• #TuNur, il modello di esportazione di energia verde dal Nord Africa all’Ue

    Un’impresa britannico-tunisina sta progettando una gigantesca centrale solare a nel deserto della Tunisia, un impianto che richiede un enorme consumo d’acqua. L’energia verde però andrà solo all’Europa.

    Produrre energia pulita a basso costo tra le soleggiate dune del deserto del Sahara è stato per decenni il sogno di diverse aziende private, alla costante ricerca di nuove fonti energetiche. “Il Sahara può generare abbastanza energia solare da coprire l’intero fabbisogno del globo” è un mantra ripetuto più o meno frequentemente, da aziende e lobby, a seconda della congiuntura economica o politica.

    Tra costi esorbitanti e accordi internazionali irrealizzabili, i progetti di esportazione di energia solare dal Nord Africa all’Europa sono però stati messi da parte per anni. Tornano di attualità oggi, nel contesto di crisi energetica legata alla guerra in Ucraina. Con un inverno freddo alle porte, senza il gas russo, gli Stati europei puntano gli occhi sulle contese risorse dei vicini meridionali. Con l’impennata dei prezzi dei combustibili fossili, la transizione energetica non è più semplicemente urgente in funzione della crisi climatica, ma anche economicamente conveniente, quindi finanziariamente interessante.

    A maggio 2022 l’Unione europea ha annunciato di voler aumentare gli obiettivi di energia prodotta da fonti rinnovabili fino al 40% entro il 2030, dotandosi di 600 GWh supplementari di energia solare. Ma il vecchio continente non ha né lo spazio né le risorse per produrre internamente la totalità del proprio fabbisogno di energia verde. Ed ecco che gli annunci di mega progetti di centrali solari in Nord Africa, così come quelli di cavi sottomarini nel mediterraneo, non fanno che moltiplicarsi.

    Il miracolo del sole africano torna a suggestionare un’Europa che ancora fatica a liberarsi del proprio retaggio coloniale quando guarda alla riva sud del Mediterraneo. Buona parte delle compagnie che promettono energia pulita importata continuano a raccontare una favola distorta e romanticizzata dei deserti: terre vuote, inutili, da colonizzare.

    Una narrazione contestata da chi, invece, quel deserto lo abita: «Non ci opponiamo alle rinnovabili, ma chiediamo una transizione energetica equa, che prenda in considerazione le rivendicazioni sociali e ambientali locali e non riproduca le dinamiche dell’industria fossile», ripetono le comunità che osservano l’installazione dei pannelli solari europei dalla finestra di casa.
    La transizione europea si farà sulle spalle del Nord Africa?

    Lungo il confine fra Tunisa e Algeria, a 120 chilometri dalla città più vicina, Kebilli, l’unica strada che porta a Rjim Maatoug è percorsa avanti e indietro dai camion cisterna che vanno ai giacimenti di petrolio e gas del Sud tunisino. Cittadina in mezzo al deserto negli anni ‘80 monitorata dai soldati del Ministero della difesa tunisino, Rjim Maatoug è stata costruita ad hoc con l’aiuto di fondi europei, e in particolar modo dell’Agenzia Italiana per lo Sviluppo e la cooperazione (AICS).

    Un tempo abitato da comunità nomadi, il triangolo desertico che delimita il confine tunisino con l’Algeria da un lato, la Libia dall’altro, è oggi un’immensa zona militare accessibile ai non residenti solo con un permesso del Ministero della difesa. Questi terreni collettivi sono da sempre la principale fonte di sostentamento delle comunità del deserto, che un tempo si dedicavano all’allevamento. Occupate durante la colonizzazione francese, queste terre sono state recuperate dallo Stato dopo l’indipendenza nel 1957, poi concesse a compagnie private straniere, principalmente multinazionali del petrolio. Prima nella lista: l’italiana #Eni.

    In questa zona, dove la presenza statale è vissuta come una colonizzazione interna, villaggi identici delimitati da palmeti si sussegono per 25 chilometri. «Abbiamo costruito questa oasi con l’obiettivo di sedentarizzare le comunità nomadi al confine», spiega uno dei militari presenti per le strade di Rjim Maatoug. Dietro all’obiettivo ufficiale del progetto – “frenare l’avanzata del deserto piantando palmeti” – si nasconde invece un’operazione di securizzazione di un’area strategica, che ha radicalmente modificato lo stile di vita delle comunità locali, privandole dei loro mezzi di sussistenza. Un tempo vivevano nel e del deserto, oggi lavorano in un’immensa monocultura di datteri.

    È di fronte alla distesa di palme di Rjim Maatoug, piantate in centinaia di file parallele, che la società tunisino-britannica TuNur vuole costruire la sua mega centrale solare. L’obiettivo: «Fornire elettricità pulita a basso costo a 2 milioni di case europee», annuncia la società sul suo sito internet.

    Per la sua vicinanza all’Italia (e quindi all’Europa), la Tunisia è il focus principale delle aziende che puntano a produrre energia solare nel deserto. In Tunisia, però, solo il 3% dell’elettricità per ora è prodotta a partire da fonti rinnovabili. Nell’attuale contesto di grave crisi finanziaria, il Paese fatica a portare avanti i propri ambiziosi obiettivi climatici (35% entro il 2030). Ma l’opportunità di vendere energia all’Ue sembra prendersi di prepotenza la priorità sulle necessità locali, anche grazie a massicce operazioni di lobbying.

    TuNur si ispira apertamente alla Desertec Industrial Initiative (Dii), un progetto regionale abbandonato nel 2012, portato avanti all’epoca da alcuni tra gli stessi azionisti che oggi credono in TuNur. Desertec mirava all’esportazione di energia solare prodotta nel Sahara attaverso una rete di centrali sparse tra il Nord Africa e il Medio Oriente per garantire all’Europa il 15% del proprio fabbisogno di elettricità entro il 2050. Se neanche il progetto pilota è mai stato realizzato, i vertici della compagnia proiettavano i propri sogni su due deserti in particolare: quello tunisino e quello marocchino.

    Oggi il progetto è stato relativamente ridimensionato. La centrale tunisina TuNur prevede di produrre 4,5 GWh di elettricità – il fabbisogno di circa cinque milioni di case europee – da esportare verso Italia, Francia e Malta tramite cavi sottomarini.

    Il progetto è sostenuto da una manciata di investitori, ma i dipendenti dell’azienda sono solo quattro, conferma il rapporto del 2022 di TuNur consultato da IrpiMedia. Tra questi, c’è anche il direttore: il volto dell’alta finanza londinese Kevin Sara, fondatore di diversi fondi di investimenti nel Regno Unito, ex membro del gigante finanziario giapponese Numura Holdings e della cinese Astel Capital. Affiancato dal direttore esecutivo, l’inglese Daniel Rich, Sara è anche amministratore delegato dello sviluppatore di centrali solari Nur Energie, società che, insieme al gruppo maltese Zammit, possiede TuNur ltd. Il gruppo Zammit, che raccoglie imprese di navigazione, bunkering, e oil&gas, è apparso nel 2017 nell’inchiesta Paradise Papers sugli investimenti offshore. Il braccio tunisino del comitato dirigente, invece, è un ex ingegnere petrolifero che ha lavorato per anni per le multinazionali del fossile Total, Shell, Noble Energy e Lundin, Cherif Ben Khelifa.

    Malgrado le numerose richieste di intervista inoltrate alla compagnia, TuNur non ha mai risposto alle domande di IrpiMedia.

    TuNur opera in Tunisia dalla fine del 2011, ed ha più volte annunciato l’imminente costruzione della mega centrale. Finora, però, neanche un pannello è stato installato a Rjim Maatoug, così che numerosi imprenditori del settore hanno finito per considerare il progetto “irrealistico”, anche a causa dei costi estremamente elevati rispetto al capitale di una compagnia apparentemente piccola. Eppure, ad agosto 2022 l’amministratore delegato di TuNur annunciava all’agenzia Reuters «l’intenzione di investire i primi 1,5 miliardi di euro per l’installazione della prima centrale». Non avendo potuto parlare con l’azienda resta un mistero da dove venga, e se ci sia davvero, un capitale così importante pronto per essere investito.

