• I nomi delle strade sono lo specchio del sessismo della società

    La cultura che è all’origine di violenze e discriminazioni nei confronti delle donne non viene insegnata a scuola, ma si perpetua giorno dopo giorno attraverso quello che ci circonda: dai prodotti commerciali a quelli culturali, dalla pubblicità ai giocattoli. Pensando allo spazio pubblico, per esempio, ci si accorge che restituisce a chi lo attraversa quasi solo nomi di uomini: eroi di guerra, compositori, scienziati e poeti sono ovunque, a costante memoria del loro valore.

    Da qualche anno a questa parte lo studio dell’urbanistica si è intrecciato con quello della toponomastica di genere e, mentre si pensa a come disegnare città più inclusive, si riflette anche sulla cancellazione storica subita da partigiane, musiciste o scienziate. Con 24 strade a lei dedicate, la donna più celebrata sulle vie d’Europa è Marie Curie, che però non sempre si aggiudica un’intestazione tutta sua: quasi sempre sulle targhe la precede il nome del marito, Pierre. Anche se lui ha un Nobel in meno di lei.

    Un promemoria sottile

    La piattaforma Mapping diversity, sviluppata da Sheldon Studio e voluta da Obc Transeuropa con altri partner dell’European data journalism network, esamina le mappe di trenta città di 17 paesi europei rivelando che, su 145.933 strade e piazze, il 91 per cento di quelle intitolate a persone sono dedicate a uomini. Basta fare due passi in una qualsiasi metropoli per notarlo. “È un promemoria, sottile ma potente, su chi la nostra società apprezza o ha apprezzato e chi no”, si legge sul sito. A fianco il risultato della ricerca: 4.779 vie intitolate a donne contro 47.842 nomi maschili.

    Lo scopo dello studio è raccontare la mancanza di diversità in relazione alle narrazioni. Se è vero che la storia la scrive chi vince, fino a oggi hanno vinto uomini che hanno disegnato le città raccontando il passato attraverso il loro punto di vista. Una prospettiva da cui non vengono osservati, e tanto meno celebrati, i traguardi scientifici, militari, politici o culturali di donne, identità non binarie e persone non bianche, ma che mette bene a fuoco le martiri o le dee, come Diana e Afrodite.

    Sono infatti 365 le vie e le piazze dedicate alla Madonna, spalmate su 25 delle 30 città europee esaminate. La seconda nella classifica generale delle donne e sant’Anna, con 35 strade, accompagnata dalla voce “casalinga” e dal motivo di tanta attenzione: è la madre della capolista. La prima laica (terza tra tutte le donne) è appunto Curie; la seconda, con solo dieci strade, è la scrittrice polacca Stefania Sempołowska (dodicesima nella classifica generale). A separare le due c’è una folta schiera di sante, da Teresa d’Avila a Chiara d’Assisi.

    Per fare un confronto con gli uomini, i più popolari sono san Pietro, san Paolo e Ludwig van Beethoven (a cui sono dedicate 26, 23 e 18 strade o piazze). Numeri bassi se comparati con quelli di Maria e Anna, dovuti al fatto che la platea di uomini a cui sono state intestate strade o piazze è larghissima, dal momento che tra i meritevoli c’è anche l’immaginario Frankenstein o, peggio, il gerarca fascista Aldo Tarabella. Nessuno escluso quindi, mentre lo spazio delle donne, anche quando sante, resta angusto e le percentuali insignificanti.

    Tra le capitali, la città più inclusiva in Europa è Stoccolma con solo il 19,5 per cento delle strade intitolate a donne. È seguita da Madrid (18,7), Copenaghen (13,4 per cento) e Berlino (12,2 per cento). In fondo alla classifica ci sono Praga (4,3 per cento) e Atene (4,5 per cento).

    L’Italia dal canto suo ha il 6,6 per cento di vie dedicate a donne: su 24.527 strade sono 1.626, ma se non si contano quelle dedicate alla Madonna, ne rimangono 959: persone come Rita Levi Montalcini, Oriana Fallaci, Lina Merlin o la ciclista Alfonsina Strada danno il nome a una via ciascuna e Margherita Hack non c’è. A spopolare all’estero è Maria Montessori: quattro strade di cui una a Barcellona e una a Vienna. La seconda laica più celebrata oltre i confini è Anna Magnani, l’attrice di Roma città aperta ha una via a Bruxelles. L’italiano più inflazionato all’estero è, forse ovviamente, Cristoforo Colombo: undici città d’Europa lo hanno reso immortale con gloriosi lungomare e grandi piazze. Lo seguono Galileo Galilei e Dante.

    Non mancano, tra street, rue, strasse e carrer le scrittrici Elsa Morante, l’attrice Gaby Sylvia, la cantante Giuseppina Medori, la pilota Lella Lombardi e la pittrice Maddalena Corvini. Non pervenuta, all’estero, la premio Nobel Grazia Deledda che è già ricordata di rado in patria come anche le politiche Nilde Iotti, Carla Capponi e Miriam Mafai. E sono ancora meno le scienziate, le ingegnere, le sportive o le giornaliste. Troviamo però Emanuela Loi, scorta del giudice Paolo Borsellino, e le stelle di un tempo: Wanda Osiris, Silvana Mangano, Bice Valori, Dalida ed Emma Gramatica. Ma hanno circa una strada l’una. E periferica per giunta.

    Fornire modelli

    “Le donne non hanno avuto visibilità negli spazi pubblici e tale esclusione è evidente nella toponomastica”, commenta Maria Pia Ercolini, fondatrice di Toponomastica femminile, un’associazione che vuole restituire visibilità alle donne che hanno contribuito a migliorare la società. “Fornire modelli visibili accresce l’autostima delle ragazze”, spiega, “e la violenza di genere dipende dal fatto che le donne vengono percepite come oggetti e proprietà, per questo è fondamentale restituire il loro operato a tutti: le bambine scoprono ambizioni e desideri attraverso la storia e i bambini recepiscono il valore delle donne”.

    Insieme all’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), Ercolini ha avviato la campagna “tre donne, tre strade” che ogni 8 marzo promuove l’intitolazione di spazi cittadini a tre donne di rilevanza locale, nazionale e internazionale. Per il 2023, la richiesta è di dar spazio alle vittime del terrorismo di stato o alle donne che hanno combattuto per la democrazia e per i diritti in Iran e Afghanistan.

    Di certo aumentare la percentuale di strade e piazze dedicate a figure femminili di rilievo non basterà a sradicare una cultura patriarcale che spesso dimentica le donne. Tuttavia le ricerche come questa e le continue attività di organizzazioni e istituzioni che si dedicano alla toponomastica e provano a immaginare un diverso modello di città, sono un passo in avanti verso uno spazio pubblico più inclusivo. Un lavoro importante soprattutto per le prossime generazioni di donne che, leggendosi e ritrovandosi, saranno forse più pronte a prendere coscienza del loro valore e del ruolo che possono avere nella società.

    https://www.internazionale.it/notizie/eugenia-nicolisi/2023/03/09/nomi-strade-sessismo

    #sexisme #toponymie #toponymie_féministe #femmes #noms_de_rue #inégalité #culture

  • La Seine-Saint-Denis se penche sur les violences sexuelles sur les enfants
    https://www.20minutes.fr/paris/4027191-20230309-seine-saint-denis-portrait-robot-violences-sexuelles-fait

    Les victimes sont très majoritairement des filles puisque sur les cent dossiers étudiés, 84 concernent des filles, contre 16 garçons. Si l’âge moyen des enfants au moment de la consultation par l’ASE est de 14 ans et 7 mois, l’étude de leurs dossiers révèle qu’en moyenne, les premières violences commencent à 9 ans et demi. Elles sont vécues plus précocement par les garçons, autour de leur sixième année, contre la dixième pour les filles.

    Sans surprise, c’est dans le cadre familial que les violences sexuelles sont le plus souvent perpétrées. Sur les cent dossiers étudiés, 72 concernent des enfants qui ont été victimes d’inceste. Dans plus d’un cas sur deux (58 %), c’est le père qui est l’un des agresseurs, devant le frère (25 %), le beau-père (15 %), l’oncle (9,5 %), la mère (4 %) et le grand-père (2,5 %).
    Les violences peuvent se poursuivre après le placement

    Et lorsqu’il ne s’agit pas directement d’un membre de la famille, l’agresseur est presque toujours d’une personne de l’entourage très proche de l’enfant puisqu’ils sont 92 à avoir été victime d’au moins une personne qu’ils connaissaient : un petit ami, un ami de la famille ou un camarade de classe. Au moins une personne, car au regard des dossiers, les enfants subissent des assauts de plusieurs personnes. Sur les cent enfants de l’étude, l’Observatoire recense 234 agresseurs, dont 98 % sont des hommes . Les 2 % restants sont trois femmes, dont deux ont agi en complicité avec un homme.

    • Alors ça c’est nouveau pour moi :

      les enfants subissent des assauts de plusieurs personnes

      J’en étais assez naïvement resté à l’idée que les gamins étaient violés largement par le père ou le beau-père, qu’éventuellement on avait une complicité sous forme de loi du silence dans la famille. Pas qu’en moyenne on avait 2,3 agresseurs par enfant, alors qu’on parle d’agressions qui se passent très très majoritairement dans un cadre familial.

      Après, dans un cadre familial, si je fais la somme de ce paragraphe :

      Dans plus d’un cas sur deux (58 %), c’est le père qui est l’un des agresseurs, devant le frère (25 %), le beau-père (15 %), l’oncle (9,5 %), la mère (4 %) et le grand-père (2,5 %).

      J’arrive à 114%, très loin de 234%.

    • Il manque les amis des parents, les cousins, camarades de classes, moniteurs de sports ou activité extra-scolaires, colonies de vacances, voyages scolaires, babysitter (j’en connais pas mal qui étaient agressés par le conjoint de la nourrice), voisins, le curé ou autre figure religieuse, le medecin, l’instit et d’autres auquels je pense pas. Si les enfants sont placés il y a aussi les agression dans les familles d’acceuils et les foyers.

      La stat m’a surprise aussi c’est pourquoi je l’avais mise en gras, mais mon experience valide ce resultat. En ce qui me concerne il y a eu mon parrain et mon beau-père et les moments ou j’était le plus perdu ca attirait des hommes et j’ai du me sortir d’autres agressions et tentatives de viol qui n’étaient pas des hommes de la famille.

  • C’est très très beau, ce qui se passe en ce moment : le quotidien Le Parisien, propriété du groupe LVMH de Bernard Arnault (dont la fortune personnelle est estimée à 212 milliards de dollars par Forbes), se passionne pour le sort de Hamid, qui ne peut pas télétravailler et craint pour son travail. C’est sensible et humain, un milliardaire.

    VIDÉO. Grève dans les transports : l’inquiétude des employés qui ne peuvent pas télétravailler - Le Parisien
    https://www.leparisien.fr/info-paris-ile-de-france-oise/transports/video-greve-dans-les-transports-linquietude-des-employes-qui-ne-peuvent-p

    « Je ne sais pas par quel moyen je vais aller au boulot ! », s’agace Hamid. Car avec cette nouvelle journée de grève intersyndicale contre la réforme des retraites, la circulation était perturbée sur le réseau RER et de métro. À la station Châtelet, Hamid, qui travaille dans la fabrication de l’inox, ne cache pas son inquiétude : « Je ne peux pas télétravailler, j’ai peur pour mon poste », explique cet employé, qui doit aller sur le site de son entreprise au Blanc-Mesnil.

    Pour Bryan, stagiaire dans une agence immobilière à Paris, même anxiété : « J’arrive de Suisse, donc c’est intéressant de voir une grève… On n’a pas forcément ça chez nous. Et c’est très gênant pour aller au travail », confirme le jeune homme de 24 ans, qui parvient à monter dans l’un des derniers métros en circulation ce mardi matin.

    Journaliste, ce sacerdoce…

  • Lire : Bruel, « L’aventure politique du livre jeunesse »
    https://www.unioncommunistelibertaire.org/?Lire-Bruel-L-aventure-politique-du-livre-jeunesse

    Concentration des entreprises éditoriales, frilosité des structures invitant des auteurs et autrices (et leur procurant d’indispensables revenus « accessoires »), crainte de mobilisations polémiques sur les réseaux sociaux, expliquent le « nivellement idéologique », « une autorégulation plus ou moins consciente tant chez celles et ceux qui créent qu’au sein des maisons d’édition qui n’apprécient pas toutes d’être vilipendées, fût-ce par des imbéciles ».

    Il établi le constat que « le mot politique étant un répulsif puissant, l’association jeunesse et politique hérisse. Elle convoque aussitôt une légion de spectres : la propagande, la sournoise persuasion, l’embrigadement viral… » Aujourd’hui, « l’évitement des enjeux de la politique dans les publications jeunesse et un “enseignement moral et civique” programmé dans le secondaire concourent à la pérennisation de la démocratie représentative, système politique présenté comme idéal et sans alternative. » Aussi, lorsque les productions jeunesse prétendent aborder la politique, elles traitent avant tout et essentiellement des institutions de la Vè République  !

    #littérature #livres_jeunesse #culture #politique #politiquement_correct

  • L’importance des aménagements cyclables dans la pratique du #Vélo
    http://carfree.fr/index.php/2023/02/14/limportance-des-amenagements-cyclables-dans-la-pratique-du-velo

    Quand vous parlez aux gens des différences de pratique vélo selon les endroits, très souvent on vous explique que si la pratique du vélo est plus forte ailleurs, c’est que Lire la suite...

    #Belgique #bruxelles #cartographie #culture #cyclistes #pistes_cyclables #travail

    • En moyenne, l’utilisation du vélo est environ 10 fois inférieure en Wallonie par rapport à celle enregistrée en Flandre.

      Il est rare de voir un phénomène social (la pratique du vélo) correspondre aussi bien à une limite régionale et culturelle. Alors, quelle est la raison profonde d’un tel clivage ? [...] On est donc allé chercher la carte des aménagements cyclables sur le site Geovelo, carte qui regroupe les voies dédiées, les double-sens cyclables, les voies partagées et les zones apaisées. Et surprise, on retrouve la séparation nord-sud que l’on peut constater en matière de pratique vélo…

  • Déjà 19 millions de livres radiés des bibliothèques ukrainiennes

    "À l’annonce d’une réunion avec les organes compétents, Yevheniya Kravtchouk, présidente de la sous-commission de la Politique de l’Information et de l’intégration européenne de la Verkhovna Rada ukrainienne, a déclaré que 19 millions de livres avaient déjà été radiés des bibliothèques ukrainiennes en novembre dernier.

