• L’ossessione dell’Alto Adige per la sicurezza colpisce attivisti e migranti

    Il nuovo questore della Provincia autonoma di Bolzano, #Paolo_Sartori, insediatosi a inizio marzo, ha impresso una decisa accelerazione della repressione di attivisti politici e soggetti marginali. Fogli di via, espulsioni, Daspo urbano e avvisi orali. Buona parte della cittadinanza applaude al suo operato ma c’è anche chi continua a far sentire la propria voce

    Il 17 luglio di quest’anno una “battitura” ha dato il via alla protesta dei detenuti del carcere di Bolzano contro le condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari in Italia. Un gruppo di solidali si è recato spontaneamente sotto le mura della struttura del capoluogo altoatesino per ascoltare e sostenere le ragioni dei reclusi, nel tentativo di spezzare il loro isolamento e fare da megafono alle loro istanze.

    Più tardi il gruppo è stato raggiunto in un bar da due volanti della polizia. Portati in questura, gli attivisti sono stati fotosegnalati e denunciati per “manifestazione non autorizzata”. A uno di loro, residente a Laives, un Comune limitrofo, è stato consegnato un foglio di via da Bolzano della durata di due anni.

    Si tratta di uno degli ultimi episodi in cui il “pugno duro” del questore Paolo Sartori si è abbattuto sul gruppo di attivisti politici e militanti antimilitaristi altoatesini.

    “Il #foglio_di_via, così come il #Divieto_di_accesso_ad_aree_urbane (Dacur, il cosiddetto #daspo_urbano, ndr), è una misura di natura amministrativa che limita la libertà di movimento e opera preventivamente rispetto alla commissione di reati”, spiega l’avvocata bolzanina Francesca De Angeli. Diffusamente utilizzato durante il fascismo nei confronti di chi si opponeva al regime, oggi questo dispositivo è previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo 159/2011, noto come “Codice antimafia e delle misure di prevenzione”.

    La sua applicazione non prevede la convalida di un giudice, ma è sufficiente che il questore ritenga -sulla base di elementi di fatto concreti e univoci- che un soggetto manifesti con il suo comportamento atteggiamenti riconducibili al concetto di pericolosità sociale. “Sebbene questo strumento dovrebbe basarsi su fatti connessi a motivazioni che sottolineino la concreta e reale pericolosità della persona -evidenzia De Angeli-, a Bolzano le misure di prevenzione sembrano essere più che altro la ricetta per isolare e allontanare i soggetti sgraditi”.

    Nel capoluogo altoatesino, infatti, si assiste a un utilizzo disinvolto di questi dispositivi e, osserva l’avvocata, “i fogli di via rilasciati appaiono spesso ciclostilati, in alcuni casi non viene menzionato il luogo di residenza o di dimora abituale -presupposto giuridico per l’applicazione del foglio di via- in cui la persona dovrebbe fare ritorno e, spesso, sono carenti nelle motivazioni”.

    È questo, per esempio, il caso dell’attivista politico allontanato da Bolzano a luglio. Ad Altreconomia l’uomo racconta che “il foglio di via che mi è stato notificato contiene alcune inesattezze macroscopiche e falsità come per esempio alcuni precedenti per i quali non sono mai stato denunciato o che a Bolzano non svolgo alcuna attività lavorativa, né abbia legami di parentela”.

    Un’altra misura utilizzata dal questore è l’avviso orale, un invito a mutare la propria condotta, preludio alla “sorveglianza speciale”. Quest’estate nei confronti di altri due militanti bolzanini a un precedente avviso orale è seguito l’“avviso orale aggravato”, sui cui l’ordinanza 46076 del 2021 della Corte di Cassazione ha sollevato questioni di legittimità costituzionale.

    Tra le prescrizioni -alcune delle quali chiaramente tarate su soggetti di altro tipo, come per esempio “il divieto di possedere mezzi di trasporto blindati, radar e visori notturni”- rientra il divieto di usare “in tutto o in parte piattaforme o servizi informatici e telematici quali social network, nonché possedere o utilizzare telefoni cellulari, smartphone, tablet, laptop che consentano connessioni dati via wi-fi o con Sim”.

    “Contro questi provvedimenti è possibile presentare ricorso al Tribunale amministrativo regionale ma va detto che non tutti hanno le medesime possibilità di accesso alla giustizia e che il costo per un procedimento amministrativo può raggiungere anche alcune migliaia di euro”, puntualizza De Angeli. Chi non ha diritto al gratuito patrocinio -per il 2024 tutti coloro che superano la soglia di reddito annua di 12.838 euro-, deve versare infatti 650 euro solo per il contributo unificato, a cui poi si devono aggiungere le spese legali.

    Nel mirino del questore di Bolzano non ci sono solo gli attivisti politici. Le operazioni di “prevenzione generale” -così vengono nominate nei comunicati stampa della questura- colpiscono anche i soggetti marginalizzati, soprattutto persone senza dimora e migranti.

    A fine luglio la questura di Bolzano ha pubblicato i dati del proprio operato in materia di “contrasto all’immigrazione”: nei primi sette mesi dell’anno si sono registrate 162 espulsioni e ordini di allontanamento (erano state 134 in tutto il 2023) e sono stati revocati 92 permessi di soggiorno. In conferenza stampa Sartori ha rivendicato la quantità dei provvedimenti emessi in un così breve arco di tempo, ma andando alla ricerca delle storie di chi queste sanzioni le subisce appare evidente come l’azione delle forze di polizia assuma in molti casi i contorni di una “pesca a strascico”, che non prende in esame la singola posizione della persona che ha di fronte, la sua storia o i rischi che può correre in caso di rimpatrio.

    In questo senso sono emblematiche diverse vicende raccolte da attivisti e volontari della società civile. “O. stava mangiando un panino all’aperto in pausa pranzo, visto che una casa non ce l’ha, ed è stato allontanato da Bolzano con l’accusa di aver tenuto ‘un comportamento lesivo del decoro della quiete pubblica’”, racconta Federica Franchi, attivista di Bozen Solidale. “Ma dove dovrebbe andare se è costretto a vivere per strada?”.

    Il caso più eclatante -denunciato anche da una lettera della campagna LasciatCIEntrare-, ad oggi, però, è senza dubbio quello di M., giovane uomo di origine irachena. Il ragazzo ha 13 anni quando, nel 2010, in seguito all’uccisione del padre, scappa dall’Iraq con la madre e i suoi sette fratelli. M. arriva quindi a Bolzano con la sua famiglia, dove vive uno zio. In Alto Adige il giovane commette alcuni reati che lo portano a scontare delle pene detentive. Chiude definitivamente i conti con la giustizia a maggio di quest’anno e qualche giorno dopo viene fermato in strada a Bolzano per un controllo. Invitato a recarsi in questura per rinnovare il permesso di soggiorno per motivi familiari che attende da tempo, quando si presenta all’appuntamento non trova il tanto agognato documento, bensì un decreto di espulsione con trasferimento immediato al Cpr di Gradisca d’Isonzo (GO).

    M. è considerato persona socialmente pericolosa, senza legami familiari in termini di convivenza e, poiché non ha mai richiesto protezione internazionale, dev’essere rispedito in Iraq. Così il 27enne viene portato all’aeroporto di Bologna e imbarcato su un volo diretto a Baghdad. I tentativi di intervento degli avvocati e delle attiviste di LasciateCIEntrare sono inutili. M. sbarca da solo in un Paese che non conosce più e che aveva abbandonato per sfuggire alla morte.

    Secondo i dati del Sole 24 Ore, nel 2022 in provincia di Bolzano si sono registrati 16.258 delitti denunciati, con una media di 30,48 denunce ogni mille abitanti. I numeri altoatesini si mantengono sotto la media nazionale di 38,1 denunce ogni mille abitanti.

    L’azione della questura di Bolzano, accolta con favore dal mondo politico e da larga parte della società e della stampa altoatesina, è accompagnata da una pesante strategia comunicativa. Se fino allo scorso primo marzo, infatti, la sezione “I fatti del giorno” del sito della questura di Bolzano contava in media una o due notizie mensili, da marzo a luglio un deciso cambio di passo ha portato alla pubblicazione di più di 70 contenuti -una media di 14 al mese- e a sfornare comunicati stampa a ritmo incessante.

    In questo modo, il gioco di sponda con alcune testate -in particolare Dolomiten e Alto Adige, principali quotidiani del gruppo editoriale Athesia, che da solo controlla circa l’80% dei media della provincia di Bolzano- da un lato contribuisce alla criminalizzazione di attivisti politici e soggetti marginalizzati, dall’altro favorisce la diffusione di un senso di paura e insicurezza tra i cittadini.

    E proprio la percezione del pericolo sembra essere la principale preoccupazione del questore, al di là dei numeri reali dei crimini commessi sul territorio provinciale. A conferma di questo, in un’intervista rilasciata al portale di informazione locale Salto, lo stesso Sartori ha ammesso che “anche se tutti i fenomeni criminali sono in decrescita, il divario tra percezione della sicurezza e sicurezza reale è più ampio” e per questo “la gente vuol vedere i lampeggianti”. Costi quel che costi.

    https://altreconomia.it/lossessione-dellalto-adige-per-la-sicurezza-colpisce-attivisti-e-migran
    #frontière_sud-alpine #migrations #anti-migrants #criminalisation_de_la_solidarité #criminalisation_de_la_migration #Bolzano #Haut-Adige
    #sécurité #répression #dangerosité_sociale #marginalisation

  • A Como c’è uno scontro sulla solidarietà: «Basta dare colazioni ai senzatetto»

    Il sindaco attacca i sacerdoti che aiutano i più poveri. Dura replica delle opposizioni che hanno ricordato che il primo a dare cibo agli indigenti fu don Roberto Malgesini.

    Una polemica inaspettata, divampata a margine del Consiglio comunale di Como nel quale si discuteva del Regolamento di Polizia locale per dotare alcuni agenti del taser, la pistola a impulsi elettrici. La consigliera di minoranza Patrizia Lissi (Pd), nel dibattito, ha portato in aula una riflessione condivisa con don Giusto Della Valle, parroco della comunità pastorale di Rebbio-Camerlata, da sempre impegnato nell’accoglienza di migranti e persone in difficoltà: «per rendere le città più sicure sarebbe utile intervenire sulle cause dell’insicurezza», a partire da povertà e marginalità. Da qui la replica del sindaco #Alessandro_Rapinese, che ha indicato in don Giusto l’esempio di un’accoglienza indiscriminata, che non si interroga su chi abbia i titoli per stare in Italia. A Como, ha osservato, «gli arresti da metà aprile a oggi» interessano persone che «nemmeno dovrebbero stare qui». E, tornando a don Giusto, il sindaco si è chiesto perché «distribuire le colazioni ai senza dimora», creando assembramenti che poi mettono in difficoltà i residenti. Immediata la reazione delle minoranze: accoglienza e colazioni sono due percorsi separati e la parrocchia di Rebbio è un rifugio per chi non ha dove andare. Senza dimenticare che le colazioni sono un servizio nato con don Roberto Malgesini, ucciso 4 anni fa proprio mentre stava per portare cibo ai senza dimora e al quale l’amministrazione Rapinese ha assegnato, alla memoria, la massima onorificenza cittadina, l’Abbondino d’Oro.

    All’indomani delle polemiche i primi a voler spegnere ogni focolaio sono proprio coloro che, quotidianamente, stanno accanto alle marginalità di Como. Il gruppo delle colazioni, che ha raccolto il testimone dalle mani di don Malgesini, è composto da una quarantina di persone. I punti di distribuzione, in città, sono due: uno in piazza San Rocco, dove abitava don Roberto, l’altro a Porta Torre. In ogni ritrovo convergono una quarantina di persone: senza dimora, italiani e stranieri, ma anche chi una casa ce l’ha e fatica ad arrivare a fine mese (le colazioni e la mensa solidale di Casa Nazareth diventano l’unico modo per poter mangiare). Riusciamo a raggiungere telefonicamente don Giusto: è con un gruppo di giovani disoccupati. Li ha accompagnati nei boschi alla periferia di Como dove stanno tagliando legna per conto di una piccola realtà del territorio. «Ho solo letto qualche titolo», confida. Nel frattempo, è arrivata un’ordinanza urgente dal Comune che intima alla società proprietaria di un’area dismessa a ridosso del cimitero, dove una volta c’era un supermercato, di rendere inaccessibile l’area, visto che, nelle ultime ore, lì sono state sgomberate una dozzina di persone (9 stranieri, 3 italiani). «Como ha bisogno di strutture di bassa soglia – è la riflessione di Marta Pezzati, dell’associazione “Como Accoglie” –. Per cinque sere alla settimana usciamo e incontriamo i senza dimora che sono in città (si calcola almeno 350 – ndr), distribuiamo cibo, beni di prima necessità, ma soprattutto relazioni».

    C’è la consapevolezza che il problema non è di immediata risoluzione. «Ci sono persone psicologicamente fragili o con dipendenze importanti – riconosce Pezzati – ma ci sono anche tanti giovani con ottime risorse. Incontriamo ragazzi con buoni contratti di lavoro che non hanno una casa, perché a Como è ormai difficile per chiunque affittare un appartamento, ancora di più se sei straniero». Nel frattempo, gli sgomberati del supermercato si sono spostati in piazza San Rocco e un sacerdote spiega: «noi continueremo ad aiutare le persone bisognose, perché la carità è il nostro primo compito».

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/como-scontro-colazioni

    #Côme #Italie #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité #SDF #sans-abri #urban_matter #villes #espace_public #anti-pauvres #nourriture #distribution_de_nourriture

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    malheureusement, ce n’est pas nouveau, voir 2018 et 2017:
    https://seenthis.net/messages/748276

  • Why is Italy forbidding NGO planes from departing from Sicily?

    NGO planes are forbidden from departing from five Italian airports near migrant routes on the Mediterranean, officials said this week. Here’s more background on the decision.

    NGO planes that patrol Mediterranean waters for migrant vessels in distress will no longer be able to depart from airports in Sicily, Italy’s civil aviation authority announced this week.

    Here’s some background on the specifics of the decision.
    No flights from Sicilian airports

    Italy’s National Entity for Civil Aviation (#ENAC) — a department of the Ministry of Transport, which is headed by Matteo Salvini — signed five ordinances barring NGO planes from departing the Sicilian airports of Palermo (Punta Raisi and Bocca di Falco), Lampedusa, Pantelleria and Trapani.

    According to the ordinance, these civil airplanes not only violate “the regulative legal framework of the Search and Rescue missions” but also risk “compromising the safety of migrant people who are not assisted by the current protocols approved by the Maritime Authority.”

    ENAC, in the ordinance, further stated that “anyone who takes part in Search and Rescue operations outside the legal provisions of the framework currently in place is punished with sanctions listed in the navigation code, and additional sanctions such as the administrative detention of the airplane.”
    Nadir rescue

    While the new ordinance was announced, German NGO Resquship vessel Nadir rescued a dinghy carrying 57 migrants in international waters.

    https://www.infomigrants.net/en/post/56955/why-is-italy-forbidding-ngo-planes-from-departing-from-sicily

    #sauvetage #Seabird #avions #criminalisation_de_la_solidarité #Méditerranée #mer_Méditerranée #migrations #réfugiés #Colibrì #Pilotes_Volontaires #Italie #aéroports

    • Migranti, il ministero di Salvini vuole fermare gli aerei delle ong. Le ordinanze emanate dall’Enac: “Elusione del quadro normativo”

      Non solo le navi, più volte sottoposte a fermi amministrativi per aver disobbedito alla guardia costiera libica. Adesso il governo prova a impedire alle ong di usare gli aerei che monitorano il Mediterraneo centrale per segnalare imbarcazioni in difficoltà, ma anche per documentare respingimenti o il comportamento dei libici, più volte filmati mentre intimidiscono gli equipaggi delle navi umanitarie o addirittura mentre sparano nel bel mezzo di un soccorso. Lo strumento per fermare velivoli come il Seabird della ong Sea Watch potrebbero essere alcune ordinanze emanate dell’Ente nazionale per l’Aviazione civile (Enac), controllato dal Ministero dei Trasporti di Matteo Salvini. “Interdizione all’operatività dei velivoli e delle imbarcazioni delle ONG sullo scenario del Mare Mediterraneo centrale”, titolano i provvedimenti, che in base a non meglio precisate “segnalazioni trasmesse dal Comando generale della Guardia costiera” accusano i velivoli delle ong di “sostanziale elusione del quadro normativo di riferimento” e minacciano sanzioni e sequestri.

      “Chiunque effettua attività in ambito Search and Rescue al di fuori delle previsioni del quadro normativo vigente è punito con le sanzioni di cui al Codice della navigazione, nonché con l’adozione di ulteriori misure sanzionatorie quali il fermo amministrativo dell’aeromobile“, dice il primo dei due articoli che compongono le ordinanze emanate dall’Enac nei giorni scorsi per tutti gli aeroporti siciliani e delle due isole minori, compreso quello di Lampedusa, il principale scalo utilizzato dai due velivoli operativi, il Seabird di Sea Watch e il Colibrì della ong svizzera Pilots Volontaires. Le ordinanze emanate dalle direzioni territoriali della Sicilia Occidentale e Orientale di Enac sono già in vigore e fin dalle prossime ore potrebbero abbattersi sugli aerei umanitari, impedendo loro di decollare e quindi di sorvolare il Mediterraneo.

      Questo il ragionamento: “Ritenuto che alla luce della normativa nazionale e sovranazionale citata, solo il Comando Generale della Guardia Costiera deve essere riconosciuto unica Autorità Marittima nazionale competente in ambito SAR”, “preso atto delle segnalazioni trasmesse dalla predetta Autorità marittima circa le reiterate attività effettuata da velivoli e natanti, riconducibili alla proprietà di Soggetti anche extra U/E, che si traduce nel prelievo – da imbarcazioni di fortuna – di persone migranti provenienti da rotte nordafricane”, vista la già citata “sostanziale elusione del quadro normativo “che si traduce per la Guardia Costiera nazionale in un aggravio dei propri compiti istituzionali di intervento in mare” e addirittura, si legge, nel rischio di “compromettere l’incolumità delle persone migranti non assistite secondo i protocolli vigenti ed approvati dall’Autorità marittima”, gli aerei che non rispettano le regole rischiano il fermo amministrativo. Come nel caso delle navi, il fermo potrà essere impugnato davanti ai tribunali amministrativi. Ma nel frattempo si resta a terra.

      I legali delle ong sono già al lavoro per contrastare le ordinanze, che almeno nella forma sembrano piuttosto vaghe. Non è chiaro infatti a quali violazioni si riferiscano. Gli aerei non portano materialmente a termine le operazioni SAR e qualora segnalino barche in pericolo sono poi i comandanti delle navi a interagire e ricevere istruzioni dal centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo competente per l’area SAR interessata. L’accusa potrebbe essere la stessa mossa sempre più spesso alle navi umanitarie, quella di interferire con la guardia costiera libica in zona SAR di sua competenza. Ma le ordinanze non citano i decreti del governo Meloni, quelli voluti dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, la cui supposta violazione motiva i recenti fermi proprio con l’accusa di aver disobbedito ai libici. Accusa che più volte è stata dimostrata infondata, anche grazie ai video che smentiscono la versione dei libici. E che nessuno avrà modo di registrare se gli aerei resteranno a terra. Peggio, i migranti in pericolo segnalati dai velivoli potrebbero non essere intercettati. “In passato ci è capitato di avvistare persone in mare dopo che la loro barca si era già capovolta, e di riuscire a farle soccorrere”, racconta al Fatto un componente dell’equipaggio del Seabird. “In alcuni casi è stato chiarissimo: senza un aereo in grado di avvistarli non avrebbero avuto scampo”.

      Le ordinanze di Enac, dichiara la ong Sea Watch, “hanno il chiaro scopo di fermare i nostri aerei da ricognizione, ovvero gli unici occhi della società civile nel Mediterraneo. Occhi fondamentali per documentare le quotidiane violazioni dei diritti umani che vi avvengono, comprese quelle perpetrate dalla cosiddetta guardia costiera libica attraverso le motovedette e le risorse generosamente elargite dal Governo italiano. Fermare gli aerei ONG vuol dire rendere cieca la società civile e i cittadini italiani ed europei rispetto a quanto avviene nel Mediterraneo come risultato delle politiche migratorie dei loro governi. Un atto vigliacco e cinico di chi usa la criminalizzazione delle ONG come strumento di propaganda politica in vista delle imminenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Non fermeremo le nostre operazioni anche a costo di mettere in pericolo i nostri aerei. Questo attacco che calpesta il diritto internazionale non ci impedirà di continuare a dare fastidio a chi vorrebbe che quanto avviene quotidianamente nel Mediterraneo rimanesse segreto e senza foto e video a documentarlo”.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/05/07/migranti-il-ministero-di-salvini-pronto-a-fermare-gli-aerei-delle-ong-ordinanze-dellenac-elusione-del-quadro-normativo/7539355

  • Bulgaria : Road to Schengen. Part One : the EU’s external border.

    On the 31st of March, Bulgaria - alongside Romania - joined Schengen as a partial member by air & sea. The inclusion of land crossings for full accession of these countries was blocked by an Austrian veto over concerns(1) that it would lead to an increase in people wanting to claim asylum in the EU.

    What is significant about Bulgaria becoming a Schengen member is that, what has been seen in the lead up, and what we will see following accession, is a new precedent of aggressively fortified borders set for the EU’s external Schengen borders. Which in turn may shape EU wide standards for border management.

    The EU’s external border between Bulgaria and Turkey has become infamous for a myriad of human rights violations and violence towards people who are forced to cross this border ‘illegally’. People continually face the violence of these crossings due to the lack of safe and legal routes allowing people to fulfill their right to seek asylum in Europe.

    In 2022 it was along this border that live ammunition(2) was first used against people seeking asylum in the EU. Shot by the Bulgarian authorities. In the same year it was reported(3) that people were illegally detained for up to 3 days in a cage-like structure attached to the police station in the border town of Sredets. It was also known that vehicles belonging to the European border force Frontex - who are responsible for border management and supposedly upholding fundamental rights - were present in the vicinity of the cages holding detained people.

    The EU’s illegal border management strategy of pushbacks are also well documented and commonplace along this border. Testimonies of pushbacks in this region are frequent and often violent. Within the past year Collective Aid has collected numerous testimonies from survivors of these actions of the state who describe(4) being stripped down to their underwear, beaten with batons and the butts of guns, robbed, and set on by dogs. Violence is clearly the systematic deterrence strategy of the EU.

    Similar violence occurs and is documented along Bulgaria’s northern border with Serbia. During an assessment of the camps in Sofia in March, outside of the Voenna Rampa facility, our team spoke to an Afghan man who, 6 months prior, was beaten so badly during a pushback that his leg was broken. Half a year later he was still using a crutch and was supported by his friends. Due to the ordeal, he had decided to try and claim asylum in Bulgaria instead of risking another border crossing.

    Despite the widespread and well documented violations of European and international law by an EU member state, at the beginning of March Bulgaria was rewarded(5) with its share of an 85 million Euro fund within a ‘cooperation framework on border and migration management’. The money within this framework specifically comes under the Border Management and Visa Instrument (BMVI) 2021 – 2027, designed to ‘enhance national capabilities at the EU external borders’. Within the instrument Bulgaria is able to apply for additional funding to extend or upgrade technology along its borders. This includes purchasing, developing, or upgrading equipment such as movement detection and thermo-vision cameras and vehicles with thermo-vision capabilities. It is the use of this border tech which enables and facilitates the illegal and violent practices which are well documented in Bulgaria.

    Close to the town of Dragoman along the northern border with Serbia, we came across an example of the kind of technology which used a controlled mounted camera that tracked the movement of our team. This piece of equipment was also purchased by the EU, and is used to track movement at the internal border.

    The cooperation framework also outlines(6) a roadmap where Frontex will increase its support of policing at Bulgaria’s border with Turkey. In late February, in the run up to Bulgaria becoming a Schengen member, on a visit to the border with Turkey, Hans Leijtens - Frontex’s executive director - announced(7) an additional 500 - 600 additional Frontex personnel would be sent to the border. Tripling the numbers already operational there.

    Meanwhile Frontex - who have been known(8) to conceal evidence of human rights violations - are again under scrutiny(9) for their lack of accountability in regards to the upholding of fundamental rights. Two days prior to the announcement of additional Frontex staff an investigation(10) by BIRN produced a report from a Frontex whistleblower further highlighting the common kinds of violence and rights violations which occur during pushbacks at this border. As well as the fact that Frontex officers were intentionally kept away from ‘hot spots’ where pushbacks are most frequent. The investigation underlines Frontex’s inability to address, or be held accountable for, human rights violations that occur on the EU’s external borders.

    The awarded money is the next step following a ‘successful’ pilot project for fast-track asylum and returns procedures which was started in March of the previous year. The project was implemented in the Pastrogor camp some 13km from the Turkish border which mostly houses people from the Maghreb region of northwest Africa. A 6 month project report(11) boasts a 60% rejection rate from around 2000 applicants. In line with the EU’s new migration pact, the project has a focus on returns whereby an amendment to national legislation has been prepared to allow a return decision to be made and delivered at the same time as an asylum rejection. As well as the launch of a voluntary return programme supported by the 2021-2027 Asylum, Migration and Integration Fund (AMIF). Through which cash incentives for voluntary returns will be increased across the board. These cash incentives are essentially an EU funded gaslighting project, questioning the decisions of people to leave their home countries based on their own survival and safety.

    Our team visited the former prison of the Pastrogor camp in March. Which at the time held only 16 people - some 5% of its 320 capacity.

    The implementation of this pilot project and the fortification of the border with Turkey have been deemed a success by the EU commision(12) who have praised both as indicators of Bulgaria’s readiness to join the Schengen area.

    Unsurprisingly, what we learn from Bulgaria’s accession to becoming a Schengen member is that the EU is not only deliberately ignoring Bulgaria’s dire human rights history in migration and border management. But, alongside the political and economic strengthening brought with Schengen accession, they are actively rewarding the results of such rights violations with exceptional funding that can sustain the state’s human rights infringements. All while the presence of Frontex validates the impunity enjoyed by Bulgaria’s violent border forces who show no respect for human rights law. In early April the European Commision gave a positive report(13) on the results from EU funding which support this border rife with fundamental rights abuses. In a hollow statement Bulgaria’s chief of border police stated: “we are showing zero tolerance to the violation of fundamental rights”.

    What the changes in border management strategies at the EU’s external border to Turkey- in light of Bulgaria’s entry to the Schengen - mean in reality is that people who are still forced to make the crossing do so at greater risk to themselves as they are forced deeper into both the hands of smuggling networks and into the dangerous Strandzha national park.

    The Strandzha national park straddles the Bulgarian-Turkish border. It is in this densely forested and mountainous area of land where people are known to often make the border crossing by foot. A treacherous journey often taking many days, and also known to have taken many lives - lighthouse reports identified 82 bodies of people on the move that have passed through three morgues in Bulgaria. Many of whom will have died on the Strandzha crossing.

    It is reported(14) that morgues in the towns of Burgas and Yambol - on the outskirts of the Strandzha national park - are having difficulty finding space due to the amount of deaths occurring in this area. So much so that a public prosecutor from Yambol explained this as the reason why people are being buried without identification in nameless graves, sometimes after only 4 days of storage. It is also reported that families who tried to find and identify the bodies of their deceased loved ones were forced to pay cash bribes to the Burgas morgue in order to do so.

    Through networks with families in home countries, NGOs based nearby make efforts to alert authorities and to respond to distress calls from people in danger within the Strandzha national park. However, the Bulgarian state makes these attempts nearly impossible through heavy militarisation and the associated criminalisation of being active in the area. It is the same militarisation that is supported with money from the EU’s ‘cooperation framework’. Due to these limitations even the bodies that make it to morgues in Bulgaria are likely to be only a percentage of the total death toll that is effectively sponsored by the EU.

    Local NGO Mission Wings stated(15) that in 2022 they received at most 12 distress calls, whereas in 2023 the NGO stopped counting at 70. This gives a clear correlation between increased funding to the fortification of the EU’s external border and the amount of lives put in danger.

    People are also forced to rely more on smuggling networks. Thus making the cost of seeking asylum greater, and the routes more hidden. When routes become more hidden and reliant on smuggling networks, it limits the interaction between people on the move and NGOs. In turn, testimonies of state violence and illegal practices cannot be collected and violations occur unchallenged. Smuggling networks rely on the use of vehicles, often driving packed cars, vans, and lorries at high speed through the country. Injuries and fatalities of people on the move from car crashes and suffocating are not infrequent in Bulgaria. Sadly, tragic incidents(16) like the deaths of 18 innocent people from Afghanistan in the back of an abandoned truck in February last year are likely only to increase.

    https://www.collectiveaidngo.org/blog/2024/5/3/bulgaria-road-to-schengen-part-one-the-eus-external-border
    #Bulgarie #frontières #Schengen #migrations #frontières_extérieures #asile #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #violence #Turquie #Sredets #encampement #Frontex #droits_humains #Serbie #Sofia #Voenna_Rampa #Border_Management_and_Visa_Instrument (#BMVI) #aide_financière #technologie #Dragoman #Pastrogor #camps_de_réfugiés #renvois #expulsions #retour_volontaire #Asylum_Migration_and_Integration_Fund (#AMIF) #Strandzha #Strandzha_national_park #forêt #montagne #Burgas #Yambol #mourir_aux_frontières #décès #morts_aux_frontières #identification #tombes #criminalisation_de_la_solidarité #morgue

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    ajouté à ce fil de discussion :
    Europe’s Nameless Dead
    https://seenthis.net/messages/1029609

  • Acquitté, Mimmo Lucano rêve de propager le modèle d’accueil de son village à travers l’Europe

    Lourdement condamné en septembre 2021 pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », l’ancien maire calabrais Mimmo Lucano a été presque totalement blanchi par la justice le 12 avril. Il salue une « #victoire_morale » et se présente aux élections municipales et européennes qui se tiendront en juin.

    L’ancienL’ancien maire de Riace garde le sourire, malgré le véritable « périple judiciaire » qu’il a dû traverser ces dernières années. Domenico Lucano, que tout le monde surnomme « Mimmo », insiste : sa propre personne ne compte pas. Il regrette surtout que l’image de Riace, petite commune de Calabre où il vit, et dont il a été le maire entre 2004 et 2018, ait été entachée par les accusations dont il a fait l’objet.

    À travers son acquittement récent, et quasi total, il estime que l’accueil de l’autre est enfin reconnu « comme une solution et une renaissance », notamment pour les terres désertées par la population. « C’est avant tout une victoire morale », souligne-t-il. Ce modèle vertueux d’accueil et de solidarité, ce « Village global » qu’il a contribué à développer au fil des ans, Mimmo Lucano aimerait le voir élargi à toute l’Europe, à l’heure où celle-ci tend plutôt à se barricader.

    Pour tenter d’y parvenir, il a choisi de se présenter aux prochaines élections municipales, à Riace, qui se tiendront en même temps que les élections européennes, pour lesquelles il est également candidat sur une liste d’alliance entre les Verts et la gauche italienne. « Ce qu’on voudrait, c’est une nouvelle Europe qui deviendrait le salut du monde. Pas celle des barbelés, dont les politiques ont provoqué la mort de dizaines de milliers de personnes », dit-il. Entretien.

