• Mascherine e tamponi : i 4 errori del governo sui medici

    Rileggere con gli occhi di oggi la lunga teoria di circolari, ripensamenti, contrordini e indicazioni ad interim prodotta dal governo, dalle regioni e dagli organi tecnico- scientifici che ne hanno puntellato le scelte, è utile per spiegare la strage dei medici e degli infermieri. Una peculiarità tutta italiana, che, al di là dei lutti e del dolore dei familiari, costerà caro allo Stato in termini di risarcimento dei danni. La più drammatica delle giravolte, all’origine del perché l’Italia ha tardato nell’individuare i primi casi di Covid 19 e del perché gli ospedali sono diventati dei focolai, è quella iniziale. Risale a gennaio, quando a Wuhan già contano centinaia di morti e il nostro Paese è convinto che l’onda non arriverà. Tanto convinto da mandare al governo di Pechino, sotto forma di donazione, una parte della già esigua scorta nazionale di mascherine.

    Il 22 gennaio il ministero della Salute emette la sua prima circolare (“Polmonite da nuovo coronavirus, 2019 nCov, in Cina”: https://www.google.com/search?client=firefox-b-d&q=Polmonite+da+nuovo+coronavirus%2C+2019+nCov%2C+i) diretta a tutti gli assessorati alla Sanità, con la quale definisce i criteri per considerare un paziente “caso sospetto”, da sottoporre quindi a tampone: oltre a chi è stato in Cina, include qualsiasi persona «che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato, senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio». Insomma, un’indagine a largo spettro.

    Se questa circolare fossa stata in vigore anche a febbraio, quando a Codogno #Mattia, il paziente uno, si rivolge al pronto soccorso, e a #Vo_Adriano #Trevisan, la prima vittima del virus, si sente male, le loro positività sarebbero emerse ben prima del famoso 21 febbraio, data di inizio del contagio italiano. Ma, nel frattempo, il 27 gennaio il ministero ha cambiato idea, e ha scritto una seconda circolare (http://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2020&codLeg=72847&parte=1%20&serie=null), di senso opposto alla prima, nella quale autorizza il test solo su pazienti che, oltre ad avere importanti sintomi, hanno avuto «contatti stretti con un infetto»,hanno «visitato o lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan», «frequentato un reparto Covid». In sintesi: tamponi solo a chi proviene dalla Cina. È il primo vagito di una linea governativa “anti-tampone”, che segue l’orientamento dell’Organizzazione mondiale della Sanità, e che durerà sino al 16 marzo, quando la stessa Oms farà inversione con un tweet: «Test, test, test». Prima del cambio di rotta, è solo violando il protocollo che due medici sottopongono al tampone Mattia e Trevisan. Scoprendo così che, da giorni, i loro ospedali sono diventati potenziali focolai.
    Il decreto mascherine

    L’onda è arrivata. E occorre arginarla. Ma dell’arma principale, le mascherine professionali (le famose FFp2- #FFp3) per medici e infermieri, l’Italia è sprovvista. A differenza di quanto successo in Germania, nessuno ha attuato i piani pandemici (che prevedevano di farne scorta non appena si fosse avuta notizia di un contagio uomo-uomo, circostanza verificatasi il 31 dicembre), e anzi, una buona parte dello stock è stata mandata, come detto, a Wuhan. Il governo capisce di essere con l’acqua alla gola, deve inviare i suoi soldati al fronte ma non ha fucili da fornire. Le prime 42 mila FFp2, infatti, saranno consegnate dalla Protezione civile solo il 3 marzo. Così, fa quello che può: si arrangia. Con il decreto legge n.9 del 2 marzo (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/02/20G00026/sg), «in coerenza con le linee guida dell’Oms», decide di equiparare le mascherine chirurgiche — che non sono Dpi (Dispositivi di protezione individuale) perché non proteggono chi le indossa ma filtrano solo in uscita — a quelle professionali. Gli operatori sanitari, per decreto, possono andare nei reparti Covid indossando solo queste. Sono seguite diverse precisazioni, ma ancora il 19 marzo regna la confusione, come dimostra un documento interno dell’ospedale Molinette di Torino, in cui si considerano idonee anche le chirurgiche, se non disponibili le rare #FFp2, all’«esecuzione del tampone in pazienti Covid-19 positivi». Niente quarantena per i medici

    Il 9 marzo il governo emette il decreto numero 14 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/09/20G00030/sg), nel quale dispone che «la quarantena obbligatoria non si applica agli operatori sanitari», i quali si fermano solo nel caso di sintomi manifesti o esito positivo di test. È un’altra mossa della disperazione, bisogna evitare il rischio che i reparti rimangano sguarniti. Addirittura la regione Lombardia va oltre, e pubblica il 10 marzo una direttiva che nega il test all’operatore asintomatico «che ha assistito a un caso confermato Covid senza adeguati Dpi». «La confusione sulle norme — sostiene Andrea Filippi, segretario della Cgil-medici — e quei decreti folli sono i motivi principali per cui gli operatori sanitari si sono ammalati. L’Oms ha sbagliato a dare linee guida che, evidentemente, erano pensate per Paesi del Terzo mondo che hanno zero possibilità di reperire Dpi».

    Tamponi e suicidi

    Siamo a metà marzo, nel pieno della crisi. La linea ora sarebbe quella di fare tamponi a tappeto, a cominciare da chi sta in prima linea. Tre circolari del ministero della Salute (20 marzo, 25 marzo, 3 aprile) lo imporrebbero. Ma, ancora una volta, la Lombardia si distingue. «Continua a farli solo a medici e infermieri che hanno la febbre superiore a 37 e mezzo», denuncia Carmela Rozza, consigliera regionale Pd. «L’assessore Giulio Gallera sostiene di aver disposto tamponi per tutti a partire dal 3 aprile, ma non risulta».

    «Così — lamenta il portavoce della Federazione degli infermieri, Paolo Del Bufalo — ci siamo infettati e abbiamo continuato a lavorare negli ospedali, nelle cliniche private e nelle Rsa per anziani, liberi di diffondere il virus». Una situazione pesante anche dal punto di vista psicologico. Oltre ai molti decessi tra gli infermieri si sono registrati due casi di suicidio: «Erano colleghi devastati dal senso di colpa per aver contagiato colleghi e assistiti». E c’è una nuova paura che da qualche giorno soffia in corsia: la richiesta dei risarcimenti. «Dobbiamo sollevare i professionisti da responsabilità, che non hanno», suggerisce Filippi della Cgil. «Ma no ai colpi di spugna: avere un soggetto che si assume l’onere dei risarcimenti è un diritto di cittadini e operatori». Poche protezioni per lavorare in corsia e test in ritardo: due mesi di tira e molla pagati a caro prezzo.

    https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/04/10/news/mascherine_e_tamponi_i_4_errori_del_governo_sui_medici-253609627
    #Italie #coronavirus #masques #stock #responsabilité #politique #médecine #science #test #dépistage #Codogno #patient_zéro
    #in_retrospect #OMS #chronologie #ordonnance #masques_chirurgicales #décret #décret #confinement #Lombardie #travail #conditions_de_travail

    #décès #morts (d’#infirmiers et #médecins à l’occurrence, dans cet article...)
    #suicide #suicides #culpabilité #culpabilisation
    #indemnisation #justice

    ping @simplicissimus @fil —> ça vaut la peine de traduire, avec deepl ça devrait suffire

  • Au nom du coronavirus, l’État met en place la société de contrôle
    https://reporterre.net/Au-nom-du-coronavirus-l-Etat-met-en-place-la-societe-de-controle

    Couvre-feux, contrôles policiers multiples, toute-puissance de l’administration, emballement de l’industrie technosécuritaire : la pandémie de Covid-19 se traduit, en France, par un contrôle accru des populations, suspectées par principe de ne pas participer à la « guerre » contre le virus. « Nous ne renoncerons à rien, surtout pas à rire, à chanter, à penser, à aimer, surtout pas aux terrasses, aux salles de concert, aux fêtes de soir d’été, surtout pas à la liberté », affirmait Emmanuel Macron le 11 (...)

    #Orange #Two-I #DJI #drone #smartphone #géolocalisation #militaire #police #température #aérien #législation #violence #BigData #santé #surveillance #LDH-France (...)

    ##santé ##HumanRightsWatch

  • Günther Anders
    Entretien avec Fritz J. Raddatz (1985)

    https://lavoiedujaguar.net/Gunther-Anders-Entretien-avec-Fritz-J-Raddatz-1985

    F.J. Raddatz : Je vois dans l’ensemble de votre travail une contradiction très complexe ; cette contradiction se présente à moi en trois éléments, à vrai dire difficilement conciliables. D’une part vous dites : « Quoi que nous fassions, c’est toujours plus ou moins en vain. » D’autre part l’ensemble de vos travaux ne fait que présenter le contraire, qui est de lutter contre ce « en vain », changer tout de même quelque chose, créer une conscience, au moins combattre l’analphabétisme mental, moral aussi. Mais, j’en viens au troisième point, vous dites quelque part que l’être humain est, c’est votre expression, « contingent ». Comment prétendez-vous relier ces trois éléments très contradictoires ?

    G. Anders : Non, je ne dirais pas qu’il y a là des contradictions ; ce sont tout au plus des contradictions apparentes. S’il m’arrive très souvent d’affirmer, de façon exagérée, que rien ne sert à rien, c’est en fait pour des raisons tactiques, à savoir pour m’opposer à ces hommes politiques et à ces journalistes du happy end, qui ne craignent pas de faire dans l’optimisme. Le mot « espérance », à travers Ernst Bloch, a malheureusement pris un caractère de solennité — pour tout le monde, même pour le plus réactionnaire des hommes politiques. Naturellement, de cet épais volume du Principe Espérance, ils n’ont lu que le titre. Au demeurant, l’espérance n’est absolument pas un principe, mais une émotion justifiée. Si je suis — pour utiliser cette expression triviale — très « pessimiste », c’est pour lutter contre cet optimisme rayonnant, que l’on rencontre même chez ceux qui sont au courant de la situation nucléaire. Au fond, ce que je prêche — mais je sais que par là j’en demande beaucoup à la moyenne des gens, peut-être beaucoup trop — c’est, dans la pratique, de faire des efforts comme s’ils ne savaient pas combien nos chances sont minimes. (...)

    #Anders #philosophie #espérance #Ernst_Bloch #culpabilité #morale #Husserl #Heidegger #Adorno #Horkheimer #Walter_Benjamin #Marcuse #Brecht #Marx #décalage #machine #engagement #Auschwitz #Hiroshima #Beckett

  • La #démocratie à l’épreuve du #coronavirus

    « Au printemps de 1832, quoique depuis trois mois le choléra eût glacé les esprits et jeté sur leur agitation je ne sais quel morne apaisement, Paris était dès longtemps prêt pour une commotion. Ainsi que nous l’avons dit, la grande ville ressemble à une pièce de canon ; quand elle est chargée, il suffit d’une étincelle qui tombe, le coup part. En juin 1832, l’étincelle fut la mort du général Lamarque. »

    Victor Hugo, Les Misérables

    Les épidémies n’emportent pas seulement les corps, elles mettent les sociétés en tension et les Etats en danger. Les effets de choix politiques de longue durée s’y révèlent, comme la déconstruction obstinée du service public de la santé, mais aussi de l’appareil de production industrielle (notamment de matériel de santé), qui laisse de nombreux pays, dont la France, singulièrement démunis face au virus[1]. Les institutions s’y trouvent mises à l’épreuve, et souvent le fossé entre les principes qu’elles professent et la réalité de leur pratique s’y donne à voir dans toute sa froide réalité. C’est le cas de la démocratie, mot fétiche s’il en est[2]. La démocratie telle que nous la connaissons, fondée sur l’élection de gouvernants supposés agir en faveur du peuple, est censée être le meilleur système politique, le mieux à même de protéger ses citoyens, de les consulter sur les décisions fondamentales, et de leur accorder une importance égale. Le coronavirus vient brutalement mettre cette supériorité démocratique en doute. Face à la pandémie, les Etats dits démocratiques, notamment la France, ne gèrent ni mieux, ni de manière plus démocratique, que les Etats dits autoritaires, en premier lieu la Chine. Alors que depuis la fin de la Seconde guerre mondiale, et plus encore depuis la chute de l’URSS, les régimes démocratiques dominent la scène internationale, leurs difficultés à faire face à la pandémie affaiblit leurs prétentions hégémoniques. C’est d’autant plus vrai que l’inefficacité des démocraties n’a pas eu comme contrepartie un plus grand investissement démocratique : si les Etats démocratiques n’ont pas mieux affronté la crise, ce n’est pas parce qu’elles auraient passé plus de temps à consulter les citoyens, ou à construire des politiques plus égalitaires. Au contraire, non seulement les réponses des démocraties n’ont pas été plus efficaces, mais elles n’ont pas non plus été significativement plus démocratiques que celles de régimes autoritaires. De même qu’en 1832 l’épidémie de choléra avait révélé l’incurie de la monarchie de Juillet – et l’existence au cœur des villes d’une classe, le prolétariat, que la bourgeoisie laissait mourir dans sa misère – et failli emporter le régime par une insurrection, la pandémie actuelle révèle alors le vide des promesses démocratiques de nos régimes, mettant en danger l’idée démocratique elle-même.

    Une reconfiguration des espaces politiques

    La pandémie de Covid-19 distord notre horizon politique. Son caractère mondial nous rend inhabituellement attentifs à sa progression dans différents pays, aux réponses des différents gouvernements – et, par un jeu d’écho, à la manière dont notre propre pays est vu à l’extérieur. Mais le confinement restreint aussi drastiquement, dans la pratique, le champ de la réalité sociale vécue, nous poussant à nous investir exclusivement dans le foyer, l’immeuble, notre cercle familial et amical. A cette hyper-attention au très proche et au très lointain correspond une désagrégation soudaine de toute une série de niveaux intermédiaires. Alors que la France connaît depuis le 5 décembre un mouvement historique de contestation, les engagements se sont brutalement effrités. Le 5 mars, des dizaines de milliers de travailleur.es et d’usager.es des universités et de la recherche ont manifesté dans toute la France ; le 6 et 7 mars une coordination nationale des facs et labos en lutte a rassemblée 500 délégué.es venu.es de toute la France ; les 7 et 8 mars des manifestations féministes déterminées et massives ont battu le pavé… Tout ceci semble avoir entièrement disparu des préoccupations, notamment médiatiques, alors que les causes de ces mobilisations sont toujours présentes – comme en témoigne l’enfumage de Macron, promettant 5 milliards à la recherche sur 10 ans, une augmentation en-dessous des augmentations des années précédentes, et distribuée sous forme de primes, de contrats précaires et de financements de projets, prenant le contrepied de ce que les chercheur.es demandent[3]. La mascarade des élections municipales n’a pas intéressé grand monde, et les résultats n’ont fait l’objet d’aucun commentaire, ou si peu – contrairement au scandale sanitaire de leur maintien obstiné[4]. Les partis politiques eux-mêmes semblent s’être murés dans le silence, et il faut tendre l’oreille pour entendre les syndicats, alors même que la continuité du travail est au cœur de la stratégie économique de crise du gouvernement.

    Cela ne signifie pas pour autant qu’il n’existerait désormais pour nous que le plus local et l’échelle internationale. Mais l’espace entre les deux est occupé par un seul acteur, massif autant que martial : l’Etat, et en particulier le pouvoir exécutif. Privés de nos collectifs et de nos solidarités, nous, individus, sommes laissés seuls face à l’Etat, qui nous protège et nous soigne dans les hôpitaux[5], qui contrôle nos activités par la police, et surtout qui parle, par la bouche de ses chefs, nous disant comment nous comporter, et nous grondant si l’on ne réagit pas assez vite ou assez bien à ses consignes, dont le contenu change quotidiennement. Mais jusque dans son omniprésence et dans la mise en scène frénétique de son activité, cet Etat révèle aussi ses faiblesses. Il ne peut même pas assurer des conditions minimales de sécurité à ses soignants, en fournissant masques et gel désinfectant. Mettre en œuvre le confinement de la population pose des problèmes logistiques massifs qui n’ont pas été anticipés. L’Etat se trouve d’autant plus en tension que toutes ses actions, tous ses discours, sont attendus, examinés, scrutés. Puisque lui seul occupe l’espace national, tous les regards sont sur lui, dans les médias professionnels comme sur les réseaux sociaux. Les représentants oscillent alors en permanence entre recherche de publicité, au risque de montrer leur incompétence et l’impuissance de l’Etat, et culte du secret, au nom de la raison d’Etat, mais surtout pour masquer le fait qu’ils naviguent à vue. Pour prendre un seul exemple, de multiples réunions ont lieu, avec l’armée, avec des scientifiques, il faut montrer qu’elles ont lieu, mais il ne faut pas dire aux citoyens ce qui s’y dit, ou bien plus tard, trop tard, quand les décisions ont déjà été prises. Cette centralité de l’Etat rend les dirigeants nerveux, et donc dangereux pour leurs citoyens. Ils prennent des mesures incohérentes, suspendent les libertés publiques, le code du travail, tout ce qui dans le droit pourrait encadrer leur action. Ils délaissent entièrement les cadres internationaux de discussion : l’ONU, l’Union européenne, toutes ces institutions supposément centrales dans la gouvernance contemporaine, et qui auraient toutes raisons de l’être face à une pandémie internationale, semblent simplement muettes, ou inaudibles. Chaque Etat européen décide de ses mesures dans son coin, comme si chacun avait, comme la Grande-Bretagne, fait son exit. La seule institution européenne que l’on entend, c’est la Banque centrale, qui active la planche à billets : lorsqu’il s’agit de la santé des entreprises, la coordination est possible ; mais qu’il s’agisse de la vie des habitants, et alors l’Etat reprend, seul, sa souveraineté la plus absolue.

    L’absence de réponse démocratique au virus

    Dans la gestion de cette crise, on peinerait à distinguer entre les réponses des Etats démocratiques et des régimes autoritaires, venant affaiblir encore un peu plus cette distinction si cruciale pour les dirigeants des démocraties occidentales. Dans les pays qui ont choisi des solutions dures de confinement généralisé, on trouve autant la plus grande puissance autoritaire mondiale, la Chine, que des démocraties européennes, qui plus est dirigées par des gouvernements socio-démocrates ou socio-libéraux : l’Italie, la France, l’Espagne. D’autres pays ont plutôt été, au moins dans un premier temps, dans un laisser-faire complet, comme les grandes démocraties libérales que sont les Etats-Unis ou la Grande-Bretagne, mais aussi des régimes plus autoritaires, comme l’Iran. D’autres pays ont pris des mesures de tests massifs et de quarantaine stricte des malades, des démocraties comme Taiwan et la Corée du Sud, mais aussi la bien moins démocratique Singapour. Les réponses ont été variées, mais enjambent largement les typologies classiques entre régimes. Et une chose est certaine : les démocraties ne se sont pas montrées particulièrement plus efficaces, plus attentives à la santé de leur population, plus honnêtes dans leur communication ou plus soucieuses de la vérité que les régimes autoritaires. Pire : au moment même où Donald Trump ou Boris Johnson semblaient prêts à sacrifier des centaines de milliers de leurs citoyens et mettre en péril la sécurité sanitaire internationale, la Chine prétendait avoir vaincu l’épidémie et envoyait dans le monde entier des experts, des respirateurs et des stocks de masques. C’est un pan central des discours de légitimation des démocraties qui s’effondre. Alors que les démocraties étaient censées se caractériser par un plus grand attachement aux principes à la fois politiques et moraux d’ouverture, de transparence, de solidarité, tout autant que par leur efficacité à prendre soin de leurs citoyens, la pandémie vient révéler qu’il n’en est rien. Dans la crise, les Etats dits démocratiques agissent avant tout comme des Etats, ni pires ni meilleurs que des dictatures, et non comme des démocraties.