    Parmi ceux-ci 11 millions ont été passés au pilon parce que signés par des auteurs russes de toutes les époques.

    Ce programme, qui a débuté en juin 2022, vise à détruire 100 millions de livres liés à la culture russe [1]. Ce n’est donc qu’un début.

    Il s’agit du plus vaste programme de censure depuis la Seconde Guerre mondiale. Plusieurs chefs d’État et de gouvernement se sont prononcés pour une adhésion « le plus tôt possible » de l’Ukraine à l’Union européenne."

    #politique #Europe #Ukraine #Russie #culture #littérature #censure #autodafé #bibliothèque #Zelensky #Fahrenheit_451 #société #vangauguin #histoire

    https://www.voltairenet.org/article218803.html

  • L’Apprentissage | L’Architecture Sort du Bois #10
    https://topophile.net/rendez-vous/lapprentissage-larchitecture-sort-du-bois-10

    #APPRENTISSAGES 👉 Passer de la technique de coulage et d’encollage, à la #culture de l’#assemblage. Le mercredi 15 mars prochain après midi et soirée : L’après midi de 14H à 17H : FORUM #Forum de la #formation bois dans la chapelle du couvent des Récollets Maison de l’architecture Ile-de-France avec les stands de : Lycées professionnels régionaux, LYCEE... Voir l’article

  • So viel mehr als nur der Oki | Unsere Zeit
    https://www.unsere-zeit.de/so-viel-mehr-als-nur-der-oki-4776517

    Bis zu seinem Tod am 5. Januar war der bekannte Grafiker Peter Porsch ein ewiger Optimist. Er strahlte eine entwaffnende Freundlichkeit aus, die in all seinen Arbeiten, ob als Grafiker oder Mitglied des Oktoberklub, immer präsent war. Mit dem Oki, dem frech-freundlichen roten Spatzen, schuf er das Symbol der Singebewegung der DDR. Ursprünglich von ihm als Logo für den Oktoberklub entworfen, wurde es später zum Markenzeichen des Festivals des politischen Liedes. Ganz im Gegensatz zum FDJ-Emblem ist die Beliebtheit des Oki nicht gesunken. Noch im Jahr 2019, beim Festival Musik und Politik, wehte er beispielsweise weithin sichtbar auf einer riesigen Fahne über der Berliner Volksbühne.

    Es gab den Oki bei den Verkaufsständen des Agitshop als Plüschtier, als Aufdruck auf Tassen, in Form von T-Shirts und anderem mehr zu erwerben.

    Doch es wäre völlig falsch, Peter Porsch auf den Oki reduzieren zu wollen.

    Als Oktoberklub-Mitglied hat er beispielsweise das finnische Liebeslied „Kalliolle Kukkulalle“ mit einer deutschen Nachdichtung („Helle Wasser, dunkle Wälder“) populär gemacht (zu finden auf der LP: Amiga-„Oktoberklub-Politkirmes“).

    Von ihm wurde das äußere Bild des Festivals des politischen Liedes und der diversen Werkstattwochen der FDJ-Singeklubs maßgeblich geprägt. Er entwarf das Krokodil mit dem Sombrero (Weltfestspiele Kuba 1978), den Bär mit der Balalaika, den Kellerkater des OKK im Haus der jungen Talente – einer Klubveranstaltungsreihe des Oktoberklubs, die ursprünglich im Klub des „Kino International“ in der Karl-Marx-Allee beheimatet war – sowie Marx, Engels und Lenin in der schlichten Komprimiertheit ihres Äußeren, Plakate, Handzettel, Aufkleber, Meinungsknöpfe, Umschläge von Broschüren etc. pp.
    hoerste Friedrich WerkstattPoster - So viel mehr als nur der Oki - Februarkollektief, Nachruf, Oki, Peter Porsch - Kultur
    (Grafik: Peter Porsch)

    Als künstlerischer Mentor und Mitglied des „Februarkollektiefs“, gegründet aus Mitgliedern der Gestaltergruppe des Festivals des politischen Liedes, entwarf und realisierte er zusammen mit der Gruppe kulturelle Begegnungsstätten zu sehr unterschiedlichen Anlässen, Veranstaltungen und Festivitäten der DDR. Die dabei verwendeten einfachsten Materialien und szenografischen Mittel wurden stilgebend für die Ästhetik dieser Rauminstallationen. Dazu gehörten das Malen von Wandbildern, die Ausgestaltung von Jugendklubs bis hin zur Ausstattung eines Pausenraumes für die Bandarbeiter im KWO (Kabelwerk Oberspree, Berlin-Schöneweide).

    Seine Entwürfe für die Veranstaltungsreihen Liedersommer und Rocksommer in Berlin wurden ebenso zu weithin bekannten Markenzeichen wie auch seine Arbeiten für das Haus der jungen Talente in Berlin.

    Seine grafischen Werke waren beispielhaft anders als die sonst üblichen, oft faden Gestaltungen der in der DDR maßgeblichen DEWAG-Werbung. Porschs Entwürfe gaben sich frecher, freundlicher, optimistischer und somit viel humorvoller. Einige aus dem westlichen Teil Deutschlands werden sich vielleicht an die DDR-Zentren der Jugendfestivals in Dortmund, Herne und vor der Berliner Deutschlandhalle erinnern. Aus Rüstkonstruktionen und dazwischengespannten bemalten Stoffbahnen wurden interessante Begegnungs- und Kulturstätten für Ausstellungen, Cafés, Diskussionsrunden, Buch- und Kunstmärkte und Bühnenräume für Konzerte.

    Peter Porsch hatte in seiner Jugend Schriftsetzer und Technischer Zeichner gelernt. Später studierte er an der Fachschule für Werbung und Gestaltung in Berlin Typografie. Den großen Rest hat er sich autodidaktisch selbst beigebracht. Er schuf im Laufe der Zeit auch unzählige Holzplastiken in einem für ihn sehr charakteristischen, liebevollen und humoristischen Stil.

    Ein wichtiges Gestaltungsmittel seiner Arbeiten war – neben den comicartigen Zeichnungen – die Typo- und Bild-Montage. Die stilistischen Vorbilder und die damit verbundene linke Weltanschauung von George Grosz und John Heartfield sind hier unverkennbar. Mit dieser Ästhetik hob er sich von dem oft so tristen Einerlei in der DDR-Printlandschaft ab. Dabei hatte er – wie viele andere Künstler der DDR auch – unzählige Auseinandersetzungen mit den verantwortlichen Kulturfunktionären.

    Hartmut König, Mitbegründer des Oktoberklubs, Kultursekretär im Zentralrat der FDJ und kurzzeitiger stellvertretender Kulturminister der DDR, hat einmal von ihm in der geschraubten Sprache einer arbeitsrechtlichen Beurteilung gesagt: „Er ist in Diskussionen ein geachteter Wortführer.“ In normales Deutsch übersetzt würde das bedeuten: „Peter Porsch hat immer dazwischengequakt und nie seine Klappe gehalten.“ Wohl auch aus diesem Grund gehörte er Ende 1989 zu den Mitunterzeichnern des „Appells der 89“, die in der DDR eine „totale militärische Abrüstung bis zum Jahr 2000“ forderten.

    Doch daraus wurde nichts, wie wir wissen. Die Bevölkerung hat ihr Land weit unter Wert verkauft. Der Oktoberklub löste sich auf. Das Haus der Jungen Talente wurde für die an der Politik interessierten Menschen geschlossen (wie viele andere positive Facetten der DDR-Kulturlandschaft vom Berliner Senat abgewickelt wurden) und das Festival des politischen Liedes fand 1990 zum letzten Mal statt.

    Peter Porsch meinte damals melancholisch: „Es hängt von den Zeiten ab, ob wir wieder auf die Bühne gehen, und davon, ob die Menschen wieder politische Lieder haben wollen.“ Aber er hat sich nicht unterkriegen lassen, auch nicht von schweren Schicksalsschlägen in seinem persönlichen Leben. Sein Optimismus und seine Freundlichkeit als Lebensmotto halfen ihm, kreativ zu bleiben und haben allen seinen unzähligen Werken eine unverwechselbare Note gegeben. Nicht umsonst lobte ihn einmal Wolfgang Geisler, sein früherer Dozent an der Fachschule, als „das visuelle Bild der Singebewegung“.

    Peter Porsch starb am 5. Januar 2023 in Sommerfeld/Brandenburg im Kreis seiner Familie.

    #DDR #culture #dessin #musique

  • Eric Burdon + The Animals : « Work Song » (Nat Adderley) on The Ed Sullivan Show / Octobre 1965

    Version de Nougaro (Sing Sing Song) plus ironique mais désabusée
    Version de Burdon et The Animals plus « sociale » et rageuse

    #art #musique #The_Animals #Eric_Burdon #work_song #chain_gang #Nat_Adderley #social #rock #culture #oldies #vangauguin

    The Animals « Work Song » on The Ed Sullivan Show - YouTube
    https://www.youtube.com/watch?v=ZG2hUyzqw_E

  • L’histoire pour toutes et tous
    https://laviedesidees.fr/L-histoire-pour-toutes-et-tous.html

    Comment s’adresser en historien au plus grand nombre ? La question est souvent posée. Q. Deluermoz, en revenant sur une expérience collective menée à Bordeaux, avance des pistes nouvelles pour réfléchir à une nouvelle manière de rendre les savoirs disponibles.

    #Histoire #historiographie #urbanisme #culture_populaire
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20230127_deluermoz.pdf
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20230127_deluermoz-2.docx

  • Dieter Bohlen, « pop-titan » allemand à propos de la guerre en Ukraine
    https://shop.stern.de/de_DE/einzelhefte/einzelausgaben/stern-epaper-03-2023/2108071.html

    Le chanteur et producteur Dieter Bohlen prend une position chrétienne et se prononce pour des négatiotions entre les partis de la guerre en Ukraine afin d’arrêter le massacre. Depuis son point de vue a suscité de vives critiques. Dans l’interview les reporters de la revue Stern défendent la position que la paix est impossible tant que Poutine reste président de la Russie. Voici ce qui a été dit à propos de la guerre dans l’interview.

    Stern: Erinnern Sie sich an das erste Lied, das Sie je komponiert haben?

    Dieter Bohlen: Eine Zeile meines ersten Songs ging so: „Viele Bomben fallen, doch keiner ändert was/Es nützt kein Krawall, geschehen muss etwas.“ Habe ich als Kind geschrieben. Als ich auf die Welt kam, lag der Zweite Weltkrieg erst neun Jahre zurück, die Leute waren verängstigt, und diese Angst habe ich gespürt und übernommen. 50 Jahre lang musste ich mir keine Sorgen wegen Krieg machen. Aber jetzt stellt sich unser Bundeskanzler Olaf Scholz hin und sagt: „Wir werden jeden Zentimeter des Nato- Territoriums verteidigen.“ Und bei mir kommt die Angst zurück.

    Stern: Und deshalb ergreifen Sie Partei für Russland? „Wenn die diese ganzen Sanktionen nicht gemacht hätten und man hätte sich vernünftig an einen Tisch gesetzt, dann bräuchten die Leute diesen ganzen Firlefanz nicht machen. Jetzt müssen wir frieren, jetzt müssen wir dies und das.“ Das haben Sie im Spätsommer auf einem Panel für Unternehmer gesagt.

    Dieter Bohlen: Ich halte es für richtiger, mit Leuten zu reden. Und wenn wir wirklich Frieden wollen, kommt man mit Diplomatie weiter, als wenn man die Russen bloß verteufelt. Man muss leider versuchen, Putin irgendwie einzubeziehen. Wie soll es Frieden geben, ohne Putin einzubeziehen?

    Stern: Mit Putin wird es keinen Frieden geben. Putin hat diesen Krieg gestartet, Putin befiehlt die Angriffe, Putin lässt jeden Tag Menschen töten.

    Dieter Bohlen: Ich finde extrem schlimm, was Putin macht. Ich finde diesen Krieg entsetzlich, und die furchtbaren Bilder aus der Ukraine machen mich und meine Familie tieftraurig. Aber ich kenne Physik: Druck erzeugt Gegendruck. Mit Gewalt, damit, immer noch mehr Panzer hinzuschicken, schafft man diesen Krieg nicht aus der Welt – nur das meinte ich, und nur das wollte ich sagen. Mein Papa pflegte zu sagen: Es gibt immer einen Weg. Vielleicht gibt es den diesmal nicht, mag ja sein. Aber den Weg der permanenten Konfrontation, den wir gerade beschreiten, gehe ich nicht mit. Dann kommt Olaf Scholz noch daher und erzählt, er habe den Xi mal ein bisschen eingenordet. Wie bitte? Unsere Regierenden treibt im Moment ein Belehrungs- und Größenwahn um, der durch nichts gedeckt ist. So doll sind wir nämlich nicht mehr. Warum soll sich Xi, der ein Volk von 1,4 Milliarden Menschen führt, den Wünschen eines deutschen Kanzlers beugen?

    Stern: Jetzt klingen Sie beschämt, Herr Bohlen.

    Dieter Bohlen: Gucken Sie sich die Bundeswehr an, das Kriegsgerät, was wir eigentlich der Ukraine liefern wollen. Funktioniert alles nicht. Die Panzer gehen nicht, die Hubschrauber bleiben am Boden, für Gewehre fehlt die Munition, und dafür geben wir Milliarden aus. Dann soll die Regierung das Geld lieber in die Bildung stecken, in die Pflege, in die Infrastruktur.

    Stern: Verzeihung, aber Russlandversteher klingen ganz ähnlich wie Sie.