    Ma che la società sia ancora alla ricerca del capitale necessario, lo spiega lo stesso direttore esecutivo Daniel Rich in un’intervista rilasciata a The Africa Report nel 2022, affermando che TuNur ha incaricato la società di consulenza britannica Lion’s Head Global Partners di cercare investimenti. Poco dopo queste dichiarazioni, Rich ha ottenuto un incontro con il Ministero dell’energia. Anticipando i dubbi delle autorità, ha assicurato «la volontà del gruppo di espandere le proprie attività in Tunisia grazie ai nuovi programmi governativi». Secondo i documenti del registro di commercio tunisino, la sede tunisina della società TuNur – registrata come generica attività di “ricerca e sviluppo” – possiede un capitale di appena 30.000 dinari (10.000 euro). Una cifra infima rispetto a quelle necessarie ad eseguire il progetto.

    Secondo Ali Kanzari, il consulente principale di TuNur in Tunisia, nonché presidente della Camera sindacale tunisina del fotovoltaico (CSPT), il progetto si farà: «Il commercio Tunisia-Europa non può fermarsi ai datteri e all’olio d’oliva», racconta nel suo ufficio di Tunisi, seduto accanto ad una vecchia cartina del progetto. Ai suoi occhi, la causa del ritardo è soprattutto «la mancanza di volontà politica». «La Tunisia è al centro del Mediterraneo, siamo in grado di soddisfare il crescente fabbisogno europeo di energia verde, ma guardiamo al nostro deserto e non lo sfruttiamo», conclude.
    Ouarzazate, Marocco: un precedente

    La Tunisia non è il primo Paese nordafricano sui cui le compagnie private hanno puntato per sfruttare il “potenziale solare” del deserto. Il progetto di TuNur è ricalcato su quello di una mega centrale solare marocchina fortemente voluta da re Mohamed VI, diventata simbolo della transizione del Paese della regione che produce più elettricità a partire da fonti rinnovabili (19% nel 2019).

    Nel febbraio 2016, infatti, il re in persona ha inaugurato la più grande centrale termodinamica del mondo, Noor (suddivisa in più parti, Noor I, II, III e IV). Acclamato dai media, il progetto titanico Noor, molto simile a TuNur, non produce per l’esportazione, ma per il mercato interno ed ha una capacità di 580 MWh, solo un ottavo del progetto tunisino TuNur. Il sito è attualmente gestito dal gruppo saudita ACWA Power insieme all’Agenzia marocchina per l’energia sostenibile (MASEN). Secondo quanto si legge sul sito della società, anche Nur Energie, azionista di TuNur e di Desertec, avrebbe partecipato alla gara d’appalto.

    Nel paesaggio desertico roccioso del Marocco sud-orientale, a pochi chilometri dalla città di Ouarzazate, ai piedi della catena dell’Alto Atlante, centinaia di pannelli si scorgono a distanza tra la foschia. Sono disposti in cerchio intorno a una torre solare, e si estendono su una superficie di 3.000 ettari. Si tratta di specchi semiparabolici che ruotano automaticamente durante il giorno per riflettere i raggi solari su un tubo sottile posto al centro, da dove un liquido viene riscaldato, poi raccolto per alimentare una turbina che produce elettricità. Così funziona la tecnologia CSP (Concentrated Solar Power) riproposta anche per il progetto tunisino TuNur. «Con il CSP possiamo immagazzinare energia per una media di cinque ore, il che è molto più redditizio rispetto all’uso delle batterie», afferma Ali Kanzari, consulente principale della centrale TuNur, che vuole utilizzare la stessa tecnologia.

    Diversi grandi gruppi tedeschi sono stati coinvolti nella costruzione del complesso marocchino Noor. Ad esempio, il gigante dell’elettronica Siemens, che ha prodotto le turbine CSP. Secondo il media indipendente marocchino Telquel, i finanziatori del progetto – la Banca Mondiale e la banca tedesca per lo sviluppo Kfw – avrebbero perorato l’adozione di questa tecnologia, difendendo gli interessi dei produttori tedeschi, mentre gli esperti suggerivano – e suggeriscono tutt’ora – una maggiore cautela. La causa: l’elevato consumo di acqua di questo tipo di tecnologia durante la fase di raffreddamento.

    La valutazione dell’impatto ambientale effettuata prima della costruzione del progetto, consultata da IrpiMedia, prevede un consumo idrico annuale di sei milioni di metri cubi provenenti dalla diga di El Mansour Eddahbi, situata a pochi chilometri a est di Ouarzazate, che attualmente dispone solo del 12% della sua capacità totale. «Tuttavia, è impossibile ottenere statistiche ufficiali sul consumo effettivo, che sembra molto maggiore», osserva la ricercatrice Karen Rignall, antropologa dell’Università del Kentucky e specialista della transizione energetica in zone rurali, che ha lavorato a lungo sulla centrale solare di Noor.

    Il Marocco attraversa una situazione di «stress idrico strutturale», conferma un rapporto della Banca Mondiale, e la regione di Ouarzazate è proprio una delle più secche del Paese. Nella valle del Dadès, accanto alla centrale Noor, dove scorre uno degli affluenti della diga, gli agricoltori non hanno dubbi e chiedono un’altra transizione rinnovabile, che apporti riscontri positivi anche alle comunità della zona: «La nostra valle è sull’orlo del collasso, non possiamo stoccare l’acqua perché questa viene deviata verso la diga per le esigenze della centrale solare. Per noi Noor è tutt’altro che sostenibile», afferma Yousef il proprietario di una cooperativa agricola, mentre cammina tra le palme secche di un’oasi ormai inesistente, nella cittadina di Suq el-Khamis.

    In questa valle, conosciuta per le coltivazioni di una varietà locale di rosa, molti villaggi portano il nome del oued – il fiume, in arabo – che un tempo li attraversava. Oggi i ponti attraversano pietraie asciutte, e dell’acqua non c’è più traccia. I roseti sono secchi. A metà ottobre, gli abitanti della zona di Zagora, nella parallela ed egualmente secca valle di Draa, sono scesi in piazza per protestare contro quello che considerano water grabbing di Stato, chiedendo alle autorità una migliore gestione della risorsa. «In tanti stanno abbandonando queste aree interne, non riescono più a coltivare», spiega il contadino.

    Nel silenzio dei media locali, le manifestazioni e i sit-in nel Sud-Est del Marocco non fanno che moltiplicarsi. I movimenti locali puntano il dito contro la centrale solare e le vicine miniere di cobalto e argento, che risucchiano acqua per estrare i metalli rari. «In entrambi i casi si tratta di estrattivismo. Sono progetti che ci sono stati imposti dall’alto», spiega in un caffè di Ouarzazate l’attivista Jamal Saddoq, dell’associazione Attac Marocco, una delle poche ad occupasi di politiche estrattiviste e autoritarismo nel Paese. «È paradossale che un progetto che è stato proposto agli abitanti come soluzione alla crisi climatica in parte finisca per esserne responsabile a causa di tecnologie obsolete e dimensioni eccessive», riassume la ricercatrice Karen Rignall.

    È una centrale molto simile, ma di dimensioni nove volte maggiori, quella che TuNur intende installare nel deserto tunisino, dove l’agricoltura subisce già le conseguenze della siccità, di un’eccessiva salinizzazione dell’acqua a causa di infiltrazioni nella falda acquifera e di una malagestione delle risorse idriche. Secondo i dati dell’associazione Nakhla, che rappresenta gli agricoltori delle oasi nella regione di Kebili (dove si trova Rjim Maatoug), incontrata da IrpiMedia, viene pompato il 209% in più delle risorse idriche disponibili annualmente.