    Mediapart : Vous sortez d’un sacré feuilleton judiciaire…

    Domenico Lucano : Oui. Un périple judiciaire. C’est mon histoire, mais c’est surtout celle d’une petite communauté, celle de Riace. Un petit bout de la périphérie européenne, avec sa mer Méditerranée, une sorte d’autoroute des pays arabes vers l’Europe. Mais c’est aussi la mer de la tragédie du monde. La Méditerranée a malheureusement changé de couleur, passant du bleu, du vert, au rouge, la couleur du sang. Le sang de beaucoup d’hommes et de femmes qui ne sont pas arrivés au bout de leur chemin. La mer est devenue un piège à leur tentative de bonheur. Elle a pris la couleur de la mort. Au cœur de l’histoire de Riace, il y a surtout un combat, devenu très médiatique, pour l’accueil de l’autre et pour un idéal politique différent.

    Beaucoup de réfugiés afghans fuyant les talibans sont arrivés en Calabre. Je pense aussi à cette tragique nuit d’hiver, le 26 février 2023, durant laquelle les secours ne sont pas venus. Le ministère de l’intérieur a organisé l’arrivée de la douane plutôt que celle des gardes-côtes, qui avaient pourtant les moyens de les sauver. Quatre-vingt-quatorze personnes ont perdu la vie, après avoir passé cinq jours en mer, dont beaucoup d’enfants. En 2022, l’actuel ministre de l’intérieur a utilisé ces mots terribles s’agissant des migrants : il s’agit de « charges résiduelles ». Le gouvernement italien fêtait l’anniversaire de Salvini pendant que les familles pleuraient leurs morts. C’est sans doute le moment le plus déplorable. Il ne sert à rien d’être parmi les grandes puissances mondiales ou de surveiller sa croissance économique quand on est capables d’un tel cynisme face à la vie humaine. La droite a montré son vrai visage.

    La droite et l’extrême droite ?

    Je crois qu’il n’y a pas de différence en Italie. « Extrême » est un adjectif, mais la droite est le lieu commun de la déshumanisation. On a vu différentes tentatives du ministère de l’intérieur pour empêcher les migrants de débarquer en Italie. Le paradoxe, c’est de constater qu’un gouvernement indigne, qui s’illustre par son inhumanité, grimpe dans les sondages. Faire face à ce gouvernement en Italie, en usant d’une parole libre, ne provoque en retour que des coups de matraque. C’est du jamais-vu. Il y a une dérive de la droite en Italie.

    Ce contexte politique vous a aussi valu une lourde condamnation en 2021 – 13 ans de prison et 500 000 euros d’amende, pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière ». Comment l’avez-vous vécue ?

    Le 4 octobre 2018, à l’aube, j’ai vu des voitures arriver chez moi pour m’arrêter. Cela a marqué le début d’une histoire hallucinante, qui a duré presque sept ans. Quand j’ai été condamné en première instance le 30 septembre 2021, le sentiment qu’il s’agissait d’un procès politique s’est vite propagé en Italie. On m’a contraint à m’éloigner de Riace durant onze mois, alors que j’avais donné ma vie pour cette terre. Il y a eu une manifestation d’ampleur à Rome, un ex-sénateur a lancé une collecte de fonds destinée à régler l’amende dont je faisais l’objet.

    La collecte a rencontré un succès fou. Mais je lui ai dit que je n’en voulais pas. Je voulais simplement continuer d’accueillir les réfugiés à Riace, et on a construit le « Village global », avec une crèche pour 12 enfants immigrés et plein d’activités. On a tout fait pour continuer de faire exister ce monde-là. J’ai donc vécu cette condamnation avec sérénité, parce que j’ai pu profiter de la solidarité de la population italienne et du reste du monde, qui se raccrochait à la seule perspective de la fraternité.

    Je suis conscient que le fait qu’un petit village de Calabre puisse devenir un exemple pour l’accueil des personnes exilées a beaucoup gêné. Le modèle « Riace » a fait peur au système néolibéral. Mais l’ennemi n’est pas l’étranger ou celui qui lui vient en aide : ce n’est autre que cette nouvelle vague de fascisme qu’il y a en Europe et dans le monde, qui ne cherche qu’à fermer les frontières et à créer des forteresses. Je regrette d’avoir vu après tant d’années de propagande une forme d’égoïsme s’installer dans l’esprit des gens, tel un consensus politique.

    Comment vous sentez-vous aujourd’hui, après cette réhabilitation par la justice ?

    Je vais bien. Deux de mes enfants sont à Rome, le troisième habite avec mon épouse, et je suis seul à Riace. La plupart de mes proches ont vécu l’acquittement comme une libération. Au niveau local, il y a eu une solidarité immédiate, y compris de la part de personnes qui ne partageaient pas ma vision politique. Mais le plus merveilleux dans cette fin de feuilleton, ce n’est pas l’acquittement en soi, ce sont les motivations des juges. Ces derniers ont attendu 90 jours pour les rendre publiques et signifier au reste de monde qu’on ne touchera pas au message politique pour lequel je me suis battu.

    Ils ont rétabli la vérité et confirmé que je n’avais pas pensé à profiter une seconde du système d’accueil que j’avais mis en place à Riace, ni que j’avais pu m’enrichir par ce biais. Ce n’est donc pas un acquittement technique ou juridique. C’est un acquittement moral. Et pour la première fois dans l’histoire des migrations, l’immigration en Italie peut enfin être regardée sous une lumière totalement opposée à celle proposée par certains politiciens. L’accueil de l’autre est enfin reconnu comme une solution et une renaissance. C’est avant tout une victoire morale, et cela vaut plus que tout.

    Vous avez fait le choix de revenir en politique, en vous présentant aux municipales à Riace mais aussi aux européennes, sur la liste des Verts et de l’Alliance de gauche (Alleanza Verdi e Sinistra) – élections qui se tiendront toutes deux les 8 et 9 juin prochains. Est-ce que votre acquittement a joué dans votre décision ?

    Non, car je n’ai jamais perdu ce désir d’engagement politique. La politique, pour moi, se résume à l’espoir, et je n’ai jamais été fatigué à l’idée de continuer d’espérer. Dès le départ, le Village global a été conçu comme un laboratoire politique au niveau local. Cela a d’ailleurs été l’opportunité de multiples réunions, prises de décision collectives et autres activités communes. C’est dans cette démarche que nous avons donc voulu réunir la gauche au-delà du Parti démocrate (Partito Democratico), dont Elly Schlein est la secrétaire.

    Ça n’a pas été facile. Les responsables du parti n’en ont pas tenu compte, alors on a trouvé une coalition a gauche du Parti démocrate. Les Verts et l’Alliance de gauche italienne m’ont demandé si je voulais participer aux européennes. Et avec tous les camarades de Riace, on a dit oui. C’était une envie partagée, parce que les positions qu’ils défendent contre la guerre, en faveur de l’accueil des exilés ou encore pour une loi pour le salaire minimum en Italie correspondaient à mes choix politiques. Un jour, j’aimerais qu’il y ait un panneau « Village de l’accueil » un peu partout dans les communes d’Europe !

    Mais force est de constater que l’on observe plutôt une politique de rejet en Europe…

    À Riace, on a réussi à l’échelle d’une toute petite réalité. Un village de quatre cents habitants est désormais connu pour sa politique d’accueil. À l’échelle européenne, nous ne serons peut-être plus là pour observer ce changement de paradigme. Mais je suis persuadé que d’une petite chose peut naître une grande chose. Je suis heureux que figure sur notre liste la candidate Ilaria Salis, arrêtée par Viktor Orbán en Hongrie pour son engagement contre le fascisme. Nous avons une histoire similaire, elle se bat pour le respect des droits humains. Lorsque j’ai vu les images d’elle à la télévision, la montrant menottée, j’ai été fier de la savoir à mes côtés dans cette aventure au niveau européen.

    Le pacte migratoire européen a été adopté dans la douleur il y a peu. Êtes-vous inquiet de voir cette politique de repli concrétisée à l’échelle européenne à travers ces textes ?

    Ce pacte est absurde. Je n’en partage pas les objectifs, évidemment. On voit partout des tentatives d’affaiblir le droit d’asile, y compris en Italie, ou de créer des sortes de voies de déportation vers des pays tiers comme l’Albanie, où le respect des droits humains n’est pas garanti. C’est triste quand on voit ce qu’on a été capables de faire à notre petite échelle. Je pense que la droite souffre d’un syndrome de la peur de l’être humain. C’est ce qu’on observe en Italie mais aussi en Europe. Ce qu’on voudrait, c’est une nouvelle Europe qui deviendrait le salut du monde. Pas celle des barbelés, dont les politiques ont provoqué la mort de dizaines de milliers de personnes.

    Pourquoi vous présenter à deux élections, à deux échelles différentes ?

    C’est une question redoutable (rires). Je ne veux pas devenir un bureaucrate. Je mettrai la même conviction à l’échelle européenne et je ne ferai de concession à personne : les profits de la politique ne m’intéressent pas. Et j’ajouterai que paradoxalement, je suis d’accord avec la manière dont Matteo Salvini m’a défini un jour, lorsqu’une personne lui a demandé ce qu’il pensait de moi. Il a répondu : « Il vaut zéro. » Ça me convient assez bien, je considère que je ne suis personne. Ce qui est sûr, c’est que j’ai à cœur de poursuivre mon engagement au niveau local et européen. En Italie, la loi permet d’être à la fois maire et député européen.

    Alors, bien sûr, les possibilités sont multiples : je peux être élu maire de Riace, être élu député européen ou les deux, ou pas élu du tout. Je continuerai dans tous les cas à développer le modèle Riace, et j’aimerais élargir ce modèle d’accueil à d’autres communes en Italie, et à d’autres États en Europe, un modèle en faveur de l’accueil qui permet aussi de contrer le déclin démographique. Et pour aller plus loin, j’aimerais également créer une collectivité de communes qui partagerait une monnaie unique, pour nous permettre de sortir de ce néolibéralisme, qui détruit notre économie et notre démocratie, tout en valorisant le travail fourni au sein de la communauté.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/040524/acquitte-mimmo-lucano-reve-de-propager-le-modele-d-accueil-de-son-village-

    #Riace #Mimmo_Lucano #Domenico_Lucano #accueil #réfugiés #migrations #Italie #Calabre #justice #acquittement #entretien #interview #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité #villes-refuge #périple_judiciaire #condamnation #réhabilitation #libération #acquittement_moral #engagement_politique

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    Ce fil de discussion est la suite de celui-ci :
    11 octobre 2023, verdict en cour d’appel pour le #procès contre #Mimmo_Lucano, ancien maire de #Riace
    https://seenthis.net/messages/1020950

    signalé par @olaf ici :
    https://seenthis.net/messages/1052451

    ping @_kg_

  • #Christian_Estrosi voit sa #condamnation confirmée pour #diffamation envers un universitaire engagé dans une association d’aide aux migrants

    La cour d’appel d’Aix-en-Provence a confirmé ce mercredi 20 mars la condamnation du maire de Nice pour diffamation envers un universitaire azuréen, engagé dans une association d’aide aux migrants.

    Christian Estrosi (Horizons) a vu sa condamnation pour diffamation confirmée ce mercredi 20 mars par la cour d’appel d’Aix-en-Provence, dans les Bouches-du-Rhône.

    #Pierre-Alain_Mannoni, géographe niçois, avait été poursuivi pour avoir brièvement hébergé trois Erythréennes dans un centre de vacances français désaffecté, avant de les conduire en voiture à une gare pour qu’elles puissent être soignées à Marseille.

    Une décision de relaxe en 2017, qui a été définitivement confirmée en 2020, avait provoqué la colère du maire de Nice qui avait alors estimé que Pierre-Alain Mannoni « favorisait le travail des passeurs ».

    « Comment ces individus peuvent-ils nous certifier qu’ils ne font pas rentrer des terroristes sur notre sol en violant la loi comme ils le font ? », avait écrit l’élu sur X, anciennement Twitter. L’élu a depuis quitté ce réseau social.

    #Plainte pour diffamation

    Pierre-Alain Mannoni avait alors porté plainte pour diffamation. En première instance, en juin 2021, le tribunal correctionnel de Nice avait condamné le maire à 3.000 euros d’amende et 5.000 euros de dommages et intérêts.

    En janvier 2022, la cour d’appel d’Aix-en-Provence avait infirmé ce jugement et relaxé M. Estrosi. Mais, en juin 2023, la Cour de cassation avait invalidé cette décision et l’avait renvoyée à la cour d’appel. Mercredi, cette dernière a confirmé le jugement de première instance.

    « Justice a été faite, le maire de la cinquième ville de France a jeté mon client en pâture et il a été sanctionné. » (Maeva Binimelis, avocate de Pierre-Alain Mannoni à l’Agence France-Presse)

    L’avocat de M. Estrosi, Me Gérard Baudoux, a annoncé un nouveau pourvoi en Cassation.

    https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/alpes-maritimes/nice/christian-estrosi-condamne-pour-diffamation-envers-un-u

    #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité #justice #Alpes_Maritime

  • L’Europe doit mettre fin à la répression des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants

    « Dans toute l’Europe, il est de plus en plus fréquent que des organisations et des individus soient harcelés, intimidés, victimes de violences ou considérés comme des délinquants simplement parce qu’ils contribuent à protéger les droits humains des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants. Les États européens doivent mettre fin à cette répression », a déclaré aujourd’hui la Commissaire aux droits de l’homme du Conseil de l’Europe, Dunja Mijatović, à l’occasion de la publication d’une Recommandation sur la situation des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe.

    Cette Recommandation, intitulée Protéger les défenseurs : mettre fin à la répression des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe, donne un aperçu des défis auxquels sont confrontés les défenseurs des droits humains et présente les mesures que les États membres du Conseil de l’Europe devraient prendre pour les protéger.

    Dans le contexte de politiques d’asile et de migration répressives, sécuritaires et militarisées, les États négligent de plus en plus leur obligation de veiller à ce que les défenseurs des droits humains puissent travailler dans un environnement sûr et favorable. En conséquence, de multiples formes de répression s’exercent sur les défenseurs qui participent à des opérations de sauvetage en mer, fournissent une aide humanitaire ou une assistance juridique, mènent des opérations de surveillance des frontières, assurent une couverture médiatique, mènent des activités de plaidoyer, engagent des procédures contentieuses, ou soutiennent par d’autres moyens encore les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe.

    La Recommandation examine les problèmes auxquels sont confrontés les défenseurs des droits humains, notamment :

    - des propos hostiles et stigmatisants tenus par des représentants gouvernementaux, des parlementaires et certains médias ;
    – des violences et des menaces, et le manque de réaction des autorités pour y répondre ;
    – la criminalisation du travail humanitaire ou de défense des droits humains mené auprès des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants, due à une application trop large des lois sur le trafic illicite de migrants ;
    – le refus d’accès à des lieux où il est essentiel d’assurer un suivi de la situation des droits humains ou de fournir une aide, tels que des centres de détention ou d’accueil ou des zones frontalières.

    « Les gouvernements européens devraient voir les défenseurs des droits humains comme des partenaires qui peuvent contribuer de manière déterminante à rendre les politiques d’asile et de migration plus efficaces et respectueuses des droits humains. Au lieu de cela, ils les traitent avec hostilité. Cette politique délibérée porte atteinte aux droits humains des acteurs de la société civile et des personnes auxquelles ils viennent en aide. Par extension, elle ronge le tissu démocratique des sociétés », a déclaré la Commissaire.

    Afin d’inverser cette tendance répressive, la Commissaire appelle à prendre d’urgence une série de mesures, dont les suivantes :

    - réformer les lois, politiques et pratiques qui entravent indûment les activités des défenseurs des droits humains ;
    – veiller à ce que les lois sur le trafic illicite de migrants ne confèrent le caractère d’infraction pénale à aucune activité de défense des droits humains ou d’aide humanitaire menée auprès des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants ;
    - lever les restrictions d’accès aux lieux et aux informations ;
    - mettre fin au discours stigmatisant et dénigrant ;
    - établir des procédures de sécurité efficaces pour les défenseurs confrontés à des violences ou à des menaces et veiller à ce que ces cas fassent l’objet d’enquêtes effectives.

    https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/id/264775174?_com_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTAN
    #criminalisation_de_la_solidarité #asile #migrations #réfugiés #solidarité #recommandation #conseil_de_l'Europe #répression #assistance_juridique #sauvetage #aide_humanitaire #violence #menaces #hostilité #droits_humains #rapport

  • "We know who you are": Hostile migration politics and the criminalisation of solidarity actors in #France and Morocco.

    The study – conducted in collaboration with Dr Maria Hagan – explores how NGO practitioners, activists, and other solidarity actors in France and Morocco increasingly face intimidation, repression, and prosecution from state authorities amidst hostile and violent policies aimed at curbing migration. Whilst high-profile court cases (especially regarding sea rescue operations) have gained some attention in public debates, there has been little exploration of more ordinary, insidious forms of criminalisation and repression targeting solidarity actors, especially beyond European countries. In collaboration with advocacy organisations and artists, the study addresses this gap through ethnographic research carried out in northern France and Morocco. Several academic and creative outputs for the wider public are in gestation– watch this space.

    https://sebastienbachelet.com/crimes-of-solidarity
    #rapport #Maroc #criminalisation_de_la_solidarité #solidarité #asile #migrations #réfugiés #intimidation #répression #poursuites #poursuites_judiciaires

    ping @karine4

  • 11 octobre 2023, verdict en cour d’appel pour le #procès contre #Mimmo_Lucano, ancien maire de #Riace

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    Ce fil de discussion est la suite de celui-ci :
    Le 20.09.2023 la défense de #Mimmo_Lucano a prononcé le plaidoyer final dans le cadre de l’#appel à la condamnation de l’ancien maire de #Riace...
    https://seenthis.net/messages/1018103

    #accueil #migrations #solidarité #asile #réfugiés #Italie #criminalisation_de_la_solidarité #acquittement #justice #Xenia

    • La corte d’appello condanna Mimmo Lucano a 1 anno e 6 mesi

      La sentenza di primo grado aveva fissato la condanna a 13 anni e due mesi, la procura aveva chiesto 10 anni e 5 mesi. I suoi avvocati volevano l’assoluzione. Lucano non ha mai smesso di lavorare nei progetti per l’accoglienza e in una lettera aveva invitato i giudici ad andare a vedere il Villaggio Globale di Riace

      La Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano a 1 anno e 6 mesi: un decimo di quanto chiesto dalla procura. Le accuse sono state fortemente ridimensionate, e l’esito drasticamente ridotto rispetto alla condanna in primo grado a oltre 13 anni.

      La procura generale aveva chiesto per questo secondo grado di giudizio la condanna a 10 anni e 5 mesi di carcere per l’ex sindaco di Riace e principale imputato del processo “Xenia”, nato da un’inchiesta della guardia di Finanza sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel piccolo paese della Locride. Un processo che lo vede alla sbarra insieme ad altre 17 persone. Le accuse erano pesanti: associazione a delinquere e peculato, frode, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e truffa.

      La prima condanna

      Il Tribunale di Locri a settembre del 2021 lo aveva condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione, e 700mila euro di danni per la gestione dei progetti di accoglienza per i migranti (ma c’è anche la gestione dei rifiuti, il mancato pagamento della Siae e altri illeciti amministrativi), nonostante Riace sia stata lodata in tutto il mondo, e gli stessi giudici abbiano descritto i progetti come figli di un’utopia.

      Dal processo è stato dimostrato che Lucano non ha tratto benefici per il suo conto corrente. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici trovavano la colpa nel «comportamento omissivo, che era stato tenuto per bieco calcolo politico».

      E ancora: «Nulla importa che l’ex sindaco di Riace sia stato trovato senza un euro in tasca», perché, si leggeva, «ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza».

      Per i difensori, Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, si tratta di un processo politico, in cui sono stati fatti anche errori. Durante il processo d’appello sono state aggiunte nuove intercettazioni e contestate trascrizioni della guardia di finanza da quelle precedenti. Nelle motivazioni d’appello i due legali avevano parlato di «lettura forzata se non surreale dei fatti».

      Dopo la sentenza di primo grado era scaturito in ambito internazionale un appello firmato dal linguista Noam Chomsky, dall’ex capitana Sea Watch Carola Rackete, fino al leader della sinistra francese Jean-Luc Mélenchon perché venissero ritirate le accuse a suo carico.
      La lettera

      Alle ultime elezioni regionali si era candidato in appoggio a Luigi de Magistris, ma non è stato eletto. Non ha smesso di lavorare. Il 20 settembre l’ex sindaco di Riace ha consegnato una lettera alla Corte: «Come tutti gli esseri umani posso aver commesso degli errori, ma ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture».

      Lucano ha poi ricordato: «Sono passati cinque anni da quando sono stato arrestato con l’accusa infamante di svolgere la mia attività di accoglienza e integrazione dei migranti per finalità di carriera politica e di lucro. Sono passati due anni da quando mi è stata inflitta la condanna in primo grado a una smisurata pena detentiva quale non tocca spesso ai peggiori criminali».

      Ma non ha desistito, e ha invitato i giudici ad andare a vedere i risultati del suo lavoro: «Ho continuato a dedicarmi a tempo pieno, da privato cittadino, alla riapertura e alla gestione del Villaggio globale di Riace che ha ospitato e continua ad ospitare bambini e persone con fragilità. Non si è interrotta, dunque, quella che considero la missione della mia vita, a prescindere da incarichi pubblici e finanziamenti statali. Altro che associazione a delinquere. Al termine di questo processo vi invito a visitare il Villaggio Globale di Riace, sarete i benvenuti».

      https://www.editorialedomani.it/politica/italia/mimmo-lucano-sentenza-corte-appello-oooeao9j

    • Non reggono in Appello le accuse monstre a Lucano. L’ex sindaco condannato a un anno e 6 mesi
      https://www.youtube.com/watch?v=qBE1GEzNnow&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.corrieredellaca

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      La decisione della Corte nel processo al “modello Riace”: assolti 15 imputati su 17. L’accusa aveva chiesto 10 anni 5 mesi per l’ex sindaco. In primo grado la pena comminata era stata di oltre 13 anni

      L’ex sindaco di Riace Domenico Lucano è stato condannato a un anno e sei mesi (con pena sospesa) dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, pena sensibilmente inferiore rispetto ai 13 anni e due mesi rimediati in primo grado e rispetto alla richiesta della Procura generale (10 anni e 5 mesi). Oggi assente a Reggio Calabria, l’ex primo cittadino ha atteso l’esito della camera di consiglio durata circa sei ore, nel piccolo borgo del “modello” per molti anni simbolo dell’accoglienza e alla sbarra dopo l’inchiesta “Xenia” della procura di Locri. Dentro e fuori dall’aula applausi e festeggiamenti per la decisione.

      L’accusa, rappresentata dai sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari, aveva chiesto per l’ex primo cittadino una condanna di 10 anni e 5 mesi di reclusione. Imputati davanti ai giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, (presidente Elisabetta Palumbo, giudici relatori Davide Lauro e Massimo Minniti) Lucano e altre 17 persone.
      Si conclude così il secondo capitolo giudiziario scaturito dall’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza che si basa sull’accusa di aver utilizzato i fondi destinati all’accoglienza dei migranti per “trarre vantaggi personali”. Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Queste, a vario titolo, le accuse della Procura di Locri che ha attaccato in toto il sistema di accoglienza messo in piedi nel borgo della Locride. In primo grado il Tribunale di Locri aveva condannato Lucano a 13 anni e 2 mesi di reclusione, a fronte della richiesta della Procura a 7 anni e 11 mesi.

      Il dibattimento

      Nel corso del dibattimento i legali di Lucano, gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, avevano sottolineato come quella di Lucano fosse una «innocenza documentalmente provata» poiché l’obiettivo dell’ex sindaco di Riace «era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso».
      Nelle motivazioni d’appello i legali avevano sottolineato che in sentenza c’era stato un «uso smodato delle intercettazioni telefoniche, conferite in motivazione nella loro integralità attraverso la tecnica del copia/incolla». Intercettazioni che, in molti casi, secondo gli avvocati, sarebbero inutilizzabili. Nel corso delle arringhe finali i legali di Lucano avevano chiesto alla corte di ribaltare la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che aveva motivato la sentenza in 900 pagine definendo Lucano “dominus indiscusso” del sistema messo in piedi a Riace per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti. Tanti i sostenitori di Lucano che hanno atteso la decisione dei giudici dentro e fuori la Corte d’appello di Reggio Calabria, tra loro anche Giuseppe Lavorato.
      In tanti di sono recati anche a Riace e hanno aspettato insieme all’ex sindaco l’esito del processo.

      https://www.corrieredellacalabria.it/2023/10/11/non-reggono-in-appello-le-accuse-monstre-a-lucano-lex-sindaco-

    • Lucano: “Finalmente respiro e ora torno in politica. Sogno un’altra Italia”

      Dopo la sentenza che ha cancellato la condanna a 13 anni e due mesi, parla l’ex sindaco del paese dell’accoglienza. “Riace era avanguardia dei diritti e della speranza, torniamo a esserlo”

      Ora respiro, ora respiro di nuovo». Non è facile parlare con l’ex sindaco dell’accoglienza Mimmo Lucano dopo la sentenza che lo ha assolto dall’accusa di aver trasformato la “sua” Riace in un “sistema clientelare” costruito al solo scopo di “ricavarne benefici politici”, sostenevano i giudici del primo grado. “Che assurdità. Proprio io, che non mi sono mai voluto candidare. Ma adesso la verità è stata ristabilita”, dice l’ex sindaco dell’accoglienza mentre dietro di lui si sente il paese in festa e di tanto in tanto la comunicazione salta perché qualcuno l’abbraccia forte.

      Quando ha sentito il giudice leggere la sentenza che ribaltava quella durissima di primo grado che effetto le ha fatto?

      “In pochi secondi tutti i dispiaceri, l’amarezza, i momenti più duri, quelli in cui non credevo di farcela, tutto è stato cancellato. Mi sono sentito rinascere”.

      È stata dura?

      “È stata dura, è stata lunga, ci sono stati i domiciliari, le misure cautelari che mi hanno tenuto lontano da Riace, poi la sentenza di primo grado, il fango. Ma adesso è come se tutto fosse sparito, in questo momento non pesa più”.

      In questi anni c’è stato qualcosa che è stato più difficile di altre da sopportare?

      «Il sospetto. Quelle ombre che sono state evocate su di me, l’idea che è stata instillata che avessi fatto tutto per un tornaconto personale. Riace era ed è un’idea di umanità, di rinascita per gli ultimi, per tutti. Adesso la verità è venuta a galla».

      I giudici di primo grado dietro quel modello avevano letto un sistema criminale.

      “Assurdo. La contestazione di associazione a delinquere è quanto di più lontano da quello che il villaggio globale, la comunità che qui avevamo costruito, rappresenta.Noi abbiamo sempre lottato per la fratellanza, perché tutti avessero un’opportunità, questa è l’antitesi alle associazioni criminali, che qui significano mafia. E noi l’abbiamo sempre combattuta. I miei primi passi in politica sono stati proprio contro la mafia”.

      A proposito di politica, cade anche l’interdizione ai pubblici uffici. Pensa di candidarsi nuovamente?

      “È presto, la sentenza è appena arrivata, solo adesso inizio a realizzare, ma ci sto pensando. Sicuramente adesso si apre una fase nuova, di rinascita e di speranza”.

      In che misura?

      “Fin dall’inizio della sua storia Riace è stata un’avanguardia in termini di difesa dei diritti umani, anzi dell’umanità. Abbiamo mostrato concretamente che accoglienza non è un problema di ordine pubblico o motivo di allarme sociale, ma occasione per il territorio che la sperimenta, crescita, rinascita per tutti, per chi c’era e per chi viene accolto”.

      E adesso che l’Italia sembra andare in tutt’altra direzione?

      «In questo momento storico così buio, con i decreti Cutro e Piantedosi che criminalizzano i migranti e chi prova a essere solidale, che i giudici cancellino una sentenza che provava a smentirlo trasforma Riace nuovamente in un’avanguardia».

      Di cosa?

      «Della speranza di un’altra Riace possibile, di un’altra Italia possibile, di un altro mondo possibile. Noi abbiamo sempre lottato per questo».

      Nel frattempo però il “paese dell’accoglienza” è stato distrutto

      «In realtà non del tutto. Paradossalmente la sentenza di primo grado ha scatenato un’ondata incredibile di solidarietà. Associazioni come “A buon diritto” hanno promosso persino una raccolta fondi per aiutarmi a pagare la sanzione pecuniaria che mi era stata inflitta. Ma quando il presidente Luigi Manconi mi ha chiamato, gli ho chiesto di usare quei fondi per altro».

      A cosa sono stati destinati?

      «Qui a Riace vivono ancora tante famiglie di rifugiati, quei fondi sono stati utilizzati per dei progetti di lavoro che adesso impiegano tantissime persone anche in strutture come il frantoio, che inizialmente era stato letto come parte di un progetto criminale ed è speranza per chi è arrivato senza più avere nulla».

      Insomma, l’accoglienza a Riace non è morta.

      «Assolutamente no e questo si deve anche a tutte le persone che in questi anni non hanno mai fatto mancare il proprio sostegno né a me, né a Riace. Il mio primo pensiero oggi è stato per loro, per i miei legali, l’avvocato Mazzone soprattutto, il primo a credere in me e che adesso non c’è più».

      Al ministro Salvini che in passato l’ha definita uno zero ha pensato?

      «No, ma so che è uno che guarda il calcio. E a lui che ha usato la mia condanna per criminalizzare l’accoglienza direi che i risultati si commentano a fine partita».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2023/10/12/news/lucano_finalmente_respiro_e_ora_torno_in_politica_sogno_unaltra_italia-41

    • Freispruch in Riace

      Dem für gute Flüchtlingsarbeit bekannten italienischen Bürgermeister drohten 13 Jahre Haft. Jetzt hat ihn ein Gericht in zweiter Instanz freigesprochen.

      Mimmo Lucano ist kein Schwerverbrecher. Zu diesem Schluss kam am Mittwochnachmittag das Gericht im süditalienischen Reggio Calabria, das in zweiter Instanz den früheren Bürgermeister der kleinen kalabrischen Gemeinde Riace in fast allen Anklagepunkten freisprach.

      Lucano war mit seiner Politik der ausgestreckten Hand gegenüber Mi­gran­t*in­nen weit über Italien hinaus berühmt geworden, und wurde für sein „Modell Riace“ in den Medien gefeiert und mit Preisen ausgezeichnet, unter anderem mit dem Friedenspreis der Stadt Dresden – bis er im Jahr 2021 in erster Instanz als angeblicher Chef einer kriminellen Vereinigung zu exorbitanten 13 Jahren und 2 Monaten Haft verurteilt wurde.

      Angeblich hatte er, der in den Jahren 2004 bis 2018 Bürgermeister des 1.800-Seelen-Ortes Riace war, sich der Förderung illegaler Einwanderung schuldig gemacht, zahlreiche Delikte wie Betrug, Urkundenfälschung, Unterschlagung begangen, mehr als 700.000 Euro an staatlichen Geldern beiseite geschafft.
      Alles nur Show in Riace?

      Und das Modell Riace? Alles nur Fassade, wenn man Staatsanwaltschaft und Gericht glauben darf, das 2021 in erster Ins­tanz urteilte. Diese „Fassade“ bestand darin, dass Lucano dem Verfall des Dorfkerns von Riace, dem Wegzug jüngerer Menschen etwas entgegensetzen wollte: die Ansiedlung von Migrant*innen, für die Häuser instand gesetzt wurden, und die Schaffung von Arbeit in neu eröffneten Läden und Werkstätten, in denen alteingesessene Bür­ge­r*in­nen gemeinsam mit Neuankömmlingen aus Syrien oder Äthiopien tätig waren. Ende 2017 lebten 470 Mi­gran­t*in­nen in Riace, mehr als ein Viertel der Ortsbevölkerung.