    Dieter Bohlen: Ich habe keinerlei Sympathien für Putin – ganz im Gegenteil. Aber ich mag die Menschen in Russland, das sind nette Menschen, ich habe viele Freunde da. Die Menschen in Russland können nichts für den Krieg, was sollen sie denn machen? Die Menschen in der Ukraine mag ich auch, ich war in beiden Ländern, in beiden Ländern gibt es großartige Menschen, und es gibt Arschlöcher. Ich schwöre Ihnen, ich habe jeden Abend gebetet, dass es keinen Krieg gibt und meine Kinder so was nicht erleben müssen.

    Stern: In der Zeit vor dem Angriff auf die Ukraine haben Sie gebetet?

    Dieter Bohlen: Immer schon, die ganze Zeit, seit meinem zehnten Lebensjahr. Ich hatte eine sehr gläubige Oma, die hat uns beigebracht, wie man betet. Ich bete morgens, und ich bete abends. Und in keinem Gebet hat bisher gefehlt, dass ich mir Frieden wünsche für alle Menschen.

    Stern: Die SPD-Chefin hat auf Ihre Einlassungen geantwortet: „Wie moralisch verkommen muss man sein, für einen billigen Applaus diesen entsetzlichen Krieg auszublenden, die Angst und das Leid und den Tod, den er verursacht?“

    Dieter Bohlen: Die wer?

    Stern: Die SPD-Parteivorsitzende. Saskia Esken.

    Dieter Bohlen: Die nehme ich gar nicht zur Kenntnis.

    Stern: Kritik an Dieter Bohlen ist verboten?

    Dieter Bohlen: Ich habe gesagt, dass ich für Frieden bin und gegen diesen Krieg. Da finde ich es echt absurd, wenn man mir Sachen anhängen will. Was kann ich für einen AfD-Typen, nur weil der tönt, er finde geil, was der Bohlen sagt?

    Stern: Für den können Sie schon was, wenn Sie seine Narrative bedienen.

    Dieter Bohlen: Aber wieso sagen Sie nicht dazu, was die Sahra Wagenknecht gesagt hat? Die steht links und hat gesagt: „Wenn sogar der Bohlen das versteht, warum verstehen es die deutschen Politiker nicht?“ Das sogar ist eine kleine Beleidigung, aber sei es drum.

    Stern: Könnte es nicht sein, dass Sie ein bisschen zu russlandfreundlich sind, seit Modern Talking dort Legendenstatus hat?

    Dieter Bohlen: Meine Oma kommt aus Königsberg, das jetzt Kaliningrad heißt, und meine Mama kommt da auch her. Ich habe also das Russische ein bisschen in mir eingekreuzt, die Traurigkeit der russischen Seele, diese Melancholie auch. „You’re My Heart, You’re My Soul“ war ja offiziell ein Disco-Song, aber wenn du diesen ganzen Krempel wegstreichst, ist es eine Ballade, fast nur noch d-Moll und a-Moll. Das hat die Russen instinktiv angesprochen.

    Source : Der Stern 3/2023 vom 11.1.2023, Seite 35 ff.

    #guerre #Ukraine #Allemagne #politique #culture

  • Étonnant télescopage en revenant sur Seenthis ce soir : on y cause de Lodève alors que j’y étais justement avec les enfants aujourd’hui. Nous sommes retournés au musée de Lodève pour l’expo « En route vers l’impressionnisme » (de Corot à Monet…) :
    https://www.museedelodeve.fr/exposition/en-route-vers-l-impressionnisme
    L’ensemble étant tiré des collections du musée de Reims.

    Très très chouette. Et le musée (de Lodève, celui de Reims je connais pas) est vraiment génial – rien à voir avec le fait qu’ils m’avaient commandé une visite virtuelle de leur expo « Les derniers impressionnistes » :-))
    https://www.museedelodeve.fr/derniers-impressionnistes/index.html

    Outre l’expo temporaire, il y a la très belle exposition permanente d’œuvres du sculpteur local, Paul Dardé. Et deux étages d’histoire de l’humanité et de la Terre, sur la base des collections récoltées dans la région ; le musée a été refait récemment, la muséographie est moderne, c’est très bien fait pour les enfants. Cette fois on n’a pas eu le temps de se refaire les collections d’histoire, parce qu’on est restés dessiner dans l’expo temporaire, mais les enfants ont carrément envie de revenir. (C’est l’avantage d’avoir des enfants jeunes : ils oublient qu’ils ont déjà visité le truc, et de toute façon encore l’année dernière ils étaient capables de se regarder Totoro dix fois de suite sans broncher… alors revisiter un musée deux ou trois ans plus tard, ça les gène pas.)

  • Exclu : découvrez la bande-annonce de “La Syndicaliste”, avec Isabelle Huppert (qui interprète le rôle de Maureen Kearney)
    https://www.telerama.fr/cinema/exclu-decouvrez-la-bande-annonce-de-la-syndicaliste-avec-isabelle-huppert-7

    L’histoire vraie d’une élue syndicale d’Areva violée chez elle, puis accusée d’avoir menti. Ce film-dossier captivant de Jean-Paul Salomé sera présenté en avant-première lors du Festival cinéma Télérama, du 18 au 24 janvier, avant sa sortie en salles le 1er mars. En attendant, voici la bande-annonce.

    D’autres articles en rapport avec "l’affaire Maureen Kearney" :

    https://www.lecourrierdelatlas.com/le-saississant-laffaire-maureen-kearney-de-nina-robert

    Dans cette mini-série documentaire pour France Televisions, la réalisatrice Nina Robert revient sur la vie et la difficulté de la lanceuse d’alerte, Maureen Kearney. Alors syndicaliste à Areva, elle va subir une agression et un viol qui ne seront jamais résolus. Pire, elle se voit reprocher une « dénonciation calomnieuse », un procès qu’elle gagnera en appel.

    https://www.miroirsocial.com/participatif/la-syndicaliste-lhistoire-de-maureen-kearney-lanceuse-dalerte-agressee

    L’enquête réalisée par Caroline Michel Aguirre est exemplaire par l’attention portée aux détails, à l’enquête précise et détaillée et à la fidélité des faits retracés dans le livre. Facile à lire mais parfois insoutenable par la dureté des faits relatés, il apporte un regard objectif sur la violente agression subie par Maureen Kearney un matin de décembre 2012 à son domicile. L’ouvrage est fidèle ; des témoignages et des documents expliquent une situation exceptionnelle par son déroulement et les implications économiques et politiques de l’affaire.

    #lanceuse_d'alerte #syndicalisme #le_monde_des_affaires (qui schlinguent) #business (as usual) #culture_du_viol #culture_d'entreprise

  • Les crimes de Benoît XVI Jean-François Lisée - https://jflisee.org/category/devoir-de-memoire

    La chose se passait au Cameroun, pays pour moitié catholique, en 2009. Il s’agissait de la première visite du pape Benoît XVI en Afrique, continent où, depuis alors 10 ans, le VIH-sida était la première cause de décès. L’Organisation mondiale de la santé, les ONG, plusieurs gouvernements et l’archevêque sud-africain anglican Desmond Tutu redoublaient d’efforts pour prévenir la contagion grâce au programme AFC (abstinence, fidélité, condom). Oui, mais qu’en pensent Dieu et son représentant sur terre ? pouvaient alors se demander les quelque 160 millions d’Africains catholiques.


    Historiquement, le Vatican a toujours été opposé à la contraception — et au condom —, prônant seulement les deux premiers éléments du triptyque : abstinence et fidélité. Mais alors que le nombre de morts en Afrique avait franchi les 30 millions https://www.everycrsreport.com/reports/RL33584.html et que l’épidémie se propageait aux femmes (61 % des personnes infectées) et aux enfants (90 % de tous les enfants infectés au monde étaient africains), fallait-il se montrer plus flexible ? Ou du moins rester muet sur le condom pour ne pas nuire aux efforts ?

    Devant cette énorme responsabilité, Benoît XVI allait surprendre. Désagréablement. « On ne peut résoudre ce fléau par la distribution des préservatifs : au contraire, ils augmentent le problème », a-t-il dit. Le pape allait gauchement tenter de rectifier le tir l’année suivante en affirmant que le condom pouvait être utilisé dans des cas « exceptionnels » — chez les prostitués mâles, par exemple, pour lesquels ce serait « un premier pas vers la moralisation ». La question n’était pas là.

    On ne peut évidemment quantifier le nombre de vies qui auraient pu être sauvées si le pape s’était rangé du côté de la santé publique plutôt que du côté de la version la plus rigide du dogme. Une seule chose est certaine : par sa faute, davantage de personnes furent infectées, malades, mortes prématurément, y compris des femmes et des enfants.

    L’inflexibilité de Benoît XVI dans des situations où la tolérance et le pardon auraient dû prévaloir s’était peu avant illustrée au sujet de l’avortement.

    Au Brésil, pays à 61 % catholique, une enfant de neuf ans plusieurs fois violée par son beau-père avait eu recours à l’avortement. L’archevêque local, ultraconservateur, réagit en excommuniant les médecins ayant pratiqué l’interruption de grossesse ainsi que la mère de l’enfant, qui avait approuvé l’intervention. Le tollé fut général, mais le Vatican approuva les excommunications au nom du « droit à la vie ». Ici encore, on peine à mesurer l’impact de cette insensibilité sur la vie de jeunes catholiques latino-américaines victimes d’agressions, mais sommées par leur Église de mener leur grossesse à terme, même dans les pires conditions.


    Depuis le décès de Benoît XVI, on entend des voix charitables estimer qu’il a entamé la marche de l’Église vers la reconnaissance de sa responsabilité dans les agressions sexuelles extrêmement nombreuses perpétrées par des membres du clergé. Il est vrai qu’il fut le premier, en 2008, à se dire « profondément désolé » pour les souffrances que les victimes ont endurées. Mais le critère d’appréciation qui devrait s’appliquer ici n’est pas de savoir s’il a su commencer à gérer, en 2008, une crise devenue aiguë. Il faut plutôt se demander s’il a tout fait ce qui était en sa responsabilité pour limiter le nombre de victimes dès qu’il en a été mis au courant et dès qu’il a été en situation de pouvoir au sein de l’Église.

    La réponse est un assourdissant non. Évêque de Munich de 1977 à 1982, il a, selon un rapport indépendant https://www.ledevoir.com/depeches/662226/agressions-sexuelles-en-allemagne-l-ancien-pape-benoit-xvi-est-eclabousse , couvert les actions de quatre agresseurs punis par la justice allemande, mais maintenus dans leurs fonctions pastorales par le futur pape, qui ne les a aucunement sanctionnés. Il a ainsi personnellement envoyé aux autres agresseurs un grave signal d’impunité et ignoré cette injonction de Jésus : « Si quelqu’un fait tomber dans le péché l’un de ces petits qui croient en moi, il vaut mieux qu’on lui attache une grosse pierre au cou et qu’on le jette au fond de la mer » (Matthieu 18.6).

    Il est devenu ensuite l’un des personnages les plus puissants au Vatican, officiant pendant 23 ans à titre de préfet de la Congrégation pour la doctrine de la foi et centralisant à son bureau, à compter de 2001, les dossiers d’agression sexuelle.

    Il ne fait rétrospectivement aucun doute qu’il fut longtemps à ce poste l’un des principaux rouages de la plus grande opération de camouflage de crimes sexuels de l’ère moderne. Cette action se déployait, on le sait, par le refus de dénoncer aux forces policières les agresseurs — 4 % des membres du clergé catholique, estime-t-on —, par la pratique de muter les agresseurs d’une paroisse à une autre sans évidemment en informer les fidèles. Pendant des décennies, particulièrement celles où Joseph Ratzinger fut aux affaires, la réponse du Vatican fut de nier, de minimiser, de camoufler.

    Devant l’ampleur grandissante du scandale et talonné par l’ONU, Ratzinger se mit à sévir tardivement, au tournant de 2010, expulsant près de 400 prêtres en deux ans. Même pape, il a continué à minimiser la responsabilité du Vatican, blâmant plutôt les Églises nationales, voire les effets du concile Vatican II, plutôt que la complicité de toute la hiérarchie. Sa gestion de la crise n’a pas satisfait les enquêteurs de l’ONU, qui ont conclu en 2019 que, notamment sous sa gouverne, se déroulait au Vatican une « action apparemment systémique de camouflage (cover-up) et d’obstruction à la mise en responsabilité des abuseurs ».

    Il est encore impossible de calculer le nombre de victimes contemporaines, mais un récent rapport officiel faisait état de 330 000 victimes en France seulement. Ratzinger, devenu Benoît XVI, n’est évidemment pas seul en cause, loin de là. Un groupe de survivants avait réclamé en 2013 à la Cour pénale internationale (CPI) d’intenter contre lui et d’autres responsables catholiques un procès de crime contre l’humanité pour avoir « toléré et permis la dissimulation systématique et généralisée des viols et des crimes sexuels commis contre des enfants dans le monde ». La CPI a décliné la demande. C’est dommage. On aurait pu ainsi aller au fond des choses. En avoir le coeur net.

    Mais puisque le moment est venu de faire le bilan de son action à lui, comment ne pas conclure que non seulement un saint homme, mais simplement un homme bon — ou, comme le dit notre droit civil, « un bon père de famille » —, informé que se déroulaient sous sa responsabilité d’innommables crimes visant des dizaines de milliers d’enfants — voire un seul —, aurait remué ciel et terre, dès le matin de son premier jour à l’ouvrage, pour que cela cesse ? Pas lui. Il s’est plutôt réfugié, selon les mots de Matthias Katsch, représentant des survivants allemands des sévices, derrière un « édifice de mensonges ».