    Que voudrait dire, pour des Etats, agir en démocratie face à une pandémie ? Cela nécessiterait, a minima, que les citoyens soient réellement informés des choix possibles, qu’un débat public contradictoire puisse avoir lieu, que le pouvoir puisse être contesté dans ses décisions, voire que les citoyens soient associés au processus[6]. Là est le sens d’une démocratie comme pouvoir du peuple, pouvoir de l’ensemble des citoyens : aucune loi, aucun acte du gouvernement, ne doit être étranger au contrôle des citoyens, et quand c’est possible à leur participation directe. Il ne s’agit bien sûr pas d’éliminer, face à une crise sanitaire, la nécessité de prendre des décisions rapides et scientifiquement fondées : mais le moins que l’on puisse dire est que les dirigeants élus ont été d’une rare incompétence. Il n’est pas dit que le premier venu (ho boulomenos, n’importe qui, cette expression qui venait désigner, à Athènes, un citoyen pris au hasard), correctement informé par des scientifiques, aurait vraiment fait pire. En ce premier sens du mot démocratie, qu’on peut qualifier de politique, la démocratie comme pouvoir de l’ensemble des citoyens, les Etats dits démocratiques n’ont pas affronté la crise en utilisant des moyens démocratiques, mais les moyens, banals, qu’ils ont en commun avec tous les Etats, y compris les plus autoritaires. Par le secret, parfois le mensonge, sans contrôle ni des corps intermédiaires ni des citoyens, en prenant les décisions à quelques-uns, et en utilisant l’urgence bien réelle pour se faire attribuer des pouvoirs démesurés.

    L’Etat contre les pauvres

    Mais l’idée de démocratie comme pouvoir de l’ensemble des citoyens n’épuise pas les sens du mot. Il est un autre ensemble de significations qui donnent au mot un sens social : le demos, le peuple, vient aussi désigner la classe la plus nombreuse, c’est-à-dire les travailleurs, les pauvres, par opposition aux privilégiés, aux riches. Une démocratie est un régime qui agit en faveur des dominés, car il donne le pouvoir à la majorité, mais aussi parce qu’il vise la création d’une société plus égalitaire. Or, de ce point de vue, la gestion du gouvernement français apparaît comme encore plus radicalement anti-démocratique. Alors que les entreprises sont massivement soutenues, que les personnes exerçant un métier d’encadrement sont invitées à faire du télétravail, que les bourgeois des villes ont pu tranquillement s’installer dans leurs résidences secondaires et leurs maisons de famille, le message adressé par le gouvernement aux travailleurs, et en particulier aux ouvriers, a été clair : l’économie doit continuer, et pour cela nous sommes prêts à vous faire prendre tous les risques. La ministre du Travail a osé accuser de « défaitisme » les entreprises du BTP qui voulaient mettre en pause les chantiers non prioritaires. Les transports publics continuent de charrier quotidiennement, sans véritable mesure de protection pour ces mêmes conducteurs qui étaient l’objet du plus bas mépris par le gouvernement il y a quelques semaines, des millions de caissier.es, de travailleur.ses du nettoyage, d’ouvrier.es, de livreur.es, de postier.es, d’éboueur.es, et bien sûr de soignant.es. Les effets des dominations de classe, mais aussi de race (beaucoup de ces métiers voient une surreprésentation de racisé.es) et de genre (les métiers plus féminins du soin sont sursollicités, sans parler du poids de la garde des enfants en l’absence d’école, qui retombe massivement sur les femmes), se trouvent alors démultipliés.

    Le virus n’a que faire de notre classe, de notre race ou de notre genre, mais les modalités de sa gestion par le pouvoir restaure et amplifie l’ensemble des inégalités sociales. Les plus grandes capacités des riches, des hommes, des Blancs, à mobiliser des ressources leur permettant de s’extraire du travail, des transports publics, du soin des enfants ou des aîné.es, des courses dans des supermarchés bondés, tout en continuant à bénéficier du travail des pauvres, des femmes, des racisé.e.s va se transformer, face au virus, en plus grande chance d’échapper à la pandémie. Le seul filet de sécurité égalisateur est alors le service public de la santé, où les cas graves sont traités indépendamment de ces considérations – ce même service public que les gouvernements successifs n’ont eu de cesse de casser. Mais en dehors de ce maillon essentiel, tout dans la gestion de la crise renforce le poids des structures de domination. C’est visible dans le choix de continuer à mettre les pauvres au travail, mais aussi dans la gestion policière du confinement[7]. Dans les quartiers bourgeois désertés, non seulement les supermarchés restent ouverts, et relativement peu fréquentés, mais la présence policière est quasiment nulle. On croise des joggers, des employé.es de commerces faisant une pause, des SDF, des livreurs attendant une course… Au contraire, les quartiers populaires des grandes agglomérations sont l’objet d’un contrôle policier tatillon, d’autant plus insupportable que c’est là qu’il y a des problèmes d’approvisionnement, de promiscuité dans les marchés et supermarchés et de concentration de la population dans les rues – puisque c’est là que la densité d’habitations est la plus forte, les appartements les plus exigus et la proportion la plus faible de privilégiés pouvant télétravailler ou partir à la campagne. C’est là qu’ont lieu les contrôles, là que vont tomber les amendes, là que vont être prises les images montrant comment l’Etat fait bien régner l’ordre. Car au contrôle policier s’ajoute le mépris de médias relayant avec complaisance des images de bousculades dans ces quartiers, des commentateurs fustigeant l’irresponsabilité des pauvres et bien sûr des gouvernants faisant porter la responsabilité morale du confinement aux gens soi-disant indisciplinés, pour mieux camoufler leur culpabilité directe dans l’étendue de la catastrophe.

    Que restera-t-il des démocraties ?

    Les personnes, certainement majoritaires parmi les dirigeants, qui n’en ont cure de la démocratie et de ses valeurs égalitaires, ne voient peut-être pas le problème. Mais il faut prendre la mesure de ce basculement : le fait que les démocraties auto-proclamées ne se soient pas montrées plus efficaces qu’un régime autoritaire face à l’épidémie fait peser un danger véritable sur l’idée démocratique. Que le président élu des Etats-Unis envoie des centaines de milliers d’Américains au casse-pipe quand le secrétaire général du Parti communiste chinois envoie dans le monde entier experts et matériel, après avoir vaincu l’épidémie dans son pays, cela n’a rien d’anodin. On pourra sourire au retournement bienvenu de l’histoire, voire le saluer, par anti-impérialisme ; ce serait sous-estimer le danger réel que ce retournement fait peser sur la démocratie, non pas comme régime fondé sur l’élection des dirigeants, mais comme idée d’un pouvoir exercé par le peuple et pour le peuple. Le fait que les démocraties aient fait si peu de cas de l’avis des citoyens, comme le fait qu’elles aient si souvent, comme en France, pris des décisions qui mettent en danger les pauvres, les dominés, et protègent les entreprises et les riches, affaiblit encore le sens du mot démocratie. La démocratie, comme idée et comme pratique, a besoin que les gens y participent, y adhèrent, y croient. Et pour cela, il faut que la démocratie ait une substance, bien au-delà de l’élection ponctuelle des gouvernants, surtout quand le niveau de désagrégation des partis politiques permet à des Trump ou des Macron d’arriver au pouvoir. Si un virus suffit à éliminer toute spécificité des régimes démocratiques, toute valeur des principes démocratiques, il n’y a aucune raison que les gens y accordent de l’importance, surtout quand des régimes autoritaires se montrent plus efficaces dans la protection de la santé de leurs sujets. Le coronavirus ne met pas en danger la démocratie ; mais nos dirigeants, face au coronavirus, sont en train de sacrifier la démocratie pour dissimuler leur incompétence et se maintenir au pouvoir. Organiser entre nous la solidarité, se battre pour les services publics est plus que jamais nécessaire[8]. Mais face au danger que représentent nos dirigeants pour nos santés autant que pour l’idée démocratique, ce n’est pas suffisant. Nous ne pouvons remettre ces questions à l’après, à la fin de l’épidémie. Il faut, dès maintenant, rappeler les gouvernants à l’ordre, le seul ordre qui vaille en démocratie : celui du peuple[9].

    [1] Pierre-André Juven, Frédéric Pierru et Fanny Vincent, La casse du siècle : A propos des réformes de l’hôpital public, Raisons d’agir, 2019. Frédéric Lordon, « Coronakrach », 11 mars 2020. Auriane Guilbaud, « Il n’est pas possible d’embaucher des milliers de soignants en un claquement de doigts », Le Monde, 13 mars 2020.

    [2] Je me permets de renvoyer ici au livre Démocratie, paru en février 2020 chez Anamosa.

    [3] https://universiteouverte.org/2020/03/19/5-milliards-des-effets-dannonce-mais-toujours-pas-de-moyens-pour-

    [4] Rémi Lefebvre, Nicolas Bué et Fabien Desage, « Le premier tour des municipales n’a pas eu lieu », Libération, 18 mars 2020. Laurent Le Gall, « Le coronavirus révélateur d’une démocratie grippée », Libération, 19 mars 2020.

    [5] Même si les services publics ne sont en fait pas une émanation de l’Etat, mais bien du public qu’ils servent, comme le rappellent Pierre Dardot et Christian Laval, « L’épreuve politique de la pandémie », Médiapart, 19 mars 2020

    [6] Yves Sintomer, « Face au coronavirus, les politiques n’ont pas eu le cran de poser le débat », Le Monde, 18 mars 2020

    [7] Sur les liens entre gestion policière de l’épidémie et contrôle social, voir « Contagion sociale Guerre de classe microbiologique en Chine », Chuang, février 2020, traduit par Des nouvelles du front

    [8] Michèle Riot-Sarcey et Jean-Louis Laville, « Le monde d’après-demain », Libération, 17 mars 2020. « Face à la pandémie, retournons la « stratégie du choc » en déferlante de solidarité ! »

    [9] Merci à Aurélien Angel, Elisabeth Callot et Célia Keren pour leurs commentaires sur une première version de ce texte.

    https://samuelhayat.wordpress.com/2020/03/23/la-democratie-a-lepreuve-du-coronavirus

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    –----

    Petite citation choisie pour @davduf :

    Mais en dehors de ce maillon essentiel, tout dans la gestion de la crise renforce le poids des structures de domination. C’est visible dans le choix de continuer à mettre les pauvres au travail, mais aussi dans la gestion policière du confinement[7]. Dans les quartiers bourgeois désertés, non seulement les supermarchés restent ouverts, et relativement peu fréquentés, mais la présence policière est quasiment nulle. On croise des joggers, des employé.es de commerces faisant une pause, des SDF, des livreurs attendant une course… Au contraire, les quartiers populaires des grandes agglomérations sont l’objet d’un contrôle policier tatillon, d’autant plus insupportable que c’est là qu’il y a des problèmes d’approvisionnement, de promiscuité dans les marchés et supermarchés et de concentration de la population dans les rues – puisque c’est là que la densité d’habitations est la plus forte, les appartements les plus exigus et la proportion la plus faible de privilégiés pouvant télétravailler ou partir à la campagne. C’est là qu’ont lieu les contrôles, là que vont tomber les amendes, là que vont être prises les images montrant comment l’Etat fait bien régner l’ordre. Car au contrôle policier s’ajoute le mépris de médias relayant avec complaisance des images de bousculades dans ces quartiers, des commentateurs fustigeant l’irresponsabilité des pauvres et bien sûr des gouvernants faisant porter la responsabilité morale du confinement aux gens soi-disant indisciplinés, pour mieux camoufler leur culpabilité directe dans l’étendue de la catastrophe.

  • #MeToo dans le cinéma : l’actrice Adèle Haenel brise un nouveau tabou - Page 1 | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/031119/metoo-dans-le-cinema-l-actrice-adele-haenel-brise-un-nouveau-tabou?onglet=

    3 novembre 2019 Par Marine Turchi

    L’actrice Adèle Haenel accuse le réalisateur Christophe Ruggia d’« attouchements » et de « harcèlement sexuel » lorsqu’elle était âgée de 12 à 15 ans. Son récit est conforté par de nombreux documents et témoignages. Mediapart retrace son long cheminement, de la « prise de parole impossible » au « silence devenu insupportable ». Le cinéaste conteste « catégoriquement » les faits.

    #viol #harcèlement_sexuel #meetoo

  • J’ai rit (forcément)
    Attention, discours religieux !
    La masturbation – Que faire après une rechute ?
    https://www.larebellution.com/2013/09/05/la-masturbation-que-faire-apres-une-enieme-chute
    Y’a a fond un côté individualisant dans le discours

    1. Adopter la bonne attitude vis-à-vis de son péché
    2. Retrouver l’envie de lutter
    3. Consulter les conseils de la série sur la pornographie
    (ça ne veut pas dire regarder des pornos, j’ai cru)

    MAJ du 05/02/18 : Suite à la difficulté de modérer les commentaires sur ce type d’article, nous avons trouvé plus sage de fermer les commentaires.

    Je suis peiné avec toi car je suis dans la même lutte que toi, et il m’est arrivé de perdre espoir.

    (et de la condescendance)
    Bonsoir Martine,
    Plutôt que d’aller à la messe, de tenter de prier Marie ou quoi que ce soit d’autre, pour vaincre ce péché je te conseille de te confier en Jésus-Christ seul. Il est le chemin, la vérité et la vie (Jean 14.6). Il est le seul médiateur entre Dieu et les hommes (1 Timothée 2.5).

    #religion #poison #sexualité

    • ce serait dommage de se passer des commentaires :

      Titi…je sais que ton commentaire date et que peut-être tu ne verra pas mon commentaire. Mais cela fait 3 et demi que je lutte aussi contre ça. Pour moi c’est un sujet tabou et qu’il faut s’en presser de l’oublier. Je suis tomber dans le pêcher de la masturbation par faute de confiance en moi, d’incompréhension de ma personne. Je m’efforcer de vouloir crée mon monde ou tous, absolument tous tourner autour du sexe. 3 ans que je me bat contre les forces du diable. Et a chaque chute, il m’est très difficile de revenir a Dieu à cause de se pêcher qui crée un fossé immense entre nous deux. Je veux, j’aimerai changer de vie mais hélas !!! je ne peux que l’améliorer. Est-ce que Dieu me pardonne ? est-ce que je vais pouvoir continuée a me battre ? sont les questions qui me reviennent tous les jours. J’ai réussi a diminuer mon temps sur la masturbation mais ce que je veux et plus que tous c’est abandonner cette personne que je suis aujourd’hui pour devenir la personne que je veux vraiment être…..
      et toi as-tu réussi ??

      malgré la détresse réelle exprimée par ce genre de messages, j’ai un mal de chien à réenclencher la machine empathique. Elle se grippe instantanément dans un vilain hoquet de rire. Pardon, Jésus, pardon.

  • #Exit

    #Karen_Winther est passée d’un extrême à l’autre : membre d’un groupe de la gauche radicale à l’adolescence, elle a ensuite viré de bord pour rejoindre la mouvance néonazie. Après avoir définitivement rompu avec l’extrémisme, la réalisatrice norvégienne, encore hantée par son passé violent, est allée à la rencontre de personnes du monde entier qui, après avoir connu une « déradicalisation » similaire, ont souhaité témoigner de leur parcours. En Floride, Angela, ex-membre de l’organisation d’extrême droite Aryan Nations, passée par la case prison, s’engage aujourd’hui pour prévenir ces dérives. Manuel, l’un des anciens visages du mouvement néonazi allemand, vit aujourd’hui reclus pour sa propre sécurité. Quant au Français David, hier aspirant djihadiste de l’État islamique, il a quitté la mouvance après sa sortie de prison. Comment ces personnes d’horizons divers ont-elles réussi à tourner la page ? Un documentaire intimiste qui met en lumière les racines de leurs engagements, mais aussi les soutiens et les perspectives qui les ont aidées à s’en détourner.


    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/55267_1

    #David_Vallat, ex-djihadiste :

    « On pense que la violence, l’usage de la #violence peut changer les choses, mais à partir du moment où vous l’utilisez c’est la violence qui vous change parce vous changez le regard sur le monde »

    #film #documentaire #extrême_droite #néo-nazis #haine #Ingo_Hasselbach #témoignage #honte #peur #Tore_Bjørg (chercheur sur la police) #djihadisme #GIA #groupe_islamiste_armé #Exit (association) #idéologie #vide #Life_after_hate (association) #colère #viol #traumatisme #pardon #culpabilité #radicalisation

  • Le #développement_personnel est-il vraiment l’#arnaque du siècle ? (Jean-Laurent Cassely, Slate)
    http://www.slate.fr/story/166196/societe-happycratie-bonheur-developpement-personnel-pensee-positive

    Dans la période post-crise 2008, durant laquelle les #inégalités se creusent, les chances de #mobilité_sociale s’aménuisent, le fonctionnement du #marché_du_travail se durcit, l’appel à faire preuve d’#enthousiasme, de #positivité et d’#autonomie contribue à faire porter sur les individus la #responsabilité de tout ce qui dysfonctionne.

    Des phénomènes structurels lourds comme les variations du taux de #chômage ou la #dette des États peuvent passer au second plan ou même être occultés au profit de l’encouragement à devenir l’#entrepreneur de #soi-même, à rebondir et à faire de ses #échecs des #opportunités – autant de maximes qui forment un néo-bouddhisme absurde, une « #pornographie_émotionnelle » que les adeptes des fils d’actualité du réseau Linkedin ne connaissent malheureusement que trop bien.

    […]

    Le véritable débat concerne peut-être moins l’efficacité des techniques du mieux-être que la vision du monde qu’elles véhiculent. Sur le plan individuel, toutes celles et ceux qui ne parviennent pas à être riches, heureux, en bonne santé, épanouis et débordants d’énergie sont soupçonnés de ne pas avoir fait suffisamment d’#efforts –et donc quelque part de vouloir et de mériter leur sort. Ils cumulent leur #souffrance avec un sentiment de #culpabilité.

  • Texts from student who killed herself shared across campuses | Society | The Guardian

    https://www.theguardian.com/society/2017/nov/24/texts-from-student-who-killed-herself-shared-across-campuses

    Text messages sent by a university student who killed herself following an abusive relationship will be shared on campuses across Scotland as part of a campaign to raise awareness of domestic violence among young people.

