• La Tunisia rifiuta i respingimenti collettivi e le deportazioni di migranti irregolari proposti da #Meloni e #Piantedosi

    1.Il risultato del vertice di Tunisi era già chiaro prima che Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Von del Leyen ed il premier olandese Mark Rutte incontrassero il presidente Saied. Con una operazione di immagine inaspettata, il giorno prima del vertice, l’uomo che aveva lanciato mesi fa la caccia ai migranti subsahariani presenti nel suo paese, parlando addirittura del rischio di sostituzione etnica, si recava a Sfax, nella regione dalla quale si verifica la maggior parte delle partenze verso l’Italia, e come riferisce Il Tempo, parlando proprio con un gruppo di loro, dichiarava : “ Siamo tutti africani. Questi migranti sono nostri fratelli e li rispettiamo, ma la situazione in Tunisia non è normale e dobbiamo porre fine a questo problema. Rifiutiamo qualsiasi trattamento disumano di questi migranti che sono vittime di un ordine mondiale che li considera come ‘numeri’ e non come esseri umani. L’intervento su questo fenomeno deve essere umanitario e collettivo, nel quadro della legge”. Lo stesso Saied, secondo quanto riportato dalla Reuters, il giorno precedente la visita, aggiungeva che di fronte alla crescente mobilità migratoria “La soluzione non sarà a spese della Tunisia… non possiamo essere una guardia per i loro paesi”.

    Alla fine del vertice non c’è stata una vera e propria conferenza stampa congiunta, ma è stata fatta trapelare una Dichiarazione sottoscritta anche da Saied che stabilisce una sorta di roadmap verso un futuro Memorandum d’intesa (MoU) tra la Tunisia e l’Unione europea, che si dovrebbe stipulare entro il prossimo Consiglio europeo dei capi di governo che si terrà a fine giugno. L’Ue e la Tunisia hanno dato incarico, rispettivamente, al commissario europeo per l’Allargamento Oliver Varheliy e al ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar di stilare un memorandum d’intesa (Memorandum of Understanding, MoU) sul pacchetto di partnership allargata, che dovrebbe essere sottoscritto dalla Tunisia e dall’Ue “prima di fine giugno”. Una soluzione che sa tanto di rinvio, nella quale certamente non si trovano le richieste che il governo Meloni aveva cercato di fare passare, già attraverso il Consiglio dei ministri dell’Unione europea di Lussemburgo, restando poi costretto ad accettare una soluzione di compromesso, che non prevedeva affatto -come invece era stato richiesto- i respingimenti collettivi in alto mare, delegati alla Guardia costiera tunisina, e le deportazioni in Tunisia di migranti irregolari o denegati, dopo una richiesta di asilo, giunti in Italia dopo un transito temporaneo da quel paese.

    Secondo Piantedosi, “la Tunisia è già considerata un Paese terzo sicuro da provvedimenti e atti ufficiali italiani” e “La Farnesina ha già una lista formale di Stati terzi definiti sicuri. Sia in Africa, penso al Senegal, così come nei Balcani”. Bene che nella sua conferenza stampa a Catania, censurata dai media, non abbia citato la Libia, dopo avere chiesto la collaborazione del generale Haftar per bloccare le partenze verso l’Italia. Ma rimane tutto da dimostrare che la Tunisia sia un “paese terzo sicuro”, soprattutto per i cittadini non tunisini, generalmente provenienti dall’area subsahariana, perchè il richiamo strumentale che fa il ministro dell’interno alla lista di “paesi terzi sicuri” approvata con decreti ministeriali ed ampliata nel corso del tempo, riguarda i cittadini tunisini che chiedono asilo in Italia, e che comunque possono fare valere una richiesta di protezione internazionale, non certo i migranti provenienti da altri paesi e transitati in Tunisia, che si vorrebbero deportare senza troppe formalità, dopo procedure rapide in frontiera. Una possibilità che ancora non è concessa allo stato della legislazione nazionale e del quadro normativo europeo (in particolare dalla Direttiva Rimpatri 2008/115/CE), che si dovrebbe comunque modificare prima della entrata in vigore, ammsso che ci si arrivi prima delle prossime elezioni europee, del Patto sulla migrazione e l’asilo recentemente approvato a Lussemburgo.

    La Presidente della Comissione Europea, nella brevissima conferenza stampa tenuta dopo la chiusura del vertice di Tunisi ha precisato i punti essenziali sui quali si dovrebbe trovare un accordo tra Bruxelles e Tunisi, Fondo monetario internazionale permettendo. Von der Leyen ha confermato che la Ue è pronta a mobilitare 900 milioni di euro di assistenza finanziaria per Tunisi. I tempi però non saranno brevi. “La Commissione europea valuterà l’assistenza macrofinanziaria non appena sarà trovato l’accordo (con il Fmi) necessario. E siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo di assistenza macrofinanziaria. Come passo immediato, potremmo fornire subito un ulteriore sostegno al bilancio fino a 150 milioni di euro”. Come riferisce Adnkronos, “Tunisi dovrebbe prima trovare l’intesa con il Fondo Monetario Internazionale su un pacchetto di aiuti, a fronte del quale però il Fondo chiede riforme, che risulterebbero impopolari e che la leadership tunisina esita pertanto ad accollarsi”. Secondo Adnkronos, L’Ue intende “ripristinare il Consiglio di associazione” tra Ue e Tunisia e l’Alto Rappresentante Josep Borrell “è pronto ad organizzare il prossimo incontro entro la fine dell’anno”, ha sottolineato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen al termine dell’incontro. L’esecutivo comunitario è pronto ad aiutare la Tunisia con un pacchetto basato su cinque pilastri, il principale dei quali è costituito da aiuti finanziari per oltre un miliardo di euro. Il primo è lo sviluppo economico. “Sosterremo la Tunisia, per rafforzarne l’economia. La Commissione Europea sta valutando un’assistenza macrofinanziaria, non appena sarà trovato l’accordo necessario. Siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo. E, come passo immediato, potremmo fornire altri 150 milioni di euro di sostegno al bilancio“. “Il secondo pilastro – continua von der Leyen – sono gli investimenti e il commercio. L’Ue è il principale investitore straniero e partner commerciale della Tunisia. E noi proponiamo di andare oltre: vorremmo modernizzare il nostro attuale accordo commerciale. C’è molto potenziale per creare posti di lavoro e stimolare la crescita qui in Tunisia. Un focus importante per i nostri investimenti è il settore digitale. Abbiamo già una buona base“. Sempre secondo quanto riferito da Adnkronos, “La Commissione Europea sta lavorando ad un memorandum di intesa con la Tunisia nelle energie rinnovabili, campo nel quale il Paese nordafricano ha un potenziale “enorme”, mentre l’Ue ne ha sempre più bisogno, per alimentare il processo di elettrificazione e decarbonizzazione della sua economia, spiega la presidente. L’energia è “il terzo pilastro” del piano in cinque punti che von der Leyen ha delineato al termine della riunione”.

    Quest’anno l’Ue “fornirà alla Tunisia 100 milioni di euro per la gestione delle frontiere, ma anche per la ricerca e il soccorso, la lotta ai trafficanti e il rimpatrio”, annuncia ancora la presidente. Il controllo dei flussi migratori è il quarto pilastro del programma che von der Leyen ha delineato per i rapporti bilaterali tra Ue e Tunisia. Per la presidente della Commissione europea, l’obiettivo “è sostenere una politica migratoria olistica radicata nel rispetto dei diritti umani. Entrambi abbiamo interesse a spezzare il cinico modello di business dei trafficanti di esseri umani. È orribile vedere come mettono deliberatamente a rischio vite umane, a scopo di lucro. Lavoreremo insieme su un partenariato operativo contro il traffico di esseri umani e sosterremo la Tunisia nella gestione delle frontiere”.

    Nel pacchetto di proposte comprese nel futuro Memorandum d’intesa UE-Tunisia, che si dovrebbe sottoscrivere entro la fine di giugno, rientrerebbero anche una serie di aiuti economici all’economia tunisina, in particolare nei settori dell’agricoltura e del turismo, e nuove possibilità di mobilità studentesca, con programmi tipo Erasmus. Nulla di nuovo, ed anche una dotazione finanziaria ridicola, se si pensa ai 200 milioni di euro stanziati solo dall’Italia con il Memorandum d’intesa con la Tunisia siglato da Di Maio per il triennio 2021-2023. Semmai sarebbe interessante sapere come stati spesi quei soldi, visti i risultati sulla situazione dei migranti in transito in Tunisia, nelle politiche di controllo delle frontiere e nei soccorsi in mare.

    2. Non è affatto vero dunque che sia passata la linea dell’Italia per due ragioni fondamentali. L’Italia chiedeva una erogazione immediata degli aiuti europei alla Tunisia e una cooperazione operativa nei respingimenti collettivi in mare ed anche la possibilità di riammissione in Tunisia di cittadini di paesi terzi ( non tunisini) giunti irregolarmente nel nostro territorio, o di cui fosse stata respinta la domanda di protezione nelle procedure in frontiera. Queste richieste della Meloni (e di Piantedosi) sono state respinte, e non rientrano nel Memorandum d’intesa che entro la fine del mese Saied dovrebbe sottoscrivere con l’Unione Europea (il condizionale è d’obbligo).

    Gli aiuti europei sono subordinati all’accettazione da parte di Saied delle condizioni poste dal Fondo Monetario internazionale per l’erogazione del prestito fin qui rifiutato dal presidente. Un prestito che sarebbe condizionato al rispetto di paramentri monetari e di abbattimento degli aiuti pubblici, e forse anche al rispetto dei diritti umani, che in questo momento non sono accettati dal presidente tunisino, ormai di fatto un vero e proprio autocrate. Con il quale la Meloni, ormai lanciata verso il presidenzialismo all’italiana, si riconosce più di quanto non facciano esponenti politici di altri paesi europei. Al punto che persino Mark Rutte, che nel suo paese ha attuato politiche migratorie ancora più drastiche di quelle propagandate dal governo italiano, richiama, alla fine del suo intervento, l’esigenza del rispetto dei diritti umani delle persone migranti, come perno del nuovo Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione Europea.

    Per un altro verso, la “lnea dell’Italia”, dunque la politica dei “respingimenti su delega”, che si vorrebbe replicare con la Tunisia, sul modello di quanto avviene con le autorità libiche, delegando a motovedette, donate dal nostro paese e coordinate anche dall’agenzia europea Frontex, i respingimenti collettivi in acque internazionali, non sembra di facile applicazione per evidenti ragioni geografiche e geopolitiche.

    La Tunisia non e’ la Libia (o la Turchia), le autorità centrali hanno uno scarso controllo dei punti di partenza dei migranti e la corruzione è molto diffusa. Sembra molto probabile che le partenze verso l’Italia continueranno ad aumentare in modo esponenziale nelle prossime settimane. Aumentare le dotazioni di mezi e i supporti operativi in favore delle motovedette tunisine si è già dimostrata una politica priva di efficacia e semmai foriera di stragi in mare. Sulle stragi in mare neppure una parola dopo il vertice di Tunisi. Non è vero che la diminuzione delle partenze dalla Tunisia nel mese di maggio sia conseguenza della politica migratoria del governo Meloni, risultando soltanto una conseguenza di un mese caratterizzato da condizioni meteo particolarmente sfavorevoli, come ha riconosciuto anchel’OIM e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), e come tutti hanno potuto constatare anche in Italia. Vedremo con il ritorno dell’estate se le partenze dalla Tunisia registreranno ancora un calo.

    La zona Sar (di ricerca e salvataggio) tunisina si limita alle acque territoriali (12 miglia dalla costa) ed i controlli affidati alle motovedette tunisine non si possono svolgere oltre. Difficile che le motovedette tunisine si spingano nella zona Sar “libica” o in quella maltese. Continueranno ad intercettare a convenienza, quando i trafficanti non pagheranno abbastanza per corrompere, ed i loro interventi, condotti spesso con modalità di avvicinamento che mettono a rischio la vita dei naufraghi, non ridurranno di certo gli arrivi sulle coste italiane di cittadini tunisini e subsahariani. Per il resto il futuribile Memorandum d’intesa Tunisia-Libia, che ancora e’ una scatola vuota, e che l’Unione europea vincola al rispetto dei diritti umani, dunque anche agli obblighi internazionali di soccorso in mare, non può incidere in tempi brevi sui rapporti bilaterali tra Roma e Tunisi, che sono disciplinati da accordi bilaterali che si dovrebbero modificare successivamente, sempre in conformità con la legislazione ( e la Costituzione) italiana e la normativa euro-unitaria. Dunque non saranno ogettto di nuovi accordi a livello europeo con la Tunisia i respingimenti collettivi vietati dall’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e non si potranno realizzare, come vorrebero la Meloni e Piantedosi, deportazioni in Tunisia di cittadini di altri paesi terzi, peraltro esclusi dai criteri di “connessione” richiesti nella “proposta legislativa” adottata dal Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo. E si dovranno monitorare anche i respingimenti di cittadini tunisini in Tunisia, dopo la svolta autoritaria impressa dall’autocrate Saied che ha fatto arrestare giornalisti e sindacalisti, oltre che numerosi membri dei partiti di opposizione. In ogni caso non si dovranno dimenticare le condanne ricevute dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, proprio per i respingimenti differiti effettuati ai danni di cittadini tunisini (caso Khlaifia). Faranno morire ancora centinaia di innocenti. Dare la colpa ai trafficanti non salva dal fallimento politico e morale nè l’Unione Europea nè il governo Meloni.

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    Saied, inaccettabili centri migranti in Tunisia

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Il presidente tunisino Kais Saied, nel suo incontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e del primo ministro olandese Mark Rutte “ha fatto notare che la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate, anzi hanno aumentato le sofferenze delle vittime della povertà e delle guerre”. Lo si legge in un comunicato della presidenza tunisina, pubblicato al termine dell”incontro. (ANSA).

    2023-06-11 18:59

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    ANSA/Meloni e l”Ue incassano prima intesa ma Saied alza posta

    (dell”inviato Michele Esposito)

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Una visita lampo, una dichiarazione congiunta che potrebbe portare ad un cruciale memorandum d”intesa, un orizzonte ancora confuso dal continuo alzare la posta di Kais Saied. Il vertice tra Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni, Mark Rutte e il presidente tunisino potrebbe segnare un prima e un dopo nei rapporti tra l”Ue e il Paese nordafricano. Al tavolo del palazzo presidenziale di Cartagine, per oltre due ore, i quattro hanno affrontato dossier a dir poco spigolosi, dalla gestione dei migranti alla necessità di un”intesa tra Tunisia e Fmi. La luce verde sulla prima intesa alla fine si è accesa. “E” un passo importante, dobbiamo arrivare al Consiglio europeo con un memorandum già siglato tra l”Ue e la Tunisia”, è l”obiettivo fissato da Meloni, che ha rilanciato il ruolo di prima linea dell”Italia nei rapporti tra l”Europa e la sponda Sud del Mediterraneo. Nel Palazzo voluto dal padre della patria tunisino, Habib Bourguiba, von der Leyen, Meloni e Rutte sono arrivati con l”ideale divisa del Team Europe. I tre, di fatto, hanno rappresentato l”intera Unione sin da quando, a margine del summit in Moldavia della scorsa settimana, è nata l”idea di accelerare sul dossier tunisino. I giorni successivi sono stati segnati da frenetici contatti tra gli sherpa. Il compromesso, iniziale e generico, alla fine è arrivato. L”Ue sborserà sin da subito, e senza attendere il Fondo Monetario Internazionale, 150 milioni di euro a sostegno del bilancio tunisino. E” un primo passo ma di certo non sufficiente per Saied. Sulla seconda parte del sostegno europeo, il pacchetto di assistenza macro-finanziaria da 900 milioni, l”Ue tuttavia non ha cambiato idea: sarà sborsato solo dopo l”intesa tra Saied e l”Fmi. Intesa che appare ancora lontana: poco dopo la partenza dei tre leader europei, la presidenza tunisina ha infatti invitato il Fondo a “rivedere le sue ricette” ed evitare “diktat”, sottolineando che gli aiuti da 1,9 miliardi, sotto forma di prestiti, “non porteranno benefici” alla popolazione. La difficoltà di mettere il punto finale al negoziato tra Ue e Tunisia sta anche in un altro dato: la stessa posizione europea è frutto di un compromesso tra gli Stati membri. Non è un caso, ad esempio, che sia stato Rutte, portatore delle istanze dei Paesi del Nord, a spiegare come la cooperazione tra Ue e Tunisia sulla gestione dei flussi irregolari debba avvenire “in accordo con i diritti umani”. La dichiarazione congiunta, in via generica, fa riferimento ai principali nodi legati ai migranti: le morti in mare, la necessità di aumentare i rimpatri dell”Europa degli irregolari, la lotta ai trafficanti. Von der Leyen ha messo sul piatto sovvenzioni da 100 milioni di euro per sostenere i tunisini nel contrasto al traffico illegale e nelle attività di search & rescue. Meloni, dal canto suo, ha annunciato “una conferenza su migrazione e sviluppo in Italia, che sarà un ulteriore tappa nel percorso del partenariato” tra l”Ue e Tunisi. Saied ha assicurato il suo impegno sui diritti umani e nella chiusura delle frontiere sud del Paese, ma sui rimpatri la porta è aperta solo a quella per i tunisini irregolari. L”ipotesi che la Tunisia, come Paese di transito sicuro, ospiti anche i migranti subsahariani, continua a non decollare. “L”idea, che alcuni sostengono segretamente, che il Paese ospiti centri per i migranti in campo di somme di danaro è disumana e inaccettabile”, ha chiuso Saied. La strada, insomma, rimane in salita. La strategia dell”Ue resta quella adottata sin dalla prima visita di un suo commissario – Paolo Gentiloni – lo scorso aprile: quella di catturare il sì di Saied con una partnership economica ed energetica globale e di lungo periodo, in cui la migrazione non è altro che un ingranaggio. Ma Tunisi, su diritti e rule of law, deve fare di più. “L”Ue vuole investire nella stabilità tunisina. Le difficoltà del suo percorso democratico si possono superare”, ha detto von der Leyen. Delineando la mano tesa dell”Europa ma anche la linea rossa entro la quale va inquadrata la nuova partnership. (ANSA).

    2023-06-11 19:55

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    Statement 11 June 2023 Tunis
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_23_3202)

    European Commission – Statement
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package
    Tunis, 11 June 2023

    Building on our shared history, geographic proximity, and strong relationship, we have agreed towork together on a comprehensive partnership package, strengthening the ties that bind us in a mutually beneficial manner.
    We believe there is enormous potential to generate tangible benefits for the EU and Tunisia. The comprehensive partnership would cover the following areas:

    - Strengthening economic and trade ties ,

    - A sustainable and competitive energy partnership

    - Migration

    - People-to-people contacts

    The EU and Tunisia share strategic priorities and in all these areas, we will gain from working together more closely.
    Our economic cooperation will boost growth and prosperity through stronger trade and investment links, promoting opportunities for businesses including small and medium sized enterprises. Economic support, including in the form of Macro Financial Assistance, will also be considered. Our energy partnership will assist Tunisia with the green energy transition, bringing down costs and creating the framework for trade in renewables and integration with the EU market.
    As part of our joint work on migration, the fight against irregular migration to and from Tunisia and the prevention of loss of life at sea, is a common priority, including fighting against smugglers and human traffickers, strengthening border management, registration and return in full respect of human rights.
    People-to-people contacts are central to our partnership and this strand of work will encompass stronger cooperation on research, education, and culture, as well as developing Talent Partnerships, opening up new opportunities for skills development and mobility, especially for youth.

    Enhanced political and policy dialogue within the EU-Tunisia Association Council before the end of the year will offer an important opportunity to reinvigorate political and institutional ties, with the aim of addressing common international challenges together and preserving the rules-based order.
    We have tasked the Minister of Foreign Affairs, Migration and Tunisians Abroad and the
    Commissioner for Neighbourhood and Enlargement to work out a Memorandum of Understanding on the comprehensive partnership package, to be endorsed by Tunisia and the European Union before the end of June.

    https://www.a-dif.org/2023/06/11/la-tunisia-rifiuta-i-respingimenti-collettivi-e-le-deportazioni-di-migranti-i

    #Tunisie #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #Italie #frontières #externalisation_des_frontières #réadmission #accord_de_réadmission #refoulements_collectifs #pays_tiers_sûr #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide #énergie #énergies_renouvelables

    #modèle_tunisien

    • EU offers Tunisia over €1bn to stem migration

      Brussels proposes €255mn in grants for Tunis, linking longer-term loans of up to €900mn to reforms

      The EU has offered Tunisia more than €1bn in a bid to help the North African nation overcome a deepening economic crisis that has prompted thousands of migrants to cross the Mediterranean Sea to Italy.

      The financial assistance package was announced on Sunday in Tunis after Ursula von der Leyen, accompanied by the prime ministers of Italy and the Netherlands, Giorgia Meloni and Mark Rutte, met with Tunisian president Kais Saied. The proposal still requires the endorsement of other EU governments and will be linked to Tunisian authorities passing IMF-mandated reforms.

      Von der Leyen said the bloc is prepared to mobilise €150mn in grants “right now” to boost Tunisia’s flagging economy, which has suffered from surging commodity prices linked to Russia’s invasion of Ukraine. Further assistance in the form of loans, totalling €900mn, could be mobilised over the longer-term, she said.

      In addition, Europe will also provide €105mn in grants this year to support Tunisia’s border management network, in a bid to “break the cynical business model of smugglers and traffickers”, von der Leyen said. The package is nearly triple what the bloc has so far provided in migration funding for the North African nation.

      The offer of quick financial support is a boost for Tunisia’s embattled president, but longer-term support is contingent on him accepting reforms linked to a $1.9bn IMF package, a move Saied has been attempting to defer until after presidential elections next year.

      Saied has refused to endorse the IMF loan agreement agreed in October, saying he rejected foreign “diktats” that would further impoverish Tunisians. The Tunisian leader is wary of measures such as reducing energy subsidies and speeding up the privatisation of state-owned enterprises as they could damage his popularity.

      Meloni, who laid the groundwork for the announcement after meeting with Saied on Tuesday, has been pushing Washington and Brussels for months to unblock financial aid for Tunisia. The Italian leader is concerned that if the north African country’s economy imploded, it would trigger an even bigger wave of people trying to cross the Mediterranean.

      So far this year, more than 53,000 migrants have arrived in Italy by boat, more than double compared with the same period last year — with a sharp increase in boats setting out from Tunisia one factor behind the surge.

      The agreement was “an important step towards creating a true partnership to address the migration crisis,” Meloni said on Sunday.

      In February, Saied stoked up racist violence against people from sub-Saharan African countries by saying they were part of a plot to change Tunisia’s demographic profile.

      His rhetoric has softened in an apparent bid to improve the image of the deal with the EU. Visiting a camp on Saturday, he criticised the treatment of migrants “as mere numbers”. However, he added, “it is unacceptable for us to play the policeman for other countries”.

      The Tunisian Forum for Economic and Social Rights think-tank criticised the EU’s visit on Sunday as “an attempt to exploit [Tunisia’s] political, economic and social fragility”.

      The financial aid proposal comes days after European governments agreed on a long-awaited migration package that will speed up asylum proceedings and make it easier for member states to send back people who are denied asylum.

      The package also includes proposals to support education, energy and trade relations with the country, including by investing in Tunisia’s renewable energy network and allowing Tunisian students to take part in student exchange programme Erasmus+.

      The presence of the Dutch prime minister, usually a voice for fiscally conservative leaders in the 27-strong bloc, indicated that approval of the package would not be as difficult to achieve as other foreign funding requests. The Netherlands, while not a frontline country like Italy, has also experienced a spike in so-called secondary migration, as many of the people who arrive in southern Europe travel on and apply for asylum in northern countries.

      Calling the talks “excellent”, Rutte said that “the window is open, we all sense there’s this opportunity to foster this relationship between the EU and Tunisia”.

      https://www.ft.com/content/82d6fc8c-ee95-456a-a4e1-8c2808922da3

    • Migrations : les yeux doux de #Gérald_Darmanin au président tunisien

      Pour promouvoir le Pacte sur la migration de l’Union européenne, le ministre de l’Intérieur en visite à Tunis a flirté avec les thèses controversées de Kais Saied, présentant le pays comme une « victime » des flux de réfugiés.

      Quand on sait que l’on n’obtiendra pas ce que l’on désire de son hôte, le mieux est de porter la faute sur un tiers. Le ministre français de l’Intérieur, Gérald Darmanin, a fait sienne cette stratégie durant sa visite dimanche 18 et lundi 19 juin en Tunisie. Et tant pis pour les pays du Sahel, victimes collatérales d’un échec annoncé.

      Accompagné de son homologue allemande, Nancy Faeser, le premier flic de France était en Tunisie pour expliquer au président tunisien Kais Saied le bien-fondé du Pacte sur la migration et l’asile en cours de validation dans l’Union européenne. Tel quel, il pourrait faire de la Tunisie un pays de transit ou d’établissement pour les migrants refoulés au nord de la Méditerranée. La Tunisie n’a jamais accepté officiellement d’être le gardien des frontières de l’Europe, même du temps du précédent président de la République, Béji Caïd Essebsi – officieusement, les gardes-côtes ont intercepté plus de 23 000 migrants de janvier à mai. Ce n’est pas le très panarabisant Kais Saied qui allait céder.