    Jean François Lisee
    Source : https://www.ledevoir.com/opinion/chroniques/777008/chronique-les-crimes-de-benoit-xvi

     #benoît_xvi #pape #histoire #sida #VIH #épidémie #contraception #préservatif #pédophilie #viol #culture_du_viol #catholicisme #enfants #pédocriminalité #viols #religion #violences_sexuelles #pornographie #impunité #violophilie #pedocriminalité

  • Wie antisemitisch war eigentlich Goethe? - haGalil
    https://www.hagalil.com/2014/03/goethe

    A propos de mon antisemite préféré ;-)


    Fack ju Göhte
    https://mgp.berkeley.edu/2015/12/04/film-review-fack-ju-gohte-suck-me-shakespeer

    24. März 2014 – 22 Adar II 5774 von Robert Schlickewitz - Rütteln am deutschen Säulenheiligen…

    Manchen Deutschen gilt er als das Aushängeschild ihrer Kultur, der in seiner Person das Genie eines ganzen Volkes vereinigt. Die überwiegende Mehrheit der heutigen Deutschen hingegen kann mit seinem Namen nur wenig anfangen. Der somit am besten als Säulenheiliger der bürgerlichen Eliten zu Bezeichnende, hat sich vor allem als Literat, aber auch als Humanist einen Namen gemacht. Ihm verdankt die Nachwelt höchst intelligente Reflexionen und bisweilen modern anmutende, bemerkenswerte Einsichten. Zugleich steht er jedoch in einer Reihe mit Martin Luther, Johann Sebastian Bach, Richard Wagner, Arthur Schopenhauer, Wilhelm Busch, Heinrich von Treitschke, Theodor Fontane, Paul de Lagarde, Ludwig Thoma und Adolf Hitler. Legt man heutige Maßstäbe an, war Goethe ein Antisemit.

    Fragt man Bundesbürger des Jahres 2014 nach Goethe, kann man die überraschendsten Antworten erhalten (1). Beispielsweise reagierte eine wenige Jahre vor ihrer Pensionierung stehende, bayerische Grundschullehrerin auf die Frage, was ihr denn zu Goethe einfiele mit der Erwiderung: „Nix, aber des gehört auch ned zu meinem Lehrstoff, ich unterricht‘ nur die erste und zweite Klasse!“. Zugegeben, in der soeben aussterbenden Kriegsgeneration ist das Goethewissen wesentlich umfangreicher und auch differenzierter. Da werden nicht selten ohne langes Besinnen und auch nicht ohne Stolz Werke und sogar Einzelheiten aus der Biografie des „größten deutschen Dichters“ aufgezählt. Bei der ganz jungen Generation hingegen trafen wir erwartungsgemäß die geringsten Kenntnisse um den Namensstifter jener Institute, die deutsche Sprache und Kultur weltweit propagieren sollen, an.

    Im Zeitalter des Internets, in dem aus Bequemlichkeit, oder weil andere Infoquellen unbekannt sind, am liebsten auf das virtuelle Lexikon Wiki.de zugegriffen wird, lässt sich über den aktuellen Stellenwert Goethes in Erfahrung bringen: „Bis heute wird sein Werk zu den Höhepunkten der Weltliteratur gezählt.“ (2)

    Wie der Titel dieses Beitrags bereits feststellt, soll hier nicht untersucht werden, ob Goethe Antisemit war, sondern vielmehr, wie sehr er es war.

    Antisemit war er, indem er Juden die gleichen Rechte (3) vorenthalten wollte, die Christen genossen. Juden sollten, seiner Auffassung nach, Menschen zweiter Klasse mit eingeschränkten Rechten bleiben. Diese Haltung revidierte er auch im Alter nicht. Goethes Idealvorstellungen (z. B. gemäß „Wilhelm Meisters Wanderjahren“) sahen eine judenfreie deutsche Welt vor. Gewisse Zitate, häufig verbunden mit Pauschalierungen („der Jude“, „die Juden“), lassen gleichfalls wenig Zweifel an der Gesinnung ihres Autors (4).

    Um die Titelfrage zu beantworten, bieten sich mehrere Herangehensweisen an. Man kann zum Beispiel jüdische und nichtjüdische Nachschlagewerke zu Rate ziehen, oder die Einschätzungen von Goethes Verhältnis zu Juden bei jüdischen und nichtjüdischen Historikern einander gegenüberstellen, oder die zahlreichen Goethebiografien jüdischer wie nichtjüdischer Autoren unter die Lupe nehmen, oder die Lebensbeschreibungen Heines, Moses Mendelssohns, Lavaters (5), Jacobis (6) bzw. anderer relevanter Zeitgenossen auf Bezüge zu Goethe hin untersuchen oder die Rezeption der judenfeindlichen Stellen in Goethes Werken bei Antisemiten bzw. bei der modernen Rechten auszuwerten versuchen, oder, am allereinfachsten, auf die zahlreichen bisher erschienenen wissenschaftlichen Arbeiten zu Goethe und den Juden zugreifen.

    Da wir unseren Lesern möglichst Originaltexte bzw. Originalzitate anbieten wollen, beginnen wir unsere kleine Goethereihe mit dem Blick in Nachschlagewerke, zunächst in jüdische, dann in nichtjüdische.

    Sämtliche herangezogenen jüdischen Enzyklopädien enthalten das Stichwort „Goethe“. Allein diese Tatsache belegt bereits, dass den verschiedenen Lexikonredaktionen der Blick auf das Verhältnis Goethes zu Juden von großer Wichtigkeit gewesen sein muss. Man erhoffte sich, nicht ohne Berechtigung, aus dem Goetheschen Judenbild nähere Aufschlüsse auf das Verhältnis der Deutschen zu Juden.

    In Deutschland sind im 20. Jahrhundert mit dem Jüdischen Lexikon, der Eschkol Encyclopaedia Judaica sowie dem Neuen Lexikon des Judentums überdurchschnittlich viele jüdische Nachschlagewerke erschienen. Neben diesen drei deutschsprachigen Kompendien des Populärwissens soll auch die englischsprachige Jerusalemer Encyclopaedia Judaica von 1971 sowie deren Anschluss-Auflage des Jahres 2008 in unsere Betrachtung mit einfließen.

    Es fällt auf, dass die jeweiligen Lexikoneinträge die Judenfeindlichkeit Goethes zwar sämtliche aufgreifen, sie jedoch nie direkt als solche, oder gar mit dem Wort Antisemitismus, bezeichnen. Die Autoren der Einträge gehen ausgesprochen nachsichtig mit der Haltung bzw. den Äußerungen der so illustren Integrationsfigur des bürgerlichen Deutschland um. Allein das Neue Lexikon des Judentums rückt die Judenfeindlichkeit Goethes auch optisch in den Vordergrund.

    Jüdisches Lexikon, Band II, Berlin 1927. (7):

    Goethe, Stellung zu Juden und Judentum.

    Im Laufe eines langen Lebens, bei verschiedenen Anlässen, in sehr verschiedenen Situationen und Stimmungen hat Goethe sich so oft in wechselnder Gesinnung und Wertung über Juden und Judentum geäußert, daß es selbst bei vorsichtiger Kritik der einzelnen Zeugnisse methodisch unzulässig ist, durch Zusammenstellung aller dieser Aussprüche seinen Standpunkt zu konstruieren oder gar ihn auf Grund einer Statistik der positiven und negativen Wertungen für eine Partei in Anspruch zu nehmen. Aus der Masse der überlieferten Aussagen Goethes über Juden und Judentum ist eine besonders hervorzuheben, weil sie sachliches Urteil und Selbstkritik vereinigt und dadurch eine höhere Giltigkeit (sic!) erlangt. Während eines Aufenthaltes in Karlsbad im Juni 1811 hat Goethe in einer Unterhaltung mit dem jüdischen Bankier Simon von Lämel aus Prag die Entwicklung seiner Anschauungen und Empfindungen vom Judentum von einem Standpunkt aus betrachtet, der jenseits von Sympathie und Antipathie liegt. Ausgehend von seinen Jugendeindrücken aus dem Frankfurter Ghetto, die er „erschreckend“ nennt, betont Goethe den Gegensatz dieser Gegenwartserscheinung zu der biblischen Tradition. „Die Gestalten der engen und finstern Judenstadt waren mir gar sehr befremdliche und unverständliche Erscheinungen, die meine Phantasie beschäftigten, und ich konnte gar nicht begreifen, wie dieses Volk das merkwürdigste Buch der Welt aus sich heraus geschrieben hat.“ Was sich als Abscheu gegen die Juden in dem jungen Goethe geregt hat, erkennt er später als „Scheu vor dem Rätselhaften, vor dem Unschönen“, und er erklärt seine Verachtung als Reflex der ihn umgebenden christlichen Männer und Frauen. Erst die allmählich sich ausbreitende Bekanntschaft mit „vielen geistbegabten, feinfühligen Männern dieses Stammes“ erweckt in Goethe Achtung für die Nachkommen des bibelschöpferischen Volkes.

    In diesen von Goethe selbst skizzierten Rahmen lassen sich alle seine Äußerungen über das Judentum zwanglos einordnen, seine Parteinahme gegen Moses Mendelssohn, für Lavater und F. H. Jacobi, wie sein Urteil über Falkensohns „Gedichte eines polnischen Juden“, seine bewundernde Liebe zu Spinoza und sein Interesse für Rahel Varnhagen und ihren Kreis. Unabhängig von dieser Wandlung des Urteils aber hat Goethe sich den politischen Emanzipationsforderungen hinsichtlich der bürgerlichen Gleichberechtigung der Juden in den deutschen Einzelstaaten ablehnend gegenübergestellt, auch von seinem Idealstaat, den er in „Wilhelm Meisters Wanderjahren“ schildert, wollte er die Juden ausgeschlossen sehen. Als Leiter des Weimarer Theaters hat Goethe mit großer Entschiedenheit dem Komiker Wurm verboten, die Juden von der Bühne herab zu verspotten.

    In nähere persönliche Berührung mit Juden ist Goethe zuerst als Rechtsanwalt in Frankfurt gekommen. Angehörige der Frankfurter Judenschaft bildeten einen unverhältnismäßig großen Teil von Goethes Klienten. In Weimar war der jüdische Bankier Elkan ein finanzieller Vertrauensmann Goethes. Jüdische Gestalten aus dem Gegenwartsleben finden sich in seinen Dichtungen nicht. Unter dem Einfluß jugendlicher Bibellektüre hat Goethe in seinen Knabenjahren Dichtungen wie „Belsazar“ und „Joseph und seine Brüder“ geschrieben, die er später vernichtet hat. Das Gedicht vom „Ewigen Juden“ blieb Fragment. 1774-1775 übersetzte Goethe das Hohelied und dichtete „Salomos König von Israel und Juda, güldene Worte von der Ceder bis zum Ysop“. Der „Prolog im Himmel“ der Faustdichtung verwertet Motive des Hiobbuches, die Vorliebe für den Orient, die im „Westöstlichen Divan“ Gestalt gewinnt, hat auch ein Interesse für die Poesie der Bibel und die Kulturgeschichte der Juden zur Voraussetzung, das schon in Goethes Untersuchung über „zwei wichtige biblische Fragen“ zum Ausdruck kommt und durch Herders Einfluß vertieft worden ist. Den Wert der Bibel für die Bildung der Menschheit hat Goethe ebenso oft und nachdrücklich betont wie ihre Bedeutung für seine persönliche, sittliche und geistige Ausbildung.

    Lit.: Heinr. Teweles; Goethe und die Juden, 1924; L. Deutschländer, Goethe und das AT, 1923; K. Burdach, Faust und Moses, Berlin 1912 (S.-A. aus: Sitzungsberichte der preuß. AkW); J. Bab, Goethe und die Juden, Berlin 1926.

    Encyclopaedia Judaica, Band 7, Berlin 1931. (8):

    Goethe. Die Aussprüche Goethes über Juden und Judentum widersprechen einander. Als Ursache dieses Zwiespalts, der sich in Goethes weltanschaulichen Äußerungen über wesentliche Gegenstände aller Art wiederfindet, ist eine Grundform seines Weltbildes anzusprechen, die sogenannte „Metaphysische Dissonanz“ (Deubel). Von hier aus erklärt sich auch das in diesem Zusammenhange so häufig herangezogene Gespräch zwischen Goethe und dem Bankier Simon von Lämel aus Prag in Karlsbad (Juni 1811); Goethe betont darin den Gegensatz zwischen seinen „erschreckenden“ Jugendeindrücken vom Frankfurter Ghetto und seiner unmittelbaren Anschauung des „merkwürdigsten Buches der Welt“, der Bibel.

    Schon in dem Knaben Goethe erweckte mancher streng beobachtete Brauch der Frankfurter Juden als ein „Andenken der ältesten Zeiten“ lebhafte Teilnahme. Goethe selbst lernte damals Hebräisch bei dem Rektor Albrecht; auch das „Judendeutsch“ beschäftigte ihn so weit, daß er die Abfassung eines Romans in dieser Sprache erwog (die Echtheit der allein erhaltenen kleinen „Judenpredigt“ ist umstritten). Als Rechtsanwalt in Frankfurt hatte Goethe jüdische Klienten; später verwaltete der Weimarer Bankier Elkan, der in der ersten Fassung des Gedichtes „Ilmenau“ erwähnt wird, sein Vermögen. Jüd. Künstler, wie Oppenheim und Beer, hat Goethe vielfach gefördert; in seiner Frühzeit tadelte er bei der Besprechung von Falkensohns „Gedichten eines polnischen Juden“ gerade das Fehlen jüdischer Eigenart in seiner Kunst. Er war bekannt mit Sarah und Marianne Meyer, den späteren Baroninnen von Grotthus und Eybenberg, und wußte das Verständnis der Rahel Levin für ihn zu würdigen. Zelter vermittelte einen Tauschverkehr zwischen Goethe und dem Sammler David Friedländer. Mendelssohns Sohn Abraham wurde von Goethe als Berichterstatter über Pariser Zustände gebraucht und sein Enkel Felix Mendelssohn-Bartholdy von ihm in seinem Hause in Weimar mit besonderer Zuneigung aufgenommen.

    Den Einfluß Spinozas auf seine Weltanschauung hat Goethe stets betont. Mendelssohn, obzwar er ihn einmal „einen unserer würdigsten Männer“ nennt, lehnt er im Grunde ab; in dem Pantheismusstreit nach Lessings Tode stand er unzweideutig auf seiten Jacobis. Ebenso verhielt er sich ablehnend gegenüber den Emanzipationsbestrebungen der Juden seiner Zeit. Er wandte sich zwar entschieden gegen die Verspottung der Juden von der Weimarer Bühne herab durch den Komiker Wurm; als ihm jedoch Bettina von Arnim Nachrichten über den Stand der Judenangelegenheiten in Frankfurt vermittelte, bat er auch um die Schriften der Judengegner. Auch das Emanzipationsgesetz von 1812, das die Erlaubnis einer Mischehe und ihrer kirchlichen Einsegnung enthielt, erregte bei ihm lebhafte Abwehr. Dem entspricht Goethes Stellungnahme in Wilhelm Meisters Idealstaat, von dem er den Juden ausgeschlossen wissen wollte. Seine ablehnende Haltung wurde vielleicht begünstigt durch den Einfluß Mösers. Im „Wilhelm Meister“ findet sich aber auch das von Goethe in vielen Formen wiederholte Wort von der Festigkeit der Juden: „ es ist das beharrlichste Volk der Erde, es ist, es war, es wird sein, um den Namen Jehova durch die Zeiten zu verherrlichen“.

