• Ecco quello che hanno fatto davvero gli italiani “brava gente”

    In un libro denso di testimonianze e documenti, #Eric_Gobetti con “I carnefici del duce” ripercorre attraverso alcune biografie i crimini dei militari fascisti in Libia, Etiopia e nei Balcani, smascherando una narrazione pubblica che ha distorto i fatti in una mistificazione imperdonabile e vigliacca. E denuncia l’incapacità nazionale di assumersi le proprie responsabilità storiche, perpetuata con il rosario delle “giornate della memoria”. Ci fu però chi disse No.

    “I carnefici del duce” è un testo che attraverso alcune emblematiche biografie è capace di restituire in modo molto preciso e puntigliosamente documentato le caratteristiche di un’epoca e di un sistema di potere. Di esso si indagano le pratiche e le conseguenze nella penisola balcanica ma si dimostra come esso affondi le radici criminali nei territori coloniali di Libia ed Etiopia, attingendo linfa da una temperie culturale precedente, dove gerarchia, autoritarismo, nazionalismo, militarismo, razzismo, patriarcalismo informavano di sé lo Stato liberale e il primo anteguerra mondiale.

    Alla luce di tali paradigmi culturali che il Ventennio ha acuito con il culto e la pratica endemica dell’arbitrio e della violenza, le pagine che raccontano le presunte prodezze italiche demoliscono definitivamente l’immagine stereotipa degli “italiani brava gente”, una mistificazione imperdonabile e vigliacca che legittima la falsa coscienza del nostro Paese e delle sue classi dirigenti, tutte.

    Anche questo lavoro di Gobetti smaschera la scorciatoia autoassolutoria dell’Italia vittima dei propri feroci alleati, denuncia l’incapacità nazionale di assumere le proprie responsabilità storiche nella narrazione pubblica della memoria – anche attraverso il rosario delle “giornate della memoria” – e nell’ufficialità delle relazioni con i popoli violentati e avidamente occupati dall’Italia. Sì, perché l’imperialismo fascista, suggeriscono queste pagine, in modo diretto o indiretto, ha coinvolto tutta la popolazione del Paese, eccetto coloro che, nei modi più diversi, si sono consapevolmente opposti.

    Non si tratta di colpevolizzare le generazioni (soprattutto maschili) che ci hanno preceduto, afferma l’autore,­ ma di produrre verità: innanzitutto attraverso l’analisi storiografica, un’operazione ancora contestata, subissata da polemiche e a volte pure da minacce o punita con la preclusione da meritate carriere accademiche; poi assumendola come storia propria, riconoscendo responsabilità e chiedendo perdono, anche attraverso il ripudio netto di quel sistema di potere e dei suoi presunti valori. Diventando una democrazia matura.

    Invece, non solo persistono ambiguità, omissioni, false narrazioni ma l’ombra lunga di quella storia, attraverso tante biografie, si è proiettata nel secondo dopoguerra, decretandone non solo la radicale impunità ma l’affermarsi di carriere, attività e formazioni che hanno insanguinato le strade della penisola negli anni Settanta, minacciato e condizionato l’evolversi della nostra democrazia.

    Di un sistema di potere così organicamente strutturato – come quello che ha retto e alimentato l’imperialismo fascista – pervasivo nelle sue articolazioni sociali e culturali, il testo di Gobetti ­accanto alle voci dei criminali e a quelle delle loro vittime, fa emergere anche quelle di coloro che hanno detto no, scegliendo di opporsi e dimostra che, nonostante tutto, era comunque possibile fare una scelta, nelle forme e nelle modalità più diverse: dalla volontà di non congedarsi dal senso della pietà, al tentativo di rendere meno disumano il sopravvivere in un campo di concentramento; dalla denuncia degli abusi dei propri pari, alla scelta della Resistenza con gli internati di cui si era carcerieri, all’opzione netta per la lotta di Liberazione a fianco degli oppressi dal regime fascista, a qualunque latitudine si trovassero.

    È dunque possibile scegliere e fare la propria parte anche oggi, perché la comunità a cui apparteniamo si liberi dagli “elefanti nella stanza” – così li chiama Gobetti nell’introduzione al suo lavoro –­ cioè dai traumi irrisolti con cui ci si rifiuta di fare i conti, che impediscono di imparare dai propri sbagli e di diventare un popolo maturo, in grado di presentarsi con dignità di fronte alle altre nazioni, liberando dalla vergogna le generazioni che verranno e facendo in modo che esse non debbano più sperimentare le nefandezze e i crimini del fascismo, magari in abiti nuovi. È questo autentico amor di patria.

    “I carnefici del duce” – 192 pagine intense e scorrevolissime, nonostante il rigore della narrazione,­ è diviso in 6 capitoli, con un’introduzione che ben motiva questa nuova ricerca dell’autore, e un appassionato epilogo, che ne esprime l’alto significato civile.

    Le tappe che vengono scandite scoprono le radici storiche dell’ideologia e delle atrocità perpetrate nelle pratiche coloniali fasciste e pre-fasciste; illustrano la geopolitica italiana del Ventennio nei Balcani, l’occupazione fascista degli stessi fino a prospettarne le onde lunghe nelle guerre civili jugoslave degli anni Novanta del secolo scorso; descrivono la teoria e la pratica della repressione totale attuata durante l’occupazione, circostanziandone norme e regime d’impunità; evidenziano la stretta relazione tra la filosofia del regime e la mentalità delle alte gerarchie militari.


    Raccontano le forme e le ragioni dell’indebita appropriazione delle risorse locali e le terribili conseguenze che ne derivarono per le popolazioni, fino a indagare l’inferno, il fenomeno delle decine e decine di campi d’internamento italiani, di cui è emblematico quello di Arbe. Ciascun capitolo è arricchito da una testimonianza documentaria, significativa di quanto appena esposto. Impreziosiscono il testo, oltre ad un’infinità di note che giustificano quasi ogni passaggio – a riprova che nel lavoro storiografico rigore scientifico e passione civile possono e anzi debbono convivere – una bibliografia e una filmografia ragionata che offrono strumenti per l’approfondimento delle questioni trattate.

    https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/ecco-quello-che-hanno-fatto-davvero-gli-italiani-brava-gente
    #Italiani_brava_gente #livre #Italie #colonialisme #fascisme #colonisation #Libye #Ethiopie #Balkans #contre-récit #mystification #responsabilité_historique #Italie_coloniale #colonialisme_italien #histoire #soldats #armée #nationalisme #racisme #autoritarisme #patriarcat #responsabilité_historique #mémoire #impérialisme #impérialisme_fasciste #vérité #résistance #choix #atrocités #idéologie #occupation #répression #impunité #camps_d'internement #Arbe

    –-

    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien:
    https://seenthis.net/messages/871953

    • I carnefici del Duce

      Non tutti gli italiani sono stati ‘brava gente’. Anzi a migliaia – in Libia, in Etiopia, in Grecia, in Jugoslavia – furono artefici di atrocità e crimini di guerra orribili. Chi furono ‘i volenterosi carnefici di Mussolini’? Da dove venivano? E quali erano le loro motivazioni?
      In Italia i crimini di guerra commessi all’estero negli anni del fascismo costituiscono un trauma rimosso, mai affrontato. Non stiamo parlando di eventi isolati, ma di crimini diffusi e reiterati: rappresaglie, fucilazioni di ostaggi, impiccagioni, uso di armi chimiche, campi di concentramento, stragi di civili che hanno devastato intere regioni, in Africa e in Europa, per più di vent’anni. Questo libro ricostruisce la vita e le storie di alcuni degli uomini che hanno ordinato, condotto o partecipato fattivamente a quelle brutali violenze: giovani e meno giovani, generali e soldati, fascisti e non, in tanti hanno contribuito a quell’inferno. L’hanno fatto per convenienza o per scelta ideologica? Erano fascisti convinti o soldati che eseguivano gli ordini? O furono, come nel caso tedesco, uomini comuni, ‘buoni italiani’, che scelsero l’orrore per interesse o perché convinti di operare per il bene della patria?

      https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858151396
      #patrie #patriotisme #Grèce #Yougoslavie #crimes_de_guerre #camps_de_concentration #armes_chimiques #violence #brutalité

  • the killing of civilians was all calculated and intentional
    https://twitter.com/RnaudBertrand/status/1730218264540643439

    WOW, this might be THE most important piece of journalism on the war on Gaza since it began, by Israeli newspaper .
    @972mag

    https://972mag.com/mass-assassination-factory-israel-calculated-bombing-gaza

    Essentially they confirm, with unimpeachable sourcing, that the killing of civilians was all calculated and intentional.

    Their investigation is “based on conversations with seven current and former members of Israel’s intelligence community — including military intelligence and air force personnel who were involved in Israeli operations in the besieged Strip — in addition to Palestinian testimonies, data, and documentation from the Gaza Strip, and official statements by the IDF Spokesperson and other Israeli state institutions.”

    What the investigation reveals is that “the Israeli army has files on the vast majority of potential targets in Gaza — including homes — which stipulate the number of civilians who are likely to be killed in an attack on a particular target. This number is calculated and known in advance to the army’s intelligence units, who also know shortly before carrying out an attack roughly how many civilians are certain to be killed.”

    One source told them: “Nothing happens by accident. When a 3-year-old girl is killed in a home in Gaza, it’s because someone in the army decided it wasn’t a big deal for her to be killed — that it was a price worth paying in order to hit [another] target. We are not Hamas. These are not random rockets. Everything is intentional. We know exactly how much collateral damage there is in every home.”

    Even more dystopian - and this might be a first in the history of warfare - a lot of the targets are identified by AI: for instance they “use of a system called ’Habsora’ (’The Gospel’), which is largely built on artificial intelligence and can ’generate’ targets almost automatically at a rate that far exceeds what was previously possible. This AI system, as described by a former intelligence officer, essentially facilitates a ’mass assassination factory.’ According to the sources, the increasing use of AI-based systems like Habsora allows the army to carry out strikes on residential homes where a single Hamas member lives on a massive scale, even those who are junior Hamas operatives.”

    I’m not going to copy the whole article here, you have to read this for yourself. IT IS INSANE. They’ve essentially been running, as the sources say, a “mass assassination factory” at a terrifying scale with massive and intended “collateral damage” (often the targets’ entire families, or even sometimes much of their neighborhood), alongside an objective to destroy much of Gaza to “create a shock”, all on a population that had nowhere to escape. It’ll likely remain in history books as one of the most depraved massacres in modern history.

    #crime_de_guerre #crime_de_masse

  • Tal Bruttmann, historien : « Le Hamas a conçu, en amont, une politique de terreur visuelle destinée à être diffusée dans le monde entier »

    Le spécialiste de la Shoah estime, dans un entretien au « Monde », que l’attaque perpétrée par le Hamas le 7 octobre contre Israël n’est ni un pogrom ni un génocide mais un massacre de masse, et il met en garde contre les analogies avec le nazisme.

    L’historien Tal Bruttmann, spécialiste de la Shoah et de l’antisémitisme, est notamment l’auteur de La Logique des bourreaux (Hachette, 2003), et, avec Stefan Hördler et Christoph Kreutzmüller, d’Un album d’Auschwitz. Comment les nazis ont photographié leurs crimes (Le Seuil, 304 pages, 49 euros).

    Pour qualifier les attaques du Hamas, les hommes politiques, les historiens et les éditorialistes ont parlé de massacre, d’attentat, de pogrom, voire de génocide. En tant qu’historien, comment qualifieriez-vous cet événement ?

    Le mot qui est revenu le plus souvent est « pogrom », mais les attaques du Hamas ne relèvent pas, à mon sens, d’une telle qualification. Ce terme russe désigne non pas les crimes de masse contre les juifs, mais la destruction des biens qui sont en leur possession, accompagnée de violences contre les personnes. Ce qui caractérise le #pogrom, c’est le fait qu’une majorité, excitée, voire incitée, par le pouvoir en place, s’attaque violemment à une minorité qui vit en son sein.

    Au XIXe et au début du XXe siècle, il y a eu, en Europe, beaucoup de pogroms antijuifs, notamment en Russie ou en Roumanie, mais ce terme ne convient pas aux attaques du Hamas. D’abord, parce qu’elles visaient non pas à détruire les biens des Israéliens, mais à tuer des juifs ; ensuite, parce que les juifs, en Israël, ne forment pas une minorité, mais une majorité ; enfin, parce que le Hamas n’est pas un peuple, mais une organisation terroriste. Pour moi, ces attaques sont des massacres de masse : le but était de tuer le plus de juifs possible.

    Certains ont utilisé le terme de génocide. Est-il, selon vous, pertinent ?

    Dans l’imaginaire occidental, le #génocide est devenu l’alpha et l’oméga du crime, alors qu’il n’est pas plus grave, en droit international, que le #crime_de_guerre ou le #crime_contre_l’humanité. Personnellement, en tant qu’historien, je n’utilise pas cette qualification juridique dont la définition est d’une immense complexité : je la laisse aux magistrats et aux tribunaux. C’est à eux d’établir, au terme d’une enquête, si les #massacres qui leur sont soumis sont, ou non, des génocides.

    L’écrivaine Elfriede Jelinek, Prix Nobel de littérature, a comparé le Hamas aux nazis. Que pensez-vous de cette analogie ?

    Il faut faire attention aux mots : la haine des #juifs ne suffit pas à caractériser le #nazisme. Le régime de Vichy ou le Parti populaire français [PPF, 1936-1945] de Jacques Doriot étaient profondément antisémites, mais ils n’étaient pas nazis pour autant : être nazi, c’est adhérer à l’idéologie politique élaborée par Adolf Hitler après la première guerre mondiale et mise en œuvre par le IIIe Reich à partir de 1933.

    Le #Hamas est évidemment profondément antisémite : sa charte initiale, qui fait explicitement référence aux #Protocoles des sages de Sion_ [un faux qui date du début du XXe siècle], affirme que les juifs sont à l’origine de la Révolution française, de la révolution bolchevique et de la première guerre mondiale. Il faut cependant prendre le Hamas pour ce qu’il est : un mouvement islamiste nationaliste qui n’est pas plus nazi qu’Al-Qaida, l’Iran ou Marine Le Pen.

    La Shoah est incontestablement le pire épisode de l’#histoire de l’antisémitisme, mais cela n’en fait pas la clé à partir de laquelle on peut comprendre toutes les #violences_antijuives. Parfois, elle nous empêche même de saisir la singularité des événements : à force d’associer l’#antisémitisme à la Shoah, on oublie que cette haine a pris, au cours de l’histoire, des formes très différentes.
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/11/29/tal-bruttmann-historien-le-hamas-a-concu-en-amont-une-politique-de-terreur-v

    avec des extraits de Un album d’Auschwitz :
    https://archive.is/jO7UX

    #histoire #images #photos #films #attentat #attentat_massacre #islamisme #nationalisme #shoah #Extermination_des_juifs_par_les_nazis

    • Il est clair Tal Bruttmann et du coup ça permet de ne pas avoir un sac fourre tout d’où tu tires des mots chargés de sens et inappropriés pour un oui ou un non.

  • I Watched The Hamas Massacre Film. Here Are My Thoughts. - YouTube
    https://www.youtube.com/watch?v=mc5iG3DX7ho

    I was invited to watch a screening - organised by the IDF - of the Hamas atrocities committed on 7th October. Here’s my response in detail.

    “When you learn of the horrors which humans are capable of inflicting against each other, you either allow these horrors to deepen your humanity or you use those horrors to numb your humanity so that you can be complicit in even more, and indeed often, greater horrors.”

    Owen Jones, journaliste au Guardian.

    ⏚ Larchmutz 🦊 🍂 : « Journaliste britannique pour l… » - Mastodon
    https://mamot.fr/@Larchmutz/111489168549038548

    Journaliste britannique pour le Guardian, Owen Jones a visionné le film de 43 mn à partir d’une centaine d’heures d’images récupérées auprès des assaillants du Hamas du 7 oct de caméras de surveillance, ou dans les smartphones des Israéliens.
    « Ce film montre bien des crimes de guerre contre des civils, mais il ne présente aucune preuve tangible sur le moindre enfant tué par les combattants du Hamas, ni de preuve de femmes enceintes éventrées, ni même de preuve évidente de viol sur des femmes »

    Selon lui ces « mensonges » servent in fine à « justifier aux yeux du monde le massacre de 15000 Palestiniens dont 6000 enfants »,

    • La dernière phrase du commentaire de « Larchmutz » est fausse.

