• “Fermiamo tutto, altrimenti sarà guerra civile genocida tra Israele e Palestina”: le parole di #Dimi_Reider

    Dimi Reider, giornalista, attivista e fondatore della testata progressista israeliana +972 magazine parla con Fanpage.it del conflitto in corso. “L’unica soluzione? Un solo stato per entrambi i popoli, ma sarà impossibile se oggi esplode una guerra civile genocida nei territori occupati”

    Abbiamo raggiunto al telefono da Londra Dimi Reider, giornalista, attivista e tra i fondatori della testata israeliana progressista +972 mag, che da anni è diventata un punto di riferimento per tutti i media internazionali per il racconto della vita nei territori occupati e della società israeliana. Suoi articoli sono apparsi sul Guardian, New York Times, New Statesman e Foreign Policy, tra gli altri.

    Dopo la richiesta di evacuazione del Nord di Gaza, l’isolamento dalle forniture di acqua e luce e i bombardaamenti a tappeto, questa notte, con il bombardamento dell’Al-Ahli Arabi Baptist Hospital di Gaza, la guerra ha toccato l’apice dell’orrore. Come si può interrompere il ciclo della violenza?

    Dobbiamo amplificare gli appelli a prevenire un genocidio a Gaza e, allo stesso tempo, dire che ciò che Hamas ha fatto è inaccettabile, un crimine di guerra. È perfettamente possibile fare entrambe le cose. È essenziale fare entrambe le cose.
    Ho ancora qualche speranza che tra l’intenzione israeliana di invadere da terra, e la pressione degli Stati circostanti e quella dell’Iran e l’ovvia mancanza di fiducia degli israeliani nei confronti della loro leadership, possa ancora esserci una finestra per evitare questa catastrofe.

    Tuttavia, realisticamente, credo che sia troppo tardi. L’orrore si sta già consumando. I leader occidentali dovrebbero almeno costringere Netanyahu a dare un ultimatum ad Hamas prima di iniziare un’invasione di terra – ad esempio, evacuate i vostri leader e le vostre truppe da Gaza, risparmiate al vostro popolo la distruzione. Sulla falsa riga dell’evacuazione di Arafat da Beirut a Tunisi nella prima guerra del Libano. Ma letteralmente nessuno – leader occidentali, Netanyahu, Hamas – vorrà seguire questa strada. Almeno non ancora. Non prima che un’enorme porzione di Gaza vada in rovina e che il numero di morti israeliani sia superato molte volte da quelli palestinesi.

    Quale prospettiva vedi per questo conflitto asimmetrico?

    Vedo tre opzioni per l’immediato futuro. Una è Grozny a Gaza: distruzione totale, evacuazione, eliminazione dell’élite politica e poi, forse, ricostruzione. La seconda è Grozny a Gaza e la Jugoslavia/Rwanda dappertutto, forse con un’ulteriore guerra con Hezbollah. Non esiste uno scenario di vittoria palestinese: anche se Israele perdesse contro forze esterne – il che è dubbio, soprattutto se gli Stati Uniti si impegnano a entrare in guerra -, i palestinesi perderebbero per primi, in modo orribile. E il terzo scenario, altrettanto tragico ma migliore in termini di vite umane perse, è una capitolazione/compromesso di Hamas prima che Gaza sia completamente distrutta e il resto di Israele-Palestina esploda. Questo è possibile se Hamas cede prima del previsto, se i danni alle città israeliane sono più gravi del previsto o se l’uso degli ostaggi è più efficace del previsto. Al momento questo sembra lo scenario meno probabile.

    Quali obiettivi vedi dietro l’attacco del 7 ottobre? Motivi interni, far saltare gli accordi di Abramo, una forma spontanea di resistenza, come sostengono alcuni?

    Che sia stata una forma di resistenza «spontanea» mi sembra l’ipotesi meno plausibile. Sappiamo da fonti di Hamas che l’attacco è stato pianificato per un anno, forse due. Si è trattato di un’operazione militare – che si è rapidamente trasformata in un massacro – estremamente ben pianificata e ben eseguita. Per quanto riguarda gli obiettivi posso solo fare ipotesi. Sembrerebbe che Hamas volesse ripristinare la propria credibilità come movimento di resistenza, piuttosto che come un’OLP meglio organizzata. L’OLP è infatti corrotta, inefficiente e collabora strettamente con Israele. Hamas voleva reinserirsi come attore nell’intera arena politica palestinese, non solo a Gaza. E, piuttosto che far saltare gli Accordi di Abramo voleva un posto al tavolo, per essere preso in considerazione nel processo.

    Come inquadrare l’attacco di Hamas? Haggai Matar ha scrittoche il terrore e la violenza subiti dagli israeliani sono ciò che di solito subiscono i palestinesi.

    Dobbiamo parlare di crimini di guerra, avvenuti nel contesto di sette decenni di conflitto e compiuti in nome della comunità indubbiamente più debole e oppressa. Sono stati sia un attacco diretto alla strategia di assedio e contenimento di Israele, sia alla sua politica di divisione e conquista.

    L’operazione doveva mettere in mostra la formidabile potenza militare di Hamas e mettere al sicuro gli ostaggi, così da negoziare il rilascio del massimo numero possibile di prigionieri palestinesi. Sarebbe così diventato un rappresentante degli interessi nazionali palestinesi, con più successo dell’OLP. L’attacco doveva inoltre mettere a dura prova l’invincibilità israeliana, conseguendo un risultato con implicazioni regionali. Un altro obiettivo era quello di creare video indimenticabili di palestinesi in gabbia che evadono da Gaza, tornano sul loro territorio storico e conquistano una o due città con la forza – qualcosa che nessun gruppo palestinese ha mai realizzato, nemmeno nel 1948.
    Il collasso militare israeliano, tuttavia, è stato così rilevante che Hamas ha effettivamente raggiunto tutti questi obiettivi in un paio d’ore – ma poi ha continuato ad agire senza freni annullando i propri risultati. Questa brutalità – dal massacro al festival musicale, a quello di famiglie nei kibbutzim – ha posto Hamas fuori di qualsiasi tipo di negoziazione, sia per il cessate il fuoco che per gli ostaggi. Ha dato così carta bianca a Israele in occidente.

    La sinistra ebraica contro l’occupazione, in Israele e nella diaspora, è stretta tra il mainstream che ripropone la retorica dello scontro di civiltà e ignora le vittime palestinesi e parte della sinistra radicale – poco rilevante pubblicamente ma ingigantita nella percezione dalla stigmatizzazione sui media – che ignora le vittime israeliane. Le forze contro l’occupazione in Israele sono deboli e lo saranno sempre più? C’è una sensazione di isolamento rispetto alla solidarietà internazionale?

    Le prime 72 ore dopo l’attacco di Hamas hanno messo in luce alcune divisioni molto importanti nel movimento di solidarietà internazionale, sia all’interno della sinistra palestinese che tra altri attivisti internazionali e israeliani. Personalmente, penso che l’atteggiamento che legittima uccisione dei bambini israeliani faccia perdere credibilità alla giusta opposizione all’uccisione di bambini palestinesi. Abbiamo bisogno di coerenza morale. E credo che la reazione agli attentati metta in luce il fatto che la nostra coerenza morale è traballante.

    Dovremmo usare quest’ultima settimana per fermarci prima dell’abisso in cui si sta per precipitare. Ovviamente ciò che sta accadendo a Gaza è orribile e non è affatto giustificato da ciò che ha fatto Hamas. Inoltre, non ha alcun valore militare. Ma, se anche l’avesse, prendere di mira i civili è profondamente sbagliato.

    Il giornale progressista Haaretz ha incolpato Netanyahu per il fallimento della sicurezza. Pensi che il governo diventerà più forte – magari assorbendo l’opposizione e sfruttando la fine delle proteste contro la riforma giudiziaria – o più debole?

    Entrambe le cose. Probabilmente sopravviverà alla guerra stessa. Ma Netanyahu è completamente finito politicamente. Anche prima dell’attacco non era ben messo. Ora è diventato il primo ministro che peggio di tutti ha fallito nel proteggere Israele e il suo popolo. È qualcosa che gli israeliani non perdoneranno mai. Prima di lui, la prima ministro più odiato è stato Golda Meir. Il fallimento di Netanyahu supera il suo di un ordine di grandezza.

    Hai scritto – e sono d’accordo – che la soluzione dei due Stati è morta. Un unico Stato uguale per ebrei e palestinesi è un’opzione praticabile quando neanche si riesce a fermare l’escalation?

    Credo che uno Stato unico sia un’ipotesi percorribile, anche se più tardi di quanto avrei stimato. A meno che una delle due comunità non scompaia completamente come forza politico-demografica dalla Palestina storica (e purtroppo è facile dire quale comunità sarà). Se me lo avessi chiesto una settimana fa, ti avrei detto che uno Stato binazionale e consociativo che riconosca le differenti vicende storiche e garantisca la sicurezza e i diritti fondamentali di entrambe le comunità è qualcosa che potevamo ragionevolmente sperare di vedere all’orizzonte tra vent’anni. Oggi, ti direi che questa tempistica si è allungata a 40 – 50 anni, più di una generazione. Ma questo non è un motivo per smettere di lavorare. Al contrario. Ora però la priorità è evitare una guerra civile genocida.

    https://www.fanpage.it/esteri/fermiamo-tutto-altrimenti-sara-guerra-civile-genocida-tra-israele-e-palestin
    #Israël #Palestine #7_octobre_2023 #à_lire #Gaza #génocide #Hamas #crimes_de_guerre #otages #cohérence_morale #Netanyahu

  • George Orwell: Looking Back on the Spanish War
    https://www.orwellfoundation.com/the-orwell-foundation/orwell/essays-and-other-works/looking-back-on-the-spanish-war

    I have little direct evidence about the atrocities in the Spanish Civil War. I know that some were committed by the Republicans, and far more (they are still continuing) by the Fascists. But what impressed me then, and has impressed me ever since, is that atrocities are believed in or disbelieved in solely on grounds of political predilection. Everyone believes in the atrocities of the enemy and disbelieves in those of his own side, without ever bothering to examine the evidence. Recently I drew up a table of atrocities during the period between 1918 and the present; there was never a year when atrocities were not occurring somewhere or other, and there was hardly a single case when the Left and the Right believed in the same stories simultaneously. And stranger yet, at any moment the situation can suddenly reverse itself and yesterday’s proved-to-the-hilt atrocity story can become a ridiculous lie, merely because the political landscape has changed.

  • UNRWA sur X :

    “If people do not die from Israeli Air Force strikes, they will die from pollution and the spread of infectious diseases”

    The situation in the📍#GazaStrip is catastrophic.

    These are the messages we’re receiving from our UNRWA colleagues. #HearTheirVoices

    https://video.twimg.com/ext_tw_video/1714692605630431232/pu/vid/avc1/540x540/s7fcict8jyVwljCa.mp4?tag=12

    #crimes #sionisme #impunité #vitrine_de_la_jungle

    • Israel : Unlawful Gaza Blockade Deadly for Children | Human Rights Watch
      https://seenthis.net/messages/1021938

      UNRWA warned that “people will start dying of severe dehydration” unless access to water is resumed. The Associated Press reported on October 15 that a doctor had treated 15 cases of children with bacterial dysentery due to lack of clean water, which can also cause diseases like cholera, particularly in children under 5.

  • L’anthropologue #Didier_Fassin sur #Gaza : « La non-reconnaissance de la qualité d’êtres humains à ceux qu’on veut éliminer est le prélude aux pires violences »

    Le sociologue s’alarme, dans une tribune au « Monde », que l’Union européenne n’invoque pas, dans le cadre du conflit israélo-palestinien, la « responsabilité de protéger » votée par l’Assemblée des Nations unies, et qu’elle pratique le deux poids deux mesures dans ses relations internationales.

    L’incursion sanglante du #Hamas en #Israël a produit dans le pays un #choc sans précédent et a suscité des réactions d’horreur dans les sociétés occidentales. Les #représailles en cours à Gaza, d’autant plus violentes que le gouvernement israélien est tenu responsable par la population pour avoir favorisé l’essor du Hamas afin d’affaiblir le #Fatah [le parti politique du président palestinien, Mahmoud Abbas] et pour avoir négligé les enjeux de sécurité au profit d’une impopulaire réforme visant à faire reculer la démocratie, ne génèrent pas de semblables sentiments de la part des chancelleries occidentales, comme si le droit de se défendre impliquait un droit illimité à se venger. Certaines #victimes méritent-elles plus que d’autres la #compassion ? Faut-il considérer comme une nouvelle norme le ratio des tués côté palestinien et côté israélien de la guerre de 2014 à Gaza : 32 fois plus de morts, 228 fois plus parmi les civils et 548 fois plus parmi les enfants ?

    Lorsque le président français, #Emmanuel_Macron, a prononcé son allocution télévisée, le 12 octobre, on comptait 1 400 victimes parmi les Gazaouis, dont 447 enfants. Il a justement déploré la mort « de nourrissons, d’enfants, de femmes, d’hommes » israéliens, et dit « partager le chagrin d’Israël », mais n’a pas eu un mot pour les nourrissons, les enfants, les femmes et les hommes palestiniens tués et pour le deuil de leurs proches. Il a déclaré apporter son « soutien à la réponse légitime » d’Israël, tout en ajoutant que ce devait être en « préservant les populations civiles », formule purement rhétorique alors que #Tsahal avait déversé en six jours 6 000 bombes, presque autant que ne l’avaient fait les Etats-Unis en une année au plus fort de l’intervention en Afghanistan.

    La directrice exécutive de Jewish Voice for Peace a lancé un vibrant « #plaidoyer_juif », appelant à « se dresser contre l’acte de #génocide d’Israël ». Couper l’#eau, l’#électricité et le #gaz, interrompre l’approvisionnement en #nourriture et envoyer des missiles sur les marchés où les habitants tentent de se ravitailler, bombarder des ambulances et des hôpitaux déjà privés de tout ce qui leur permet de fonctionner, tuer des médecins et leur famille : la conjonction du siège total, des frappes aériennes et bientôt des troupes au sol condamne à mort un très grand nombre de #civils – par les #armes, la #faim et la #soif, le défaut de #soins aux malades et aux blessés.

    Des #crimes commis, on ne saura rien

    L’ordre donné au million d’habitants de la ville de Gaza de partir vers le sud va, selon le porte-parole des Nations unies, « provoquer des conséquences humanitaires dévastatrices ». Ailleurs dans le monde, lorsque éclatent des conflits meurtriers, les populations menacées fuient vers un pays voisin. Pour les Gazaouis, il n’y a pas d’issue, et l’armée israélienne bombarde les écoles des Nations unies où certains trouvent refuge. Ailleurs dans le monde, dans de telles situations, les organisations non gouvernementales apportent une assistance aux victimes. A Gaza, elles ne le peuvent plus. Mais des crimes commis, on ne saura rien. En coupant Internet, Israël prévient la diffusion d’images et de témoignages.

    Le ministre israélien de la défense, #Yoav_Gallant, a déclaré, le 9 octobre, que son pays combattait « des #animaux_humains » et qu’il « allait tout éliminer à Gaza ». En mars, son collègue des finances a, lui, affirmé qu’« il n’y a pas de Palestiniens, car il n’y a pas de peuple palestinien ».
    Du premier génocide du XXe siècle, celui des Herero, en 1904, mené par l’armée allemande en Afrique australe, qui, selon les estimations, a provoqué 100 000 morts de déshydratation et de dénutrition, au génocide des juifs d’Europe et à celui des Tutsi, la non-reconnaissance de la qualité d’êtres humains à ceux qu’on veut éliminer et leur assimilation à des #animaux a été le prélude aux pires #violences.

    Rhétorique guerrière

    Comme le dit en Israël la présidente de l’organisation de défense des droits de l’homme, B’Tselem, « Gaza risque d’être rayée de la carte, si la communauté internationale, en particulier les Etats-Unis et l’Europe, ne fait pas stopper – au lieu de laisser faire, voire d’encourager – les crimes de guerre qu’induit l’intensité de la riposte israélienne ». Ce n’est pas la première fois qu’Israël mène une #guerre à Gaza, mais c’est la première fois qu’il le fait avec un gouvernement aussi fortement orienté à l’#extrême-droite qui nie aux Palestiniens leur humanité et leur existence.
    Il existe une « responsabilité de protéger », votée en 2005 par l’Assemblée des Nations unies, obligeant les Etats à agir pour protéger une population « contre les génocides, les crimes de guerre, les nettoyages ethniques et les crimes contre l’humanité ». Cet engagement a été utilisé dans une dizaine de situations, presque toujours en Afrique. Que l’Union européenne ne l’invoque pas aujourd’hui, mais qu’au contraire la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen, se rende, sans mandat, en Israël, pour y reprendre la #rhétorique_guerrière du gouvernement, montre combien le deux poids deux mesures régit les relations internationales.
    Quant à la #France, alors que se fait pressante l’urgence à agir, non seulement le gouvernement apporte son appui sans failles à l’#opération_punitive en cours, mais il interdit les #manifestations en faveur du peuple palestinien et pour une #paix juste et durable en Palestine. « Rien ne peut justifier le #terrorisme », affirmait avec raison le chef de l’Etat. Mais faut-il justifier les crimes de guerre et les #massacres_de_masse commis en #rétorsion contre les populations civiles ? S’agit-il une fois de plus de rappeler au monde que toutes les vies n’ont pas la même valeur et que certaines peuvent être éliminées sans conséquence ?