      Doch in den Augen des Innenministeriums in Rom und der Justiz war das alles nur Show. Im Jahr 2017 behauptete der damalige Präfekt von Reggio Calabria, in Riace würden systematisch die staatlichen Zuwendungen für Mi­gran­t*in­nen unterschlagen. 2018 dann erließ das Gericht von Locri Haftbefehl gegen Lucano, der in Hausarrest genommen und seines Amtes enthoben wurde.

      Der damalige Innenminister und Chef der fremdenfeindliche Lega, Matteo Salvini, nutzte diese Steilvorlage, um das Modell Riace von einem Tag auf den anderen zu liquidieren und die dort lebenden Geflüchteten wegzuschaffen.
      Weder persönliche Bereicherung noch politischer Ehrgeiz

      Lucano stand mit 23 Mitangeklagten vor Gericht, und wurde dann zu einer Haftstrafe verurteilt, die eines Mafiabosses würdig gewesen wäre. Dabei mussten auch die Staatsanwaltschaft und das damals urteilende Gericht zugeben, dass auf keinem seiner Konten auch nur ein roter Heller war und ihm keine private Bereicherung nachgewiesen werden konnte. Aber egal: Seine Gegner argumentierten, es sei ihm um „politischen Nutzen“ und den eigenen Ruhm gegangen. Lucano allerdings hatte mehrfach Angebote für Kandidaturen zum Europaparlament und zum nationalen Parlament ausgeschlagen. Viel politischer Ehrgeiz war da nicht zu sehen.

      Zu einer ganz anderen Würdigung kamen denn jetzt auch die Rich­te­r*in­nen in zweiter Instanz. Fast alle Mitangeklagten Lucanos wurden freigesprochen. Er selbst allerdings wurde wegen Urkundenfälschung in einem Verwaltungsakt von 2017 zu 18 Monaten Haft auf Bewährung verurteilt. Dennoch feierten er und seine An­hän­ge­r*in­nen das Verdikt wie einen Freispruch. Die zahlreichen Anwesenden im Gerichtssaal stimmten „Mimmo, Mimmo!“-Sprechchöre an und sangen „Bella Ciao“. Lucano selbst, der das Urteil in Riace abgewartet hatte, brach nach dem Richterspruch in Freudentränen aus. Er sieht seinen guten Ruf wiederhergestellt und erwägt eine Rückkehr in die Politik.

      https://taz.de/Ex-Buergermeister-Mimmo-Lucano/!5962687

    • Mimmo Lucano, ridotta drasticamente la condanna in appello: un urlo liberatorio!

      «La solidarietà non può essere reato»

      La sentenza di appello del processo a carico dell’ex sindaco di Riace, Domenico “Mimmo” Lucano, e dei membri della sua giunta, per un totale di 18 imputati, rovescia completamente il verdetto di primo grado.

      I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, infatti, lo hanno condannato a un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, contro la richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi, stravolgendo la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che gli aveva inflitto 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio per le iniziative di accoglienza, cooperazione, convivenza pacifica e solidarietà costruite nei tre mandati (tra il 2004 e il 2018) da Sindaco di Riace.

      La Corte ha così assolto Lucano da tutti i reati più gravi e poi tutti gli altri 17 imputati e ha ristabilito una verità dei fatti totalmente diversa da quella, abnorme, disegnata dal primo grado.

      «Ci sarà ora qualcuno che chiederà scusa a Mimmo Lucano per la sistematica attività di diffamazione indirizzata nei suoi confronti» si chiede A Buon Diritto.

      Per il presidente, Luigi Manconi, e per tutta l’associaizone «la soddisfazione per la sentenza di appello è grande».

      «Abbiamo sostenuto fin dal primo momento l’idea di politica dell’accoglienza e dell’ospitalità promossa dalla giunta di Riace e abbiamo sostenuto gli imputati con una sottoscrizione nazionale che ha dato eccezionali risultati. Questa sentenza conferma che eravamo nel giusto quando affermavamo che la solidarietà non può essere criminalizzata», conclude l’associazione alla quale si sono aggiunti in queste ore diversi commenti di personalità e organizzazioni solidali che sono sempre state vicine all’ex Sindaco.

      Intervistato da Repubblica, Mimmo Lucano ha detto: «In pochi secondi tutti i dispiaceri, l’amarezza, i momenti più duri, quelli in cui non credevo di farcela, tutto è stato cancellato. Mi sono sentito rinascere».

      E poi: «È stata dura e lunga, ci sono stati i domiciliari, le misure cautelari che mi hanno tenuto lontano da Riace, poi la sentenza di primo grado, il fango. Adesso è come se tutto fosse sparito, in questo momento non pesa più».

      https://twitter.com/RaffaellaRoma/status/1712154008217854430

      https://www.meltingpot.org/2023/10/mimmo-lucano-ridotta-drasticamente-la-condanna-in-appello-un-urlo-libera

    • C’è un giudice a Reggio Calabria

      Mimmo Lucano, a lungo agli arresti domiciliari e condannato a tredici anni e due mesi dal tribunale di Locri, con una sentenza nella cui motivazione si leggono anche pesanti giudizi etici (un “falso innocente» che avrebbe agito con una «logica predatoria delle risorse pubbliche» per soddisfare «appetiti di natura personale, spesso declinati in chiave politica»), ha visto oggi la Corte d’appello di Reggio Calabria assolvere i suoi coimputati (salvo uno) e ridurre drasticamente la condanna a un anno e sei mesi di reclusione.

      Da quel che si può capire dal dispositivo letto oggi in udienza, la condanna dovrebbe riguardare un episodio di abuso d’ufficio per l’affidamento del servizio di raccolta di rifiuti. Un reato che a detta del Ministro della giustizia andrebbe abolito perché inutile e fonte di ritardi e costi processuali (9 condanne su 5.000 processi penali).

      Ovviamente, come si suol dire in queste occasioni, aspettiamo di leggere la motivazione, che probabilmente ci riserverà ulteriori piacevoli sorprese. Ma già il dispositivo giustifica alcune valutazioni.

      L’indagine, nata da ispezioni al Comune di Riace disposte dal Prefetto di Reggio Calabria dell’epoca (successivamente nominato da Salvini capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Viminale) e da indagini della Guardia di Finanza, non ha retto al vaglio del giudizio della Corte d’appello. La difesa di Lucano, sostenuta dagli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, aveva sostenuto, oltre ad alcuni plateali errori delle indagini (un’intercettazione erroneamente trascritta dalla polizia giudiziaria), l’inconsistenza del quadro probatorio dell’accusa e questa linea è stata evidentemente condivisa dalla Corte. Ma insieme all’accusa giuridica necessariamente dovrebbero essere caduti anche i giudizi morali negativi e le feroci critiche al modello di accoglienza realizzato da Lucano. Il “modello Riace” conosciuto e apprezzato nel mondo, sia nelle aule universitarie che nelle più diverse tribune mediatiche.

      E’ difficile però che quel modello, nell’attuale temperie culturale e politica, possa facilmente essere rimesso completamente in piedi. Non ostante la propria personale sofferenza per le accuse ricevute, Lucano, con l’aiuto concreto di alcune associazioni, ha continuato a praticare nel Villaggio Globale di Riace la sua idea di accoglienza. Non è certo il “modello Riace” che vedeva coinvolto l’intero paese, ma è importante che sia rimasto e rimanga in piedi il suo nucleo etico e culturale.

      https://www.articolo21.org/2023/10/ce-un-giudice-a-reggio-calabria

    • La condanna di Mimmo Lucano è stata ridotta in appello a 1 anno e 6 mesi

      In primo grado l’ex sindaco di Riace era stato condannato a oltre 13 anni per la gestione dei migranti, con una sentenza molto contestata

      Mercoledì la Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, a un anno e sei mesi di reclusione per reati commessi nella gestione dei progetti di accoglienza dei migranti di Riace, in Calabria. Lucano era stato condannato in primo grado a 13 anni e 6 mesi di carcere, quasi il doppio della pena chiesta dall’accusa, con una sentenza assai contestata dato che la sua gestione dei migranti a Riace era stata raccontata in tutta Europa e nel resto del mondo come un modello di integrazione e solidarietà: il cosiddetto “modello Riace”.

      La sentenza d’appello è arrivata dopo diverse ore di camera di consiglio e non si sanno ancora le motivazioni della decisione dei giudici. In primo grado, a settembre del 2021, Lucano era stato condannato per 21 reati che includevano associazione a delinquere e una serie di reati tra cui falso in atto pubblico, peculato, abuso d’ufficio e truffa. Nella sentenza di appello i giudici hanno assolto Lucano da quasi tutti i reati, dichiarato il non luogo a procedere per difetto di querela per altri e concesso la sospensione condizionale della pena.

      Lucano è stato invece condannato per falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, e comunque limitatamente a un solo atto, delle decine indicate nella sentenza di primo grado, relativo a un contributo ricevuto per l’accoglienza di alcuni migranti. La procura aveva chiesto una condanna a 10 anni e 5 mesi: insieme a Lucano erano imputate altre 17 persone, tutte assolte a parte una.

      La vicenda giudiziaria di Mimmo Lucano era iniziata nel 2016, a seguito di alcune rilevazioni di varie irregolarità amministrative da parte di ispettori della prefettura locale. Due anni dopo era stata avviata un’inchiesta, l’operazione Xenia, che nel 2021 aveva portato alla condanna in primo grado da parte del tribunale di Locri. Lucano era stato invece assolto dalle accuse di concussione e immigrazione clandestina.

      In sostanza, secondo i giudici, il sistema organizzato da Lucano, descritto come un modello per i principi di solidarietà a cui si ispirava, nascondeva invece un’associazione a delinquere responsabile di una serie di reati. A dicembre del 2021 erano state pubblicate le motivazioni della sentenza. Secondo i giudici Lucano li aveva compiuti per arricchirsi e garantirsi una tranquillità economica una volta andato in pensione. Gli avvocati di Lucano avevano ritenuto queste accuse insensate, e avevano sostenuto che Lucano avesse gestito Riace col solo scopo di realizzare un sistema ispirato a valori di accoglienza e solidarietà.

      Le critiche alla sentenza avevano riguardato anche il calcolo della pena: i giudici avevano individuato due separati disegni criminosi, ripartendo quindi in due filoni i reati di cui Lucano era accusato e quindi duplicando la pena, con più di 10 anni di reclusione per il primo e più di 2 per il secondo, raddoppiando, come detto, la pena chiesta dall’accusa.

      Lucano e i suoi avvocati avevano fatto ricorso, e a luglio del 2022 c’era stato un ulteriore sviluppo nella vicenda: la Corte d’appello di Reggio Calabria aveva deciso di riaprire l’istruttoria dibattimentale: significa che la corte aveva ammesso un’integrazione alle prove raccolte durante il processo di primo grado. L’integrazione consisteva in 50 pagine di una perizia cosiddetta “pro veritate”, realizzata da un consulente della difesa di Lucano, Antonio Milicia, perito trascrittore. Il perito aveva trascritto cinque intercettazioni. In quattro di queste c’erano differenze, che la difesa aveva definito «fondamentali», tra il testo che presentava Milicia e quello che venne presentato dal perito del processo di primo grado.

      Prossimamente verranno depositate le motivazioni della sentenza d’appello.

      https://www.ilpost.it/2023/10/11/lucano-appello-ridotta-pena

    • Italie : peine allégée pour le maire qui aidait des migrants

      Condamné en première instance à treize ans de prison pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », il a vu l’essentiel des charges portées contre lui être abandonnées.

      Par un cri de victoire et des embrassades avec ses proches, #Domenico_Lucano, dit « #Mimmo », a célébré l’arrêt de la cour d’appel de Reggio de Calabre, mercredi 11 octobre. Les juges lui ont en effet notifié qu’il n’était plus « que » condamné à dix-huit mois de prison avec sursis, en dépit des réquisitions du procureur. Ancien maire de Riace de 2004 à 2018, petite ville d’à peine 2 000 âmes perchée sur les collines calabraises, Mimmo Lucano avait été condamné en première instance, en 2021, à une lourde peine : plus de treize ans de réclusion pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », « pratiques frauduleuses » et « détournements de biens publics ». « Justice a été rendue à un homme qui a toujours travaillé dans le seul et unique intérêt du bien commun et de la défense des plus faibles », ont réagi les deux avocats de l’ancien élu, à la sortie de la cour d’appel.

      « Il s’agissait d’un #procès_politique, les charges pesant sur lui étaient excessives, souligne Gianfranco Schiavone, président du Consortium italien de solidarité (ICS), une plate-forme qui dispense de l’aide juridique aux demandeurs d’asile. Cet épisode restera comme une page sombre de la justice italienne, celle où l’on a cherché à démolir un homme et un #modèle d’accueil. » Car derrière le maire de Riace, c’est bien l’intégration des migrants qui était mise en cause.

      En 1998, Mimmo Lucano accueille pour la première fois des Kurdes échoués sur une plage voisine, et ne s’arrêtera plus de porter secours aux migrants. En vingt ans, il va faire de Riace une commune connue dans le monde entier pour son #accueil_inconditionnel. Des dizaines d’exilés, venus de Somalie, de Tunisie, d’Afghanistan, trouvent refuge dans la bourgade. Une coopérative sociale est créée, tout comme des boutiques. L’école du village rouvre et fait cohabiter petits Calabrais et migrants.

      Cible de Matteo Salvini

      Le « modèle Riace », perçu comme un modèle d’intégration vertueux par le travail permettant, aussi, d’enrayer le déclin d’une Calabre qui se vide, est vanté dans de nombreux pays. En 2016, le magazine américain Fortune classe l’édile au 40e rang des personnes les plus influentes de la planète. La même année, le pape François lui envoie une lettre dans laquelle il exprime son soutien à ses initiatives en faveur des migrants.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/13/italie-la-cour-d-appel-allege-la-peine-du-maire-calabrais-condamne-pour-avoi

    • Le maire calabrais Mimmo Lucano voit sa peine pour « délit de solidarité » réduite

      En 2021, il avait été condamné, en première instance, à 13 ans de prison et 500 000 euros d’amende, pour délit de solidarité. Le crime de Domenico Lucano, dit Mimmo : avoir mis en place un ambitieux système d’accueil des réfugiés dans le village de Riace, en Calabre, dont il était maire.

      Sa peine a été réduite à un an de prison et 1 400 euros d’amende par la cour d’appel de Locri, en Calabre, qui a rendu son verdict ce mercredi en fin d’après midi. Les 17 autres solidaires assis à ses côtés sur le banc des accusés ont tous été acquittés, alors qu’ils avaient écopé, en première instance, de 1 à 10 ans de prison.

      « C’est une #victoire ! Je viens de l’avoir au téléphone. Il pleurait en remerciant tous ceux qui l’ont soutenu », explique Martine Mandrea, animatrice de son comité de soutien à Marseille.

      https://www.humanite.fr/monde/domenico-lucano/le-maire-calabrais-mimmo-lucano-voit-sa-peine-pour-delit-de-solidarite-redu

    • Cosa insegna la (quasi) assoluzione di Mimmo Lucano

      La quasi-assoluzione in appello di Mimmo Lucano e della sua giunta rappresenta una svolta nella battaglia culturale e politica relativa alla criminalizzazione della solidarietà. La pesante condanna ricevuta in primo grado, oltre tredici anni di carcere, superiore alle richieste della pubblica accusa, appare ora abnorme e immotivata, probabilmente viziata da teoremi pregiudiziali.

      All’ex sindaco di Riace era stata addebitata addirittura l’associazione per delinquere. Già il fatto che magistratura e forze dell’ordine in quel contesto avessero dedicato una quantità ingente di tempo e risorse a indagare sull’accoglienza dei rifugiati, distogliendole necessariamente dalla lotta alla ndrangheta, aveva qualcosa di surreale. Entrando nel merito, nel 2019 la Cassazione aveva criticato la conduzione delle indagini, affermando che poggiavano “sulle incerte basi di un quadro di riferimento fattuale sfornito di significativi e precisi elementi”.

      La vicenda Lucano si aggiunge quindi a una serie di casi giudiziari in cui i protagonisti di iniziative di accoglienza verso profughi e migranti sono stati colpiti non solo da veementi campagne politiche e mediatiche, ma anche da accuse che li hanno costretti a difendersi e non di rado a sospendere la loro attività: basti ricordare Carola Rackete e le molte ong finite sotto processo, con le navi ispezionate e sequestrate, ma mai condannate; padre Mussie Zerai, processato perché impegnato ad aiutare i profughi eritrei suoi connazionali; gli attivisti di Baobab a Roma, che rifocillavano i profughi e li aiutavano a ripartire verso la Francia; i coniugi triestini Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, che con la loro associazione Linea d’Ombra assistevano i migranti della rotta balcanica.

      Il fenomeno non è solo italiano, giacché, per restare in Europa, in Francia aveva fatto rumore il processo a Cédric Herrou, contadino-attivista che accoglieva in val Roja i profughi provenienti dall’Italia.

      Non è il caso di parlare di un complotto, e tanto meno di rivolgere agli inquirenti accuse di politicizzazione speculari a quelle provenienti, anche in questi giorni, dal fronte della chiusura dei confini. Occorre però vedere in queste ripetute inchieste giudiziarie, quasi sempre destinate al fallimento o a magri risultati, uno dei frutti più tossici di un clima culturale avvelenato: un clima in cui l’accoglienza è esposta al rischio costante di essere scambiata per un atto sovversivo, di attacco alla sovranità statuale e al controllo (selettivo) dei confini. E in cui di fatto si finisce per intimidire e scoraggiare chi si mobilita per soccorrere e aiutare.

      Se vi è un auspicio da trarre da questa vicenda, è che magistratura e forze dell’ordine siano sollecitate a indirizzare le loro energie, non infinite e quindi necessariamente guidate da scelte di priorità, a indagare ben altri luoghi di malaffare, ben altre forme di lesione della legalità, ben altre violazioni della sovranità statuale. E per quanto riguarda noi cittadini, sia lecito sognare un mondo in cui l’accoglienza non sia né di destra, né di sinistra, ma la conseguenza di un’opzione per i diritti umani affrancata da logiche di schieramento.

      https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/mimmo-lucano-assoluzione-criminalizzazione-solidarieta

    • Per Mimmo Lucano ribaltata la sentenza: crollano quasi tutte le accuse

      La Procura generale di Reggio Calabria aveva chiesto 10 anni e 5 mesi di reclusione, mentre per i giudici è rimasto in piedi solo un falso in atto pubblico per un’assegnazione di fondi a cooperative

      Crollano in appello quasi tutte le accuse contestate all’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano. I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, infatti, dopo una camera di consiglio di 7 ore, lo hanno condannato ad un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, contro la richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi, ribaltando la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che gli aveva inflitto 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. Assolti altri 16 imputati, collaboratori di Lucano, mentre l’unica altra condanna, a un anno, è per Maria Taverniti.

      Dalla lettura del dispositivo emerge che la Corte, presieduta da Elisabetta Palumbo, ha condannato Lucano solo per il reato di falso in atto pubblico in relazione ad una determina del 2017 relativa all’assegnazione di fondi pubblici alle cooperative, mentre sono state prescritte altre due accuse tra le quali l’abuso d’ufficio per l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti nel Comune di Riace a due cooperative sociali prive dei requisiti richiesti dalla legge.

      Tutti gli atti del processo sono stati trasmessi comunque alla Corte dei Conti. Il resto cade, soprattutto l’accusa di essere il promotore di un’associazione a delinquere finalizzata alla gestione illecita dei fondi destinati ai progetti Sprar e Cas. Lucano non era presenta alla lettura della sentenza e ha atteso l’esito nel suo paese.

      Dentro e fuori dall’aula applausi e festeggiamenti per la decisione che smonta le accuse contenute prima nei durissimi rapporti della Prefettura di Reggio Calabria e poi nell’inchiesta “Xenia” della procura di Locri che nel 2018 aveva portato Lucano agli arresti domiciliari. L’inchiesta della procura di Locri e poi la sentenza di primo grado avevano accusato un modello di accoglienza diventato famoso nel mondo e iniziato nel 1998 quando con un gruppo di amici accolse alcuni curdi sbarcati a Riace, da cui il soprannome “Mimmo u’ curdu”.

      Eletto tre volte sindaco, tra il 2004 e il 2018, quando venne sospeso dopo gli arresti domiciliari. «È la fine di un incubo che in questi anni mi ha abbattuto, umiliato, offeso - ha commentato Lucano -. E che mi ha reso agli occhi della gente come un delinquente. Avrò fatto anche degli errori, ma sono stato attaccato, denigrato, anche a livello politico, per distruggere il “modello Riace”, la straordinaria opportunità creata per accogliere centinaia di persone che avevano bisogno e per ridare vita e ripopolare i centri della Calabria». Ma cosa rimane del “modello Riace”? Nulla o poco più. Non esistono più né Cas, né Sprar.

      Il Comune, a guida leghista dopo la caduta di Lucano, non ha più confermato quel sistema. Il nome di Riace però continua ad attrarre. Arrivano ancora immigrati, lo stesso Lucano aiuta a trovare case, ma è accoglienza improvvisata e non ci sono né lavoro né fondi per attività. E proprio per questo hanno chiuso quasi tutte le botteghe e i laboratori di artigianato. Molti i debiti ancora da pagare e comunque nel paese non si vede più quel turismo solidale di allora. Invece purtroppo a Riace marina è comparsa la prostituzione di donne nigeriane. Non è però finito il modello calabrese di accoglienza.

      Proprio nella Locride non sono pochi i comuni che continuano ad ospitare gli immigrati, ormai realtà consolidate, come a Camini, paese confinante con Riace. O come a Roccella Jonica, anche questo confinante, Comune record per sbarchi dalla rotta turca, e dove si accoglie senza tensione. O ancora a Gioiosa Jonica, Benestare, Caulonia, Ardore, Siderno. Tutte località che ancora ospitano Cas e Sai, pur tra non poche difficoltà. Ma senza problemi di irregolarità o bilanci in disordine. Buona accoglienza silenziosa e poco conosciuta. Senza riflettori politici, positivi o negativi. Solo accoglienza e integrazione. Tutta un’altra storia.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/per-lucano-ribaltata-la-sentenza

    • Mimmo Lucano: «Il modello Riace ha spaventato chi non guarda ai migranti con umanità»

      L’ex sindaco a Telesuonano: «Futuro? Tre possibilità, ma ne preferisco una». L’avvocato Daqua: «Grave errore giudiziario che nessuno ripagherà»

      https://www.youtube.com/watch?v=sw2suusH4H8

      «Il mio sogno? È nato un po’ per caso e ho cercato di realizzarlo in maniera inconsapevole. Mi sono interessato di accoglienza, di solidarietà dopo uno sbarco. Ma è vero, man mano che passavano gli anni, ho immaginato in maniera concreta di riscattare la mia terra, la Calabria. Nonostante i luoghi della precarietà, spesso anche dell’abbandono, del silenzio, dell’omertà, abbiamo trasmesso un messaggio al mondo: che almeno siamo grandi per essere vicini a chi subisce le decisioni di guerra, chi subisce scelte di politiche che hanno depredato i territori del cosiddetto terzo e quarto mondo, abbiamo fatto capire che è possibile costruire alternative umane utilizzando i nostri spazi, i nostri luoghi che sono dei luoghi abbandonati. E non c’è voluto nulla, il modello Riace non è altro che l’utilizzo di case in cui prima abitavano i nostri emigranti che per ragione di lavoro hanno cercato altrove possibilità di un sogno per la loro vita». Ha esordito così, con queste parole semplici ma potenti, Mimmo Lucano, ospite nell’ultima puntata di Telesuonano, il format condotto da Danilo Monteleone in onda su L’altro Corriere tv (canale 75). L’ex sindaco di Riace, da poco reduce dalla sentenza di appello “Xenia” che ha fatto cadere quasi tutte le accuse a suo carico (dai 13 e due mesi inflitti a Lucano in primo grado, si è passati a un anno e sei mesi – con pena sospesa – per una «residua ipotesi di falso su una determina»), ha ripercorso il suo viaggio giudiziario, partendo dall’inizio dell’operazione che lo ha coinvolto.
      Dopo la sentenza

      «Quella mattina è stato l’epilogo di qualcosa di strano. Negli ultimi anni della terza legislatura, che corrispondono al 2015-2016, avevo percepito un atteggiamento ostile soprattutto dalla prefettura di Reggio Calabria, e anche a livello centrale con tentativi così ingiustificati di contrastare quello che invece nel piccolo era stata una soluzione per un problema globale come quello della migrazione. Devo dire che il primo ad avere raccontato al mondo che in Calabria esiste un luogo in cui addirittura l’immigrazione, l’arrivo delle persone, non è solo un problema, ma risolve i problemi delle comunità locali, è stato il regista Wim Wenders. Ha detto “questo è un messaggio per il mondo, è un messaggio globale, è stato fatto a livello locale però va molto al di là di questa prospettiva”. E poi quella mattina, quell’epilogo è stata la fine di una favola, è stato di nuovo scendere nella realtà ed è cambiato tutto. Ricordo le persone che mi sono state vicine in maniera molto lucida. Ancora vivo quei momenti, quelle sensazioni, quel bussare alla porta nelle prime ore del mattino, e poi ho visto l’avvocato Antonio Mazzone, Andrea Daqua che per me non sono stati solo avvocati. Hanno lottato insieme a me per un ideale di giustizia, di rispetto, della dignità, della democrazia della nostra terra. Aspettavo questo riscatto, la mia realtà stava vivendo un paradosso. Monsignor Bregantini è venuto a fare il testimone, partendo con il treno da Campobasso e ha detto: “Attenzione, questa non è una storia criminale, è una storia profetica che indica al mondo un’altra soluzione”». Dopo la sentenza di primo grado c’è stato però qualcosa che è riuscito a dare speranza a Lucano. «È durata solo un giorno quella sensazione di sconforto, perché il giorno dopo, eravamo all’inizio di ottobre, perché la sentenza è arrivata il 30 settembre 2021, ho ricevuto una telefonata che mi ha cambiato completamente lo stato d’animo. Non lo so perché, ho avvertito che c’era quasi un raggio di luce in una storia con tante ombre. Luigi Manconi (sociologo ed ex senatore, ndr), mi chiama e mi dice che c’è un’indignazione generale per quella condanna che è una condanna che non è solo verso una persona, ma verso gli ideali che appartengono alla collettività e soprattutto appartengono anche alla dimensione dei nostri luoghi, della nostra terra. Io l’ho sempre vista sotto questo aspetto, io sono stato il tramite, però quello che volevamo contrastare è quel messaggio che dice attenzione, la soluzione umana prevale su quella disumana. La soluzione disumana non porta a nulla, porta solo a guerre, a odi, a razzismi, a commercio di armi. Manconi in quella circostanza si è fatto promotore di una raccolta fondi che era finalizzata al pagamento della mia multa, perché oltre agli anni di reclusione dovevo pagare anche una sanzione pecuniaria. Io mi sono rifiutato, perché non riconoscevo quella giustizia. Ho detto “questi fondi utilizziamoli per riavviare l’accoglienza” e così è stato. Il villaggio globale ha riaperto l’asilo, ha riaperto la mensa sociale, ha riaperto la scuola, il dopo scuola, la scuola per gli adulti, abbiamo riaperto la fattoria sociale che prima addirittura era stata considerata il luogo del reato penale per quanto riguarda il peculato».

      A chi ha dato fastidio Riace?

      «A chi ha dato fastidio Riace? Qualcuno – ha affermato Lucano – ha voluto sintetizzare dicendo così: “noi siamo Riace, loro sono Cutro”. Ecco, ancora oggi si scelgono i percorsi di deportazione per la soluzione dei migranti, di persone che, non dobbiamo mai dimenticarlo, sono vittime delle politiche dei Paesi occidentali e siamo noi che abbiamo imposto regimi, guerre, vendita di armi, abbiamo depredato quei territori, le persone che arrivano non è vero che arrivano per fare un viaggio perché sono migranti economici». Sul primo percorso ispettivo su Riace del governo, che in quella fase era di centrosinistra, Lucano evidenzia come in quel periodo si diceva che appoggiare Riace significava perdere consensi. «Perché, paradossalmente, i consensi li ha chi propone misure di ordine, di disciplina, di chiusura delle frontiere, di chiusura dei porti. Riace non è stato tutto questo, semplicemente ha proposto una soluzione partendo dai luoghi. Ancora oggi io dico, che rispetto alle deportazioni in Albania (Lucano si riferisce all’accordo Italia-Albania, ndr) la soluzione ideale sarebbe quella di riaccendere i paesi abbandonati della Calabria». «Ci sono tanti disoccupati nei nostri paesi – ha proseguito l’ex sindaco –. Addirittura quando io facevo il sindaco non c’era nemmeno il reddito di cittadinanza. C’è una realtà locale di autoctoni che vive condizioni di difficoltà e qual è la soluzione? Quella di andare via, andando via si desertificano i territori che rimangono dei luoghi dove c’è solo il silenzio. L’arrivo delle persone è stato vissuto con la consapevolezza che invece poteva esserci una rigenerazione dei luoghi, qualcuno l’ha definita un’accoglienza dolce che occupa gli spazi che non sono di nessuno. Se tutte le realtà disabitate, soprattutto le aree interne, le aree fragili calabresi, dessero la disponibilità di numeri piccoli, allora non si parlerebbe più di invasione, ma di una straordinaria opportunità. Una cosa che si sarebbe potuta fare in Calabria? Penso alla legge 18 del 2009 che prendeva spunto da questa economia sociale e solidale che in atto a Riace, poteva essere l’occasione per attuare delle politiche in cui l’Europa sarebbe dovuta stare attenta ad avviare dei processi legati al recupero delle aree abbandonate nelle campagne, per una nuova riforma agraria, per attività sulla zootecnica, su quelle che sono le risorse e le vocazioni dei territori».

      Cosa resta oggi del modello Riace?


      «Oggi a Riace non c’è la scuola – ha ricordato Lucano – non c’è l’asilo, c’è di nuovo quell’atmosfera di oblio sociale che prelude poi all’abbandono. Quando le comunità diventano questo, di fronte agli occhi ti appare solo un deserto, paesi fantasmi. Ecco, il mio impegno di questi anni è andato in questa direzione. Poi è arrivata la storia giudiziaria, il voler dire che non c’è altra soluzione se non quella di chiudere le frontiere, chiudere gli spazi, di considerare l’immigrazione solo come un problema, solo come un’invasione, solo come qualcosa che produce la paura, che giustifica misure di sicurezza. Riace è stato il paese pioniere di una nuova visione che ribalta totalmente il paradigma dell’invasione. E secondo me è qui che bisogna cercare il movente giudiziario che mi ha portato ad essere indagato. Credo che il neoliberismo a livello mondiale non gradisca il senso dell’umanità».
      Il futuro di Mimmo Lucano

      Ma c’è davanti a Mimmo Lucano un ritorno all’impegno politico diretto? «Quello che ho davanti – ha detto ancora l’ex sindaco di Riace – è qualcosa che non riguarda solo me, in tanti hanno sostenuto Riace come un’idea in cui si è ritrovata tutta l’Europa. Io sono stato tante volte in Germania, in Francia, in Spagna. Riace non è qualcosa che riguarda solo me, quello che dovrò fare, ma certamente è un messaggio politico. Io non so quello che farò, ma credo dipenderà dal contributo che potrò dare alla collettività ed è una decisione che prenderò insieme alle tante persone che hanno condiviso il mio percorso di sofferenza. Esistono tre possibilità per dedicarsi all’impegno politico e sociale: la prima è fare il sindaco, l’altra è impegnarsi per la Regione, per la nazione e per l’Europa, e poi c’è la militanza, che non prevede ruoli. È quella che mi affascina di più».