    La monetizzazione del deserto

    Eppure, ancora prima della pubblicazione della gara d’appalto del Ministero dell’energia per una concessione per l’esportazione, prerequisito per qualsiasi progetto di energia rinnovabile in Tunisia, e ancor prima di qualsiasi studio di impatto sulle risorse idriche, nel 2018 TuNur ha «ottenuto un accordo di pre-locazione per un terreno di 45.000 ettari tra le città di Rjim Maatoug e El Faouar», riferisce Ali Kanzari, senior advisor del progetto, documenti alla mano.

    Per il ricercatore in politiche agricole originario del Sud tunisino Aymen Amayed, l’idea dell’”inutilità” di queste aree è frutto di decenni di politiche fondarie portate avanti dall’epoca della colonizzazione francese. Le terre demaniali del Sud tunisino sono di proprietà dello Stato. Come in Marocco e in altri Paesi nord africani, le comunità locali ne rivendicano il possesso, ma queste vengono cedute alle compagnie private. «Queste terre sono la risorsa di sostentamento delle comunità di queste regioni, – spiega Aymen Amayed – Lo Stato ne ha fatto delle aree abbandonate, riservate a progetti futuri, economicamente più redditizi e ad alta intensità di capitale, creando un deserto sociale».

    TuNur promette di creare più di 20.000 posti di lavoro diretti e indiretti in una regione in cui il numero di aspiranti migranti verso l’Europa è in continua crescita. Ma nel caso di questi mega-progetti, «la maggior parte di questi posti di lavoro sono necessari solo per la fase di costruzione e di avvio dei progetti», sottolinea un recente rapporto dell’Osservatorio tunisino dell’economia. A confermarlo, è la voce degli abitanti della zona di Ouarzazate, in Marocco, che raccontano di essersi aspettati, senza successo, «una maggiore redistribuzione degli introiti, un posto di lavoro o almeno una riduzione delle bollette».

    La caratteristica di questi mega progetti è proprio la necessità di mobilitare fin dall’inizio una grande quantità di capitale. Tuttavia, «la maggior parte degli attori pubblici nei Paesi a Sud del Mediterraneo, fortemente indebitati e dipendenti dai finanziamenti delle istituzioni internazionali, non possono permettersi investimenti così cospicui, così se ne fanno carico gli attori privati. In questo modo i profitti restano al privato, mentre i costi sono pubblici», spiega il ricercatore Benjamin Schütze, ricercatore in relazioni internazionali presso l’Università di Friburgo (Germania) che lavora sul rapporto tra autoritarismo ed estrattivismo green.

    Questa dinamica è illustrata proprio dalla mega centrale solare marocchina Noor. Fin dalla sua costruzione, l’impianto marocchino è risultato economicamente insostenibile: l’Agenzia marocchina per l’energia sostenibile (MASEN) ha garantito alla società privata saudita che lo gestisce un prezzo di vendita più elevato del costo medio di produzione dell’energia nel Paese. Un divario che costa allo Stato marocchino 800 milioni di dirham all’anno (circa 75 milioni di euro), anche a causa della scelta di una tecnologia costosa e obsoleta come il CSP, ormai sostituito dal fotovoltaico. A sostenerlo è il rapporto sulla transizione energetica del Consiglio economico, sociale e ambientale (CESE), un’istituzione consultiva indipendente marocchina. Le critiche emesse dal CESE sul piano solare marocchino sono costate il posto al direttore e a diversi esponenti dell’agenzia MASEN, anche se vicini al re.

    Per questi motivi, sostiene il ricercatore tedesco, i mega-progetti che richiedono una maggiore centralizzazione della produzione sono più facilmente realizzabili in contesti autoritari. In Tunisia, se per un certo periodo proprio il difficile accesso a terreni contesi ha rappresentato un ostacolo, la legislazione è cambiata di recente: il decreto legge n. 2022-65 del 19 ottobre 2022, emesso in un Paese che dal 25 luglio 2021 è senza parlamento, legalizza l’esproprio di qualsiasi terreno nel Paese per la realizzazione di un progetto di “pubblica utilità”. Una porta aperta per le compagnie straniere, non solo nell’ambito energetico.

    Lobbying sulle due rive

    Ma perché la porta si spalanchi, ai privati serve soprattutto una legislazione adatta. Anche se per ora la mega centrale TuNur esiste solo su carta, la società sembra esser stata riattivata nel 2017, pur rimanendo in attesa di una concessione per l’esportazione da parte del Ministero dell’energia tunisino.

    Se c’è però un settore nel quale la compagnia sembra essere andata a passo spedito negli ultimi anni, questo è proprio quello del lobbying. A Tunisi come a Bruxelles. Dal 2020, l’azienda viene inserita nel Registro della trasparenza della Commissione europea, che elenca le compagnie che tentano di influenzare i processi decisionali dell’Ue. Secondo il registro, TuNur è interessata alla legislazione sulle politiche energetiche e di vicinato nel Mediterraneo, al Green Deal europeo e alla Rete europea dei gestori dei sistemi di trasmissione di energia elettrica, un’associazione che rappresenta circa quaranta gestori di diversi Paesi. La sede italiana della compagnia TuNur è stata recentemente inclusa nel piano decennale di sviluppo della rete elettrica Ue dalla Rete europea.

    «Abbiamo bisogno che lo Stato ci dia man forte così da poter sviluppare una roadmap insieme ai Paesi europei, in modo che l’energia pulita tunisina possa risultare competitiva sul mercato», spiega il consulente Ali Kanzari consultando un dossier di centinaia di pagine. E conferma: TuNur ha già preso contatti con due società di distribuzione elettrica, in Italia e in Francia. Anche in Tunisia le operazioni di lobbying della società, e più in generale dei gruppi privati presenti nel Paese, sono cosa nota. «Questo progetto ha costituito una potente lobby con l’obiettivo di ottenere l’inclusione di disposizioni sull’esportazione nella legislazione sulle energie rinnovabili», conferma un rapporto sull’energia dell’Observatoire Tunisien de l’Economie, che analizza le ultime riforme legislatve e i casi di Desertec e TuNur.

    Approvata nel 2015, la legge n. 2015-12 sulle energie rinnovabili ha effettivamente aperto la strada ai progetti di esportazione di energia verde. A tal fine, ha quindi autorizzato la liberalizzazione del mercato dell’elettricità in Tunisia, fino ad allora monopolio della Socetà tunisina dell’Elettricità e del Gas (STEG), di proprietà statale, fortemente indebitata. La legge favorisce il ricorso a partenariati pubblico-privato, i cosidetti PPP.

    «Alcune raccomandazioni dell’Agenzia tedesca per la cooperazione internazionale allo sviluppo (GIZ) e dell’Iniziativa industriale Desertec (Dii) hanno anticipato alcune delle misure contenute nella legge del 2015», sottolinea ancora il rapporto dell’Osservatorio economico tunisino. Emendata nel 2019, la legge sulle rinnovabili è stata fortemente contestata da un gruppo di sindacalisti della società pubblica STEG, che chiedono che il prezzo dell’elettricità rimanga garantito dallo Stato.

    Dopo aver chiesto formalmente che la non-privatizzazione del settore nel 2018, due anni più tardi, in piena pandemia, i sindacalisti della STEG hanno bloccato la connessione alla rete della prima centrale costruita nel Paese, a Tataouine, che avrebbe quindi aperto il mercato ai privati. Cofinanziata dall’Agenzia francese per lo sviluppo (AFD), la centrale fotovoltaica da 10 MW appartiene alla società SEREE, una joint venture tra la compagnia petrolifera italiana Eni e la compagnia petrolifera tunisina ETAP.