    Die Bibel beeinflußte bereits die Stoffwahl der Erstlingswerke Goethes, des später vernichteten „Belsazar“ und „Joseph“. Eine burleske Fassung des Estherstoffes enthält das „Jahrmarktsfest zu Plundersweilern“. Das Fragment des Gedichtes vom „Ewigen Juden“ sollte, nach Goethes Plan, die Wanderungen des Juden Ahasverus, u.a. auch einen Besuch Ahasvers bei Spinoza darstellen. Von Herder beeinflußt, wandte sich Goethe der jüdischen Geschichte und Bibelkritik zu. In den Jahren 1774/75 übersetzte er das Hohelied, und zwar unter Heranziehung des englischen Bibelwerkes, unmittelbar aus dem Original. Eine zur selben Zeit entstandene Reihe von Parabeln, die in biblischer Gleichnisrede eigene Gedanken Goethes enthalten, nannte er „Salomos, König von Juda, güldene Worte von der Ceder bis zum Ysop“. In der Abhandlung „Was stand auf den Tafeln des Bundes?“ („Zwo wichtige biblische Fragen“ 1773, I) stellt Goethe die These auf, daß ursprünglich auf den Bundestafeln der kultische Dekalog aus Ex. 34 gestanden habe, den die Wissenschaft später nach Goethe als dem Entdecker benannt hat. Im vierten Buche von „Dichtung und Wahrheit“ gibt Goethe im Anschluß an den Bericht von seinen ersten biblischen Studien eine Wiedererzählung der Ur- und Patriarchengeschichte der Genesis, die ebenfalls wesentliche Hinweise auch für die Wissenschaft enthält. Inhaltlich knüpft hieran eine später in die Noten zum „Westöstlichen Divan“ aufgenommene Abhandlung „Israel in der Wüste“ an, in der die Fragen nach den Stationen der Wanderung, der Dauer des Zuges durch die Wüste und auch dem mutmaßlichen Ende Moses kritisch und frei behandelt werden.

    Die Liebe zur Bibel spricht sich nicht nur in den zahllosen biblischen Wendungen und Bildern der Briefe und Gedichte Goethes aus; auch der „Faust“ geht im Anfang wie im Ende auf biblische Quellen zurück. Der „Prolog im Himmel“ ist bewußt aus der Einleitung zum Buche Hiob geschöpft. Mephisto ähnelt, nach Goethes eigenem Hinweise, viel mehr dem biblischen Satan, als dem christlichen Teufel. Auch bei der Darstellung von Fausts Tod scheinen altjüdische Sagen von Moses Tod neue Gestalt gewonnen zu haben (Burdach).

    Hebräische Übersetzungen von Goethes Werken sind verhältnismäßig selten. „Hermann und Dorothea“ wurde zweimal übertragen, zuerst von Mordechai Rothberg (unter dem Titel Newe ha-Zedek“, Warschau 1857), neuerdings durch S. Ben-Zion (Jaffa 1917; 2. Aufl. Berlin 1923). In den Sammelbüchern „Jefet“ (Jaffa 1911) erschienen, übertragen von J. Wilkanski, im ersten Band „Werther“ im zweiten Band „Dichtung und Wahrheit“ I. Aus der älteren Periode ist eine Umdichtung des „Faust“ von M. Letteris unter dem Titel „Ben Abuja“ hervorzuheben (Wien 1865). Der jüngsten Zeit gehören Jakob Kahans Übertragungen der Dramen „Iphigenie“ (1920) und „Torquato Tasso“ (1923) an. Einzelne Gedichte hat auch S. Tschernichowski übertragen.

    H. Teweles, Goethe und die Juden 1924; J. Bab, Goethe und die Juden 1926; Hehn, Goethe und die Sprache der Bibel, Goethe-Jhrb. VII; Henkel, Goethe und die Bibel, Leipzig 1890; Deutschländer, Goethe und das Alte Testament 1923; idem, Biblische Motive in Goethes Faust, Jeschurun II, 141 ff., 279ff.; Gertrud Janzer, Goethe und die Bibel 1929; Rosenberg, Koheleth und Goethes Faust in JjGL II (1899); Ziemlich, Goethe und das AT; Burdach, Faust und Moses, SBAW 1922; Badt, Goethe als Übersetzer des Hohen Liedes, Neues Jahrb. f. Phil. u. Päd., Bd. 124; Minor, Goethes Fragmente vom Ewigen Juden 1904; Schaeder, Goethe und der Orient, N. Schweizer Rundschau, Sept. 1930; Lass, Moeser und Goethe 1909 (Diss.); ha-Sifrut ha-jafa be-Ibrit, Reg. s. v.

    Der Umfang des Goethe-Eintrags der Jerusalemer Encyclopaedia Judaica (EJ) von 1971 fällt spärlicher aus, als man möglicherweise erwartet hätte. Immerhin sind vier Jahrzehnte seit den beiden vorzitierten Einträgen verstrichen und Wissenschaft und Forschung in diesem Zeitraum keineswegs stehengeblieben. Noch etwas anderes nimmt man mit gemischten Gefühlen zur Kenntnis, wenngleich die Erklärung dafür recht einfach ist: Aufgrund der englischen Schreibweise stehen dem Goetheeintrag der EJ die, ihrer Länge nach vergleichbaren, Artikel zu Josef Goebbels und Hermann Göring genau gegenüber.

    Inhaltlich orientiert sich der EJ-Text an seinen beiden deutschsprachigen Vorgängern. Goethe hätte in seiner Kindheit gute Kenntnisse der Lutherbibel erworben, was sich später in seinen Gesprächen, Briefen und literarischen Arbeiten niedergeschlagen habe. Es werden die unvollendet gebliebenen bzw. später vernichteten Projekte und Versuche des jungen Goethe aufgezählt: „Joseph und seine Brüder“, „Belsazar“, „Isabel“, sowie die Bearbeitung des Samson-Stoffes, jeweils unter Bezugnahme auf ihre Nähe zum biblischen Vorbild. Goethes Bemühungen um die Erlernung der hebräischen Sprache bzw. des Jiddischen werden hervorgehoben. Es folgen Goethes Eindrücke nach dem Besuch des jüdischen Ghettos in seiner Geburtsstadt Frankfurt: „He records how, on such one occasion, when part of the ghetto burned down, he helped to quench the flames while other youngsters jeered at the hapless Jews“. Goethes Absichten einen Roman zu schreiben, in dem sieben Brüder und Schwestern sich in sieben Sprachen, darunter auch „Judendeutsch“, brieflich austauschten, kommen zur Sprache; als einziges Fragment daraus sei die „Judenpredigt“ erhalten geblieben. Die aus den beiden früheren Einträgen bereits bekannte Goetherezension zu Isachar Falkensohns „Behr’s Gedichte eines polnischen Juden“ von 1771 und natürlich die Anlehnungen an Parallelen in der Bibel im Faust ergänzen die bisherigen Angaben. Zugleich wird jedoch festgestellt, dass Goethe zu keiner Zeit ein bedeutendes Werk über ein biblisches Thema verfasst hat.

    Nach seinem Umzug nach Weimar 1775 habe der deutsche Nationaldichter zahlreiche Kontakte zu Juden und konvertierten Juden unterhalten, darunter u.a. zu Heine, der ihn allerdings nicht sonderlich beeindruckt habe. Ferner habe Goethe dem (jüdischen) Maler Moritz Oppenheim gestattet ihn zu porträtieren bzw. die Illustrationen zum Idyll „Hermann und Dorothea“ anzufertigen. Erst gegen Ende des Eintrags erfährt der Leser auch vom anderen, vom judenfeindlichen Goethe. Der sei ein Gegner von neuen Gesetzen gewesen, die Juden gleiche Rechte hätten einräumen sollen und: „In general, however, Jews did not engage more than the periphery of his interest.“ Goethe also, als ‘ganz normaler‘ Deutscher, Juden vollkommen gleichgültig gegenüberstehend. Umgekehrt hätte sich eine ganze Reihe jüdischer Autoren ausgesprochen interessiert am deutschen Dichterfürsten gezeigt, was seinen Ausdruck in deren Goethebiografien gefunden habe. Es fallen die Namen: Albert Bielschowsky, Ludwig Geiger, Richard Moritz Meyer, Eduard Engel, Georg Simmel, Emil Ludwig, Friedrich Gundolf und Georg Brandes. Folgende, in den vorzitierten Lexika noch nicht genannte, Werke führt die „Bibliography“ der EJ auf: M. Waldman, Goethe and the Jews (1934); R. Eberhard, Goethe und das Alte Testament (1935), incl. bibl.; A. Spire, in: E.-J. Finbert (ed.), Aspects du génie d’Israël (1950), 183-99.

    Die im Internet zugängliche aktualisierte Fassung der Jerusalemer EJ (von 2008) weist in ihrem Goetheeintrag gegenüber der früheren Auflage nur geringfügige Unterschiede auf. So wird hinzugefügt: „In the explanatory prose parts of his late collection of poems West-östlicher Divan he integrated an extensive study on Israel in der Wüste, which deals with the role of Moses and the Israelite people.“ Außerdem wird auf Goethes Verhältnis zum Komponisten Felix Mendelssohn-Bartholdy („whom he loved“) eingegangen, die Reihe der jüdischen Goethe-Biografen um die Namen Richard Friedenthal und Hans Mayer ergänzt sowie die Bibliografie auf den neuesten Stand gebracht (9).

    Das nur einbändige Neue Lexikon des Judentums kann mit Prof. Dr. Julius H. Schoeps als Herausgeber einen glaubwürdigen Wissenschaftler an der Spitze seines Redaktionsteams vorweisen. Der Goetheeintrag der ersten Auflage des Jahres 1992 wurde unverändert in der zweiten von 1998 übernommen, während die inzwischen erschienene dritte Auflage uns nicht vorlag.

    Folgende Passagen des Goetheeintrags, sie stehen ohne Umschweife und zu Beginn, sind hervorhebenswert:

    … Der Patriziersohn lernte früh die christlich-antijüdischen Mythen aus der Lutherbibel und alten Chroniken kennen, seine ersten Besuche im Frankfurter Ghetto waren durch Neugierde, aber auch Ritualmordängste geprägt, nach eigenen Worten „erschreckend“ („Dichtung und Wahrheit“). Goethe nahm Partei gegen M(oses) Mendelssohn für Lavater. Alttestamentliche Reflexe und Spuren einer Faszination für die alte hebräische Literatur und Mythologie durchziehen sein Lebenswerk. Als Minister eines der sächsischen Staaten, die Juden bis ins 19. Jahrhundert nicht tolerierten, am Emanzipationsprozeß zunächst weniger interessiert, polemisierte Goethe teilweise heftig („Humanitätssalbader“) gegen die bürgerliche Gleichstellung der Juden, enthielt sich zu Beginn der Restaurationszeit demonstrativ „aller Theilnahme an Juden und Judengenossen“ und verdammte besonders Mischehen…

    Außerdem verweist der Eintrag auf Goethes ablehnende Haltung gegenüber der Französischen Revolution bzw. auf die dadurch hervorgerufene Kritik durch Ludwig Börne. Und auch hier wird an die zahlreichen jüdischen Leser Goethes, sowie an jüdische Wissenschaftler und Künstler erinnert, die sich vom deutschen Dichterfürsten anregen ließen. In der Literaturliste finden sich neben bereits erwähnten Aufsätzen und Werken: M. Bollacher, Der junge Goethe und Spinoza, 1969. – W. Leppmann, Goethe und die Deutschen, 1982. – P. Meinhold, Goethe zur Geschichte des Christentums, 1958. – G. Möbius, Die Christus-Frage in Goethes Leben und Werk, 1964. – A. Raabe, Goethe und Luther, 1949.

    Nun zu den nichtjüdischen Nachschlagewerken. Zunächst Goetheeinträge in biografischen Lexika, anschließend Goetheeinträge in deutschsprachigen, allgemeinen Enzyklopädien von ab Beginn des 20. Jahrhunderts. Gesucht wird jeweils nach Bezügen zu Juden bzw. Judentum.

    Die als bedeutend angesehene Neue Deutsche Biographie (10) geht in ihrem nahezu 30 Seiten umfassenden Goetheeintrag (1964) lediglich auf Hebräischkenntnisse ein: „…Das Hebräische wurde begonnen, …“, „… sowohl biblische und hebräische wie arabisch-persische, heidnisch-antike und mittelalterliche Literatur und Poesie hat er sich anzueignen gewußt;“ Ansonsten erfährt ihr Benutzer nichts über mögliche Verbindungen Goethes zu Juden bzw. Judentum.

    Von Spitzenkräften redigiert und vom, für seine biografischen Werke wohlbekannten, K. G. Saur Verlag veröffentlicht, erschien in den 1970er Jahren die zweite, überarbeitete Auflage des Biographischen Wörterbuches zur deutschen Geschichte (11). Zu dessen Bearbeitern zählten die damals noch als integer erachteten Wissenschaftler Karl Bosl, Günther Franz und Hanns Hubert Hofmann. Das dreibändige Werk wurde 1995 vom katholischen Weltbild-Konzern unverändert noch ein weiteres Mal aufgelegt.

    Freilich, mehr als „… eine flüchtige Kenntnis des Jiddischen …“ ist auch dem Goetheeintrag dieses Lexikons nicht zu entnehmen.