      Owen Jones ne qualifie pas l’absence d’images de viols, décapitations de gens vivants, etc., de « mensonges ». Il précise bien, à plusieurs reprises, que leur absence ne prouve pas que ça n’est pas arrivé, il se contente de dire que le film en question n’est pas une preuve de leur existence. Évidemment, cela introduit un doute sur la réalité de ces affirmations-là, puisque le film est par ailleurs présenté comme l’argument définitif des atrocités commises le 7 octobre, mais pour autant Jones ne va pas jusqu’à dire que ce sont des mensonges. Il se contente de dire qu’il n’y a pas d’images, dans ce film, correspond à ces affirmations. (Il indique aussi qu’à une projection aux États-Unis, des journalistes dans la salle ont demandé pourquoi il n’y avait pas d’images de cela.)

      Mais surtout, toute la seconde partie de sa vidéo insiste bien sur le fait que ce sont bien les crimes de guerre (du Hamas), qu’il reconnaît, les horreurs et atrocités du 7 octobre, qui ne peuvent pas justifier en réponse d’autres horreurs et atrocités. Il ne parle pas du tout de « mensonges » dans cette partie : il dit très clairement qu’il refuse qu’on utilise les horreurs (avérées) du 7 octobre pour justifier les horreurs contre la population de Gaza. C’est un point de vue bien plus général qui ne dépend pas du tout de la présence ou non de « mensonges ».

      (Par contre, pour être bien clair : la vidéo de Jones est très intéressante et son propos à la fois engagé et mesuré. Et il se prend des tonnes de merde sur la tronche depuis sa mise en ligne – évidemment.)

    • Une ONG israélienne, Physicians for Human Rights, présentée par Peter Harling comme couvrant de manière équilibrée les violences commises de part et d’autre, publie un rapport synthétisant les informations disponibles sur les accusations de viol et conclue de leurs recoupements qu’elles confirment l’existence massive de tels crimes.
      https://twitter.com/PeterHarling/status/1729767849374183426

      This is an initial, professional, deeply disturbing report on rape as an integral part of 7 October.

      It is published by an Israeli human rights organization that equally covers all violations committed by Israel, and forcefully denounces the Gaza war.

      Il poursuit :

      This goes beyond the scope of this focused study, but rape has in this context been weaponized twice: on 7 October and since, to eclipse or justify other crimes.

      This is also why serious human rights organizations are so crucial: They document all crimes, and weaponize none.

      #viols #crimes_de_guerre Pour cette ONG ces crimes sont susceptibles d’être considérées comme des #crimes_contre_l'humanité
      Le rapport est accessible ici : https://www.phr.org.il/wp-content/uploads/2023/11/5771_Sexual_Violence_paper_Eng-final.pdf

  • #États-Unis : Trois étudiants palestiniens victimes d’une attaque armée
    https://www.aa.com.tr/fr/monde/%C3%A9tats-unis-trois-%C3%A9tudiants-palestiniens-victimes-d-une-attaque-arm%C3%A9e-/3065586

    Trois étudiants d’origine palestinienne ont été victimes d’une attaque armée dans l’État américain du Vermont.

    La police de Burlington a annoncé, dimanche, avoir reçu un rapport faisant état d’une attaque armée survenue hier soir, au cours de laquelle, trois étudiants ont été retrouvés blessés sur le lieu de l’incident.

    La même source a indiqué que les étudiants ont été transportés à l’hôpital, précisant que leur état de santé est stable.

    Le chef de la mission palestinienne au Royaume-Uni, Husam Zomlot, a annoncé sur son compte sur les réseaux sociaux qu’il s’agit des étudiants Hisham Awartani, Kenan Abdel Hamid et Tahseen Ahmed.

    Zomlot a déclaré que les étudiants ’’ont été pris pour cible après leur retour d’un dîner parce qu’ils portaient le #keffieh palestinien’’, notant que ’’les #crimes haineux contre les Palestiniens doivent cesser’’.

    De son côté, le Conseil des relations américano-islamiques (CAIR) a déclaré dans un communiqué qu’il offre une récompense de 10 000 dollars à toute personne fournissant des informations sur ’’le ou les auteurs du crime’’.

    Le Conseil a appelé les autorités chargées de l’application des lois fédérales et étatiques de l’État du Vermont à ouvrir une enquête à ce propos.

    • 27 novembre 2023. 06:40 GMT
      https://www.aljazeera.com/news/liveblog/2023/11/27/israel-hamas-war-live-calls-to-extend-truce-grow-as-captives-released

      US police searching for suspect in shooting of Palestinian students

      Police in the US state of Vermont have provided new details about the shooting of three students of Palestinian descent near a university on Saturday.

      Burlington Police Chief Jon Murad said on Sunday that the students were walking to the home of one of the victim’s relatives when they were confronted by a white man armed with a handgun.

      “Without speaking, he discharged at least four rounds from the pistol and is believed to have fled,” Murad said. “All three victims were struck, two in their torsos and one in the lower extremities.”

      Murad said two of the victims were in a stable condition and the other suffered “much more serious injuries”.

      Murad said police did not yet have any information to suggest a motive for attacking the students, two of whom were wearing Palestinian keffiyeh scarves.

      “In this charged moment, no one can look at this incident and not suspect that it may have been a hate-motivated crime. The fact is that we don’t yet know as much as we want to right now,” Murad said. “But I urge the public to avoid making conclusions based on statements from uninvolved parties who know even less.”

  • Israël : le calvaire d’Esther, violée et mutilée par les terroristes du Hamas
    https://www.leparisien.fr/international/israel/israel-le-calvaire-desther-violee-et-mutilee-par-les-terroristes-du-hamas

    Les cas de viols et de mutilations sexuelles commis lors des massacres du 7 octobre sont en train de faire surface. Alors que les survivantes peinent encore à parler, l’une d’elles, qui participait au festival Tribe of Nova, a accepté de nous raconter ce qu’elle a subi.

    Dans les déliés de cette courte conversation, Esther (le prénom a été changé) n’est jamais vraiment là. Assise dans son lit, elle cherche du regard le moindre recoin de la pièce, pour fuir les yeux de son interlocuteur. Qui n’en est même pas vraiment un, pour elle : « À l’intérieur, je suis à moitié morte », dit la jeune femme de sa voix tremblante et mécanique.
    Elle a choisi « Esther » pour apparaître comme victime de sévices sexuels. En hébreu, l’une des significations métaphoriques de ce prénom désigne celle qui est « cachée ». La Bible raconte l’histoire de cette princesse juive qui se dissimulait pour ne pas être conduite au harem. « Prise de force par le roi, elle finit par utiliser sa position de nouvelle épouse pour éviter le massacre des #juifs », dit-elle en secouant la tête. « Moi, je ne vais sauver personne, je ne tiens même pas debout. »

    « Je serai toujours l’image vivante du pogrom »

    C’est en un rien de temps qu’Esther a été arrachée au monde des vivants. Le 7 octobre, lorsque la violence du #Hamas a déferlé sur le désert de Be’eri, son petit ami les a entraînées, elle et sa marraine, sous une bâche du bar de la rave party, pour passer inaperçus en faisant les morts. Elle tremblait trop de peur, les terroristes l’ont vue.
    Depuis, Esther n’a pas réussi à se lever. « Littéralement, puisque ma jambe ne répond plus à ma volonté », précise-t-elle. En langage médical, elle a subi une « lésion du pédicule nerveux innervant le membre inférieur. » Dans son souvenir, elle a été violée et en même temps tabassée devant son copain, forcé de regarder avec un couteau sous la gorge : « C’était si douloureux que j’ai perdu connaissance, ils ont arrêté lorsqu’ils m’ont crue morte. » Puis sont arrivées les #mutilations. L’un d’eux s’est mis à utiliser un couteau, ou un tesson de verre, comment savoir ? Elle en garde une paralysie, qui pourrait ne jamais disparaître. « Et même si je remarche, je boiterai. Je serai toujours l’image vivante du #pogrom. »

    Des cas similaires ont été relevés par les médecins légistes sur les cadavres — ou ce qu’il en reste. Nombre d’entre eux ont été tellement dégradés que le travail d’identification continue, six semaines après le massacre, sur la base militaire de Shura. Reconvertie en morgue, elle accueille des conteneurs réfrigérés qui y font office de chambres mortuaires. La plupart de ces #viols, particulièrement cruels, avec des objets, ont été faits post mortem.
    À l’image de la manière dont les terroristes se sont acharnés sur le corps encore chaud de la marraine d’Esther. « Ils ne l’ont pas violée de manière traditionnelle, on va dire, raconte encore la survivante. Peut-être parce qu’elle était beaucoup moins jeune que la moyenne de la rave. C’était une fêtarde, qui aimait sortir avec nous pour danser dans la nature. »

    Une stratégie pour jeter la honte sur la société ?

    Même lorsqu’elle évoque son deuil, sa voix est vierge de sanglots. Les mots s’abattent de façon clinique, froide, « comme s’il ne s’agissait pas de son histoire », observe un psychiatre hospitalier. « C’est typique du syndrome de stress post-traumatique, en particulier lors d’un viol », poursuit le médecin, expert de ces sujets. « Le cerveau de la victime met sa subjectivité et toutes ses émotions sur pause pendant l’agression, comme un animal qui se fige, pris dans le danger », poursuit-il. « Elles disent que c’est comme si elles s’étaient détachées de leur corps, laissé à l’agresseur, afin de protéger leur intégrité psychique. » Le problème survient lorsque certaines restent bloquées dans cette dissociation.

    Encore peu couverte, la question de #crimes_sexuels de masse commis ce jour-là plonge la nation israélienne dans la souffrance supplémentaire de l’incompréhension. Ces profanations des attributs sexuels féminins interpellent Noémie Issan, philosophe franco-israélienne. Selon elle, « alors que les informations sortent au compte-gouttes pour protéger les rares qui ont survécu et les familles des victimes, il est difficile de savoir si ce sadisme a découlé d’un ordre, comme un élément de stratégie » destiné à jeter la honte sur la société, à la déliter. « Je n’ai pas honte, glisse Esther. Pour ressentir ça, il faudrait que je sois plus que demi-vivante. »

    https://archive.is/LLQeY

    #7_oct #7_octobre_2023

    • #BigGrizzly n’a pas eu le clavier très léger sur cette remarque. J’ai fait l’effort de lire ce texte, avec ses détails horribles. Et j’espère - même si quelque part ce serait mieux pour elle - que ce n’est pas un mensonge de plus dans la longue liste au "crédit" des autorités israéliennes. Quand bien même tout y serait vrai (c’est bien peu sourcé, et l’anonymat n’arrange rien), la présentation (et la publication dans ce type de presse) est clairement manipulée. Quelques exemples :
      – "En hébreu, l’une des significations métaphoriques de ce prénom désigne celle qui est « cachée ». La Bible raconte l’histoire de cette princesse juive qui se dissimulait pour ne pas être conduite au harem" . Conduite au harem, voilà qui sent bon le sable chaud de l’islamophobie...
      – « Je serai toujours l’image vivante du pogrom » C’est en un rien de temps qu’Esther a été arrachée au monde des vivants. "Pogrom", comme "terroriste" n’est pas choisi au hasard. Et la phrase suivante !...
      – Des cas similaires ont été relevés par les médecins légistes sur les cadavres — ou ce qu’il en reste. Nombre d’entre eux ont été tellement dégradés qe le travail d’identification continue, six semaines après le massacre : : peut-être faudrait-il signaler que la presse israélienne elle-même reconnaît que les médecins légistes n’ont pas pu (voulu ?) faire le travail...
      – "crimes_sexuels de masse" (c’est toi le hashtag, Colporteur ?), espérons des faits, moins de manipulations, et si possible moins d’affects...

    • sur le terme pogrom, j’ai l’impression que cette remarque de l’historien Omer Bartov n’a pas été référencée sur @seenthis

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/27/omer-bartov-historien-israel-ne-semble-disposer-d-aucun-plan-politique-il-ne

      Au sujet de ces attaques, Israël et ses partisans ont parlé de « pogrom » et ont, de façon plus générale, fait référence à la Shoah. Que pensez-vous de cette comparaison ?
      Recourir au mot « pogrom » est faux et trompeur. Le terme est par ailleurs surdéterminé sur le plan idéologique. Le mot « pogrom » désignait des agressions commises contre les communautés juives, tout particulièrement dans le sud de la Russie et en Ukraine. Des foules étaient incitées à s’attaquer à ces communautés, parfois avec le soutien des autorités. Depuis, ce terme a aussi été utilisé pour désigner des actes perpétrés ailleurs par d’autres populations contre d’autres minorités.

      L’intention première du sionisme était de fonder un Etat majoritairement juif sur le sol duquel les pogroms ne seraient par définition plus possibles, puisque les autorités politiques, militaires et de maintien de l’ordre seraient toutes juives. Il est donc parfaitement anachronique de recourir à ce terme pour désigner l’attaque terroriste perpétrée par le Hamas. Mais la raison pour laquelle on utilise aujourd’hui ce mot a à voir avec la référence intentionnelle ou subconsciente à la violence antijuive et spécifiquement à la Shoah, cet événement historique qui est précisément à l’origine de la fondation de l’Etat d’Israël.

      En parlant de « pogrom », on attribue au Hamas, et par extension à toutes les autres organisations palestiniennes, ou même aux Palestiniens en général, un antisémitisme féroce caractérisé par une propension à la violence vicieuse, irrationnelle et meurtrière, dont l’unique objectif serait de tuer des juifs. En d’autres termes, conformément à cette logique, il n’y aurait pas lieu de négocier avec les Palestiniens. C’est la logique du « eux ou nous » : si nous ne les tuons pas, ce sont eux qui nous tueront. Dans une telle logique, il importe au moins de les enfermer derrière des murs et des clôtures barbelées.

    • dans Haaretz (au moins) le terme pogrom a été employé à de multiples reprises pour désigner les exactions commises par des soldats ou des colons israéliens contre des palestiniens en Cisjordanie, y compris en l’absence d’homicides, au moins depuis 2021 (sans doute avant)
      https://www.haaretz.com/opinion/editorial/2021-09-30/ty-article-opinion/a-pogrom-and-silence/0000017f-e3d0-d7b2-a77f-e3d7bac80000
      https://www.haaretz.com/israel-news/twilight-zone/2022-11-18/ty-article-magazine/.highlight/theres-only-one-way-to-describe-this-settler-attack-a-pogrom/00000184-89c7-d9ce-a1f6-9be796390000
      et ensuite
      https://www.haaretz.com/opinion/2023-03-19/ty-article-opinion/.premium/the-pogrom-against-palestinians-that-brought-the-occupation-home-to-jewish-israelis/00000186-f983-d711-a9de-fdebab2b0000
      https://www.haaretz.com/opinion/editorial/2023-06-23/ty-article-opinion/.premium/standing-orders-for-a-pogrom-against-palestinians/00000188-e459-d5fc-ab9d-ff79bc690000
      https://www.haaretz.com/israel-news/2023-03-04/ty-article/.premium/israeli-settlers-threaten-another-hawara-pogrom-on-saturday-night/00000186-ad5d-de2a-a1ee-af5f092f0000
      etc.

      pour ma part, je trouvais ça un peu léger, non pas que les persécutions et les meurtres de palestiniens me paraissent anodins, mais parce que l’aspect quotidien ou presque, étalé dans le temps en "petites" quantités me semblait distinct de ce que furent les pogroms (y compris ceux contre des ouvriers italiens en France en 1893), avec leur aspect éruptif, ou la répétition ne venait qu’après des moments d’accalmie. de ce point de vue, ce qui a lieu en Cisjordanie ressemble aussi à ce que fut le traitement des esclaves dans les états du sud US, une terreur continue, le meurtre autorisé au premier prétexte.

      qu’aujourd’hui on puisse décrire les crimes du 7 octobre, dont on sait, sans détails suffisants, qu’ils ont aussi été le fait de civils palestiniens et pas seulement de soldats du Hamas ou du Djihad, sans compter les morts et blessés dus à l’armée israélienne, là aussi sans qu’on sache dans quelle proportion), ne devrait surprendre personne. de là à dire qu’ils faut tuer les palestiniens, il y a une marge, faite pour être franchie de part et d’autre, israéliens et pro-israéliens, palestiniens et pro-palestiniens. mais ce n’est pas obligatoire, y compris au sein des quatre catégories citées.

      sinon, cette survivante parle dans des termes qui sont les siens, visiblement religieux. je ne m’en étonne pas plus que lorsque je vois un gazaoui qui découvre son fils mort avoir pour premier réflexe de se prosterner pour prier. rien de mieux que la terreur et le désespoir pour renouer pour renouer avec sa religion (sens et consolation, aussi insuffisants soient-ils) lorsque l’on dispose de ce secours.

