Les pressions politiques visant à réduire le nombre de migrants qui ont atteint les côtes européennes ont conduit à la révocation et non-renouvellement des licences pour les bateaux enregistrés auprès d’ONG dont l’objectif était de sauver les migrants en mer. Cela a conduit à la situation actuelle, où il n’y a qu’un seul bateau de patrouille la Méditerranée.

      L’UE a confié des missions de recherche et de sauvetage aux garde-côtes libyens, qui ont été accusés à plusieurs reprises d’atrocités contre les migrants. Les pays européens négocient désormais l’accueil des migrants méditerranéens au cas par cas et s’appuyant sur des réseaux associatifs et bénévoles.

      Une impasse juridique

      Le droit international et supranational s’applique aux migrants, mais jusqu’à présent, il ne les a pas suffisamment protégés. Le droit de la mer est par ailleurs régulièrement invoqué.

      Il exige que les navires recueillent les personnes dans le besoin.

      Une série de refus d’autoriser les navires à débarquer des migrants sauvés en mer a mis en péril cette doctrine internationale.

      Au sein de l’UE, la Cour de justice supervise les politiques relatives aux migrations et aux réfugiés.

      Mais cette responsabilité semble avoir été écartée au profit d’un accord conclu il y a déjà deux ans avec la Libye. Cet accord est pour certains une dont certains l’équivalent d’une « condamnation à morts » vis-à-vis des migrants.

      De son côté, la Cour européenne des droits de l’homme a été perçue comme une institution ne soutenant pas spécialement la cause des migrants.

      Certes, en 2012 ce tribunal avait mis en avant la situation de ressortissants somaliens et érythréens. Interceptés en mer par les autorités italiennes, ils avaient été forcés avec 200 autres à retourner en Libye où leurs droits civiques et physiques n’étaient pas respectés, et leurs vies en danger. Portée par des organisations humanitaires, l’affaire avait conduit à un jugement de la cour stipulant :

      « que quand des individus sont interceptés dans des eaux internationales, les autorités gouvernementales sont obligées de s’aligner sur les lois internationales régulant les droits de l’Homme. »

      Cette position avait été célébrée dans ce qui semblait constituer une avancée pour les droits des migrants en mer. Il n’est cependant pas clair dans quelle mesure cette affaire peut s’appliquer dans d’autres cas et faire jurisprudence.

      Si les tribunaux européens sont invoqués et rendent leurs avis, le contexte migratoire empire, or les mécanismes, les politiques et les engagements européens et internationaux existants en matière de droits ne produisent pas de changement.

      Dans cette impasse juridique, l’introduction d’un nouveau paradigme semble essentielle.
      Remplir pleinement son rôle

      Dans ce contexte complexe, un élément fondateur de la CPI peut jouer un rôle : le principe de complémentarité.

      Elle [la complémentarité] crée une relation inédite entre les juridictions nationales et la Cour permettant un équilibre entre leurs compétences respectives.

      Cela signifie que le tribunal n’intervient que lorsque les États ne peuvent ou ne veulent pas agir de leur propre chef.

      Jusqu’à présent, la complémentarité a joué un rôle central inattendu dans les affaires dont la CPI a été saisie jusqu’à présent, les États africains s’étant autoproclamés incompétents, invoquant le manque de ressources (notamment juridiques) nécessaires.

      Cela a cependant grandement contribué à l’échec politique de la CPI sur le continent africain. Des gouvernements abusifs ont ainsi profité de ce système pour remettre à la CPI des adversaires politiques tout en se plaignant simultanément de l’ingérence de la CPI dans leurs affaires internes.

      Ce n’est pas ainsi que la complémentarité devait fonctionner.
      Le refus d’action de l’UE doit pousser la CPI à agir

      L’impasse dans laquelle se trouve actuellement l’UE en ce qui concerne les droits en matière de migration montre ce que la complémentarité est censée faire – accorder la primauté aux États souverains sur l’application de la loi et intervenir uniquement lorsque les États violent le droit humanitaire et refusent d’agir.

      La dernière décennie de migrations meurtrières, conjuguée à une politique de réfugiés délibérément délaissée en Europe, constitue une telle situation.

      Les migrants potentiels ne votent pas et ne peuvent pas être représentés politiquement dans l’UE.

      Leur protection ne dépend donc que des normes relatives aux droits de l’Homme et des engagements internationaux qui les entérinent. Ces normes ne sont pas appliquées, en partie parce que les questions de citoyenneté et de sécurité des frontières sont restées largement du ressort des États souverains. Ces politiques se traduisent aujourd’hui par un « crime contre l’humanité » continu.

      La CPI est peut-être l’institution qui sera capable de dénouer la situation complexe et l’impasse actuelle en menaçant de traduire les dirigeants européens en justice, faisant ainsi écho avec les idéaux progressistes qui ont nourri sa construction.

      https://theconversation.com/naufrages-en-mediterranee-lue-coupable-de-crimes-contre-lhumanite-1

  • Philippines becomes second country to quit ICC

    The Philippines on Sunday has withdrawn from the International Criminal Court, becoming the second country to leave the Hague-based tribunal meant to prosecute the world’s worst atrocities.

    The move comes a year after Manila officially notified the United Nations that it was quitting the ICC—the only permanent international judicial body to try individuals for genocide, crimes against humanity and war crimes.

    Read more at https://www.philstar.com/headlines/2019/03/17/1901757/philippines-becomes-second-country-quit-icc#Cpd5wLjUQPUbf3U6.99

    https://www.philstar.com/headlines/2019/03/17/1901757/philippines-becomes-second-country-quit-icc

    #CPI #cour_pénale_internationale #Philippines #it_has_begun #Burundi #justice

    v. aussi
    https://www.philstar.com/headlines/2018/03/16/1797330/philippines-formally-informs-un-icc-withdrawal

    ping @reka

  • Attaque sans précédent des #Etats-Unis contre la #Cour_pénale_internationale
    https://www.bfmtv.com/international/attaque-sans-precedent-des-etats-unis-contre-la-cour-penale-internationale-15

    Les Etats-Unis ont menacé ce lundi de #sanctions les juges et procureurs de la Cour pénale internationale (#CPI) s’ils s’en prennent à des Américains, à #Israël ou à d’autres alliés de Washington.

    « Nous allons interdire à ces juges et procureurs l’entrée aux Etats-Unis. Nous allons prendre des sanctions contre leurs avoirs dans le système financier américain, et nous allons engager des poursuites contre eux dans notre système judiciaire », a mis en garde le conseiller à la sécurité nationale de la Maison Blanche, John Bolton, dans une attaque sans précédent contre la CPI.

    Pour les Etats-Unis, la Cour pénale internationale est « illégitime » et « déjà morte »
    https://www.lemonde.fr/ameriques/article/2018/09/10/pour-les-etats-unis-la-cour-penale-internationale-est-illegitime-et-deja-mor

    « L’histoire a prouvé que le seul moyen de dissuasion est (…) la puissance juste des Etats-Unis et de leurs alliés », a assuré le conseiller à la sécurité nationale.

    #sans_vergogne

  • L’Autorité palestinienne, la #Cour_pénale_internationale et #Israël | Middle East Eye
    http://www.middleeasteye.net/fr/opinions/l-autorit-palestinienne-la-cour-p-nale-internationale-et-isra-l-39785

    La #CPI a nommé le Hongrois #Peter_Kovacs comme président du jury, or précédemment celui-ci « fut le seul juge à voter contre la réouverture de l’affaire du #Mavi_Marmara »

    #Palestine

  • Chèr·es tou·tes,

    j’ai donc fait un peu d’ordre et mis les liens et textes à la bonne place.

    J’essaie de faire une petite #métaliste des listes.

    #métaliste
    #ONG #sauvetage #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #sauvetages

    En général, quelques autres liens à droite et à gauche à retrouver avec les tags #Méditerranée #ONG #sauvetage :
    https://seenthis.net/recherche?recherche=%23ong+%23m%C3%A9diterran%C3%A9e+%23sauvetage

    Et un résumé + vidéos de SOS Méditerranée sur les 5 ans d’atteinte au #droit_maritime :
    https://seenthis.net/messages/780857

    cc @reka @isskein

  • J’essaie de compiler ici des liens et documents sur les processus d’ #externalisation des #frontières en #Libye, notamment des accords avec l’#UE #EU.

    Les documents sur ce fil n’ont pas un ordre chronologique très précis... (ça sera un boulot à faire ultérieurement... sic)

    Les négociations avec l’#Italie sont notamment sur ce fil :
    https://seenthis.net/messages/600874
    #asile #migrations #réfugiés

    Peut-être qu’Isabelle, @isskein, pourra faire ce travail de mise en ordre chronologique quand elle rentrera de vacances ??

    • Ici, un des derniers articles en date... par la suite de ce fil des articles plus anciens...

      Le supplice sans fin des migrants en Libye

      Ils sont arrivés en fin d’après-midi, blessés, épuisés, à bout. Ce 23 mai, près de 117 Soudanais, Ethiopiens et Erythréens se sont présentés devant la mosquée de Beni Oualid, une localité située à 120 km au sud-ouest de Misrata, la métropole portuaire de la Tripolitaine (Libye occidentale). Ils y passeront la nuit, protégés par des clercs religieux et des résidents. Ces nouveaux venus sont en fait des fugitifs. Ils se sont échappés d’une « prison sauvage », l’un de ces centres carcéraux illégaux qui ont proliféré autour de Beni Oualid depuis que s’est intensifié, ces dernières années, le flux de migrants et de réfugiés débarquant du Sahara vers le littoral libyen dans l’espoir de traverser la Méditerranée.

      Ces migrants d’Afrique subsaharienne – mineurs pour beaucoup – portent dans leur chair les traces de violences extrêmes subies aux mains de leurs geôliers : corps blessés par balles, brûlés ou lacérés de coups. Selon leurs témoignages, quinze de leurs camarades d’évasion ont péri durant leur fuite.

      Cris de douleur
      A Beni Oualid, un refuge héberge nombre de ces migrants en détresse. Des blocs de ciment nu cernés d’une terre ocre : l’abri, géré par une ONG locale – Assalam – avec l’assistance médicale de Médecins sans frontières (MSF), est un havre rustique mais dont la réputation grandit. Des migrants y échouent régulièrement dans un piètre état. « Beaucoup souffrent de fractures aux membres inférieurs, de fractures ouvertes infectées, de coups sur le dos laissant la chair à vif, d’électrocution sur les parties génitales », rapporte Christophe Biteau, le chef de la mission MSF pour la -Libye, rencontré à Tunis.

      Leurs tortionnaires les ont kidnappés sur les routes migratoires. Les migrants et réfugiés seront détenus et suppliciés aussi longtemps qu’ils n’auront pas payé une rançon, à travers les familles restées au pays ou des amis ayant déjà atteint Tripoli. Technique usuelle pour forcer les résistances, les détenus torturés sont sommés d’appeler leurs familles afin que celles-ci puissent entendre en « direct » les cris de douleur au téléphone.

      Les Erythréens, Somaliens et Soudanais sont particulièrement exposés à ce racket violent car, liés à une diaspora importante en Europe, ils sont censés être plus aisément solvables que les autres. Dans la région de Beni Oualid, toute cette violence subie, ajoutée à une errance dans des zones désertiques, emporte bien des vies. D’août 2017 à mars 2018, 732 migrants ont trouvé la mort autour de Beni Oualid, selon Assalam.

      En Libye, ces prisons « sauvages » qui parsèment les routes migratoires vers le littoral, illustration de l’osmose croissante entre réseaux historiques de passeurs et gangs criminels, cohabitent avec un système de détention « officiel ». Les deux systèmes peuvent parfois se croiser, en raison de l’omnipotence des milices sur le terrain, mais ils sont en général distincts. Affiliés à une administration – le département de lutte contre la migration illégale (DCIM, selon l’acronyme anglais) –, les centres de détention « officiels » sont au nombre d’une vingtaine en Tripolitaine, d’où embarque l’essentiel des migrants vers l’Italie. Si bien des abus s’exercent dans ces structures du DCIM, dénoncés par les organisations des droits de l’homme, il semble que la violence la plus systématique et la plus extrême soit surtout le fait des « prisons sauvages » tenues par des organisations criminelles.

      Depuis que la polémique s’est envenimée en 2017 sur les conditions de détention des migrants, notamment avec le reportage de CNN sur les « marchés aux esclaves », le gouvernement de Tripoli a apparemment cherché à rationaliser ses dispositifs carcéraux. « Les directions des centres font des efforts, admet Christophe Biteau, de MSF-Libye. Le dialogue entre elles et nous s’est amélioré. Nous avons désormais un meilleur accès aux cellules. Mais le problème est que ces structures sont au départ inadaptées. Il s’agit le plus souvent de simples hangars ou de bâtiments vétustes sans isolation. »

      Les responsables de ces centres se plaignent rituellement du manque de moyens qui, selon eux, explique la précarité des conditions de vie des détenus, notamment sanitaires. En privé, certains fustigent la corruption des administrations centrales de Tripoli, qui perçoivent l’argent des Européens sans le redistribuer réellement aux structures de terrain.

      Cruel paradoxe
      En l’absence d’une refonte radicale de ces circuits de financement, la relative amélioration des conditions de détention observée récemment par des ONG comme MSF pourrait être menacée. « Le principal risque, c’est la congestion qui résulte de la plus grande efficacité des gardes-côtes libyens », met en garde M. Biteau. En effet, les unités de la marine libyenne, de plus en plus aidées et équipées par Bruxelles ou Rome, ont multiplié les interceptions de bateaux de migrants au large du littoral de la Tripolitaine.

      Du 1er janvier au 20 juin, elles avaient ainsi reconduit sur la terre ferme près de 9 100 migrants. Du coup, les centres de détention se remplissent à nouveau. Le nombre de prisonniers dans ces centres officiels – rattachés au DCIM – a grimpé en quelques semaines de 5 000 à 7 000, voire à 8 000. Et cela a un impact sanitaire. « Le retour de ces migrants arrêtés en mer se traduit par un regain des affections cutanées en prison », souligne Christophe Biteau.

      Simultanément, l’Organisation mondiale des migrations (OIM) intensifie son programme dit de « retours volontaires » dans leurs pays d’origine pour la catégorie des migrants économiques, qu’ils soient détenus ou non. Du 1er janvier au 20 juin, 8 571 d’entre eux – surtout des Nigérians, Maliens, Gambiens et Guinéens – sont ainsi rentrés chez eux. L’objectif que s’est fixé l’OIM est le chiffre de 30 000 sur l’ensemble de 2018. Résultat : les personnes éligibles au statut de réfugié et ne souhaitant donc pas rentrer dans leurs pays d’origine – beaucoup sont des ressortissants de la Corne de l’Afrique – se trouvent piégées en Libye avec le verrouillage croissant de la frontière maritime.