      Surtout que le chef de l’Etat aux méthodes autoritaires avait déjà refusé pareille proposition la semaine dernière, lors de la visite de la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, accompagnée de Giorgia Meloni et Mark Rutte, chefs du gouvernement italien et néerlandais, malgré les promesses de plus d’un milliard d’euros d’aides à long terme (des projets budgétés de longue date pour la plupart). Kais Saied avait encore réitéré son refus au téléphone le 14 juin à Charles Michel, le président du Conseil européen.
      « Grand remplacement »

      Peu de chance donc que Gérald Darmanin et Nancy Faeser, « simples » ministres de l’Intérieur aient plus de succès, bien que leurs pays pèsent « 40 % du budget de l’Union européenne », comme l’a malicieusement glissé le ministre français. Alors pour ne pas repartir complètement bredouille, le locataire de la place Beauvau a promis du concret et flirté avec les thèses très controversées de Kais Saied.

      La France a promis une aide bilatérale de 25,8 millions d’euros pour « acquérir les équipements nécessaires et organiser les formations utiles, des policiers et des gardes-frontières tunisiens pour contenir le flux irrégulier de migrants ». Darmanin a surtout assuré que la Tunisie ne deviendra pas « la garde-frontière de l’Union européenne, ce n’est pas sa vocation ». Au contraire, il a présenté l’ancienne puissance carthaginoise comme une « victime » du flux migratoire.

      « Les Tunisiens qui arrivent de manière irrégulière sur le territoire européen sont une portion très congrue du nombre de personnes qui traversent à partir de la Tunisie la Méditerranée pour venir en Europe. Il y a beaucoup de Subsahariens notamment qui prennent ces routes migratoires », a ajouté le ministre de l’Intérieur français. Un argument martelé depuis des mois par les autorités tunisiennes. Dans un discours reprenant les thèses du « grand remplacement », Kais Saied, le 21 février, avait provoqué une campagne de haine et de violence contre les Subsahariens. Ces derniers avaient dû fuir par milliers le pays. Sans aller jusque-là, Gérald Darmanin a joué les VRP de Kais Saied, déclarant qu’« à la demande de la Tunisie », la France allait jouer de ses « relations diplomatiques privilégiées » avec ces pays (Côte d’Ivoire, Sénégal, Cameroun, notamment) pour « prévenir ces flux ». Si les migrants arrivant par bateaux en Italie sont, pour beaucoup, des Subsahariens – le nombre d’Ivoiriens a été multiplié par plus de 7 depuis le début de l’année par rapport à l’an dernier à la même période –, les Tunisiens demeurent, selon le HCR, la première nationalité (20 %) à débarquer clandestinement au sud de l’Europe depuis 2021.
      Préférence pour Giorgia Meloni

      Gérald Darmanin a quand même soulevé un ancien contentieux : le sort de la vingtaine de Tunisiens radicalisés et jugés dangereux actuellement présents sur le territoire français de façon illégale. Leur retour en Tunisie pose problème. Le ministre français a affirmé avoir donné une liste de noms (sans préciser le nombre) à son homologue tunisien. En attendant de savoir si son discours contribuera à réchauffer les relations avec le président tunisien – ce dernier ne cache pas sa préférence pour le franc-parler de Giorgia Meloni, venue deux fois ce mois-ci – Gérald Darmanin a pu profiter de prendre le café avec Iheb et Siwar, deux Tunisiens réinstallés dans leur pays d’origine via une aide aux retours volontaires mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration. En 2022, les Tunisiens ayant eu recours à ce programme étaient… 79. Quand on est envoyé dans une guerre impossible à gagner, il n’y a pas de petite victoire.

      https://www.liberation.fr/international/afrique/migrations-les-yeux-doux-de-gerald-darmanin-au-president-tunisien-2023061
      #Darmanin #France

    • Crisi economica e rimpatri: cosa stanno negoziando Ue e Tunisia

      Con l’economia del Paese nordafricano sempre più in difficoltà, l’intreccio tra sostegno finanziario ed esternalizzazione delle frontiere si fa sempre più stretto. E ora spunta una nuova ipotesi: rimpatriare in Tunisia anche cittadini di altri Paesi

      Durante gli ultimi mesi di brutto tempo in Tunisia, il governo italiano ha più volte dichiarato di aver compiuto «numerosi passi avanti nella difesa dei nostri confini», riferendosi al calo degli arrivi di migranti via mare dal Paese nordafricano. Ora che il sole estivo torna a splendere sulle coste del Sud tunisino, però, le agenzie stampa segnalano un nuovo «aumento delle partenze». Secondo l’Ansa, durante le notti del 18 e 19 giugno, Lampedusa ha contato prima dodici, poi altri quindici sbarchi. Gli arrivi sono stati 18, con 290 persone in totale, anche tra la mezzanotte e le due del 23 giugno. Come accadeva durante i mesi di febbraio e marzo, a raggiungere le coste siciliane sono soprattutto ivoriani, malesi, ghanesi, nigeriani, sudanesi, egiziani. I principali porti di partenza delle persone che raggiungono l’Italia via mare, nel 2023, si trovano soprattutto in Tunisia.

      È durante questo giugno piovoso che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è atterrata a Tunisi non una ma ben due volte, con l’intento di negoziare quello che ha tutta l’aria di uno scambio: un maggior sostegno finanziario al bilancio di una Tunisia sempre più in crisi in cambio di ulteriori azioni di militarizzazione del Mediterraneo centrale. Gli aiuti economici promessi da Bruxelles, necessari perché la Tunisia eviti la bancarotta, sono condizionati alla firma di un nuovo accordo con il Fondo monetario internazionale. Il prezzo da pagare, però, sono ulteriori passi avanti nel processo di esternalizzazione della frontiera dell’Unione europea. Un processo già avviato da anni che, come abbiamo raccontato nelle precedenti puntate di #TheBigWall, si è tradotto in finanziamenti alla Tunisia per un valore di 59 milioni di euro dal 2011 a oggi, sotto forma di una lunga lista di equipaggiamenti a beneficio del ministero dell’Interno tunisino.

      Che l’Italia si stia nuovamente muovendo in questo senso, è stato reso noto dalla documentazione raccolta tramite accesso di richiesta agli atti da IrpiMedia in collaborazione con ActionAid sull’ultimo finanziamento di 12 milioni di euro approvato a fine 2022. A dimostrarlo, è anche l’ultima gara d’appalto pubblicata da Unops, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Servizi di Progetto, che dal 2020 fa da intermediario tra il inistero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale italiano (Maeci) e il ministero dell’Interno tunisino, per la fornitura di sette nuove motovedette, in scadenza proprio a giugno.

      Le motovedette si sommano al recente annuncio, reso noto da Altreconomia a marzo 2023, della fornitura di 100 pick-up Nissan Navara alla Guardia nazionale tunisina. Con una differenza, però: Roma non negozia più da sola con Tunisi, ma si impone come mediatrice tra il Paese nordafricano e l’Unione europea. Secondo le informazioni confidenziali diffuse da una fonte diplomatica vicina ai negoziati Tunisia-Ue, la lista più recente sottoposta dalla Tunisia alla Commissione europea includerebbe anche «droni, elicotteri e nuove motovedette per un totale di ulteriori 200 milioni di euro». Durante la visita del 19 giugno, anche la Francia ha annunciato un nuovo sostegno economico a Tunisi del valore di 26 milioni di euro finalizzato a «contrastare la migrazione».

      Il prezzo del salvataggio dalla bancarotta sono i migranti

      Entro fine giugno è attesa la firma del nuovo memorandum tra Unione europea e Tunisia. Ad annunciarlo è stata la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, arrivata a Tunisi l’11 giugno insieme a Giorgia Meloni e a Mark Rutte, il primo ministro olandese.

      La visita ha fatto seguito al Consiglio dell’Ue, il vertice che riunisce i ministri competenti per discutere e votare proposte legislative della Commissione in cui sono stati approvati alcuni provvedimenti che faranno parte del Patto sulla migrazione e l’asilo. L’intesa, che dovrebbe sostituire anche il controverso Regolamento di Dublino ma deve ancora essere negoziata con l’Europarlamento, si lega alle trattative con la Tunisia. Tra i due dossier esiste un parallelismo tracciato dalla stessa Von Der Leyen che, a seguito del recente naufragio di fronte alle coste greche, ha dichiarato: «Sulla migrazione dobbiamo agire in modo urgente sia sul quadro delle regole che in azioni dirette e concrete. Per esempio, il lavoro che stiamo facendo con la Tunisia per stabilizzare il Paese, con l’assistenza finanziaria e investendo nella sua economia».

      Nel frattempo, in Tunisia, la situazione economica si è fatta sempre più complicata. Il 9 giugno, infatti, l’agenzia di rating Fitch ha declassato il Paese a “-CCC” per quanto riguarda l’indice Idr, Issuer default ratings, ovvero il misuratore della capacità di solvenza di aziende e fondi sovrani. Più è basso, più è alta la possibilità, secondo Fitch, che il Paese (o la società, quando l’indice Idr si applica alle società) possa finire in bancarotta. Colpa principalmente delle trattative fallite tra il governo di Tunisi e il Fondo monetario internazionale (Fmi): ad aprile 2023, il presidente Kais Saied ha rifiutato pubblicamente un prestito da 1,9 miliardi di dollari.

      Principale ragione del diniego tunisino sono stati i «diktat», ha detto Saied il 6 aprile, imposti dal Fmi, cioè una serie di riforme con possibili costi sociali molto alti. Al discorso, sono seguite settimane di insistente lobbying da parte italiana, a Tunisi come a Washington, perché si tornasse a discutere del prestito. Gli aiuti promessi da Von Der Leyen in visita a Tunisi (900 milioni di euro di prestito condizionato, oltre ai 150 milioni di sostegno bilaterale al bilancio) sono infatti condizionati al sì dell’Fmi.

      La Tunisia, quindi, ha bisogno sempre più urgentemente di sostegno finanziario internazionale per riuscire a chiudere il bilancio del 2023 e a rispettare le scadenze del debito pubblico estero. E le trattative per fermare i flussi migratori si intensificano. A giugno 2023, come riportato da AnsaMed, Meloni ha dichiarato di voler «risolvere alla partenza» la questione migranti, proprio durante la firma del Patto sull’asilo a Bruxelles. Finanziamenti in cambio di misure di controllo delle partenze, quindi. Ma di che tipo? Per un’ipotesi che tramonta, un’altra sembra prendere corpo.
      I negoziati per il nuovo accordo di riammissione

      La prima ipotesi è trasformare la Tunisia in un hotspot, una piattaforma esterna all’Unione europea per lo smistamento di chi avrebbe diritto a una forma di protezione e chi invece no. È un’idea vecchia, che compariva già nelle bozze di accordi Ue-Tunisia fermi al 2018, dove si veniva fatto esplicito riferimento ad «accordi regionali di sbarco» tra Paesi a Nord del Mediterraneo e Paesi a Sud, e a «piattaforme di sbarco […] complementari a centri controllati nel territorio Ue». All’epoca, la Tunisia rispose con un secco «no» e anche oggi sembra che l’esito sarà simile. Secondo una fonte vicina alle trattative in corso per il memorandum con l’Ue, «è improbabile che la Tunisia accetti di accogliere veri e propri centri di smistamento sul territorio».

      L’opinione del presidente tunisino Kais Saied, infatti, è ben diversa dai toni concilianti con i quali ha accolto i rappresentanti politici europei, da Meloni ai ministri dell’Interno di Francia (Gérald Darmanin) e Germania (Nancy Faeser), questi ultimi incontrati lo scorso 19 giugno. Saied ha più volte ribadito che «non saremo i guardiani dell’Europa», provando a mantenere la sua immagine pubblica di “anti-colonialista” e sovranista.

      Sotto la crescente pressione economica, esiste comunque la possibilità che il presidente tunisino scenda a più miti consigli e rivaluti l’idea della Tunisia come hotspot. In questo scenario, i Paesi Ue potrebbero rimandare in Tunisia non solo persone tunisine a cui è negata la richiesta d’asilo, ma anche persone di altre nazionalità che hanno qualche tipo di legame (ancora tutto da definire nei dettagli) con la Tunisia. Il memorandum Tunisia-Ue, quindi, potrebbe includere delle clausole relative non solo ai rimpatri dei cittadini tunisini, ma anche alle riammissioni di cittadini di altri Paesi.

      A sostegno di questa seconda ipotesi ci sono diversi elementi. Il primo è un documento della Commissione europea sulla cooperazione estera in ambito migratorio, visionato da IrpiMedia, datato maggio 2022, ma anticipato da una bozza del 2017. Nel documento, in riferimento a futuri accordi di riammissione, si legge che la Commissione avrebbe dovuto lanciare, «entro la fine del 2022», «i primi partenariati con i Paesi nordafricani, tra cui la Tunisia». Il secondo elemento è contenuto nell’accordo raggiunto dal Consiglio sul Patto. Su pressione dell’Italia, la proposta di legge prevede la possibilità di mandare i richiedenti asilo in un Paese terzo considerato sicuro, sulla base di una serie di fattori legati al rispetto dei diritti umani in generale e dei richiedenti asilo più nello specifico.
      I dubbi sulla Tunisia, Paese terzo sicuro

      A marzo 2023 – durante il picco di partenze dalla Tunisia a seguito di un violento discorso del presidente nei confronti della comunità subsahariana nel Paese – la lista dei Paesi di origine considerati sicuri è stata aggiornata, e include ormai non solo la Tunisia stessa, sempre più insicura, come raccontato nelle puntate precedenti, ma anche la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria. Che rappresentano ormai le prime nazionalità di sbarco.

      In questo senso, aveva attirato l’attenzione la richiesta da parte delle autorità tunisine a inizio 2022 di laboratori mobili per il test del DNA, utilizzati spesso nei commissariati sui subsahariani in situazione di regolarità o meno. Eppure, nel contesto la situazione della comunità subsahariana nel Paese resta estremamente precaria. Solo la settimana scorsa un migrante di origine non chiara, ma subsahariano, è stato accoltellato nella periferia di Sfax, dove la tensione tra famiglie tunisine in situazioni sempre più precarie e subsahariani continua a crescere.

      Malgrado un programma di ritorno volontario gestito dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), continua a esistere una tendopoli di fronte alla sede dell’organizzazione internazionale. La Tunisia, dove manca un quadro legale sul diritto di asilo che tuteli quindi chi viene riconosciuto come rifugiato da UNHCR, continua a non essersi dotata di una zona Sar (Search & Rescue). Proprio a questo fa riferimento esplicito la bozza del nuovo patto sull’asilo firmato a Bruxelles. Una delle condizioni richieste, allora, potrebbe essere proprio quella di notificare all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) una zona Sar una volta ottenuti tutti gli equipaggiamenti richiesti dal ministero dell’Interno tunisino.

      https://irpimedia.irpi.eu/thebigwall-crisi-economica-rimpatri-cosa-stanno-negoziando-ue-tunisia
      #crise_économique #UE #externalisation

    • Pour garder ses frontières, l’Europe se précipite au chevet de la Tunisie

      Alors que le régime du président #Kaïs_Saïed peine à trouver un accord avec le #Fonds_monétaire_international, la Tunisie voit plusieurs dirigeants européens — notamment italiens et français — voler à son secours. Un « soutien » intéressé qui vise à renforcer le rôle de ce pays comme garde-frontière de l’Europe en pleine externalisation de ses frontières.

      C’est un fait rarissime dans les relations internationales. En l’espace d’une semaine, la présidente du Conseil italien, Giorgia Meloni, aura effectué deux visites à Tunis. Le 7 juin, la dirigeante d’extrême droite n’a passé que quelques heures dans la capitale tunisienne. Accueillie par son homologue Najla Bouden, elle s’est ensuite entretenue avec le président Kaïs Saïed qui a salué, en français, une « femme qui dit tout haut ce que d’autres pensent tout bas ». Quatre jours plus tard, c’est avec une délégation européenne que la présidente du Conseil est revenue à Tunis.

      Accompagnée de la présidente de la Commission européenne #Ursula_von_der_Leyen et du premier ministre néerlandais #Mark_Rutte, Meloni a inscrit à l’agenda de sa deuxième visite les deux sujets qui préoccupent les leaders européens : la #stabilité_économique de la Tunisie et, surtout, la question migratoire, reléguant au second plan les « #valeurs_démocratiques ».

      Un pacte migratoire

      À l’issue de cette rencontre, les Européens ont proposé une série de mesures en faveur de la Tunisie : un #prêt de 900 millions d’euros conditionné à la conclusion de l’accord avec le Fonds monétaire international (#FMI), une aide immédiate de 150 millions d’euros destinée au budget, ainsi que 105 millions pour accroitre la #surveillance_des_frontières. Von der Leyen a également évoqué des projets portant sur l’internet à haut débit et les énergies vertes, avant de parler de « rapprochement des peuples ». Le journal Le Monde, citant des sources bruxelloises, révèle que la plupart des annonces portent sur des fonds déjà budgétisés. Une semaine plus tard, ce sont #Gérald_Darmanin et #Nancy_Faeser, ministres français et allemande de l’intérieur qui se rendent à Tunis. Une #aide de 26 millions d’euros est débloquée pour l’#équipement et la #formation des gardes-frontières tunisiens.

      Cet empressement à trouver un accord avec la Tunisie s’explique, pour ces partenaires européens, par le besoin de le faire valoir devant le Parlement européen, avant la fin de sa session. Déjà le 8 juin, un premier accord a été trouvé par les ministres de l’intérieur de l’UE pour faire évoluer la politique des 27 en matière d’asile et de migration, pour une meilleure répartition des migrants. Ainsi, ceux qui, au vu de leur nationalité, ont une faible chance de bénéficier de l’asile verront leur requête examinée dans un délai de douze semaines. Des accords devront également être passés avec certains pays dits « sûrs » afin qu’ils récupèrent non seulement leurs ressortissants déboutés, mais aussi les migrants ayant transité par leur territoire. Si la Tunisie acceptait cette condition, elle pourrait prendre en charge les milliers de subsahariens ayant tenté de rejoindre l’Europe au départ de ses côtes.

      Dans ce contexte, la question des droits humains a été esquivée par l’exécutif européen. Pourtant, en mars 2023, les eurodéputés ont voté, à une large majorité, une résolution condamnant le tournant autoritaire du régime. Depuis le mois de février, les autorités ont arrêté une vingtaine d’opposants dans des affaires liées à un « complot contre la sûreté de l’État ». Si les avocats de la défense dénoncent des dossiers vides, le parquet a refusé de présenter sa version.

      L’allié algérien

      Depuis qu’il s’est arrogé les pleins pouvoirs, le 25 juillet 2021, Kaïs Saïed a transformé la Tunisie en « cas » pour les puissances régionales et internationales. Dans les premiers mois qui ont suivi le coup de force, les pays occidentaux ont oscillé entre « préoccupations » et compréhension. Le principal cadre choisi pour exprimer leurs inquiétudes a été celui du G 7. C’est ainsi que plusieurs communiqués ont appelé au retour rapide à un fonctionnement démocratique et à la mise en place d’un dialogue inclusif. Mais, au-delà des proclamations de principe, une divergence d’intérêts a vite traversé ce groupement informel, séparant les Européens des Nord-Américains. L’Italie — et dans une moindre mesure la France — place la question migratoire au centre de son débat public, tandis que les États-Unis et le Canada ont continué à orienter leur communication vers les questions liées aux droits et libertés. En revanche, des deux côtés de l’Atlantique, le soutien à la conclusion d’un accord entre Tunis et le FMI a continué à faire consensus.

      La fin de l’unanimité occidentale sur la question des droits et libertés va faire de l’Italie un pays à part dans le dossier tunisien. Depuis 2022, Rome est devenue le premier partenaire commercial de Tunis, passant devant la France. Ce changement coïncide avec un autre bouleversement : la Tunisie est désormais le premier pays de départ pour les embarcations clandestines en direction de l’Europe, dans le bassin méditerranéen. Constatant que la Tunisie de Kaïs Saïed a maintenu une haute coopération en matière de #réadmission des Tunisiens clandestins expulsés du territoire italien, Rome a compris qu’il était dans son intérêt de soutenir un régime fort et arrangeant, en profitant de son rapprochement avec l’Algérie d’Abdelmadjid Tebboune, qui n’a jamais fait mystère de son soutien à Kaïs Saïed. Ainsi, en mai 2022, le président algérien a déclaré qu’Alger et Rome étaient décidées à sortir la Tunisie de « son pétrin ». Les déclarations de ce type se sont répétées sans que les autorités tunisiennes, d’habitude plus promptes à dénoncer toute ingérence, ne réagissent publiquement. Ce n’est pas la première fois que l’Italie et l’#Algérie — liées par un #gazoduc traversant le territoire tunisien — s’unissent pour soutenir un pouvoir autoritaire en Tunisie. Déjà, en 1987, Zine El-Abidine Ben Ali a consulté Rome et Alger avant de déposer le président Habib Bourguiba.

      L’arrivée de Giorgia Meloni au pouvoir en octobre 2022 va doper cette relation. La dirigeante d’extrême droite, élue sur un programme de réduction drastique de l’immigration clandestine, va multiplier les signes de soutien au régime en place. Le 21 février 2023, un communiqué de la présidence tunisienne dénonce les « menaces » que font peser « les hordes de migrants subsahariens » sur « la composition démographique tunisien ». Alors que cette déclinaison tunisienne de la théorie du « Grand Remplacement » provoque l’indignation, — notamment celle de l’Union africaine (UA) — l’Italie est le seul pays à soutenir publiquement les autorités tunisiennes. Depuis, la présidente du Conseil italien et ses ministres multiplient les efforts diplomatiques pour que la Tunisie signe un accord avec le FMI, surtout depuis que l’UE a officiellement évoqué le risque d’un effondrement économique du pays.

      Contre les « diktats du FMI »

      La Tunisie est en crise économique au moins depuis 2008. Les dépenses sociales engendrées par la révolution, les épisodes terroristes, la crise du Covid et l’invasion de l’Ukraine par la Russie n’ont fait qu’aggraver la situation du pays.

      L’accord avec l’institution washingtonienne est un feuilleton à multiples rebondissements. Fin juillet 2021, avant même la nomination d’un nouveau gouvernement, Saïed charge sa nouvelle ministre des Finances Sihem Namsia de poursuivre les discussions en vue de l’obtention d’un prêt du FMI, prélude à une série d’aides financières bilatérales. À mesure que les pourparlers avancent, des divergences se font jour au sein du nouvel exécutif. Alors que le gouvernement de Najla Bouden semble disposé à accepter les préconisations de l’institution financière (restructuration et privatisation de certaines entreprises publiques, arrêt des subventions sur les hydrocarbures, baisse des subventions sur les matières alimentaires), Saïed s’oppose à ce qu’il qualifie de « diktats du FMI » et dénonce une politique austéritaire à même de menacer la paix civile. Cela ne l’empêche pas de promulguer la loi de finances de l’année 2023 qui reprend les principales préconisations de l’institution de Bretton Woods.

      En octobre 2022, un accord « technique » a été trouvé entre les experts du FMI et ceux du gouvernement tunisien et la signature définitive devait intervenir en décembre. Mais cette dernière étape a été reportée sine die, sans aucune explication.

      Ces dissensions au sein d’un exécutif censé plus unitaire que sous le régime de la Constitution de 2014 trouvent leur origine dans la vision économique de Kaïs Saïed. Après la chute de Ben Ali, les autorités de transition ont commandé un rapport sur les mécanismes de corruption du régime déchu. Le document final, qui pointe davantage un manque à gagner (prêts sans garanties, autorisations indument accordées…) que des détournements de fonds n’a avancé aucun chiffre. Mais en 2012, le ministre des domaines de l’État Slim Ben Hmidane a avancé celui de 13 milliards de dollars (11,89 milliards d’euros), confondant les biens du clan Ben Ali que l’État pensait saisir avec les sommes qui se trouvaient à l’étranger. Se saisissant du chiffre erroné, Kaïs Saïed estime que cette somme doit être restituée et investie dans les régions marginalisées par l’ancien régime. Le 20 mars 2022, le président promulgue une loi dans ce sens et nomme une commission chargée de proposer à « toute personne […] qui a accompli des actes pouvant entraîner des infractions économiques et financières » d’investir l’équivalent des sommes indument acquises dans les zones sinistrées en échange de l’abandon des poursuites.

      La mise en place de ce mécanisme intervient après la signature de l’accord technique avec le FMI. Tandis que le gouvernement voulait finaliser le pacte avec Washington, Saïed mettait la pression sur la commission d’amnistie afin que « la Tunisie s’en sorte par ses propres moyens ». Constatant l’échec de sa démarche, le président tunisien a préféré limoger le président de la commission et dénoncer des blocages au sein de l’administration. Depuis, il multiplie les appels à un assouplissement des conditions de l’accord avec le FMI, avec l’appui du gouvernement italien. Le 12 juin 2023, à l’issue d’une rencontre avec son homologue italien, Antonio Tajani, le secrétaire d’État américain Anthony Blinken s’est déclaré ouvert à ce que Tunis présente un plan de réforme révisé au FMI.