    Emily Drouet, 18, then studying law at Aberdeen University, texted friends in the weeks before her death in March 2016. She described her emotionally and physically violent relationship with fellow student Angus Milligan, insisting “It’s my fault”, “I made him so angry” and “I deserve it”.

    #violences_faites_aux_femmes #inégalités #discrimination #violence #viols #culture_du_viol #culpabilité

  • Libérer les animaux de l’antispécisme

    http://iaata.info/Liberer-les-animaux-de-l-antispecisme-1794.html

    L’antispécisme est-il un projet d’émancipation au même titre que le féminisme et l’antiracisme ? L’idée fait son chemin dans le milieu anarchiste. Et pourtant, elle soulève de nombreuses questions...

    Extrait :

    Dans un appel à « Abolir la viande », Antoine Comiti et Estiva Reus se demandent comment en finir « éthiquement » [13] avec ces 1,3 milliard d’éleveur.ses qui refusent d’intégrer la modernité. Prenant note que « des millions de familles pauvres n’abandonneront pas l’élevage ou la pêche si cela implique pour elles de passer de la grande à l’extrême misère », les auteur.es, dans un verbiage managérial assez remarquable, proposent « d’accompagner leur reconversion » dans d’autres secteurs. En plus « d’élaborer des politiques permettant [aux éleveur.ses] de développer d’autres activités », il serait souhaitable de mettre en place « des mesures incitatives pour faciliter l’acheminement de produits végétaux vers des zones qui n’en produisent ou n’en importent pas suffisamment pour pourvoir à l’alimentation des populations humaines ». En appui de la lutte antispéciste, donc : la mondialisation et le libre échange. Après tout, ce qui a tué l’élevage chez nous devrait bien faire l’affaire chez elleux...

    Et les auteur.es, faisant leurs les analyses de la FAO [14], concluent non sans cynisme : « Il convient d’ajouter qu’indépendamment de l’abolition de la viande, l’activité des petits producteurs pauvres est déjà compromise. La disparition accélérée prévisible des micro-exploitations résulte de leur non viabilité économique au regard des évolutions actuelles de l’agriculture. Le contrecoup social ne peut être évité que par des politiques visant à développer des emplois dans d’autres secteurs. (Voir encadré reproduisant l’analyse de la FAO). »

    En Occident, la révolution que les antispécistes appellent de leurs vœux a déjà eu lieu il y a deux siècles ; on a appelé ça la révolution industrielle.

    Avec l’incontournable #Jocelyne_Porcher, bien sûr.

    Jocelyne Porcher, Ne libérez pas les animaux ! , 2007
    http://sniadecki.wordpress.com/2012/01/25/jocelyne-porcher

    #animal, #anti-spécisme, #alimentation, #critique_techno.

    • #Backlash_carniste as usual
      #lobbyisme
      #stratégie_de_l'homme_de_paille
      #Non_comprenants_de_l'appropriation
      et des
      #rapports_de_domination itou.

      #blagues, aussi - mais de très mauvais goût. Florilège :

      Les animaux savent parler et, si l’on ne leur a jamais demandé de se positionner sur la question de la libération animale, encore faut-il les comprendre sur le reste. Il existe des humain.es qui en sont capables, et pour cause, iels vivent et travaillent avec eux : ce sont les éleveur.ses.

      Détester les éleveur.ses, et donc le monde paysan dont iels sont une composante indissociable, est un droit. Après tout, l’homme parvenu à la modernité des villes s’est toujours appliqué à couvrir de tout son mépris le monde rural auquel il était parvenu à s’arracher.

      n’avançant aucun moyen matériel ou politique de vivre à égalité avec les animaux, les antispécistes proposent d’en débarrasser purement et simplement la société humaine.

      Ah puis non, je m’arrête. Le, la ou les auteur-e-s ne connaissent qu’un rapport aux animaux : celui d’appropriation, et hors de cette perspective, point de salut. Dans ces têtes étroites, critiquer l’appropriation, c’est tuer le rapport aux animaux - alors que tuer les animaux, c’est perpétuer le rapport. Faut il se contorsionner l’esprit !

      La promotion échevelée de l’appropriation animale repose toujours sur les mêmes dénis, clichés et mépris, que l’on retrouve ici intacts. On a beau les démonter un à un, ils sont solidement implantés dans des têtes carnistes, qui ont effectivement besoin d’eux pour continuer de l’être. Quant à considérer historiquement l’élevage, les relations et les animaux particuliers qu’il produit, il n’en est jamais question.

      Ce panégyrique de l’élevage est surtout un affligeant étalage de complaisance.

    • @martin5

      Ce panégyrique de l’élevage est surtout un affligeant étalage de complaisance.

      C’est bizarre, il me semble à moi que ce texte critique l’anti-spécisme et sa complaisance envers certaines formes de dominations capitalistes et industrielles...

      Quant à considérer historiquement l’élevage, les relations et les animaux particuliers qu’il produit, il n’en est jamais question.

      C’est précisément ce que ne font pas les anti-spécistes, et c’est précisément ce qu’à fait Jocelyne Porcher. Mr Scribrouillard, vous inversez la réalité, vous marchez sur la tête !

      C’est curieux comme certains sont totalement imperméables à toute critique argumentée de leur idéologie fétiche...

      #aliénation

    • « C’est curieux comme certains sont totalement imperméables à toute critique argumentée de leur idéologie fétiche... »

      Tu as raison @tranbert et tu m’as convaincue par tes arguments.

      C’est claire que les végé-vegan et L314 sont une menace avant tout pour les petits producteurs de bio-local et pas du tout pour les gros industriels. D’ailleurs L314 ne film que de gentils petits producteurs locaux. Et ce qui met les éleveurs bio-gentils en péril c’est surtout les vegans et abosulument pas l’industrialisation, la FNSEA, l’UE & co.
      Les vegans sont des salauds qui ne participent même pas aux apéro saucission identitaires. Ils mettent en péril nos valeurs gauloises... Chasse, pèche, tradition tout ca. C’est sur il faut défendre nos valeurs contre ces dangereux idéologues fétichistes.

      C’est vrai qu’il est important de conserver des emplois épanouissant pour les travailleurs pauvres et immigrés dans nos beaux abbatoires bio-equitables de France. C’est vrai qu’il faut garder nos traditions. Les bourges ont le droit à de la bonne viande labelisé car ils le méritent et les pauvres ont le droit de se taper des lardons comigel aux hormones parcequ’ils le méritent aussi. Et puis la production local c’est claire qu’en ville c’est facilement réalisable, on aura qu’a faire des saucisses de pigeon et de rats assaisonné à la farine de cafards. Ces urbains vont pas faire la fine bouche, il y en a qui meurent de faim dans le monde après tout.

      Enfin tu as raison, c’est vrai que les éleveurs sont des imbéciles complets, incapables de trouver une autre activité que la production de viande dans l’hypothèse d’une magie maléfique vegans qui aurait fait cessé brutalement toute conso de viande dans l’univers. Tu as raison c’est important et urgent de défendre les eleveurs de leur propre connerie hypothètique si des fois un jour le monde changeait. Mais heureusement grâce à des gens comme toi @tranbert le monde n’est pas près de changer.
      https://www.youtube.com/watch?v=AhTI39LsC0c

      #dialogue_de_sourds #conservatisme #culpabilité

    • Merci @mad_meg je ne voulais pas rebondir sur ce texte parce que comme d’hab, le sujet est abordé d’une façon arrogante, partisane et caricaturale et je déteste ça.

      Je n’ai pas complètement fixé ma pensée sur ces questions mais quand même, j’ai arrêté de manger de la viande et du poisson parce que j’estime pouvoir m’en passer et je ne me reconnais absolument pas dans ce portrait. On y présente L ’anti-spécisme comme on parle de LA femme, sur un modèle monolithique, c’est parfaitement ridicule. Le gentil gardien de mouton et le méchant végétarien, franchement ?

      Alors puisqu’il est question des « petits » éleveurs des pays non industrialisés, il serait bon de s’y intéresser réellement pour savoir ce qu’il s’y passe, à savoir que qu’un nombre important d’ écosystèmes fragiles sont complètement détruits par les troupeaux . C’est le cas de l’Asie centrale comme des régions semi-arides d’Afrique. Cela fait plusieurs années maintenant que la Corne de l’Afrique est touché par des sécheresses qui affectent principalement les populations qui vivent de l’élevage. Résultat, des millions de bêtes et de personnes sont en train de crever en ce moment même dans cette région sans que personne ne lève le petit doigt. Au Kenya, les éleveurs ont quitté les zones de semi pâturage habituelles et ont conduit leurs animaux dans les zones de cultures qui sont maintenant complètement détruites. Éleveurs et cultivateurs s’affrontent violemment, il y a des morts. Oui oui, c’est en ce moment que ça se passe, tu le sais ?
      Un article du Courrier international que j’ai lu la semaine dernière (et mis ce matin sur seenthis) fait apparaitre que l’élevage serait en partie responsable de la désertification du Sahara.
      https://seenthis.net/messages/580597
      Bref, l’élevage est souvent pratiqué dans des zones fragiles, ce qui aggrave la situation.

      Perso je ne trouve pas stupide d’accompagner les éleveurs vers d’autres activités pas plus que d’accompagner les agro-industriel vers l’agroécologie ou les ouvriers du nucléaire vers les énergies renouvelables. Qu’on ne me reproche pas de nier les méfaits de l’industrie de la viande, j’y ai concentré tout un travail
      Quand la viande dévore la planète (celui-ci sera à revoir aussi)
      https://visionscarto.net/quand-l-industrie-de-la-viande

      Et là encore, on passe sur la mise à mort des animaux quand ils sont jeunes, pas après une bonne vie bien remplie comme le laisse supposer Porcher. Encore une fois, j’ai fait le choix de me passer de viande sans faire de prosélytisme et sans reprocher quoique ce soit à celleux qui n’ont pas fait ce choix mais quand je lit des insanités pareilles ça m’énerve.

    • Pour un antispécisme anarchiste et nihiliste
      http://iaata.info/Pour-un-antispecisme-anarchiste-et-nihiliste-1944.html

      L’auteur·e anonyme de l’article « Libérer les animaux de l’antispécisme » fait preuve d’une outrecuidance qui prête le flanc à la critique.[...] Ielle n’a pas cherché à reconnaître la possibilité d’un antispécisme anarchiste (donc anticapitaliste et illégaliste) et amoral et prétend démonter tout antispécisme en le réduisant à un antispécisme capitaliste, légaliste et moraliste. Ceci alors même qu’ielle écrit son texte parce que « [l’antispécisme] fait son chemin en milieu anarchiste »... Ielle reconnaît même seulement parler d’« une partie du mouvement antispéciste » et croit intelligent de préciser « mais je n’ai pas trouvé l’autre » ! Ielle n’a pas « trouvé » l’antispécisme anarchiste et nihiliste, donc il n’existe pas. CQFD ? On parle d’une position intellectuelle, pas d’un nouveau continent... pour la « trouver », il suffit de la penser. L’auteur·e manque soit d’imagination, soit de bonne foi. Je dirai de bonne foi.

      pas d’accord avec tout, cet article-ci nie encore une fois complètement la sensibilité des éleveureuses, avec un discours très fin et tout mais au final ça reste du blabla. Du blabla pas con, intéressant même, qui peut être à réfléchir, et dans une analyse plus fine qui reste à faire à utiliser comme révélateur face à des discours d’éleveureuses ; en gros l’argument c’est « non vous n’aimez pas vos bêtes, vous aimez votre métier, votre relation aux bêtes, vous aimez une abstraction essentialiste de ces bêtes qui est l’espèce et la race à laquelle elles appartiennent et non chaque animal individuel, voire la relation abstraite entre une essence animale et l’essence Humanité ». (Je vous laisse lire, je schématise peut-être pas bien, ne vous basez pas juste sur mon interprétation :))

      Par ailleurs c’est bien un espèce de position #NotAllVegans qui est défendue, comme s’il fallait défendre l’intégrité de l’antispécisme plutôt que de pointer du doigt là où effectivement ce mouvement dit de la merde. Après l’antispécisme n’est pas une identité (enfin, dans l’idéal...) c’est un courant de pensée qui peut prendre appui sur d’autres positions et luttes et donc défendre le fond de cette idée face à des caricatures qui circulent souvent a aussi du sens pour moi, et ça n’empêche pas de mettre le doigt sur les tendance racistes, classistes, urbanocentrées, pro-capitalistes, technophiles... du véganisme majoritaire.

      Enfin l’auteur reproche « l’outrecuidance » du premier, mais ne manque pas d’arrogance non plus, ce qui a tendance à m’énerver quel que soit le discours tenu...

      Bref, lisez, faites-vous votre opinion :)

    • Beaucoup d’incompréhensions qui viennent de la distinction « en théorie/en pratique » (en théorie l’élevage peut être non industriel, régénérer les écosystèmes, en pratique c’est +90% de l’industriel ; en théorie en peut avoir un véganisme non industriel, en pratique on entend surtout des citadins déconnectés de pas mal des éléments du débat), et de l’impossibilité de se mettre à la place de l’autre (ce n’est pas parce qu’on peut vivre sans manger de la viande que le carniste va arrêter d’en manger ; pourquoi les antispécistes devraient se soucier de la sensibilité des éleveurs s’ils pensent que leur activité est cruelle) ...

    • Reprenons les « arguments » de ce texte :

      « Pour nombre de penseur.ses de l’antispécisme, donner la parole aux éleveur.ses pour parler des animaux n’a pas plus de sens que d’écouter ce qu’ont à dire les esclavagistes de leurs esclaves. »

      Les éleveurs sont assurément les mieux placés pour dire... ce qu’ont a dire des éleveurs. Ils sont les mieux placés pour exprimer spontanément quelles consciences produisent les conditions matérielles que constitue l’élevage, la vie au cœur du rapport d’appropriation animale. Et ils le font de manière remarquable, qu’ils le veuillent ou non d’ailleurs – comme nous le faisons tous. On peut éventuellement parler à leur endroit d’aliénation, ce n’est pas un gros mot ni une insulte – un simple constat, un préalable possible à une approche critique de l’élevage, et de ce travail particulier. Mais prétendre que les éleveurs savent et comprennent comment les animaux parlent et ce qu’ils ont à dire , prétendre que l’élevage serait la condition de l’acquisition de ce savoir – tel est le fond du propos de Jocelyne Porcher et de celleux qui psittacisent autour d’elle – c’est réduire des animaux à ce qu’ils se trouvent pouvoir être dans cette condition particulière d’appropriés qui caractérise l’élevage, et à ce que les approprieur-euses sont elleux à même de leur reconnaître : c’est donc demeurer à l’intérieur de celle-ci, traiter l’appropriation animale en impensé, en faire un impensable. Celle-ci est posée comme déjà là, comme ayant toujours été déjà là – puisque notre humanité se serait constituée avec l’élevage - et instituée comme nécessaire. Voir là une approche « historique » très particulière, des plus pauvres, et soigneusement vidée de toute perspective critique.
      Toute proportion et mesure gardée, et puisque le ou les auteur-e-s se sont engagé-e-s sur ce terrain, cela revient effectivement à écouter ce que des esclavagistes diraient non pas tant de leurs esclaves que de l’esclavage, et de son caractère nécessaire pour eux, afin de demeurer des esclavagistes . Que cela soit fait délibérément, ou sans en avoir conscience n’a ici guère d’importance.

      Pour dire les choses autrement, le discours des éleveurs et de leurs amis sur l’élevage est pourtant nécessairement un objet de la critique. Et c’est bien ce qui semble leur déplaire le plus. Le discours caricatural de complaisance qui les pose en victimes innocentes d’urbains technolâtres aliénés leur vouant une haine imbécile dans un contexte de préjugés anti-ruraux – à quoi peut viser une telle caricature, si ce n’est tenter de faire diversion et décrédibiliser tout questionnement matérialiste sur l’appropriation animale et ses conséquences ?

      Quant à la subjectivité des éleveurs, elle est justement prise en compte par cette approche critique. Nul doute, par exemple, qu’une Jocelyne Porcher exprime sa subjectivité dans ses écrits. C’est-à-dire une subjectivité produite au sein de rapports sociaux, de conditions matérielles étroitement liées à la pratique de l’appropriation animale. Il faut avouer qu’elle donne plutôt généreusement à lire les contorsions d’une conscience humaine dotée d’empathie aux prises avec la nécessaire brutalité de conditions de domination qui lui bénéficient. Elle va jusqu’à prétendre s’intéresser aux souffrances indéniables des employés des abattoirs – non parce que la pratique organisée de la mise à mort est en soi peu compatible avec l’empathie, mais parce que le problème, dans la mise à mort, c’est l’industrie, seulement l’industrie.
      Juger simultanément l’industrie et la mise à mort comme deux problèmes cruciaux qui peuvent dans le même temps exister distinctement et se conjuguer atrocement dans l’élevage industriel ? N’y pensez même pas !

      Mais il est certain qu’une approche idéaliste, posant une telle subjectivité comme magiquement indemne de ces conditions matérielles, ou comme seule à même de dire la condition des animaux appropriés, est plus confortable.

      Les développements qui suivent sur la « libération animale » constituent un dévoiement manifeste de ce que peux recouvrir cette expression. La « libération animale » est une libération humaine avant tout. Il n’est pas besoin de parler au nom des animaux pour commencer de parler au nom de l’appropriateur, de l’exploiteur que l’on se trouve être soi-même. Reconnaître la place qu’occupent les animaux demande de poser comme point de départ que notre pensée d’approprieurs et exploiteurs est de fait façonnée pour justifier, cautionner et renforcer spontanément cette appropriation. Il faut accepter d’envisager qu’il y ait là un problème, une injustice profonde et lourde de conséquences, pour pouvoir commencer de les chercher. Il faut accepter de se pencher sur ce que l’appropriation animale nous fait aussi à nous - comme le faisait remarquer il y a quelques décennies James Baldwin à un autre sujet, ce sont les blancs qui ont un problème de racisme : et il est manifeste qu’en matière de rapport avec les animaux non-humains, ce les humains qui ont un problème de spécisme.
      C’est là ce à quoi se refusent avec la dernière énergie les promoteurs de l’élevage, qui ne cessent de rabâcher à quel point l’appropriation des animaux est indépassable, et quiconque la questionne, au mieux un imbécile égaré, plus sûrement un fourbe ennemi de l’émancipation humaine. La question de la libération animale est pourtant la question de la libération humaine d’un rapport de domination dont nous sommes les bénéficiaires, et des conséquences présentes d’un tel rapport sur nos consciences et nos sociétés dans leur ensemble.

      La question de l’amour des éleveurs pour leurs animaux ne se pose même pas. Il est évident que les éleveurs éprouvent de l’amour pour eux – comme il est tout aussi évident que cet amour ne les empêche pas de les faire tuer le moment venu. C’est assez dire que la question de la libération animale n’est pas une question d’ "amour pour les animaux". Cela fait longtemps que cela a été dit et redit. Le développement inepte sur les urbains qui croiraient aimer mieux leur chat que les éleveurs leurs brebis ou leurs vaches ne fait que refléter la force des préjugés de l’auteur-e – ou son intention de recourir ici encore à n’importe quoi pour tenter de décrédibiliser la critique de l’appropriation animale.

