• La detenzione dei migranti per conto terzi in Bosnia ed Erzegovina

    Il piano del governo del Regno Unito di realizzare nei Balcani degli hub di rimpatrio dei richiedenti asilo che hanno visto respinta la propria domanda di protezione ha sollevato anche le critiche di Human rights watch. “L’esternalizzazione delle responsabilità pone le persone migranti e richiedenti asilo in una situazione di grave rischio”, spiega Michael Garcia Bochenek, consulente della divisione dei diritti dell’infanzia dell’organizzazione

    Nel marzo di quest’anno il governo del Regno Unito ha proposto di istituire in Bosnia ed Erzegovina -oltre che in Serbia, Albania e Macedonia del Nord- un centro per il rimpatrio in cui detenere i richiedenti asilo che hanno visto respinta la propria domanda di protezione in territorio britannico.

    Secondo il piano avanzato dalla ministra dell’Interno #Yvette_Cooper, le persone verrebbero inviate in queste strutture in attesa di essere rimpatriate nei loro Paesi di origine o in altri Paesi terzi. La proposta del Regno Unito si allinea alla visione della Commissione europea, che vorrebbe introdurre un Sistema europeo comune di rimpatrio con la possibilità, tra le altre cose, “di rimpatriare in un Paese terzo persone il cui soggiorno nell’Ue è irregolare che sono destinatarie di una decisione definitiva di rimpatrio”.

    Facendo riferimento ai Balcani a prendere posizione contro questo progetto è anche Human rights watch (Hrw), che ad aprile ha trascorso due settimane proprio in Bosnia per indagare la condizione delle persone migranti e richiedenti asilo.

    Secondo Michael Garcia Bochenek, consulente senior della divisione dei diritti dell’infanzia dell’organizzazione, “è una pessima strategia, anche solo considerando che si tratta di un Paese che già fatica a gestire il fenomeno migratorio già presente sul suo territorio”. Bochenek ha partecipato all’ispezione del centro di detenzione di Lukavica, nei pressi della capitale Sarajevo, rilevando “ritardi nell’esecuzione dei rimpatri dei richiedenti asilo respinti, oltre a coloro detenuti per motivi di sicurezza nazionale o penali, che in alcuni casi portano a reclusioni prolungate, fino a un massimo di 18 mesi”.

    Inoltre in occasione del monitoraggio i membri di Hrw non hanno potuto parlare in privato con le persone detenute a causa della presenza costante del personale della struttura. Tuttavia, spiega Bochenek ad Altreconomia, “Vaša Prava BiH -organizzazione bosniaca che ha il mandato di fornire consulenza legale gratuita alle persone trattenute- ha registrato diverse denunce da parte dei detenuti circa le condizioni di vita all’interno della struttura detentiva”.

    L’organizzazione che si occupa di diritti civili in Bosnia ed Erzegovina ha riferito che il servizio per gli Affari stranieri è solito non comunicare i dettagli delle accuse né ai detenuti né ai loro avvocati, soprattutto nei casi che riguardano minacce alla sicurezza nazionale. “Nel centro poi non sono previsti nemmeno servizi di supporto psicologico per le persone che presentano problematiche di salute mentale”, aggiunge Bochenek. Secondo quanto riportato da Hrw, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) in Bosnia avrebbe esplicitato le proprie preoccupazioni circa la trasparenza e la responsabilità nei centri di detenzione presso l’ufficio del Difensore civico del Paese, sollecitandolo a produrre un rapporto ufficiale sulle loro condizioni. Ad oggi però non è stata ancora pubblicata alcuna indagine.

    Volgendo poi l’attenzione al sistema di asilo della Bosnia ed Erzegovina nel suo complesso, il consulente senior di Human Rights Watch denuncia “l’assenza di un’adeguata protezione dei richiedenti asilo, tempi lunghissimi per lo svolgimento delle procedure, accesso limitato alla consulenza legale e preoccupazioni per le condizioni e l’accesso ai servizi”. Secondo i dati del ministero della Sicurezza del Paese, nel 2023 -ultimo anno per cui sono stati resi disponibili dati completi- la Bosnia ha registrato appena 147 domande di asilo. Di queste, solo quattro persone hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato e 63 la protezione sussidiaria.

    Nel report del dicembre 2024 dedicato alla Bosnia ed Erzegovina, l’Unhcr ha rilevato poi che i tempi per l’esame della richiesta di protezione sono estremamente lunghi: sebbene la legge preveda la valutazione delle domande entro sei mesi, infatti, spesso ne trascorrono altrettanti solo per la prima audizione e fino a 344 giorni per la notifica della decisione. Bochenek precisa che “in questo lasso di tempo, i richiedenti asilo sono essenzialmente privi di diritti e possono legalmente cercare lavoro solo dopo nove mesi dalla registrazione”.

    Va detto poi che per le persone in cerca di protezione la Bosnia resta principalmente un Paese di transito verso l’Unione europea. Nel 2023 oltre quattromila cittadini di Paesi terzi sono stati riammessi in Bosnia dagli Stati membri dell’Ue in base ad accordi di riammissione. A loro volta, sulla base di questi accordi, le autorità bosniache hanno trasferito 298 persone, principalmente verso la Serbia. Sono stati invece 683 i provvedimenti di detenzione e 79 quelli di espulsione. A questo proposito però Bochenek puntualizza che “a causa della formulazione vaga del rapporto annuale sulle migrazioni del ministero della Sicurezza, non è chiaro quante di queste decisioni siano state effettivamente eseguite”. È bene ricordare, come fa il rappresentante di Hrw, che “la mancanza di accesso alla protezione e i rischi di una detenzione prolungata senza adeguate garanzie di tutela portano molti cittadini di Paesi terzi riammessi in Bosnia a tentare di varcare nuovamente i confini dell’Unione europea, principalmente attraverso la Croazia”.

    Di fronte a questa realtà fatta di ritardi nelle procedure, accesso limitato all’assistenza legale e gravi carenze circa le condizioni e l’accesso ai servizi delle persone migranti, Human rights watch non ha dubbi sui percorsi che Ue e Regno Unito dovrebbero intraprendere in collaborazione con la Bosnia ed Erzegovina e gli altri Paesi della regione. “Bisognerebbe smettere di puntare sull’esternalizzazione delle frontiere e ora anche dei rimpatri -conclude Michael Garcia Bochenek-. I partner internazionali dovrebbero dare il loro contributo per rafforzare i sistemi di protezione per richiedenti asilo e migranti in Bosnia e non solo. Cambiare strada è ancora possibile, si tratta ‛solo’ di una questione di volontà politica”.

    https://altreconomia.it/la-detenzione-dei-migranti-per-conto-terzi-in-bosnia-ed-erzegovina
    #Bosnie-Herzégovine #migrations #réfugiés #détention #route_des_Balkans #Balkans #externalisation #UK #Angleterre #Serbie #Macédoine_du_Nord #Albanie #renvois #expulsions #hubs #hub_d'expulsion #déboutés #Lukavica

  • Language battle over ’deportation’ shines light on EU spin

    The European Commission won’t use the word “deportation” to describe kicking out failed asylum seekers and rejected migrants from the European Union.

    It is a word loaded with historical horrors of World War II, where Nazi Germany deported millions of Jews to extermination camps in eastern Europe.

    The ensuing genocide of millions have left inedible scars and soul-searching for a European leadership that has since promised never to repeat history. It also has its antecedents in Stalinist deportations.

    So whenever the word comes up to help describe an EU policy, the European Commission will insist on using terminology such as “returns”, “voluntary returns”, “forced returns” or even transfers.

    The euphemisms are meant to neutralise the negative connotations, including “voluntary returns”.

    Yet one European Commission official, at a background briefing in March, still managed to frame even “voluntary returns” as a threat.

    “One way of incentivising voluntary return is the clarity of what happens if you think that you can play the system,” he said.

    “It also can concentrate the mind and stimulate a very serious discussion and choices around voluntary return,” he added.

    In public, the phrase seeks to distance the commission from the likely human rights abuses that sometimes arise when coercion is used to remove people — even if only psychological.

    When it comes to the word “deportation”, the commission also argues it is not legally defined at the EU level.

    “While deportation and removal often are understood as synonyms, deportation is not used as a legal term in all EU member states,” it says.

    Earlier this week, journalists in Brussels attending a technical briefing on asylum organised by the commission were reminded once again not to say deportation.
    Please ’refrain’

    “I would refrain from using the word deported,” said a commission official.

    The request came when pressed on how its latest proposal would allow member states to turn back asylum seeker hopefuls and possibly send them abroad to a country they have never been to.

    Historical and legal spin aside, however, the word deportation remains an appropriate description of what is happening.

    Former migration commissioner, Ylva Johansson, herself used the word after the New York Times revealed that Greece had deported a Frontex interpreter to Turkey.

    “He’s [Frontex interpreter] been humiliated and victim of violence and robbed and deported to a third country he has no relation to,” she said in December 2021.

    “[It] seems to be clear deportation and this is not the first time that we had this situation,” she again said of the Frontex interpreter, in June 2023 while addressing the European Parliament’s civil liberties committee.

    The interpreter was a victim of a pushback, a form of deportation that is a reality along much of the EU’s external border.

    But the commission, for all its careful posturing, does not now get to decide why “deported” is a word that cannot be used to describe policies that rights defenders say are cruel and inhumane.

    Its latest iteration opens up the possibility for an asylum hopeful to be deported to a third country he has no relation to, echoing the phrase used by its own former commissioner.

    Catherine Woollard, director at the Brussels-based European Council of Refugees and Exiles, was more direct.

    “More people will be deported to countries that are not safe in reality,” she said, in an op-ed.

    https://euobserver.com/migration/ar6eb0b0bd
    #langage #mots #vocabulaire #euphémisation #déportations #renvois #expulsions #sans-papiers #déboutés #migrations #réfugiés #retours_volontaires #retours_forcés

    ping @karine4

  • Le Royaume-Uni envisage des « centres de retour » pour migrants hors de ses frontières

    En déplacement en #Albanie, le Premier ministre britannique #Keir_Starmer a évoqué avoir entamé des discussions pour créer, hors du Royaume-Uni, des « centres de retour » pour les demandeurs d’asile déboutés. Depuis son arrivée au pouvoir en juillet 2024, le gouvernement travailliste multiplie les annonces visant à lutter contre l’immigration irrégulière.

    Quelques jours après avoir annoncé un nouveau tour de vis contre l’immigration légale, le Premier ministre britannique a annoncé jeudi 15 mai avoir entamé des discussions pour la mise en place hors du Royaume-Uni de « centres de retour » pour les demandeurs d’asile déboutés.

    « Nous sommes en discussions avec un certain nombre de pays à propos de centres de retour, je les considère comme une innovation vraiment importante », a déclaré Keir Starmer en déplacement à Tirana, lors d’une conférence de presse avec son homologue albanais Edi Rama.

    Il n’a toutefois pas donné de détails sur la façon dont ces « hubs » fonctionneraient ni avec quels pays ces pourparlers étaient menés. Il a simplement précisé vouloir rendre plus efficaces les expulsions des personnes n’ayant pas le droit de rester dans le pays. « Cela s’appliquera essentiellement aux personnes qui ont épuisé toutes les voies légales pour rester au Royaume-Uni », a précisé un porte-parole de Keir Starmer.