      Encore une fois, les Européens font le choix de soutenir la dictature au nom de la stabilité. Si du temps de Ben Ali, l’islamisme et la lutte contre le terrorisme étaient les principales justifications, c’est aujourd’hui la lutte contre l’immigration, devenue l’alpha et l’oméga de tout discours politique et électoraliste dans une Europe de plus en plus à droite, qui sert de boussole. Mais tous ces acteurs négligent le côté imprévisible du président tunisien, soucieux d’éviter tout mouvement social à même d’affaiblir son pouvoir. À la veille de la visite de la délégation européenne, Saïed s’est rendu à Sfax, deuxième ville du pays et plaque tournante de la migration clandestine. Il est allé à la rencontre des populations subsahariennes pour demander qu’elles soient traitées avec dignité, avant de déclarer que la Tunisie ne « saurait être le garde-frontière d’autrui ». Un propos réitéré lors de la visite de Gérald Darmanin et de son homologue allemande, puis à nouveau lors du Sommet pour un nouveau pacte financier à Paris, les 22 et 23 juin 2023.

      https://orientxxi.info/magazine/pour-garder-ses-frontieres-l-europe-se-precipite-au-chevet-de-la-tunisie

    • Perché oggi Meloni torna in Tunisia

      È la terza visita da giugno: l’obiettivo è un accordo per dare al paese aiuti economici europei in cambio di più controlli sulle partenze di migranti

      Nella giornata di domenica è previsto un viaggio istituzionale in Tunisia della presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, insieme alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al primo ministro olandese #Mark_Rutte. Per Meloni è la terza visita in Tunisia in poco più di un mese: era andata da sola una prima volta il 6 giugno, e poi già insieme a von der Leyen e Rutte l’11 giugno.

      Il motivo delle visite è stata una serie di colloqui con il presidente tunisino, l’autoritario Kais Saied, per firmare un “memorandum d’intesa” tra Unione Europea e Tunisia che ha l’obiettivo di fornire un aiuto finanziario al governo tunisino da circa un miliardo di euro. Questi soldi si aggiungerebbero al prestito del Fondo Monetario Internazionale (#FMI) da 1,7 miliardi di euro di cui si parla da tempo e che era stato chiesto dalla Tunisia per provare a risolvere la sua complicata situazione economica e sociale.

      Il memorandum, di cui non sono stati comunicati i dettagli, secondo fonti a conoscenza dei fatti impegnerebbe la Tunisia ad applicare alcune riforme chieste dall’FMI, e a collaborare maggiormente nel bloccare le partenze di migranti e richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Italia via mare.

      Nell’incontro dell’11 giugno le discussioni non erano andate benissimo, e avevano portato solo alla firma di una dichiarazione d’intenti. La visita di domenica dovrebbe invece concludersi con una definizione degli accordi, almeno nelle intenzioni dei leader europei. «Speriamo di concludere le discussioni che abbiamo iniziato a giugno», aveva detto venerdì la vice portavoce della Commissione Europea Dana Spinant annunciando il viaggio di domenica.

      Il memorandum d’intesa prevede che l’Unione Europea offra alla Tunisia aiuti finanziari sotto forma di un prestito a tassi agevolati di 900 milioni di euro – da erogare a rate nei prossimi anni – oltre a due contributi a fondo perduto rispettivamente da 150 milioni di euro, come contributo al bilancio nazionale, e da 100 milioni di euro per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti. Quest’ultimo aiuto di fatto replicherebbe su scala minore quelli dati negli anni scorsi a Libia e Turchia affinché impedissero con la forza le partenze di migranti e richiedenti asilo.

      Dell’accordo si è parlato molto criticamente nelle ultime settimane per via delle violenze in corso da tempo nel paese, sia da parte della popolazione locale che delle autorità, nei confronti dei migranti subsahariani che transitano nel paese nella speranza di partire via mare verso l’Europa (e soprattutto verso l’Italia). Da mesi il presidente Kais Saied – che negli ultimi tre anni ha dato una svolta autoritaria al governo del paese – sta usando i migranti come capro espiatorio per spiegare la pessima situazione economica e sociale in cui si trova la Tunisia.

      Ha più volte sostenuto che l’immigrazione dai paesi africani faccia parte di un progetto di «sostituzione demografica per rendere la Tunisia un paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico». Le sue parole hanno causato reazioni razziste molto violente da parte di residenti e polizia nei confronti dei migranti, con arresti arbitrari e varie aggressioni. L’ultimo episodio è stato segnalato all’inizio di luglio, quando le forze dell’ordine tunisine hanno arrestato centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana e li hanno portati con la forza in una zona desertica nell’est del paese al confine con la Libia.

      https://www.ilpost.it/2023/07/16/tunisia-meloni

    • Firmato a Tunisi il memorandum d’intesa tra Tunisia e Ue, Meloni: «Compiuto passo molto importante»

      Saied e la delegazione Ue von der Leyen, Meloni e #Rutte siglano il pacchetto complessivo di 255 milioni di euro per il bilancio dello Stato nordafricano e per la gestione dei flussi migratori. 5 i pilastri dell’intesa

      E’ stato firmato il Memorandum d’intesa per una partnership strategica e globale fra Unione europea e Tunisia. L’Ue ha diffuso il video della cerimonia di firma, alla quale erano presenti la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il premier dell’Olanda Mark Rutte e il presidente tunisino Kais Saied. Al termine della cerimonia di firma è iniziato l’incontro fra i tre leader europei e Saied, a seguito del quale sono attese dichiarazioni alla stampa. L’incontro si svolge nel palazzo presidenziale tunisino di Cartagine, vicino Tunisi. Per raggiungere questo obiettivo Bruxelles ha proposto un pacchetto di aiuti (150 milioni a sostegno del bilancio dello Stato e 105 milioni come supporto al controllo delle frontiere), su cui era stato avviato un negoziato.

      «Il Team Europe torna a Tunisi. Eravamo qui insieme un mese fa per lanciare una nuova partnership con la Tunisia. E oggi la portiamo avanti». Lo scrive sui social la Presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, postando foto con lei, Meloni, Rutte e Saied.

      E nella conferenza stampa congiunta con Saied, Meloni e Rutte la presidente ha affermato che la Ue coopererà con la Tunisia contro i trafficanti di migranti.

      «Abbiamo raggiunto un obiettivo molto importante che arriva dopo un grande lavoro diplomatico. Il Memorandum è un importante passo per creare una vera partnership tra l’Ue e la Tunisia». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al termine dell’incontro con Kais Saied nel palazzo di Cartagine. L’intesa va considerata «un modello» perle relazioni tra l’Ue e i Paesi del Nord Africa.

      L’obiettivo iniziale era di firmare un Memorandum d’intesa entro lo scorso Consiglio europeo, del 29 e 30 giugno, ma c’è stato uno slittamento. L’intesa con l’Europa, nelle intenzioni di Bruxelles, dovrebbe anche facilitare lo sblocco del finanziamento del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi al momento sospeso, anche se in questo caso la trattativa è tutta in salita.

      Anche oggi, nel giorno della firma del Memorandum di Intesa tra Unione europea e Tunisia, a Lampedusa - isola simbolo di migrazione e di naufragi - sono sbarcati in 385 (ieri quasi mille). L’obiettivo dell’accordo voluto dalla premier Meloni e il presidente Saied è soprattutto arginare il flusso incontrollato di persone che si affidano alla pericolosa via del mare per approdare in Europa. Un problema che riguarda i confini esterni meridionali dell’Unione europea, come ha sempre sottolineato la presidente del Consiglio, che oggi arriverà a Tunisi per la seconda volta, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e con il collega olandese Mark Rutte.

      Le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni

      «Oggi abbiamo raggiunto un risultato estremamente importante, il memorandum firmato tra Tunisia e Ue è un ulteriore passo verso la creazione di un vero partenariato che possa affrontare in modo integrato la crisi migratoria e lo sviluppo per entrambe le sponde del Mediterraneo».

      Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel punto stampa dopo la firma del Memorandum.

      «Il partenariato con la Tunisia- ha aggiunto Meloni- rappresenta per noi un modello per costruire nuove relazioni con i vicini del Nord Africa. Il memorandum è un punto di partenza al quale dovranno conseguire diversi accordi per mettere a terra gli obiettivi che ci siamo dati».

      Infine la presidente del Consiglio ha ricordato che «domenica prossima 23 luglio a Roma ci sarà la conferenza internazionale sull’immigrazione che avrà come protagonista il presidente Saied e con lui diversi capi di Stato e governo dei paesi mediterranei. E’ un altro importante passo per affrontare la cooperazione mediterranea con un approccio integrato e io lo considero come l’inizio di un percorso che può consentire una partnership diversa da quella che abbiamo avuto nel passato».

      Le dichiarazioni della Presidente della Commisisone Europea

      Per Ursula Von der Leyen l’accordo odierno è «un buon pacchetto di misure», da attuare rapidamente «in entrambe le sponde del Mediterraneo» ma ha anche precisato che «L’ assistenza macrofinanziaria sarà fornita quando le condizioni lo permetteranno».

      La Presidente ha elencato i 5 pilastri del Memorandum con la Tunisia:

      1) creare opportunità per i giovani tunisini. Per loro «ci sarà una finestra in Europa con l’#Erasmus». Per le scuole tunisine stanziati 65 milioni;

      2) sviluppo economico della Tunisia. La Ue aiuterà la crescita e la resilienza dell’economia tunisina;

      3) investimenti e commercio: "La Ue è il più grande partner economico della Tunisia. Ci saranno investimenti anche per migliorare la connettività della Tunisia, per il turismo e l’agricoltura. 150 milioni verranno stanziati per il ’#Medusa_submarine_cable' tra Europa e Tunisia;

      4) energia pulita: la Tunisia ha «potenzialità enormi» per le rinnovabili. L’ Europa ha bisogno di «fonti per l’energia pulita. Questa è una situazione #win-win. Abbiamo stanziato 300 milioni per questo progetto ed è solo l’inizio»;

      5) migranti: «Bisogna stroncare i trafficanti - dice Von der Leyen - e distruggere il loro business». Ue e Tunisia coordineranno le operazioni Search and Rescue. Per questo sono stanziati 100 milioni di euro.

      Le dichiarazioni del Presidente Kais Saied

      «Dobbiamo trovare delle vie di collaborazione alternative a quelle con il Fondo Monetario Internazionale, che è stato stabilito dopo la seconda Guerra mondiale. Un regime che divide il mondo in due metà: una metà per i ricchi e una per i poveri eche non doveva esserci». Lo ha detto il presidente tunisino Kais Saied nelle dichiarazioni alla stampa da Cartagine.

      «Il Memorandum dovrebbe essere accompagnato presto da accordi attuativi» per «rendere umana» la migrazione e «combattere i trafficanti. Abbiamo oggi un’assoluta necessità di un accordo comune contro la migrazione irregolari e contro la rete criminale di trafficanti».

      «Grazie a tutti e in particolare la premier Meloni per aver risposto immediatamente all’iniziativa tunisina di organizzare» un vertice sulla migrazione con i Paesi interessati.

      https://www.rainews.it/articoli/2023/07/memorandum-dintesa-tra-unione-europea-e-tunisia-la-premier-meloni-von-der-le
      #memorandum_of_understanding #développement #énergie #énergie_renouvelable #économie #tourisme #jeunes #jeunesse #smugglers #traficants_d'êtres_humains #aide_financière

    • La Tunisie et l’Union européenne signent un partenariat sur l’économie et la politique migratoire

      La présidente de la Commission européenne s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant cinq piliers dont l’immigration irrégulière. La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants vers l’Europe.

      L’Union européenne (UE) et la Tunisie ont signé dimanche 16 juillet à Tunis un protocole d’accord pour un « partenariat stratégique complet » portant sur la lutte contre l’immigration irrégulière, les énergies renouvelables et le développement économique de ce pays du Maghreb. La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant « cinq piliers », dont les questions migratoires.

      La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants qui traversent la Méditerranée vers l’Europe. Les chefs de gouvernement italien, Giorgia Meloni, et néerlandais, Mark Rutte, accompagnaient la dirigeante européenne après une première visite il y a un mois, pendant laquelle ils avaient proposé ce partenariat.

      Il s’agit « d’une nouvelle étape importante pour traiter la crise migratoire de façon intégrée », a dit Mme Meloni, qui a invité le président tunisien, Kais Saied, présent à ses côtés, à participer dimanche à Rome à un sommet sur les migrations. Celui-ci s’est exprimé à son tour pour insister sur le volet de l’accord portant sur « le rapprochement entre les peuples ».

      « Nouvelles relations avec l’Afrique du Nord »

      Selon Mme Meloni, le partenariat entre la Tunisie et l’UE « peut être considéré comme un modèle pour l’établissement de nouvelles relations avec l’Afrique du Nord ». M. Rutte a pour sa part estimé que « l’accord bénéficiera aussi bien à l’Union européenne qu’au peuple tunisien », rappelant que l’UE est le premier partenaire commercial de la Tunisie et son premier investisseur. Sur l’immigration, il a assuré que l’accord permettra de « mieux contrôler l’immigration irrégulière ».

      L’accord prévoit une aide de 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière et une aide budgétaire de 150 millions d’euros alors que la Tunisie est étranglée par une dette de 80 % de son produit intérieur brut (PIB) et est à court de liquidités. Lors de sa première visite, la troïka européenne avait évoqué une « assistance macrofinancière de 900 millions d’euros » qui pouvait être fournie à la Tunisie sous forme de prêt sur les années à venir.

      Mme von der Leyen a affirmé dimanche que Bruxelles « est prête à fournir cette assistance dès que les conditions seront remplies ». Cette « assistance » de l’UE est conditionnée à un accord entre la Tunisie et le Fonds monétaire international (FMI) pour un nouveau crédit du Fonds, un dossier qui est dans l’impasse depuis des mois.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/16/la-tunisie-et-l-union-europeenne-signent-un-partenariat-sur-l-economie-et-la

    • Les députés reprochent à la Commission européenne d’avoir signé un accord avec un « cruel dictateur » tunisien

      Des eurodéputés ont dénoncé mardi le protocole d’accord signé par l’UE avec la Tunisie.

      L’accord a été conclu dimanche après une réunion à Tunis entre le président tunisien Kaïs Saïed et la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen, accompagnée de la Première ministre italienne Giorgia Meloni et du Premier ministre néerlandais Mark Rutte.

      Le texte, qui doit encore être précisé, prévoit l’allocation d’au moins 700 millions d’euros de fonds européens, dont certains sous forme de prêts, dans le cadre de cinq piliers : la stabilité macroéconomique, l’économie et le commerce, la transition verte, les contacts interpersonnels et les migrations.

      Ursula von der Leyen a présenté le mémorandum comme un « partenariat stratégique et global ». Mais les eurodéputés ont adopté un point de vue très critique sur la question. Ils dénoncent les contradictions entre les valeurs fondamentales de l’Union européenne et le recul démocratique en cours en Tunisie. Ils ont également déploré l’absence de transparence démocratique et de responsabilité financière.

      La figure de Kaïs Saïed, qui a ouvertement diffusé des récits racistes contre les migrants d’Afrique subsaharienne a fait l’objet des reproches de la part des parlementaires.

      https://twitter.com/sylvieguillaume/status/1681221845830230017

      « Il est très clair qu’un accord a été conclu avec un dictateur cruel et peu fiable », a dénoncé Sophie in ’t Veld (Renew Europe). « Le président Saïed est un dirigeant autoritaire, ce n’est pas un bon partenaire, c’est un dictateur qui a augmenté le nombre de départs ».

      S’exprimant au nom des sociaux-démocrates (S&D), Birgit Sippel a accusé les autorités tunisiennes d’abandonner les migrants subsahariens dans le désert « sans nourriture, sans eau et sans rien d’autre », un comportement qui a déjà été rapporté par les médias et les organisations humanitaires.

      « Pourquoi la Tunisie devrait-elle soudainement changer de comportement ? Et qui contrôle l’utilisation de l’argent ? » interroge Birgit Sippel, visiblement en colère.

      « Nous finançons à nouveau un autocrate sans contrôle politique et démocratique au sein de cette assemblée. Ce n’est pas une solution. Cela renforcera un autocrate en Tunisie », a-t-elle ajouté.

      https://twitter.com/NatJanne/status/1680982627283509250

      En face, la Commissaire européenne en charge des Affaires intérieures Ylva Johansson, a évité toute controverse et a calmement défendu le mémorandum UE-Tunisie. La responsable suédoise a souligné que le texte introduit des obligations pour les deux parties.

      « Il est clair que la Tunisie est sous pression. Selon moi, c’est une raison de renforcer et d’approfondir la coopération et d’intensifier le soutien à la Tunisie », a-t-elle répondu aux députés européens.

      Selon Ylva Johansson, 45 000 demandeurs d’asile ont quitté la Tunisie cette année pour tenter de traverser la « route très meurtrière » de la Méditerranée centrale. Cette « augmentation considérable » suggère un changement du rôle de la Tunisie, de pays d’origine à pays de transit, étant donné que « sur ces 45 000, seuls 5 000 étaient des citoyens tunisiens ».

      « Il est très important que notre objectif principal soit toujours de sauver des vies, d’empêcher les gens d’entreprendre ces voyages qui finissent trop souvent par mettre fin à leur vie, c’est une priorité », a poursuivi la Commissaire.

      Les députés se sont concentrés sur les deux enveloppes financières les plus importantes de l’accord : 150 millions d’euros pour l’aide budgétaire et 105 millions d’euros pour la gestion des migrations, qui seront toutes les deux déboursées progressivement. Certains eurodéputés ont décrit l’aide budgétaire, qui est censée soutenir l’économie fragile du pays, comme une injection d’argent dans les coffres privés de Kaïs Saïed qui serait impossible à retracer.

      « Vous avez financé un dictateur qui bafoue les droits de l’homme, qui piétine la démocratie tunisienne que nous avons tant soutenue. Ne nous mentez pas ! », s’est emporté Mounir Satouri (les Verts). « Selon nos analyses, les 150 et 105 millions d’euros sont une aide au Trésor (tunisien), un versement direct sur le compte bancaire de M. Kaïs Saïed ».

      https://twitter.com/alemannoEU/status/1680659154665340928

      Maria Arena (S&D) a reproché à la Commission européenne de ne pas avoir ajouté de dispositions supplémentaires qui conditionneraient les paiements au respect des droits de l’homme.

      « Nous donnons un chèque en blanc à M. Saïed, qui mène actuellement des campagnes racistes et xénophobes, soutenues par sa police et son armée », a déclaré l’eurodéputée belge.

      « Croyez-vous vraiment que M Saïed, qui a révoqué son parlement, qui a jeté des juges en prison, qui a démissionné la moitié de sa juridiction, qui interdit maintenant aux blogueurs de parler de la question de l’immigration et qui utilise maintenant sa police et son armée pour renvoyer des gens à la frontière (libyenne), croyez-vous vraiment que M. Saïed va respecter les droits de l’homme ? Madame Johansson, soit vous êtes naïve, soit vous nous racontez des histoires ».

      Dans ses réponses, Ylva Johansson a insisté sur le fait que les 105 millions d’euros affectés à la migration seraient « principalement » acheminés vers des organisations internationales qui travaillent sur le terrain et apportent une aide aux demandeurs d’asile, comme l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), bien qu’elle ait admis que certains fonds seraient en fait fournis aux agents tunisiens sous la forme de navires de recherche et de sauvetage et de radars.

      https://twitter.com/vonderleyen/status/1680626156603686913

      « Permettez-moi d’insister sur le fait que la Commission européenne, l’UE, n’est pas impliquée dans le refoulement de ressortissants de pays tiers vers leur pays d’origine. Ce que nous faisons, c’est financer, par l’intermédiaire de l’OIM, les retours volontaires et la réintégration des ressortissants de pays tiers », a souligné la Commissaire.

      « Je ne suis pas d’accord avec la description selon laquelle la Tunisie exerce un chantage. Je pense que nous avons une bonne coopération avec la Tunisie, mais il est également important de renforcer cette coopération et d’augmenter le soutien à la Tunisie. Et c’est l’objectif de ce protocole d’accord ».

      https://fr.euronews.com/my-europe/2023/07/18/les-deputes-reprochent-a-la-commission-europeenne-davoir-signe-un-accor

  • Sortir de la #crise_permanente par la #démocratie : le rôle de l’#Université#RogueESR
    https://rogueesr.fr/20230604-2

    La #science est de longue date devenue une instance de renforcement et de #légitimation_du_pouvoir. Ce rapport à la science lui octroie un rôle proche de celui de la religion dans les #sociétés d’Ancien Régime. La production d’un #discours « #expert », qui reprend la forme de la discursivité scientifique, est devenue une modalité ordinaire utilisée par le #pouvoir pour se légitimer et se #perpétuer. Nourries de #saint-simonisme et d’une caricature de #positivisme_comtien, les élites technocratiques ont prétendu s’appuyer sur la #raison pour prendre en charge le destin de l’#humanité.

  • La transparence sur les subventions dotée d’une plate-forme de contrôle.
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article4468

    Une grande partie du débat sur l’utilisation et les vertus des subventions se situe dans le contexte du secteur industriel. Et plus largement la coopération internationale qui offre des disciplines améliorées en matière de financements divers. Ce qui améliore la certitude pour ces attributions afin de réduire les frictions commerciales et serait mieux et bien supérieur aux actions unilatérales, avec le but de parfaire nombreuses productivités y compris celle des fonds financiers du développement. Grands événements : Gigantisme de l’inattendu.

    / #diplomatie,_sécurité,_commerce,_économie_mondiale, #crise,_capitalisme,_économie,_justice,_Bourse, #Data_-_Données, économie , chômeurs, emploi, social, syndicat, revendication, jeunesse, travailleurs, (...)

    #Grands_événements_:_Gigantisme_de_l’inattendu. #économie_ #chômeurs,_emploi,_social,_syndicat,_revendication,_jeunesse,_travailleurs,_chômage

  • La #crise à Mayotte
    https://laviedesidees.fr/La-crise-a-Mayotte

    Avec l’arrivée massive de migrants en provenance d’Anjouan, le département de Mayotte s’enfonce dans la crise. Alors que les nouveaux venus s’entassent dans des bidonvilles, la délinquance monte en flèche et le gouvernement n’a d’autre réponse que sécuritaire. Que faire ? Cyrille Hanappe est architecte, maître de conférence à l’ENSA Paris Belleville. Il travaille depuis de nombreuses années à Mayotte sur la résorption de l’habitat insalubre. Son agence, AIR Architectures, a été lauréate du concours « Un toit (...) #Entretiens

    / Société, #police, crise, #migration

    #Société
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20230525_mayotte.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20230525_mayotte.pdf

    • Il est à noter qu’une partie importante des immigrés illégaux sont des femmes « numéro 2 » que des hommes mahorais ont fait venir. Ces femmes ont des enfants français qui se retrouvent dans la plus grande précarité lorsque leurs mères sont expulsées du pays.
      […]
      Alors que les politiques d’expulsion se poursuivent sans relâche, des milliers d’enfants se sont retrouvés à la rue sans parents. On parle désormais de villages d’enfants installés dans les forêts, qui n’ont d’autres moyens de survie que le vol et les rapines. La situation sécuritaire est devenue délétère à tel point qu’il est devenu dangereux de s’aventurer sur les routes après la nuit tombée, au risque de croiser un barrage violent mis en place par de jeunes hommes en errance. Cette situation de tension et de peur est exacerbée par les réseaux sociaux, qui informent tout le monde en direct du moindre fait divers sur l’île.
      […]
      Selon les communications officielles, Wuambushu signifierait « reprise » en mahorais, mais les linguistes insistent sur les notions d’initiations, de risques et d’aventures qui lui sont liées. En swahili, la langue racine du mahorais, elle se traduit carrément par « Tuez-les ». Les trois objectifs de l’opération Wuambushu étaient, dans l’ordre, le renvoi des immigrés illégaux, la destruction des bidonvilles et la baisse de la délinquance.

    • pour rappel, jusqu’en 2010, la charia s’appliquait (en partie) à Mayotte, notamment en matière civile où le Qadi statuait. Depuis cette date, les _nouvelles_unions polygames n’y sont plus possibles, celles existantes n’étant pas mises en cause, évidemment.

      C’était juste avant la départementalisation (2011).

      La justice musulmane abrogée à Mayotte
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2010/06/02/la-justice-musulmane-abrogee-a-mayotte_1366743_3224.html

  • Nagorno Karabakh, è crisi idrica
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Nagorno-Karabakh/Nagorno-Karabakh-e-crisi-idrica-225180

    Il Nagorno Karabakh e un parte di Azerbaijan dipendono dall’approvvigionamento idrico del bacino di Sarsang, il primo per l’energia elettrica, il secondo per l’irrigazione dei campi agricoli. La siccità di questo periodo ma soprattutto il blocco del corridoio di Lachin hanno causato uno sfruttamento intensivo del bacino idrico

  • Plus de 71 millions de déplacés internes dans le monde en 2022
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/05/11/plus-de-71-millions-de-deplaces-internes-dans-le-monde-en-2022_6172903_3210.