      Le Haut-Commissariat pour les réfugiés (HCR) des Nations unies en a bien envoyé certains au Niger – autour de 900 – pour que leur demande d’asile en Europe y soit traitée. Cette voie de sortie demeure toutefois limitée, car les pays européens tardent à les accepter. « Les réfugiés de la Corne de l’Afrique sont ceux dont la durée de détention en Libye s’allonge », pointe M. Biteau. Cruel paradoxe pour une catégorie dont la demande d’asile est en général fondée. Une absence d’amélioration significative de leurs conditions de détention représenterait pour eux une sorte de double peine.

      http://lirelactu.fr/source/le-monde/28fdd3e6-f6b2-4567-96cb-94cac16d078a
      #UE #EU

    • Remarks by High Representative/Vice-President Federica Mogherini at the joint press conference with Sven Mikser, Minister for Foreign Affairs of Estonia
      Mogherini:

      if you are asking me about the waves of migrants who are coming to Europe which means through Libya to Italy in this moment, I can tell you that the way in which we are handling this, thanks also to a very good work we have done with the Foreign Ministers of the all 28 Member States, is through a presence at sea – the European Union has a military mission at sea in the Mediterranean, at the same time dismantling the traffickers networks, having arrested more than 100 smugglers, seizing the boats that are used, saving lives – tens of thousands of people were saved but also training the Libyan coasts guards so that they can take care of the dismantling of the smuggling networks in the Libyan territorial waters.

      And we are doing two other things to prevent the losses of lives but also the flourishing of the trafficking of people: inside Libya, we are financing the presence of the International Organisation for Migration and the UNHCR so that they can have access to the detention centres where people are living in awful conditions, save these people, protect these people but also organising voluntary returns to the countries of origin; and we are also working with the countries of origin and transit, in particular Niger, where more than 80% of the flows transit. I can tell you one number that will strike you probably - in the last 9 months through our action with Niger, we moved from 76 000 migrants passing through Niger into Libya to 6 000.

      https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/26042/remarks-high-representativevice-president-federica-mogherini-joint-press
      #Libye #Niger #HCR #IOM #OIM #EU #UE #Mogherini #passeurs #smugglers

    • Il risultato degli accordi anti-migranti: aumentati i prezzi dei viaggi della speranza

      L’accordo tra Europa e Italia da una parte e Niger dall’altra per bloccare il flusso dei migranti verso la Libia e quindi verso le nostre coste ha ottenuto risultati miseri. O meglio un paio di risultati li ha avuti: aumentare il prezzo dei trasporti – e quindi i guadagni dei trafficanti di uomini – e aumentare a dismisura i disagi e i rischi dei disperati che cercano in tutti i modi di attraversare il Mediterraneo. Insomma le misure adottate non scoraggiano chi vuole partire. molti di loro muoiono ma non muore la loro speranza di una vita migliore.

      http://www.africa-express.info/2017/02/03/il-risultato-dellaccordo-con-il-niger-sui-migranti-aumentati-prezzi

    • C’était 2016... et OpenMigration publiait cet article:
      Il processo di esternalizzazione delle frontiere europee: tappe e conseguenze di un processo pericoloso

      L’esternalizzazione delle politiche europee e italiane sulle migrazioni: Sara Prestianni ci spiega le tappe fondamentali del processo, e le sue conseguenze più gravi in termini di violazioni dei diritti fondamentali.

      http://openmigration.org/analisi/il-processo-di-esternalizzazione-delle-frontiere-europee-tappe-e-conseguenze-di-un-processo-pericoloso/?platform=hootsuite

    • Per bloccare i migranti 610 milioni di euro dall’Europa e 50 dall’Italia

      Con la Libia ancora fortemente compromessa, la sfida per la gestione dei flussi di migranti dall’Africa sub-sahariana si è di fatto spostata più a Sud, lungo i confini settentrionali del Niger. Uno dei Paesi più poveri al mondo, ma che in virtù della sua stabilità - ha mantenuto pace e democrazia in un’area lacerata dai conflitti - è oggi il principale alleato delle potenze europee nella regione. Gli accordi prevedono che il Niger in cambio di 610 milioni d’ euro dall’Unione Europea, oltre a 50 promessi dall’Italia, sigilli le proprie frontiere settentrionali e imponga un giro di vite ai traffici illegali. È dal Niger infatti che transita gran parte dei migranti sub-sahariani: 450.000, nel 2016, hanno attraversato il deserto fino alle coste libiche, e in misura inferiore quelle algerine. In Italia, attraverso questa rotta, ne sono arrivati 180.000 l’anno scorso e oltre 40.000 nei primi quattro mesi del 2017.


      http://www.lastampa.it/2017/05/31/esteri/per-bloccare-i-migranti-milioni-di-euro-dalleuropa-e-dallitalia-4nPsLCnUURhOkXQl14sp7L/pagina.html

    • The Human Rights Risks of External Migration Policies

      This briefing paper sets out the main human rights risks linked to external migration policies, which are a broad spectrum of actions implemented outside of the territory of the state that people are trying to enter, usually through enhanced cooperation with other countries. From the perspective of international law, external migration policies are not necessarily unlawful. However, Amnesty International considers that several types of external migration policies, and particularly the externalization of border control and asylum-processing, pose significant human rights risks. This document is intended as a guide for activists and policy-makers working on the issue, and includes some examples drawn from Amnesty International’s research in different countries.

      https://www.amnesty.org/en/documents/pol30/6200/2017/en

    • Libya’s coast guard abuses migrants despite E.U. funding and training

      The European Union has poured tens of millions of dollars into supporting Libya’s coast guard in search-and-rescue operations off the coast. But the violent tactics of some units and allegations of human trafficking have generated concerns about the alliance.

      https://www.washingtonpost.com/world/middle_east/libyas-coast-guard-abuses-desperate-migrants-despite-eu-funding-and-training/2017/07/10/f9bfe952-7362-4e57-8b42-40ae5ede1e26_story.html?tid=ss_tw

    • How Libya’s #Fezzan Became Europe’s New Border

      The principal gateway into Europe for refugees and migrants runs through the power vacuum in southern Libya’s Fezzan region. Any effort by European policymakers to stabilise Fezzan must be part of a national-level strategy aimed at developing Libya’s licit economy and reaching political normalisation.

      https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/north-africa/libya/179-how-libyas-fezzan-became-europes-new-border
      cc @i_s_

      v. aussi ma tentative cartographique :


      https://seenthis.net/messages/604039

    • Avramopoulos says Sophia could be deployed in Libya

      (ANSAmed) - BRUSSELS, AUGUST 3 - European Commissioner Dimitris Avramopoulos told ANSA in an interview Thursday that it is possible that the #Operation_Sophia could be deployed in Libyan waters in the future. “At the moment, priority should be given to what can be done under the current mandate of Operation Sophia which was just renewed with added tasks,” he said. “But the possibility of the Operation moving to a third stage working in Libyan waters was foreseen from the beginning. If the Libyan authorities ask for this, we should be ready to act”. (ANSAmed).

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2017/08/03/avramopoulos-says-sophia-could-be-deployed-in-libya_602d3d0e-f817-42b0-ac3

    • Les ambivalences de Tripoli face à la traite migratoire. Les trafiquants ont réussi à pénétrer des pans entiers des institutions officielles

      Par Frédéric Bobin (Zaouïa, Libye, envoyé spécial)

      LE MONDE Le 25.08.2017 à 06h39 • Mis à jour le 25.08.2017 à 10h54

      Les petits trous dessinent comme des auréoles sur le ciment fauve. Le haut mur hérissé de fils de fer barbelés a été grêlé d’impacts de balles de kalachnikov à deux reprises, la plus récente en juin. « Ils sont bien mieux armés que nous », soupire Khaled Al-Toumi, le directeur du centre de détention de Zaouïa, une municipalité située à une cinquantaine de kilomètres à l’ouest de Tripoli. Ici, au cœur de cette bande côtière de la Libye où se concentre l’essentiel des départs de migrants vers l’Italie, une trentaine d’Africains subsahariens sont détenus – un chiffre plutôt faible au regard des centres surpeuplés ailleurs dans le pays.

      C’est que, depuis les assauts de l’établissement par des hommes armés, Khaled Al-Toumi, préfère transférer à Tripoli le maximum de prisonniers. « Nous ne sommes pas en mesure de les protéger », dit-il. Avec ses huit gardes modestement équipés, il avoue son impuissance face aux gangs de trafiquants qui n’hésitent pas à venir récupérer par la force des migrants, dont l’arrestation par les autorités perturbe leurs juteuses affaires. En 2014, ils avaient repris environ 80 Erythréens. Plus récemment, sept Pakistanais. « On reçoit en permanence des menaces, ils disent qu’ils vont enlever nos enfants », ajoute le directeur.

      Le danger est quotidien. Le 18 juillet, veille de la rencontre avec Khaled Al-Toumi, soixante-dix femmes migrantes ont été enlevées à quelques kilomètres de là alors qu’elles étaient transférées à bord d’un bus du centre de détention de Gharian à celui de Sorman, des localités voisines de Zaouïa.

      On compte en Libye une trentaine de centres de ce type, placés sous la tutelle de la Direction de combat contre la migration illégale (DCMI) rattachée au ministère de l’intérieur. A ces prisons « officielles » s’ajoutent des structures officieuses, administrées ouvertement par des milices. L’ensemble de ce réseau carcéral détient entre 4 000 et 7 000 détenus, selon les Nations unies (ONU).

      « Corruption galopante »

      A l’heure où l’Union européenne (UE) nourrit le projet de sous-traiter à la Libye la gestion du flux migratoire le long de la « route de la Méditerranée centrale », le débat sur les conditions de détention en vigueur dans ces centres a gagné en acuité.

      Une partie de la somme de 90 millions d’euros que l’UE s’est engagée à allouer au gouvernement dit d’« union nationale » de Tripoli sur la question migratoire, en sus des 200 millions d’euros annoncés par l’Italie, vise précisément à l’amélioration de l’environnement de ces centres.

      Si des « hot spots » voient le jour en Libye, idée que caressent certains dirigeants européens – dont le président français Emmanuel Macron – pour externaliser sur le continent africain l’examen des demandes d’asile, ils seront abrités dans de tels établissements à la réputation sulfureuse.

      La situation y est à l’évidence critique. Le centre de Zaouïa ne souffre certes pas de surpopulation. Mais l’état des locaux est piteux, avec ses matelas légers jetés au sol et l’alimentation d’une préoccupante indigence, limitée à un seul plat de macaronis. Aucune infirmerie ne dispense de soins.

      « Je ne touche pas un seul dinar de Tripoli ! », se plaint le directeur, Khaled Al-Toumi. Dans son entourage, on dénonce vertement la « corruption galopante de l’état-major de la DCMI à Tripoli qui vole l’argent ». Quand on lui parle de financement européen, Khaled Al-Toumi affirme ne pas en avoir vu la couleur.

      La complainte est encore plus grinçante au centre de détention pour femmes de Sorman, à une quinzaine de kilomètres à l’ouest : un gros bloc de ciment d’un étage posé sur le sable et piqué de pins en bord de plage. Dans la courette intérieure, des enfants jouent près d’une balançoire.

      Là, la densité humaine est beaucoup plus élevée. La scène est un brin irréelle : dans la pièce centrale, environ quatre-vingts femmes sont entassées, fichu sur la tête, regard levé vers un poste de télévision rivé au mur délavé. D’autres se serrent dans les pièces adjacentes. Certaines ont un bébé sur les jambes, telle Christiane, une Nigériane à tresses assise sur son matelas. « Ici, il n’y a rien, déplore-t-elle. Nous n’avons ni couches ni lait pour les bébés. L’eau de la nappe phréatique est salée. Et le médecin ne vient pas souvent : une fois par semaine, souvent une fois toutes les deux semaines. »

      « Battu avec des tuyaux métalliques »

      Non loin d’elle, Viviane, jeune fille élancée de 20 ans, Nigériane elle aussi, se plaint particulièrement de la nourriture, la fameuse assiette de macaronis de rigueur dans tous les centres de détention.

      Viviane est arrivée en Libye en 2015. Elle a bien tenté d’embarquer à bord d’un Zodiac à partir de Sabratha, la fameuse plate-forme de départs à l’ouest de Sorman, mais une tempête a fait échouer l’opération. Les passagers ont été récupérés par les garde-côtes qui les ont répartis dans les différentes prisons de la Tripolitaine. « Je n’ai pas pu joindre ma famille au téléphone, dit Viviane dans un souffle. Elle me croit morte. »

      Si la visite des centres de détention de Zaouïa ou de Sorman permet de prendre la mesure de l’extrême précarité des conditions de vie, admise sans fard par les officiels des établissements eux-mêmes, la question des violences dans ces lieux coupés du monde est plus délicate.

      Les migrants sont embarrassés de l’évoquer en présence des gardes. Mais mises bout à bout, les confidences qu’ils consentent plus aisément sur leur expérience dans d’autres centres permettent de suggérer un contexte d’une grande brutalité. Celle-ci se déploie sans doute le plus sauvagement dans les prisons privées, officieuses, où le racket des migrants est systématique.

      Et les centres officiellement rattachés à la DCMI n’en sont pas pour autant épargnés. Ainsi Al Hassan Dialo, un Guinéen rencontré à Zaouïa, raconte qu’il était « battu avec des tuyaux métalliques » dans le centre de Gharian, où il avait été précédemment détenu.

      « Extorsion, travail forcé »

      On touche là à l’ambiguïté foncière de ce système de détention, formellement rattaché à l’Etat mais de facto placé sous l’influence des milices contrôlant le terrain. Le fait que des réseaux de trafiquants, liés à ces milices, peuvent impunément enlever des détenus au cœur même des centres, comme ce fut le cas à Zaouïa, donne la mesure de leur capacité de nuisance.

      « Le système est pourri de l’intérieur », se désole un humanitaire. « Des fonctionnaires de l’Etat et des officiels locaux participent au processus de contrebande et de trafic d’êtres humains », abonde un rapport de la Mission d’appui de l’ONU en Libye publié en décembre 2016.

      Dans ces conditions, les migrants font l’objet « d’extorsion, de travail forcé, de mauvais traitements et de tortures », dénonce le rapport. Les femmes, elles, sont victimes de violences sexuelles à grande échelle. Le plus inquiétant est qu’avec l’argent européen promis les centres de détention sous tutelle de la DCMI tendent à se multiplier. Trois nouveaux établissements ont fait ainsi leur apparition ces derniers mois dans le Grand Tripoli.