      Reddit quant à Omer Bartov il dit également dans ce même article

      De nombreux universitaires qui se disent de gauche et autres soutiens de la Palestine ont salué les massacres haineux perpétrés par le Hamas et se sont exprimés avec virulence contre le droit d’Israël à défendre ses citoyens en ripostant contre le mouvement islamiste, qui utilise les populations civiles comme boucliers humains dans la bande de Gaza, très densément peuplée. Même ceux qui ne saluent pas explicitement les massacres ont fait preuve d’un manque total d’empathie pour les centaines de victimes et les otages juifs. Et de fait, bien souvent, les déclarations condamnant les bombardements israéliens sur Gaza n’évoquent même pas l’attaque du 7 octobre.

      Omer Bartov, historien : « Israël ne semble disposer d’aucun plan politique, il ne dispose que d’un plan militaire très hasardeux »
      https://archive.is/Fcbjs

    • Habituellement, les récits de violences sexuelles font l’objet d’avertissement, de trigger warnings, de précautions.
      Habituellement, les témoignages de violences sexuelles font l’objet d’euphémisations, de conditionnels, de réécritures, voire de mise sous silence, en donnant carrément la parole à l’agresseur.
      Habituellement, le pathos dans les violences sexuelles est mal vu, parce qu’empêchant la bonne distance aux faits, à la froide compréhension que les journalistes souhaitent nous donner accès.

      Ces transgressions aux bonnes habitudes journalistiques doivent pouvoir s’expliquer.
      Par exemple, il se peut que le fait que nous soyons dans le contexte du viol parfait, le seul qui mérite d’être condamné sans jugement, sans présomption d’innocence. La victime bien blanche, l’agresseur bien « autre », étranger, et même arabislamiste, carrément.

      Un snuff movie, sous sa forme d’image ou sous sa forme textuelle, reste un snuff movie. Et en imposer le visionnage reste une violence.

      Et n’allez pas m’accuser de vouloir cacher quoi que ce soit. Je ne nie rien de tout ce qui est écrit, filmé, ni de l’horreur, ni des souffrances.

      A quel moment ceux qui relaient vont-ils cesser de nier le double standard que les transgressions que j’évoque représentent ? Hier, je lisais un texte tout en pudeur du récit d’une famille massacrée sous des tonnes de gravats, récit que l’on sait pouvoir multiplier par milliers. A quel moment est-ce que le Parisien et tous les autres vont-ils accepter de rendre la pareille à ces victimes là, moins blanches, moins conformes, moins susceptibles d’empathies de la part de leurs lecteurs ?

      Hier, colporteur, ton partage m’a mis mal à l’aise, oui, parce qu’une fois de plus, sans remords et sans vergogne, on me fout sous le nez ce qui ne ressort qu’avec difficultés quand le bourreau est du bon côté du manche, à savoir l’horreur crue que représente la barbarie débridée.

    • Même ceux qui ne saluent pas explicitement les massacres ont fait preuve d’un manque total d’empathie pour les centaines de victimes et les otages juifs.

      Concurrence victimaire.
      A chaque fois que tu réclames la prise en compte des victimes palestiniennes, n’oublie pas de rappeler que tu penses aussi aux victimes israéliennes, sinon, ton propos est disqualifié.

      Tiens, à chaque fois que tu parles des victimes d’Hiroshima, si tu veux être pris au sérieux, et ne pas être pris en flagrant délit de double standard, tu te dois de rappeler toutes les victimes de Pearl Harbour. Sinon, c’est la preuve que ton propos est malveillant.

      Procès d’intention crétin.

      Mais je comprends. L’ensemble de ces 75 années d’occupation sont une immense démonstration de la malveillance et de la crétinerie humaine.

    • Le titre du Parisien, calvaire, viol, mutilation, est explicite.
      L’entretien Bartov date du 27 octobre. Son refus de caractériser le 7 octobre comme un pogrom est discutable, comme le montre l’utilisation répétée du terme par des israéliens à propos d’actes antérieurs commis par des israéliens. Sa manière de parler du « droit d’Israël à défendre ses citoyens » est dans ce passage discutable (après 19 jours de bombardements massifs...) mais ses propos critiquer l’orientation exclusivement militaire le passage qui suit immédiatement critique aussi l’état d’esprit de nombreux israéliens et de leurs soutiens : 3A l’inverse, les soutiens d’Israël, pour l’essentiel des juifs, qui se sentent profondément trahis par leurs collègues de gauche et leur absence totale d’empathie pour les victimes du 7 octobre, et qui peuvent eux-mêmes se montrer ambivalents face aux destructions immenses actuellement infligées à Gaza par les forces israéliennes, refusent généralement de reconnaître les causes politiques plus profondes de cet état des choses". Le manque d’empathie pour les morts et blessés du 7 octobre ne peut être nié qu’en raison du déferlement compassionnel médiatique et gouvernemental qui l’accompagnait et de l’absence de toute empathie, pour les palestiniens, les tutsis et tant d’autres.

      je crois avoir été parmi les premiers ici à signaler le témoignage dune kibboutzim discrètement épargnée par un combattant du Hamas le 7/10, qui semble contredire la thèse qu’’instruction aurait été donnée de tuer le maximum de civils, comme celui d’une autre indiquant que ce sont des tirs de char des FDI qui ont tué une partie des habitants de son kibboutz, élément tout à fait contradictoire avec la propagande israélienne à l’époque et aujourd’hui.

      Merci d’éviter de me chercher systématiquement des poux dans la tête pour me couper la langue.

      edit selon Physicians for Human Rights, des viols ont bien eu lieu le 7 octobre confirme
      https://seenthis.net/messages/1029266#message1029298

    • De l’indifférenciation à l’indifférence. Sur les viols de masse le 7 octobre en Israël.
      https://k-larevue.com/de-lindifferenciation-a-lindifference-sur-les-viols-de-masse-le-7-octobre

      Que dire des crimes sexuels perpétrés par les hommes du Hamas le 7 octobre – documentés un peu plus chaque jour par le travail d’un groupe israélien de gynécologues, médecins légistes, psychologues et juristes du droit international ? Et comment comprendre l’occultation de la violence faite aux femmes ce jour-là par une partie de l’opinion mondiale – supposées « féministes » comprises ? Cette occultation ne revient-elle pas à faire une deuxième fois violence à ces femmes, comme si leur calvaire ne comptait pas et était dépourvu de signification ?

      Chaque viol est un acte. La « femme », s’il est possible de la définir, se caractérise par le fait de savoir que cet acte en quoi le viol consiste peut toujours lui arriver à elle. Elle est cet être humain qui vit, grandit, évolue et se transforme avec ce savoir intime qu’elle peut toujours se faire violer. « Sachante », cela la rend alors plus directement interrogative : comment un tel acte est-il réellement possible ? Comment fait-on pour violer une femme ? La question se pose, parce que le viol comme destruction du corps de l’autre a ceci de spécifique que l’agent destructeur use pour y parvenir de son propre corps : l’homme qui viole le plus souvent ne recourt pas à des outils, des prolongations techniques du corps humain, mais se sert de son corps propre comme d’une arme ; et plus précisément, non pas d’une partie corporelle que la fermeté constitutive rend toujours potentiellement disponible pour servir d’arme, tels le pied ou le poing, mais de son pénis, qui doit se durcir pour pouvoir devenir un moyen de destruction. Le viol à proprement parler, celui qui déchire les parties intimes de la femme par pénétration sauvage, ne peut effectivement s’accomplir que si l’homme est en érection. Qu’est-ce qui, face à une femme hurlant de terreur et de douleur, produit, puis soutient cette érection ? Quel est le processus psycho-physiologique qui rend possible cet acte ?
      Quiconque s’attèle à une enquête dans son entourage masculin se trouve peu renseigné. Interrogez les hommes autour de vous sur la question de savoir comment ces hommes-là font pour bander, et vous obtiendrez une fin de non-recevoir, dont le plus étrange est qu’elle n’est absolument pas soupçonnable d’insincérité : le viol, c’est le crime de l’autre par excellence, avec qui on n’a rien de commun. Comme si les hommes qui violent faisaient partie d’une autre espèce avec laquelle ils ne partagent rien et qu’ils ne comprennent pas.
      Les femmes, quant à elles, n’y comprennent rien non plus. Pour elles, en matière de sexualité, les hommes sont tout aussi compliqués qu’elles-mêmes. Rien de simple dans l’érection d’un homme. La sexualité leur est tout aussi désirable qu’à elles, tout aussi peu évidente également – et ce savoir partagé entre hommes et femmes se maintient contre une société qui ne cesse de colporter le fantasme d’une sexualité simple, directe et quasi-animale pour les hommes et fort compliquée pour les femmes.
      Aussi l’affirmation qui parfois est censée servir d’explication à la possibilité du viol, selon laquelle les hommes sont constitutivement et potentiellement tous des violeurs, en vérité tous excités devant n’importe quel corps de femme nue ou potentiellement dénudable et seulement tenus en respect par la crainte de sanction, n’éclaire-t-elle strictement rien. Pour quiconque d’un peu sincère, le mystère du « comment » reste entier. Peut-être même est-ce cette incompréhension absolue qui est à l’origine de la thèse étrangement rassurante de « tous des violeurs ». Comme un refus de se confronter au caractère abyssal de la question, qui ne vise pas seulement la possibilité de l’érection en vue de la destruction d’une femme, mais aussi le mystère qu’un homme puisse accepter de jouir en réalisant cette œuvre destructrice à laquelle, il faut le répéter, celui qui l’accomplit assiste à chaque seconde.
      On n’a donc aucune hypothèse à présenter pour expliquer comment ont fait les membres des commandos du Hamas pour user de leur intimité comme arme pendant leurs raids sur le festival de musique et les vingt villages israéliens à la frontière de la Bande de Gaza. On peut en revanche dire une petite partie de ce qui a été fait aux femmes, et émettre une interprétation qui éclaire non pas les faits, mais leur occultation par l’opinion mondiale. Comme cette occultation revient à faire une deuxième fois violence à ces femmes, comme si leur calvaire ne comptait pas, était dépourvu de sens et de signification, commençons par les faits.

      Le viol, l’un des objectifs – occulté – de l’attaque du 7 octobre…

      On sait désormais partiellement, grâce au travail courageux d’un groupe de professionnelles israéliennes – gynécologues, médecins légistes, juristes du droit international et psychologues[1] –, ce qu’ont fait les hommes du Hamas : ils ont violé de façon répétée, et l’ont fait en groupe. Ils ont tellement violé que l’on voit l’entrejambe des pantalons des femmes kidnappées rouges de sang, et des flaques de sang entre les jambes de femmes et de filles assassinées après les viols. Ils les ont tant violées que certaines, retrouvées mortes, ont eu les os pelviens brisés. Ils ont violé des adolescentes, des femmes et des femmes âgées. Ils ont coupé des seins. Ils ont mutilé les parties sexuelles de leurs victimes – en ce cas, y compris des hommes. Ils ont torturé les femmes après le viol. Ils se sont filmés le faisant. Ils ont envoyé les vidéos des viols et tortures aux proches, qui durent y assister à distance, là où ils n’étaient pas contraints d’assister en direct à ce qui était fait à leurs amies, compagnes, épouses, mères, sœurs et filles. Ces femmes, ils les ont presque toutes tuées après les viols, ou laissées pour mortes[2]. La plupart des victimes survivantes dont on a connaissance à l’heure actuelle, ou plutôt qu’on espère encore vivantes, sont les femmes qui ont été entraînées, déjà violées, à Gaza. On a trouvé un glossaire arabe – hébreu sur l’un des combattants morts du Hamas, indiquant, entre autres, des phrases utiles en hébreu pour faciliter l’acte de violer : « enlève ton pantalon », « retourne-toi » … Les terroristes ayant survécu et été faits prisonniers expliquent à ce propos que le viol était l’un des objectifs de l’attaque.

  • Sur le fil de RFI, enfin des informations sur pourquoi le Hamas a interrompu la délivrance des otages et ce qu’il a (peut-être ...), pu obtenir.
    Chercher 7h25

    https://www.rfi.fr/fr/moyen-orient/20231126-en-direct-guerre-isra%C3%ABl-hamas-un-3e-jour-de-fragile-tr%C3%AAve-d%C

    7h25 : Comment l’Égypte a réussi à sauver la trêve

    Les négociateurs égyptiens sont intervenus samedi soir pour sauver la trêve entre le Hamas et Israël. Les brigades al-Qassam, le bras armé du Hamas, avaient annoncé qu’elles suspendaient l’échange d’otages et de prisonniers ce quoi à quoi Israël avait répondu par la menace d’une reprise des hostilités à partir de minuit, rappelle Alexandre Buccianti, notre correspondant au Caire. C’est un peu en catastrophe que les services secrets égyptiens, en charge du dossier Gaza-Israël, sont intervenus. Forts de leur connaissance des commandants sur le terrain des brigades al-Qassam et de moyens de communication sûrs, les Égyptiens ont appris que la principale raison de la suspension de l’accord était la non livraison d’aide humanitaire au nord de Gaza. Une aide qui ne peut entrer que par Israël étant donné que l’armée israélienne a coupé la bande de Gaza en deux. Après contact avec les responsables sécuritaires israéliens qui échangent régulièrement avec les Égyptiens, la question a été résolue avec l’entrée d’Israël de camions d’aide humanitaire au nord de Gaza. La seconde question était le survol de drones au-dessus du sud de Gaza qui faisait craindre au Hamas une détection de ses positions au moment de la libération des otages. L’Égypte a obtenu de superviser le non survol grâce à des moyens électroniques. Il y avait enfin les modalités de libération des prisonniers palestiniens, les plus anciens d’abord. Trois heures seulement avant la fin de l’ultimatum israélien, les Égyptiens ont annoncé être parvenus à un accord.

    #Israël #Hamas #Crimes-contre-l'humanité #Trève

  • Crimes sexuels de guerre : une histoire de la #violence

    Israël a récemment annoncé l’ouverture d’une enquête sur de possibles #crimes_sexuels commis par le #Hamas. Le viol comme arme de guerre est aussi mis en avant dans le cadre de la guerre en Ukraine. L’invasion russe peut-elle servir de modèle pour comprendre les mécanismes de ces #violences ?

    Avec

    - #Sofi_Oksanen Écrivaine
    - #Céline_Bardet Juriste et enquêtrice criminelle internationale, fondatrice et directrice de l’ONG « We are Not Weapons of War »

    Israël a récemment ouvert une enquête sur d’éventuels crimes sexuels perpétrés par le Hamas. Parallèlement, l’utilisation du viol comme arme de guerre a été évoquée dans le contexte du conflit en Ukraine. Peut-on utiliser l’invasion russe comme un modèle pour comprendre les mécanismes de ces violences ?
    Le viol, arme de guerre traditionnelle des Russes ?

    Par son histoire familiale et ses origines estoniennes, l’écrivaine finlandaise Sofi Oksanen a vécu entre l’URSS et la Finlande et a grandi avec des récits de guerre lors de l’occupation soviétique des États baltes. Ces thèmes sont aujourd’hui centraux dans ses écrits. Selon elle, « dans la stratégie de guerre russe, il y a toujours eu des violences sexuelles. L’invasion en Ukraine est une sinistre répétition de la guerre telle que l’ont toujours menée des Russes. Et pourquoi n’ont-ils jamais cessé ? Car on ne leur a jamais demandé de le faire. »

    Les crimes sexuels font partie intégrante de la manière dont les Russes font la guerre. Elle déclare même dans son dernier ouvrage La guerre de Poutine contre les femmes que des soldats russes demandent la permission à leur famille pour commettre des viols : « ils sont adoubés et encouragés à commettre des crimes sexuels et des pillages. » Céline Bardet, juriste et enquêtrice internationale, insiste-t-elle sur la nécessité de documenter et de punir ces féminicides pour ce qu’ils sont. Elle dresse un parallèle avec la guerre en Syrie : « les femmes se déplaçaient par peur d’être violées. Quand on viole des hommes, on veut aussi les féminiser et les réduire à néant. »

    Comment mener une enquête sur les violences sexuelles en temps de guerre ?

    « J’ai créé depuis longtemps un site qui publie des rapports sur la situation. J’ai voulu écrire ces livres, car je voulais rendre accessible, faire comme une sorte de guide pour permettre de comprendre les crimes de guerre et comment les documenter. Sur les sites, il est difficile de relier les point entre eux pour comprendre la manière dont la Russie mène ses guerres. Elle conquiert et s’étend de la même manière. Il faut reconnaître ce schéma pour mieux le combattre. », explique Sofi Oksanen.