    Plus de 71 millions de déplacés internes dans le monde en 2022
    Le nombre de nouveaux déplacés a, lui, bondi à presque 61 millions de personnes, certaines étant obligées de fuir à plusieurs reprises. C’est 60 % de plus qu’en 2021.
    Le Monde avec AFP
    Publié aujourd’hui à 09h02
    En 2022, 71,1 millions de personnes ont été enregistrées comme déplacées internes, un bond de 20 % par rapport à l’année précédente provoqué par les exodes massifs à la suite de l’invasion de l’Ukraine par la Russie mais aussi des inondations catastrophiques au Pakistan, selon un rapport conjoint de l’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC) et du Norwegian Refugee Council (NRC). Le nombre de nouveaux déplacés a, lui, bondi à presque 61 millions de personnes, certaines étant obligées de fuir à plusieurs reprises. C’est 60 % de plus qu’en 2021.
    Ce nombre est « extrêmement élevé », a déclaré à l’Agence France-Presse (AFP) la directrice de l’IDMC, Alexandra Bilak. (...) Au-delà des 17 millions de déplacements à l’intérieur de l’Ukraine, huit millions de personnes ont été chassées de chez elles par les inondations monstres au Pakistan. Et l’Afrique subsaharienne a enregistré environ 16,5 millions de déplacements internes, dont plus de la moitié en raison de conflits, en particulier en République démocratique du Congo et en Ethiopie.
    Même si des personnes sont forcées de fuir partout dans le monde, près des trois quarts des déplacés internes vivent dans seulement dix pays : la Syrie, l’Afghanistan, la République démocratique du Congo, l’Ukraine, la Colombie, l’Ethiopie, le Yémen, le Nigeria, la Somalie et le Soudan (par ordre décroissant du nombre de déplacés internes). Beaucoup de ces déplacés sont victimes de conflits qui durent depuis des années, mais les catastrophes naturelles sont responsables de la plupart des nouveaux déplacements internes. Elles ont forcé 32,6 millions de personnes à fuir en 2022. C’est 40 % de plus que l’année précédente.
    Pour le secrétaire général du NRC, Jan Egeland, cet empilement de crises forment une « tempête parfaite ». « Les conflits et les catastrophes se sont combinés l’année dernière pour aggraver les vulnérabilités et les inégalités préexistantes, provoquant des déplacements à une échelle jamais vue auparavant », a-t-il déclaré dans un communiqué.

    #Covid-19#migration#migrant#deplaceinterne#DMC#NRC#conflit#crise#environnement

  • Azizou Chehou, l’homme qui sauve la vies de migrants naufragés dans le Sahara
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/05/10/niger-azizou-chehou-l-homme-qui-sauve-des-vies-au-sahara_6172825_3212.html

    Azizou Chehou, l’homme qui sauve la vies de migrants naufragés dans le Sahara
    Grâce aux tricycles de l’association Alarme Phone Sahara, l’ancien enseignant vient en aide aux migrants refoulés par les autorités algériennes de l’autre côté de la frontière avec le Niger.
    Par Amaury Hauchard
    Une carrière de trente ans dans l’éducation, une petite maison familiale dans un quartier périphérique de la ville nigérienne d’Agadez, une Toyota Corolla poussiéreuse qu’il traîne depuis onze ans… La vie d’Azizou Chehou n’a, à première vue, rien d’extraordinaire. Pourtant, l’homme de 56 ans qui vient en aide aux naufragés du désert sauve, chaque année, presque autant de vie qu’un médecin.
    Semaine après semaine, ils sont des centaines à errer ainsi dans les sables, refoulés par les autorités algériennes de l’autre côté de la frontière avec le Niger. Des hommes originaires d’Afrique de l’Ouest, jetés des bennes des camions où ils ont été entassés, qui n’ont d’autre choix que de marcher jusqu’au village d’Assamaka, traversant quinze kilomètres de désert. C’est ce tronçon que sillonnent les tricycles de l’association Alarme Phone Sahara
    Avec leurs véhicules, ils viennent en aide à ceux qui ne peuvent plus marcher, les emmènent jusqu’au village où un centre de transit de l’ONU doit les accueillir. Dans ce bout de désert, il y a beaucoup d’ennemis des migrants : bandits côté nigérien, patrouilles militaires côté algérien.
    Ces dernières semaines, les expulsions par l’Algérie n’ont jamais été aussi nombreuses : tandis qu’environ 20 000 personnes avaient été refoulées sur l’ensemble de l’année 2022, APS en a déjà recensé près de 15 000 jetées dans le Sahara durant les quatre premiers mois de 2023.
    Parfois, quand les gilets jaunes d’APS les trouvent, les migrants sont déjà morts. « C’est une honte ce qui se passe là-bas, souligne Azizou Chehou. En Méditerranée au moins, la mer rejette les corps, alors que le Sahara les avale. On ne pourra jamais savoir combien de personnes sont mortes ici dans l’indifférence. » (...) Dans les pages du seul journal papier du nord du Niger, il écrit sur tout, mais la migration revient page après page : ici, elle a toujours été un business florissant. « Etre à un carrefour de migrations a amené à une époque beaucoup de travail ici. Opérer dans ce trafic a été criminalisé [en 2015]. Tout a changé », souligne-t-il. Alors quand M. Diallo lâche les rênes en 2018 de la petite association APS qu’il avait lancé avec des soutiens associatifs allemands, c’est une évidence : Azizou Chehou doit reprendre le flambeau. Lui hésite : il prépare sa thèse et doit déjà gérer son autre association d’aide aux jeunes désœuvrés de son quartier.Quelques mois plus tard, la thèse est bouclée et la crise migratoire s’accentue sur la frontière algérienne. Les tricycles d’APS n’arrêtent pas de circuler dans le sable et le téléphone du coordinateur Chehou sonne en permanence. Quant au village d’Assamaka, il devient ce déversoir où s’agglutinent des milliers de migrants dans l’attente d’être pris en charge par l’ONU et des ONG internationales.

    #Covid-19#migrant#migration#niger#sahara#afriquesubsaharienne#algerie#corps#mortalité#trafic#crisemigratoire#routemigratoire#postcovid

  • Sozialstaat in der Krise. Massenarbeitslosigkeit und der Aufstieg der Nationalsozialisten | Topographie des Terrors
    https://www.topographie.de/veranstaltungen/detail/sozialstaat-in-der-krise-massenarbeitslosigkeit-und-der-aufstieg-der-nat

    Vortrag Dienstag, 16. Mai 2023, 19:00 Uhr

    Ohne Weltwirtschaftskrise wären Hitler und die NS-Bewegung nicht an die Macht gelangt. Die Zahl der Arbeitslosen stieg ab Herbst 1929 im Deutschen Reich massiv an. Dennoch wiesen die Sozialhaushalte in den Jahren 1930 bis 1932 teilweise sogar Überschüsse aus. Nach seiner Ernennung zum Reichskanzler am 30. Januar 1933 berief Hitler ein „Kabinett der nationalen Einheit“, in das er maßgebliche rechtskonservative Verbündete aufnahm. Verantwortlich für den Sozialstaat wurde als neuer Reichsarbeitsminister Franz Seldte, der Führer des „Stahlhelm/Bund der Frontsoldaten“, der bis 1931 mitgliederstärksten rechtsextremen Miliz der Weimarer Republik.
    In seinem Vortrag lenkt Rüdiger Hachtmann den Blick auf die Veränderungen des Sozialstaats in der letzten Phase der Weimarer Republik und fragt, inwieweit bereits vor 1933 ein sozialpolitischer Weg gebahnt wurde, der ab 1933 „nur“ radikalisiert fortgesetzt wurde. War das Jahr 1933 tatsächlich ein so scharfer Bruch in der staatlichen Sozialpolitik, wie dies oft unterstellt wird?

    Rüdiger Hachtmann ist apl. Professor für Neuere Geschichte an der Technischen Universität Berlin und Senior Fellow am Leibniz-Zentrum für Zeithistorische Forschung Potsdam. Er hat zahlreiche Veröffentlichungen vorgelegt, darunter Das Wirtschaftsimperium der Deutschen Arbeitsfront (2012) sowie das gerade erschienene zweibändige Werk Vom Wilhelminismus zur Neuen Staatlichkeit des Nationalsozialismus. Das Reichsarbeitsministerium 1918–1945 (2023).

    Thomas Schaarschmidt ist apl. Professor an der Universität Potsdam und wissenschaftlicher Mitarbeiter am Leibniz-Zentrum für Zeithistorische Forschung Potsdam.

    Vortrag: Prof. Dr. Rüdiger Hachtmann, Berlin
    Moderation: Prof. Dr. Thomas Schaarschmidt, Potsdam
    Wann: Dienstag, 16. Mai 2023, 19:00 Uhr
    Wo: Topographie des Terrors, Auditorium, Niederkirchnerstraße 8, Berlin-Kreuzberg

    #Berlin #Kreuzberg #Niederkirchnerstraße #Prinz-Albrecht-Straße #Allemagne #nazis #crise #chômage #histoire #conférence

  • Près de 50% des migrants qui arrivent en Italie viennent de pays francophones, selon le patron de l’Ofii

    Interrogé vendredi sur Franceinfo, en pleine brouille entre Rome et Paris sur le dossier de l’immigration, le directeur général de l’Office français de l’immigration et de l’intégration a affirmé que près de la moitié des migrants qui arrivent en Italie sont originaires de pays francophones. Les Ivoiriens sont, selon lui, « la première nationalité qui débarque en Italie ».

    Le directeur général de l’Office français de l’immigration et de l’intégration (Ofii), Didier Leschi, a déclaré, vendredi 5 mai, sur Franceinfo (https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/migrants-on-a-une-augmentation-des-tentatives-de-passage-a-travers-les-), que près de la moitié des migrants arrivant en Italie par la Méditerranée venaient de #pays_francophones. Des déclarations qui interviennent en pleine crise diplomatique entre la France et l’Italie après les propos de Gérald Darmanin sur la gestion des arrivées migrants par la Première ministre italienne (https://www.infomigrants.net/fr/post/48708/nouvelle-crise-diplomatique-entre-paris-et-rome-sur-lafflux-de-migrant).

    Sur les plus de 42 000 personnes qui ont débarqué en Italie depuis le début de l’année, « les nationalités qui arrivent en Italie sont pour près de la moitié d’entre elles des nationalités qui ont un rapport avec l’espace historique francophone des Subsahariens », a indiqué Didier Leschi.

    Parmi eux, les Ivoiriens représentent « la première nationalité qui débarque en Italie », a assuré le patron de l’Ofii, un organe sous tutelle du ministère de l’Intérieur.

    « Il y a aussi des Guinéens et des Maliens. Ces personnes sont peu enregistrées (par les autorités italiennes) pour une partie d’entre elles et donc se dirigent immédiatement vers la France », a-t-il avancé.

    Mécanisme européen

    « C’est pour ça que les tensions entre les deux pays sont fortes. On a une augmentation des tentatives de passage à travers les Alpes parce que, justement, ce sont pour beaucoup d’entre elles des nationalités où on parle le français », a poursuivi Didier Leschi.

    Or, a-t-il déclaré, « l’ensemble du mécanisme européen suppose d’abord qu’il y ait un enregistrement dans le premier pays et qu’après, il y ait une discussion entre les différents pays, en particulier avec la France, et pour ceux qui relèvent vraiment » du statut de réfugié, « qu’il y ait une répartition ». « Il y a urgence à organiser mieux la répartition de la charge de l’asile dans l’ensemble de l’Union » européenne, a encore insisté le directeur général de l’Ofii.

    Les arrivées de migrants sont au plus haut en Italie, et notamment sur l’île de Lampedusa. Le ministère de l’Intérieur italien a récemment demandé aux autorités de l’île d’augmenter la capacité de son hotspot de 400 à 1 250 places pour faire face l’afflux de migrants. Plus de 2 700 personnes sont actuellement recensées dans le centre d’accueil, rendant la situation invivable. Le gouvernement prévoit un examen accéléré des demandes d’asile afin de faciliter les procédures de rapatriement vers des pays sûrs.
    « Incapable de régler les problèmes migratoires »

    La Première ministre française Elisabeth Borne a, elle, annoncé fin avril (https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/alpes-maritimes/menton/immigration-150-policiers-et-gendarmes-supplementaires-) la mobilisation de 150 policiers et gendarmes « supplémentaires » pour faire « face à une pression migratoire accrue à la frontière italienne » ainsi que la création d’une « #border_force » (force aux frontières).

    Interrogé sur cette situation, le ministre français de l’Intérieur Gérald #Darmanin a déclaré, jeudi, sur RMC, que la Première ministre italienne d’extrême droite Giorgia #Meloni était « incapable de régler les problèmes migratoires sur lesquels elle a été élue ».

    Ce sont ces propos qui ont suscité une nouvelle poussée de fièvre, sur ce sujet qui empoisonne les relations diplomatiques entre les deux alliés. Ils ont ainsi provoqué l’annulation jeudi de la première visite à Paris du ministre italien des Affaires étrangères, Antonio Tajani. Ce dernier a exigé des excuses du ministre français de l’Intérieur.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/48734/pres-de-50-des-migrants-qui-arrivent-en-italie-viennent-de-pays-franco
    #frontière_sud-alpine #Alpes #Italie #France #français #langue #frontières #migrations #asile #réfugiés #Côte_d'Ivoire #enregistrement #empreintes_digitales #Alpes #répartition #militarisation_des_frontières

    • Nouvelle #crise_diplomatique entre Paris et Rome sur l’afflux de migrants à la #frontière_franco-italienne

      Le ministre français de l’Intérieur a accusé, jeudi, la Première ministre italienne d’être « incapable de régler les problèmes migratoires ». Depuis le début de l’année, les arrivées en France depuis l’Italie ont fortement augmenté. En réaction, le chef de la diplomatie italienne Antonio Tajani a annulé sa première visite à Paris, qualifiant d’"inacceptables" les propos tenus par le ministre français.

      C’est une nouvelle crise sur le dossier de l’immigration dont la diplomatie française se serait bien passée. Jeudi 4 mai, le ministre français de l’Intérieur Gérald Darmanin, interrogé sur la radio RMC, a accusé la première ministre italienne Giorgia Meloni d’être « incapable de régler les problèmes migratoires sur lesquels elle a été élue ».

      La réaction de Rome ne s’est pas fait attendre et le jour même, le chef de la diplomatie italienne Antonio Tajani a annulé sa première visite à Paris, jugeant « inacceptables » les propos du ministre de l’Intérieur.

      Gérald Darmanin a fait ces déclarations alors qu’il répondait à une question du président du parti d’extrême droite Rassemblement national (RN), Jordan Bardella, au sujet de la situation migratoire à la frontière franco-italienne, où les forces de l’ordre françaises repoussent des migrants vers l’Italie.

      « Oui, il y a un afflux de personnes migrantes et notamment de mineurs » dans le sud de la France, a reconnu le ministre de l’Intérieur, qui en a rejeté la faute sur Rome : « La vérité, c’est qu’il y a en Tunisie (...) Une situation politique qui fait que beaucoup d’enfants notamment remontent par l’Italie et que l’Italie est incapable (...) de gérer cette pression migratoire ». « Meloni, c’est comme Marine Le Pen, elle se fait élire sur ’vous allez voir ce que vous allez voir’ et puis ce qu’on voit c’est que ça [l’immigration] ne s’arrête pas et que ça s’amplifie », a-t-il poursuivi.

      « Les offenses contre le gouvernement et l’Italie lancées par M. Darmanin sont inacceptables », a dénoncé le chef de la diplomatie italienne. « Ce n’est pas l’esprit avec lequel on doit affronter les défis européens communs ». Le chef de la Ligue (parti anti-migrants) Matteo Salvini, vice-Premier ministre de Mme Meloni, s’est lui aussi insurgé : « Je n’accepte pas de leçons sur l’immigration de la part de ceux qui renvoient en Italie des femmes, des enfants et des hommes », a-t-il affirmé.

      L’immigration, une question européenne

      Face à l’escalade, Paris a tenté de calmer le jeu. « J’ai parlé à mon collègue Antonio Tajani au téléphone », a tweeté, en italien, la ministre française des Affaires étrangères Catherine Colonna. « Je lui ai dit que la relation entre l’Italie et la France est basée sur le respect mutuel, entre nos deux pays et entre leurs dirigeants », a-t-elle ajouté, soulignant qu’elle espérait « pouvoir l’accueillir prochainement à Paris ».

      « Cette question [de l’immigration] doit être traitée par l’ensemble des Etats membres, en gardant à l’esprit que nous ne pourrons réussir et être efficaces que dans la concertation et un dialogue apaisé », a également indiqué le ministère français des Affaires étrangères.

      L’immigration est depuis des années un sujet ultra-sensible dans les relations franco-italiennes.

      Ces derniers mois, les traversées de la Méditerranée, notamment depuis la Tunisie, sont en forte hausse, mettant l’Italie sous pression. Selon le ministère italien de l’Intérieur, plus de 42 000 personnes sont arrivées par la Méditerranée en Italie cette année contre environ 11 000 sur la même période en 2022.

      Lampedusa en première ligne

      Face à ces arrivées, l’île italienne de Lampedusa se trouve en première ligne et peine à gérer la redistribution des migrants. Le ministère de l’Intérieur italien a récemment demandé aux autorités de l’île d’augmenter la capacité de son hotspot de 400 à 1 250 places pour faire face l’afflux de migrants. Plus de 2 700 personnes sont actuellement recensées dans le centre d’accueil, rendant la situation invivable. Outre l’augmentation de la capacité du centre d’accueil, le gouvernement italien envisage également de déployer des navires et des avions militaires pour envoyer les migrants vers le continent.

      Fin mars, Rome avait aussi annoncé une série de mesures pour désengorger Lampedusa. Le gouvernement prévoyait un examen accéléré des demandes d’asile afin de faciliter les procédures de rapatriement vers des pays sûrs. Il a aussi envisagé d’augmenter les places en centre de rétention du pays pour renforcer les expulsions des personnes non éligibles à l’asile. L’exécutif souhaitait enfin la création d’un centre dans chaque région du pays.

      En France, la Première ministre française Elisabeth Borne a, elle, annoncé fin avril la mobilisation de 150 policiers et gendarmes « supplémentaires » pour faire « face à une pression migratoire accrue à la frontière italienne » ainsi que la création d’une « border force », une force aux frontières.

      En novembre, les deux pays avaient déjà connu une forte poussée de fièvre lorsque le gouvernement Meloni, à peine au pouvoir, avait refusé de laisser accoster un navire humanitaire de l’ONG SOS Méditerranée qui avait fini par être accueilli par la France à Toulon avec plus de 200 migrants à bord. L’épisode avait suscité la colère de Paris qui avait convoqué une réunion européenne pour que ce scénario inédit ne se reproduise pas.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/48708/nouvelle-crise-diplomatique-entre-paris-et-rome-sur-lafflux-de-migrant

    • Immigration : 150 policiers et gendarmes supplémentaires dès la semaine prochaine à la frontière de Menton

      Au cours de son discours présentant sa feuille de route pour les « 100 jours d’apaisement », la Première ministre Élisabeth Borne a annoncé de nouvelles mesures pour lutter contre l’immigration illégale dans les Alpes-Maritimes.

      Des renforts policiers pour surveiller la frontière franco-italienne dans les Alpes-Maritimes dès la semaine prochaine. C’est la mesure que vient d’annoncer la Première ministre Élisabeth Borne ce mercredi.

      Bientôt une « border force »

      La Première ministre annonce également la création d’une « border force » dès l’été prochain : "plus largement, d’ici l’été nous lancerons l’expérimentation d’une « force aux frontières », ou "border force, à la frontière italienne. Elle associera plus étroitement forces de sécurité intérieure, douaniers et militaires. Sa mise en place devra être effective dans les six mois.
      Unité Police réclame des effectifs pérennes

      « On ne peut pas bouder l’arrivée d’effectifs, c’est une annonce que nous saluons, assure Laurent Martin de Frémont, secrétaire départemental du syndicat Unité SGP Police dans les Alpes-Maritimes. Mais on manque de précision, policiers mobiles, pérennes ? On pense que c’est des forces mobiles alors que l’on souhaite des forces pérennes à Menton, qui resteraient sur place. »

      "Nous avons actuellement deux compagnies de CRS à Menton : des LIC, pour « lutte contre l’immigration clandestine », le problème, c’est qu’on les voit rarement sur le terrain, déplore le représentant du syndicat policier. Trop souvent détournés de leur mission pour aller ailleurs sur le territoire, comme dernièrement à Nantes.

      Le député LR des Alpes-Maritimes Eric Pauget a salué cette décision, parlant d’une « nécessité absolue ».
      « Il était temps ! »

      Dans un communiqué, Alexandra Masson « salue cette décision tardive, mais reste vigilante pour que ces effectifs supplémentaires restent de manière pérenne. Je n’accepterai pas que cette annonce ne soit qu’une réponse ponctuelle à la crise migratoire actuelle » écrit la députée de la 4e circonscription des Alpes-Maritimes.
      « Une vague de fonds migratoire qui progresse de jour en jour. »

      « Face à une pression migratoire hors norme, l’annonce de la Première ministre est une bonne nouvelle, estime Charles Ange Ginésy, le président du Département des Alpes-Maritimes. Espérons que cette décision se concrétise rapidement et ne soit pas éphémère pour répondre à une vague de fonds migratoire qui progresse de jour en jour. »

      « Je réaffirme, avec François Sauvadet, président de l’assemblée des Départements de France, que la décision louable d’augmentation des effectifs aux frontières, ne résoudra pas la problématique des mineurs non accompagnés qui nous échoit d’office, alors que depuis longtemps je demande à l’Etat d’assumer sa responsabilité face à la montée en puissance massive de cette immigration. »
      Plus de 1200 mineurs étrangers pris en charge

      Le département des Alpes-Maritimes fait face, depuis plusieurs mois, a un nombre inhabituellement élevé d’arrivée de migrants, notamment mineurs. La semaine dernière, la préfecture des Alpes-Maritimes a, sur demande du Département, réquisitionné ce lieu pour héberger en urgence des migrants (https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/alpes-maritimes/menton/un-gymnase-requisitionne-a-menton-pour-accueillir-des-m).

      Depuis le début de l’année 2023, 1.202 mineurs non accompagnés ont été pris en charge par les services du Conseil départemental, dont 110 pour la semaine du 7 au 13 avril précise la préfecture des Alpes-Maritimes.

      Le projet de loi sur l’immigration ne serait finalement pas présenté dans l’immédiat : « aujourd’hui, il n’existe pas de majorité pour voter [le projet de loi sur l’immigration] Nous allons continuer les échanges pour trouver un chemin autour du projet de loi. Et si nous ne trouvons pas un accord global, nous présenterons un texte à l’automne avec comme seule boussole l’efficacité ».

      https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/alpes-maritimes/menton/immigration-150-policiers-et-gendarmes-supplementaires-

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      voir aussi :
      Frontière franco-italienne : une « borderforce » pour aggraver les dangers de la traversée et les violations des droits des personnes exilées ?
      https://seenthis.net/messages/1008647

      #borderforce #border_force

  • Où va la France ?

    La France est bel et bien en train de rejoindre le camp des démocraties « illibérales » juge Jean-François Bayart, professeur à l’IHEID, pour qui #Emmanuel_Macron vit dans une #réalité_parallèle et joue avec le feu.

    Où va la France ? se demande la Suisse. La mauvaise réponse serait de s’arrêter à la raillerie culturaliste des Gaulois éternels mécontents. La #crise est politique. Emmanuel Macron se réclame de l’ « extrême centre » qu’incarnèrent successivement, dans l’Histoire, le Directoire, le Premier et le Second Empire, et différents courants technocratiques saint-simoniens. Il est le dernier avatar en date de ce que l’historien Pierre Serna nomme le « poison français » : la propension au réformisme étatique et anti-démocratique par la voie de l’exercice caméral et centralisé du pouvoir.

    Le conflit des retraites est le symptôme de l’épuisement de ce gouvernement de l’extrême centre. Depuis trente ans, les avertissements n’ont pas manqué, que les majorités successives ont balayés d’un revers de main en criant aux corporatismes, à la paresse, à l’infantilisme du peuple. Administrée de manière autoritaire et souvent grotesque, la pandémie de Covid-19 a servi de crash test auquel n’ont pas résisté les services publics dont s’enorgueillissait le pays et qui lui fournissaient, au-delà de leurs prestations, une part de ses repères.

    Emmanuel Macron, tout à son style « jupitérien », aggrave l’aporie dans laquelle est tombée la France. Il n’a jamais rien eu de « nouveau », et sa posture d’homme « providentiel » est une figure éculée du répertoire bonapartiste. Il n’imagine pas autre chose que le modèle néolibéral dont il est le pur produit, quitte à le combiner avec une conception ringarde du roman national, quelque part entre le culte de Jeanne d’Arc et la fantaisie réactionnaire du Puy-du-Fou. Son exercice du pouvoir est celui d’un enfant immature, narcissique, arrogant, sourd à autrui, plutôt incompétent, notamment sur le plan diplomatique, dont les caprices ont force de loi au mépris de la Loi ou des réalités internationales.