      Dopo Mimmo Lucano, nella seconda parte di Telesuonano, è toccato all’avvocato Andrea Daqua ripercorrere in maniera più approfondita la vicenda processionale dell’ex primo cittadino di Riace. «Cosa ho pensato quando ho sentito pronunciare la condanna a 13 anni e due mesi? Con il collega Giuliano Pisapia (ex sindaco di Milano che nel frattempo era diventato difensore di Lucano dopo la morte del professore Antonio Mazzone che aveva seguito dall’inizio la vicenda, ndr), abbiamo immediatamente qualificato quel dispositivo come aberrante, ma non in riferimento soltanto alla quantità smisurata, sproporzionata della pena, ma perché noi che avevamo seguito il processo, avevamo subito intuito che c’era un contrasto evidente tra quel dispositivo e il dato che era invece emerso dall’istruttoria. Poi questa nostra convinzione si è rafforzata quando abbiamo letto la motivazione che era più aberrante del dispositivo e, soprattutto, quando abbiamo ascoltato fonti autorevolissime del diritto italiano, giuristi di primo livello che erano completamente sganciati dal processo e non conoscevano nemmeno Lucano, che hanno spiegato perché quella sentenza era aberrante». Così Andrea Daqua che ha sottolineato come anche nel caso di Lucano, «le cause scatenanti o determinanti di un determinato processo possono essere molteplici, ma noi abbiamo il dovere di attenerci al dato documentale, al dato processuale e sulla base di questo abbiamo dimostrato che Lucano è stato vittima di un gravissimo errore giudiziario. Poi su come sia nato questo errore giudiziario o sulle motivazioni qua potremmo parlare interi giorni». Un errore giudiziario che, come spesso capita, travolge una persona, i suoi familiari e, nel caso di Lucano, una esperienza. Chi ripagherà questo danno? «Nessuno – ha dichiarato Daqua –, l’unico modo secondo il mio modesto parere per dare un senso a questo danno irreparabile che ha subito una persona perbene come Lucano, è quello di leggere le carte, di leggere il processo, di capire il perché di tante anomalie e studiare i rimedi possibili affinché ciò non accada più, perché quello che è successo a Lucano domani potrebbe succedere a chiunque. Allora qui è necessario che gli addetti ai lavori riflettano su questo procedimento e capiscano come anche alcuni strumenti processuali andrebbero rivisti».

      Il ricordo dell’avvocato Antonio Mazzone

      «La fortuna di Mimmo (Lucano, ndr) – ha detto ancora l’avvocato Daqua – è che è stato seguito all’inizio dal professore Mazzone, scomparso da tre anni. Io appena mi sono laureato sono entrato nello studio del professore Mazzone e non ne sono mai uscito, anche se poi ho aperto il mio studio. Però continuare a collaborare con lui, è stata veramente una fortuna perché dove arrivava lui nessuno di noi era in grado di arrivare. Appena Lucano mi ha fatto vedere la prima relazione prefettizia, che era uno dei supporti investigativi su cui si è appoggiato poi il costrutto accusatorio, io, convinto della bontà del suo modello, della sua onestà, gli ho detto: “sindaco io la aiuto, ma qui c’è qualcosa che va oltre. Noi dobbiamo parlare con il prof. Mazzone”. Cosa che da lì a qualche giorno abbiamo fatto e da quel momento in poi tutta la prima parte l’abbiamo seguita insieme. Mazzone è stato convinto dal primo minuto dell’onestà di Lucano e aveva ragione». Ma cosa avrebbe detto Mazzone dopo aver ascoltato le due sentenze? «Nel primo grado – ha risposto sorridendo Daqua – è meglio che io non lo dica. Nel secondo grado, avrebbe detto che giustizia è stata fatta. E’ chiaro che in questo processo il merito è del professore, perché quando lui è venuto a mancare noi eravamo già in una fase istruttoriale avanzata. Poi è intervenuto il collega Pisapia, che ringrazio per il modo con cui lui si è messo a disposizione».

      La precisazione sulla sentenza in Appello

      Sull’ultima sentenza in Appello, Daqua ci ha tenuto a fare una precisazione. «Sento spesso dire che è stata ridotta la condanna – ha affermato il legale – non è proprio così, Lucano è stato assolto per tutti i reati. Per un reato, che è una ipotesi di falso relativa a una determina, c’è stata la condanna. E anche su questa noi siamo assolutamente rispettosi della decisione della Corte, aspetteremo l’esito della motivazione, perché secondo noi anche quella determina è lecita, però chiaramente aspetteremo la valutazione della corte e poi valuteremo. Comunque, nel complesso, possiamo dire che il castello accusatorio si è sbriciolato, sono caduti tutti i reati che erano gravi come il peculato, l’associazione a delinquere e la truffa. Abbiamo dimostrato che diverse intercettazioni erano assolutamente non rispondenti al contenuto della effettiva dichiarazione». «Le intercettazioni – ha continuato Daqua – costituiscono sicuramente uno strumento processuale, ma va assolutamente rivisto in una prospettiva di rispetto verso il principio costituzionale di presunzione di innocenza».

      https://www.youtube.com/watch?v=NzLgnpZvtTk&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.corrieredellaca

      https://www.corrieredellacalabria.it/2023/11/16/mimmo-lucano-il-modello-riace-ha-spaventato-chi-non-guarda-ai-

  • Empêcher les migrations : #dissuasion, #répression

    La #politique_migratoire européenne est marquée par la doctrine dite de l’#appel_d’air [...]. Tout s’oriente vers des stratégies de dissuasion pour circonscrire l’entrée comme le séjour dans le territoire de l’Union européenne (UE), les pays usant pour cela de l’arsenal juridique, administratif ou militaro-policier dont ils disposent [...].

    Sont visées principalement, souvent sur une base raciste, les personnes qui tentent de franchir les #frontières, menacées, pourchassées, voire accusées de trafic d’êtres humains et condamnées, alors même qu’elles ne font que s’assister mutuellement. Mais aussi, dans la même logique, celles qui leur viennent en aide, ainsi que, le cas échéant, leurs organisations, toutes motivations confondues.

    Volontiers qualifiées de criminelles en référence à la figure honnie du « passeur », montrées du doigt sinon punies, les unes et les autres font l’objet d’un éreintement multiforme, l’imagination des forces de répression étant sans limite.

    http://migreurop.org/article3195.html?lang_article=fr
    #migrations #asile #réfugiés #Migreurop #criminalisation_de_la_solidarité #passeurs

  • Respingimenti e ostacoli all’asilo. Ritorno sulla frontiera Italia-Svizzera

    Da gennaio ad aprile 2023 a Como-Ponte Chiasso oltre 1.300 persone migranti sono state “riammesse” indietro dalle autorità elvetiche. È il confine terrestre italiano con i dati più alti. Quattro su 10 sono afghani: la protezione è un miraggio

    Ahmed, diciassettenne afghano, è partito da Kabul nell’autunno del 2021 per non finire tra le fila dell’esercito talebano. A un anno e mezzo dalla partenza, dopo aver percorso una delle diramazioni della rotta balcanica, passa per la stazione di Milano, dove non si ferma neanche una notte: la prossima tappa da raggiungere è Zurigo, l’obiettivo ultimo la Germania. Che cosa lo aspetta al confine italo-svizzero? Seppur poco raccontato, secondo i dati del ministero dell’Interno, su questa frontiera nei primi quattro mesi del 2023 sono state registrate 1.341 riammissioni passive, ovvero le pratiche di polizia a danno di persone straniere considerate irregolari che, a un passo dall’arrivo sul territorio elvetico, vengono costrette a ritornare in Italia.

    A far da contraltare all’approccio di frontiera finalizzato al respingimento, una parte della società civile su entrambi i lati del confine testimonia ormai da anni un’accoglienza possibile ma sempre più difficile nei confronti dei transitanti. La collaborazione tra i due Paesi si rifà all’accordo italo-svizzero del 1998 “sulla riammissione delle persone in situazione irregolare”, mai ratificato dal Parlamento italiano. Il 31 maggio scorso quell’impegno bilaterale è stato ribadito nell’incontro tra il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e la sua omologa svizzera, Elisabeth Baume-Schneider, per contrastare, parole del Viminale, la “criminalità organizzata”, il “terrorismo internazionale” e monitorare i “foreign fighters di rientro dai teatri di guerra”. Il tutto, ha assicurato la consigliera elvetica, garantendo “sempre il rispetto dei diritti umani dei migranti”. Retorica politica che propone un concetto di sicurezza e promette di proteggere tutti, ma poi nella pratica minaccia le stesse persone in cerca di una maggior sicurezza.

    Già nel 2016 l’Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione (Asgi) aveva evidenziato l’illegittimità delle riammissioni previste dall’accordo bilaterale per diversi motivi: ostacolano la domanda di asilo, implicano controlli sistemici e discriminatori lungo una frontiera Schengen e sono considerabili espulsioni collettive; infine, essendo procedure informali, non permettono di presentare un eventuale ricorso.

    Nonostante le rassicurazioni sul “rispetto dei diritti umani” di Baume-Schneider, le riammissioni, con le annesse criticità sottolineate nel 2016, continuano anche oggi. I dati relativi ai primi mesi dell’anno, comunicati dal Viminale dopo un’istanza di accesso civico di Altreconomia, sono eloquenti. Per quanto riguarda il settore terrestre di Como-Ponte Chiasso, da gennaio ad aprile 2023 sono state registrate 1.341 riammissioni verso l’Italia (numeri alti, basti pensare che per il più conosciuto accordo bilaterale tra Italia e Slovenia erano state 1.240 le persone riammesse nel 2020, anno di picco).

    Quello con la Svizzera si conferma quindi il confine terrestre italiano dove vengono registrate più riammissioni passive (si veda, a questo proposito, l’articolo sui respingimenti ai confini italiani nel numero di febbraio di Altreconomia). Dal gennaio 2022, infatti, in media, 330 persone ogni mese sono costrette dalla polizia svizzera a ritornare sui propri passi. Quattro su dieci sono afghani, proprio come Ahmed. Seguono siriani, turchi, marocchini e poi bengalesi e tunisini.

    Entrare nel merito di ciascun episodio è impossibile, ma si può ipotizzare che in molti casi la riammissione abbia ostacolato l’accesso alla domanda di protezione internazionale per persone provenienti da zone di conflitto. Ciò che permette un così alto numero di riammissioni è l’esteso sistema di controllo elvetico. “Il Ticino ha il più alto numero di poliziotti pro-capite di tutta la Svizzera”, spiega Donato Di Blasi di Casa Astra, centro di prima accoglienza per persone in emergenza abitativa nella Svizzera italiana. Nel territorio, infatti, si conta un agente ogni 305 abitanti, a fronte della media nazionale di uno ogni 466 secondo i dati della Radiotelevisione svizzera. “I pattugliamenti della polizia svizzera si estendono sui treni fino a Lugano, a 30 chilometri dalla stazione di confine di Ponte Chiasso”, continua Di Blasi.

    Spesso i controlli avverrebbero sistematicamente nei confronti di persone con caratteristiche somatiche apparentemente non di origine europea, in violazione delle normative che vietano la profilazione etnica (racial profiling). Un ragazzo egiziano di 16 anni che vive attualmente a Como racconta: “Una volta rientrando da Milano mi sono addormentato sul treno, superando per sbaglio la fermata di Como. Alla stazione di Chiasso mi hanno svegliato i poliziotti, mi hanno perquisito fino a lasciarmi in mutande, poi mi hanno riportato in Italia. Ero l’unico sul treno a cui è successo così”. Il monitoraggio frontaliero delle forze dell’ordine si inoltra anche nelle zone di transito percorribili in auto o a piedi. Per sorvegliare al meglio queste aree, l’ufficio federale dell’armamento (Armasuisse) aveva annunciato già nel 2015 l’acquisto di sei droni di fabbricazione israeliana che entreranno a pieno regime entro la fine del 2024.

    Nonostante la fitta rete di controlli e i numeri delle riammissioni, le realtà comasche che supportano le persone transitanti concordano nel dire che la situazione per le strade di Como non è minimamente paragonabile a quella dell’estate del 2016, quando fino a 500 persone dormivano nei pressi della stazione di San Giovanni in attesa di superare il confine. “Sono sporadici i casi di persone riammesse dalla Svizzera presenti sulle strade di Como”, racconta Anna Merlo di Porta Aperta, sportello di Caritas per i senza dimora. “Dato l’alto numero delle riammissioni, ci chiediamo: dove vanno le persone una volta riportate in Italia?”, si domanda don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio, realtà solidale con le persone transitanti e attualmente luogo di accoglienza per decine di minori stranieri non accompagnati in attesa di una sistemazione definitiva. L’impressione è che chi viene riammesso non si fermi in città, provando a continuare il viaggio in altre zone di frontiera, vicine e lontane.

    Ahmed ha avuto fortuna, è riuscito a superare l’ennesimo confine, ma questo non significa la fine degli ostacoli. Infatti, dalle informazioni raccolte, è frequente che le persone transitanti, intercettate dalle forze dell’ordine sul territorio svizzero, dopo aver provato a fare domanda di asilo vengano riportate in Italia alla centrale di polizia di Ponte Chiasso. “Per essere certi che la domanda di asilo venga presa in carico e le persone non vengano respinte, l’unico modo è accompagnarle fisicamente alla questura di Chiasso per contestare un’eventuale riammissione; lo abbiamo fatto più volte in passato -spiega Gabriela Giuria Tasville di Azione posti liberi, fondazione che segue dal punto di vista legale i richiedenti asilo in Ticino-. A peggiorare il quadro, inoltre, è impossibile, per le persone in transito, soggiornare anche temporaneamente in Svizzera, perché dal 2008 è entrata in vigore una legge federale che vieta qualsiasi forma di accoglienza e penalizza chiunque aiuti le persone transitanti in situazione di irregolarità”. Questa legge infatti punisce “con una pena detentiva sino a un anno o con una pena pecuniaria chiunque […] facilita o aiuta a preparare l’entrata, la partenza o il soggiorno illegali di uno straniero” (articolo 116, 1.a). Le autorità, da una parte, non permettono alle persone transitanti di regolarizzare la loro posizione sul territorio e quindi di accedere alle strutture di accoglienza; dall’altra, puniscono chiunque aiuti il soggiorno di una persona che è in una situazione di irregolarità a causa del mancato accesso alla procedura di asilo.

    Questa legge, ormai arrivata al suo quindicesimo anno d’età, ha fatto sì che realtà come Casa Astra, che già nel 2004 accoglieva sans papier provenienti dall’Ecuador, non possano più supportare persone in situazione di emergenza abitativa senza documenti. Ancora più eclatante è il caso del centro sociale autogestito il Molino a Lugano, unica realtà che fino al 2021 accoglieva apertamente le persone transitanti. Nel maggio di due anni fa è stato raso al suolo su provvedimento della polizia cantonale. Al contrario della solida collaborazione tra le autorità di frontiera dei due Paesi, costruire e mantenere una rete solidale a livello locale e transfrontaliero di supporto alle persone in transito, in questo contesto, sembra quasi impossibile.

    https://altreconomia.it/respingimenti-e-ostacoli-allasilo-ritorno-sulla-frontiera-italia-svizze

    #Italie #Suisse #frontières #push-backs #refoulements #asile #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine #réadmissions #réadmissions_passives #foreign_fighters #terrorisme #statistiques #chiffres #2023 #2022 #profilage_racial #drones #criminalisation_de_la_solidarité

  • New GCR report reveals violence against refugees at the Greek-Turkish borders and criminalization of legal aid organizations

    Pushbacks and intimidation of human rights defenders are a systematic part of an unofficial but carefully planned migration and border policy

    A new report by the Greek Council for Refugees (GCR) documents extreme violence against people seeking asylum at Europe’s external border. Pushbacks of refugees to Turkey are widespread, and involve humiliation, illegal detention, intimidation, physical and sexual violence, and arbitrary confiscation of personal belongings.

    Pushback cases before ECtHR and/or Greek Public Prosecutor

    This report contributes to an existing body of extensive evidence of the Greek state’s illegal pushbacks practice, by providing particularly detailed descriptions of 11 pushback cases at the Evros border region and the Aegean islands, and 2 cases of pullbacks by the Turkish authorities in Evros.

    Illegal detention in official and unofficial detention sites

    In all cases detailed in the report, asylum seekers were arbitrarily held in official or unofficial detention sites, for periods ranging from a few hours to a full day before eventually being pushed back. In three cases, people identified their place of detention as the Neo Cheimonio Border Guard Station.

    Sexual Violence

    In all the reported cases, asylum seekers were subjected to strip search during their unofficial detention. In at least three cases, people reported incidents of sexual violence, ranging from humiliation to sexual assault and rape.

    Pushback of two Palestinian recognized refugees

    In June 2022, two Palestinians recognised by the Greek authorities as refugees and legally residing in the island of Kos were illegally apprehended in the middle of the street. They were brought to a small storage room with other people, body searched and then raped. Twelve hours later, the guards tied their legs, put them in a van and boarded them in a boat. They threw them in the sea on a half-deflated raft until the Turkish coast guard rescued them.

    Criminalization of legal aid organizations

    Evidence from the report also shows how human rights defenders supporting refugees, including NGOs like the Greek Council for Refugees, are increasingly intimidated and obstructed in their work by the Greek authorities. Instead of stopping these rights violations, the Greek government is targeting those who support refugees, framing them as enemies of the state and smugglers in an attempt to silence them and hinder their human rights work.

    Alkistis Agrafioti Chatzigianni, Advocacy Officer at the Greek Council for Refugees, said:

    “This research shows that unless the EU and Greek authorities finally put an end to these illegal border policies, they will only become more violent and widespread. The government must immediately cease all violations at its borders and allow human rights defenders to do their important work of supporting people seeking asylum.”

    Kleio Nikolopoulou, Advocacy Officer at the Greek Council for Refugees, said:

    “Pushbacks and border violence have become the rule rather than the exception in Greece. They are an unacceptable symptom of a broken European asylum policy and what is even more alarming is the EU standing by as these rights violations become a common trend throughout European borders. The EU needs to put in place a migration system that upholds asylum rights.”

    https://www.gcr.gr/en/news/press-releases-announcements/item/2111-new-gcr-report-reveals-violence-against-refugees-at-the-greek-turkish-borde

    Pour télécharger le rapport:
    https://www.gcr.gr/media/k2/attachments/GCR_Pushback_Criminalization_Report.pdf

    #rapport #GCR #Grèce #Turquie #frontières #asile #migrations #réfugiés #push-backs #refoulements #criminalisation_de_la_solidarité #violence #humiliation #détention_illégale #enfermement #violence_sexuelle #frontières_extérieures #Evros #îles #Thrace

  • 7 personnes sont mortes, 3 disparues, des dizaines d’autres gravement blessées mais les chasses à l’homme et la criminalisation de la solidarité continuent dans nos montagnes

    #Communiqué commun dont la LDH est signataire

    Le 21 novembre 2016, Tous migrants lançait sa première alerte face à la dérive de l’Etat, en dénonçant les multiples atteintes aux droits des personnes exilées, en Méditerranée, à Calais, à Paris, dans la vallée de la Roya, à Menton, et dans les Hautes-Alpes. Nous alertions sur l’urgence à :

    ⁃ accueillir dignement les personnes contraintes de fuir leur pays où elles ne sont plus en sécurité ;

    ⁃ refuser de traiter ces personnes comme des criminels ou des animaux nuisibles ;

    ⁃ empêcher que nos mers et nos montagnes se transforment en cimetières.

    6 ans plus tard, nous faisons les mêmes constats. Les violences d’Etat contre les personnes exilées ne cessent de se renforcer jusque dans le #Briançonnais, tandis que les fléaux qui contraignent les populations à fuir leur pays se multiplient. L’exception envers les personnes de nationalité ukrainienne a montré qu’il est possible d’accueillir dignement, tout en dévoilant le caractère discriminatoire de la politique actuelle.

    Ces violations de droits sont documentées et dénoncées par les associations, les organismes indépendants de défense des droits humains, les chercheurs, les journalistes, les parlementaires… Des décisions préfectorales ont été annulées et deux membres de la police aux frontières ont déjà été condamnés par les tribunaux.

    Au lieu de respecter les #droits_fondamentaux, les gouvernements successifs n’ont de cesse de militariser la frontière, pour un coût direct de plusieurs dizaines de millions d’euros par an pour le seul #Briançonnais, soit un gâchis considérable par rapport aux sommes nécessaires à l’accueil digne et au respect du droit.

    Cette politique n’engendre que morts et souffrances supplémentaires, les frontières abiment durablement, physiquement et psychiquement, les personnes. Les risques liés à la traversée notamment en saison hivernale sont bien réels (hypothermie, gelure) et sont accentués par la militarisation de la frontière (fuite, cachette, chute). Pour exemple, la nuit du 19 au 20 novembre 2022, 4 personnes ont été blessées à la suite d’un #contrôle_par_surprise en pleine #montagne et de la #course_poursuite qui a suivi, avec une personne hospitalisée à Briançon. Des pratiques humiliantes ont été également rapportées récemment dans le cadre d’#enfermement à la #police_aux_frontières de #Montgenèvre.

    La #criminalisation_de_la_solidarité perdure. Le #harcèlement, les #intimidations, les #amendes abusives voire mensongères, les #poursuites_judiciaires sont toujours de mise envers les solidaires, et ceci malgré nos multiples signalements aux autorités compétentes.

    Nous ne baissons pas les bras. Nous continuons notre veille active à la frontière pour réduire les risques, témoigner, dénoncer et alerter les autorités dédiées, le tout pour obtenir des avancées sur le respect des droits à la frontière. Des décisions récentes nous confortent dans notre action. Par exemple, le 22 novembre, après la relaxe des 3+4, deux solidaires ayant subi de la prison viennent d’obtenir réparation en justice. Le 23 novembre, la Cour européenne des droits de l’Homme a accepté d’instruire la requête que nous avons déposée au côté de la famille de Blessing Matthew pour que vérité et justice soient faites.

    Nombre de personnes agissent au quotidien de manière humaine, professionnelle et sans discrimination, à l’exemple des personnels soignants de l’hôpital de Briançon, avec discernement à l’exemple de certains membres de force de l’ordre, et même avec courage pour celles et ceux qui osent désobéir à des ordres illégaux, illégitimes, dangereux et barbares.

    Avec les associations et collectifs impliqués et la population solidaire, nous montrons chaque jour qu’un autre accueil est possible, que tout le monde en profite, y compris l’économie locale. Aujourd’hui plus que jamais le Briançonnais est reconnu dans le monde entier comme une #terre_d’accueil.

    Cette renommée n’a rien à voir avec le pseudo « #appel_d’air » que les pouvoirs publics et l’extrême droite agitent comme un épouvantail dont les chercheurs ont démontré la vacuité. Par exemple, par comparaison avec Montgenèvre, le nombre de #refoulements effectués par la PAF est presque deux fois plus élevé à Modane et dix fois plus à Menton, alors qu’il n’y a pas de lieux d’accueil sur ces deux territoires.

    Depuis nos montagnes qui ont toujours été des lieux de passage, d’asile mais aussi d’exil, nous nous unissons pour sensibiliser sur les préjugés tenaces autour de la migration mais également pour changer ces politiques mortifères et à fort relent raciste et xénophobe.

    Dimanche 18 décembre, à l’occasion de la Journée internationale des migrants, des manifestations sont organisées en France, en Europe et au-delà. Opposés à cette politique du rejet, nous avons fait le choix de la dignité et de l’humanité.

    À Briançon, avec toutes les associations et collectifs impliqués dans l’accueil des personnes exilées, nous vous donnons rendez-vous :

    ⁃ à 15h30, devant la médiathèque pour une déambulation en fanfare jusque devant la MJC, avec des prises de parole ;

    ⁃ à partir de 17h, devant la MJC, avec les stands des associations et des boissons chaudes ;

    ⁃ à 18h30, à l’Eden-Studio pour la projection-débat des films documentaires 18 mois, puis à 21h Ceux de la nuit, en présence des réalisatrices et de personnes impliquées.

    Paris, le 13 décembre 2022

    https://www.ldh-france.org/alerte-a-la-population-7-personnes-sont-mortes-3-disparues-des-dizaines-
    #humiliation #frontière_sud-alpine #France #Italie #Briançon

    –—

    Ajouté à la métaliste autour de la situation des exilés dans les Hautes-Alpes :
    https://seenthis.net/messages/733721

  • Crimes of Solidarity and Humanitarianism

    https://www.crimesofsolidarity.org
    #délit_de_solidarité #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité #database #données #statistiques #chiffres #cartographie #monde #base_de_données #asile #migrations #réfugiés #visualisation

    La base données n’a pas l’air d’être vraiment à jour et fiable, mais l’approche est intéressante, ce qui est évident en regardant la carte pour France/Italie :

  • Etude criminalisation solidarité

    L’étude cartographie les nouvelles tendances de de criminalisation de la solidarité et élabore des recommandations à l’égard de l’Union européenne et des États membres. L’étude révèle également de nombreux cas de criminalisation partout en Europe, dont certains en Belgique : entre janvier 2021 et mars 2022, pas moins de 89 personnes ont été criminalisées pour avoir aidé des exilé.es en Europe. Dans la grande majorité des cas (88%), ces défenseur.es des droits humains, souvent migrant.es eux-mêmes, ont été accusé.es de faciliter l’entrée, le transit et le séjour irrégulier, ou encore le trafic d’êtres humains.

    https://issuu.com/saskiabricmont/docs/etude_criminalisation_solidarit_-_r_sum_analytiq

    #criminalisation #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité #délit_de_solidarité #rapport #asile #migrations #réfugiés

    ping @isskein @karine4

    • Non à la criminalisation de la solidarité avec les exilé.es en Europe

      Agir en solidarité avec les exilé.es dans l’Union européenne se révèle de plus en plus difficile depuis plusieurs années. Des études ont montré qu’entre 2015 et 2019 au moins 171 personnes ont été criminalisées pour des actes de solidarité envers les personnes migrantesdans 13 États membres de l’UE. Et cela ne s’arrête pas là.

      La nouvelle étude commandée par le groupe des Verts/ALE au Parlement européen tire la sonnette d’alarme. Réalisée par Martha Gionco et Jyothi Kanics de l’organsiation PICUM (Plateforme pour la coopération internationale pour les migrants sans-papiers), cette étude de cas cartographie les nouvelles tendances de ce phénomène de criminalisation de la solidarité et élabore des recommandations à l’égard de l’UE et de ses États membres. Mercredi dernier, j’organisais avec ma collègue irlandaise Grace O’Sullivan une conférence pour présenter l’étude en présence de différents acteur.ices de la société civile et activistes.

      Les cas de criminalisation en hausse, bien que leur nombre reste sous-estimé…

      L’étude révèle qu’entre janvier 2021 et mars 2022, pas moins de 89 personnes ont été criminalisées pour avoir aidé des personnes migrantes. Ces personnes ont fourni de la nourriture, un abri, une assistance médicale ou des moyens de transport à des personnes qui ont dû fuir leur pays d’origine. Elles ont également apporté un soutien dans le cadre du dépôt des demandes d’asile.
      Ces chiffres ne dressent probablement qu’une image très incomplète du nombre réel de personnes qui sont criminalisées au sein de l’UE pour avoir fait preuve de solidarité envers les migrant.es et personnes déplacées. De nombreux cas n’ont probablement pas été recensés par l’étude.

      Notre étude a révélé que la majorité des cas de criminalisation de la solidarité sont susceptibles de ne pas être signalés en raison de :

      la crainte que l’attention médiatique ne compromette encore plus les relations avec les autorités et ne limite l’accès aux zones frontalières ou aux centres d’accueil ;
      la volonté de préserver le droit à la vie privée des bénévoles et de ne pas mettre les bénévoles et leurs familles en danger ;
      la prudence de certain.es défenseur.ess des droits humains qui préfèrent ne pas s’exprimer sur des procès en cours.

      Dans la grande majorité des cas (88%), les défenseur.es des droits humains ont été accusé.es de faciliter l’entrée, le transit et le séjour irrégulier, ou encore le trafic de personnes migrant.es.

      Une criminalisation encore plus lourdes pour les défenseur.es des droits humains étant eux-même des exilé.es

      Par ailleurs, l’étude alerte sur le fait que la criminalisation des défenseur.es des droits humains qui sont eux-mêmes des exilé.es est encore moins signalée. Lorsqu’elles sont criminalisées, ces personnes se trouvent dans une situation particulièrement vulnérable, car elles risquent l’expulsion, le refoulement, la détention arbitraire et la perte de statut. Nombre d’entre elles subissent de lourdes conséquences financières, sociales et économiques.

      En Belgique, ce fut le cas de Walid, l’un des 4 individus membres de la Plateforme Citoyenne de Soutien aux Réfugiés accusés dans un procès débuté en 2017, pour avoir fourni de l’aide et un logement à des migrant.es et demandeur.ses d’asile. Pour ces actes de solidarités, ils et elles encouraient jusqu’à 10 ans de prison pour trafic d’être humains. Leur acquittement fut finalement confirmé après 4 longues années de procédure, mais durant cette période Walid - qui était le seul des accusé.es à ne pas être citoyen européen - fut particulièrement criminalisé. Bien qu’il vive en Belgique avec un statut de résident régulier depuis 2001, il a été considéré comme présentant un risque de fuite et a été placé en détention provisoire pendant 8 mois. Durant cette détention, il fut expulsé de sa maison et a perdu toutes ses affaires personnelles, y compris ses photos de famille, jetées dans la rue. Comme le rappelle son témoignage dans l’étude, ce traitement et cette période d’isolation ont eu un impact dévastateur et durable sur sa vie, sur sa santé et son bien-être.

      L’Union européenne doit agir contre la répression de la solidarité et pour une politique migratoire humaine

      La criminalisation de la solidarité, et celle qui s’abat plus férocement sur défenseur.es des droits humains qui sont eux-mêmes des exilé.es, sont inacceptables pour les Verts/ALE. L’UE doit prendre des mesures immédiates pour lutter contre la répression de la solidarité et empêcher la criminalisation de l’aide humanitaire. Pour ce faire, les Verts/ALE plaident notamment pour l’élaboration d’un cadre commun aux Etats membres afin de renforcer la protection de la solidarité dans la législation.

      Comme je l’expliquais dans Le Soir, les Etats membres ont aujourd’hui une grande marge de manœuvre en la matière pour interpréter le droit européen, ce qui leur permet de mettre en place des législations qui ont tendance à criminaliser plutôt qu’à reconnaître la solidarité envers les migrants. Un cadre commun clair limiterait ces interprétations criminalisantes.

      L’UE devrait aussi faire beaucoup plus pour protéger les défenseur.es des droits humains, notamment en finançant de manière adéquate l’aide humanitaire. Il est également indispensable d’améliorer la veille en matière de droits humains pour demander des comptes aux Etats responsables de violations dans le cadre de procédures de criminalisation. Je réclame ainsi la création d’un organisme indépendant pour contrôler ces situations.