    Die ebenfalls in weiten Teilen des deutschen Bürgertum Jahrzehnte über hoch geschätzte, mehrbändige Biographie „Die Grossen Deutschen“ (1935/36-1983), zu deren Nachkriegsherausgebern immerhin ein Theodor Heuss zählte, konnte kein Interesse daran haben, Goethes Verhältnis zu Juden zu thematisieren; dies hätte eine nicht zumutbare Zäsur im Pathos der Ausführungen eines Emil Staiger bedeutet (12).

    Dorothea Hölscher-Lohmeyer erwähnt in ihrem rund 30seitigen Goetheeintrag in Walther Killys Literaturlexikon „Deutsche Autoren“ (13) zumindest die Tatsache, dass Ghetto-Juden zu den Klienten des Rechtsanwalts Goethe gehörten, neben der Information von den Bemühungen des Dichters um die Erlernung des Hebräischen. Mehr erfahren wir bei ihr jedoch nicht.

    In den (klassischen) allgemeinen deutschen Nachschlagewerken tauchen Informationen zu Goethe und den Juden ebenfalls vereinzelt auf. Es genügt als Beispiel für die Art dieser Informationen der Blick in zwei Lexika, in eines aus dem Jahr 1941 und ein weiteres von 2006:

    Im Inneren der (deutschen Einzel-. Anm. d. Autors) Staaten vollzog sich ebenfalls eine entschiedene Abkehr der aristokratisch-altständischen Lebensordnung (Bauernbefreiung, Städteordnung, Judenemanzipation) und eine Hinwendung zu einem stark westeuropäisch ausgerichteten Liberalismus (Code Napoléon). („Goethezeitalter“ In: Der Neue Brockhaus, 2. Aufl., 4 Bde., Leipzig 1941)

    Goethes zunächst ausgesprochen große Wirkung auf seine Zeit nahm gegen Ende seines Lebens, auch aus polit. Gründen, immer mehr ab (von H. Heine in „Die romantische Schule“, 1836, als Ende der „Kunstperiode“ definiert). („Goethe.“ In: Brockhaus Enzyklopädie in 30 Bänden, 21. Aufl., Leipzig u. Mannheim 2006)

    Wikipedia.de erwähnt (im März 2014) das Goethesche Verhältnis zu Juden an keiner Stelle. Auch die permanente Katholikenfeindlichkeit des deutschen Säulenheiligen (14) wird bei wiki.de nicht thematisiert. Bei en.wiki hingegen liest man klar und ohne Umschweife: „Goethe had a persistent dislike of the Roman Catholic Church.“ So kann man u.a. im Faust I von 1808 zum Beispiel lesen:

    „Die Kirche hat einen guten Magen,
    Hat ganze Länder aufgefressen
    Und doch nie sich übergessen.
    Die Kirch‘ allein, meine lieben Frauen,
    Kann ungerechtes Gut verdauen.“

    Fazit des ersten Teils dieser Reihe: Man (= unsere Gesellschaft) möchte am Goethe-Mythos weiterhin festhalten und schont daher den „größten deutschen“ Dichter; man hält sich zurück mit seiner Kritik, lässt Goethe mehr durchgehen als man anderen durchgehen lassen würde, denn man benötigt ihn auch künftig noch als Vorbildfigur. Man hat ja niemand Besseren. Jüdische Nachschlagewerke geben geringfügig mehr preis als nichtjüdische, jedoch herrscht auch bei ihnen huldvollste Zurückhaltung vor – der sprichwörtliche Promibonus – er wirkt. Ein wie auch immer gearteter Antisemitismus-Vorwurf wird letztendlich von Respekt und Achtung vor der bedeutsamen Persönlichkeit überlagert.

    Kann so etwas angesichts der Einzigartigkeit der deutschen Geschichte (eliminatorischer Antisemitismus) moralisch gerechtfertigt sein? – Man wird es zumindest bezweifeln dürfen!
    Bildquelle: Goethe und seine Welt, (Hg.) Hans Wahl und Anton Kippenberg, Leipzig 1932, S. 227, Kolossalbueste Goethes von David d’Angers 1829.

    Anmerkungen:

    1) Allein schon das Wissen, bzw. Nichtwissen, der heutigen Deutschen über Goethe böte Stoff für eine eigene Studie. Wir interviewten für diesen Beitrag 82 Deutsche verschiedenen Alters und unterschiedlichen Bildungsniveaus in Lübeck und in der bayerischen Provinz. Folgende Fragen legten wir einheimischen Passanten vor (korrekte Antworten jeweils kursiv):

    War Goethe Nobelpreisträger, Sportler, Schriftsteller oder Komponist?

    Lebte Goethe vor 400, vor 200 oder vor 100 Jahren?

    Welche Bedeutung hat Goethe für Deutschland? (Nationaldichter o.ä.)

    Nur ein kleiner Prozentsatz war in der Lage alle drei Fragen richtig zu beantworten. Häufig wurde ganz offensichtlich nur geraten („ich würde mal sagen…“, „also eher…“ etc.), und somit nicht gewusst. Nicht selten wurde versucht das eigene Unwissen mit der Gegenfrage zu überspielen: „Muss man/ich den denn kennen?“

    2) Zu verschiedenen Zeiten erfuhr Goethe unterschiedlich hohe Wertschätzungen.

    …der größte Dichter deutscher Nation… Und so wird er, der der größte moderne Dichter nicht nur Deutschlands, sondern aller Völker genannt werden darf, zugleich ein lebenweckender Heros eines neuen Weltideals, dessen Durchführung in der Wirklichkeit vielleicht erst im Laufe von Generationen erwartet werden darf. Da aber das Neue seiner Lebensanschauung so groß und mannigfaltig ist, war es zu begreifen, daß manche der Zeitgenossen (z. B. Börne und Menzel), aber auch der spätern Geschlechter die Hoheit seines Strebens und die fruchtbringende Kraft seiner Weltanschauung gröblich verkannt haben… (Meyers Großes Konversationslexikon, 6. Aufl., Leipzig und Wien 1905)

    … der größte deutsche Dichter… Dieser Roman („Die Leiden des jungen W.“), der das erste europäische Buch der deutschen Literatur werden sollte, ist das großartigste literarische Denkmal des empfindsamen, stillen, tiefen Kulturlebens jener Zeit… Goethes Wirken besteht darin, daß er dankbar alles ergreift, was die innere Bewegung fördert, alles zurückweist, was uns niederdrückt und erschlafft. Und so wird er, der größte moderne Dichter nicht nur Deutschlands, sondern aller Völker, zugleich der Verkünder eines neuen Weltideals, dessen Durchführung in der Wirklichkeit vielleicht erst im Laufe von Jahrhunderten erwartet werden darf. (Meyers Lexikon, 7. Aufl., Leipzig 1926)

    …Von Goethes dichterischer Bedeutung, deren Macht nur immer gewachsen ist, ist hier nicht zu sprechen, nur darauf zu verweisen, wie jedes deutsche Geschlecht seither im „Faust“, und zumal auch in dem endlich seine Geheimnisse enthüllenden zweiten Teil die Spiegelung seiner besten Kräfte findet… Die zum Teil epochemachende Bedeutung von Goethes naturwissenschaftlichen Arbeiten, innerhalb deren die wichtige Entdeckung des Zwischenkiefers (Goetheknochens) nur eine Episode ist, tritt je mehr und mehr hervor (…).Vor allem aber zieht der Aufbau dieses Lebens in seiner Größe und seinem Verzicht, in seinem Streben zu harmonischer Einung unter stetem Kampf mehr gegen Innen- als Außenmächte die ehrfürchtig liebenden Blicke der Nachwelt in nur immer steigendem Maße auf sich… Die einst zum Mythos gewordene Gestalt … – ein Erbhüter der klassischen Altertums- wie deutscher Vergangenheit und innerster Freiheit, bei redlicher Frommheit außerhalb christlichen Erlösungsglaubens, zugleich. (Jedermann Lexikon in zehn Bänden, Berlin-Grunewald 1929)

    …Deutschlands größter Dichter, einer der tiefsten und weisesten Denker Europas… (Der Grosse Brockhaus, 20 Bde., 15. Aufl., Leipzig 1930)

    …der größte deutsche Dichter, der die von Lessing angebahnte Befreiung der dt. Literatur von der Nachahmung der Franzosen vollendete, in seiner Reifezeit die klass. Formen mit nationalem Gehalt erfüllte (…) und in seinem Lebenswerk, dem „Faust“, ein allumfassendes Bild dt. Wesens und dt. Geistes schuf, es zugleich ins Allgemeinmenschliche steigernd. In der ungeheuren Spannweite des Geistes, der für alles Teilnahme und Verständnis hat, weil er in allem das Walten und Wirken der einen großen Kraft erkennt („Gott-Natur“), liegt die Größe der Persönlichkeit Goethes… (Meyers Kleines Lexikon, 9. Aufl., 3 Bde., Leipzig 1933)

    …Deutschlands größter Dichter und einer der tiefsten Denker… Goethes Dichtung ist Bekenntnisdichtung im höchsten Sinn. Was er fühlte und erlitt, hat er im Gedicht ausgesprochen; in seinen Werken sind die Erlebnisse, Begegnungen und Erfahrungen seines Daseins zu ewigmenschlicher, gleichnishafter Bedeutung erhoben… In den formvollendeten Meisterwerken seiner Weimarer Zeit hat G. dann all dem Ausdruck gegeben, was als Vermächtnis der Goethezeit in die deutsche und europäische Geistesgeschichte eingegangen ist, seinem Schönheitsgefühl, seiner Lebensfrömmigkeit, seinem Glauben an den Wert und die entführende Kraft edler Menschlichkeit, seinen Sinn für die gesetzhafte, organische Ordnung der Welt… G. bedeutet so mit seinem Wesen und Werk nicht nur einen Höhepunkt der auf Vollendung der Persönlichkeit gerichteten Kultur des 18. Jahrh., er blickt auch hinaus in die neue Zeit, die den großen Fragen der Gemeinschaft und des Volkes gehörte… (Der Neue Brockhaus, 2. Aufl., 4 Bde., Leipzig 1941)

    Interessanterweise enthält der oben genannte Brockhaus von 1941 auch ein Stichwort „Goethezeitalter“, welches in späteren Auflagen nicht wieder in Erscheinung treten sollte. Ein Zeichen für die hohe Wertschätzung, die Goethe von einigen einflussreichen Deutschen auch zur Zeit des Dritten Reiches entgegengebracht wurde. Unter „Goethezeitalter“ lesen wir:

    …der Zeitabschnitt europäischer Kulturgeschichte von 1770 – 1830, bes. das deutsche Geistesleben, das mit Hamanns Gefühlsphilosophie beginnt und mit Hegels Weltsystem endet… Die geistige Bewegung des Goethezeitalters in Deutschland stellt einen der Höhepunkte der Geistesgeschichte der Welt dar. Die ganze Zeit war gekennzeichnet durch entschiedenen Widerspruch gegen das Aufklärungszeitalter… Obwohl das Goethezeitalter bes. in Deutschland eine der innerlich reichsten und schöpferisch fruchtbarsten Zeiten war, war der äußere Rahmen des alltäglichen Lebens sehr eng gespannt…

    Der größte Dichter der Deutschen und einer der größten Menschen aller Zeiten…, war gleich bedeutend als Lyriker, Dramatiker, Erzähler, als Forscher und Weiser seines Volkes… Ein so weiter Bogen überwölbte das einzigartige Leben dieses größten Genius deutschen Geistes… (Die Jugend großer Deutscher, (Hg.) Rudolf K. Goldschmit-Jentner, Leipzig 1941, S. 506)

    …größter deutscher Dichter, universal. Geist der europäisch-abendländischen Kultur… (Volkslexikon Münchner Merkur, um 1950)

    …in „Willkommen und Abschied“ vollzieht sich der Durchbruch zur unmittelbaren Aussage des glühenden Herzens, in Rhythmen und Bildern, in einer Sprachkraft und Erlebnistiefe wie sie die deutsche Dichtung bis dahin nicht gekannt hatte… Im Alter war Goethe der mächtige Statthalter der europäischen Literatur geworden… Während für den Liberalismus der Bismarckzeit der klassische Goethe im Blickpunkt steht, für die Zeit um die Jahrhundertwende der ‚titanische‘ junge Goethe, wird die heutige Zeit von dem weisheitsvollen, in der Tragik stehenden alten Goethe am kräftigsten angerührt. (Der Grosse Brockhaus, 16. Aufl., 12 Bde., Wiesbaden 1954)

    … der größte deutsche Dichter in deutscher Sprache… (Der Grosse Herder, 5. Aufl., Freiburg 1954)

    Goethe ist der bedeutendste deutsche Dichter… Mit Goethes Tod endet auch eine der bedeutendsten Epochen der deutschen Literatur, die in seinem Werk einen ihrer Höhepunkte und Weltgeltung erreichte. (Bertelsmann Volkslexikon, 8. Aufl., Gütersloh 1957)

    Als Goethe diese Worte schrieb – im September 1780 –, war er einunddreißig Jahre alt, als Verfasser des „Werther“ weltberühmt… Kein Dichter dieses Ranges ist je ein so überlegener Weiser gewesen, keiner, der sein Leben so vorbildlich geführt und vollendet hat, jemals ein so bezaubernder Künstler… Angesichts einer solchen ungeheuren Leistung ist es verständlich, daß Goethe in der Folge als Maß des Daseins überhaupt betrachtet und in allen Dingen als Zeuge und Richter angerufen wurde. (Die grossen Deutschen, 1956-1983. S. a. a. O.)

    Goethe, der bedeutendste Dichter in deutscher Sprache und einer der universellsten Geister war vom Erscheinen seiner größeren Dichtungen an Mittelpunkt der literarischen, dann überhaupt der geistigen Welt Deutschlands; er erhielt sich diese Stellung in seinem langen Leben, und sie wirkt bis in die Gegenwart fort… Das Phänomen Goethe kann zeigen, was Literatur für ein Sprachvolk, was sie darüber hinaus zu bedeuten vermag. Die Stellung, welche der Dichter den großen Lebensfragen gegenüber eingenommen hat, wirkte als eine durchgearbeitete Möglichkeit des Menschlichen weiter. Alle Völker Europas haben daran Anteil gehabt, wenn auch in verschiedenem Umfang, ihren nationalen Überlieferungen entsprechend. Vor allem ist die deutsche Bildung seither auf die geistige Gestalt Goethes bezogen geblieben… (Neue Deutsche Biographie, Berlin 1964. S. a. a. O.)

