• GRAIN | S’offrir des terres du Niger pour des crédits carbone : le nouveau greenwashing qui prend de l’ampleur en Afrique
    https://grain.org/fr/article/6906-s-offrir-des-terres-du-niger-pour-des-credits-carbone-le-nouveau-greenwa

    En effet, une nouvelle entreprise basée aux États-Unis et répondant au doux nom d’African Agriculture Inc vient de signer une série d’accords lui donnant accès à plus de deux millions d’hectares de #terres au #Niger pour la production et la vente de #crédits_carbone. L’idée consiste à planter des arbres qui fixeront du carbone atmosphérique dans le sol, et de vendre ensuite ces crédits positifs à des #entreprises_polluantes, pour qu’elles aient un bilan soi-disant moins catastrophique. En théorie ! Cela s’appelle l’ « #agriculture_carbone ». Et elle s’ajoute à la longue liste de fausses solutions comme l’ « agriculture intelligente face au climat » et les « solutions basées sur la nature », autant de beaux noms pour tromper l’opinion. Il s’agit en réalité pour de nombreuses entreprises de créer de nouvelles sources de #profit, en utilisant la crise climatique comme tremplin.

  • Économie circulaire : le Club de la durabilité alerte sur certains effets négatifs et contreproductifs
    https://www.actu-environnement.com/ae/news/economie-circulaire-club-durabilite-effets-positifs-negatifs-406

    Quand le reconditionnement se nourrit de surconsommation

    L’Agence de la transition écologique (Ademe) a montré qu’un téléphone mobile reconditionné permet de réduire de 91 à 77 % l’impact environnemental annuel de cet équipement, par rapport à un neuf. Ainsi, l’emploi de 82 kg de matières premières et l’émission de 25 kg de gaz à effet de serre (GES) peuvent être évités par année d’utilisation. Le rapport présente cependant plusieurs effets contreproductifs.

    En matière de surconsommation, tout d’abord. « Back Market indique que la collecte en France et en Europe auprès des consommateurs et des entreprises est aujourd’hui très insuffisante pour répondre à la demande et qu’il est indispensable d’importer des équipements en fin de vie à reconditionner en France ou déjà reconditionnés dans d’autres pays », explique le rapport. Et de préciser que la place de marché estime que près de la moitié des téléphones reconditionnés vendus en France proviennent d’Amérique. Pourquoi l’Amérique ? Parce que le modèle économique du crédit-bail de courte durée avec renouvellement annuel du mobile se répand outre-Atlantique.

  • La grande subvention : Le capitalisme français sous perfusion
    https://www.frustrationmagazine.fr/subvention-capitalisme

    Le thème est bien connu : dans notre pays, il y aurait d’un côté les « entrepreneurs » du secteur privé qui ne comptent pas leurs heures pour « créer des richesses » et des emplois, ne devant leurs revenus qu’à la force de leur travail, et de l’autre les fonctionnaires, fardeau budgétaire terrible pour […]

  • Gli affari dei “campioni italiani” con il regime di #al-Sisi in Egitto

    #Eni, #Snam, #Intesa_Sanpaolo e #Sace hanno stretto in questi anni rapporti proficui con il governo del Cairo, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani. Nemmeno l’omicidio di Giulio Regeni ha segnato un punto di svolta nella fossile “campagna d’Egitto”. Il dettagliato report di ReCommon (https://www.recommon.org) in occasione della Cop27 sul clima.

    Perché Eni ha continuato ad aumentare i propri investimenti in Egitto persino dopo che sono emersi possibili legami tra l’assassinio del ricercatore italiano Giulio Regeni e il regime di Abdel Fattah al-Sisi? Qual è stata la destinazione finale degli ingenti finanziamenti che Intesa Sanpaolo ha concesso al ministero della Difesa e al ministero delle Finanze egiziani? Perché l’assicuratore pubblico Sace non ha avuto alcuna remora nel garantire la raffineria di Assiut, nonostante altri attori finanziari fossero preoccupati per le implicazioni reputazionali derivanti proprio dal “caso Regeni”? E perché Snam non pubblica ancora l’elenco completo degli azionisti dell’East mediterranean gas company?

    Sono solo alcune delle domande che ReCommon ha rivolto alle principali aziende e società italiane che hanno stretto in questi anni rapporti proficui con il governo egiziano, accusato di gravi e ripetute violazioni dei diritti umani (su tutte la detenzione di circa 60mila dissidenti politici) e che si rifiuta di collaborare con gli inquirenti italiani nelle indagini sul rapimento, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni. Gli interrogativi, insieme a un’attenta analisi degli interessi economici delle singole realtà, è contenuta nel dossier “La campagna d’Egitto – Gli affari dei ‘campioni’ italiani con il regime di al-Sisi” pubblicato il 7 novembre 2022, all’indomani dell’apertura della 27esima Conferenza della Nazioni Unite sul clima (Cop27) che si svolge a Sharm el-Sheikh. Un documento preciso e dettagliato da cui emerge, ancora una volta, come il business prevalga sui diritti umani e sui processi democratici.

    L’Egitto è un punto di investimento centrale per Eni, che lì possiede circa il 20% delle proprie riserve di gas con una produzione annuale di 15 miliardi di metri cubi (pari al 30% del totale dell’azienda e al 60% di quella egiziana) per un utile di 5,2 miliardi di euro in cinque anni, che costituisce circa un terzo degli utili complessivi della divisione “Esplorazione e produzione”.

    Uno snodo chiave negli interessi dell’azienda in Egitto è stata la scoperta ad agosto 2015 del giacimento sottomarino “Zohr” che, secondo le esplorazioni di Eni, conterebbe circa 850 miliardi di metri cubi di gas: si tratterebbe quindi di una delle maggiori riserve a livello mondiale e la più grande nel Mediterraneo. Con l’omicidio Regeni, rinvenuto il 2 febbraio 2016, le relazioni diplomatiche tra i due Paesi si sono però complicate. “Abbiamo detto chiaramente che noi siamo per i diritti umani, per questo pretendiamo chiarezza assoluta. La vogliamo come italiani e come Eni”, aveva dichiarato Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’azienda, a Il Messaggero il 6 marzo 2016. Ma solo pochi giorni prima, il 21 febbraio, la sua società aveva ottenuto l’assegnazione proprio dell’appalto per il giacimento “Zohr”.

    Secondo ReCommon al centro dei legami tra Eni e il regime di al-Sisi vi sarebbero i debiti accumulati dalle aziende energetiche egiziane nei confronti delle compagnie fossili straniere che nel 2013, anno della presa del potere da parte del generale, avevano raggiunto quota sei miliardi di euro. In particolare Eni era tra le aziende più esposte, con un ammontare di crediti scaduti pari a un miliardo di euro. Nel 2015 l’azienda italiana è riuscita però ad accordarsi con l’Egitto garantendo cinque miliardi di euro in investimenti in cambio di condizioni contrattuali favorevoli che comprendono anche un raddoppio del prezzo del gas che il Paese acquista dall’azienda. “Di lì a poco la società realizzerà la maxi scoperta di ‘Zohr’ e nel giro di qualche anno i debiti contratti dallo Stato egiziano risulteranno azzerati. Non c’è ombra di dubbio che, dal punto di vista degli affari, Eni abbia vinto la sua scommessa, accettando però di legarsi al regime egiziano con un nodo così stretto da non allentarsi neppure di fronte all’uccisione di un cittadino italiano”, ricorda ReCommon. Inoltre grazie ai progetti realizzati da Eni, il regime di al-Sisi è riuscito a conquistarsi un ruolo di primo piano nello scacchiere energetico regionale ed europeo

    Anche Snam, il più grande operatore d’Europa per quanto riguarda il trasporto del gas e che gestisce una rete di 41mila chilometri e una capacità di stoccaggio di 20 miliardi di metri cubi, partecipata dallo Stato italiano, vanta numerosi affari nel Paese nordafricano. L’azienda ha acquistato a dicembre 2021 il 25% della East mediterranean gas company (Emg), proprietaria del gasdotto Arish-Ashkelon che collega Israele ed Egitto, anche noto come “Gasdotto della pace”. Secondo ReCommon tra gli azionisti di Emg vi sarebbero Emed, una società “partecipata dalla israeliana Delek Drilling e dal gruppo statunitense Chevron” e che controlla il 39% di Emg. Secondo le inchieste di ReCommon e della testata investigativa egiziana Mada Masr, Emed avrebbe legami con i vertici dei servizi segreti egiziani.

    “Tutti questi investimenti infrastrutturali vengono attuati grazie agli istituti di credito e alle istituzioni finanziarie. In prima fila c’è Bank of Alexandria, la sussidiaria locale del primo gruppo bancario italiano, Intesa Sanpaolo”, ricorda ReCommon. L’istituto è la quinta banca d’Egitto e conta 1,5 milioni di clienti su 179 filiali. Nel 2006 il governo di Hosni Mubarak aveva venduto per 1,6 miliardi di dollari l’80% delle azioni della banca a Intesa Sanpaolo. Bank of Alexandria, partecipata anche dal governo egiziano, afferma di essere il canale privilegiato degli investimenti italiani nel Paese nordafricano, tra cui il settore oil&gas e quello degli armamenti.

    A garanzia degli investimenti vi è poi Sace, l’assicuratore pubblico italiano controllato dal ministero dell’Economia, che tra il 2016 e il 2021 ha emesso garanzie a progetti oil&gas per un totale di 13,7 miliardi di euro, ponendosi così al terzo posto per il supporto finanziario all’industria fossile dopo le controparti canadesi e statunitensi. In Egitto, Sace ha emesso garanzie per 3,9 miliardi di euro. Tra le infrastrutture supportate dall’istituto vi sono due raffinerie: la Middle East oil refinery (Midor) e l’Assiut oil refinery (Aor), entrambe in capo all’Egyptian general petroleum corporation (Egpc), l’azienda petrolifera di Stato.

    Per realizzare Midor, Sace ha garantito i prestiti di Bnp Paribas, Crédit agricole e Cassa depositi e prestiti (Cdp) per un ammontare di 1,2 miliardi di euro. Mentre per quanto riguarda la raffineria di Assiut, Sace ha agito in modo simile garantendo a febbraio 2022 un supporto finanziario pari a 1,32 miliardi di euro: l’impianto è la più grande raffineria dell’Egitto meridionale e si tratta di un’infrastruttura strategica per al-Sisi che ha presenziato personalmente l’inaugurazione dei lavori il 22 dicembre 2021. Tuttavia secondo le ricostruzioni dei quotidiani StartMag e Milano Finanza (citate nel report di ReCommon) vi sarebbero state delle resistenze all’interno di Cdp in merito al finanziamento della raffineria dovute alla “scarsa sostenibilità ambientale e a imprecisate ‘considerazioni geopolitiche’”.

    La stima di 3,9 miliardi di euro relativa alle garanzie di Sace comprende però solo il supporto alle operazioni classificate di categoria A e B cioè “quei progetti che possono avere ripercussioni ambientali e sociali che vanno da gravi a irreversibili: raffinerie, oleodotti, gasdotti, centrali termoelettriche, petrolchimici, dighe e altre mega-infrastrutture”. Sace, infatti, non è obbligata a riportare le altre categorie di investimento tra cui possono ricadere armamenti come ad esempio l’acquisto di due fregate militari italiane da parte dell’Egitto da Fincantieri nel 2020 per un totale di 1,2 miliardi di euro. L’esposizione storica di Sace al regime del Generale al-Sisi è quindi molto superiore ai 3,9 miliardi di euro dichiarati.

    https://altreconomia.it/gli-affari-dei-campioni-italiani-con-il-regime-di-al-sisi-in-egitto

    #Italie #Egypte #Regeni #Giulio_Regeni #Assiut #pétrole #raffinerie #East_mediterranean_gas_company (#EMG) #droits_humains #Zohr #gaz #énergie #gazduc #gazduc_Arish-Ashkelon #Emed #Delek_Drilling #Chevron #Bank_of_Alexandria #Middle_East_oil_refinery (#Midor) #Assiut_oil_refinery (#Aor) #Egyptian_general_petroleum_corporation (#Egpc) #Bnp_Paribas #Crédit_agricole #Cassa_depositi_e_prestiti (#Cdp) #Fincantieri

  • Le marché du crédit carbone est en croissance Le Devoir - Ian Bickis - La Presse canadienne à Toronto
    Les banques s’intéressent de plus en plus au marché du crédit carbone.

    Ces crédits compensatoires peuvent aussi être utilisés par le nombre croissant d’entreprises qui ont fait voeu de carboneutralité.

    Comme il est encore impossible de réduire complètement les émissions de gaz à effet de serre, les entreprises se fient au crédit carbone afin d’atteindre leur objectif de carboneutralité. Malgré le scepticisme ambiant sur l’efficacité du système, les banques veulent se placer pour un rôle de courtier.


    George Frey Agence France-Presse Comme il est encore impossible de réduire complètement les émissions de gaz à effet de serre, les entreprises se fient au crédit carbone afin d’atteindre leur objectif de carboneutralité.

    Par exemple, la Banque de Montréal a acheté l’été dernier Radicle Group, un développeur de crédits carbone qui aide les organisations à mesurer et à réduire leurs émissions. En septembre, Valeurs Mobilières TD a annoncé la création de l’unité Services-conseils en carbone. L’entreprise a aussi investi 10 millions $ dans le projet Terres boréales piloté par Conservation de la nature Canada.

    « On a assisté au cours de la période s’étendant des derniers 12 à 18 mois à une plus grande intégration du marché du carbone, signale le directeur général des Services-conseils en carbone, Andrew Hall. Nous constatons que sa croissance a été très, très rapide. Je m’attends à ce que cette tendance se poursuive. »

    De son côté, la Banque canadienne impériale de commerce cherche à établir les fondations, avec d’autres institutions bancaires, d’une nouvelle plateforme technologique pour le marché volontaire du carbone nommée Carbonplace.

    La Banque Royale du Canada avait lancé dès 2008 « ses capacités mondiales de négociation de droits d’émission de gaz à effet de serre ». Selon elle, le crédit carbone représente une part importante de toutes les transactions commerciales. Ce marché devrait connaître une forte croissance.

    Le projet Carbonplace couvre une grande variété de projets pouvant aller des cuisinières moins polluantes jusqu’à la préservation des tourbières. La valeur des échanges a dépassé 1 milliard $ US en 2021, un volume modeste comparativement aux systèmes existants, comme celui en place en Europe qui gère plusieurs centaines de milliards de dollars.

    Le marché volontaire du carbone pourrait atteindre 50 milliards $ d’ici 2030, prédit la firme de consultants McKinsey . L’ancien gouverneur de la Banque du Canada, Mark Carney, parlait l’an dernier d’une échelle de 100 milliards $ d’ici la fin de la décennie.

    M. Carney est actuellement envoyé spécial des Nations unies pour le financement de l’action climatique. Il a été l’un des personnages importants derrière la création du groupe de réflexion Taskforce on Scaling Voluntary Carbon Markets en 2020, dont les objectifs étaient de proposer des solutions à l’accroissement de la demande.

    En mars, le groupe a changé son nom pour Integrity Council for the Voluntary Carbon Market. Il porte son attention davantage sur la crédibilité du marché que sur sa croissance.
     
    Selon la Banque Royale, la normalisation sera importante pour renforcer la crédibilité et piloter la croissance. La Banque TD, quant à elle, donne encore sa confiance aux quatre normes de vérification déjà en place depuis des années et en ses propres capacités d’analyser un projet.

    « Nous serons très sélectifs pour déterminer avec qui nous ferons affaire. Nous allons nous assurer d’utiliser les meilleurs registres disponibles », soutient Amy West, directrice générale et cheffe mondiale chez Solutions ESG de Valeurs mobilières TD.

    Elle ajoute que l’institution concentrera ses efforts sur des secteurs qu’elle connaît bien en Amérique du Nord. Elle espère insuffler de la confiance et de la transparence dans le système.

    Des opposants  
    Le concept même de marché volontaire du carbone n’a pas que des partisans.

    « Fondamentalement, cela légitime et autorise l’extraction permanente des carburants fossiles », déplore Kate Ervine, professeure agrégée à l’Université Saint Mary’s en Nouvelle-Écosse.

    Selon elle, les entreprises qui présentent des projets compensatoires ne sont pas nécessairement fiables, notamment sur le plan des résultats financiers ou environnementaux. Ce système d’échange est une source de distraction de ce qui est réellement urgent : une réduction directe des gaz à effet de serre.

    « Les banques qui s’intéressent à ce marché veulent procurer à leurs clients un instrument dont elles pourront tirer profit. Cela n’a rien à voir avec les changements climatiques. »

    Le groupe Greenpeace n’a jamais caché son opposition au marché volontaire. Le responsable canadien de la campagne Nature et alimentation, Shane Moffatt, parle même de « greenwashing » à son sujet. « C’est un obstacle aux réductions des émissions », souligne-t-il.

    Le système ne trouve grâce à ses yeux que si des entreprises de bonne foi font de sérieux efforts de réduction, mais qu’elles sont aux prises avec des problèmes à court terme. Sinon, ce n’est qu’une simple panacée.

    Mais les banques en semblent bien conscientes. Ainsi, l’Alliance bancaire zéro émission nette, qui regroupe de nombreuses institutions internationales et canadiennes, dit que les crédits compensatoires ne doivent être utilisés que dans les endroits où les solutions ne sont pas possibles d’un point de vue technique ou financier.

    Ils ne sont qu’un moyen complémentaire pour atteindre la carboneutralité.

    « On n’atteindra pas la carboneutralité sans les crédits compensatoires de carbone. Ce système ne sera pas efficace tant qu’il ne sera pas mis en place de façon permanente. Il doit être complémentaire, mesurable, vérifiable et transparent », déclare Levent Kahraman, cochef des Marchés mondiaux, chez Marché des capitaux BMO.

    #inflation #taxes #greenwashing #banques #McKinsey #climat #écologie bancaire #changement_climatique #crédit_carbone

    Source : https://www.ledevoir.com/societe/769741/le-marche-du-credit-carbone-est-en-croissance

  • Signature d’un #accord entre la Suisse et Chypre en vue la mise en œuvre de l’#accord-cadre migration

    La conseillère fédérale Karin Keller-Sutter et le ministre chypriote de l’intérieur Nicos Nouris signent un accord bilatéral de mise en œuvre du #crédit-cadre migration. Ce crédit-cadre fait partie de la deuxième contribution de la Suisse en faveur de certains États membres de l’Union européenne

    #Chypre #Suisse #accord_bilatéral #migrations #asile #réfugiés #externalisation

  • Identité numérique : prouve que tu existes
    https://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?article1685

    La Commission européenne prépare son « portefeuille européen d’identité numérique ». Rome et Bologne adoptent le « crédit social numérique » à la chinoise. La digitalisation de l’État et son corollaire, l’identification numérique, progressent dans l’indifférence des Smartiens, à la faveur des phases aigües de la Crise (épidémie, guerre, effondrement écologique). Il aura fallu moins de vingt ans pour que se réalisent nos pires anticipations sur la société de contrainte. Pour les nouveaux venus et les nostalgiques, on a ressorti quelques archives. Te souviens-tu de Libertys ? (Pour lire le texte, ouvrir le document ci-dessous.)

    Lire aussi : – Libertys – Carte d’identité électronique : ce n’est pas du canular – Aujourd’hui le nanomonde #10 – Après l’occupation de la CNIL – Au doigt et à l’œil (...)

    #Nécrotechnologies
    https://www.piecesetmaindoeuvre.com/IMG/pdf/prouve_que_tu_existes.pdf

  • Despite its beautiful Ori games, Moon Studios is called an ’oppressive’ place to work | VentureBeat
    https://venturebeat.com/2022/03/18/despite-its-beautiful-ori-games-moon-studio-is-called-an-oppressive-pla

    Gaming fans know Moon Studios for its amazing Ori games with beautiful art and emotional stories. But a number of current and former employees consider the Ori studio an oppressive place to work. That is according to GamesBeat’s interviews with Moon developers.

    Franciska Csongrady sur Twitter :
    https://twitter.com/TigrMoth/status/1505276733771112449

    I worked at Moon Studios for two years. I was the only woman on the story team. I struggle to find the words to express what a soul-destroying experience it was to work with the heads of the studio, Thomas and Gennadiy.

    The whole studio is built on the lie that Quality justifies everything. Verbal abuse. Crunch. Public humiliation. But it just wears you down, and burns you out. Burnt out people do not produce quality.

    Anything good that you had made before they had killed your creative spark was used to lure new, unwitting devs in, to fill the places of the friends you watched leave, one by one.

    Please, don’t be fooled. Don’t perpetuate the problem by working for places like Moon. We have to stop the defeatist mentality that this is just what the industry is like. There are better places out there. You deserve better.

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #moon_studios #jeu_vidéo_ori #culture_toxique #ressources_humaines #encadrement #turnover #jeu_vidéo_blind_forest #jeu_vidéo_ori_and_the_will_of_the_wisps #thomas_mahler #gennadiy_korol #oppression #activision_blizzard #riot_games #ubisoft #ea #electronic_arts #microsoft #succès #violence_verbale #micromanagement #crunch #glassdoor #cd_projekt_red #jeu_vidéo_cyberpunk_2077 #sean_murray #hello_games #jeu_vidéo_no_man_s_sky #salaires #rémunération #primes #royalties #crédits #santé_mentale #santé_psychique #stress_post_traumatique #viol

  • Guerre en Ukraine : Auchan, Decathlon, Lactalis, Danone… les Français exposés
    https://www.lsa-conso.fr/guerre-en-ukraine-auchan-leroy-merlin-decathlon-lactalis-danone-les-entrep
    L’attaque dans la nuit du 23 au 24 février par l’armée russe d’un grand nombre de cibles militaires en Ukraine place sous les projecteurs l’importante activité des entreprises françaises dans le pays, en particulier les distributeurs avec la présence de 3 enseignes du groupe Mulliez (Auchan, Leroy Merlin et Decathlon) mais aussi l’industrie agroalimentaire avec des implantations pour Lactalis, Danone, Savencia, Soufflet, etc… Selon un extrait d’un document des douanes françaises, près de 160 entreprises françaises sont aujourd’hui implantées en Ukraine, employant 30 000 personnes et faisant de la France le premier employeur international en Ukraine. Elles sont présentes notamment dans la grande distribution (groupe Auchan, Decathlon), la banque (Crédit Agricole et BNP Paribas), l’agroalimentaire (notamment Louis Dreyfus, groupe Soufflet, Danone, Lactalis, Savencia, Malteurop, Limagrain), et le numérique (Ubisoft, Blablacar).


    Auchan compte 40 magasins en Ukraine dont 21 hypers pour 6000 salariés. Sur la photo un hypermarché Auhan à Kiev.

