Tiré du #livre «#Lager italiani» de Marco ROVELLI
sur les #Centres_de_Permanence_Temporaire (#CPT), en #Italie
«Perché ci sono buchi dello spirito che si vorrebbero dimenticare più in fretta possibile, non si possono ricucire, e solo l’oblio può fare da cicatrice: vorremmo cancellare ciò che ci ha fatto male, e che continua a farci male a parlarne. Ma nessuno di loro si è rifiutato di parlarne, tutti quanti hanno voluto dare un nome a quel vuoto che li ha inghiottiti per un tempo privo di forma»
Stefca Stefanova, «Voci salvate (come un’introduzione)», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.11.
«Il centro di detenzione di Vincennes è nel cuore di un bosco. Nascosto, separato, invisibile. […] Il rifiuto, e in generale degli europei, di voler prendere su di sé lo sguardo dell’altro. Il rifiuto di voler guardare. La scelta di dormire. E per una di quelle astuzie della storia piene di senso, è proprio a Vincennes che venivano imprigionati i militanti del Fronte di Liberazione Nazionale di Algeria»
Alì, «Prima profezia», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.28.
«Il luogo di passaggio tra il dentro e il fuori è il nulla di un campo. CPT, si chiama, centro di permanenza temporanea, ma Abdelali non conosce ancora così bene l’italiano da far notare l’incongruenza dell’espressione alla legge che lo costudisce».
Abdelali, «Il rovescio del sangue», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.41.
«’Ti assicuro – dice Jihad. Ti assicuro che stare in un CPT è stata l’esperienza forse più traumatica di tutto il moi percorso di vita. Perché ti trovi con delle persone che non hanno un futuro. Chi finisce nel CPT è una persona annullata. Tu non esisti, è questo ciò che tutto intorno, ripete fino ad assordare»
Non più esistenza. Non più tempo. Non più dimensioni. Solo un grande vuoto, senza orizzonte, senza prospettiva. E senza la prospettiva, lo sguardo non vede nulla. ’Si st anel buio totale’, dice Jihad. Nel buio totale lo sguardo si sforza, ma per quanto si sforzi continua a non vedere nulla, l’unico risultato è che i nervi si tendono, e a un certo momento si spezzano"
Jihad, «L’umano cagnesco», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.53.
«In carcere, del resto, è così: lì un futuro ce l’hai, lo spazio che ti è toccato è in qualche misura tua, e lo curi. In un CPT, invece, in un posto dove si è tutte persone provvisorie, persone provvisoriamente annullate, si tende a lasciarsi andare, e questo non è sano»
Jihad, «L’umano cagnesco», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.54.
«Annullati. Fino al riconoscimento stesso del proprio essere. In carcere, almeno, qualche diritto lo si detiene. Per quanto la pena sia lunga, per quanto il carcere sia un carnaio, non si cessa di essere una persona. Dire che qualcuno è una persona equivale a dire che ha dei diritti. Ma in un CPT, sebbene si sia detenuti peggio che in carcere, non si ha diritto neppure a dirsi detenuti. Il giudice e la guardia si sentono offesi, se tu dici di essere un detenuto. Non sei un detenuto, ti dicono sei un ospite. Tienilo bene a mente, tu sei un ospite. Qui sei trattenuto, non sei ristretto. Non è possibile essere presi, catturati, vinti più di così. Privati perfino del riconoscimento della cattura»
Jihad, «L’umano cagnesco», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.54.
«La cella di Samir diventa una stanza di preghiera, la moschea provvisoria. C’è il posto per la devozione, il Corano per essere recitato insieme a Rashid, che quando arriva nel centro occupa il letto libero accanto a Samir, e si fanno amici. E’ lì che Samir attende, e lì fa tre scioperi della fame per protestare contro la condizione di detenzione. Scioperano tutti, anche se sono scioperi brevi, di un giorno, il giorno dopo si riprende a mangiare, non si vedono sbocchi a quelle lotte. Una volta si sciopera perché quando si mangia viene sonno, cosa può essere se non il sedativo che mettono dentro al cibo. Già in infermeria le gocce si danno a valanga, vai dal medico, gli dici ’ho il mal di testa’. ’Prendi le gocce’, ti dice. Così tutti mettono il mangiare fuori dalla sezione, ’non vogliamo mangiare questa roba’, e arriva uno della Croce rossa, ’è normale – dice. Anch’io quando mangio mi viene sonno’. Ci sarebbe da ridere. ’Scusa – gli dice Samir. Non è mica la prima volta nella vit ache mangiamo, prima di entrare qui dentro mangiavo e non mi veniva sonno…’».