    Ce pourrait être drôle si ce n’était pas dangereux. L’interdiction de l’ « usage de dispositifs sonores portatifs » pour éviter les casserolades des opposants, le bouclage policier des lieux où se rend le chef de l’Etat, le lancement de campagnes de rectification idéologique contre le « wokisme », la « théorie du genre », l’ « islamo-gauchisme », l’ « écoterrorisme » ou l’« ultra-gauche » sont autant de petits indices, parmi beaucoup d’autres, qui ne trompent pas le spécialiste des régimes autoritaires que je suis. La France est bel et bien en train de rejoindre le camp des démocraties « illibérales ».
    Un arsenal répressif à disposition des pouvoirs suivants

    D’aucuns crieront à l’exagération polémique. Je leur demande d’y regarder à deux fois en ayant à l’esprit, d’une part, l’érosion des libertés publiques, au nom de la lutte contre le terrorisme et l’immigration, depuis au moins trois décennies, d’autre part, les dangers que revêtent de ce point de vue les innovations technologiques en matière de contrôle politique et l’imminence de l’arrivée au pouvoir du Rassemblement national auquel les gouvernements précédents auront fourbi un arsenal répressif rendant superflues de nouvelles lois liberticides.

    Il n’est pas question, ici, de « bonnes » ou de « mauvaises » intentions de la part du chef de l’Etat, mais d’une logique de situation à laquelle il se prête et qu’il favorise sans nécessairement la comprendre. Macron n’est ni Poutine ni Modi. Mais il prépare l’avènement de leur clone hexagonal. Au mieux sa politique est celle de Viktor Orban : appliquer le programme de l’extrême droite pour éviter son accession au pouvoir.

    Sur fond d’évidement des partis de gouvernement, un « flibustier » – pour reprendre le qualificatif de Marx à propos du futur Napoléon III – s’est emparé du butin électoral à la faveur de la sortie de route de Nicolas Sarkozy, François Hollande, Alain Juppé, François Fillon, Manuel Valls. Il a cru « astucieux », pour continuer à citer Marx, de détruire « en même temps » la gauche et la droite pour s’installer dans le confort d’un face-à-face avec Marine Le Pen. Mais Emmanuel Macron n’a été élu et réélu que grâce au concours des voix de la gauche, soucieuse de conjurer la victoire du Rassemblement national. Son programme, libéral et pro-européen, n’a jamais correspondu aux préférences idéologiques que du quart du corps électoral, hormis même la part croissante des non-inscrits et des abstentionnistes qui sape la légitimité des institutions.
    Un président aveugle et méprisant

    Nonobstant cette évidence, Emmanuel Macron, ignorant de par son éducation et son itinéraire professionnel les réalités du pays profond, primo-élu à la magistrature suprême sans jamais avoir exercé le moindre mandat local ou national, a entendu faire prévaloir la combinaison schmittienne d’un « Etat fort » et d’une « économie saine » en promulguant ses réformes néolibérales par voie d’ordonnances, en court-circuitant les corps intermédiaires et ce qu’il nomme l’« Etat profond » de la fonction publique, en s’en remettant à des cabinets privés de conseil ou à des conseils a-constitutionnels tels que le Conseil de défense, en réduisant la France au statut de « start-up nation » et en la gérant comme un patron méprisant ses employés, « Gaulois réfractaires ».

    Une chroniquei : Les casseroles de Macron, un totem de plus dans la cocotte-minute

    Le résultat ne se fit pas attendre. Lui qui voulait apaiser la France provoqua le plus grave mouvement social depuis Mai 68, celui des Gilets jaunes dont le spectre continue de hanter la Macronie. La main sur le cœur, Emmanuel Macron assura, au début de la pandémie de Covid-19, avoir compris que tout ne pouvait être remis aux lois du marché. A plusieurs reprises, il promit avoir changé pour désamorcer l’indignation que provoquait sa morgue. De nouvelles petites phrases assassines prouvèrent aussitôt qu’il en était incapable. Il maintint son cap néolibéral et fit alliance avec Nicolas Sarkozy en 2022 pour imposer une réforme financière de la retraite en dépit de l’opposition persistante de l’opinion et de l’ensemble des forces syndicales, non sans faire fi de leurs contre-propositions.

    Face au nouveau mouvement social massif qui s’est ensuivi, Emmanuel Macron s’est enfermé dans le déni et le sarcasme. Il argue de la légitimité démocratique en répétant que la réforme figurait dans son programme et qu’elle a été adoptée selon une voie institutionnelle validée par le Conseil constitutionnel.
    Une réalité parallèle

    Sauf que : 1) Emmanuel Macron n’a été réélu que grâce aux voix de la gauche, hostile au report de l’âge de la retraite ; 2) le peuple ne lui a pas donné de majorité parlementaire lors des législatives qui ont suivi le scrutin présidentiel ; 3) le projet portait sur les « principes fondamentaux de la Sécurité sociale », lesquels relèvent de la loi ordinaire, et non d’une loi de « financement de la Sécurité sociale » (article 34 de la Constitution), cavalier législatif qui a rendu possible le recours à l’article 49.3 pour imposer le texte ; 4) le gouvernement s’est résigné à cette procédure parce qu’il ne disposait pas de majorité positive, mais de l’absence de majorité pour le renverser au terme d’une motion de censure ; 5) le Conseil constitutionnel est composé de personnalités politiques et de hauts fonctionnaires, non de juristes, et se préoccupe moins du respect de l’Etat de droit que de la stabilité du système comme l’avait déjà démontré son approbation des comptes frauduleux de la campagne électorale de Jacques Chirac, en 1995 ; 6) le détournement de la procédure parlementaire a suscité la désapprobation de nombre de constitutionnalistes et s’est accompagné du refus de toute négociation sociale.

    Comme en 2018, Emmanuel Macron répond à la colère populaire par la violence policière. Atteintes à la liberté constitutionnelle de manifester, utilisation de techniques conflictuelles de maintien de l’ordre, usage d’un armement de catégorie militaire qui cause des blessures irréversibles telles que des éborgnages ou des mutilations ont entraîné la condamnation de la France par les organisations de défense des droits de l’homme, le Conseil de l’Europe, la Cour européenne de justice, les Nations unies.

    Face à ces accusations, Emmanuel Macron s’enfonce dans une réalité parallèle et radicalise son discours politique. A peine réélu grâce aux voix de la gauche, dont celles de La France insoumise, il place celle-ci hors de l’ « arc républicain » dont il s’arroge le monopole de la délimitation. Il voit la main de l’ « ultragauche » dans la contestation de sa réforme. Il justifie les violences policières par la nécessité de lutter contre celles de certains manifestants.

    Sauf que, à nouveau : 1) le refus, récurrent depuis l’apport des suffrages de la gauche à Jacques Chirac en 2002 et le contournement parlementaire du non au référendum de 2005, de prendre en considération le vote des électeurs quand celui-ci déplaît ou provient d’une autre famille politique que la sienne discrédite la démocratie représentative, nourrit un abstentionnisme délétère et pousse à l’action directe pour faire valoir ses vues, non sans succès pour ce qui fut des Gilets jaunes et des jeunes émeutiers nationalistes corses auxquels il fut accordé ce qui avait été refusé aux syndicats et aux élus ; 2) le non-respect des décisions de justice par l’Etat lorsque des intérêts agro-industriels sont en jeu amène les écologistes à occuper les sites des projets litigieux, au risque d’affrontements ; 3) la stigmatisation d’une ultragauche dont l’importance reste à démontrer va de pair avec le silence du gouvernement à propos des voies de fait de l’ultra-droite identitariste et des agriculteurs productivistes qui multiplient les agressions contre les écologistes.
    « Ce n’est pas être un black bloc que de dénoncer les excès structurels de la police »

    Ce n’est pas être un « amish » et vouloir retourner « à la bougie » que de s’interroger sur la 5G ou sur l’inconsistance du gouvernement quand il défend à grand renfort de grenades les méga-bassines alors que se tarissent les nappes phréatiques du pays. Ce n’est pas être un black bloc que de dénoncer les excès structurels de la police. Ce n’est pas être un gauchiste que de diagnostiquer la surexploitation croissante des travailleurs au fil de la précarisation des emplois et au nom de logiques financières, de repérer le siphonnage du bien public au profit d’intérêts privés, ou de déplorer le « pognon de dingue » distribué aux entreprises et aux contribuables les plus riches. Point besoin non plus d’être grand clerc pour comprendre que la Macronie n’aime pas les pauvres. Elle n’a plus d’autre réponse que la criminalisation des protestations. Elle souhaite maintenant dissoudre la nébuleuse des Soulèvements de la terre que parrainent l’anthropologue Philippe Descola, le philosophe Baptiste Morizot, le romancier Alain Damasio ! Quand Gérald Darmanin entend le mot culture il sort son LBD.

    Dans cette fuite en avant, un pas décisif a été franchi lorsque le gouvernement s’en est pris à la Ligue des droits de l’homme. Ce faisant, la Macronie s’est de son propre chef placée en dehors de l’ « arc républicain ». Cette association, née, faut-il le rappeler, de l’affaire Dreyfus, est indissociable de l’idée républicaine. Seul le régime de Pétain avait osé l’attaquer. Sur la planète, ce sont bien les Poutine et les Orban, les Erdogan et les Modi, les Kaïs Saïed ou les Xi Jinping qui tiennent de tels propos. Oui, la France bascule.

    https://www.letemps.ch/opinions/va-france

    #France #Macron #macronisme #crise_politique #extrême_centre #poison_français #néolibéralisme #casserolades #autoritarisme #illibéralisme #répression #libertés_publiques #réformes #réformes_néolibérales #Etat_profond #fonction_publique #Conseil_de_défense #Gilets_jaunes #déni #sarcasme #violences_policières #réalité_parallèle #arc_républicain

    via @karine4, aussi signalé par @monolecte
    https://seenthis.net/messages/1002152

  • Les banques américaines se ramassent à la pelle ! Une banque californienne, PacWest Bancorp, s’est effondrée en Bourse, dans des échanges après-clôture, sur des informations de presse. Et ce quelques jours à peine après la reprise de First Republic par JP Morgan Chase qui devait calmer les inquiétudes des investisseurs. La tribune

    A qui le tour ? Le marché cherche sa prochaine victime parmi les banques, un secteur toujours sous tension aux Etats-Unis. Après la reprise, il y a quelques jours, de First Republic par le géant JP Morgan Chase, et la décision de la Réserve fédérale de procéder à sa onzième hausse consécutive de taux, plusieurs banques régionales se sont trouvées à nouveau dans la tourmente.

    Après la clôture de Wall Street hier, les actions de la banque californienne PacWest Bancorp ont chuté de 50 % dans des échanges après bourse, ce qui lui laisse augurer une séance agitée aujourd’hui. Sur les échanges de pré-ouverture, la baisse est de l’ordre de 35%.


    La banque avait pourtant publié ces jours derniers des résultats trimestriels rassurants, notamment sur les dépôts, qui affichent même une collecte nette de 1,1 milliard de dollars à la fin mars. Le titre a chuté sur des informations de Bloomberg et de Reuters qui ont indiqué que la banque explorait plusieurs options stratégiques, y compris une vente éventuelle. Des informations finalement confirmées par la banque.
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    Le président de la Réserve fédérale, Jerome Powell, a voulu se monter rassurant hier soir sur le système bancaire américain. Il a souligné que la reprise de First Republic par une grande banque comme JP Morgan devait être une exception, même si cette opération constitue « une étape importante pour tirer un trait » sur les tensions pesant sur le secteur. Pourtant, les inquiétudes des investisseurs demeurent très fortes, comme en témoigne la chute du cours de l’action de PacWest Bancorp.
    . . . . .
    l faut dire que le marché a été complètement pris par surprise sur les déboires de Silicon Valley Bank, puis de First Republic. La rapidité avec laquelle les dépôts se sont envolés (140 milliards de dollars retirés en deux jours) a frappé durablement les esprits sur la fragilité d’une banque. La situation est d’autant plus dangereuse que personne n’a jusqu’ici d’explications claires sur les facteurs qui expliquent des chutes aussi brutales.
     
    #mdr #spéculation #banques #finance #économie #banque #capitalisme #dette #crise #economie #politique #monnaie #paradis_fiscaux

    Source : https://www.latribune.fr/entreprises-finance/banques-finance/banque/les-banques-regionales-americaines-sont-a-nouveau-sous-la-pression-des-mar

  • Des crises économiques, bancaires et financières à l’horizon et des « suspects habituels », par Jacques Sapir
    https://www.les-crises.fr/des-crises-economiques-bancaires-et-financieres-a-l-horizon-et-des-suspec

    Une nouvelle crise économique internationale est clairement à l’ordre du jour pour de nombreux commentateurs[1]. La multiplication des problèmes dans les systèmes bancaires de plusieurs pays, aux #États-Unis avec la Silicon Valley Bank, puis la First Republic Bank, en Suisse avec le sauvetage de Crédit Suisse, en Allemagne avec Deutsch Bank, ont ravivé les craintes […]

    #Économie #crises_internationales #Europe #Finance_internationale #Union_européenne #Économie,_crises_internationales,_États-Unis,_Europe,_Finance_internationale,_Union_européenne

  • Royaume-Uni : plus d’un million de colis alimentaires distribués aux enfants en un an, du jamais vu Le figaro
    https://www.lefigaro.fr/flash-eco/royaume-uni-plus-d-un-million-de-colis-alimentaires-distribues-aux-enfants-

    Le recours aux banques alimentaires a atteint des sommets l’an dernier au Royaume-Uni, qui traverse une profonde crise du coût de la vie, avec pour la première fois plus d’un million de colis distribués à des enfants, selon une association caritative mercredi 26 avril. Près de trois millions de colis alimentaires d’urgence ont été distribués entre avril 2022 et mars 2023 par l’association caritative Trussell Trust, qui gère un vaste réseau de banques alimentaires dans le pays. Il s’agit du plus grand nombre de colis jamais distribués en une année par l’association.

    Plus d’1,1 million de ces colis d’urgence ont été distribués à des enfants, soit une hausse de 36% sur un an, souligne-t-elle. « Ces nouveaux chiffres sont extrêmement inquiétants et montrent qu’un nombre croissant de personnes n’ont d’autre issue que de se tourner vers des organisations caritatives (...) et ce n’est pas juste », a réagi Emma Revie, directrice générale de Trussell Trust, citée dans un communiqué.

    « Les aides sociales ne reflètent pas les coûts essentiels »
    Cette dernière juge « inadapté » le système d’aides sociales conçu pour soutenir les plus modestes. « Les aides sociales ne reflètent pas les coûts essentiels (d’un foyer) et en conséquence les gens sont poussés plus profondément encore dans la misère », insiste-t-elle.

    Selon l’association, plus de 760.000 personnes ont eu recours à une banque alimentaire pour la première fois entre avril 2022 et mars 2023, preuve selon elle de l’ampleur de la crise que subissent les ménages britanniques confrontés à une inflation supérieure à 10% depuis des mois. Toutes les régions du Royaume-Uni sont concernées, avec une hausse des colis distribués d’au moins 28% dans chaque région, et qui a atteint 54% dans le Nord-Est plus déshérité.

    « Une augmentation sans précédent »
    « Nous connaissons une augmentation sans précédent du nombre de personnes venant dans les banques alimentaires, en particulier des gens avec un emploi et dont le revenu ne permet pas de suivre la hausse du coût de la vie », constate ainsi Brian Thomas, responsable d’une banque alimentaire à South Tyneside dans le nord-est du pays, cité dans le communiqué.

    L’association appelle le gouvernement à « agir maintenant pour renforcer le système de sécurité sociale ». En plus des aides sociales habituelles, le gouvernement a débloqué des mesures exceptionnelles dans le contexte de crise, notamment pour cette année une aide de 900 livres (environ 1.000 euros) pour les ménages les plus modestes ou encore un paiement de 300 livres pour aider les retraités à payer leurs factures d’énergie.

    #enfants #angleterre #capitalisme #néolibéralisme #pauvreté #banques_alimentaires #crise

  • SVB, Crédit suisse  : le spectre de 2008
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2023/04/02/leconomie-capitaliste-entre-ravin-et-precipice_588676.html

    Le 9 mars, la banque californienne #SVB, qui hébergeait les comptes de nombreuses entreprises de la Silicon Valley, a subi la plus grande panique bancaire de l’histoire. En une seule journée, ses clients ont voulu récupérer, par un simple clic, 42 milliards de dollars. Cette banque, qui n’était pas classée parmi les trente banques internationales jugées «  trop grosses pour faire faillite  », n’avait pas fait d’opérations douteuses ou frauduleuses. Elle ne possédait pas de titres pourris, comme les subprimes qui ont provoqué la faillite de la banque d’affaires #Lehman_Brothers en 2008 et déclenché la crise du système bancaire. Elle avait placé l’argent de ses clients dans des #bons_du_Trésor américain à longue échéance, les titres les plus sûrs au monde. Mais, justement, la valeur de ces obligations d’État a baissé, du fait de la remontée des taux de la Fed. Avec des taux plus hauts, les nouvelles obligations émises par l’État rapportent plus aux financiers qui vendent les anciennes, provoquant leur dévaluation. Un autre effet collatéral de la remontée des taux et du recul de l’argent facile, qui s’ajoute à la crise économique, c’est une plus grande difficulté pour les start-up, californiennes ou autres, de lever des fonds pour accroître leur capital. Quand certaines de ces #start-up, ayant besoin d’argent frais, ont commencé à retirer leurs fonds, la SVB s’est retrouvée piégée, incapable d’honorer les retraits.

    Devant la panique provoquée par la faillite de SVB, la #Fed est intervenue sans délai. Biden en personne s’est exprimé pour assurer les banquiers que l’État garantirait, quoi qu’il en coûte, tous les fonds placés dans les banques. L’État est toujours là pour sauver la mise des capitalistes avec l’argent public. Comme le faisait remarquer un observateur  : «  Les entrepreneurs californiens sont tous libertariens, jusqu’à ce qu’ils soient frappés par une hausse des taux d’intérêt.  » Cette intervention immédiate montre que les dirigeants de la bourgeoisie savent que leur économie est instable et qu’ils redoutent en permanence une nouvelle crise systémique.

    Pratiquant la méthode Coué, comme #Christine_Lagarde, alors ministre de l’Économie de Sarkoky, qui déclarait en 2008  : «  Ceci n’est pas un krach  », #Bruno_Le_Maire a déclaré après la faillite de SVB  : «  Je ne vois pas de risque de contagion en Europe.  » Patatras, moins de vingt-quatre heures plus tard, le #Crédit_suisse, deuxième banque helvétique, était menacé de faillite, tandis que les actions de la #BNP et de la #Société_générale perdaient 30 % à la #Bourse_de_Paris. Le Crédit suisse étant l’une des trente banques dont la faillite menacerait la stabilité de tout le système, les autorités suisses ont imposé à UBS, en moins d’un week-end, de racheter le Crédit suisse pour 3 milliards d’euros. Les emplois des salariés de la banque, eux, n’ont pas été sécurisés. Ils risquent de disparaître par milliers, alors que le Crédit suisse a déjà licencié 9 000 de ses 52 000 salariés au cours des deux dernières années. Pour convaincre les patrons d’#UBS, réticents malgré le prix bradé, car bien placés pour savoir que les coffres du Crédit suisse pouvaient contenir des titres douteux, les autorités suisses leur ont ouvert avec l’argent public un fonds de garantie de 9 milliards. Le Crédit suisse, comme UBS et tant d’autres banques dans le passé, a été récemment mis en cause dans divers scandales de corruption, d’opérations de blanchiment ou d’évasion fiscale, de manipulations de taux. Il avait des participations dans un fonds spéculatif, Archeos, qui a fait faillite en 2021. Toutes les casseroles du Crédit suisse ont fini par faire douter les autres financiers de sa solidité. La faillite de la SVB, en semant le doute sur la solidité de chaque banque, a accéléré sa chute.

    D’autres banques pourraient être entraînées par la chute de la SVB et du Crédit suisse. La #Deutsche_Bank, première banque allemande, pourrait être le prochain domino à tomber. Le 24 mars, son cours boursier a commencé à chuter dangereusement. Dans un #climat_de_défiance générale, l’annonce qu’elle souhaitait rembourser par anticipation certaines de ses créances, au lieu de rassurer les marchés, a déclenché leur méfiance. Les rodomontades de Christine Lagarde, présidente de la #BCE, qui déclarait le 20 mars, lors du sommet des dirigeants de l’UE  : «  Le #secteur_bancaire de la zone euro est résilient  », ne suffiront pas à protéger la société du risque d’une nouvelle #crise_financière systémique. Depuis 2008, les banques ont trouvé le moyen de contourner les mesures dites prudentielles qui leur avaient été imposées pour éviter des faillites en chaîne. Elles ont inventé de nouveaux instruments pour spéculer et s’enrichir par tous les moyens, s’exposant à des faillites en cas de retournements brutaux. Quand les marchés financiers, c’est-à-dire une poignée de grands banquiers ou de grands fonds d’investissement comme #BlackRock, pour de bonnes ou de mauvaises raisons, perdent confiance dans telle ou telle banque soupçonnée d’être trop exposée, ce qui est le cas de la Deutsche Bank, ils peuvent la faire couler en peu de temps. […]

    #capitalisme #taux_d’intérêt #spéculation

  • L’économie capitaliste entre ravin et précipice

    https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2023/04/02/leconomie-capitaliste-entre-ravin-et-precipice_588676.html (Lutte de classe, 27 mars 2023)

    «  La Fed entre ravin et précipice  », titrait le 14 mars un éditorialiste du journal Les Échos, pour qualifier les incertitudes des banquiers centraux, confrontés d’un côté à l’inflation qui flambe et de l’autre aux menaces de faillites en chaîne des banques, après celle de la #Silicon_Valley_Bank (#SVB). Ceux qui prétendent réguler le système financier international seraient avec des «  lampes frontales dans le brouillard  », hésitant à choisir entre les deux seuls remèdes qu’ils connaissent  : jeter des milliards dans le système, ou fermer le robinet du crédit. Dans tous les cas, les classes populaires en paient déjà le prix fort.

    Le rôle officiel des #banques_centrales est de réguler le système financier en adaptant la masse monétaire en circulation aux besoins du #marché_capitaliste, c’est-à-dire aux volumes de production et de circulation des marchandises. En fixant les divers taux d’intérêt auxquels les banques privées peuvent se refinancer, les banques centrales encouragent ou freinent les emprunts des entreprises comme des particuliers, ce qui est supposé se répercuter sur les investissements productifs et la croissance économique. Mais ce sont les capitalistes, et d’abord les plus puissants d’entre eux, qui décident de l’usage qu’ils font des capitaux disponibles, en fonction des profits qu’ils escomptent et de l’idée qu’ils se font de l’avenir de leur propre système (...)

    De la baisse des taux à leur remontée

    SVB, #Crédit_suisse  : le spectre de 2008

    Vers une #crise de la dette publique  ?

    L’#inflation et ceux qui la déclenchent

    L’agonie du #capitalisme et les tâches des révolutionnaires

  • L’économie mondiale n’éternue pas du rhume de la crise aux USA.
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article4441

    Une crise économique mondiale, une inflation sur les denrées alimentaire et des pénuries de plusieurs produits notamment énergétiques sont vraiment le fait de la guerre menée par la Russie en Ukraine. Ou bien est-ce le cycle de fin de la domination des pays occidentaux sur les échanges internationaux et l’avenir de l’humanité ainsi que celui de la planète ? Grands événements : Gigantisme de l’inattendu.

    / #crise,_capitalisme,_économie,_justice,_Bourse, économie , #UE_-_Union_Européenne, journaliste, poète, livre, écrits, #Data_-_Données

    #Grands_événements_:_Gigantisme_de_l’inattendu. #économie_ #_journaliste,_poète,_livre,_écrits

  • Une crise politique et sociale
    https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/03/23/macron-cherche-majorite_567772.html

    Le président, sa Première ministre et leurs soutiens ont beau affirmer que le rejet de la motion de censure vaut approbation de la réforme des retraites et qu’ils peuvent désormais revenir aux affaires courantes, rien n’est moins vrai.

    D’une part, le combat des travailleurs contre cette réforme continue. D’autre part, les deux mois de lutte, de grèves et de manifestations ont mis en lumière la faiblesse de ce gouvernement et de ce président.

    Macron, au-delà des questions financières et des économies sur les salaires et les pensions, veut imposer sa réforme pour faire plier les travailleurs. Y parvenir serait à la fois une démonstration politique portée à son crédit d’homme du capital et un service rendu à la classe dominante, dans la perspective d’autres attaques. Or, non seulement sa politique a mis des millions de travailleurs dans la rue, mais Macron n’a même pas réussi à rallier un nombre suffisant de députés de droite. Ses ministres ont été pris en flagrant délit de mensonges et Borne a dû avoir recours aux procédés les plus politiciens pour parvenir à ses fins, et encore.

    Cette faiblesse politique vient de plus loin que la simple obstination à imposer une réforme impopulaire. Une fraction de plus en plus large de la population constate que les gouvernements travaillent uniquement pour les plus riches, Macron poussant le trait jusqu’à la caricature. De là dérivent des faits comme l’abstention massive aux élections, le mouvement des Gilets jaunes, les records d’impopularité et, en définitive, les tractations au parlement. De là vient aussi le fait que le RN et Marine Le Pen se présentent comme des défenseurs des petites gens et recueillent leurs voix.

    Quoi qu’il en soit, la classe capitaliste a besoin d’un gouvernement qui gouverne et prenne les décisions qui lui sont nécessaires, alors que la situation économique, sociale et même militaire est grosse de tempêtes. Macron a cependant bien du mal à affirmer son autorité. Pour l’asseoir au moins au niveau parlementaire, une solution serait de tenter de constituer une nouvelle majorité, en y intégrant tout ou partie de la droite. Or le récent épisode vient de montrer à quel point les députés LR sont peu fiables. Les députés de droite préfèrent visiblement tenter de garantir leur réélection plutôt que rejoindre un navire en train de couler. Le président peut aussi être tenté de dissoudre l’Assemblée et de provoquer de nouvelles élections. Mais il risque alors de se retrouver sans majorité, voire dans l’obligation de cohabiter avec une autre majorité. On pourrait ainsi voir Macron, élu comme prétendu rempart à Le Pen, devoir s’appuyer sur les députés du RN pour gouverner.