    15 entreprises agroalimentaires tricolores présentes en Ukraine
    Le site de la direction du Trésor indique par ailleurs qu’une quinzaine d’entreprises agroalimentaires et agricoles françaises sont présentes en Ukraine, plus particulièrement dans les domaines de la production, du négoce et de la transformation des céréales (Soufflet, Louis Dreyfus, Malteurop), de la transformation du lait (Danone, Lactalis, Savencia - Bongrain Zveniogorod), et de la production de semences végétales : Limagrain, MAS seeds (qui a ouvert récemment un centre de recherche à Borispil) et Euralis, groupes coopératifs ayant investi dans des unités de production.

    40 magasins Auchan, 5 Decathlon, 6 Leroy Merlin
    La distribution française est également présente en Ukraine via essentiellement des enseignes appartenant à la galaxie Mulliez. Contacté par LSA, Auchan retail qui mentionnait 26 magasins dans le pays dans son dernier rapport annuel, en compte en fait 40 aujourd’hui suite à des acquisitions notamment, dont 21 hypers, ce qui le situe au troisième rang de la distribution alimentaire locale. "Nous restons très attentifs à la situation, commente un porte parole du groupe qui ne notait néanmoins pas d’incidence sur les ouvertures de la plupart de ses magasins ce matin, précisant que l’enseigne ne compte aucun magasin dans le Donbass. Auchan emploie 6000 salariés dans le pays dont 3 expatriés (2 Français). Leroy Merlin, autre paquebot de l’Association Familiale Mulliez compte lui 6 magasins en Ukraine, 5 à Kiev 1 à Odessa. Enfin, Decathlon exploite 5 magasins en Ukraine, dont le premier a ouvert en 2019. « Nous restons attentifs, suivons et suivrons scrupuleusement les consignes gouvernementales », indique sobrement à LSA un porte-parole de l’enseigne de sport.

    Quid des activités françaises en Russie ?
    Mais pour ces trois distributeurs, ainsi que certains des industriels cités, s’ajoute un autre point de préoccupation, sans doute au moins aussi important. Quelles vont être les conséquences de la guerre pour leurs implantations et leurs activités en Russie cette fois-ci, où leurs infrastructures et leur poids économiques sont bien plus importants qu’en Ukraine. Selon son dernier rapport annuel, Auchan retail exploite 255 magasins en Russie (63 hypers, 193 supers) pour un chiffre d’affaires évalué à 4 milliards d’euros selon la presse locale, ce qui en fait le second pays du groupe après la France. L’enseigne emploie 30000 personnes en Russie, dont 25 expatriés. Pour Leroy Merlin, le pays est encore plus important. On estime que le champion français du bricolage y réalise plus de 5 milliards d’euros de chiffre d’affaires avec 112 magasins en Russie dans 56 villes selon les dernières données de l’enseigne. Quant à Decathlon, il compte 61 magasins en Russie, pays où il s’est implanté dès 2006. Est-ce que l’opposition française à la guerre contre l’Ukraine aura des répercussions directes ou indirectes sur leurs ventes et leur activité ? Bien malin qui pourra le prévoir au premier jour du conflit.

    Danone et Lactalis plus exposés en Russie qu’en Ukraine
    La Russie est aussi le pays où Danone est le plus exposé à des conséquences du conflit. Selon les données du groupe, le pays présidé par Vladimir Poutine représente environ 5% des revenus de Danone en 2021, et l’Ukraine moins de 1%. « Dans ces deux pays, nous opérons principalement dans la catégorie EDP (produits laitiers et d’origine végétale), avec un modèle principalement local, de la collecte de lait à la production et à la distribution », indique un porte-parole qui précise : Nos équipes locales suivent évidemment de près la situation et mettent en place toutes les actions nécessaires pour assurer la sécurité de nos salariés, ainsi que la continuité de nos activités."

    Chez Lactalis, les deux pays occupent également des positions non négligeables. L’industriel lavallois réalise 175 millions d’euros de chiffre d’affaires en Russie avec 4 sites de production (Istra, Belgorod, Effremov et Ekaterinbourg), 1 siège à Istra et 1900 salariés. A noter que Belgorod est proche de la frontière Ukrainienne et qu’une base militaire importante se trouve sur cette zone. Lactalis y produit localement les produits du marché russe et indique à LSA qu’il n’y a pas, à date, « de précautions particulières prises côté russe ». Comme « il n’y a pas de relations d’affaires entre la Russie et l’Ukraine depuis 2014. » L’entreprise française exploite 3 sites de production en Ukraine (Soumy / Pavlograd / Nikolaeiev) et 1 siège (Kiev) et emploie 850 collaborateurs Ukrainiens (pas d’expatriés) pour un chiffre d’affaires d’environ 100 millions d’euros. Elle y exporte vers la Géorgie, la Moldavie et les républiques d’Asie centrale. Lactalis précise à LSA qu’en Ukraine « nous nous efforcerons de maintenir notre contribution à l’alimentation des populations dans la limite d’assurer la sécurité de nos collaborateurs, fournisseurs et clients. A date, 100% de nos sites sont opérationnels et il n’y a pas de perturbation d’approvisionnement (Lait, Emballages, Ingrédients,…). En cas de risque dans les zones où des usines sont situées, nous demanderons l’arrêt de la production et le retour anticipé des salariés à leur domicile. »

    La France, 9e fournisseur de l’Ukraine
    Autre élément à ajouter aux conséquences économiques du conflit pour les entreprises françaises : le commerce extérieur avec l’Ukraine. Les douanes françaises dans le document précité précisent que la France est le 9ème fournisseur de l’Ukraine avec une part de marché de 2,8 %, en hausse constante par rapport à son niveau d’avant crise (2,2% en 2013). Le total des échanges commerciaux entre la France et l’Ukraine atteint 1,8 Md€ en 2019, en forte augmentation par rapport à 2018 (1,5 Md€). La France occupe notamment de solides positions sur les segments des produits chimiques, parfums et cosmétiques (35,4% de nos exportations en 2019), des équipements mécaniques, matériel électrique, électronique et informatique (19,1%, dont plus des deux tiers correspondant à des machines agricoles et forestières), des matériels de transport (9,2%), des produits pharmaceutiques (8,8%) et des produits agricoles (8%). Les biens importés en France en provenance d’Ukraine sont essentiellement des produits agricoles et agroalimentaires (66,2%).

    groupe #Mulliez #Auchan #Leroy Merlin #Decathlon #Lactalis #Danone #Savencia #Soufflet #Crédit_Agricole #BNP_Paribas #Louis_Dreyfus #groupe_Soufflet #Danone #Malteurop #Limagrain #Ubisoft #Blablacar #Bongrain #Limagrain #MAS_seeds #Euralis #lavallois #Ukraine #Russie #agroalimentaire

  • Gabriel Attal, sur le projet du futur candidat Macron : « On veut aussi poursuivre la redéfinition de notre #contrat-social, avec des devoirs qui passent avant les droits, du respect de l’autorité aux prestations sociales. » #LesDevoirsAvantLesDroits

    Attal, l’archétype du parvenu, _le sniper de la #Macronie_, "sceptique", samedi dans le Parisien payant, sur l’utilité d’un débat pour Macron avant le premier tour. [ pour cause de bilan lamentable et indéfendable ! ]

    Comme toujours avec cette bande désorganisée de #tyrans-infantiles, il fallait payer pour lire les propos hallucinants d’Attal qui joue le rôle de porte-parole de la campagne non-déclarée de Macron avec de l’argent public.

    Propos que j’ai pu retrouver ici :
    https://www.bfmtv.com/politique/elections/presidentielle/gabriel-attal-sceptique-sur-l-utilite-d-un-debat-pour-macron-avant-le-premier

    Gabriel Attal estime qu’un débat télévisé avant le premier tour "montrerait un manque d’exigence démocratique". S’il est organisé, la participation d’Emmanuel Macron n’est "pas d’actualité".

    "Le président a toujours montré son intérêt pour la confrontation d’idées. Mais à quoi ressemblerait ce débat de premier tour ? Douze candidats cherchant pendant 1h50 leur ’moment’ avec le président, qui aurait dix minutes pour leur répondre. Je suis sceptique face à un tel format qui montrerait surtout un manque d’exigence démocratique", estime ce proche du président sortant dans un entretien mis en ligne samedi soir.

    Alors que les oppositions poussent Emmanuel Macron à annoncer enfin sa candidature pour que la campagne démarre vraiment, Gabriel Attal estime que "l’absence de débat est le fait des candidats déclarés" qui "installent une campagne de morts-vivants".

    Il accuse les oppositions d’avoir une vision noire et pessimiste d’une France où « tout était mieux avant ».

    "À les écouter, tout était mieux hier et tout sera pire demain. Où est la foi dans les Français ? Notre pays regorge de créativité, d’audace. Emmanuel Macron a fait entrer notre pays dans le temps des conquêtes. Quand la situation sanitaire et internationale le permettra, il proposera, je l’espère, d’aller plus loin encore pour l’avenir ", insiste-t-il, sans s’avancer quand le chef de l’Etat pourrait descendre dans l’arène.

    Pour ce qui est du projet du futur candidat Macron, le porte-parole dit, sans plus de précisions : "dans l’après-Covid, on veut continuer à réinventer notre modèle productif par l’investissement, la compétitivité, la décarbonation. On veut aussi poursuivre la redéfinition de notre contrat social, avec des devoirs qui passent avant les droits, du respect de l’autorité aux prestations sociales ."

    Concernant les adversaires politiques, ce sniper de la macronie estime que " les partis de gauche sont au bout d’un cycle" et qu’à droite, "il y a un mercato entre LR, le RN et Zemmour", un "match à trois" qui "s’est transformé en triangle des Bermudes "

  • Emploi à domicile : comment fonctionne le crédit impôt « instantané », lancé ce vendredi ?
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2022/01/28/emploi-a-domicile-le-credit-impot-instantane-est-lance_6111375_3234.html

    Ce dispositif permettra à tous les ménages de bénéficier d’un crédit d’impôt dès le paiement du salaire de leur employé. Jusqu’à présent, la partie de la rémunération prise en charge par l’Etat était remboursée en différé, jusqu’à dix-huit mois après.

    C’est une étape supplémentaire dans la simplification de l’emploi à domicile. Dès la fin du mois de janvier, les particuliers n’auront plus à avancer la totalité de la rémunération de leur employé, et pourront ne verser que la somme restant à leur charge une fois déduite l’aide de l’Etat (50 % des sommes engagées dans la limite de 12 000 euros).

    Qui pourra en bénéficier ?

    Seules les activités éligibles au CESU (pour « chèque emploi-service universel ») seront concernées à la fin de janvier : entretien de la maison, petits travaux de jardinage et bricolage, le soutien scolaire, le baby-sitting, l’assistance aux personnes âgées… L’emploi d’une assistante maternelle, notamment, n’en fait pas partie.

    « En pratique, à compter de janvier 2022, les particuliers employeurs qui utilisent le service de déclaration simplifié CESU + pourront déduire du salaire versé à leur salarié le montant de crédit d’impôt services à la personne correspondant », est-il expliqué dans un communiqué du ministère chargé des comptes publics.
    Il s’agit de « la première étape de la généralisation de l’avance immédiate des aides fiscales et sociales au titre des services à la personne, expérimentée depuis septembre 2020 à Paris et dans le département du Nord », est-il précisé. (...)

    Le crédit d’impôt couvre la moitié des dépenses – salaires et cotisations sociales – dans une limite annuelle de 12 000 euros. Ce plafond est majoré de 1 500 euros par enfant à charge (750 euros en cas de résidence alternée) avec une limite fixée à 15 000 euros.

    #emploi #crédit_d'impôt

  • #Crédits_carbone et #déforestation évitée : #impact réel ou risque de #greenwashing ?
    https://theconversation.com/credits-carbone-et-deforestation-evitee-impact-reel-ou-risque-de-gr

    Crédits carbone et déforestation évitée : impact réel ou risque de greenwashing ?

    Malgré cela, selon notre analyse, ils peinent à contrebalancer ces pressions, au moins à court terme, et à éviter la déforestation. Ce résultat tend à souligner une difficulté à combiner protection de l’environnement et développement.

    À l’inverse, les seuls projets pour lesquels nous trouvons des preuves d’additionnalité ont été menés par des entreprises privées dont l’objectif se focalise uniquement sur la conservation des forêts mais qui sont localisés dans des zones où la pression à déforester semble plus faible.

    La crédibilité de la certification carbone en question
    Nous pouvons tirer deux enseignements de cette étude. Premièrement, si nous ne pouvons en aucun cas affirmer que certains types de porteurs sont systématiquement plus performants sur la base de six projets, les entreprises privées ne sont pas forcément moins efficaces que les ONG pour réduire la déforestation. Deuxièmement, il peut-être difficile de combiner #conservation forestière et #développement_rural.

    Au total, bien que notre analyse ne porte que sur un nombre restreint de projets, elle questionne fortement la crédibilité des mécanismes de certification carbone. Sur six projets certifiés, à même d’émettre et d’échanger des crédits carbone, un seul semble avoir donné lieu à des baisses d’émissions effectives.

    Sans nécessairement remettre en question l’opportunité de la #compensation_carbone, nos résultats alertent donc contre un risque de « hot air », c’est-à-dire des crédits carbone qui ne correspondent à aucune réduction d’#émission, et soulignent le besoin d’une #évaluation plus rigoureuse des impacts.

  • Jan Švelch sur Twitter :

    My article about in-game crediting practices is out now in Games and Culture. I have analyzed 100 games published between 2016-20 from 4 sectors of video game production: AAA, AA, indie, freemium games as service. 3 main findings below […]

    https://twitter.com/snewgoblin/status/1421089782910828545

    Developer Credit: Para-Industrial Hierarchies of In-Game Credit Attribution in the Video Game Industry

    Developer credit has been a contested issue in the video game industry since the 1970–80s, when Atari prevented its programmers from publicly claiming authorship for games they had developed. The negotiations over what constitutes a noteworthy contribution to video game development are ongoing and play out in the unregulated space of in-game credits. Here, some creators get top billing akin to film and television credits, while others struggle to be recognized for their work. By analyzing in-game credits of 100 contemporary games published between 2016 and 2020 and representing four major sectors of video game production (AAA, AA, indie, and freemium games as service), I identify recurrent patterns, such as opening credits, order, role descriptions (or lack thereof), and systematic credit omission, that both reinforce and subvert the notion of core development roles and above-the-line/below-the-line divisions.

    https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/15554120211034408

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #crédits #générique #attribution #développement #compilation #analyse

  • Jan Švelch sur Twitter :

    My article about in-game crediting practices is out now in Games and Culture. I have analyzed 100 games published between 2016-20 from 4 sectors of video game production: AAA, AA, indie, freemium games as service. 3 main findings below […]

    https://twitter.com/snewgoblin/status/1421089782910828545

    Developer credit has been a contested issue in the video game industry since the 1970–80s, when Atari prevented its programmers from publicly claiming authorship for games they had developed. The negotiations over what constitutes a noteworthy contribution to video game development are ongoing and play out in the unregulated space of in-game credits. Here, some creators get top billing akin to film and television credits, while others struggle to be recognized for their work. By analyzing in-game credits of 100 contemporary games published between 2016 and 2020 and representing four major sectors of video game production (AAA, AA, indie, and freemium games as service), I identify recurrent patterns, such as opening credits, order, role descriptions (or lack thereof), and systematic credit omission, that both reinforce and subvert the notion of core development roles and above-the-line/below-the-line divisions.

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #crédits #générique #attribution #développement #compilation #analyse

  • Le système de crédit social chinois : miroir pour l’Occident
    https://dumas.ccsd.cnrs.fr/dumas-02969746/document

    « Vouloir gouverner le peuple d’un siècle frénétique avec douceur et mansuétude, c’est diriger un cheval impétueux sans cravache ni rênes. »

    « Renforcez les lois, alourdissez les supplices, étendez la responsabilité collective afin que toute la lignée soit impliquée par le crime d’un seul de ses membres. Détruisez le pouvoir des dignitaires, enrichissez les pauvres, élevez les humbles, vous éliminerez tous les facteurs de trouble et barrerez la route à la délinquance . Vous pourrez ainsi vous livrer au plaisir, étendu sur un mol oreiller, en toute quiétude, en vous conformant au non-agir. »

    « C’est ainsi que la rectification des noms est inséparable d’un contrôle rigoureux des individus par une administration tentaculaire et omniprésente, veillant au respect et à l’exécution des lois. »

    HAN FEI, Han Fei-Tse ou Le tao du prince , Présenté et traduit par Jean Lévi, Editions du Seuil, 1999, 555 p.

    #crédit_social #Chine #surveillance #réputation #évaluation

    • Et pourtant : China’s top health authority rectify local mandatory vaccination orders, stressing voluntary principle

      https://www.globaltimes.cn/page/202107/1228884.shtml

      China’s top health commission said they have noticed the local regulations issued by some cities that ban residents who haven’t received COVID-19 vaccine shots from entering some key public venues, stressing that the commission has stepped in and made further guidance.

      "Informed, consented and voluntary" are the basic principles for the inoculation program of COVID-19 vaccines , the center for disease control and prevention under the National Health Commission said.

      According to China’s Law on the Prevention and Treatment of Infectious Diseases, people without contraindications who are within the acceptable age to receive the vaccine should be vaccinated as much as possible.

      #passe_sanitaire

  • Bribes d’autres voies :

    "L’idée choc étudiée en Islande : et si on retirait aux banques la capacité de créer de la monnaie ?" http://www.latribune.fr/economie/international/l-idee-choc-etudiee-en-islande-et-si-on-retirait-aux-banques-la-capacite-d

    "La révolution du système monétaire en Islande peut-être pour demain" https://mrmondialisation.org/une-revolution-du-systeme-monetaire-en-islande

    "L’Islande envisage une révolution monétaire" http://www.gaullistelibre.com/2015/04/lislande-envisage-une-revolution.html

    "L’Islande a laissé ses banques faire faillite, et jeté des banquiers en prison. Et voici ce qui s’est produit" http://www.express.be/business/fr/economy/lislande-a-laisse-ses-banques-faire-faillite-et-jete-des-banquiers-en-prison-et-voici-ce-qui-sest-produit/214182.htm

    "Oubliez tout ce que vous croyez savoir sur l’Islande post-crise : France 2 réécrit l’histoire" http://www.acrimed.org/article4652.html

    Des Pirates à l’assaut de l’Islande, par Philippe Descamps (Le Monde diplomatique, octobre 2016)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2016/10/DESCAMPS/56432

    #Islande #Monnaie
    http://zinc.mondediplo.net/messages/9951#message14442

    Le banquier, l’anarchiste et le bitcoin, par Edward Castleton (Le Monde diplomatique, mars 2016)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2016/03/CASTLETON/54957
    #Monnaie #Innovations #Alternatives #Socialisme #Finance

    –Et si la banque centrale nous faisait un joli cadeau pour Noël ?
    http://www.lenouveleconomiste.fr/et-si-la-banque-centrale-nous-faisait-un-joli-cadeau-pour-noel%e2

    « Pourquoi pas la rediriger vers les ménages, et des investissements utiles par exemple pour ralentir le réchauffement climatique, sujet qui est, paraît-il, d’une actualité brûlante : cet argent pourrait aider les gens à isoler leur maison ou acheter un véhicule électrique ?

    Et, justement, le site européen QE4People (http://www.qe4people.eu) vient de lancer une pétition dans ce sens, déjà signée par 71 économistes. Il a calculé que si la monnaie créée par la BCE était destinée aux ménages, cela ferait 175 euros par citoyen européen par mois.

    Le 23 septembre devant le Parlement européen, le président de la banque centrale n’a pas dit non a priori, a même dit que l’idée était étudiée, y compris par la BCE, mais qu’il fallait regarder si elle était compatible avec les traités européens (lesquels ne disent rien à ce sujet) »

    #BCE #UE #BCE_QE

    Les banques centrales envisagent de distribuer de l’argent aux gens - Express [FR]
    http://fr.express.live/2016/03/31/les-banques-centrales-envisagent-de-distribuer-de-largent-aux-gens
    http://fr.express.live/wp-content/uploads/sites/2/2016/03/000_WAS2005010725401.jpg

    -"Les banques centrales du monde envisagent de plus en plus d’employer une stratégie appelée “hélicoptère monétaire“, qui consiste à imprimer de l’argent pour le distribuer directement au secteur privé (entreprises ou ménages) afin de stimuler l’activité économique et la demande, rapporte le blog américain The Economic Collapse." ;
    –"Cette réflexion est révélatrice de l’inquiétude qui règne, face aux faibles résultats obtenus par les instruments de politiques monétaires traditionnels, écrit-il. Depuis 2008, les banques centrales ont en effet réduit 637 fois les taux d’intérêt, et injecté 12.300 milliards de dollars dans l’économie mondiale au travers de multiples politiques d’assouplissement quantitatif (“QE”). Mais la croissance est restée anémique, tandis que les dettes souveraines ont explosé. En Europe, 16 pays sont entrés en déflation."

    #Monnaie #Hélicoptère_monétaire


    Les Suisses voteront pour ôter aux banques leur pouvoir de création monétaire. Par Romaric Godin
    http://www.latribune.fr/economie/international/les-suisses-voteront-pour-oter-aux-banques-leur-pouvoir-de-creation-moneta

    -"Cette initiative dispose du soutien de plusieurs économistes, suisses et européens. Mais elle fait, on s’en doute, l’objet de vives critiques de la part du secteur bancaire helvétique, qui est, avec près de 12 % du PIB suisse, un des piliers de l’économie nationale. Mais Reinhold Harringer estime que l’initiative va permettre au secteur de revenir à une activité « plus traditionnelle et plus solide. » Il cite le cas de banques comme la banque postale suisse, qui, sans avoir la possibilité de créer de la monnaie, réalisent de bons bénéfices. Reste que, pour les géants bancaires comme Credit Suisse ou UBS, qui vivent sur les activités de marché, le coup pourrait être rude et ils pourraient ainsi décider de quitter le pays. Mais l’initiative semble viser un changement de système : mieux vaut des banques plus modestes, mais plus utiles, que des géants bancaires instables et qui font peser un risque continuel sur les comptes publics." ;
    –"L’initiative n’est, il est vrai, pas fondée sur du sable. Elle s’inscrit dans une longue histoire. C’est, dans les années 1930, l’économiste Irving Fisher, qui avait lancé la proposition dans le cadre du « plan de Chicago » proposé au président Franklin Delano Roosevelt. Ce dernier a rejeté cette proposition, mais elle a été reprise par plusieurs économistes, dont le monétariste Milton Friedman. Cette idée a cependant été progressivement oubliée sous le triomphe de la financiarisation de l’économie. C’est la crise de 2007-2008 qui la fait revivre avec notamment une étude de deux économistes du FMI, Jaromir Benes et Michael Kumhof, qui reprennent et valident les thèses d’Irving Fisher, voyant dans le retrait aux banques de la création monétaire, un moyen de dynamiser la croissance en réduisant les risques de crise." ;

    #QU #Islande #Suisse #Monnaie #Banque_Centrale #Politique_monétaire #Economie #Banques #Finance #Bulles_spéculatives #Crédit

    –-"Ni protectionnisme, ni néolibéralisme mais une « relocalisation ouverte », base d’une nouvelle internationale" - Basta !
    http://www.bastamag.net/Ni-protectionnisme-ni-neoliberalisme-mais-une-relocalisation-ouverte-base-

    Décevant de voir ici une rhétorique usée jusqu’à la corde par les orthodoxes médiatiques : homme de paille et anathèmes. Ce qui donne : #Protectionnisme égal repli-sur-soi-égoiste-entretenant-la-logique de-compétition-de-tous-contre-(presque)-tous.