      De manière plus globale, il est urgent de développer une politique migratoire européenne basée sur l’accueil et la solidarité passant notamment par la mise en place de voies légales et sûres d’accès au continent européen.

      https://www.youtube.com/watch?v=nlwD-l6VRUE&feature=emb_logo

      https://saskiabricmont.eu/priorites/141-non-a-la-criminalisation-de-la-solidarite-avec-les-exilees-en-eur

  • Aide aux migrants aux portes de l’Europe : de plus en plus systématiquement, « citoyens et exilés sont condamnés »

    Les eurodéputés verts ont dévoilé à Riace, en Italie, un rapport pointant les maltraitances des Etats européens, et notamment de la Grèce, vis-à-vis des exilés et de ceux qui les aident, pour décourager les candidats à l’exil. Ils dénoncent une entorse aux valeurs de l’Europe.

    « Il est important pour moi d’être aux côtés de Mimmo alors que son procès en appel vient de s’ouvrir. » Le député européen EE-LV Damien Carême prend la parole devant quelques dizaines de personnes rassemblées vendredi à Riace, petite commune du sud de l’Italie. Lui et d’autres parlementaires européens, dont l’Allemande Cornelia Ernst (Die Linke, gauche) ou l’Italienne Rosa D’Amato (les Verts), sont venus soutenir Domenico Lucano, surnommé Mimmo. Maire de Riace de 2004 à 2018, il avait été condamné à plus de 13 ans de prison ferme en septembre 2021, accusé d’ « association de malfaiteurs visant à aider et encourager l’immigration clandestine, d’escroquerie, de détournement de fonds et d’abus de fonction ». Mimmo avait en fait fait renaître son petit village de Calabre en y accueillant des dizaines de migrants. Le verdict avait ravi l’extrême droite italienne et provoqué la consternation et l’indignation de toutes les personnes concernées par la question migratoire.
    « Riace, capitale de l’hospitalité »

    « En réalité, pendant ses mandats, Mimmo a fait de ce village un territoire accueillant. Il a refusé l’inaction de l’Etat, pallié les défaillances des politiques européennes et surtout prouvé qu’un autre modèle est possible », reprend Damien Carême. Sa collègue Cornelia Ernst rebondit : « Riace est devenu un lieu d’espoir, une petite ville devenue la capitale de l’hospitalité. » Les députés européens ont aussi profité de ce déplacement pour présenter un rapport sur la criminalisation de la solidarité à travers l’Europe.

    « Le choix de Riace et le moment pour y venir sont évidemment symboliques », explique Damien Carême lors d’un entretien avec Libération. Alors qu’il n’y avait pas eu d’enrichissement personnel de la part de Domenico Lucano, mais d’éventuels manquements au droit administratif, comme le fait de ne pas avoir réalisé d’appel d’offres public pour la gestion des déchets de la commune, il avait écopé de cette lourde peine, tandis que l’extrême-droite, avec Matteo Salvini, dirigeait la région. Si le cas du maire est emblématique, « de nombreux autres élus, citoyens, et exilés sont condamnés au sein de l’UE aujourd’hui », enchaîne Damien Carême, pour qui « nous assistons actuellement à une hausse de la criminalisation des migrations et des solidaires dans l’UE ».
    « Décourager toute solidarité envers les exilés »

    L’étude de 57 pages, réalisée par deux chercheuses, Marta Gionco et Jyothi Kanics, avait été commandée par les eurodéputés verts pour appuyer leurs travaux en commission sur les migrations. Les conclusions du rapport documentent les outils mis en place dans les Etats de l’UE pour criminaliser de plus en plus systématiquement les exilés et les actions de solidarité. « Les actions des bénévoles consistent essentiellement à donner à manger aux exilés, à leur apporter une aide sanitaire ou encore à les accompagner dans leurs démarches pour obtenir des papiers. Mais ils sont victimes de maltraitances des Etats, où ils subissent des procès en réalité pour l’aide qu’ils ont apportée », souligne le député européen, qui fut également maire de Grande-Synthe, commune du Nord où des exilés étaient hébergés dans un camp avant de tenter de gagner l’Angleterre.

    Pour lui, « ces procès politiques doivent être dénoncés et cesser. Ils visent à décourager toute forme de solidarité envers les exilés et nous ne pouvons tolérer ces dérives qui piétinent les valeurs de l’UE et les droits fondamentaux », reprend l’eurodéputé. Dans le fond, « les solidaires sont accusés d’être des passeurs. Ce qui n’est pas le cas. Ce sont des gens qui sauvent des vies humaines en mer, dans les montagnes… Ils ne s’enrichissent pas ! Le rapport recommande donc de mettre en place des corridors humanitaires. »

    En mars 2021, la Cour de cassation avait confirmé la relaxe de Cédric Herrou, devenu une figure de l’aide aux migrants en France, après une longue procédure jalonnée de trois procès et d’une saisine du Conseil constitutionnel. Il avait été initialement poursuivi pour avoir convoyé des migrants venus d’Italie et organisé un camp d’accueil en 2016 dans les Alpes-Maritimes.
    Acharnement judiciaire

    Pour Damien Carême, il existe une différence choquante dans le traitement des réfugiés en fonction de l’endroit d’où ils arrivent. Le député européen cite en exemple les initiatives européennes mises en place dès le début du conflit en Ukraine. « La directive de protection temporaire, qui date de 2001, a été activée. Mais pourquoi n’a-t-elle pas été mise en œuvre pour les réfugiés syriens ou afghans ? » interroge-t-il. « C’est révélateur de ce que l’Europe veut. Quand on est blanc et chrétien, on est bienvenu ; quand on est basané et musulman, non. C’est du racisme », estime-t-il. « Dans une Europe dont les valeurs sont la lutte contre les discriminations, la solidarité, la liberté, la démocratie, le respect de l’état de droit… les fondations sont secouées. »

    Selon le rapport, c’est un véritable système européen de rejet systématique des migrants qui est mis en place. L’idée est de décourager les candidats à l’exil en criminalisant et condamnant ceux qui les aident par solidarité et compassion. Cette stratégie est de plus en plus visible, notamment dans certains pays comme la Pologne, la Hongrie ou encore la Grèce, pointent les responsables d’ONG également présents à Riace. La journaliste néerlandaise Ingeborg Beugel le sait bien. Son procès en Grèce, qui devait s’ouvrir le 1er juin, a été finalement reporté, mais elle reste accusée d’avoir « facilité » le séjour illégal d’un Afghan de 23 ans qu’elle hébergeait sur l’île d’Hydra, où elle vit depuis 40 ans. Elle risque un an de prison et une amende de 5 000 euros. La journaliste se dit victime d’un acharnement judiciaire, car depuis des années, elle enquête en Grèce sur les sujets migratoires et dénonce les « pushback », ces refoulements illégaux des migrants en mer commis par les garde-côtes, ou encore les conditions déplorables d’accueil des migrants dans les camps. Ce harcèlement s’est accentué depuis qu’elle a osé poser directement au Premier ministre grec Mitsotakis une question sur ces refoulements lors d’une conférence de presse.
    Une peine de 187 ans de prison

    Les exilés comparaissent, eux aussi, régulièrement devant les tribunaux après leur arrivée sur les îles grecques. Une disposition de la loi grecque permet de qualifier de « passeur » toute personne reconnaissant avoir tenu la barre d’un rafiot de fortune entre la Turquie et la Grèce, point d’entrée dans l’UE, y compris pendant quelques instants. La plupart du temps, le vrai trafiquant et passeur, parfois armé, abandonne le bateau d’exilés pour sauter sur un jet-ski et rentrer à terre, en laissant les réfugiés tenter de se débrouiller pour piloter l’embarcation. Les peines de prison peuvent s’élever à plusieurs dizaines d’années.

    Le 5 mai dernier, trois demandeurs d’asile syriens ont ainsi été jugés après le naufrage d’un bateau près de l’île de Paros le 24 décembre 2021. Ils ont écopé de peines de prison pour « aide à l’entrée illégale » sur le territoire grec. L’un a été condamné à 187 ans de prison et les deux autres à 126 ans chacun. Environ 2 000 personnes seraient actuellement détenues dans les prisons grecques pour trafic illégal de migrants, ce qui représenterait la deuxième population de détenus la plus importante en Grèce.

    https://www.liberation.fr/international/europe/aide-aux-migrants-aux-portes-de-leurope-de-plus-en-plus-systematiquement-

    #procès #justice #Mimmo_Lucano #Riace #Domenico_Lucano #Italie #criminalisation_de_la_solidarité #acharnement_judiciaire #asile #migrations #réfugiés #villes-refuge #hospitalité #IoStoConMimmo

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    voir aussi ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/931476

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    • Mimmo Lucano, processo alla solidarietà: appunti sulla sentenza di Locri

      Un pomeriggio intensissimo di emozioni e di approfondimenti quello del 17 giugno appena trascorso al No Mafia Memorial di Palermo, così denso che non può ridursi a un resoconto: l’intento originario era valutare le motivazioni della sentenza (ne ha già scritto Fulvio Vassallo Paleologo, che ha svolto il ruolo di moderatore), ma a poco a poco ricordi, intenzioni, desideri e progetti hanno preso il sopravvento, specie nelle parole accorate dell’ex sindaco di Riace.

      “In tre sindacature, ho fatto dell’accoglienza non solo un’affermazione del rispetto dei diritti umani, ma anche un’occasione per lo sviluppo del territorio e per la lotta contro le mafie. Dal 2009 ero responsabile dell’Ufficio Amministrativo e, quando una famiglia sudanese di nove persone fu chiamata a pagare 5 euro e 50 centesimi a testa per ottenere le carte d’identità, decisi che da quel momento quei soldi li avrei versati di tasca mia. Poi, eletto sindaco, eliminai questi diritti di segreteria, forse troppo sbrigativamente, senza seguire la procedura ufficiale…”

      Quando a Locri non esisteva un albo ufficiale delle cooperative e i locali del Tribunale non avevano l’agibilità, Lucano estromise alcune cooperative in odor di mafia dal progetto di accoglienza; staccò l’acquedotto di Riace dalla rete regionale; pretese il controllo pubblico dello smaltimento dei rifiuti; perfino le imprese funebri locali contestarono la sepoltura dei migranti nel cimitero di Riace divenuto multietnico. Alcuni di questi soggetti giuridici hanno testimoniato poi per l’accusa durante il processo.

      Quando il modello Riace, ora imitato in tutto il mondo, fu avviato, nei primi anni Duemila, vigeva la legge Turco-Napolitano; venivano stabiliti flussi d’ingresso (sia pure solo sulla carta); “la Prefettura mi osannava perché le risolvevo il problema degli sbarchi”, confessa Lucano. Poi vennero i decreti Minniti e Salvini e quello che era meritorio si mutò in delittuoso. “Al tempo dello sbarco del 1998, tutto avvenne spontaneamente, con la collaborazione del vescovo, Mons. Bregantini, vicino alla teologia della liberazione e al Movimento dei Lavoratori per il Socialismo, mentre io ero di Democrazia proletaria” (vescovo, che poi deporrà al processo a favore dell’imputato e della sua <<visione profetica>>, citando l’Enciclica Fratelli tutti n.d.r.). Fu rimesso in uso il borgo, ricostruite case, nacquero la scuola, il doposcuola, la mensa sociale, il banco alimentare; riacesi e richiedenti asilo lavorarono affiancati con contratti regolari. Fu perfino creata una moneta, per gli scambi interni, con le effigi di Peppino Impastato, di Martin Luther King e Che Guevara.

      Lucano viene coinvolto all’inizio del 2020 nel processo Xenia, nell’aura di criminalizzazione generalizzata dei soccorsi in mari, dell’operato delle ONG, dell’accoglienza, e condannato a 13 anni e 2 mesi (quasi il doppio di quanto richiesto dall’accusa), per associazione a delinquere, frode, falso in atto pubblico, peculato, abuso d’ufficio e truffa. Curioso che il primo reato, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per il quale era stato anche arrestato, sia stato archiviato! Curioso, ma non troppo se si pensa che avrebbe impedito l’accusa di associazione a delinquere, passibile di ben più aspra condanna (art. 416 dei codici Zanardelli e Rocco)! Curioso anche che gli sia stato contestato il falso in atto pubblico per aver concesso una carta d’identità a un bimbo di 4 mesi privo di permesso di soggiorno, affinché potesse essere curato, ma che lo stesso reato non gli sia stato ascritto per la carta d’identità data a Becky Moses, poi morta nell’incendio del 2017 della baraccopoli di San Ferdinando. Curioso, ma non troppo se si pensa che la responsabilità di quel campo era del prefetto Di Bari, la cui moglie oltre tutto era indagata dal 2016 per la gestione non troppo limpida di alcuni centri di accoglienza…

      La sociologa Giovanna Procacci, che ha seguito tutte le udienze, paragona il processo Lucano al processo contro Danilo Dolci per lo “sciopero alla rovescia” del 1956, in cui l’attivista triestino fu difeso da Piero Calamandrei, il quale in quell’occasione parlò di “rovesciamento di senso”: c’è nei processi politici un marcatore comune, non ci sono fatti ma idee, sparisce il contesto, l’identità dell’inquisito viene capovolta. In questo caso, l’accoglienza diventa sistema clientelare per l’accaparramento dei voti, il volontariato peculato, la trasparenza amministrativa corruzione.

      Il sociologo Santoro parla di questo processo come di una “cerimonia di degradazione”, che è resa possibile dal fatto che l’accusatore può presentarsi come incarnazione di un sentire comune e pubblico. Ciò spiega l’enormità della pena: si mira a distruggere un’identità politica fortissima. Se non che, come osserva Umberto Santino, questa volta la cerimonia di degradazione si è risolta in un effetto boomerang: la condanna ha suscitato indignazione e solidarietà dappertutto; “il villaggio globale” di Riace, come a Lucano piace chiamarlo, sta risorgendo. Ci sono nuove ospiti: dodici bambine afghane e diverse donne nigeriane; Lucano resta in contatto con il movimento di liberazione curdo, cui aveva aderito fin dall’inizio.

      L’appello inizierà il 6 luglio, ma nel frattempo la scelta dell’ex sindaco è quella della disobbedienza civile: non intende pagare la multa, poiché sarebbe un’ammissione di colpevolezza, “il riconoscimento di una forma di legalità squallida”. I soldi raccolti dall’associazione “A buon diritto”, di cui sono garanti Manconi e Colombo, desidera siano impegnati per accogliere più profughi a Riace. “Nell’appello non voglio l’attenuazione della pena, non accetto neanche un giorno in meno, voglio la riabilitazione del nostro lavoro, voglio la luce della verità”.

      Chiudiamo con le parole di Francesco Saccomanno, anch’egli presente ad ogni seduta del processo, amico e compagno sincero di Lucano senza incertezze.
      “Essendo un uomo di legge”.

      (da una frase del Colonnello Sportelli nel processo di Locri,

      mentre parla di migranti e chiede quasi di essere ringraziato).

      Parafrasando il Calamandrei della famosa epigrafe “Lo avrai camerata Kesserling”,

      noi gli rispondiamo.

      “Lo avrete,

      giudici ed inquisitori, il monumento che pretendete da noi compagni

      e da quanti vogliono Restare Umani.

      Ma con che pietra si costruirà

      a deciderlo tocca a noi.

      Non con le membra straziate

      delle migliaia di esseri inermi

      distrutti dalla disumanità di leggi ingiuste

      non con la terra dei cimiteri

      dove i nostri fratelli migranti

      riposano in serenità

      non con la neve insanguinata delle montagne

      che per tanti inverni li sfidarono

      non con la primavera di queste valli

      che li videro fuggire.

      Ma soltanto col silenzio dei torturati

      più duro d’ogni macigno

      soltanto con la roccia di questo patto

      giurato fra uomini liberi

      che, come Mimmo, volontari si adunarono

      per dignità e non per odio

      decisi a riscattare

      la vergogna e la disumanità del mondo.

      Su queste strade se vorrete tornare

      ai nostri posti ci ritroverete

      morti e vivi con lo stesso impegno

      popolo serrato intorno al monumento

      che si chiama

      ora e sempre

      RESISTENZA

      https://www.pressenza.com/it/2022/06/mimmo-lucano-processo-alla-solidarieta-appunti-sulla-sentenza-di-locri

    • Processo a Mimmo Lucano, la corte riapre l’istruttoria per un’intercettazione del 2017. «Ora voglio la verità»

      Locri, la mossa decisiva degli avvocati difensori. La registrazione chiave: «L’amministrazione dello Stato non vuole il racconto della realtà di Riace». A ottobre la sentenza di Appello. L’ex sindaco: "Non mi interessa una riduzione di pena, voglio l’assoluzione piena”. L’aiuto di Luigi Manconi

      (#paywall)
      https://www.repubblica.it/cronaca/2022/07/07/news/reggio_calabria_processo_mimmo_lucano_riaperta_istruttoria-356927399

  • Arrestato #Emilio_Scalzo, a Bussoleno, #Val_Susa

    Un mandato di cattura internazionale a cui la polizia italiana dà seguito con una celerità che raramente si vede per reati amministrativi che coinvolgono multinazionali o evasioni fiscali di milioni di euro. Emilio è stato dunque arrestato oggi, a #Bussoleno in modalità sceriffo nei western, con tanto di manette, per strada. L’accusa ? Aver manifestato al confine contro una legge, che impedisce a chi lo desidera di recarsi in un paese diverso dal proprio per cercare un lavoro o per sfuggire ad un regime violento come quello in Afghanistan, una legge che fa si che la ricca Europa non conceda visti a chi arriva da paesi poveri mentre permette la libera cirocolazioni di denaro, spesso illegale, merci e cittadini ricchi. Lo accusano di aver picchiato un gendarme francese..Molto più probabilmente avrà risposto a qualche provocazione della polizia francese che voleva impedire la manifestazione e li avrà mandati a quel paese. Ma lui è più facile da accusare, è grande e grosso, genoroso, è un uomo che non si tira indietro e spesso difende gli altri. E’ uno che parla e che probabilmente si vuole colpire perchè è uno in vista.. Giusto la settimana scorsa in appello altri attivisti di Briancon sono stati considerati innocenti da un’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Colpire chi difende il diritto a migrare e aiuta chi rischia di morire di freddo in montagna ( dove lo Stato è assente e quando è presente lo fa per chiudere fuori dalla fortezza Europa i più poveri ) non è giustizia, è abuso di potere. Vergognatevi...

    https://www.facebook.com/davide.rostan/posts/10159916292221654

    #criminalisation_de_la_solidarité #asile #migrations #Italie #Val_de_Suse #frontières #solidarité #Emilio

    • Nouvelle datant de 2020 :
      Mandato d’arresto europeo per Emilio Scalzo, storico attivista no Tav

      Avrebbe aggredito un gendarme in Francia, durante un corteo contro le frontiere

      Emilio Scalzo, 66 anni, storico attivista No Tav, è stato arrestato oggi dai carabinieri a Bussoleno (Torino). I militari hanno eseguito un mandato d’arresto europeo per dei fatti avvenuti in Francia, durante un corteo contro le frontiere, in cui Scalzo avrebbe aggredito un gendarme.

      Il movimento No Tav ha organizzato un presidio di protesta alle 18.30 questa sera a San Didero.

      L’episodio risale al maggio scorso, durante un corteo promosso dal movimento anarchico iniziato a Claviere, in Valle di Susa, e arrivato in territorio francese, dove ci furono violenti scontri tra antagonisti e forze dell’ordine.

      https://www.lastampa.it/torino/2021/09/15/news/mandato-d-arresto-europeo-per-emilio-scalzo-storico-attivista-no-tav-1.4070

      –-> si je comprends bien, il a donc été effectivement arrêté ces jours-ci, en septembre 2021

    • Sull’estradizione di Emilio: ultimi aggiornamenti

      Ieri 3 dicembre si è scritta una delle pagine più infami della storia di Emilio.

      Sveglia presto nel carcere di Torino, trasferimento, estradizione. Parole confuse che arrivano per competenza agli avvocati che informano i familiari.

      E’ dunque arrivato il richiamo del coloniale impero francese che voleva dentro le sue gabbie Emilio. Tragitto veloce verso Briancon e lì subito identificazione e “presa in possesso” del detenuto.

      Come nei più macabri noir si corre verso Gap dove in poche ora incontra l’avvocato, si presenta al giudice istruttore e a seguire di fronte ad un collegio giudicante. Sarà a fine serata decisa la detenzione in carcere.

      Sono passate neanche 12 ore dalla partenza e la Francia ha “bruciato” quello che in Italia avviene normalmente in 21 giorni.

      Arresto, colloquio con avvocato, interrogatorio di garanzia, eventuale conferma dell’arresto e a seguire ricorso al tribunale delle libertà di fronte ad un collegio giudicante.

      Stessa schifezza sia in Italia che in Francia se pensiamo alla figura di Emilio, a ciò di cui è accusato e al suo prodigarsi nel soccorso a questa umanità in fuga e in transito sulle nostre montagne.

      Stridono però i tempi oltre il confine. In 12 ore si è impacchettato il tutto.

      Una “farsa” recitata anche male di una decisione già presa da tempo, dal giorno in cui venne attivato con tanto livore e cattiveria il mandato di cattura europeo.

      Ora Emilio è stato trasferito a Aix Luynes vicino Marsiglia, a 300 km da casa nel 3° carcere per importanza di Francia. La scelta della prigione aggiunge certezza a quanto detto prima.

      Questa è la giustizia, che niente ha a che vedere con i Giusti e che oggi più che mai, con loro si scontra.

      Emilio Libero! No all’estradizione!

      Libertà per i/le No Tav!

      https://www.notav.info/post/sullestradizione-di-emilio-ultimi-aggiornamenti

    • Répression sans frontières contre un activiste solidaire

      Figure de la lutte « No Tav » et de l’accueil des exilé·es sur le versant italien des Alpes, Emilio Scalzo a été extradé en France. À 66 ans, cet habitant du val de Suse est accusé d’avoir blessé un gendarme français lors d’une manifestation anti-frontières aux confins des Hautes-Alpes. Lui dit n’avoir fait que se défendre face à une agression gratuite. Il vient de passer deux mois en prison à Aix-en-Provence et n’a toujours pas le droit de quitter les Bouches-du-Rhône.

      Le 15 mai 2021, c’est jour de manifestation entre Clavière (Italie) et Montgenèvre (Hautes-Alpes). Manière, pour les militant·es de l’accueil des exilé·es et de l’ouverture des frontières, de répondre à la récente fermeture de la Casa Cantoniera, un refuge autogéré pour les personnes migrantes en transit à Oulx, petit bourg du val de Suse situé à une vingtaine de kilomètres de la France. Il s’agit surtout de protester plus largement contre la mortifère militarisation de cette frontière montagneuse, que Paris s’échine à fermer aux exilé·es en ne cessant d’y envoyer des renforts policiers et autres drones afin d’en rendre la traversée plus compliquée. Et dangereuse.

      Parmi les manifestant·es, un certain Emilio Scalzo, 66 ans, poissonnier à la retraite. Depuis que son village, Bussoleno, est devenu voie de passage pour les migrant·es cherchant à passer en France, il s’est grandement investi dans l’organisation de l’accueil, quitte à entrer en conflit avec les autorités. La confrontation politique, il en a l’habitude : depuis des années, il est une figure du mouvement « No Tav1 », qui s’oppose à la construction de la ligne ferroviaire à grande vitesse entre Lyon et Turin. À la fin de la biographie qu’elle lui a consacrée, A testa alta (Intra Moenia, 2020), sa camarade de lutte Chiara Sasso liste 27 procédures judiciaires le concernant, notamment pour des actions de blocage des routes d’accès au chantier.

      Mais ce jour-là, l’activiste est fatigué. Il a mal aux genoux et renonce à suivre les plus déterminé·es des manifestant·es, qui continuent d’avancer malgré les gaz lacrymogènes lancés par les forces de l’ordre françaises. Pour se reposer, le sexagénaire s’assoit en retrait, seul. Mais voilà que des gendarmes mobiles arrivent. « Ils m’ont dit en français : “Reculez, reculez !” Je ne comprenais pas ce que ça voulait dire », raconte Emilio en italien. Selon son récit, les militaires jettent alors une grenade lacrymogène dans sa direction. « Ensuite, un des gendarmes est arrivé avec sa matraque, reprend Emilio. Pour me défendre, j’ai ramassé un bout de bois par terre. Quand il a essayé de me frapper au visage, j’ai voulu faire tomber sa matraque, mais je l’ai touché au bras… Maintenant il dit que c’est moi l’agresseur et je me suis retrouvé en prison ! Mais je jure que tout ce que j’ai fait, c’est me défendre. »
      L’artillerie (judiciaire) lourde

      Cette journée du 15 mai, le gendarme rebrousse chemin et Emilio peut rentrer chez lui. Mais une procédure est lancée. Quelques temps plus tard, il est identifié. Le procureur de Gap émet un mandat d’arrêt européen contre lui. En septembre, Emilio est arrêté dans les rues de son village. Emprisonné quelques jours à Turin, il est ensuite assigné à résidence. Début décembre, il est remis aux autorités françaises. Mis en examen pour « violences aggravées » par un juge d’instruction gapençais, il est placé en détention provisoire dans la foulée au centre pénitentiaire de Luynes, à Aix-en-Provence.

      L’acceptation sans anicroche de cette extradition par la justice transalpine pose une question : pour les autorités italiennes, qui espèrent obtenir de la France l’extradition d’anciens activistes des Brigades rouges, ne s’agirait-il pas d’un cadeau préalable appelant à un renvoi d’ascenseur ?

      Me Matteo Bonaglia, l’avocat français d’Emilio, s’indigne en tout cas de la « disproportion » manifeste entre les faits et les procédés coercitifs réservés à son client, qui aurait pu être tout simplement convoqué en audition libre.

      Fin janvier, le juge d’instruction gapençais refuse une première demande de remise en liberté. Me Bonaglia en appelle à la chambre de l’instruction de Grenoble. Début février, celle-ci inflige un double camouflet aux magistrats de Gap. D’abord, le mandat d’arrêt européen émis par le procureur est annulé, « preuve rétroactive qu’il n’était pas nécessaire », dixit Me Bonaglia, pour qui ce genre de procédé n’est censé être utilisé qu’en ultime recours, ou dans des « affaires particulièrement graves ». Ensuite, Emilio est remis en liberté. Gros bémol, cependant : la procédure dans son ensemble se poursuit et le militant reste sous contrôle judiciaire, avec interdiction de quitter le département des Bouches-du-Rhône. Il a aussi l’obligation de pointer une fois par semaine à la gendarmerie de Lançon-de-Provence, commune située à quatre heures de route de son village italien. Son procès ne se tiendra pas avant des mois.

      http://cqfd-journal.org/Repression-sans-frontieres-contre

  • La #Pologne érigera une clôture en barbelés à sa frontière avec le #Bélarus

    La Pologne a annoncé lundi qu’elle allait ériger une « solide #clôture » de barbelés, haute de 2,5 mètres, à la frontière polono-bélarusse et y augmenter ses effectifs militaires pour empêcher les migrants de pénétrer sur son sol.

    La Pologne a annoncé lundi qu’elle allait ériger une « solide clôture » de barbelés, haute de 2,5 mètres, à la frontière polono-bélarusse et y augmenter ses effectifs militaires pour empêcher les migrants de pénétrer sur son sol.

    Varsovie et les trois pays baltes (la Lituanie, la Lettonie et l’Estonie) dénoncent ensemble une « attaque hybride » organisée par le Bélarus qui, selon eux, encourage les migrants à passer illégalement sur le territoire de l’Union européenne.

    Le ministre polonais de la Défense, Mariusz Blaszczak, a précisé lundi qu’une nouvelle clôture « à l’instar de celle qui a fait ses preuves à la frontière serbo-hongroise », composée de quelques spirales superposées de fils barbelés, doublerait la première barrière à fil unique qui s’étend déjà sur environ 130 kilomètres, soit sur près d’un tiers de la longueur de la frontière entre les deux pays.

    « Les travaux commenceront dès la semaine prochaine », a déclaré M. Blaszczak à la presse.

    Le ministre a annoncé que les effectifs militaires à la frontière allaient prochainement doubler, pour atteindre environ 2.000 soldats dépêchés sur place afin de soutenir la police des frontières.

    « Nous nous opposerons à la naissance d’une nouvelle voie de trafic d’immigrés, via le territoire polonais », a-t-il insisté.

    Les quatre pays de la partie orientale de l’Union européenne ont exhorté lundi l’Organisation des Nations unies à prendre des mesures à l’encontre du Bélarus.

    Les Premiers ministres d’Estonie, de Lettonie, de Lituanie et de Pologne ont assuré dans une déclaration commune que l’afflux des migrants avait été « planifié et systématiquement organisé par le régime d’Alexandre Loukachenko ».

    Des milliers de migrants, pour la plupart originaires du Moyen-Orient, ont franchi la frontière bélarusso-européenne ces derniers mois, ce que l’Union européenne considère comme une forme de représailles du régime bélarusse face aux sanctions de plus en plus sévères que l’UE lui impose.

    « Il est grand temps de porter la question du mauvais traitement infligé aux migrants sur le territoire bélarusse à l’attention des Nations unies, notamment du Conseil de sécurité des Nations unies », peut-on lire dans la déclaration.

    Les quatre pays affirment qu’ils accorderont toute la protection nécessaire aux réfugiés traversant la frontière, conformément au droit international, mais ils demandent également d’« éventuelles nouvelles mesures restrictives de la part de l’UE pour empêcher toute nouvelle immigration illégale organisée par l’Etat bélarusse ».

    Dans de nombreux cas, les autorités de Minsk repoussent les migrants vers la frontière de l’UE, ce qui a déjà conduit à des situations inextricables.

    Un groupe de migrants afghans reste ainsi bloqué depuis deux semaines sur une section de la frontière entre la Pologne et le Bélarus.

    Des organisations polonaises des droits de l’Homme et l’opposition libérale accusent le gouvernement nationaliste-conservateur polonais de refuser de secourir les personnes ayant besoin d’aide et d’ainsi violer le droit international.

    https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/230821/la-pologne-erigera-une-cloture-en-barbeles-sa-frontiere-avec-le-belarus

    #frontières #murs #barrières_frontalières #asile #migrations #réfugiés #Biélorussie #militarisation_de_la_frontière

    –-
    voir aussi la métaliste sur la situation à la frontière entre la #Pologne et la #Biélorussie (2021) :
    https://seenthis.net/messages/935860

    • On the EU’s eastern border, Poland builds a fence to stop migrants

      Polish soldiers were building a fence on the border with Belarus on Thursday, as the European Union’s largest eastern member takes steps to curb illegal border crossings despite criticism that some migrants are being treated inhumanely.

      Brussels has accused Belarusian President Alexander Lukashenko of using migrants as part of a “hybrid war” designed to put pressure on the bloc over sanctions it has imposed, and building the wall is part of Poland’s efforts to beef up border security on the EU’s eastern flank.

      “Almost 3 km of fencing has been erected since yesterday,” Defence Minister Mariusz Blaszczak said on Twitter, adding that almost 1,800 soldiers were supporting the border guard.

      Blaszczak said on Monday that a new 2.5 metre high solid fence would be built, modelled on the one built by Prime Minister Viktor Orban on Hungary’s border with Serbia.

      On Thursday Reuters saw soldiers next the frontier stringing wire through barbed wire to hook it to posts.

      Poland has received sharp criticism over its treatment of a group of migrants who have been stuck on the Belarus border for over two weeks, living in the open air with little food and water and no access to sanitary facilities.