      La duplicité de l’appareil d’Etat, ou de ce qui en tient lieu, est aussi illustrée par l’attitude des gardes-côtes, autres récipiendaires des financements européens et même de stages de formation. Officiellement, ils affirment lutter contre les réseaux de passeurs au maximum de leurs capacités tout en déplorant l’insuffisance de leurs moyens.

      « Nous ne sommes pas équipés pour faire face aux trafiquants », regrette à Tripoli Ayoub Kassim, le porte-parole de la marine libyenne. Au détour d’un plaidoyer pro domo, le hiérarque militaire glisse que le problème de la gestion des flux migratoires se pose moins sur le littoral qu’au niveau de la frontière méridionale de la Libye. « La seule solution, c’est de maîtriser les migrations au sud, explique-t-il. Malheureusement, les migrants arrivent par le Niger sous les yeux de l’armée française » basée à Madama…

      Opérations de patrouille musclées

      Les vieilles habitudes perdurent. Avant 2011, sous Kadhafi, ces flux migratoires – verrouillés ou tolérés selon l’intérêt diplomatique du moment – étaient instrumentalisés pour exercer une pression sur les Européens.

      Une telle politique semble moins systématique, fragmentation de l’Etat oblige, mais elle continue d’inspirer le comportement de bien des acteurs libyens usant habilement de la carte migratoire pour réclamer des soutiens financiers.

      La déficience des équipements des gardes-côtes ne fait guère de doute. Avec son patrouilleur de 14 mètres de Zaouïa et ses quatre autres bâtiments de 26,4 mètres de Tripoli – souffrant de défaillances techniques bien qu’ayant été réparés en Italie –, l’arsenal en Tripolitaine est de fait limité. Par ailleurs, l’embargo sur les ventes d’armes vers la Libye, toujours en vigueur, en bride le potentiel militaire.

      Pourtant, la hiérarchie des gardes-côtes serait plus convaincante si elle était en mesure d’exercer un contrôle effectif sur ses branches locales. Or, à l’évidence, une sérieuse difficulté se pose à Zaouïa. Le chef local de gardes-côtes, Abdelrahman Milad, plus connu sous le pseudonyme d’Al-Bija, joue un jeu trouble. Selon le rapport du panel des experts sur la Libye de l’ONU, publié en juin, Al-Bija doit son poste à Mohamed Koshlaf, le chef de la principale milice de Zaouïa, qui trempe dans le trafic de migrants.

      Le patrouilleur d’Al-Bija est connu pour ses opérations musclées. Le 21 octobre 2016, il s’est opposé en mer à un sauvetage conduit par l’ONG Sea Watch, provoquant la noyade de vingt-cinq migrants. Le 23 mai 2017, le même patrouilleur intervient dans la zone dite « contiguë » – où la Libye est juridiquement en droit d’agir – pour perturber un autre sauvetage mené par le navire Aquarius, affrété conjointement par Médecins sans frontières et SOS Méditerranée, et le Juvena, affrété par l’ONG allemande Jugend Rettet.

      Duplicité des acteurs libyens

      Les gardes-côtes sont montés à bord d’un Zodiac de migrants, subtilisant téléphones portables et argent des occupants. Ils ont également tiré des coups de feu en l’air, et même dans l’eau où avaient sauté des migrants, ne blessant heureusement personne.

      « Il est difficile de comprendre la logique de ce type de comportement, commente un humanitaire. Peut-être le message envoyé aux migrants est-il : “La prochaine fois, passez par nous.” » Ce « passez par nous » peut signifier, selon de bons observateurs de la scène libyenne, « passez par le réseau de Mohamed Koshlaf », le milicien que l’ONU met en cause dans le trafic de migrants.

      Al-Bija pratiquerait ainsi le deux poids-deux mesures, intraitable ou compréhensif selon que les migrants relèvent de réseaux rivaux ou amis, illustration typique de la duplicité des acteurs libyens. « Al-Bija sait qu’il a commis des erreurs, il cherche maintenant à restaurer son image », dit un résident de Zaouïa. Seule l’expérience le prouvera. En attendant, les Européens doivent coopérer avec lui pour fermer la route de la Méditerranée.

      http://www.lemonde.fr/afrique/article/2017/08/16/en-libye-nous-ne-sommes-que-des-esclaves_5172760_3212.html

    • A PATTI CON LA LIBIA

      La Libia è il principale punto di partenza di barconi carichi di migranti diretti in Europa. Con la Libia l’Europa deve trattare per trovare una soluzione. La Libia però è anche un paese allo sbando, diviso. C’è il governo di Tripoli retto da Fayez al-Sarraj. Poi c’è il generale Haftar che controlla i due terzi del territorio del paese. Senza contare gruppi, milizie, clan tribali. Il compito insomma è complicato. Ma qualcosa, forse, si sta muovendo.

      Dopo decine di vertici inutili, migliaia di morti nel Mediterraneo, promesse non mantenute si torna a parlare con una certa insistenza della necessità di stabilizzare la Libia e aiutare il paese che si affaccia sul Mediterraneo. Particolarmente attiva in questa fase la Francia di Macron, oltre naturalmente all’Italia.

      Tra i punti in discussione c’è il coinvolgimento di altri paesi africani di transito come Niger e Ciad che potrebbero fungere da filtro. Oltre naturalmente ad aiuti diretti alla Libia. Assegni milionari destinati a una migliore gestione delle frontiere ad esempio.

      Ma è davvero così semplice? E come la mettiamo con le violenze e le torture subite dai migranti nei centri di detenzione? Perché proprio ora l’Europa sembra svegliarsi? Cosa si cela dietro questa competizione soprattutto tra Roma e Parigi nel trovare intese con Tripoli?

      http://www.rsi.ch/rete-uno/programmi/informazione/modem/A-PATTI-CON-LA-LIBIA-9426001.html

    • Le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique adopte un programme de soutien à la gestion intégrée des migrations et des frontières en Libye d’un montant de 46 millions d’euros

      À la suite du plan d’action de la Commission pour soutenir l’Italie, présenté le 4 juillet, le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique a adopté ce jour un programme doté d’une enveloppe de 46 millions d’euros pour renforcer les capacités des autorités libyennes en matière de gestion intégrée des migrations et des frontières.

      http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-2187_fr.htm

    • L’Europe va verser 200 millions d’euros à la Libye pour stopper les migrants

      Les dirigeants européens se retrouvent ce vendredi à Malte pour convaincre la Libye de freiner les traversées de migrants en Méditerranée. Ils devraient proposer d’équiper et former ses gardes-côtes. Le projet d’ouvrir des camps en Afrique refait surface.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/020217/leurope-va-verser-200-millions-deuros-la-libye-pour-stopper-les-migrants

      –-> pour archivage...

    • Persécutés en Libye : l’Europe est complice

      L’Union européenne dans son ensemble, et l’Italie en particulier, sont complices des violations des droits humains commises contre les réfugiés et les migrants en Libye. Enquête.

      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/refugies-et-migrants-persecutes-en-libye-leurope-est-complice

      #complicité

      Et l’utilisation du mot « persécutés » n’est évidemment pas été choisi au hasard...
      –-> ça renvoie à la polémique de qui est #réfugié... et du fait que l’UE essaie de dire que les migrants en Libye sont des #migrants_économiques et non pas des réfugiés (comme ceux qui sont en Turquie et/ou en Grèce, qui sont des syriens, donc des réfugiés)...
      Du coup, utiliser le concept de #persécution signifie faire une lien direct avec la Convention sur les réfugiés et admettre que les migrants en Libye sont potentiellement des réfugiés...

      La position de l’UE :

      #Mogherini was questioned about the EU’s strategy of outsourcing the migration crisis to foreign countries such as Libya and Turkey, which received billions to prevent Syrian refugees from crossing to Greece.

      She said the situation was different on two counts: first, the migrants stranded in Libya were not legitimate asylum seekers like those fleeing the war in Syria. And second, different international bodies were in charge.

      “When it comes to Turkey, it is mainly refugees from Syria; when it comes to Libya, it is mainly migrants from Sub-Saharan Africa and the relevant international laws apply in different manners and the relevant UN agencies are different – the UNHC

      https://www.euractiv.com/section/development-policy/news/libya-human-bondage-risks-overshadowing-africa-eu-summit
      voir ici : http://seen.li/dqtt

      Du coup, @sinehebdo, « #persécutés » serait aussi un mot à ajouter à ta longue liste...

    • v. aussi:
      Libya: Libya’s dark web of collusion: Abuses against Europe-bound refugees and migrants

      In recent years, hundreds of thousands of refugees and migrants have braved the journey across Africa to Libya and often on to Europe. In response, the Libyan authorities have used mass indefinite detention as their primary migration management tool. Regrettably, the European Union and Italy in particular, have decided to reinforce the capacity of Libyan authorities to intercept refugees and migrants at sea and transfer them to detention centres. It is essential that the aims and nature of this co-operation be rethought; that the focus shift from preventing arrivals in Europe to protecting the rights of refugees and migrants.

      https://www.amnesty.org/fr/documents/document/?indexNumber=mde19%2f7561%2f2017&language=en
      #rapport

    • Amnesty France : « L’Union Européenne est complice des violations de droits de l’homme en Libye »

      Jean-François Dubost est responsable du Programme Protection des Populations (réfugiés, civils dans les conflits, discriminations) chez Amnesty France. L’ONG publie un rapport sur la responsabilité des gouvernements européens dans les violations des droits humains des réfugiés et des migrants en Libye.

      https://www.franceinter.fr/emissions/l-invite-de-6h20/l-invite-de-6h20-12-decembre-2017
      #responsabilité

    • Accordi e crimini contro l’umanità in un rapporto di Amnesty International

      La Rotta del Mediterraneo centrale, dal Corno d’Africa, dall’Africa subsahariana, al Niger al Ciad ed alla Libia costituisce ormai l’unica via di fuga da paesi in guerra o precipitati in crisi economiche che mettono a repentaglio la vita dei loro abitanti, senza alcuna possibile distinzione tra migranti economici e richiedenti asilo. Anche perché in Africa, ed in Libia in particolare, la possibilità concreta di chiedere asilo ed ottenere un permesso di soggiorno o un visto, oltre al riconoscimento dello status di rifugiato da parte dell’UNHCR, è praticamente nulla. Le poche persone trasferite in altri paesi europei dai campi libici (resettlement), come i rimpatri volontari ampiamente pubblicizzati, sono soltanto l’ennesima foglia di fico che si sta utilizzando per nascondere le condizioni disumane in cui centinaia di migliaia di persone vengono trattenute sotto sequestro nei centri di detenzione libici , ufficiali o informali. In tutti gravissime violazioni dei diritti umani, anche subito dopo la visita dei rappresentanti dell’UNHCR e dell’OIM, come dichiarano alcuni testimoni.

      https://www.a-dif.org/2017/12/12/accordi-e-crimini-contro-lumanita-in-un-rapporto-di-amnesty-international

    • Bundestag study: Cooperation with Libyan coastguard infringes international conventions

      “Libya is unable to nominate a Maritime Rescue Coordination Centre (MRCC), and so rescue missions outside its territorial waters are coordinated by the Italian MRCC in Rome. More and more often the Libyan coastguard is being tasked to lead these missions as on-scene-commander. Since refugees are subsequently brought to Libya, the MRCC in Rome may be infringing the prohibition of refoulement contained in the Geneva Convention relating to the Status of Refugees. This, indeed, was also the conclusion reached in a study produced by the Bundestag Research Service. The European Union and its member states must therefore press for an immediate end to this cooperation with the Libyan coastguard”, says Andrej Hunko, European policy spokesman for the Left Party.

      The Italian Navy is intercepting refugees in the Mediterranean and arranging for them to be picked up by Libyan coastguard vessels. The Bundestag study therefore suspects an infringement of the European Human Rights Convention of the Council of Europe. The rights enshrined in the Convention also apply on the high seas.

      Andrej Hunko goes on to say, “For two years the Libyan coastguard has regularly been using force against sea rescuers, and many refugees have drowned during these power games. As part of the EUNAVFOR MED military mission, the Bundeswehr has also been cooperating with the Libyan coastguard and allegedly trained them in sea rescue. I regard that as a pretext to arm Libya for the prevention of migration. This cooperation must be the subject of proceedings before the European Court of Human Rights, because the people who are being forcibly returned with the assistance of the EU are being inhumanely treated, tortured or killed.

      The study also emphasises that the acts of aggression against private rescue ships violate the United Nations Convention on the Law of the Sea. Nothing in that Convention prescribes that sea rescues must be undertaken by a single vessel. On the contrary, masters of other ships even have a duty to render assistance if they cannot be sure that all of the persons in distress will be quickly rescued. This is undoubtedly the case with the brutal operations of the Libyan coastguard.

      The Libyan Navy might soon have its own MRCC, which would then be attached to the EU surveillance system. The European Commission examined this option in a feasibility study, and Italy is now establishing a coordination centre for this purpose in Tripoli. A Libyan MRCC would encourage the Libyan coastguard to throw its weight about even more. The result would be further violations of international conventions and even more deaths.”

      https://andrej-hunko.de/presse/3946-bundestag-study-cooperation-with-libyan-coastguard-infringes-inter

      v. aussi l’étude:
      https://andrej-hunko.de/start/download/dokumente/1109-bundestag-research-services-maritime-rescue-in-the-mediterranean/file

    • Migrants : « La nasse libyenne a été en partie tissée par la France et l’Union européenne »

      Dans une tribune publiée dans « Le Monde », Thierry Allafort-Duverger, le directeur général de Médecins Sans Frontières, juge hypocrite la posture de la France, qui favorise l’interception de migrants par les garde-côtes libyens et dénonce leurs conditions de détention sur place.

      https://www.msf.fr/actualite/articles/migrants-nasse-libyenne-ete-en-partie-tissee-france-et-union-europeenne
      #hypocrisie

    • Libye : derrière l’arbre de « l’esclavage »
      Par Ali Bensaâd, Professeur à l’Institut français de géopolitique, Paris-VIII — 30 novembre 2017 à 17:56

      L’émotion suscitée par les crimes abjectes révélés par CNN ne doit pas occulter un phénomène bien plus vaste et ancien : celui de centaines de milliers de migrants africains qui vivent et travaillent depuis des décennies, en Libye et au Maghreb, dans des conditions extrêmes d’exploitation et d’atteinte à leur dignité.