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/18/l-anthropologue-didier-fassin-sur-gaza-la-non-reconnaissance-de-la-qualite-d

    #à_lire #7_octobre_2023

    • Le spectre d’un génocide à Gaza

      L’annihilation du Hamas, que la plupart des experts jugent irréaliste, se traduit de fait par un massacre des civils gazaouis, ce que la Première ministre française appelle une « catastrophe humanitaire », mais dans lequel un nombre croissant d’organisations et d’analystes voient le spectre d’un génocide.

      Au début de l’année 1904, dans ce qui était alors le protectorat allemand du Sud-Ouest africain, les Hereros se rebellent contre les colons, tuant plus d’une centaine d’entre eux dans une attaque surprise.

      Au cours des deux décennies précédentes, ce peuple d’éleveurs a vu son territoire se réduire à mesure que de nouvelles colonies s’installent, s’emparant des meilleures terres et entravant la transhumance des troupeaux. Les colons traitent les Hereros comme des animaux, les réduisent à une forme d’esclavage et se saisissent de leurs biens. Le projet des autorités est de créer dans ce qui est aujourd’hui la Namibie une « Allemagne africaine » où les peuples autochtones seraient parqués dans des réserves.

      La révolte des Hereros est vécue comme un déshonneur à Berlin et l’empereur envoie un corps expéditionnaire avec pour objectif de les éradiquer. Son commandant annonce en effet qu’il va « annihiler » la nation herero, récompensant la capture des « chefs », mais n’épargnant « ni les femmes ni les enfants ». Si l’extermination n’est techniquement pas possible, ajoute-t-il, il faudra forcer les Hereros à quitter le pays, et « ce n’est qu’une fois ce nettoyage accompli que quelque chose de nouveau pourra émerger ».

      Dans les mois qui suivent, nombre de Hereros sans armes sont capturés et exécutés par les militaires, mais la plupart sont repoussés dans le désert où ils meurent de déshydratation et d’inanition, les puits ayant été empoisonnés. Selon l’état-major militaire, « le blocus impitoyable des zones désertiques paracheva l’œuvre d’élimination ». On estime que seuls 15 000 des 80 000 Hereros ont survécu. Ils sont mis au travail forcé dans des « camps de concentration » où beaucoup perdent la vie.

      Le massacre des Hereros, qualifié par les Allemands de « guerre raciale » est le premier génocide du XXe siècle, considéré par certains historiens comme la matrice de la Shoah quatre décennies plus tard. Dans Les Origines du totalitarisme, la philosophe Hannah Arendt elle-même a établi un lien entre l’entreprise coloniale et les pratiques génocidaires.

      Comparaison n’est pas raison, mais il y a de préoccupantes similitudes entre ce qui s’est joué dans le Sud-Ouest africain et ce qui se joue aujourd’hui à Gaza. Des décennies d’une colonisation qui réduit les territoires palestiniens à une multiplicité d’enclaves toujours plus petites où les habitants sont agressés, les champs d’olivier détruits, les déplacements restreints, les humiliations quotidiennes.

      Une déshumanisation qui conduisait il y a dix ans le futur ministre adjoint à la Défense à dire que les Palestiniens sont « comme des animaux ». Une négation de leur existence même par le ministre des Finances pour qui « il n’y a pas de Palestiniens car il n’y a pas de peuple palestinien », comme il l’affirmait au début de l’année. Un droit de tuer les Palestiniens qui, pour l’actuel ministre de la Sécurité nationale, fait du colon qui a assassiné vingt-neuf d’entre eux priant au tombeau des Patriarches à Hébron un héros. Le projet, pour certains, d’un « grand Israël », dont l’ancien président est lui-même partisan.

      Pendant les six premiers jours de l’intervention israélienne, 6 000 bombes ont été lâchées sur Gaza, presque autant que les États-Unis et ses alliés en ont utilisé en Afghanistan en une année entière

      Dans ce contexte, les attaques palestiniennes contre des Israéliens se sont produites au fil des ans, culminant dans l’incursion meurtrière du Hamas en territoire israélien le 7 octobre faisant 1 400 victimes civiles et militaires et aboutissant à la capture de plus de 200 otages, ce que le représentant permanent d’Israël aux Nations unies a qualifié de « crime de guerre ». La réponse du gouvernement, accusé de n’avoir pas su prévenir l’agression, s’est voulue à la mesure du traumatisme provoqué dans le pays. L’objectif est « l’annihilation du Hamas ».

      Pendant les trois premières semaines de la guerre à Gaza, les représailles ont pris deux formes. D’une part, infrastructures civiles et populations civiles ont fait l’objet d’un bombardement massif, causant 7 703 morts, dont 3 595 enfants, 1 863 femmes et 397 personnes âgées, et endommageant 183 000 unités résidentielles et 221 écoles, à la date du 28 octobre. Pendant les six premiers jours de l’intervention israélienne, 6 000 bombes ont été lâchées sur Gaza, presque autant que les États-Unis et ses alliés en ont utilisé en Afghanistan en une année entière, au plus fort de l’invasion du pays.

      Pour les plus de 20 000 blessés, dont un tiers d’enfants, ce sont des mutilations, des brûlures, des handicaps avec lesquels il leur faudra vivre. Et pour tous les survivants, ce sont les traumatismes d’avoir vécu sous les bombes, assisté aux destructions des maisons, vu des corps déchiquetés, perdu des proches, une étude britannique montrant que plus de la moitié des adolescents souffrent de stress post-traumatique.

      D’autre part, un siège total a été imposé, avec blocus de l’électricité, du carburant, de la nourriture et des médicaments, tandis que la plupart des stations de pompage ne fonctionnent plus, ne permettant plus l’accès à l’eau potable, politique que le ministre de la Défense justifie en déclarant : « Nous combattons des animaux et nous agissons comme tel ». Dans ces conditions, le tiers des hôpitaux ont dû interrompre leur activité, les chirurgiens opèrent parfois sans anesthésie, les habitants boivent une eau saumâtre, les pénuries alimentaires se font sentir, avec un risque important de décès des personnes les plus vulnérables, à commencer par les enfants.

      Dans le même temps, en Cisjordanie, plus d’une centaine de Palestiniens ont été tués par des colons et des militaires, tandis que plus de 500 éleveurs bédouins ont été chassés de leurs terres et de leur maison, « nettoyage ethnique » que dénoncent des associations de droits humains israéliennes. Croire que cette répression féroce permettra de garantir la sécurité à laquelle les Israéliens ont droit est une illusion dont les 75 dernières années ont fait la preuve.

      L’annihilation du Hamas, que la plupart des experts jugent irréaliste, se traduit de fait par un massacre des civils gazaouis, ce que la Première ministre française appelle une « catastrophe humanitaire », mais dans lequel un nombre croissant d’organisations et d’analystes voient le spectre d’un génocide.

      L’organisation états-unienne Jewish Voice for Peace implore « toutes les personnes de conscience d’arrêter le génocide imminent des Palestiniens ». Une déclaration signée par 880 universitaires du monde entier « alerte sur un potentiel génocide à Gaza ». Neuf Rapporteurs spéciaux des Nations unies en charge des droits humains, des personnes déplacées, de la lutte contre le racisme et les discriminations, l’accès à l’eau et à la nourriture parlent d’un « risque de génocide du peuple palestinien ». Pour la Directrice régionale de l’Unicef pour le Moyen Orient et l’Afrique du nord, « la situation dans la bande de Gaza entache de plus en plus notre conscience collective ». Quant au Secrétaire général des Nations unies, il affirme : « Nous sommes à un moment de vérité. L’histoire nous jugera ».

      Alors que la plupart des gouvernements occidentaux continuent de dire « le droit d’Israël à se défendre » sans y mettre de réserves autres que rhétoriques et sans même imaginer un droit semblable pour les Palestiniens, il y a en effet une responsabilité historique à prévenir ce qui pourrait devenir le premier génocide du XXIe siècle. Si celui des Hereros s’était produit dans le silence du désert du Kalahari, la tragédie de Gaza se déroule sous les yeux du monde entier.

      https://aoc.media/opinion/2023/10/31/le-spectre-dun-genocide-a-gaza

    • Cette réponse sur AOC est d’une mauvaise foi affligeante. Ils se piquent de faire du droit international, et ne se rendent pas compte que leurs conclusions vont à l’encontre de ce qui est déclamé par les instances multilatérales internationales depuis des dizaines d’années.

      Personnellement, les fachos qui s’ignorent et qui prennent leur plume pour te faire comprendre que tu n’es pas assez adulte pour comprendre la complexité du monde, ils commencent à me chauffer les oreilles. La tolérance c’est bien, mais le déni c’est pire. Et là, cette forme de déni, elle est factuelle. Elle n’est pas capillotractée comme lorsqu’on étudie les différentes formes d’un mot pour en déduire un supposé racisme pervers et masqué.

    • La réponse dans AOC mais fait vraiment penser à la sailli de Macron sur les violences policières : « dans un État de droit il est inadmissible de parler de violences policières » : autrement dit ce ne sont pas les violences elles-mêmes, concrète, prouvées, qui sont à condamner, mais c’est le fait d’en parler, de mettre des mots pour les décrire.

      Là c’est pareil, l’État israélien fait littéralement ces actions là : tuerie de masse par bombes sur civils, destruction des moyens de subsistance en brulant les champs (d’oliviers et autres), et en coupant tout accès à l’eau (base de la vie quand on est pas mort sous les bombes) ; ce qui correspond bien factuellement au même genre de stratégie militaire d’annihilation des Héréros par les allemands. Mais ce qui est à condamner c’est le fait de le décrire parce que ça serait antisémite, et non pas les actions elles-mêmes.

      Parce que l’accusation d’empoisonnement est un classique de l’antisémitisme depuis le moyen âge, alors si concrètement une armée et des colons de culture juive bloquent l’accès à la subsistance terre et eau, ça n’existe pas et il ne faut pas en parler.

      (Et c’est le même principe que de s’interdire de dire que le Hamas est un mouvement d’extrême droite, avec une politique autoritaire et ultra réactionnaire, et qu’ils promeuvent des crimes de guerre, parce qu’ils se battent contre l’État qui les colonise. Il fut un temps où beaucoup de mouvements de libération, de lutte contre le colonialisme et ou les impérialismes, faisaient attention aux vies civiles, comme le rappelait Joseph Andras il me semble.)

      #campisme clairement ("mon camp", « notre camp », ne peut pas faire ça, puisque c’est les méchants qui nous accusaient faussement de faire ça…)

  • La Cour suprême du Colorado valide les mandats d’arrêt par mots-clefs inversés
    https://www.nextinpact.com/article/72680/la-cour-supreme-colorado-valide-mandats-darret-par-mots-clefs-inverses

    La Cour suprême du Colorado juge que les policiers ont agi de bonne foi en demandant à Google une liste de personnes ayant recherché certains mots clés. La haute juridiction précise néanmoins que si des « problèmes dystopiques apparaissent, elle pourrait prendre des mesures ». Un « cas fascinant » estiment certains juristes, qui en inquiète d’autres, dont l’EFF.

  • La tentative de #déplacement_forcé de plus d’un million de personnes dans la bande de #Gaza est illégale et catastrophique

    La Fédération internationale pour les droits humains (FIDH) est choquée et horrifiée par les vidéos et les rapports attestant des #tueries indiscriminées de civil⋅es et la #destruction de masse de quartiers entiers de la bande de Gaza par Israël. La FIDH se dresse contre le #transfert_forcé et le déplacement des populations de la partie nord de la bande de Gaza ordonné par Israël. Alors que nous continuons d’être témoins de ces atrocités et #crimes internationaux, la FIDH exprime sa solidarité avec tous⋅tes les civil⋅es touché⋅es par ce dernier cycle de violence.

    La FIDH se tient fermement aux côtés de ses organisations membres palestiniennes sur le terrain et à Gaza : Al Mezan, Al-Haq et le Centre palestinien pour les droits humains. Beaucoup des membres parmis leurs équipes ont tragiquement perdu leur domicile et ont maintenant reçu l’ordre d’évacuer. Nous tenons à les rassurer qu’ils et elles ne sont pas seul⋅es dans ces moments incroyablement difficiles et qu’un mouvement mondial pour les droits humains est à leurs côtés.

    La FIDH condamne les crimes commis contre les civil⋅es, y compris le ciblage systématique et généralisé de leurs infrastructures et propriétés. Ces crimes sont tous potentiellement des crimes de guerre et des crimes contre l’humanité. A présent plus de 1500 Palestinien⋅nes tué⋅es dans l’agression d’Israël sur la #bande_de_Gaza sont à déplorer. [Mise à jour : le 13 Octobre à 22h ce chiffre a tragiquement atteint 1,900 Palestinien⋅es tué⋅es]. Cependant certaines habitations détruites n’ont pas encore été atteintes par les équipes de secours en raison de ressources limitées et du manque d’engins. Le nombre de blessés quant à lui est presque impossible à dénombrer, car toutes les infrastructures de santé sont en ruine et totalement incapables de faire face à l’immense quantité de blessures terribles auxquelles elles sont confrontées. À cet égard, nous prenons très au sérieux les rapports et les allégations de preuves sur l’utilisation de munitions au phosphore par Israël, causant des brûlures atroces et des blessures à long terme et nous condamnons vivement leur utilisation.

    La FIDH condamne l’agression israélienne en tant qu’acte de pure #représailles d’une épouvantable #violence. L’attitude et la doctrine de l’#armée_israélienne sont reflétés dans les propos d’un porte-parole officiel de l’armée israélienne disant l’« emphase est mise sur les dégâts, pas sur la précision ». En outre les six derniers jours n’ont été rien d’autre que l’orchestration des conditions les plus contraires à la vie humaine pour le peuple palestinien. Les #bombardements indiscriminés meurtriers sont associés à la coupure de l’approvisionnement en #nourriture, en #eau, en #électricité, en #carburant et en #médicaments, et constituent des crimes internationaux devant cesser immédiatement.

    Nous exhortons Israël à mettre fin à sa campagne de bombardements et à ne pas mener d’invasion terrestre de la bande de Gaza. Cela ne ferait qu’entraîner des bains de sang et de terribles pertes en vies humaines. Comme l’a déclaré aujourd’hui l’organisation membre israélienne de la FIDH, B’tselem, « La destruction indiscriminée et un siège à l’encontre des innocent⋅es ne procureront ni soulagement, ni justice, ni apaisement ». La FIDH appelle à la libération et protection immédiate des civil⋅es pris en otage par les groupes armés palestiniens, des actes pour lesquels nous réitérons notre condamnation. Toutes les vies civiles doivent être protégées en respect du #droit_international devant être respecté par toutes les parties. Nous rejetons tout approche à deux vitesses vis-à-vis du droit international et des principes des #droits_humains.

    Les attaques indiscriminées contre les civil⋅es constituent des crimes en vertu du droit international quelque soit le contexte

    La FIDH s’oppose fermement à l’ordre d’évacuation des civils du nord de la bande de Gaza émis le 13 octobre par Israël. Nous dénonçons ces ordres comme une tentative de déplacement forcé et illégal de civil⋅es pouvant refléter une #intention_génocidaire. Israël a continuellement et constamment violé le #droit_au_retour des réfugié⋅es qu’il a produit, depuis 1948 jusqu’à aujourd’hui. Plus d’un million de personnes seraient déplacées en raison de ces ordres. On estime de 70 à 80 % la part des habitant⋅es de la bande de Gaza qui sont déjà des réfugié⋅es. Toutes et tous sont soumis à un blocus sévère depuis 16 ans et ont été témoins de 6 agressions militaires majeures. Nous rappelons également que l’Unicef estime à 1 million le nombre d’enfants parmi les 2,3 millions de personnes vivant dans la bande de Gaza.

    La FIDH demande un cessez-le-feu immédiat, accompagné de la levée du blocus et de la fin du régime de punition collective infligée au peuple de la bande de Gaza. Cette situation illégale en Palestine ne doit pas être autorisée à perdurer. Nous exhortons les États tiers à remplir leurs obligations envers la population protégée sous l’occupation illégale et l’apartheid, et à ne pas être complices des crimes commis contre le peuple palestinien. Nous appelons également les États à exercer une pression sur Israël pour mettre fin à l’agression sur Gaza et permettre l’acheminement de l’aide humanitaire, sans délai.

    https://www.fidh.org/fr/regions/maghreb-moyen-orient/israel-palestine/la-tentative-de-deplacement-force-de-plus-d-un-million-de-personnes

    #à_lire #Gaza #Israël #Palestine #7_octobre_2023 #génocide

  • #Gaza : le #droit_international comme seule boussole

    Le 7 octobre, le #Hamas a lancé une attaque sans précédent sur le sud d’Israël, semant la terreur et perpétrant de nombreux #crimes_de_guerre contre des #civils israéliens. En réponse à cette attaque, Israël a lancé une #opération_militaire d’une violence inédite sur la #bande_de_Gaza, alliant déplacements forcés de population et frappes indiscriminées, également constitutifs de crimes de guerre. Si rien ne peut justifier les crimes de guerre, quel que soit le camp, cette séquence s’inscrit cependant dans un contexte qu’il est indispensable de prendre en compte pour comprendre ce qu’elle représente et les conséquences dévastatrices qu’elle peut avoir.