      On Wednesday refugee charity the Ocalenie Foundation said 12 out of 32 migrants stuck on the border were seriously ill and one was close to death.

      “No fence or wire anywhere in the world has stopped any people fleeing war and persecution,” said Marianna Wartecka from the foundation who was at the border on Thursday.

      Poland says responsibility for the migrants lies with Belarus. The prime minister said this week that a convoy of humanitarian offered by Poland had been refused by Minsk.

      Surveys show that most Poles are against accepting migrants, and Poland’s ruling nationalists Law and Justice (PiS) made a refusal to accept refugee quotas a key plank of its election campaign when it swept to power in 2015.

      An IBRiS poll for private broadcaster Polsat on Wednesday showed that almost 55% of respondents were against accepting migrants and refugees, while over 47% were in favour of a border wall.

      “Our country cannot allow such a large group of people to break our laws,” said Emilia Krystopowicz, a 19-year-old physiotherapy student, in Krynki, a village next the border.

      Belarusian President Alexander Lukashenko has accused Poland and Lithuania of fuelling the migrant issue on the borders.

      https://www.reuters.com/world/europe/eus-eastern-border-poland-builds-fence-stop-migrants-2021-08-26

    • Poland to build anti-refugee wall on Belarus border

      Poland has become the latest European country to start building an anti-refugee wall, with a new fence on its border with Belarus.

      The 2.5-metre high wall would be modelled on one built by Hungary on its border with Serbia in 2015, Polish defence minister Mariusz Blaszczak said.

      “We are dealing with an attack on Poland. It is an attempt to trigger a migration crisis,” he told press at a briefing near the Belarus frontier on Monday (23 August).

      “It is [also] necessary to increase the number of soldiers [on the border] ... We will soon double the number of soldiers to 2,000,” he added.

      “We will not allow the creation of a route for the transfer of migrants via Poland to the European Union,” he said.

      The minister shared photos of a 100-km razor-wire barrier, which Poland already erected in recent weeks.

      Some 2,100 people from the Middle East and Africa tried to enter Poland via Belarus in the past few months in what Blaszczak called “a dirty game of [Belarus president Alexander] Lukashenko and the Kremlin” to hit back at EU sanctions.

      “These are not refugees, they are economic migrants brought in by the Belarusian government,” deputy foreign minister Marcin Przydacz also said on Monday.

      Some people were pushed over the border by armed Belarusian police who fired in the air behind them, according to Polish NGO Minority Rights Group.

      Others were pushed back by Polish soldiers, who should have let them file asylum claims, while another 30-or-so people have been stuck in no man’s land without food or shelter.

      “People were asking the [Polish] border guards for protection and the border guards were pushing them back,” Piotr Bystrianin from the Ocalenie Foundation, another Polish NGO, told the Reuters news agency.

      “That means they were in contact and that means they should give them the possibility to apply for protection ... It’s very simple,” he said.

      “We have been very concerned by ... people being stranded for days,” Shabia Mantoo, a spokeswoman for the UN refugee agency, the UNHCR, also said.

      But for its part, the Polish government had little time for moral niceties.

      “The statements and behaviour of a significant number of Polish politicians, journalists, and NGO activists show that a scenario in which a foreign country carrying out such an attack against Poland will receive support from allies in our country is very real,” Polish deputy foreign minister Paweł Jabłoński said.

      Belarus has also been pushing refugees into Lithuania and Latvia, with more than 4,000 people recently crossing into Lithuania.

      “Using immigrants to destabilise neighbouring countries constitutes a clear breach of international law and qualifies as a hybrid attack against ... Latvia, Lithuania, Poland, and thus against the entire European Union,” the Baltic states and Poland said in a joint statement on Monday.

      Lithuania is building a 3-metre high, 508-km wall on its Belarus border in a €152m project for which it wants EU money.

      The wall would be completed by September 2022, Lithuanian prime minister Ingrida Simonyte said on Monday.

      “The physical barrier is vital for us to repel this hybrid attack,” she said.
      Fortress Europe

      The latest upsurge in wall-building began with Greece, which said last week it had completed a 40-km fence on its border with Turkey to keep out potential Afghan refugees.

      And Turkey has started building a 3-metre high concrete barrier on its 241-km border with Iran for the same reason.

      “The Afghan crisis is creating new facts in the geopolitical sphere and at the same time it is creating possibilities for migrant flows,” Greece’s citizens’ protection minister Michalis Chrisochoidis said.

      Turkey would not become Europe’s “refugee warehouse”, Turkish president Recep Tayyip Erdoğan said.

      https://euobserver.com/world/152711

    • Comme la Lituanie, la Pologne veut sa barrière anti-migrants à la frontière biélorusse

      Varsovie et Vilnius veulent construire des barrières contre les migrants qui transitent par le Bélarus, tandis que la situation humanitaire continue de se détériorer à la frontière orientale de l’Union européenne.

      La pression augmente pour faire de l’Union une forteresse. Vendredi 8 octobre, douze pays, dont la Pologne et la Lituanie, ont réclamé d’une seule voix que l’Union européenne finance la construction de barrières à ses frontières externes. Il s’agit de l’Autriche, la Bulgarie, Chypre, la République tchèque, le Danemark, l’Estonie, la Grèce, la Hongrie, la Lituanie, la Lettonie, la Pologne et la Slovaquie.

      « Je ne suis pas contre », a répondu la commissaire aux Affaires intérieures Ylva Johansson. « Mais quant à savoir si on devrait utiliser les fonds européens qui sont limités, pour financer la construction de clôtures à la place d’autres choses tout aussi importantes, c’est une autre question ».

      La question migratoire agite particulièrement en Pologne, soumise à une pression inédite sur sa frontière orientale, avec le Bélarus. Le 7 octobre, le vice-Premier ministre Jarosław Kaczyński, qui préside aussi la commission des affaires de sécurité nationale et de défense, a confirmé la construction d’une barrière permanente le long de la frontière polono-biélorusse. Lors d’une conférence de presse tenue au siège de l’unité des gardes-frontières de Podlachie, frontalière avec la Biélorussie, il a expliqué : « Nous avons discuté des décisions déjà prises, y compris dans le domaine financier, pour construire une barrière très sérieuse. Le genre de barrière qu’il est très difficile de franchir. L’expérience européenne, l’expérience de plusieurs pays, par exemple la Hongrie et la Grèce, montre que c’est la seule méthode efficace ».

      La Pologne a débuté les travaux en août dernier et des barbelés ont déjà été tirés sur des sections sensibles de la frontière polono-biélorusse. Lorsqu’elle aura atteint son terme, la barrière fera 180 kilomètres de long et plus de deux mètres de haut.

      La Lituanie, autre pays frontalier de la Biélorussie, a elle aussi déroulé les barbelés et alloué 152 millions d’euros pour la construction d’une barrière de quatre mètres de haut, sur cinq cents kilomètres, qui doit être prête en septembre 2022.

      Le gouvernement national-conservateur du Droit et Justice (PiS) a réagi par la manière forte à la pression migratoire inédite sur ses frontières. Plusieurs milliers de soldats ont été déployés pour prêter main-forte aux gardes-frontières.

      Le Sénat a adopté le 8 octobre un amendement qui autorise l’expulsion immédiate des étrangers interpellés après avoir franchi la frontière irrégulièrement, sans examiner leur demande de protection internationale. En clair, il s’agit de passer un vernis de légalité sur la pratique dit de « pushback » qui contrevient aux règles internationales, mais utilisées ailleurs sur la frontière de l’UE, parfois très violemment, comme en témoigne la diffusion récente de vidéos à la frontière de la Croatie.
      Loukachenko accusé de trafic d’êtres humains

      Varsovie et Vilnius accusent de concert le président autocrate du Bélarus, Alexandre Loukachenko, de chercher à ouvrir une nouvelle route migratoire vers l’Europe, dans le but de se venger de leur soutien actif à l’opposition bélarusse en exil et des sanctions européennes consécutives aux élections frauduleuses d’août 2020.

      « Ce sont les immigrants économiques qui arrivent. Ils sont amenés dans le cadre d’une opération organisée par les autorités biélorusses avec l’assentiment clair de la Fédération de Russie. Les agences de sécurité biélorusses le tolèrent totalement et y sont présentes », a noté Jarosław Kaczyński. « Ces personnes sont conduites vers des endroits où elles auront une chance de traverser la frontière. Parfois, des officiers biélorusses participent personnellement au franchissement des barrières et à la coupure des fils », a-t-il ajouté.

      « Des centaines de milliers de personnes seront acheminées à notre frontière orientale », a avancé le ministre polonais de l’Intérieur Mariusz Kamiński, au mois de septembre.
      Soutien de la Commission européenne

      La Commission européenne dénonce, elle aussi, « un trafic de migrants parrainé par l’État [biélorusse] ». Le 5 octobre, Ylva Johansson, commissaire européenne chargée des affaires intérieures, a déclaré que « le régime utilise des êtres humains d’une manière sans précédent, pour faire pression sur l’Union européenne. […] Ils attirent les gens à Minsk. Qui sont ensuite transportés vers la frontière. Dans des mini-fourgonnettes banalisées. ».

      C’est aussi une manne économique pour Minsk, a détaillé Ylva Johansson. « Les gens viennent en voyages organisés par l’entreprise touristique d’État Centrkurort. Ils séjournent dans des hôtels agréés par l’état. Ils paient des dépôts de plusieurs milliers de dollars, qu’ils ne récupèrent jamais ».
      La situation humanitaire se dégrade

      L’hiver approche et les températures sont passées sous zéro degré les nuits dernières en Podlachie, la région du nord-est de la Pologne, frontalière avec la Biélorussie. Des groupes d’immigrants qui tentent de se frayer un chemin vers l’Union européenne errent dans les forêts de part et d’autre de la frontière qui est aussi celle de l’Union. « Ce [samedi] soir il fait -2 degrés en Podlachie. Des enfants dorment à même le sol, quelque part dans nos forêts. Des enfants déportés vers ces forêts sur ordre des autorités polonaises », affirme le Groupe frontalier (Grupa Granica).

      Une collecte a été lancée pour permettre à une quarantaine de médecins volontaires d’apporter des soins de première urgence aux migrants victimes d’hypothermie, de blessures, d’infections ou encore de maladies chroniques. Avec les trente mille euros levés dès la première journée (près de soixante mille euros à ce jour), trois équipes ont débuté leurs opérations de sauvetage. « Nous voulons seulement aider et empêcher les gens à la frontière de souffrir et de mourir », explique le docteur Jakub Sieczko à la radio TOK FM. Mais le ministère de l’Intérieur leur refuse l’accès à la zone où a été décrété un état d’urgence au début du mois de septembre, tenant éloignés journalistes et humanitaires de la tragédie en cours.

      Quatre personnes ont été retrouvées mortes – vraisemblablement d’hypothermie – dans l’espace frontalier, le 19 septembre, puis un adolescent irakien cinq jours plus tard. La fondation pour le Salut (Ocalenie) a accusé les gardes-frontières polonais d’avoir repoussé en Biélorussie le jeune homme en très mauvaise santé et sa famille quelques heures plus tôt.

      A ce jour, ce flux migratoire n’est en rien comparable à celui de l’année 2015 via la « Route des Balkans », mais il est dix fois supérieur aux années précédentes. Samedi, 739 tentatives de franchissement illégal de la frontière ont été empêchées par les gardes-frontières polonais, qui ont enregistré plus de 3 000 tentatives d’entrée irrégulière au mois d’août, et près de 5 000 en septembre.

      https://courrierdeuropecentrale.fr/comme-la-lituanie-la-pologne-veut-aussi-sa-barriere-anti-mig

    • EU’s job is not to build external border barriers, says Commission vice president

      Yes to security coordination and technology; no to ‘cement and stones,’ says Margaritis Schinas.

      The European Commission is ready to support member countries in strengthening the bloc’s external borders against the “hybrid threat” posed by international migrant flows but doesn’t want to pay for the construction of physical border barriers, Commission Vice President Margaritis Schinas said Thursday.

      Rather than defending borders with “cement and stones,” Schinas said in an interview at POLITICO’s Health Care Summit, the EU can usefully provide support in the form of security coordination and technology.

      Highlighting how divisive the issue is of the use of EU funds for physical barriers, which EU leaders discussed at length at a summit last Friday morning, Schinas’ line is different from the one expressed by his party in the European Parliament, the center-right EPP, and by his own country, Greece.

      He was responding to comments by Manfred Weber, chairman of the European Parliament’s EPP group, in support of a letter, first reported by POLITICO’s Playbook, by 12 member countries, including countries like Greece, Denmark and Hungary, to finance a physical barrier with EU money.

      Commission President Ursula von der Leyen said after last week’s Council summit that no EU money would be spent to build “barbed wire and walls.”

      “The Commission position is very clear. We are facing a new kind of threat on our external border. This is a hybrid threat,” said Schinas. “The obvious thing for the European Union to do is to make sure that those who seek to attack Europe by weaponizing human misery know that we will defend the border … I think that, so far, we have managed to do it.”

      “At the same time we do have resources that will allow us to help member states to organize their defences — not of course by financing the cement and the stones and the physical obstacles of walls,” he added.

      “But we have the capacity to assist and finance member states for the broader ecosystem of border management at the European Union external border,” said Schinas, referring to setting up command centers and deploying equipment such as thermal cameras. “This is how we will do it. If there is one lesson that this situation has taught us [it] is that migration is a common problem. It cannot be delegated to our member states.”

      Eastern member states have accused authoritarian leader Alexander Lukashenko of flying thousands of people into Belarus and then sending them on hazardous journeys into EU territory. Polish lawmakers approved €350 million in spending last week to build a wall along the country’s border with Belarus.

      https://www.politico.eu/article/eus-job-is-not-to-build-external-border-barriers-says-commission-vice-presi

    • Poland Begins Constructing Border Walls To Deter Asylum-Seeking Refugees

      Poland has begun the construction of a new border wall, estimated to cost $400 million and likely to be completed by June 2022. The wall will stand 5.5 meters high (six yards) and will have a final length of 186 km (115 miles).

      “Our intention is for the damage to be as small as possible,” border guard spokeswoman Anna Michalska assured Poland’s PAP news agency on January 25th. “Tree felling will be limited to the minimum required. The wall itself will be built along the border road.”

      While the Polish border forces are taking extra precautions not to disrupt the nature surrounding the border, there have been concerns about the human rights of asylum-seeking refugees. Over the past decade, there has been a rise in Middle Eastern and African refugees entering European Union countries, primarily through Eastern European territories. Standards set by the United Nations state that it is not illegal to seek refugee status in another country if an individual is in danger within their home country; however, Poland has sent numerous troops to its borders to deter asylum seekers trying to enter the nation on foot from Belarus. Poland has accused Belarus of encouraging asylum seekers to use the state as a passage into E.U. countries that may be a more favorable residency. The Belarusian government has denied these accusations, stating that Poland’s current attempts to restrict the number of refugees allowed in its country are inhumane and a human rights issue. Poland has since claimed that the “easy journey” allowed by Belarus’s government, and potentially supported by its ally Russia, is a non-militant attack against not only Poland, but the rest of the E.U.

      As the two countries continue in their conflict, the asylum seekers – individuals from around the world in need of safety and shelter – are being caught in the crossfire.

      Over the past months, Poland has increased border security, built a razor-wire fence along a large majority of the border, closed off border territories from the media and advocacy groups, and approved a new law allowing the border guard to force asylum seekers back into Belarus. Due to the recent changes, the number of refugees entering Poland has decreased, but this does not mean that the number of asylum seekers in need of aid from E.U. countries has decreased. Numerous groups still try to cross the treacherous border; the Polish border guard estimates that there are seventeen crossings just in the span of 24 hours. Al Jazeera reported on the 25th that Polish border security caught a group of fourteen asylum seekers, the majority of them fleeing Middle Eastern countries, cutting through a portion of the wire fence. These individuals, like many asylum seekers discovered along the border, have been “detained” until the Polish government decides whether to grant them refugee status or force them to return to Belarus.

      While Poland’s frustration with the uneven distribution of asylum seekers entering their country compared to others within the E.U. is understandable, its poor treatment of those in need of aid and protection is unacceptable. Rather than raising arms and security, Poland and the European Union must explore options of refugee resettlement that appease Polish desires for an equal dispersal of refugees throughout Europe without turning away people who need real government assistance. No matter its attitude towards Belarus, Poland must not turn its punishment towards those in need of refuge.

      https://theowp.org/poland-begins-constructing-border-walls-to-deter-asylum-seeking-refugees

    • "The Iron Forest" - building the walls to scar the nature

      If I could bring one thing from my hometown, it would be the fresh air of the conifers from “my” forest. This is the statement my friends have heard me say many times, in particular when I feel nostalgic about my hometown.

      Augustów, where I am from, lies in the midst of Augustów Primeval Forest, in the North-East of Poland — a region referred to as the “green lungs” of Poland. It is an enormous virgin forest complex stretching across the border with Lithuania and connecting with other forests in the region.

      When I was 10, I went on a school trip to a neighbouring Bialowieza forest — a UNESCO heritage site with its largest European bison population. I still remember the tranquillity and magnificence of its landscape including stoic bison. I never would have thought that some years later, the serenity of this place will face being destroyed by the wall built on the Polish and Belarusian border, following the recent events of the refugee crisis.

      Today, I am a mental health scientist with a background in Psychology and Psychological Medicine. I am also a Pole from the North-East of Poland. Embracing both identities, in this blog, I would like to talk about “building walls” and what it means from a psychological perspective.
      Building Walls and Social Identity

      Following the humanitarian crisis which recently took place on the border between Belarus and Poland, we are now witnessing Poland building a wall which would prevent asylum seekers from Syria, Iraqi Kurdistan and Afghanistan, to cross the border.

      The concept of building a wall to separate nations isn’t new. I am sure you have heard about the Berlin wall separating East and West Germany, the Israeli West Bank Barrier between Israel and Palestine, or more recently the wall between Mexico and the US. In fact, according to Elisabeth Vallet, a professor at the University of Quebec-Montreal, since World War II the number of border walls jumped from 7 to at least 70! So, how can we explain this need to separate?

      In her article for the New Yorker on “Do walls change how we think”, Jessica Wapner talks about the three main purposes of the walls which are “establishing peace, preventing smuggling, and terrorism”. It is based on the premises of keeping “the others” away, the others that are threatening to “us”, our safety, integrity and identity. These motivations form the basis for the political agenda of nationalism.

      Using the words of the famous psychologist, Elliot Aronson, humans are social animals, and we all have the need to belong to a group. This has been well described by the Social Identity Theory which claims that positive evaluation of the group we belong to helps us to maintain positive self-image and self-esteem. Negative evaluation of the “the other,” or the outgroup, further reaffirms the positive image of your own group — the intergroup bias. As such, strong social identity helps us feel safe and secure psychologically, which is handy in difficult times such as perceived threat posed by another nation or any other crisis. However, it often creates a “psychological illusion” as in attempt to seek that comfort, we distort the reality placing ourselves and our group in a more favourable light. This, in turn, only worsens the crisis, as described by Vamik Volkan, a psychiatrist and the president of the International Society of Political Psychology, in the article by Jessica Wapner.

      The disillusionment of walls

      In reality, history shows consistently that building walls have only, and many, negative consequences. The positive ones, well, are an illusion: based on the false sense of psychological protection.

      In 1973, a German psychiatrist #Dietfried_Müller-Hegemann, published a book, “#Wall_disease”, in which he talked about the surge of mental illness in people living “in the shadow” of the wall. Those who lived in the proximity of the Berlin wall showed higher rates of paranoia, psychosis, depression, alcoholism and other mental health difficulties. And the psychological consequences of the Iron Curtain lingered long after the actual wall was gone: in 2005, a group of scientists were interested in the mental representation of the distances between the cities in Germany among the German population. They demonstrated systematic overestimations of distances between German cities that were situated across the former Iron Curtain, compared with the estimated difference between cities all within the East or the West Germany. For example, people overestimated the distance between Dusseldorf and Magdeburg, but not between Dusseldorf and Hannover, or between Magdeburg and Leipzig.

      What was even more interesting is that this discrepancy was stronger in those who had a negative attitude towards the reintegration! These findings show that even when the physical separation is no longer present, the psychological distance persists.

      Building walls is a perfect strategy to prevent dialogue and cooperation and to turn the blind eye to what is happening on the other side — if I can’t see it, it doesn’t exist.

      It embodies two different ideologies that could not find the way to compromise and resorted to “sweeping the problem under the carpet”. From a psychoanalytical point of view, it refers to denial — a defence mechanism individuals experience and apply when struggling to cope with the demands of reality. It is important and comes to the rescue when we truly struggle, but, inevitably, it needs to be addressed for recovery to be possible. Perhaps this analogy applies to societies too.

      It goes without saying that the atmosphere created by putting the walls up is that of fear of “the other” and hostility. Jessica Wapner describes it very well in her article for the New Yorker, as she talks about the dystopian atmosphere of the looming surveillance and the mental illness that goes with it.

      And lastly, I wouldn’t want to miss a very important point related to the wall of interest in this blog — the Poland-Belarus wall. In this particular case, we will not only deal with the partition between people, but also between animals and within the ecosystem of the forest, which is likely to have a devastating effect on the environment and the local society.

      Bringing this blog to conclusion, I hope that we can take a step back and reflect on what history and psychology tell us about the needs and motivations to “build walls”, both physically and metaphorically, and the disillusionment and devastating consequences it might have: for people, for society, and for nature.

      https://www.inspirethemind.org/blog/the-iron-forest-building-the-walls-to-scar-the-nature
      #santé_mentale

    • Poland’s border wall to cut through Europe’s last old-growth forest

      Work has begun on a 116-mile long fence on the Polish-Belarusian border. Scientists call it an environmental “disaster.”

      The border between Poland and Belarus is a land of forests, rolling hills, river valleys, and wetlands. But this once peaceful countryside has become a militarized zone. Prompted by concerns about an influx of primarily Middle Eastern migrants from Belarus, the Polish government has begun construction on a massive wall across its eastern border.

      Human rights organizations and conservation groups have decried the move. The wall will be up to 18 feet tall (5.5 meters) and stretch for 116 miles (186 kilometers) along Poland’s eastern border, according to the Polish Border Guard, despite laws in place that the barrier seems to violate. It’s slated to plow through fragile ecosystems, including Białowieża Forest, the continent’s last lowland old-growth woodland.

      If completed within the next few months as planned, the wall would block migration routes for many animal species, such as wolves, lynx, red deer, recovering populations of brown bears, and the largest remaining population of European bison, says Katarzyna Nowak, a researcher at the Białowieża Geobotanical Station, part of the University of Warsaw. This could have wide-ranging impacts, since the Polish-Belarus border is one of the most important corridors for wildlife movement between Eastern Europe and Eurasia, and animal species depend on connected populations to stay genetically healthy.

      Border fences are rising around the world, the U.S.-Mexico wall being one of the most infamous. A tragic irony of such walls is that while they do reliably stop the movement of wildlife, they do not entirely prevent human migration; they generally only delay or reroute it. And they don’t address its root causes. Migrants often find ways to breach walls, by going over, under, or through them.

      Nevertheless, time after time, the specter of migrants crossing borders has caused governments to ignore laws meant to protect the environment, says John Linnell, a biologist with the Norwegian Institute for Nature Research.

      Polish border wall construction will entail heavy traffic, noise, and light in pristine borderland forests, and the work could also include logging and road building.

      “In my opinion, this is a disaster,” says Bogdan Jaroszewicz, director of the Białowieża Geobotanical Station.
      Fomenting a crisis

      The humanitarian crisis at the border began in summer 2021, as thousands of migrants began entering Belarus, often with promises by the Belarusian government of assistance in reaching other locations within Europe. But upon arrival in Belarus, many were not granted legal entry, and thousands have tried to cross into Poland, Latvia, and Lithuania. Migrants have often been intercepted by Polish authorities and forced back to Belarus. At least a dozen migrants have died of hypothermia, malnourishment, or other causes.

      Conflict between Belarus and the EU flared when Alexander Lukashenko claimed victory in the August 2020 presidential election, despite documented claims the election results were falsified. Mass protests and crackdowns followed, along with several rounds of EU sanctions. Poland and other governments have accused Belarus of fomenting the current border crisis as a sort of punishment for the sanctions.

      In response, the Polish government declared a state of emergency on the second of September, which remains in place. Many Polish border towns near the Belarusian border are only open to citizens and travel is severely restricted; tourists, aid workers, journalists, and anybody who doesn’t live or permanently work in the area cannot generally visit or even move through.

      That has made life difficult for the diverse array of people who live in this multi-ethnic, historic border region. Hotels and inns have gone out of business. Researchers trying to do work in the forest have been approached by soldiers at gunpoint demanding to know what they are doing there, says Michał Żmihorski, an ecologist who directs the Mammal Research Institute, part of the Polish Academy of Sciences, based in Białowieża.

      The Polish government has already built a razor-wire fence, about seven feet tall, along the border through the Białowieża Forest and much of the surrounding border areas. Reports suggest this fence has already entrapped and killed animals, including bison and moose. The new wall will start at the north edge of the Polish-Belarusian border, abutting Lithuania, and stretch south to the Bug River, the banks of which are already lined with a razor-wire fence.

      “I assume that it already has had a negative impact on many animals,” Żmihorski says. Further wall construction would “more or less cut the forest in half.”

      Some scientists are circulating an open letter to the European Commission, the executive branch of the EU, to try to halt the wall’s construction.

      Primeval forest

      Much of the Białowieża Forest has been protected since the 1400s, and the area contains the last large expanse of virgin lowland forest, of the kind that once covered Europe from the Ural Mountains to the Atlantic Ocean. “It’s the crown jewel of Europe,” Nowak says.

      Oaks, ash, and linden trees, hundreds of years old, tower over a dense, unmanaged understory—where trees fall and rot undisturbed, explains Eunice Blavascunas, an anthropologist who wrote a book about the region. The forest is home to a wide diversity of fungi and invertebrates—over 16,000 species, between the two groups—in addition to 59 mammalian and 250 bird species.

      In the Polish side of the forest, around 700 European bison can be found grazing in low valleys and forest clearings, a precious population that took a century to replenish. There are also wolves, otters, red deer, and an imperiled population of about a dozen lynx. Normally these animals move back and forth across the border with Belarus. In 2021, a brown bear was reported to have crossed over from Belarus.

      Reports suggest the Polish government may enlarge a clearing through Białowieża and other borderland forests. Besides the impact on wildlife, researchers worry about noise and light pollution, and that the construction could introduce invasive plants that would wreak havoc, fast-growing weedy species such as goldenrod and golden root, Jaroszewicz adds.

      But it’s not just about this forest. Blocking the eastern border of Poland will isolate European wildlife populations from the wider expanse of Eurasia. It’s a problem of continental scale, Linnell says, “a critical issue that this [border] is going to be walled off.”

      Walls cause severe habitat fragmentation; prevent animals from finding mates, food, and water; and in the long term can lead to regional extinctions by severing gene flow, Linnell says.
      Against the law?

      The wall construction runs afoul of several national environment laws, but also important binding international agreements, legal experts say.

      For one, Białowieża Forest is a UNESCO World Heritage site, a rare designation that draws international prestige and tourists. As part of the deal, Poland is supposed to abide by the strictures of the World Heritage Convention—which oblige the country to protect species such as bison—and to avoid harming the environment of the Belarusian part of the forest, explains Arie Trouwborst, an expert in environmental law at Tilburg University in the Netherlands.

      It’s conceivable that construction of the wall could lead UNESCO to revoke the forest’s World Heritage status, which would be a huge blow to the country and the region, Trouwborst adds; A natural heritage site has only been removed from the UNESCO list once in history.

      The Polish part of the Białowieża site has also been designated a Natura 2000 protected area under the European Union Habitats Directive, as are a handful of other borderlands forests. The new wall would “seem to sit uneasily with Poland’s obligations under EU law in this regard, which require it to avoid and remedy activities and projects that may be harmful for the species for which the site was designated, [including] European bison, lynx, and wolf,” Trouwborst says.

      EU law is binding, and it can be enforced within Poland or by the EU Court of Justice, which can impose heavy fines, Trouwborst says. A reasonable interpretation of the law suggests that the Polish government, by building a razor-wire fence through Białowieża Forest, is already in breach of the Habitats Directive. The law dictates that potentially harmful projects may in principle only be authorized “where no reasonable scientific doubt remains as to the absence” of adverse impacts. And further wall construction carries obvious environmental harms.

      “One way or another, building a fence or wall along the border without making it permeable to protected wildlife would seem to be against the law,” Trouwborst says.

      The EU Court of Justice has already shown itself capable of ruling on activity in the Białowieża Forest. The Polish government logged parts of the forest from 2016 to 2018 to remove trees infected by bark beetles. But in April 2018, the Court of Justice ruled that the logging was illegal, and the government stopped cutting down trees. Nevertheless, the Polish government this year resumed logging in the outskirts of Białowieża.
      Walls going up

      Poland is not alone. The global trend toward more border walls threatens to undo decades of progress in environmental protections, especially in transboundary, cooperative approaches to conservation, Linnell says.

      Some of the more prominent areas where walls have recently been constructed include the U.S.-Mexico border; the Slovenian-Croatian boundary; and the entire circumference of Mongolia. Much of the European Union is now fenced off as well, Linnell adds. (Learn more: An endangered wolf went in search of a mate. The border wall blocked him.)

      The large uptick in wall-building seems to have taken many conservationists by surprise, after nearly a century of progress in building connections and cooperation between countries—something especially important in Europe, for example, where no country is big enough to achieve all its conservation goals by itself, since populations of plants and animals stretch across borders.

      This rush to build such walls represents “an unprecedented degree of habitat fragmentation,” Linnell says. It also reveals “a breakdown in international cooperation. You see this return to nationalism, countries trying to fix problems internally... without thought to the environmental cost,” he adds.

      “It shows that external forces can threaten to undo the progress we’ve made in conservation... and how fragile our gains have been.”

      https://www.nationalgeographic.com/environment/article/polish-belarusian-border-wall-environmental-disaster
      #nature #faune #forêt #flore

      –-
      voir aussi ce fil de discussion sur les effets sur la faune de la construction de barrières frontalières :
      https://seenthis.net/messages/515608

    • Le spectre d’une nouvelle #crise_humanitaire et migratoire à la frontière entre la Pologne et la Biélorussie

      La #clôture construite par la Pologne en réponse à l’afflux de migrants en 2021, n’empêche pas la Russie de continuer à user de l’immigration comme d’une arme pour déstabiliser l’Europe.


      #Minkowce est une bourgade polonaise d’une centaine d’âmes, accolée à la frontière biélorusse, où les rues non goudronnées, les anciennes maisons de bois et leurs vieilles granges donnent l’impression que le temps s’y est arrêté. « On se croirait en Amérique à la frontière avec le Mexique ! », s’amuse pourtant Tadeusz Sloma, un agriculteur à la retraite. Car si dans cette région forestière, l’automne est humide et resplendit de couleurs vives en cette fin d’octobre, une imposante clôture d’acier de 5,5 mètres de hauteur, rappelant celle du Texas, s’élève depuis peu à proximité immédiate du hameau.