    Lors de son interview télévisée, le 22 mars, en plus de faire étalage de son autosatisfaction et de son mépris habituel, il a laissé entendre qu’il continuera à gouverner en s’appuyant sur les possibilités offertes par la constitution. Le pouvoir laisserait ainsi les députés s’affronter sur des questions accessoires, tandis que l’État gérerait sous l’autorité de l’Élysée les affaires importantes, comme la diplomatie, les subventions aux grandes entreprises, les budgets et interventions militaires, la répression policière et le blocage des salaires, par exemple. Après tout, ôté le verbiage des partis de gouvernement, c’est bien là le fond du fonctionnement réel des institutions, aussi vieux que la république elle-même.

    Cette crise politique, aidée par l’entrée en mouvement de millions de travailleurs, peut contribuer à en convaincre des millions d’autres par le simple fait qu’elle démontre l’illégitimité du pouvoir. Il reste à voir, derrière le théâtre d’ombres politiques, en crise ou pas, l’illégitimité de la classe capitaliste et de son État.

    #réforme_des_retraites #lutte_de_classe #grève #crise_politique #crise_sociale #capitalisme #grande_bourgeoisie #emmanuel_macron

  • Nous sommes au bord du précipice
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2023/03/20/le-rapport-de-synthese-du-giec-un-guide-pratique-pour-desamorcer-la-bombe-a-

    Je vous donne directement le scenario catastrophe prévu (« le très émetteur ») — ce qui arrivera donc : la température mondiale s’élèvera, lors de la période 2081-2100 de 2,5 à 4,4 °C « en cas de poursuite des politiques actuelles ».

    La poursuite des émissions entraînera des perturbations plus importantes du cycle de l’eau, une accélération de la débâcle des glaces, de l’#acidification et de la #désoxygénation des #océans, des baisses de #productions_agricoles, ainsi qu’une moindre efficacité des puits de carbone (forêts, océans, etc.), qui absorbent actuellement la moitié des #émissions_de_CO2. Avec, à la clé, encore davantage de #mortalité, de pénuries, de pauvreté, de famines ou de conflits. Ces impacts seront non seulement « de plus en plus complexes à gérer », mais ils se produiront souvent simultanément, avec parfois des conséquences « en cascade » d’une région à l’autre.

    Certains changements sont irréversibles. L’#élévation_du_niveau_des_mers va par exemple se poursuivre pendant des siècles ou des millénaires, sous l’effet de leur réchauffement et de la #fonte_des_calottes_glaciaires, qui vont également perdurer sur des échelles de temps très longues.

    Il ne reste que ça d’essentiel une fois retirées les passages utiles sur les causes et les implorations inutiles à destination des agents politiques du capitalisme mondiale, du genre (jeu : trouvez l’intrus — attention, c’est difficile) :

    Pourtant, l’humanité peut encore reculer et éviter le grand saut.

    … cependant, le Père Noël existe.

    … il reste une chance de limiter le réchauffement planétaire à 1,5 °C par rapport à la période préindustrielle.

    … on peut freiner le désastre

    La fenêtre pour éviter les pires effets de la #crise_climatique « se ferme rapidement », mais on peut encore s’y faufiler…

    … les chances de limiter le #réchauffement à 1,5 °C, à condition d’un sursaut international…

    Tous les pays doivent « appuyer immédiatement sur l’accélérateur », résume #Antonio_Guterres, qui demande aux économies développées d’avancer l’atteinte de la neutralité carbone au plus vite…

    La seule solution est entre les mains des producteurs eux-mêmes — la classe des travailleurs. Tous les discours nous enjoignant d’espérer des États aux ordres des possédants, les véritables prédateurs, ne sont sur des diversions mortifères.

    #GIEC #rapport #capitalisme #capitaloscène #réchauffement_climatique #catastrophes #désastre_climatique

  • Le marché de la ruine
    https://metropolitiques.eu/Le-marche-de-la-ruine.html

    Étudiant l’investissement #immobilier dans les quartiers en #déclin de deux métropoles états-uniennes, Florence Nussbaum met en lumière les pratiques prédatrices et spéculatives qui tirent parti de la vulnérabilité des populations reléguées dans des logements dégradés. La #crise financière de 2008, en accroissant rapidement le volume de propriétés disponibles à bas prix, a entraîné une intense activité spéculative sur les #marchés immobiliers dans les métropoles états-uniennes. Les médias ont mis en lumière #Terrains

    / immobilier, crise, #spéculation, #logement, marché, habitat dégradé, #États-Unis, déclin, #Chicago, (...)

    #habitat_dégradé #Houston
    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_nussbaum.pdf

  • La « mondialisation » de l’économie
    https://www.lutte-ouvriere.org/documents/archives/cercle-leon-trotsky/article/la-mondialisation-de-l-economie
    #conférenceLO du 14 mars 1997

    Sommaire :

    De la guerre à la crise (1945-1975)
    – La remise en route de l’économie...
    – ...sous l’égide des États-Unis
    – Le mythe des « Trente glorieuses »
    – Les origines du marché commun
    – La crise monétaire, une des formes de la crise du système capitaliste

    Crise économique internationale et « mondialisation »
    – Le commerce international est-il plus « mondialisé » ?
    – Les entraves au développement du commerce international
    – Le cas des impérialismes européens
    – Les problèmes monétaires de l’#Union européenne
    – L’Union européenne : une construction fragile basée sur des rapports de force
    – Le #commerce_international : réglementé et inégal

    L’hypertrophie des marchés financiers
    – L’endettement des États à l’origine de la croissance des marchés financiers
    – Qu’est-ce que le #PIB ?
    – Les États déréglementent les marchés financiers
    – La #spéculation sur les emprunts d’État
    – La spéculation sur les actions
    – La spéculation sur les « produits dérivés »
    – La spéculation monétaire
    – Les profits spéculatifs détournent les capitaux de la production
    – Un marché monétaire international mais instable

    Concurrence étrangère, délocalisations : ne pas se tromper d’ennemi
    – Les #délocalisations sont-elles responsables du chômage ?
    – Bas salaires et investissements
    – Les capitaux se concentrent dans les pays riches
    – La croissance des #multinationales
    – Les #capitaux ne développent pas la planète, ils la pillent

    La « mondialisation » de la misère
    – Les inégalités s’accroissent
    – La #pauvreté se répand même dans les pays riches
    #Capitalisme et mondialisation
    – La base internationale du développement capitaliste
    – Le capitalisme a transformé le monde

    L’impérialisme, « stade suprême du #capitalisme » depuis un siècle
    – La dictature du capitalisme financier
    – Le monde entier partagé
    – L’#impérialisme n’a pas supprimé les contradictions du système, bien au contraire
    – Une première guerre mondiale pour le repartage du monde
    – Les bases objectives de la corruption du #mouvement_ouvrier...
    – ... et le pourrissement de toute la société

    L’impérialisme, un danger mortel pour l’humanité
    – La #crise_de_1929
    – Le #fascisme et la #guerre
    – La responsabilité des dirigeants socialistes et staliniens
    – L’humanité a payé cher le maintien du capitalisme au XXe siècle...
    – ... et paiera plus cher encore au XXIe siècle s’il se perpétue

    Nationalisme contre #mondialisation : un piège mortel pour les travailleurs
    – Le « #social-chauvinisme » du #PCF

    La mondialisation au service de l’humanité, c’est la société communiste
    – Mettre fin au capitalisme...
    – ... en mettant l’économie au service de tous
    – Seul le prolétariat en est capable

    #stalinisme #social-démocratie #réformisme #communisme_révolutionnaire

  • "Le coup d’État fasciste en Allemagne" (24 mars 1933)

    Thèses du courant trotskyste majoritaire dans la prison de Verkhnéouralsk (publiées dans Le Bolchevik-léniniste n° 2, 1933)

    Un texte fondamental paru dans Les Cahiers de Verkhnéouralsk (Les bons caractères, pp. 163-206, 2021).

    https://les-passages.ghost.io/le-coup-detat1-fasciste-en-allemagne-le-bolchevik-leniniste-ndeg-

    1 – Le coup d’État contre-révolutionnaire qui a lieu en Allemagne, la contre-révolution de mars, est un événement de la plus haute importance historique… […]
    2 – La #crise_économique_mondiale a profondément ébranlé les fondements de la société capitaliste. Même un Léviathan impérialiste comme les États-Unis tressaille sous ses coups… […]
    3 – Les impérialismes français, britannique, américain n’avaient qu’un seul moyen de préserver l’équilibre interne de Weimar et de Versailles en Allemagne et en Europe : annuler ou reporter la dette de l’Allemagne et lui consentir de nouveaux crédits… […]
    4 – Ce qui créait les conditions d’une montée impétueuse du fascisme dans les esprits, c’était donc l’impasse économique dans laquelle la situation du capitalisme d’après-guerre avait conduit l’Allemagne, la crise économique profonde et le système de #Versailles, dans un contexte de faiblesse de l’avant-garde prolétarienne… […]
    5 – En fin de compte, la contre-révolution de mars signifie la liquidation des vestiges de la révolution du 9 novembre [1918] et du système de Weimar. Mais cela signifie-t-il aussi en même temps le retour au pouvoir des forces sociales et politiques qui gouvernaient l’Allemagne avant la révolution de Novembre, autrement dit une restauration au sens propre et concret ? […]
    6 – La victoire du fascisme allemand marque la fin de l’ère du pacifisme démocratique d’après-guerre et porte un coup dur, peut-être fatal, à la démocratie bourgeoise en tant que forme de domination bourgeoise la plus répandue dans les pays clés du capitalisme… […]
    7 – La contre-révolution de mars se fonde sur le croisement et l’imbrication des facteurs objectifs suivants… […]
    8 – Le fascisme allemand ne « s’implante » pas dans la #république_de_Weimar, il ne se dissout pas en elle, ne s’adapte pas « au cadre et aux formes de la #démocratie_bourgeoise », il les démolit et les envoie au rebut par un coup d’État réalisé en alliance avec les junkers du parti « national », que dirige le président de la République… […]
    9 – Les forces motrices de la contre-révolution de mars sont les cercles les plus réactionnaires et les plus chauvins du capitalisme monopoliste en Allemagne, de l’#impérialisme_allemand qui, à travers son parti fasciste, a transformé en un soutien social la petite bourgeoisie et les travailleurs déclassés… […]
    10 – Il est difficile de déterminer avec précision l’équilibre actuel des forces de classe en Allemagne. Le #coup_d’État est toujours en cours et le rapport des forces change donc d’heure en heure. Une chose est certaine : c’est une classe ouvrière désorientée et divisée qui, avant le coup d’État et depuis, s’est trouvée confrontée et continue de l’être au front uni et consolidé de la réaction… […]
    11 – La fin de l’Allemagne de #Weimar et l’effondrement de l’équilibre européen signifient la mort de la #social-démocratie allemande et le début de la fin pour le réformisme… […]
    12 – Au fil des ans, l’#opposition léniniste a observé avec inquiétude comment se développaient les événements en Allemagne, expliquant constamment l’ampleur qu’ils prenaient et leur très grande importance historique. Elle a constamment et sans relâche signalé quel danger, pour l’ensemble du #mouvement_ouvrier mondial, mûrissait en Allemagne sous la forme du fascisme… […]
    13 – La facilité avec laquelle la #contre-révolution a accompli son coup d’État, la bureaucratie de l’IC l’expliquera, demain bien sûr, par la « passivité » du prolétariat « qui n’a pas voulu accepter » le combat, et non par le fait que ni le Komintern ni la direction du #KPD (sans même parler de la IIe Internationale et du #SPD) n’ont aucunement préparé le prolétariat à résister, n’ont pas opposé de résistance au coup d’État et n’ont pas appelé la classe ouvrière à le faire…
    14 – Même nous, #bolcheviks-léninistes de Russie, avons sous-estimé toute la profondeur de la #dégénérescence de la direction du #Komintern et des partis communistes des principaux pays capitalistes… […]
    15 – La #bureaucratie_stalinienne a fait des avances à Hitler pendant trois ans, le considérant comme le futur maître de l’Allemagne. Par toutes ses actions et celles du Komintern, elle l’a aidé à aller au pouvoir. Elle a mis le pied de #Hitler à l’étrier, comme elle l’avait fait autrefois pour #Tchang_Kaï-chek… […]
    16 – La victoire du fascisme donne-t-elle un répit supplémentaire au capitalisme ? Bien que notre époque soit et reste celle des révolutions prolétariennes, bien que la victoire du fascisme exacerbe à l’extrême les contradictions de classes et interétatiques, la victoire de Hitler n’en renforce pas moins temporairement la domination politique de la bourgeoisie, repoussant quelque peu les dates de la révolution prolétarienne… […]
    17 – Comment, hors d’#Allemagne, y a-t-il le plus de chances que se réorganisent les forces résultant du coup d’État fasciste ?.. […]
    18 – Par ses trahisons en chaîne, le stalinisme a affaibli et désorganisé le prolétariat mondial, dont le soutien a préservé jusqu’à maintenant les vestiges du système d’Octobre… […]
    19 – La victoire du fascisme allemand non seulement ne signifie pas une stabilisation du capitalisme, mais elle porte au contraire toutes ses contradictions à un nouveau niveau, plus élevé… […]
    21 – Le #réformisme s’est épanoui sur la base de la démocratie bourgeoise. La crise de cette dernière a été une crise de la social-démocratie… […]
    22 – Le fascisme se renforce au pouvoir et devient de plus en plus fort d’heure en heure. La #terreur des gardes blancs a déjà commencé… […]
    23 – Le #fascisme est un méandre de l’histoire, une anicroche historique dans la progression générale de la #lutte_de_classe et de la #révolution_prolétarienne mondiale. Mais notre tâche n’est pas de rassurer les masses… […]

    #nazisme #stalinisme #trotskysme #trotskisme #trotsky #militants_trotskystes #isolateur #prison #Sibérie #Verkhnéouralsk #traité_de_versailles

  • Pendant ce temps-là, les puissances occidentales mettent en ordre de bataille les esprits et transforment à vitesse accélérée leurs économies en «  économies de guerre  »

    Contre la guerre en Ukraine et sa généralisation
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2023/02/25/contre-la-guerre-en-ukraine-et-sa-generalisation_521781.html

    Poutine, qui nie jusqu’à l’existence d’une nation ukrainienne, aura, par son sanglant mépris des peuples, contribué à ce que s’affirme le sentiment d’appartenir à l’Ukraine, alors qu’il peinait à prendre corps malgré les efforts du pouvoir et des nationalistes.

    L’échec relatif de Poutine résulte, entend-on souvent, de la mobilisation d’un peuple dressé pour défendre sa patrie, rien de tel ne motivant les soldats russes. Certes. Mais ce n’est qu’une partie de la réalité. Si l’Ukraine a tenu bon, malgré une industrie et une armée a priori moins fortes que celles du Kremlin, elle le doit avant tout à la trentaine de membres de l’OTAN, dont les États-Unis, l’Allemagne, la Grande-Bretagne, la France, qui l’ont armée, financée et soutenue de bien des façons. Et ils ne cessent de surenchérir en ce domaine, tel Biden encore le 20 février à Kiev.

    Quand les pays de l’OTAN livrent à l’Ukraine des armements de plus en plus sophistiqués, de plus en plus efficaces, ils poursuivent un objectif immédiat proclamé  : éviter la défaite de l’Ukraine et faire durer la guerre afin d’affaiblir la Russie, et si possible la mettre à genoux.

    Cela pour montrer au monde entier ce qu’il en coûte de ne pas s’incliner devant l’ordre impérialiste. Les propos de Biden à Varsovie  : «  L’Ukraine ne sera jamais une victoire pour la Russie  », son refus affiché de toute négociation avec Poutine, le fait que les dirigeants occidentaux ont tous adopté la même posture et le même langage ces derniers temps, tout cela va dans le même sens.

    Le conflit en cours n’est pas la principale raison d’une escalade que l’Occident mène tambour battant. Il fait aussi office de toile de fond pour une mise en ordre de bataille des esprits, ne serait-ce que par la banalisation d’une guerre qui s’installe pour durer, dans une Europe qui n’en avait plus connu depuis 1945, exception faite des bombardements de la Serbie par l’OTAN, il y a un quart de siècle.

    Une mise sur le pied de guerre qui vaut aussi pour les économies de chaque pays, dans un monde capitaliste qui s’enfonce dans la crise sans que ses dirigeants y voient d’issue. Certes, les dirigeants du monde capitaliste n’ont pas encore choisi la fuite en avant vers une conflagration généralisée, comme celle qui conduisit à la Première et à la Deuxième Guerre mondiale, mais rien ne garantit que le conflit ukrainien ne risque pas, à tout moment, de précipiter l’humanité dans une nouvelle guerre mondiale.

    Le conflit en Ukraine sert déjà de terrain d’entraînement aux États impérialistes pour préparer l’éventualité d’un affrontement dit de haute intensité, que les états-majors militaires et politiques envisagent explicitement. Il sert aussi aux chefs de file de l’impérialisme à renforcer des blocs d’États alliés, avec leurs réseaux de bases sur le pourtour de la Russie et de la Chine.

    sommant les autres États de se rallier à ces alliances militaires et d’adopter des trains de sanctions contre la Russie, même quand cela va à l’encontre de leurs intérêts et de ceux, sonnants et trébuchants, de leurs capitalistes. On le constate pour l’arrêt des importations de gaz et de pétrole russes, l’interdiction de commercer avec la Russie, d’y maintenir des activités industrielles, ce qui pénalise des pays européens, dont l’Allemagne et la France, mais profite aux États-Unis.

    Si un fait nouveau, capital pour l’avenir de l’humanité, s’est fait jour au feu de cette guerre, c’est l’évolution rapide de la situation mondiale dans le sens de sa #militarisation.

    Poutine a répondu de façon monstrueuse à la pression continue de l’impérialisme en Europe de l’Est en lançant ses missiles et ses tanks sur l’Ukraine le 24 février 2022. Mais c’est l’impérialisme qui s’est préparé depuis longtemps à aller à la confrontation.

    ... à plonger tôt ou tard l’Ukraine dans la guerre, donc à faire de ses habitants les otages d’une rivalité qui les dépasse, car elle oppose le camp mené par les États-Unis à la Russie, avec son dictateur, ses bureaucrates et ses oligarques pillards. D’un côté ou de l’autre, il n’y a nulle place pour le droit des peuples à décider de leur destinée, même si on veut nous le faire croire.

    L’ex-chancelière Angela Merkel n’en croit rien. Elle le dit dans une interview où elle revient sur la crise qui s’ouvrit en février 2014, quand le président ukrainien d’alors, contesté par la rue et surtout lâché par des secteurs de la bureaucratie et de l’oligarchie, dut s’enfuir. Le pouvoir issu du #Maïdan s’alignant sur les États-Unis, Poutine récupéra alors la #Crimée et poussa le Donbass à faire sécession. Les accords de Minsk, que Merkel parrainait avec Hollande et auxquels avaient souscrit Moscou et Kiev, devaient régler pacifiquement le différend, prétendait-elle à l’époque. Elle avoue désormais qu’il s’agissait d’un leurre. «  Poutine, explique-t-elle, aurait [alors] pu facilement gagner. Et je doute fortement que l’OTAN aurait eu la capacité d’aider l’Ukraine comme elle le fait aujourd’hui. […] Il était évident pour nous tous que le conflit allait être gelé, que le problème n’était pas réglé, mais cela a justement donné un temps précieux à l’Ukraine.  » Et à l’OTAN pour préparer l’affrontement avec Moscou.

    Le conflit couvait depuis l’effondrement de l’#URSS en 1991. Dès ce moment-là, États-Unis et Union européenne furent à la manœuvre pour aspirer l’Europe de l’Est dans l’orbite de l’OTAN. Des conseillers de la Maison-Blanche expliquaient qu’il fallait détacher l’Ukraine de la Russie, pour que celle-ci n’ait plus les moyens de redevenir une grande puissance.

    Or, après les années Eltsine (1991-1999), d’effondrement économique, d’éclatement de l’État et de vassalisation humiliante du pays par l’Occident, Poutine et la bureaucratie russe voulaient restaurer la #Grande_Russie.

    Une première tentative de l’Occident pour aspirer l’Ukraine eut lieu en 2004 sous l’égide du tandem ­Iouchtchenko­-­Timochenko, tombeur du pro-russe Ianoukovitch. Elle tourna court, la population, dégoûtée, finissant par rappeler Ianoukovitch. Elle allait le chasser à nouveau en 2014. Cette fois fut la bonne pour le camp occidental et signifiait la guerre  : dans le #Donbass, que l’armée de Kiev et des troupes d’extrême droite disputaient aux séparatistes, elle fit 18 000 morts et des centaines de milliers de réfugiés. Huit ans plus tard, tout le pays bascula dans l’horreur.

    Les dirigeants américains et européens savaient que Moscou ne pouvait accepter une Ukraine devenue la base avancée de l’OTAN. Ils savaient quels risques mortels leur politique impliquait pour les Ukrainiens, et pour la jeunesse russe que Poutine enverrait tuer et se faire tuer. Cette guerre, l’OTAN l’avait rendue inéluctable depuis 2014, en armant, entraînant, conseillant l’#armée_ukrainienne et les troupes des nationalistes fascisants.

    Les dirigeants occidentaux n’en avaient cure, car faire la guerre avec la peau des peuples est une constante de la politique des puissances coloniales, puis impérialistes. On le vérifie encore une fois dans le sang et la boue des tranchées en #Ukraine, dans les ruines des HLM de #Kharkiv, #Kherson ou #Donetsk que les missiles des uns ou des autres ont fait s’effondrer sur leurs habitants. N’en déplaise aux médias d’ici qui ressassent la fable d’un conflit soudain opposant le petit David ukrainien isolé et désarmé qu’agresserait sans raison le grand méchant Goliath russe.

    À l’occasion du premier l’anniversaire de l’invasion de l’Ukraine, on a eu droit au rouleau compresseur d’une #propagande sans fard dans les #médias. Il y aurait le camp du Mal (la Russie, l’Iran et surtout la Chine), face au camp du Bien, celui des puissances qui, dominant la planète, y garantissent la pérennité du système d’exploitation capitaliste au nom de la démocratie ou de la sauvegarde de pays comme l’Ukraine, dès lors qu’ils leur font allégeance.

    Cette propagande massive vise à s’assurer que l’opinion publique adhère sans réserve à ce qu’on lui présente comme la défense d’un peuple agressé, en fait, à la guerre que mènent les grandes puissances par Ukrainiens interposés. Car, au-delà de ce qu’il adviendra de la Russie et du régime de Poutine – une des préoccupations contradictoires des États impérialistes, qui disent vouloir la victoire de Kiev tout en craignant qu’une défaite de Poutine déstabilise de façon incontrôlable la Russie et son «  étranger proche  » – ces mêmes États visent un objectif au moins aussi important pour eux. Ils veulent enchaîner à leur char de guerre leur propre population, dans le cadre ukrainien, tout en ayant en vue des conflits plus larges à venir.

    En fait, le conflit ukrainien a tout du prologue d’un affrontement plus ou moins généralisé, dont politiques, généraux et commentateurs désignent déjà la cible principale  : la Chine. Ainsi, Les Échos du 15 février a mis à sa une un article qui titrait  : «  Pour l’Amérique, la Chine redevient l’ennemi numéro un  », après que «  la guerre en Ukraine [avait un temps détourné son attention] de la confrontation  » avec la Chine.

    Déjà, les steppes, les villes et le ciel d’Ukraine servent autant aux états-majors et industriels occidentaux à affronter la #Russie, par soldats ukrainiens interposés, qu’à tester sur le vif leurs #blindés, pièces d’#artillerie, #systèmes_de_commandement, de communication, d’interception, de renseignement, et à en tirer les leçons voulues. Ils y voient aussi une aubaine pour se débarrasser de #munitions et d’engins plus ou moins anciens que les combats vont consommer . Conséquence favorable pour eux, cela justifie l’escalade des livraisons d’armes et, de ce fait, l’explosion des #budgets_militaires afin de doper les #industries_de_guerre.

    Cette conjoncture permet à des États d’engranger des commandes, parfois énormes, de pays dépendants de protecteurs plus puissants et des leaders des marchés de l’#armement.

    Ainsi, Varsovie a envisagé de donner à Kiev des vieux Mig-29 de conception soviétique pour les remplacer par des F-16 américains, et promis de lui livrer d’anciens chars Leopard, qu’elle remplacera par de nouveaux modèles. Évidemment, cela ne fait l’affaire ni de Dassault ni du char Leclerc français qui peine à trouver preneur. C’est que, même alliés au sein de l’OTAN, voire soucieux d’afficher leur unité, comme Biden l’a souligné lors de la promesse que lui et Scholtz ont voulue simultanée de livrer des tanks à Kiev, les États impérialistes restent rivaux sur ce terrain, comme sur d’autres. Les États-Unis se réservent la part du lion, avec des commandes d’armement qui ont doublé en 2022, à la mesure de leur puissance industrielle, de leur suprématie militaire… et des guerres à venir.