    La bande de Gaza est, avec la Cisjordanie, l’une des deux composantes du #Territoire_palestinien_occupé. Après la Guerre des Six Jours, elle a, comme la Cisjordanie, fait l’objet d’une colonisation par Israël, avant que ce dernier ne l’évacue unilatéralement en 2005. L’année suivante, le Hamas gagnait les élections législatives à Gaza. L’UE exclut tout contact avec le Hamas compliquant la formation d’un gouvernement palestinien. S’en suit une guerre intra palestinienne entre Fatah et Hamas dans la bande de Gaza, qui se termine en 2007 par la prise de contrôle du territoire par le Hamas. Depuis cette date, un blocus est exercé par Israël sur Gaza, imposant ainsi une punition collective à 2,3 millions de Palestiniens et de Palestiniennes, à laquelle s’ajoutent depuis 2009 des bombardements réguliers et indiscriminés, qu’ils ne peuvent fuir. En conséquence de ces sévères restrictions à la liberté de mouvement des personnes et des biens, 97% de l’eau courante à Gaza est impropre à la consommation, le taux de chômage est de 47%, et 80% de la population dépend de l’aide internationale (données Oxfam).

    Ce #blocus est l’un des aspects du régime d’#apartheid qu’Israël impose à l’ensemble du peuple palestinien, c’est-à-dire un régime institutionnalisé d’#oppression et de #domination systématiques, établi dans l’intention de maintenir la #domination d’un groupe racial sur un autre, l’intention de le maintenir et qui comprend l’existence d’actes inhumains commis comme partie intégrante de ce régime, tels que l’ont récemment qualifiés de nombreux rapports Amnesty, Human Rights Watch et des Rapporteurs spéciaux de l’ONU.

    En décembre dernier, un gouvernement d’#extrême_droite a pris le pouvoir en Israël, renforçant ce régime d’apartheid et intensifiant la colonisation israélienne en Cisjordanie et à Jérusalem-Est. Au cours de l’année 2023, avant le 7 octobre, plus de 200 Palestiniens et Palestiniennes avaient déjà été tués par l’#armée_israélienne ou les colons, surtout en Cisjordanie mais aussi à Gaza. La #violence des colons a augmenté, autorisée et alimentée par le gouvernement israélien, menant à de nombreuses attaques sur des villages palestiniens. Sous les jougs conjugués d’ordres d’#expulsion et de la violence exercée par les colons, des communautés palestiniennes entières de la #zone_C ont été déplacées de force. Au sein de la société israélienne, mais aussi parmi les responsables politiques israéliens, les appels à la haine et au meurtre des Arabes palestiniens sont de plus en plus fréquents.

    Face à cette exacerbation de la violence, la communauté internationale, et l’UE en particulier, n’a réussi qu’à condamner, par des formules creuses et répétitives les multiples violations du droit international commises par Israël, sans jamais prendre de #sanctions.

    Tout cela, c’était avant le 7 octobre et l’attaque meurtrière du Hamas, qui tue plus de 1000 #victimes_civiles israéliennes et prend en #otages entre 120 et 200 personnes. Dans plusieurs lieux, des #meurtres_collectifs ont lieu, sans aucun doute constitutifs de crimes de guerre. Ces faits choquent l’opinion publique internationale et entraînent de nombreux messages de soutien à Israël de la part des responsables politiques, entre autres européens. Certains, tel le Secrétaire général de l’OTAN, Jens Stoltenberg, prennent la peine d’appeler à une réponse « proportionnée ». D’autres, comme la Présidente de la Commission européenne, se contentent d’apporter leur soutien sans faille à Israël, sans même rappeler les obligations qui lui incombent au regard du droit international.

    Depuis le début de la réponse militaire israélienne, les officiels israéliens multiplient les déclarations déshumanisant les Palestiniens, punissant collectivement la population de Gaza pour les crimes commis par le Hamas :

    Lundi 9 octobre, #Yoav_Gallant, le Ministre israélien de la Défense a déclaré : « J’ai ordonné un siège complet de la bande de Gaza. Il n’y aura pas d’électricité, pas de nourriture, pas de carburant, tout est fermé. Nous combattons des animaux humains et nous agissons en conséquence ».

    Mardi 10 octobre, le chef de la Coordination de l’administration civile dans les territoires (COGAT), le général #Ghassan_Alian a annoncé opérer un #blocus_complet sur la bande de Gaza, coupant le territoire en #électricité et en #eau, ne lui promettant que des dommages, et déclarant à l’adresse du Hamas : « Vous avez voulu l’enfer, vous aurez l’enfer ! ».

    Jeudi 12 octobre, le ministre israélien de l’Energie #Israël_Katz a déclaré : « Aucun interrupteur électrique ne sera allumé, aucune pompe à eau ne sera mise en route et aucun camion de carburant n’entrera tant que les Israéliens enlevés ne seront pas rentrés chez eux (…). Et personne ne peut nous faire la morale ».

    Vendredi 13 octobre, le gouvernement israélien a ordonné une #évacuation de toute la population du nord de la Bande de Gaza, soit 1,1 million de Palestiniens, vers le sud de la Bande de Gaza. Il s’agit d’un #déplacement_forcé de la moitié de la population de Gaza, déjà coupée d’électricité, d’eau et de carburant. Les organisations humanitaires ont tout de suite dénoncé l’impossibilité que cela puisse se passer sans conséquences catastrophiques. Depuis vendredi, plusieurs organes et responsables de l’ONU, l’UNRWA, l’OMS, le chef de l’aide humanitaire de l’ONU sont sortis de leur réserve habituelle et tirent la sonnette d’alarme. MSF multiplie également les déclarations pour dénoncer l’insoutenabilité de la situation sanitaire. Les témoignages qui nous viennent de Gaza sont glaçants : rationnement en eau des enfants, un boulanger qui ne peut plus faire de pain faute d’électricité, les cadavres qui ne trouvent plus de place dans les morgues, ou qui pourrissent sous les décombres.

    Depuis le début de l’attaque militaire israélienne contre Gaza, quelques 2778 Palestiniens sont morts, 9 938 personnes sont blessées, dans un système de santé qui s’est totalement effondré
    (données du 16 octobre).

    Pour rappel, 70% de la population de Gaza sont des #réfugiés, c’est-à-dire que leurs familles ont été chassées de leurs maisons par les Israéliens lors de la #Nakba (mot arabe qui signifie la « catastrophe » et qui désigne, pour les Palestiniens, l’exil forcé de 700 000 d’entre eux, lors de la proclamation de l’État d’Israël en 1948). Ils attendent depuis de pouvoir exercer leur #droit_au_retour, consacré par la Résolution 194 de l’Assemblée générale des Nations Unies. Même si un #corridor_humanitaire était mis en place, nombreux sont celles et ceux qui refuseraient de partir, estimant que quitter la Palestine signifierait ne jamais y revenir. C’est en effet le sort subi par tous les populations palestiniennes déplacées depuis la Nakba de 1948.
    Ce qui se risque de se passer à Gaza est qualifié par de nombreuses voix palestiniennes, dont PNGO, le réseau des ONG palestiniennes mais aussi la Rapporteuse spéciale des Nations Unies Francesca Albanese, comme du #nettoyage_ethnique, comme une nouvelle Nakba. Par ailleurs, pour les principales organisations palestiniennes de défense des droits humains (Al Haq, Al Mezan, PCHR), il devient évident « qu’Israël impose délibérément au peuple palestinien des conditions de vie susceptibles d’entraîner sa destruction physique totale ou partielle ». Ces organisations « appellent les États tiers à intervenir de toute urgence pour protéger le peuple palestinien contre le #génocide ». Ce constat rencontre celui de la Fédération internationale des droits humains (FIDH) qui qualifie l’#ordre_d’évacuation des 1,1 million de Palestiniens du nord de la bande de Gaza de « tentative de déplacement forcé et illégal de civil⋅es pouvant refléter une intention génocidaire ». Cette qualification est également appuyée par un historien spécialisé dans l’étude de l’Holocauste et du génocide, Raz Segal. Selon lui, « l’assaut contre Gaza peut également être compris en d’autres termes : comme un cas d’école de génocide se déroulant sous nos yeux ».

    Pendant ce temps, la situation en Cisjordanie et à #Jérusalem-Est se détériore aussi. Comme le fait remarquer Yehuda Shaul, le fondateur de l’ONG Breaking the Silence, et directeur du think tank israélien Ofek, « les crimes de guerre du Hamas sont l’occasion pour la droite israélienne de faire avancer son programme messianique au-delà de la réponse de l’armée israélienne à Gaza. De la reconstruction des colonies à Gaza à l’intensification de la prise de contrôle du Haram al Sharif [l’Esplanade des mosquées]-Montagne du Temple, en passant par les pogroms en Cisjordanie ». En Cisjordanie, 55 Palestiniens ont été tués par les colons et par l’armée en une semaine.

    En Israël même, la situation de la population palestinienne et de celles et ceux qui défendent leurs #droits devient très difficile. Suite à l’attaque du Hamas et les appels à la #revanche partout dans la société israélienne, les Palestiniens d’Israël (18% de la population) craignent de sortir de chez eux. Les Israéliens et Israéliennes du « camp de la paix » vivent aussi des moments compliqués, d’une part parce que de nombreuses victimes du Hamas étaient des militants et militantes pour la paix, d’autre part parce que la défense de la population civile palestinienne de Gaza et la nécessité d’une réponse israélienne mesurée n’est même plus audible dans l’opinion publique actuelle en Israël.

    "En refusant systématiquement d’obliger Israël à respecter le droit international et en laissant les violations impunies, la communauté internationale porte une responsabilité écrasante dans la situation désespérée que nous connaissons aujourd’hui."

    Face au drame qui se déroule sous nos yeux, la boussole de la Belgique et de l’Union européenne doit plus que jamais rester le droit international et la protection de la vie, de la dignité et des droits humains. Pour l’UE et la Belgique, la priorité doit aujourd’hui être de mettre tout en œuvre pour obtenir un cessez-le-feu, la protection de toutes les populations civiles, et un accès à l’aide internationale pour la population gazaouie actuellement en urgence humanitaire absolue. Elles doivent également appeler à la libération de tous celles et ceux qui ont été illégalement privés de leur liberté, les otages retenus par le Hamas, comme les prisonniers politiques palestiniens arrêtés dans le cadre de la répression de la résistance à l’occupation. L’UE et la Belgique doivent en outre exiger d’Israël la levée du siège de la bande de Gaza, et cela dans une perspective de levée du blocus et d’une reconnexion du territoire avec le reste du territoire palestinien occupé. Elles doivent également s’attaquer aux causes structurelles du présent conflit en adoptant des mesures contraignantes contre Israël afin qu’il mette fin à l’occupation, à la colonisation et à l’apartheid contre le peuple palestinien, à commencer par la fin du commerce avec les colonies israéliennes. Enfin, la Belgique, pionnière historique de la lutte contre l’impunité en matière de crimes de guerre, doit apporter un soutien politique et financier à l’enquête en cours à la Cour pénale internationale sur la situation en Palestine et encourager le procureur de la Cour pénale à en faire une priorité afin que tous les criminels de guerre soient rapidement tenus responsables.

    https://www.cncd.be/gaza-le-droit-international-comme-seule-boussole
    #à_lire #Israël #Palestine #7_octobre_2023 #histoire

  • Appel à constituer des greniers des Soulèvements
    https://lessoulevementsdelaterre.org/comites/appel-a-constituer-des-greniers-des-soulevements

    C’est en lisant le texte du comité caennais des Soulèvements de la Terre "Reprendre, Démanteler, Communiser" que nous, membres du Réseau de ravitaillement des luttes du pays rennais et du comité rennais des SDT, avons eu envie de poursuivre les propositions sur la #subsistance qui semblent traverser les comités des SDT nouvellement créés.

    Comme le soulignent les camarades de Caen, la structuration de l’économie capitaliste coupe une majorité de la population de tout moyen d’autosubsistance et son fonctionnement sous sa forme actuelle pousse 8 millions de personnes à dépendre de l’aide alimentaire. Nous pensons qu’il faut continuer à dire et à défendre que l’idéologie bourgeoise repose sur une #dépossession. Les populations ont été dépossédées avec le temps des moyens et des savoir-faire qui leur permettaient d’assurer des formes d’#autonomie_matérielle. C’est cette idéologie qui les oblige, pour survivre, à vendre leur temps et leur énergie sur le marché du travail. Plus cette dépendance au marché est grande et les moyens d’autonomie des populations sont faibles, plus les conditions de l’accumulation capitaliste et le désir de contrôle des classes dirigeantes et possédantes sont satisfaits.

    Or, notre attachement aux biens matériels produits par l’économie capitaliste rend difficile la construction d’une opposition sérieuse à cette perte d’autonomie. Cette situation complexe est résumée par Aurélien Berlan, dans son livre Terre et Liberté :

    "l’impasse socio-écologique dans laquelle nous nous enfonçons tient au fait que nous sommes devenus vitalement dépendants d’un système qui sape à terme les conditions de vie de la plupart des êtres vivants [...] nous en sommes prisonniers, matériellement et mentalement, individuellement et collectivement."

    Dans le même sens, nous pensons qu’il faut aussi questionner la désirabilité du travail de la subsistance. En effet, ce "piège idéologique" de la culture bourgeoise "classe dans le même ensemble le travail servile, le travail paysan et le travail domestique des femmes au foyer modernes et repose sur le mépris envers les processus naturels liés à la vie".

    Nous avons alors ressenti l’importance de nous demander comment se réapproprier et construire collectivement nos conditions d’existence.
    Mais, nous faisons face à un deuxième constat, partagé par le comité de Caen :

    "un isolement des différentes initiatives de résistance, leur morcellement, qui les vouent à l’impuissance : les luttes syndicales paysannes empêtrées dans une forme de corporatisme sectoriel ; les marches pour le climat confrontées à l’impuissance sans horizon des manifestations, même massives, réduites à interpeller les gouvernant.e.s pour qu’ils agissent contre leurs intérêts ; l’inconséquence libérale-libertaire des modes d’action « autonomes » égarés par leur propre dispersion et leur absence de stratégie coordonnée ; les collectifs d’habitant·e·s de territoires en lutte qui mènent des batailles locales contre des projets industriels écocidaires, sans avoir — trop souvent — les moyens de vaincre."

    Face à ce morcellement de nos résistances, il serait merveilleux que la formule médiatique "l’inaction climatique du gouvernement" se vérifie. Or, l’expression est en partie malheureuse : inactifs, ils nous laisseraient la possibilité de nous organiser, de déployer des alternatives. Mais ils attaquent sans répit et de tous les côtés, celui des retraites comme celui des méga-bassines. Les classes dirigeantes et possédantes œuvrent à renforcer les structures qui assurent leur domination, avec d’autant plus d’entrain qu’elles espèrent ainsi échapper aux conséquences les plus dramatiques de la #crise_écologique un peu plus longtemps que les autres. La stratégie est immorale, mais relativement rationnelle, du moins à court terme.
    Face à ce niveau de conflictualité, les alternatives seules sont inoffensives. Mais s’opposer seulement n’est pas non plus suffisant. Il est essentiel que chaque geste d’opposition soit organiquement mêlé à une proposition positive, à l’ébauche du monde que l’on aspire à voir émerger à la place du leur. Il est essentiel stratégiquement mais aussi pour nous, pour que la lutte soit désirable, habitée par des affects joyeux.

    La tentative de construction mutualiste rennaise

    Au sortir de la lutte contre la loi travail en 2016, une partie du milieu #autonome rennais a engagé un travail de réflexion autour des questions d’autonomie, que ce soit le logement, la formation ou l’alimentation. Cette dernière dimension a amené à la création du Cartel des #cantines, qui deviendra par la suite le Réseau de ravitaillement des Luttes (R2R). L’objectif du réseau était alors de répondre pratiquement à la question : "Comment nourrir efficacement les luttes sociales ?" 

    Dès 2016, on veut se donner les moyens de réaliser notre "plan quinquennal" : nourrir 200 personnes deux fois par jour, tout en continuant à faire des cantines pour les événements militants importants (pendant les expulsions de la ZAD, lors de festivals militants, etc.). S’inscrivant dans la dynamique du réseau mutualiste à Rennes le R2R est un outil de la base arrière du mouvement social, qui essaye de construire des bases matérielles solides pour soutenir les fronts de conflictualité du mouvement social.
    On pense, ainsi, dès l’origine, la subsistance de nos luttes. En effet, il nous appartient de ne pas recréer "la contradiction primaire de l’autonomie" (Julien Allavena).
    L’alimentation étant souvent une condition pour qu’une lutte dure, voire qu’elle existe, il nous fallait nous doter d’outils et de réseaux capables d’assurer une collecte ou une production de denrées alimentaires, ainsi que de moyens de les transformer, en quantité importante. Très vite, on se procure le matériel pour organiser des cantines pour plusieurs milliers de personnes ; on prend contact avec des maraîcher·es du coin pour organiser des réseaux de solidarité entre grévistes et producteur.ices ; on remplit chaque semaine un 18m3 avec de la nourriture de recup’ issue de la grande distribution ; on se fait prêter des bouts de champs sur lesquels on cultive de quoi alimenter nos cantines. L’idée est toujours de faire durer ou rendre possible les luttes par l’autonomie alimentaire. L’histoire du mouvement ouvrier montre en effet que c’est une condition pour arracher de grandes victoires.