      L’onde de choc créée par la diffusion de la vidéo de CNN sur la « vente » de migrants en Libye, ne doit pas se perdre en indignations. Et il ne faut pas que les crimes révélés occultent un malheur encore plus vaste, celui de centaines de milliers de migrants africains qui vivent et travaillent depuis des décennies, en Libye et au Maghreb, dans des conditions extrêmes d’exploitation et d’atteinte à leur dignité. Par ailleurs, ces véritables crimes contre l’humanité ne sont, hélas, pas spécifiques de la Libye. A titre d’exemple, les bédouins égyptiens ou israéliens - supplétifs sécuritaires de leurs armées - ont précédé les milices libyennes dans ces pratiques qu’ils poursuivent toujours et qui ont été largement documentées.

      Ces crimes contre l’humanité, en raison de leur caractère particulièrement abject, méritent d’être justement qualifiés. Il faut s’interroger si le qualificatif « esclavage », au-delà du juste opprobre dont il faut entourer ces pratiques, est le plus scientifiquement approprié pour comprendre et combattre ces pratiques d’autant que l’esclavage a été une réalité qui a structuré pendant un millénaire le rapport entre le Maghreb et l’Afrique subsaharienne. Il demeure le non-dit des inconscients culturels des sociétés de part et d’autre du Sahara, une sorte de « bombe à retardement ». « Mal nommer un objet, c’est ajouter au malheur de ce monde » (1) disait Camus. Et la Libye est un condensé des malheurs du monde des migrations. Il faut donc les saisir par-delà le raccourci de l’émotion.

      D’abord, ils ne sont nullement le produit du contexte actuel de chaos du pays, même si celui-ci les aggrave. Depuis des décennies, chercheurs et journalistes ont documenté la difficile condition des migrants en Libye qui, depuis les années 60, font tourner pour l’essentiel l’économie de ce pays rentier. Leur nombre a pu atteindre certaines années jusqu’à un million pour une population qui pouvait alors compter à peine cinq millions d’habitants. C’est dire leur importance dans le paysage économique et social de ce pays. Mais loin de favoriser leur intégration, l’importance de leur nombre a été conjurée par une précarisation systématique et violente comme l’illustrent les expulsions massives et violentes de migrants qui ont jalonné l’histoire du pays notamment en 1979, 1981, 1985, 1995, 2000 et 2007. Expulsions qui servaient tout à la fois à installer cette immigration dans une réversibilité mais aussi à pénaliser ou gratifier les pays dont ils sont originaires pour les vassaliser. Peut-être contraints, les dirigeants africains alors restaient sourds aux interpellations de leurs migrants pour ne pas contrarier la générosité du « guide » dont ils étaient les fidèles clients. Ils se tairont également quand, en 2000, Moussa Koussa, l’ancien responsable des services libyens, aujourd’hui luxueusement réfugié à Londres, a organisé un véritable pogrom où périrent 500 migrants africains assassinés dans des « émeutes populaires » instrumentalisées. Leur but était cyniquement de faire avaliser, par ricochet, la nouvelle orientation du régime favorable à la normalisation et l’ouverture à l’Europe et cela en attisant un sentiment anti-africain pour déstabiliser la partie de la vieille garde qui y était rétive. Cette normalisation, faite en partie sur le cadavre de migrants africains, se soldera par l’intronisation de Kadhafi comme gardien des frontières européennes. Les migrants interceptés et ceux que l’Italie refoule, en violation des lois européennes, sont emprisonnés, parfois dans les mêmes lieux aujourd’hui, et soumis aux mêmes traitements dégradants.

      En 2006, ce n’était pas 260 migrants marocains qui croupissaient comme aujourd’hui dans les prisons libyennes, ceux dont la vidéo a ému l’opinion, mais 3 000 et dans des conditions tout aussi inhumaines. Kadhafi a signé toutes les conventions que les Européens ont voulues, sachant qu’il n’allait pas les appliquer. Mais lorsque le HCR a essayé de prendre langue avec le pouvoir libyen au sujet de la convention de Genève sur les réfugiés, Kadhafi ferma les bureaux du HCR et expulsa, en les humiliant, ses dirigeants le 9 juin 2010. Le même jour, débutait un nouveau round de négociations en vue d’un accord de partenariat entre la Libye et l’Union européenne et le lendemain, 10 juin, Kadhafi était accueilli en Italie. Une année plus tard, alors même que le CNT n’avait pas encore établi son autorité sur le pays et que Kadhafi et ses troupes continuaient à résister, le CNT a été contraint de signer avec l’Italie un accord sur les migrations dont un volet sur la réadmission des migrants transitant par son territoire. Hier, comme aujourd’hui, c’est à la demande expresse et explicite de l’UE que les autorités libyennes mènent une politique de répression et de rétention de migrants. Et peut-on ignorer qu’aujourd’hui traiter avec les pouvoirs libyens, notamment sur les questions sécuritaires, c’est traiter de fait avec des milices dont dépendent ces pouvoirs eux-mêmes pour leur propre sécurité ? Faut-il s’étonner après cela de voir des milices gérer des centres de rétention demandés par l’UE ?

      Alors que peine à émerger une autorité centrale en Libye, les pays occidentaux n’ont pas cessé de multiplier les exigences à l’égard des fragiles centres d’un pouvoir balbutiant pour leur faire prendre en charge leur protection contre les migrations et le terrorisme au risque de les fragiliser comme l’a montré l’exemple des milices de Misrata. Acteur important de la réconciliation et de la lutte contre les extrémistes, elles ont été poussées, à Syrte, à combattre Daech quasiment seules. Elles en sont sorties exsangues, rongées par le doute et fragilisées face à leurs propres extrémistes. Les rackets, les kidnappings et le travail forcé pour ceux qui ne peuvent pas payer, sont aussi le lot des Libyens, notamment ceux appartenant au camp des vaincus, détenus dans ce que les Libyens nomment « prisons clandestines ». Libyens, mais plus souvent migrants qui ne peuvent payer, sont mis au travail forcé pour les propres besoins des miliciens en étant « loués » ponctuellement le temps d’une captivité qui dure de quelques semaines à quelques mois pour des sommes dérisoires.

      Dans la vidéo de CNN, les sommes évoquées, autour de 400 dinars libyens, sont faussement traduites par les journalistes, selon le taux officiel fictif, en 400 dollars. En réalité, sur le marché réel, la valeur est dix fois inférieure, un dollar valant dix dinars libyens et un euro, douze. Faire transiter un homme, même sur la seule portion saharienne du territoire, rapporte 15 fois plus (500 euros) aux trafiquants et miliciens. C’est par défaut que les milices se rabattent sur l’exploitation, un temps, de migrants désargentés mais par ailleurs encombrants.

      La scène filmée par CNN est abjecte et relève du crime contre l’humanité. Mais il s’agit de transactions sur du travail forcé et de corvées. Il ne s’agit pas de vente d’hommes. Ce n’est pas relativiser ou diminuer ce qui est un véritable crime contre l’humanité, mais il faut justement qualifier les objets. Il s’agit de pratiques criminelles de guerre et de banditisme qui exploitent les failles de politiques migratoires globales. On n’assiste pas à une résurgence de l’esclavage. Il ne faut pas démonétiser l’indignation et la vigilance en recourant rapidement aux catégories historiques qui mobilisent l’émotion. Celle-ci retombe toujours. Et pendant que le débat s’enflamme sur « l’esclavage », la même semaine, des centaines d’hommes « libres » sont morts, noyés en Méditerranée, s’ajoutant à des dizaines de milliers qui les avaient précédés.

      (1) C’est la véritable expression utilisée par Camus dans un essai de 1944, paru dans Poésie 44, (Sur une philosophie de l’expression), substantiellement très différente, en termes philosophiques, de ce qui sera reporté par la suite : « Mal nommer les choses, c’est ajouter aux malheurs du monde. »

      http://www.liberation.fr/debats/2017/11/30/libye-derriere-l-arbre-de-l-esclavage_1613662

    • Quand l’Union européenne veut bloquer les exilé-e-s en Libye

      L’Union européenne renforce les capacités des garde-côtes Libyens pour qu’ils interceptent les bateaux d’exilé-e-s dans les eaux territoriales et les ramènent en Libye. Des navires de l’#OTAN patrouillent au large prétendument pour s’attaquer aux « bateaux de passeurs », ce qui veut dire que des moyens militaires sont mobilisés pour empêcher les exilé-e-s d’atteindre les côtes européennes. L’idée a été émise de faire le tri, entre les personnes qui relèveraient de l’asile et celles qui seraient des « migrants économiques » ayant « vocation » à être renvoyés, sur des bateaux ua large de la Libye plutôt que sur le sol italien, créant ainsi des « #hotspots_flottants« .

      https://lampedusauneile.wordpress.com/2016/07/15/quand-lunion-europeenne-veut-bloquer-les-exile-e-s-en-lib

    • Le milizie libiche catturano in mare centinaia di migranti in fuga verso l’Europa. E li richiudono in prigione. Intanto l’Unione Europea si prepara ad inviare istruttori per rafforzare le capacità di arresto da parte della polizia libica. Ma in Libia ci sono tante «guardie costiere» ed ognuna risponde ad un governo diverso.

      Sembra di ritornare al 2010, quando dopo i respingimenti collettivi in Libia eseguiti direttamente da mezzi della Guardia di finanza italiana a partire dal 7 maggio 2009, in base agli accordi tra Berlusconi e Gheddafi, si inviarono in Libia agenti della Guardia di finanza per istruire la Guardia Costiera libica nelle operazioni di blocco dei migranti che erano riusciti a fuggire imbarcandosi su mezzi sempre più fatiscenti.

      http://dirittiefrontiere.blogspot.ch/2016/05/le-milizie-libiche-catturano-in-mare.html?m=1

    • Merkel, Hollande Warn Libya May Be Next Big Migrant Staging Area

      The European Union may need an agreement with Libya to restrict refugee flows similar to one with Turkey as the North African country threatens to become the next gateway for migrants to Europe, the leaders of Germany and France said.

      http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-04-07/merkel-hollande-warn-libya-may-be-next-big-migrant-staging-area
      #accord #Libye #migrations #réfugiés #asile #politique_migratoire #externalisation #UE #Europe

    • Le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique adopte un programme de 90 millions € pour la protection des migrants et l’amélioration de la gestion des migrations en Libye

      Dans le prolongement de la communication conjointe sur la route de la Méditerranée centrale et de la déclaration de Malte, le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique a adopté ce jour, sur proposition de la Commission européenne, un programme de 90 millions € visant à renforcer la protection des migrants et à améliorer la gestion des migrations en Libye.

      http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-951_fr.htm

    • L’Europa non può affidare alla Libia le vite dei migranti

      “Il rischio è che Italia ed Europa si rendano complici delle violazioni dei diritti umani commesse in Libia”, dice il direttore generale di Medici senza frontiere (Msf) Arjan Hehenkamp. Mentre le organizzazioni non governative che salvano i migranti nel Mediterraneo centrale sono al centro di un processo di criminalizzazione, l’Italia e l’Europa stanno cercando di delegare alle autorità libiche la soluzione del problema degli sbarchi.

      http://www.internazionale.it/video/2017/05/04/ong-libia-migranti

    • MSF accuses Libyan coastguard of endangering people’s lives during Mediterranean rescue

      During a rescue in the Mediterranean Sea on 23 May, the Libyan coastguard approached boats in distress, intimidated the passengers and then fired gunshots into the air, threatening people’s lives and creating mayhem, according to aid organisations Médecins Sans Frontières and SOS Méditerranée, whose teams witnessed the violent incident.

      http://www.msf.org/en/article/msf-accuses-libyan-coastguard-endangering-people%E2%80%99s-lives-during-mediter

    • Enquête. Le chaos libyen est en train de déborder en Méditerranée

      Pour qu’ils bloquent les flux migratoires, l’Italie, appuyée par l’UE, a scellé un accord avec les gardes-côtes libyens. Mais ils ne sont que l’une des très nombreuses forces en présence dans cet État en lambeaux. Désormais la Méditerranée devient dangereuse pour la marine italienne, les migrants, et les pêcheurs.


      http://www.courrierinternational.com/article/enquete-le-chaos-libyen-est-en-train-de-deborder-en-mediterra

    • Architect of EU-Turkey refugee pact pushes for West Africa deal

      “Every migrant from West Africa who survives the dangerous journey from Libya to Italy remains in Europe for years afterwards — regardless of the outcome of his or her asylum application,” Knaus said in an interview.

      To accelerate the deportations of rejected asylum seekers to West African countries that are considered safe, the EU needs to forge agreements with their governments, he said.

      http://www.politico.eu/article/migration-italy-libya-architect-of-eu-turkey-refugee-pact-pushes-for-west-a
      cc @i_s_

      Avec ce commentaire de Francesca Spinelli :

    • Pour 20 milliards, la Libye pourrait bloquer les migrants à sa frontière sud

      L’homme fort de l’Est libyen, Khalifa Haftar, estime à « 20 milliards de dollars sur 20 ou 25 ans » l’effort européen nécessaire pour aider à bloquer les flux de migrants à la frontière sud du pays.

      https://www.rts.ch/info/monde/8837947-pour-20-milliards-la-libye-pourrait-bloquer-les-migrants-a-sa-frontiere-

    • Bruxelles offre 200 millions d’euros à la Libye pour freiner l’immigration

      La Commission européenne a mis sur la table de nouvelles mesures pour freiner l’arrivée de migrants via la mer méditerranée, dont 200 millions d’euros pour la Libye. Un article de notre partenaire Euroefe.

      http://www.euractiv.fr/section/l-europe-dans-le-monde/news/bruxelles-offre-200-millions-deuros-a-la-libye-pour-freiner-limmigration/?nl_ref=29858390

      #Libye #asile #migrations #accord #deal #réfugiés #externalisation
      cc @reka

    • Stuck in Libya. Migrants and (Our) Political Responsibilities

      Fighting at Tripoli’s international airport was still under way when, in July 2014, the diplomatic missions of European countries, the United States and Canada were shut down. At that time Italy decided to maintain a pied-à-terre in place in order to preserve the precarious balance of its assets in the two-headed country, strengthening security at its local headquarters on Tripoli’s seafront. On the one hand there was no forsaking the Mellitah Oil & Gas compound, controlled by Eni and based west of Tripoli. On the other, the Libyan coast also had to be protected to assist the Italian forces deployed in Libyan waters and engaged in the Mare Nostrum operation to dismantle the human smuggling network between Libya and Italy, as per the official mandate. But the escalation of the civil war and the consequent deterioration of security conditions led Rome to leave as well, in February 2015.

      http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/stuck-libya-migrants-and-our-political-responsibilities-16294

    • Libia: diritto d’asilo cercasi, smarrito fra Bruxelles e Tripoli (passando per Roma)

      La recente Comunicazione congiunta della Commissione e dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE, il Memorandum Italia-Libia firmato il 2 febbraio e la Dichiarazione uscita dal Consiglio europeo di venerdì 3 alla Valletta hanno delineato un progetto di chiusura della “rotta” del Mediterraneo centrale che rischia di seppellire, di fatto, il diritto d’asilo nel Paese e ai suoi confini.

      http://viedifuga.org/libia-diritto-d-asilo-cercasi-smarrito-fra-bruxelles-e-tripoli

    • Immigration : l’Union européenne veut aider la Libye

      L’Union européenne veut mettre fin à ces traversées entre la Libye et l’Italie. Leur plan passe par une aide financière aux autorités libyennes.

      http://www.rts.ch/play/tv/19h30/video/immigration-lunion-europeenne-veut-aider-la-libye?id=8360849

      Dans ce bref reportage, la RTS demande l’opinion d’Etienne Piguet (prof en géographie des migrations à l’Université de Neuchâtel) :
      « L’Union européenne veut absolument limiter les arrivées, mais en même temps on ne peut pas simplement refouler les gens. C’est pas acceptable du point de vue des droits humains. Donc l’UE essaie de mettre en place un système qui tient les gens à distance tout en leur offrant des conditions acceptables d’accueil » (en Libye, entend-il)
      Je m’abstiens de tout commentaire.