      Le paragraphe qui suit est un morceau de choix :

      « la place de la mort dans la relation ».

      Je ne sais pas quelle place a ma possible mise à mort dans ma relation avec qui que ce soit – hormis l’Etat, et je sais que, pour le coup, cela ne me convient pas du tout. Mais je sais que je ne tiens à aucune relation où la mise à mort à discrétion, selon les intérêts exclusifs d’une seule des parties, joue un rôle fondamental.

      « J’ai tué et vendu les agneaux auxquels les brebis ont donné naissance, et c’est ainsi qu’a pu durer la relation. »

      Oups. Il semblerait donc que la « relation » avec ces agneaux ait été quelque peu abrégée. Mais qu’importent les agneaux : c’est la fatalité , puisque ce sont des produits nécessaires à mon revenu, qui m’ont ainsi permis de faire durer ma belle et heureuse relation avec leur mère ? Pour ma part, je suis ici impressionné par la capacité d’aveuglement et de déni que requiert d’écrire dans un même paragraphe par le détail les bénéfices relationnels retirés de l’appropriation des brebis - et la réduction brutale de leurs agneaux à l’état de viande qui l’accompagne nécessairement. Il semble littéralement ne pas être apparu à l’auteur-e qu’une partie conséquente des ovins était vouée à ne pas connaître cette belle « relation », que ladite « relation » reposait justement sur le déni brutal de droit à la vie pour la grande majorité des agneaux. Un tel aveuglement laisse pantois. Et pour ma part, vanter les relatifs bienfaits de ma main droite en tachant d’oublier que ceux-ci reposent sur les méfaits brutaux de ma main gauche (ou l’inverse, je m’en fiche) me fait froid dans le dos.

      « Aujourd’hui, je vis à Paris. Je n’ai plus de brebis, mais une petite chienne. Je l’ai nommée, identifiée, vaccinée, stérilisée. (…) Mon revenu ne dépend pas de sa collaboration à mon travail, et c’est pourquoi la mort n’est pas un partenaire obligé de notre relation. »

      Ou l’on peut lire les limites de la subjectivité confrontée à la brutalité des conditions matérielles. Dans la relation d’appropriation, les animaux non-humains sont à la merci des animaux humains.

      « C’est là tout leur paradoxe : n’avançant aucun moyen matériel ou politique de vivre à égalité avec les animaux, les antispécistes proposent d’en débarrasser purement et simplement la société humaine. »

      Ce n’est pourtant pas difficile à comprendre : renoncer à l’appropriation, ça n’est pas « débarrasser la société humaine des animaux ». C’est se donner la possibilité de faire société autrement. C’est assurément renoncer à certaines formes de relation – mais pas à toute forme de relation. Mais cela suppose en effet le recul, et probablement la disparition de l’élevage, à tout le moins tel que nous le connaissons, et le renoncement aux formes de relation qu’il instaure, puisque cela suppose de ne plus faire reposer l’organisation de la satisfaction de nos besoins sur l’appropriation des animaux, de ne plus prétendre faire d’une telle appropriation une nécessité. Cela n’interdit ni affection, ni coopération, formes d’association.

      « Le rapport entre un éleveur et ses bêtes est aussi égalitaire que celui qui lie un.e habitant.e de la métropole à sa chienne. Il ne l’est pas. Et il n’a jamais prétendu l’être. L’éleveur.se, comme l’habitant.e de la métropole, a un pouvoir de vie et de mort sur ses bêtes, ce qui ne saurait donner lieu à autre chose qu’une relation asymétrique. »

      Nous revoilà pataugeant dans la caricature des urbains qui méprisent les ruraux. Mais pour nos apologistes cyniques d’une ruralité idéale ou l’on aime si bien les animaux que l’on tue, se bricoler à l’envi des hommes de paille est peut-être une seconde nature ?

      Vivre avec les animaux, "c’est notre projet" !, qu’ils disent.

      « La question de l’égalité entre humain.es et non-humain.es peut donc être posée – quelle question ne peut pas l’être ? – mais en quoi devrait-elle intéresser celleux qui ont pour projet de continuer à vivre avec les animaux ? »

      Eh bien, si « vivre avec les animaux » suppose pour vous d’organiser nécessairement une société autour de relations de domination, de pouvoir de vie ou de mort, d’appropriations, au prétexte que les êtres sentients qui en seraient l’objet ne seraient pas humains, figurez-vous que tout le monde n’est pas d’accord avec un tel "projet" - et j’ajouterai que des désaccords radicaux se sont manifestés bien avant les débuts du capitalisme ou de l’ère industrielle. Etonnant, non ?

      N’ayant pas que ça à faire aujourd’hui, j’en reste donc là pour l’instant.

      Mais la sympathie stupéfiante et la complaisance que rencontrent le mépris, l’arrogance, les agressions réactionnaires, les tentatives de discrédit, et les insultes à l’intelligence auxquels jugent bon de se livrer à répétition des militant-e-s écologistes et/ou anti-industriels à l’encontre de critiques qui ont pour principal tort de venir bousculer leurs fétiches humanistes et naturalistes m’escagasse quelque peu.

      Et ce que de tels propos disent malgré elleux de celleux qui les tiennent comme de celleux qui les trouvent à leur goût m’inquiète bien davantage.

    • @aude_v
      « C’est facile de dire not all vegans mais je n’ai jamais entendu de vegan admettre une différence entre élevage et production animale sans penser trahir son engagement. »
      Je te conseil cette émission dans laquelle Corine Pelluchon, une philosophe vegan explique qu’elle est amie avec un chasseur et qu’elle respecte sa position et arrive a la concilié avec son veganisme. Elle parle entre autre des problématiques qu’on a souvent ici entre paysannerie et veganisme.
      https://www.franceculture.fr/emissions/paso-doble-le-grand-entretien-de-lactualite-culturelle/corine-pelluchon-les-violences?xtmc=animaux&xtnp=1&xtcr=14

    • @martin5

      c’est donc demeurer à l’intérieur de celle-ci, traiter l’appropriation animale en impensé, en faire un impensable. Celle-ci est posée comme déjà là, comme ayant toujours été déjà là – puisque notre humanité se serait constituée avec l’élevage - et instituée comme nécessaire. Voir là une approche « historique » très particulière, des plus pauvres, et soigneusement vidée de toute perspective critique.

      C’est vrai que la domestication des animaux et l’élevage ne remontent qu’à seulement 10.000 ans... Une broutille qui ne mérite même pas qu’on s’en souvienne, encore moins qu’on en discute, probablement .

      Sur quoi donc, face à cela, la « perspective critique » de notre scribrouillard repose ? Une réécriture de l’histoire conformément à son idéologie ? ("notre humanité se serait constituée avec l’élevage" : ce serait donc faux, on m’aurait menti ?...)

      Et beaucoup de verbiage abstrait et creux. ("cela suppose de ne plus faire reposer l’organisation de la satisfaction de nos besoins sur l’appropriation des animaux" : rien de plus simple, n’est-ce pas...)

      le mépris, l’arrogance, les agressions réactionnaires, les tentatives de discrédit, et les insultes à l’intelligence auxquels jugent bon de se livrer à répétition des militant-e-s écologistes et/ou anti-industriels

      A mon sens, cette interprétation résulte de l’incapacité à seulement supporter le fait que d’autres ne partagent pas les mêmes idées et expriment leurs désaccords.

      Pauvre Martin, pauvre misère.

      P.S. : Et les plantes, et les bactéries, elles ne souffrent pas, peut-être ? La conception pacifiée de la vie de certains anti-spécistes pose de grandes questions... auxquelles ils ne répondent généralement jamais (sans parler de savoir si seulement ils se les posent).

      #pacification

    • C’est vrai que la domestication des animaux et l’élevage ne remontent qu’à seulement 10.000 ans... Une broutille qui ne mérite même pas qu’on s’en souvienne, encore moins qu’on en discute, probablement .

      Il y a des traditions dont on devrait se séparé. Les sacrifices humains, peine de mort, infenticide et ce genre de choses on les regrette pas. L’inceste, le viol, le meurtre, l’esclavage sont aussi de vieilles traditions humaines, c’est pas pour ca que ces pratiques deviennent acceptables.
      En passant la domestication animal par l’humanité est plus vieille que seulement 10.000 ans.

      Et les plantes, et les bactéries, elles ne souffrent pas, peut-être ? La conception pacifiée de la vie de certains anti-spécistes pose de grandes questions... auxquelles ils ne répondent généralement jamais (sans parler de savoir si seulement ils se les posent).

      Je ne suis pas vegan mais je vais te répondre. Dans l’émission que j’ai indiqué plus haut la philosophe explique que la question se pose pour les êtres sentients.
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Sentience

      La sentience (du latin sentiens, « ressentant ») désigne la capacité d’éprouver des choses subjectivement, d’avoir des expériences vécues. Les philosophes du XVIIIe siècle utilisaient ce concept pour distinguer la capacité de penser (la raison) de la capacité de ressentir (sentience). En philosophie occidentale contemporaine, la sentience désigne la conscience phénoménale : la capacité de vivre des expériences subjectives, des sensations, que l’on appelle aussi qualia en philosophie de l’esprit. Dans les philosophies orientales (comme la philosophie bouddhiste), la sentience (en) est une qualité métaphysique qui implique respect et sollicitude.

      Le concept de sentience est central en éthique animale car un être sentient ressent la douleur, le plaisir, et diverses émotions ; ce qui lui arrive lui importe. Ce fait lui confère une perspective sur sa propre vie, des intérêts (à éviter la souffrance, à vivre une vie satisfaisante, etc.), voire des droits (à la vie, au respect…). Ces intérêts et ces droits impliquent l’existence des devoirs moraux de notre part envers les autres êtres sentients.

      Si le concept de sentience est central dans la question animaliste c’est bien que les Vegans ont déjà répondu à ta remarque. Le cri de la carotte est un poncif.
      Ca indique surtout un grand mépris de ta part pour les personnes à qui tu prétend répondre puisque tu ne connais même pas les idées de base qui les portent.

    • Je ne comprends pas le rapport à la chasse qu’entretiennent certains végans. C’était le discours d’un collègue hier après midi sur le respect de gens qui vont au bout de leurs « choix », prennent leur arc et leurs flèches pour abattre leur pitance. C’est un résumé of course.
      Suis je le seul à être choqué par Corine Pelluchon citant Abraham Lincoln comme référent philosophique ?

    • @mad_meg

      Merci pour la sentience. Le problème est que tous les êtres vivants sont dotés d’une sensibilité propre et d’une activité autonome. Donc, mettre une limite inférieure à cette sentience est finalement assez arbitraire.

      On sait maintenant que les arbres communiquent entre eux, par exemple, etc. Ont ils des émotions ? peut-être pas de la même manière que les animaux, certainement.

      La vision machiniste / utilitaire du vivant qui domine la biologie s’effrite de toutes parts. Et c’est tant mieux.

      Respecter seulement ce qui nous ressemble n’est donc qu’une autre forme - non assumée - de l’anthropocentrisme.

      Pour ma part, je pense qu’avec Élisée Reclus (1905) : « l’être humain est la nature prenant conscience d’elle-même »...

    • « Suis je le seul à être choqué par Corine Pelluchon citant Abraham Lincoln comme référent philosophique ? »
      @unagi Ca m’a posé problème aussi au debut de sa démonstration, en fait elle le cite par rapport à une methode de droit que Lincoln avait proposé pour la liberation des esclaves mais qui n’avait pas été retenue. Elle ne dit pas que les animaux sont comparables aux esclaves. Elle prend une précaution par rapport à ca. Elle dit que les droits pour abolir l’esclavage peuvent servir d’inspiration pour les droits d’abolition de l’elevage. C’est vrai que c’est assez délicat et que j’ai commencé par être choqué comme toi par son develloppement mais comme elle parle de droit et pas de la condition elle même ca me semble pas problématique. C’est discutable et si ca blesse des personnes racisées je comprendrait.

      @tranbert tu as pas compris la notion de sentience. C’est le fait qu’un être vivant ai une conscience de soi au point de ne pas avoir envie de mourir. Personnellement je ne confond pas une pomme - dont la consommation n’implique pas la mort du pommier - avec un lama ou un escargot qu’il faut trucider pour le consommer. Si ta vision de la bouffe c’est Salade=éléphant=vache=citron et tout ca comme un gros magma indifférencié mais toujours inférieur à toi on a vraiment rien à se dire. Personnellement je met toujours les intérêts des humains avant ceux des non-humains et je suis végé et pourtant je suis pour la recherche en labo sur les non-humains quant ca peu sauvé des vies humaines et je suis même pas contre la corrida tellement ca me semble anecdotique et sympa par rapport à l’industrie de la viande. Et toi tu voie pas la différence entre un courgette et une baleine ! Tu boufferai donc ton chien comme tu te tape des frites.
      Par rapport à la conscience, ca serait pas du luxe que tu change de siècle. Ca fait un moment que la conscience de soi n’est plus le propre de l’espèce humaine. Et c’est justement parcqu’on decouvre scientifiquement que les non-humains ont des cultures, des individualité, qu’on se pose des questions et qu’on a d’autres réponses que celles de 1905. On est en 2017 @tranbert il serait temps que tu sorte de ta caverne de troll.
      Sur le sujet tu peu écouté par exemple ceci :
      Le géni animal
      https://www.franceculture.fr/emissions/de-cause-effets-le-magazine-de-lenvironnement/le-genie-animal


      Comment pensent les animaux ?
      https://www.franceculture.fr/emissions/la-methode-scientifique/comment-pensent-les-animaux

    • Il y a des découvertes scientifiques qui sont faites @tranbert et qui changent les modes de vie. En 1905 il y avait encore très peu d’animaux de compagnie. Les mentalités ont beaucoup changé à ce sujet après la première guerre mondiale
      Sur le sujet je te conseil cette émission ;
      https://www.franceculture.fr/emissions/les-lundis-de-lhistoire/histoire-des-animaux-en-paix-et-en-guerre

      @nicolasm tu parlait des vegans citadins qui sont déconnectés de la réalité des eleveurs. Ca me semble assez important ce que tu pointait là . On n’a plus la manière de vivre des gens de 1905, on est très urbanisé, nos relations aux animaux en ville c’est globalement des animaux de compagnie très anthropomorphisés, des cadavres d’animaux sous forme très abstraite (voire ce texte très important http://terrain.revues.org/2932 ) et sinon des animaux parasites (cafard, rats, pigeons). Je sais qu’il y a des vegans à la campagne et des carnistes en ville mais je pense que le veganisme est liée à la sarcophagie et je pense que si on poursuit notre urbanisation les jours des eleveurs sont sérieusement compromis à moyen-long terme.

      @simplicissimus je l’avais raté ce texte. Ca à l’air interessant.
      Qui est passé aujourd’hui sur le sujet il y a aussi ce texte : https://seenthis.net/messages/581293 dans lequel des eleveurs devenu vegan témoignent de leur reconversion et leur relation aux non-humains.
      L’idée d’être moins prédateurs et de valorisé l’empathie, la symbiose, la collaboration est tout de même plus porteuse que celle de seulement convertir des êtres vivants en protéines. Vu ce que les éleveurs racontent sur l’article de libé il y a mieux à faire avec un cochon, un mouton, une vache que des steaks et les cochons, moutons, vaches prefereraient faire autre chose que steak dans la vie. D’un point de vue pratique je sais pas ou ca va nous conduire mais quant même c’est interessant d’y réfléchir, et d’essayé des choses nouvelles. C’est plus interessant que de rester dans la routine de la tradition dont on connaît les effets nocifs sur la planète, la santé, et même l’esprit des gens.

    • @unagi

      Je ne comprends pas le rapport à la chasse qu’entretiennent certains végans. C’était le discours d’un collègue hier après midi sur le respect de gens qui vont au bout de leurs « choix », prennent leur arc et leurs flèches pour abattre leur pitance.

      Je le comprend comme une posture théorique parce que la problématique des chasseureuses à l’arc qui mangent seulement ce qu’illes chassent me semble anecdotique. Par rapport a cet exemple à mon avis il est utilisé pour insisté sur une reprise de contacte concrète avec l’acte de mise à mort associé à la consommation de viande.

    • Merci. pour revenir sur Lincoln, je ne suis pas choqué par le parallèle animaux / esclaves j’en entend d’autres, mais bien par le personnage Lincoln qui était d’un racisme absolu et qui a tout fait sauf de l’émancipation.

    • Je ne connais pas Lincoln et je connais très mal l’histoire des USA. Corine Pelluchon le qualifie plusieurs fois de philosophe ce qui m’avais surpris parce que je n’avais jamais entendu Lincoln qualifié ainsi. Tu parle d’un racisme absolu mais il semble quant même avoir une grande importance dans l’histoire de l’abolition de l’esclavage. Enfin c’est ce que dit wikipédia, d’autres sources vont dans le sens de ce que tu dit. http://www.etaletaculture.fr/histoire/abraham-lincoln-ou-lart-et-la-maniere-de-bien-cacher-son-jeu

      Je dirai donc que je ne suis pas ni n’ai jamais été pour l’égalité politique et sociale des noirs et des blancs (…) il y a une différence physique entre la race blanche et la race noire qui interdira pour toujours aux deux races de vivre ensemble dans des conditions d’égalité sociale et politique(…)

      ici il y a plus d’infos ; http://www.sunuker.com/2015/02/04/les-racistes-celebres-que-les-noirs-adulent-encore-thomas-jefferson-abraham

      Ah oui parlé d’un grand philosophe c’est choquant. Pour Corine Pelluchon le #phallosophe ne peu pas me servir, mais #blancosophe ca peu fonctionner pour les philosophes aveugles au racisme.

    • @mad_meg Ici un extrait par howard Zinn https://books.google.fr/books?id=IBwuDAAAQBAJ&pg=PT282&lpg=PT282&dq=abraham+lincoln+howard+zinn
      Il y aussi une citation de Lincoln :
      « Je dirai donc que je ne suis pas ni n’ai jamais été pour l’égalité politique et sociale des noirs et des blancs, que je ne suis pas, ni n’ai jamais été, pour le fait d’avoir des électeurs ni des jurés noirs, ni pour le fait de les former à exercer ces fonctions, ni en faveur des mariages mixtes ; et je dirai en plus de ceci, qu’il y a une différence physique entre la race blanche et la race noire qui interdira pour toujours aux deux races de vivre ensemble dans des conditions d’égalité sociale et politique. Et dans la mesure où ils ne peuvent pas vivre ensemble mais qu’ils coexistent, il faut qu’il y ait une position de supériorité et d’infériorité, et moi-même, autant que n’importe quel autre homme, je suis pour le fait que la position de supériorité soit attribuée à la race blanche. »
      Je suis, après plusieurs discussion, plus que réservé sur le discours ou l’argumentation des végans que je j’ai pu rencontrer. malgré tout je trouve que les questions posées sont importantes. Ce matin j’ai continué par des textes bouddhiques et hindouistes qui me semblent important quand à la réflexion sur l’éthique et ce sans tordre les vérités pour convaincre. En ca le texte donné par Tranbert est pour moi intéressant.