    … Goethes Universalität beweisen außer seinen dichter. Werken die zahllosen literar- und kunstkrit. und v. a. naturwissenschaftl. Schriften. Als Kritiker war er sachverständig und zuständig… (Meyers Enzyklopädisches Lexikon, 9. Aufl., 25 Bde., Mannheim u. a. 1974)

    Dichter, kunsttheoret. und naturwiss. Schriftsteller; bedeutendster Repräsentant der deutschen Klassik… Vielzahl bedeutender Gedichte… BI Lexikon A bis Z in einem Band, 3. Aufl., DDR-Leipzig 1982

    Schon zur Herbstmesse 1774 erschien das Buch („Die Leiden des Jungen Werthers“) bei Weygand in Leipzig und war sofort ein ungeheurer Erfolg. Goethe war über Nacht zu Weltruhm gelangt und wurde ‘wie ein literarischer Meteor angestaunt‘ (DuW 13)… (Deutsche Autoren, 1994. S. a. a. O.)

    … war das Werk („Die Leiden des Jungen Werthers“) von größter Wirkung; es wurde in alle europ. Sprachen übersetzt und begründete Goethes weltliterar. Ruhm… 1999, im Jahre des 250. Geburtstages belegte eine Flut von Veröffentlichungen und vielfältigen Veranstaltungen seine herausragende Stellung in der dt. und europ. Kultur der Gegenwart. (Brockhaus Enzyklopädie in 30 Bänden, 21. Aufl., Leipzig u. Mannheim 2006)

    Goethes von persönlichem Erleben und Empfinden geprägte Werke sind von eminentem Einfluss auf die europ. Literatur- und Geistesgeschichte… (Grosses Universallexikon von A-Z, o. O. (2010))

    3) Die Emanzipation der Juden in Deutschland:

    http://de.wikipedia.org/wiki/J%C3%BCdische_Emanzipation

    http://en.wikipedia.org/wiki/Jewish_emancipation

    http://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89mancipation_des_Juifs

    http://ieg-ego.eu/de/threads/europaeische-netzwerke/juedische-netzwerke/friedrich-battenberg-judenemanzipation-im-18-und-19-jahrhundert

    http://www.jaecker.com/2002/03/judenemanzipation-und-antisemitismus-im-19-jahrhundert

    http://de.wikipedia.org/wiki/Hep-Hep-Unruhen

    http://en.wikipedia.org/wiki/Hep-Hep_riots

    http://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89meutes_Hep-Hep

    4) Belege für den literarischen Antisemitismus Goethes:

    Du kennst das Volk, das man die Juden nennt…. sie haben einen Glauben, der sie berechtigt, die Fremden zu berauben… Der Jude liebt das Geld und fürchtet die Gefahr. Er weiss mit leichter Müh‘ und ohne viel zu wagen, durch Handel und durch Zins Geld aus dem Land zu tragen… Auch finden sie durch Geld den Schlüssel aller Herzen, und kein Geheimnis ist vor ihnen wohl verwahrt… Sie wissen jedermann durch Borg und Tausch zu fassen; der kommt nicht los, der sich nur einmal eingelassen…

    (Das Jahrmarktsfest zu Plundersweiler)

    http://books.google.de/books?pg=PT279&dq=&id=YYkTAAAAQAAJ&as_brr=1&as_pt=ALLTYPES&redir_esc=y#

    (Ahasverus)

    5) Johann Kaspar Lavater:

    Richard T. Gray, About Face: German Pysiognomic Thought from Lavater to Auschwitz. In: Comparative Literature, Vol. 58, No. 2 (Spring, 2006), pp. 175-177; University of Oregon

    http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/d/D10444.php

    http://de.wikipedia.org/wiki/Johann_Caspar_Lavater

    http://en.wikipedia.org/wiki/Moses_Mendelssohn

    http://germanhistorydocs.ghi-dc.org/pdf/eng/15_TheJews_Doc.2_English.pdf

    www.zwingliana.ch/index.php/zwa/article/download/921/831

    http://www.zwst4you.de/geschichte_der_juden_in_deutschland/kapitel118.html

    http://de.wikipedia.org/wiki/Physiognomik

    http://dic.academic.ru/dic.nsf/enc_philosophy/2610/%D0%9B%D0%90%D0%A4%D0%90%D0%A2%D0%95%D0%A0

    6) Friedrich Heinrich Jacobi:

    http://en.wikipedia.org/wiki/Friedrich_Heinrich_Jacobi

    http://de.wikipedia.org/wiki/Friedrich_Heinrich_Jacobi

    http://plato.stanford.edu/entries/friedrich-jacobi

    http://www.britannica.com/EBchecked/topic/298993/Friedrich-Heinrich-Jacobi

    7) Das aus fünf Teilbänden bestehende „Jüdische Lexikon“ („Ein enzyklopädisches Handbuch des jüdischen Wissens in vier Bänden. Begründet von Dr. Georg Herlitz und Dr. Bruno Kirschner. Unter Mitarbeit von über 250 jüdischen Gelehrten und Schriftstellern“) bestand unabhängig neben der noch wesentlich umfangreicheren „Encyclopaedia Judaica“. Als Autor des Goethe-Eintrags wird Hugo Bieber, und zusätzlich “Berlin, Dr. phil., Schriftsteller“ angegeben.

    http://de.wikipedia.org/wiki/Hugo_Bieber

    https://portal.dnb.de/opac.htm?method=simpleSearch&query=116162910

    http://sammlungen.ub.uni-frankfurt.de/cm/id/2928664

    8) Das von herausragenden Fachleuten verantwortete und in hoher Druckqualität ausgelegte Nachschlagewerk aus dem Verlag Eschkol („Das Judentum in Geschichte und Gegenwart“), dessen Einzelbände ab Ende der 1920er und bis in die frühen 1930er Jahre erschienen, blieb ein Fragment. Es konnte nur bis zum Buchstaben „L“ geführt werden, ehe die politischen Verhältnisse in Deutschland eine Weiterarbeit, oder gar einen Abschluss, unmöglich machten. Als Chefredakteur der Encyclopaedia Judaica wird Dr. Jakob Klatzkin, als dessen Stellvertreter Prof. Dr. I(smar) Elbogen angegeben. Die Autorin des Goethe-Eintrags war Bertha Badt-Strauss.

    Bertha Badt-Strauss im Internet:

    http://buecher.hagalil.com/campus/steer.htm

    http://jwa.org/encyclopedia/article/badt-strauss-bertha

    http://de.wikipedia.org/wiki/Bertha_Badt-Strauss

    http://fr.wikipedia.org/wiki/Bertha_Badt-Strauss

    http://www.querelles-net.de/index.php/qn/article/viewArticle/399/407

    http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/judaica/ejud_0002_0003_0_01858.html

    http://www.google.de/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=3&ved=0CDsQFjAC&url=http%3A%2F%2Fwww.m

    http://www.google.de/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0CC0QFjAA&url=http%3A%2F%2Fbibli

    9) http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/judaica/ejud_0002_0007_0_07461.html

    10) Neue Deutsche Biographie, (Hg.) Historische Kommission bei der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Berlin 1964, Band 6, „Goethe. 3) Johann Wolfgang v.“

    11) Goethe. In: Biographisches Wörterbuch zur deutschen Geschichte, (Bearb.) Bosl, Karl; Franz, Günther u. Hofmann, Hanns Hubert, 3 Bde., 2. Aufl., München 1973 / 1975 und Augsburg 1995

    12) Emil Staiger, Johann Wolfgang von Goethe 1749-1832. In: Die grossen Deutschen – Deutsche Biographie, (Hg.) Hermann Heimpel, Theodor Heuss, Benno Greifenberg, Frankfurt a. M. 1956/1966/1983, Band 2.

    13) Dorothea Hölscher-Lohmeyer, Goethe. In: Deutsche Autoren – Vom Mittelalter bis zur Gegenwart, (Hg.) Walther Killy, Gütersloh und München 1994, Band 2.

    14) Mehr über Goethe und die katholische Kirche, siehe Karlheinz Deschner, Abermals krähte der Hahn – eine kritische Kirchengeschichte, (München) 1996, S. 678-682.

    #Allemagne #culture #histoire antisemitisme

  • « Le travail a remplacé la religion dans la Silicon Valley » - Numerama
    https://www.numerama.com/tech/1222956-le-travail-a-remplace-la-religion-dans-la-silicon-valley.html

    Si l’heure est à la grande démission dans beaucoup de secteurs professionnels aux États-Unis, les grandes firmes américaines de la Tech semblent en partie épargnées par ce mouvement. Mais comment expliquer l’attachement des travailleurs qualifiés à leurs entreprises dans la Silicon Valley ? Une sociologue américaine, Carolyn Chen, apporte une réponse : selon elle, le travail est devenu une religion pour les salariés des grandes firmes de la vallée.
    « Techtopie », c’est le terme que Carolyn Chen a imaginé pour qualifier le mode d’organisation qui semble prévaloir dans la baie de San Francisco, lieu de résidence des plus grandes firmes technologiques du monde telles qu’Apple, Facebook ou Google. La « Techtopie », est une société dans laquelle les travailleuses et travailleurs qualifiés se dévouent entièrement à leurs professions et à leurs entreprises, encouragés par leurs responsables, désormais prêts à prendre en charge leur bien-être spirituel pour accroître leur productivité. 

    Carolyn Chen est sociologue des religions, professeure à l’Université de Berkeley en Californie. Elle publie en 2022 un essai intitulé Work Pray Code : When Work Becomes Religion in Silicon Valley (Priceton University Press, 2022).

    #économie_de_la_connaissance #travail #religion #silicon_valley #management #culture_d'entreprise

  • ‘Luddite’ Teens Don’t Want Your Likes
    https://www.nytimes.com/2022/12/15/style/teens-social-media.html

    Dec. 15, 2022 - When the only thing better than a flip phone is no phone at all.

    “When I got my flip phone, things instantly changed,” a Luddite Club member said. “I started using my brain.”Credit...Scott Rossi for The New York Times

    On a brisk recent Sunday, a band of teenagers met on the steps of Central Library on Grand Army Plaza in Brooklyn to start the weekly meeting of the Luddite Club, a high school group that promotes a lifestyle of self-liberation from social media and technology. As the dozen teens headed into Prospect Park, they hid away their iPhones — or, in the case of the most devout members, their flip phones, which some had decorated with stickers and nail polish.

    They marched up a hill toward their usual spot, a dirt mound located far from the park’s crowds. Among them was Odille Zexter-Kaiser, a senior at Edward R. Murrow High School in Midwood, who trudged through leaves in Doc Martens and mismatched wool socks.

    “It’s a little frowned on if someone doesn’t show up,” Odille said. “We’re here every Sunday, rain or shine, even snow. We don’t keep in touch with each other, so you have to show up.”

    After the club members gathered logs to form a circle, they sat and withdrew into a bubble of serenity.

    Some drew in sketchbooks. Others painted with a watercolor kit. One of them closed their eyes to listen to the wind. Many read intently — the books in their satchels included Dostoevsky’s “Crime and Punishment,” Art Spiegelman’s “Maus II” and “The Consolation of Philosophy” by Boethius. The club members cite libertine writers like Hunter S. Thompson and Jack Kerouac as heroes, and they have a fondness for works condemning technology, like “Player Piano” by Kurt Vonnegut. Arthur, the bespectacled PBS aardvark, is their mascot.

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    Three teenagers sit in a woodsy portion of Prospect Park with their books. Two of them are reading and one is looking off into the distance.
    Clementine Karlin-Pustilnik, Odille Zexter-Kaiser and Jameson Butler at a recent gathering of the Luddite Club in Prospect Park in Brooklyn.

    “Lots of us have read this book called ‘Into the Wild,’” said Lola Shub, a senior at Essex Street Academy, referring to Jon Krakauer’s 1996 nonfiction book about the nomad Chris McCandless, who died while trying to live off the land in the Alaskan wilderness. “We’ve all got this theory that we’re not just meant to be confined to buildings and work. And that guy was experiencing life. Real life. Social media and phones are not real life.”

    “When I got my flip phone, things instantly changed,” Lola continued. “I started using my brain. It made me observe myself as a person. I’ve been trying to write a book, too. It’s like 12 pages now.”

    Briefly, the club members discussed how the spreading of their Luddite gospel was going. Founded last year by another Murrow High School student, Logan Lane, the club is named after Ned Ludd, the folkloric 18th-century English textile worker who supposedly smashed up a mechanized loom, inspiring others to take up his name and riot against industrialization.

    “I just held the first successful Luddite meeting at Beacon,” said Biruk Watling, a senior at Beacon High School in Manhattan, who uses a green-painted flip phone with a picture of a Fugees-era Lauryn Hill pasted to it.

    “I hear there’s talk of it spreading at Brooklyn Tech,” someone else said.

    A few members took a moment to extol the benefits of going Luddite.

    Jameson Butler, a student in a Black Flag T-shirt who was carving a piece of wood with a pocketknife, explained: “I’ve weeded out who I want to be friends with. Now it takes work for me to maintain friendships. Some reached out when I got off the iPhone and said, ‘I don’t like texting with you anymore because your texts are green.’ That told me a lot.”

    Vee De La Cruz, who had a copy of “The Souls of Black Folk” by W.E.B. Du Bois, said: “You post something on social media, you don’t get enough likes, then you don’t feel good about yourself. That shouldn’t have to happen to anyone. Being in this club reminds me we’re all living on a floating rock and that it’s all going to be OK.”

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    The Luddite Club has been gathering once a week in Prospect Park. “It’s a little frowned on if someone doesn’t show up,” one member said.

    A few days before the gathering, after the 3 p.m. dismissal at Murrow High School, a flood of students emerged from the building onto the street. Many of them were staring at their smartphones, but not Logan, the 17-year-old founder of the Luddite Club.

    Down the block from the school, she sat for an interview at a Chock full o’Nuts coffee shop. She wore a baggy corduroy jacket and quilted jeans that she had stitched herself using a Singer sewing machine.