    • New EU Partnerships in North Africa: Potential to Backfire?

      As European leaders meet in Malta to receive a progress report on the EU flagship migration partnership framework, the European Union finds itself in much the same position as two years earlier, with hundreds of desperate individuals cramming into flimsy boats and setting off each week from the Libyan coast in hope of finding swift rescue and passage in Europe. Options to reduce flows unilaterally are limited. Barred by EU law from “pushing back” vessels encountered in the Mediterranean, the European Union is faced with no alternative but to rescue and transfer passengers to European territory, where the full framework of European asylum law applies. Member States are thus looking more closely at the role transit countries along the North African coastline might play in managing these flows across the Central Mediterranean. Specifically, they are examining the possibility of reallocating responsibility for search and rescue to Southern partners, thereby decoupling the rescue missions from territorial access to international protection in Europe.

      http://www.migrationpolicy.org/news/new-eu-partnerships-north-africa-potential-backfire

    • Migration: MSF warns EU about inhumane approach to migration management

      As European Union (EU) leaders meet in Malta today to discuss migration, with a view to “close down the route from Libya to Italy” by stepping up cooperation with the Libyan authorities, we want to raise grave concerns about the fate of people trapped in Libya or returned to the country. Médecins Sans Frontières (MSF) has been providing medical care to migrants, refugees and asylum seekers detained in Tripoli and the surrounding area since July 2016 and people are detained arbitrarily in inhumane and unsanitary conditions, often without enough food and clean water and with a lack of access to medical care.

      http://www.msf.org/en/article/migration-msf-warns-eu-about-inhumane-approach-migration-management

    • EU and Italy migration deal with Libya draws sharp criticism from Libyan NGOs

      Twelve Libyan non-governmental organisations (NGOs) have issued a joint statement criticising the EU’s latest migrant policy as set out at the Malta summit a week ago as well as the Italy-Libya deal signed earlier which agreed that migrants should be sent back to Libya and repartiated voluntarily from there. Both represented a fundamental “immoral and inhumane attitude” towards migrants, they said. International human rights and calls had to be respected.

      https://www.libyaherald.com/2017/02/10/eu-and-italy-migration-deal-with-libya-draws-sharp-criticism-from-libya

    • Libya is not Turkey: why the EU plan to stop Mediterranean migration is a human rights concern

      EU leaders have agreed to a plan that will provide Libya’s UN-backed government €200 million for dealing with migration. This includes an increase in funding for the Libyan coastguard, with an overall aim to stop migrant boats crossing the Mediterranean to Italy.

      https://theconversation.com/libya-is-not-turkey-why-the-eu-plan-to-stop-mediterranean-migration

    • EU aims to step up help to Libya coastguards on migrant patrols

      TUNIS (Reuters) - The European Union wants to rapidly expand training of Libyan coastguards to stem migrant flows to Italy and reduce deaths at sea, an EU naval mission said on Thursday, signaling a renewed push to support a force struggling to patrol its own coasts.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya/eu-aims-to-step-up-help-to-libya-coastguards-on-migrant-patrols-idUSKCN1GR3

      #UE #EU

    • Why Cooperating With Libya on Migration Could Damage the EU’s Standing

      Italy and the Netherlands began training Libyan coast guard and navy officers on Italian and Dutch navy ships in the Mediterranean earlier in October. The training is part of the European Union’s anti-smuggling operation in the central Mediterranean with the goal of enhancing Libya’s “capability to disrupt smuggling and trafficking… and to perform search-and-rescue activities.”

      http://europe.newsweek.com/why-cooperating-libya-migration-could-damage-eus-standing-516099?rm
      #asile #migrations #réfugiés #Europe #UE #EU #Libye #coopération #externalisation #Méditerranée #Italie #Pays-Bas #gardes-côtes

    • Les migrants paient le prix fort de la coopération entre l’UE et les garde-côtes libyens

      Nombre de dirigeants européens appellent à une « coopération » renforcée avec les garde-côtes libyens. Mais une fois interceptés en mer, ces migrants sont renvoyés dans des centres de détention indignes et risquent de retomber aux mains de trafiquants.

      C’est un peu la bouée de sauvetage des dirigeants européens. La « coopération » avec la Libye et ses légions de garde-côtes reste l’une des dernières politiques à faire consensus dans les capitales de l’UE, s’agissant des migrants. Initiée en 2016 pour favoriser l’interception d’embarcations avant leur entrée dans les eaux à responsabilité italienne ou maltaise, elle a fait chuter le nombre d’arrivées en Europe.

      Emmanuel Macron en particulier s’en est félicité, mardi 26 juin, depuis le Vatican : « La capacité à fermer cette route [entre la Libye et l’Italie, ndlr] est la réponse la plus efficace » au défi migratoire. Selon lui, ce serait même « la plus humaine ». Alors qu’un Conseil européen crucial s’ouvre ce jeudi 28 juin, le président français appelle donc à « renforcer » cette coopération avec Tripoli.

      Convaincu qu’il faut laisser les Libyens travailler, il s’en est même pris, mardi, aux bateaux humanitaires et en particulier au Lifeline, le navire affrété par une ONG allemande qui a débarqué 233 migrants mercredi soir à Malte (après une semaine d’attente en mer et un blocus de l’Italie), l’accusant d’être « intervenu en contravention de toutes les règles et des garde-côtes libyens ». Lancé, Emmanuel Macron est allé jusqu’à reprocher aux bateaux des ONG de faire « le jeu des passeurs ».

      Inédite dans sa bouche (mais entendue mille fois dans les diatribes de l’extrême droite transalpine), cette sentence fait depuis bondir les organisations humanitaires les unes après les autres, au point que Médecins sans frontières (qui affrète l’Aquarius avec SOS Méditerranée), Amnesty International France, La Cimade et Médecins du monde réclament désormais un rendez-vous à l’Élysée, se disant « consternées ».

      Ravi, lui, le ministre de l’intérieur italien et leader d’extrême droite, Matteo Salvini, en a profité pour annoncer mercredi un don exceptionnel en faveur des garde-côtes de Tripoli, auxquels il avait rendu visite l’avant-veille : 12 navires de patrouille, une véritable petite flotte.

      En deux ans, la coopération avec ce pays de furie qu’est la Libye post-Kadhafi semble ainsi devenue la solution miracle, « la plus humaine » même, que l’UE ait dénichée face au défi migratoire en Méditerranée centrale. Comment en est-on arrivé là ? Jusqu’où va cette « coopération » qualifiée de « complicité » par certaines ONG ? Quels sont ses résultats ?

      • Déjà 8 100 interceptions en mer
      À ce jour, en 2018, environ 16 000 migrants ont réussi à traverser jusqu’en Italie, soit une baisse de 77 % par rapport à l’an dernier. Sur ce point, Emmanuel Macron a raison : « Nous avons réduit les flux. » Les raisons, en réalité, sont diverses. Mais de fait, plus de 8 100 personnes parties de Libye ont déjà été rattrapées par les garde-côtes du pays cette année et ramenées à terre, d’après le Haut Commissariat aux réfugiés (le HCR). Contre 800 en 2015.

      Dans les écrits de cette agence de l’ONU, ces migrants sont dits « sauvés/interceptés », sans qu’il soit tranché entre ces deux termes, ces deux réalités. À lui seul, ce « / » révèle toute l’ambiguïté des politiques de coopération de l’UE : si Bruxelles aime penser que ces vies sont sauvées, les ONG soulignent qu’elles sont surtout ramenées en enfer. Certains, d’ailleurs, préfèrent sauter de leur bateau pneumatique en pleine mer plutôt que retourner en arrière.

      • En Libye, l’« abominable » sort des migrants (source officielle)
      Pour comprendre les critiques des ONG, il faut rappeler les conditions inhumaines dans lesquelles les exilés survivent dans cet « État tampon », aujourd’hui dirigé par un gouvernement d’union nationale ultra contesté (basé à Tripoli), sans contrôle sur des parts entières du territoire. « Ce que nous entendons dépasse l’entendement, rapporte l’un des infirmiers de l’Aquarius, qui fut du voyage jusqu’à Valence. Les migrants subsahariens sont affamés, assoiffés, torturés. » Parmi les 630 passagers débarqués en Espagne, l’une de ses collègues raconte avoir identifié de nombreux « survivants de violences sexuelles », « des femmes et des hommes à la fois, qui ont vécu le viol et la torture sexuelle comme méthodes d’extorsion de fonds », les familles étant souvent soumises au chantage par téléphone. Un diagnostic dicté par l’émotion ? Des exagérations de rescapés ?

      Le même constat a été officiellement dressé, dès janvier 2017, par le Haut-Commissariat aux droits de l’homme de l’ONU. « Les migrants se trouvant sur le sol libyen sont victimes de détention arbitraire dans des conditions inhumaines, d’actes de torture, notamment de violence sexuelle, d’enlèvements visant à obtenir une rançon, de racket, de travail forcé et de meurtre », peut-on lire dans son rapport, où l’on distingue les centres de détention officiels dirigés par le Service de lutte contre la migration illégale (relevant du ministère de l’intérieur) et les prisons clandestines tenues par des milices armées.

      Même dans les centres gouvernementaux, les exilés « sont détenus arbitrairement sans la moindre procédure judiciaire, en violation du droit libyen et des normes internationales des droits de l’homme. (…) Ils sont souvent placés dans des entrepôts dont les conditions sont abominables (…). Des surveillants refusent aux migrants l’accès aux toilettes, les obligeant à uriner et à déféquer [là où ils sont]. Dans certains cas, les migrants souffrent de malnutrition grave [environ un tiers de la ration calorique quotidienne minimale]. Des sources nombreuses et concordantes [évoquent] la commission d’actes de torture, notamment des passages à tabac, des violences sexuelles et du travail forcé ».

      Sachant qu’il y a pire à côté : « Des groupes armés et des trafiquants détiennent d’autres migrants dans des lieux non officiels. » Certaines de ces milices, d’ailleurs, « opèrent pour le compte de l’État » ou pour « des agents de l’État », pointe le rapport. Le marché du kidnapping, de la vente et de la revente, est florissant. C’est l’enfer sans même Lucifer pour l’administrer.

      En mai dernier, par exemple, une centaine de migrants a réussi à s’évader d’une prison clandestine de la région de Bani Walid, où MSF gère une clinique de jour. « Parmi les survivants que nous avons soignés, des jeunes de 16 à 18 ans en majorité, certains souffrent de blessures par balles, de fractures multiples, de brûlures, témoigne Christophe Biteau, chef de mission de l’ONG en Libye. Certains nous racontent avoir été baladés, détenus, revendus, etc., pendant trois ans. » Parfois, MSF recueille aussi des migrants relâchés « spontanément » par leurs trafiquants : « Un mec qui commence à tousser par exemple, ils n’en veulent plus à cause des craintes de tuberculose. Pareil en cas d’infections graves. Il y a comme ça des migrants, sur lesquels ils avaient investi, qu’ils passent par “pertes et profits”, si j’ose dire. »

      Depuis 2017, et surtout les images d’un marché aux esclaves diffusées sur CNN, les pressions de l’ONU comme de l’UE se sont toutefois multipliées sur le gouvernement de Tripoli, afin qu’il s’efforce de vider les centres officiels les plus honteux – 18 ont été fermés, d’après un bilan de mars dernier. Mais dans un rapport récent, daté de mai 2018, le secrétaire général de l’ONU persiste : « Les migrants continuent d’être sujets (…) à la torture, à du rançonnement, à du travail forcé et à des meurtres », dans des « centres officiels et non officiels ». Les auteurs ? « Des agents de l’État, des groupes armés, des trafiquants, des gangs criminels », encore et encore.

      Au 21 juin, plus de 5 800 personnes étaient toujours détenues dans les centres officiels. « Nous en avons répertorié 33, dont 4 où nous avons des difficultés d’accès », précise l’envoyé spécial du HCR pour la situation en Méditerranée centrale, Vincent Cochetel, qui glisse au passage : « Il est arrivé que des gens disparaissent après nous avoir parlé. » Surtout, ces derniers jours, avec la fin du ramadan et les encouragements des dirigeants européens adressés aux garde-côtes libyens, ces centres de détention se remplissent à nouveau.

      • Un retour automatique en détention
      Car c’est bien là, dans ces bâtiments gérés par le ministère de l’intérieur, que sont théoriquement renvoyés les migrants « sauvés/interceptés » en mer. Déjà difficile, cette réalité en cache toutefois une autre. « Les embarcations des migrants décollent en général de Libye en pleine nuit, raconte Christophe Biteau, de MSF. Donc les interceptions par les garde-côtes se font vers 2 h ou 3 h du matin et les débarquements vers 6 h. Là, avant l’arrivée des services du ministère de l’intérieur libyen et du HCR (dont la présence est autorisée sur la douzaine de plateformes de débarquement utilisées), il y a un laps de temps critique. » Où tout peut arriver.