    «Chiediamo allo Stato di fare un passo indietro su questa legge, che è stata ratificata sotto la pressione delle multinazionali. Non siamo contrari alle energie rinnovabili, ma chiediamo che rimangano a disposizione dei tunisini e che l’elettricità resti un bene pubblico», spiega in forma anonima per timore di ritorsioni uno dei sindacalisti che hanno partecipato al blocco, incontrato da IrpiMedia. Tre anni dopo la fine dei lavori e un lungo braccio di ferro tra governo e sindacato, la centrale solare di Tataouine è infine stata collegata alla rete elettrica all’inizio di novembre 2022.

    «Sbloccare urgentemente il problema della connessione delle centrali elettriche rinnovabili» è del resto una delle prime raccomandazioni citate in un rapporto interno, consultato da IrpiMedia, che la Banca Mondiale ha inviato al Ministero dell’economia tunisino alla fine del 2021. Anche l’FMI, con il quale la Tunisia ha concluso ad ottobre un accordo tecnico, incoraggia esplicitamente gli investimenti privati nelle energie rinnovabili attraverso il programma di riforme economiche presentato alle autorità, chiedendo tra l’altro la fine delle sovvenzioni statali all’energia. «Con la crisi del gas russo in Europa, la pressione nei nostri confronti è definitivamente aumentata», conclude il sindacalista.

    Nonostante un impianto legale che si è adattato ai progetti privati, i lavori di costruzione di buona parte delle centrali solari approvate in Tunisia, tutti progetti vinti da società straniere, sono rimasti bloccati. Il motivo: «La lentezza delle procedure amministrative. Nel frattempo, durante l’ultimo anno il costo delle materie prime è aumentato notevolmente sul mercato internazionale», spiega Omar Bey, responsabile delle relazioni istituzionali della società francese Qair Energy. «Il budget con il quale sono stati approvati i progetti qualche anno fa, oggi manderebbe le compagnie in perdita».

    Solo le multinazionali del fossile quindi sembano potersi permettere gli attuali prezzi dei pannelli solari da importare. «Non è un caso che l’unica centrale costruita in tempi rapidi e pronta ad entrare in funzione appartiene alla multinazionale del petrolio Eni», confida una fonte interna alla compagnia petrolifera tunisina ETAP. Le stesse multinazionali erano presenti al Salone internazionale della transizione energetica, organizzato nell’ottobre 2022 dalla Camera sindacale tunisina del fotovoltaico (CSPT), di cui TuNur è membro, riunite sotto la bandiera di Solar Power Europe, un’organizzazione con sede a Bruxelles. Sono più di 250 le aziende che ne fanno parte, tra queste TotalEnergies, Engie ed EDF, le italiane ENI, PlEnitude ed Enel, ma anche Amazon, Google, Huawei e diverse società di consulenza internazionali. Società con obiettivi diversi, spesso concorrenti, si riuniscono così di fronte all’esigenza comune di influenzare le autorità locali per rimodellare la legge a proprio piacimento.

    L’associazione di lobbying, infatti, si è presentata con l’obiettivo esplicito qui di «individuare nuove opportunità di business» e «ridurre gli ostacoli legislativi, amministrativi e finanziari allo sviluppo del settore». Per il consulente di TuNur Ali Kanzari, «la legge del 2015 non è sufficientemente favorevole alle esportazioni e va migliorata».

    Se gli studi tecnici e d’impatto per collegare le due rive si moltiplicano, sono sempre di più le voci che si levano a Sud del Mediterraneo per reclamare una transizione energetica urgente e rapida sì, ma innanzitutto equa, cioè non a discapito degli imperativi ambientali e sociali delle comunità locali a Sud del Mediterraneo «finendo per riprodurre meccanismi estrattivi e di dipendenza simili a quelli dell’industria fossile», conclude il ricercatore Benjamin Schütze. Molti sindacati e associazioni locali in Tunisia, in Marocco e nel resto della regione propongono un modello decentralizzato di produzione di energia verde, garanzia di un processo di democratizzazione energetica. Proprio il Partenariato per una Transizione energetica equa (Just Energy Transition Partnership) è al centro del dibattito di una COP27 a Sud del Mediterraneo.

    https://irpimedia.irpi.eu/greenwashing-tunur-energia-verde-da-nord-africa-a-europa
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  • Opération Occupation Opéra !
    https://expansive.info/Operation-Occupation-Opera-2320

    Le collectif de soutien aux personnes sans papiers de #Rennes occupe l’Opéra, place de la mairie, pour réclamer des logements dignes pour toutes les personnes à la rue ! Rejoignons-les ! #Info_locale

    / #Manchette, #Migrations_-_Luttes_contre_les_frontières, #Logement_-_Squat, Rennes, #Migrant·es, #CSP_35

    http://alter1fo.com/opera-rennes-occupation-collectif-127930

  • Livre | Chroniques de l’asile, Aldo Brina
    https://asile.ch/2020/05/09/livre-chroniques-de-lasile-aldo-brina

    https://asile.ch/wp-content/uploads/2020/05/Capture-d’ecran-2020-05-07-10.29.31.png

    Dans ses Chroniques de l’asile, parues en mars 2020, Aldo Brina raconte son quotidien au sein d’un petit groupe de combattants qui se démène pour faire face aux injustices du droit d’asile en Suisse : le Secteur réfugiés du Centre social protestant, à Genève, dont il est chargé d’information et de projets. Une équipe dont […]

  • Le nouveau visage de la #pauvreté

    Plus de 2500 personnes ont fait la queue samedi pour obtenir un #colis_alimentaire. La crise du #coronavirus a plongé de nombreuses familles dans la #précarité.

    Une queue de plusieurs centaines de mètres et environ trois heures d’attente pour un colis alimentaire d’une valeur de 20 francs ont jeté brutalement la lumière sur une nouvelle précarité à Genève. Plus de 2500 personnes se sont déplacées samedi à la patinoire des Vernets pour obtenir de quoi tenir.

    Environ 1300 colis ont été distribués – ceux qui n’ont pas pu être servis recevront des bons d’achat alimentaire. Quelques articles hygiéniques, du riz, des pâtes, du sucre, de l’huile, une boîte de thon et deux boîtes de sauce tomate. Le strict minimum.

    Une opération exceptionnelle de par son ampleur, qui n’aurait pu avoir lieu sans l’impulsion de l’association la #Caravane_de_solidarité et sa soixantaine de bénévoles mobilisés vendredi et samedi ainsi qu’aux #dons de privés qui ont afflué tout le week-end. Une #distribution_alimentaire à laquelle les Genevois devront peut-être s’habituer. Il y a un mois, la femme à l’origine de cette organisation – elle souhaite garder l’anonymat, traumatisée par l’arrestation qu’elle a subie il y a quinze jours (notre édition du 20 avril : https://lecourrier.ch/2020/04/19/la-caravane-mene-au-poste) – préparait 150 colis avec son mari. Depuis, la hausse est exponentielle : environ 800 sacs la semaine dernière, 1370 samedi.

    « Sous le radar »

    De rebelle, l’association est devenue partenaire et a obtenu le soutien de la #Ville_de_Genève et des acteurs sociaux institutionnels. La #distribution de samedi s’est donc faite en collaboration avec le #Centre_social_protestant, les #pompiers volontaires de la Ville pour les aspects logistiques, #Médecins_sans_frontières pour le concept sanitaire et enfin les #Colis_du_cœur et la #fondation_Partage pour la #nourriture et les #bons. Les #Hôpitaux_universitaires, eux aussi, étaient présents et proposaient un #accès_aux_soins. Les services sociaux de la Ville de Genève étaient là également afin d’orienter les personnes qui en auraient besoin vers des dispositifs moins ponctuels.