    “We have trouble recruiting members,” she said, “but we don’t really mind it. All of us have bonded over this unique cause. To be in the Luddite Club, there’s a level of being a misfit to it.” She added: “But I wasn’t always a Luddite, of course.”

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    Logan Lane, the club’s founder, in her room. The movement she started at Murrow High School in Brooklyn has spread to other New York schools.

    It all began during lockdown, she said, when her social media use took a troubling turn.

    “I became completely consumed,” she said. “I couldn’t not post a good picture if I had one. And I had this online personality of, ‘I don’t care,’ but I actually did. I was definitely still watching everything.”

    Eventually, too burned out to scroll past yet one more picture-perfect Instagram selfie, she deleted the app.

    “But that wasn’t enough,” she said. “So I put my phone in a box.”

    For the first time, she experienced life in the city as a teenager without an iPhone. She borrowed novels from the library and read them alone in the park. She started admiring graffiti when she rode the subway, then fell in with some teens who taught her how to spray-paint in a freight train yard in Queens. And she began waking up without an alarm clock at 7 a.m., no longer falling asleep to the glow of her phone at midnight. Once, as she later wrote in a text titled the “Luddite Manifesto,” she fantasized about tossing her iPhone into the Gowanus Canal.

    While Logan’s parents appreciated her metamorphosis, particularly that she was regularly coming home for dinner to recount her wanderings, they grew distressed that they couldn’t check in on their daughter on a Friday night. And after she conveniently lost the smartphone they had asked her to take to Paris for a summer abroad program, they were distraught. Eventually, they insisted that she at least start carrying a flip phone.

    “I still long to have no phone at all,” she said. “My parents are so addicted. My mom got on Twitter, and I’ve seen it tear her apart. But I guess I also like it, because I get to feel a little superior to them.”

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    Odille, Clementine, Jameson, Logan and Max Frackman on the way to their weekly meeting.

    At an all-ages punk show, she met a teen with a flip phone, and they bonded over their worldview. “She was just a freshman, and I couldn’t believe how well read she was,” Logan said. “We walked in the park with apple cider and doughnuts and shared our Luddite experiences. That was the first meeting of the Luddite Club.” This early compatriot, Jameson Butler, remains a member.

    When school was back in session, Logan began preaching her evangel in the fluorescent-lit halls of Murrow. First she convinced Odille to go Luddite. Then Max. Then Clem. She hung homemade posters recounting the tale of Ned Ludd onto corridors and classroom walls.

    At a club fair, her enlistment table remained quiet all day, but little by little the group began to grow. Today, the club has about 25 members, and the Murrow branch convenes at the school each Tuesday. It welcomes students who have yet to give up their iPhones, offering them the challenge of ignoring their devices for the hourlong meeting (lest they draw scowls from the die-hards). At the Sunday park gatherings, Luddites often set up hammocks to read in when the weather is nice.

    As Logan recounted the club’s origin story over an almond croissant at the coffee shop, a new member, Julian, stopped in. Although he hadn’t yet made the switch to a flip phone, he said he was already benefiting from the group’s message. Then he ribbed Logan regarding a criticism one student had made about the club.

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    A poster for the Luddite Club in Logan Lane’s room featuring the club’s slogan “Don’t be a phoney.”

    “One kid said it’s classist,” he said. “I think the club’s nice, because I get a break from my phone, but I get their point. Some of us need technology to be included in society. Some of us need a phone.”

    “We get backlash,” Logan replied. “The argument I’ve heard is we’re a bunch of rich kids and expecting everyone to drop their phones is privileged.”

    After Julian left, Logan admitted that she had wrestled with the matter and that the topic had spurred some heated debate among club members.

    “I was really discouraged when I heard the classist thing and almost ready to say goodbye to the club,” she said. “I talked to my adviser, though, and he told me most revolutions actually start with people from industrious backgrounds, like Che Guevara. We’re not expecting everyone to have a flip phone. We just see a problem with mental health and screen use.”

    Logan needed to get home to meet with a tutor, so she headed to the subway. With the end of her senior year in sight, and the pressures of adulthood looming, she has also pondered what leaving high school might mean for her Luddite ways.

    “If now is the only time I get do this in my life, then I’m going to make it count,” she said. “But I really hope it won’t end.”

    On a leafy street in Cobble Hill, she stepped into her family’s townhouse, where she was greeted by a goldendoodle named Phoebe, and she rushed upstairs to her room. The décor reflected her interests: There were stacks of books, graffitied walls and, in addition to the sewing machine, a manual Royal typewriter and a Sony cassette player.

    In the living room downstairs, her father, Seth Lane, an executive who works in I.T., sat beside a fireplace and offered thoughts on his daughter’s journey.

    “I’m proud of her and what the club represents,” he said. “But there’s also the parent part of it, and we don’t know where our kid is. You follow your kids now. You track them. It’s a little Orwellian, I guess, but we’re the helicopter parent generation. So when she got rid of the iPhone, that presented a problem for us, initially.”

    He’d heard about the Luddite Club’s hand-wringing over questions of privilege.

    “Well, it’s classist to make people need to have smartphones, too, right?” Mr. Lane said. “I think it’s a great conversation they’re having. There’s no right answer.”

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    “To be in the Luddite Club, there’s a level of being a misfit to it,” Logan said .

    A couple days later, as the Sunday meeting of the Luddite Club was coming to an end in Prospect Park, a few of the teens put away their sketchbooks and dog-eared paperbacks while others stomped out a tiny fire they had lit. It was the 17th birthday of Clementine Karlin-Pustilnik and, to celebrate, the club wanted to take her for dinner at a Thai restaurant on Fort Hamilton Parkway.

    Night was falling on the park as the teens walked in the cold and traded high school gossip. But a note of tension seemed to form in the air when the topic of college admissions came up. The club members exchanged updates about the schools they had applied to across the country. Odille reported getting into the State University of New York at Purchase.

    “You could totally start a Luddite Club there, I bet,” said Elena Scherer, a Murrow senior.

    Taking a shortcut, they headed down a lonely path that had no park lamps. Their talk livened when they discussed the poetry of Lewis Carroll, the piano compositions of Ravel and the evils of TikTok. Elena pointed at the night sky.

    “Look,” she said. “That’s a waxing gibbous. That means it’s going to get bigger.”

    As they marched through the dark, the only light glowing on their faces was that of the moon.

    Images by Scott Rossi for The New York Times

    #USA #New_York #jeunesse #culture #techno-scepticisme

  • »Die H. Kori GmbH. Eine Berliner Ofenbaufirma und der nationalsozialistische Massenmord«
    https://www.weihnachteninberlin.de/tickets/bildung-vortraege/die-h-kori-gmbh-eine-berliner-ofenbaufirma-und-der-nationalsozia

    Buchvorstellung mit Podiumsdiskussion und anschließendem Gespräch

    Donnerstag, 15. Dezember 2022, 18:00 Uhr bis 21:00 Uhr, Urania Berlin, Saal Edison, 2. Etage, An der Urania, 10787 Berlin

    Die Schöneberger Firma H. Kori in der Dennewitzstraße 35 war einer der wichtigsten Produzenten von Leichenverbrennungsöfen für nationalsozialistische »Euthanasie«-Anstalten sowie für zahlreiche Konzentrations- und Vernichtungslager. Die Publikation fasst die Forschungen zur Geschichte der Ofenbaufirma erstmals zusammen und versteht sich als Impuls für eine Diskussion über mögliche Erinnerungsformen.

    Begrüßung durch Tobias Dollase, Bezirksstadtrat für Schule, Sport, Weiterbildung und Kultur, Tempelhof-Schöneberg

    Impulsvortrag von PD Dr. Annegret Schüle, Oberkuratorin am Erinnerungsort „Topf & Söhne – Die Ofenbauer von Auschwitz“ und Herausgeberin der Publikation

    Weitere Podiumsgäste
    Dr. Irene von Götz, Leiterin der Museen Tempelhof-Schöneberg
    Dr. Gerd Kühling, Wissenschaftlicher Mitarbeiter der Gedenkstätte Deutscher Widerstand
    Barbara Schulz, Büro für Zeitgeschichte und Denkmalpflege, Berlin
    Susanne Zielinski, Leiterin Recherche- und Informationsstelle Antisemitismus (RIAS) Thüringen

    Moderation: Dr. Christoph Kreutzmüller, Vorstandsvorsitzender Aktives Museum Faschismus und Widerstand in Berlin e.V.

    https://de.m.wikipedia.org/wiki/Kori_(Unternehmen)

    https://www.berlin.de/ba-tempelhof-schoeneberg/aktuelles/pressemitteilungen/2022/pressemitteilung.1268438.php

    https://www.berliner-woche.de/schoeneberg/c-kultur/erste-forschungsergebnisse-zur-rolle-der-ofenbauerfirma-kori-in-der-n

    https://gleisdreieck-blog.de/2011/02/01/kori-gmbh-wie-sie-wissen-sind-wir-eine-spezialfirma

    #Berlin #Schöneberg #An_der_Urania #événement #culture #histoire

  • Schmidt, Honecker und das „Bratwurst-Drama“ auf dem Weihnachtsmarkt
    https://www.berliner-zeitung.de/mensch-metropole/schmidt-honecker-und-das-bratwurst-drama-im-wiedervereinten-weihnac

    Und „Internationale Spezialitäten“. Bei genauerem Hinsehen werden hier allerdings nur Produkte aus Russland angeboten: Pelmeni, Warenki, Kaviar, Wodka. „Na ja, Osteuropa“, sagt der Verkäufer, während er über die Kasse gebeugt nach dem Wechselgeld kramt, und als er aufblickt: „Wir wollen keine Politik, wir wollen Ruhe.“ Er lächelt undefinierbar freundlich. Früher stand „Russische Spezialitäten“ über seiner Bude.

    #Allemagne #culture #politique #guerre

  • Petite enfance
    Assistants maternels : la consultation du fichier des auteurs d’infractions sexuelles ou violentes est supprimée

    Publié le 29/11/2022 • Par Léna Jabre • dans : Textes officiels santé social, TO parus au JO

    https://www.lagazettedescommunes.com/838381/assistants-maternels-la-consultation-du-fichier-des-auteurs-di

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    Un arrêté du 10 novembre supprime les modalités de consultation du fichier judiciaire automatisé des auteurs d’infractions sexuelles ou violentes lors de l’agrément des assistants maternels.

    Donc pour toute demande d’agrément, le dossier d’agrément n’a plus besoin de comprendre une attestation de non-inscription au fichier judiciaire automatisé des auteurs d’infractions sexuelles ou violentes.

    De même, le dossier d’agrément n’a plus à comprendre non plus une attestation, délivrée par le casier judiciaire national sur demande du président du conseil départemental, de non-inscription au fichier judiciaire automatisé des auteurs d’infractions sexuelles ou violentes pour chaque personne majeure ou mineure âgée d’au moins treize ans vivant au domicile du demandeur, lorsque ce domicile est le lieu d’exercice de sa profession, à l’exception de celles accueillies en application d’une mesure d’aide sociale à l’enfance.

    Ces suppressions sont applicables à compter du 13 juillet 2022.

    #violences_sexuelles #pedocriminalité #violophilie #culture_du_viol

    • Il semblerait que cette info soit fausse et causé par une mauvaise interpretation d’une modification du texte de loi qui n’annule pas la consultation du fichier. Je l’ai appris via un compte insta qui rapport un poste twiter. Je mettrais la source plus tard si je la trouve

    • sous le même lien et sans que soit indiquée la date de modification de l’article, son titre et son texte ont été totalement modifiés

      Assistants maternels : modification des modalités de constitution du dossier d’agrément

      Un arrêté du 10 novembre modifie les conditions de consultation du fichier judiciaire automatisé des auteurs d’infractions sexuelles ou violentes lors de l’agrément des assistants maternels.

      Dans la version initiale du 13 juillet, la rédaction de l’article 4 pouvait donner à croire que le président du conseil départemental était en mesure de solliciter la non inscription au fichier judiciaire automatisé des auteurs d’infractions sexuelles alors que seul le préfet en a le pouvoir.

      Dans l’attente d’un nouvel arrêté, c’est l’article L421-3 du code de l’action sociale et des familles, issu de la loi du 7 février 2022 qui s’applique.

    • Grande naïve, j’apprends avec surprise qu’un être humain, préfet ou qu’importe, a le pouvoir délirant de

      … solliciter la non inscription au fichier judiciaire automatisé des auteurs d’infractions sexuelles

      Et du coup, j’aimerais bien savoir, à quelle occasion ça peut se produire, et si cette information est tenue secrète ou pas. (que le préfet couvre les viols de ses potes par exemple et que personne ne puisse le savoir)

    • La réécriture de l’article n’est malheureusement pas meilleure que la première mouture.
      @touti je crois qu’il faut comprendre que seul le préfet est habilité à exiger la production d’une attestation de non inscription.
      Parce que ce qui est écrit... je ne peux tout simplement l’envisager.

    • Je ne sais pas si ça joue, mais le FNAEG, (Fichier National des Empreintes Génétiques) a été créé au départ pour y recenser l’ADN des délinquants sexuels. Puis le FNAEG a miraculeusement été élargi aux militants politiques et n’importe quelle petite voleuse de gouda, mineure ou pas, mise en garde à vue. Mais il me semble qu’en est toujours exclus les délinquants financiers.

      Bref, en plusieurs années, on a vu augmenter les stratégies politicos lesgilatives pour décourager toute opposition au vote de lois iniques, quand ce n’est pas des applications par décret. Notamment ont été pris dans ce merdier, les opposants au flicage / fichage et injustices collatérales. Quelles stratégies ? par exemple, augmenter la diversité des thèmes des articles de proposition de lois, et en faire une grosse bouillie complexe dans laquelle personne ne peut suivre l’ensemble et doit s’attacher à un seul article. La conséquences est qu’il suffit ensuite de retirer une phrase, au mieux un article pour que la loi passe entrainant avec elle des conséquences sur d’autres sujets non débattus ou passer entre les mailles du filet des militants associatifs (bénévoles et pas toujours avec l’envie de devenir juriste). Et donc, je me demande si à force, le législateur et ses affiliés ne se sont pas pris les pieds dans ce petit jeu.