      Pour terminer sur la chasse, plus personne ne vit par la chasse ou meme survit, la chasse aujourd’hui est classé comme « sport » de loisir... Tuer pour son loisir me semble plus le fait de psychopathes.

    • @aude_v

      Porcher parle d’une convergence entre agenda vegan et capitaliste sur la foi de quelques offensives communes comme la castration chimique du porc qui vient d’une campagne des grosses ONG et ouvre un marché énorme à Pfizer. Ou bien de la viande in vitro. On peut être vegan et anti-capitaliste mais il faut pouvoir repérer des convergences crades. Moi quand j’entends des trucs féministes racistes, je prends la peine de rappeler que cette convergence-là ne fait pas de sens à mes yeux et que nous sommes nombreuses à nous opposer à la récup du féminisme. Je ne crie pas à la caricature du féminisme, j’assume la variété de la sphère tout en posant mes convictions.

      Oui tu as raison excuse moi d’avoir raté cette remarque de ta part. Pour les vegans je suis loin de les approuvé toutes et tous. Je n’apprecie pas du tout Peta à cause de leur sexisme et j’avais pas pensé à l’aspect libéral compatible avec certains mouvements vegans. Tu as raison et merci d’avoir insisté là dessus.
      Personnellement je trouve la théorie vegan entousiasmante et cohérente d’un point de vue intellectuel et dans mon rapport aux non-humains (citadine avec animal de compagnie très anthropomorphisé) ca fonctionne très bien. Par contre dans la pratique je préfère vraiment me concentré sur le sujet de l’elevage industriel et du contexte urbain. Pour moi le mode de vie citadin est pas compatible avec la consommation de viande.
      Sur l’urbanisation il y a quelques chiffres ici qui montre quant même que c’est deja bien si cette population ne mangeait plus de viande car c’est surtout les pays développés qui sont urbanisés. Les riches qui mangent la viande et les pauvres qui en payent les frais comme le dit @odilon : http://keepschool.com/fiches-de-cours/college/geographie/urbanisation-dans-monde.html

      Taux d’urbanisation en 1999 dans le monde : 45 % ; dans le tiers monde : 40 % ; dans les pays développés : > 75 %

      C’est vrai que les campagnes se désertifient mais c’est pas en mangeant de la viande que les villes vont repeuplé les zones rurales. Castrer des porcs que ca soit chirurgicalement ou chimiquement ca reste une pratique horrible dont on pourrait commencer à réfléchir à comment s’en passer. Et quitte à choisir si j’avais des couilles je préférerait des cachetons pfizer à une rencontre avec cet outil :


      On a vraiment besoin de quelques élevages de porcs pour les valves cardiaques et des applications médicales mais je suis même pas sur qu’on ai besoin de les castrés pour ca. Le reste c’est juste du sadisme par confort, on peu s’en passé.

      Par rapport au travail, être eleveureuse c’est un travail qui exige des horaires de dingues, même si les conditions de travail sont correctes. Ce qui semble rare. Le circuit de la viande implique forcement un passage aux abattoirs et donc le maintiens d’emplois obligatoirement dehumanisants et cauchemardesques. Ca sera bientôt fait pas des robots mais ca me semble pas un progrès non plus.
      https://vimeo.com/190027585

      @unagi

      Pour terminer sur la chasse, plus personne ne vit par la chasse ou même survit, la chasse aujourd’hui est classé comme « sport » de loisir... Tuer pour son loisir me semble plus le fait de psychopathes.

      Pour la viande plus personne ne vit par l’ingestion de viande ou même survit, la viande aujourd’hui c’est un plaisir, un confort, une facilité... y a moyen d’avoir des protéines autrement et moins cher. Tuer pour son plaisir, confort, sa facilité c’est pas génial non plus. Enfin je parlerais pas de psychopathes ni pour les chasseurs ni pour les carnistes, ca dépend des chasseurs et des carnistes.

      @aude_v

      Quand @monolecte nous parle de désertification rurale organisée, je pense à l’image que me donnent les vegans que je côtoie : une agriculture végétale, donc pas biologique parce que les amendements bio sont d’origine animale, et une wilderness pas entretenue. On peut en parler ?

      Je ne comprend pas pourquoi les vegans ne pourraient pas manger de lentilles, tofu, seitan, laitue et autres végétaux bio. Je ne sais pas ce que veux dire « les amendements bio sont d’origine animale, et une wilderness pas entretenue. » du coup je peu pas en parler.

    • Le problème que je vois souvent c’est que la discussion de l’antispécisme se borne à des choix de consommation (nourriture surtout). Les conséquecnes pour les animaux son connues (ils ne souffrent plus, bon certains disparaissent aussi mais bon). Pas de réflexion sur l’économie, la gestion des paysages et des territoires. On transforme les prairies en bois sauvages et en engrais verts (pour les quelques uns qui pensent réellement au mode de production, ils sont rares). Mais ce n’est pas aussi simple que ça.

      C’est anecdotique mais en même temps c’est ma vie donc ça m’est important :)

      Ce que je vois depuis chez moi

      Franchement j’ai du mal à imaginer plus beau, et pendant ma formation agricole j’ai vu ce que c’était concrêtement des zones de maraichage et de vergers, eh beh je change pas pour des prairies.

      Et (c’est une fois encore anecdotique) c’est la seule production de nourriture possible sur certaines de ces zones. Et en plus ça aère le paysage, sert aux enfants pour jouer, récolter des fleurs, etc. Permet de ne pas être en combat avec les animaux sauvages (qui peuvent aller et venir sans nuire à la production)

    • Ce qui m’emmerde dans la façon dont ce sujet est abordé sur seenthis c’est qu’il mets toujours en avant la partie des végans qui pose problème pour justifier le carnisme. Les milliers de personnes, voire les millions de végans qu’on entend pas sont simplement ignorés. Quant à parler au nom de tous les éleveurs je trouve cela insupportable. Combien parmi eux ont choisi de faire ce métier, combien ?
      Je vais toutefois essayer d’intervenir posément.
      Je ne suis pas forcément contre le travail des animaux avec les humains à condition que les animaux soient bien traités et qu’ils ne sont pas mis à mort en pleine vie.
      Vis à vis des élevages à petite échelle, je pense qu’il ne sont possible qu’à la condition où les ressources sur place le permettent.
      Je pense aussi que l’élevage à petite échelle encourage l’élevage industriel : il n’y a pas de raison que seule une partie de la population puisse s’offrir de la viande. Je m’explique.

      Concrètement si on supprime complètement l’industrie de la viande (ce qui est souhaitable), cela signifie pour que satisfaire la demande il faut multiplier les petits élevages, je ne vois pas d’autres solutions. D’un point de vue géographique ça ne sera simplement pas possible. Il faut beaucoup de place pour pour avoir des animaux sans épuiser les ressources naturelles. En Chine c’est niet, le pays manque de terres. Dans les zones urbaines qui s’étendent à vitesse grand V c’est niet. Dans les zones arides, semi-arides, et toutes les zones aux écosystèmes fragiles, c’est niet sans un énorme travail préalable pour rendre ces zones propres à recevoir des élevages. Ailleurs, il faut veiller à ce que l’association végétation-animaux soit bénéfique pour les humains, les animaux et les écosystèmes. Dans ces conditions, le nombre d’animaux d’élevage serait drastiquement revu à la baisse et ne pourrait satisfaire la demande. Cela aurait comme résultat que les prix grimperait et que seuls les riches pourraient se payer de la viande et si seuls les riches peuvent se payer de la viande, l’industrialisation de la viande me parait inévitable.
      Alors quand Porcher avance que l’élevage permet de maintenir des espèces en vie, je m’étrangle. D’abord parce que l’élevage mange inexorablement sur les espaces naturels et que de ce fait des animaux sauvages sont touchés d’extinction. Ensuite parce que l’élevage à petite échelle à forcément son pendant industriel comme je l’ai dit et que de tous les élevages, petits et grands ne portent leur attention à qu’un nombre très limité d’animaux.
      Pour ma part je continue à soutenir qu’on peut, dans les pays industrialisés, avoir des espaces naturels ou semi naturels pour permettre aux espèces domestiquées jusque là de vivre une bonne vie tranquille.

    • Les vegans pro indus j’en ai jamais rencontré et illes ne sont pas sur seenthis. Je sais maintenant qu’illes existent mais à ce moment il vaudrait mieux chercher à s’allier contre l’industrie avec les vegans et vege d’ici plutot que plutot que de les traiter comme un gros bloc de peta qui veulent du tofu MacDonald avec une femme a poile sur le paquet.
      Les pâturages c’est très joli mais la nature sauvage aussî c’est très jolie et l’agriculture saine Ca fait des jachères et du coup Ca fait des jolis pâturages pour les bêtes sauvages qui seront les trouver. L’arrêt de consommation de viande si elle advien, ne se passera pas d’un coup, les éleveurs, les paysages de prairies aurons le temps de s’adapter et en attendant l’urgence c’est l’industrie et les abattoirs. Et les abattoires Ca conçerne aussi les petits éleveurs. Lè procès qui a lieu en ce moment contre trois employés des abattoires qui ont été filmés par L314 en train de s’amuser à torturer des animaux implique un éleveur de bovin bio a mi temps qui aime tellement ses brebis qu’il s’amuse à leur mettre des droites ou leur cramer lè museau a l’électricité.
      Aussî ce que dit porcher sur la mise à mort comme une rétribution pour avoir nourri et soigner les bêtes est une inversion de causalité. Les éleveurs nourrissent et soignent les bêtes uniquement pour leur viande. Et ils élèvent d’autres bêtes parfois qu’ils nourrissent comme des chiens par exemple et pourtant ils les bouffent pas en compensation quant ils ont atteint la puberté. La mise à mort n’est pas une compensation, c’est le but de l’élevage carné.

    • @mad_meg : oui la nature sauvage c’est joli, ça a plein de fonctions pour aller se ressourcer tout ça, par contre y vivre dedans c’est pas la même chose.
      Les jachères c’est joli sauf quand c’est en production de betteraves ou autre
      Je trouve qu’il y a beaucoup de méconnaissance sur le rôle des animaux. On se focalise sur les élevages (= production groupée de produit animal) mais il y a énormément de gens qui ont des animaux sans être éleveur, par exemple dans les jardins-forêt tropicaux.

      Je considère que prendre l’élevage par la conso de viande est une erreur. Les animaux apportent beaucoup de services, et il faudrait élever les animaux pour cela, et consommer la viande qui résulte de ces pratiques, tant pis si ça en fait pas beaucoup.

    • Concrètement si on supprime complètement l’industrie de la viande (ce qui est souhaitable), cela signifie pour que satisfaire la demande il faut multiplier les petits élevages, je ne vois pas d’autres solutions.

      Attention au biais : la manière dont on vit, ce n’est pas que la manière dont on produit, et le fait dans un monde capitaliste de consommateurs de « tout vouloir pareil pour tout le monde » est typiquement un état d’esprit propre à ce mode de vie. Cette égalité abstraite.

      À l’intérieur même de groupes sociaux, il peut y avoir des inégalités mais c’est encore un autre débat. Mais entre groupes sociaux vivant dans des territoires différents, il n’est absolument pas du tout question de manger tout le monde pareil suivant les territoires et les climats (dans un projet anti-indus). C’est tout à fait normal que dans tel endroit on mange plus de ceci et dans tel autre plus de cela. Parfois ce sera plus de légumes, de fruits, de viande, de poisson, ce n’est pas pareil partout.

      Baser sa réflexion sur le fait qu’on devra tous pouvoir manger du cochon, de la vache, de l’agneau, etc, comme maintenant, pour moi c’est déjà une mauvaise direction (y compris quand c’est pour critiquer la proposition).

    • @Tranbert
      Si vous parveniez à aborder le sujet de la critique du spécisme - un très vaste chantier, pour le moins, aux nombreuses contributions - sans arrogance ni le mépris, nul doute que vous vous exposeriez au risque d’en savoir un peu plus sur le sujet.
      La balle est dans votre camp - de ce point de vue, il semble qu’elle y soit depuis longtemps -, et si elle y reste, il y a un moment où c’est vous que cela regarde.

      @tous ou presque

      Je lis ici encore de longs développements sur la plus ou moins immédiate faisabilité de telle ou telle pratique, de telle ou telle organisation de la production, et je ne doute pas de vos compétences pour cela.
      Mais la question de la critique du spécisme est surtout celle du regard que l’humanité porte sur elle-même. Et, que l’on me permette cette comparaison, face à cette critique, mettre en avant comme vous le faites les innombrables difficultés pratiques pour parvenir dès demain, en partant de sociétés radicalement spécistes telles que celles que nous connaissons, à une société antispéciste : voilà qui ressemble à s’y méprendre au semelles de plomb du réalisme avec lequel la bourgeoisie a souvent su intimider et désarçonner des révoltes ouvrières. A une banale politique de la peur.
      – Mais malheureux, vous n’y pensez pas ! La révolution sociale - pardon, l’antispécisme - serait une catastrophe !
      –A n’en pas douter. Mais c’est aussi que la société présente est déjà une catastrophe. (Je vous en épargne le rappel des détails.)

      Parce qu’au jour d’aujourd’hui, il n’y a pas d’antispéciste - au sens de personne qui pourrait prétendre réellement « vivre en antispéciste », sans bénéficier à plein de ses privilèges - même en s’efforçant le plus rigoureusement d’être vegan.
      En dépit de cela, il est des personnes qui considèrent qu’il n’est pas possible de nier que l’appropriation animale, la constitution des animaux non humains en inférieurs, en moyens pour nos fins, soit un problème crucial dont les animaux humains et leurs relations entre eux ne sortent pas indemnes, - des personnes qui pensent et argumentent que cette domination là s’est co-construite avec d’autres - les dominations économiques, de genre et de race, pour le moins -, que ces dominations se soutiennent et s’imbriquent, que l’on ne saurait prétendre en finir avec aucune sans faire l’effort de les détricoter dans le même temps les unes des autres.

      Face à elles, face à leurs propos, vous empresser illico (certes pas tous, ou du moins, avec un empressement varié) d’agiter la peur d’un croquemitaine antispéciste, monstrueux mutant urbain-technolâtre littéralement contre nature, né de la dernière pluie acide, et enthousiaste à l’idée de contribuer avec zèle à la dévastation de saines traditions millénaires (qui, pour cela, seraient gages d’humanité) - excusez moi, mais au mieux, c’est complètement hors de propos et assurément, cela en dit beaucoup sur vous-mêmes.

      En fait, je pense que nous ne devrions jamais nous hasarder à essayer de défendre ou de justifier les privilèges dont nous nous trouvons être les bénéficiaires (et être traité en humain, dans une société spéciste, en est un). Ni vous, ni moi (et ne doutez pas que cela m’arrive aussi). Comme répondit spirituellement Baldwin à qui l’on demandait ce qu’il aurait à dire aux blancs à propos du racisme, « Vous ne devriez pas. Ce n’est pas bon pour vous ».

      Pour la dévastation, figurez-vous que je suis bien d’accord pour dire qu’elle a cours. Manifestement, nous divergeons radicalement sur un point : je tiens, et d’autres avec et bien avant moi, qu’elle a non seulement cours sans qu’y contribuent particulièrement les penseurs antispécistes, les vegans militants et autres végétariens empêcheurs d’élever en rond et de cuisiner en steaks, (bien que l’on puisse rencontrer des technolâtres dans tout les milieux) mais encore qu’il est hélas des plus vraisemblable que non seulement le spécisme - dont vous vous faites ici avec plus ou moins de zèle les défenseurs - de par la séparation radicale qu’il institue entre les humains et les non-humains, participe pleinement de l’histoire de l’appropriation humaine de la planète, de ce qui non seulement a mené à la dévastation industrielle présente : mais encore, qu’il contribue à faire de nous les agents de cette dévastation, et à maintenir hors d’atteinte toute alternative.

    • voilà qui ressemble à s’y méprendre au semelles de plomb du réalisme avec lequel la bourgeoisie a souvent su intimider et désarçonner des révoltes ouvrières. A une banale politique de la peur.
      – Mais malheureux, vous n’y pensez pas ! La révolution sociale - pardon, l’antispécisme - serait une catastrophe !
      –A n’en pas douter. Mais c’est aussi que la société présente est déjà une catastrophe. (Je vous en épargne le rappel des détails.)

      J’avais pensé aussi à utilisé cette comparaison au sujet de l’amour. Parce que les carnistes veulent qu’on sache qu’il y a des éleveurs qui aiment leurs bêtes. Comme si cela avait la moindre importance. Mais les patrons il y en a qui aiment leurs salariés. Ca change rien à la condition des ouvriers. Que les éleveurs castrent avec amour ca fait une belle jambe au cochon et pareil aux animalistes.

      De mon coté j’ai un animal familier, une chatte, en appartement et je l’ai faite castré. Je l’ai fait pour mon agrément à moi, mon confort de dominante à moi, grâce à mon pouvoir démesuré sur elle que j’ai en tant qu’humaine. Je ne cherche pas à me cacher derrière mon petit doigt en me faisant croire que c’est pour son bien à elle que je l’ai fait ou que je fait ca dans une compensation métaphysique du fait que je la nourrisse et que je l’héberge contre son grès. Je ne jette pas la pierre aux carnistes, comme @martin5 le dit, personne ne vie en régime vegan total. Mes relations avec les non-humains me semblent problématiques ainsi que celles des autres humains avec les non-humains, et les seuls qui s’interrogent sur cela aujourd’hui ce sont les anti-spécistes, vegans, animalistes. La reflexion sur le sujet par les carnistes on la connaît depuis des millénaires, c’est le discours dominant. La plus part des êtres humains sont omnivores et pensent en prédateurs. Cette pensée on en connaît le résultat, les effets sur humains et non-humains et de mon coté j’en suis pas satisfaite du tout.
      La pensée animaliste est récente, ca commence au milieu du XIXeme et la pratique des animaux de compagnie s’est répendu seulement dans les années 1950. Voire à ce sujet toutes les ressources radio que j’ai mis sur l’histoire de la domestication animal. Les chiens et chats de compagnie existaient avec mais de manière différente, plus distante et fonctionelle. par exemple les chats appartenait à la ferme ou au quartier et son boulot s’était les souris. Ils avaient rarement un nom, c’etait « le chat » la plus part du temps ou « le chat de la ferme machin ». Les chiens par exemple de berger ou de chasse étaient dans des chenils ou avec les moutons. Il y avait certainement des individus qui avaient une relation plus profonde avec certains chiens mais ca restait rare et individuel (nobles, bourgeois, artistes selon les modes, Boileau et son chien, Baudelaire et les chats..). En France on a une histoire de sévices avec les animaux très lourde en comparaison des anglosaxons qui ont toujours été choqués par les pratiques françaises. On brulait les chats vivants à des fêtes, on les ébouillantais vifs dans des sacs par paquet de 10. On traitait les chevaux comme des machines qui trimaient jusqu’a la mort sans prévoir de relais dans les campagne millitaires. Les anglais étaient très surpris qu’on ait de bons cavaliers avec un tel traitement des chevaux. Les chiens aussi mourraient en attelage et subissaient des maltraitances vraiment hard, qu’on imagine pas aujourd’hui. Les combats à mort entre animaux étaient communs. En Espagne par exemple les chasseurs tuaient les lévriers à la fin de la saison et ne gardaient que les meneurs de meute. Il y en a qui le font encore et les animalistes en Espagne luttent contre cette pratique. Les changements de mentalité sont lents mais c’est pas des éleveurs, chasseurs, bouchers, organisateurs de combats d’animaux... que ces changements sont venus. Même si il y a quelques indivudus dans ces milieux qui ont pu participé à des changements, ils ont du le faire en opposition à ces milieux Ces changements ne sont pas venus de la tradition de l’elevage, ils sont issu de l’urbanisation croissante et d’une modification du rapport aux non-humains que ca génère. Les gens supportent de moins en moins la violence, et s’identifient de plus en plus aux non-humains. J’espère qu’on va poursuivre dans cette direction.