    A part ça, plus intéressant :

    -"Or, l’enjeu n’est pas de trouver des palliatifs pour adoucir la tyrannie de l’économie, ni de réguler l’économie. Il s’agit bien de sortir la religion de l’économie, de nous libérer de ces addictions, de faire des « pas-de-côté » et de questionner le sens de nos productions bien plus que d’en protéger leur localisation." ;

    –" Il s’agit de sortir de la logique de l’économie toute puissante. En finir avec une économie décisionnaire de nos vies" ;

    –"L’enjeu est de revenir à de vraies questions. Celles du sens de nos vies" ;

    –"Est-ce à dire que toutes les idées derrière le terme de protectionnisme sont inutiles ? Non, si nous en utilisons certaines comme des outils de transition au service d’une relocalisation désormais nécessaire de l’économie, mais dans une logique d’ouverture et d’altruisme, de dialogue et de manière concertée."
    (Bon, soit je manque d’attention soit il aurait fallu commencer par faire le tri, je ne sais pas.) ;

    –"La relocalisation ouverte signifie clairement la remise en cause du primat de l’économie, du travail comme valeurs centrales de nos sociétés mais aussi la repolitisation de la société afin que nos sociétés deviennent autonomes et responsables.

    « La folle valse des crevettes, pêchées au Danemark et décortiquées au Maroc pour des raisons de coût de main d’œuvre, ou le yaourt à la fraise dont les ingrédients parcouraient en 1992 plus de 9 000 kilomètres, ont contribué à construire chez moi un certain scepticisme sur la marche du monde », rappelle l’ingénieur Philippe Bihouix" ;

    –"On pourrait par exemple penser les limites par des distances au lieu des frontières, et ainsi donner naissance à des territoires superposés et reliés, au lieu de territoires juxtaposés et étrangers. C’est ce que l’on voit apparaître avec les projets dits transfrontaliers qui s’inscrivent dans des territoires écologique et de vie."

    Poulet ivoirien : la filière se remplume
    https://www.francetvinfo.fr/sante/alimentation/poulet-ivoirien-la-filiere-se-remplume_2732591.html
    #Afrique #Agriculture #Protectionnisme

    –-
    #Alternatives #Innovations

    alternatives | Mr Mondialisation
    https://mrmondialisation.org/tag/alternatives

    La carte de France des alternatives écologiques et sociales - Basta !
    http://www.bastamag.net/La-carte-de-France-des

    Alternatives concrètes - Basta !
    http://www.bastamag.net/Alternatives-concretes

    Inventer - Basta !
    http://www.bastamag.net/Inventer

    #Démocratie #Institutions :
    #DataGueule S4E14 - Démocratie représentative : suffrage, Ô désespoir ! IRL
    http://irl.nouvelles-ecritures.francetv.fr/datagueule-S4E14-1.

    Un processus de vote pour faire de Nuit Debout une réelle démocratie participative – Gazette debout
    https://gazettedebout.org/2016/05/07/un-processus-de-vote-pour-faire-de-nuit-debout-une-reelle-democratiqu

    Aux urnes, citoyens : si l’élection présidentielle avait eu lieu au jugement majoritaire, voilà qui serait le président | Atlantico.fr (Le titre est trompeur)
    http://www.atlantico.fr/decryptage/aux-urnes-citoyens-election-presidentielle-avait-eu-lieu-au-jugement-major

    Noter pour mieux voter ?, par Charles Perragin (Le Monde diplomatique, octobre 2017)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2017/10/PERRAGIN/58013
    #Sciences_Politiques #Sondages

    "« Au-delà de la qualification au second tour, le premier tour de la présidentielle donne aussi une photographie des rapports de forces entre les familles politiques, ainsi que l’importance de divers enjeux de société (écologie, immigration, sécurité…). Cette photographie sera importante pour la suite, non seulement pour négocier des portefeuilles ministériels ou des alliances aux élections suivantes, mais plus généralement pour la perception que la société a d’elle-même », rappelle Karine van der Straeten, de l’École d’économie de Toulouse.

    Selon le politiste Nicolas Sauger, dont le travail s’articule autour des transformations historiques de la compétition politique, « [...] Il faut garder à l’esprit qu’un mode de scrutin différent aurait aussi des répercussions en amont, sur les discours politiques, la structure des partis et, plus généralement, sur la façon de faire de la politique ». On peut aussi s’interroger sur la façon dont une presse avide de spectacle et de prescriptions pourrait s’en saisir."

    Pour la république sociale, par Frédéric Lordon (Le Monde diplomatique, mars 2016)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2016/03/LORDON/54925

    Et si l’on refondait le droit du travail…, par Alain Supiot (Le Monde diplomatique, octobre 2017)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2017/10/SUPIOT/58009

    #Islande
    http://zinc.mondediplo.net/messages/4349

  • #Banco_Palmas

    In 1998, residents from the impoverished Palmeira neighborhood of Fortaleza, Brazil, decided to take their economic future into their own hands. The strategy they took would soon spread to other communities around Brazil: creating a community development bank, governed and managed by local residents, for local needs. Banco Palmas’ founding mission was to help revitalize the local economy, create badly needed jobs, and increase the collective self-reliance of the Palmeira district. The bank’s activities are guided by the principles of solidarity economics.

    One of Banco Palmas’ key innovations has been to issue a neighborhood-scale alternative currency called the “Palma”. Like other local currencies, the Palma was designed to support local commerce by restricting its circulation to the Palmeira neighborhood, preventing money from leaking out of the community.

    The result has been impressive. To date, hundreds of local businesses have signed up to accept Palmas, while the currency has helped strengthen or create thousands of local livelihoods. Moreover, the neighborhood’s spending patterns have seen a dramatic shift since the bank’s founding and the release of the currency. According to one estimate, “In 1997, 80% of [Palmeira] inhabitants’ purchases were made outside the community; by 2011, 93% were made in the district” (from People Money, The Promise of Regional Currencies).

    Another key purpose of Banco Palmas has been to extend basic financial services and access to credit to people excluded from – or exploited by – the conventional banking system. The bank provides micro-credit loans for local production and consumption in either Palmas or the national currency (the Brazilian real). Importantly, loans issued in Palmas are interest free, while others are offered at very low interest rates, providing a much-needed alternative to the kind of predatory lenders that exploit people and businesses in other money-poor communities around the world.

    What’s more, rather than awarding loans based on credit history, proof of income, or collateral – something many people in Palmeira lack – many are issued using a neighbor guarantee system. Banco Palma has been so successful that it has inspired the creation of over 60 similar initiatives throughout Brazil, and spurred the development of the Brazilian Network of Community Banks.

    https://www.localfutures.org/programs/global-to-local/planet-local/local-business-finance/banco-palmas
    #économie #banque #finance #alternative #Brésil #Palmeira #Fortaleza #community_development_bank #économie_locale #travail #emploi #économie_solidaire #monnaie_locale #monnaie_alternative #Palma #crédit #micro-crédit #TRUST #Master_TRUST #banque_communautaire

  • #paywall

    #Europcar : comment les créanciers qui se croyaient protégés ont tout perdu | Les Echos
    https://www.lesechos.fr/finance-marches/marches-financiers/europcar-comment-les-investisseurs-qui-croyaient-etre-proteges-contre-le-ri

    Un clou de plus dans le cercueil des dérivés de crédit ? Jeudi, les porteurs de « #Credit_Default_Swaps » (CDS) sur Europcar attendaient de connaître le montant de l’indemnisation qui allait leur être versée après le défaut du loueur automobile. La réponse a été cinglante : pas un centime. Un dénouement inimaginable.

    Les #CDS sont en effet des produits dérivés qui jouent en quelque sorte le rôle d’une police d’assurance contre le défaut d’un emprunteur. Ils sont aussi souvent utilisés dans un but spéculatif, par des investisseurs qui parient sur la faillite d’une entreprise ou d’un Etat.

  • Sommes-nous encore une communauté ?

    « Il y a des étudiants fragiles qui se suicident », disait la ministre #Frédérique_Vidal le 2 janvier, une ministre et un gouvernement qui ne soutiennent ni les étudiants, ni l’université, ni la recherche. Et qui mettent des milliers de vies en danger. Publication d’un message aux collègues et étudiant.e.s de l’Université de Strasbourg, qui devient ici une lettre ouverte.

    Chères toutes, chers tous,

    Je tente de rompre un silence numérique intersidéral, tout en sachant que les regards se portent outre-atlantique …

    Cette journée du mercredi 6 janvier a été calamiteuse pour l’Université de Strasbourg. Elle a montré une fois de plus les graves conséquences des carences en moyens financiers, techniques et en personnels dans l’#enseignement_supérieur et la recherche, y compris dans les grandes universités dites de recherche intensive, qui communiquent sur leur excellent équipement et qui sont dans les faits sous-financées – tout comme les plus grands hôpitaux - et sont devenues des usines à fabriquer de la #souffrance et de la #précarité. Il faudra bien sûr identifier les causes précises de la panne informatique géante subie par toute la communauté universitaire de Strasbourg, alors que se tenaient de très nombreux examens à distance : voir ici 8https://www.dna.fr/education/2021/01/06/incident-reseau-durant-un-examen-partiel-etudiants-stresses-et-en-colere) ou là (https://www.francebleu.fr/infos/insolite/universite-de-strasbourg-une-panne-informatique-perturbe-les-examens-de-m).

    Nous avons été informés uniquement par facebook et twitter - je n’ai volontairement pas de comptes de cette nature et n’en aurai jamais, il me semble : je pratique très mal la pensée courte - et par sms. 50 000 sms, promet-on. Mais je n’ai rien reçu sur mon 06, bien que je sois secrétaire adjoint du CHSCT de cette université et que la bonne information des représentants des personnels du CHSCT dans une telle situation soit une obligation, la sécurité des personnels et des étudiants n’étant plus assurée : plus de téléphonie IP, plus de mail, plus aucun site internet actif pendant des heures et des heures. Et ce n’est peut-être pas totalement terminé à l’heure où je publie ce billet (15h).

    Il ne s’agit pas ici d’incriminer les agents de tel ou tel service, mais de faire le constat qu’une université ne peut pas fonctionner en étant sous-dotée et sous-administrée. Une fois de plus, la question qu’il convient de se poser n’est pas tant de savoir si l’université est calibrée pour le virage numérique qu’on veut lui faire prendre à tous les niveaux et à la vitesse grand V en profitant de la crise sanitaire (au profit des #GAFAM et de la #Fondation SFR_que soutient Frédérique Vidal pour booster l’accès aux data des étudiants), que de déterminer si des #examens à distance, des cours hybrides, l’indigestion de data ou de capsules vidéo ne dénaturent pas fondamentalement l’#enseignement et la relation pédagogique et ne sont pas vecteurs de multiples #inégalités, #difficultés et #souffrances, aussi bien pour les étudiants que pour les enseignants et les personnels.

    Ce sont donc des milliers d’étudiants (entre 2000 et 4000, davantage ?), déjà très inquiets, qui ont vu hier et encore aujourd’hui leur #stress exploser par l’impossibilité de passer des examens préparés, programmés de longue date et pour lesquels ils ont tenté de travailler depuis de longs mois, seuls ou accompagnés au gré des protocoles sanitaires variables, fluctuants et improvisés qu’un ministère incompétent ou sadique prend soin d’envoyer systématiquement à un moment qui en rendra l’application difficile, sinon impossible. Le stress des étudiant.e.s sera en conséquence encore plus élevé dans les jours et semaines qui viennent, pour la poursuite de leurs examens et pour la reprise des cours ce 18 janvier. De mon côté et par simple chance j’ai pu garantir hier après-midi la bonne tenue d’un examen de master à distance : je disposais de toutes les adresses mail personnelles des étudiants et j’ai pu envoyer le sujet et réceptionner les travaux dans les délais et dans les conditions qui avaient été fixées. Tout s’est bien passé. Mais qu’en sera-t-il pour les milliers d’autres étudiants auxquels on promet que l’incident « ne leur sera pas préjudiciable » ? Le #préjudice est là, et il est lourd.

    Mes questions sont aujourd’hui les suivantes : que fait-on en tant que personnels, enseignants, doctorants et étudiant.e.s (encore un peu) mobilisé.e.s contre la LPR, la loi sécurité globale, les réformes en cours, le fichage de nos opinions politiques, appartenances syndicales ou données de santé ? Que fait-on contre la folie du tout #numérique et contre les conséquences de la gestion calamiteuse de la pandémie ? Que fait-on en priorité pour les étudiants, les précaires et les collègues en grande difficulté et en souffrance ? Que fait-on pour éviter des tentatives de suicide d’étudiants qui se produisent en ce moment même dans plusieurs villes universitaires ? Et les tentatives de suicide de collègues ?

    Je n’ai pas de réponse. Je lance une bouteille à la mer, comme on dit. Et je ne suis pas même certain d’être encore en mesure d’agir collectivement avec vous dans les jours qui viennent tant j’ai la tête sous l’eau, comme beaucoup d’entre vous … Peut-être qu’il faudrait décider de s’arrêter complément. Arrêter la machine folle. Dire STOP : on s’arrête, on prend le temps de penser collectivement et de trouver des solutions. On commence à refonder. On se revoit physiquement et on revoit les étudiants à l’air libre, le plus vite possible, avant l’enfer du 3ème confinement.

    Nous sommes une #intelligence_collective. « Nous sommes l’Université », avons-nous écrit et dit, très souvent, pendant nos luttes, pour sauver ce qui reste de l’Université. Je me borne aujourd’hui à ces questions : Sommes-nous encore l’Université ? Sommes-nous encore une intelligence collective ? Que reste-t-il de notre #humanité dans un système qui broie l’humanité ? Sommes-nous encore une #communauté ?

    En 2012, j’ai écrit un texte dont je me souviens. Il avait pour titre « La communauté fragmentée ». Je crois que je pensais à Jean-Luc Nancy en écrivant ce texte, à la fois de circonstance et de réflexion. A 8 années de distance on voit la permanence des problèmes et leur vertigineuse accélération. Nous sommes aujourd’hui une communauté fragmentée dans une humanité fragmentée. Comment faire tenir ensemble ces fragments ? Comment rassembler les morceaux épars ? Comment réparer le vase ? Comment réinventer du commun ? Comment faire ou refaire communauté ?

    Je pose des questions. Je n’ai pas de réponse. Alors je transmets quelques informations. Je n’imaginais pas le faire avant une diffusion officielle aux composantes, mais vu les problèmes informatiques en cours, je prends sur moi de vous informer des avis adoptés à l’unanimité par le CHSCT qui s’est tenu ce 5 janvier. Ce n’est pas grand-chose, mais un avis de CHSCT a quand même une certaine force de contrainte pour la présidence. Il va falloir qu’ils suivent, en particulier sur le doublement des postes de médecins et de psychologues. Sinon on ne va pas les lâcher et on ira jusqu’au CHSCT ministériel.

    Je termine par l’ajout de notes et commentaires sur les propos de #Vidal sur France Culture le 2 janvier (https://www.franceculture.fr/emissions/politique/frederique-vidal-ministre-de-lenseignement-superieur-et-de-la-recherch

    ). Je voulais en faire un billet Mediapart mais j’ai été tellement écœuré que je n’ai pas eu la force. Il y est question des suicides d’étudiants. Il y a des phrases de Vidal qui sont indécentes. Elle a dit ceci : « Sur la question des suicides, d’abord ce sont des sujets multi-factoriels … On n’a pas d’augmentation massive du nombre de suicides constatée, mais il y a des étudiants fragiles qui se suicident ».

    Sur le réseau CHSCT national que j’évoquais à l’instant, il y a des alertes très sérieuses. Des CHSCT d’université sont saisis pour des TS d’étudiants. L’administrateur provisoire de l’Université de Strasbourg a bien confirmé ce 5 janvier que la promesse de Vidal de doubler les postes de psychologues dans les universités n’était actuellement suivi d’aucun moyen, d’aucun financement, d’aucun effet. Annonces mensongères et par conséquent criminelles ! Si c’est effectivement le cas et comme il y a des tentatives de suicides, il nous faudra tenir la ministre pour directement responsable. Et il faut le lui faire savoir tout de suite, à notre ministre "multi-factorielle" et grande pourvoyeuse de data, à défaut de postes et de moyens effectifs.

    Je vais transformer ce message en billet Mediapart. Car il faut bien comprendre ceci : nous n’avons plus le choix si on veut sauver des vies, il faut communiquer à l’extérieur, à toute la société. Ils n’ont peur que d’une seule chose : la communication. Ce dont ils vivent, qui est la moitié de leur infâme politique et dont ils croient tenir leur pouvoir : la #communication comme technique du #mensonge permanent. Pour commencer à ébranler leur système, il nous faut systématiquement retourner leur petite communication mensongère vulgairement encapsulée dans les media « mainstream" par un travail collectif et rigoureux d’établissement des faits, par une éthique de la #résistance et par une politique des sciences qui repose sur des savoirs et des enseignements critiques. Et j’y inclus bien sûr les savoirs citoyens.

    Notre liberté est dans nos démonstrations, dans nos mots et dans les rues, dans nos cris et sur les places s’il le faut, dans nos cours et nos recherches qui sont inséparables, dans nos créations individuelles et collectives, dans l’art et dans les sciences, dans nos corps et nos voix. Ils nous font la guerre avec des mensonges, des lois iniques, l’imposture du « en même temps » qui n’est que le masque d’un nouveau fascisme. Nous devons leur répondre par une guerre sans fin pour la #vérité et l’#intégrité, par la résistance de celles et ceux qui réinventent du commun. Au « en même temps », nous devons opposer ceci : "Nous n’avons plus le temps !". Ce sont des vies qu’il faut sauver. Le temps est sorti de ses gonds.

    Bon courage pour tout !

    Pascal

    PS : Avec son accord je publie ci-dessous la belle réponse que ma collègue Elsa Rambaud a faite à mon message sur la liste de mobilisation de l’Université de Strasbourg. Je l’en remercie. Je précise que la présente lettre ouverte a été légèrement amendée et complétée par rapport au message original. Conformément à celui-ci, j’y adjoins trois documents : la transcription commentée de l’entretien de Frédérique Vidal sur France Culture, les avis du CHSCT de l’Université de Strasbourg du 5 janvier 2021 et le courriel à tous les personnels de l’université de Valérie Robert, Directrice générale des services, et François Gauer, vice-président numérique. Nous y apprenons que c’est "le coeur" du système Osiris qui a été « affecté ». Il y a d’autres cœurs dont il faudra prendre soin … Nous avons besoin d’Isis... Soyons Isis, devenons Isis !

    –—

    Cher Pascal, cher-e-s toutes et tous,

    Merci de ce message.

    Pour ne pas s’habituer à l’inacceptable.

    Oui, tout ça est une horreur et, oui, le #distanciel dénature la #relation_pédagogique, en profondeur, et appauvrit le contenu même de ce qui est transmis. Nos fragilités institutionnelles soutiennent ce mouvement destructeur.

    Et pour avoir suivi les formations pédagogiques "innovantes" de l’IDIP l’an passé, je doute que la solution soit à rechercher de ce côté, sinon comme contre-modèle.

    Je n’ai pas plus de remèdes, seulement la conviction qu’il faut inventer vraiment autre chose : des cours dehors si on ne peut plus les faire dedans, de l’artisanat si la technique est contre nous, du voyage postal si nos yeux sont fatigués, du rigoureux qui déborde de la capsule, du ludique parce que l’ennui n’est pas un gage de sérieux et qu’on s’emmerde. Et que, non, tout ça n’est pas plus délirant que le réel actuel.

    Voilà, ça ne sert pas à grand-chose - mon mail- sinon quand même à ne pas laisser se perdre le tien dans ce silence numérique et peut-être à ne pas s’acomoder trop vite de ce qui nous arrive, beaucoup trop vite.

    Belle année à tous, résistante.

    Elsa

    https://blogs.mediapart.fr/pascal-maillard/blog/070121/sommes-nous-encore-une-communaute
    #étudiants #université #France #confinement #covid-19 #crise_sanitaire #santé_mentale #suicide #fragmentation

    • Vidal sur France Culture le 2 janvier :

      https://www.franceculture.fr/emissions/politique/frederique-vidal-ministre-de-lenseignement-superieur-et-de-la-recherch

      En podcast :

      http://rf.proxycast.org/d7f6a967-f502-4daf-adc4-2913774d1cf3/13955-02.01.2021-ITEMA_22529709-2021C29637S0002.mp3

      Titre d’un billet ironique à faire : « La ministre multi-factorielle et téléchargeable »

      Transcription et premiers commentaires.

      Reprise des enseignements en présence « de manière très progressive ».

      Dès le 4 janvier « Recenser les étudiants et les faire revenir par groupe de 10 et par convocation. » Comment, quand ?

      « Les enseignants sont à même d’identifier ceux qui sont en difficulté. » Comment ?

      « Le fait qu’on ait recruté 20 000 tuteurs supplémentaires en cette rentrée permet d’avoir des contacts avec les étudiants de première année, voir quels sont leur besoin pour décider ensuite comment on les fait revenir … simplement pour renouer un contact avec les équipes pédagogiques. » Mensonge. Ils ne sont pas encore recrutés. En 16:30 Vidal ose prétendre que ces emplois ont été créé dans les établissement au mois de décembre. Non, c’est faux.

      « 10 % des étudiants auraient pu bénéficier de TP. » Et 0,5% en SHS, Lettres, Art, Langues ?

      La seconde étape concernera tous les étudiants qu’on « essaiera de faire revenir une semaine sur deux pour les TD » à partir du 20 janvier.

      Concernant les étudiants : « souffrance psychologique très forte, … avec parfois une augmentation de 30 % des consultations »

      « Nous avons doublé les capacités de psychologues employés par les établissements ». Ah bon ?

      « Sur la question des suicides, d’abord ce sont des sujets multi-factoriels ». « On n’a pas d’augmentation massive du nombre de suicides constatée, mais il y a des étudiants fragiles qui se suicident ».

      « on recrute 1600 étudiants référents dans les présidences universitaires » (à 10 :30) « pour palier au problème de petits jobs ».

      « On a doublé le fond d’aide d’urgence. »

      « Nous avons-nous-même au niveau national passé des conventions avec la Fondation SFR … pour pouvoir donner aux étudiants la capacité de télécharger des data … », dit la ministre virtuelle. SFR permet certainement de télécharger une bouteille de lait numérique directement dans le frigo des étudiants. « Donner la capacité à télécharger des data » : Vidal le redira.