    Ces commandes d’armes pour l’Ukraine, qui s’ajoutent à celles que l’on dit destinées à remettre à niveau chaque armée occidentale, servent autant à tenir la dragée haute à #Poutine qu’à transformer à vitesse accélérée les #économies occidentales en «  #économies_de_guerre  », selon les termes même du programme que se sont fixé les ministres de la Défense des pays de l’#OTAN, lors de leur sommet des 14-15 février à Bruxelles. Depuis des mois, les dirigeants politiques occidentaux et plus encore les chefs de leurs armées discutent publiquement et concrètement d’une guerre généralisée qu’ils savent s’approcher. Ainsi, à Brest, l’#amiral_Vandier, chef d’état-major de la Marine, a lancé à la nouvelle promotion d’élèves-­officiers  : «  Vous entrez dans une Marine qui va probablement connaître le feu à la mer.  » Certains avancent même une date pour cela, tel le général Minihan, chef des opérations aériennes aux #États-Unis  : «  J’espère me tromper, mais mon intuition me dit que nous nous affronterons en 2025  » avec la #Chine.

    Ukraine  : un effroyable bilan humain, social et économique

    En attendant, la guerre en Ukraine a déjà tué ou blessé 180 000 militaires russes, à peine moins de soldats ukrainiens, et tué plus de 30 000 civils, estime le chef de l’armée norvégienne, membre de l’OTAN. 7,5 millions d’Ukrainiens ont trouvé refuge en Pologne, Slovaquie, Autriche, etc., et en Russie. Parmi eux se trouvent une écrasante majorité de femmes et d’enfants, car les hommes de 18 à 60 ans, mobilisables, ont l’interdiction de quitter le territoire. Il y a aussi plusieurs millions de déplacés dans le pays même.

    De nombreuses villes, grandes ou petites, ont été bombardées, parfois rasées, les infrastructures énergétiques partout frappées, ce qui a plongé la population dans l’obscurité et le froid. Le montant des destructions de routes, ponts, voies ferrées, ports, aéroports, entreprises, écoles, hôpitaux, logements… atteignait 326 milliards de dollars, selon ce qu’estimait le Premier ministre en septembre dernier. Ce montant, déjà colossal, n’a pu que croître depuis, ne serait-ce que parce qu’il s’accompagne d’énormes détournements qu’ont effectués et que vont effectuer ministres, généraux, bureaucrates et oligarques ukrainiens.

    Zelensky a reconnu la corruption de l’appareil d’État jusqu’au sommet quand il a limogé une partie de son gouvernement, dont les ministres de la Défense et de la Reconstruction, et plusieurs très hauts dirigeants. Cela ne change rien à la nature d’un État qui, source principale des nantis comme en Russie, est l’un des plus corrompus au monde  : plus que l’État russe, dit-on, ce qui n’est pas rien. En fait, Zelensky n’avait pas le choix  : une commission américaine de haut niveau avait débarqué à Kiev pour vérifier ce que devenait l’aide colossale fournie par l’oncle d’Amérique. Après tout, même si l’État américain est richissime, il a aussi ses bonnes œuvres (industriels de l’armement, financiers, capitalistes de haut vol) et ne veut pas qu’une trop grosse part des profits de guerre file dans poches des bureaucrates, oligarques et maffieux ukrainiens.

    Et puis, au moment même où l’Occident annonçait fournir des tanks à l’État ukrainien, il ne s’agissait pas que le régime apparaisse pour ce qu’il est  : celui de bandits prospérant sur le dos de la population. Cela s’adressait moins à l’opinion occidentale, qui ne connaît de la situation que ce qu’en disent les médias, qu’à la population ukrainienne.

    Victime des bombardements et exactions de l’armée russe, elle se rend compte qu’elle est aussi la victime des parasites de la haute bureaucratie, des ministres véreux ou des généraux voleurs. Et l’union sacrée n’a pas fait disparaître les passe-droits qui permettent aux nantis de profiter en paix de leur fortune à l’étranger, tandis que leurs sbires de la police raflent les hommes, valides ou pas, pour le front. Les résistances que cela provoque ici ou là n’ont rien pour étonner dans un tel contexte, d’autant que, si l’armée a d’abord pu compter sur des volontaires, ceux qu’elle mobilise maintenant n’en font, par définition, pas partie.

    Tout à leurs commentaires dithyrambiques sur un régime censé incarner la démocratie et l’unité d’un peuple derrière ses dirigeants, les médias français préfèrent tirer un voile pudique sur des faits qui pourraient gâcher leur tableau mensonger.

    [...] Le régime de la bureaucratie russe et de ses oligarques milliardaires, lui-même bien mal en point socialement et économiquement, corrompu, policier et antiouvrier, ne peut représenter aucun avenir pour la population ukrainienne, même russophone.

    Quant au régime qu’incarne Zelensky, ce chargé de pouvoir des grandes puissances et de leurs trusts qui lorgnent sur les richesses agricoles et minières de l’Ukraine ainsi que sur sa main-d’œuvre qualifiée, afin de l’exploiter avec des salaires misérables , ce qui a commencé dès 2014, le conflit lui a sans doute sauvé la mise, au moins dans un premier temps. Comme dans toute guerre, la population s’est retrouvée bon gré mal gré derrière un pouvoir qui se faisait fort de la défendre. Mais gageons que de larges pans des classes populaires n’ont pas oublié pour autant ce qu’avait fini par leur inspirer cet acteur devenu président, qui avait joué au «  serviteur du peuple  » pour mieux préserver les intérêts des nantis.

    S’affrontant sur le terrain par peuples interposés, les dirigeants occidentaux, représentants d’une bourgeoisie impérialiste qui domine le monde, les dirigeants russes, représentants des parasites qui exploitent les travailleurs de Russie, les dirigeants ukrainiens, représentants de leurs oligarques autant que des trusts occidentaux, sont tous des ennemis des classes populaires, de la classe ouvrière.

    Et les travailleurs, où qu’ils se trouvent, quelle que soit leur nationalité, leur langue ou leur origine, n’ont aucune solidarité à avoir, sous quelque prétexte que ce soit, avec «  l’ennemi principal qui est toujours dans notre propre pays  », comme disait le révolutionnaire allemand Karl Liebknecht en 1916, en pleine Première Guerre mondiale.

    Partout, la marche à une économie de guerre

    Le 6 février, Antonio Guterres, secrétaire général de l’ONU [...] : «   Le monde se dirige les yeux grand ouverts [vers] une guerre plus large .  »

    On vient d’en avoir la confirmation au sommet des ministres de la Défense des membres de l’OTAN. Il leur a été demandé, selon Les Échos, «  de passer en #économie_de_guerre  », de relancer et activer la #production_d’armements, et d’abord d’#obus, de #chars et de pièces d’artillerie, pour faire face à «  une #guerre_d’usure  » en Ukraine. Et de préciser que si, il y a dix ans, les États-Unis demandaient à leurs alliés de monter leurs #dépenses_militaires à 2 % de leur produit intérieur brut, ce chiffre est désormais considéré comme un plancher que beaucoup ont dépassé. La conférence sur la sécurité en Europe qui a suivi, à Munich, a réuni la plupart des dirigeants européens et mondiaux pour aller dans le même sens.

    C’est ce qu’ils font en cherchant à persuader leur population de l’inéluctabilité de la guerre  ; en lui désignant comme ennemis certains pays, au premier rang desquels la Russie et la Chine  ; en déployant une propagande insidieuse mais permanente dans les médias autour de thèmes guerriers  ; en mettant l’accent sur la préparation de la #jeunesse à servir «  sa  » nation, à la défendre, sans jamais dire qu’il s’agira de la transformer en #chair_à_canon pour les intérêts des classes possédantes. Le gouvernement français s’en charge avec son #Service_national_universel, qui vise à apprendre à des jeunes à marcher au pas, avec des reportages télévisés plus ou moins suscités sur le service à bord de navires de guerre, sur des régions sinistrées (Saint-Étienne) où la reprise de la production d’armes ferait reculer le chômage. Le nouveau ministre allemand de la Défense se situe sur le même terrain, lui qui veut rétablir le service militaire et faire de la Bundeswehr la première armée du continent grâce aux 100 milliards de hausse de son #budget.

    En juin dernier, Macron avait annoncé la couleur avec son plan Économie de guerre doté par l’État de 413 milliards sur sept ans. Il fallait «  aller plus vite, réfléchir différemment sur les rythmes, les montées en charge, les marges, pour pouvoir reconstituer plus rapidement ce qui est indispensable pour nos #armées, pour nos alliés ou pour celles [comme en Ukraine] que nous voulons aider  ». Et, s’adressant aux dirigeants de l’organisme qui regroupe les 4 000 entreprises du secteur militaire, il leur avait promis des décisions et, surtout, des #investissements. Pour les #profits, la guerre est belle…

    Bien au-delà du conflit ukrainien, la cause profonde de l’envolée des budgets militaires est à chercher dans la crise du système capitaliste mondial, qui va s’aggravant sans que quiconque dans les milieux dirigeants de la bourgeoisie en Europe et en Amérique sache comment y faire face.

    Comme à chaque fois que le monde se trouve confronté à une telle situation, la bourgeoisie et ses États en appellent à l’industrie d’armement pour relancer l’économie. Car, grâce au budget militaire des États, elle échappe à la chute de la demande qui affecte les secteurs frappés par la baisse du pouvoir d’achat des couches populaires et, en dopant le reste de l’économie par des commandes de machines, de logiciels, de matériaux, de matières premières, etc., la bourgeoisie peut espérer que cela l’aidera à maintenir le taux de profit général.

    [...] même quand certains prétendent chercher une solution de paix à une guerre que leur politique a suscitée, la logique de leur politique d’armement continu de l’un des deux camps sur le terrain, celle de la militarisation de l’économie de nombreux pays sur fond d’une crise générale dont l’évolution leur échappe, tout cela fait que, de la guerre en Ukraine à un conflit plus large, la distance pourrait être bien plus courte qu’on ne le croit.

    Contrairement à ce qu’affirme Guterres, ce n’est pas toute l’humanité qui avance vers l’abîme les yeux grands ouverts. Les dirigeants politiques de la bourgeoisie ne peuvent pas ne pas voir ce qu’ils trament, eux, et dans quels intérêts, ceux de la bourgeoisie. Cela, ils le discernent en tout cas bien mieux que les masses du monde entier, auxquelles on masque la réalité, ses enjeux et son évolution qui s’accélère.

    Oui, en Ukraine, en Russie, comme partout ailleurs, le niveau de la conscience et de l’organisation de la classe ouvrière est très en retard sur cette course à la guerre dans laquelle la bourgeoisie engage l’humanité. Et plus encore au regard de ce qu’il faudrait pour l’enrayer, la transformer en guerre de classe pour l’émancipation des travailleurs du monde entier.

    C’est ce que firent les bolcheviks en Russie en 1917, en pleine guerre mondiale. C’est sur cette voie qu’il faut que s’engagent, en communistes révolutionnaires et internationalistes, en militants de la seule classe porteuse d’avenir, le prolétariat, toutes celles et tous ceux qui veulent changer le monde avant qu’il ne précipite à nouveau l’humanité dans la barbarie. Alors, pour paraphraser ce que Lénine disait de la révolution d’Octobre  : «  Après des millénaires d’esclavage, les esclaves dont les maîtres veulent la guerre leur [répondront]  : Votre guerre pour le butin, nous en ferons la guerre de tous les esclaves contre tous les maîtres.  »

    #guerre_en_ukraine #capitalisme #crise

    • Royaume-Uni : hausse significative du budget militaire

      A l’occasion de la mise à jour de sa doctrine de politique étrangère, le Royaume-Uni a annoncé son intention de porter à terme son #budget_défense à 2,5 % du PIB.

      Face aux « nouvelles menaces », le #Royaume-Uni va investir cinq milliards de livres supplémentaires dans sa politique de défense. Cette rallonge va porter ce budget à 2,25 % du PIB à horizon 2025, un redressement jamais vu depuis la guerre froide.
      Cette enveloppe doit permettre de « reconstituer et de renforcer les stocks de #munitions, de moderniser l’entreprise nucléaire britannique et de financer la prochaine phase du programme de #sous-marins_Aukus », a souligné Downing Street dans un communiqué, le jour même de la signature à San Diego du contrat entre l’Australie, les Etats-Unis et le Royaume-Uni. A terme, l’objectif est de revenir à des dépenses militaires équivalentes à 2,5 % du PIB, bien au-dessus de l’engagement pris au niveau de l’#Otan (2 % du PIB).

      Ces annonces interviennent au moment où le Royaume-Uni met à jour sa doctrine de politique étrangère dans un document de 63 pages qui fait la synthèse des principaux risques pour la sécurité du pays. La dernière mouture, publiée il y a trois ans, exposait les ambitions de la « Global Britain » de Boris Johnson au lendemain du Brexit. La #Russie y était identifiée comme la principale menace pour la sécurité. La #Chine était qualifiée de « défi systémique » et le document annonçait un « pivot » du Royaume-Uni vers l’axe Indo-Pacifique.
      Les tendances observées sont toujours les mêmes, mais « elles se sont accélérées ces deux dernières années », observe cette nouvelle revue. « Nous sommes maintenant dans une période de risques renforcés et de volatilité qui va probablement durer au-delà des années 2030 », note le rapport.

      (Les Échos)

      #militarisation #impérialisme

    • Les importations d’armes en Europe en forte hausse

      Les #achats_d'armement ont quasiment doublé l’an dernier sur le sol européen

      Depuis le début de la guerre en Ukraine, l’Europe s’arme massivement. C’est ce que confirme le dernier rapport de l’#Institut_international_de_recherche_sur_la_paix_de_Stockholm (Sipri), publié lundi. Hors Ukraine, les #importations_d'armements sur le Vieux Continent se sont envolées de 35 % en 2022. En intégrant les livraisons massives d’#armes à l’Ukraine, elles affichent une hausse de 93 %.

      […] Sur la période 2018-2022, privilégiée par le #Sipri pour identifier les tendances de fond, les importations d’armes européennes affichent ainsi une hausse de 47 % par rapport aux cinq années précédentes, alors qu’au niveau mondial, les transferts internationaux d’armes ont diminué de 5,1 % sur cette période. Un contraste majeur qui témoigne de la volonté des Européens d’« importer plus d’armes, plus rapidement », explique Pieter ​Wezeman, coauteur du rapport.
      Dans cette optique, outre les industriels locaux, les Européens comptent sur les #Etats-Unis. Sur la période 2018-2022, ces derniers ont représenté 56 % des #importations_d'armes de la région. Le premier importateur en #Europe a été le Royaume-Uni, suivi de l’#Ukraine et de la Norvège.
      […]

      En France, #Emmanuel_Macron a proposé une augmentation de 100 milliards d’euros pour la loi de programmation militaire 2024-2030 par rapport à la période 2019-2025. Le Premier ministre britannique, #Rishi_Sunak, vient pour sa part d’annoncer que le #Royaume-Uni allait investir 5 milliards de livres (5,6 milliards d’euros) supplémentaires dans la défense, dans un contexte de « nouvelles menaces venues de #Russie et de #Chine ». Plus symbolique encore, l’Allemagne du chancelier #Olaf_Scholz a annoncé, en mai 2022, le lancement d’un fonds spécial de 100 milliards pour moderniser son armée et rompre avec des décennies de sous-investissement.

      (Les Échos)

      #militarisation

    • La France s’apprête à relocaliser sur son sol une vingtaine de productions industrielles militaires , révèle mardi franceinfo. Ces relocalisations sont une déclinaison de « l’économie de guerre » réclamée par l’Élysée.

      Le mois dernier, on a appris que la France s’apprêtait à relocaliser la production de #poudre pour ses obus d’artillerie (de 155mm). Selon nos informations, en tout, il y aura une vingtaine de relocalisations stratégiques en France.

      Dans le détail, la France va donc de nouveaux produire sur son territoire des #coques de bateaux produites jusqu’à présent dans les pays de l’Est, des explosifs pour gros calibres produits en Suède, Italie ou encore Allemagne, mais, surtout, des pièces jugées « critiques » pour certains moteurs d’hélicoptères. On parle ici précisément des disques des turbines haute-pression des bi-moteurs RTM322. Jusqu’à présent, ces pièces étaient élaborées aux Etats-Unis puis forgées en Angleterre. Bientôt, l’élaboration et la forge seront faites en France dans l’usine #Aubert_et_Duval située dans le Puy-de-Dôme. […]

      (France Info)

      #militarisation #relocalisation #industrie_de_la_défense

    • Emmanuel Chiva est à la tête (de l’emploi) de la direction générale de l’armement (DGA). Son sale boulot : mettre en œuvre l’« économie de guerre » voulue par Macron.

      Un type qui pratique au quotidien "l’argent magique" et un "pognon de dingue" (public) au service des capitalistes de l’armement. Le principe : un vol à grande échelle des fruits du travail de millions de travailleurs pour produire en masse du matériel de destruction massive.

      Pour nous en faire accepter les conséquences (les futures baisses du pouvoir d’achat, les hôpitaux fermés, les écoles surchargées, les enseignants en sous-effectif, les transports dégradés, un budget de l’État écrasé par la dette, etc.), Le Monde lui tend ses colonnes : « Nous sommes entrés dans l’économie de guerre »
      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/03/15/emmanuel-chiva-dga-nous-sommes-entres-dans-l-economie-de-guerre_6165595_3210

    • La marche vers un économie de guerre
      https://lutte-ouvriere.be/la-marche-vers-un-economie-de-guerre

      [...] Les USA augmentent fortement leur budget militaire, l’Allemagne débloque 100 milliards pour l’armée, la France annonce plus de 400 milliards de budget pour les prochaines années et en Belgique, 14 milliards de dépenses guerrières supplémentaires sont prévues d’ici 2030.

      Pour faire accepter l’envolée des dépenses militaires, alors que partout les besoins des populations sont criants, les dirigeants des pays capitalistes cherchent à persuader de l’inéluctabilité de la guerre. Ils désignent comme ennemis certains pays, au premier rang desquels la Russie et la Chine, et déploient une propagande insidieuse mais permanente dans les médias autour de thèmes guerriers.

      Les gouvernements mettent aussi l’accent sur la préparation de la jeunesse qu’ils comptent utiliser comme chair à canon. L’Etat belge s’en est chargé en ouvrant cette année, dans 13 écoles de la fédération Wallonie Bruxelles, une option « métiers de la Défense et de la sécurité » dans laquelle des jeunes sont préparés à devenir agent de sécurité, policier ou militaire, à partir de la quatrième secondaire technique !

      Au-delà du conflit ukrainien, la cause profonde de l’envolée des budgets militaires est à chercher dans la crise du système capitaliste mondial qui ne fait que s’aggraver.

    • Vers un doublement du budget militaire / Le Japon tourne la page du pacifisme
      https://www.monde-diplomatique.fr/2023/03/POUILLE/65605

      Ce samedi 27 novembre 2021, le premier ministre japonais Kishida Fumio effectue une visite matinale des troupes de défense terrestre sur la base d’Asaka, au nord de Tokyo. Après un petit tour en char d’assaut, il prononce un discours de rupture : « Désormais, je vais envisager toutes les options, y compris celles de posséder des capacités d’attaque de bases ennemies, de continuer le renforcement de la puissance militaire japonaise. » Selon le chef du gouvernement, « la situation sécuritaire autour du Japon change à une vitesse sans précédent. Des choses qui ne se produisaient que dans des romans de science-fiction sont devenues notre réalité ». Un an plus tard, M. Kishida annonce le doublement des dépenses de #défense et débloque l’équivalent de 315 milliards de dollars sur cinq ans. Le #Japon va ainsi disposer du troisième budget militaire du monde derrière ceux des États-Unis et de la Chine. Il représentera 2 % du produit intérieur brut (PIB), ce qui correspond à l’engagement pris en 2014 par les vingt-huit membres de l’Organisation du traité de l’Atlantique nord (#OTAN)… dont il ne fait pourtant pas partie.

      Ces décisions — qui s’inscrivent dans le cadre de la nouvelle « stratégie de sécurité nationale » dévoilée en août 2022 — changent profondément les missions des forces d’autodéfense, le nom officiel de l’#armée_nippone. Elles ne s’en tiendront plus, en effet, à défendre le pays mais disposeront des moyens de contre-attaquer. Et même de détruire des bases militaires adverses.

      Cette #militarisation et cette imbrication renforcée avec les États-Unis sonnent, pour la presse chinoise, comme dune dangereuse alerte. Certes, les rapports sino-japonais s’étaient déjà dégradés quand Tokyo avait acheté, le 11 septembre 2012, trois des îles Senkaku/Diaoyu à leur propriétaire privé et que, dans la foulée, Pékin avait multiplié les incursions dans la zone (8). Les visites régulières d’Abe au sanctuaire Yasukuni, qui honore la mémoire des criminels de guerre durant la seconde guerre mondiale, n’avaient rien arrangé.

      Mais le climat s’était plutôt apaisé dans la dernière période. « J’étais parvenu à un consensus important [avec Abe] sur la construction de relations sino-japonaises répondant aux exigences de la nouvelle ère (9) », a même témoigné le président chinois après l’assassinat de l’ex-premier ministre, en juillet 2022. Depuis l’annonce de la nouvelle stratégie de défense, le ton a changé.

      [...] en tournant le dos brutalement à sa politique pacifiste, le Japon se place en première ligne face à Pékin et éloigne tout espoir d’autonomie vis-à-vis des États-Unis. Cette impossible entrée dans l’après-guerre froide cohabite pourtant avec un dynamisme régional haletant où, de Hanoï à Colombo, ce pays vieillissant a construit les leviers de sa future croissance. Il y est en concurrence directe avec la Chine, très présente. Déjà, la plupart des pays asiatiques refusent de choisir entre Pékin et Washington, qui leur promet la sécurité. Et avec Tokyo ?

      (Le Monde diplomatique, mars 2023)

      #budget_militaire

    • Le géant de l’armement Rheinmetall surfe sur la remilitarisation de l’Europe (Les Échos)

      L’entrée au DAX, lundi, du premier producteur de munitions et constructeur de chars en Europe consacre le retour en force des combats conventionnels terrestres. Après une année 2022 record, Rheinmetall s’attend à faire mieux encore en 2023.

      Ce lundi, Armin Papperger, le patron de Rheinmetall, se fera un plaisir de sonner la cloche de la Bourse de Francfort pour marquer l’entrée de son groupe dans le Dax après une année record. Son cours a doublé et sa valorisation avoisine 10,5 milliards d’euros. « Le changement d’ère et la guerre en Europe ont ouvert une nouvelle page pour #Rheinmetall », a-t-il déclaré jeudi, lors de la présentation des résultats du premier producteur de munitions et constructeur de chars en Europe.

      Le retour des combats conventionnels terrestres a dopé le résultat net de ce dernier : il a bondi de 61 %, à 469 millions d’euros pour un chiffre d’affaires record de 6,4 milliards d’euros, en hausse de 13,25 %. Le résultat opérationnel (Ebit hors effets exceptionnels) a, lui, progressé de 27 %, à 754 millions d’euros. Et ce n’est qu’un début : « Je m’attends à ce que l’année 2023 soit de loin la meilleure année de l’histoire de l’entreprise en termes de commandes », a annoncé Armin Papperger.

      Carnet de commandes record

      Il a plusieurs fois loué devant la presse l’efficacité du nouveau ministre de la Défense Boris Pistorius, qui devrait, selon lui, permettre de débloquer enfin les 100 milliards du fonds de modernisation de l’armée allemande. Sur cette enveloppe, le patron de Rheinmetall estime pouvoir capter 38 milliards d’euros d’ici à 2030, dont 20 milliards répartis à parts équivalentes entre les chars et la numérisation des forces terrestres, et 8 milliards pour les munitions. A ces montants s’ajoute la hausse prévisible du budget de la défense allemande : Boris Pistorius a réclamé 10 milliards de plus par an et il faudrait même 10 milliards supplémentaires pour atteindre les 2 % du PIB. Un objectif pour tous les membres de l’Otan qui devrait rapidement devenir un prérequis minimum. Le réarmement généralisé des pays de l’Alliance atlantique ne peut donc que profiter à Rheinmetall. Il vient en outre d’élargir sa palette en s’invitant dans la fabrication du fuselage central du F-35 américain qui devrait lui rapporter plusieurs milliards d’euros. Le groupe, qui affichait déjà l’an dernier un carnet de commandes record de 24 milliards d’euros, estime avoir les capacités pour faire bien davantage.

      600.000 obus

      En Ukraine, Rheinmetall assure ainsi pouvoir livrer un peu moins de la moitié des besoins de la production d’artillerie. Avec l’achat du fabricant espagnol Expal Systems, qui devrait être bouclé dans l’année, la capacité annuelle du groupe passe à environ 450.000 obus, voire 600.000 d’ici à deux ans.