    #autonomie

  • Catalyse totalitaire

    Il y a une économie générale de la #violence. Ex nihilo nihil : rien ne sort de rien. Il y a toujours des antécédents. Cette économie, hélas, ne connaît qu’un principe : la #réciprocité – négative. Lorsque l’#injustice a été portée à son comble, lorsque le groupe a connu le #meurtre_de_masse et, pire peut-être, l’#invisibilisation du meurtre de masse, comment pourrait-il ne pas en sortir une #haine vengeresse ? Les rationalités stratégiques – faire dérailler la normalisation israélo-arabe, réinstaller le conflit israélo-palestinien sur la scène internationale –, si elles sont réelles, n’en ont pas moins trouvé parmi leurs ressources le carburant de la vengeance meurtrière.

    « #Terrorisme », mot-impasse

    La FI n’a pas commis les erreurs dont on l’accuse. Mais elle en a commis. Une – et de taille. Dans un événement de cette sorte, on ne se rend pas directement à l’analyse sans avoir d’abord dit l’#effroi, la #stupeur et l’#abomination. Le minimum syndical de la #compassion ne fait pas l’affaire, et on ne s’en tire pas avec quelques oblats verbaux lâchés pour la forme. Quand bien même ce qui est donné au peuple palestinien ignore jusqu’au minimum syndical, il fallait, en cette occurrence, se tenir à ce devoir – et faire honte aux prescripteurs de la compassion asymétrique.

    Ce manquement, réel, a cependant été saisi et déplacé pour se transformer dans le débat public en un point de sommation, d’abjuration même, sur lequel la FI, cette fois, a entièrement raison de ne pas céder : « terrorisme ». « Terrorisme » devrait-il être, comme l’affirme Vincent Lemire, « le point de départ du #débat_public » ? Non. Il n’en est même pas le point d’arrivée : juste le cul-de-sac. « Terrorisme » est un mot impasse. C’est ce que rappelle Danièle Obono, et elle a raison. Fait pour n’installer que la perspective de l’éradication et barrer toute analyse politique, « terrorisme » est une catégorie hors-politique, une catégorie qui fait sortir de la #politique. La preuve par Macron : « unité de la nation » et dérivés, 8 occurrences en 10 minutes de brouet. Suspension des conflits, neutralisation des différends, décret d’unanimité. Logiquement : les manifestations de soutien au peuple palestinien sont des manifestations de soutien au terrorisme, et même des manifestations terroristes, en conséquence de quoi elles sont interdites.

    Concéder « terrorisme », c’est annuler que ce qui se passe en Israël-Palestine est politique. Au plus haut point. Même si cette politique prend la forme de la #guerre, se poursuivant ainsi par d’autres moyens selon le mot de Clausewitz. Le #peuple_palestinien est en guerre – on ne lui a pas trop laissé le choix. Une entité s’est formée en son sein pour la conduire – d’où a-t-elle pu venir ? « On a rendu Gaza monstrueux », dit Nadav Lapid. Qui est « on » ?

    Sans avoir besoin de « terrorisme », « guerre » et « #crimes_de_guerre » sont hélas très suffisants à dire les combles de l’horreur. Très suffisants aussi à dire les #massacres abominables de civils. Si dans la guerre, qui est par principe #tuerie, on a forgé sans pléonasme la catégorie de « crimes de guerre », c’est bien pour désigner des actes qui font passer à une chose atroce en soi d’autres paliers d’#atrocité. C’est le moment de toute façon où il faut faire revenir l’#économie_générale_de_la_violence : des #crimes qui entraînent des crimes – des crimes qui ont précédé des crimes. L’acharnement à faire dire « terrorisme » ne satisfait que des besoins passionnels – et aucune exigence intellectuelle.

    En réalité, « terrorisme » et « crimes de guerre » sont deux catégories qui ne cessent de passer l’une dans l’autre, et ne dessinent aucune antinomie stable. Hiroshima est, à la lettre, conforme à la définition ONU du terrorisme : tuer des civils qui ne sont pas directement parties à des hostilités pour intimider une population ou contraindre un gouvernement à accomplir un certain acte. A-t-on entendu parler de terrorisme pour la bombe d’Hiroshima ? Et pour Dresde ? – comme Hiroshima : terroriser une population en vue d’obtenir la capitulation de son gouvernement.

    Mais pour ceux qui, dans la situation présente, en ont fait un point d’abjuration, « terrorisme » a une irremplaçable vertu : donner une violence pour dépourvue de #sens. Et de #causes. Violence pure, venue de nulle part, qui n’appelle rigoureusement aucune autre action que l’extirpation, éventuellement dans la forme relevée de la croisade : le choc des civilisations, l’axe du Bien, à laquelle il n’y a aucune question à poser. Il est vrai qu’ici nous naviguons en eaux vallsiennes où #comprendre est contradictoire avec s’émouvoir, et vient nécessairement en diminution du sentiment d’horreur, donc en supplément de complaisance. L’empire de la bêtise, comme une marée noire, n’en finit plus de s’étendre.

    La #passion de ne pas comprendre

    Surtout donc : ne pas comprendre. Ce qui demande un effort d’ailleurs, car l’évidence est massive et, avoir les yeux ouverts suffit – pour comprendre. Un peuple entier est martyrisé par une #occupation, ça fait bientôt 80 ans que ça dure. On les enferme, on les parque à les rendre fous, on les affame, on les tue, et il n’est plus une voix officielle pour en dire un mot. 200 morts depuis dix mois : pas un mot – entendre : qui se comparerait, même de loin, aux mots donnés aux Israéliens. Des témoignages vidéos à profusion des crimes israéliens encore frais : pas un mot. Des marches palestiniennes pacifiques à la frontière, 2018, 200 morts : pas un mot. Des snipers font des cartons sur les rotules, 42 en une après-midi, pas mal : mais pas un mot – si : « l’armée la plus morale du monde ». D’anciens militaires de l’armée la plus morale du monde expriment le dégoût, l’inhumanité de ce qu’on leur a fait faire aux Palestiniens : pas un mot. À chacune des #abominations du Hamas ce week-end, on en opposerait tant et plus commises par les militaires ou les colons – à peine quelques rides à la surface de l’eau. Les tragédies israéliennes sont incarnées en témoignages poignants, les tragédies palestiniennes sont agglomérées en statistiques. En parlant de statistique : on voudrait connaître la proportion des hommes du Hamas passés à l’attaque ce week-end qui ont tenu dans leurs mains les cadavres de leurs proches, des corps de bébés désarticulés, pour qui la vie n’a plus aucun sens – sinon la vengeance. Non pas « terrorisme » : le métal en fusion de la vengeance coulé dans la lutte armée. L’éternel moteur de la guerre. Et de ses atrocités.

    En tout cas voilà le sentiment d’injustice qui soude le groupe. Une vie qui ne vaut pas une autre vie : il n’y a pas de plus haute injustice. Il faut être épais pour ne pas parvenir à se représenter ça – à la limite, même pas par humaine compréhension : par simple prévoyance stratégique. Qu’un martyre collectif soit ainsi renvoyé à l’inexistence, que les vies arabes se voient dénier toute valeur, et que ceci puisse rester indéfiniment sans suite, c’était une illusion de colonisateur.

    Bloc bourgeois et « importation »

    Maintenant le fait le plus frappant : tout l’Occident officiel communie dans cette illusion. En France, à un degré étonnant. On s’y inquiète beaucoup des risques d’« #importation_du_conflit ». Sans voir que le conflit est déjà massivement importé. Bien sûr, « importation du conflit » est un mot à peine codé pour dire indifféremment « Arabes », « immigrés », « banlieues ». Mais le canal d’importation réel n’est pas du tout celui-là, il est sous nos yeux pourtant, large comme Panama, bouillonnant comme une conduite forcée : le canal d’importation-du-conflit, c’est le bloc bourgeois (Amable et Palombarini ©). Tout son appareil, personnel politique, éditocratie en formation serrée, médias en « édition spéciale », s’est instantanément déclenché pour importer. Pourquoi le point de fixation sur le terrorisme ? Pour la FI bien sûr – nous y revoilà. Cette fois-ci cependant avec un nouveau point de vue : le point de vue de l’importation intéressée. Le bloc bourgeois quand il fait bloc derrière Israël à l’extérieur saisit surtout l’occasion de faire bloc contre ses ennemis à l’intérieur.

    Il faudrait ici une analyse de la solidarité réflexe du #bloc_bourgeois avec « Israël » (entité indifférenciée : population, Etat, gouvernement) et des affinités par lesquelles elle passe. Des affinités de bourgeois : le même goût de la démocratie frelatée (bourgeoise), la même position structurale de dominant (dominant national, dominant régional), les mêmes représentations médiatiques avantageuses, ici celles d’Israël comme une société bourgeoise (start-ups et fun à Tel Aviv). Tout porte le bloc bourgeois à se reconnaître spontanément dans l’entité « Israël », partant à en épouser la cause.

    Et le bloc bourgeois français est plus israélien que les Israéliens : il refuse qu’on dise « #apartheid » alors que des officiels israéliens le disent, il refuse de dire « Etat raciste » alors qu’une partie de la gauche israélienne le dit, et qu’elle dit même parfois bien davantage, il refuse de dire la #responsabilité écrasante du gouvernement israélien alors qu’Haaretz le dit, il refuse de dire la politique continûment mortifère des gouvernements israéliens alors qu’une kyrielle d’officiers supérieurs israéliens le disent, il refuse de dire « crimes de guerre » pour le Hamas alors que l’ONU et le droit international le disent. Gideon Levy : « Israël ne peut pas emprisonner deux millions de Palestiniens sans en payer le prix cruel ». Daniel Levy, ancien diplomate israélien à une journaliste de la BBC qui lui dit que les Israéliens sur le point d’annihiler Gaza « se défendent » : « Vous pouvez vraiment dire une chose pareille sans ciller ? Ce genre de #mensonges ? » Le bloc bourgeois : « Israël ne fait que se défendre ». Il dit « Terreur » quand les Russes coupent toute ressource à l’Ukraine, il ne dit rien quand Israël coupe toute ressource à Gaza. Le bloc bourgeois vit un flash d’identification que rien ne peut désarmer.

    Il le vit d’autant plus intensément que la lutte contre les ennemis du frère bourgeois au dehors et la lutte contre les adversaires du bloc bourgeois au-dedans se potentialisent l’une l’autre. C’est comme une gigantesque résonance inconsciente, qui prend toute son ampleur dans une situation de crise organique où le bloc bourgeois contesté est devenu prêt à tout pour se maintenir.

    Le bloc regarde autour de lui, il ne se voit plus qu’un seul ennemi significatif : la FI. PS, EELV, PC, il a tout neutralisé, plus aucune inquiétude de ce côté-là, ces gens ne représentent aucun danger – quand ils ne sont pas de précieux auxiliaires. La FI, non. Une occasion se présente pour l’anéantir : ne pas hésiter une seule seconde. Comme avec Corbyn, comme avec Sanders, les affabulations d’antisémitisme, connaissaient déjà leur régime de croisière, mais une opportunité pareille est inespérée. Providentiel loupé inaugural de la FI : tout va pouvoir s’engouffrer dans cette brèche : le mensonge ouvert, la défiguration éhontée des propos, les sondages bidons sur des déclarations ou des absences de déclarations fabriquées, les accusations délirantes. La BBC s’abstient de dire « terroriste » mais la FI doit le dire. Des universitaires incontestables produisent de l’analyse sur les plateaux, mais la même analyse fournie par la FI est un scandale. La FI a une position somme toute fort proche de l’ONU, mais elle est antisémite. « Que cherche Jean-Luc Mélenchon ? A cautionner le terrorisme islamiste ? » s’interroge avec nuance La Nuance.

    #Cristallisation

    La violence du spasme que connait la vie politique française n’a pas d’autre cause. L’événement a œuvré comme un puissant réactif, révélant toutes les tendances actuelles du régime, et les portant à un point que même les émeutes de juillet ne leur avaient pas fait atteindre. L’effet de catalyse est surpuissant. Crise après crise, la dynamique pré-fasciste ne cesse de prendre consistance et de s’approfondir. Le terme en a été donné par Meyer Habib député français d’extrême-droite israélienne : « Le RN est entré dans le camp républicain ».

    Les moments de vérité recèlent toujours quelque avantage : nous savons désormais en quoi consiste le #camp_républicain. C’est le camp qui interdit le #dissensus, qui interdit l’#expression_publique, qui interdit les #manifestations, qui impose l’#unanimité ou le #silence, et qui fait menacer par ses nervis policiers tous ceux et toutes celles qui seraient tentés de continuer à faire de la politique autour de la question israélo-palestinienne. C’est le camp qui fait faire des signalements par des institutions universitaires à l’encontre de communiqués de syndicats étudiants, qui envisage tranquillement de poursuivre des organisations comme le NPA ou Révolution permanente, qui doit sans doute déjà penser secrètement à des dissolutions.

    C’est bien davantage qu’un spasme en fait. Par définition, un spasme finit par relaxer. Ici, ça cristallise : une phase précipite. Et pas n’importe laquelle : #catalyse_totalitaire. « Totalitaire » est la catégorie qui s’impose pour toute entreprise politique de production d’une #unanimité_sous_contrainte. L’#intimidation, le forçage à l’alignement, la désignation à la vindicte, la déformation systématique, la réduction au monstrueux de toute opinion divergente en sont les opérations de premier rang. Viennent ensuite l’#interdiction et la #pénalisation. Témoigner du soutien au peuple palestinien est devenu un #délit. Arborer un #drapeau palestinien est passible de 135€ d’amende – on cherche en vain une base légale présentable. « Free Palestine » est un graffiti antisémite – dixit CNews, devenu arbitre des élégances en cette matière, signes de temps renversés où d’actuelles collusions avec des antisémites distribuent les accusations d’antisémitisme, et d’anciennes collusions avec le nazisme celles de nazisme. Sous l’approbation silencieuse du reste du champ politique et médiatique. Dans les couloirs de toute la galaxie Bolloré, on ne doit plus en finir de se tenir les côtes de rire, pendant qu’à LREM, à France Inter et sur tous les C Trucmuche de France 5, on prend la chose au tout premier degré. Le camp républicain, c’est le camp qui suspend la politique, les libertés et les droits fondamentaux, le camp soudé dans le racisme anti-Arabe et dans le mépris des vies non-blanches.