      L’angoisse de la ministre : « La priorité est de garantir la qualité des diplômes. Il ne faut pas qu’il y ait un doute qui s’installe sur la qualité des diplômés. »

      La solution est le contrôle continu, « le suivi semaine après semaine des étudiants » : « Ces contrôles continus qui donnent évidemment beaucoup de travail aux étudiants et les forcent à rester concentrés si je puis dire, l’objectif est là aussi. » Cette contrainte de rester concentré en permanence seul devant la lumière bleue de son écran, ne serait-elle pas en relation avec la souffrance psychologique reconnue par la ministre et avec le fait que « des étudiants fragiles se suicident » ?

    • Question posée par nombre d’étudiants non dépourvus d’expériences de lutte : puisque les tribunes et autres prises de position, les manifs rituelles et les « contre cours » ne suffisent pas, les profs et les chercheurs finiront-ils par faire grève ?

      Dit autrement, la « résistance » doit-elle et peut-elle être platonique ?

      Et si le suicide le plus massif et le plus terrible était dans l’évitement de ces questions ?

    • @colporteur : tes questions, évidemment, interrogent, m’interrogent, et interrogent tout le corps enseignant de la fac...
      « Les profs finiront-ils (et elles) pour faire grève ? »

      Réponse : Je ne pense pas.
      Les enseignant·es ont été massivement mobilisé·es l’année passée (il y a exactement un an). De ce que m’ont dit mes collègues ici à Grenoble : jamais ielles ont vu une telle mobilisation par le passé. Grèves, rétention des notes, et plein d’autres actions symboliques, médiatiques et concrètes. Les luttes portaient contre la #LPPR (aujourd’hui #LPR —> entérinée le matin du 26 décembre au Journal officiel !!!), contre les retraites, contres les violences policières, etc. etc.
      Cela n’a servi strictement à rien au niveau des « résultats » (rien, même pas les miettes).
      Les profs sont aussi très fatigué·es. J’ai plein de collègues qui vont mal, très mal.
      Les luttes de l’année passée ont été très dures, et il y a eu de très fortes tensions.
      On n’a pas la possibilité de se voir, de se croiser dans les couloirs, de manger ensemble. On est tou·tes chez nous en train de comprendre comment éviter que les étudiant·es lâchent.

      Je me pose tous les jours la question : quoi faire ? Comment faire ?

      L’université semble effriter sous nos pieds. En mille morceaux. Avec elle, les étudiant·es et les enseignant·es.

      Venant de Suisse, les grèves étudiantes, je ne connais pas. J’ai suivi le mouvement l’année passée, j’ai été même identifiée comme une des « meneuses du bal ». Je l’ai payé cher. Arrêt de travail en septembre. Mes collègues m’ont obligée à aller voir un médecin et m’ont personnellement accompagnée pour que je m’arrête pour de bon. Beaucoup de raisons à cela, mais c’était notamment dû à de fortes tensions avec, on va dire comme cela, « l’administration universitaire »... et les choses ont décidément empiré depuis les grèves.

      Personnellement, je continue à être mobilisée. Mais je ne crois pas à la confrontation directe et aux grèves.

      Le problème est de savoir : et alors, quelle stratégie ?

      Je ne sais pas. J’y pense. Mes collègues y pensent. Mais il y a un rouleau compresseur sur nos épaules. Difficile de trouver l’énergie, le temps et la sérénité pour penser à des alternatives.

      J’ai peut-être tort. Mais j’en suis là, aujourd’hui : détourner, passer dessous, passer derrière, éviter quand même de se faire écraser par le rouleau compresseur.
      Stratégie d’autodéfense féministe, j’ai un peu l’impression.

      Les discussions avec mes collègues et amiEs de Turquie et du Brésil me poussent à croire qu’il faut changer de stratégie. Et un mot d’ordre : « si on n’arrivera pas à changer le monde, au moins prenons soins de nous » (c’était le mot de la fin de la rencontre que j’avais organisée à Grenoble avec des chercheur·es de Turquie et du Brésil :
      https://www.pacte-grenoble.fr/actualites/universitaires-en-danger-journee-de-reflexion-et-de-solidarites-avec-

    • #Lettre d’un #étudiant : #exaspération, #résignation et #colère

      Bonjour,
      Je viens vers vous concernant un sujet et un contexte qui semblent progressivement se dessiner…
      Il s’agit du second semestre, et le passage en force (par « force » je veux dire : avec abstraction de tout débat avec les principaux acteur·ices concerné·es, post-contestations en 2019) de la loi LPR qui, il me semble, soulève une opposition d’ensemble de la part des syndicats enseignants universitaires (étant salarié, je suis sur la liste de diffusion de l’université).
      Aussi je viens vers vous concernant le deuxième semestre, qui risque de faire comme le premier : on commence en présentiel, puis on est reconfiné un mois et demi après. Bien entendu, je ne suis pas devin, mais la politique de ce gouvernement est assez facile à lire, je crois.
      Quelle opposition est possible, concrètement ? Car, loin d’aller dans des débats philosophiques, la solution d’urgence du numérique est certainement excusable, sauf lorsque cela tend à s’inscrire dans les mœurs et qu’elle ne questionne pas « l’après », mais qu’elle le conditionne. Or, je ne suis pas sûr qu’il soit sain d’envisager la transmission de savoirs d’une manière aussi arbitraire et insensée dans la durée, et qu’en l’absence de projet politique, cela semble devenir une réponse normée aux différentes crises prévues.
      J’ai la chance d’avoir un jardin, une maison, de l’espace, de pouvoir m’indigner de ceci car j’ai moins de contraintes, et de l’énergie mentale préservée de par un « capital culturel ». Ce n’est pas le cas d’autres, qui sont bloqué·es dans un 9 m2 depuis deux mois.
      Je ne veux pas me prononcer en le nom des autres étudiant·es, mais je peux affirmer que l’exaspération du distanciel et la validation de cette loi (ainsi que les autres, soyons francs) sont en train de soulever un dégoût assez fort. C’est très usant, d’être le dernier maillon d’une chaîne qui se dégrade, sous prétexte que « le distanciel fait l’affaire en attendant » alors même que rien n’est fait en profondeur pour améliorer le système de santé public, ni aucun, sinon l’inverse (l’on parle encore de réduction de lits en 2021 dans l’hôpital public). Je suis pour la solidarité nationale, mais celle-ci n’envisage aucune réciprocité. Et nous les « jeunes » sommes les bizus assumés du monde qui est en train de s’organiser.
      Et cela commence à peser sérieusement sur les promotions.

      (…)
      Je suis convaincu que personne n’apprécie la présente situation, comme j’ai l’impression qu’il n’y aura pas 36 000 occasions d’empêcher les dégradations générales du service public. Et je crains que, par l’acceptation de ce qui se passe, l’on avorte les seules options qu’il reste.
      Je suis désolé de ce message, d’exaspération, de résignation, de colère.

      J’ai choisi l’université française pour les valeurs qu’elle portait, pour la qualité de son enseignement, la force des valeurs qu’elle diffusait, la symbolique qu’elle portait sur la scène internationale et sa distance avec les branches professionnelles. Et j’ai l’impression que tout ce qui se passe nous condamne un peu plus, alors que la loi sécurité globale élève un peu plus la contestation, et que le gouvernement multiplie ses erreurs, en s’attaquant à trop de dossiers épineux en même temps. N’y a t’il pas un enjeu de convergence pour rendre efficace l’opposition et la proposition ?
      L’université n’est pas un bastion politique mais elle a de tout temps constitué un contre-pouvoir intellectuel se légitimant lors de dérives non-démocratiques, ou anti-sociales. Lorsqu’une autorité n’a que des positions dogmatiques, se soustrait de tout débat essentiel, d’acceptation de la différence (ce qui fait société !), n’est-il pas légitime de s’y opposer ?
      Nous, on se prend le climat, l’austérité qui arrive, la fragilisation de la sécu, des tafta, des lois sur le séparatisme, des policier·es décomplexé·es (minorité) qui tirent sur des innocents et sont couverts par des institutions qui ne jouent pas leur rôle arbitraire, on se fait insulter d’islamo-gauchistes sur les chaînes publiques parce qu’on porte certaines valeurs humanistes. J’avais à cœur de faire de la recherche car la science est ce qui nourrit l’évolution et garantit la transmission de la société, la rendant durable, je ne le souhaite plus. À quoi ça sert d’apprendre des notions de durabilité alors qu’on s’efforce de rendre la société la moins durable possible en pratique ?
      Que peut-on faire concrètement ? Ne nous laissez pas tomber, s’il vous plaît. Nous sommes et serons avec vous.
      Vous, enseignant·es, que vous le vouliez ou non êtes nos « modèles ». Les gens se calquent toujours sur leurs élites, sur leurs pairs.
      Vous êtes concerné·es aussi : les institutions vont commencer à faire la chasse aux sorcières dans les corpus universitaires si les dérives autoritaires se banalisent.

      L’orientation du débat public et la « fachisation » d’idéaux de société va inéluctablement faire en sorte que les enseignant·es soient en ligne de mire pour les valeurs qu’iels diffusent. C’est déjà en cours à la télé, des député·es banalisent ce discours.
      N’est-il pas du devoir des intellectuel·les d’élever le niveau du débat en portant des propositions ?
      Je ne suis pas syndiqué, pas engagé dans un parti, et je me sens libre de vous écrire ceci ; et je l’assumerai.
      Ce que je souhaite, c’est que l’on trouve un discours commun, motivant, pour que l’action puisse naître, collectivement et intelligemment : étudiant·es, et enseignant·es.
      Avec tout mon respect, fraternellement, et en considérant la difficile situation que vous-même vivez.

      Un étudiant en M1
      2 décembre 2020

      https://academia.hypotheses.org/29240

    • Des #vacataires au bord de la rupture se mettent en #grève

      Depuis le 23 novembre 2020, les vacataires en sociologie de l’#université_de_Bourgogne sont en #grève_illimitée. Ils et elles dénoncent les conditions de précarité dans lesquelles ils et elles travaillent, et demandent qu’un dialogue autour de ces problématiques soit enfin instaurer.

      Suite à leur communiqué, les enseignant·e·s–chercheur·e·s du département de sociologie ont décidé de leur apporter tout leur soutien.

      –---

      Communiqué des vacataires en sociologie à l’université de Bourgogne au bord de la rupture

      Nous, docteur·es et doctorant·es, vacataires et contractuel.le.s au département de sociologie, prenons aujourd’hui la parole pour dire notre colère face aux dysfonctionnements structurels au sein de l’université de Bourgogne, qui nous mettent, nous et nos collègues titulaires, dans des situations ubuesques. Nous tirons la sonnette d’alarme !

      L’université de Bourgogne, comme tant d’autres universités en France, recourt aux vacataires et aux contractuel·les pour réaliser des missions pourtant pérennes. Ainsi, en termes d’enseignement, nous vacataires, assurons en moyenne 20 % des enseignements des formations de l’université de Bourgogne. Et au département de sociologie cette proportion grimpe à près de 30%.

      Le statut de vacataire est, à l’origine, pensé pour que des spécialistes, qui ne seraient pas enseignant·es-chercheur·ses à l’université, puissent venir effectuer quelques heures de cours dans leur domaine de spécialité. Cependant aujourd’hui ce statut est utilisé pour pallier le manque de postes, puisque sans nous, la continuité des formations ne peut être assurée : en comptant les vacations ainsi que les heures complémentaires imposées aux enseignants titularisés, ce sont en effet 46% des cours qui dépassent le cadre normal des services des enseignant-chercheurs. Nous sommes donc des rouages essentiel du fonctionnement de l’université.

      Doctorant·es (bien souvent non financé·es, notamment en Sciences Humaines et Sociales) et docteur·es sans postes, nous sommes payé·es deux fois dans l’année, nous commençons nos cours bien souvent plusieurs semaines (à plusieurs mois !) avant que nos contrats de travail soient effectivement signés. Nous sommes par ailleurs rémunéré·es à l’heure de cours effectuée, ce qui, lorsqu’on prend en compte le temps de préparation des enseignements et le temps de corrections des copies, donne une rémunération en dessous du SMIC horaire1.

      Au delà de nos situations personnelles, bien souvent complexes, nous constatons tous les jours les difficultés de nos collègues titulaires, qui tentent de « faire tourner » l’université avec des ressources toujours plus limitées, et en faisant face aux injonctions contradictoires de l’administration, la surcharge de travail qu’induit le nombre croissant d’étudiant·es et les tâches ingrates à laquelle oblige l’indigne sélection mise en place par Parcoursup ! Sans compter, aujourd’hui, les charges administratives qui s’alourdissent tout particulièrement avec la situation sanitaire actuelle. Nous sommes contraint·es d’adapter les modalités d’enseignement, sans matériel et sans moyens supplémentaires, et dans des situations d’incertitudes absolues sur l’évolution de la situation. Nous sommes toutes et tous au maximum de nos services et heures complémentaires et supplémentaires, à tel point que, quand l’un·e ou l’autre doit s’absenter pour quelques raisons que ce soit, nos équipes sont au bord de l’effondrement ! Et nous ne disons rien ici du sens perdu de notre travail : ce sentiment de participer à un vrai service public de l’enseignement supérieur gratuit et ouvert à toutes et tous, systématiquement saboté par les réformes en cours du lycée et de l’ESR !

      C’est pour ces raisons, et face au manque de réponse de la part de l’administration, que nous avons pris la difficile décision d’entamer un mouvement de grève illimité à partir du lundi 23 novembre 2020 à 8 h. Ce mouvement prendra fin lorsqu’un dialogue nous sera proposé.

      Nos revendications sont les suivantes :

      Mensualisation des rémunérations des vacataires ;
      Souplesse vis-à-vis des « revenus extérieurs » insuffisants des vacataires, particulièrement en cette période de crise sanitaire ;
      Exonération des frais d’inscription pour les doctorant.e.s vacataires ;
      Titularisation des contractuelles et contractuels exerçant des fonctions pérennes à l’université ;
      Plus de moyens humains dans les composantes de l’université de Bourgogne.

      Nous avons bien conscience des conséquences difficiles que cette décision va provoquer, autant pour nos étudiant.e.s, que pour le fonctionnement du département de sociologie. Nous ne l’avons pas pris à la légère : elle ne s’est imposée qu’à la suite d’abondantes discussions et de mûres réflexions. Nous en sommes arrivé.es à la conclusion suivante : la défense de nos conditions de travail, c’est aussi la défense de la qualité des formations de l’université de Bourgogne.

      Pour ceux qui se sentiraient désireux de nous soutenir, et qui le peuvent, nous avons mis en place une caisse de grève afin d’éponger en partie la perte financière que recouvre notre engagement pour la fin d’année 2020.

      https://www.papayoux-solidarite.com/fr/collecte/caisse-de-greve-pour-les-vacataires-sociologie-dijon

      Nous ne lâcherons rien et poursuivrons, si besoin est, cette grève en 2021.
      Lettre de soutien des enseignant·es–chercheur·ses du département de sociologie à l’université de Bourgogne

      https://academia.hypotheses.org/29225
      #précarité #précaires

    • Un étudiant de Master, un doyen de droit : à quand les retrouvailles ?

      Academia republie ici, avec l’accord de leurs auteurs, deux courriels adressés l’un sur une liste de diffusion de l’Université de Paris-1 Panthéon-Sorbonne et l’autre par le doyen de la faculté de droit. Les deux disent la même chose : le souhait de se retrouver, de le faire dans des bonnes conditions sanitaires, mais de se retrouver. Aujourd’hui, seul le gouvernement — et peut-être bientôt le Conseil d’État qui devrait rendre la décision concernant le référé-liberté déposé par Paul Cassia — et audiencé le 3 décembre 2020 ((Le message que Paul Cassia a adressé à la communauté de Paris-1 à la sortie de l’audience avec un seul juge du Conseil d’État vendredi, n’était pas encourageant.)) — les en empêchent.

      –—

      Courriel de Dominik, étudiant en Master de Science Politique à l’Université de Paris-1

       » (…) Je me permets de vous transmettre le point de vue qui est le mien, celui d’un étudiant lambda, mais qui passe beaucoup de temps à échanger avec les autres. Je vous conjure d’y prêter attention, parce que ces quelques lignes ne sont pas souvent écrites, mais elles passent leur temps à être prononcées entre étudiantes et étudiants.

      Je crois qu’il est temps, en effet, de se préoccuper de la situation, et de s’en occuper à l’échelle de l’université plutôt que chacun dans son coin. Cette situation, désolé de répéter ce qui a été dit précédemment, est alarmante au plus haut point. J’entends parler autour de moi de lassitude, de colère, de fatigue, voire de problèmes de santé graves, de dépressions et de décrochages. Ce ne sont pas des cas isolés, comme cela peut arriver en novembre, mais bien une tendance de fond qui s’accroît de jour en jour. J’ai reçu des appels d’étudiantes et d’étudiants qui pleuraient de fatigue, d’autres d’incompréhensions. L’un m’écrivait la semaine dernière qu’il s’était fait remettre sous antidépresseurs, tandis que plusieurs témoignent, en privé comme sur les groupes de discussion, de leur situation de “décrochage permanent”.

      Ce décrochage permanent, je suis en train de l’expérimenter, consiste à avoir en permanence un train de retard que l’on ne peut rattraper qu’en prenant un autre train de retard. Le travail est en flux tendu, de 9 heures à 21 heures pour les plus efficaces, de 9h à minuit, voire au-delà pour les plus occupés, ceux qui font au système l’affront de vouloir continuer à suivre un second cursus (linguistique, dans mon cas), voire pire, de continuer à s’engager dans la vie associative qui rend notre Alma Mater si singulière. Parce que nous l’oublions, mais la vitalité associative est elle aussi en grand danger.

      Pour revenir au décrochage permanent, qui est à la louche le lot de la moitié des étudiantes et étudiants de ma licence, et sûrement celui de milliers d’autres à travers l’Université, c’est une situation qui n’est tenable ni sur le plan physique, ni sur le plan psychique, ni sur le plan moral, c’est à dire de la mission que l’Université se donne.

      Sur le plan physique, nous sommes victimes de migraines, de fatigue oculaire (une étudiante me confiait il y a trois jours avoir les yeux qui brûlent sous ses lentilles), de maux de dos et de poignet. Certains sont à la limite de l’atrophie musculaire, assis toute la journée, avec pour seul trajet quotidien l’aller-retour entre leur lit et leur bureau, et éventuellement une randonnée dans leur cuisine. Je n’arrive pas non plus à estimer la part des étudiantes et étudiants qui ne s’alimente plus correctement, mangeant devant son écran ou sautant des repas.

      Sur le plan psychique, la solitude et la routine s’installent. Solitude de ne plus voir ni ses amis ni même quiconque à ce qui est censé être l’âge de toutes les expériences sociales, lassitude des décors (le même bureau, la même chambre, le même magasin), routine du travail (dissertation le lundi, commentaire le mardi, fiche de lecture le mercredi, etc. en boucle) et des cours (“prenez vos fascicules à la page 63, on va faire la fiche d’arrêt de la décision n°xxx”).

      Sur le plan moral, parce que notre Université est en train d’échouer. La Sorbonne plus que toute autre devrait savoir en quoi elle est un lieu de débat d’idées, d’élévation intellectuelle, d’émancipation et d’épanouissement. Sans vie associative, sans conférences, sans rencontres, sans soirées endiablées à danser jusqu’à 6 heures avant l’amphi de Finances publiques (désolé), sans les interventions interminables des trotskystes dans nos amphis, les expos dans la galerie Soufflot, les appariteurs tatillons en Sorbonne et les cafés en terrasse où on se tape dessus, entre deux potins, pour savoir s’il vaut mieux se rattacher à Bourdieu ou à Putnam, à Duguit ou à Hauriou, sans tout ce qui fait d’une Université une Université et de la Sorbonne la Sorbonne, nous sommes en train d’échouer collectivement.

      Sous prétexte de vouloir s’adapter à la situation sanitaire, nous avons créé un problème sanitaire interne à notre établissement, et nous l’avons recouvert d’une crise du sens de ce que nous sommes en tant qu’étudiantes et étudiants, et de ce que Paris I est en tant qu’Université.

      Ce problème majeur ne pourra être traité qu’à l’échelle de toute l’Université. Parce que nombre de nos étudiants dépendent de plusieurs composantes, et qu’il serait dérisoire de croire qu’alléger les cours d’une composante suffira à sauver de la noyade celles et ceux qui seront toujours submergés par les cours de la composante voisine. Parce qu’il semble que nous ayons décidé de tenir des examens normaux en présentiel en janvier, alors même que nombre d’entre nous sont confinés loin de Paris, alors même que la situation sanitaire demeure préoccupante, alors même qu’il serait risible de considérer qu’un seul étudiant de cette Université ait pu acquérir correctement les savoirs et savoir-faires qu’on peut exiger de lui en temps normal.

      Je ne dis pas qu’il faut tenir des examens en distanciel, ni qu’il faut les tenir en présentiel, pour être honnête je n’en ai pas la moindre idée. Je sais en revanche que faire comme si tout était normal alors que rien ne l’est serait un affront fait aux étudiants.

      J’ajoute, enfin, pour conclure ce trop long mot, que je ne parle pas ici des mauvais élèves. Lorsque je parle de la souffrance et de la pénibilité, c’est autant celle des meilleurs que des médiocres. Quand quelqu’un qui a eu 18,5 au bac s’effondre en larmes au bout du fil, ce n’est plus un problème personnel. Quand des étudiantes et étudiants qui ont été sélectionnés sur ParcourSup à raison d’une place pour cent, qui ont été pour beaucoup toute leur vie les modèles les plus parfaits de notre système scolaire, qui sont pour nombre d’entre eux d’anciens préparationnaires à la rue d’Ulm, quand ceux-là vous disent qu’ils souffrent et qu’ils n’en peuvent plus, c’est que le système est profondément cassé.

      Désolé, je n’ai pas de solutions. On en a trouvé quelques-unes dans notre UFR, elles sont listées dans le mail de M. Valluy, mais je persiste à croire que ce n’est pas assez. Tout ce que je sais, c’est qu’il faut arrêter de faire comme si tout allait bien, parce que la situation est dramatique.

      Je sais, par ailleurs, que ce constat et cette souffrance sont partagés par nombre d’enseignants, je ne peux que leur témoigner mon indéfectible soutien. Je remercie également Messieurs Boncourt et Le Pape d’alerter sur cette situation, et ne peux que souscrire à leur propos.

      Prenez soin de notre société, Prenez soin de vous (…) »

      Dominik

      –—

      Mesdames, Messieurs, chers étudiants,
      Comment vous dire ? Pas d’information ici, pas de renseignement. Je voulais vous parler, au nom de tous.
      La Faculté est froide, déserte. Pas de mouvement, pas de bruit, pas vos voix, pas vos rires, pas l’animation aux pauses. Il n’y a même plus un rayon de soleil dans la cour.
      Nous continuons à enseigner devant des écrans, avec des petites mains qui se lèvent sur teams et une parole à distance. Quelque fois nous vous voyons dans une petite vignette, un par un.
      Quelle tristesse qu’une heure de cours devant un amphithéâtre vide, dont on ne sent plus les réactions, à parler devant une caméra qui finit par vous donner le sentiment d’être, vous aussi, une machine.
      Quel manque d’âme dans ce monde internet, ce merveilleux monde du numérique dont même les plus fervents défenseurs perçoivent aujourd’hui qu’il ne remplacera jamais la chaleur d’une salle remplie de votre vie.