    • @martin5 Je n’ai jamais vu dire qu’il ne fallait pas une société antispéciste car ça serait trop difficile. Perso ce que je dis c’est qu’il y a énormément de conséquences qui ne sont pas pensées par les antispécistes. Et ça pose problème, peut être pas pour les antispécistes car il sont guidés par une question morale, mais pour les autres ...

    • Les autres, une fois qu’ils ont reevaluees les question morales ils changerons de pratiques. Dans le texté de libe mis plus haut il y a des éleveurs qui racontent leur changement d’activité. Les vegans ne sont à mon avis pas opposés à une discutions pratique sur les modalité de changements (reconversion, paysage...) mais c’est pas ce qui se dégage des échanges. Par exemple lè texté dont on discute attaque la pensee antispecistes et se place donc sur un échange au niveau théorique.
      Cette demande de solution pratique est quand même un peu déplacé. Qu’est ce que tu veux qu’un citadin qui ne veux pas manger de viande puisse faire pour un eleveur qui veux persister à produire de la viande. Si il n’y a pas d’entente sur l’aspect théorique il n’y aura pas de collaboration possible entre ces deux antagonismes. Personnellement je n’aiderait pas des gens qui refusent une modification de leur pratique alors que je suis opposés à leur pratiques. Le texté en haut ne dit pas « ok d’un point de vue théorique votre idee se tien, svp aidez nous a passer aux actes et ne plus tuer » il dit « les vegans sont les ennemis des betes et c’est des cons de la ville, on va continuer de produir de la viande puisque vous êtes meme pas foutu de me trouver un boulot de remplacement dont je ne veux de toute façon meme pas entendre parler »
      Si on parle théorie on parle theorie. Si on parle pratique il faut un consensus théorique or il n’y en a pas, alors c’est inutile de parler de pratique.

    • @nicolasm : l’analogie de Martin était qq chose du genre "si tu t’attaques au capitalisme, tout de suite, tu as une nuée de gauchistes qui sortent du bois en disant « ah mais moi je vis bien en étant salarié, pourquoi vous voulez remettre ça en cause ? c’est trop dur d’abolir ces choses là, la propriété, la monnaie, le salariat... »" :-)

    • "La vérité est que l’agriculture est la chose la plus destructrice que les humains aient fait pour la planète, et ajouter plus [d’agriculture] ne nous sauvera pas. La vérité est que l’agriculture nécessite la destruction massive d’écosystèmes entiers. La vérité est aussi que la vie n’est pas possible sans la mort, que, peu importe ce que vous mangez, quelqu’un doit mourir pour vous nourrir.

      Plus précisément, l’agriculture est le nettoyage biotique. Elle nécessite la prise en charge et le déblaiement de communautés vivantes entières, puis l’utilisation de la terre pour l’homme seulement. Tout cela est le façon longue pour dire « extinction ». Aucun de nous ne peut vivre sans un endroit pour vivre, sans habitat. Une activité qui a détruit 98% de l’habitat de la plupart des animaux ne peut guère prétendre être à vocation des animaux."

    • @unagi Les projets d’agriculture autosuffisante en milieu urbain permettraient de limité l’impacte des surfaces agricoles. Puisque elles seraient concentré sur des surfaces reduites. C’est vrai que c’est utopique mais autant que le sont les idées anti-spécistes.

    • Il y a quand même des contradictions majeures dans certains discours et des pans laissés dans l’ombre. je reviens sur la chasse sans dire que l’argument est général à tous les végans, la chasse est un loisir et tuer pour son loisir me semble plus une activité de psychopathe que de quelqu’un de courageux.
      Corine Pelluchon parle du droit de tuer les animaux qui entrent en compétition avec l’homme, anéantir les nuisances, n’est ce pas du spécisme ?
      Dans les deux cas chasse et nuisibles j’y vois un rapport à la nature « sauvage » en opposition aux animaux qui nous sont familiers. N’y a t’il pas une hypocrisie dans le discours ?

    • @mad_meg C’est à dire que tu te replaces dans une logique anti-industrielle, produire une nourriture locale, intégrée dans son environnement.

      Je commence à lire une interview de Lierre Keith - Livre "Le mythe végétarien. Nourriture, justice et développement durable". https://fr.sott.net/article/15906-Le-mythe-vegetarien-ou-pourquoi-le-vegetarisme-ne-sauvera-pas-le-mond

      Pourquoi sentez-vous que le grand public met l’accent sur des choix de vie personnels comme la voie principale à suivre vers un avenir meilleur, et pourquoi pensez-vous que ce chemin est trompeur ?

      C’est trompeur parce que c’est inutile. Le grand public s’est accaparé cette direction parce qu’elle est facile. Cela ne nécessite de prendre aucun risque. Les confrontations directes avec le pouvoir, d’autre part, nécessitent un sérieux courage.

      Comme Frederick Douglass a écrit, « Le pouvoir ne concède rien sans une demande. Il ne l’a jamais fait et ne le fera jamais ». Sauver la planète demandera un mouvement de résistance très important au capitalisme industriel et, finalement, à la civilisation

    • @unagi "la chasse est un loisir et tuer pour son loisir me semble plus une activité de psychopathe que de quelqu’un de courageux.
      Corine Pelluchon parle du droit de tuer les animaux qui entrent en compétition avec l’homme, anéantir les nuisances, n’est ce pas du spécisme ?
      Dans les deux cas chasse et nuisibles j’y vois un rapport à la nature « sauvage » en opposition aux animaux qui nous sont familiers. N’y a t’il pas une hypocrisie dans le discours ?"
      Je pense pas que la chasse sois plus ou moins psychopathe que de manger de la viande qui est un plaisir et pas un besoin (il y a d’autres moyens d’avoir des protéines en 2017). Par rapport aux animaux contre lesquels ont pouvait être en compétition (parasites, animaux anthropophiles...) j’ai deja dit que je mettais toujours les besoins humains en priorité. Et donc si des non-humains mettent en danger la vie d’humains je suis pour les humains. Les vegans que j’ai lu ne sont pas hostiles à la mort des parasites, nuisibles et compagnie si c’est fait parcimonieusment et en dernier recours. Il vaut mieu chercher à les faire fuire que les exterminer en premier.
      Sinon comme je t’ai dit la chasse je m’en fiche je vais pas aller chasser le teckel dans le 16eme pour avoir de la viande alors le problème de la chasse dans le contexte de l’alimentation carné en milieu urbain j’ai rien à en dire.

      L’anti-specisme ca ne veux pas dire que les humains doivent crevé quant l’interet d’un non humain est en jeu. On peu très bien d’ume part pensé qu’on est pas supérieur aux non-humains, essayé de leur faire le moindre mal possible et en même temps privilégié sa propre espece et les interets des individus de notre espece. Par exemple je suis pour la preservation des tigres de siberie, mais pas au point d’approuvé la déportation des populations qui vivent dans ces régions et qui entrent en conflit territoriaux avec ces bêtes. Je suis pas pour qu’on laisse les gens souffrir de chikungunia au pretexte qu’il ne faudrait pas faire de mal aux moustiques tigres (et j’ai jamais entendu d’anti-spécistes défendre un truc pareil). Je ne voie pas de contradiction irrésoluble là dedans. Parler de touts les non-humains, tous les humains confondu avec de grands mots ca fait forcement des contradictions. Le sujet est complexe et à évalué au cas par cas, par contre tant qu’il n’y aura pas concensus sur l’idée de reduction de la violence on avancera jamais. Mettre à mort pour le plaisir d’un steak, alors qu’on peu avoir des protéines avec du tofu, c’est des violences inutiles, par contre lutter contre les moustiques qui donnent des maladie aux gens ca me semble pas inutile du tout.

      edit : désolé d’être si longue mais le sujet m’interesse le bouquin de l’ex-végétalienne j’en ai deja entendu parlé et ca me semble du gros n’importe quoi. Le résumé que tu met montre bien que c’est de la carricature

      Le débat pourrait commencer ainsi : d’une part, un steak cultivé localement, d’une vache élevée sur de la bonne vieille herbe et sans hormones. D’autre part, un hamburger de soja hautement transformé qui a été cultivé quelque part très loin, avec beaucoup d’ingrédients imprononçable.

      Comme si les éleveurs etaient tous dans des régions qui permettent le pâturage toute l’année. Le pâturage c’est limité dans le temps et les animaux a viande sont surtout nourris de tourteau de soja produit en agriculture (l’elevage a besoin d’agriculture encore plus que l’agriculture qui nourri directement les humains). Comme si les vegans en face étaient tous des adeptes de mac donalds. Tous les vegans-végé-antispécistes à qui j’ai eu à faire sont ecolos, très politisés à gauche, féministes, anti-racistes, anti-capacitisme et j’en passe. Je sais que les peta existent et je les combats. Je sais que le capitalisme récupère tout, y compris l’anti-specisme, l’anti-sexisme, l’anti-racisme, l’anti-capitalisme... mais si on accepte pas de faire de nuances en disant que les vegan c’est macDo+Pfiter et que les éleveurs c’est 100%bio avec de l’amour et seulement de l’amour pour les bêtes, on en sortira jamais.

    • @martin5 et autres

      il est hélas des plus vraisemblable que non seulement le spécisme - dont vous vous faites ici avec plus ou moins de zèle les défenseurs - de par la séparation radicale qu’il institue entre les humains et les non-humains, ...

      Il y a de fait une séparation entre humains et animaux, elle a été particulièrement bien établie par Frédéric Jacobus Johannes Buytendijk, L’homme et l’animal, essai de psychologie comparée , 1958 :

      http://archive.org/details/FrdricBuytendijkLhommeEtLanimalEssaiDePsychologieCompare1958

      Cela ne veut pas dire pour autant que cette séparation est radicale , l’animal reste présent en nous, puisque nous en sommes issus.

      ... participe pleinement de l’histoire de l’appropriation humaine de la planète, de ce qui non seulement a mené à la dévastation industrielle présente : mais encore, qu’il contribue à faire de nous les agents de cette dévastation, et à maintenir hors d’atteinte toute alternative.

      Mais oui, bien sûr, le néolithique devait inéluctablement nous mener à la société industrielle et les OGM ne sont que ce que les agriculteurs et les éleveurs ont toujours fait dans leurs champs et leurs étables. L’histoire était écrite de toute éternité... on se demande donc pourquoi certains prétendent lutter contre cette fatalité... (encore une vision typiquement progressiste , quoique inversée, soit dit en passant)

      Ceux qui sont opposés à « l’appropriation humaine de la planète » ou plus simplement à l’appropriation par l’être humain de ses propres conditions d’existence - autrement dit à la réalisation des conditions de sa liberté et de son autonomie (qui passent par la consommation d’autres êtres vivants, comme tous les êtres vivants) - ne cherchent visiblement pas l’ émancipation sociale et politique du genre humain , tellement ils mettent la barre de leurs exigences si haut qu’elle devrait aussi inclure certains animaux (et pas d’autres).

      Peut-on faire l’hypothèse que de telles exigences relèvent moins de la recherche de l’émancipation que de la #délivrance ?

      Aurélien Berlan, Autonomie et délivrance , 2014
      http://sniadecki.wordpress.com/2015/05/24/berlan-autonomie

      Ne pourrait-t-on pas commencer par l’émancipation humaine ? Cela semble déjà une tâche pas si simple. Ce qui n’empêche pas de reconsidérer nos rapports avec les autres êtres vivants et la nature en général, au contraire.

      Mais c’est vrai qu’il est parfois plus gratifiant de jouer à « plus radical que moi, tu meurs ! »...

    • « Ne pourrait-t-on pas commencer par l’émancipation humaine ? » Tu commence par ou tu veux @tranbert mais laisse les autres faire pareil. Si toi tu as de l’énergie pour empêcher les gens de lutter contre les violences sous toutes leurs formes, c’est quant même que tu as de drôles de priorités.
      #priorité_des_luttes

      « Frédéric Jacobus Johannes Buytendijk, L’homme et l’animal, essai de psychologie comparée , 1958 »
      Comparé l’homme avec petit H avec l’animal, comme si l’homme n’etait pas lui meme un animal. et comme si les non-humains pouvaient se pensé au singulier. Ca part mal ce bouquin et depuis 1958 les connaissances sur les non-humains ont fait bouger les lignes.

      Mais c’est vrai qu’il est parfois plus gratifiant de jouer à « plus radical que moi, tu meurs ! »...

      Je commence à comprendre ou est ton problème. tu prend la politique pour une competition de radicalisme. En fait si les vegans étaient plus radicaux que toi, pourquoi ne pas te réjouir pour elleux au lieu de leur reprocher leurs engagements ?

  • 14 Editorial - Analyses

    Comment Imerys se fournit en talc au pays des talibans
    Le groupe français, spécialiste mondial des minéraux industriels, s’approvisionne en Afghanistan dans une zone disputée par l’insurrection, finançant ainsi la guerre civile