    Le monde arabe, et pas seulement lui, observe tout cela, et tout cela se grave dans la #mémoire de ses peuples. Quand la némésis reviendra, car elle reviendra, les dirigeants occidentaux, interloqués et bras ballants, de nouveau ne comprendront rien. Stupid white men .

    https://blog.mondediplo.net/catalyse-totalitaire
    #à_lire #7_octobre_2023 #Palestine #Israël #Gaza #Frédéric_Lordon #médias

  • Les ouvriers agricoles thaïlandais, victimes collatérales des attaques du Hamas
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/13/les-ouvriers-agricoles-thailandais-victimes-collaterales-des-attaques-du-ham

    Les ouvriers agricoles thaïlandais, victimes collatérales des attaques du Hamas
    Par Brice Pedroletti(Bangkok, correspondant en Asie du Sud-Est)
    Publié le 13 octobre 2023 à 16h00, modifié le 14 octobre 2023 à 07h13
    Avec 24 morts et 16 personnes présumées kidnappées, la Thaïlande se retrouve au deuxième rang des pays étrangers pour le nombre de victimes derrière les Etats-Unis. Un lourd bilan, qui s’explique par le nombre de migrants thaïlandais travaillant dans l’agriculture en Israël : ils sont environ 30 000 à être employés dans des fermes et des kibboutz, dont 5 000 autour de la bande de Gaza. Ce n’est pas la première fois que cette population compte des victimes : deux ouvriers thaïlandais étaient morts, en mai 2021, après des tirs de roquettes.
    La plupart de ces migrants sont des hommes, originaires de l’Isan, la grande région rurale du nord-est de la Thaïlande, la plus pauvre du royaume, comme Somkuan Pansa-ard. Agé de 39 ans et employé dans une plantation de fruits depuis moins d’un an, l’homme avait eu le temps de parler à sa mère samedi 7 octobre alors que des assaillants fondaient sur son lieu d’habitation. Sa famille a appris dimanche qu’il n’avait pas survécu.
    Une partie des travailleurs thaïlandais tués l’auraient été dans le kibboutz Alumim, où la plupart des habitants auraient eu la vie sauve après de longues heures de combat. « Dans ce kibboutz, les gardes ont réussi à tuer un certain nombre de terroristes du Hamas et à les empêcher d’atteindre les principales zones d’habitation. Malheureusement, un groupe de terroristes a réussi à atteindre les quartiers d’habitation de plusieurs travailleurs agricoles thaïlandais et les a massacrés », rapporte le canal Telegram israélien South first responders qui archive les images envoyées par des équipes de premiers secours. Une vidéo montre l’intérieur de baraquements sens dessus dessous, avec d’épaisses traînées de sang sur le sol.
    Parmi les victimes du kibboutz Alumim figurent aussi dix étudiants népalais, selon Katmandou. Quatre autres, présents au même endroit ce jour-là, ont survécu. Ils faisaient partie d’un programme de onze mois de stages payés qui concernaient 269 étudiants venus de plusieurs universités du pays. La plupart des 5 000 Népalais vivant en Israël sont eux employés dans les services de santé ou d’aide à la personne. La veille de l’attaque, la page Facebook d’un des Népalais qui fait partie de la liste des victimes, Ganesh Nepali, montrait des images du kibboutz, sous le titre « vue nocturne d’Alumim », avec un cœur et deux drapeaux d’Israël : on y voit la haute barrière de sécurité, le ciel qui vire au rose, des allées paisibles bordées de bosquets de fleurs. Ironie du sort, trois jours auparavant, le 3 octobre, il avait écrit un long poste de commentaire sur le couvre-feu qui venait d’être décrété à Nepalgunj, une bourgade népalaise à la frontière indienne, après des incidents entre communautés hindoues et musulmanes locales, en s’accablant de « l’incapacité des personnes religieuses à accepter la culture de l’autre, ce qui conduit à des guerres de religion ».
    Les Thaïlandais font partie des travailleurs étrangers qui ont remplacé les Palestiniens en Israël à mesure que l’emploi de ceux-ci était soumis à des restrictions. Un accord bilatéral en 2012 a formalisé leur recrutement, avec un quota annuel passé à 6 500 ouvriers par an depuis 2022. Ils sont employés pour des contrats de deux ans, renouvelables jusqu’à un maximum de cinq ans et trois mois. Payés environ 1 500 dollars (1 422 euros), ils doivent s’acquitter d’au moins un mois et demi de salaire en « frais d’agence ».Depuis le week-end, l’un de ces travailleurs a livré sur X, anciennement Twitter, sous le pseudonyme de SuperBallAI, le récit de sa fuite avec d’autres migrants. « Plus de vingt-quatre heures se sont écoulées depuis l’incident, et les travailleurs thaïlandais se trouvant dans les zones dangereuses n’ont toujours pas reçu d’aide ni de plan d’évacuation vers une zone sûre », écrit-il le 8 octobre, avant de montrer tout un groupe de migrants qui partent sur un tracteur. Il s’indigne ensuite que son employeur l’ait revendu à un autre sans son accord.
    S’il a finalement réussi à être rapatrié en Thaïlande par un vol arrivé le 12 octobre, il a par ses tweets rappelé une réalité dérangeante : le traitement parfois désinvolte des droits de ces travailleurs étrangers par leurs employeurs. Dans un rapport datant de 2021 sur les droits bafoués des migrants thaïlandais à la santé, l’ONG israélienne de défense des droits des migrants Kav LaOved déplorait que « dans les zones ciblées par les tirs de roquettes lors des escalades du conflit, récemment dans la région de Gaza, les employeurs demandent souvent aux travailleurs de continuer à travailler dans les champs ou dans la ferme, sans abri, même si cela est interdit par le commandement du front intérieur israélien. Cette situation a entraîné de nombreuses blessures et de nombreux décès parmi les travailleurs. Le rapport demande que des abris soient mis à la disposition de tous les travailleurs situés à proximité des zones de combat. » Rien n’indique que ces recommandations aient été suivies. Un deuxième vol de rapatriés thaïlandais, dont certains blessés, est arrivé à Bangkok vendredi 13 octobre, après un premier qui a atterri jeudi. Au moins 5 000 Thaïlandais ont postulé pour quitter le pays depuis les événements de samedi. Samedi matin, le premier ministre Srettha Thavisin a indiqué que la Thaïlande « ne prendrait pas parti » dans le conflit entre Israël et le Hamas.

    #Covid-19#migrant#migration#israel#thailandais#nepalais#travailleursmigrants#conflit#crise#rapatriement#mortalite#sante

  • Stop aux #massacres en cours à #Gaza

    L’horreur succède à l’horreur. Aux crimes antisémites commis par le #Hamas le week-end dernier et à la découverte des atrocités succède désormais la #vengeance aveugle du gouvernement israélien. Après avoir bestialisé les Palestinien·nes de Gaza par des déclarations racistes aux accents exterminateurs, le gouvernement Netanyahu déploie toute la disproportion de sa puissance militaire et diplomatique et prive les habitant·es de Gaza d’eau, d’électricité et de carburant tant que les otages ne sont pas libéré·es, et organise le déplacement forcé de plus de 1,1 million de personnes.

    Ces mesures criminelles et inhumaines, qui engagent le pronostic vital de 2,3 millions de personnes, s’accompagnent de #bombardements massifs occasionnant des victimes en grande majorité civiles, parmi lesquelles des enfants et des personnes vulnérables. Le bilan est actuellement de plus de 1500 mort·es et plus de 6600 blessé·es et s’alourdit d’heure en heure. Le massacre, les déplacements forcés de population et les restrictions infligées aux Gazaoui·es ne sont en aucune façon une réponse tolérable aux tueries du 7 octobre. Comme sont proscrits les prises d’otages et les massacres du Hamas, le #droit_international, notamment la convention de Genève interdit ce que pratique le gouvernement israélien : la prise pour cible de #civils ou d’objectifs civils, les #punitions_collectives, et le fait de priver des populations des biens nécessaires à leur survie. On ne peut répondre à des #crimes par d’autres crimes.

    Le massacre du 7 octobre oblige Israël à repenser la forme que peut prendre l’avenir pour les deux peuples sur cette terre. Deux options existent : la recherche difficile d’une solution politique acceptable pour les deux peuples, ou l’écrasement dans un #bain_de_sang de toute revendication palestinienne auquel continueront à répondre des meurtres et des attentats. La seule possibilité acceptable est celle d’une #paix fondée sur la #justice, pour toutes et tous. C’est ce que résume le slogan « Pas de justice, pas de paix », que beaucoup comprennent comme un appel à se battre mais qui n’est en réalité qu’un constat. Aujourd’hui, la pire solution semble privilégiée, mais nous n’avons pas d’autre choix que celui de croire en des jours meilleurs et de tout faire pour les voir arriver. Tikoun Olam.

    Nous pleurons toutes les victimes, assassinées par les tueurs du Hamas ou massacrées par le gouvernement d’Israël qui n’a comme seule ligne de conduite la #domination par la puissance des #armes. De part et d’autre de la frontière, plus de 2700 personnes ont déjà perdu la vie, plus de 10000 sont blessées et plus d’une centaine sont retenues en otage.

    Il est urgent que l’ensemble des pouvoirs étatiques, ONG, et observateurices exterieur·es, civil·es ou professionnel·les, mettent tout en œuvre pour obtenir la reprise des flux vitaux vers Gaza et la libération immédiate des #otages. Ils doivent imposer un #cessez-le-feu et forcer la reprise d’un réel processus vers une #paix_juste et durable dans le respect des résolutions de l’ONU, du droit international et des légitimes aspirations de paix et de justice pour les Palestinien·nes et les Israélien·nes.

    Notre cœur est déchiré mais nous ne pouvons pas participer en l’état à un certain nombre de rassemblements « en faveur des Palestinien·nes » organisés entre autres par des groupes ayant explicitement soutenu l’attaque du Hamas. Nous appelons ces organisations à une sérieuse #auto-critique. Nous rappelons encore une fois que le Hamas inscrit l’#antisémitisme jusque dans sa charte, que pour lui, tous·tes les Juif·ves sont des cibles, et qu’il n’a jamais hésité à mettre cette idée en pratique. Les déclarations de ces partis et groupes politiques ne nous permettent donc pas d’envisager ces rassemblements comme autre chose que des espaces d’indifférence ou même de réjouissance face aux massacres antisémites perpétrés. Elles nous indiquent, au contraire, que ce sont des lieux où notre sécurité physique et psychologique n’est pas assurée.

    Il en est ainsi lorsque le NPA dans un texte consacré au massacre dit apporter « son soutien aux moyens de lutte choisis par les Palestiniens pour résister » et parle, pour désigner les villages et kibboutzim où, au même moment, les tueurs du Hamas sont à l’œuvre, de « colonies acquises aux résistantEs »(communiqué du 7 octobre) ; lorsque #Palestine_Vaincra lit le massacre comme « une démonstration de force des capacités de la résistance qui met à nu la faillibilité du projet sioniste » (le 7 octobre) ; lorsque l’#UJFP compare les tueurs du Hamas aux héros de l’affiche rouge (le 9 octobre) ; lorsque Unité Communiste voit dans ces attaques « une preuve d’espoir pour les colonisés du monde entier » (le 10 octobre) ; ou lorsque le groupe Inverti·es mentionne le Hamas comme « un groupe de résistance derrière lequel se mobilise le peuple palestinien, […] fruit du #colonialisme » (11 octobre).

    Dans le même temps nous assistons à un durcissement de la droite, caractérisé notamment par la volonté du ministère de l’Intérieur de criminaliser et d’interdire toute manifestation de solidarité avec les Palestinien·nes. Parallèlement, certains utilisent le massacre du 7 octobre pour stigmatiser les minorités arabe et musulmane, considérées comme collectivement complices. Nous condamnons avec la plus grande force tout ces discours de #haine et de #stigmatisation envers les personnes arabes et/ou musulmanes et leur apportons tout notre soutien. Les Musulman·es de France ne sont pas plus responsables des crimes du Hamas que les Juif·ves de France ne le sont de ceux du gouvernement israélien.

    Nous ne souscrivons pas à la criminalisation du mouvement de #solidarité avec les Palestinien·es, qui n’est rien d’autre qu’une façon de laisser les mains libres au gouvernement israélien pour écraser Gaza sous les bombes et priver les Gazaoui·es des moyens élémentaires de survie. Au contraire, nous souhaitons participer à l’établissement d’un front réellement unitaire se donnant l’objectif et les moyens de réaliser une pression populaire internationale sur l’ensemble des acteurs du conflit.

    L’établissement d’un tel front ne peut se faire que sur la base d’une #condamnation sans équivoque des crimes du Hamas et du gouvernement israélien et avec une revendication de #paix_dans_la_justice. Nous appelons donc toutes les personnes partageant ces objectifs à réfléchir avec nous à l’organisation d’initiatives pour la paix et la justice qui ne sombreraient pas dans des logiques mortifères.

    https://juivesetjuifsrevolutionnaires.wordpress.com/2023/10/13/stop-aux-massacres-en-cours-a-gaza
    #7_octobre_2023 #Palestine #Israël #à_lire

  • De la #circulation des termes et des images xénophobes...

    Il y a longtemps, j’avais écrit ce texte pour @visionscarto (quand encore le blog était hébergé sur le site du Monde Diplo) :
    En Suisse, pieds nus contre rangers
    https://visionscarto.net/en-suisse-pieds-nus-contre-rangers

    Je montrais notamment comment le #poster de cette campagne emblématique de l’#UDC en #Suisse avait circuler dans les sphères de l’#extrême_droite européenne.

    L’original made in Switzerland :

    La même idée des #moutons reprise par la #Lega_Nord en #Italie :


    Et le #NPD en #Allemagne :

    Cette #campagne avait été conçue par l’#UDC pour soutenir leur #initiative dite « Pour le renvoi des #étrangers_criminels » (débutée en 2010, mais qui a pourri le paysage suisse pendant des années... oui, car ces posters ont été tapissés dans l’espace public suisse pendant bien trop longtemps car il y a eu des rebondissements) :
    – "Initiative populaire « Pour le renvoi des étrangers criminels »" (2008) https://fr.wikipedia.org/wiki/Initiative_populaire_%C2%AB_Pour_le_renvoi_des_%C3%A9trangers_criminel
    Début de la récolte des signatures : 2007 —> https://www.bk.admin.ch/ch/f/pore/vi/vis357.html
    – "Initiative populaire fédérale suisse « Pour le renvoi effectif des étrangers criminels »" (2012) : https://fr.wikipedia.org/wiki/Initiative_populaire_f%C3%A9d%C3%A9rale_suisse_%C2%AB_Pour_le_renvoi_e
    – et d’autres étapes que je ne vais pas détailler ici, car pas le temps de faire la chronologie de cette initiative...

    Cette idée de l’expulsion des criminels étrangers est reprise aujourd’hui par #Darmanin (mais depuis quand cette expression est utilisée en #France ? Quelqu’un·e. a une idée ??) :

    #Gérald_Darmanin se saisit de l’attentat d’Arras pour relancer ses mesures sur l’immigration

    L’attaque au #couteau qui a coûté la vie à un professeur de lycée et fait trois blessés a relancé le débat sur l’immigration, poussant le ministre de l’intérieur à surenchérir sur la question des « #délinquants_étrangers » et de leur expulsion.

    https://mastodon.social/@Mediapart/111244723392752616
    https://www.mediapart.fr/journal/politique/161023/gerald-darmanin-se-saisit-de-l-attentat-d-arras-pour-relancer-ses-mesures-

    Au même temps, en #Italie, et plus précisément dans le #Haut-Adige :

    Un manifesto elettorale della #Süd-Tiroler_Freiheit -partito noto per le proprie posizioni xenofobe- ritrae in primo piano un uomo nero con un coltello in mano. Dietro di lui, una donna bianca cerca riparo in un angolo, coprendosi il volto con le braccia. L’immagine è inequivocabile, così come la scritta a caratteri cubitali posta poco più in basso: “Kriminelle Ausländer abschieben” (cioè espellere gli stranieri criminali).

    https://seenthis.net/messages/1021581
    https://altreconomia.it/in-alto-adige-in-arrivo-un-cpr-a-uso-locale-lultimo-anello-di-una-caten
    Voici le #poster du parti du #Sud-Tyrol :

    Et comme par hasard, voici la nouvelle campagne datée 2023 de l’UDC en Suisse : "#Nouvelle_normalité ?"


    https://www.udc.ch/nouvelle-normalite

    J’ai un vague souvenir que cette image d’une personne (étrangère, of course !) qui attaque un·e innocent·e suisse·sse au couteau n’est pas nouvelle dans l’#iconographie de l’UDC, mais je n’ai pas trouvé de trace sur internet pour l’heure...

    Si ces images et ces slogans sont #made_in_Switzerland comme on pourrait peut-être le déduire, il faudrait du coup l’ajouter à la liste des inventions suisses en termes de politique migratoire dont j’avais écrit, avec Ibrahim Soysüren dans la revue Plein Droit :
    Le couteau suisse des politiques migratoires
    https://www.cairn.info/revue-plein-droit-2019-2-page-3.htm
    #moutons_noirs #moutons_blancs #criminels_étrangers #renvoi #expulsion #migrations #étrangers_délinquants #criminalité #racisme #xénophobie

  • In Alto Adige in arrivo un Cpr a “uso locale”. L’ultimo anello di una catena emergenziale

    Il 22 ottobre si vota per il rinnovo del Consiglio provinciale e molti partiti cavalcano le paure per guadagnare consensi. Da più parti l’istituzione di un Centro per il rimpatrio a Bolzano è presentata come la soluzione, occultando anni di non gestione degli arrivi. Ma c’è chi si ribella alle narrazioni tossiche. Il nostro reportage

    Un manifesto elettorale della Süd-Tiroler Freiheit -partito noto per le proprie posizioni xenofobe- ritrae in primo piano un uomo nero con un coltello in mano. Dietro di lui, una donna bianca cerca riparo in un angolo, coprendosi il volto con le braccia. L’immagine è inequivocabile, così come la scritta a caratteri cubitali posta poco più in basso: “Kriminelle Ausländer abschieben” (cioè espellere gli stranieri criminali).

    Anche in Alto Adige, dove il 22 ottobre si vota per il rinnovo del Consiglio provinciale, molti partiti cavalcano le paure per guadagnare consensi. Rientrano in questa strategia il manifesto del movimento di estrema destra di lingua tedesca, ma anche le dichiarazioni di politici solitamente misurati come Arno Kompatscher, eletto tra le fila della Südtiroler Volkspartei (dal 1948 forza di maggioranza del Consiglio provinciale), che ha spiegato di voler istituire un Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) in provincia poiché “nonostante le statistiche relative ai reati siano in calo, il livello di sicurezza percepito dalla popolazione è decisamente inferiore a quello del passato e ormai le donne hanno paura ad uscire da sole la sera”.

    Secondo quanto affermato dal Landeshauptmann, la struttura avrà una capienza massima di 50 posti e sarà a “uso locale”: verrà utilizzata, cioè, esclusivamente al trattenimento dei cittadini stranieri già presenti sul territorio provinciale. Matteo Salvini, nei giorni scorsi in tour elettorale in Regione, ha definito l’apertura di un Cpr “indispensabile”. Il centro per i rimpatri per l’Alto Adige costituirebbe però l’anello di chiusura dell’approccio emergenziale che da un decennio caratterizza la gestione del fenomeno sul territorio.