    Une opération hybride se déroule actuellement à la frontière entre la Finlande et la Russie : « la Russie nous envoie des réfugiés à la frontière. Cela s’était déjà produit en 2015, en Biélorussie également. Loukachenko a beaucoup recouru à ce moyen de pression. La Finlande a alors fermé sa frontière ». La Russie est également accusée de déportation d’enfants en Ukraine : « ces violences sont documentées. Concernant l’acte d’accusation émis par la CPI, beaucoup de gens en Ukraine y travaillent, mais avec des zones occupées, le travail de la justice prend plus de temps », déclare Céline Bardet.

    Concernant les violences effectuées contre des femmes par le Hamas le 7 octobre, Céline Bardet émet néanmoins des réserves sur la potentielle qualification de « féminicide de masse » : « les éléments ne sont pas suffisants pour parler de féminicide de masse. Pour le considérer ainsi, il faut prouver une intention particulière de commettre des violences contre des femmes, car elles sont des femmes. Pour le moment, le féminicide n’est d’ailleurs pas une définition pour le droit international ».

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/france-culture-va-plus-loin-l-invite-e-des-matins/crimes-sexuels-de-guerre-une-histoire-de-la-violence-3840815
    #crimes_sexuels #viols_comme_arme_de_guerre #viols #guerre #viol_de_guerre #Bosnie #Bosnie-Herzégovine #Rwanda #génocide #outil_génocidaire #Libye #hommes #Ukraine #humiliation #pouvoir #armée_russe #torture #impunité #patriarcat #déshumanisation #nettoyage_ethnique #violence_de_masse #violences_sexuelles_dans_la_guerre #systématisation #féminicide #féminicides_de_masse #intentionnalité

    #podcast #audio

    Citations :
    Sofi Oksanen (min 30’54) : « Ce qui m’a poussée à écrire ce livre c’est que, vous savez, les #procès, ça coûte très cher, et ce qui m’inquiète c’est que certains crimes sexuels vont être marginalisés et ne sont pas jugés comme ils le devraient. Ils ne vont pas être jugés comme étant des crimes assez importants pour faire l’objet de poursuites particulières. Or, si on ne les juge pas, ces crimes, l’avenir des femmes et des enfants ne sera qu’assombri ».
    Céline Bardet (min 32’08) : « La justice c’est quoi ? C’est la poursuite au pénal, mais c’est aussi de parler de ces crimes, c’est aussi de donner la parole à ces survivantes et ces survivants si ils et elles veulent la prendre. C’est documenter ça et c’est mémoriser tout cela. Il faut qu’on sache ce qui se passe, il faut qu’on parle pour qu’en tant que société on comprenne l’origine de ces violences et qu’on essaie de mieux les prévenir. Tout ça se sont des éléments qui font partie de la justice. La justice ce n’est pas que un tribunal pénal qui poursuit quelqu’un. C’est énormément d’autres choses. »
    Sofi Oksanen (min 33’00) : « Je suis complètement d’accord avec Céline, il faut élargir la vision qu’on a de la justice. C’est bien d’en parler à la radio, d’en parler partout. Il faudrait peut-être organiser des journées de commémoration ou ériger un #monument même si certaines personnes trouveraient bizarre d’avoir un monument de #commémoration pour les victimes des violences sexuelles. »

    ping @_kg_

    • Deux fois dans le même fleuve. La guerre de Poutine contre les femmes
      de #Sofi_Oksanen

      Le 22 mars 2023, l’Académie suédoise a organisé une conférence sur les facteurs menaçant la liberté d’expression et la démocratie. Les intervenants étaient entre autres Arundhati Roy, Timothy Snyder et Sofi Oksanen, dont le discours s’intitulait La guerre de Poutine contre les femmes.
      Ce discours a suscité un si grand intérêt dans le public que Sofi Oksanen a décidé de publier un essai sur ce sujet, pour approfondir son analyse tout en abordant d’autres thèmes.
      L’idée dévelopée par Sofi Oksanen est la suivante : la Russie ressort sa vieille feuille de route en Ukraine – comme l’impératrice Catherine la Grande en Crimée en 1783, et comme l’URSS et Staline par la suite, à plus grand échelle et en versant encore plus de sang. La Russie n’a jamais tourné le dos à son passé impérialiste. Au contraire, le Kremlin s’est efforcé de diaboliser ses adversaires, s’appuyant ensuite sur cette propagande pour utiliser la violence sexuelle dans le cadre de la guerre et pour déshumaniser les victimes de crimes contre les droits de l’homme. Dans la Russie de Poutine, l’égalité est en déclin. La Russie réduit les femmes au silence, utilise le viol comme une arme et humilie ses victimes dans les médias en les menaçant publiquement de représailles.
      Un essai coup de poing par l’une des grandes autrices européennes contemporaines.

      https://www.editions-stock.fr/livre/deux-fois-dans-le-meme-fleuve-9782234096455
      #livre #Russie #femmes

    • #We_are_NOT_Weapons_of_War

      We are NOT Weapons of War (#WWoW) est une organisation non-gouvernementale française, enregistrée sous le statut Loi 1901. Basée à Paris, elle se consacre à la lutte contre les violences sexuelles liées aux conflits au niveau mondial. Fondée en 2014 par la juriste internationale Céline Bardet, WWoW propose une réponse globale, holistique et efficace à l’usage endémique du viol dans les environnements fragiles via des approches juridiques innovantes et créatives. WWoW travaille depuis plus de 5 ans à un plaidoyer mondial autour des violences sexuelles liées aux conflits et des crimes internationaux.

      L’ONG française We are NOT Weapons of War développe depuis plusieurs années la web-application BackUp, à vocation mondiale. BackUp est un outil de signalement et d’identification des victimes et de collecte, sauvegarde et analyse d’informations concernant les violences sexuelles perpétrées dans le cadre des conflits armés. Il donne une voix aux victimes, et contribue au recueil d’informations pouvant constituer des éléments de preuves légales.

      https://www.notaweaponofwar.org

      #justice #justice_pénale

  • Mitchell Plitnick 🔥🕎 sur X :
    https://twitter.com/MJPlitnick/status/1727769437032391059

    #Israel has used the October 7 attack by #Hamas to destroy many norms. The biggest ones have gotten the most notice, those that are part of genocide and ethnic cleansing. But there’s more, and it’s going to have profound effects on warfare going forward.

    Israel has intentionally targeted civilians, hospitals, ambulances, schools, journalists, UN shelters, humanitarian workers, and civilian infrastructure of all kinds. They’ve done these things before but never on this scale and never so openly.

    Israel has made no effort to hide these acts. On the contrary, they have tried to justify them as intentional acts. They’ve been supported in this by the US and EU. In the future, other countries will do the same and opposition will only reinforce the already widely held view that there are no rules, just what the US will allow its friends and forbid others.

    The US and #Israel have struck what could be a mortal blow to the fledgling effort to establish international laws that protect civilians.

    Congratulations.

  • #Gaza, les hantises du #génocide

    S’il faut être prudent sur la #qualification définitive de génocide, et qu’il faut être conscients que ce terme, malgré les détournements, est avant tout juridique et non pas politique, une question doit se poser aujourd’hui : « assistons-nous à un nouveau génocide ? »

    Le 16 novembre 2023, 33 experts onusiens ont signé une déclaration appelant à une réaction internationale urgente et évoquant que « les graves violations commises par Israël contre les Palestiniens au lendemain du 7 octobre, notamment à Gaza, laissent présager un génocide en devenir ». Cette position de l’#ONU sur la question d’un génocide n’est pas inédite.

    Le 2 novembre, le rapporteur spécial sur les territoires palestiniens occupés alertait déjà sur le risque de génocide. Si le mot n’est plus tabou pour qualifier ce que subit la population de Gaza, sa #définition_juridique internationale (fixée par la #Convention_sur_le_génocide et par le #Statut_de_Rome sur la CPI) commande une certaine prudence. Malgré cela, la question d’un génocide à Gaza se pose avec gravité et acuité eu égard aux circonstances de l’offensive militaire israélienne à Gaza.

    La notion de génocide est une #catégorie_juridique complexe qui a évolué au fil du temps pour devenir l’un des #crimes les plus graves de nos ordres juridiques. Il est imprescriptible et plusieurs États se reconnaissent une compétence universelle pour instruire et juger de tels agissements.

    Ce concept a, évidemment, des origines historiques importantes. En combinant les mots grec « genos » (peuple) et latin « cide » (tuer), le juriste polonais #Raphael_Lemkin en 1944 a voulu décrire et caractériser les atrocités commises pendant la Seconde guerre mondiale, en particulier l’Holocauste, qui a vu l’extermination systématique de millions de Juifs par le régime nazi. #Lemkin a plaidé pour la reconnaissance légale de ces crimes et a joué un rôle clé dans l’élaboration de la Convention pour la prévention et la répression du crime de génocide, adoptée par les Nations Unies en 1948.

    Cette Convention, communément appelée la « Convention sur le génocide », est l’instrument juridique principal qui définit le génocide dans le #droit ^_international en définissant en son article 2 le génocide comme : « Tout acte commis dans l’intention de détruire, en tout ou en partie, un groupe national, ethnique, racial ou religieux, en tant que tel. ».

    De cette définition ressortent plusieurs éléments clefs : la question des actes commis, du groupe spécifiquement visé et celui de l’#intention_génocidaire. Au regard des destructions, des bombardements nourris et aveugles notamment sur des camps de réfugiés, sur des écoles gérées par l’ONU servant d’abris aux civils, sur les routes censées être sûres pour permettre aux populations civiles de fuir, mais aussi de ce ratio calculé par des observateurs selon lesquels pour un membre du Hamas tué il y aurait 10 civils massacrés, il apparaît que les premiers critères de la définition sont potentiellement remplis.

    Reste la question décisive de l’intention génocidaire. Celle-ci suppose l’identification de textes, d’ordres, d’actes et de pratiques… En l’état, une série de déclarations d’officiels israéliens interpellent tant elles traduisent une déshumanisation des Palestiniens. Le 19 novembre, point d’orgue d’une fuite en avant en termes de déclarations, l’ancien général et dirigeant du Conseil de Sécurité National israélien, #Giora_Eiland, a publié une tribune dans laquelle il appelle à massacrer davantage les civils à Gaza pour faciliter la victoire d’Israël.

    Avant cela et suite à l’attaque du 7 octobre, le ministre israélien de la Défense, #Yoav_Galant, avait déclaré : « Nous imposons un siège complet à Gaza. Pas d’électricité, pas d’eau, pas de gaz, tout est fermé […] Nous combattons des #animaux_humains et nous agissons en conséquence ».

    Dans une logique similaire, le Premier ministre #Benjamin_Netanyahu a opposé « le peuple des lumières » à celui « des ténèbres », une dichotomie bien connue dans la rhétorique génocidaire. Récemment, le ministre israélien du patrimoine a déclaré : « Le nord de Gaza est plus beau que jamais. Nous bombardons et aplatissons tout (....) au lendemain de la guerre, nous devrions donner des terres de Gaza aux soldats et aux expulsés de Gush Katif ».

    Enfin, en direct à la radio, le même #Amichay_Eliyahu a déclaré qu’il n’était pas entièrement satisfait de l’ampleur des représailles israéliennes et que le largage d’une bombe nucléaire « sur toute la #bande_de_Gaza, la raser et tuer tout le monde » était « une option ». Depuis, il a été suspendu, mais sans être démis de ses fonctions …

    Au-delà de ces déclarations politiques, il faut apprécier la nature des actes commis. Si un « plan » génocidaire en tant que tel n’est pas exigé pour qualifier de génocidaire, une certaine #organisation et ‎une #préparation demeurent nécessaires. Une politique de #colonisation par exemple, le harcèlement criminel quotidien, la #détention_arbitraire de Palestiniens, y compris mineurs, peuvent laisser entendre la mise en place de ce mécanisme.

    La Cour pénale internationale a d’ailleurs déjà ouvert des enquêtes sur ces faits-là avec des investigations qui ne progressent cependant pas notamment car Israël conteste à la Cour – dont il n’est pas membre – toute compétence. Actuellement, les pénuries impactant notamment des hôpitaux, le refus ou la limitation de l’accès de l’aide humanitaire et évidemment les #bombardements_indiscriminés, sont autant d’éléments susceptibles de matérialiser une intention génocidaire.

    Un positionnement politique pour une caractérisation juridique

    Le silence de nombreux pays est assourdissant face à la situation à Gaza. Il suffit de lire le communiqué du Quai d’Orsay sur le bombardement du camp de réfugiés Jabaliya : « La France est profondément inquiète du très lourd bilan pour les populations civiles palestiniennes des frappes israéliennes contre le camp de Jabaliya et exprime sa compassion à l’égard des victimes ».

    Aucune condamnation et, évidemment, aucune mention de la notion de génocide ni même de #crimes_de_guerre ou de #crime_contre_l’Humanité. Cela s’explique en partie par le fait que la reconnaissance du génocide a d’importantes implications juridiques. Les États signataires de la Convention sur le génocide sont tenus de prévenir et de réprimer le génocide sur leur territoire, ainsi que de coopérer entre Etats ainsi qu’avec la Cour pénale internationale pour poursuivre et punir les auteurs présumés de génocide.

    Ainsi, si un État reconnaît la volonté génocidaire d’Israël, il serait de son devoir d’intervenir pour empêcher le massacre. À défaut d’appel à un #cessez-le-feu, le rappel au respect du droit international et l’exigence de « pauses humanitaires » voire un cessez-le-feu par les Etats-Unis ou la France peuvent aussi s’interpréter comme une prévention contre une éventuelle accusation de complicité…

    S’il faut être prudent sur la qualification définitive de génocide, et qu’il faut être conscients que ce terme, malgré les détournements, est avant tout juridique et non pas politique, une question doit se poser aujourd’hui, « assistons-nous à un nouveau génocide ? » et si la réponse est « peut-être », alors il est du devoir des États signataires de la Convention de prévention des génocides de tout faire pour empêcher que le pire advienne.

    https://blogs.mediapart.fr/collectif-chronik/blog/221123/gaza-les-hantises-du-genocide
    #mots #vocabulaire #terminologie #Israël #7_octobre_2023

  • MAGISTRAL DISCOURS DE LA REPRÉSENTANTE DE LA PALESTINE A L’ONU

    https://x.com/caissesdegreve/status/1726408789283242011?s=20

    Nada Abu Tarbush Représentante de la Palestine à l’ONU

    A DIFFUSER MASSIVEMENT
    Je ne pense pas qu’il ne passera dans les médias occidentaux car elle dit la vérité.

    Les dirigeants occidentaux (à l’exception de l’Irlande et peut-être de l’Espagne) devraient démissionner pour n’avoir pas été capables de dire ce qu’elle dit. Ils devraient probablement être traduits en Justice.

    #Palestine #ONU #Israël #France #Royaume-Uni #Allemagne #Italie #Droit-International #Crimes-de-guerre #Genocide #Juif #Palestinien #Femme

  • LA CPI PEUT-ELLE JUGER ISRAËL ? UNE ARMÉE D’AVOCATS PORTE PLAINTE POUR « GÉNOCIDE »
    Le Media | 17 nov. 2023
    https://www.youtube.com/watch?v=XRwwWkCrr3g

    Gilles Devers est avocat au barreau de Lyon. Il est à l’initiative d’une plainte collective contre Israël pour génocide et crimes de guerre devant la Cour Pénale Internationale. Cette institution judiciaire internationale, créée en 2002, juge les auteurs des crimes internationaux les plus graves. Cette plainte réunit plus 500 avocats français et internationaux. Elle a été déposée le jeudi 9 novembre dernier au siège de la CPI, à Haye aux Pays-Bas. Si Israël semble jouir d’une certaine impunité et échapper à la justice internationale, elle a bien ratifié la CPI et les auteurs des crimes de guerre pourraient être traduits devant les juges. Mais quant est-til du crime de génocide ? Les conditions sont-elles réunies ? Quelle est la différence avec le crime de nettoyage ethnique ? Quelles sont les prochaines étapes de cette procédure qui promet d’être longue ? La plainte a-t-elle des chances de prospérer ? Gilles Devers nous répond, sans ambage, dans cet entretien exclusif.

    #7oct23

  • Comment le 7 octobre nous a toutes et tous changé·es – et ce qu’il signifie pour notre lutte

    Il peut être difficile de reconnaître un moment historique lorsqu’on le vit, mais cette fois-ci, en Israël-Palestine, tout le monde a pu le constater. Voici ce que nous savons et ce que nous pouvons supposer un mois plus tard.