      « On finit par s’y habituer et on ne la regarde même plus », relativise M. Sloma, dont le jardin débouche sur la clôture. Ici, le souvenir de l’afflux migratoire de l’automne 2021 et de ses dizaines de milliers de réfugiés reste vif. « Nous jetions de la nourriture aux migrants au-dessus des barbelés, des sacs de couchage, des habits, se rappelle le retraité. Ils nous répondaient : “Thank you ! We love you !” Des femmes enceintes, des enfants… cela faisait mal au cœur. » Mais désormais, dit-il, tous les autochtones approuvent le mur et les mesures sécuritaires. « C’est une situation qui ne pouvait pas durer. On se sent davantage en sécurité. Ça ne se répétera pas. »

      Le long de ce qui était il y a encore peu une des frontières les plus paisibles et les plus sauvages de l’Union européenne (UE), chemine désormais un serpent d’acier, de béton et de barbelés de 186 kilomètres de long. Beaucoup plus imposante que les infrastructures similaires dans les pays Baltes, la clôture traverse la #forêt de #Bialowieza, la dernière forêt primaire d’Europe et ses pâturages de bisons, classée au patrimoine de l’Unesco. Les ONG et les scientifiques dénoncent une catastrophe écologique provoquée par la construction de l’infrastructure, qui traverse des zones où la biodiversité était préservée depuis près de douze mille ans.

      « Guerre hybride »

      Depuis que le régime biélorusse a fait de l’organisation de filières migratoires du Moyen-Orient une arme contre le Vieux Continent, le gouvernement national conservateur polonais a répondu avec la plus grande fermeté, au grand dam des défenseurs des droits humains.

      Pour lutter contre ce qui a été qualifié par les institutions européennes de « #guerre_hybride », la raison d’Etat a pris le dessus sur bien des considérations liées aux libertés civiques, au respect du droit d’asile où à la protection du patrimoine naturel. La guerre en Ukraine n’a pas arrangé les choses, même si le nombre de soldats dans la région est passé de 15 000 au pic de la crise migratoire à 1 600 aujourd’hui.

      Grâce à la lutte contre les filières depuis les pays d’origine, l’arrivée de migrants a considérablement baissé, mais ne s’est jamais tarie : 11 000 tentatives de passages ont été recensées depuis le début de l’année, dont 1 600 au mois octobre. Elles étaient 17 000 en octobre 2021. La clôture, opérationnelle depuis juin, est sur le point d’être équipée de systèmes de surveillance électronique dernier cri, avec lesquels les autorités espèrent la rendre « 100 % étanche. » Il restera néanmoins 230 km de frontière le long du Boug occidental, un cours d’eau difficile à surveiller.

      « Ce qui est frappant, c’est que le profil des migrants a radicalement changé , souligne Katarzyna Zdanowicz, porte-parole des gardes-frontières de la région de Podlachie, au nord-est de la Pologne. L’immense majorité provient désormais d’Afrique subsaharienne et de pays jamais recensés auparavant : Nigeria, Soudan, Congo, Togo, Bénin, Madagascar, Côte d’Ivoire, Kenya, Erythrée. » Autre différence : les migrants ne transitent désormais plus directement par Minsk mais d’abord par Moscou. « Il est clair que la Russie leur facilite la tâche. Les visas russes sont tous récents », ajoute-t-elle.

      Possible hausse des tensions

      A une moindre échelle, l’effroyable industrie migratoire pilotée par Minsk et Moscou continue, et les épaisses forêts marécageuses, surnommées par les migrants « la jungle », voient errer des centaines de personnes par semaine. Les soldats biélorusses jouent les passeurs et s’occupent de la logistique. Ils aident les migrants à franchir le mur, fournissent des échelles, des outils, de quoi creuser des tunnels.

      « Grâce au mur, il y a moins d’incidents , insiste Katarzyna Zdanowicz. Avant, les heurts violents étaient fréquents. Les Biélorusses diffusaient dans des haut-parleurs des pleurs d’enfants pour nous faire craquer. » Le temps où les gardes polonais et biélorusses organisaient chaque année, en bonne camaraderie, des compétitions de kayaks le long de la frontière, paraît aujourd’hui bien loin.

      D’autres signes laissent présager une possible hausse des tensions : la Russie a ouvert, début octobre, l’aéroport de Kaliningrad, l’enclave russe située entre la Pologne et la Lituanie, aux vols internationaux. Les médias russes rapportent que les autorités aéroportuaires ont annoncé leur intention d’ouvrir des liaisons avec les Emirats arabes unis, l’Egypte, l’Ethiopie ou encore la Turquie. Un moyen supplémentaire de pression sur l’UE. Pour l’heure, les autorités polonaises assurent toutefois ne constater « aucun phénomène préoccupant » sur la frontière avec Kaliningrad, pourtant particulièrement difficile à protéger.

      Plus au sud, le village de #Bialowieza vit toujours au rythme des interventions des activistes bénévoles, qui portent assistance en forêt aux réfugiés retrouvés dans des états critiques après des journées d’#errance. Au quartier général de l’organisation « #Grupa_Granica » (« Groupe Frontière »), dans un lieu tenu secret, on recense toujours entre 50 et 120 interventions par semaine, sur une zone relativement restreinte. « Grâce au mur, si l’on peut dire, nous n’avons presque plus de femmes ou d’enfants, c’est une différence par rapport à l’année dernière, confie Oliwia, une activiste qui souhaite rester anonyme. Mais nous avons davantage de jambes et de bras cassés, de blessés graves par les barbelés. »

      « Nous avons vu trop d’horreurs »

      Autre différence, la #répression des activistes par les services spéciaux s’est considérablement accrue. « L’aide est de plus en plus criminalisée. On essaye de nous assimiler à des passeurs, alors que nous n’enfreignons pas la loi. Nous sommes surveillés en permanence. » Chacun des militants a un numéro de téléphone écrit au marqueur indélébile sur l’avant-bras : le contact d’un avocat. Les #arrestations_violentes sont devenues monnaie courante. Il y a peu, le local d’une organisation partenaire, le Club de l’intelligentsia catholique (KIK), a été perquisitionné, des membres ont été arrêtés et du matériel confisqué.

      « Nous ne sommes plus en crise migratoire, ajoute Oliwia. Les gardes et l’armée devraient être plus contenus, faire respecter les procédures. Mais ils sont au contraire plus agressifs. La crise humanitaire, elle, est toujours là, et elle va s’accroître avec l’hiver. »

      En #Podlachie, l’aide aux migrants repose principalement sur les épaules des militants bénévoles et de certains autochtones. Elle est financée par des campagnes de dons, et les moyens tendent à se tarir. Nombreux sont ceux qui déplorent l’absence de soutien des grandes organisations humanitaires internationales.

      L’année tumultueuse qui s’est écoulée a laissé des traces dans les mentalités des populations locales, empreintes d’un ras-le-bol généralisé, d’une atmosphère d’extrême méfiance de l’étranger et d’omerta sur les sujets sensibles. « Après plus d’une année à agir, nous sommes tous exténués physiquement et psychiquement , conclut Olivia. Nous avons vu trop d’horreurs. »

      https://www.lemonde.fr/international/article/2022/10/29/a-la-frontiere-entre-la-pologne-et-la-bielorussie-le-spectre-d-une-nouvelle-
      #criminalisation_de_l'aide #criminalisation_de_la_solidarité

    • Polonia tra accoglienza e nuovi muri, ‘solidarnosc’ a lettura politica

      Un nuovo muro anti migranti clandestini tra Polonia e Bielorussia costato quasi mezzo miliardo di Euro che frena ma non ferma. Non bastano il muro e l’inverno, in quelle foreste particolarmente crudele. La spinta dei migranti clandestini usata anche come arma politica, analizza Marsonet. Sulla Polonia e altrove. Chi la favorisce e chi la ferma per ragioni opposte ma eguali: per interesse politico o per puro guadagno.
      Per rimanere su quel confine interpretato spesso come fronte con la Russia, tra le persone che lo attraversano o muoiono tentando di farlo, si contano circa 80 nazionalità e luoghi di origine, segnalano Croce rossa e Mezzaluna rossa.
      Il migrante come arma o come guadagno

      Vi sono pochi dubbi sul fatto che Putin e il suo alleato Lukashenko stiano utilizzando il problema dei migranti per mettere in difficoltà l’Unione Europea. Del resto, è noto che anche Erdogan sta praticando la stessa strategia. L’unica differenza è che il “sultano” si fa profumatamente pagare per impedire che i disperati lascino il suolo turco e si dirigano verso l’Ue, lasciando però scoperti varchi attraverso i quali la fuga può essere tentata.
      Nessuna richiesta di denaro invece, da Mosca e Minsk. Federazione Russa e Bielorussia vogliono solo accrescere le difficoltà di Bruxelles, magari usando i migranti per cercare di ammorbidire le sanzioni emanate dopo l’invasione dell’Ucraina.
      Europa in ordine sparso e scaricabarile

      Purtroppo occorre constatare che le varie nazioni europee affrontano il problema (anzi: il dramma) in ordine sparso. Non c’è alcuna strategia comune che l’Unione abbia adottato. E, se anche vi fosse, vien fatto di pensare che non verrebbe accettata da tutti.
      La reazione più comune consiste nel costruire muri sempre più alti, con grandi quantità di filo spinato e dotati di sensori elettronici in grado di dare l’allarme in caso di sconfinamento. Tali muri danno, ai Paesi che li erigono, un notevole senso di sicurezza.
      I muri muraglia senza imparare dalla storia

      E’ lecito chiedersi, tuttavia, se tale senso di sicurezza sia giustificato, o se si tratta piuttosto di una sicurezza fasulla. I fenomeni migratori sono una costante della storia, e non solo di quella occidentale. Gli imperatori cinesi costruirono la Grande Muraglia, che resta tuttora una meraviglia architettonica.
      Però non riuscì affatto a fermare i popoli delle steppe dell’Asia centrale, che la superarono senza eccessivi problemi penetrando quindi nei territori dell’Impero Celeste, mischiandosi ai cinesi e imponendo addirittura dinastie estranee agli “han”, la componente etnica maggioritaria della Cina.
      L’inganno delle trincee indifendibili

      Ci si chiede, quindi, perché mai nella nostra epoca i muri che vengono costruiti a ritmo accelerato nell’Europa dell’Est dovrebbero riuscire a bloccare le ondate di disperati che vogliono penetrare nelle nazioni più ricche, alla ricerca di un’esistenza migliore.
      Il caso emblematico è quello della Polonia, ormai trasformata in una sorta di “fortezza” protetta dai muri anzidetti. Senza scordare che non tutti i confini sono fortificabili in questo modo. Per esempio, tra Polonia e Bielorussia esistono vaste aree con grandi foreste e acquitrini che rendono in pratica impossibile la costruzione di muri di quel tipo.
      ‘Solidarnosc’ solo con Kiev

      Ora si apprende che Varsavia intende erigere un muro anche al confine con l’enclave russa di Kaliningrad, peraltro irta di missili che Mosca vi ha piazzato per far pesare la sua presenza militare. Il governo polacco è allarmato per l’aumento dei voli dall’Africa a Kaliningrad, e accusa quello russo di voler incoraggiare anche qui il passaggio di migranti.
      Sottolineando ancora una vota le responsabilità di Mosca (e di Minsk) che usa i migranti come “arma politica”, è tuttavia lecito chiedersi se una nazione vasta come la Polonia può davvero trasformarsi in fortezza inespugnabile con questi metodi. Dopo tutto è il Paese in cui Lech Walesa fondò il movimento sindacale “Solidarnosc” (che significa “solidarietà”).

      https://www.remocontro.it/2022/12/20/polonia-solo-per-lucraina-altri-muri-per-i-migranti-sgraditi

    • Refugees seriously injured on razor-wire fence UK helped build to keep asylum seekers out of EU

      Government accused of backing ‘inhumane’ policies as 16 people are badly hurt by barrier blocking entry via Poland from Belarus

      Refugees and asylum seekers have been seriously injured by a “dangerous” razor-wire fence that the UK helped to build to keep asylum seekers out of Europe.

      At least 16 people have been gravely hurt, some hospitalised, when recently attempting to reach Europe by crossing a 5.5m-high barrier the British military helped to construct on Poland’s border with Belarus.

      Humanitarian groups last night called for an inquiry into why the government had aided “inhumane anti-migration measures” and demanded answers from ministers over Britain’s “role in the harm and misery inflicted upon vulnerable people”.

      The Ministry of Defence confirmed it sent Royal Engineers personnel to Poland between December 2021 and August 2022 to provide “border infrastructure support” in response to “pressures from irregular migration”.

      The Polish defence minister stated British soldiers would work on a fence on the Belarusian border.

      Now the medical charity Médecins Sans Frontières (MSF) has revealed it has been treating a series of grave injuries sustained at the barrier.

      During the month up to 24 April, at least 16 people, mainly from Syria, Iraqi Kurdistan and Afghanistan, were treated for blunt injuries, sprains, cuts, and suspected fractures – some requiring urgent hospitalisation – as a “direct result” of trying to cross the razor-wire border wall stretching 116 miles along its frontier with Belarus.

      The types of injury led MSF medics to conclude that the border fence, completed last June, was “dangerous.”

      Sophie McCann, advocacy adviser at MSF UK, said: “MSF medical teams have seen the injuries and suffering caused by abusive treatment at Europe’s borders of refugees, people seeking asylum and other migrants.

      “It is therefore deeply alarming that the UK government is actively and directly supporting these inhumane anti-migration measures.

      “Given the government sent personnel to help construct fences in response to ‘irregular migration’, ministers have serious questions to answer about their role in the harm and misery inflicted upon vulnerable people searching for sanctuary.”

      A defence source said the UK had become involved after Belarus began forcing migrants towards Poland, a Nato ally, in an apparent attempt to undermine EU security.

      “Belarus’s deliberate policy to use migrants as weapons has sadly led to many being forced across secure border fences. The UK government condemns such use,” said the source.

      The developments come as the UK government refuses to say what anti-migrant and border security support it has given to Hungary, whose nationalist prime minister, Viktor Orbán, previously described asylum seekers entering Europe as “a poison”.

      Since January 2021, MSF teams at the border have treated 498 patients for physical injuries, allegedly because of physical assaults by Hungary’s border police and army, or due to a steel fence built on the border with Serbia to keep out migrants.

      The charity said it was investigating recent reports of children locked up in shipping containers and teargassed in Hungary.

      Another country accused of serious abuses towards refugees is Greece. The UK government has, in the past, been transparent about helping Athens with anti-migrant measures but now appears to have adopted a policy of secrecy, not answering queries from the Observer or sharing details following Freedom of Information requests.

      “The excessive secrecy around the provision of assistance to other states’ harsh migration policies is deeply alarming,” said McCann.

      This month the New York Times published video showing asylum seekers taken to sea and abandoned on a raft by the Greek coastguard – despite the country claiming it does not ditch migrants at sea.

      McCann added: “We have seen the horrendous human cost of policies such as violent pushbacks – where people arriving in Greece are aggressively forced back out to sea and abandoned. Yet the Home Office is refusing to share even minimal information about what support it provides to border forces in Greece or Hungary – two states where many of the worst abuses happen.

      “It is completely unacceptable that the UK government continues to support this approach while seeking to cover up the evidence of its support at every turn.”

      A Ministry of Defence spokesperson said: “Between December 2021 and August 2022, personnel from the Royal Engineers were deployed to Poland to help secure its border.

      “Personnel supported Polish troops with specific engineering tasks along the border including infrastructure support and repairing access roads, as well as planning support.”

      The Home Office referred queries to the Foreign Office who said the issue was one for the Home Office.

      https://www.theguardian.com/uk-news/2023/may/27/refugees-hurt-dangerous-fence-uk-built-keep-asylum-seekers-out-of-eu-po

  • Dalla frontiera alpina del Nord-ovest (valle di Susa)

    La situazione alla frontiera nord-ovest in Alta Valle di Susa, dove da mesi #MEDU sta monitorando le condizioni di vita e il rispetto dei diritti umani di uomini, donne e bambini provenienti principalmente dalla rotta balcanica e in transito verso la Francia, è prossima a un collasso programmato che si scarica soprattutto sui più vulnerabili.
    Le principali criticità:
    –Sul versante italiano il sistema di accoglienza si è in pochi mesi ridotto radicalmente. La casa occupata #Chez_Jesuoulx è stata sgomberata il 23 di marzo con procedimenti giudiziari a carico degli attivisti. Il rifugio #Fraternità_Massi ha dovuto sobbarcarsi in toto l’accoglienza con costante sovraffollamento, rischi sanitari e ritmi di lavoro per gli operatori anche di 24 ore. Il finanziamento del progetto di accoglienza, pur approvato, non è mai arrivato. Il risultato è stato che dopo qualche giorno a marzo di apertura 24 ore per tutti, poi l’accoglienza diurna è stata limitata ai più vulnerabili ed infine cancellata. Gli spazi per le famiglie, affittati ai salesiani, troppo onerosi, sono stati definitivamente restituiti. Donne, uomini, bambini, sono costretti a rimanere per strada durante le ore diurne, senza alcun tipo di assistenza e accesso ai servizi essenziali.
    Per converso, in questi mesi è sorto uno spazio aperto a #Claviere che ha svolto il ruolo di presidio solidale in frontiera con cucine ed attenzione medica anche grazie al contributo di #No_Nation_Truck. Il 30 di luglio tale presidio ha cercato di radicarsi con l’occupazione della ex dogana, sgomberata dopo 5 giorni, aprendo la strada a nuovi procedimenti giudiziari.
    Dall’altra parte della frontiera, in Francia, le #Refuge_solidaire ha chiuso i battenti, sfrattato dalle istituzioni, oberato da presenze ormai ingestibili, anche per l’impossibilità di garantire le necessarie misure anti-Covid.
    Le persone in transito sono strette in una morsa da entrambi i lati della frontiera.
    Il clima di criminalizzazione della solidarietà è accompagnato anche da cambiamenti nelle pratiche di controllo da parte delle forze dell’ordine. Dal 20 di luglio al 10 di agosto la polizia è intervenuta un giorno ogni due alle partenze degli autobus a #Oulx per identificare, trasferire alla caserma di #Bardonecchia per schedatura #eurodac e per dissuadere con minacce coloro che erano in partenza. Tre volte è entrata al rifugio Fraternità Massi per portare famiglie a Bardonecchia per identificazione e consegna di fogli di espulsione o per obbligo a presentarsi in questura sotto minaccia di possibile arresto. Non siamo di fronte a prassi irregolari, ma certamente a un cambiamento di atteggiamento che sembrerebbe invalidare quelle prassi concordate a livello inter-istituzionale per cui il rifugio era un luogo neutro, libero da ordinari controlli .
    Di fronte a questo quadro di assenza programmata delle istituzioni, di repressione verso le pratiche di solidarietà, di contrasto agli ingressi e transiti, i flussi crescono e cresceranno sia dai Balcani sia dalla rotta del Mediterraneo centrale. Il compito di stare affianco alle persone in transito ricade su volontari e società civile, esposti per questo al rischio costante di essere denunciati . Il costo di questo atteggiamento pubblico peraltro inefficace quanto crudele, ricade soprattutto sui più vulnerabili, donne, bambini, offesi, quelli che a parole si dichiara sempre pietisticamente di difendere.

    https://mediciperidirittiumani.org/dalla-frontiera-alpina-del-nord-ovest-valle-di-susa
    #Briançon #frontière_sud-alpine #Suse #vallée_de_Suse #Italie #France #frontières #criminalisation #contrôles_frontaliers #asile #migrations #réfugiés #criminalisation_de_la_solidarité #Chez_Jésoulx

    –-

    ajouté à la métaliste sur le Briançonnais :
    https://seenthis.net/messages/733721

    Et plus précisément ici :
    https://seenthis.net/messages/733721#message925945

    • La frontiera alpina del nord ovest

      Approfondimento monografico di Piero Gorza (antropologo e responsabile MEDU Piemonte)

      Continua l’azione di cura e testimonianza di Medici per i diritti umani (MEDU) sulla frontiera alpina nord-occidentale. Poche settimane fa è stato pubblicato un rapporto sulle attività svolte dal team clinico di MEDU a Oulx nei primi quattro mesi del 2022, nell’ambito del progetto “Frontiera solidale” (link al rapporto).

      Il rapporto descrive le difficoltà affrontate dalle persone in fuga lungo il cammino, tra cui numerose famiglie con neonati e minori non accompagnati. Sono stati riscontrati e denunciati i respingimenti messi in atto in maniera sistematica dalle autorità francesi, molto spesso anche nel caso di minori. Il rapporto si chiude con delle raccomandazioni e con la richiesta alle istituzioni italiane ed europee di tutelare i diritti fondamentali delle persone migranti e richiedenti asilo nei paesi di transito e in particolare nelle zone di frontiera, a prescindere dalla loro condizione giuridica.

      Oggi pubblichiamo un approfondimento monografico (https://mediciperidirittiumani.org/medu/wp-content/uploads/2022/06/La-frontiera-alpina-del-Nord-Ovest-23-giugno.pdf), firmato dall’antropologo e referente di Medu Piemonte Piero Gorza.

      Piero Gorza ci consegna un’analisi che si snoda attraverso oltre un anno di ricerca e attivismo solidale, da gennaio 2021 ad aprile 2022. Ricorrendo a dati, approfondimenti e testimonianze ci fa conoscere la vita dei migranti che giungono ad Oulx dopo anni di viaggio, il loro “abitare il cammino”, e offre uno sguardo sulle politiche di frontiera e sulle responsabilità dei diversi attori coinvolti nella promozione o violazione dei diritti umani.

      Piero ci invita a ripensare la dimensione del cammino: “Un viaggio che può essere descritto come un abitare il cammino ossia come una dimensione che non può essere pensata come un trasferimento tra un polo di fuga e uno d’attrazione, ma come un tempo dell’esistenza capace di modellare personalità e favorire cambiamenti relazionali”.

      Ne è un esempio la storia del ragazzo curdo iracheno partito dal Kurdistan a dodici anni e arrivato a Oulx con la sua famiglia all’età di diciotto anni: “la sua adolescenza, o forse sarebbe meglio dire la sua scuola, è stata il cammino”.

      Con uno sguardo sempre vicino alle persone e alle loro storie questo approfondimento permette di addentrarsi nella complessità della frontiera, non solo quella dell’Alta Valle di Susa, ma anche di quelle attraversate prima di arrivare in Italia. Un documento importante che contribuisce a fare luce su un fenomeno sociale e umano che riguarda tutti noi.

      https://mediciperidirittiumani.org/la-frontiera-alpina-del-nord-ovest

  • Les hébergeurs de migrants sont acquittés par la cour d’appel de Bruxelles

    « Aujourd’hui, on a gagné pas seulement pour nous mais pour l’ensemble des hébergeurs qui pourront maintenant héberger ’sur leurs deux oreilles’... Un petit peu plus en tout cas », a déclaré mercredi en début d’après-midi la journaliste Myriam Berghe, lors d’un rassemblement à Bruxelles organisé par le collectif citoyen ’#Solidarity_is_not_a_crime'.

    Un peu plus tôt, la cour d’appel de Bruxelles a acquitté Myriam Berghe et trois autres personnes qui avaient hébergé des migrants en 2017. Elles étaient poursuivies pour complicité d’un trafic d’êtres humains.

    « Oui, on a le droit d’héberger. Oui, on a le droit de prêter un téléphone et un ordinateur aux personnes qu’on héberge et on a le droit de leur traduire ce qu’ils nous demandent de traduire », a déclaré Myriam Berghe.

    Le parquet lui reprochait d’avoir prêté de l’argent et son téléphone à un migrant qu’elle avait accueilli, soutenant que cela servait à ce dernier pour aider d’autres migrants à rejoindre la Grande-Bretagne. « C’est une énorme victoire et on a réussi à faire passer le message que, oui, on a hébergé des #passeurs, mais qui sont bien eux-mêmes victimes de #trafic_d'êtres_humains », a-t-elle poursuivi.

    Myriam Berghe et sa consœur, Anouk Van Gestel, ainsi que deux autres « hébergeurs » - tous acquittés - ont toutefois déploré le coût de leur victoire : plusieurs mois de détention préventive pour deux d’entre eux, quatre ans de procédure judiciaire angoissante et des frais de justice et d’avocats auxquels ils doivent faire face.

    Plusieurs dizaines de personnes étaient présentes pour les écouter, mercredi vers 12h00, place Jean Jacobs, aux abords du palais de justice de Bruxelles. Le rassemblement était organisé par le collectif citoyen ’Solidarity is not a crime’, né de la volonté de dénoncer la criminalisation de la migration et de la solidarité aux migrants.

    https://www.rtbf.be/info/belgique/detail_les-hebergeurs-de-migrants-sont-acquittes-par-la-cour-d-appel-de-bruxell
    #délit_de_solidarité #victoire #justice #Belgique #hébergement #asile #migrations #réfugiés #criminalisation_de_la_solidarité

    ping @isskein @karine4

  • Friends of the Traffickers Italy’s Anti-Mafia Directorate and the “Dirty Campaign” to Criminalize Migration

    Afana Dieudonne often says that he is not a superhero. That’s Dieudonne’s way of saying he’s done things he’s not proud of — just like anyone in his situation would, he says, in order to survive. From his home in Cameroon to Tunisia by air, then by car and foot into the desert, across the border into Libya, and onto a rubber boat in the middle of the Mediterranean Sea, Dieudonne has done a lot of surviving.

    In Libya, Dieudonne remembers when the smugglers managing the safe house would ask him for favors. Dieudonne spoke a little English and didn’t want trouble. He said the smugglers were often high and always armed. Sometimes, when asked, Dieudonne would distribute food and water among the other migrants. Other times, he would inform on those who didn’t follow orders. He remembers the traffickers forcing him to inflict violence on his peers. It was either them or him, he reasoned.

    On September 30, 2014, the smugglers pushed Dieudonne and 91 others out to sea aboard a rubber boat. Buzzing through the pitch-black night, the group watched lights on the Libyan coast fade into darkness. After a day at sea, the overcrowded dinghy began taking on water. Its passengers were rescued by an NGO vessel and transferred to an Italian coast guard ship, where officers picked Dieudonne out of a crowd and led him into a room for questioning.

    At first, Dieudonne remembers the questioning to be quick, almost routine. His name, his age, his nationality. And then the questions turned: The officers said they wanted to know how the trafficking worked in Libya so they could arrest the people involved. They wanted to know who had driven the rubber boat and who had held the navigation compass.

    “So I explained everything to them, and I also showed who the ‘captain’ was — captain in quotes, because there is no captain,” said Dieudonne. The real traffickers stay in Libya, he added. “Even those who find themselves to be captains, they don’t do it by choice.”

    For the smugglers, Dieudonne explained, “we are the customers, and we are the goods.”

    For years, efforts by the Italian government and the European Union to address migration in the central Mediterranean have focused on the people in Libya — interchangeably called facilitators, smugglers, traffickers, or militia members, depending on which agency you’re speaking to — whose livelihoods come from helping others cross irregularly into Europe. People pay them a fare to organize a journey so dangerous it has taken tens of thousands of lives.

    The European effort to dismantle these smuggling networks has been driven by an unlikely actor: the Italian anti-mafia and anti-terrorism directorate, a niche police office in Rome that gained respect in the 1990s and early 2000s for dismantling large parts of the Mafia in Sicily and elsewhere in Italy. According to previously unpublished internal documents, the office — called the Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, or DNAA, in Italian — took a front-and-center role in the management of Europe’s southern sea borders, in direct coordination with the EU border agency Frontex and European military missions operating off the Libyan coast.

    In 2013, under the leadership of a longtime anti-mafia prosecutor named Franco Roberti, the directorate pioneered a strategy that was unique — or at least new for the border officers involved. They would start handling irregular migration to Europe like they had handled the mob. The approach would allow Italian and European police, coast guard agencies, and navies, obliged by international law to rescue stranded refugees at sea, to at least get some arrests and convictions along the way.

    The idea was to arrest low-level operators and use coercion and plea deals to get them to flip on their superiors. That way, the reasoning went, police investigators could work their way up the food chain and eventually dismantle the smuggling rings in Libya. With every boat that disembarked in Italy, police would make a handful of arrests. Anybody found to have played an active role during the crossing, from piloting to holding a compass to distributing water or bailing out a leak, could be arrested under a new legal directive written by Roberti’s anti-mafia directorate. Charges ranged from simple smuggling to transnational criminal conspiracy and — if people asphyxiated below deck or drowned when a boat capsized — even murder. Judicial sources estimate the number of people arrested since 2013 to be in the thousands.

    For the police, prosecutors, and politicians involved, the arrests were an important domestic political win. At the time, public opinion in Italy was turning against migration, and the mugshots of alleged smugglers regularly held space on front pages throughout the country.

    But according to the minutes of closed-door conversations among some of the very same actors directing these cases, which were obtained by The Intercept under Italy’s freedom of information law, most anti-mafia prosecutions only focused on low-level boat drivers, often migrants who had themselves paid for the trip across. Few, if any, smuggling bosses were ever convicted. Documents of over a dozen trials reviewed by The Intercept show prosecutions built on hasty investigations and coercive interrogations.

    In the years that followed, the anti-mafia directorate went to great lengths to keep the arrests coming. According to the internal documents, the office coordinated a series of criminal investigations into the civilian rescue NGOs working to save lives in the Mediterranean, accusing them of hampering police work. It also oversaw efforts to create and train a new coast guard in Libya, with full knowledge that some coast guard officers were colluding with the same smuggling networks that Italian and European leaders were supposed to be fighting.

    Since its inception, the anti-mafia directorate has wielded unparalleled investigative tools and served as a bridge between politicians and the courts. The documents reveal in meticulous detail how the agency, alongside Italian and European officials, capitalized on those powers to crack down on alleged smugglers, most of whom they knew to be desperate people fleeing poverty and violence with limited resources to defend themselves in court.

    Tragedy and Opportunity

    The anti-mafia directorate was born in the early 1990s after a decade of escalating Mafia violence. By then, hundreds of prosecutors, politicians, journalists, and police officers had been shot, blown up, or kidnapped, and many more extorted by organized crime families operating in Italy and beyond.

    In Palermo, the Sicilian capital, prosecutor Giovanni Falcone was a rising star in the Italian judiciary. Falcone had won unprecedented success with an approach to organized crime based on tracking financial flows, seizing assets, and centralizing evidence gathered by prosecutor’s offices across the island.

    But as the Mafia expanded its reach into the rest of Europe, Falcone’s work proved insufficient.

    In September 1990, a Mafia commando drove from Germany to Sicily to gun down a 37-year-old judge. Weeks later, at a police checkpoint in Naples, the Sicilian driver of a truck loaded with weapons, explosives, and drugs was found to be a resident of Germany. A month after the arrests, Falcone traveled to Germany to establish an information-sharing mechanism with authorities there. He brought along a younger colleague from Naples, Franco Roberti.

    “We faced a stone wall,” recalled Roberti, still bitter three decades later. He spoke to us outside a cafe in a plum neighborhood in Naples. Seventy-three years old and speaking with the rasp of a lifelong smoker, Roberti described Italy’s Mafia problem in blunt language. He bemoaned a lack of international cooperation that, he said, continues to this day. “They claimed that there was no need to investigate there,” Roberti said, “that it was up to us to investigate Italians in Germany who were occasional mafiosi.”

    As the prosecutors traveled back to Italy empty-handed, Roberti remembers Falcone telling him that they needed “a centralized national organ able to speak directly to foreign judicial authorities and coordinate investigations in Italy.”

    “That is how the idea of the anti-mafia directorate was born,” Roberti said. The two began building what would become Italy’s first national anti-mafia force.

    At the time, there was tough resistance to the project. Critics argued that Falcone and Roberti were creating “super-prosecutors” who would wield outsize powers over the courts, while also being subject to political pressures from the government in Rome. It was, they argued, a marriage of police and the judiciary, political interests and supposedly apolitical courts — convenient for getting Mafia convictions but dangerous for Italian democracy.