      Vous nous manquez, plus que vous ne l’imaginez. Vous nous manquez à tous, même si nous ne savons pas toujours ni vous le dire, ni vous le montrer.
      Et au manque s’ajoute aujourd’hui une forme de colère, contre le traitement qui vous est fait. Votre retour en février seulement ? Inadmissible. La rentrée en janvier est devenue notre combat collectif.
      Partout les Présidents d’Université expriment leur désaccord et seront reçus par le Premier Ministre. Les doyens de Faculté sont montés au créneau devant le Ministre de l’enseignement supérieur. On ne garantit pas d’être entendus mais on a expliqué que l’avenir ne s’emprisonne pas et que vous êtes l’avenir. Il semble que cela fasse sérieusement réfléchir.
      Si d’aventure nous obtenions gains de cause, et pouvions rentrer en janvier, je proposerai de décaler la rentrée en cas de besoin pour qu’on puisse reprendre avec vous.
      Et vous ?
      Ne croyez pas que nous ignorions que beaucoup d’entre vous se sentent isolés, délaissés, abandonnés même, et que, parfois, même les plus forts doutent. Nous percevons, malgré votre dignité en cours, que la situation est déplaisante, anxiogène, désespérante. Et nous pensons à celles et ceux qui ont été ou sont malades, ou qui voient leurs proches souffrir.
      Nous le sentons bien et souffrons de nous sentir impuissants à vous aider davantage.
      Je veux simplement vous dire que vous devez encore tenir le coup. C’est l’affaire de quelques semaines. C’est difficile mais vous allez y arriver. Vous y arriverez pour vous, pour vos proches, pour nous.

      Pour vous parce que, quelle que soit l’issue de ce semestre, vous aurez la fierté d’avoir résisté à cet orage. Vous aurez été capables de surmonter des conditions difficiles, et serez marqués, par ceux qui vous emploieront demain, du sceau de l’abnégation et courage. Ce sera, de toute façon, votre victoire.
      Pour vos proches parce qu’ils ont besoin, eux aussi, de savoir que vous ne cédez pas, que vous continuez à tout donner, que si vous avez parfois envie d’en pleurer, vous aurez la force d’en sourire.
      Pour nous enfin car il n’y aurait rien de pire pour nous que de ne pas vous avoir donné assez envie pour aller de l’avant. Nous ne sommes pas parfaits, loin de là, mais faisons honnêtement ce que nous pouvons et espérons, de toutes nos forces, vous avoir transmis un peu de notre goût pour nos disciplines, et vous avoir convaincus que vous progresserez aussi bien par l’adversité que par votre réussite de demain.
      Comment vous dire ? j’avais juste envie de vous dire que nous croyons en vous et que nous vous attendons. Bon courage !

      Amicalement
      Fabrice GARTNER
      Doyen de la Faculté de droit, sciences économiques et gestion de Nancy
      Professeur de droit public à l’Université de Lorraine
      Directeur du Master 2 droit des contrats publics
      Avocat spécialiste en droit public au barreau d’Epinal

      https://academia.hypotheses.org/29334

    • « Un #dégoût profond pour cette République moribonde » , écrit un étudiant de sciences sociales

      Le message a circulé. Beaucoup.
      Sur les listes de diffusion, sur les plateformes de messagerie. Le voici publié sur un site : Bas les masques. Il n’est pas inutile de le relire. Et de continuer à se demander que faire. De son côté, Academia continue : proposer des analyses, proposer des actions.

      –---

      Bonjour,

      Je suis enseignant de sciences sociales en lycée en Bretagne et j’ai reçu le cri d’alarme d’un de mes ancien-ne-s élèves de première qui a participé à la manifestation parisienne contre la loi dite de sécurité globale le samedi 5 décembre dernier. Il a aujourd’hui 21 ans et il est étudiant.

      Je me sens démuni pour répondre seul à ce cri d’alarme alors je le relaie en espérant qu’il sera diffusé et qu’il suscitera quelque chose. Une réaction collective à imaginer. Mais laquelle ?

      Merci d’avance pour la diffusion et pour vos éventuelles réponses.

      « Bonjour Monsieur,

      Ce mail n’appelle pas nécessairement de réponse de votre part, je cherchais simplement à écrire mon désarroi. Ne sachant plus à qui faire part du profond mal-être qui m’habite c’est vous qui m’êtes venu à l’esprit. Même si cela remonte à longtemps, l’année que j’ai passée en cours avec vous a eu une influence déterminante sur les valeurs et les idéaux qui sont aujourd’hui miens et que je tente de défendre à tout prix, c’est pour cela que j’ai l’intime conviction que vous serez parmi les plus à même de comprendre ce que j’essaye d’exprimer.

      Ces dernières semaines ont eu raison du peu d’espoir qu’il me restait. Comment pourrait-il en être autrement ? Cette année était celle de mes 21 ans, c’est également celle qui a vu disparaître mon envie de me battre pour un monde meilleur. Chaque semaine je manifeste inlassablement avec mes amis et mes proches sans observer le moindre changement, je ne sais plus pourquoi je descends dans la rue, il est désormais devenu clair que rien ne changera. Je ne peux parler de mon mal-être à mes amis, je sais qu’il habite nombre d’entre eux également. Nos études n’ont désormais plus aucun sens, nous avons perdu de vue le sens de ce que nous apprenons et la raison pour laquelle nous l’apprenons car il nous est désormais impossible de nous projeter sans voir le triste futur qui nous attend. Chaque semaine une nouvelle décision du gouvernement vient assombrir le tableau de cette année. Les étudiants sont réduits au silence, privés de leurs traditionnels moyens d’expression. Bientôt un blocage d’université nous conduira à une amende de plusieurs milliers d’euros et à une peine de prison ferme. Bientôt les travaux universitaires seront soumis à des commissions d’enquêtes par un gouvernement qui se targue d’être le grand défenseur de la liberté d’expression. Qu’en est-il de ceux qui refuseront de rentrer dans le rang ?

      Je crois avoir ma réponse.

      Samedi soir, le 5 décembre, j’étais présent Place de la République à Paris. J’ai vu les forces de l’ordre lancer à l’aveugle par-dessus leurs barricades anti-émeutes des salves de grenades GM2L sur une foule de manifestants en colère, habités par une rage d’en découdre avec ce gouvernement et ses représentants. J’ai vu le jeune homme devant moi se pencher pour ramasser ce qui ressemblait à s’y méprendre aux restes d’une grenade lacrymogène mais qui était en réalité une grenade GM2L tombée quelques secondes plus tôt et n’ayant pas encore explosée. Je me suis vu lui crier de la lâcher lorsque celle-ci explosa dans sa main. Tout s’est passé très vite, je l’ai empoigné par le dos ou par le sac et je l’ai guidé à l’extérieur de la zone d’affrontements. Je l’ai assis au pied de la statue au centre de la place et j’ai alors vu ce à quoi ressemblait une main en charpie, privée de ses cinq doigts, sorte de bouillie sanguinolente. Je le rappelle, j’ai 21 ans et je suis étudiant en sciences sociales, personne ne m’a appris à traiter des blessures de guerre. J’ai crié, crié et appelé les street medics à l’aide. Un homme qui avait suivi la scène a rapidement accouru, il m’a crié de faire un garrot sur le bras droit de la victime. Un garrot… Comment pourrais-je avoir la moindre idée de comment placer un garrot sur une victime qui a perdu sa main moins d’une minute plus tôt ? Après quelques instants qui m’ont paru interminables, les street medics sont arrivés et ont pris les choses en main. Jamais je n’avais fait face à un tel sentiment d’impuissance. J’étais venu manifester, exprimer mon mécontentement contre les réformes de ce gouvernement qui refuse de baisser les yeux sur ses sujets qui souffrent, sur sa jeunesse qui se noie et sur toute cette frange de la population qui suffoque dans la précarité. Je sais pertinemment que mes protestations n’y changeront rien, mais manifester le samedi me permet de garder à l’esprit que je ne suis pas seul, que le mal-être qui m’habite est général. Pourtant, ce samedi plutôt que de rentrer chez moi heureux d’avoir revu des amis et d’avoir rencontré des gens qui gardent espoir,je suis rentré chez moi dépité, impuissant et révolté. Dites-moi Monsieur, comment un étudiant de 21 ans qui vient simplement exprimer sa colère la plus légitime peut-il se retrouver à tenter d’installer un garrot sur le bras d’un inconnu qui vient littéralement de se faire arracher la main sous ses propres yeux, à seulement deux ou trois mètres de lui. Comment en suis-je arrivé là ? Comment en sommes-nous arrivés là ?

      Je n’ai plus peur de le dire. Aujourd’hui j’ai un dégoût profond pour cette République moribonde. Les individus au pouvoir ont perverti ses valeurs et l’ont transformée en appareil répressif à la solde du libéralisme. J’ai développé malgré moi une haine profonde pour son bras armé qui défend pour envers et contre tous ces hommes et ces femmes politiques qui n’ont que faire de ce qu’il se passe en bas de leurs châteaux. J’ai toujours défendu des valeurs humanistes et pacifistes, qui m’ont été inculquées par mes parents et desquelles j’ai jusqu’ici toujours été très fier. C’est donc les larmes aux yeux que j’écris ceci mais dites-moi Monsieur, comment aujourd’hui après ce que j’ai vu pourrais-je rester pacifique ? Comment ces individus masqués, sans matricules pourtant obligatoires peuvent-ils nous mutiler en toute impunité et rentrer chez eux auprès de leur famille comme si tout était normal ? Dans quel monde vivons-nous ? Dans un monde où une association de policiers peut ouvertement appeler au meurtre des manifestants sur les réseaux sociaux, dans un monde où les parlementaires et le gouvernement souhaitent renforcer les pouvoirs de cette police administrative qui frappe mutile et tue.Croyez-moi Monsieur, lorsque je vous dis qu’il est bien difficile de rester pacifique dans un tel monde…

      Aujourd’hui être français est devenu un fardeau, je suis l’un de ces individus que l’Etat qualifie de « séparatiste », pourtant je ne suis pas musulman, ni même chrétien d’ailleurs. Je suis blanc, issu de la classe moyenne, un privilégié en somme… Mais quelle est donc alors cette religion qui a fait naître en moi une telle défiance vis-à-vis de l’Etat et de la République ? Que ces gens là-haut se posent les bonnes questions, ma haine pour eux n’est pas due à un quelconque endoctrinement, je n’appartiens à l’heure actuelle à aucune organisation, à aucun culte « sécessioniste ». Pourtant je suis las d’être français, las de me battre pour un pays qui ne veut pas changer. Le gouvernement et les individus au pouvoir sont ceux qui me poussent vers le séparatisme. Plutôt que de mettre sur pied des lois visant à réprimer le séparatisme chez les enfants et les étudiants qu’ils s’interrogent sur les raisons qui se cachent derrière cette défiance. La France n’est plus ce qu’elle était, et je refuse d’être associé à ce qu’elle représente aujourd’hui. Aujourd’hui et malgré moi je suis breton avant d’être français. Je ne demanderais à personne de comprendre mon raisonnement, seulement aujourd’hui j’ai besoin de me raccrocher à quelque chose, une lueur, qui aussi infime soit-elle me permette de croire que tout n’est pas perdu. Ainsi c’est à regret que je dis cela mais cette lueur je ne la retrouve plus en France, nous allons au-devant de troubles encore plus grands, le pays est divisé et l’antagonisme grandit de jour en jour. Si rien n’est fait les jeunes qui comme moi chercheront une sortie, un espoir alternatif en lequel croire, quand bien même celui-ci serait utopique, seront bien plus nombreux que ne l’imaginent nos dirigeants. Et ce ne sont pas leurs lois contre le séparatisme qui pourront y changer quelque chose. Pour certains cela sera la religion, pour d’autre comme moi, le régionalisme. Comment pourrait-il en être autrement quand 90% des médias ne s’intéressent qu’aux policiers armés jusqu’aux dents qui ont été malmenés par les manifestants ? Nous sommes plus de 40 heures après les événements de samedi soir et pourtant je n’ai vu nulle part mentionné le fait qu’un manifestant avait perdu sa main, qu’un journaliste avait été blessé à la jambe par des éclats de grenades supposées sans-danger. Seul ce qui reste de la presse indépendante tente encore aujourd’hui de faire la lumière sur les événements terribles qui continuent de se produire chaque semaine. Soyons reconnaissants qu’ils continuent de le faire malgré les tentatives d’intimidation qu’ils subissent en marge de chaque manifestation.

      Je tenais à vous le dire Monsieur, la jeunesse perd pied. Dans mon entourage sur Paris, les seuls de mes amis qui ne partagent pas mon mal-être sont ceux qui ont décidé de fermer les yeux et de demeurer apolitiques. Comment les blâmer ? Tout semble plus simple de leur point de vue. Nous sommes cloitrés chez nous pendant que la planète se meurt dans l’indifférence généralisée, nous sommes rendus responsables de la propagation du virus alors même que nous sacrifions nos jeunes années pour le bien de ceux qui ont conduit la France dans cette impasse. Les jeunes n’ont plus l’envie d’apprendre et les enseignants plus l’envie d’enseigner à des écrans noirs. Nous sacrifions nos samedis pour aller protester contre ce que nous considérons comme étant une profonde injustice, ce à quoi l’on nous répond par des tirs de grenades, de gaz lacrymogènes ou de LBD suivant les humeurs des forces de l’ordre. Nous sommes l’avenir de ce pays pourtant l’on refuse de nous écouter, pire, nous sommes muselés. Beaucoup de chose ont été promises, nous ne sommes pas dupes.

      Ne gaspillez pas votre temps à me répondre. Il s’agissait surtout pour moi d’écrire mes peines. Je ne vous en fait part que parce que je sais que cette lettre ne constituera pas une surprise pour vous. Vous êtes au premier rang, vous savez à quel point l’abime dans laquelle sombre la jeunesse est profonde. Je vous demanderai également de ne pas vous inquiéter. Aussi sombre cette lettre soit-elle j’ai toujours la tête bien fixée sur les épaules et j’attache trop d’importance à l’éducation que m’ont offert mes parents pour aller faire quelque chose de regrettable, cette lettre n’est donc en aucun cas un appel au secours. J’éprouvais seulement le besoin d’être entendu par quelqu’un qui je le sais, me comprendra.

      Matéo »

      https://academia.hypotheses.org/29546

    • Les étudiants oubliés : de la #méconnaissance aux #risques

      Ce qui suit n’est qu’un billet d’humeur qui n’engage évidemment ni la Faculté, ni ses étudiants dont je n’entends pas ici être le représentant. Et je ne parle que de ceux que je crois connaître, dans les disciplines de la Faculté qui est la mienne. On ne me lira pas jusqu’au bout mais cela soulage un peu.

      Le président de la République a vécu à « l’isolement » au pavillon de la Lanterne à Versailles. Ce n’était pas le #confinement d’un étudiant dans sa chambre universitaire, mais il aura peut-être touché du doigt la vie « sans contact ». On espère qu’elle cessera bientôt pour nos étudiants, les oubliés de la République…

      #Oubliés des élus (j’excepte mon député qui se reconnaîtra), y compris locaux, qui, après avoir milité pour la réouverture des petits commerces, n’ont plus que le 3e confinement comme solution, sans y mettre, et c’est le reproche que je leur fais, les nuances qu’appelle une situation estudiantine qui devient dramatique.

      Oubliés depuis le premier confinement. Alors qu’écoliers, collégiens et lycéens rentraient, ils n’ont jamais eu le droit de revenir dans leur Faculté. Le « #distanciel » était prôné par notre Ministère. On neutralisera finalement les dernières épreuves du baccalauréat, acquis sur tapis vert. Pourtant, aux étudiants, et à nous, on refusera la #neutralisation des #examens d’un semestre terminé dans le chaos. Ils devront composer et nous tenterons d’évaluer, mal.

      Tout le monde rentre en septembre… Pour les étudiants, le ministère entonne désormais l’hymne à « l’#enseignement_hybride »… On coupe les promotions en deux. On diffuse les cours en direct à ceux qui ne peuvent s’asseoir sur les strapontins désormais scotchés… Les étudiants prennent l’habitude du jour sur deux. Les débuts technologiques sont âpres, nos jeunes ont une patience d’ange, mais on sera prêts à la Toussaint.

      Oubliés au second confinement. Le Ministre de l’éducation a obtenu qu’on ne reconfine plus ses élèves, à raison du risque de #décrochage. Lui a compris. L’enseignement supérieur n’obtient rien et reprend sa comptine du « distanciel ». Les bambins de maternelle pourront contaminer la famille le soir après une journée à s’esbaudir sans masque, mais les étudiants n’ont plus le droit de venir, même masqués, même un sur deux, alors que c’est la norme dans les lycées.

      Oubliés à l’annonce de l’allègement, quand ils, apprennent qu’ils ne rentreront qu’en février, quinze jours après les restaurants… Pas d’explication, pas de compassion. Rien. Le Premier ministre, décontenancé lors d’une conférence de presse où un journaliste, un original pour le coup, demandera … « et les étudiants ? », répondra : « Oui, nous avons conscience de la situation des étudiants ».

      Des collègues croyant encore aux vertus d’un #référé_liberté agiront devant le Conseil d’Etat, en vain. Merci à eux d’avoir fait la démarche, sous la conduite de Paul Cassia. Elle traduit une demande forte, mais sonne comme un prêche dans le désert.

      Oubliés alors que le ministère a connaissance depuis décembre des chiffres qui montrent une situation psychologique dégradée, des premières tentatives de suicide. Il a répondu… ! Nos dernières circulaires nous autorisent à faire revenir les étudiants dès janvier pour… des groupes de soutien ne dépassant pas 10 étudiants… Ce n’est pas de nounous dont les étudiants ont besoin, c’est de leurs enseignants. Et les profs n’ont pas besoin d’assistants sociaux, ils veulent voir leurs étudiants.

      On pourrait refaire des travaux dirigés en demi salles… à une date à fixer plus tard. Le vase déborde ! Quand va-t-on sérieusement résoudre cet #oubli qui ne peut résulter que de la méconnaissance et annonce des conséquences graves.

      La méconnaissance

      Fort d’une naïveté qu’on veut préserver pour survivre, on va croire que l’oubli est le fruit non du mépris, mais d’une méprise.

      Les étudiants sont d’abord victimes de leur nombre. Le Premier Ministre parlera d’eux comme d’un « #flux », constitué sans doute d’écervelés convaincus d’être immortels et incapables de discipline. Les éloigner, c’est évidemment écarter la masse, mais l’argument cède devant les étudiants (les nôtres par exemple), qui ont prouvé leur capacité à passer leurs examens « en présentiel » dans un respect impressionnant des consignes. Il cède aussi devant la foule de voyageurs du métro ou les files d’attente des grands magasins. Brassage de population ? Il y en a des pires.

      Ils sont ensuite victime d’un cliché tenace. Dans un amphi, il ne se passe rien. L’enseignant débite son cours et s’en va. Le cours ayant tout d’un journal télévisé, on peut le… téléviser. Tous les enseignants, mais se souvient-on qu’ils existent, savaient et on redécouvert que tout dans un amphi est fait d’échanges avec la salle : des #regards, des #sourires, des sourcils qui froncent, un brouhaha de doute, un rire complice. Le prof sent son public, redit quand il égare, accélère quand il ennuie, ralentit quand il épuise.

      Le ministère croit le contraire, et le Conseil d’Etat, dont l’audace majeure aura été de critiquer la jauge dans les églises, a cédé au cliché pour les amphis en jugeant que le distanciel « permet l’accès à l’enseignement supérieur dans les conditions sanitaires » actuelles (ord. n°447015 du 10 décembre). Nous voilà sauvés. Le prêtre serait-il plus présent que le professeur ? La haute juridiction, pour les théâtres, admettant que leurs #mesures_sanitaires sont suffisantes, nous avons d’ailleurs les mêmes, concèdera que leur fermeture compromet les libertés mais doit être maintenue dans un « contexte sanitaire marqué par un niveau particulièrement élevé de diffusion du virus au sein de la population », autant dire tant que le gouvernement jugera que ça circule beaucoup (ord. n°447698 du 23 décembre). Si on résume, « 30 à la messe c’est trop peu », « pour les études la télé c’est suffisant » et « on rouvrira les théâtres quand ca ira mieux ».

      Au ministère, on imagine peut-être que les étudiants se plaisent au distanciel. Après tout, autre #cliché d’anciennes époques, ne sont-ils pas ces comateux en permanente grasse matinée préférant se vautrer devant un écran en jogging plutôt que subir la corvée d’un cours ? Cette armée de geeks gavés à la tablette depuis la poussette ne goûtent-ils pas la parenté entre un prof en visio et un jeu vidéo ? Ils n’en peuvent plus de la distance, de ces journées d’écran… seuls, au téléphone ou via des réseaux sociaux souvent pollués par des prophètes de malheur ayant toujours un complot à dénoncer et une rancoeur à vomir.

      Enfin, les étudiants, adeptes chaque soir de chouilles contaminantes, doivent rester éloignés autant que resteront fermés les bars dont ils sont les piliers. Ignore-t-on que la moitié de nos étudiants sont boursiers, qu’ils dépenseront leurs derniers euros à acheter un livre ou simplement des pâtes plutôt qu’à s’enfiler whisky sur vodka… ? Ignore-t-on les fêtes thématiques, les soirées littéraires, les conférences qu’ils organisent ? Quand on les côtoie, ne serait-ce qu’un peu, on mesure que leur #convivialité n’est pas celles de soudards.

      Ils survivraient sans les bars et peuvent rentrer avant qu’on les rouvre.

      Ceux qui les oublient par facilité ne les connaissent donc pas. Et c’est risqué.

      Le risque

      Le risque est pédagogique. On sait que ça décroche, partout. Les titulaires du bac sans l’avoir passé n’ont plus de repères. Leur échec est une catastrophe annoncée. Les étudiants plus aguerris ne sont pas en meilleur forme. L’#apprentissage est plus difficile, la compréhension est ralentie par l’absence d’échange. Et, alors que deux semestres consécutifs ont déjà été compromis, le premier dans l’urgence, le second par facilité, faut-il en ajouter un troisième par #lâcheté ? La moitié d’une licence gachée parce qu’on ne veut pas prendre le risque de faire confiance aux jeunes ? Les pédagogues voient venir le mur et proposent qu’on l’évite au lieu d’y foncer en klaxonnant.

      Le risque est économique. On ne confine pas les élèves en maternelle car il faut que les parents travaillent. Les étudiants ne produisent rien et peuvent se garder seuls. C’est pratique ! Mais le pari est à court terme car la génération qui paiera la dette, c’est eux. Faut-il décourager des vocations et compromettre l’insertion professionnelle de ceux qui devront avoir la force herculéenne de relever l’économie qu’on est en train de leur plomber ? Plus que jamais la #formation doit être une priorité et le soutien aux jeunes un impératif.