    De son côté, le Premier ministre albanais a déclaré que son pays n’avait pas vocation à accueillir un « centre de retour » britannique. L’Albanie accueille déjà deux centres de rétention italiens dans son pays, gérés par Rome, pour des migrants en situation irrégulière.

    « C’est un modèle qui demande du temps pour être testé. S’il fonctionne, [il) pourra être repris, non en Albanie, mais dans les autres pays de la région », a ajouté Edi Rama alors que ces structures sont quasiment vides suite à de nombreux revers judiciaires en Italie depuis leur ouverture.

    Un « modèle » pour toute l’Europe

    Avec ces déclarations, le Premier ministre ouvre la voie à une politique similaire à celle avancée par l’Union européenne (UE). Le 11 mars dernier, la Commission européenne a présenté des mesures pour accélérer les expulsions de migrants en situation irrégulière sur le Vieux continent. Et parmi elles figuraient celle d’offrir un cadre légal à la création de « hubs de retour » en dehors de ses frontières. Une proposition réclamée avec force par certains États membres.

    Ces « centres de retours » sont très critiqués par les ONG, qui redoutent de les voir se transformer en zones de non-droit, et soulèvent de nombreuses questions. L’exemple italien montre d’ailleurs qu’il s’agit d’un système difficile à mettre en place.

    Ce projet d’externalisation du traitement de l’immigration dans un pays tiers, présenté comme un « modèle » pour toute l’Europe, par Giorgia Meloni affiche aujourd’hui un bilan plus que mitigé. Seulement une quarantaine de personnes ont été envoyées dans les centres albanais pour l’instant pour un coût de « plusieurs centaines de millions d’euros », avait dénoncé l’opposition italienne.

    Pour Enver Salomon, directeur général du Refugee Council, une ONG d’aide aux réfugiés, ces « centres de retour » sont « inhumains » et « impraticables ». Le renvoi de personnes qui n’ont pas le droit de rester au Royaume-Uni doit se faire de manière « ordonnée et humaine » pour être efficace, a-t-il ajouté.
    Durcissement de la politique migratoire

    Londres avait également tenté d’externaliser le traitement des demandes d’asile en envoyant les migrants arrivés illégalement, notamment par « small boats », vers le Rwanda. Un projet de l’ancien gouvernement de Rishi Sunak, abandonné par Keir Starmer à son arrivée au pouvoir en juillet 2024.

    Le Premier ministre s’est toutefois engagé à réduire l’immigration - régulière comme irrégulière - dans le pays. Lundi, il a annoncé de nouvelles mesures pour réduire l’immigration légale, notamment en restreignant les conditions d’accès à la nationalité et en empêchant le recrutement à l’étranger pour le secteur des soins aux personnes âgées.

    Il s’est aussi engagé à combattre les réseaux de passeurs et l’immigration irrégulière. Malgré toutes ces annonces, les chiffres d’arrivées de migrants traversant la Manche sur de petits bateaux ne cessent d’augmenter. Quelque 36 800 migrants ont atteint l’Angleterre l’an dernier et près de 13 000 depuis janvier, plus que l’an dernier sur la même période. Les demandes d’asile, elles, ont triplé au Royaume-Uni ces dernières années avec 84 200 en 2024, contre une moyenne de 27 500 entre 2011 et 2020, selon les chiffres officiels.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/64600/le-royaumeuni-envisage-des-centres-de-retour-pour-migrants-hors-de-ses
    #hubs_de_retour #centres_de_retour #UK #Angleterre #migrations #déboutés #asile #réfugiés #hubs

    ajouté à ce fil de discussion :
    The Brief – Solidarity replaced by calls for tougher measures in EU migration debate
    https://seenthis.net/messages/1077010

  • La #circulaire_Retailleau vient briser les espoirs de #régularisation des #sans-papiers

    Adressées aux préfets le 23 janvier, de nouvelles consignes imposent des critères très contraignants aux personnes qui espèrent obtenir un droit au séjour en France. L’étau se resserre contre les immigrés, dans un contexte politique de plus en plus hostile.

    « Retailleau fait ça pour décourager les gens. » Sur la place de la République à Paris, le 4 avril, la voix de Mariama Sidibé est contrariée. C’est là que se retrouvent les membres de la Coordination des sans-papiers de Paris (CSP 75) depuis tant d’années pour revendiquer leurs droits. Des pancartes à la main, ils et elles s’élancent chaque vendredi après-midi vers un lieu différent, encadrés par la police et tantôt applaudis par les passant·es, tantôt maudit·es par les automobilistes.

    Aux côtés de Mariama, une septuagénaire se plaint de devoir travailler alors que son corps est usé. « Je suis restée sans-papiers vingt ans. » Elle n’aime pas raconter son histoire. « Trop dur », dit-elle. « Les gens meurent noyés pour venir ici. Ils ne savent pas la souffrance qu’on connaît. » Régularisée trois ans plus tôt – « un vrai soulagement » –, elle a travaillé le plus gros de sa vie sans pouvoir cotiser à la retraite, faute de titre de séjour.

    Originaire de Côte d’Ivoire, une autre membre du collectif n’en mène pas large à l’écoute des nouveaux critères de régularisation imposés par le ministre de l’intérieur, #Bruno_Retailleau, dans sa #circulaire adressée aux préfets et préfètes le 23 janvier, par laquelle il entend rendre l’#admission_exceptionnelle_au_séjour (#AES dans le jargon) encore plus « exceptionnelle ». « Ne jamais avoir eu d’#OQTF, c’est impossible. » Aide-soignante, elle en a fait l’objet, en 2021, après avoir été déboutée du droit d’asile.

    Installée en France depuis six ans, il lui faudrait attendre encore un an pour pouvoir déposer une demande de régularisation – la nouvelle circulaire impose une présence de sept ans en France, contre cinq ans auparavant, voire trois selon les cas. Mais avec l’OQTF dont elle a fait l’objet, le doute persiste.

    « Il y a plusieurs points imprécis, et donc laissés à la libre interprétation des préfets », souligne Joëlle, fervent soutien de la CSP 75. Pour les OQTF, « on ne sait pas s’il faut ne jamais en avoir eu, ou n’avoir aucune OQTF en cours ». Depuis la loi Darmanin, celles-ci ont une durée de vie de trois ans.
    Les portes se referment

    « On pensait avoir touché le fond au moment de cette loi, réagit Anzoumane Sissoko, mais là c’est pire encore. » Avec ces nouveaux critères, estime cet élu du XVIIIe arrondissement, lui-même ancien sans-papiers, « ils rendent la régularisation quasiment impossible ». Et même si certain·es cochent toutes les cases, « ils ne trouveront pas de rendez-vous en préfecture » du fait de la dématérialisation des démarches et des dysfonctionnements associés.

    Au milieu des manifestant·es, Yoro, l’un des porte-parole de la CSP 75, avance, un sweat-shirt blanc sur le dos. Il présente ses excuses pour son retard : « Je devais m’occuper du dossier d’un collègue », pour qui la situation se complique. Celui-ci avait pourtant obtenu un récépissé de six mois en 2024 grâce à la CSP 75, après des années de travail.

    « On a envoyé plusieurs fois le Cerfa et la promesse d’embauche de l’employeur, mais la préfecture a prétendu qu’elle n’avait rien reçu. » Le jeune homme s’est alors vu délivrer une OQTF, depuis suspendue grâce aux efforts de Yoro. Le concerné reste sceptique. « On verra », susurre-t-il, las des faux espoirs.

    Un autre cas vient illustrer ce tournant : « Un monsieur qui ne connaissait pas le collectif a déposé sa demande seul, en mars », rapporte Yoro. Avec huit années de présence en France, des fiches de paie et l’absence d’OQTF, l’homme pensait avoir toutes ses chances. « Il rentrait dans la circulaire Retailleau, mais il a eu un refus et une OQTF. » Il ajoute : « Tout est bloqué depuis Retailleau. »

    Fin janvier, la CSP 75 a reçu un mail de la préfecture l’informant qu’une nouvelle circulaire était passée et que les demandes collectives ne seraient plus acceptées, alors qu’elle parvenait à déposer régulièrement quatre voire cinq dossiers au nom du groupe. Jusqu’ici, aucun préfet ou ministre n’avait osé toucher à la relation privilégiée nouée avec ce collectif – obtenue grâce à une mobilisation continue.

    « Comment vont faire tous ceux qui ne maîtrisent ni le français ni les démarches ? », interroge Yoro. Pour Anzoumane Sissoko, le ministre de l’intérieur « met fin à tout ce qui a été construit depuis des décennies, alors que beaucoup disent [que celles et ceux qui soutiennent les sans-papiers font] un travail de service public ». L’élu invoque les milliers de personnes « sorties de la clandestinité », qui ont enfin pu obtenir des droits.

    Dans l’un des centres d’accueil pour étrangers et étrangères de la préfecture de Paris, où Mediapart a pu se rendre en avril et où il y a encore quelques mois, des sans-papiers affluaient pour demander leur régularisation, les demandes AES ne sont tout bonnement plus traitées. Sur ordre « venu d’en haut », priorité est désormais donnée aux personnes en situation régulière, surtout salariées, venant pour un renouvellement de titre de séjour, nous confie-t-on.

    Dans les Yvelines, un agent travaillant en préfecture explique que « tous les dossiers AES motif “travail” sont en stand-by ou proposés au refus ». « Ça se referme complètement, constate l’avocat Laurent Charles, spécialisé en droit des personnes étrangères. Il y a énormément d’OQTF, et très peu de rendez-vous pour l’AES. » Dans le Val-de-Marne, des sans-papiers de Chronopost ont reçu des OQTF juste après l’évacuation de leur piquet de grève, alors qu’ils attendaient une régularisation depuis trois ans.

    En Seine-Saint-Denis, et même à Paris, poursuit-il, « ils ont eu pour consigne de ne plus délivrer de rendez-vous, ou alors très peu ». À Nanterre aussi (préfecture des Hauts-de-Seine), « on sait qu’ils arrêtent de donner des rendez-vous, sauf cas exceptionnel », ajoute l’avocat. Désormais, la régularisation ne doit être envisagée que pour les métiers en tension (loi Darmanin), dont la liste définitive n’a pas encore été dévoilée.
    La question des demandes en cours

    « C’est une catastrophe », tranche Me Delphine Martin, également avocate en droit des étrangers et étrangères. Sur trois pages qui ne disent « pas grand-chose », la circulaire Retailleau vient « abroger la circulaire Valls » qui, malgré des défauts, offrait la possibilité d’une régularisation au titre du travail ou de la vie privée et familiale depuis 2012, avec des critères précis. Ces nouvelles consignes n’ont à ses yeux qu’un seul objectif : donner aux préfectures « la possibilité de rejeter massivement les demandes ».

    L’un de ses dossiers, déposé en janvier 2025, a été expédié « manu militari ». Un monsieur sénégalais ayant plus de cinq ans de présence en France, avec fiches de paie et promesse d’embauche, s’est ainsi vu délivrer un refus le 6 février ; quand, en temps normal, il faut attendre un an et demi, voire deux ans pour obtenir une réponse. « On voit déjà que les préfectures ont pris le virage », commente Me Martin.