    Etre un acteur responsable, c’est préparer l’avenir ", revendique avec fierté le groupe français Imerys sur son site Internet. Pour ce spécialiste des minéraux industriels, leader mondial du secteur avec un chiffre d’affaires d’environ 4 milliards d’euros en 2015, l’avenir se prépare aussi en sécurisant ses approvisionnements. Présent dans plus de 50 pays, Imerys omet toutefois d’en mentionner un : l’Afghanistan.
    Une enquête menée par Le Monde révèle que ce spécialiste des minéraux industriels, coté en Bourse et contrôlé par le milliardaire belge Albert Frère - associé à la famille canadienne Desmarais -, s’approvisionne en talc, à travers un intermédiaire pakistanais, à Nangarhar, une province de l’est de l’Afghanistan en proie à une insurrection -armée des talibans et de l’organisation Etat islamique. L’extraction minière y constitue l’une des principales sources de financement des insurgés.
    Tout commence en 2011. Cette année-là, le groupe français, qui cherche à élargir son portefeuille de minéraux, rachète au géant Rio Tinto le français Luzenac, l’un des leaders mondiaux de la production de talc, pour 232 millions d’euros. Jean-François Robert, alors directeur à Toulouse des ressources de ce producteur, voit dans cette acquisition une aubaine. Lui qui plaidait sans succès auprès de Rio Tinto pour mettre en place une chaîne d’approvisionnement en Afghanistan va enfin être entendu. Il connaît bien le -Pakistan, pour y avoir effectué trois séjours entre juillet 2008 et mars 2009. A l’époque, tous les producteurs cherchent une alternative à la Chine. Depuis que la demande intérieure du géant asiatique a décollé, le minerai blanc n’est plus disponible à l’exportation, ou alors à un coût élevé et d’une piètre qualité.
    A son retour du Pakistan, Jean-François -Robert tente de convaincre Rio Tinto d’y nouer des partenariats. Rio Tinto Minerals, qui s’approvisionne déjà en talc afghan en -petites quantités, tergiverse. C’est finalement Imerys qui, après avoir racheté Luzenac, -décide de franchir le pas en 2011.
    Région " extrêmement dangereuse "
    Le groupe français explique avoir pris cette décision sur la base d’un rapport commandité en 2010 par Rio Tinto Minerals à un cabinet dont il ne souhaite pas dévoiler le nom. " L’objet de l’étude consistait à vérifier que la chaîne de fourniture de talc depuis l’Afghanistan respectait les règles internationales et les règles éthiques de Rio Tinto. Ses conclusions ont été positives sur tous ces aspects ", affirme Vincent Gouley, porte-parole d’Imerys.
    Cette même année, d’autres rapports rendus publics s’alarment pourtant de la dégradation de la situation dans la province de -Nangarhar, où se situent les mines. " Au début de 2011, un nombre croissant d’incidents ont été signalés à Nangarhar ", note la même année l’organisation indépendante norvégienne Landinfo dans une étude, qui relève que la -région est " extrêmement dangereuse ". Le district de Khogyani, où Imerys a l’intention de se fournir en talc, y est décrit comme une " zone disputée, contrôlée ni par les autorités ni par les insurgés ".
    Malgré le durcissement du conflit avec les -talibans, Imerys autorise donc Jean-François Robert à mettre en place une chaîne d’approvisionnement en talc afghan, via le Pakistan. Les concentrations massives d’un talc de -qualité satisfaisante, et pouvant donner lieu à une extraction commerciale, sont rares dans le monde. Dans le sud de l’Afghanistan, elles sont d’une qualité exceptionnelle. Le pays -regorge d’un talc très prisé, notamment par les constructeurs automobiles. Ils en consomment en moyenne 13 kg par véhicule, notamment pour la fabrication de tableaux de bord ou de pare-chocs - le minerai contribue à la -rigidité du plastique en réduisant son poids.
    L’industrie automobile est prête à payer le surcoût lié au transport depuis l’autre bout de la planète. Le talc sert aussi d’agent d’enrobage des comprimés dans l’industrie pharmaceutique, à la fabrication du papier, de la céramique, de la peinture... et du maquillage. Imerys précise qu’il " procure de la douceur aux poudres corporelles, un aspect soyeux au maquillage et (...) augmente la douceur des savons tout en réduisant le coût de leurs formulations ". Un talc " tout en douceur " acheté dans une région en guerre.
    Pour mettre la main sur ce minerai, Imerys souhaite rester discret. Un approvisionnement dans le sud de l’Afghanistan risquerait de mettre à mal son image d’" entreprise responsable ", d’autant que la France est engagée à ce moment-là, au côté des troupes de l’OTAN, dans un conflit où elle perdra 86 de ses -soldats, selon le décompte du site Internet indépendant Icasualties.org. Imerys choisit donc de passer par un intermédiaire pakistanais. North West Minerals, une entreprise dirigée par deux frères, apparaît comme le partenaire idéal. Un document interne à Imerys, consulté par Le Monde, précise que l’un des deux frères est un ancien fonctionnaire dans une zone tribale du Pakistan, l’autre un officier de l’armée pakistanaise à la retraite - leur père ayant été attaché militaire à l’ambassade du Pakistan aux Etats-Unis.
    Ces relations étroites avec l’armée pakistanaise sont cruciales pour assurer le transport du talc de l’Afghanistan vers le Pakistan, dans des zones fortement militarisées. " La famille appartient à la communauté pachtoune des Parachinar, très bien introduite auprès des autorités locales ", ajoute le document. Ce qui lui permet d’entretenir des liens étroits avec des propriétaires de mines issus de la même communauté, de l’autre côté de la frontière, en Afghanistan. Pour rassurer les dirigeants d’Imerys sur la possibilité d’un partenariat, il est précisé que les deux frères ont reçu une " éducation occidentale " et qu’" ils parlent bien anglais ".
    North West Minerals loue à partir d’octobre 2011 un entrepôt à Karachi pour stocker et trier le talc d’Imerys. Mais, très rapidement, le groupe français ne se contente pas d’en acheter. Il propose de verser 1,5 million de dollars (1,4 million d’euros) à son partenaire pour augmenter et améliorer sa production. " Ce n’était pas un prêt, mais plutôt une avance sur paiement, remboursable à travers une remise sur chaque tonne qui nous est livrée, sans limitation de durée ", reconnaît Vincent Gouley, d’Imerys. Et Imerys déduit sur chaque tonne, achetée entre 205 et 249 dollars, une somme d’environ 10 dollars.
    Un accord est signé en juillet 2013. Le premier versement de 500 000 dollars est effectué le 20 août 2013, suivi d’un second, puis d’un troisième, du même montant, quelques mois plus tard. Imerys donne des consignes claires sur les investissements : la construction d’une plate-forme de tri à Peshawar et d’une plate-forme logistique à Karachi. Mois après mois, Jean-François Robert, qui a refusé de répondre aux questions du Monde, tient scrupuleusement les comptes, vérifie que chaque dépense est bien engagée, de l’achat des machines à l’acquisition de terrains. Sur un tableau Excel, il vérifie qu’à chaque dépense effectuée par North West Minerals, " le travail est effectué comme prévu dans le plan ". Puis, dans la colonne " preuves ", il mentionne " les visites de sites avec photos " ou encore " les factures payées au fournisseur ".
    Les ventes de talc afghan à destination d’Imerys, dans ses usines aux Etats-Unis et en Europe, passent de 20 000 tonnes en 2012 à 39 000 tonnes en 2014.
    Conditions de travail spartiates
    Imerys va encore plus loin. A plusieurs reprises, ses employés se rendent à Peshawar, la ville pakistanaise la plus proche de la frontière afghane, pour rencontrer les propriétaires des mines afghanes. Il s’agit de leur donner des conseils sur les techniques d’extraction, et accessoirement sur les procédures de sécurité pour éviter que des ouvriers ne meurent -ensevelis dans des mines. Aucun employé d’Imerys ne peut se rendre sur place, pour des raisons de sécurité évidentes. Mais les photos qui accompagnent les présentationsPowerPoint faites à la direction du groupe français suggèrent des conditions de travail spartiates. Des hommes creusent le flanc des montagnes à coups de barres de fer, ou à l’aide de pelleteuses sur les sites plus importants. D’autres cassent les roches à l’aide de marteaux-piqueurs, chaussés de sandales. Parfois les roches de talc sont transportées à dos de mulet.
    L’un des fournisseurs afghans d’Imerys, à travers North West Minerals, s’appelle Dost Mohammad, " l’un des plus influents producteurs de la région ", comme l’explique un mémo interne rédigé en 2015 par Imerys. A la tête de l’entreprise Shamshir Zamir Ltd, il possède des mines à ciel ouvert dans le petit district de Khogyani, qui comprend " seize petits villages très pauvres ", note l’entreprise française. Un district qui est surtout en guerre, et où l’organisation Etat islamique fait une première incursion en septembre 2015. Dès 2011, un attentat-suicide tue des habitants sur un marché et une école est incendiée.
    En août 2013, de violents combats opposent les forces de l’armée afghane aux talibans, faisant des dizaines de morts. Qu’importe, le problème d’Imerys n’est pas la guerre mais la qualité du minerai.
    Le spécialiste des minéraux industriels sélectionne lui-même les mines afghanes où il souhaite s’approvisionner, en testant la pureté de leurs échantillons. L’une des mines évaluées se situe à " Kapisa, près de la base militaire française ". Elle sera retenue par Imerys Talc. La qualité, rien que la qualité. Et, pour garantir le meilleur produit à ses clients, l’entreprise va mettre en place une procédure de contrôle très particulière. Sur chaque bloc de talc arrivé d’Afghanistan, des techniciens doivent prélever des échantillons et les envoyer, de Peshawar à Toulouse, pour rejeter ceux qui contiennent des traces d’amiante, cancérigènes. Un point sur lequel de nombreuses entreprises de cosmétiques, qui vendent de la poudre pour bébé, sont intransigeantes.
    En 2014, Imerys Talc suggère même de former dans son laboratoire de Toulouse un technicien pakistanais. Sur les cartes de l’entreprise, seules les ressources en talc " blanc cristal ", le plus noble et plus pur de tous, sont mentionnées. North West Minerals a mis à disposition de Dost Mohammad plusieurs -camions et du matériel pour qu’il puisse -extraire le talc et l’acheminer de l’autre côté de la frontière. Jean-François Robert note tout, dessine même sur une carte les routes empruntées par les camions depuis la mine afghane jusqu’à la ville pakistanaise de -Peshawar en passant par Jalalabad et le poste-frontière de Torkham.
    Imerys consolide sa chaîne d’approvi-sionnement alors qu’au même moment les rapports d’organisations internationales se multiplient pour alerter sur l’aggravation du conflit au Nangarhar et la mainmise des -talibans sur les ressources minières. " Selon les autorités afghanes, les talibans ont pris le contrôle d’importantes opérations minières dans la province de Nangarhar. L’extraction de talc semble particulièrement préoccupante ", met en garde l’équipe d’appui analytique et de surveillance des sanctions de l’ONU, dans un rapport public soumis au Conseil de sécurité en août 2015.
    En octobre 2016, la situation est loin de s’améliorer. Le même comité précise au Conseil de sécurité que les talibans " extorquent de l’argent aux exploitations minières qui opèrent avec la licence du gouvernement ". Ashfaq -Bangash, l’un des dirigeants de North West Minerals, admet tout juste qu’" il faut payer des taxes à la tribu locale et au village, en plus de celle versée au gouvernement ", sans davantage de précisions.
    " Le talc coûte entre 40 et 60 dollars la tonne lorsqu’il sort de la mine afghane, et 150 dollars quand il arrive dans l’entrepôt de North West Minerals, de l’autre côté de la frontière. Entre les deux, entre 50 et 100 dollars partent dans les taxes officielles, les transports... et dans la nature ", explique au Monde une source bien informée de la chaîne d’approvisionnement à la frontière afghane. Une partie de l’argent est en fait détournée par des fonctionnaires corrompus et par les insurgés.
    Les talibans ou les groupes qui se revendiquent de l’organisation Etat islamique prélèvent des sommes en espèces à la sortie des mines, et parfois des " taxes de transport " sur la route reliant Jalalabad au poste-frontière de Torkham, la seule menant vers le Pakistan. Les sommes prélevées sont impossibles à chiffrer. Le groupe français, dont les achats de talc afghan représentent entre 1 % et 3 % de l’approvisionnement global selon les années, précise que ce ne sont que des " approvisionnements d’appoint ".
    Du point de vue des talibans afghans, l’argent tiré de l’extraction minière, qui concerne également le marbre, le fer, les terres rares, le lithium ou encore les pierres précieuses, n’a rien de négligeable, puisque cette activité constitue, d’après l’ONU, leur deuxième source de financement. Pour les militants de l’organisation Etat islamique, qui ont banni la culture de l’opium et de la marijuana dans les districts qu’ils contrôlent, ces revenus tirés de l’extraction minière sont même cruciaux.
    Un rapport rédigé en février 2016 par le centre d’études Afghanistan Research and Evaluation Unit (AREU) à partir d’informations collectées dans la province de Nan-garhar donne de précieuses informations sur le financement des insurgés. Presque rien ne leur échappe : de l’opium à la dîme pré-levée sur les récoltes en passant par les ventes de peaux de bêtes.
    " Le principal interlocuteur de notre partenaire North West pour son approvisionnement en talc d’origine afghane est le gouvernement lui-même, qui exerce un contrôle étroit sur la -filière locale d’extraction de talc ", explique Vincent Gouley, porte-parole d’Imerys. Les propriétaires de mines afghanes ont en effet fourni leurs licences à North West Minerals, ainsi qu’à Imerys. Mais que valent-elles ?
    Celle de Dost Mohammad existe bien, dans les registres du ministère afghan des ressources minérales, mais elle ne prévoit l’exploitation que de 5 000 tonnes par an, un chiffre dérisoire par rapport à la réalité. " De nombreux propriétaires de mines sous-évaluent la production pour payer le minimum de royalties. Quel fonctionnaire ira vérifier dans une zone en guerre ? ", remarque Javed Noorani, un spécialiste afghan du secteur minier.
    L’" usine de la poudre blanche "
    Selon l’étude menée par l’AREU, les représentants du gouvernement ne peuvent pas s’aventurer au-delà des chefs-lieux de district ou des principaux axes routiers de Nangarhar, et sont considérés par la population comme agissant " au service de leurs propres intérêts " :" Ils sont perçus par une large partie de la population rurale comme incapables d’assurer le leadership requis, la sécurité ou le soutien économique. "
    " L’industrie minière, légale et illégale, est gangrenée par la corruption à Nangarhar ", renchérit Asadullah Zemarai, de l’organi-sation afghane de lutte contre la corruption Integrity Watch Afghanistan. Selon ce chercheur, des pots-de-vin sont prélevés sur l’extraction et le transport des minerais vers le Pakistan et reversés à des députés, des membres du conseil de la province, des représentants des ministères afghans du commerce et des ressources minières.
    En quelques années, Imerys a mis sur pied une chaîne d’approvisionnement complexe, qui s’étend des mines d’Afghanistan jusqu’à ses usines en Europe ou aux Etats-Unis. Dans la zone industrielle du port de Qasim, à Karachi, l’entrepôt par lequel transite le talc d’Imerys n’est signalé par aucune pancarte. Il est connu là-bas sous le nom de l’" usine de la poudre blanche ". Des hommes et des femmes trient le minerai à mains nues, parfois sous un soleil de plomb.
    Employés à la journée, ils sont payés 4,50 euros pour dix ou douze heures de travail. L’usine ferme parfois ses portes pendant des semaines, lorsque les approvisionnements cessent. " Aucun enfant ne travaille ici, témoigne au Monde un ouvrier de la -plate-forme logistique de North West Minerals à Karachi. Le seul problème, c’est que nous n’avons ni gants ni aucune protection pour notre travail, et rien pour nous soigner en cas d’accident. "
    La direction d’Imerys a exprimé une fois ses craintes quant à la chaîne d’approvisionnement mise en place. C’était pour s’inquiéter de l’utilisation des fonds versés à North West Minerals. Dans un courrier daté du 10 avril 2014, Jean-François Robert évoque une réunion qui s’est tenue à Dubaï entre les responsables de North West Minerals et -Daniel Moncino, membre du conseil exécutif du groupe et adjoint de Gilles Michel, le PDG d’Imerys. Daniel Moncino a, selon le courrier consulté par Le Monde, mis en doute l’" utilité " de l’entrepôt de Karachi. L’entreprise française missionne en 2014 le cabinet d’audit Mazars, basé au Pakistan, pour passer au peigne fin les comptes de North West Minerals, qui en est sorti blanchi.
    Pourquoi le leader mondial des minéraux industriels a-t-il pris le risque de s’approvisionner dans une région en guerre, alors qu’il se targue d’être une " entreprise responsable " ? En 2016, les insurgés exerçaient un contrôle dans au moins 37 % des districts d’Afghanistan, une superficie qui n’a jamais été aussi vaste depuis 2001. Près de 11 500 civils ont été tués ou blessés cette même année, dont un tiers d’enfants, selon la Mission d’assistance des Nations unies en Afghanistan.
    " Investissement responsable "
    Le " code d’éthique et de conduite des affaires " d’Imerys consacre pourtant un chapitre aux droits de l’homme, où il est écrit : " Quel que soit l’endroit où nous nous trouvons, nous cherchons à nous assurer que la présence d’Imerys encourage des relations saines et qu’elle évite les conflits civils. " Et plus loin : " en fonction de la gravité des actes commis par un administrateur, cadre dirigeant ou employé d’Imerys, et dans le respect du droit local applicable, Imerys prendra les mesures nécessaires, pouvant aller jusqu’au licenciement, afin de sanctionner les comportements répréhensibles et décourager tout nouvel acte similaire de la part d’un administrateur, cadre dirigeant ou employé du groupe ".
    Dans son rapport d’activité de 2015, Imerys affirme n’exploiter " aucun site en lien avec des minerais alimentant les conflits ". Il y est même précisé que le directeur de l’innovation est chargé de la conformité des " activités d’achat et de la chaîne d’approvisionnement " aux principes de la Déclaration universelle des droits de l’homme...
    Ces engagements permettent à l’action Imerys d’être présente dans de nombreux indices dits d’" investissement responsable ", tels Ethibel Excellence Europe, qui regroupe des sociétés pionnières en termes de responsabilité sociale d’entreprise. Dans son dernier rapport d’activité, publié en mars 2016, Imerys indique être présent dans d’autres indices, tels le FTSE4Good Index Series, le MSCI Global Sustainability Index, le STOXX Global ESG Leaders Index ou encore l’indice Gaia mis en place par EthiFinance.
    En 2011, Arielle Malard de Rothschild a été nommée au conseil d’administration -d’Imerys. La gérante de la banque Rothschild & Cie est aussi la vice-présidente de l’ONG Care International, dont le bureau de Kaboul a essuyé une attaque des talibans en septembre 2016. Est-elle au courant qu’Imerys s’approvisionne en talc afghan ? Arielle Malard de Rothschild a refusé de répondre à nos questions.
    " Le talc afghan alimente l’insurrection et devrait faire partie des « minerais de conflit » dont l’achat est interdit dans certaines autres régions du monde. Pourquoi l’Union européenne laisse-t-elle ses entreprises en acheter en Afghanistan ? C’est incompréhensible ", estime Javed Noorani.
    Malgré les avertissements de nombreuses organisations internationales, dont l’ONU, Imerys continue d’acheter du talc de Nangarhar. Il affirme n’avoir " aucune présence en Afghanistan, ni aucun lien avec les sociétés exploitantes dans la région ".
    Julien Bouissou
    La réponse d’Imerys
    L’achat de talc afghan enfreint-il le " code d’éthique et de conduite des -affaires " d’Imerys, qui s’attache à " défendre les droits de l’homme tels qu’ils sont définis dans la Déclaration universelle des droits de l’homme ", dans la conduite de ses opérations à travers le monde ? " Tout l’Afghanistan n’est pas en guerre, répond Vincent Gouley, porte-parole d’Imerys, et nous ne disposons d’aucune information indiquant que le talc acheté est issu d’une mine sous contrôle taliban. " Imerys précise qu’elle ne participe qu’indirectement à la sélection des mines afghanes, en choisissant les qualités de talc parmi les échantillons rapportés par son partenaire pakistanais North West Minerals. " C’est notre seul partenaire, précise Vincent Gouley, et il est choisi avec précaution. " Imerys vérifie notamment que les paiements ne sont pas effectués en espèces et qu’aucun intervenant dans sa chaîne d’approvisionnement ne figure sur " les black lists internationales ", ou contrevienne à une réglementation internationale.
    #reponse_absurd #culpabilite #Afghanistan #ei

  • Les leçons de l’affaire #Christine_Lagarde
    https://www.mediapart.fr/journal/france/211216/les-lecons-de-l-affaire-christine-lagarde

    Le curieux #jugement de culpabilité prononcé contre l’ex-ministre de l’économie dans l’affaire Tapie prouve une fois de plus la dangereuse ineptie de la #CJR. Dispensée de peine, Christine #Lagarde assure désormais ne pas avoir été condamnée !

    #France #Affaire_Tapie #arbitrage #casier_judiciaire #Cour_de_cassation #cour_de_justice #culpabilité #dispense_de_peine #FMI #Justice #Marin #négligence #procès

  • Nous sommes Jacqueline Sauvage, et pourquoi – Fatima-Ezzahra Benomar
    https://fatimabenomar.wordpress.com/2016/08/14/nous-sommes-jacqueline-sauvage-et-pourquoi

    Je pense avant toute chose qu’il est important de redonner les éléments de contexte de notre société de #féminicides structurels, où nous sommes toutes, pour l’instant, en situation de légitime défense en tant que #femmes. Nous en sommes aujourd’hui à 68 femmes tuées par leurs compagnons ou ex-compagnon depuis le premier janvier de cette année, avec des mobiles qui se ressemblent beaucoup et notamment le refus de ces hommes que les destins de « leurs » épouses leurs échappent au moment d’une éventuelle séparation. Il s’agit donc bien culturellement d’une idéologie de régime de #propriété, donc d’#esclavage puisqu’on parle de s’approprier des humains qui ont une caractéristique spécifique, leur genre. Ce chiffre constant d’une femme tuée tous les deux jours et demi ou tous les trois jours selon les années en France (sans parler de celles qui sont dans la tombe jusqu’aux chevilles, jusqu’aux genoux ou jusqu’au cou) est révélateur de la façon dont notre société crée inlassablement nos agresseurs, nos violeurs et nos tueurs, à un rythme qui ne varie guère.

    #mort #guerre #domination #exploitation #patriarcat #injustice #inégalités

  • La spirale infernale de la dette de l’Unédic et l’austérité menacent le droit aux indemnités chômage
    http://www.bastamag.net/La-spirale-infernale-de-la-dette-de-l-Unedic-et-l-austerite-menacent-le-dr

    La dette de l’assurance-chômage s’accumule, amplifiée par la crise, et dépasse les 21 milliards d’euros. Les cinq millions de sans emplois en seraient-ils les principaux responsables, comme le laisse croire la multiplication des contrôles et des contraintes contre ceux qui bénéficient du droit – constitutionnel – à une indemnité chômage ? Nous nous sommes plongés dans la dette de l’Unédic pour savoir d’où elle venait et comment elle augmentait. Et pourquoi aucune solution pérenne n’est mise en place pour la (...)

    #Décrypter

    / A la une, #Syndicalisme, Quel avenir pour nos #Protections_sociales ?, #Enquêtes, Emploi , #Fractures_sociales, #Finance, Protections (...)

    #Quel_avenir_pour_nos_protections_sociales_ ? #Emploi_

  • Les députés mettent la #fin_de_vie en sommeil
    http://fr.myeurop.info/2015/03/17/deputes-mettent-fin-vie-en-sommeil-14327

    Renaud de Chazournes

    La #loi sur la fin de vie prévoyant une sédation profonde pour mettre fin aux souffrances des malades incurables vient d’être adoptée par une très large majorité des députés. Un compromis typiquement français.