      Rheinmetall est en train d’agrandir une usine en Hongrie et souhaite en ouvrir une de poudre en Saxe avec la participation financière de Berlin. Selon Armin Papperger, l’intégration verticale de l’entreprise, qui produit elle-même ses composants, la met par ailleurs à l’abri d’un chantage éventuel de la Chine sur les matières premières. Quant à la main-d’oeuvre, elle ne manquerait pas : le groupe se dit « inondé de candidatures », il a recruté 3.000 personnes l’an dernier et compte en faire autant cette année. Toutes les planètes sont donc alignées aux yeux de Rheinmetall pour pousser les feux. Le groupe vise un chiffre d’affaires de 7,4 à 7,6 milliards d’euros en 2023, ce qui représenterait une nouvelle hausse de 15,5 % à 18,7 %. Sa marge opérationnelle devrait passer de 11,8 % à 12 % environ.

      #militarisation #militarisme #capitalisme #troisième_guerre_mondiale

    • La guerre en Ukraine accélère la militarisation

      La guerre en Ukraine accélère la militarisation de l’Europe. Tragédie pour les populations ukrainienne et russe qui ont déjà payé cette guerre de 30 000 morts, elle est une aubaine pour les militaires et les marchands d’armes. Première guerre dite «  de haute intensité  » en Europe depuis 1945, sur un front de plus de 1 000 kilomètres, elle permet aux militaires de tester leurs matériels, de valider ou adapter leurs doctrines d’utilisation. Elle offre un marché inespéré pour les marchands d’armes appelés à fournir munitions et missiles, drones ou chars détruits en grande quantité. Elle accélère la hausse des budgets militaires de tous les États.

      Une militarisation engagée avant la guerre en Ukraine

      La hausse des dépenses militaires dans le monde était engagée avant l’invasion russe de l’Ukraine. Selon le dernier rapport du Sipri, l’Institut international pour la paix de Stockholm, publié le 25 avril, les dépenses militaires dans le monde ont dépassé en 2021, pour la première fois, la barre des 2 000 milliards de dollars, avec 2 113 milliards de dollars, soit 2,2 % du PIB mondial. C’est la septième année consécutive de hausse des dépenses militaires dans le monde selon ce rapport, qui précise  : «  Malgré les conséquences économiques de la pandémie de Covid-19, les dépenses militaires mondiales ont atteint des niveaux records.  »

      Si la Russie, présentée comme le seul agresseur et va-t-en-guerre, a augmenté son budget militaire en 2021, qui atteint 66 milliards de dollars et 4 % de son PIB, elle n’arrive qu’en cinquième position dans le classement des puissances les plus dépensières, derrière les États-Unis, la Chine, l’Inde et la Grande-Bretagne.

      En Grande-Bretagne, avec 68,3 milliards de dollars, les dépenses militaires sont en hausse de 11,1 %. Après le Brexit, Boris Johnson a multiplié les investissements, en particulier dans la marine. Peu avant sa démission, il affirmait vouloir restaurer l’impérialisme britannique en tant que «  première puissance navale en Europe  » et marquait à la culotte les autres puissances impérialistes du continent. Il a été l’un des premiers dirigeants européens à se rendre à Kiev pour afficher son soutien à Zelensky. Toute une brochette de politiciens britanniques milite pour que les dépenses militaires augmentent plus vite encore dans les années à venir. Ainsi, Nile Gardiner, ancien collaborateur de Thatcher, affirmait en mars au Daily Express : «  Les dépenses de défense devraient doubler, de deux à quatre pour cent [du PIB] dans les années à venir si la Grande-Bretagne veut sérieusement redevenir une puissance mondiale.  »

      Johnson a renforcé par divers canaux sa coopération militaire avec les États-Unis. Ces liens étroits entre les impérialismes britannique et américain ont été illustrés par l’alliance #Aukus (acronyme anglais pour Australie, Royaume-Uni et États-Unis) contre la Chine. Cette alliance s’est concrétisée par la commande australienne de huit sous-marins à propulsion nucléaire, pour la somme de 128 milliards de dollars. Déjà en hausse de 4 % en 2021 par rapport à 2020, les dépenses militaires de l’Australie sont donc appelées à augmenter. C’est aussi la politique occidentale agressive vis-à-vis de la Chine, et les pressions américaines, qui ont poussé le Japon à dépenser 7 milliards de dollars de plus en 2021 pour ses armées, la plus forte hausse depuis 1972.

      Selon le rapport du #Sipri, dès 2021, donc avant la guerre en Ukraine, huit pays européens membres de l’#Otan avaient porté leurs dépenses militaires à 2 % de leur PIB, ce que réclament depuis longtemps les États-Unis à leurs alliés. Avec 56,6 milliards de dollars (51 milliards d’euros) dépensés en 2021, la France est passée de la huitième à la ­sixième place des États pour leurs dépenses en armement. La loi de programmation militaire 2019-2025 avait déjà prévu un budget de 295 milliards d’euros sur six ans, pour arriver à plus de 2,5 % du PIB en 2025.

      La guerre en Ukraine a donc éclaté dans ce contexte d’augmentation générale des dépenses d’armement, qu’elle ne peut qu’accélérer et renforcer.

      Les leçons de la guerre en Ukraine

      Pour les états-majors et les experts, la #guerre_en_Ukraine n’est pas une tragédie mais d’abord un formidable terrain d’expérimentation des matériels de guerre et des conditions de leur mise en œuvre. Chaque épisode – offensive contrariée des armées russes au début de la #guerre, retrait du nord de l’#Ukraine puis offensive dans le #Donbass, destruction méthodique des villes – et les diverses façons d’utiliser l’artillerie, les drones, l’aviation, les moyens de communication et de renseignement sont étudiés pour en tirer le maximum de leçons. Depuis six mois, des milliers d’experts et d’ingénieurs chez #Thales, #Dassault, #Nexter, MBDA (ex-Matra), #Naval_Group ou chez leurs concurrents américains #Lockheed_Martin, #Boeing ou #Northrop_Grumman, étudient en détail comment cette guerre met en lumière «  la #numérisation du champ de bataille, les besoins de munitions guidées, le rôle crucial du secteur spatial, le recours accru aux drones, robotisation, cybersécurité, etc.  » (Les Échos du 13 juin 2022). Ces experts ont confronté leurs points de vue et leurs solutions technologiques à l’occasion de l’immense salon de l’#armement et de la sécurité qui a réuni, début juin à Satory en région parisienne, 1 500 #marchands_d’armes venus du monde entier. Un record historique, paraît-il  !

      Les leçons de la guerre en Ukraine ne sont pas seulement technologiques. Comme l’écrivait le journal Les Échos du 1er avril 2022, «  la guerre entre grands États est de retour en Europe. » Cette guerre n’a plus rien à voir avec «  les “petites guerres” comme celles de Bosnie ou du Kosovo, ni les opérations extérieures contre des groupes terroristes (Al Qaida, Daech) ou des États effondrés (Libye, 2011)  ». Pour les militaires, cette guerre n’est plus «  une guerre échantillonnaire mais une guerre de masse  », tant du point de vue du nombre de soldats tués ou blessés au combat que du nombre de munitions tirées et du matériel détruit.

      Entre février et juin, selon les estimations réalisées malgré la censure et les mensonges de chaque camp, cette guerre aurait fait 30 000 morts russes et ukrainiens, plusieurs centaines par jour. L’Ukraine rappelle que la guerre est une boucherie, que les combats exigent sans cesse leur chair à canon, avec des soldats qui pourrissent et meurent dans des tranchées, brûlent dans des chars ou sont tués ou estropiés par des obus et des missiles. Leur guerre «  de haute intensité  », c’est avant tout des morts, parmi les militaires comme les civils. Préparer les esprits à accepter de «  mourir pour nos valeurs démocratiques  », autre déclinaison du «  mourir pour la patrie  », est l’un des objectifs de la #propagande des gouvernements occidentaux qui mettent en scène la guerre en Ukraine.

      Côté matériel, les armées russes ont perdu plusieurs centaines de chars. Les États-Unis et leurs alliés ont livré plusieurs dizaines de milliers de missiles sol-sol ou sol-air de type Javelin ou Stinger, à 75 000 dollars pièce. Une semaine après le début de l’invasion russe, le colonel en retraite Michel Goya, auteur d’ouvrages sur les guerres contemporaines, écrivait  : «  L’#armée_de_terre française n’aurait plus aucun équipement majeur au bout de quarante jours  » (véhicules de combat, pièces d’artillerie…). La conclusion de tous ces gens-là est évidente, unanime  : il faut «  des forces plus nombreuses, plus lourdement équipées [qui] exigeront des budgets de défense accrus  » (Les Échos, 1er avril 2022). Augmenter les budgets militaires, drainer toujours plus d’argent public vers l’industrie militaire ou sécuritaire, c’est à quoi s’emploient les ministres et les parlementaires, de tous les partis, depuis des années.

      Des complexes militaro-industriels concurrents

      La guerre en Ukraine, avec l’augmentation spectaculaire des #budgets_militaires qu’elle accélère, est une aubaine pour les marchands d’armes. Mais elle intensifie en même temps la guerre que se livrent ces industriels. L’annonce par le chancelier allemand, fin février, d’un emprunt de 100 milliards d’euros pour remettre à niveau la #Bundeswehr, autrement dit pour réarmer l’Allemagne, a déclenché des polémiques dans l’#Union_européenne. Le journal Les Échos du 30 mai constatait avec dépit  : «  L’#armée_allemande a annoncé une liste de courses longue comme le bras, qui bénéficiera essentiellement aux industries américaines  : achat de #F-35 à Lockheed Martin, d’hélicoptères #Chinook à Boeing, d’avions P8 à Boeing, de boucliers antimissiles à Israël, etc.  » Au grand dam des militaristes tricolores ou europhiles, le complexe militaro-industriel américain profitera bien davantage des commandes allemandes que les divers marchands de mort européens.

      Il en est ainsi depuis la naissance de l’Union européenne  : il n’y a pas une «  #défense_européenne  » commune car il n’y a pas un #impérialisme européen unique, avec un appareil d’État unique défendant les intérêts fondamentaux d’une #grande_bourgeoisie européenne. Il y a des impérialismes européens concurrents, représentant des capitalistes nationaux, aux intérêts économiques complexes, parfois communs, souvent opposés. L’#impérialisme_britannique est plus atlantiste que les autres puissances européennes et très tourné vers son vaste ex-­empire colonial. L’#impérialisme_français a développé ses armées et sa marine pour assurer sa mainmise sur son pré carré ex-colonial, en particulier en Afrique. L’impérialisme allemand, qui s’est retranché pendant des décennies derrière la contrition à l’égard des années hitlériennes pour limiter ses dépenses militaires, en se plaçant sous l’égide de l’Otan et des #États-Unis, a pu consacrer les sommes économisées à son développement économique en Europe centrale et orientale. Les interventions militaires ou diplomatiques n’étant que la continuation des tractations et des rivalités commerciales et économiques, il n’a jamais pu y avoir de défense européenne commune.

      Les rivalités permanentes entre Dassault, Airbus, #BAE, #Safran ont empêché la construction d’un avion de combat européen. La prépondérance des États-Unis dans l’Otan et leur rôle majeur en Europe de l’Est et dans la guerre en Ukraine renforcent encore les chances du #secteur_militaro-industriel américain d’emporter les futurs marchés. Ces industriels américains vendent 54 % du matériel militaire dans le monde et réalisent 29 % des exportations. L’aubaine constituée par les futures dépenses va aiguiser les appétits et les rivalités.

      Bien sûr, les diverses instances européennes s’agitent pour essayer de ne pas céder tout le terrain aux Américains. Ainsi, le commissaire européen au Commerce et ex-ministre français de l’Économie, Thierry Breton, vient de débloquer 6 milliards d’euros pour accélérer le lancement de 250 satellites de communication de basse orbite, indispensables pour disposer d’un réseau de communication et de renseignement européen. Jusqu’à présent, les diverses armées européennes sont dépendantes des États-Unis pour leurs renseignements militaires, y compris sur le sol européen.

      À ce jour, chaque pays européen envoie en Ukraine ses propres armes, plus ou moins compatibles entre elles, selon son propre calendrier et sa volonté politique. Les champs de bataille du Donbass servent de terrain de démonstration pour les canons automoteurs français Caesar, dont les journaux télévisés vantent régulièrement les mérites, et les #chars allemands Gepard, anciens, ou Leopard, plus récents. La seule intervention commune de l’Union européenne a été le déblocage d’une enveloppe de financement des livraisons d’armes à l’Ukraine, d’un montant de 5,6 milliards sur six ans, dans laquelle chaque État membre peut puiser. C’est une façon de faciliter l’envoi d’armes en Ukraine aux pays de l’UE les moins riches. Avec l’hypocrisie commune aux fauteurs de guerre, les dirigeants de l’UE ont appelé cette enveloppe «  la facilité européenne pour la paix  »  !

      Vers une économie de guerre  ?

      Pour passer d’une «  guerre échantillonnaire  » à une «  guerre de masse  », la production d’armes doit changer d’échelle. Pour ne parler que d’eux, les fameux canons Caesar de 155 millimètres sont produits en nombre réduit, une grosse dizaine par an, dans les usines #Nexter de Bourges, pour la somme de 5 millions d’euros l’unité. Pour en livrer une douzaine à l’Ukraine, le gouvernement a dû les prélever sur la dotation de l’armée française, qui n’en a plus que 64 en service. Juste avant le début de la guerre en Ukraine, Hervé Grandjean, le porte-parole des armées, rappelait les objectifs de l’armée française pour 2025  : «  200 chars Leclerc, dont 80 rénovés, 135 #blindés_Jaguar, 3 300 #blindés_légers, 147 hélicoptères de reconnaissance et d’attaque dont 67 Tigre, 115 #hélicoptères de manœuvre, 109 #canons de 155 et 20 drones tactiques notamment  ». En comparaison, et même si les chars des différentes armées n’ont ni les mêmes caractéristiques ni la même valeur, en trois mois de guerre en Ukraine, plus de 600 chars russes ont été détruits ou mis hors service.

      La guerre en Ukraine devrait donc permettre aux militaires d’obtenir davantage de coûteux joujoux. Ils ont reçu le soutien inconditionnel du président de la Cour des comptes, l’ex-socialiste Pierre Moscovici, pour qui «  l’aptitude des armées à conduire dans la durée un combat de haute intensité n’est pas encore restaurée  ». Et dans son discours du 14 juillet, Macron a confirmé une rallonge de 3 milliards d’euros par an pour le budget de l’armée. Mais pour rééquiper en masse les armées européennes, il faut que les capacités de production suivent. Le 13 juin, Le Monde titrait  : «  Le ministère de la Défense réfléchit à réquisitionner du matériel du secteur civil pour refaire ses stocks d’armes  », et précisait  : «  L’État pourrait demander à une PME de mécanique de précision qui ne travaille pas pour le secteur de la défense de se mettre à disposition d’un industriel de l’armement pour accélérer ses cadences.  » Et comme toujours, l’État s’apprête à prendre en charge lui-même «  les capacités de production de certaines PME de la défense, en payant par exemple des machines-outils  ». Les capitalistes n’étant jamais si bien servis que par eux-mêmes, le chef de l’UIMM, le syndicat des patrons de la métallurgie, est désormais #Éric_Trappier, le PDG de Dassault.

      Produire plus massivement du matériel militaire coûtera des dizaines, et même des centaines, de milliards d’euros par an. Il ne suffira pas de réduire encore plus les budgets de la santé ou de l’école. Les sommes engagées seront d’un tout autre niveau. Pour y faire face, les États devront s’endetter à une échelle supérieure. Les gouvernements européens n’ont peut-être pas encore explicitement décidé un tel tournant vers la production en masse de ce matériel militaire, mais les plus lucides de leurs intellectuels s’y préparent. L’économiste et banquier Patrick Artus envisageait dans Les Échos du 8 avril le passage à une telle «  #économie_de_guerre  ». Pour lui, cela aurait trois conséquences  : une hausse des #dépenses_publiques financées par le déficit du budget de l’État avec le soutien des #banques_centrales  ; une forte inflation à cause de la forte demande en énergie et en métaux parce que les #dépenses_militaires et d’infrastructures augmentent  ; enfin la rupture des interdépendances entre les économies des différents pays à cause des ruptures dans les voies d’approvisionnement.

      Avant même que les économies européennes ne soient devenues «  des économies de guerre  », les dépenses publiques au service des capitalistes ne cessent d’augmenter, l’inflation revient en force, aggravée par la spéculation sur les pénuries ou les difficultés d’approvisionnement de telle ou telle matière première. L’#économie_capitaliste est dans une impasse. Elle est incapable de surmonter les contradictions qui la tenaillent, et se heurte une fois de plus aux limites du marché solvable et à la concurrence entre capitalistes, qui engendrent les rivalités entre les puissances impérialistes  ; à la destruction des ressources  ; et à son incapacité génétique d’en planifier l’utilisation rationnelle au service de l’humanité. La course au militarisme est inexorable, car elle est la seule réponse à cette impasse qui soit envisageable par la grande bourgeoisie. Cela ne dépend absolument pas de la couleur politique de ceux qui dirigent les gouvernements. Le militarisme est inscrit dans les gènes du capitalisme.

      Le #militarisme, une fuite en avant inexorable

      Il y a plus d’un siècle, #Rosa_Luxemburg notait que le militarisme avait accompagné toutes les phases d’accumulation du #capitalisme  : «  Il est pour le capital un moyen privilégié de réaliser la plus-value.  » Dans toutes les périodes de crise, quand la rivalité entre groupes de capitalistes pour s’approprier marchés et matières premières se tend, quand le marché solvable se rétrécit, le militarisme a toujours représenté un «  champ d’accumulation  » idéal pour les capitalistes. C’est un marché régulier, quasi illimité et protégé  : «  L’#industrie_des_armements est douée d’une capacité d’expansion illimitée, […] d’une régularité presque automatique, d’une croissance rythmique  » (L’accumulation du capital, 1913). Pour la société dans son ensemble, le militarisme est un immense gâchis de force de travail et de ressources, et une fuite en avant vers la guerre généralisée.

      Pour les travailleurs, le militarisme est d’abord un vol à grande échelle des fruits de leur travail. La production en masse de matériel de destruction massive, ce sont des impôts de plus en plus écrasants pour les classes populaires qui vont réduire leur pouvoir d’achat, ce sont des hôpitaux fermés, des écoles surchargées, des enseignants en sous-effectif, des transports dégradés, c’est un budget de l’État écrasé par la charge de la dette. Pour la #jeunesse, le militarisme, c’est le retour au service militaire, volontaire ou forcé, c’est l’embrigadement derrière le nationalisme, l’utilisation de la guerre en Ukraine pour redonner «  le sens du tragique et de l’histoire  », selon la formule du chef d’état-major des armées, Thierry Burkhard.

      L’évolution ultime du militarisme, c’est la #guerre_généralisée avec la #mobilisation_générale de millions de combattants, la militarisation de la production, la #destruction méthodique de pays entiers, de villes, d’infrastructures, de forces productives immenses, de vies humaines innombrables. La guerre en Ukraine, après celles en Irak, en Syrie, au Yémen et ailleurs, donne un petit aperçu de cette barbarie. La seule voie pour éviter une barbarie plus grande encore, qui frapperait l’ensemble des pays de la planète, c’est d’arracher aux capitalistes la direction de la société.

      Un an avant l’éclatement de la Première Guerre mondiale, #Rosa_Luxemburg concluait son chapitre sur le militarisme par la phrase  : «  À un certain degré de développement, la contradiction [du capitalisme] ne peut être résolue que par l’application des principes du socialisme, c’est-à-dire par une forme économique qui est par définition une forme mondiale, un système harmonieux en lui-même, fondé non sur l’accumulation mais sur la satisfaction des besoins de l’humanité travailleuse et donc sur l’épanouissement de toutes les forces productives de la terre.  » Ni Rosa Luxemburg, ni #Lénine, ni aucun des dirigeants de la Deuxième Internationale restés marxistes, c’est-à-dire communistes, révolutionnaires et internationalistes, n’ont pu empêcher l’éclatement de la guerre mondiale et la transformation de l’Europe en un gigantesque champ de bataille sanglant. Mais cette guerre a engendré la plus grande vague révolutionnaire de l’histoire au cours de laquelle les soldats, ouvriers et paysans insurgés ont mis un terme à la guerre et menacé sérieusement la domination du capital sur la société. L’issue est de ce côté-là.

    • France. Militaires et industriels doutent d’être suffisamment gavés

      Les « promesses déjà annoncées : une hausse de 5 milliards d’euros pour combler le retard dans les drones, un bond de 60 % des budgets des trois agences de renseignement, une relance des commandes dans la défense sol-air , la reconstitution des stocks de munitions. Il a aussi promis plus de navires et de satellites pour l’Outre-Mer, des avancées dans la cyberdéfense, le spatial, la surveillance des fonds marins, le doublement du budget des forces spéciales, et enfin une progression de 40 % des budgets pour la maintenance des équipements, afin d’en accroître les taux de disponibilité.

      Ajouter à cette liste un doublement de la réserve, une participation potentiellement accrue au service national universel, la promesse de dégager 10 milliards pour l’innovation... « Toutes les lignes budgétaires vont augmenter, sauf la provision pour les opérations extérieures », a déclaré le ministre. Selon lui, les dépenses pour aider l’armée ukrainienne ne seront pas imputées sur le budget des armées. Ce dont beaucoup de militaires doutent. Un partage des frais entre ministères est plus probable.

      (Les Échos)

    • Pour eux, la guerre n’est pas une tragédie, mais une aubaine.

      Entre 2018 et 2022, la France a vu sa part dans les ventes mondiales d’armes passer de 7 à 11 %.

      Actuellement 3e sur le marché de l’armement, elle se rapproche de la 2e place. Un record qui contribue à la surenchère guerrière, en Ukraine et ailleurs, et qui alimente les profits des marchands d’armes.

    • La nouvelle #loi_de_programmation_militaire a été présentée en Conseil des ministres ce mardi 4 avril. Un budget de la défense en hausse de 40 % par rapport à la #LPM 2019-2025. Un montant historique

      D’autant que la LPM 2024-2030 n’inclura pas le montant de l’aide militaire à l’#Ukraine

      La politique de l’actuel président de la République contraste avec celle de ses prédécesseurs. Comme beaucoup de ses voisins, la France a vu ses dépenses de défense diminuer depuis la fin de la #guerre_froide

      Réarmement spectaculaire de la #Pologne par le biais de la Corée du Sud

      « Ce pays est en première ligne et sera potentiellement une grande puissance militaire en 2030 », a affirmé Bruno Tertrais, directeur adjoint de la Fondation pour la recherche stratégique lors de son audition au Sénat. Le 30 janvier dernier, le Premier ministre polonais a ainsi annoncé que le budget de la défense atteindrait 4 % du PIB en 2023.

      #militarisation #budget_de_la_défense

    • On ne prépare une guerre qu’à la condition de pouvoir la gagner. Et en l’état, les occidentaux commencent tout juste à comprendre que ce qu’ils pensaient assuré (première frappe nucléaire et bouclier ABM) de la part des américains, n’est finalement pas du tout si assuré que cela et que même, ma foi, la guerre est peut-être déjà perdue.

    • En l’état, ce n’est pas la guerre. Mais, oui, ils s’y préparent.

      Et cette nouvelle guerre mondiale ne sera pas déclenchée nécessairement quand ils seront certains de « pouvoir la gagner ».

    • L’Union européenne et ses obus : un petit pas de plus vers une économie de guerre
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/05/10/lunion-europeenne-et-ses-obus-un-petit-pas-de-plus-vers-une-

      Mercredi 3 mai, le commissaire européen Thierry Breton a présenté son plan pour produire un million de munitions lourdes par an. Les industries d’armement européennes ne sont plus adaptées au rythme de production nécessaire pour des guerres de « haute intensité », ou même simplement telle que celle en Ukraine.

      Alors que l’armée ukrainienne tire 5 000 obus d’artillerie par jour de combat, la production annuelle du fabricant français Nexter ne permettrait de tenir ce rythme... que huit jours. Thierry Breton a annoncé une enveloppe de 500 millions d’euros pour stimuler dans ce sens les industriels de l’Union européenne. Elle fait partie d’un plan de deux milliards d’euros annoncé fin mars pour fournir des obus à l’armée de Kiev, sous prétexte « d’aider » l’Ukraine. Il s’agit d’abord de puiser dans les stocks nationaux, puis de passer des commandes, et enfin de remplir les caisses des industriels pour qu’ils produisent plus vite.

      Les sommes déployées par l’UE sont très marginales par rapport aux dépenses faites par chaque puissance impérialiste pour financer son propre armement et enrichir ses capitalistes de l’armement. Ainsi, la programmation militaire française a augmenté de 100 milliards d’euros, tandis que le gouvernement allemand promet, lui, 100 milliards pour moderniser son armée.

      L’annonce européenne vise sans doute surtout à afficher à l’échelle du continent, donc aux yeux d’un demi-milliard d’Européens, que l’on va vers une économie de guerre et qu’il faut s’y adapter dès maintenant. Dans ce qu’a déclaré Thierry Breton, il y a aussi l’idée de s’attaquer à tous les goulots d’étranglement qui bloquent cette marche vers une économie de guerre. Il prévoit des dérogations aux règles européennes, déjà peu contraignantes, sur le temps de travail, c’est-à-dire de donner carte blanche aux patrons pour allonger la journée de travail dans les usines concernées. Le flot d’argent public dépensé en armement, que ce soit au niveau des États ou de l’Union européenne, sera pris sur la population d’une façon ou une autre. Chaque milliard en plus pour les obus signifiera un hôpital en moins demain.