      L’arrivée à Malte, mercredi 27 juin 2018, des migrants sauvés par le navire humanitaire « Lifeline » © Reuters
      Certains migrants de la Corne de l’Afrique (Érythrée, Somalie, etc.), réputés plus « solvables » que d’autres parce qu’ils auraient des proches en Europe jouissant déjà du statut de réfugiés, racontent avoir été rachetés à des garde-côtes par des trafiquants. Ces derniers répercuteraient ensuite le prix d’achat de leur « marchandise » sur le tarif de la traversée, plus chère à la seconde tentative… Si Christophe Biteau ne peut témoigner directement d’une telle corruption de garde-côtes, il déclare sans hésiter : « Une personne ramenée en Libye peut très bien se retrouver à nouveau dans les mains de trafiquants. »

      Au début du mois de juin, le Conseil de sécurité de l’ONU (rien de moins) a voté des sanctions à l’égard de six trafiquants de migrants (gel de comptes bancaires, interdiction de voyager, etc.), dont le chef d’une unité de… garde-côtes. D’autres de ses collègues ont été suspectés par les ONG de laisser passer les embarcations siglées par tel ou tel trafiquant, contre rémunération.

      En tout cas, parmi les migrants interceptés et ramenés à terre, « il y a des gens qui disparaissent dans les transferts vers les centres de détention », confirme Vincent Cochetel, l’envoyé spécial du HCR. « Sur les plateformes de débarquement, on aimerait donc mettre en place un système d’enregistrement biométrique, pour essayer de retrouver ensuite les migrants dans les centres, pour protéger les gens. Pour l’instant, on n’a réussi à convaincre personne. » Les « kits médicaux » distribués sur place, financés par l’UE, certes utiles, ne sont pas à la hauteur de l’enjeu.

      • Des entraînements financés par l’UE
      Dans le cadre de l’opération Sophia (théoriquement destinée à lutter contre les passeurs et trafiquants dans les eaux internationales de la Méditerranée), Bruxelles a surtout décidé, en juin 2016, d’initier un programme de formation des garde-côtes libyens, qui a démarré l’an dernier et déjà bénéficié à 213 personnes. C’est que, souligne-t-on à Bruxelles, les marines européennes ne sauraient intervenir elles-mêmes dans les eaux libyennes.

      Il s’agit à la fois d’entraînements pratiques et opérationnels (l’abordage de canots, par exemple) visant à réduire les risques de pertes humaines durant les interventions, et d’un enseignement juridique (droit maritimes, droits humains, etc.), notamment à destination de la hiérarchie. D’après la commission européenne, tous les garde-côtes bénéficiaires subissent un « check de sécurité » avec vérifications auprès d’Interpol et Europol, voire des services de renseignement des États membres, pour écarter les individus les plus douteux.

      Il faut dire que les besoins de « formation » sont – pour le moins – criants. À plusieurs reprises, des navires humanitaires ont été témoins d’interceptions violentes, sinon criminelles. Sur une vidéo filmée depuis le Sea Watch (ONG allemande) en novembre dernier, on a vu des garde-côtes frapper certains des migrants repêchés, puis redémarrer alors qu’un homme restait suspendu à l’échelle de bâbord, sans qu’aucun Zodiac de secours ne soit jamais mis à l’eau. « Ils étaient cassés », ont répondu les Libyens.

      Un « sauvetage » effectué en novembre 2017 par des garde-côtes Libyens © Extrait d’une vidéo publiée par l’ONG allemande Sea Watch
      Interrogée sur le coût global de ces formations, la commission indique qu’il est impossible à chiffrer, Frontex (l’agence de garde-côtes européenne) pouvant participer aux sessions, tel État membre fournir un bateau, tel autre un avion pour trimballer les garde-côtes, etc.

      • La fourniture d’équipements en direct
      En décembre, un autre programme a démarré, plus touffu, financé cette fois via le « Fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique » (le fonds d’urgence européen mis en place en 2015 censément pour prévenir les causes profondes des migrations irrégulières et prendre le problème à la racine). Cette fois, il s’agit non plus seulement de « formation », mais de « renforcement des capacités opérationnelles » des garde-côtes libyens, avec des aides directes à l’équipement de bateaux (gilets, canots pneumatiques, appareils de communication, etc.), à l’entretien des navires, mais aussi à l’équipement des salles de contrôle à terre, avec un objectif clair en ligne de mire : aider la Libye à créer un « centre de coordination de sauvetage maritime » en bonne et due forme, pour mieux proclamer une « zone de recherche et sauvetage » officielle, au-delà de ses seules eaux territoriales actuelles. La priorité, selon la commission à Bruxelles, reste de « sauver des vies ».

      Budget annoncé : 46 millions d’euros avec un co-financement de l’Italie, chargée de la mise en œuvre. À la marge, les garde-côtes libyens peuvent d’ailleurs profiter d’autres programmes européens, tel « Seahorse », pour de l’entraînement à l’utilisation de radars.

      L’Italie, elle, va encore plus loin. D’abord, elle fournit des bateaux aux garde-côtes. Surtout, en 2017, le ministre de l’intérieur transalpin a rencontré les maires d’une dizaine de villes libyennes en leur faisant miroiter l’accès au Fonds fiduciaire pour l’Afrique de l’UE, en contrepartie d’un coup de main contre le trafic de migrants. Et selon diverses enquêtes (notamment des agences de presse Reuters et AP), un deal financier secret aurait été conclu à l’été 2017 entre l’Italie et des représentants de milices, à l’époque maîtresses des départs d’embarcations dans la région de Sabratha. Rome a toujours démenti, mais les appareillages dans ce coin ont brutalement cessé pour redémarrer un peu plus loin. Au bénéfice d’autres milices.

      • L’aide à l’exfiltration de migrants
      En même temps, comme personne ne conteste plus l’enfer des conditions de détention et que tout le monde s’efforce officiellement de vider les centres du régime en urgence, l’UE travaille aussi à la « réinstallation » en Europe des exilés accessibles au statut de réfugié, ainsi qu’au rapatriement dans leur pays d’origine des migrants dits « économiques » (sur la base du volontariat en théorie). Dans le premier cas, l’UE vient en soutien du HCR ; dans le second cas, en renfort de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM).

      L’objectif affiché est limpide : épargner des prises de risque en mer inutiles aux réfugiés putatifs (Érythréens, Somaliens, etc.), comme à ceux dont la demande à toutes les chances d’être déboutée une fois parvenus en Europe, comme les Ivoiriens par exemple. Derrière les éléments de langage, que disent les chiffres ?

      Selon le HCR, seuls 1 730 réfugiés et demandeurs d’asile prioritaires ont pu être évacués depuis novembre 2017, quelques-uns directement de la Libye vers l’Italie (312) et la Roumanie (10), mais l’essentiel vers le Niger voisin, où les autorités ont accepté d’accueillir une plateforme d’évacuations de 1 500 places en échange de promesses de « réinstallations » rapides derrière, dans certains pays de l’UE.

      Et c’est là que le bât blesse. Paris, par exemple, s’est engagé à faire venir 3 000 réfugiés de Niamey (Niger), mais n’a pas tenu un vingtième de sa promesse. L’Allemagne ? Zéro.

      « On a l’impression qu’une fois qu’on a évacué de Libye, la notion d’urgence se perd », regrette Vincent Cochetel, du HCR. Une centaine de migrants, surtout des femmes et des enfants, ont encore été sortis de Libye le 19 juin par avion. « Mais on va arrêter puisqu’on n’a plus de places [à Niamey], pointe le représentant du HCR. L’heure de vérité approche. On ne peut pas demander au Niger de jouer ce rôle si on n’est pas sérieux derrière, en termes de réinstallations. Je rappelle que le Niger a plus de réfugiés sur son territoire que la France par exemple, qui fait quand même des efforts, c’est vrai. Mais on aimerait que ça aille beaucoup plus vite. » Le HCR discute d’ailleurs avec d’autres États africains pour créer une seconde « plateforme d’évacuation » de Libye, mais l’exemple du Niger, embourbé, ne fait pas envie.

      Quant aux rapatriements vers les pays d’origine des migrants dits « économiques », mis en œuvre avec l’OIM (autre agence onusienne), les chiffres atteignaient 8 546 à la mi-juin. « On peut questionner le caractère volontaire de certains de ces rapatriements, complète Christophe Biteau, de MSF. Parce que vu les conditions de détention en Libye, quand on te dit : “Tu veux que je te sorte de là et que je te ramène chez toi ?”… Ce n’est pas vraiment un choix. » D’ailleurs, d’après l’OIM, les rapatriés de Libye sont d’abord Nigérians, puis Soudanais, alors même que les ressortissants du Soudan accèdent à une protection de la France dans 75 % des cas lorsqu’ils ont l’opportunité de voir leur demande d’asile examinée.
      En résumé, sur le terrain, la priorité des États de l’UE va clairement au renforcement du mur de la Méditerranée et de ses Cerbère, tandis que l’extraction de réfugiés, elle, reste cosmétique. Pour Amnesty International, cette attitude de l’Union, et de l’Italie au premier chef, serait scandaleuse : « Dans la mesure où ils ont joué un rôle dans l’interception des réfugiés et des migrants, et dans la politique visant à les contenir en Libye, ils partagent avec celle-ci la responsabilité des détentions arbitraires, de la torture et autres mauvais traitements infligés », tance un rapport de l’association publié en décembre dernier.

      Pour le réseau Migreurop (regroupant chercheurs et associations spécialisés), « confier le contrôle des frontières maritimes de l’Europe à un État non signataire de la Convention de Genève [sur les droits des réfugiés, ndlr] s’apparente à une politique délibérée de contournement des textes internationaux et à une sous-traitance des pires violences à l’encontre des personnes exerçant leur droit à émigrer ». Pas sûr que les conclusions du conseil européen de jeudi et vendredi donnent, à ces organisations, la moindre satisfaction.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/280618/les-migrants-paient-le-prix-fort-de-la-cooperation-entre-lue-et-les-garde-

    • Au Niger, l’Europe finance plusieurs projets pour réduire le flux de migrants

      L’Union européenne a invité des entreprises du vieux continent au Niger afin qu’elles investissent pour améliorer les conditions de vie des habitants. Objectif : réduire le nombre de candidats au départ vers l’Europe.

      Le Niger est un pays stratégique pour les Européens. C’est par là que transitent la plupart des migrants qui veulent rejoindre l’Europe. Pour réduire le flux, l’Union européenne finance depuis 2015 plusieurs projets et veut désormais créer un tissu économique au Niger pour dissuader les candidats au départ. Le président du Parlement européen, Antonio Tajani, était, la semaine dernière dans la capitale nigérienne à Niamey, accompagné d’une trentaine de chefs d’entreprise européens à la recherche d’opportunités d’investissements.
      Baisse du nombre de départ de 90% en deux ans

      Le nombre de migrants qui a quitté le Niger pour rejoindre la Libye avant de tenter la traversée vers l’Europe a été réduit de plus de 90% ces deux dernières années. Notamment grâce aux efforts menés par le gouvernement nigérien avec le soutien de l’Europe pour mieux contrôler la frontière entre le Niger et la Libye. Mais cela ne suffit pas selon le président du Parlement européen, Antonio Tajani. « En 2050, nous aurons deux milliards cinq cents millions d’Africains, nous ne pourrons pas bloquer avec la police et l’armée l’immigration, donc voilà pourquoi il faut intervenir tout de suite ». Selon le président du Parlement européen, il faut donc améliorer les conditions de vie des Nigériens pour les dissuader de venir en Europe.
      Des entreprises françaises vont investir au Niger

      La société française #Sunna_Design, travaille dans le secteur de l’éclairage public solaire et souhaite s’implanter au Niger. Pourtant les difficultés sont nombreuses, notamment la concurrence chinoise, l’insécurité, ou encore la mauvaise gouvernance. Stéphane Redon, le responsable export de l’entreprise, y voit pourtant un bon moyen d’améliorer la vie des habitants. « D’abord la sécurité qui permet à des gens de pouvoir penser à avoir une vie sociale, nocturne, et une activité économique. Et avec ces nouvelles technologies, on aspire à ce que ces projets créent du travail localement, au niveau des installations, de la maintenance, et de la fabrication. »
      Le Niger salue l’initiative

      Pour Mahamadou Issoufou, le président du Niger, l’implantation d’entreprises européennes sur le territoire nigérien est indispensable pour faire face au défi de son pays notamment démographique. Le Niger est le pays avec le taux de natalité le plus élevé au monde, avec huit enfants par femme. « Nous avons tous décidé de nous attaquer aux causes profondes de la migration clandestine, et l’une des causes profondes, c’est la #pauvreté. Il est donc important qu’une lutte énergique soit menée. Certes, il y a les ressources publiques nationales, il y a l’#aide_publique_au_développement, mais tout cela n’est pas suffisant. il faut nécessairement un investissement massif du secteur privé », explique Mahamadou Issoufou. Cette initiative doit être élargie à l’ensemble des pays du Sahel, selon les autorités nigériennes et européennes.

      https://mobile.francetvinfo.fr/replay-radio/en-direct-du-monde/en-direct-du-monde-au-niger-l-europe-finance-plusieurs-projets-p
      #investissements #développement #APD

    • In die Rebellion getrieben

      Die Flüchtlingsabwehr der EU führt zu neuen Spannungen in Niger und droht womöglich gar eine Rebellion im Norden des Landes auszulösen. Wie Berichte aus der Region bestätigen, hat die von Brüssel erzwungene Illegalisierung des traditionellen Migrationsgeschäfts besonders in der Stadt Agadez, dem Tor zur nigrischen Sahara, Zehntausenden die Lebensgrundlage genommen. Großspurig angekündigte Ersatzprogramme der EU haben lediglich einem kleinen Teil der Betroffenen wieder zu einem Job verholfen. Lokale Beobachter warnen, die Bereitschaft zum Aufstand sowie zum Anschluss an Jihadisten nehme zu. Niger ist ohnehin Schauplatz wachsenden jihadistischen Terrors wie auch gesteigerter westlicher „Anti-Terror“-Operationen: Während Berlin und die EU vor allem eine neue Eingreiftruppe der Staatengruppe „G5 Sahel“ fördern - deutsche Soldaten dürfen dabei auch im Niger eingesetzt werden -, haben die Vereinigten Staaten ihre Präsenz in dem Land ausgebaut. Die US-Streitkräfte errichten zur Zeit eine Drohnenbasis in Agadez, die neue Spannungen auslöst.
      Das Ende der Reisefreiheit