    Un mois s’est écoulé depuis le 7 octobre. La vie de millions d’Israélien·nes et de Palestinien·nes a été bouleversée par les massacres commis par le Hamas en Israël ce jour-là, et par les massacres qu’Israël commet par la suite avec son assaut à grande échelle sur la bande de Gaza. Il est parfois difficile de reconnaître un moment historique lorsqu’on le vit, mais cette fois-ci, c’est clair : l’équilibre des forces a changé entre Israélien·nes et Palestinien·nes, et il changera le cours des événements à partir de maintenant.

    Un mois après le début de la guerre, il est temps de faire le point sur ce que nous savons qu’il est arrivé aux Israélien·nes, aux Palestinien·nes et à la gauche dans ce pays – et de faire quelques évaluations prudentes sur ce qui va suivre.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/11/15/comment-le-7-octobre-nous-a-toutes-et-tous-cha

    #international #palestine #israel

    • Haggai Matar, journaliste israélien, activiste politique, directeur exécutif du magazine +972, 8 novembre 2023 :

      [...] Au cours d’une opération minutieuse et sans précédent, les militants du #Hamas se sont échappés de la bande de Gaza assiégée, déjouant les plans de ce qui était considéré comme l’une des armées les plus puissantes et les plus sophistiquées de la région. Après avoir détruit des parties de la clôture entourant #Gaza et lancé une attaque sur le point de passage d’Erez, des milliers de militants se sont emparés de bases militaires israéliennes, ont tué ou capturé des centaines de soldat·es, puis ont attaqué un festival de musique et occupé plusieurs kibboutzim et villes. Ils ont tué environ 1 300 personnes, dont une majorité de civil·es.

      Le carnage a été brutal. Des centaines de fêtard·es non armé·es ont été tué·es, y compris des citoyen·nes palestinien·nes qui étaient présent·es en tant que secouristes, chauffeurs et travailleurs/travailleuses. Des familles entières ont été massacrées dans leurs maisons, certain·es survivant·es ayant assisté au meurtre de leurs parent·es ou de leurs enfants. Dans certaines communautés, jusqu’à un habitant·e sur quatre a été tué·e ou enlevé·e. Des travailleurs agricoles #thaïlandais et #népalais, ainsi que des aides-soignants #philippins, ont également été pris pour cible, des militants du Hamas leur tirant dessus et, dans un cas au moins, lançant des grenades dans une cabane où ils se cachaient.

      Environ 240 soldats et civil·es de tous âges, de 9 mois à plus de 80 ans, ont été enlevé·es à Gaza, et la plupart d’entre elles et eux y sont toujours détenu·es en tant qu’#otages, sans lien avec le monde extérieur et sans que leurs familles aient la moindre idée de leur état. Pendant ce temps, le Hamas a continué à tirer sans discrimination des milliers de roquettes depuis Gaza en direction des villes israéliennes.

      Ces #crimes_de_guerre, même s’ils ne sont pas sans contexte, sont totalement injustifiables. Ils ont ébranlé nombre d’entre nous, y compris moi-même, jusqu’au plus profond de nous-mêmes. La fausse idée que les Israélien·nes peuvent vivre en sécurité alors que les Palestinien·nes sont régulièrement tué·es dans le cadre d’un système brutal d’occupation, de siège et d’apartheid – une idée que le Premier ministre Benjamin Netanyahu a défendue et instillée en nous pendant ses longues années au pouvoir – s’est effondrée.

      Ce sentiment a été exacerbé par les vents de la #guerre_régionale et les attaques du #Hezbollah contre les soldats et les civil·es israélien·nes dans le nord d’Israël, auxquelles Israël a répondu par ses propres frappes d’artillerie et de drones au #Liban, tuant des combattants et des civil·es. Ce front supplémentaire a aggravé notre peur existentielle et le sentiment que nous, Israélien·nes et Palestinien·nes, ne sommes que des pions dans des luttes régionales et mondiales plus vastes (et ce n’est pas la première fois).

      L’effondrement de notre sentiment de sécurité est allé de pair avec la prise de conscience que l’État israélien tout entier n’est, en fait, rien de plus qu’un hologramme. L’armée, les services de secours, les services sociaux, etc. ont tous été dysfonctionnels. Les survivant·es israélien·nes, les personnes déplacées à l’intérieur du pays et les familles des otages se sont retrouvés sans personne vers qui se tourner, ce qui a poussé la société civile à intervenir pour combler le vide là où le gouvernement aurait dû se trouver. Des années de #corruption_politique nous ont laissés avec une coquille vide d’un État, sans aucun leadership à proprement parler. Pour les Israéliens, quelle que soit la manière dont nous sortons vainqueurs de la guerre, nous voulons nous assurer que rien de tel que le 7 octobre ne puisse se reproduire.

      Les massacres d’Israël à Gaza

      Après avoir échoué sur tous les autres fronts, et avant même d’avoir repris le contrôle de toutes les zones occupées par le Hamas dans le sud du pays le 7 octobre, l’armée israélienne s’est immédiatement attelée à ce qu’elle sait faire de mieux : pilonner la bande de Gaza. Le chagrin, la douleur, le choc et la colère justifiés se sont traduits par un nouvel assaut militaire injustifiable et une campagne de #punition_collective contre les 2,3 millions de résident·es sans défense de la plus grande prison à ciel ouvert du monde – la pire que nous ayons jamais vue.

      Parallèlement aux premières frappes aériennes, Israël a coupé toute la population palestinienne de Gaza de l’électricité, de l’eau et du carburant, transformant une crise humanitaire déjà existante en une véritable catastrophe. L’armée a ensuite ordonné l’évacuation de la moitié de la population – environ 1 million de personnes – du nord de la bande vers le sud, ainsi qu’une seconde évacuation de l’est vers l’ouest.

      [...]

      #gauche_israélienne #coopération_palestino-israélienne #Haggai_Matar #+972 #droit_au_retour

  • Au #Darfour, la terreur à huis clos : « Ils veulent nous rayer de la carte »

    Depuis le 15 avril et le début de la #guerre au #Soudan, plus de 420 000 personnes se sont réfugiées dans l’est du #Tchad. Principalement issues des communautés non arabes du Darfour, elles témoignent d’attaques délibérées contre les civils, de multiples #crimes_de_guerre, et dénoncent un #nettoyage_ethnique.

    Un mélange de boue et de sang. Des corps emportés par le courant. Des cris de détresse et le sifflement des balles transperçant l’eau marronasse. C’est la dernière image qui hante Abdelmoneim Adam. Le soleil se levait à l’aube du 15 juin sur l’oued Kaja – la rivière saisonnière gonflée par les pluies qui traverse #El-Geneina, capitale du Darfour occidental – et des milliers de personnes tentaient de fuir la ville.

    Partout, des barrages de soldats leur coupaient la route. « Ils tiraient dans le tas, parfois à bout portant sur des enfants, des vieillards », se souvient Abdelmoneim, qui s’est jeté dans l’eau pour échapper à la mort. Des dizaines d’autres l’ont suivi. Une poignée d’entre eux seulement sont arrivés indemnes sur l’autre rive. Lui ne s’est plus jamais retourné.

    Ses sandales ont été emportées par les flots, l’obligeant à poursuivre sa route pieds nus, à la merci des épines. Attendant le crépuscule, il a coupé à travers champs, sous une pluie battante, évitant une dizaine de check-points tenus par les paramilitaires et slalomant entre les furgan, les campements militaires des miliciens arabes qui encerclaient El-Geneina. Il lui a fallu 13 heures pour parcourir la vingtaine de kilomètres qui le séparait du Tchad.

    Le Darfour s’est embrasé dans le sillage de la guerre amorcée le 15 avril à Khartoum entre l’armée régulière dirigée par le général Abdel Fattah al-Bourhane et les #Forces_paramilitaires_de_soutien_rapide (#FSR) du général Hemetti. Dans cette région à l’ouest du pays, meurtrie par les violences depuis 2003, le #conflit a pris une tournure ethnique, ravivant des cicatrices jamais refermées entre communautés.

    Dans la province du Darfour occidental qui borde le Tchad, l’armée régulière s’est retranchée dans ses quartiers généraux, délaissant le contrôle de la région aux FSR. Ces dernières ont assis leur domination en mobilisant derrière elles de nombreuses #milices issues des #tribus_arabes de la région.

    À El-Geneina, bastion historique des #Massalit, une communauté non arabe du Darfour à cheval entre le Soudan et le Tchad, environ 2 000 volontaires ont pris les armes pour défendre leur communauté. Ces groupes d’autodéfense, qui se battent aux côtés d’un ancien groupe rebelle sous les ordres du gouverneur Khamis Abakar, ont rapidement été dépassés en nombre et sont arrivés à court de munitions.

    Après avoir accusé à la télévision les FSR et leurs milices alliées de perpétrer un « génocide », le gouverneur massalit Khamis Abakar a été arrêté le 14 juin par des soldats du général Hemetti. Quelques heures plus tard, sa dépouille mutilée était exhibée sur les réseaux sociaux. Son assassinat a marqué un point de non-retour, le début d’une hémorragie.
    Démons à cheval

    En trois jours, les 15, 16 et 17 juin, El-Geneina a été le théâtre de massacres sanglants perpétrés à huis clos. La ville s’est vidée de plus de 70 % de ses habitant·es. Des colonnes de civils se pressaient à la frontière tchadienne, à pied, à dos d’âne, certains poussant des charrettes transportant des corps inertes. En 72 heures, plus de 850 blessés de guerre, la plupart par balles, ont déferlé sur le petit hôpital d’Adré. « Du jamais-vu », confie le médecin en chef du district. En six mois, plus de 420 000 personnes, principalement massalit, ont trouvé refuge au Tchad.

    Depuis le début du mois de septembre, les affrontements ont baissé en intensité mais quelques centaines de réfugié·es traversent encore chaque jour le poste-frontière, bringuebalé·es sur des charrettes tirées par des chevaux faméliques. Les familles, assises par grappes sur les carrioles, s’accrochent aux sangles qui retiennent les tas d’affaires qu’elles ont pu emporter : un peu de vaisselle, des sacs de jute remplis de quelques kilos d’oignons ou de patates, des bidons qui s’entrechoquent dans un écho régulier, des chaises en plastique qui s’amoncellent.

    Les regards disent les longues semaines à affronter des violences quotidiennes. « Les milices arabes faisaient paître leurs dromadaires sur nos terres. Nous n’avions plus rien à manger. Ils nous imposaient des taxes chaque semaine », témoigne Mariam Idriss, dont la ferme a été prise d’assaut. Son mari a été fauché par une balle. Dans l’immense campement qui entoure la bourgade tchadienne d’Adré, où que se tourne le regard, il y a peu d’hommes.

    « Les tribus arabes et les forces de Hemetti se déchaînent contre les Massalit et plus largement contre tous ceux qui ont la #peau_noire, ceux qu’ils appellent “#ambay”, les “esclaves” », dénonce Mohammed Idriss, un ancien bibliothécaire dont la librairie a été incendiée durant les attaques. Le vieil homme, collier de barbe blanche encadrant son visage, est allongé sur un lit en fer dans l’obscurité d’une salle de classe désaffectée. « On fait face à de vieux démons. Les événements d’El-Geneina sont la continuation d’une opération de nettoyage ethnique amorcée en 2003. Les #Janjawid veulent nous rayer de la carte », poursuit-il, le corps prostré mais la voix claquant comme un coup de tonnerre.

    Les « Janjawid », « les démons à cheval » en arabe. Ce nom, souvent prononcé avec effroi, désigne les milices essentiellement composées de combattants issus des tribus arabes nomades qui ont été instrumentalisées en 2003 par le régime d’Omar al-Bachir dans sa guerre contre des groupes rebelles du Darfour qui s’estimaient marginalisés par le pouvoir central. En 2013, ces milices sont devenues des unités officielles du régime, baptisées Forces de soutien rapide (FSR) et placées sous le commandement du général Mohammed Hamdan Dagalo, alias Hemetti.

    À la chute du dictateur Omar al-Bachir en avril 2019, Hemetti a connu une ascension fulgurante à la tête de l’État soudanais jusqu’à devenir vice-président du Conseil souverain. Partageant un temps le pouvoir avec le chef de l’armée régulière, le général Bourhane, il est désormais engagé dans une lutte à mort pour le pouvoir.
    Un baril de poudre prêt à exploser

    Assis sur des milliards de dollars amassés grâce à l’exploitation de multiples #mines d’#or, et grâce à la manne financière liée à l’envoi de troupes au Yémen pour y combattre comme mercenaires, Hemetti est parvenu en quelques années à faire des FSR une #milice_paramilitaire, bien équipée et entraînée, forte de plus de 100 000 combattants, capable de concurrencer l’armée régulière soudanaise. Ses troupes gardent la haute main sur le Darfour. Sa région natale, aux confins de la Libye, du Tchad et de la Centrafrique, est un carrefour stratégique pour les #ressources, l’or notamment, mais surtout, en temps de guerre, pour les #armes qui transitent par les frontières poreuses et pour le flux de combattants recrutés dans certaines tribus nomades du Sahel, jusqu’au Niger et au Mali.

    Depuis la chute d’Al-Bachir, les milices arabes du Darfour, galvanisées par l’ascension fulgurante de l’un des leurs à la tête du pouvoir, avaient poursuivi leurs raids meurtriers sur les villages et les camps de déplacé·es non arabes du Darfour, dans le but de pérenniser l’occupation de la terre. Avant même le début de la guerre, les communautés à l’ouest du Darfour étaient à couteaux tirés.

    La ville d’El-Geneina était segmentée entre quartiers arabes et non arabes. Les kalachnikovs se refourguaient pour quelques liasses de billets derrière les étalages du souk. La ville était peuplée d’un demi-million d’habitant·es à la suite des exodes successifs des dizaines de milliers de déplacé·es, principalement des Massalit. El-Geneina était devenue un baril de poudre prêt à exploser. L’étincelle est venue de loin, le 15 avril, à Khartoum, servant de prétexte au déchaînement de violence à plus de mille kilomètres à l’ouest.

    Mediapart a rencontré une trentaine de témoins ayant fui les violences à l’ouest du Darfour. Parmi eux, des médecins, des commerçants, des activistes, des agriculteurs, des avocats, des chefs traditionnels, des fonctionnaires, des travailleurs sociaux. Au moment d’évoquer « al-ahdath », « les événements » en arabe, les rescapés marquent un temps de silence. Souvent, les yeux s’embuent, les mains s’entortillent et les premiers mots sont bredouillés, presque chuchotés.

    « Madares, El-Ghaba, Thaoura, Jamarek, Imtidad, Zuhur, Tadamon » : Taha Abdallah énumère les quartiers d’El-Geneina anciennement peuplés de Massalit qui ont aujourd’hui été vidés de leurs habitant·es. Les maisons historiques, le musée, l’administration du registre civil, les archives, les camps de déplacé·es ont été détruits. « Il n’y a plus de trace, ils ont tout effacé. Tout a été nettoyé et les débris ramassés avec des pelleteuses », déplore le membre de l’association Juzur, une organisation qui enquêtait sur les crimes commis à l’ouest du Darfour.

    Sur son téléphone, l’un de ses camarades, Arbab Ali, regarde des selfies pris avec ses amis. Sur chaque photo, l’un d’entre eux manque à l’appel. « Ils ne sont jamais arrivés ici. » Sur l’écran, son doigt fait défiler des images de mortiers, de débris de missiles antiaériens tirés à l’horizontale vers des quartiers résidentiels. « J’ai retrouvé la dépouille d’un garçon de 20 ans, le corps presque coupé en deux », s’étouffe le jeune homme assis à l’ombre d’un rakuba, un préau de paille.

    Ce petit groupe de militants des droits humains dénonce une opération d’élimination systématique ciblant les élites intellectuelles et politiques de la communauté massalit, médecins, avocats, professeurs, ingénieurs ou activistes. À chaque check-point, les soldats des FSR ou des miliciens sortaient leur téléphone et faisaient défiler le nom et les photos des personnes recherchées. « S’ils trouvent ton nom sur la liste, c’est fini pour toi. »

    L’avocat Jamal Abdallah Khamis, également membre de l’association Juzur, tient quant à lui une autre liste. Sur des feuilles volantes, il a soigneusement recopié les milliers de noms des personnes blessées, mortes ou disparues au cours des événements à El-Geneina. Parmi ces noms, se trouve notamment celui de son mentor, l’avocat Khamis Arbab, qui avait constitué un dossier documentant les attaques répétées des milices arabes sur un camp de déplacé·es bordant la ville. Il a été enlevé à son domicile, torturé, puis son corps a été jeté. Les yeux lui avaient été arrachés.