    Dal 2013, infatti, i Centri di accoglienza straordinaria costituiscono la norma del sistema di accoglienza altoatesino. Se a fine 2017 le strutture erano 31 e ospitavano 1.642 persone, dal 2018, complice il calo degli arrivi dal Mediterraneo, molti centri sono stati progressivamente chiusi. L’Ufficio anziani della Provincia di Bolzano, competente a livello istituzionale per i richiedenti asilo, ha rifiutato di divulgare il numero delle persone attualmente ospitate nei Cas del territorio, affermando, però, che “non si discosta molto da quello del novembre 2022”, quando i posti a disposizione erano 416.

    Nonostante l’aumento degli arrivi sulle coste italiane -quasi 140mila persone a metà ottobre 2023- la Provincia di Bolzano non è ancora stata toccata dal sistema di redistribuzione regionale. Kompatscher ha spiegato di aver fatto presente al governo di “dover già fare i conti con i flussi che restano fuori dai registri dei ricollocamenti”. Il presidente della Provincia fa riferimento ai “fuori quota”, come vengono etichettati i richiedenti asilo che giungono in Alto Adige seguendo rotte diverse da quella del Mediterraneo. Si tratta di un flusso costante di persone -150-200 presenze sul territorio secondo le stime del Comune di Bolzano-, che una volta varcato il confine del Brennero sono escluse per mesi dall’accoglienza e costrette in un limbo giuridico.

    Alessia Fellin, responsabile dell’area “Migrazione e asilo” della Caritas di Bolzano-Bressanone, conferma in parte quanto dichiarato dal presidente della Provincia, evidenziando al tempo stesso alcune criticità. “Il tema dell’inserimento di chi arriva sul territorio in autonomia è reale e va detto che col tempo si è creata una procedura che, alcune volte l’anno, vede l’immissione in quota e l’accoglienza di queste persone”. Si è però ancora lontani dall’attuazione del decreto legislativo 142/2015, che prevede l’applicazione delle misure di accoglienza a partire dalla manifestazione della volontà di chiedere protezione internazionale. Fellin sottolinea, infatti, che “l’inserimento in quota non sempre avviene in tempi ragionevoli” -a volte alcuni ottengono una protezione trovandosi ancora fuori dall’accoglienza- e che “in seconda battuta ci si scontra con l’insufficienza dei posti nei centri”. Per risolvere questo problema per Fellin sarebbe auspicabile iniziare a considerare la mobilità umana come qualcosa di strutturale da affrontare in maniera sistematica e potenziare i progetti Sai del territorio, “una possibilità preziosa per la prosecuzione del percorso di richiedenti asilo e rifugiati.”

    In Alto Adige la prima partecipazione all’allora progetto Sprar risale al 2017, quando sei Comunità Comprensoriali -Valle Isarco, Val Pusteria, Salto Sciliar, Burgraviato, Val Venosta, Oltradige Bassa Atesina- aderirono al modello di accoglienza diffusa con 223 posti per il triennio 2018-2020. Alla scadenza del bando solo tre Comunità proseguirono l’esperienza. I progetti, in corso fino alla fine del 2023, contano 105 posti e di recente hanno richiesto la proroga per il triennio 2024-2026.

    Markus Frei, coordinatore del progetto della Comunità Comprensoriale Valle Isarco (e consigliere comunale per i Verdi nel Comune di Bressanone), considera il Sai un modello virtuoso, perché “dislocare le persone in piccoli paesi agevola il loro inserimento lavorativo e abitativo”. Al contempo, però, non nasconde che nei territori periferici la piena inclusione resti un miraggio: “La convivenza funziona se i ‘beneficiari’ passano tutto il giorno al lavoro e se non frequentano il bar del paese: così però saranno sempre ospiti e mai concittadini”. Frei intende pertanto potenziare il lavoro di sensibilizzazione nei territori, dove “le narrazioni tossiche, come quella sull’apertura di un Cpr, attecchiscono facilmente”.

    1.677 le persone in accoglienza in Trentino-Alto Adige al 30 settembre 2023. L’1,19% rispetto al totale a livello nazionale (141.107). Fonte: ministero dell’Interno

    A oggi le istituzioni altoatesine mantengono il riserbo sul luogo in cui dovrebbe sorgere il Centro per i rimpatri. Un’ipotesi avanzata è la caserma della Finanza nell’areale dell’aeroporto di Bolzano. Il sindaco del capoluogo Renzo Caramaschi, pur a favore di un Cpr in provincia, ha espresso la propria contrarietà a questa soluzione sostenendo di “non volere delinquenti in città”. Sebbene la retorica di molti schieramenti politici associ i Cpr ai cittadini stranieri autori di reato, vale la pena ricordare che si tratta di luoghi deputati alla detenzione amministrativa, ossia al trattenimento di chi si trova in attesa di esecuzione di un provvedimento di espulsione spesso perché sprovvisto di regolare titolo di soggiorno. Sono molti i lati oscuri e le violenze che si consumano al loro interno denunciate dalle persone trattenute e segnalate da attivisti e inchieste giornalistiche. In questo senso si è pronunciato anche il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Nel “Documento di sintesi sui Cpr” del 2023 descrive le nove strutture a oggi operative in Italia come “patogene per la salute fisica e mentale delle persone trattenute” e permeate da “carenze legislative, vuoti di regolazione, criticità strutturali, opacità sistemiche e inadeguatezze gestionali”.

    I dati del Garante mostrano, inoltre, che i Cpr sono inefficaci allo scopo che si prefiggono: delle 6.383 persone transitate al loro interno nel 2022 ne sono state rimpatriate 3.154, ovvero il 49,41%. E come raccontato da Altreconomia, permane poi il problema degli psicofarmaci distribuiti per sedare e gestire la popolazione ristretta. Sono frequenti, infine, gli atti di autolesionismo e i decessi -otto negli ultimi tre anni- delle persone trattenute, il cui corpo è spesso l’unico strumento per far sentire la propria voce.

    Tra le 16 liste in lizza alle prossime elezioni provinciali altoatesine, solo i Verdi si sono detti contrari ai Centri per il rimpatrio in quanto “strutture non risolutive che violano i diritti umani”. A prendere nettamente posizione è stata invece una parte della società civile. A seguito di un’assemblea pubblica molto partecipata, lo scorso settembre si è costituito il “Coordinamento regionale Trentino Alto Adige Südtirol contro i Cpr”, da subito attivo in una intensa attività di informazione “per smontare la becera propaganda intorno a questo tema” e nell’organizzazione di una manifestazione che sabato 14 ottobre ha visto sfilare per le strade di Bolzano 800 persone. Per il Coordinamento, il corteo è stato il primo di una serie di appuntamenti in cui “ribadiremo forte e chiaro il nostro ‘No ai Cpr in Alto Adige e altrove’”.

    https://altreconomia.it/in-alto-adige-in-arrivo-un-cpr-a-uso-locale-lultimo-anello-di-una-caten

    #CPR #Alto_Adige #Italie #asile #migrations #réfugiés #détention_administrative #rétention #Bolzano #criminels_étrangers #étrangers_criminels #Süd-Tiroler_Freiheit #poster #sécurité #urgence

  • Matthieu Amiech, Lettre ouverte aux organisatrices du rassemblement estival Les Résistantes, 2023 – Et vous n’avez encore rien vu…
    https://sniadecki.wordpress.com/2023/10/16/amiech-les-resistantes

    Suivi de deux textes sur l’autonomie des luttes, notamment alimentaire.

    L’organisation de ce rassemblement visait précisément à faire se rencontrer des gens qui n’en sont pas tous au même point, dont les objectifs ne concordent pas tout à fait et doivent être mis en discussion : à faire avancer un mouvement en construction. Mais ici, il ne s’agit pas de cela. Imaginons que, peu après l’atelier « Discussion et retours sur nos expériences d’autodéfense féministe », ou avant la table ronde « Reprendre les terres dans une perspective féministe », il y ait eu une formation « Être féministe et sexy, pour réussir », ou « Faire avancer l’émancipation des femmes par la filière nucléaire (ou l’armée) » : on peut penser qu’il y aurait eu à juste titre un malaise, voire un scandale. Sur la question du numérique, par contre, la contradiction ne pose pas de problème. On a beau savoir que ces technologies sont au cœur des phénomènes de surveillance, de précarisation du travail, d’isolement social, d’aggravation des problèmes écologiques, elles restent « un outil incontournable pour nos luttes » – qui visent pourtant plus de liberté et d’égalité, moins de violence et de destructions.

    […]

    De façon générale, il est temps pour cette écologie terrestre, pour l’ensemble des luttes contre les petits et grands projets qui pillent les ressources et dévastent les territoires, de faire un choix. Ou bien nous luttons avec les outils numériques, dans un souci de soi-disant efficacité et au nom de l’urgence absolue-permanente ; ou bien nous luttons, de plus en plus, sans eux, pour trouver une nouvelle consistance humaine, pour tisser quelque chose de réellement hétérogène au développement (économique), à la transition (énergétique), à la vie administrée et artificialisée. Ou bien on continue de laisser au second plan de la conscience collective – derrière les écrans – l’impact effrayant de la numérisation sur les milieux naturels, la consommation d’énergie et d’électricité qui explose, la course aux métaux et l’ouverture de mines partout dans le monde ; ou bien on met cette question au premier plan : on insiste sur le rôle essentiel des ordinateurs et d’Internet dans l’accélération des prédations, de la bétonisation des sols, de la confiscation des terres et de la pollution des eaux (ou vice versa).

    #Matthieu_Amiech #critique_techno #numérique #informatisation #qrcode #gestion #autonomie #luttes_sociales #organisation

  • Fabio De Masi: Verschwörungs-Ökonomie, oder warum es Deutschland schlecht geht
    https://www.berliner-zeitung.de/wirtschaft-verantwortung/fabio-de-masi-verschwoerungs-oekonomie-warum-es-deutschland-schlech

    14.10.2023 von -Fabio De Masi -Unter dem Vorwand, die Inflation zu bekämpfen, nimmt die Bundesregierung eine schwere Wirtschaftskrise in Kauf. Dahinter stecken knallharte Interessen, meint unser Autor.

    Bundeskanzler Olaf Scholz hatte ein Wirtschaftswunder versprochen. Was für eine Blamage: Denn die Ampel-Koalition jagt die Wirtschaft in den Keller, um dann Maßnahmen gegen Wachstumsbremsen zu fordern. Dieser Wahnsinn hat Methode. Dabei sitzen die Wachstumsbremsen auf der Regierungsbank. Olaf Scholz, Robert Habeck und Christian Lindner sind eine in Zahlen gegossene wirtschaftliche Trümmertruppe.

    So meint Finanzminister Christian Lindner, es brauche eine Bürokratie-Pause, als gäbe es Bürokratie nur in Deutschland. Wie soll zu viel Bürokratie erklären, warum Deutschland von der internationalen Wirtschaftsentwicklung abgehängt wird? Man darf schon glücklich sein, dass Lindner die verheerende wirtschaftliche Bilanz seiner Regierung nicht mit kosmischen Schwingungen erklärt.

    Deutschland ist die einzige große Volkswirtschaft, die schrumpft

    Lindner kritisiert zwar die Abschaffung von Leistungstests bei den Bundesjugendspielen, aber würde ökonomisch schon am Binden der Turnschuhe in der Umkleidekabine scheitern. Spanien hat etwa mit gezielten Eingriffen in den Markt, wie einer Besteuerung von Extragewinnen, Preisbremsen sowie Subventionen des öffentlichen Nahverkehrs die Wirtschaft angekurbelt und die Inflation viel erfolgreicher bekämpft als Deutschland.

    Auch China, die USA und Japan nehmen staatliche Defizite in Kauf, um in Zukunftstechnologien zu investieren. Die Inflationsraten gehen dabei international zurück. Deutschland ist die einzige größere Volkswirtschaft, die nominale Staatsausgaben senkt (mit Ausnahme der wachsenden Rüstungsausgaben), und die einzige größere Volkswirtschaft, die schrumpft.

    Lindner behauptet mit seiner Verschwörungsökonomie gegen jede Evidenz, es brauche eine Absenkung der Staatsausgaben, um die Inflation zu bekämpfen. Dabei haben wir es mit einer Angebots- oder Gewinninflation zu tun, die nicht durch zu hohe Nachfrage ausgelöst wurde. Zudem stellte der Internationale Währungsfonds bereits 2009 in einer groß angelegten Länderstudie unter dem Titel „Public Debt, Money Supply and Inflation“ fest, dass für Industrienationen kein Zusammenhang zwischen Staatsverschuldung und Inflation bestünde. Und es ist noch nicht einmal gesichert, dass eine Kürzung der Staatsausgaben die Staatsverschuldung senkt. Es ist nämlich davon auszugehen, dass die negativen Effekte auf das Bruttoinlandsprodukt auch zu Erhöhung der Arbeitslosigkeit, höheren Sozialtransfers und Verringerung der Steuereinnahmen führen werden.

    Laut der Gemeinschaftsdiagnose der führenden Wirtschaftsforschungsinstitute brechen die Investitionen in Forschung und Entwicklung in Deutschland durch die Kürzungsorgie und den wirtschaftspolitischen Salafismus der Ampel-Regierung massiv ein.

    Lindner verkündet, man müsse die Wachstumsbremsen lösen, aber er entzieht der Bevölkerung über Steuererhöhungen auf Gas, Fernwärme und Speisen in der Gastronomie zehn Milliarden Euro an Kaufkraft und kürzt alles, was nicht bei drei auf dem Baum ist. Die Verringerung von Staatsausgaben in einer schwächelnden Wirtschaft, bedeutet immer auch, dem Privatsektor die Einnahmen zu entziehen. Angesichts des Staatsversagens von Deutscher Bahn, bis zur Unterbringung und Integration von Flüchtlingen, fragt man sich, ob es das Ziel der Ampel ist, der Trümmertruppe von der Alternative für Deutschland (AfD) noch ein paar Prozentpunkte bei den Wahlen obendrauf zu packen.

    Die Lobbyisten der Arbeitslosigkeit

    Es ist davon auszugehen, dass die Ampel-Regierung genau weiß, was sie tut. Der australische Investor Tim Gurner, Gründer der Gurner Group, die Luxus-Immobilien entwickelt, hat kürzlich in schonungsloser Offenheit auf den Punkt gebracht, weshalb Notenbanken wie die Europäische Zentralbank (EZB) versuchen, den Energie-Preisschock und die Profit-Inflation, mit fragwürdigen Zinserhöhungen zu bekämpfen und weshalb die Ampel-Koalition die Staatsausgaben kürzt, bis es kracht.

    Es geht darum, die Arbeitslosigkeit zu erhöhen, um die Profite der oberen ein Prozent abzusichern. Diese Rentiers, die über große Aktienpakte verfügen, aber nur selten selbst etwas Unternehmerisches schaffen, erwarten ihre Renditen wie ein Zeitungsabo im Briefkasten. Und zwar nicht durch sinnvolle Prozess- und Produktinnovationen oder „schöpferische Zerstörung“, wie es der österreichische Ökonom Joseph Schumpeter nannte, sondern durch Eigentum und Wirtschaftsmacht.

    Gurner behauptete auf dem „Property Summit“ der australischen Financial Review, die Beschäftigten seien durch die Corona-Krise zu arrogant geworden und würden für ihr Geld zu wenig leisten. Dies habe die Produktivität negativ beeinträchtigt. Um dies zu ändern, forderte Gurner, dass die Arbeitslosigkeit „um 40 oder 50 Prozent steigen“ müsse. Der Wirtschaft müssten Schmerzen zugefügt werden.

    Es sei zu einem systematischen Wandel gekommen, wonach die Beschäftigten denken würden, die „Arbeitgeber“ (ein fragwürdiger Begriff, schließlich stellen die Beschäftigten ja ihre Arbeitskraft zur Verfügung) würden für sie arbeiten und nicht umgekehrt. Sie würden in dem Irrglauben leben, dass die Unternehmer ihnen dankbar sein müssten, dass sie für sie arbeiten, und nicht umgekehrt.

    Gurner fuhr fort, man müsse „diese Attitüde töten“. Und dies könne nur gelingen, indem man der Wirtschaft weh tue. Dies sei, was die Regierungen weltweit derzeit durch Verringerung von Staatsausgaben versuchen würden. Erste Erfolge seinen sichtbar. Entlassungen würden zunehmen und es gäbe nun „weniger Arroganz auf dem Arbeitsmarkt“. Was nach einer durchgeknallten Verschwörungstheorie klingt, ist der Kern wirtschaftsliberaler Ideologie, die versucht, zu vernebeln, dass es in der Wirtschaftstheorie und in der Wirtschaftspolitik immer auch um Interessen geht.
    Das Gespenst der Inflation

    Laut den Theorien der marktradikalen Ökonomen, die in den vergangenen Jahrzehnten den Ton angaben, ist Inflation vor allem das Ergebnis von zu viel Geld oder zu viel Nachfrage im System. Wenn also zu viel Geld zu wenige Waren jagt, erhöhen die Unternehmer die Preise. Daher müssten bei Inflation die Zinsen und die Arbeitslosigkeit erhöht werden. Doch zum Beispiel in den USA steigt die Beschäftigung seit einem Jahr, während die Inflation zurückgeht. Für keynesianische Ökonomen, die auf staatliche Eingriffe zur Stützung der Nachfrage setzen, ist eine Nachfrage-Inflation zwar denkbar, wenn Vollbeschäftigung herrscht und die Ökonomie überhitzt. Doch meistens herrscht Unterbeschäftigung. Daher führen Keynesianer Inflation vor allem auf gestiegene Kosten oder Konflikte zurück.