      Niger ist für Menschen, die sich aus den Staaten Afrikas südlich der Sahara auf den Weg zum Mittelmeer und weiter nach Europa machen, stets das wohl wichtigste Transitland gewesen. Nach dem Zerfall Libyens im Anschluss an den Krieg des Westens zum Sturz von Muammar al Gaddafi hatten zeitweise drei Viertel aller Flüchtlinge, die von Libyens Küste mit Ziel Italien in See stachen, zuvor das Land durchquert. Als kaum zu vermeidendes Nadelöhr zwischen den dichter besiedelten Gebieten Nigers und der Wüste fungiert die 120.000-Einwohner-Stadt Agadez, von deren Familien bis 2015 rund die Hälfte ihr Einkommen aus der traditionell legalen Migration zog: Niger gehört dem westafrikanischen Staatenbund ECOWAS an, in dem volle Reisefreiheit gilt. Im Jahr 2015 ist die Reisefreiheit in Niger allerdings durch ein Gesetz eingeschränkt worden, das, wie der Innenminister des Landes bestätigt, nachdrücklich von der EU gefordert worden war.[1] Mit seinem Inkrafttreten ist das Migrationsgeschäft in Agadez illegalisiert worden; das hatte zur Folge, dass zahlreiche Einwohner der Stadt ihren Erwerb verloren. Die EU hat zwar Hilfe zugesagt, doch ihre Maßnahmen sind allenfalls ein Tropfen auf den heißen Stein: Von den 7.000 Menschen, die offiziell ihre Arbeit in der nun verbotenen Transitreisebranche aufgaben, hat Brüssel mit einem großspurig aufgelegten, acht Millionen Euro umfassenden Programm weniger als 400 in Lohn und Brot gebracht.
      Ohne Lebensgrundlage

      Entsprechend hat sich die Stimmung in Agadez in den vergangenen zwei Jahren systematisch verschlechtert, heißt es in einem aktuellen Bericht über die derzeitige Lage in der Stadt, den das Nachrichtenportal IRIN Ende Juni publiziert hat.[2] Rangiert Niger auf dem Human Development Index der Vereinten Nationen ohnehin auf Platz 187 von 188, so haben die Verdienstmöglichkeiten in Agadez mit dem Ende des legalen Reisegeschäfts nicht nur stark abgenommen; selbst wer mit Hilfe der EU einen neuen Job gefunden hat, verdient meist erheblich weniger als zuvor. Zwar werden weiterhin Flüchtlinge durch die Wüste in Richtung Norden transportiert - jetzt eben illegal -, doch wachsen die Spannungen, und sie drohen bei jeder neuen EU-Maßnahme zur Abriegelung der nigrisch-libyschen Grenze weiter zu steigen. Das Verbot des Migrationsgeschäfts werde auf lange Sicht „die Leute in die Rebellion treiben“, warnt gegenüber IRIN ein Bewohner von Agadez stellvertretend für eine wachsende Zahl weiterer Bürger der Stadt. Als Reiseunternehmer für Flüchtlinge haben vor allem Tuareg gearbeitet, die bereits von 1990 bis 1995, dann erneut im Jahr 2007 einen bewaffneten Aufstand gegen die Regierung in Niamey unternommen hatten. Hinzu kommt laut einem örtlichen Würdenträger, dass die Umtriebe von Jihadisten im Sahel zunehmend als Widerstand begriffen und für jüngere, in wachsendem Maße aufstandsbereite Bewohner der Region Agadez immer häufiger zum Vorbild würden.
      Anti-Terror-Krieg im Sahel

      Jihadisten haben ihre Aktivitäten in Niger in den vergangenen Jahren bereits intensiviert, nicht nur im Südosten des Landes an der Grenze zu Nigeria, wo die nigrischen Streitkräfte im Krieg gegen Boko Haram stehen, sondern inzwischen auch an der Grenze zu Mali, von wo der dort seit 2012 schwelende Krieg immer mehr übergreift. Internationale Medien berichteten erstmals in größerem Umfang darüber, als am 4. Oktober 2017 eine US-Einheit, darunter Angehörige der Spezialtruppe Green Berets, nahe der nigrischen Ortschaft Tongo Tongo unweit der Grenze zu Mali in einen Hinterhalt gerieten und vier von ihnen von Jihadisten, die dem IS-Anführer Abu Bakr al Baghdadi die Treue geschworen hatten, getötet wurden.[3] In der Tat hat die Beobachtung, dass Jihadisten in Niger neuen Zulauf erhalten, die Vereinigten Staaten veranlasst, 800 Militärs in dem Land zu stationieren, die offiziell nigrische Soldaten trainieren, mutmaßlich aber auch Kommandoaktionen durchführen. Darüber hinaus beteiligt sich Niger auf Druck der EU an der Eingreiftruppe der „G5 Sahel“ [4], die im gesamten Sahel - auch in Niger - am Krieg gegen Jihadisten teilnimmt und auf lange Sicht nach Möglichkeit die französischen Kampftruppen der Opération Barkhane ersetzen soll. Um die „G5 Sahel“-Eingreiftruppe jederzeit und überall unterstützen zu können, hat der Bundestag im Frühjahr das Mandat für die deutschen Soldaten, die in die UN-Truppe MINUSMA entsandt werden, auf alle Sahelstaaten ausgedehnt - darunter auch Niger. Deutsche Soldaten sind darüber hinaus bereits am Flughafen der Hauptstadt Niamey stationiert. Der sogenannte Anti-Terror-Krieg des Westens, der in anderen Ländern wegen seiner Brutalität den Jihadisten oft mehr Kämpfer zugeführt als genommen hat, weitet sich zunehmend auf nigrisches Territorium aus.
      Zunehmend gewaltbereit

      Zusätzliche Folgen haben könnte dabei die Tatsache, dass die Vereinigten Staaten gegenwärtig für den Anti-Terror-Krieg eine 110 Millionen US-Dollar teure Drohnenbasis errichten - am Flughafen Agadez. Niger scheint sich damit dauerhaft zum zweitwichtigsten afrikanischen Standort von US-Truppen nach Djibouti mit seinem strategisch bedeutenden Hafen zu entwickeln. Washington errichtet die Drohnenbasis, obwohl eine vorab durchgeführte Umfrage des U.S. Africa Command und des State Department ergeben hat, dass die Bevölkerung die US-Militäraktivitäten im Land zunehmend kritisch sieht und eine starke Minderheit Gewalt gegen Personen oder Organisationen aus Europa und Nordamerika für legitim hält.[5] Mittlerweile dürfen sich, wie berichtet wird, US-Botschaftsangehörige außerhalb der Hauptstadt Niamey nur noch in Konvois in Begleitung von nigrischem Sicherheitspersonal bewegen. Die Drohnenbasis, die ohne die von der nigrischen Verfassung vorgesehene Zustimmung des Parlaments errichtet wird und daher mutmaßlich illegal ist, droht den Unmut noch weiter zu verschärfen. Beobachter halten es für nicht unwahrscheinlich, dass sie Angriffe auf sich zieht - und damit Niger noch weiter destabilisiert.[6]
      Flüchtlingslager

      Hinzu kommt, dass die EU Niger in zunehmendem Maß als Plattform nutzt, um Flüchtlinge, die in libyschen Lagern interniert waren, unterzubringen, bevor sie entweder in die EU geflogen oder in ihre Herkunftsländer abgeschoben werden. Allein von Ende November bis Mitte Mai sind 1.152 Flüchtlinge aus Libyen nach Niger gebracht worden; dazu wurden 17 „Transitzentren“ in Niamey, sechs in Agadez eingerichtet. Niger gilt inzwischen außerdem als möglicher Standort für die EU-"Ausschiffungsplattformen" [7] - Lager, in die Flüchtlinge verlegt werden sollen, die auf dem Mittelmeer beim Versuch, nach Europa zu reisen, aufgegriffen wurden. Damit erhielte Niger einen weiteren potenziellen Destabilisierungsfaktor - im Auftrag und unter dem Druck der EU. Ob und, wenn ja, wie das Land die durch all dies drohenden Erschütterungen überstehen wird, das ist völlig ungewiss.

      [1], [2] Eric Reidy: Destination Europe: Frustration. irinnews.org 28.06.2018.

      [3] Eric Schmitt: 3 Special Forces Troops Killed and 2 Are Wounded in an Ambush in Niger. nytimes.com 04.10.2017.[4] S. dazu Die Militarisierung des Sahel (IV).

      [5] Nick Turse: U.S. Military Surveys Found Local Distrust in Niger. Then the Air Force Built a $100 Million Drone Base. theintercept.com 03.07.2018.

      [6] Joe Penney: A Massive U.S. Drone Base Could Destabilize Niger - And May Even Be Illegal Under its Constitution. theintercept.com 18.02.2018.

      [7] S. dazu Libysche Lager.

      https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/7673

      –-> Commentaire reçu via la mailing-list Migreurop :

      La politique d’externalisation de l’UE crée de nouvelles tensions au Niger et risque de déclencher une rebellion dans le nord du pays. Plusieurs rapports de la région confirment que le fait que Bruxelle ait rendu illégal la migration traditionnelle et de fait détruit l’économie qui tournait autour, particulièrement dans la ville d’Agadez, porte d’entrée du Sahara nigérien, a privé de revenus des dizaines de milliers de personnes. Les programmes de développement annoncés par l’UE n’ont pu aider qu’une infime partie de ceux qui ont été affectés par la mesure. Les observateurs locaux constatent que une augmentation des volontés à se rebeller et/ou à rejoindre les djihadistes. Le Niger est déja la scène d’attaques terroristes djihadistes ainsi que d’opérations occidentales « anti-terreur » : alors que Berlin et l’UE soutiennent une intervention des forces du G5 Sahel - les soldats allemands pourraient être déployés au Niger - les Etats Unis ont étendu leur présence sur le territoire. Les forces US sont en train de construire une base de #drones à Agadez, ce qui a déclenché de nouvelles tensions.

      #déstabilisation

    • Libya: EU’s patchwork policy has failed to protect the human rights of refugees and migrants

      A year after the emergence of shocking footage of migrants apparently being sold as merchandise in Libya prompted frantic deliberations over the EU’s migration policy, a series of quick fixes and promises has not improved the situation for refugees and migrants, Amnesty International said today. In fact, conditions for refugees and migrants have largely deteriorated over the past year and armed clashes in Tripoli that took place between August and September this year have only exacerbated the situation further.

      https://www.amnesty.org/en/documents/mde19/9391/2018/en
      #droits_humains

      Pour télécharger le rapport:
      https://www.amnesty.org/download/Documents/MDE1993912018ENGLISH.pdf

    • New #LNCG Training module in Croatia

      A new training module in favour of Libyan Coastguard and Navy started in Split (Croatia) on November the 12.
      Last Monday, November the 12th, a new training module managed by operation Sophia and focused on “Ship’s Divers Basic Course” was launched in the Croatian Navy Training Centre in Split (Croatia).

      The trainees had been selected by the competent Libyan authorities and underwent a thorough vetting process carried out in different phases by EUNAVFOR Med, security agencies of EU Member States participating in the Operation and international organizations.

      After the accurate vetting process, including all the necessary medical checks for this specific activity, 5 Libyan military personnel were admitted to start the course.

      The course, hosted by the Croatian Navy, will last 5 weeks, and it will provide knowledge and training in diving procedures, specifically related techniques and lessons focused on Human Rights, Basic First Aid and Gender Policy.

      The end of the course is scheduled for the 14 of December 2018.

      Additionally, with the positive conclusion of this course, the threshold of more than 300 Libyan Coastguard and Navy personnel trained by #EUNAVFOR_Med will be reached.

      EUNAVFOR MED Operation Sophia continues at sea its operation focused on disrupting the business model of migrant smugglers and human traffickers, contributing to EU efforts for the return of stability and security in Libya and the training and capacity building of the Libyan Navy and Coastguard.


      https://www.operationsophia.eu/new-lncg-training-module-in-croatia

    • EU Council adopts decision expanding EUBAM Libya’s mandate to include actively supporting Libyan authorities in disrupting networks involved in smuggling migrants, human trafficking and terrorism

      The Council adopted a decision mandating the #EU_integrated_border_management_assistance_mission in Libya (#EUBAM_Libya) to actively support the Libyan authorities in contributing to efforts to disrupt organised criminal networks involved in smuggling migrants, human trafficking and terrorism. The mission was previously mandated to plan for a future EU civilian mission while engaging with the Libyan authorities.

      The mission’s revised mandate will run until 30 June 2020. The Council also allocated a budget of € 61.6 million for the period from 1 January 2019 to 30 June 2020.

      In order to achieve its objectives EUBAM Libya provides capacity-building in the areas of border management, law enforcement and criminal justice. The mission advises the Libyan authorities on the development of a national integrated border management strategy and supports capacity building, strategic planning and coordination among relevant Libyan authorities. The mission will also manage as well as coordinate projects related to its mandate.

      EUBAM Libya responds to a request by the Libyan authorities and is part of the EU’s comprehensive approach to support the transition to a democratic, stable and prosperous Libya. The civilian mission co-operates closely with, and contributes to, the efforts of the United Nations Support Mission in Libya.

      The mission’s headquarters are located in Tripoli and the Head of Mission is Vincenzo Tagliaferri (from Italy). EUBAM Libya.

      https://migrantsatsea.org/2018/12/18/eu-council-adopts-decision-expanding-eubam-libyas-mandate-to-include-

      EUBAM Libya :
      Mission de l’UE d’assistance aux frontières (EUBAM) en Libye


      https://eeas.europa.eu/csdp-missions-operations/eubam-libya_fr

    • Comment l’UE a fermé la route migratoire entre la Libye et l’Italie

      Les Européens coopèrent avec un Etat failli, malgré les mises en garde sur le sort des migrants dans le pays

      L’une des principales voies d’entrée en Europe s’est tarie. Un peu plus de 1 100 personnes migrantes sont arrivées en Italie et à Malte par la mer Méditerranée sur les cinq premiers mois de l’année. Un chiffre en fort recul, comparé aux 650 000 migrants qui ont emprunté cette voie maritime ces cinq dernières années. Le résultat, notamment, d’une coopération intense entre l’Union européenne, ses Etats membres et la Libye.

      En 2014, alors que le pays est plongé dans une guerre civile depuis la chute du régime de Kadhafi, plus de 140 000 migrants quittent ses côtes en direction de l’Italie, contre quelque 42 000 l’année précédente pour toute la rive sud de la Méditerranée centrale. Cette dernière devient, deux ans plus tard, la principale porte d’entrée sur le continent européen.

      Inquiète de cette recrudescence, l’Italie relance en mars 2016 ses relations bilatérales avec la Libye – interrompues depuis la chute de Kadhafi –, à peine le fragile gouvernement d’union nationale (GNA) de Faïez Sarraj installé à Tripoli sous l’égide de l’ONU. Emboîtant le pas à Rome, l’UE modifie le mandat de son opération militaire « Sophia ». Jusque-là cantonnée à la lutte contre le trafic de migrants en Méditerranée, celle-ci doit désormais accompagner le rétablissement et la montée en puissance des gardes-côtes libyens.