    Elle reçoit de nombreux appels de clients inquiets, dont la demande a été déposée avant la circulaire Retailleau. « C’est très dur de leur expliquer. Ils rappellent qu’ils remplissent les critères de l’ancienne circulaire. » Pour l’une de ses clientes, « nounou colombienne » dont le dossier a été déposé en 2022, et qui aura sept ans de présence en France à la rentrée, l’avocate « joue la montre », espérant que l’examen de sa demande traîne encore un peu.

    Pour l’heure, Me Charles ne s’est désisté d’aucun dossier en cours. Il dit surtout compter sur la jurisprudence des tribunaux : la préfecture disposant d’un délai de quatre mois pour répondre (délai qu’elle respecte rarement, donnant lieu à un refus implicite), les avocat·es peuvent saisir la justice pour contester une décision de refus implicite. « Les juges voient s’il y a au moins cinq ans de présence en France », précise l’avocat, qui continuera donc de déposer des demandes pour des durées de présence équivalente.

    Contrariée par cette circulaire, Martine, qui accompagne les sans-papiers dans leurs démarches de régularisation depuis l’occupation de l’église Saint-Bernard en 1996, s’est rendue dans trois préfectures différentes – Paris, Seine-Saint-Denis et Val-de-Marne – depuis le passage de la circulaire Retailleau, pour des rendez-vous pris à chaque fois un an et demi, voire deux ans plus tôt.

    « Déjà, on ne dit pas assez que l’AES prend des années », lance-t-elle lorsque nous la rencontrons à son domicile en novembre 2024, où elle reçoit les intéressé·es pour les aider à préparer leur demande. Dans son salon, des piles de dossiers colorés occupent l’espace, empilés les uns sur les autres ou rangés sur des étagères ; et traduisent son investissement pour « la cause des sans-papiers ».

    Depuis la circulaire Retailleau, la militante va droit au but avec les agent·es qu’elle rencontre en préfecture : « Je leur dis qu’ils ne peuvent pas m’imposer la circulaire Retailleau pour des dossiers déposés en 2023, sur les critères de la circulaire Valls. Ce n’est pas de ma faute s’ils mettent deux ans pour donner un rendez-vous », lâche-t-elle.

    Pour les dossiers qu’elle avait tout juste constitués en revanche, il a fallu temporiser. « J’ai expliqué aux concernés qu’il valait mieux attendre d’avoir les sept ans de présence, au risque d’avoir une OQTF [dans sa circulaire, Retailleau invite les préfets et préfètes à délivrer une OQTF systématiquement après un refus – ndlr]. » Découragé, l’un d’eux envisage de retourner en Espagne.

    Alors qu’elle échange habituellement avec des responsables en préfecture, pour elle aussi, des portes se referment. « Ils ont le cul entre deux chaises. Retailleau a fait tellement de com’ autour des étrangers, des sans-papiers et des OQTF… » Elle trouve la situation « insupportable ».

    « Les sans-papiers ne sont pas des délinquants, ce sont des réfugiés économiques, qui viennent souvent des anciennes colonies françaises. » Les discours répressifs, les lenteurs de l’administration ou le manque de moyens relèvent à ses yeux d’un « choix politique ». « On exploite et on maltraite les immigrés. La France est à côté de la plaque. »
    La seule solution pour n’être plus exploité

    Pour l’avocate Delphine Martin, la France épouse la théorie de « l’environnement hostile », expérimentée au Royaume-Uni, qui ne vise qu’à « décourager et rendre impossible la régularisation », pour en arriver à l’idée qu’« il ne faut pas venir en France et que les personnes déjà présentes en situation irrégulière doivent partir ».

    C’est dans ce contexte peu favorable que des livreurs travaillant pour Uber Eats et Deliveroo, à Poitiers, ont déposé collectivement une demande de régularisation le 22 mars ; et ce, bien qu’ils n’aient pas tous sept ans de présence ou qu’ils soient sous OQTF. Lorsque nous les rencontrons dans les locaux de La Cimade, association qui les accompagne, ils reconnaissent qu’ils ne s’attendaient pas à « autant de difficultés ».

    Moustapha, Ibrahima, Mamadou ou Mohamed, âgés de 25 à 34 ans, rêvent de devenir chauffeur-routier, carreleur ou agent de sécurité – autant de professions qui manquent cruellement de main-d’œuvre. En attendant, ils livrent des repas ou des courses à des particuliers, participant ainsi au confort quotidien des Français·es.

    Ils racontent leurs conditions de travail extrêmes ; le froid l’hiver, qui paralyse mains et orteils ; la chaleur l’été, qui étouffe et épuise. « C’est très dur », souffle Mamadou. Et d’ajouter : « Tu parcoures 10 kilomètres pour gagner 5 euros… »

    Cette demande de régularisation était donc la « seule solution » pour sortir de cette précarité. « Pour être autonome, explique Moustapha, il faut avoir des papiers, se former, avoir un métier. » « Pour la République, on n’existe pas », regrette Mohamed.

    La circulaire Retailleau ? « On est au courant. Mais cette demande est notre dernier espoir, on ne peut pas rester comme ça », insiste le groupe, qui réclame de pouvoir vivre dans la « dignité ».

    Interrogée par Mediapart, la préfecture de la Vienne indique que « l’instruction des situations individuelles est en cours ». La Cimade entend entamer un « rapport de force » avec les autorités, grâce à l’existence de ce groupe « soudé, structuré et organisé » qui revendique ses droits, explique Mathis.

    Le jeune bénévole compte ainsi sur le caractère inédit de la mobilisation – une manifestation organisée le 22 mars a réuni cinq cents personnes, dont de nombreux soutiens, et une pétition circule en ligne –, mais aussi du dépôt collectif, une démarche assez exceptionnelle en dehors de la région parisienne.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/130425/la-circulaire-retailleau-vient-briser-les-espoirs-de-regularisation-des-sa

    #France #migrations #déboutés #préfectures
    via @karine4

  • En #Allemagne, les #centres_d'expulsion se multiplient

    Un deuxième centre d’expulsion pour les migrants "#dublinés" a ouvert ses portes en Allemagne près de la frontière polonaise le 1er mars 2025. Ces centres visent à accélérer le transfert des demandeurs d’asile #déboutés.

    Le nouveau centre d’expulsion a officiellement été inauguré le 1er mars à #Eisenhüttenstadt, dans la région du Brandebourg, au nord-est de l’Allemagne près de la frontière avec la Pologne.

    Il devrait commencer à être opérationnel le 13 mars, rapporte l’agence de presse KNA. Le centre comprend deux bâtiments, l’un pour les femmes et les familles, l’autre pour les hommes.

    Le centre a une capacité d’accueil d’environ 250 personnes et doit permettre d’accélérer le transfert des demandeurs d’asile déboutés dont les cas relèvent du #règlement_de_Dublin de l’Union européenne.

    Le premier centre, ouvert à #Hambourg, aurait déjà permis d’alléger les charges administratives. Un troisième centre doit ouvrir à #Brême, également dans le nord-de l’Allemagne. D’autres pourraient suivre dans le cadre d’un effort plus large des autorités visant à s’attaquer aux inefficacités du système d’asile.

    Aussi, les demandeurs d’asile devant être renvoyés dans le cadre du processus de Dublin ne percevront désormais plus qu’un soutien de base pendant deux semaines, au lieu des prestations sociales complètes prévues par la loi. Cette mesure doit décourager la migration irrégulière vers l’Allemagne.

    Un système qui peine à fonctionner

    Les "#centres_Dublin" font partie de la réforme du régime d’asile européen commun (RAEC) et ont été proposés par le ministère allemand de l’Intérieur fin 2024, sous le gouvernement sortant.

    L’actuelle ministre de l’intérieur, Nancy Faeser, a souligné l’importance de procédures rapides et efficaces, estimant que "si des personnes viennent en Allemagne alors qu’elles ont entamé leur procédure d’asile dans un autre pays de l’UE, elles doivent y être transférées plus rapidement".

    Selon ce règlement, un exilé ne peut faire sa demande d’asile que dans son premier pays d’entrée dans l’UE. Dans la pratique, le système fonctionne toutefois rarement.

    En 2024, l’Allemagne a présenté près de 75 000 demandes de transfert de demandeurs d’asile vers des pays de l’UE, dont environ 44 000 ont été approuvées. Pourtant, seules quelque 5 740 personnes ont été effectivement expulsées.

    Les raisons de ce #dysfonctionnement sont multiples. Certains pays de l’UE, comme l’Italie, ont cessé de reprendre des migrants expulsés. D’autres, comme la Grèce, sont confrontés à des problèmes juridiques dus aux mauvaises conditions dans les centres d’accueil de migrants, conduisant les tribunaux à bloquer les expulsions.

    En Allemagne, le dédale bureaucratique rallonge également les #délais d’expulsion.

    Kathrin Lange, ministre de l’Intérieur du Land de Brandebourg (l’Allemagne fédérale est composée de 16 Etats appelés Länder) prévient que le centre de Eisenhüttenstadt ne va offrir des résultats immédiatement. "Le système de Dublin, dans sa forme actuelle, ne fonctionne pas. Il a besoin d’une réforme fondamentale. Mais avec ce centre, nous faisons au moins un pas important vers davantage d’#ordre et d’#efficacité dans la politique migratoire", assure-t-elle.

    Les défis du règlement de Dublin

    Olaf Jansen, directeur de l’autorité centrale des étrangers du Brandebourg, se montre également sceptique. Il affirme que 60 à 70 % des demandeurs d’asile expulsés reviennent en Allemagne dans les jours qui suivent. Il critique la lenteur des délais de traitement des dossiers, en particulier à Berlin et à Dortmund, et appelle à une approche plus rationnelle, estimant que les expulsés récidivistes devraient être transférés immédiatement sans que leur dossier ne soit rouvert.

    Le centre d’Eisenhüttenstadt doit se concentrer sur les expulsions vers la #Pologne, qui a jusque-là accepté le retour de la quasi-totalité des "dublinés".

    Les transferts sont censés être effectués dans un délai de deux semaines. Le bureau central des étrangers du Brandebourg travaille en collaboration directe avec les fonctionnaires polonais. Celle-ci fonctionne plutôt bien, a expliqué Olaf Jansen à l’agence KNA.

    Le ministère allemand de l’intérieur est par ailleurs en discussion avec les différents Länder pour créer davantage de centres d’expulsion.

    Berlin assure que les centres augmenteront considérablement le nombre d’expulsions car ils évitent le problème récurrent de la disparition de migrants dans l’obligation de quitter le territoire.

    Les chiffres officiels montrent que dans 12 % des cas, les personnes “dublinées” disparaissent dès qu’elles sont informées de leur expulsion imminente.

    Des ONG de défense des droits de l’Homme sont néanmoins très critiques et dénoncent notamment la limitation de l’aide sociale. Wiebke Judith, porte-parole de Pro Asyl, note dans le Irish Times que "les centres Dublin ne résolvent pas les problèmes du gouvernement fédéral, mais aggravent considérablement la situation des gens".

    Les lois sur la sécurité adoptées en Allemagne après l’attentat meurtrier de Solingen en août 2024 stipulent que les demandeurs d’asile en attente d’être expulsés dans le cadre du règlement de Dublin seront ne toucheront plus que le minimum vital en termes de prestations sociales.