    So nutzten bestimmte Sektoren etwa den Energiepreisschock, um Extra-Profite durchzusetzen. Dies gelingt einzelnen Unternehmen nur, wenn sie entweder über eine außergewöhnliche Marktmacht verfügen oder sie wissen, dass andere Unternehmen wegen eines externen Schocks (Energiepreise) ebenso die Preise erhöhen. Wenn sie nämlich als Einzige die Preise erhöhen würden, verlören sie Marktanteile an Wettbewerber. Bei Kostenschocks, die viele Unternehmen betreffen, werden die Unternehmen hingegen versuchen, die Preise stärker zu erhöhen als ihre Kosten gestiegen sind. Wenn nun wiederum die Gewerkschaften stark genug sind, um die Löhne zu erhöhen und ihren Kaufkraftverlust auszugleichen, werden die Unternehmen wieder mit Preiserhöhungen auf die höheren Lohnkosten reagieren. So die Theorie. Es droht dann eine Lohn-Preis-Spirale.

    Nun ist die aktuelle Inflation aber nicht durch zu viel Nachfrage zu erklären und die Gewerkschaften sind nach Jahren der „Arbeitsmarktreformen“ zu schwach, um selbst bei hoher Beschäftigung eine eskalierende Lohn-Preis-Spirale auszulösen. Japan pumpte in den vergangenen Jahrzehnten viel billiges Geld der Zentralbank in die Banken, aber die Inflation war dort niedriger als in Europa. Denn das Geld der Banken zirkuliert zwischen den Banken oder befeuert zuweilen die Preise von Immobilien oder Aktien. Es treibt aber nicht auf breiter Front die Inflation auf den Gütermärkten.

    Die USA investieren als Reaktion auf die Inflation sogar vermehrt in Zukunftstechnologien (Inflation Reduction Act), um Engpässe zu überwinden. Spanien gelang es mit einer Mitte-links-Regierung, die Inflation erfolgreicher als das durch die Ampel angerichtete Chaos zu dämpfen: durch Energiepreis- und Mietendeckel, Steuersenkungen auf Nahrungsmittel sowie Subventionen für den öffentlichen Nahverkehr – also durch mehr Staatsausgaben.
    Operation gelungen, Patient tot

    Der Preisschock des Ukraine-Kriegs wurde eher durch eine Profit- oder Angebotsinflation ausgelöst. Die Corona-Krise hat Wertschöpfungsketten zerrüttet, der Wirtschaftskrieg hat Kostenschocks verursacht und unsere Energiekapazitäten sind zu knapp. Daher müsste mehr und nicht weniger investiert werden. Die Ampel will aber in der Krise kürzen und schickt die Wirtschaft ins Koma. Die Zinserhöhungen der EZB bremsen die Wirtschaft zusätzlich, da sie Investitionen verteuern und Zinskosten erhöhen. Es ist derzeit umstritten, wie groß der Einfluss der Zinsen auf die vorübergehende Schwächung des Wohnungsbaus war. Theoretisch können höhere Zinskosten sogar die Preise kurzfristig in die Höhe treiben.

    Doch langfristig führt eine Krise zu sinkender Inflation – aber eben zum Preis einer stagnierenden Wirtschaft und zunehmender Arbeitslosigkeit. Es ist, wie einen Krebspatienten mit dem Hammer zu erschlagen. Operation gelungen, Patient tot. Sinnvoller wäre es, etwa Extragewinne abzuschöpfen, Marktmacht zu bekämpfen und wie in Spanien durch Preisdeckel und Senkung der Mehrwertsteuer auf Lebensmittel die Preise zu dämpfen.

    Zurück zu Investor Gurner. Was er beschreibt, ist also seit Jahrzehnten Teil der ökonomischen Theorie und Praxis. Krisen – ob Finanzkrisen oder Preisschocks – lösen Verteilungskonflikte aus. In den Jahrzehnten bis zur Finanzkrise hat der Anteil der Gewinne am Volkseinkommen zulasten der Löhne immer weiter zugenommen. Die höheren Profite führten aber nicht zu höheren, sondern niedrigeren Investitionen, gemessen am Bruttoinlandsprodukt. Seit der Finanzkrise wurde diese Entwicklung leicht korrigiert, auch wenn die Lohnspreizung durch Niedriglöhne zunahm. Die Corona-Krise und der Wirtschaftskrieg läuteten eine neue Phase des modernen Klassenkampfes ein. Die Zentralbanken traten nach den Corona-Milliarden auf die Bremse und die Ampel-Koalition will in der Krise kürzen.

    Die Rentiers fordern ihren ökonomischen Tribut. So wie früher Priester Opfergaben forderten, um die Götter zu besänftigen (und dann das Lamm heimlich selbst verspeisten), fordern die Rentiers Opfer, um „die Märkte“ zu befriedigen.

    Was dahinter steckt, hat niemand besser auf den Punkt gebracht als der konservative britische Zentralbanker Sir Alan Budd, als er über die konservative Revolution unter Margaret Thatcher sprach: „Es mag Leute gegeben haben, die die eigentlichen politischen Entscheidungen getroffen haben, die nicht einen Moment lang geglaubt haben, dass dies der korrekte Weg ist, um die Inflation zu senken. Sie sahen jedoch, dass dies ein sehr, sehr guter Weg wäre, um die Arbeitslosigkeit zu erhöhen, und die Erhöhung der Arbeitslosigkeit war ein äußerst wünschenswerter Weg, um die Stärke der Arbeiterklasse zu verringern – wenn man so will. Es wurde eine Krise des Kapitalismus herbeigeführt, um in marxistischer Terminologie eine Reservearmee von Arbeitskräften zu schaffen, die es den Kapitalisten seitdem ermöglicht, hohe Gewinne zu erzielen.“

    Genau darum geht es: Nicht um bessere wirtschaftliche Performance, sondern um schlechtere wirtschaftliche Performance, um die Arbeitslosigkeit zu erhöhen, die Löhne zu drücken und höhere Profite für Wenige durchzusetzen. Im modernen Finanzkapitalismus bedeutet dies: Shareholder-Value für die Finanzinvestoren (Rentiers). Und zwar auch dann, wenn der Unternehmenssektor insgesamt unter der Krise leidet. Gurner spricht also offen aus, was die Geschäftsgrundlage im Finanzkapitalismus ist.

    Der brillante polnische Ökonom Michael Kalecki hat über dieses systemische Interesse der Wirtschaftsmächtigen an Arbeitslosigkeit einst in Cambridge eine berühmte Vorlesung unter dem Titel „Politische Aspekte der Vollbeschäftigung“ gehalten. Und der US-Investor Warren Buffett wusste: „Es herrscht Klassenkrieg, richtig, aber es ist meine Klasse, die Klasse der Reichen, die Krieg führt, und wir gewinnen.“

    ZUM AUTOR
    Fabio De Masi war Mitglied des Deutschen Bundestages für Die Linke sowie des Europäischen Parlaments und machte sich dort bei der Aufklärung von Finanzskandalen – etwa um den Zahlungsdienstleister Wirecard – einen Namen. Er ist Kolumnist bei der Berliner Zeitung.

    #Aliemagne #économie #crise #chomage

  • Cheffe de la diplomatie française ou envoyée spéciale de l’état sioniste ?

    Le #Liban doit tout faire pour rester à l’écart d’un engrenage, insiste Catherine Colonna | RTL Info
    https://www.rtl.be/actu/monde/international/le-liban-doit-tout-faire-pour-rester-lecart-dun-engrenage-insiste-catherine/2023-10-16/article/598856

    « Les responsables libanais ont aussi une responsabilité à cet égard, pour éviter que le Liban ne soit entraîné dans un engrenage, dont il ne se relèverait pas », a déclaré Mme Colonna lors d’une conférence de presse à Beyrouth, dernière étape d’une tournée régionale qui l’a menée en Israël et en Égypte.

    « …. dont il ne se relèverait pas… » : la #doctrine_dahiya en guise de diplomatie et sans vergogne.

    La « diplomatie » occidentale, télécommandée par l’état sioniste, veut s’assurer que que le Hezbollah n’intervienne pas en cas d’envahissement de Gaza pour laisser l’état sioniste vaquer tranquillement à son occupation préférée, les crimes de masse de civils palestiniens.

    #criminels

    • Trop c’est trop ; ces gens savent très très bien que l’ « état » libanais, aussi ennemi du Hezbollah qu’il soit, n’a aucun moyen de tenir tête à celui-ci ; en quoi alors les « responsables libanais » devraient être responsables d’une intervention du Hezbollah ?

      #dégout

  • Des solutions techniques à la crise écologique ? - AURÉLIEN BARRAU & PABLO SERVIGNE
    https://www.youtube.com/watch?v=gUZo1J683nE

    Une conf pessimiste récente de Barreau et Servigne. Pas tout écouté encore donc rien à dire dessus pour l’instant en bien ou mal.

    #Aurélien_Barreau #Pablo_Servigne #écologie #science #ingénierie #critique_techno #dissociation #Gunther_Anders #Ivan_Illich #solutionnisme #techno-cocon

    • Chapitres :
      0:00:00 Introduction
      0:03:13 Le gag de la conversation simulée par l’IA
      0:05:22 Introduction : La question de la technique et de la technologie
      0:13:11 L’horreur de la technologie qui nous dépasse
      0:16:42 Le réchauffement climatique n’est qu’un aspect de l’effondrement de la vie sur Terre
      0:19:53 Le développement cancéreux de la technologie
      0:24:48 L’approche problème-solution ne fonctionne plus dans la complexité
      0:28:44 Critique de la raison et de la science constructivement
      0:34:14 Le décalage prométhéen et le rapport aux autres cultures
      0:37:39 La fabrique des soldats et l’absurdité des ingénieurs dissociés
      0:40:38 La dissociation entre l’homme et la nature
      0:44:12 La science et l’innovation doivent proposer une autre voie
      0:47:50 Politiques paniqués par des robes traditionnelles Touareg
      0:51:49 Se remettre en résonance avec notre intériorité et les autres humains
      0:54:58 La limite de convivialité et des logiques qui nous dépassent
      0:57:50 La difficulté de se réassocier à son corps et au cœur
      1:01:16 Maintenir l’habitabilité de la Terre malgré la technococon mourant
      1:04:34 Le retrait comme réponse face aux attentes systémiques
      1:05:59 Résistance violente et non-violente chez les peuples indigènes
      1:08:02 Une éthique de la technique et des machines ?
      1:09:14 L’accès au savoir et la science institutionnelle
      1:12:22 Une question sur la clé de compréhension
      1:12:55 Garder le lien comme une forme de résistance
      1:16:54 Discussion sur les questions et fin de l’épisode

      L’intro est plutôt amusante.

  • ★ Conflit israélo-palestinien, une seule voie vers la paix pour tous-tes : la justice et la décolonisation ! – CNT-SO

    Depuis le 07 octobre, le long conflit colonial israélo-palestinien, a repris la forme d’une guerre ouverte qui pourrait s’étendre à tout moment dans la région. Les événements de Gaza ont des répercussions dans le monde entier y compris en France et il nous faut y répondre par une ligne claire : de classe et internationaliste !
    Une urgence : la fin des combats
    Notre solidarité internationaliste va aux travailleurs et travailleuses de Palestine, d’Israël et immigré·es qui sont comme toujours les premières victimes de la guerre. C’est le cas de la majorité des victimes en Israël, ciblées comme juif·ves par le Hamas et ses alliés. C’est le cas aujourd’hui de la majorité des palestinien·nes victimes de la campagne militaire israélienne. Il ne peut y avoir d’indignation à géométrie variable face à ces mort·es. Terrorisme, crime de guerre ou contre l’Humanité : nous ne rentrerons pas dans le débat stérile sur ce que retiendra la justice internationale ou un jour l’Histoire. L’urgence est ailleurs !

    #Palestine #Israël #colonialisme #militarisme #nationalismes #colonialisme #guerre #violences #crimes #barbarie #bombardement #souffrances #haines #DroitsHumains #internationalisme #Paix #Liberté... #solidarité #anarchisme...

    https://cnt-so.org/conflit-israelo-palestinien-une-seule-voie-vers-la-paix-pour-tous-tes-la-jus

  • #rallyes à railler et à rayer
    http://carfree.fr/index.php/2023/10/16/rallyes-a-railler-et-a-rayer

    Alors que la région Auvergne-Rhône-Alpes ne peut (veut) pas soutenir le train, elle figure en pole position des partenaires de l’organisation d’une gabegie, le Rallye automobile du Montbrisonnais 2023 qui Lire la suite...

    #Destruction_de_la_planète #Fin_de_l'automobile #Réchauffement_climatique #climat #course #critique #pollution #rhône-alpes #saint-etienne #sport_automobile #Suisse

  • Sortir de l’enfer - La méridienne
    https://www.la-meridienne.info/spip.php?article22

    « Pourquoi une bombe lâchée sur un immeuble de Gaza, ça ne te fait rien ?, demandait l’autre jour une amie arabe à un Français de son entourage bouleversé, à juste titre, par l’attaque du Hamas, mais totalement indifférent au reste. Tu crois que c’est plus doux ? » C’est une vraie question.

    « D’une manière globale, je trouve que l’international est de moins en moins présent dans les discours de gauche. Chez les jeunes générations, l’internationalisme n’est pas toujours une évidence comme il l’était pour des générations plus anciennes », disait récemment la députée de La France insoumise Clémentine Autain à Mediapart, à propos d’une autre cause : la cause arménienne. C’est une explication possible. Mais on voit aussi (et ici je demande pardon à mes lecteur-ices concerné-es pour la brutalité du constat, même si je me doute que je ne leur apprends rien) les effets de longues années de déshumanisation et de diabolisation des musulman-es. Lentement mais sûrement, l’islamophobie et ses innombrables relais ont fait leur office, ils ont émoussé les sensibilités.

  • Jonathan Cook sur X : “The missing context for what’s happening in Gaza is that Israel has been working night and day to ethnically cleanse the Palestinian people from their homeland since even before Israel become a state – when it was known as the Zionist movement.” / X
    https://twitter.com/Jonathan_K_Cook/status/1713600729292677293

    The people of Gaza were sealed in and largely forgotten, except when they lobbed a few rockets over the fence – to international indignation. If they fired too many rockets, Israel bombed them mercilessly and occasionally launched a ground invasion. The rocket threat was increasingly neutralised by a rocket interception system, paid for the US, called Iron Dome.

    Palestinians tried to be more inventive in finding ways to break out of their prison. They built tunnels. But Israel found ways to identify those that ran close to the fence and destroyed them.

    Palestinians tried to get attention by protesting en masse at the fence. Israeli snipers were ordered to shoot them in the legs, leading to thousands of amputees. The ’deterrence’ seemed to work.

    Israel could once again sit back and let the Palestinians rot in Gaza. ’Quiet’ had been restored.

    Until, that is, last weekend when Hamas broke out briefly and ran amok, killing civilians and soldiers alike.

    So Israel now needs a new policy.

    It looks like the ethnic cleansing programme is being applied to Gaza anew. The half of the population in the enclave’s north is being herded south, where there are not the resources to cope with them. And even if there were, Israel has cut off food, water and power to everyone in Gaza.

    The enclave is quickly becoming a pressure cooker. The pressure is mean to build on Egypt to allow the Palestinians entry into Sinai on ’humanitarian’ grounds.

    Whatever the media are telling you, the ’conflict’ – that is, Israel’s cleansing programme – started long before Hamas appeared on the scene. In fact, Hamas emerged very late, as the predictable response to Israel’s violent colonisation project.

    And no turning point was reached a week ago. This has all been playing out in slow motion for more than 100 years.

    Ignore the fake news. Israel isn’t defending itself. It’s enforcing its right to continue ethnically cleansing Palestinians.

    • [MMS, mais conclusion voisine ] Israël face au vertige de la vengeance, Piotr Smolar, Washington, correspondant
      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/15/israel-face-au-vertige-de-la-vengeance_6194626_3210.html

      Le massacre commis par le Hamas le 7 octobre en Israël a fait voler en éclat la dissuasion traditionnelle de l’Etat hébreu. Mais une vaste opération militaire à Gaza l’exposerait à d’autres dangers.

      La sidération et la révulsion ont dominé à juste titre en Occident face au massacre commis par le Hamas en #Israël. Rien ne peut justifier ou relativiser une telle débauche de cruauté. Ni la poursuite de l’occupation en Cisjordanie depuis 1967, avec son cortège de violences, ni l’avènement d’un #suprémacisme_juif, autrefois relégué aux franges de la société israélienne, avant d’être blanchi par le premier ministre, Benyamin Nétanyahou, ni l’abandon de la question palestinienne par les pays arabes, les Etats-Unis et les Européens. En revanche, ces trois facteurs ne peuvent être ignorés, à l’aube inquiétante d’une opération terrestre. Ils conditionnent la réponse de l’Etat hébreu.