      Il est sanitaire. A-t-on eu des #clusters dans notre fac ? Non. Et pourtant on a fonctionné 7 semaines, avec bien moins de contaminations que dans les écoles, restées pourtant ouvertes. On sait les efforts et le sacrifice des soignants. Nul ne met en doute ce qu’ils vivent et ce qu’ils voient. Les étudiants ont eu, eux aussi, des malades et des morts. Ils savent ce qu’est la douleur. Les enseignants aussi. Mais la vie est là, encore, et il faut la préserver aussi.

      Et attention qu’à force de leur interdire les lieux dont les universités ont fait de véritables sanctuaires, on les incite aux réunions privées, à dix dans un studio juste pour retrouver un peu de partage. On sait pourtant que c’est dans la sphère privée que réside le problème. Le retour dans les #amphis, c’est la réduction du #risque_privé, et non l’amplification du #risque_public.

      Il est humain. Un étudiant n’est pas un être solitaire. Il étudie pour être utile aux autres. Il appartient toujours à une #promo, qu’en aucun cas les réseaux sociaux ne peuvent remplacer. Il voulait une #vie_étudiante faite des découvertes et des angoisses d’un début de vie d’adulte avec d’autres jeunes adultes. Ce n’est pas ce qu’on lui fait vivre, pas du tout. L’isolement le pousse au doute, sur la fac, sur les profs, sur les institutions en général, et, pire que tout, sur lui-même. La #sécurité_sanitaire conduit, chez certains, à la victoire du « à quoi bon ». Si quelques uns s’accommodent de la situation, la vérité est que beaucoup souffrent, ce qu’ils n’iront pas avouer en réunion publique quand on leur demande s’ils vont bien. Beaucoup se sentent globalement délaissés, oubliés, voire méprisés. Va-t-on continuer à leur répondre « plus tard », « un peu de patience », sans savoir jusque quand du reste, et attendre qu’on en retrouve morts ?

      Il est aussi politique. Certains étudiants ont la sensation de payer pour d’autres ; ceux qui ont affaibli l’hôpital, ceux qui n’ont pas renouvelé les masques, ceux qui ont cru à une grippette, et on en passe. Il est temps d’éviter de les culpabiliser, même indirectement.

      Pour retrouver une #confiance passablement écornée, les gouvernants doivent apprendre à faire confiance à leur peuple, au lieu de s’en défier. Les étudiants sont jeunes mais, à condition de croire que c’est une qualité, on peut parier qu’ils ne décevront personne s’ils peuvent faire leurs propres choix. N’est-ce pas à cela qu’on est censé les préparer ?

      Si la préservation des populations fragiles est un devoir que nul ne conteste, au jeu de la #fragilité, les étudiants ont la leur ; leur inexpérience et le besoin d’être guidés.

      Dans l’histoire de l’Homme, les aînés ont toujours veillé à protéger la jeune génération. Les parents d’étudiants le font dans chaque famille mais à l’échelle du pays c’est la tendance inverse. Une génération de gouvernants ignore les #jeunes pour sauver les ainés. Doit-on, pour éviter que des vies finissent trop tôt, accepter que d’autres commencent si mal ? C’est un choc de civilisation que de mettre en balance à ce point l’avenir sanitaire des uns et l’avenir professionnel des autres.

      Alors ?

      Peut-on alors revenir à l’équilibre et au bon sens ? Que ceux qui ont besoin d’être là puissent venir, et que ceux qui préfèrent la distance puissent la garder ! Que les enseignants qui veulent des gens devant eux les retrouvent et que ceux qui craindraient pour eux ou leurs proches parlent de chez eux. Peut-on enfin laisser les gens gérer la crise, en fonction des #impératifs_pédagogiques de chaque discipline, des moyens de chaque établissement, dans le respect des normes ? Les gens de terrain, étudiants, enseignants, administratifs, techniciens, ont prouvé qu’ils savent faire.

      Quand le silence vaudra l’implicite réponse « tout dépendra de la situation sanitaire », on aura compris qu’on fait passer le commerce avant le savoir, comme il passe avant la culture, et qu’on a préféré tout de suite des tiroirs caisses bien pleins plutôt que des têtes bien faites demain.

      https://academia.hypotheses.org/29817

    • Covid-19 : des universités en souffrance

      En France, les valses-hésitations et les changements réguliers de protocole sanitaire épuisent les enseignants comme les étudiants. Ces difficultés sont accentuées par un manque de vision politique et d’ambition pour les universités.

      Les années passées sur les bancs de l’université laissent en général des souvenirs émus, ceux de la découverte de l’indépendance et d’une immense liberté. La connaissance ouvre des horizons, tandis que se construisent de nouvelles relations sociales et amicales, dont certaines se prolongeront tout au long de la vie.

      Mais que va retenir la génération d’étudiants qui tente de poursuivre ses études malgré la pandémie de Covid-19 ? Isolés dans des logements exigus ou obligés de retourner chez leurs parents, livrés à eux-mêmes en raison des contraintes sanitaires, les jeunes traversent une épreuve dont ils ne voient pas l’issue. Faute de perspectives, l’épuisement prend le dessus, l’angoisse de l’échec est omniprésente, la déprime menace.

      Des solutions mêlant enseignement présentiel et à distance ont certes permis d’éviter les décrochages en masse, mais elles n’ont pas empêché l’altération de la relation pédagogique. Vissés derrière leur écran pendant parfois plusieurs heures, les étudiants pâtissent de l’absence d’échanges directs avec les professeurs, dont certains ont du mal à adapter leurs cours aux nouvelles contraintes. Faute de pouvoir transmettre leur savoir dans de bonnes conditions, certains enseignants passent du temps à faire du soutien psychologique.

      Ces difficultés sont communes à l’ensemble des établissements d’enseignement supérieur, partout dans le monde. Mais en France, elles sont accentuées par un manque de vision politique et d’ambition pour les universités et une ministre de l’enseignement supérieur, Frédérique Vidal, qui brille par sa discrétion.
      Deux vitesses dans l’enseignement supérieur

      Les universités anglo-saxonnes ont adopté des politiques plus radicales, mais qui ont le mérite de la clarté. Bon nombre d’entre elles ont décidé dès l’été que le semestre d’automne, voire toute l’année, serait entièrement en ligne. En France, les valses-hésitations et les changements réguliers de protocole sanitaire épuisent les enseignants, les empêchent de se projeter, tandis que les étudiants peinent à s’adapter sur le plan matériel, certains se retrouvant contraints de payer le loyer d’un appartement devenu inutile, alors que tous les cours sont à distance.

      La situation est d’autant plus difficile à vivre que l’enseignement supérieur avance à deux vitesses. Hormis pendant le premier confinement, les élèves des classes préparatoires et des BTS, formations assurées dans des lycées, ont toujours suivi leurs cours en présentiel. En revanche, pour l’université, c’est la double peine. Non seulement les étudiants, généralement moins favorisés sur le plan social que ceux des classes préparatoires aux grandes écoles, sont moins encadrés, mais ils sont contraints de suivre les cours en ligne. Cette rupture d’égalité ne semble émouvoir ni la ministre ni le premier ministre, qui n’a pas eu un mot pour l’enseignement supérieur lors de sa conférence de presse, jeudi 7 janvier.

      Là encore, la pandémie agit comme un révélateur de faiblesses préexistantes. Les difficultés structurelles des universités ne sont que plus visibles. Ainsi, les établissements ne parviennent pas à assumer l’autonomie qui leur a été octroyée. Obligés d’accueillir chaque année davantage d’étudiants, soumis à des décisions centralisées, ils manquent de moyens, humains et financiers, pour s’adapter. Les dysfonctionnements techniques lors des partiels, reflet d’une organisation indigente ou sous-dimensionnée, en ont encore témoigné cette semaine.

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/01/09/covid-19-des-universites-en-souffrance_6065728_3232.html

    • Hebdo #96 : « Frédérique Vidal devrait remettre sa démission » – Entretien avec #Pascal_Maillard

      Face au danger grave et imminent qui menace les étudiants, Pascal Maillard, professeur agrégé à la faculté des lettres de l’université de Strasbourg et blogueur de longue date du Club Mediapart, considère que « l’impréparation du ministère de l’enseignement et de la recherche est criminelle ». Il appelle tous ses collègues à donner leurs cours de travaux dirigés (TD) en présentiel, même si pour cela il faut « boycotter les rectorats » !

      C’est comme si l’on sortait d’une longue sidération avec un masque grimaçant au visage. D’un cauchemar qui nous avait enfoncé dans une nuit de plus en plus noire, de plus en plus froide, sans issue. Et puis d’un coup, les étudiants craquent et on se dit : mais bon sang, c’est vrai, c’est inhumain ce qu’on leur fait vivre ! Nous abandonnons notre jeunesse, notre avenir, en leur apprenant à vivre comme des zombies.

      Depuis le début de la crise sanitaire, ils sont désocialisés, sans perspective autre que d’être collés à des écrans. Une vie numérique, les yeux éclatés, le corps en vrac et le cœur en suspens. Le mois de décembre avait pourtant redonné un peu d’espoir, Emmanuel Macron parlait de rouvrir les universités, de ne plus les sacrifier. Et puis, pschitt ! plus rien. Les fêtes sont passées et le discours du 7 janvier du premier ministre n’a même pas évoqué la question de l’enseignement supérieur. Un mépris intégral !

      Dans le Club, mais aussi fort heureusement dans de nombreux médias, la réalité catastrophique des étudiants a pris la une : ils vont mal, se suicident, pètent les plombs et décrochent en masse. De notre côté, Pascal Maillard, professeur agrégé à la faculté de lettres de l’université de Strasbourg, et blogueur infatigable depuis plus de 10 ans chez nous, a sonné la sirène d’alarme avec un premier billet, Sommes-nous encore une communauté ?, suivi quelques jours plus tard de Rendre l’Université aux étudiants, sans attendre les « décideurs », qui reprend une série de propositions formulées par le collectif RogueESR.

      Pour toucher de plus près ce qui se passe dans les universités, aux rouages souvent incompréhensibles vu de l’extérieur, mais aussi pour imaginer comment reprendre la main sur cette situation (car des solutions, il y en a !), nous lui avons passé hier soir un long coup de fil. Stimulant !

      Club Mediapart : Dans votre dernier billet, Rendre l’Université aux étudiants, sans attendre les « décideurs », vous publiez une série de propositions formulées par le collectif RogueESR pour améliorer la sécurité en vue d’une reprise des cours. Certaines exigeraient surtout du courage (réaménagement des locaux, organisation intelligente des travaux dirigés en présentiel, etc.), mais d’autres demandent des investissements matériels et financiers substantiels. Quels sont, d’après vous, les leviers possibles pour que ces propositions soient prises en compte par les instances dirigeantes ?

      Pascal Maillard : Les leviers sont multiples. Ces dernières semaines, il s’est passé quelque chose de très important : il y a eu une prise de conscience générale que l’État a abandonné l’université, les étudiants, ses personnels, alors que, dans le même temps, il subventionne l’économie à coups de milliards. Aujourd’hui, même les présidents d’université se manifestent pour dire qu’il faut en urgence faire revenir les étudiants parce que la situation est dramatique ! Je crois qu’il faut un mouvement collectif, un mouvement de masse de l’ensemble des étudiants et de la communauté universitaire pour dire : « Maintenant, ça suffit ! » L’État a aussi abandonné la culture, et c’est scandaleux car on ne peut pas vivre sans culture, mais au moins il l’a subventionnée. En revanche, pour l’université, aucune aide. On n’a rien vu, sinon !

      Club Mediapart : Avez-vous avez fait une évaluation de ces investissements et renforts humains ?

      PM : C’est vraiment très peu de moyens. Quelques dizaines de millions permettraient de financer des capteurs de CO2 (un capteur coûte 50 euros) et des filtres Hepa pour avoir une filtration sécurisée (une centaine d’euros). On peut installer également, c’est ce que préconise le collectif RogueESR (collectif informel composé d’une cinquantaine de collègues enseignants-chercheurs très actifs), des hottes aspirantes au-dessus des tables dans les lieux de restauration. Ces investissements seraient plus importants, mais ne dépasseraient pas 200/300 euros par unité. Le problème, c’est que l’État ne prend pas la décision de financer ces investissements qui permettraient de rouvrir les universités de façon plus sécurisée. Par ailleurs, il faut rappeler que certains amphithéâtres peuvent accueillir au-delà de la jauge de 50 % car ils sont très bien ventilés. Il est urgent aujourd’hui de calculer le taux de CO2, on sait le faire, on a les moyens de le faire. Ce que le collectif RoqueESR dit dans son texte et avec lequel je suis complètement d’accord, c’est que comme l’État ne veut rien faire, il faut que l’on prenne en charge ces décisions nous-mêmes.

      Club Mediapart : Dans ce billet, vous mettez le gouvernement et la bureaucratie universitaire sur le même plan. N’y a-t-il pas quand même des différences et des marges de manœuvre du côté des présidents d’université ?

      PM : Non, je crois que la grande majorité des présidents ont fait preuve de suivisme par rapport à la ligne définie par le gouvernement et Frédérique Vidal, à savoir le développement et l’exploitation maximum des ressources numériques. On n’a pas eu de filtre Hepa, mais on a eu des moyens importants pour l’informatique, les cours à distance, le développement de Moodle et des outils de visioconférence. Là, il y a eu des investissements lourds, y compris de la part du ministère, qui a lancé des appels à projets sur l’enseignement et les formations numériques. Frédérique Vidal pousse depuis de nombreuses années au tout numérique, ce n’est pas nouveau.

      Club Mediapart : Peut-on quand même attendre quelque chose de la réunion prévue ce vendredi entre les présidents d’université et Frédérique Vidal ?

      PM : Je crois que ce sont les impératifs sanitaires qui vont l’emporter. Frédérique Vidal, qui a fait preuve non seulement d’indifférence à l’égard des étudiants mais aussi d’une grande incompétence et d’un manque de fermeté pour défendre l’université, n’est plus crédible.

      Club Mediapart : Dans le fil de commentaires du dernier billet de Paul Cassia, qui montre bien comment les articles et les circulaires ministérielles ont « coincé » les directions d’université, vous proposez la réécriture de l’article 34 du décret du 10 janvier pour assouplir l’autorisation de retour en présentiel dans les universités. Cette modification ne risque-t-elle pas de reporter la responsabilité vers les présidents d’université au profit du gouvernement, qui pourrait se dédouaner encore plus de tout ce qui va se passer ?

      PM : Depuis le début, la stratégie du gouvernement est la même que celle des présidents d’université : la délégation au niveau inférieur. La ministre fait rédiger par sa bureaucratie des circulaires qui sont vagues, très pauvres, qui n’ont même pas de valeur réglementaire et qui disent en gros : c’est aux présidents de prendre leurs responsabilités. Mais que font les présidents, pour un grand nombre d’entre eux ? Afin de ne pas trop engager leur responsabilité juridique, que ce soit pour les personnels ou les étudiants, ils laissent les composantes se débrouiller. Mais les composantes ne reçoivent pas de moyens pour sécuriser les salles et pour proposer des heures complémentaires, des créations de postes, etc. Les seuls moyens qui sont arrivés dans les établissements sont destinés à des étudiants pour qu’ils aident d’autres étudiants en faisant du tutorat par groupe de 10. À l’université de Strasbourg, ça s’appelle REPARE, je crois (raccrochement des étudiants par des étudiants). Ce sont des étudiants de L3 et de masters qui sont invités à faire du tutorat pour soutenir des étudiants de L1/L2. Cela permet à des étudiants qui sont désormais malheureusement sans emploi, sans revenu, d’avoir un emploi pendant un certain temps. Ça, c’est l’aspect positif. Mais ces étudiants, il faut 1/ les recruter, 2/ il est très important de les former et de les accompagner.

      Club Mediapart : la démission de Frédérique Vidal fait-elle débat parmi les enseignants et les chercheurs ?

      PM : Frédérique Vidal nous a abandonnés, elle a aussi laissé Blanquer, qui a l’oreille de Macron, lancer sa guerre contre les « islamo-gauchistes », et puis elle a profité de la crise sanitaire pour détruire un peu plus l’université. C’est elle qui a fait passer la LPR en situation d’urgence sanitaire, alors même qu’elle avait dit pendant le premier confinement qu’il était hors de question en période d’urgence sanitaire de faire passer des réformes. La version la plus radicale en plus ! La perspective est vraiment de détruire le Conseil national des universités.

      J’ai appris hier avec une grande tristesse que Michèle Casanova, une grande archéologue, spécialiste de l’Iran, est décédée le 22 décembre. Elle s’est battue pendant un mois et demi contre le Covid. Elle était professeure des universités à Lyon, elle venait d’être nommée à Paris-Sorbonne Université. Des collègues sont morts, pas que des retraités, mais aussi des actifs.

      La ministre n’a rien dit pour les morts dans l’université et la recherche. Pas un mot. Ils sont en dessous de tout. Ils n’ont plus le minimum d’humanité que l’on attend de responsables politiques. Ils ont perdu l’intelligence et la décence, ils ont perdu la compétence et ils ne sont plus que des technocrates, des stratèges qui ne pensent qu’à leur survie politique. Ce sont des communicants, sans éthique. La politique sans l’éthique, c’est ça le macronisme.

      Aujourd’hui, les universitaires ont à l’esprit deux choses. D’une part la mise en pièces du statut des enseignants-chercheurs avec la LPR qui conduit à la destruction du Conseil national des universités : nous avons appris cette semaine que la fin de la qualification pour devenir professeur des universités étaient effective pour les maîtres de conférences titulaires, là immédiatement, sans décret d’application. Des centaines de collègues ont envoyé leur demande de qualification au CNU. Ce pouvoir bafoue tous nos droits, il bafoue le droit en permanence. D’autre part, bien sûr, les conditions calamiteuses et l’impréparation de cette rentrée. Aujourd’hui, on ne sait pas si l’on va pouvoir rentrer la semaine prochaine. On ne sait rien ! Rien n’a été préparé et je pense que c’est volontaire. Cette impréparation est politique, elle est volontaire et criminelle. Je pèse mes mots et j’assume. C’est criminel aujourd’hui de ne pas préparer une rentrée quand des milliers d’étudiants et d’enseignants sont dans la plus grande souffrance qui soit !

      Club Mediapart : Avec en plus des inégalités entre étudiants absolument incompréhensibles…

      PM : Absolument ! Les BTS et les classes préparatoires sont restés ouverts et fonctionnent à plein. Aujourd’hui, les enseignants qui préparent aux grandes écoles, que ce soit dans les domaines scientifiques ou littéraires ou les préparations aux écoles de commerce, ont la possibilité de faire toutes leurs colles jusqu’à 20 heures, avec des dérogations… devant 40/50 étudiants. Ce que l’on ne dit pas aujourd’hui, c’est que les étudiants de classe préparatoire eux aussi vont mal. Ils sont épuisés, ils n’en peuvent plus. 40 heures de cours masqués par semaine. Comment ça se vit ? Mal. Il y a pour l’instant assez peu de clusters de contamination dans les classes prépas. Les conditions sanitaires dans ces salles, souvent exiguës et anciennes, sont pourtant bien plus mauvaises que dans les grandes salles et les amphis des universités. Ces classes, qui bénéficient de moyens plus importants – un étudiant de classe prépa coûte à l’État entre 15 000 et 17 000 euros, tandis qu’un étudiant coûte entre 5 000 et 7 000 euros –, ont le droit à l’intégralité de leurs cours, tandis que les étudiants, eux, sont assignés à résidence. Il est clair que ce traitement vient élever au carré l’inégalité fondatrice du système de l’enseignement supérieur français entre classes prépas (dont les élèves appartiennent, le plus souvent, à des classes sociales plus favorisées) et universités.

      Club Mediapart : Est-ce que l’on peut s’attendre à une mobilisation importante le 26 janvier ?

      PM : Le 26 janvier sera une date importante. L’intersyndicale de l’enseignement supérieur et de la recherche appelle à une journée nationale de grève et de mobilisation le 26, avec un mot d’ordre clair : un retour des étudiants à l’université dans des conditions sanitaires renforcées. Mais, à mon sens, il faut accompagner cette demande de retour aux cours en présence de moyens financiers, techniques et humains conséquents. L’intersyndicale demande 8 000 postes pour 2021. On en a besoin en urgence. Il y a donc une urgence à accueillir en vis-à-vis les étudiants de L1 et L2, mais ensuite progressivement, une fois que l’on aura vérifié les systèmes de ventilation, installé des filtres Hepa, etc., il faudra accueillir le plus rapidement possible les étudiants de tous les niveaux. J’insiste sur le fait que les étudiants de Licence 3, de master et même les doctorants ne vont pas bien. Il n’y a pas que les primo-entrants qui vont mal, même si ce sont les plus fragiles. Je suis en train de corriger des copies de master et je m’en rends bien compte. Je fais le même constat pour les productions littéraires des étudiants que j’ai pu lire depuis huit mois dans le cadre d’ateliers de création littéraire. En lisant les textes de ces étudiants de L1, souvent bouleversants et très engagés, je mesure à quel point le confinement va laisser des traces durables sur elles et sur eux.

      Club Mediapart : Ce sont les thèmes traités qui vous préoccupent…

      PM : Il y a beaucoup, beaucoup de solitude, de souffrance, d’appels à l’aide et aussi l’expression forte d’une révolte contre ce que le monde des adultes est en train de faire à la jeunesse aujourd’hui. Il y a une immense incompréhension et une très grande souffrance. La question aujourd’hui, c’est comment redonner du sens, comment sortir de la peur, enrayer la psychose. Il faut que l’on se batte pour retrouver les étudiants. Les incompétents qui nous dirigent aujourd’hui sont des criminels. Et je dis aujourd’hui avec force qu’il faut démettre ces incompétents ! Frédérique Vidal devrait remettre sa démission. Elle n’est plus crédible, elle n’a aucun poids. Et si le gouvernement ne donne pas à l’université les moyens de s’équiper comme il convient pour protéger ses personnels et ses étudiants, ils porteront une responsabilité morale et politique très très lourde. Ils ont déjà une responsabilité considérable dans la gestion d’ensemble de la crise sanitaire ; ils vont avoir une responsabilité historique à l’endroit de toute une génération. Et cette génération-là ne l’oubliera pas !

      Club Mediapart : En attendant, que faire ?

      PM : Comment devenir un sujet libre, émancipé quand on est un étudiant ou un enseignant assigné à résidence et soumis à l’enfer numérique ? C’est ça la question centrale, de mon point de vue. Je ne pense pas que l’on puisse être un sujet libre et émancipé sans relation sociale, sans se voir, se rencontrer, sans faire des cours avec des corps et des voix vivantes. Un cours, c’est une incarnation, une voix, un corps donc, ce n’est pas le renvoi spéculaire de son image face à une caméra et devant des noms. Je refuse de faire cours à des étudiants anonymes. Aujourd’hui, j’ai donné rendez-vous à quelques étudiants de l’atelier de création poétique de l’université de Strasbourg. On se verra physiquement dans une grande salle, en respectant toutes les règles sanitaires. J’apporterai des masques FFP2 pour chacune et chacun des étudiants.