    « Cette crise a révélé une #précarité_invisible, sous le radar des institutions. Celle de familles qui s’en sortaient juste-juste et qui ont soudainement basculé dans la pauvreté », explique Alain Bolle, directeur du Centre social protestant. Selon lui, ces familles qui vivotaient et qui ont perdu brutalement leurs revenus sont avant tout des personnes en situation irrégulière. « On ne peut pas parler de cette situation sans évoquer #Papyrus (l’opération genevoise de régularisation des personnes #sans-papiers, ndlr). On en a régularisé plus de 2000, leur nombre total est estimé à environ 10 000. On a donc 8000 personnes qui théoriquement n’ont droit à aucune aide et qui ont subi de plein fouet le ralentissement économique. »

    Explosion des demandes

    Les chiffres des Colis du cœur tendent à confirmer les constatations du directeur du #CSP. Selon le dernier comptage jeudi, il y a 7465 personnes qui ont recours à leurs #bons_alimentaires. « Il y en avait moins de 4000 au tout début de la crise. Désormais, c’est environ 500 nouvelles personnes qui s’enregistrent toutes les semaines », assure Alain Bolle. Une situation qui paraît hors de contrôle. Les Colis du cœur n’excluent pas que le nombre de bénéficiaires augmente encore de 2000 à 3000 nouvelles personnes. « Plus la crise se prolongera, plus il y aura du monde », prévient Christophe Jakob, membre de la Caravane de solidarité.

    https://lecourrier.ch/2020/05/03/le-nouveau-visage-de-la-pauvrete
    #Genève #Suisse #faim #opération_papyrus #coronavirus #confinement #covid-19

    ping @thomas_lacroix @isskein :

    « Cette crise a révélé une #précarité_invisible, sous le radar des institutions. Celle de familles qui s’en sortaient juste-juste et qui ont soudainement basculé dans la pauvreté », explique Alain Bolle, directeur du Centre social protestant. Selon lui, ces familles qui vivotaient et qui ont perdu brutalement leurs revenus sont avant tout des personnes en situation irrégulière. « On ne peut pas parler de cette situation sans évoquer #Papyrus (l’opération genevoise de régularisation des personnes #sans-papiers, ndlr). On en a régularisé plus de 2000, leur nombre total est estimé à environ 10 000. On a donc 8000 personnes qui théoriquement n’ont droit à aucune aide et qui ont subi de plein fouet le ralentissement économique. »

    –—

    Ajouté à la métaliste :
    https://seenthis.net/messages/838565

    • A Genève, la pandémie de Covid-19 révèle une misère sociale jusqu’alors invisible

      Plus de 2 000 personnes, sans papiers et travailleurs précaires, ont pu bénéficier d’une aide alimentaire d’urgence en plein centre-ville.

      Jamais Genève, l’une des dix villes les plus riches au monde, n’avait imaginé accueillir une telle distribution de vivres. Une file, longue d’un kilomètre, soit près de 2 200 personnes, s’est formée samedi 2 mai aux abords de la patinoire des Vernets, en plein centre-ville. Au bout de trois heures d’attente, le Graal : des sacs qui contiennent des denrées alimentaires essentielles, riz, pâtes, huile, deux boîtes de sauce tomate et des produits d’hygiène courants, offerts par des particuliers et distribués par les bénévoles de l’association de La Caravane de la solidarité. Leur valeur n’excède pas 20 francs (19 euros). « C’est dire le dénuement de ces personnes, s’alarme un volontaire. On n’a jamais vu ça depuis la fin de la seconde guerre mondiale. »

      Depuis le début du semi-confinement à la mi-mars en Suisse – fondé sur la discipline individuelle plutôt que sur des mesures coercitives –, les associations ont observé la vague des besoins humanitaires monter. Rien qu’à Genève, La Caravane de la solidarité a offert 150 sacs de vivres lors de la première distribution début avril. Puis 800, et enfin près de 1 300. Les Colis du cœur, qui distribuent des bons alimentaires, comptabilisent plus de 7 000 bénéficiaires, contre 4 000 au début de la crise. Genève n’est pas la seule à observer cette augmentation. A Lausanne, dans le canton de Vaud voisin, la soupe populaire distribuait chaque jour 250 repas jusqu’en décembre 2019. Elle en sert désormais près de 900 quotidiennement.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2020/05/05/geneve-la-pandemie-de-covid-19-revelateur-d-une-misere-sociale-invisible_603

  • Facebook , gangster aux 55 milliards de dollars Pia de Quatrebarbes - 21 Juin 2019 - Solidaire
    https://www.solidaire.org/articles/facebook-gangster-aux-55-milliards-de-dollars

    Un chiffre d’affaire de plus de 55 milliards de dollars en 2018 : en quinze ans, le réseau aux 2,2 milliards « d’amis » a engrangé un paquet de fric sur nos informations, quitte à s’asseoir sur quelques lois. Un « #gangster_numérique », a tranché le parlement britannique dans un rapport au vitriol... Comment le réseau social qui voulait « rendre le monde meilleur » en est-il arrivé la ?


    Photo Wachiwit /iStock

    En 2008, quand Facebook débarque en France, c’est la ruée sur les « murs ». On y voit alors un formidable moyen de communiquer, partager des photos, personne ne s’y informe encore, mais on y dissémine naïvement des informations aux quatre vents : scolarité, opinion, statut amoureux....et déjà on #like. Rien de grave a priori, #Mark_Zuckerberg, le concepteur du réseau souhaite alors « rendre le monde meilleur ». Pas « le conquérir, seulement rendre les gens plus ouverts et connectés ».

    L’histoire est typique des innovations du web. 4 ans auparavant, dans sa chambre de Harvard, à Boston, le petit génie veut rencontrer des filles, il crée alors avec des camarades un #trombinoscope des étudiants, « The Facebook ». Les universités américaines s’y branchent, puis les lycées et collèges – Il suffit d’avoir 13 ans et une adresse mail. Et bientôt le monde entier : 2,2 milliards d’utilisateurs, un chiffre d’affaires de 55 milliards de dollars, et le 3e site internet le plus visité.

    De ses utilisateurs, il sait à peu près tout !
    Mais 15 ans après, sa firme est devenue un « gangster numérique au dessus des lois ». La sentence est venue mi-février de la Commission du numérique, de la culture et des médias du #Parlement_britannique. Pendant 18 mois, elle a planché sur le scandale #Cambridge_Analytica. Une centaine de témoins ont été auditionnés, mais le PDG de Facebook, lui, a refusé... A la lecture des 110 pages, on comprend pourquoi et comment #Mark_Zuckerberg a choisi « le profit avant la vie privée ».

    Comprenons bien : Que Facebook sait-il de ses utilisateurs ? A peu près tout ! « La pratique la plus problématique, c’est la captation systématique de nos données personnelles », explique Sylvain Steer, enseignant en droit et membre de l’association la Quadrature du Net. Pour les « amis », ce sont donc les contenus publics, les messages privés sur #Messenger, la listes des personnes, pages et groupes suivis, la façon dont on utilise le service et accède aux contenus et les informations sur l’appareil (adresse IP, fichiers présents, mouvements de la souris, accès au GPS et à l’appareil photo).

    Pour ceux qui n’ont pas de compte, la firme de Palo Alto a la solution : le « profil fantôme ». Les #cookies, les boutons « J’aime » et « Partager » affichés sur de nombreux sites, transmettent à Facebook les informations de navigation... En bref, Facebook s’accorde un pouvoir de surveillance de masse.

    Et quand Mark Zuckerberg répète à tout va, « Facebook ne vend pas les données », le parlement Britannique répond : il ment. En cause, le modèle économique : « la gratuité » pour l’utilisateur contre la monétisation de ses données. « Facebook vend aux annonceurs des catégories de publicité. Ce sont l’ensemble des caractéristiques sociales, économiques et comportementales que le réseau associe à chaque utilisateur afin de mieux le cibler », explique Sylvain Steer. « Avec l’argument fallacieux que c’est pour nous proposer des contenus de la façon la plus adaptée : sous entendu la plus subtile ». Facebook est donc avant tout « une #régie_publicitaire », analyse Yann Le Pollotech, chargé des questions numériques au PCF. 98 % de son chiffre d’affaires mondial provient de la publicité ciblée.