    Olaf Jansen, de l’autorité centrale des étrangers du Brandebourg, constate que de nombreux demandeurs d’asile ne viennent pas directement de zones de conflit, mais plutôt de pays tiers sûrs comme la Turquie.

    Il préconise des #contrôles_frontaliers plus stricts, une meilleure coopération au sein de l’UE et une politique migratoire axée sur les travailleurs qualifiés.

    Tout en reconnaissant que l’asile reste une obligation humanitaire essentielle, Olaf Jansen estime que “l’Allemagne - comme tous les pays d’immigration classiques - devrait réguler l’immigration en fonction de ses intérêts nationaux. Cela signifie qu’il faut faciliter l’immigration pour le marché du travail, la recherche et le monde universitaire tout en limitant l’accès aux systèmes de #protection_sociale aux cas de détresse humanitaire”.

    La pénurie de main-d’œuvre qualifiée a été largement éclipsée par la question des expulsions lors des récentes élections fédérales en Allemagne.

    Avec la victoire des conservateurs de la CDU/CSU, Friedrich Merz devrait devenir le prochain chancelier. Il prône des contrôles frontaliers plus stricts et une politique migratoire plus restrictive.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/63391/en-allemagne-les-centres-dexpulsion-se-multiplient
    #rétention #détention_administrative #asile #migrations #réfugiés #sans-papiers #machine_à_expulser #statistiques #chiffres #découragement #dissuasion #accélération_des_procédures #expulsions #renvois #renvois_Dublin

    ping @karine4 @_kg_

  • #Régularisation des migrants en #Espagne : ce que contient la nouvelle loi

    La réforme de la loi Immigration, qui vise la régularisation de centaines de milliers de sans-papiers en Espagne, a été publiée au journal officiel mercredi. Quelles en sont les principales mesures ? InfoMigrants fait le point.

    Au lendemain de son adoption par le gouvernement, la réforme visant à faciliter la régularisation de centaines de milliers de migrants a été publiée dans le bulletin officiel (BOE), équivalent espagnol du journal officiel, mercredi 20 novembre. D’après la ministre de l’Inclusion, de la Sécurité sociale et des Migrations Elma Saiz, elle entrera en vigueur sous forme d’arrêté royal le 20 mai 2025.

    Objectif affiché par le gouvernement avec cette réforme : simplifier les procédures d’obtention des permis de séjour et de travail, pour une meilleure intégration des migrants dans la société.

    Voici les principaux points dévoilés dans le journal officiel :

    Du nouveau dans les différents #titres_de_séjour « racines »

    En Espagne, il existe des permis de séjour spécifiques appelés « #arraigos », ou « #racines » en français. Ils sont destinés à des personnes en situation irrégulière, qui peuvent justifier de leur #enracinement dans la société espagnole pour régulariser leur situation. Fin 2023, plus de 210 000 personnes disposaient d’un titre racine en Espagne, 85 000 de plus qu’en 2022.

    « Racine de la deuxième chance »

    C’est un nouveau type de titre « racine » créé par la réforme. Il permet aux personnes qui disposaient d’une autorisation de séjour depuis deux ans, mais dont la validité a expiré et qui n’ont pas pu renouveler cette autorisation, de demander de nouveau un titre de séjour.

    Pour y prétendre, il faut pouvoir justifier de deux ans de #résidence en Espagne.

    « Racine socio-formatif »

    Il remplace le titre « pour la formation », créé en 2022. Pour l’obtenir, il faut se former à un métier en manque de main-d’œuvre, mais le demandeur peut désormais exercer un emploi dès le début de sa formation.

    Deux ans après sa mise en œuvre, ce permis de séjour n’a pas rempli toutes ses promesses. « La loi a servi à régulariser la situation de nombreuses personnes, mais à très court terme, avait réagi cet été Ahmed Khalifa, président de l’association marocaine pour l’intégration des migrants en Espagne. Et la suite du processus a conduit à des irrégularités, car beaucoup de personnes ne pouvaient pas satisfaire les conditions demandées ».

    « Il faut permettre aux exilés de travailler tout en suivant la #formation », avait déclaré à la presse Jorge Marín, de la Confédération espagnole des organisations professionnelles (CEOE). C’est désormais chose faite avec la réforme de la loi.

    « Racine socioprofessionnel »

    Appelé auparavant « #arraigo_laboral », ce nouveau titre racine réduit le nombre d’heures travaillées exigées pour obtenir le permis, de 30 à 20 heures. Il nécessite lui aussi deux ans de résidence en Espagne.

    « Racine sociale »

    Ce titre exige deux ans de résidence en Espagne contre trois auparavant. Il faut en revanche toujours prouver l’existence de #liens_familiaux avec d’autres résidents légaux dans le pays, et son #intégration à la société espagnole.

    Ce permis racine n’exige pas la présentation d’un #contrat_de_travail, mais le requérant doit prouver par d’autres moyens qu’il dispose de « #moyens_économiques ».

    « Racine familiale »

    Jusqu’à présent, ce titre racine concernait seulement les parents et les enfants des citoyens de nationalité espagnole. Ce n’est plus le cas : il est désormais réservé aux parents d’enfants mineurs et aux aidants de personnes handicapées, originaires de pays extra européens.

    Quelques aménagements pour les #visas

    Les visas disponibles en Espagne restent : le visa de court séjour, de longue durée, de résidence, de transit aéroportuaire, de caractère extraordinaire, et enfin le visa pour la recherche d’emploi.

    Désormais, tous ces visas ont une durée de validité d’un an, renouvelables pour quatre. « Cela permettra d’éviter des situations d’irrégularité inattendues », avance El Mundo.

    À noter également, il ne sera plus nécessaire de quitter le pays pour obtenir un titre de résidence de longue durée, après avoir eu un permis de séjour temporaire.

    Des solutions pour les demandeurs d’asile #déboutés

    La nouvelle loi intègre aussi une régularisation temporaire pour les demandeurs d’asile déboutés. Ces derniers pourront en effet faire une demande pour le titre racine de leur choix. Ils devront pour cela prouver six mois de présence sur le sol espagnol.

    Les personnes concernées ont un an, à partir de la notification du refus, pour présenter une demande de titre racine.

    Assouplissement du #regroupement_familial

    Les enfants de moins de 26 ans - contre 21 sous l’ancienne loi - peuvent prétendre au regroupement familial. Les couples « non officiels » aux yeux des autorités, qui ne sont pas mariés par exemple, peuvent également bénéficier de ce titre de séjour. Ils doivent cependant pouvoir « prouver une relation affective », détaille encore le journal.

    La réunification des enfants et des parents victimes de traite ou de violence sexuelle est également facilitée par la nouvelle loi.

    Plus de protection pour les #travailleurs_saisonniers

    La nouvelle autorisation de séjour pour les travailleurs #saisonniers renforce leurs droits. Elle exige désormais que chaque travailleur soit notifié par écrit et dans sa langue, de ses droits et de ses futures conditions de travail. Le permis inclut également la possibilité de changer d’employeur en cas d’abus, ou d’autres causes ayant empêché le détenteur de travailler, comme l’arrêt d’une récolte dans une exploitation.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/61342/regularisation-des-migrants-en-espagne--ce-que-contient-la-nouvelle-lo
    #loi #sans-papiers #migrations #travail

    ping @karine4

    • En Espagne, le gouvernement souhaite régulariser 900 000 sans-papiers en trois ans

      À contrepied de ses voisins européens qui durcissent leur politique migratoire, l’Espagne a adopté le 19 novembre une réforme pour faciliter la régularisation des travailleurs étrangers en situation irrégulière. Le texte répond avant tout aux besoins économiques du pays.

      Dans la petite pièce transformée en salle de classe, sept élèves observent, l’air concentré, Roberto Llerena distribuer le polycopié du jour. « J’espère que vous avez eu le temps de revoir le vocabulaire d’anglais chez vous », claironne-t-il. Chaque semaine, ce professeur enseigne à des femmes, pour la plupart sans-papiers, les bases du métier de réceptionniste au sein de la Fondation Madrina. La structure aide principalement de jeunes mères en situation irrégulière ou d’exclusion sociale. Elle leur fournit de l’aide alimentaire, une prise en charge médicale, mais aussi un accompagnement professionnel.

      Depuis bientôt un mois, les apprenties redoublent d’efforts : la réforme du règlement sur l’immigration leur a redonné espoir. « Quand j’en ai entendu parler, ça a vraiment été une bonne nouvelle » confie Chavelys, un sourire timide aux lèvres. Cette colombienne, arrivée il y a neuf mois en Espagne avec son mari et son bébé, souhaite travailler au plus vite. « Je vais pouvoir solliciter un permis de travail plus rapidement : au lieu de trois ans, j’aurai juste deux ans à attendre ». De l’autre côté de la table, Mabel, elle aussi originaire de Colombie, renchérit : « Quand tu n’as pas de papier, on te ferme la porte dans beaucoup d’endroits (…) Énormément de monde va bénéficier de la réforme. »

      Maintenir « le niveau de vie » de l’Espagne d’ici 2050

      Approuvée fin novembre par le gouvernement socialiste de Pedro Sánchez, cette réforme a pour objectif d’accélérer l’obtention des permis de séjour et de flexibiliser leurs conditions d’attribution. Elle pourrait permettre la régularisation de 300 000 travailleurs sans-papiers par an d’ici 2027. Une main d’œuvre indispensable pour maintenir « le niveau de vie » de l’Espagne d’ici 2050, selon le gouvernement. Le pays est touché par le vieillissement démographique, et son taux de natalité est parmi les plus bas d’Europe.

      Les régularisations devraient bénéficier à plusieurs secteurs économiques en tension, comme ceux de la construction, de l’agriculture, de l’hôtellerie ou de la restauration. Les étrangers y représentent déjà jusqu’à la moitié des effectifs. Fran de las Heras, propriétaire d’un restaurant dans le centre de Madrid, ne cache pas sa joie. Pour ce professionnel, la réforme était indispensable. S’il peine à recruter serveurs et cuisiniers, les candidats, eux, ne manquent pas. « Parfois, jusqu’à cinq personnes par jour viennent me demander du travail », avoue-t-il en faisant briller les verres à vin suspendus au-dessus du bar. « J’aimerais les employer, car elles sont très compétentes, mais elles n’ont pas de papiers et ne peuvent donc pas travailler. »

      Beaucoup d’établissements sont dans la même situation. D’après la dernière enquête de la principale association hôtelière espagnole, plus de 60 % des restaurateurs auraient du mal à recruter. « J’espère que cette réforme va équilibrer l’offre et la demande, et que tout ira mieux » observe Fran.

      Une vision « plus humaine » de la migration

      La réforme répond à un impératif économique, mais pas seulement. Pour Elma Saiz, la ministre de l’Inclusion, de la Sécurité sociale et des Migrations, à l’origine de cette réforme, le texte a aussi une portée « humaniste ». « Nous sommes conscients de l’importance des liens familiaux, et nous avons pour cela assoupli les conditions nécessaires au regroupement familial », souligne la ministre socialiste qui s’exprime aussi bien en espagnol qu’en français.