      Club Mediapart : Vous avez le droit ?

      PM : Je prends sur moi, j’assume. Je considère que la séance de demain est une séance de soutien. Puisque l’on a droit à faire du soutien pédagogique…

      Club Mediapart : Pourquoi n’y a-t-il pas plus de profs qui se l’autorisent ? Le texte est flou, mais il peut être intéressant justement parce qu’il est flou…

      PM : Ce qu’il est possible de faire aujourd’hui légalement, ce sont des cours de tutorat, du soutien, par des étudiants pour des étudiants. Il est aussi possible de faire des travaux pratiques, mais ces TP, il y a en surtout en sciences de la nature et beaucoup moins en sciences humaines. On a des difficultés graves en sciences sociales et sciences humaines, lettres, langue, philo, parce que l’on a zéro TP. Pour ma part, je compte demander que mes cours de L1 et mes travaux dirigés soient considérés comme des TP ! Mais, pour cela, il faut réussir à obtenir des autorisations.

      Des autorisations d’ouverture de TP, il faut le savoir, qui sont soumises aux rectorats. Les universités sont obligées de faire remonter aux rectorats des demandes d’ouverture de cours ! L’université est autonome et aujourd’hui cette autonomie est bafouée en permanence par l’État. Donc, non seulement l’État nous abandonne, l’État nous tue, mais en plus l’État nous flique, c’est-à-dire restreint nos libertés d’enseignement, de recherche, et restreint aussi nos libertés pédagogiques. Or, notre liberté pédagogique est garantie par notre indépendance, et cette indépendance a encore une valeur constitutionnelle. Tout comme notre liberté d’expression.

      Un collègue qui enseigne en IUT la communication appelle à la désobéissance civile. Le texte de RogueESR n’appelle pas explicitement à la désobéissance civile mais il dit très clairement : c’est à nous de faire, c’est à nous d’agir, avec les étudiantes et les étudiants ! Nous allons agir, on ne peut pas, si on est responsables, écrire : « Agissons » et ne pas agir ! Je dis à tous les collègues : mettons-nous ensemble pour transformer les TD en TP, qui sont autorisés, ou bien boycottons les rectorats et faisons nos TD ! Et proposons aux étudiants qui le souhaitent de venir suivre les cours en présence et aux autres qui ne le peuvent, de les suivre à distance. Avec d’autres, je vais essayer de convaincre les collègues de Strasbourg de faire du présentiel. On aura du mal, mais je pense qu’il est aujourd’hui légitime et parfaitement justifié de refuser les interdictions ministérielles parce qu’il y a des centaines et des milliers d’étudiants en danger. On a un devoir de désobéissance civile quand l’État prend des décisions qui conduisent à ce que l’on appelle, dans les CHSCT, un danger grave et imminent.

      https://blogs.mediapart.fr/edition/lhebdo-du-club/article/140121/hebdo-96-frederique-vidal-devrait-remettre-sa-demission-entretien-av

    • À propos du #brassage. #Lettre à la ministre de l’enseignement supérieur

      On pouvait s’y attendre mais c’est enfin annoncé, les universités ne réouvriront pas pour le début du second semestre. Des centaines de milliers d’étudiants vont devoir continuer à s’instruire cloitrés dans leurs 9m2, les yeux vissés à quelques petites fenêtres Zoom. Alors que des centaines de témoignages d’élèves désespérés inondent les réseaux sociaux, Frédérique Vidal, ministre de l’enseignement supérieur, a justifié ces mesures d’isolement par le « brassage » qu’impliquerait la vie étudiante avec ses pauses cafés et les « #bonbons partagés avec les copains ». Un étudiant lyonnais nous a confié cette lettre de réponse à la ministre dans laquelle il insiste sur le #stress, le #vide et l’#errance qui règnent dans les campus et auxquels le gouvernement semble ne rien vouloir comprendre.

      Madame la ministre,

      Aujourd’hui, je ne m’adresse pas à vous pour vous plaindre et vous dire que je comprends votre situation. Je ne m’adresse pas à vous pour vous excuser de votre manifeste #incompétence, pire, de votre monstrueuse #indifférence à l’égard de vos administré·e·s, nous, étudiant·e·s. Je m’adresse à vous parce que vous êtes responsable de ce qu’il se passe, et vous auto congratuler à l’assemblée n’y changera rien.

      Je suis en Master 2 de philosophie, à Lyon 3. Deux étudiant·e·s de ma ville ont tenté de mettre fin à leurs jours, dans la même semaine, et tout ce que vous avez trouvé à dire, c’est : « Le problème, c’est le brassage. Ce n’est pas le cours dans l’amphithéâtre mais l’étudiant qui prend un café à la pause, un bonbon qui traîne sur la table ou un sandwich avec les copains à la cafétéria »

      Je pourrais argumenter contre vous que ce que nous voulons, c’est un espace pour travailler qui ne soit pas le même que notre espace de sommeil, de cuisine ou de repos ; ce que nous voulons, c’est pouvoir entendre et voir nos professeurs en vrai, nous débarrasser de l’écran comme interface qui nous fatigue, nous brûle les yeux et le cerveau ; ce que nous voulons, c’est avoir la certitude que ça ira mieux et qu’on va pouvoir se sortir de cette situation. Et tant d’autres choses. Mais je ne vais pas argumenter là-dessus, beaucoup l’ont déjà fait et bien mieux que je ne pourrais le faire.

      Je vais vous expliquer pourquoi aujourd’hui, il vaut mieux prendre le risque du brassage, comme vous dites, que celui, bien d’avantage réel, de la mort d’un·e étudiant·e. Nous sommes tous et toutes dans des états d’#anxiété et de stress qui dépassent largement ce qu’un être humain est capable d’endurer sur le long terme : cela fait bientôt un an que ça dure, et je vous assure que pas un·e seul·e de mes camarades n’aura la force de finir l’année si ça continue comme ça.

      Parce qu’on est seul·e·s. Dans nos appartements, dans nos chambres, nos petits 10m2, on est absolument seul·e·s. Pas d’échappatoire, pas d’air, pas de distractions, ou trop de distractions, pas d’aide à part un numéro de téléphone, pas de contacts. Des fantômes. Isolé·e·s. Oublié·e·s. Abandonné·e·s. Désespéré·e·s.

      Pour vous c’est un problème, un danger, l’étudiant·e qui prend un café à la pause ? Pour beaucoup d’entre nous c’était ce qui nous faisait tenir le coup. C’était tous ces petits moments entre, les trajets d’une salle à l’autre, les pauses café, les pauses clopes. Ces moments de discussion autour des cours auxquels on vient d’assister, ces explications sur ce que l’on n’a pas compris, les conseils et le soutien des camarades et des professeurs quand on n’y arrive pas. Toutes ces petites respirations, ces petites bulles d’air, c’était tout ça qui nous permettait de tenir le reste de la journée.

      C’était aussi le sandwich entre amis, le repas à la cafétéria ou au CROUS, pas cher, qu’on était assuré·e·s d’avoir, tandis que là, seul·e·s, manger devient trop cher, ou bien ça parait moins important. Ces moments où l’on discute, on se reprend, on s’aide, on se passe les cours, on se rassure, on se motive quand on est fatigué·e·s, on se prévoit des sessions de révision. On se parle, on dédramatise, et on peut repartir l’esprit un peu plus tranquille. Nous avons toujours eu besoin de ces moments de complicité, d’amitié et de partage, nous qui ne sommes aujourd’hui réduit·e·s qu’à des existences virtuelles depuis le mois de mars dernier. Ça fait partie des études, de ne pas étudier. D’avoir une #vie_sociale, de se croiser, de se rencontrer, de boire des cafés et manger ensemble. Supprimer cette dimension, c’est nous condamner à une existence d’#errance_solitaire entre notre bureau et notre lit, étudiant·e·s mort·e·s-vivant·e·s, sans but et sans avenir.

      Le brassage c’est tous ces moments entre, ces moments de #vie, ces #rencontres et ces #croisements, ces regards, ces dialogues, ces rires ou ces soupirs, qui donnaient du relief à nos quotidiens. Les moments entre, c’est ce qui nous permettait aussi de compartimenter, de mettre nos études dans une case et un espace désigné pour, de faire en sorte qu’elles ne débordent pas trop dans nos vies. Ce sont ces délimitations spatiales et temporelles qui maintenaient notre bonne santé mentale, notre #intérêt et notre #motivation : aujourd’hui on a le sentiment de se noyer dans nos propres vies, nos têtes balayées par des vagues de stress incessantes. Tout est pareil, tout se ressemble, tout stagne, et on a l’impression d’être bloqué·e·s dans un trou noir.

      Tout se mélange et on se noie. C’est ce qu’on ressent, tous les jours. Une sensation de noyade. Et on sait qu’autour de nous, plus personne n’a la tête hors de l’eau. Élèves comme professeurs. On crie dans un bocal depuis des mois, et personne n’écoute, personne n’entend. Au fur et à mesure, les mesures tombent, l’administration ne suit pas, nous non plus, on n’est jamais tenu·e·s au courant, on continue quand même, parce qu’on ne veut pas louper notre année. Dans un sombre couloir sans fin, on essaye tant bien que mal d’avancer mais il n’y a ni lumière, ni sortie à l’horizon. Et à la fin, on est incapables de travailler parce que trop épuisé·e·s, mais incapables aussi d’arrêter, parce que l’on se sent trop coupables de ne rien faire.

      Aujourd’hui, je m’adresse à vous au lieu de composer le dernier devoir qu’on m’a demandé pour ce semestre. Je préfère écrire ce texte plutôt que de faire comme si de rien n’était. Je ne peux plus faire semblant. J’ai envie de vomir, de brûler votre ministère, de brûler ma fac moi aussi, de hurler. Pourquoi je rendrais ce devoir ? Dans quel but ? Pour aller où ? En face de moi il y a un #brouillard qui ne fait que s’épaissir. Je dois aussi trouver un stage. Qui me prendra ? Qu’est-ce que je vais faire ? Encore du télétravail ? Encore rester tous les jours chez moi, dans le même espace, à travailler pour valider un diplôme ? Et quel diplôme ? Puis-je encore vraiment dire que je fais des études ? Tout ça ne fait plus aucun sens. C’est tout simplement absurde. On se noie dans cet océan d’#absurdité dont vous repoussez les limites jour après jour.

      Nous interdire d’étudier à la fac en demi-groupe mais nous obliger à venir tous passer un examen en présentiel en plein confinement ? Absurde. Autoriser l’ouverture des lycées, des centres commerciaux, mais priver les étudiants de leurs espaces de vie sous prétexte que le jeune n’est pas capable de respecter les mesures barrières ? Absurde. Faire l’autruche, se réveiller seulement au moment où l’on menace de se tuer, et nous fournir (encore) des numéros de téléphone en guise d’aide ? Absurde. Vous ne pouvez pas continuer de vous foutre de notre gueule comme ça. C’est tout bonnement scandaleux, et vous devriez avoir honte.

      Vous nous avez accusés, nous les #jeunes, d’être irresponsables : cela fait des mois qu’on est enfermé·e·s seul·e·s chez nous, et la situation ne s’est pas améliorée. Et nous n’en pouvons plus. Nous n’avons plus rien à quoi nous raccrocher. Je vois bien que vous, ça a l’air de vous enchanter que la population soit aujourd’hui réduite à sa seule dimension de force productive : travail, étude, rien d’autre. Pas de cinéma, pas de musées, pas de voyage, pas de temps libre, pas de manifs, pas de balades, pas de sport, pas de fêtes. Boulot, dodo. Le brassage ça vous fait moins peur dans des bureaux et sur les quais du métro hein ? Et je ne vous parle même pas de mes ami·e·s qui doivent, en prime, travailler pour se nourrir, qui vivent dans des appartements vétustes, qui n’ont pas d’ordinateur, qui n’ont pas de connexion internet, qui sont précaires, qui sont malades, qui sont à risque. Je ne vous parle même pas de Parcoursup, de la loi sur la recherche, de la tentative d’immolation d’un camarade étudiant l’année dernière. Je ne vous parle pas de cette mascarade que vous appelez « gestion de la crise sanitaire », de ces hôpitaux qui crèvent à petit feu, de ces gens qui dorment dehors, de ces gens qui meurent tous les jours parce que vous avez prêté allégeance à l’économie, à la rentabilité et à la croissance. Je ne vous parle pas non plus du monde dans lequel vous nous avez condamné·e·s à vivre, auquel vous nous reprochez de ne pas être adapté·e·s, ce monde qui se meure sous vos yeux, ce monde que vous exploitez, ce monde que vous épuisez pour vos profits.

      Je m’adresse à vous parce que vous êtes responsable de ce qu’il se passe. Je m’adresse à vous pleine de colère, de haine, de tristesse, de fatigue. Le pire, c’est que je m’adresse à vous tout en sachant que vous n’écouterez pas. Mais c’est pas grave. Les étudiant·e·s ont l’habitude.

      Rouvrez les facs. Trouvez des solutions plus concrètes que des numéros verts. Démerdez-vous, c’est votre boulot.

      PS : Et le « bonbon qui traine sur une table » ? Le seul commentaire que j’aurais sur cette phrase, c’est le constat amer de votre totale #ignorance de nos vies et du gouffre qui nous sépare. Votre #mépris est indécent.

      https://lundi.am/A-propos-du-brassage

    • Le distanciel tue

      « Le distanciel tue ! », avait écrit hier une étudiante sur sa pancarte, place de la République à Strasbourg. Macron et Vidal ont répondu ce jour aux étudiant.es, par une entreprise de communication à Saclay qui nous dit ceci : Macron est définitivement le président des 20% et Vidal la ministre du temps perdu.

      Gros malaise à l’Université Paris-Saclay, où le président Macron et la ministre Frédérique Vidal participent à une table ronde avec des étudiant.es, bien sûr un peu trié.es sur le volet. Pendant ce temps bâtiments universitaires et routes sont bouclés, les manifestants éloignés et encerclés. Voir ci-dessous le communiqué CGT, FSU, SUD éducation, SUD Recherche de l’Université Paris-Saclay. Les libertés sont une fois de plus confisquées et dans le cas présent les otages d’une entreprise de com’ qui vire au fiasco, pour ne pas dire à la farce. Attention : vous allez rire et pleurer. Peut-être un rire nerveux et des pleurs de colère. La politique de Macron appartient à un très mauvais théâtre de l’absurde, qui vire à la tragédie. Ou une tragédie qui vire à l’absurde. Nous ne savons plus, mais nous y sommes.

      Il est 13h15. Je tente de déjeuner entre deux visioconférences et quelques coups de fil urgents au sujet de collègues universitaires qui ne vont pas bien. On m’alerte par sms : Macron et Vidal à la télé ! J’alume le téléviseur, l’ordinateur sur les genoux, le portable à la main. La condition ordinaire du citoyen télétravailleur. La ministre parle aux étudiant.es. On l’attendait à l’Université de Strasbourg ce matin avec son ami Blanquer, pour les Cordées de la réussite, mais le déplacement en province du ministre de l’Education nationale a été annulé. Une lettre ouverte sur la question a circulé. La ministre est donc à Saclay. Que dit-elle ? Je prends des notes entre deux fourchettes de carottes râpées :

      « Le moment où le décret sort, il faut que ce soit au moins la veille du jour où les choses sont mises en place. » Là, je manque de m’étouffer, mais dans un réflexe salutaire je parviens à appuyer sur la touche « Enregistrement ». L’aveu est terrible, magnifique. Du Vidal dans le texte. Je pense à Jarry. Je pense à Ionesco. Je pense surtout aux dizaines de milliers de personnels des universités qui, à dix reprises depuis le début de cette gestion calamiteuse et criminelle de cette crise, se sont retrouvés vraiment dans cette situation : devoir appliquer du jour au lendemain le décret ou la circulaire de la ministre. Samedi et dimanche derniers, des centaines de collègues à l’université de Strasbourg et des milliers partout en France ont travaillé comme des brutes pour « préparer » la rentrée du 18. Le décret date du 15 et a été publié le 16 ! Des centaines de milliers d’étudiants paniquaient sans information. Criminel !

      Mais la ministre continue :

      « Tout le monde sera ravi d’accélérer l’étape d’après ». Nous aussi, mais on ne sait pas comment faire.

      « Sur le calendrier, c’est difficile .. » Effectivement.

      « Moi, j’ai des débuts d’année - des débuts de second semestre, pardon - qui s’échelonnent quelque part … ». Quelque part … La ministre fait-elle encore ses cours à l’Université de Nice ?

      Là, Macron sent que ça dérape vraiment et coupe Frédérique Vidal. Il a raison. Tant qu’il y est, il ferait bien de lui demander sa démission. Il rendra service à l’université, à la recherche, à la jeunesse, au pays. Et il sauvera peut-être des vies. Après avoir accompli cette action salutaire, il nous rendra aussi service en tentant d’être président à plus de 20%. « 20% en présentiel, dit-il, mais jamais plus de 20%, l’équivalent d’un jour par semaine ». Le président est un peu déconnecté des réalités de la gestion d’une faculté au pays du distanciel, de l’Absurdistan et du démerdentiel. Pour bien comprendre les choses en étant "pratico-pratique" comme dit Macron, voilà de quoi il retourne : les enseignants et les scolarités (personnels administratifs dévoués et épuisés qui n’en peuvent plus et qu’on prend pour des chèvres) doivent organiser et gérer les TD de 1ère année à la fois en présence et à distance pour un même groupe, les CM à distance, et articuler le tout dans un emploi du temps hebdomadaire qui n’oblige pas les étudiants à entrer chez eux pour suivre un TD ou un CM à distance après avoir suivi un TP ou un TD en présence. Et désormais il faudrait entrer dans la moulinette les 20% en présence pour tous les niveaux : L1, L2, L3, M1, M2. Une pure folie. Mais pas de problème, Macron a la solution : « C’est à vos profs de gérer », dit-il aux étudiants. Le président en disant ceci pourrait bien devoir gérer quelques tentatives de suicide supplémentaires. Pour les étudiant.es cette folie se traduit par une résignation au "distanciel" et toutes ses conséquences pathologiques, ou un quotidien complètement ingérable dans l’éclatement entre la distance et l’absence. Dites à un individu qu’il doit être présent dans la distance et distant dans la présence, faites-lui vivre cela pendant des mois, et vous êtes assuré qu’il deviendra fou. L’Etat fabrique non seulement de la souffrance individuelle et collective, mais aussi de la folie, une folie de masse.

      La suite confirmera que Macron et Vidal ont le même problème avec le temps, un gros problème avec le temps. L’avenir est au passé. Le président dira ceci : « Evidemment il y aura des protocoles sanitaires très stricts » pour le second semestre. Le second semestre a débuté dans la majorité des universités. Mais, pas de problème : « Evidemment ce que je dis, c’est pour dans 15 jours à trois semaines ». Les 20 % et tout le tralala. Dans 15 jours on recommence tout et on se met au travail tout de suite pour préparer la 11ème révolution vidalienne ? Le président n’a pas compris que Vidal a fait de l’Université une planète désorbitée ...

      Nous sommes de plus en plus nombreux à penser et dire ceci : « Ils sont fous, on arrête tout, tout de suite ! On sauve des vies, on désobéit ! ». Dans certaines universités, il y des mots d’ordre ou des demandes de banalisation des cours pour la semaine prochaine. Lors de l’AG d’hier à l’Université de Strasbourg, étudiant.es et personnels ont voté cette demande. Il faut tout banaliser avant que l’insupportable ne devienne banal ! Il nous faut nous rapprocher, limiter le "distanciel". Il n’y a aucun ciel dans les capsules et les pixels. Nous avons besoin de présence et pour cela il faut des moyens pour améliorer la sécurité sanitaire des universités.

      https://blogs.mediapart.fr/pascal-maillard/blog/210121/le-distanciel-tue

    • –-> Comment la ministre elle-même découvre l’annonce du président de la République d’un retour à l’Université de tous les étudiants 1 jour /5 (et qui annule la circulaire qui faisait rentrer les L1) lors de sa visite Potemkine à Paris-Saclay...
      Le 21 janvier donc, quand le semestre a déjà commencé...


      https://twitter.com/rogueESR/status/1353014523784015872

      Vidal dit, texto, je transcris les mots qu’elle prononce dans la vidéo :

      « Là j’ai bien entendu la visite du président, donc si l’idée c’est qu’on puisse faire revenir l’ensemble des étudiants sur l’ensemble des niveaux avec des jauges à 20% ou 1/5 de temps, ou... les universités ça, par contre... je vais le leur... dire et nous allons travailler ensemble à faire en sorte que ce soit possible, parce qu’effectivement c’était l’étape d’après, mais je pense que tout le monde sera ravi d’accélérer l’étape d’après parce que c’était quelque chose que je crois c’était vraiment demandé »

      –---

      Circulaire d’Anne-Sophie Barthez du 22 janvier 2021

      Au Journal officiel du 23/1/2021, un #décret modifiant le décret COVID, qui entre en vigueur immédiatement, sans mention des universités, ni modification de l’article 34 34 du décret du 29 oct. 2020 au JO. La circulaire du 22 janvier 2021 de la juriste Anne-Sophie Barthez, DGSIP, ci-dessous est donc illégale.


      https://academia.hypotheses.org/30306

      –---

      On se croirait au cirque... ou dans un avion sans pilote.

    • Kévin Boiveau continue ainsi sur son thread :

      je cite encore @VidalFrederique :
      – « Les étudiants sont porteurs et symptomatiques et font forcément des écarts sur les gestes barrières »
      – « Des étudiants sont assis entre les cours sans masques »
      – « Des étudiants trop nombreux dans certains lieux »
      Mais c’est pas le pire
      – « Les photos et vidéos sur les réseaux sociaux ne sont pas la réalité du terrain » "les étudiants vont bien globalement"

      Mme la Ministre @VidalFrederique, avec votre discours, vous mettez la communauté universitaire à dos ! Écoutez les messages et les actes de détresse !

      https://twitter.com/Kevin_BOIVEAU/status/1354483952363466759

      C’est à partir de la minute 1:07:00 :
      http://videos.assemblee-nationale.fr/video.10236533_60118ba7066e6.commission-des-affaires-cult

      –-> où Vidal reprend encore cette idée qu’un #campus n’est pas un #lycée, qu’il y a « #brassage » (elle l’a redit !!!) dans les universités, contrairement aux lycées.
      Qu’elle a été sur place et a vu que les étudiant·es font la fête car ielles se retrouvent...
      et autres idioties qu’il vaudrait la peine de transcrire, mais... voilà, ni le temps ni la force en ce moment !