    « Tous ceux qui tentaient de faire s’élever les consciences, qui prêchaient pour un changement démocratique et une coexistence pacifique entre tribus, étaient dans le viseur », résume Jamal Abdallah Khamis. Les femmes n’ont pas échappé à la règle. Zahra Adam était engagée depuis une quinzaine d’années dans une association de lutte contre les violences faites aux femmes. Son nom apparaissait sur les listes des miliciens. Elle était recherchée pour son travail de documentation des viols commis dans la région. Rien qu’entre le 24 avril et le 20 mai, elle a recensé 60 cas de viols à El-Geneina. « Ensuite, on a dû arrêter de compter. L’avocat chargé du dossier a été éliminé. Au total, il y a des centaines de victimes, ici, dans le camp. Mais la plupart se terrent dans le silence », relate-t-elle.

    De nombreuses militantes ont été ciblées. Rabab*, une étudiante de 23 ans engagée dans un comité de quartier, avait été invitée sur le plateau d’une radio locale quelques jours avant le début de la guerre. Sur les ondes, elle avait alerté sur le risque imminent de confrontations entre communautés. Début juin, elle a été enlevée dans le dortoir de l’université par des soldats enturbannés, puis embarquée de force, les yeux bandés, vers un compound où une soixantaine de filles étaient retenues captives. « Ils disaient : “Vous ne reverrez jamais vos familles.” Ils vendaient des filles à d’autres miliciens, parfois se les échangeaient contre un tuk-tuk », témoigne-t-elle d’une voix éteinte, drapée d’un niqab noir, de larges cernes soulignant ses yeux.

    Depuis 2003, au Darfour, le corps des femmes est devenu un des champs de bataille. « Le viol est un outil du nettoyage ethnique. Ils violent pour humilier, pour marquer dans la chair leur domination. Ils sont fiers de violer une communauté qu’ils considèrent comme inférieure », poursuit Zahra, ajoutant que même des fillettes ont été violées au canon de kalachnikov.

    Selon plusieurs témoins rencontrés par Mediapart, dans les jours qui ont suivi les massacres de la mi-juin, plusieurs chefs de milices arabes, en coordination avec les Forces de soutien rapide, ont entrepris de dissimuler les traces du carnage. Les équipes du Croissant-Rouge soudanais ont été chargées par un « comité sanitaire » de ramasser les corps qui jonchaient les avenues.

    « L’odeur était pestilentielle. Les cadavres pourrissaient au soleil, parfois déchiquetés par les chiens », souffle Mohammed*, le regard vide. « Chaque jour, on remplissait la benne d’un camion à ras bord. Elle pouvait contenir plus d’une cinquantaine de corps et les camions faisaient plusieurs allers-retours », détaille Ahmed*, un autre témoin forcé de jouer les fossoyeurs pendant dix jours, « de 8 à 14 heures ». Les équipes avaient interdiction de prendre des photos et de décompter le nombre de morts. Il leur était impossible de savoir où les camions se rendaient.
    Une enquête de la Cour pénale internationale

    Échappant aux regards des soldats, l’étudiant de 28 ans s’est glissé entre la cabine et la benne de l’un des camions. Le chauffeur a pris la direction d’un site appelé Turab El-Ahmar, à l’ouest de la ville. « Les trous étaient déjà creusés. À plusieurs reprises, un camion arrivait, levait la benne et déversait les corps », se souvient-il. Puis une pelleteuse venait reboucher la fosse.

    Quartier par quartier, maison par maison, ils ont ratissé la ville d’El-Geneina. « En tout, il y a eu au moins 4 000 corps enterrés », estime Mohammed. Début septembre, le Commissariat des Nations unies pour les droits de l’homme a annoncé avoir reçu des informations crédibles sur l’existence de treize fosses communes.

    Les paramilitaires nient toute responsabilité dans ce qu’ils dépeignent comme un conflit ethnique entre communautés de l’ouest du Darfour. Malgré les demandes de Mediapart, la zone reste inaccessible pour les journalistes.

    « Entre le discours des FSR et celui des victimes, la justice tranchera », conteste Arbab Ali avec une once d’optimisme. Le 13 juillet, la Cour pénale internationale (CPI) a annoncé l’ouverture d’une nouvelle enquête pour « crimes de guerre » au Darfour. Elle vient s’ajouter aux investigations démarrées en 2005 à la suite de la guerre qui, sous le régime d’Omar al-Bachir, avait déjà fait plus de 300 000 morts dans la région.

    Pourtant, il règne chez les rescapé·es du Darfour un sentiment de déjà-vu. À ceci près que la guerre actuelle ne soulève pas la même indignation internationale qu’en 2003. Beaucoup de réfugié·es n’attendent plus rien de la justice internationale. Vingt ans après les premières enquêtes de la CPI, aucune condamnation n’a encore été prononcée.

    Alors, dans les travées du camp, le choc du déplacement forcé laisse place à une volonté de revanche. Certains leaders massalit ont pris langue avec l’armée régulière. Une contre-offensive se prépare. Le camp bruisse de rumeurs sur des mouvements de troupes et des livraisons d’armes au Darfour. Côté tchadien, les humanitaires et les autorités s’attendent à ce que la situation dégénère à nouveau.

    Au Soudan, le conflit ne se résume plus seulement en un affrontement entre deux armées. Aujourd’hui, chaque clan et chaque tribu joue sa survie au milieu de la désintégration de l’État. Les voix dissidentes, opposées à une guerre absurde, sont criminalisées par les belligérants et souvent emprisonnées. La guerre est partie pour durer. Et les civils, prisonniers d’un engrenage meurtrier, en payent le prix.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/131123/au-darfour-la-terreur-huis-clos-ils-veulent-nous-rayer-de-la-carte
    #réfugiés_soudanais #génocide

  • Entre Israël et l’Occident, le déni potentiellement génocidaire de la Palestinehttps://www.contretemps.eu/israel-occident-deni-palestine

    Dans ce texte, Ussama Makdisi montre qu’entre Israël et l’Occident, il existe une communauté de langage et un système de vision du monde commun dans lequel l’Arabe, le Palestinien, n’a pas la même valeur ontologique que les peuples du Nord global. Ce racisme est ancré dans l’histoire du colonialisme européen dont le sionisme est une manifestation, et persiste aujourd’hui encore dans les structures sociales des sociétés européennes, américaines du nord et israélienne. Il contient en outre un potentiel génocidaire que l’auteur met ici en exergue et qui se révèle aujourd’hui à Gaza – sous les yeux du monde entier.

    L’amour du sionisme en Occident a toujours eu une relation trouble avec le génocide. Le sionisme en tant qu’idéologie politique trouve ses racines dans une époque où les empires européens justifiaient régulièrement l’extermination de ceux qu’ils considéraient comme des peuples inférieurs et des barbares non civilisés. Sa promesse fondatrice repose sur une sorte de génocide métaphorique.

    Aux racines du sionisme et du philosionisme, un racisme colonial

    L’idée sioniste européenne du XIXe siècle d’implanter et de maintenir un État nationaliste exclusivement juif dans une Palestine multiconfessionnelle est dès le départ fondée sur l’effacement de l’histoire et de l’humanité des Palestiniens autochtones. À la suite de l’Holocauste allemand des Juifs d’Europe, le philosionisme occidental est puissamment renforcé par un sentiment de culpabilité et une sympathie pour l’idée d’un État juif. Aujourd’hui, le philosionisme est arrivé à un point de son cheminement où il endosse l’idée d’un génocide à Gaza au nom de la défense de cet État juif. Depuis que les « diaboliques » guérilleros palestiniens ont quitté le ghetto de Gaza et ont attaqué et tué des soldats, policiers, colons armés et civils israéliens le 7 octobre 2023, le soutien des libéraux et des États occidentaux au « droit d’Israël à se défendre » est écrasant. Ce soutien strident ne faiblit guère alors qu’Israël mène méthodiquement une campagne de terre brûlée depuis près d’un mois, détruisant des dizaines de milliers de maisons, d’hôpitaux, d’écoles, de mosquées, d’églises et de boulangeries et soumettant la population réfugiée palestinienne de Gaza à une punition collective d’une cruauté inouïe. Ce dernier épisode du philosionisme révèle plus clairement que jamais l’impitoyable double standard qui le sous-tend : l’histoire et les vies des juifs Israéliens sont respectées ; l’histoire et les vies des Palestiniens musulmans et chrétiens sont fondamentalement dévalorisées.

    Ce double standard a une longue histoire qui remonte à l’époque où d’enthousiastes théologiens protestants d’Europe et d’Amérique du Nord adhèrent à l’idée du « retour » des Juifs dans la Palestine biblique, sans s’intéresser ni à la population qui existe alors en Palestine ni à sa diversité. Le mouvement nationaliste sioniste qui émerge en Europe centrale et orientale parmi les Juifs ashkénazes européens ignore lui aussi la population palestinienne autochtone. Cela s’explique en partie par la géographie : le sionisme est né non pas au sein des anciennes communautés juives d’Orient, mais dans la lointaine Europe. Ses dirigeants ne sont pas des Juifs arabes ou orientaux, mais des Juifs ashkénazes européens. Quant à son idéologie nationaliste ethnoreligieuse, elle est forgée non pas par le pluralisme du Moyen-Orient de l’époque, mais par les nationalismes raciaux, ethniques et linguistiques concurrents de l’Europe. L’antisémitisme racial qui se manifeste en Europe est étranger aux rythmes des différences religieuses, de la discrimination et de la coexistence si familiers aux divers habitants de l’Orient islamique ottoman.

    En partie au moins, la condescendance du sionisme européen vis-à-vis de l’autochtone est fondée sur le racisme. Car le projet sioniste se développe comme un projet colonial. Alors que les principaux sionistes sont aux prises avec l’antisémitisme racial de l’Europe, ils expriment, partagent, contribuent et font circuler de nombreux tropes racistes fondamentaux de la culture occidentale du XIXe siècle : les terres des peuples autochtones seraient largement « vides » et donc ouvertes à la colonisation, le colonialisme serait le salut et l’expulsion des peuples autochtones serait inévitable ou nécessaire parce que ces peuples seraient racialement et mentalement inférieurs, non civilisés et donc sans valeur historique ou éthique. En ce sens, l’un des slogans du mouvement sioniste est « Une terre sans peuple pour un peuple sans terre »...

  • Pour Jean-Paul Rouve, « des gens en place qui sont dans le cercle de Matzneff » ont entravé la promotion du film « Le Consentement » - Marie Claire
    https://www.marieclaire.fr/pour-jean-paul-rouve-des-gens-en-place-qui-sont-dans-le-cercle-de-matzne

    « Je sais qu’il y a encore quelque chose autour de Matzneff. Je vous dis un truc qu’on n’a jamais dit. Quand on fait la promo du film, (...) l’attachée de presse contacte les différents médias, pour faire les émissions, des articles... (...) Il y a des endroits où on a rien fait, parce qu’il y a encore des gens qui sont en place et qui sont dans le cercle plus ou moins proche de Matzneff, et de toute cette bande », révèle-t-il en colère.

    #pédocriminels

    • Il a toujours un logement social à Paris et fait des séjours en france pour ses soins medicaux. La maire du Veme arrondissement Florence Berthout semble l’avoir à la bonne

      Pour ce logement situé dans le quartier Latin, au cœur de la capitale, Gabriel Matzneff paie un loyer de 350 euros. « Monsieur Matzneff est un vieux monsieur qui s’est cassé le col du fémur. Je trouve que sur le plan humanitaire, on aurait pu lui refaire sa salle de bains », a déclaré au Parisien Florence Berthout. L’élue déplore également une « chasse aux sorcières. »

      https://fr.wikipedia.org/wiki/Florence_Berthout
      source :
      https://www.lefigaro.fr/faits-divers/logement-social-gabriel-matzneff-demande-a-la-ville-de-paris-de-renover-sa-
      Plus d’infos sur le logement social social du pédo-scribouillo-violeur
      https://www.boursorama.com/patrimoine/actualites/gabriel-matzneff-loue-un-hlm-du-quartier-latin-pour-348-euros-par-mois-b

      Situé rue Maître-Albert, entre les quais, la rue de Bièvre (où habitait François Mitterrand) et le boulevard Saint-Germain, le studio, au premier étage, donne sur rue et sur une petite cour silencieuse et pavée. (...)

      « C’est Jean Tiberi, alors maire du Ve arrondissement, bras droit de Chirac, pilier du RPR, qui s’en est lui-même occupé », poursuit cette source.

      « Il ne lui a pas trouvé pas un appartement dans une barre de la porte de la Chapelle avec vue sur le périph », ironise Jean-Baptiste Eyraud du DAL (Droit au logement) qui rappelle en passant qu’à Paris « il y a 130 000 demandeurs de logement en souffrance ». (...)

      Cette HLM de luxe a, depuis, échappé à tout contrôle. Si les revenus de l’écrivain semblent très modestes ces dernières années, pendant ces 25 ans, il ne lui a jamais été demandé, comme aux autres locataires de HLM classiques, de justifier de ses ressources, y compris l’année où il a gagné le prix Renaudot. Il n’a pas non plus été assujetti au supplément de loyer.

      https://www.journaldemontreal.com/2020/01/09/gabriel-matzneff--mieux-vaut-tard-que-jamais

      Voici la jolie rue ou loge Madzneff et curieusement sur wikipédia il n’est pas mentionné parmis les curiosités et fait remarquables locales ! Elle s’appelait la rue perdue comme en témoigne cette gravure toujours visible.
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Rue_Ma%C3%AEtre-Albert

      en cherchant je trouve beaucoup de belles choses !

      L’écrivain pédophile Gabriel Matzneff a reçu 160.500 euros d’aides publiques

      Depuis 2002, Gabriel Matzneff est bénéficiaire de l’allocation annuelle aux auteurs. Il a reçu 160.500 euros d’argent public.
      écrivain Gabriel Matzneff , au cœur d’un scandale concernant ses relations sexuelles avec des mineurs et ses écrits pédophiles depuis l’annonce de la parution du Consentement de Vanessa Springora , a été aidé financièrement, à hauteur de 160.500 euros, par le Centre national du livre (CNL). Depuis l’été 2002, Matzneff touche en effet une « allocation annuelle aux auteurs » de la part de cet établissement public placé sous la tutelle du ministère de la Culture. Il s’agit d’une aide sociale accordée à des auteurs vieillissants ayant de faibles revenus - 14 autres écrivains, hommes et femmes âgés de 72 à 96 ans, ont reçu cette prestation en 2019 (un est mort depuis) pour un montant total de 140.000 euros.
      Depuis 2013, aucun nouvel écrivain ne peut bénéficier de cette aide

      Avant les 160.500 euros dont il a bénéficié entre 2002 et 2019, Matznef

      https://www.lejdd.fr/Societe/info-jdd-lecrivain-pedophile-gabriel-matzneff-a-recu-160500-euros-daides-publi

      Arrivé à l’âge de la retraite en 2002, il avait sollicité une aide financière auprès du ministre de la Culture Jean-Jacques Aillagon , qui avait plaidé sa cause auprès du CNL. Avant une réforme de 2004, cette aide était censée être versée « à vie » et sans contrôle de revenus.

      https://www.nouvelobs.com/culture/20200103.OBS23015/gabriel-matzneff-ne-touchera-plus-ses-6-000-euros-par-an-d-aide-publique.

      J’ai une gastro mais au moins j’ai une bonne raison de vomir.
      Je retrouve Jean-Jacques Aillagon sur la defense de Rose Bonbon un roman pedo qui avais été censuré par Sarko en 2002.
      https://www.lemonde.fr/archives/article/2002/10/06/jean-jacques-aillagon-contre-toute-censure-dans-l-affaire-rose-bonbon_425784

      –----

      Et si je cherche Aillagon et Claude Leveque ca va donné quoi...
      –---

      PARIS, FRANCE - OCTOBER 17 : Thomas Aillagon and Jean Jacques Aillagon attend the « Claude Leveque » Exhibition Preview at Galerie Kamel Mennour Rue Saint Andre des Arts on October 17, 2015 in Paris, France. (Photo by Bertrand Rindoff Petroff/Getty Images)
      https://www.gettyimages.ch/detail/nachrichtenfoto/thomas-aillagon-and-jean-jacques-aillagon-attend-the-nachrichtenfoto/493200256?language=fr

      Pour mémoire

      « Tout le monde savait » : Claude Lévêque, une omerta au nom de l’art

      Alors qu’une partie du milieu artistique est sidérée d’apprendre que le plasticien fait l’objet, depuis 2019, d’une enquête préliminaire pour « viols et agressions sexuelles sur mineurs », d’autres semblent moins surpris…

      https://www.lemonde.fr/culture/article/2021/01/15/tout-le-monde-savait-claude-leveque-une-omerta-au-nom-de-l-art_6066318_3246.