Samir, «Lo strappo del Corano», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.65-66.
«Quando fai un viaggio, prova a lasciare il portafoglio a casa, vai a vivere come una persona clandestin ache non ha casa. Devi fare questo prima di giudicare»
Samir, «Lo strappo del Corano», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.73.
«Fatawu aspetta. Non ha un lavoro. Va a scuola, ma impara poco, non riesce a concentrarsi. ’Ho la mente piena di problemi – dice. Non mi ci entra niente»
Fatawu, «Exodus», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.109.
«E pure, Jamal vede sempre il lato in luce delle cose. ’Il centro di accoglienza di Crotone era un posto veramente meraviglioso’, dice contro ogni tua aspettativa. Ti delude, Jamal. Ti attendevi parole aspre. E scopri, invece, che anche tu sei preso nel gioco di ruolo infernale in cui le parti principali sono quelle del carnefice, anche se ti disponi al tradimento – attendi dalla vittima che adempia al ruolo di vittima. Che invece la vittima trovi in sé la forza vitale di gioire pur nella tragedia – questo rimane escluso dal tuo orizzonte sacrificale. Jamal ti fa fare un passo nella tragedia: e ti offre il modo di sfuggire al gioco di ruolo. Jamal ha una forza vitale che tu non hai – ed è lui che si sporge a te, adesso»
Jamal, «Lo specchio della fortuna», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.137.
"’Quando loro mi danno il permesso, da questo momento è la partenza, è come se fossi venuto dal Marocco adesso’.
La partenza. Ancora Jamal non è partito. Sono quattro anni che vive prima dell’inizio. Fa cose, lavora, si muove, ma ancora deve iniziare. Vive in un tempo sospeso, un tempo che non scorre, un tempo che non è davvero tempo. C’è solo la misura del suo travaglio, nella sua storia, nessun tempo. Il tempo inizierà solo quando gli daranno il permesso di soggiorno. ’Da questo momento – dice – comincia la partenza’. Comincia. La partenza. Da questo momento, dice non dice da quel momento, ché il momento della partenza lo vede sempre davanti a sé, ce l’ha sempre presente come ossessione, senza mai saperlo afferrare. ’La partenza comincia quando mi danno il permesso – dice – allora sei regolare’. Regolare è lo stato in cui si troverà nell’istante successivo alla partenza. ’Regolare – è una cosa… - una persona… una persona, come dicono loro, positiva. Sennò sempre trovi qualcuno che ti rompe l’anima, o qualcosa…’.
Jamal, «Lo specchio della fortuna», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.142.
«Il clandestino è l’ebreo di oggi. Egli è ridotto a ’sotto uomo’ prima dalla sinistra cultura retorica ’securitaria’, poi da una legge fascista che lo dichiara criminale per il solo fatto di essere ciò che è, un essere umano che ha fame e cerca futuro per sé e i suoi cari e che per questo viene privato di qualsivoglia status, sottoposto alla violenza della reclusione, sottratto alle tutele minime che spettano a un essere umano per diritto di nascita. Una volta sepolto in uno spazio di eccezione, il clandestino è alla mercé di arbitrii, percosse, torture, privazioni, abusi sessuali. Il suo ’rimpatrio’ lo sottopone a ulteriori brutali abusi e talora al rischio reale di perdere la vit anel modo più atroce».
Moni OVADIA, «Il nazismo che è in noi», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, pp.282-283.
#sans-papiers #migration #renvoi #expulsion #détention #rétention