    • Ne pas tirer sur l’ambulance, vraiment ? Débat « #Malaise_étudiant » au Sénat, 10 février 2021

      #Monique_de_Marco, sénatrice de Gironde, groupe Écologiste – Solidarité et Territoires, vice-présidente de la Commission Culture, a demandé la tenue d’un #débat dans le cadre des #questions_au_gouvernement. Le thème — « Le fonctionnement des universités en temps de COVID et le malaise étudiant » — a inspiré les oratrices et orateurs inscrit·es après l’intervention initiale de la sénatrice qui rappelle les données de la fondation Abbé Pierre : ces derniers mois, 20% des jeunes ont eu recours à l’#aide_alimentaire ; la moitié des étudiant·es déclarent des difficultés à payer leurs #repas et leur #loyer, qui représente 70% de leur budget. Dans une enquête portant sur 70 000 étudiant·es, 43% déclaraient des troubles de #santé_mentale, comme de l’#anxiété ou de la #dépression. Face à cela, les mesures sont insuffisantes, inégalitaires — puisque les #classes_préparatoires sont restées normalement ouvertes — et les #services_universitaires complètement débordés. À quand une réponse structurelle au problème de la #pauvreté_étudiante, comme une #allocation_autonomie_étudiante ?

      Parmi les interventions, souvent prises, pointant les béances de la politique gouvernementale, citons un extrait du discours de #Pierre_Ouzoulias qui parle de #définancement assumé par le gouvernement des budgets « #Vie_étudiante » depuis le début du quinquennat, en dépit des alertes.

      "Je n’oublie pas qu’en novembre 2019, par la loi de finances rectificative, votre Gouvernement avait supprimé 35 millions d’euros de crédits du programme « Vie étudiante ». En 2018 et 2019, ce sont 100 millions d’euros de crédits votés par le Parlement qui n’ont finalement pas été affectés à la vie étudiante par votre Gouvernement.

      L’an passé, à l’occasion de la discussion des quatre lois de finances rectificatives, j’ai proposé des amendements pour apporter aux universités et au Centre national des œuvres universitaires et scolaires des moyens d’urgence pour leur permettre d’aider rapidement les étudiants. Par la voie de Monsieur #Darmanin, alors ministre du l’Action et des Comptes publics, le Gouvernement m’avait expliqué qu’il n’y avait pas besoin de #crédits_budgétaires supplémentaires. La politique du « Quoi qu’il en coûte » a ignoré les campus et la #détresse_estudiantine.

      Cet automne nous avons discuté d’une loi de programmation de la recherche que le Gouvernement nous a présenté comme le plus grand effort budgétaire depuis la Libération. L’Université n’a bénéficié, dans ce cadre, d’aucune #aide_budgétaire supplémentaire, comme si les étudiants d’aujourd’hui ne seraient pas les chercheurs de demain.

      J’entends aujourd’hui les déclarations compassionnelles du Gouvernement qui s’alarme du mal vivre des étudiants. Mais, la #pandémie n’en est pas l’unique cause. Dans les universités, comme à l’hôpital, la crise sanitaire est la révélatrice d’une situation de #sous-investissement_chronique qui a fragilisé tout le #service_public de l’#enseignement_supérieur."

      La messe est dite. Sans appel pour dénoncer le mépris dans lequel le gouvernement tient « les emmurés de vingt ans » (Max Brisson), les sénateurs et sénatrices n’ont pas évoqué l’embroglio de circulaires-décrets inapplicables : iels ont pourtant souligné la nécessité d’un cadre réglementaire clair et stable et une plus grande #décentralisation des décisions.

      Public Sénat a choisi deux extraits représentatifs du discours, désormais sans queue ni tête, sans perspective, et vide de sens, de la Ministre. En voici un :


      https://twitter.com/publicsenat/status/1359585785159315457

      Que faut-il en comprendre ? La meilleure explication tient dans les mots de l’universitaire Pierre-Yves Modicom : il s’agit ni plus ni moins de « nier l’évidence sanitaire pour ne pas avoir à assumer les investissements matériels et les recrutements que la reconnaissance des faits impliquerait. L’incohérence, c’est la marque du déni obstiné de la réalité ».

      Le doyen Gabriel Galvez-Behar résumait ainsi le point de vue des agents du supérieur :

      "Nous ne pouvons plus minimiser les séquelles de la crise, nous contenter d’un illusoire retour à la normale, ni nous satisfaire d’expédients. Tout cela réclame ce qui a tant manqué jusqu’à présent : de l’anticipation, de la cohérence et des moyens à la hauteur de l’enjeu."

      Madame Vidal — alors que l’ensemble des usagers et des agents de l’ESR s’enfoncent chaque jour davantage, dans une détresse et un découragement graves — pas plus que son équipe n’ont pris la mesure du problème ni esquissé un début de solution, bien au contraire. Les réponses qu’elle a apportée devant la représentation nationale en attestent et attestent également de la toxicité de son ministère pour l’ensemble des agents publics et des usagers de l’ESR.

      Si vous ne souhaitez pas tirer sur une ambulance, allez-vous laisser un cadavre piloter l’université ? C’est la question que nous pouvons légitimement nous poser ce soir.

      https://academia.hypotheses.org/30821

  • Le jeu de bonneteau du projet de #loi_de_finance #2021

    La lettre de démission du directeur général de la recherche et de l’innovation, B. #Larrouturou (https://seenthis.net/messages/888341), sitôt la loi de programmation de la recherche adoptée, éclaire d’un jour nouveau les #dysfonctionnements chroniques du ministère : les hauts fonctionnaires des administrations centrales n’ont eu aucun contact avec la ministre depuis six mois, cette dernière étant maintenue à l’isolement par le cabinet qui lui a été imposé par l’Elysée. On comprend dans ces conditions que Mme #Vidal ait fait porter les #amendements délétères de son groupe d’influence, la défunte #Curif devenue l’#Udice, par des parlementaires centristes.

    Les universitaires et les chercheurs ont eu la surprise de recevoir un “courrier destiné à l’ensemble des personnels de Madame #Frédérique_Vidal” (sic), truffé de fautes d’orthographe et de syntaxe, rassemblant l’ensemble des éléments de langage budgétaires égrenés par la ministre depuis un an. Leur réfutation, fastidieuse mais nécessaire, a été menée avec sérieux par le rapporteur au Sénat Jean-François Rapin (http://www.senat.fr/rap/l20-138-324/l20-138-3241.pdf), qui a mis à jour l’essentiel des #manipulations_budgétaires. On comprend mal, dans ces conditions, que le groupe Les Républicains ait voté ce #budget, en le conditionnant à l’adoption d’un amendement (http://www.senat.fr/enseance/2020-2021/137/Amdt_II-993.html) aussi absurde qu’injuste prélevant 20 millions à l’#Université au profit des #organismes_de_recherche.

    La #désinformation ne repose pas tant sur des chiffres erronés que sur un projet de loi confus, une comptabilité illisible et un budget insincère. L’angle d’attaque du sénateur Rapin est le bon : la #Loi_de_Programmation_de_la_Recherche ne programme strictement rien. Son volet budgétaire — qui fixe un #plafond bien plus qu’un #plancher — n’a été là que pour camoufler le plus longtemps possible la visée de la loi : dérégulation statutaire et généralisation des contrats. Relevons ici quelques faits saillants.

    Les #postes statutaires — 242 postes de chargés de recherche #CNRS seront ouverts au #concours en 2021 (https://www.legifrance.gouv.fr/jorf/id/JORFTEXT000042593121) : 51 de moins qu’il y a 3 ans, 117 de moins qu’il y a 10 ans. 60 postes de chargés de recherche à l’#Inserm (https://www.legifrance.gouv.fr/jorf/id/JORFTEXT000042660370) soit 15 de moins qu’en 2014. Le projet de loi de finance prévoit un plafond d’autorisation d’#emplois de 266 619 soit 11 de moins que l’an dernier. Et pour cause, depuis des années, comme le souligne la Cour des Comptes (https://www.ccomptes.fr/system/files/2020-04/NEB-2019-Recherche-enseignement-superieur.pdf), 20’000 emplois programmés à l’Université ne sont pas créés, faute de moyens. Les 315 emplois supposés être créés dans la #fonction_publique en 2021 (5 200 en 10 ans) par la #LPR sont donc dérisoires et n’existeront probablement même pas, de nouveaux “#gels” de #postes_pérennes compensant les nouveaux #emplois_contractuels (« #tenure_tracks » et doctorants).

    Les #crédits — Dans le projet de loi de finance (http://www.assemblee-nationale.fr/dyn/15/textes/l15b3642_projet-loi.pdf), les crédits de paiement de la #Mission_Recherche_et_Enseignement_Supérieur décroissent de 28 664 milliards € à 28 488 milliards €, soit -0,6%, quand l’#inflation devrait être de 0,75% et le glissement vieillesse technicité de 0,45%. Le budget de l’Université (programme 150) croît de 244 millions € parmi lesquels 164 millions € pour les mesures de la LPR [1]. Or, l’inflation correspond à 105 millions € et le #glissement_vieillesse_technicité à 56 millions soit -161 millions €. Le plan de #revalorisations et de #promotions des #carrières scientifiques n’est donc pas financé, et sera compensé par la suppression de postes statutaires. Le budget de la #recherche_publique (programme 172) croît de 221 millions € [2]. 60 millions € serviront à résorber un trou dans la #masse_salariale du CNRS, qui y a consommé son fond de roulement ces dernières années. Ne restent pour les mesures de la LPR que 79 millions €. L’inflation correspond à 54 millions € et le glissement vieillesse technicité à 48 millions €, soit -101 millions €. Le plan de revalorisations et de promotions des carrières scientifiques devra donc prélever dans les #crédits_récurrents. En 2021, les crédits de l’#Agence_Nationale_de_la_Recherche (#ANR) augmenteront de 35 millions €. L’augmentation du taux de succès à l’ANR en 2021 ne sera logiquement financée que dans les budgets ultérieurs [3].

    Le #plan_de_relance — Le budget du projet de loi de finances 2021, médiocre, n’a pu être présenté en hausse qu’en mobilisant des crédits du plan de relance (hors LPR, donc) [4] qui proviennent essentiellement de #crédits_européens encore non votés (https://www.budget.gouv.fr/documentation/file-download/6187). Le budget européen pour la recherche est lui même passé de 100 milliards € escomptés à 76 milliards € en juillet puis 80 milliards € en novembre sans que l’on connaisse encore la ventilation entre recherche publique et privée. Impossible, donc, de faire un bilan factuel, prenant en compte les effets budgétaires du Brexit. Dans le plan de relance, 805 millions € sont consacrés à la recherche, qui s’ajoutent aux 1 250 millions d’euros en provenance du #Programme_d’investissements_d’avenir (#PIA). 247 millions € sont dédiés à l’#enseignement_supérieur en 2021, qui s’ajoutent aux 125 millions € du PIA. En 2021, 900 millions € seront consacrés à la #rénovation_énergétique des #bâtiments universitaires, en procédant par appel à projet plutôt que par un recensement des bâtiments vétustes. Cela reste excessivement loin des 6,4 milliards € annoncés par Mme Vidal dans son courrier, dont ni le rapporteur du Sénat, ni nous, n’avons trouvé la trace. Parmi ces sommes, 300 millions € sont supposés être consacrés à la préservation de l’#emploi_privé en #recherche_et_développement (#R&D), qui seront difficilement dépensés, la plupart de ces emplois étant déjà financés par le #Crédit_d’Impôt_Recherche (#CIR). Dernier élément notable, la montée en charge rapide des #prêts_étudiants garantis par l’État annonce l’arrivée du dernier volet de transformation du supérieur : l’augmentation des #frais_d’inscription.

    Reçu via la mailing-list RogueESR, 14.12.2020
    #ESR #université #facs #mensonges #chiffres

  • The coming war on the hidden algorithms that trap people in poverty | MIT Technology Review
    https://www.technologyreview.com/2020/12/04/1013068/algorithms-create-a-poverty-trap-lawyers-fight-back

    A growing group of lawyers are uncovering, navigating, and fighting the automated systems that deny the poor housing, jobs, and basic services.

    Credit-scoring algorithms are not the only ones that affect people’s economic well-being and access to basic services. Algorithms now decide which children enter foster care, which patients receive medical care, which families get access to stable housing. Those of us with means can pass our lives unaware of any of this. But for low-income individuals, the rapid growth and adoption of automated decision-making systems has created a hidden web of interlocking traps.

    Fortunately, a growing group of civil lawyers are beginning to organize around this issue. Borrowing a playbook from the criminal defense world’s pushback against risk-assessment algorithms, they’re seeking to educate themselves on these systems, build a community, and develop litigation strategies. “Basically every civil lawyer is starting to deal with this stuff, because all of our clients are in some way or another being touched by these systems,” says Michele Gilman, a clinical law professor at the University of Baltimore. “We need to wake up, get training. If we want to be really good holistic lawyers, we need to be aware of that.”

    “This is happening across the board to our clients,” she says. “They’re enmeshed in so many different algorithms that are barring them from basic services. And the clients may not be aware of that, because a lot of these systems are invisible.”

    Government agencies, on the other hand, are driven to adopt algorithms when they want to modernize their systems. The push to adopt web-based apps and digital tools began in the early 2000s and has continued with a move toward more data-driven automated systems and AI. There are good reasons to seek these changes. During the pandemic, many unemployment benefit systems struggled to handle the massive volume of new requests, leading to significant delays. Modernizing these legacy systems promises faster and more reliable results.

    But the software procurement process is rarely transparent, and thus lacks accountability. Public agencies often buy automated decision-making tools directly from private vendors. The result is that when systems go awry, the individuals affected——and their lawyers—are left in the dark. “They don’t advertise it anywhere,” says Julia Simon-Mishel, an attorney at Philadelphia Legal Assistance. “It’s often not written in any sort of policy guides or policy manuals. We’re at a disadvantage.”

    The lack of public vetting also makes the systems more prone to error. One of the most egregious malfunctions happened in Michigan in 2013. After a big effort to automate the state’s unemployment benefits system, the algorithm incorrectly flagged over 34,000 people for fraud. “It caused a massive loss of benefits,” Simon-Mishel says. “There were bankruptcies; there were unfortunately suicides. It was a whole mess.”

    Low-income individuals bear the brunt of the shift toward algorithms. They are the people most vulnerable to temporary economic hardships that get codified into consumer reports, and the ones who need and seek public benefits. Over the years, Gilman has seen more and more cases where clients risk entering a vicious cycle. “One person walks through so many systems on a day-to-day basis,” she says. “I mean, we all do. But the consequences of it are much more harsh for poor people and minorities.”

    She brings up a current case in her clinic as an example. A family member lost work because of the pandemic and was denied unemployment benefits because of an automated system failure. The family then fell behind on rent payments, which led their landlord to sue them for eviction. While the eviction won’t be legal because of the CDC’s moratorium, the lawsuit will still be logged in public records. Those records could then feed into tenant-screening algorithms, which could make it harder for the family to find stable housing in the future. Their failure to pay rent and utilities could also be a ding on their credit score, which once again has repercussions. “If they are trying to set up cell-phone service or take out a loan or buy a car or apply for a job, it just has these cascading ripple effects,” Gilman says.

    “Every case is going to turn into an algorithm case”

    In September, Gilman, who is currently a faculty fellow at the Data and Society research institute, released a report documenting all the various algorithms that poverty lawyers might encounter. Called Poverty Lawgorithms, it’s meant to be a guide for her colleagues in the field. Divided into specific practice areas like consumer law, family law, housing, and public benefits, it explains how to deal with issues raised by algorithms and other data-driven technologies within the scope of existing laws.

    Rapport : https://datasociety.net/wp-content/uploads/2020/09/Poverty-Lawgorithms-20200915.pdf

    #Algorithme #Pauvreté #Credit_score #Notation

  • Analyse du temps de travail, productivité et bien-être | Microsoft 365
    https://www.microsoft.com/fr-fr/microsoft-365/business/workplace-analytics

    C’est à pleuruer ce mépris des gens qui gtravaillent, réduits à des statistique sans fondement... qui doit savoir ? Regardez la première vidéo : le patron deus ex machina de l’entrperise, sait tout grâce à Microsoft. Le fascisme rampant à l’intérieur de l’entreprise « en réseau ». Non de nom, là, j’ai la colère qui monte. J’étais passé à côté de ce truc. Quand je pense qu’il y en a qui parlent avec effroi du « crédit social » à la chinoise... mais c’est pareil, ici et maintenant, et on n’en parle pas !!!! Oui, le « modèle chinois du numérique » est en train de s’exporter dans le monde entier. Microsoft doit faire ça pour ne pas être pris de vitesse par les chinois, n’est-ce pas ?

    Analyse du temps de travail
    Exploitez vos données clés en tirant des enseignements du travail quotidien dans Microsoft 365.
    Regardez la vidéo

    Harmonisez productivité et bien-être
    Microsoft réunit informations et expériences en matière de productivité et de bien-être dans Microsoft Teams pour aider les personnes et les organisations à se développer.

    #Microsoft #Crédit_social #Surveillance #Workplace_analytics

    • J’ai contacté notre service info quand j’ai pris connaissance de cette saloperie. Je m’attends un peu à ce qu’ils me répondent « On peut pas l’enlever mais vous n’êtes pas obligé de l’utiliser ! ». On va voir.
      Edit : le productivity score n’est pas activé et va le rester.

      En tout cas j’étais satisfait que la direction de notre boîte soit aussi attérée que moi face à ce truc.Bon courage à ceux qui doivent se défendre contre leur service info ET leur hierachie.

  • Microsoft Workplace Analytics
    https://www.microsoft.com/microsoft-365/partners/workplaceanalytics

    Advisory and consulting
    Give your customers unprecedented data-driven insights and analytics services. And apply your expertise to create differentiated consulting solutions that unlock customer value.

    Sample practice opportunities

    Uncover collaboration patterns that lead to higher revenue and more effective management.
    Reduce organizational complexity.
    Address wasteful collaboration and meeting cultures.
    Enhance process efficiency and effectiveness
    Drive cultural transformations.
    Inform leadership excellence and development.
    Adoption and change management
    Use Workplace Analytics to set up, implement, and measure long-term customer adoption, change and transformation initiatives.

    Sample practice opportunities

    Inform leadership initiatives and development.
    Enable salesforce transformations.
    Drive diversity and inclusion efforts.
    Change meeting and collaboration behaviors.
    Develop executive dashboards and reporting systems.
    Create and validate effective workspace planning initiatives.
    Combining our insights with your solutions and services
    Develop new solutions or expand the impact of your current solutions and services using Workplace Analytics insights and data.

    Sample practice opportunities

    Integrate new data sources to augment behavioral insights from Office 365.
    Visualize data with dashboards and reports from Power BI and other reporting tools.
    Develop new tools and solutions using Workplace Analytics data.

    #Microsoft #Surveillance #Workplace_analytics #Crédit_social

  • Transform your organization with Microsoft Workplace Analytics - Microsoft 365 Blog
    https://www.microsoft.com/en-us/microsoft-365/blog/2017/07/05/transform-your-organization-with-microsoft-workplace-analytics

    Mais oui, c’est vrai, c’est pas une fake news, c’est bien sur le site de Microsoft. Le fascisme digital avance...

    Today’s post was written by Ryan Fuller, general manager of Workplace Analytics.

    Microsoft Workplace Analytics—a powerful new organizational analytics solution—is now generally available as an add-on to any Office 365 enterprise plan.

    According to a recent Forrester report, increasing employee productivity is the number one priority for C-level executives in the next year, with 96 percent of respondents citing it as a critical or high imperative. Workplace Analytics provides unprecedented behavioral insights that can be used to improve productivity, workforce effectiveness and employee engagement.
    New insights from Office 365

    Workplace Analytics taps into Office 365 email and calendar metadata, including to/from data, subject lines and timestamps, to shine a light on how the organization collaborates and spends time. It turns this digital exhaust—the data that comes naturally from our everyday work—into a set of behavioral metrics that can be used to understand what’s going on in an organization.

    Organization level collaboration insights in Workplace Analytics.

    Microsoft has enabled Workplace Analytics with built-in privacy and compliance capabilities. Customers own their Office 365 data and decide how to apply insights generated by Workplace Analytics to solve tough business challenges. Workplace Analytics only leverages metadata that is aggregated and de-identified.

    Workplace Analytics was designed with the flexibility to address a broad range of strategic and organizational culture-based initiatives. Let’s take a look at a few ways customers are using Workplace Analytics:
    Sales productivity

    A sales organization in a Fortune 500 company used Workplace Analytics to identify the collaborative patterns of top performers and then scaled those behaviors to the broader sales organization—resulting in a significant increase in sales. Some of these insights were expected, like the amount of time spent with customers. But others were new, like the size of the person’s internal network, which may be an indicator of the salesperson’s ability to get answers and solve customer questions.

    Exploring internal network size metrics for the sales organization in Workplace Analytics.
    Manager effectiveness

    Freddie Mac used Workplace Analytics to drive a cultural change with managers. In looking at how time-usage metrics are related to engagement and retention, they found that the behaviors of managers were pivotal in determining employee engagement and retention. Behaviors, such as 1:1 manager time, level of leadership exposure given to employees and the degree to which work can be distributed evenly across an organization, are measurable through Workplace Analytics.
    Space planning

    The collaboration insights from Workplace Analytics were used by an organization to partner with its commercial real estate company, CBRE, to do space planning. They analyzed the metadata attached to employee calendar items to calculate the travel time associated with meetings. They found that as a result of the relocation, each employee reduced their travel time to meetings by 46 percent—resulting in a combined total of 100 hours saved per week across all 1,200 employees involved in the move.
    Customized queries

    Every organization has unique business questions, which is why we’ve included the ability to create custom queries directly within Workplace Analytics. Data analysts can choose from a unique set of collaboration metrics to explore activities and trends within the business, including time spent in email, time in meetings, after-hours time and network size. Analysts can also create custom queries and filter to aggregated population subsets including regions, roles and functions.

    “Workplace Analytics is becoming an essential part of our toolkit,” said Tom Springer, partner at Bain. “It shows us where and how our clients are deploying their scarcest resources: the time, talent and energy of their people. Workplace Analytics consistently yields unique insights into resource allocation, collaboration behaviors and organizational networks. We integrate these insights with broader perspectives on strategy, operating model and results delivery to help our clients organize for maximum productivity.”
    Building a digital, data-driven enterprise

    At Microsoft, Workplace Analytics has yielded significant insights. “We believe building a true digital, data-driven enterprise requires organizations to empower and connect their people across everything—people, processes, data and systems,” said Kathleen Hogan, chief people officer at Microsoft. “Our HR Business Insights group is using Workplace Analytics across a variety of initiatives—from understanding the behaviors driving increased employee engagement, to identifying the qualities of top-performing managers who are leading Microsoft’s cultural transformation from within. We believe people analytics is a competitive necessity for any HR team.”
    Learn more

    Workplace Analytics is available now as an add-on to any Office 365 enterprise plan. Learn more about how enterprise customers can access organizational insights from Workplace Analytics in Office 365.

    —Ryan Fuller

    #Microsoft #Crédit_social #Workplace_analytics #Surveillance