    • Dans la liste des signataires de la pétition de Matzneff (publiée le 26 janvier 1977 dans Le Monde) pour défendre des pédo-criminels inculpés, il y a les signatures de quantité de criminels pédophiles condamnés, dont un meurtrier trafiquants d’arme sous pseudo "Nègrepont" qui cache en fait deux infects personnages Jean-Pierre Négre & Michel Pont

      Michel Pont

      Michel Pont né le 19 mars 1948 a été condamné en 1983 pour pédopornographie (1), il est le neveu de l’architecte François Spoerry (2) et compagnon de Pierre Maltais.
      Il est co-auteur du numéro 12 de la revue recherches, publié en 1973, 220 pages « Trois milliards de pervers : Grande encyclopédie des homosexualités » dont la partie pédophilie reste censurée.

      Jean-Pierre Négre

      Jean-Pierre Négre né Pierre Doris Maltais le 28 juin 1937 à East Angus Quebec de Pierre Maltais et Béatrice Leroux, est un pédocriminel, également criminel financier, trafiquant d’armes, condamné à plusieurs reprises mais qui échappe à toute incarcération en s’enfuyant mystérieusement. Il a sévit en France, Belgique, Italie, Canada, Costa Rica, Danemark, Nicaragua … C’est un imposteur qui agit sous de multiples identités : Pierre Maltais, Norman William, MicMac, ou Apjolinoman, ou Maolin Tiam, ou Piel Petjo Maltest, ou Henry Pont, ou Saumon ressourçant (sic) ou prince de Faucigny-Lucinge, entre autres.

      Il est le gourou de la secte Ecoovie, société créée en 1978 à Paris, mais qu’il a initié depuis 1973 en prenant progressivement la direction d’une petite communauté hippie. Il est accusé de viols, de disparitions d’adultes et d’enfants, de rapts et de maltraitances.

      Il serait mort en juillet 2015 à Granada au Nicaragua (3b)

      Plusieurs publications relient ces deux criminels à Matzneff et à d’autres signataires.

      Mais comme les journalistes ne font pas leur travail, vous ne lirez cela qu’ici. Le New-York Times et Médiapart ont pourtant été informés.

      Serge July a même encensé dans sa nécrologie en 1999 un des signataires de cette pétition pedocriminel arrêté au Cambodge et condamné https://www.liberation.fr/france/1999/08/31/mort-de-christian-hennion-ancien-de-liberation_280264
      qui participe également à la publication "3 milliards de pervers"

      CF arrestation en 1997 de Hennion par interpol pour viols d’enfants au Cambodge
      https://www.aparchive.com/metadata/youtube/db3c86701d7e9a21c2e6aff104b11bd5

      Matzneff a revendiqué la paternité de cette pétition dans un article publié en 2003 sur son blog. Cf. Robin Andraca, « Matzneff : les signataires d’une pétition pro-pédophilie de 1977 ont-ils émis des regrets ? »
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Gabriel_Matzneff#cite_note-p%C3%A9tition-68

      La plupart des personnes contactées se montrèrent favorables ; il n’y eut que de rares refus (Marguerite Duras, Hélène Cixous, Xavière Gauthier, Michel Foucault entre autres).

    • Merci @mad_meg Tout ce beau monde a porté Matzneff à la gloire et continue de distiller ce droit au viol même si ce n’est plus de la même manière, ces soutiens montent encore haut dans l’arbre des tenants de la culture française. Ces personnes sont de fait souteneurs des pédocriminels et du passage à l’acte de nombre de malades sexuels inconnus de la littérature qui n’auront pas de place au panthéon médiatique ou politique mais qui ont harcelé et violé des enfants à la suite de ce blanc seing qui leur a été donné.

      Je pense avec compassion aux générations suivantes qu’il faut protéger et aux survivant·es d’enfances brisées par tout ces abuseurs de pouvoir.

    • en 2019/2020 pour avoir mené cette enquête sur les signataires, et notamment sur Maltais, et pour avoir vu des documentaires qui encensent (Godbout) cet infect mec et ces délires terrifiants … ne serait-ce que de voir dans le dernier épisode les adeptes pleurer cette secte criminelle qui disent y voir du positif, vraiment, je peux pas supporter cela. C’est une réhabilitation par arte que je trouve très problématique des délirium gaïaland etc.

      Je laisse juste ce lien vers Rapport de la Commission d’enquête parlementaire belge sur les pratiques illégales des sectes - Examen du dossier judiciaire d’Ecoovie - L’organisation du groupe en Belgique Chambre des Représentants de Belgique
      mars 1997
      https://www.lachambre.be/doc/flwb/pdf/49/0313/49k0313008.pdf

    • Secte Ecoovie : à partir de la page51 du document. Merci @touti
      Et oui, malheureusement, certain·es ancien·nes adeptes semblent toujours sous une forte emprise et le témoignage de certains concernant le décès de l’un d’entre eux est sidérant. C’est à peine s’ils comprennent la gravité de leurs actes.

    • @sombre emprise d’autant plus forte et ignoble que le gourou avait des pratiques sexuelles (documentées dans certains reportages) consistant à être l’étalon reproducteur du groupe. Il interdisait les couples et séparait les enfants des adultes. Comment s’extraire alors de ce genre de secte.

      On retrouve dans le rapport belge le quartier privilégié de Matzneff St Germain des Près, Odéon où les deux Nègrepont exposaient leurs photos à la galerie Régine Lussan.

    • Oui, j’avais pas encore tout visionné. Ce qui est troublant, ce sont ces deux adeptes femmes choisies par le maître comme reproductrices et visiblement en état de #stress_post_traumatique qui n’arrivent pas à mettre des mots sur ce qu’elles ont dû subir. Quant au décès du très jeune enfant initié secrètement par le gourou parce qu’il était (soit disant) appelé à être le futur chaman de la tribu, comment dire ... Une belle pourriture ce pseudo-Amérindien Micmac ... (ou plutôt mic-mac)
      #sectes #emprise #manipulations_mentales

    • 24 nov. 2023
      Le film « Le consentement » est toujours à l’affiche à Paris dans plus de 10 salles et encore projeté dans les villes de

      Marseille
      Nantes
      Nice
      Brest
      Annemasse
      Avignon
      La Rochelle
      Montpellier
      Perpignan
      Lyon
      Rouen
      Nanterre
      Tours
      Grenoble
      Le Mans
      Ambérieu-en-Bugey
      Bohain-en-Vermandois
      Vichy
      Manosque

      Tu ne verras donc pas ce film à Lille, Rennes, Bordeaux ou Toulouse (soit des villes d’étudiant·es avec entre 200 000 et 500 000 habitants) rassure toi, tu peux toujours aller à Ambérieu-en-Bugey ville qui dispose d’une gare pour ses 15.000 habitants (et apparemment d’un cinéma) à 35 km au sud-est de Bourg-en-Bresse.

  • Appel d’urgence à la communauté internationale – mettez fin au transfert forcé en Cisjordanie
    Posted on octobre 30, 2023 | B’Tselem | Traduction J.Ch. pour l’AURDIP
    https://aurdip.org/appel-durgence-a-la-communaute-internationale-mettez-fin-au-transfert-force-

    Au cours des trois dernières semaines, depuis les atrocités du Hamas du 7 octobre, les colons ont exploité le manque d’attention du public envers la Cisjordanie, ainsi que l’atmosphère générale de rage contre les Palestiniens, pour intensifier leur campagne de violentes attaques dans une tentative de transfert forcé des communautés palestiniennes. Au cours de cette période, pas moins de treize communautés d’éleveurs ont été déplacées. Encore bien plus sont en danger d’être forcées à fuir dans les jours à venir si une action immédiate n’est pas entreprise.

    Les fermiers palestiniens sont particulièrement vulnérables à cette époque, saison annuelle de la récolte des olive, parce que, s’ils ne peuvent pas ramasser leurs olives, ils vont perdre une année de revenus. Hier, Bilal Muhammed Saleh, du village d’As-Sawiya au sud de Naplouse, a été assassiné alors qu’il s’occupait de ses oliviers. Il est le septième Palestinien a avoir été tué par les colons depuis le début de la guerre en cours.

    Malheureusement, le gouvernement israélien est favorable à ces attaques et ne fait rien pour arrêter cette violence. Au contraire : des ministres du gouvernement et autres responsables soutiennent la violence et, dans de nombreux cas, l’armée est présente ou même participe à la violence, y compris dans des incidents où les colons ont tué des Palestiniens. Qui plus est, depuis que la guerre a commencé, il y a eu un nombre croissant d’incidents dans lesquels il a été rapporté que des colons violents ont attaqué les communautés palestiniennes voisines sous uniforme militaire et en utilisant des armes livrées par le gouvernement.

    Avec une grande inquiétude et une claire compréhension du paysage politique, nous attestons que la seule façon de mettre fin à ce transfert forcé en Cisjordanie est une intervention claire, forte et directe de la communauté internationale.

    Le moment est venu d’agir.

    A Land for All – Two States, One Homeland | Akevot Institute | Amnesty International Israel | Association for Civil Rights in Israel | B’Tselem | Bimkom – Planners for Planning Rights | Breaking the Silence | Combatants for Peace | Comet-ME | Emek Shaveh | HaMoked : Center for the Defence of the Individual | Haqel – In Defense of Human Rights | Itach-Maaki – Women Lawyers for Social Justice | Ir Amim | Jordan Valley Activists | Kerem Navot | Machsom Watch | Mothers Against Violence Israel | Other Voice | Parents Against Child Detention | Physicians for Human Rights Israel | Policy Working Group (PWG) | Psychoactive | Rabbis for Human Rights | Re’acha Kamocha | Social Workers for Welfare and Peace | The School for Peace in Wahat al-Salam Neve Shalom | Torat Tzedek | Yesh Din | Zazim – Community Action | Zochrot

    #ONGIsraéliennes #7oct23

  • Pour tous ceux qui ne sont pas capables de couper les liens, ou de ne pas en créer avec un état créé à l’époque coloniale avec toute la barbarie de l’époque coloniale, qui n’a jamais accepté de sortir du colonialisme et qui maintenant pratique la barbarie coloniale avec les armes les plus sophistiquées.

    https://x.com/Andychuho/status/1718766644258877705?s=20

    #Israel #Union-Européenne #Etats-Unis #Barbarie #Crimes-de-guerre #Génocide #assassinats-d'-enfants #Gaza

    • La partialité systématique des #médias_occidentaux trouve un écho dans la réaction symétrique du #monde_arabe et d’une bonne partie des pays du #Sud, où le soutien de l’#Occident à la résistance de l’Ukraine contre l’agression russe, alors qu’il refuse de reconnaître l’agression d’Israël contre les #Palestiniens sous #occupation, a déjà suscité des accusations d’hypocrisie (une division qui rappelle les fractures de 1956, lorsque les peuples des « pays en voie de développement » étaient solidaires de la lutte de l’Algérie pour l’autodétermination, tandis que les pays occidentaux soutenaient la résistance de la Hongrie à l’invasion soviétique).

      ... Les fantasmes ethno-tribalistes de la #gauche_décoloniale, avec ses invocations rituelles de Fanon et son exaltation des guérilleros en parapente du Hamas, sont en effet pervers. Comme l’écrivait l’écrivain palestinien Karim Kattan dans un essai émouvant publié par le journal Le Monde6, il semble être devenu impossible à certains amis autoproclamés de la Palestine de dire tout à la fois que « les massacres comme ceux qui ont eu lieu à la rave party du festival Tribe of Nova sont une horreur indigne » et qu’« Israël est une puissance coloniale féroce, coupable de crimes contre l’humanité ».

      ... Quant aux habitants de #Gaza, ils sont non seulement contraints de payer pour les actions du Hamas, mais aussi, une fois de plus, pour les crimes d’Hitler. Et l’impératif d’invoquer la Shoah est devenu le véritable « dôme de fer » idéologique d’Israël, son bouclier contre toute critique de ses actions.

      ... La vérité incontournable, c’est qu’Israël ne peut pas plus étouffer la résistance palestinienne par la violence que les Palestiniens ne peuvent vaincre dans une guerre de libération de type algérien : juifs israéliens et Arabes palestiniens sont « coincés » dans une relation inextricable — à moins qu’Israël, de loin le plus fort des deux adversaires, ne pousse les Palestiniens à l’exil pour de bon. La seule chose qui puisse sauver les peuples d’Israël et de Palestine et empêcher une nouvelle Nakba — laquelle est devenue une possibilité réelle, alors qu’une nouvelle Shoah n’est qu’une hallucination d’origine traumatique — est une solution politique qui accorde aux deux peuples un égal droit de citoyenneté et leur permette de vivre en paix et en liberté, que ce soit dans un unique État démocratique, dans deux États ou dans une fédération. Tant que la quête de cette solution sera refoulée, la dégradation continue de la situation est pratiquement garantie, et avec elle la certitude d’une catastrophe encore plus terrible.

      https://seenthis.net/messages/1023747
      https://seenthis.net/messages/1022464

      #Israël #Palestine ##Franz_Fanon #vengeance #luttes_de_libération_nationale #extermination_des_juifs_par_les_Nazis #dôme_de_fer_idéologique_d’Israël #pathologie_de_la_vengeance #culte_de_la_force #crimes_de_guerre #crimes_contre_l’humanité

    • En ce lundi, l’#armée_israélienne affirme avoir frappé, via les airs et au sol, plus de 600 cibles dans #Gaza ces vingt-quatre dernières heures. Dans le détail : « des dépôts d’armes, positions de lancement de missiles antichar, caches du #Hamas » et « des dizaines » de chefs du mouvement islamiste tués. Des chars israéliens sont postés à la lisière de #Gaza_City et le principal axe routier nord-sud est coupé. C’est vendredi en fin de journée que l’État hébreu a lancé son opération d’envergure, annoncée depuis près de deux semaines déjà. Mêlant #incursions_terrestres localisées – surtout dans le nord de l’enclave palestinienne – et #bombardements intensifiés. Samedi, le Premier ministre israélien Benyamin Netanyahou a prévenu : la #guerre sera « longue et difficile ».

      Vendredi, 17 h 30. La #bande_de_Gaza plonge dans le noir. Plus d’électricité, plus de réseau téléphonique, ni de connexion internet. Le #black-out total. Trente-six heures de cauchemar absolu débutent pour les Gazaouis. Coupés du monde, soumis au feu. L’armée israélienne pilonne le territoire : plus de 450 bombardements frappent, aveugles. La population meurt à huis clos, impuissante. Après avoir quitté Gaza City au début de la riposte israélienne (lire l’épisode 1, « D’Israël à Gaza, la mort aux trousses »), Abou Mounir vit désormais dans le centre de la bande de Gaza, avec ses six enfants. Ce vendredi, il est resté cloîtré chez lui. Lorsqu’il retrouve du réseau, le lendemain matin, il est horrifié par ce qu’il découvre. « Mon quartier a été visé par des tirs d’artillerie. L’école à côté de chez moi, où sont réfugiées des familles, a été touchée. Devant ma porte, j’ai vu tous ces blessés agonisants, sans que personne ne puisse les aider. C’est de la pure #folie. Ils nous assiègent et nous massacrent. Cette façon de faire la guerre… On se croirait au Moyen-Âge », souffle le père de famille, qui dénonce « une campagne de #vengeance_aveugle ». L’homme de 49 ans implore Israël et la communauté internationale d’agir urgemment. « La seule et unique solution possible pour nous tous, c’est la #solution_politique. On l’a répété un million de fois : seule une solution politique juste nous apportera la paix. »

      Toujours à Gaza City avec sa famille, la professeure de français Assya décrit ce jour et demi d’#angoisse : « On se répétait : “Mais que se passe-t-il, que va-t-il nous arriver ?” On entendait les bombardements, boum, boum, boum… Ça n’arrêtait pas ! Ma petite-fille de 1 an, la fille de mon fils, quand il y avait de grosses explosions, elle pleurait. Alors nous, on faisait les clowns pour lui faire croire que c’était pour rire. Et elle se calmait… Chaque matin, c’est un miracle qu’on soit encore là… » Chaque jour aussi, Assya demande si nous, journalistes, en savons plus sur un cessez-le-feu.