    L’accès aux données des téléphones
    Le réseau ouvre aussi ses données à des développeurs tiers contre rémunération « 250 000 dollars de publicités par an », écrivait le PDG dans un mail obtenu par les parlementaires britanniques. Facebook nie, explique que l’idée n’avait jamais été appliquée. En 2015, pourtant il restreint l’accès sauf pour une liste de 150 entreprises, dont Apple, Amazon, Netflix, ou Airbnb ou encore le site de rencontre #Tinder. Et là, c’est open bar ! Et Zuckerberg écrivait : « je ne vois pas de cas où des données ont été diffusées de développeurs à développeurs et ont causé un réel problème pour nous »... Raté ! 3 ans après, Cambridge Analytica allait prouver le contraire. La société, basée à Londres, a siphonné les données de 87 millions de comptes. La cheville ouvrière de la campagne numérique de Donald Trump en 2016, a réalisé un micro ciblage des électeurs.

    Parmi les autres pépites du rapport : l’accès aux données des téléphones. En 2015, la nouvelle version de l’application sur mobiles #Android pouvait avoir accès au journal des appels téléphoniques. Un cadre de Facebook s’inquiète dans un mail interne que les utilisateurs s’en rendent compte. « Ça serait très risqué : des journalistes (..) qui écrivent des articles sur “Facebook qui utilise sa mise à jour pour espionner votre vie privée” », écrit le cadre. Car le but de la firme, est bel et bien de tout savoir.... Pour cela, il faut capturer l’utilisateur et faire en sorte qu’il y reste. Et le pousser à partager toujours plus d’informations.

    Les #Fake_News rentrent dans cette catégorie. C’est parce qu’elles sont beaucoup plus partagées que Facebook les laisse se propager... Le sociologue Dominique Cardon limite leur portée dans un livre salvateur (1). Pendant la campagne américaine, ces « fake news » ont été le plus consultées par les 10% des électeurs les plus convaincus, y écrit-il. Pour Yann Le Pollotech aussi, « il faut se méfier de ce concept. Depuis que les hommes communiquent, il y a de la #désinformation. Mais ici, il y a aussi une sorte de racisme social : les fake news ne concerneraient que les moins diplômés.. et les gilets jaunes ! A chacun ses Fakes news ; celle des #CSP_+ [cadres supérieurs, NdlR], c’est que les cheminots partent à la retraite à 50 ans avec un pont d’or. Mais ce n’est pas à Facebook de décider ce qui est de l’ordre du complot ou de la #vérité. La seule manière de les éviter : c’est la délibération, le débat démocratique ».

    Mais ce n’est pas le programme du géant. Lui, il a un autre objectif : « enfermer les internautes dans son monde, son univers. Plus que du gangster, cela relève de la #mafia, au sens où c’est aussi une organisation sociale », continue Yann Le Pollotech. Dans ce système, Facebook compte aussi la messagerie #Whatsapp (1,5 milliard d’utilisateurs) et le site de partage de photos et vidéos #Instagram (1 milliard). Et avec elles, toutes leurs données ! En 2014, au moment du rachat de Whatsapp pour 19 milliards de dollars, Zuckerberg promettait « de ne pas combiner les données des comptes Facebook et Whatsapp. Bien sûr, il l’a fait deux ans après », continue Sylvain Steer.

    Depuis les scandales continuent : le 20 mars, Facebook reconnaissait ne pas protéger les #mots_de_passe de centaines de millions de comptes. En février, d’autres applications donnaient accès à Facebook à leurs données : une application pour suivre son cycle menstruel, de sport, de santé... En septembre, 50 millions de comptes étaient piratées.

    Un modèle basé sur l’illégalité
    Que font les législateurs ? En Europe, ils ont franchi une première étape avec le Règlement général pour la protection des données ( #RGPD ), entré en vigueur le 28 mai dernier. Ce dernier impose des formes de consentement éclairé et libre. Mais « Facebook continue de violer les textes, car tout son modèle économique est illégal », rappelle Sylvain Steer. Une plainte collective a été déposée, la CNIL Irlandaise – là où est le siège social de Facebook en Europe- l’examine. Sauf qu’elle prend son temps. « Bien sûr, Facebook comme les autres, fait un lobbying pour retarder sa mise en conformité et prolonger son business », continue-t-il.

    Le Parlement britannique veut la fin du far west... Sauf que Facebook, comme #Google « à force de ne pas être réglementés, se sont imposés comme des autorités centralisatrices sur internet. Les États au lieu de le limiter, continuent à lui déléguer des pouvoirs ». La France en tête, « les gouvernements, demandent à ces plateformes géantes de devenir juges et modérateurs des contenus en ligne. Ce qui devrait être de l’ordre de la justice ou du service public », poursuit Sylvain Steer ... Ou comment les gouvernements donnent à Facebook les clés de la censure. Zuckerberg, lui, s’excuse, encore une fois, et promet « de changer ». En attendant, le nombre d’utilisateurs recule, les jeunes désertent la plateforme... Mais pour Instagram. Et restent ainsi dans le monde clos de Facebook.

    Culture numérique, Dominique Cardon, Les presses de Sciences Po, sorti en février, 19 euros, 428 pages
    (Article paru dans le journal L’Humanité -Dimanche du 28 mars 2019)

    #facebook #surveillance #internet #algorithme #censure #réseaux_sociaux #publicité #données #bigdata #profiling #manipulation #marketing #domination #web #voleur de vies #escroc #gangster #fric

  • [APDEN]
    http://www.apden.org/Consultation-sur-les-programmes-de.html

    Consultation sur les programmes de lycée
    L’A.P.D.E.N. adresse sa contribution au CSP
    Twitter Facebook Linkedin RSS telecharger l’article

    L’A.P.D.E.N. a été invitée par le Conseil Supérieur des Programmes à apporter sa contribution, à l’instar des autres associations et syndicats d’enseignants du second degré, dans le cadre de la consultation sur l’élaboration des nouveaux programmes de lycée. La modalité initialement retenue par le CSP consistait en une audience ; l’association a fait le choix de la décliner, en raison de l’absence de communication préalable des projets de programmes. Elle a en revanche produit et communiqué au CSP une première contribution écrite, nécessairement insatisfaisante à ce stade car contrainte à prendre appui sur les programmes et dispositifs existants. Ce travail sera donc suivi d’autres contributions, élaborées sur la base des projets officiels de programme, à mesure qu’ils seront connus.

    #APDEN #CSP

  • Content Security Policy CSP Reference & Examples
    https://content-security-policy.com

    Site de référence pour les HTTP Headers « Content Security Policy » (CSP)
    Voir aussi :
    – des explications plus complètes : https://www.html5rocks.com/en/tutorials/security/content-security-policy
    – un outil de test : https://observatory.mozilla.org
    – un autre outil de test (permet de choisir la version de CSP) : https://csp-evaluator.withgoogle.com
    – un exemple commenté : https://hacks.mozilla.org/2016/02/implementing-content-security-policy
    Déja sur seenthis :
    https://seenthis.net/messages/522624#message523937
    https://seenthis.net/messages/523919

    #csp #en-tête #HTTP_HEADER #content_security_policy #HSTS

  • « Les élites se sont progressivement coupées du reste de la population » (Jérôme Fourquet, L’Obs)
    https://www.nouvelobs.com/politique/20180221.OBS2530/les-elites-se-sont-progressivement-coupees-du-reste-de-la-population.html