      Avec cette réforme, les couples n’auront plus besoin d’être mariés pour solliciter le regroupement familial, tant qu’ils peuvent prouver leur relation « intime ». L’âge limite des enfants pour être éligible à ce motif d’immigration sera quant à lui porté à 26 ans — contre 21 ans actuellement et 18 ans en France.

      Pour Elma Saiz, ce nouveau règlement sur l’immigration est « nécessaire », mais aussi bénéfique à l’ensemble de la société. Pour appuyer son propos, elle cite régulièrement la formule lancée par le Premier ministre Pedro Sanchez à la tribune du Congrès des députés le 9 octobre : « L’Espagne doit choisir : être un pays ouvert et prospère ou un pays fermé et pauvre. Nous avons choisi la première option ».

      Avec l’adoption de cette loi, l’Espagne devient, selon la ministre socialiste, « le phare de l’Europe » et l’ambassadrice d’une « politique migratoire qui met au centre les droits humains ». Un défi de taille pour le pays. Il est l’une des principales portes d’entrée des migrants en Europe. Depuis début janvier, presque 57 000 personnes y sont entrées illégalement, principalement en empruntant la dangereuse route des îles Canaries. C’est 13 % de plus que l’année dernière.

      Cette politique migratoire « humanitaire et responsable », n’est pas du goût de toutes les formations politiques. « Vous êtes en train de prendre des décisions, Madame la ministre, très dangereuses », a chargé le 27 novembre la députée du parti d’extrême droite VOX, Rocio de Meer, devant le Parlement : « elles vont transformer notre nation, et pourraient l’anéantir à long terme ». La très conservatrice andalouse a dénoncé « l’effet d’appel » que la réforme allait provoquer. VOX a présenté une motion de censure pour abroger le texte. Elle a été rejetée grâce aux votes de la gauche, de l’extrême gauche et de plusieurs partis indépendantistes. La droite s’est quant à elle abstenue.
      Les demandeurs d’asile, « perdants » de la réforme

      Pour les associations d’aide aux migrants, la réforme a aussi des zones d’ombre. Selon Elena Muñoz, avocate et spécialiste du droit d’asile, si elle bénéficiera à de nombreux travailleurs étrangers, étudiants et familles, elle va néanmoins porter préjudice aux plus de 190 000 demandeurs d’asile en attente de traitement de leur dossier.

      Auparavant, les migrants dont la demande d’asile était refusée pouvaient immédiatement solliciter un autre type de permis de séjour en prouvant qu’ils avaient vécu deux ans ans sur le territoire espagnol. Avec la réforme, le temps passé par les migrants en Espagne durant le traitement de leur demande d’asile — environ deux ans — ne sera plus pris en compte. S’ils sont déboutés, les compteurs seront remis à zéro : ils devront passer deux ans supplémentaires en situation irrégulière avant de pouvoir solliciter une autorisation de séjour.

      Une injustice pour Elena Muñoz. Cette professionnelle qui travaille depuis 17 ans au sein de la commission espagnole d’aide aux réfugiés (CEAR) craint que le texte ne décourage des personnes qui pourraient bénéficier du droit d’asile, à se lancer dans la procédure. « Pour moi, le gouvernement tente de décourager les migrants de bénéficier d’une protection internationale, par crainte qu’ils n’utilisent ce motif pour tenter de se régulariser », tacle-t-elle. D’après la ministre Elma Saiz, cette crainte est infondée : « Il est très important que les demandeurs d’asile aient accès à la protection internationale, et la réforme en offre toutes les garanties » rassure-t-elle.

      Alors que la réforme entrera en vigueur le 20 mai prochain, l’immigration s’est imposée ces dernières années comme l’un des principaux sujets de débat dans la société espagnole. D’après la dernière enquête du centre d’investigation sociologique publiée en novembre, elle serait considérée comme un problème par presque 20 % des personnes interrogées. Une inquiétude grandissante des citoyens, qui ne décourage cependant pas Pedro Sánchez. « Nous, les Espagnols, sommes les enfants de la migration. Nous ne serons pas les parents de la xénophobie. Faisons une politique migratoire dont nos aînés peuvent être fiers. Et faisons une politique migratoire qui garantit l’avenir de leurs petits-enfants. » a conclu le 9 octobre le Premier ministre devant le Parlement.

      https://www.france24.com/fr/europe/20241221-en-espagne-le-gouvernement-souhaite-r%C3%A9gulariser-900-000-sans

  • Je suis au pays avec ma mère

    C’est dans le cadre d’une psychothérapie qu’Irene de Santa Ana a rencontré Cédric ; Cédric, jeune requérant, sort de plusieurs mois d’#errance, dormant dans des parcs après avoir essuyé un premier refus à sa demande d’asile. Le statut de « débouté » prive Cédric de bien des droits accordés aux êtres humains, et le plonge dans d’épaisses limbes administratives, mais également existentielles. Au pays, plus rien ne l’attend ; en Suisse, l’espoir de pouvoir rester est plus que ténu. De cette psychothérapie, Irene de Santa Ana va faire un article, et c’est de cet article qu’Isabelle Pralong s’est emparée pour Je suis au pays avec ma mère. Isabelle Pralong s’est intéressée plus particulièrement aux rêves de Cédric, qu’elle met ainsi en image. Le texte de l’article, complètement repensé et réécrit par Irene de Santa Ana, vient ici introduire, commenter voire compléter les pages dessinées. Eminemment métaphorique, porteuse de sens, cette matière onirique rend compte à sa façon de l’état psychologique dans lequel doit évoluer et (sur)vivre Cédric, la complexité de son ressenti, de ses sentiments. Livre singulier dans une bibliographie singulière, Je suis au pays avec ma mère s’immisce dans des territoires politiques et sociaux sans une once de misérabilisme, et tente d’aborder autrement une question de société toujours irrésolue.

    https://atrabile.org/catalogue/livres/je-suis-au-pays-avec-ma-mere

    #Suisse #asile #déboutés #traumatisme #identité #disparition #clandestinité #peur #insoumission #désobéissance #clandestinisation #SDF #sans-abris
    #BD #bande_dessinée #livre

  • Sur les traces des « retournés volontaires » de #Géorgie, ces déboutés du droit d’asile qui ont dû renoncer à la France dans la douleur

    Le ministère de l’intérieur français finance en Géorgie des projets de #réinsertion économique auprès de familles souvent venues en France pour des #soins médicaux, avant qu’elles se retrouvent en situation irrégulière.

    C’est un bloc d’immeubles parmi les centaines qui composent le paysage de #Roustavi, une ancienne ville industrielle du sud-est de la Géorgie. Dans ce pays du Caucase où vivent 3,7 millions d’habitants, les cités ouvrières ont poussé pendant l’ère soviétique, et Roustavi a pris son essor autour d’un combinat métallurgique alimenté par l’acier azerbaïdjanais. Depuis, l’URSS s’est disloquée et les usines ont fermé. Voilà une dizaine d’années, attirés par un parc immobilier plus abordable que celui de la capitale, Tbilissi, Davit Gamkhuashvili et Nana Chkhitunidze sont devenus propriétaires d’un des appartements de la ville, au septième et dernier étage d’un immeuble que le temps n’a pas flatté. Le parpaing des façades se délabre, des tiges de fer oxydé crèvent le béton des escaliers et l’ascenseur se hisse aux étages dans un drôle de fracas métallique.

    Fin septembre 2023, Davit, 47 ans, et Nana, 46 ans, sont revenus ici après dix mois passés à Béthune, dans le Pas-de-Calais. Ils ont retrouvé leur trois-pièces propret et modeste, où ils cohabitent avec leur fils et leur fille adultes, leur gendre et leur petite-fille. Le couple de Géorgiens avait nourri l’espoir d’obtenir en France les soins que Davit, atteint d’un diabète sévère, ne trouvait pas dans son pays. Migrer, c’était sa seule option après qu’il a été amputé d’un orteil. Il souffrait d’un ulcère au pied et son médecin géorgien « ne proposait rien d’autre que couper et couper encore », se souvient-il.

    (#paywall)

    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/03/01/immigration-sur-les-traces-des-retournes-volontaires-de-georgie_6219437_3224

    #renvois #expulsions #retours_volontaires #déboutés #asile #migrations #réfugiés #France #santé
    via @karine4

    • Pour venir en France et laisser à leurs enfants un peu d’argent, sa femme et lui ont vendu leur voiture et un terrain qu’ils possédaient à la campagne. Dans le Pas-de-Calais, le couple a été hébergé dans un centre d’accueil pour demandeurs d’asile (CADA), et Davit a pu se faire soigner. Mais l’isolement social, la barrière de la langue, le sentiment d’être des « mendiants » leur ont donné le « mal du pays ». Déboutés de leur demande d’asile, Davit et Nana se sont retrouvés en situation irrégulière et ont été priés de partir. Las, ils ont renoncé à la France dans la douleur. A Roustavi, Nana replonge avec un soupçon de nostalgie dans le souvenir des amitiés qu’elle a nouées avec des bénévoles du CADA, des plats géorgiens qu’elle leur a fait découvrir, comme le khatchapouri, un pain farci au fromage, de la petite fête qui avait été organisée pour leur départ. « Quand j’aurai l’argent, je reviendrai comme touriste », nous assure-t-elle.

      Dans le français rudimentaire qu’elle s’est efforcée d’acquérir, Nana répétait « stop », « fini », « stress » alors que nous la rencontrions, dans les couloirs de l’aéroport de Roissy-Charles-de-Gaulle, le jour de son vol retour vers la Géorgie. Ce matin de septembre 2023, ils étaient une cinquantaine, comme elle, à devoir embarquer pour Tbilissi dans le cadre d’un retour volontaire aidé, un dispositif adressé aux étrangers en situation irrégulière et mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration (#OFII). Il a l’avantage d’être beaucoup moins onéreux que les retours forcés, qui mobilisent des moyens importants, de l’interpellation des personnes à leur expulsion, en passant par leur placement en rétention et la phase éventuelle de contentieux juridique. En 2023, plus de 6 830 personnes ont souscrit à des retours volontaires aidés, toutes nationalités confondues. Avec plus de 1 600 retours aidés, les Géorgiens ont été les premiers bénéficiaires du programme.

      Encourager les départs

      Juste avant d’embarquer, au milieu des touristes et des voyageurs d’affaires du terminal 2 de Roissy, Nana et Davit avaient reçu chacun, des agents de l’OFII, une petite enveloppe contenant 300 euros. Leurs billets d’avion avaient également été pris en charge. Pour encourager les départs, la France propose aussi aux personnes volontaires une aide sociale, le financement d’une formation ou encore une aide à la création d’entreprise, plafonnée à 3 000 euros en Géorgie. Avec 605 aides accordées en 2023, les Géorgiens sont, là aussi, les premiers récipiendaires de ce programme de réinsertion économique.