      Plus de 8 000 Gazaouis ont péri, mais leurs suppliques résonnent dans le vide jusqu’à présent. Elles sont pourtant de plus en plus pressantes, face à la #situation_humanitaire qui se dégrade dramatiquement. Ce samedi, des entrepôts des Nations unies ont été pillés. « C’est le signe inquiétant que l’ordre civil est en train de s’effondrer après trois semaines de guerre et de #siège de Gaza. Les gens sont effrayés, frustrés et désespérés », a averti Thomas White, directeur des opérations de l’UNRWA, l’agence onusienne pour les réfugiés palestiniens. Assya confirme : l’un de ses cousins est revenu avec des sacs de sucre, de farine, des pois chiches et de l’huile. Quand elle lui a demandé d’où ça venait, il lui a raconté, le chaos à Deir Al-Balah, dans le sud de l’enclave. « Les gens ont cassé les portes des réserves de l’UNRWA, ils sont entrés et ont pris la farine pour se faire du pain eux-mêmes, car ils n’ont plus rien. La population est tellement en #colère qu’ils ont tout pris. » Depuis le 21 octobre, seuls 117 camions d’#aide_humanitaire (lire l’épisode 2, « “C’est pas la faim qui nous tuera mais un bombardement” ») ont pu entrer dans la bande de Gaza dont 33 ce dimanche), via le point de passage de Rafah au sud, à la frontière égyptienne. L’ONU en réclame 100 par jour, pour couvrir les besoins essentiels des Gazaouis. Le procureur de la Cour pénale internationale Karim Khan a averti : « Empêcher l’acheminement de l’aide peut constituer un #crime. […] Israël doit s’assurer sans délai que les #civils reçoivent de la #nourriture, des #médicaments. »

      Les corps des 1 400 victimes des attaques du 7 octobre sont dans une #morgue de fortune. Beaucoup ont subi des sévices, ont été brûlés. L’#horreur à l’état pur

      En écho à cette situation de plus en plus dramatique, Israël a intensifié sa guerre de la #communication. Pas question pour l’État hébreu de laisser le Hamas ni les Palestiniens gagner la bataille de l’émotion au sein des opinions. Depuis une dizaine de jours, les autorités israéliennes estiment que les médias internationaux ont le regard trop tourné vers les Gazaouis, et plus assez sur le drame du 7 octobre. Alors Israël fait ce qu’il maîtrise parfaitement : il remet en marche sa machine de la « #hasbara ». Littéralement en hébreu, « l’explication », euphémisme pour qualifier ce qui relève d’une véritable politique de #propagande. Mais cela n’a rien d’un gros mot pour les Israéliens, bien au contraire. Entre 1974 et 1975, il y a même eu un éphémère ministère de la Hasbara. Avant cela, et depuis, cette tâche de communication et de promotion autour des actions de l’État hébreu, est déléguée au ministère des Affaires étrangères et à l’armée.

      Un enjeu d’autant plus important face à cette guerre d’une ampleur inédite. C’est pourquoi, chaque jour de cette troisième semaine du conflit, l’armée israélienne a organisé des événements à destination de la #presse étrangère. Visites organisées des kibboutzim où les #massacres de civils ont été perpétrés : dimanche dans celui de Beeri, mercredi et vendredi à Kfar Aza, jeudi dans celui de Holit. Autre lieu ouvert pour les journalistes internationaux : la base de Shura, à Ramla, dans la banlieue de Tel Aviv. Elle a été transformée en morgue de fortune et accueille les 1 400 victimes des attaques du 7 octobre, afin de procéder aux identifications. Dans des tentes blanches, des dizaines de conteneurs. À l’intérieur, les corps. Beaucoup ont subi des sévices, ont été brûlés. L’horreur à l’état pur.

      Mais l’apogée de cette semaine de communication israélienne, c’est la convocation générale de la presse étrangère, lundi dernier, afin de visionner les images brutes des massacres. Quarante-trois minutes et quarante-quatre secondes d’une compilation d’images des GoPro embarquées des combattants du Hamas, des caméras de vidéosurveillance des kibboutzim, mais aussi des photos prises par les victimes avec leurs téléphones, ou par les secouristes. Le tout mis bout à bout, sans montage. Des images d’une violence inouïe. Une projection vidéo suivie d’une conférence de presse tenue par le porte-parole de l’armée israélienne, le général Daniel Hagari. Il le dit sans détour : l’objectif est de remettre en tête l’ignominie de ce qui s’est passé le 7 octobre dernier. Mais également de dire aux journalistes de mieux faire leur travail.

      Il les tance, vertement : « Vous ! Parfois, je prends trente minutes pour regarder les infos. Et j’ai été choqué de voir que certains médias essayent de COMPARER ce qu’Israël fait et ce que ces vils terroristes ont fait. Je ne peux pas comprendre qu’on essaye même de faire cette #comparaison, entre ce que nous venons de vous montrer et ce que l’armée fait. Et je veux dire à certains #médias qu’ils sont irresponsables ! C’est pour ça qu’on vous montre ces vidéos, pour qu’aucun d’entre vous ne puisse se dire que ce qu’ils font et ce que nous faisons est comparable. Vous voyez comment ils se sont comportés ! » Puis il enfonce le clou : « Nous, on combat surtout à Gaza, on bombarde, on demande aux civils d’évacuer… On ne cherche pas des enfants pour les tuer, ni des personnes âgées, des survivants de l’holocauste, pour les kidnapper, on ne cherche pas des familles pour demander à un enfant de toquer chez ses voisins pour les faire sortir et ensuite tuer sa famille et ses voisins devant lui. Ce n’est pas la même guerre, nous n’avons pas les mêmes objectifs. »

      Ce vendredi, pour finir de prouver le cynisme du Hamas, l’armée israélienne présente des « révélations » : le mouvement islamiste abriterait, selon elle, son QG sous l’hôpital Al-Shifa de Gaza City. À l’appui, une série de tweets montrant une vidéo de reconstitution en 3D des dédales et bureaux qui seraient sous l’établissement. Absolument faux, a immédiatement rétorqué le Hamas, qui accuse Israël de diffuser « ces mensonges » comme « prélude à la perpétration d’un nouveau massacre contre le peuple [palestinien] ».

      Au milieu de ce conflit armé et médiatique, le Président français a fait mardi dernier une visite en Israël et dans les territoires palestiniens. Commençant par un passage à Jérusalem, #Emmanuel_Macron a réaffirmé « le droit d’Israël à se défendre », appelant à une coalition pour lutter contre le Hamas dans « la même logique » que celle choisie pour lutter contre le groupe État islamique. Il s’est ensuite rendu à Ramallah, en Cisjordanie occupée, au siège de l’Autorité palestinienne. « Rien ne saurait justifier les souffrances » des civils de Gaza, a déclaré Emmanuel #Macron. Qui a lancé un appel « à la reprise d’un processus politique » pour mettre fin à la guerre entre Israël et le Hamas. Tenant un discours d’équilibriste, rappelant que paix et sécurité vont de pair, le Président a exigé la mise en œuvre de la solution à deux États, comme seul moyen de parvenir à une paix durable. Une visite largement commentée en France, mais qui a bien peu intéressé les Palestiniens.

      Car si les projecteurs sont braqués sur Israël et Gaza depuis le début de la guerre, les Palestiniens de #Cisjordanie occupée vivent également un drame. En à peine trois semaines, plus de 120 d’entre eux ont été tués, selon le ministère de la Santé de l’Autorité palestinienne. Soit par des colons juifs, soit lors d’affrontements avec les forces d’occupation israéliennes. Bien sûr, la montée de la #violence dans ce territoire avait commencé bien avant la guerre. Mais les arrestations contre les membres du Hamas, les raids réguliers menés par l’armée et les attaques de colons prennent désormais une autre ampleur. Ce lundi matin encore, l’armée israélienne a mené un raid sur le camp de Jénine, au nord de la Cisjordanie, faisant quatre morts. Selon l’agence de presse palestinienne Wafa, plus de 100 véhicules militaires et deux bulldozers sont entrés dans le camp. Déjà, mercredi dernier, deux missiles tirés depuis les airs en direction d’un groupe de personnes avait fait trois morts à #Jénine.

      À chaque mort de plus, la colère monte derrière les murs qui encerclent les Territoires. À Gaza, mais aussi en Cisjordanie

      À chaque mort de plus, la colère monte derrière le mur qui encercle les territoires palestiniens. Du sud, à Hébron, au nord, à Naplouse, en passant par Jénine et Ramallah, les #manifestations ont émaillé ces trois dernières semaines, s’intensifiant au fil du temps. À chaque fois, les Palestiniens y réclament la fin de l’#occupation, la mise en œuvre d’une solution politique pour un #accord_de_paix et surtout l’arrêt immédiat des bombardements à Gaza. Ce vendredi, quelques milliers de personnes s’étaient rassemblés à Ramallah. Drapeaux palestiniens à la main, « Que Dieu protège Gaza » pour slogan, et la rage au ventre. Yara était l’une d’entre eux. « Depuis le début de la guerre, le #traitement_médiatique en Europe et aux États-Unis est révoltant ! L’indignation sélective et le deux poids deux mesures sont inacceptables », s’énerve la femme de 38 ans. Son message est sans ambiguïté : « Il faut mettre un terme à cette agression israélienne soutenue par l’Occident. » Un sentiment d’injustice largement partagé par la population palestinienne, et qui nourrit sa colère.

      Manal Shqair est une ancienne militante de l’organisation palestinienne Stop The Wall. Ce qui se passe n’a rien de surprenant pour elle. La jeune femme, qui vit à Ramallah, analyse la situation. Pour elle, le soulèvement des Palestiniens de Cisjordanie n’est pas près de s’arrêter. « Aujourd’hui, la majorité des Palestiniens soutient le Hamas. Les opérations militaires du 7 octobre ont eu lieu dans une période très difficile traversée par les Palestiniens, particulièrement depuis un an et demi. La colonisation rampante, la violence des colons, les tentatives de prendre le contrôle de la mosquée Al-Aqsa à Jérusalem et enfin le siège continu de la bande de Gaza par Israël ont plongé les Palestiniens dans le #désespoir, douchant toute perspective d’un avenir meilleur. » La militante ajoute : « Et ce sentiment s’est renforcé avec les #accords_de_normalisation entre Israël et plusieurs pays arabes [les #accords_d’Abraham avec les Émirats arabes unis, Bahreïn, le Maroc et le Soudan, ndlr]. Et aussi le sentiment que l’#Autorité_palestinienne fait partie de tout le système de #colonialisme et d’occupation qui nous asservit. Alors cette opération militaire [du 7 octobre] a redonné espoir aux Palestiniens. Désormais, ils considèrent le Hamas comme un mouvement anticolonial, qui leur a prouvé que l’image d’un Israël invincible est une illusion. Ce changement aura un impact à long terme et constitue un mouvement de fond pour mobiliser davantage de Palestiniens à rejoindre la #lutte_anticoloniale. »

      #7_octobre_2023 #à_lire

    • Ma petite-fille de 1 an, la fille de mon fils, quand il y avait de grosses explosions, elle pleurait. Alors nous, on faisait les clowns pour lui faire croire que c’était pour rire.

      C’est exactement ce qu’on faisait ma femme et moi à notre fils de 4 ans en 2006 au Liban.

  • La Question d’Israël, Olivier Tonneau
    https://blogs.mediapart.fr/olivier-tonneau/blog/161023/la-question-disrael

    La violence qui s’abat sur Gaza appelle à une condamnation sans faille d’Israël. Elle suscite également pour l’Etat hébreu une haine qui exige, en revanche, d’être soumise à l’analyse.

    Ce texte mûrit depuis des années. J’aurais préféré ne pas l’écrire en des temps de fureur et de sang mais sans l’effroi de ces derniers jours, je ne m’y serais peut-être jamais décidé.
    Effroi devant les crimes du #Hamas : j’ai repris contact avec Noam, mon témoin de mariage perdu de vue depuis des années qui vit à Tel Aviv, pour m’assurer qu’il allait bien ainsi que ses proches. Effroi devant les cris de joie poussés par tout ce que mon fil Facebook compte d’ « #antisionistes », puis par le communiqué du #NPA accordant son soutien à la résistance palestinienne quelques moyens qu’elle choisisse – comme si la #guerre justifiait tout et qu’il n’existait pas de #crimes_de_guerre.
    Effroi, ensuite, face aux réactions des #médias français qui, refusant absolument toute contextualisation de ces crimes, préparaient idéologiquement l’acceptation de la répression qui s’annonçait. Effroi face à cette répression même, à la dévastation de #Gaza. Effroi d’entendre Netanyahou se vanter d’initier une opération punitive visant à marquer les esprits et les corps pour des décennies, puis son ministre qualifier les #Gazaouis d’animaux. Ainsi les crimes commis par le Hamas, que seule une mauvaise foi éhontée peut séparer des violences infligées par le gouvernement d’extrême-droite israélien aux #Palestiniens, servent de prétexte au durcissement de l’oppression qui les a engendrés. Effroi, enfin, face au concert d’approbation des puissances occidentales unanimes : les acteurs qui seuls auraient le pouvoir de ramener #Israël à la raison, qui d’ailleurs en ont la responsabilité morale pour avoir porté l’Etat Hébreu sur les fonts baptismaux, l’encouragent au contraire dans sa démence suicidaire.

    Je veux dans ce texte dire trois choses. Les deux premières tiennent en peu de mots. D’abord, ceux qui hurlent de joie face au #meurtre_de_civils ont perdu l’esprit. Je n’ose imaginer ce qui se passe dans celui de victimes d’une oppression soutenue ; quant aux #militants regardant tout cela de France, ils ont en revanche perdu toute mon estime. Cependant – c’est la deuxième chose – si la qualification des actes du #Hamas ne fait aucun doute, un crime s’analyse, même en droit, dans son contexte. Or si la responsabilité des agents est toujours engagée, elle ne délie nullement Israël de sa responsabilité écrasante dans la mise en œuvre d’occupations, de répressions, de violences propres à susciter la haine et la folie meurtrière. Qui plus est, Israël étant dans l’affaire la puissance dominante a seule les moyens de transformer son environnement. Le gouvernement Israélien est cause première de la folie meurtrière et premier responsable de l’accélération du cycle infernal. Qu’il y eût une troisième chose à dire, c’est ce qui m’est apparu en lisant dans un tweet de Louis Boyard : 
    « Il est hors de question que je me penche sur la question d’Israël (…). L’Etat d’Israël est une terre « volée » à la Palestine qu’ils le veuillent ou non ».

    Ce sont là propos parfaitement banals de la part des antisionistes d’aujourd’hui. Ils ont le mérite de dire crûment que la critique d’Israël, au-delà des actes barbares commis par son gouvernement, porte sur le fondement même de l’Etat hébreu dont on aurait tout dit une fois rappelé qu’il s’est fondé sur le « vol » d’une terre. Cette attitude est à mes yeux irresponsable et même choquante. Comment ne pas entendre l’écho assourdissant de la vieille « question juive » dans la formule « question d’Israël » ? Aussi l’enjeu principal de ce texte, qui exige un développement d’une certaine longueur, est cette question même.

    ... « la #colonisation travaille à déciviliser le #colonisateur, à l’abrutir au sens propre du mot, à le dégrader, à le réveiller aux instincts enfouis, à la convoitise, à la violence, à la #haine_raciale, au relativisme moral » (Aimé Césaire)

    ... « La référence permanente au génocide des Juifs d’Europe et l’omniprésence de ces terribles images fait que, si la réalité du rapport de forces rend impossible l’adoption des comportements des victimes juives, alors on adopte, inconsciemment ou en général, les comportements des massacreurs du peuple juif : on marque les Palestiniens sur les bras, on les fait courir nus, on les parque derrière des barbelés et des miradors, on s’est même servi pendant un cours moment de Bergers Allemands. » #Michel_Warschawski

    ... le gouvernement israélien ne fonde pas sa sécurité sur le désarmement du Hamas mais sur le traumatisme des Palestiniens dans leur ensemble, ces « animaux » auxquels on promet un châtiment qui rentrera dans l’histoire – comme s’il était temps de leur offrir, à eux aussi, l’impérissable souvenir d’un holocauste....

    ... « Encore une victoire comme celle-là et nous sommes perdus » (Ahron Bregman)

    ... si deux millions de pieds-noirs ont pu retraverser la Méditerranée, deux cent cinquante mille colons peuvent repasser la ligne verte : c’est une question de volonté politique.

    #toctoc #nationalisme #génocide #déshumanisation_de_l’autre #juifs #israéliens #Intifada #11_septembre_2001 #Patriot_Act #histoire #utopie #paix #Henry_Laurens #Edward_Saïd #Maxime_Rodinson #Ahron_Bregman #Henryk_Erlich #Emmanuel_Szerer #Bund #POSDR #URSS #fascisme #nazisme #Vladimir_Jabotinsky #sionisme #Etats-Unis #Grande-Bretagne #ONU #Nakba #Arthur_Koestler #Albert_Memmi #libération_nationale #Shlomo_Sand #Ilan_Pappe #apartheid #loi_militaire #antisémitisme #diaspora_juive #disapora #religion #fascisme_ethniciste