    De manière plus ou moins consciente et plus ou moins volontaire, les membres de la #classe_supérieure se sont progressivement coupés du reste de la population et ont construit un #entre-soi confortable. Cette classe supérieure évolue socialement, culturellement et idéologiquement de plus en plus en vase clos.
    […]
    Ce recul de la #mixité_sociale est d’abord visible sur le plan géographique, avec une concentration des #CSP+ dans le cœur des métropoles.
    […]
    Cette #ségrégation_géographique et sociale s’accompagne d’une #ségrégation_scolaire renforcée, avec un choix de plus en plus fréquent des catégories favorisées pour l’enseignement privé.
    […]
    Différents travaux de recherche ont par ailleurs mis en évidence une concentration de plus en plus massive des enfants des CSP+ dans les grandes écoles. Le public de ces établissements, où se forme l’#élite de la nation, est devenu sociologiquement complètement homogène […].
    Ce processus est protéiforme. Il est évidemment d’abord le résultat de l’évolution du système économique dans lequel nous vivons. […] Dans le cas de la France, j’explique aussi ce recul de la #mixité par le déclin ou la disparition de certains lieux de #brassage_social autres que l’école. Je pense notamment à la suppression du service national à la fin des années 1990. […] Autre lieu de brassage social qui a été fragilisé : les colonies de vacances.
    […]
    On a souvent tendance à faire de la montée du #communautarisme la principale menace qui pèse sur la cohésion dans notre pays. Je ne minimise évidemment pas cette menace qui est réelle mais je considère que le phénomène de recul de la mixité sociale, s’il est moins « spectaculaire », est tout aussi fondamental.
    Depuis trente ans, les catégories les plus favorisées s’autonomisent du reste de la population. Elles développent des comportements et des réflexes propres à leur milieu et elles se sentent de moins en moins liées par un destin commun au reste de la collectivité nationale. Le premier risque, c’est que leur sentiment de #solidarité s’érode au point de fragiliser notre #modèle_social, avec le développement de techniques d’#optimisation_fiscale pour contourner l’impôt par exemple.
    […]
    Mais cette évolution pose aussi et surtout un problème démocratique. De part leur autonomisation vis-à-vis du reste de la société, les élites sont susceptibles d’avoir de plus en plus de mal à comprendre les classes moyennes et les classes populaires.
    […]
    Le cas du #PS est également très intéressant : à l’image de la société, c’est un endroit où le recul de la mixité sociale a été particulièrement manifeste dans les sections à partir du milieu des années 1980. […] Résultat : alors que la défense des #classes_moyennes et des classes populaires a longtemps été l’ADN du parti, celui-ci s’est peu à peu coupé de cet électorat en reléguant au second plan les thématiques sociales au profit de sujets sociétaux parlant davantage aux CSP+ et aux plus diplômés.

  • Le ministère de l’éducation est secoué par une crise idéologique
    https://www.mediapart.fr/journal/france/260917/le-ministere-de-leducation-est-secoue-par-une-crise-ideologique

    Le géographe #Michel_Lussault a annoncé, mardi 26 septembre, sa démission de la présidence du Conseil supérieur des #programmes (CSP). Il évoque de profonds désaccords avec la politique du ministre #jean-Michel_Blanquer. « Je n’ai pas l’habitude de faire de la figuration ou d’être une plante verte sur l’estrade », dit-il à Mediapart. L’ancien ministre socialiste Benoît Hamon dénonce de son côté « une remise en cause idéologique et archaïque par Blanquer ».

    #France #CSP

  • Sans-papiers en campagne / C’est l’heure de l’mettre Radio Campus Lille - C’est l’heure de l’mettre - 22 Mars 2017
    http://www.campuslille.com/index.php/entry/sans-papiers-en-campagne

    A nos débuts radiophoniques, nous fûmes entraînés dans les cortèges bariolés et rythmés du Comité des Sans-Papiers 59.

    Les slogans pouvaient être scandés sur des rythmes autres que binaires. Des chansons de lutte venues d’ailleurs résonnaient dans les rues de Lille – et dans nos micros.

    Les manifestants, interviewés, étaient méfiants : sans-papier, on n’est a priori pas confiant. Puis, avec des accents exotiques, ils nous disaient leur quotidien d’ici.

    Au montage, au début, on ne comprenait pas pourquoi « les criminels étaient au Cadorsi. » Avec le temps, on a compris : les criminels sont bien au Quai d’Orsay.

    Les revendications prenaient une tournure plus politique. Elles plongeaient dans l’inconnu, le versant ignoré de l’exploitation, et dans l’Histoire, celle des colonisés. Thiaroye et Setif se mêlaient à la mémoire des tirailleurs, et leurs enfants chantaient dans nos rues – et dans nos micros : « Contre les nazis et Vichy, nos parents étaient des sans-papiers » … Et toi, tu savais pas...

    Il y avait aussi ces « raccourcis » dans les slogans, assimilant le Ministre du moment à la simple photocopie du chef de l’extrême-droite, dénonçant la lepénisation du pays à partir du sort réservé aux travailleurs de l’ombre.

    Et voilà. Vingt ans après nous y sommes... Loi raciste après loi raciste, l’étranger est devenu l’enjeu électoral annoncé par le CSP. C’est déjà ça que le fascisme a gagné. Et les sans-papiers continuent de manifester dans les rues de Lille, au vu et au su de ceux qui les veulent invisibles.

    Nous recevRons ce mercredi – pendant que les sans-papiers défileront, le porte-parole du CSP59. A l’occasion des 21 années du Comité des Sans-Papiers, espace de lutte et d’éducation, et pour vous inviter à :

    LA MANIFESTATION REGIONALE A 14H

    SAMEDI 25 MARS PLACE DE LA REPUBLIQUE

    _ L’heure de l’mettre _

    Le fil de l’émission
    – Le générique quinquenal, il va bientôt changer.
    
- 3mn05s Ephéméride : Saint Parti de l’Argent

    – 9mn04s Le journal des élections

    – 19mn54s Roland Diagne
    – Les Sans Papiers sur Lille

    – 62mn40s La semaine à Cuba
    
- 82mn40s Rubrique cassette 17 Novembre 1999 Eric Quiquet secrétaire des vers de Lille

    #Audio #Radio #Radios_Libres #Radio_Campus_Lille #France #Sans_papiers #CSP59 #Lille #Eric_Quiquet #Roland_Diagne

  • #content_security_policy | Openweb.eu.org
    http://openweb.eu.org/articles/content-security-policy

    De nombreuses initiatives tendent à amener plus de sécurité sur les sites Internet. La généralisation de #https avec des initiatives comme Let’s Encrypt, la restriction de l’utilisation de certaines API avec HTTPS, de nombreux outils permettant de tester et d’améliorer la sécurité des sites, etc. Parmi ce vaste effort de sécurisation des sites, une technologie offre de nouvelles possibilités surprenantes sur le front-end. Son petit nom est « Content Security Policy ».

    #web #sécurité #csp

    • Article sympathique mais si on lit bien, on arrive vite à un incompréhension :

      À l’énergie solaire, il faut ajouter « les autres sources d’énergie renouvelables déjà en opération sur le territoire : l’hydroélectrique et l’éolienne »4, explique le professeur Mohamad Said Karrouk, climatologue à l’université Hassan II de Casablanca. « Actuellement, l’hydroélectrique peut produire environ 2 000 MW et l’énergie éolienne, dont les champs se trouvent surtout dans les régions du nord du pays, près de 400 MW ». Les énergies renouvelables « peuvent réduire de 20 % la dépendance énergétique aux carburants fossiles importés de l’étranger et répondre à 42 % des besoins énergétiques nationaux d’ici 2020 », fait-il remarquer.

      « L’énergie fossile représente encore une grande partie de la consommation énergétique marocaine, le charbon à hauteur de 37 %, le diesel 17 % et le gaz naturel 10,3 %. Le Maroc dépend donc grandement des combustibles fossiles qu’il ne produit pas lui-même et doit importer de l’étranger. » Mais les nouvelles perspectives apportées par l’exploitation des énergies renouvelables permettent au professeur d’envisager une baisse de la dépendance économique du pays : « si aujourd’hui [le Maroc est] dépendant à 95 % sur le plan de l’énergie, en 2020 [il] le sera autour de 75 %. »

      Par ailleurs, le ministère marocain de l’environnement promet « une réduction des émissions de gaz à effet de serre de 13 % [d’ici 2020], avec la possibilité de réduire jusqu’à 32 % en 2030 », dans sa Contribution prévue déterminée au niveau national (CPDN) de juin 2015 pour la COP215.