      Nana Chkhitunidze a obtenu la prise en charge d’une formation en cuisine, qu’elle suit aujourd’hui avec enthousiasme après ses heures de ménage. A son retour à Roustavi, elle a dû retrouver un emploi pour entretenir sa famille. Elle gagne aujourd’hui 600 laris (210 euros) par mois. Pas de quoi payer les consultations chez le diabétologue ni chez le cardiologue que les médecins français ont recommandées à Davit. « Ce n’est pas la priorité, confie ce dernier. Les anciens disaient : “La vie, c’est comme à la guerre.” Je ne me rendais pas compte à quel point c’était vrai. »

      Diminué physiquement, Davit Gamkhuashvili ne peut plus travailler dans le bâtiment. Il est fier de rappeler qu’il a, par le passé, rénové plusieurs églises du pays, dont la grande cathédrale de la Sainte-Trinité, à Tbilissi. Mais, depuis son amputation, ce n’est désormais plus envisageable. Il se pique trois fois par jour à l’insuline et veille à ce que l’ulcère au pied ne reprenne pas. Il lui reste des boîtes d’antalgiques prescrits en France. Ici, ils ne sont pas pris en charge. L’OFII lui a financé vingt séances de kinésithérapie, à hauteur de 2 100 laris.

      Avant d’embarquer pour le vol vers Tbilissi du 20 septembre, Nini Jibladze et Khvtiso Beridze, un autre couple de « retournés » géorgiens, confiaient, eux, combien ils souhaitaient que l’aînée de leurs deux filles, Anastasia, puisse étudier en France. Scolarisée entre 2021 et 2023 dans une école près de Caen, leur enfant de 10 ans a très vite appris à parler le français. Mais, si le départ était un crève-cœur pour leurs parents, Anastasia et sa sœur Nia, 5 ans, se montraient impatientes de retrouver leur grand-mère Irma, après deux années passées loin d’elle.

      Une petite tour Eiffel sur le piano du salon

      Nini et Khvtiso avaient quitté la Géorgie car ils ne faisaient pas confiance aux médecins pour faire opérer leur aînée, atteinte d’une tumeur au niveau du nerf de la main. En Turquie, l’opération leur aurait coûté 15 000 dollars (14 000 euros), une somme dont ils ne disposent pas. En France, Anastasia a été opérée gratuitement. Ses parents se seraient volontiers projetés sur une installation plus durable, mais « pas de papiers, pas d’argent », résume le père de famille. Avec une obligation de quitter le territoire français (OQTF) à la suite du rejet de leur demande d’asile, ils redoutaient de se retrouver à la rue.

      Aujourd’hui revenue dans l’appartement familial, dans la banlieue de Tbilissi, que balaye ce jour-là un vent d’hiver vigoureux, Anastasia se plonge dans des vidéos YouTube en français, pour ne pas perdre la langue. Ses parents ont posé une petite tour Eiffel sur le piano du salon, entre deux coupes de fruits en porcelaine, reçues en cadeau de mariage. Depuis qu’il est rentré au pays, le couple est pris dans un entrelacs de sentiments où l’amertume et l’angoisse le disputent à l’espoir.

      Grâce à l’aide de l’OFII, Nini Jibladze a suivi une formation en manucure, un secteur porteur dans son pays. Elle a même pu s’acheter quelques équipements, comme un sèche-ongles et un stérilisateur, mais, plutôt que de lancer son affaire, elle a dû parer à l’urgence et accepter un poste de commerciale pour une société de vente de chocolats, payé 1 000 laris par mois. Khvtiso Beridze, lui, se plaint de ses douleurs au bras, résultat de deux accidents anciens qui ont abîmé ses nerfs. En France, il a été opéré deux fois, mais il faudrait qu’il subisse une nouvelle intervention. « J’ai peur de me faire opérer ici, reconnaît-il. Et je n’ai pas les moyens de me payer la rééducation à 40 laris la séance. »

      Anastasia, elle, doit continuer d’être suivie, mais trouver un angiologue ou un radiologue pédiatrique pour réaliser une IRM à 700 laris relève de la gageure. En outre, la famille a encore une dette de plus de 6 000 euros à rembourser, contractée pour financer son départ en France, à l’automne 2021. « Ma sœur, qui est propriétaire de l’appartement où l’on vit, a dû prendre un prêt hypothécaire », relate Khvtiso. Fataliste, il lâche : « Tôt ou tard, on devra repartir. »

      Discours politique virulent

      Sa mère, Irma, avec laquelle le couple cohabite, compte les devancer. Elle s’y prépare sans états d’âme. « Dans notre immeuble, toutes les femmes ont migré, assure cette célibataire de 52 ans. Si quelqu’un en #Géorgie se nourrit et s’habille correctement, c’est qu’il a quelqu’un à l’étranger qui lui envoie de l’argent. » Elle-même a déjà travaillé à Samsun, en Turquie, il y a quinze ans. « Je partais trois mois faire la plonge ou le ménage et je revenais, se souvient-elle. Ça valait le coup. A l’époque, on avait 100 dollars avec 120 livres turques. Aujourd’hui, ce n’est plus intéressant, il faut 3 000 livres turques pour 100 dollars. » Si Irma repart, ce sera en Grèce. Elle y a des amies qui promettent de l’aider à trouver un travail d’aide à domicile ou de femme de ménage pour au moins 1 000 euros par mois. « Ça pourra payer les dettes et les études des enfants », calcule la grand-mère.

      Depuis l’effondrement du bloc soviétique, la migration géorgienne vers l’Europe n’a cessé de croître. « C’est un phénomène très commun, qui a connu un pic avec la libéralisation des visas en 2017 », souligne Sanja Celebic Lukovac, cheffe de mission à Tbilissi de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), une agence onusienne. Cette « libéralisation » autorise les Géorgiens à circuler comme touristes dans l’espace Schengen pendant quatre-vingt-dix jours sans visa. « La Grèce accueille probablement la plus importante diaspora, mais de nombreux Géorgiens sont aussi allés en France, en Italie, en Allemagne, en Suisse ou en Espagne, guidés surtout par des opportunités d’emploi », poursuit Sanja Celebic Lukovac.

      D’abord très temporaire et individuelle, la migration est devenue plus durable et familiale. Les besoins médicaux sont, en outre, souvent au cœur du projet de mobilité. En France, en 2023, les Géorgiens ont ainsi représenté 7 % des demandes de titres de séjour pour étranger malade (dont un tiers pour des cancers). Parfois, ces besoins sont dissimulés derrière des demandes d’asile, l’un des rares moyens, si ce n’est le seul, de faire durer un séjour en règle, le temps de l’instruction du dossier.

      En 2022, selon Eurostat, plus de 28 000 Géorgiens ont déposé une demande d’asile en Europe, dont près de 10 000 en France. Cela reste faible, en comparaison avec la population du continent ou avec le volume total des demandes d’asile enregistrées dans l’Union européenne, qui a dépassé 955 000 requêtes la même année. Mais, l’octroi d’une protection internationale aux Géorgiens étant très rare – environ 4 % des demandes d’asile géorgiennes en Europe connaissent une issue positive –, cette migration ne manque pas d’alimenter un discours politique virulent.

      Emmanuel Macron a dénoncé plusieurs fois le « détournement du droit d’asile », des propos qui visent notamment les flux en provenance de Géorgie. Les pouvoirs publics ont tenté de les réduire, au travers de textes de loi ou de mesures réglementaires. Ainsi, la loi « immigration » de 2018 a permis l’expulsion des déboutés de l’asile provenant de pays d’origine « sûrs », nonobstant un éventuel recours.

      Risque d’appauvrissement

      En mai 2019, le ministre de l’intérieur de l’époque, Christophe Castaner, s’était déplacé à Tbilissi pour fustiger l’« anomalie » de la demande d’asile géorgienne et la « dette médicale » générée par ceux « qui viennent se faire soigner en France », alors même que l’état du système de soins en Géorgie « ne justifie pas cette venue ». Fin 2019, la lutte contre le « tourisme médical » avait encore occupé une place importante dans le débat sur l’immigration organisé au Parlement par Edouard Philippe, alors premier ministre. Il avait débouché sur une série de mesures imposant notamment un délai de carence de trois mois pour accéder à la protection maladie pour les demandeurs d’asile et la limitation de la durée de cette protection à six mois pour ceux qui sont déboutés de leur demande.

      « On identifie un ensemble de raisons qui incitent les gens à investir dans la migration, analyse Sanja Celebic Lukovac, de l’OIM. L’absence ou le manque d’accès aux traitements, le manque de confiance dans les soins et leur coût. » En Géorgie, où l’espérance de vie moyenne n’atteint pas 74 ans et où 15,6 % de la population vit sous le seuil de pauvreté, le système de soins pâtit notamment d’une faible prise en charge du handicap et des médicaments, ce qui expose les ménages à un risque d’appauvrissement.

      Si Zhaneta Gagiladze avait fait opérer sa fille, atteinte d’une forme grave de scoliose, en Géorgie, cela lui aurait coûté 23 000 euros. « Et seulement 40 % de la somme aurait été prise en charge », explique cette femme de 44 ans. En outre, ajoute-t-elle, le chirurgien géorgien lui avait conseillé d’annuler l’intervention, faute d’implants disponibles dans le pays et de garantie de succès. A Lyon, l’adolescente a pu être soignée, tandis que sa mère avait trouvé une chambre dans une colocation avec des Géorgiens, pour 200 euros par mois. Leur séjour n’a pas dépassé huit mois.

      En bénéficiant d’un retour aidé, fin 2019, grâce à l’OFII, Zhaneta Gagiladze a pu relancer son activité de coiffeuse dans un petit garage qu’elle loue à Tbilissi, au pied d’une khrouchtchevka, ces immeubles de trois à cinq étages emblématiques de l’architecture soviétique de l’après-guerre, qui privilégiait la rapidité et le moindre coût. Elle a aussi pu racheter pour 3 000 euros de matériel. Et propose à une clientèle d’habitués une coupe ou une coiffure pour 15 laris.

      Une étude réalisée en 2019 par le cabinet Evalua pour l’OFII, sur un échantillon de près de 400 bénéficiaires d’aide à la création d’entreprise dans quatorze pays, dont la Géorgie mais aussi la Côte d’Ivoire ou le Mali, montrait que, trois ans après avoir quitté la France, 82 % des « retournés » ayant bénéficié de l’aide – qui peut atteindre 6 300 euros dans certains endroits – se trouvaient toujours dans leur pays. En outre, 51 % des projets financés étaient encore actifs.

      Miraculés et déçus

      Zhaneta Gagiladze aime « beaucoup » son métier de coiffeuse. Elle mène sa vie avec énergie et ambition. C’est d’ailleurs pour cela qu’elle veut repartir. Seule et en Israël, cette fois, où elle espère pouvoir gagner 4 000 dollars par mois comme femme de ménage. A deux reprises déjà, en 2023, elle a tenté de s’y rendre. Mais, à chaque fois, elle a été refoulée à l’aéroport de Tel-Aviv. Elle attend désormais d’avoir économisé suffisamment pour pouvoir s’acquitter des 6 000 dollars qui lui garantiront d’entrer sur le territoire, avant d’y demeurer clandestinement.

      Elle a du mal à comprendre qu’Israël ne donne pas de visa malgré ses besoins de main-d’œuvre. « Mon projet est juste d’y travailler deux ans, pour gagner de quoi acheter un appartement ici », dit-elle. Elle rêve aussi « d’aider [sa] fille à accomplir son rêve de retourner étudier en France », un pays qu’elle associe à une vie meilleure. « En France, elle a même été suivie par un psychologue, alors que, depuis notre retour, elle a fait une dépression », confie Zhaneta, qui répète à quel point elle est « reconnaissante » vis-à-vis de la France. A Lyon, elle a croisé des compatriotes miraculés. L’un a pu être guéri d’un cancer en Géorgie. Un autre, atteint d’une cirrhose et à qui l’on ne donnait pas un mois à vivre, a pu bénéficier d’une greffe de foie.