    Still, in January 1992, the project was approved in Parliament. But Falcone would never get to lead it: Months later, a bomb set by the Mafia killed him, his wife, and the three agents escorting them. The attack put to rest any remaining criticism of Falcone’s plan.

    The anti-mafia directorate went on to become one of Italy’s most important institutions, the national authority over all matters concerning organized crime and the agency responsible for partially freeing the country from its century-old crucible. In the decades after Falcone’s death, the directorate did what many in Italy thought impossible, dismantling large parts of the five main Italian crime families and almost halving the Mafia-related murder rate.

    And yet, by the time Roberti took control in 2013, it had been years since the last high-profile Mafia prosecution, and the organization’s influence was waning. At the same time, Italy was facing unprecedented numbers of migrants arriving by boat. Roberti had an idea: The anti-mafia directorate would start working on what he saw as a different kind of mafia. The organization set its sights on Libya.

    “We thought we had to do something more coordinated to combat this trafficking,” Roberti remembered, “so I put everyone around a table.”

    “The main objective was to save lives, seize ships, and capture smugglers,” Roberti said. “Which we did.”

    Our Sea

    Dieudonne made it to the Libyan port city of Zuwara in August 2014. One more step across the Mediterranean, and he’d be in Europe. The smugglers he paid to get him across the sea took all of his possessions and put him in an abandoned building that served as a safe house to wait for his turn.

    Dieudonne told his story from a small office in Bari, Italy, where he runs a cooperative that helps recent arrivals access local education. Dieudonne is fiery and charismatic. He is constantly moving: speaking, texting, calling, gesticulating. Every time he makes a point, he raps his knuckles on the table in a one-two pattern. Dieudonne insisted that we publish his real name. Others who made the journey more recently — still pending decisions on their residence permits or refugee status — were less willing to speak openly.

    Dieudonne remembers the safe house in Zuwara as a string of constant violence. The smugglers would come once a day to leave food. Every day, they would ask who hadn’t followed their orders. Those inside the abandoned building knew they were less likely to be discovered by police or rival smugglers, but at the same time, they were not free to leave.

    “They’ve put a guy in the refrigerator in front of all of us, to show how the next one who misbehaves will be treated,” Dieudonne remembered, indignant. He witnessed torture, shootings, rape. “The first time you see it, it hurts you. The second time it hurts you less. The third time,” he said with a shrug, “it becomes normal. Because that’s the only way to survive.”

    “That’s why arresting the person who pilots a boat and treating them like a trafficker makes me laugh,” Dieudonne said. Others who have made the journey to Italy report having been forced to drive at gunpoint. “You only do it to be sure you don’t die there,” he said.

    Two years after the fall of Muammar Gaddafi’s government, much of Libya’s northwest coast had become a staging ground for smugglers who organized sea crossings to Europe in large wooden fishing boats. When those ships — overcrowded, underpowered, and piloted by amateurs — inevitably capsized, the deaths were counted by the hundreds.

    In October 2013, two shipwrecks off the coast of the Italian island of Lampedusa took over 400 lives, sparking public outcry across Europe. In response, the Italian state mobilized two plans, one public and the other private.

    “There was a big shock when the Lampedusa tragedy happened,” remembered Italian Sen. Emma Bonino, then the country’s foreign minister. The prime minister “called an emergency meeting, and we decided to immediately launch this rescue program,” Bonino said. “Someone wanted to call the program ‘safe seas.’ I said no, not safe, because it’s sure we’ll have other tragedies. So let’s call it Mare Nostrum.”

    Mare Nostrum — “our sea” in Latin — was a rescue mission in international waters off the coast of Libya that ran for one year and rescued more than 150,000 people. The operation also brought Italian ships, airplanes, and submarines closer than ever to Libyan shores. Roberti, just two months into his job as head of the anti-mafia directorate, saw an opportunity to extend the country’s judicial reach and inflict a lethal blow to smuggling rings in Libya.

    Five days after the start of Mare Nostrum, Roberti launched the private plan: a series of coordination meetings among the highest echelons of the Italian police, navy, coast guard, and judiciary. Under Roberti, these meetings would run for four years and eventually involve representatives from Frontex, Europol, an EU military operation, and even Libya.

    The minutes of five of these meetings, which were presented by Roberti in a committee of the Italian Parliament and obtained by The Intercept, give an unprecedented behind-the-scenes look at the events on Europe’s southern borders since the Lampedusa shipwrecks.

    In the first meeting, held in October 2013, Roberti told participants that the anti-mafia offices in the Sicilian city of Catania had developed an innovative way to deal with migrant smuggling. By treating Libyan smugglers like they had treated the Italian Mafia, prosecutors could claim jurisdiction over international waters far beyond Italy’s borders. That, Roberti said, meant they could lawfully board and seize vessels on the high seas, conduct investigations there, and use the evidence in court.

    The Italian authorities have long recognized that, per international maritime law, they are obligated to rescue people fleeing Libya on overcrowded boats and transport them to a place of safety. As the number of people attempting the crossing increased, many Italian prosecutors and coast guard officials came to believe that smugglers were relying on these rescues to make their business model work; therefore, the anti-mafia reasoning went, anyone who acted as crew or made a distress call on a boat carrying migrants could be considered complicit in Libyan trafficking and subject to Italian jurisdiction. This new approach drew heavily from legal doctrines developed in the United States during the 1980s aimed at stopping drug smuggling.

    European leaders were scrambling to find a solution to what they saw as a looming migration crisis. Italian officials thought they had the answer and publicly justified their decisions as a way to prevent future drownings.

    But according to the minutes of the 2013 anti-mafia meeting, the new strategy predated the Lampedusa shipwrecks by at least a week. Sicilian prosecutors had already written the plan to crack down on migration across the Mediterranean but lacked both the tools and public will to put it into action. Following the Lampedusa tragedy and the creation of Mare Nostrum, they suddenly had both.

    State of Necessity

    In the international waters off the coast of Libya, Dieudonne and 91 others were rescued by a European NGO called Migrant Offshore Aid Station. They spent two days aboard MOAS’s ship before being transferred to an Italian coast guard ship, Nave Dattilo, to be taken to Europe.

    Aboard the Dattilo, coast guard officers asked Dieudonne why he had left his home in Cameroon. He remembers them showing him a photograph of the rubber boat taken from the air. “They asked me who was driving, the roles and everything,” he remembered. “Then they asked me if I could tell him how the trafficking in Libya works, and then, they said, they would give me residence documents.”

    Dieudonne said that he was reluctant to cooperate at first. He didn’t want to accuse any of his peers, but he was also concerned that he could become a suspect. After all, he had helped the driver at points throughout the voyage.

    “I thought that if I didn’t cooperate, they might hurt me,” Dieudonne said. “Not physically hurt, but they could consider me dishonest, like someone who was part of the trafficking.”

    To this day, Dieudonne says he can’t understand why Italy would punish people for fleeing poverty and political violence in West Africa. He rattled off a list of events from the last year alone: draught, famine, corruption, armed gunmen, attacks on schools. “And you try to convict someone for managing to escape that situation?”

    The coast guard ship disembarked in Vibo Valentia, a city in the Italian region of Calabria. During disembarkation, a local police officer explained to a journalist that they had arrested five people. The journalist asked how the police had identified the accused.

    “A lot has been done by the coast guard, who picked [the migrants] up two days ago and managed to spot [the alleged smugglers],” the officer explained. “Then we have witness statements and videos.”

    Cases like these, where arrests are made on the basis of photo or video evidence and statements by witnesses like Dieudonne, are common, said Gigi Modica, a judge in Sicily who has heard many immigration and asylum cases. “It’s usually the same story. They take three or four people, no more. They ask them two questions: who was driving the boat, and who was holding the compass,” Modica explained. “That’s it — they get the names and don’t care about the rest.”

    Modica was one of the first judges in Italy to acquit people charged for driving rubber boats — known as “scafisti,” or boat drivers, in Italian — on the grounds that they had been forced to do so. These “state of necessity” rulings have since become increasingly common. Modica rattled off a list of irregularities he’s seen in such cases: systemic racism, witness statements that migrants later say they didn’t make, interrogations with no translator or lawyer, and in some cases, people who report being encouraged by police to sign documents renouncing their right to apply for asylum.

    “So often these alleged smugglers — scafisti — are normal people who were compelled to pilot a boat by smugglers in Libya,” Modica said.

    Documents of over a dozen trials reviewed by The Intercept show prosecutions largely built on testimony from migrants who are promised a residence permit in exchange for their collaboration. At sea, witnesses are interviewed by the police hours after their rescue, often still in a state of shock after surviving a shipwreck.

    In many cases, identical statements, typos included, are attributed to several witnesses and copied and pasted across different police reports. Sometimes, these reports have been enough to secure decadeslong sentences. Other times, under cross-examination in court, witnesses have contradicted the statements recorded by police or denied giving any testimony at all.

    As early as 2015, attendees of the anti-mafia meetings were discussing problems with these prosecutions. In a meeting that February, Giovanni Salvi, then the prosecutor of Catania, acknowledged that smugglers often abandoned migrant boats in international waters. Still, Italian police were steaming ahead with the prosecutions of those left on board.

    These prosecutions were so important that in some cases, the Italian coast guard decided to delay rescue when boats were in distress in order to “allow for the arrival of institutional ships that can conduct arrests,” a coast guard commander explained at the meeting.

    When asked about the commander’s comments, the Italian coast guard said that “on no occasion” has the agency ever delayed a rescue operation. Delaying rescue for any reason goes against international and Italian law, and according to various human rights lawyers in Europe, could give rise to criminal liability.

    NGOs in the Crosshairs

    Italy canceled Mare Nostrum after one year, citing budget constraints and a lack of European collaboration. In its wake, the EU set up two new operations, one via Frontex and the other a military effort called Operation Sophia. These operations focused not on humanitarian rescue but on border security and people smuggling from Libya. Beginning in 2015, representatives from Frontex and Operation Sophia were included in the anti-mafia directorate meetings, where Italian prosecutors ensured that both abided by the new investigative strategy.

    Key to these investigations were photos from the rescues, like the aerial image that Dieudonne remembers the Italian coast guard showing him, which gave police another way to identify who piloted the boats and helped navigate.

    In the absence of government rescue ships, a fleet of civilian NGO vessels began taking on a large number of rescues in the international waters off the coast of Libya. These ships, while coordinated by the Italian coast guard rescue center in Rome, made evidence-gathering difficult for prosecutors and judicial police. According to the anti-mafia meeting minutes, some NGOs, including MOAS, routinely gave photos to Italian police and Frontex. Others refused, arguing that providing evidence for investigations into the people they saved would undermine their efficacy and neutrality.

    In the years following Mare Nostrum, the NGO fleet would come to account for more than one-third of all rescues in the central Mediterranean, according to estimates by Operation Sophia. A leaked status report from the operation noted that because NGOs did not collect information from rescued migrants for police, “information essential to enhance the understanding of the smuggling business model is not acquired.”

    In a subsequent anti-mafia meeting, six prosecutors echoed this concern. NGO rescues meant that police couldn’t interview migrants at sea, they said, and cases were getting thrown out for lack of evidence. A coast guard admiral explained the importance of conducting interviews just after a rescue, when “a moment of empathy has been established.”

    “It is not possible to carry out this task if the rescue intervention is carried out by ships of the NGOs,” the admiral told the group.

    The NGOs were causing problems for the DNAA strategy. At the meetings, Italian prosecutors and representatives from the coast guard, navy, and Interior Ministry discussed what they could do to rein in the humanitarian organizations. At the same time, various prosecutors were separately fixing their investigative sights on the NGOs themselves.

    In late 2016, an internal report from Frontex — later published in full by The Intercept — accused an NGO vessel of directly receiving migrants from Libyan smugglers, attributing the information to “Italian authorities.” The claim was contradicted by video evidence and the ship’s crew.

    Months later, Carmelo Zuccaro, the prosecutor of Catania, made public that he was investigating rescue NGOs. “Together with Frontex and the navy, we are trying to monitor all these NGOs that have shown that they have great financial resources,” Zuccaro told an Italian newspaper. The claim went viral in Italian and European media. “Friends of the traffickers” and “migrant taxi service” became common slurs used toward humanitarian NGOs by anti-immigration politicians and the Italian far right.

    Zuccaro would eventually walk back his claims, telling a parliamentary committee that he was working off a hypothesis at the time and had no evidence to back it up.

    In an interview with a German newspaper in February 2017, the director of Frontex, Fabrice Leggeri, refrained from explicitly criticizing the work of rescue NGOs but did say they were hampering police investigations in the Mediterranean. As aid organizations assumed a larger percentage of rescues, Leggeri said, “it is becoming more difficult for the European security authorities to find out more about the smuggling networks through interviews with migrants.”

    “That smear campaign was very, very deep,” remembered Bonino, the former foreign minister. Referring to Marco Minniti, Italy’s interior minister at the time, she added, “I was trying to push Minniti not to be so obsessed with people coming, but to make a policy of integration in Italy. But he only focused on Libya and smuggling and criminalizing NGOs with the help of prosecutors.”

    Bonino explained that the action against NGOs was part of a larger plan to change European policy in the central Mediterranean. The first step was the shift away from humanitarian rescue and toward border security and smuggling. The second step “was blaming the NGOs or arresting them, a sort of dirty campaign against them,” she said. “The results of which after so many years have been no convictions, no penalties, no trials.”

    Finally, the third step was to build a new coast guard in Libya to do what the Europeans couldn’t, per international law: intercept people at sea and bring them back to Libya, the country from which they had just fled.

    At first, leaders at Frontex were cautious. “From Frontex’s point of view, we look at Libya with concern; there is no stable state there,” Leggeri said in the 2017 interview. “We are now helping to train 60 officers for a possible future Libyan coast guard. But this is at best a beginning.”

    Bonino saw this effort differently. “They started providing support for their so-called coast guard,” she said, “which were the same traffickers changing coats.”
    Rescued migrants disembarking from a Libyan coast guard ship in the town of Khoms, a town 120 kilometres (75 miles) east of the capital on October 1, 2019.

    Same Uniforms, Same Ships

    Safe on land in Italy, Dieudonne was never called to testify in court. He hopes that none of his peers ended up in prison but said he would gladly testify against the traffickers if called. Aboard the coast guard ship, he remembers, “I gave the police contact information for the traffickers, I gave them names.”

    The smuggling operations in Libya happened out in the open, but Italian police could only go as far as international waters. Leaked documents from Operation Sophia describe years of efforts by European officials to get Libyan police to arrest smugglers. Behind closed doors, top Italian and EU officials admitted that these same smugglers were intertwined with the new Libyan coast guard that Europe was creating and that working with them would likely go against international law.

    As early as 2015, multiple officials at the anti-mafia meetings noted that some smugglers were uncomfortably close to members of the Libyan government. “Militias use the same uniforms and the same ships as the Libyan coast guard that the Italian navy itself is training,” Rear Adm. Enrico Credendino, then in charge of Operation Sophia, said in 2017. The head of the Libyan coast guard and the Libyan minister of defense, both allies of the Italian government, Credendino added, “have close relationships with some militia bosses.”

    One of the Libyan coast guard officers playing both sides was Abd al-Rahman Milad, also known as Bija. In 2019, the Italian newspaper Avvenire revealed that Bija participated in a May 2017 meeting in Sicily, alongside Italian border police and intelligence officials, that was aimed at stemming migration from Libya. A month later, he was condemned by the U.N. Security Council for his role as a top member of a powerful trafficking militia in the coastal town of Zawiya, and for, as the U.N. put it, “sinking migrant boats using firearms.”

    According to leaked documents from Operation Sophia, coast guard officers under Bija’s command were trained by the EU between 2016 and 2018.

    While the Italian government was prosecuting supposed smugglers in Italy, they were also working with people they knew to be smugglers in Libya. Minniti, Italy’s then-interior minister, justified the deals his government was making in Libya by saying that the prospect of mass migration from Africa made him “fear for the well-being of Italian democracy.”

    In one of the 2017 anti-mafia meetings, a representative of the Interior Ministry, Vittorio Pisani, outlined in clear terms a plan that provided for the direct coordination of the new Libyan coast guard. They would create “an operation room in Libya for the exchange of information with the Interior Ministry,” Pisani explained, “mainly on the position of NGO ships and their rescue operations, in order to employ the Libyan coast guard in its national waters.”

    And with that, the third step of the plan was set in motion. At the end of the meeting, Roberti suggested that the group invite representatives from the Libyan police to their next meeting. In an interview with The Intercept, Roberti confirmed that Libyan representatives attended at least two anti-mafia meetings and that he himself met Bija at a meeting in Libya, one month after the U.N. Security Council report was published. The following year, the Security Council committee on Libya sanctioned Bija, freezing his assets and banning him from international travel.

    “We needed to have the participation of Libyan institutions. But they did nothing, because they were taking money from the traffickers,” Roberti told us from the cafe in Naples. “They themselves were the traffickers.”
    A Place of Safety

    Roberti retired from the anti-mafia directorate in 2017. He said that under his leadership, the organization was able to create a basis for handling migration throughout Europe. Still, Roberti admits that his expansion of the DNAA into migration issues has had mixed results. Like his trip to Germany in the ’90s with Giovanni Falcone, Roberti said the anti-mafia strategy faltered because of a lack of collaboration: with the NGOs, with other European governments, and with Libya.

    “On a European level, the cooperation does not work,” Roberti said. Regarding Libya, he added, “We tried — I believe it was right, the agreements [the government] made. But it turned out to be a failure in the end.”

    The DNAA has since expanded its operations. Between 2017 and 2019, the Italian government passed two bills that put the anti-mafia directorate in charge of virtually all illegal immigration matters. Since 2017, five Sicilian prosecutors, all of whom attended at least one anti-mafia coordination meeting, have initiated 15 separate legal proceedings against humanitarian NGO workers. So far there have been no convictions: Three cases have been thrown out in court, and the rest are ongoing.

    Earlier this month, news broke that Sicilian prosecutors had wiretapped journalists and human rights lawyers as part of one of these investigations, listening in on legally protected conversations with sources and clients. The Italian justice ministry has opened an investigation into the incident, which could amount to criminal behavior, according to Italian legal experts. The prosecutor who approved the wiretaps attended at least one DNAA coordination meeting, where investigations against NGOs were discussed at length.

    As the DNAA has extended its reach, key actors from the anti-mafia coordination meetings have risen through the ranks of Italian and European institutions. One prosecutor, Federico Cafiero de Raho, now runs the anti-mafia directorate. Salvi, the former prosecutor of Catania, is the equivalent of Italy’s attorney general. Pisani, the former Interior Ministry representative, is deputy head of the Italian intelligence services. And Roberti is a member of the European Parliament.

    Cafiero de Raho stands by the investigations and arrests that the anti-mafia directorate has made over the years. He said the coordination meetings were an essential tool for prosecutors and police during difficult times.

    When asked about his specific comments during the meetings — particularly statements that humanitarian NGOs needed to be regulated and multiple admissions that members of the new Libyan coast guard were involved in smuggling activities — Cafiero de Raho said that his remarks should be placed in context, a time when Italy and the EU were working to build a coast guard in a part of Libya that was largely ruled by local militias. He said his ultimate goal was what, in the DNAA coordination meetings, he called the “extrajudicial solution”: attempts to prove the existence of crimes against humanity in Libya so that “the United Nation sends troops to Libya to dismantle migrants camps set up by traffickers … and retake control of that territory.”

    A spokesperson for the EU’s foreign policy arm, which ran Operation Sophia, refused to directly address evidence that leaders of the European military operation knew that parts of the new Libyan coast guard were also involved in smuggling activities, only noting that Bija himself wasn’t trained by the EU. A Frontex spokesperson stated that the agency “was not involved in the selection of officers to be trained.”

    In 2019, the European migration strategy changed again. Now, the vast majority of departures are intercepted by the Libyan coast guard and brought back to Libya. In March of that year, Operation Sophia removed all of its ships from the rescue area and has since focused on using aerial patrols to direct and coordinate the Libyan coast guard. Human rights lawyers in Europe have filed six legal actions against Italy and the EU as a result, calling the practice refoulement by proxy: facilitating the return of migrants to dangerous circumstances in violation of international law.

    Indeed, throughout four years of coordination meetings, Italy and the EU were admitting privately that returning people to Libya would be illegal. “Fundamental human rights violations in Libya make it impossible to push migrants back to the Libyan coast,” Pisani explained in 2015. Two years later, he outlined the beginnings of a plan that would do exactly that.

    The Result of Mere Chance

    Dieudonne knows he was lucky. The line that separates suspect and victim can be entirely up to police officers’ first impressions in the minutes or hours following a rescue. According to police reports used in prosecutions, physical attributes like having “a clearer skin tone” or behavior aboard the ship, including scrutinizing police movements “with strange interest,” were enough to rouse suspicion.

    In a 2019 ruling that acquitted seven alleged smugglers after three years of pretrial detention, judges wrote that “the selection of the suspects on one side, and the witnesses on the other, with the only exception of the driver, has almost been the result of mere chance.”

    Carrying out work for their Libyan captors has cost other migrants in Italy lengthy prison sentences. In September 2019, a 22-year-old Guinean nicknamed Suarez was arrested upon his arrival to Italy. Four witnesses told police he had collaborated with prison guards in Zawiya, at the immigrant detention center managed by the infamous Bija.

    “Suarez was also a prisoner, who then took on a job,” one of the witnesses told the court. Handing out meals or taking care of security is what those who can’t afford to pay their ransom often do in order to get out, explained another. “Unfortunately, you would have to be there to understand the situation,” the first witness said. Suarez was sentenced to 20 years in prison, recently reduced to 12 years on appeal.

    Dieudonne remembered his journey at sea vividly, but with surprising cool. When the boat began taking on water, he tried to help. “One must give help where it is needed.” At his office in Bari, Dieudonne bent over and moved his arms in a low scooping motion, like he was bailing water out of a boat.

    “Should they condemn me too?” he asked. He finds it ironic that it was the Libyans who eventually arrested Bija on human trafficking charges this past October. The Italians and Europeans, he said with a laugh, were too busy working with the corrupt coast guard commander. (In April, Bija was released from prison after a Libyan court absolved him of all charges. He was promoted within the coast guard and put back on the job.)

    Dieudonne thinks often about the people he identified aboard the coast guard ship in the middle of the sea. “I told the police the truth. But if that collaboration ends with the conviction of an innocent person, it’s not good,” he said. “Because I know that person did nothing. On the contrary, he saved our lives by driving that raft.”

    https://theintercept.com/2021/04/30/italy-anti-mafia-migrant-rescue-smuggling

    #Méditerranée #Italie #Libye #ONG #criminalisation_de_la_solidarité #solidarité #secours #mer_Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #violence #passeurs #Méditerranée_centrale #anti-mafia #anti-terrorisme #Direzione_nazionale_antimafia_e_antiterrorismo #DNAA #Frontex #Franco_Roberti #justice #politique #Zuwara #torture #viol #Mare_Nostrum #Europol #eaux_internationales #droit_de_la_mer #droit_maritime #juridiction_italienne #arrestations #Gigi_Modica #scafista #scafisti #état_de_nécessité #Giovanni_Salvi #NGO #Operation_Sophia #MOAS #DNA #Carmelo_Zuccaro #Zuccaro #Fabrice_Leggeri #Leggeri #Marco_Minniti #Minniti #campagne #gardes-côtes_libyens #milices #Enrico_Credendino #Abd_al-Rahman_Milad #Bija ##Abdurhaman_al-Milad #Al_Bija #Zawiya #Vittorio_Pisani #Federico_Cafiero_de_Raho #solution_extrajudiciaire #pull-back #refoulement_by_proxy #refoulement #push-back #Suarez

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  • Italian prosecutor presses charges against the #Iuventa crew

    The Prosecutor of #Trapani officially charged 21 individuals and 3 organisations of aiding and abetting illegal immigration. All the accusations are related to operations conducted between 2016 and 2017. This is a political declaration of intent to criminalise solidarity, and it has a deadly consequence: people die, when they could be saved.

    The story
    As the EU transformed the Mediterranean sea into the deadliest border in the world, the rescue ship Iuventa, operated in a joint effort by more than 200 volunteers at sea, and supported by thousands on shore, started search and rescue operations in the central Mediterranean in July 2016. Their lifesaving efforts were forcibly stopped when, on the 2nd of August 2017, the ship was seized by the Italian prosecutor and ten people were put under investigation.

    More than three years after the seizure of the rescue ship Iuventa by Italian authorities, the Prosecutor of Trapani has declared the investigation against the Iuventa crew closed. The crew members who stand accused of aiding and abetting illegal immigration are facing up to 20 years in prison. Yet the legal fight is far from over.

    The legal case

    This day marks the beginning of the trial against the Iuventa crew despite initial accusation theories already having been publicly proven unfounded. The main so-called “eyewitness” who collected evidence against the Iuventa crew publicly revoked his testimony. He then stated to the press that he had been promised a job within the Italian right party Lega Nord in exchange for his witness statement. Furthermore, through a detailed reconstruction of events, renowned team of scientists „Forensic Architecture“, disproved the theses of the prosecution in a public analysis of Iuventa operations.

    “Saving lives is never a crime. We will prove that all the operations of the Iuventa crew were absolutely lawful. While the EU turned away from the Mediterranean transforming it into a mass grave for Europe’s undesirables, the crew of the Iuventa headed to sea as volunteers, in order to protect the fundamental rights to life and to seek asylum, as required by international law and before that by human solidarity”
    —> Francesca Cancellaro, lawyer of the group

    The crew
    While the EU turned away from the Mediterranean, paying militias to bring people back to places of abuse, and transforming the Mediterranean into a mass grave for Europe’s undesirables, the crew of the Iuventa headed to sea as volunteers, moved by an urge of
    solidarity.

    “Aslong as governments break their own laws, international conventions and maritime law, all accusations are like a joke to me. It would be funny if this joke didn’t mean death, distress and misery for the people on the move”
    —> Dariush, captain onboard the Iuventa

    “Although we stand accused, it is us who accuse European authorities of refusing safe passage and of letting people drown.”
    —> Sascha Girke, the former Head of Mission onboard the Iuventa

    https://iuventa10.org/2021/03/04/italian-prosecutor-presses-charges-against-the-iuventa-crew
    #Italie #condamnation #Iuventa #sauvetage #mer #Méditerranée #sauvetages_en_mer #migrations #justice (well...) #mer_Méditerranée #frontières #réfugiés #ONG #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité

    • Message du team de la Iuventa :

      Cher(e)s ami(e)s, partisan(e)s et camarades,

      Après plus de 3 ans d’enquête, le procureur de Trapani (Sicile) a officiellement inculpé 21 individus et 3 organisations pour aide et encouragement à l’immigration illégale. Toutes ces accusations sont liées à des opérations conduites entre 2016 et 2017. Parmi ces individus sont des membres d’équipage de la Iuventa.

      Il s’agit ici d’une déclaration d’intention à criminaliser la migration et la solidarité - et les conséquences en sont fatales : des personnes meurent, alors qu’elles peuvent être sauvées !

      Nous nous battrons ! Il s’agit d’une affaire politique. Il ne s’agit pas de nous, mais de la politique meurtrière d’exclusion de l’UE et rien de moins que du droit à la vie que l’UE refuse systématiquement aux personnes.

      Nous avons besoin de votre soutien plus que jamais ! Le déroulement et l’issue de cette affaire dépendront énormément des médias et de l’opinion publique.

      Vous pouvez nous soutenir :

      En vous abonnant à nos réseaux sociaux et en publiant le contenu
      En transférant notre Communiqué de Presse à votre journaliste fiable (Ci-joint les version en Allemand, Anglais et Italien)
      En continuant à suivre nos chaînes pour plus d’informations - la lutte vient de commencer !

      Pour plus d’informations sur l’affaire et l’histoire de la Iuventa, vous pouvez visiter et partager notre site https://iuventa10.org

      Salutations solidaires !
      Iuventa Crew

      Message reçu via la mailing-list Migreurop, le 3 mars 2021

  • La Grèce bâillonne la parole dans les camps de migrants

    Signe d’un durcissement du discours à l’égard des #ONG qui accueillent les réfugiés, un #décret impose une #clause_de_confidentialité aux humanitaires.

    Un bâton dans les roues, en plein rebond de la vague migratoire. Le gouvernement grec a émis un décret resserrant un peu plus l’étau sur les #humanitaires qui accueillent les migrants. Publié au journal officiel local le 30 novembre, il empêche « toutes les personnes » qui travaillent dans les camps de réfugiés de révéler toute « information, document ou données » sur leurs résidents.

    Le document menace directement les ONG de poursuites légales si elles ne respectent pas cette clause de confidentialité, suffisamment vague pour dépasser le règlement européen sur la protection des données.

    Un moyen de réduire les humanitaires « au silence », selon Manos Moschopoulos, de la fondation Open Society. « Une partie du rôle des ONG est d’assister aux opérations d’accueil des migrants pour remplir les vides laissés par les autorités sur le terrain. Et une autre partie de leur rôle est d’obliger le gouvernement à rendre des comptes en cas de manquements. Cette nouvelle règle les empêche de pouvoir le faire. »

    Une simple file indienne de distribution de nourriture qui prend trop de temps ne pourrait pas être dénoncée. « Ça empêche tout lien entre le camp et l’extérieur, s’inquiète Manos Moschopoulos. Alors que ce sont ces liens avec la population qui permettent de s’insérer, de donner des habits ou de la nourriture. »

    Sur place, à Lesbos, principale porte d’entrée des embarcations en Mer Égée, une volontaire (qui requiert l’anonymat) s’inquiète d’un texte « jamais vu ». « Je ne sais même pas si c’est légal, explique-t-elle, apprenant tout juste la nouvelle. Plus rien ne m’étonne. Ça fait des mois qu’on fait tout pour nous empêcher de faire notre boulot. »

    L’exécutif grec en campagne contre les ONG

    Ce n’est pas la première fois qu’Athènes prend les humanitaires en grippe. Cette nouvelle règle pour les #camps s’inscrit dans un contexte d’efforts constants du gouvernement pour limiter l’implication des civils dans l’accueil des réfugiés. Dernier épisode en date, le ministre grec des migrations Notis Mitarachi a accusé, mardi, des ONG d’acheter des visas turcs pour faciliter le passage de migrants somaliens, nombreux à échouer sur les côtes grecques en novembre.

    « L’agenda politique prime sur la politique migratoire, décrypte Michael Maietta, ancien responsable humanitaire et spécialiste des questions de solidarité. Nous sommes dans une période de l’année où les flux qui passent par la Grèce et les Balkans sont très forts. Le gouvernement veut rassurer son électorat et montrer qu’il maîtrise ses frontières. »

    Cet automne, les autorités grecques ont multiplié les attaques contre les #organisations_humanitaires accusées d’« espionnage » et de complicité avec les passeurs. Plusieurs d’entre elles dénoncent la récurrence des refoulements illégaux de réfugiés vers les côtes turques. Si Athènes a toujours nié l’existence de telles pratiques, l’agence européenne Frontex, qui dispose de 600 agents pour aider les garde-côtes de la péninsule, a ouvert une enquête interne sur ces allégations.

    https://www.la-croix.com/Monde/Grece-baillonne-parole-camps-migrants-2020-12-09-1201129173

    #asile #migrations #réfugiés #camps_de_réfugiés #silence #confidentialité #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité

    ping @karine4 @isskein