    Votée avec une très large majorité (436 voix contre 34) cette nouvelle loi sur la fin de vie sera probablement également avalisée par le Sénat. lire la suite

    #EUROFOCUS #Société #Politique #Allemagne #Belgique #Europe #France #Italie #Pays-Bas #Royaume-Uni #décés #douleur #Euthanasie #hôpital #Jean_Leonetti #maladie_incurable #mort #santé #Santé

  • « On assiste aujourd’hui à un retour en force de l’injonction à être de bons parents » (20minutes.fr)
    http://www.20minutes.fr/societe/1551223-20150227-assiste-aujourdhui-retour-force-injonction-etre-bons-pare

    Certains parlent même de compétences parentales, de métier de parent, de travail parental. Ce terme permet aussi d’évoquer le parent de manière neutre, ce qui montre que cette injonction d’être un bon éducateur s’adresse aussi bien aux pères qu’aux mères.
    […]
    On assiste aujourd’hui à un retour en force de l’injonction à être de bons parents. La société se défausse sur les parents de certains maux qu’elle n’arrive pas à résoudre. Face à la montée de la délinquance, on les a accusés de ne pas remplir leur rôle d’éducateur. Et, peu à peu, on a suggéré qu’il fallait encadrer leurs pratiques éducatives. L’Etat a institutionnalisé les choses en instaurant un soutien à la parentalité, qui passe essentiellement par l’aide des Caisses d’allocations familiales […].

    [Les parents] sont surtout plus inquiets. La plupart d’entre eux ont des vies quotidiennes complexes et ont du mal à trouver un équilibre entre leur vie professionnelle et personnelle. Du coup, nombre d’entre eux culpabilisent de ne pas avoir assez de temps pour s’occuper de leurs enfants. Et avec la crise, l’obsession scolaire est à son comble. Les perspectives d’insertion professionnelle de leurs enfants n’étant pas florissantes, ils ont développé une psychose de l’échec. D’où leur besoin d’être soutenus dans leur rôle de parents.

    […]

    Les coachs, la littérature éducative et les médias répondent à cette demande et sont de formidables vecteurs de normativité. Ils prescrivent souvent des solutions toutes faites.

    #éducation #famille #parentalité #compétences_parentales #relations_parents_enfants #coaching #culpabilité #CAF

  • Reçu d’une collègue et amie... Peut-être j’ai rien compris à la vidéo, mais comme je la comprends... quelle horreur ...
    #Charlie_Hebdo #culpabilité #enfants #stéréotypes #demander_excuse #s'excuser #Pays-Bas #vidéo #let's_unite
    https://www.youtube.com/watch?v=iYyN1I5IF8E


    Cette vidéo est commenté ici (mais en néerlandais...)
    Dit ‘pedagogisch onverantwoorde’ filmpje gezien ? NRC sprak de maker

    “Die jongens in Parijs hadden ook zo’n muts, hè? Je lijkt wel een beetje op die jongens”, zegt een vader tegen zijn zoon, die een Arabisch uiterlijk heeft. Het is het begin van een video van filmmaker Abdelkarim El-Fassi. Het filmpje maakt veel los op sociale media. Een gesprek met de maker.

    In het flimpje vraagt El-Fassi zijn 6-jarige neefje zich uit te spreken tegen terroristen. Dat zijn immers ook moslims. Een blond jongetje wordt door zijn moeder gevraagd afstand te nemen van Anders Breivik. Die was tenslotte ook blond. In het filmpje bieden beide jongetjes uiteindelijk hun excuses aan voor de aanslagen.

    En dat is een slechte ontwikkeling, volgens El-Fassi. “Het is de afgelopen jaren steeds normaler geworden om moslims te vragen om afstand te nemen van terreur.” Volgens de filmmaker realiseren we ons niet wat we daarmee van mensen vragen en zou het ook geen effect hebben.

    http://www.nrc.nl/nieuws/2015/02/05/weet-je-wie-ook-zulk-haar-had-jonas-breivik-had-dat-ook
    cc @reka

    –-> #LetsUnite sur twitter !

    • Bon, Cristina, ralentir... j’ai peut-être mal interprété le message effectivement... j’ai réagi trop rapidement... mais je trouve la vidéo très ambiguë...

      Bambini chiedono scusa per gli attentati terroristici di Parigi e all’isola di Utoya. Il progetto di un regista (VIDEO)

      All’indomani dei terribili attentati di Parigi, è diventato un sentimento comune chiedere alle comunità musulmane di prendere le distanze dai terroristi di Charlo Hebdo.

      Per stigmatizzare questo senso di «colpa collettiva» e far comprendere quanto sia sbagliato pretendere la presa di distanza a persone che non c’entrano nulla, un video mostra un gruppo di bambini che chiedono scusa sia per gli attentati terroristici accaduti in Francia sia per la mattanza all’isola di Utoya, per la quale è stato condannato il neonazista norvegese Anders Behring Breivik.

      Nel video viene spiegato a una bimba bionda che i suoi capelli sono molto simili a quelli di Breivik, e per questo deve scusarsi. Allo stesso tempo, ai bambini di origine araba - con capelli scuri e un copricapo messo per gioco - viene detto che gli attentatori di Parigi erano di religione musulmana come loro. Alla fine anche questi piccoli pronunciano la parola «scusa» con un’espressione molto contrita.

      Il progetto è del regista Abdelkarim El-Fassi, che in questo modo chiarisce come il meccanismo della «colpa per associazione» porti alla segregazione e non all’unione contro il terrorismo: «Non mi sono mai sentito così a disagio come quando ho girato questo video. Sicuramente si tratta di qualcosa di poco etico e pedagogicamente irresponsabile, ma a un livello più ampio lo stiamo facendo da anni. Questo atteggiamento deve finire, altrimenti impesterà le generazioni a venire», ha detto. «Non voglio che mio nipote Hamza, una delle comparse nel video, venga ritenuto responsabile per faccende che non lo toccano nemmeno lontanamente. È un olandese-marocchino di terza generazione. Non c’è alcuna giustificazione per trattarlo in maniera diversa dai suoi compagni di classe bianchi».

      http://www.huffingtonpost.it/2015/02/06/bambini-chiedono-scusa-terrorismo_n_6629612.html

      Le régisseur #Abdelkarim_El-Fassi dit (sorry pour la traduction rapide) : « Je ne me suis jamais senti si mal à l’aise comme quand j’ai tourné cette vidéo. Certainement il s’agit de quelque chose de peu éthique et pédagogiquement irresponsable, mais à un niveau plus large, nous le faisons depuis des années. Cette attitude doit se terminer, car autrement elle infectera les générations à venir. Je ne veux pas que mon neveux Hamza, qui apparaît dans la vidéo, soit retenu responsable pour des choses qui ne le touche même pas. Il est hollandais-marocain de troisième génération. Il n’y a aucune justification pour le traiter différemment que ses compagnons de classe blancs »

  • Inform’action : le conspirationnisme au prétexte de l’info alternative
    http://lahorde.samizdat.net/2014/09/28/informaction-le-conspirationnisme-au-pretexte-de-linfo-alternative

    Inform’action est une association de media alternatif née à Toulouse en juin 2012. Son fondateur, #Renaud_Schira est connu pour être un soutien fervent de Dieudonné[1], Vauclin, Soral[2] et Chouard, parmi d’autres fachos ou conspis. Il est également un membre actif de MetaTV qui reçoit régulièrement tous ces personnages. Il a rapidement été rejoint par Arthur, surnommé #Farthur, l’un des principaux [&hellip

    #Confusionnistes #Alain_Soral #Dieudonné #Étienne_Chouard #Inform'action

    • Oui, si tu as des éléments sur la question qui vont dans le sens que tu indiques @nicolasm, ça m’intéresserai de les connaîtres :)
      Personellement quand j’avais fait une critique du conspirationnisme, j’ai toujours fait dans le même mouvement une critique des médias et du pouvoir grosso-modo. Car une partie des gens intéressé par le conspirationnisme ont des critiques juste, le problème, c’est l’idée que TOUT les pouvoirs sont des complots (c’est bien la qu’on parle de conspirationnisme), pas qu’il puisse y avoir un complot de temps en temps.

    • Mon problème est que le texte ne définit à aucun moment ce qu’est le conspirationnisme ou un conspirationniste, pire ça m’a l’air d’une notion assez personnelle pour utiliser le terme « conspi ». Et de créer une catégorie « facho ou conspi ». Chouard est un facho ou un conspi ? Un conspi est un facho ? C’est quoi un conspi ?

      Perso j’ai bien remarqué que les médias et les puissants utilisent de plus en plus le conspirationnisme ou le complotisme pour décrédibiliser certaines personnes qui ne cachent rien derrière leurs remises en question de certains faits historiques. Maintenant dès qu’on parle de complot ça fait comme un « point godwin », c’est censé complètement décridibiliser l’adversaire et du coup ça évite de pouvoir mettre en lumière une concertation des élites pour garder ou augmenter leur pouvoir sur les masses. Un peu comme , mais en moins flagrant, les personnes qui taxent celles qui s’en prennent aux banquiers d’antisémitisme parce qu’on connaît bien le cliché du banquier juif. A partir de quand on devient « conspi » et est-ce que c’est mal ou incurrable ? Parce que les journalistes ne prennent pas comme définition l’idée que « tous les pouvoir sont des complots » comme tu dis @bug_in. Mais dès que quelqu’un avance un complot il est taxé de complotiste ou conspirationniste, et bientôt facilement de fasciste grâce à des textes de cet acabit.

    • Oui mais s’il s’agit de fascisme et de confusionnisme, ça ne sert à rien d’affaiblir la position de n’importe qui qui est susceptible de dénoncer un complot au passage.

      Et personnellement, je n’aime pas la notion de confusionnisme, je trouve que ça fait très infantilisant, comme si le camp d’en face jouait du pipeau et que les pauvres gens suivaient la musique. Alors que je pense qu’un gars comme Soral il pioche ce qui lui plait sans se soucier de qui ça vient et sans se mettre de tabou. En face j’ai l’impression que face à cette nouvelle mouvance (disons pêle-mêle Soral, Dupont aignan, De Benoit) les réponse c’est « ça pue le caca » (les fameux trucs nauséabonds) et « y nous ont piqué nos idées ». Et on commence à dresser des listes d’accointance et des cordons sanitaires. J’ai l’impression qu’on est en train de se faire notre ligne Maginot et qu’on va se faire bouffer par des gens en face qui sont dynamiques et pas fixés sur des anciennes lignes. C’est pas de la confusion, c’est juste que les gars d’en face ont muté, et il faudrait prendre en compte ces changements. Ça marche plus de dire « c’est des fachos » ou « c’est un copain de fachos regardez » pour que les gens n’écoutent pas ou ne votent pas pour ces gens. Il serait temps de le voir.

    • Il me semble que l’article est quand même relativement clair sur l’une des principales tares d’Inform’Action : sa porosité avec l’extrême droite. Sous prétexte de dénoncer des complots du pouvoir, on peut donc s’allier (comme le fait Chouard) avec n’importe qui. D’accord avec le fait qu’il faudrait mieux critiquer ce qui est avancé (les concepts) que de dénoncer des collusions (les personnes), même si celles-ci sont dans leur grande majorité des indices qui fonctionnent.

      Par contre, dire que De Benoist c’est "une nouvelle mouvance", c’est un peu oublier les trente dernières années et une tactique politique depuis assez rôdée. C’est là où on voit que les critiques (même bienveillantes, y’a toujours plein de gens pour critiquer, mais alors pour bosser réellement…) des #antifas n’ont souvent qu’une connaissance extrêmement maigre du problème. Et que leur critique est donc comment dire… :)

      (ou alors, comme ce que sous-entendait @nicolasm en premier commentaire

      Y en a qui ont pas encore compris que rabaisser le conspirationnisme ça fait le jeu des puissants.

      que le problème c’est en fait les « antifas » – position partagée par une sacrée tripotée de gens peu recommandables).

    • Hier, une émission sur la 5 sur les révisionnistes de la Shoah, entre autres, le changement sémantique qui s’est heureusement opéré pour les isoler dans leur escroquerie en les nommant des négationnistes. Pierre Vidal-Naquet dit que les astronomes n’ont pas à se confronter avec les astrologues. Cette distinction est primordiale pour avancer et écarter ceux qui n’ont aucun scrupules à confondre le négationnisme et le révisionnisme. Car poursuivre la confusion avec le révisionnisme historique, comme le font 90% des médias, empêche toute critique de l’histoire (L’affaire Dreyfus par exemple) et permet de taxer toute tentative de remise en cause de complotisme. Or cette confusion fait exactement le jeu des capitalistes fascisants en place qui ont tout intérêt à pousser sur le devant de la scène ces personnages ridicules de haine et bouffis d’égo, et comme il faut des remises en cause du système pour avancer, ils s’assurent que le filtre médiatico politique passe par ces connards pour que rien ne bouge.
      Tiens, ça me rappelle la Lettre ouverte de Rudolf Bkouche au premier ministre : « Votre déclaration "philosémite" n’est qu’une forme sournoise d’antisémitisme » http://seenthis.net/messages/295416

      #culpabilité #chiens_de_garde

    • Oui ce qui gêne c’est juger le discours d’une personne en regardant ses liens/amitiés/relais plutôt que son discours. J’imagine bien que ces données sont intéressantes pour essayer d’éclairer ce qui est dit sous une autre lumière, mais ce n’est pas ça qui est fait. C’est juste de la disqualification, qui fait que Chouard se retrouve « facho ou conspi » alors que rien n’est cité de ses propos qui pourrait confirmer cela. D’autant plus que « facho » ou « conspi » m’ont tout l’air d’être devenus des mots creux sans jamais trop savoir ce qu’on veut dire par là.

      Je parlais de De Benoist en même temps que Soral par exemple car il me semble que les deux hommes transgressent les frontières habituelles pour mêler de valeurs traditionnelles de droite avec des idées souvent portées par la gauche, et par exemple De Benoist a eu des discours dans lesquels il exprimait ses idées sur l’écologie ou la décroissance.

      position partagée par une sacrée tripotée de gens peu recommandables

      Ah oui j’avais oublié ça comme tactique pourrave. Comme les journalistes et hommes politiques qui crachaient sur les personnes qui soutenaient le « non » au référendum en disant que le Pen voulait aussi voter non. Bref ça reste des techniques de cours de récréation.

    • @riff : oui bien sûr que c’est intéressant de voir les liens et relais (je l’ai dit textuellement au passage), ce qui m’énerve c’est les discours "n’écoutez plus XXX car il a serré la main à YYY". Les gens sont encore capable d’écouter quelque chose et de se faire un avis, éventuellement accompagné d’un contexte.

      Sur Chouard qui choisit de "désigner Soral, Dieudo et de Benoist comme les « vrais dissidents »", justement il me semble que le passage dans lequel il cite ces vrais dissidents, il y en a aussi d’autres, mais ce ne sont que les "croustillants" qui sont relevés, et au final on en arrive à oublier que Chouard prend ce qu’il veut à droite et à gauche, et se focaliser juste sur les liens avec la droite et à finir à le catégoriser en facho... Et si en plus les personnes de gauches mettent des cordons sanitaires dès qu’il y a un lien relayé, j’imagine bien que Chouard va continuer à parler, mais avec les gens qui acceptent de parler avec lui. Donc au final ça se mord la queue.

      Sur les idées clivantes gauche/droite, ce n’est pas moi qui clive, mais ça vient des innombrables commentaires que je vois disant en substance "on était les premiers et ils se font une popularité sur notre dos". Je dis justement que oui ce n’est pas pour plaire ou embrouiller (l’idée de confusionnisme) mais qu’ils se tricotent une doctrine cohérente pour eux en piochant sans se poser de question sur leurs droits ou légitimités.

    • En finir avec les théories du complot
      http://lahorde.samizdat.net/2014/05/10/en-finir-avec-les-theories-du-complot

      À notre époque, l’avènement des moyens de communications de masse, et surtout d’Internet, a fait littéralement exploser la quantité et la popularité des thèses complotistes, qui se déclinent désormais sous diverses formes plus ou moins ouvertement antisémites, ou plus ou moins grotesques. Le monde serait ainsi gouverné, au choix, par : les Juifs bien sûr, mais également la Reine d’Angleterre, des extraterrestres reptiliens, la société secrète des Illuminatis, des forces satanistes, les francs-maçons … Voire tout ça à la fois, selon certains syncrétismes.

      Je comprends mieux la teneur de l’article initiale quand je vois les connaissances poussées de La Horde sur le complot... D’ailleurs j’aime particulièrement la formulation, le complot est grotesque, et si ce n’est pas grotesque, c’est antisémite, n’essaie même pas de creuser.

      Je vois mieux d’où La Horde parle. Donc, poubelle.

    • @biggrizzly, je ne partage pas ton avis sur ce dernier point. L’antifascisme pour moi par ex. n’est qu’une activité parmi d’autres, et La Horde est loin de représenté les antifa, au contraire, il y a plein de critique contre lui notamment sur la question du féminisme/patriarcat.

  • Le #Medef finance l’institut qui dit que les Français sont des paresseux. Hasard ? Je ne crois pas. http://antoineleaument.fr/loffensive-du-grand-patronat-medias-contre-repos

    La presse a quasiment cessé toute activité critique et prend de plus en plus pour argent comptant (c’est le cas de le dire) les chiffres fournis par le grand patronat. Dans une logique circulaire, le grand patronat utilise ensuite les articles d’une presse qui se prétend « objective » pour renforcer son propre discours. C’est ainsi, par exemple, que Pierre Gattaz peut « retweeter » un article de RTL faisant état de l’étude de Coe-Rexecode sur le temps de travail. Dit autrement, Pierre Gattaz paie pour qu’un institut fasse des études économiques qui sont reprises par la presse puis reprises par Pierre Gattaz. La boucle est bouclée.

    #Travail #Repos #Capitalisme #Libéralisme

  • KXRA: “I am tired of listening to able-bodied, white, and cisgender feminists acting shocked and appalled…”
    http://kxra.tumblr.com/post/67324350439/i-am-tired-of-listening-to-able-bodied-white-and

    http://www.youtube.com/watch?v=V8eUkp0Ak4U

    I am tired of listening to able-bodied, white, and cisgender feminists acting shocked and appalled over every instance of misogyny, cissexism, white supremacy, and/or ableism (...)
    The people who are the most comfortable publicly displaying these opinions (i.e. those with privilege) often do so at the expense of those whose daily lived experiences they are—if not overlooking, then—coopting for feminist-cred.

    #racisme #féminisme #culpabilité_blanche qui devrait bien plaire à @le_bougnoulosophe et @melanine

  • L’Ademe publie un guide sur les bonnes pratiques écologiques en #informatique
    http://www.bastamag.net/IMG/pdf/guide_ademe_tic_impacts.pdf

    Vous pouvez limiter les impacts générés par votre utilisation des #TIC. Vos marges de manœuvre se situent à tous les niveaux : achat, usage, élimination, en jouant tout particulièrement sur les sources d’impacts identifiées dans le chapitre précédent.

  • DSK : la présomption d’#innocence se nourrit de mots | Michel Huyette (Paroles de juges)
    http://owni.fr/2011/06/02/dsk-la-presomption-dinnocence-se-nourrit-de-mots

    Le langage commun et le langage du #droit ne marchent pas du même pas. Pour un juriste, il est nécessaire de bien définir les termes employés. À commencer par présomption et innocence, expressions malmenées depuis le début de l’affaire DSK.

    #Pouvoirs #culpabilité #présomption_d'innocence