      Mais il y a aussi les déçus. Comme Natela Shamoyan, 58 ans, hébergée par le 115 en banlieue parisienne de 2019 à 2022 avec sa fille lourdement handicapée, pour qu’on lui dise finalement la même chose que dans son pays : il n’y a pas de traitement qui guérisse la maladie de Charcot. Grâce à l’argent de l’OFII, à son retour en Géorgie, elle a relancé dans son garage, et avec son fils de 35 ans, une petite activité de fabrication de tapis de voiture.

      Zurab Dalakishvili, 36 ans, n’a pas non plus trouvé en France le traitement contre l’infertilité qui lui aurait permis de fonder une famille avec sa femme. Après quelques mois passés près de Rennes, sous le coup d’une OQTF, ils ont préféré rentrer au pays. Avec l’aide de l’OFII, Zurab a pu acheter des équipements pour développer son activité de mécanicien automobile, interrompue pendant son séjour en France. Son métier le passionne et l’amène à multiplier les allers-retours en Allemagne pour rapporter des moteurs ou des voitures d’occasion, qu’il retape puis revend. Le secteur de l’occasion est florissant en Géorgie, où 90 % du parc automobile a plus de dix ans.

      Installé dans la région de Gardabani, une zone rurale au sud-est de Tbilissi, Zurab Dalakishvili montre avec fierté le pont élévateur dont il a fait l’acquisition grâce à l’aide de la France. « J’ai aussi pu construire et aménager un hangar plus grand », explique-t-il. Sur le petit terrain qu’il transforme progressivement, où il stocke voitures et matériel, on découvre aussi les fondations inachevées d’une maison. Depuis qu’ils sont rentrés de France, en janvier 2020, Zurab et sa femme suivent un protocole de procréation médicalement assistée qui leur a déjà coûté près de 100 000 laris, et pour lequel ils ont dû repousser la construction de leur maison. En attendant, ils se serrent dans une pièce attenante aux hangars.

      Resserrement des critères

      De son côté, ce ne sont pas les trois vaches laitières qu’il a pu acheter grâce aux 3 000 euros de l’OFII, ni son activité de taxi qui lui rapporte 40 laris par jour qui permettront à Giorgi Maraneli de payer l’opération des ligaments de la cheville dont son fils aurait besoin. Il est, depuis la naissance, atteint de paralysie cérébrale avec quadriplégie spastique. « Je regrette d’être revenu, lâche le père de famille de 36 ans. Je n’avais pas le choix, je ne pouvais pas prendre le risque que nous finissions dans la rue. » Déboutés de leur demande d’asile, Giorgi, sa femme et leurs deux enfants étaient pressés par les gestionnaires du CADA de Bailleul, dans le Nord, de quitter les lieux.

      La maison où ils se sont réinstallés en 2023 se trouve dans un village de deux cents familles près de Gori, la ville natale de Joseph Staline. Dans la principale pièce à vivre, où dorment les parents de Giorgi et l’un de ses frères, un vieux portrait du Petit Père des peuples orne un mur. Comme si le temps était suspendu. A 2 kilomètres à peine d’ici se trouve la frontière avec le territoire occupé d’Ossétie du Sud. La population locale continue de subir les conséquences de la guerre de 2008 avec la Russie. L’eau courante, qui venait d’Ossétie, a été coupée par les occupants russes. Impossible d’irriguer une quelconque culture, la famille doit utiliser un puits pour sa consommation. Le père de Giorgi, Tamaz, s’est même fait voler ses quelques moutons par des militaires russes. « On ne peut pas envoyer les vaches en pâturage vers la frontière, ni couper du bois », regrette Giorgi.

      Pour l’heure, les animaux sont gardés dans l’étable et nourris au foin. C’est l’hiver, les plaines environnantes sont recouvertes d’un épais manteau de neige. Il est tombé une telle quantité de poudreuse la veille que l’électricité est coupée dans la maison, en cette journée de février. Assis devant le poêle à bois, Giorgi a sorti ses médailles militaires, lui qui a été pendant treize ans dans l’armée et a servi en Afghanistan. Sur la toile cirée de la table à manger, il a ouvert le dossier médical de son fils de 5 ans. « Quand on est partis, début 2021, la Géorgie ne proposait aucune forme de prise en charge. Je m’étais renseigné sur Internet, il y avait des groupes sur Facebook qui conseillaient d’aller en France pour les soins », témoigne-t-il. Il a été hébergé un an et demi. Ça lui a fait drôle, confie-t-il, de côtoyer des Afghans dans le CADA, alors qu’il les avait rangés dans la catégorie ennemie pendant ses missions aux côtés de l’OTAN, à Bagram.

      Giorgi Maraneli garde néanmoins un bon souvenir de la France. Son fils avait pu être soulagé et la prise en charge était gratuite et de qualité. Aujourd’hui, il a l’impression d’être revenu à la case départ. Les projets financés dans le cadre des retours aidés ne fournissent souvent que des revenus d’appoint. Sanja Celebic Lukovac, de l’OIM, a constaté qu’avec le temps les « retournés » d’Europe reçoivent de moins en moins d’aide pour leur réinsertion. « Cela signifie qu’il y a de plus en plus de gens dans le besoin », prévient-elle.

      En France, un arrêté ministériel d’octobre 2023 a resserré les critères d’éligibilité aux retours aidés, prévoyant une dégressivité de l’aide dans le temps à partir de la notification de l’OQTF. Mécaniquement, sur les premières semaines de 2024, les demandes de Géorgiens auprès de l’OFII ont baissé, car ils sont moins nombreux à pouvoir y prétendre. S’il avait obtenu des papiers, Giorgi Maraneli avait un poste de palefrenier qui lui était destiné dans une écurie près de Bailleul. Régulièrement, sur Facebook, il prend des nouvelles des bénévoles qui avaient adouci son quotidien et avec lesquels sa famille s’est liée d’amitié. Eux lui disent que la situation en France ne s’améliore pas, évoquent la loi « immigration » promulguée le 26 janvier. Avec franchise, Giorgi leur écrit qu’il veut revenir.

  • 2023 mehr Sammelabschiebungen

    Polizei mietet immer öfter ganze Flugzeuge für Abschiebungen an

    Seit mehreren Jahren dokumentiert die antirassistische Gruppe »No Border Assembly« Abschiebungen aus Deutschland. Ihre Arbeitsgruppe »Deportation Alarm« veröffentlicht anstehende Termine von Sammelabschiebungen und recherchiert, wann und mit welcher Personenzahl die Abschiebungen tatsächlich stattgefunden haben. Das Projekt ist entstanden, nachdem sich die Bundesregierung 2020 geweigert hat, der Öffentlichkeit mitzuteilen, mit welchen Fluggesellschaften Abschiebeflüge durchgeführt werden.

    Begründet hat die Bundesregierung die Informationszurückhaltung mit der Gefahr, »dass diese Unternehmen öffentlicher Kritik ausgesetzt werden und in der Folge für die Beförderung von ausreisepflichtigen Personen in die Heimatländer nicht mehr zur Verfügung stehen. Damit werden Rückführungen weiter erschwert oder sogar unmöglich gemacht, so dass staatliche Interessen an der Ausführung des Aufenthaltsgesetzes negativ beeinträchtigt werden.«

    Nun dokumentiert also »Deportation Alarm« die Abschiebungen, und die Gruppe macht das offenbar ziemlich akkurat. »Deportation Alarm« identifiziert Abschiebeflüge mithilfe öffentlich verfügbarer Daten und eines Algorithmus zur Mustererkennung. 2021 hat das in 99,03 Prozent der dokumentierten Fälle geklappt, wie ein Abgleich mit den Daten aus Kleinen Anfragen im Bundestag ergab.

    Am Montag hat »Deportation Alarm« seine Zahlen für 2023 veröffentlicht. Die Gruppe stellt einen »drastischen Anstieg von Sammelabschiebungen« fest. Im vergangenen Jahr habe man 220 sogenannte Charterabschiebungen gezählt. Dabei mietet die Polizei jeweils ein ganzes Flugzeug für Abschiebungen. In der Regel handelt es sich hierbei um Massenabschiebungen; so wurden mit einem Flug im letzten Jahr 119 Menschen abgeschoben. In anderen Fällen werden Flugzeuge aber auch angemietet, um wenige Menschen außer Landes zu schaffen. »Deportation Alarm« geht von mehr als 50 000 Euro Kosten pro Flug aus.

    Die antirassistische Gruppe kritisiert auch die Umstände der Abschiebungen. Jedem Flug gingen, »nächtliche Polizeirazzien in ganz Deutschland« voraus. Meist mitten in der Nacht würden Wohnungstüren aufgebrochen und Menschen gewaltsam zum Flughafen gebracht. Dort werden sie dann in Flugzeuge verfrachtet und noch am selben Tag abgeschoben. »Deportation Alarm« kritisiert: »Abschiebungen und die vorausgehenden Polizeirazzien sind eine grausame und unmenschliche Praxis, die sofort gestoppt werden muss!«

    Die Gruppe erklärt, dass jede einzelne Abschiebung an sich schon grausam sei, Betroffene allerdings noch von zusätzlichen Verletzungen ihrer Menschenrechte und ihrer Würde berichteten. Polizeibeamte setzten körperliche Gewalt ein, Zimmer anderer Bewohner*innen von Massenunterkünften würden illegal betreten, es bliebe kaum Zeit zum Packen, außerdem würden die Betroffenen von Freund*innen und Familie getrennt.

    Für 2024 befürchtet »No Border Assembly« einen weiteren Anstieg der Zahl von Abschiebungen. Das »Rückführungsverbesserungsgesetz« mache dies möglich. Mit mehr Abschiebungen gingen auch mehr »Verletzungen der Menschenrechte und der Würde der Betroffenen« einher, so die Sorge der Gruppe. Sie fordert stattdessen, rassistische Gesetze abzuschaffen und reelle Chancen für Menschen, ihren Aufenthalt zu legalisieren. Gegen die »unmenschliche und rassistische Abschiebepraxis« solle man aufstehen und aktiv werden.

    https://www.nd-aktuell.de/artikel/1179946.rassismus-mehr-sammelabschiebungen.html

    #renvois #expulsions #Allemagne #machine_à_expulser #asile #migrations #réfugiés #sans-papiers #déboutés #statistiques #chiffres #2023 #Deportation_Alarm #No_border_assembly

    ping @_kg_

  • L’Europe des camps d’enfermement - 2010
    https://visionscarto.net/europe-des-camps

    Titre : L’Europe des camps d’enfermement - 2010 Mots-clés : #migrations #réfugiés #asile #encampement #frontières #UE #Europe #politique_migratoire #politique_d'asile #violence Auteur : Olivier Clochard et Philippe Rekacewicz Date : Juin 2010 L’Europe des camps d’enfermement Olivier Clochard et Philippe Rekacewicz, juin 2010. #Collection_cartographique

  • Le #Comité_anti-torture_du_Conseil_de_l'Europe (#CPT) publie deux rapports sur l’observation d’une opération de retour soutenue par #Frontex depuis la #Belgique et #Chypre vers la #République_démocratique_du_Congo

    Le Comité pour la prévention de la torture et des peines ou traitements inhumains ou dégradants (CPT) du Conseil de l’Europe publie aujourd’hui deux rapports sur ses visites ad hoc effectuées en Belgique du 7 au 10 novembre et à Chypre du 7 au 9 novembre 2022, dans le cadre d’une opération de retour, organisée avec le soutien de Frontex, vers la République démocratique du #Congo, ainsi que les réponses des autorités belges et chypriotes.