      « Le projet Noor 1 à Ouarzazate peut éviter le rejet de 2,9 millions de tonnes de CO2 sur une période de 10 ans », explique pour sa part Maha El-Kedir. « Plus généralement, Noor Maroc devrait permettre une réduction des émissions de gaz à effet de serre de plus de 3,7 millions de tonnes de CO2 par an ».

      L’article n’est pas très clair sur l’économie et (non)-rentabilité du projet qui oblige le gouvernement marocain à subventionner l’achat de l’électricité solaire. D’où cette discussion confuse sur l’exportation prévue mais pas (encore ?) possible.
      Le gros intérêt est surtout de faire du Maroc un pionnier sur cette technologie et il doit espérer apprendre. Mais en même temps, ce sont des sociétés étrangères (ici notamment saoudiennes) qui tiennent les commandes.
      Plus de clarté ici : http://www.usinenouvelle.com/article/centrale-noor-i-le-maroc-affirme-reussir-a-reduire-le-prix-du-kwh-sol
      #solaire #Maroc #CSP

  • On Friday the Central Statistical bureau of Latvia announced that in the beginning of the May the population in Latvia dropped below 2 mill. It was 1 997 500 inhabitants in Latvia in the May of 2014. The analysts argue that it is both due to depopulation and emigration.
    Although in the last months the birth rate has been growing, there are still more people dying. The second reason - emigration - was also caused by economic situation during the financial crisis. Latvia has now recovered from crisis but people still are emigrating - many of them to Norway.

    TVNET :: Latvijā - Iedzīvotāju skaits Latvijā noslīdējis zem diviem miljoniem
    http://www.tvnet.lv/zinas/latvija/513377-iedzivotaju_skaits_latvija_noslidejis_zem_diviem_miljoniem

    2014.gadā iedzīvotāju skaits Latvijā turpina samazināties - maija sākumā valstī dzīvoja 1 997 500 iedzīvotāju. Iedzīvotāju skaits samazinās gan dabiskā pieauguma (mirušo skaita pārsvars pār dzimušo skaitu), gan migrācijas dēļ.

    « Šāda iedzīvotāju skaita samazināšanās ir satraucoša, » šodien preses konferencē atzina CSP priekšniece Aija Žīgure. Lai gan dzimstība uzlabojas, diemžēl mirstība saglabājas augstāka, līdz ar to dabiskais pieaugums joprojām ir negatīvs, viņa sacīja.

    #demography #Latvia #population #depopulation #negative_birth_rate #CSP #CSB #emigration

  • #Lampedusa, liberate #Khalid_Chaouki e tutti i migranti
    –-> Lampedusa : libérez Khalid Chaouki et tous les migrants

    E adesso liberateli tutti! Liberate i sopravvissuti eritrei del naufragio del 3 ottobre, i profughi siriani e tutti gli altri, centinaia di migranti trattenuti ben oltre le previsioni di legge in quello che dovrebbe essere il Centro di soccorso e prima accoglienza di Lampedusa. Liberate Khalid Chaouki, l’onorevole Chaouki, che si è barricato all’interno del Cspa e ne uscirà soltanto quando verrà ripristinata la legalità e i migranti trasferiti.

    –-> Et maintenant, libérez-les tous ! Libérez les #survivants erythréens du #naufrage du 3 octobre, les réfugiés syriens et tous les autres. Une centaine de migrants détenus bien au-delà de ce que prévoit la loi et de ce qui devrait être le Centre de secours et de premier accueil de Lampedusa (Cspa). Libérez Khalid Chaouki, le député Khalid Chaouki, qui s’est barricadé à l’intérieur du Cspa et ne sortira que quand la légalité des migrants transférés sera restaurée.

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/23/lampedusa-liberate-khalid-chaouki/823726

    #mourir_en_mer #détention #libération #protestation #Cspa #Érythréens #Syriens #réfugiés #asile

  • Quel #business da 2 milioni al giorno sulla pelle dei migranti : più ne arrivano più guadagnano
    –-> ce business de 2 mio. par jour sur la peau des migrants : plus migrants arrivent et plus les gains sont gros

    L’inchiesta. Dalle coop alle aziende vicine a Cl, l’accoglienza è un affare. Gare vinte con ribassi del 30%. E se aumentano gli ospiti crescono anche i ricavi

    http://www.repubblica.it/cronaca/2013/12/19/news/migranti_business_da_due_milioni_al_giorno-73991727

    #migration #économie #avantages_économiques #centres_d'accueil #Italie #affaires

    cc @albertocampiphoto

  • Le délire absolu des éoliennes en mer (Ph. Herlin) | Olivier Demeulenaere – Regards sur l’économie
    http://olivierdemeulenaere.wordpress.com/2013/10/06/le-delire-absolu-des-eoliennes-en-mer-ph-herlin

    « On a déjà dénoncé ici le coût délirant des éoliennes en mer, voici de nouvelles informations. Rappelons tout d’abord le coût d’installation : le projet global est de construire en 5 ans (de 2015 à 2020) 1.200 éoliennes offshore, ce qui devrait nécessiter 20 milliards d’euros ! Cette somme ne grèvera pas la dette publique puisqu’elle sera financée par des PPP (Partenariat public-privé), mais elle pèsera sur les dépenses publiques, c’est de la dette hors-bilan, une magouille d’un Etat surdendetté pour sauver les apparences.

    Mais dans cet article de l’IFRAP on découvre les coûts de rachat de cette électricité. Car l’Etat oblige EDF à racheter cette électricité plus chère, de façon à compenser le surcoût de ce mode de production. Et ensuite EDF répercute cette dépense dans la facture de l’usager via la contribution au service public de l’électricité (CSPE). Et les chiffres sont effarants : le prix d’achat (obligatoire) d’un MWh par EDF est de 42 euros pour le nucléaire, c’est le prix de référence, 82 euros pour l’éolien terrestre, et 150 à 200 euros pour l’éolien en mer !

    Conséquence, cette CSPE acquittée par le consommateur d’électricité directement sur sa facture a représenté 1,9 milliards d’euros en 2010 et est prévue par la commission de régulation de l’énergie à 5,1 milliards en 2013. Un impôt caché comme le fait justement remarquer l’IFRAP, un impôt qui n’apparaît pas dans le budget de l’Etat, bien joué. Voici pourquoi les factures d’électricité grimpent ! Tout ça pour des lubies écologistes fumeuses et de juteux contrats pour les grands groupes français de travaux publics. L’Etat dépensier et distributeur de prébendes continue malgré les discours officiels ».

    Le blog de Philippe Herlin, le 4 octobre 2013

    #éoliennes_en_mer
    #EDF
    #CSPE
    #IFRAP

  • Le ministère de la Culture envisage l’interdiction de la revente de fichiers

    http://www.pcinpact.com/news/81360-le-ministere-culture-envisage-l-interdiction-revente-fichiers.htm

    Le ministère de la Culture vient de constituer une commission sur le marché de l’occasion numérique. Cette commission a été créée le 15 juillet 2013 au sein du Conseil Supérieur de la Propriété Littéraire et Artistique. Dans un courrier faisant acte de naissance, Pierre-Françoise Racine, président du CSPLA, fait ainsi part des « importantes interrogations » liées à la « seconde vie des biens culturels numériques

    Comme quoi un album mp3 ou un e-Pub c’est pas un objet qu’on achète mais juste un droit d’usage.

    #droit_d'auteur #cspla

  • #SPQN, #IPG, et maintenant #CSPLA, même combat contre Google
    http://neosting.net/actualite/cspla-google-taxe.html

    Google, cette entreprise qui capte des milliards sur le simple fait de faire de la publicité aux autres est encore une fois accusée de violer du droit d’auteur. Cette fois-ci, c’est au tour du CSPLA (Conseil Supérieur sur la Propriété Littéraire et Artistique) de dégainer sa ... #google #taxe