      La société israélienne a le ventre retourné par l’horreur de l’opération terroriste. Discrédités pour n’avoir su prévenir cette attaque, le gouvernement et l’armée se trouvent sous une immense pression populaire. Il faut réagir. Il faut punir. Il faut frapper. Voilà Israël face à un précipice. L’attaque du Hamas est aussi un piège. Elle détruit la dissuasion au cœur de la doctrine sécuritaire d’Israël, l’obligeant à revoir radicalement ses modes de gestion militarisée traditionnels de l’enclave. Cette attaque intègre dans sa préméditation une réponse démesurée et aveugle, au mépris des deux millions de civils vivant à #Gaza. Le prix que l’Etat hébreu pourrait payer pour une opération de grande ampleur dépasse le compte humain. Il y va aussi de ses alliances, de la sécurité régionale et de son âme même.
      Répéter sans fin – même si ce principe est indubitable – qu’Israël est en droit de se défendre ne répond pas à la question de la finalité d’une #invasion_terrestre. La loi du talion ne peut tenir lieu de stratégie militaire. L’armée a clamé, le 12 octobre, qu’elle avait déjà largué 6 000 bombes sur l’enclave, une approche purement quantitative ne faisant que renforcer l’idée de frappes indiscriminées.

      Chaque homme du Hamas est un homme mort, promet Benyamin Nétanyahou. D’autres responsables israéliens prétendent « changer la réalité » à Gaza. Le territoire palestinien « doit être plus petit » à la fin de la guerre, a osé Gideon Saar, l’un des nouveaux entrants au gouvernement, venus de l’opposition. Sans même évoquer le coût phénoménal en vies civiles qui se profile, personne n’a le temps ni le désir, côté israélien, d’envisager « le jour d’après ». Si on détruit tout, qui vivra là ? Qu’est-ce qui émergera des cendres, si ce n’est d’autres feux ?

      Garantie de grands tourments

      Une opération non calibrée, mal expliquée à l’opinion publique israélienne, entraînant un châtiment collectif indéfendable sur le plan du droit humanitaire international, garantit de grands tourments. Eternel dilemme contre-insurrectionnel : comment distinguer des combattants de civils ?

      En visite à Tel-Aviv, le secrétaire à la défense américain, Lloyd Austin, a estimé que les hauts gradés israéliens étaient « professionnels, disciplinés et concentrés sur les bonnes choses ». Soit. Mais le Hamas n’est pas qu’une organisation terroriste. Il est aussi le gouvernement de facto à Gaza, avec des centaines de milliers de personnes vivant de salaires publics. Croire qu’on peut arracher le Hamas de Gaza comme une mauvaise herbe en quelques semaines est illusoire. La multiplication de #crimes_de_guerre contre les civils, population de réfugiés poussés à nouveau sur la route, pourrait avoir une autre conséquence : l’émergence d’une nouvelle génération de combattants armés, confortés dans leur haine des juifs et une martyrologie funeste.

      Un deuxième risque majeur en résulte : la solitude israélienne, stratégiquement désastreuse. Une vague de solidarité occidentale impressionnante s’est exprimée, au cours de la première semaine de deuil, en faveur de l’Etat hébreu, jamais vue sans doute depuis les attentats-suicides de la seconde Intifada, au début des années 2000. Le 13 octobre, M. Nétanyahou s’est félicité d’avoir « assuré un vaste soutien international » à son pays. Toutefois, ce soutien est inspiré par l’effroi qu’a suscité l’attaque du Hamas. Il ne peut s’agir d’un chèque en blanc.
      Les Européens ont déjà assisté sans réaction véritable au déplacement de population dans le Haut-Karabakh, causé par l’Azerbaïdjan. Même s’ils pèsent peu au Proche-Orient, ils ne pourront passer sous silence un éventuel traitement similaire des Gazaouis. Au lieu d’hésiter et de balbutier, L’Europe devrait se sentir concernée. Pas seulement par principe. Elle s’expose, en écho, à des déstabilisations sécuritaires déjà évidentes. L’antisémitisme y prospère et risque de se déchaîner. La cause palestinienne en est souvent le paravent.

      Fortement engagés aux côtés d’Israël, les #Etats-Unis se sont contentés, ces derniers jours, de glisser dans les déclarations officielles de timides références au droit international, pour prévenir Tel-Aviv contre les excès de la vengeance. Les Américains devraient faire appel à leur mémoire, autant qu’à leur cœur. Après le 11 septembre 2001, ils bénéficiaient d’un immense soutien international – Vladimir Poutine compris – contre le djihadisme islamiste. Puis ils se sont embourbés dans une guerre sans issue en Afghanistan, avant de compromettre leur réputation et leur crédibilité avec la guerre en Irak, déstabilisant le Moyen-Orient.

      Retenue des pays arabes

      Le président américain, Joe Biden, a beaucoup œuvré à restaurer l’engagement multilatéral des Etats-Unis. Il est conscient de la fragmentation géopolitique du monde, ayant constaté la difficulté à convaincre l’Afrique, l’Inde ou le continent sud-américain de la pertinence d’un front uni face aux crimes russes en Ukraine. Il est déjà clair que ces mêmes pays vont mettre en cause un deux poids, deux mesures occidentales. Recep Tayyip Erdogan, le président turc, se place en première ligne. « Israël n’est pas une victime », a-t-il osé, ajoutant que les Etats-Unis « ne contribuent pas à la paix » en renforçant leur présence militaire.
      Pour l’heure, Washington a cherché à dissuader l’Iran et le #Hezbollah libanais de donner une dimension régionale désastreuse au conflit. Cette hypothèse demeure hélas réelle. On ne sait avec certitude si le Hezbollah a été associé en amont aux plans du Hamas. Mais on sait qu’il existe des guerres d’opportunisme. L’obsession d’Hassan Nasrallah, le leader de la milice chiite, pour la destruction d’Israël est documentée de longue date. En août, il disait encore que l’Etat hébreu « cesserait d’exister », en cas de nouvelle guerre.

      Même si ce conflit demeurait dans le périmètre classique d’un affrontement entre l’armée israélienne et les factions armées palestiniennes, une autre conséquence diplomatique se dessine pour les Etats-Unis et l’Etat hébreu : le gel du processus de normalisation avec les pays arabes. Une euphorie excessive berçait le Moyen-Orient : la question palestinienne devenait accessoire ; il n’était plus question que d’échanges, de projets, d’investissements. Depuis des semaines, un accord avec l’Arabie saoudite était en discussion intensive, quête suprême pour Israël. Aujourd’hui, Riyad annonce que ce processus est suspendu. C’est une victoire pour l’Iran.
      Pour l’heure, les pays arabes ont fait preuve de retenue. Aucun soutien au Hamas, mais l’empathie envers Gaza reste un ressort politique et psychologique. Le carnage causé par le groupe islamiste a réveillé le souvenir des humiliations subies par les Palestiniens, depuis la « grande catastrophe » (Nakba) de 1948. Israël n’a pas assez prêté attention aux avertissements répétés de ses voisins, la Jordanie et l’Egypte, premiers pays à avoir conclu des accords de paix avec lui. Ils s’inquiétaient des dérives de la droite israélienne, de la libération de la parole raciste, des ambitions des juifs messianiques pour prendre le contrôle du mont du Temple, qui est aussi l’esplanade des Mosquées, lieu saint musulman.

      Déshumanisation mutuelle

      Dès lors, dans ce contexte brûlant, chacun se replie sur des positions classiques. Un nouveau désastre historique pour le peuple palestinien, au terme de cette guerre, ne pourra être rapidement évacué avec une énième conférence de donateurs et des chèques des pétromonarchies du Golfe. La constitution d’un gouvernement de guerre en Israël ne change rien à ce paysage : l’extrême droite n’en a pas été écartée. L’entrée du leader de l’opposition n’implique pas une approche plus modérée. A ses débuts en politique, en janvier 2021, Benny Gantz avait diffusé un clip de campagne dans lequel il se vantait du fait que, sous son commandement, « des pans de Gaza avaient été renvoyés à l’âge de pierre ».

      Le dernier risque, dans ce moment historique, est une affaire de conscience et d’identité. Israël se reconnaîtra-t-il à la sortie de cette épreuve, ou bien ses fractures internes n’en seront-elles que plus béantes ? Aujourd’hui, plus de 500 000 colons vivent en Cisjordanie, plus de 200 000 à Jérusalem-Est. Il n’y a plus de « solution à deux Etats » à l’horizon. Mais comment concevoir à présent l’alternative, qui serait une cohabitation entre les deux peuples dans un seul Etat, même en mettant à part Gaza ? On ne sait quelle forme et quelle durée aura la guerre actuelle. Toutefois, on devine déjà à quel point ses effets seront ravageurs en matière de déshumanisation mutuelle.

      Aucune vengeance ne ramènera les morts. Qui osera encore parler de dialogue ? Qui osera encore prononcer le mot de « paix » ? Pour la droite xénophobe israélienne, rêvant d’annexion, les événements actuels offrent l’occasion d’une séparation définitive avec les Palestiniens. Elle nie leur existence comme peuple, simples Arabes parmi les autres. L’étape suivante est d’amputer leur terre, au lieu de simplement la grignoter, comme en Cisjordanie.

      #Palestine #palestiniens #Sinaï

  • ★ Palestine-Israël : Pour un réel processus de paix - GLJD Le Libertaire

    Tout d’abord, aucune ambiguïté ne doit subsister : le Hamas est une organisation islamo-fasciste, religieuse et guerrière, qui a commis un effroyable massacre de civils en Israël. C’est un crime de guerre. Parler de guerre sale est un pléonasme. Il n’y a pas de guerre propre. Toute guerre est sale avec son lot de massacres, de tortures, de mutilés, de viols, de kidnapping… Tout comme Bakhmout fut un massacre planifié par les Russes en Ukraine, l’attaque meurtrière du Hamas a été planifiée de la même manière contre les Israéliens le 7 octobre 2023. Cette attaque est à condamner sans tergiverser. Quand Biden et d’autres dirigeants occidentaux parlent du droit de la guerre, c’est une vaste fumisterie. Dans la guerre, il n’y a plus de droit. C’est quand on est en période de paix qu’il faut parler de la paix. En période de guerre, la raison n’existe quasiment plus ; l’irrationnel règne (...)

    #Palestine #Israël #colonialisme #militarisme #nationalismes #guerre #violences #crimes #barbarie #bombardement #souffrances #haines #DroitsHumains #internationalisme #Paix #Liberté... #solidarité

    https://le-libertaire.net/palestine-israel-pour-un-reel-processus-de-paix

  • « Une partie de l’opinion palestinienne pourrait se retourner contre le Hamas », Dominique Vidal
    https://basta.media/Israel-Palestine-objectifs-des-attaques-du-Hamas-riposte-israelienne-bombar

    basta ! : Quels sont les objectifs du Hamas ? Pourquoi s’attaquer à des kibboutz ou tuer systématiquement les civils israéliens rencontrés sur le passage de leurs commandos ? Pourquoi ne pas avoir ciblé spécifiquement des objectifs militaires ?

    Dominique Vidal : En préambule, quiconque s’en prend à des civils, qu’ils soient israéliens ou palestiniens, que ce soit dans les kibboutz dont les habitants ont été massacrés ou sous les bombes israéliennes à Gaza, commet des crimes de guerre, voire des crimes contre l’humanité. Quand on dit qu’il ne faut pas deux poids deux mesures, cela s’applique dans les deux sens.

    C’est la première fois depuis 1948 que des combattants armés étrangers pénètrent sur le sol israélien. Cela ne s’était jamais produit, même en 1973 avec la guerre du Kippour – car c’est cette date, 50 ans après, que le Hamas a choisi pour déclencher son attaque. À l’époque, des soldats syriens et égyptiens ont attaqué le plateau du Golan [territoire syrien à l’époque occupé par Israël après la guerre de 1967, ndlr], et le canal de Suez, mais aucun n’a pénétré sur le territoire israélien en tant que tel. Donc ce qui s’est passé ce 7 octobre est vraiment sans précédent.

    Cette opération aussi préparée, massive, brutale et sanglante répond à trois motivations. La première est de traumatiser les Israéliens. C’est à mon avis un raisonnement absurde, qui ne tient pas compte des leçons de l’histoire, y compris de celle du Hamas. Lorsque, pendant la seconde intifada (de 2000 à 2005), le Hamas a mené des attentats kamikazes – environ 600 à 700 Israéliens sont morts dans ces attentats –, cela a contribué à faire basculer une partie de la population israélienne, y compris celle plutôt favorable au « processus de paix », vers la droite et l’#extrême_droite.

    #Palestine #Hamas #Gaza #Marwan_Barghouti #Israël #crimes_de_guerre #Iran #Arabie_Saoudite

    • Pourquoi le Hamas ne s’est-il pas contenté d’obtenir des avancées en négociant avec Israël ?

      C’est ce qu’il a fait jusqu’à ce 7 octobre. De bombardement en bombardement, d’attentat en attentat, on a quand même assisté à une forme d’alliance entre ces deux meilleurs ennemis que sont le Hamas et Israël. Les autorités israéliennes ont facilité la constitution du Hamas dès 1987 puis son développement pour qu’il puisse devenir un concurrent sérieux du Fatah, comme le raconte Charles Enderlin [correspondant de France 2 au Proche-Orient pendant plus de trente ans, ndlr] dans son livre Le grand aveuglement : Israël et l’irrésistible ascension de l’islam radical. L’objectif à l’époque était de diviser les Palestiniens pour les maîtriser plus facilement. Ce jeu s’est poursuivi avec Netanyahou pour affaiblir l’Autorité palestinienne.

    • Israël a avant toute chose créé (et j’estime que cela fut fait sciemment), les conditions d’apparition du Hamas en choisissant d’envahir le Liban pour liquider l’OLP ("paix en Gallilée", 1982), une tâche qui fut pour partie déléguée aux phalangistes libanais (massacres de palestiniens commis à Sabra et Chatila).

      37 ans après, la blague de « Bibi » 2019 (pour être peinards, encourageons le financement du Hamas) n’est que rappel obscène de ce choix, maintenu.

      et c’est ce qui vient de changer.

      #Benyamin_Netanyahou

    • Benyamin Netanyahou . Made in USA
      https://www.monde-diplomatique.fr/mav/98/VIDAL/16573

      Que M. Benyamin Netanyahou soit tombé, enfant, dans la marmite de l’extrême droite ne saurait surprendre : son père avait été le secrétaire du fondateur du mouvement sioniste révisionniste, Zeev Jabotinsky – que Benito Mussolini, un expert, qualifiait de « fasciste ». Réactionnaire, Benzion Netanyahou le fut au point d’abandonner, en 1963, un #Israël jugé « socialiste » pour s’exiler aux Etats-Unis.

      Pour « Bibi » commence une adolescence américaine. Certes, en 1967, à 18 ans, il part pour Israël prendre place, comme son frère Yonathan (qui trouvera la mort lors du sauvetage des otages d’Entebbe), dans l’unité d’élite de l’armée. 1973, retour outre-Atlantique. Sous le patronyme de Ben Nitaï, il devient américain et étudie l’économie au Massachusetts Institute of Technology.

      Après un passage en Israël, où… il vend des meubles, M. Netanyahou revient à New York. Ami de son père, l’ambassadeur israélien d’alors, Moshe Arens, l’appelle en 1982 à ses côtés. Le jeune diplomate – qui a rechangé de citoyenneté – apprend le bon usage des médias. Choyé par les vedettes de la télévision, il gravit les échelons : représentant d’Israël aux Nations unies en 1984, vice-ministre des affaires étrangères d’Israël en 1988, vice-ministre dans le cabinet du premier ministre en 1991.

      La victoire d’Itzhak Rabin met provisoirement fin à son ascension. « Bibi » prend alors la tête du Likoud, auquel il impose ses recettes. Américain, il ne le reste pas seulement par son accent bostonien. Economiquement, il ne jure que par la politique libérale de Milton Friedmann : privatisation des entreprises publiques, réduction du déficit budgétaire au détriment des services publics et des programmes sociaux, abaissement du taux d’imposition des riches comme des entreprises, etc.

      Stratégiquement, il s’inscrit pleinement dans la croisade contre le terrorisme, à laquelle il consacre trois livres. Il y regrette le soutien du président William Clinton à l’autonomie palestinienne, affirmant : « De même que les zones de libre échange stimulent le commerce, la création d’une “zone de libre-terrorisme” ne peut qu’encourager cette pratique. »

      Telle est l’inspiration du programme du gouvernement qu’il dirige à partir de 1996. M. Netanyahou inscrit son pays dans la mondialisation tout en multipliant les provocations contre les accords d’Oslo : ouverture du tunnel au bas de l’esplanade des Mosquées, construction de la colonie de Har Homa, sabotage du miniaccord de Wye River… Battu par M. Ehoud Barak en 1999, il se rabat sur la direction du Likoud, mais y trouve plus à droite que lui : le général Ariel Sharon lui souffle le leadership de l’opposition, avant d’être élu chef du gouvernement. Dès lors, il n’a plus d’autre choix que de participer à celui-ci, tout en jouant la surenchère, dans l’espoir de tirer un jour son épingle du jeu…

      Histoires d’Israël « manière de voir » 2008 un n° coordonné par Dominique Vidal.
      https://www.monde-diplomatique.fr/mav/98
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