      Dans cette optique, dès juillet 2016, l’UE mandate les gardes-côtes italiens pour « assumer une responsabilité de premier plan » dans le projet de mise en place d’un centre de coordination de sauvetage maritime (MRCC) à Tripoli et d’une zone de sauvetage à responsabilité libyenne dans les eaux internationales. C’est une étape majeure dans le changement du paysage en Méditerranée centrale. Jusque-là, compte tenu de la défaillance de Tripoli, la coordination des sauvetages au large de la Libye était assumée par le MRCC de Rome. Les migrants secourus étaient donc ramenés sur la rive européenne de la Méditerranée. Si Tripoli prend la main sur ces opérations, alors ses gardes-côtes ramèneront les migrants en Libye, même ceux interceptés dans les eaux internationales. Une manière de « contourner l’interdiction en droit international de refouler un réfugié vers un pays où sa vie ou sa liberté sont menacées », résume Hassiba Hadj-Sahraoui, conseillère aux affaires humanitaires de Médecins sans frontières (MSF).

      Les premières formations de gardes-côtes débutent en octobre 2016, et les agences de l’ONU sont mises à contribution pour sensibiliser les personnels au respect des droits de l’homme. « C’est difficile d’en mesurer l’impact, mais nous pensons que notre présence limite les risques pour les réfugiés », estime Roberto Mignone, l’ancien représentant du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés en Libye.

      Au sein de l’UE, tous les outils sont mobilisés. Même les équipes du Bureau européen d’appui à l’asile sont sollicitées. Un fonctionnaire européen se souvient du malaise en interne. « Le Conseil a fait pression pour nous faire participer, rapporte-t-il. On n’était clairement pas emballés. C’était nous compromettre un peu aussi dans ce qui ressemble à une relation de sous-traitance et à un blanc-seing donné à des pratiques problématiques. »
      Le travail des ONG entravé

      Le pays est alors dans une situation chaotique, et les migrants en particulier y encourent de graves violences telles que le travail forcé, l’exploitation sexuelle, le racket et la torture.

      Mais l’Europe poursuit son plan et continue de s’appuyer sur l’Italie. Le 2 février 2017, le gouvernement de gauche de Paolo Gentiloni (Parti démocrate) réactive un traité d’amitié de 2008 entre Rome et Tripoli, avec l’approbation du Conseil européen dès le lendemain. Des moyens du Fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique sont fléchés vers les enjeux migratoires en Libye – 338 millions d’euros jusqu’à aujourd’hui –, bien que l’Union fasse état de « préoccupations sur une collusion possible entre les bénéficiaires de l’action et les activités de contrebande et de traite ».

      A cette époque, les Nations unies dénoncent l’implication des gardes-côtes de Zaouïa (à 50 km à l’ouest de Tripoli) dans le trafic de migrants. En mai 2017, Marco Minniti, ministre italien de l’intérieur (Parti démocrate), remet quatre bateaux patrouilleurs à la Libye. Trois mois plus tard, Tripoli déclare auprès de l’Organisation maritime internationale (OMI) qu’elle devient compétente pour coordonner les sauvetages jusqu’à 94 milles nautiques au large de ses côtes.

      Le travail des ONG, lui, est de plus en plus entravé par l’Italie, qui les accuse de collaborer avec les passeurs et leur impose un « code de conduite ». S’ensuivront des saisies de bateaux, des retraits de pavillon et autres procédures judiciaires. L’immense majorité d’entre elles vont jeter l’éponge.

      Un tournant s’opère en Méditerranée centrale. Les gardes-côtes libyens deviennent à l’automne 2017 les premiers acteurs du sauvetage dans la zone. Ils ramènent cette année-là 18 900 migrants sur leur rive, presque quarante fois plus qu’en 2015.

      Leur autonomie semble pourtant toute relative. C’est Rome qui transmet à Tripoli « la majorité des appels de détresse », note un rapport de l’ONU. C’est Rome encore qui dépose en décembre 2017, auprès de l’OMI, le projet de centre libyen de coordination des sauvetages maritimes financé par la Commission européenne. Un bilan d’étape interne à l’opération « Sophia », de mars 2018, décrit d’ailleurs l’impréparation de Tripoli à assumer seule ses nouvelles responsabilités. La salle d’opération depuis laquelle les sauvetages doivent être coordonnés se trouve dans « une situation infrastructurelle critique »liée à des défauts d’électricité, de connexion Internet, de téléphones et d’ordinateurs. Les personnels ne parlent pas anglais.

      Un sauvetage, le 6 novembre 2017, illustre le dangereux imbroglio que deviennent les opérations de secours. Ce jour-là, dans les eaux internationales, à 30 milles nautiques au nord de Tripoli, au moins 20 personnes seraient mortes. Une plainte a depuis été déposée contre l’Italie devant la Cour européenne des droits de l’homme. Des rescapés accusent Rome de s’être défaussé sur les gardes-côtes libyens.« Un appel de détresse avait été envoyé à tous les bateaux par le MRCC Rome, relate Violeta Moreno-Lax, juriste qui a participé au recours. L’ONG allemande Sea-Watch est arrivée sur place quelques minutes après les gardes-côtes libyens. C’est Rome qui a demandé aux Libyens d’intervenir et à Sea-Watch de rester éloignée. »

      Les gardes-côtes présents – certains formés par l’UE – n’ont alors ni gilets ni canot de sauvetage. Sur les vidéos de l’événement, on peut voir l’embarcation des migrants se coincer sous la coque de leur patrouilleur. Des gens tombent à l’eau et se noient. On entend aussi les Libyens menacer l’équipage du Sea-Watch de représailles, puis quitter les lieux en charriant dans l’eau un migrant accroché à une échelle.

      Tout en ayant connaissance de ce drame, et bien qu’elle reconnaisse un suivi très limité du travail des gardes-côtes en mer, la force navale « Sophia » se félicite, dans son bilan d’étape de mars 2018, du « modèle opérationnel durable » qu’elle finance.

      L’année 2018 confirme le succès de cette stratégie. Les arrivées en Italie ont chuté de 80 %, ce qui n’empêche pas le ministre de l’intérieur, Matteo Salvini (extrême droite), d’annoncer à l’été la fermeture de ses ports aux navires humanitaires.
      « Esclavage » et « torture »

      L’ONU rappelle régulièrement que la Libye ne doit pas être considérée comme un « port sûr » pour débarquer les migrants interceptés en mer. Les personnes en situation irrégulière y sont systématiquement placées en détention, dans des centres sous la responsabilité du gouvernement où de nombreux abus sont documentés, tels que des « exécutions extrajudiciaires, l’esclavage, les actes de torture, les viols, le trafic d’être humains et la sous-alimentation ».

      La dangerosité des traversées, elle, a explosé : le taux de mortalité sur la route de la Méditerranée centrale est passé de 2,6 % en 2017 à 13,8 % en 2019.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/05/07/comment-l-ue-a-ferme-la-route-entre-la-libye-et-l-italie_5459242_3210.html

  • L’Autorité palestinienne demande une enquête de la Cour pénale internationale sur Israël
    LE MONDE | 22.05.2018 à 13h51 • Mis à jour le 23.05.2018 à 06h41 | Par Stéphanie Maupas (La Haye, correspondance)
    https://www.lemonde.fr/proche-orient/article/2018/05/22/gaza-les-palestiniens-demandent-une-enquete-de-la-cour-penale-internationale

    Le conflit israélo-palestinien portera dans les prochains jours un numéro de dossier devant la Cour pénale internationale (CPI). Mardi 22 mai au matin, le ministre palestinien des affaires étrangères, Riyad Al-Maliki, a officiellement référé à l’instance les crimes de guerre et les crimes contre l’humanité, dont l’apartheid, commis par « le gouvernement d’Israël ou ses agents », et il a demandé à la procureure, la Gambienne Fatou Bensouda, l’ouverture « immédiate » d’une enquête.

    Cette décision, dont Ramallah menaçait Tel-Aviv depuis plus de trois ans, a immédiatement été qualifiée de « cynique et sans validité juridique » par le ministère israélien des affaires étrangères. Israël n’a pas ratifié le traité de la CPI, et estime que cette dernière n’a dès lors « pas autorité sur la question israélo-palestinienne ». D’autant que, ajoute Tel-Aviv dans un communiqué, « l’Autorité palestinienne n’est pas un Etat ». (...)

  • « Qui sait, Bachar sera peut-être jugé un jour ? »

    Alors que le régime de Damas redouble d’atrocités, magistrats et ONG instruisent – en secret parfois – les crimes du régime. « La Croix » a rencontré les acteurs de cette #traque hors norme, menée du nord de l’Europe au cœur de la Syrie.


    https://services.la-croix.com/webdocs/pages/longform_Syrie/index.html
    #crimes #Bachal_al-Assad #Syrie #Cour_pénale_internationale (#CPI) #justice

    • Je suis en train de lire le livre de #Gabriele_Del_Grande sur la naissance de l’#Etat_islamique (#EI #daesh)...
      Il a interviewé des dizaines de personnes et décidé de raconter l’histoire de quatre combattants de l’Etat islamique : des biographies passionnantes, des parcours de vie tourmentés, des corps qui sont souvent passés par des mois de #torture subie dans les prisons du #régime_syrien. Un livre nécessaire (j’en suis à la page 100 de 600), mais qui fait très très mal.

      #Dawla

      Dawla in arabo significa Stato ed è uno dei modi in cui gli affiliati dello Stato islamico chiamano la propria organizzazione. Gabriele Del Grande è andato a incontrarli in un avventuroso viaggio partito nel Kurdistan iracheno e terminato con il suo arresto in Turchia. Questo libro è il racconto delle loro storie intrecciate alla storia più grande dell’ascesa e della caduta dello Stato islamico.

      Un racconto che parte nel 2005 nei sotterranei del carcere di massima sicurezza di Saydnaya, in Siria, e che passa per la rivoluzione fallita del 2011, la guerra per procura contro al-Asad, il ritorno del Califfato e gli attentati che hanno sconvolto l’Europa.

      Senza mai cedere ai toni della saggistica, Del Grande mette in scena una galleria di personaggi le cui vicende si snodano in un intreccio di storytelling e geopolitica. Un manifestante siriano spinto da un’autentica sete di giustizia a prendere le armi e che, davanti alla corruzione dell’Esercito Libero, sceglie di arruolarsi nel Dawla, dove farà carriera come agente dei servizi segreti interni ed emiro della polizia morale, hisba. Un hacker giordano in fissa con l’esoterismo giunto in Siria seguendo le profezie sulla fine del mondo e finito nel braccio dei condannati a morte in una prigione segreta del Dawla. E un avventuriero iracheno ingaggiato da un ex colonnello dell’Anbar che grazie alla propria intraprendenza si addentrerà nel livello più oscuro dei servizi segreti del Dawla, quello responsabile della pianificazione degli attentati in Europa.

      Asciutto e spietato come una tragedia classica, avvincente come un action movie, questo libro straordinario ci racconta storie forti, piene di colpi di scena, avventure, sentimenti, rabbia, amore, vita, morte, punti di vista opposti sulla guerra e sul mondo.

      Dawla nasce da un progetto di crowdfunding che ha avuto un appoggio appassionato e generoso da parte dei sostenitori di Del Grande, qui impegnato ad affrontare con la massima competenza e un piglio narrativo eccezionale lo scomodo punto di vista dei carnefici. “Non per giustificare, non per umanizzare. Ma unicamente per raccontare e, attraverso una storia, cercare una risposta, ammesso che ve ne sia una, a quell’antica domanda sulla banalità del male che da sempre riecheggia nelle nostre teste dopo ogni guerra.”

      https://www.librimondadori.it/libri/dawla-gabriele-del-grande
      #livre

  • La #Cour_Pénale_Internationale pourrait enquêter sur les crimes de guerre américains
    https://reflets.info/la-cour-penale-internationale-pourrait-enqueter-sur-les-crimes-de-guerre-a

    Voilà une information qui a reçu moins de couverture médiatique en France que les macronneries, les mélenchonneries ou autres vicissitudes de la télé réalité. Et pourtant… Pour tous ceux qui ont contemplé le concept de […]

    #Monde #Société #Afghanistan #CIA #Condoleezza_Rice #CPI #Dick_Cheney #Donald_Rumsfeld #Etats-Unis #Fatou_Bensouda #George_Bush #George_Tenet #John_Ashcroft

  • #Angelina_Jolie, Omidyar et le #Qatar : le cabinet caché du procureur #Ocampo
    https://www.mediapart.fr/journal/international/061017/angelina-jolie-omidyar-et-le-qatar-le-cabinet-cache-du-procureur-ocampo

    Le procureur #Luis_Moreno_Ocampo et l’actrice Angelina Jolie, le 13 février 2012. © Fabrizio Bensch/Reuters Angelina Jolie, #George_Clooney, #Pierre_Omidyar – fondateur d’eBay –, le Qatar… Au cours de son mandat, le premier procureur de la #Cour_pénale_internationale, Luis Moreno Ocampo, a laissé Hollywood, la Silicon Valley et certains États utiliser la #CPI pour nourrir leur propre vision du monde. Au risque de gager l’indépendance de la Cour.

    #International #Bensouda #ICC #justice_internationale #Pamela_Omidyar

  • Human Rights Watch : « La #CPI a appris des échecs du passé »
    https://www.mediapart.fr/journal/international/061017/human-rights-watch-la-cpi-appris-des-echecs-du-passe

    Ken Roth © HRW Les récentes révélations de Mediapart et de l’EIC sur la #Cour_pénale_internationale (CPI) affaiblissent une institution déjà vivement critiquée. Mais le directeur de l’ONG Human Rights Watch, Ken Roth, continue de défendre « le seul outil » à même d’empêcher une impunité totale.

    #International #Fatou_Bensouda #justice_internationale #Les_secrets_de_la_Cour #Luis_Moreno_Ocampo

  • « Les Secrets de la Cour » : la CPI ouvre une enquête après les révélations de Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/international/061017/les-secrets-de-la-cour-la-cpi-ouvre-une-enquete-apres-les-revelations-de-m

    Luis Moreno Ocampo et #Fatou_Bensouda, procureurs de la CPI, en juin 2012, à La Haye. © Reuters La #Cour_pénale_internationale a annoncé l’ouverture d’une enquête interne, affirmant prendre « très au sérieux » les informations mises au jour par Mediapart et l’EIC sur une série de dysfonctionnements majeurs : pratiques offshore, dossiers manipulés, conflits d’intérêts… « L’inquiétude me gagne », confie la procureure en poste, Fatou Bensouda.

    #International #Florence_Olara #Jennifer_Schense #Les_secrets_de_la_Cour #Luis_Moreno_Ocampo