    Les deux rapports examinent le traitement et les conditions de détention des ressortissants étrangers privés de liberté en vertu de la loi sur les étrangers, ainsi que les garanties accordées dans le cadre de leur éloignement. Le CPT a envoyé, pour la première fois, deux délégations pour observer la préparation et le déroulement d’une opération de retour conjointe (JRO) par voie aérienne qui a eu lieu le 8 novembre 2022 depuis la Belgique et Chypre vers la République démocratique du Congo. Le vol de retour a été organisé par la Belgique, avec la participation notamment de Chypre et avec le soutien de l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes (Frontex). Il s’agit de la sixième opération d’éloignement par voie aérienne observée par le CPT au cours des dix dernières années.

    Dans son rapport concernant la visite effectuée en Belgique, le CPT a noté que sa délégation n’a reçu aucune allégation de mauvais traitements de la part des personnes éloignées. Le Comité a constaté qu’elles ont été traitées avec respect par les agents d’escorte de la Police fédérale belge tout au long de l’opération d’éloignement, qui a été menée de manière professionnelle. Néanmoins, le CPT considère que les garanties procédurales contre le refoulement arbitraire, y compris les voies de recours contre l’ordre de quitter le territoire, devraient être renforcées davantage afin de veiller à ce que personne ne soit renvoyé dans un pays où il y a un risque réel de mauvais traitements. Ce risque devrait être évalué de manière adéquate au moment de l’éloignement.

    En ce qui concerne le recours à la force et aux moyens de contrainte, le CPT prend note des lignes directrices détaillées et des instructions opérationnelles émises par les autorités belges, qui reflètent la position du Comité en la matière. Il se félicite du recours proportionné et progressif à la force et aux moyens de contrainte dont tous les agents d’escorte de la Police fédérale ont fait preuve, sur la base d’une approche dynamique de la sécurité. Plusieurs recommandations sont formulées pour améliorer le respect du secret médical et la transmission des informations médicales.

    Dans le rapport sur la visite à Chypre, le CPT a constaté que les personnes renvoyées étaient traitées avec respect par la police chypriote, mais il a souligné la nécessité d’adopter des lignes directrices claires concernant la phase de préparation du vol et la procédure d’embarquement, y compris à l’égard des questions liées à la santé. Le CPT a également pris connaissance d’allégations de mauvais traitements après des tentatives d’éloignement non abouties qui ont eu lieu dans les mois précédant la visite du CPT. Cela implique que les autorités chypriotes adoptent une approche proactive en ce qui concerne la détection et la prévention des mauvais traitements, y compris grâce à un examen médical systématique des ressortissants étrangers, à leur arrivée au centre de rétention administrative et après une tentative d’éloignement non aboutie, ainsi que la consignation et le signalement des indices médicaux de mauvais traitements.

    Le CPT formule également des recommandations spécifiques visant à améliorer les garanties dans le cadre de la préparation à l’éloignement, notamment en ce qui concerne la notification en temps utile de l’éloignement, l’accès à un avocat et l’examen médical par un médecin avant l’éloignement, dans le cadre d’une évaluation de « l’aptitude à voyager en avion ».

    Dans leur réponse, les autorités belges notent que des mesures ont été prises au niveau européen pour améliorer la manière dont les informations médicales sont partagées par les États membres participant aux JRO avec le médecin accompagnant le vol. Au niveau national, les autorités ont pris des mesures pour améliorer l’accessibilité des informations sur le mécanisme de plainte de Frontex. En outre, les autorités belges se réfèrent aux lois, procédures et pratiques existantes en réponse aux recommandations du CPT de renforcer les garanties contre le refoulement arbitraire. Les autorités notent également les familles avec enfants ne sont pas retenues dans les centres de rétention.

    Dans leur réponse, les autorités chypriotes fournissent des informations sur les enquêtes en cours concernant les cas d’allégations de mauvais traitements soulevés par le CPT. Les autorités indiquent également les mesures prises en ce qui concerne, entre autres, les examens médicaux, la consignation et le signalement de lésions, les procédures pour les agents d’escorte policière lors des retours forcés et volontaires, l’utilisation de moyens de contrainte, et la mise à disposition de services d’interprétation et de formation pour les agents d’escorte. En outre, ils indiquent que, dans le cadre de la politique publique, aucune personne vulnérable n’est placée en rétention, y compris les mineurs non accompagnés ou les familles avec enfants.

    https://www.coe.int/fr/web/cpt/-/council-of-europe-anti-torture-committee-cpt-publishes-two-reports-on-the-monit

    #renvois #expulsions #asile #réfugiés #déboutés #migrations #rapport #privation_de_liberté #conditions_de_détention #détention_administrative #rétention #vols #opération_de_retour_conjointe #joint_return_operation (#JRO) #observation

  • #Orientation des migrants en région : des retours du terrain « de plus en plus inquiétants », faute de places dans l’#hébergement_d’urgence

    Des opérateurs craignent que la politique de #désengorgement de l’#Ile-de-France, qui passe par la création de « #sas », des centres d’#accueil_temporaire, n’offre pas de #solution pérenne.

    Marie (son prénom a été modifié) est déjà repartie. Cette Angolaise est arrivée à Bordeaux aux alentours de la mi-juin, avec son garçon de 6 ans. Cela faisait trois ans qu’ils étaient logés dans un centre d’accueil pour demandeurs d’asile (#CADA) dans le 12e arrondissement de #Paris.

    Courant avril, les gestionnaires de l’établissement ont commencé, selon Marie, à expliquer à certains des occupants – ceux qui avaient été #déboutés de leur demande d’asile ou qui avaient obtenu leur statut de réfugié – qu’ils devaient quitter les lieux, laisser la place à des personnes en cours de procédure. Ils leur ont proposé d’aller en région, à Bordeaux et en banlieue rennaise, dans des #centres_d’accueil temporaires.

    Certains ont refusé. Marie, elle, a été « la dernière à [se] décider à partir », sous la « #pression ». On lui avait fait miroiter une scolarisation pour son fils – déjà en CP à Paris – et un hébergement. Elle a vite déchanté. « On a pris mes empreintes à la préfecture et donné un récépissé pour une demande de réexamen de ma demande d’asile alors que je ne souhaitais pas faire cela, explique-t-elle. Je n’ai pas d’éléments nouveaux à apporter et je risque une nouvelle OQTF [obligation de quitter le territoire français]. On m’a expliqué que sans ça, je n’aurais pas le droit à un logement et que le 115 [l’#hébergement_d’urgence] à Bordeaux, c’est pire qu’à Paris, qu’on nous trouve des hébergements pour deux jours seulement. » Marie n’a pas hésité longtemps. Revenue à Paris, elle « squatte » désormais chez une amie. La semaine, elle envoie son fils au centre de loisirs tandis qu’elle fait des ménages au noir dans un hôtel. Tous les jours, elle appelle le 115 pour obtenir un hébergement. En vain.

    Cet exemple symbolise les difficultés du gouvernement dans sa politique d’ouverture de « sas ». Ces #centres_d’accueil_temporaire, installés en province, sont censés héberger des migrants qui se trouvent à la rue, dans des #hôtels_sociaux, des #gymnases ou encore dans les centres réservés aux demandeurs d’asile qui sont en cours de procédure.

    Approche discrète

    Cette politique, commencée début avril pour désengorger l’Ile-de-France – dont les dispositifs sont exsangues et plus coûteux pour le budget de l’Etat –, se veut pourtant innovante. Dix « sas » de cinquante places chacun doivent à terme ouvrir, dans lesquels les personnes transitent trois semaines au plus, avant d’être basculées principalement vers de l’hébergement d’urgence généraliste ou, pour celles qui en relèvent, vers le #dispositif_d’accueil des demandeurs d’asile. Ces « sas » reposent sur le #volontariat et, pour susciter l’adhésion, sont censés « permettre d’accélérer le traitement des situations des personnes dont l’attente se prolonge en Ile-de-France sans perspective réelle à court et moyen termes », défend, dans un courriel adressé au Monde, le ministère du logement.

    C’est ce dernier qui pilote désormais la communication autour du dispositif. Au moment du lancement de celui-ci, c’est le ministère de l’intérieur qui en avait présenté les contours. Un changement d’affichage qui n’est pas anodin. Dans un contexte sensible, où plusieurs projets de centres d’accueil pour migrants en région ont suscité des manifestations hostiles, voire violentes de l’extrême droite, les pouvoirs publics optent pour une approche discrète.

    Dans les faits, d’après les premiers éléments remontés et portant sur plusieurs centaines de personnes orientées, « 80 % sont des réfugiés statutaires et des demandeurs d’asile », le restant étant constitué de personnes sans-papiers, rapporte Pascal Brice, président de la Fédération des acteurs de la solidarité (FAS), qui chapeaute quelque 870 structures de lutte contre l’exclusion, dont les opérateurs de ces « sas » régionaux. « C’est un travail auprès des #sans-abri, migrants ou pas, ce n’est pas le sujet », martèle-t-on néanmoins au cabinet d’Olivier Klein, le ministre délégué au logement.

    « On est en train de planter le dispositif »

    Une posture qui agace Pascal Brice. Il dresse un parallèle avec la situation qui a prévalu à Saint-Brevin (Loire-Atlantique), où le maire (divers droite), Yannick Morez, a démissionné en dénonçant l’absence de soutien de l’Etat. L’édile avait été victime de menaces de mort et son domicile incendié dans un contexte de déménagement d’un CADA. « Il faut se donner les moyens politiques de réussir ce dispositif, or l’Etat n’assume pas sa politique d’accueil organisé et maîtrisé. Il fait les choses en catimini », regrette M. Brice. Les remontées du terrain seraient, en outre, « de plus en plus inquiétantes », assure le président de la FAS.

    Adoma, l’opérateur d’un « sas » de cinquante places dans le 10e arrondissement de Marseille, considère que ce dernier « joue son rôle ». « Nous en sommes au troisième accueil de bus et ça fonctionne. Nous avons la garantie que les gens ne seront pas remis à la rue », rapporte Emilie Tapin, directrice d’hébergement pour #Adoma dans la cité phocéenne, où ont jusque-là été accueillis une majorité d’hommes afghans en demande d’asile. Mais ailleurs, le manque de places d’hébergement d’urgence vers lesquelles faire basculer les personnes après leur passage en « sas » se dresse comme un sérieux obstacle.

    « Notre 115 est saturé et on a déjà des #squats et des #campements », s’inquiète Floriane Varieras, adjointe à la maire écologiste de Strasbourg. Une commune voisine, Geispolsheim, accueille un « sas ». « Sans création de places nouvelles, la tension sur l’hébergement d’urgence est tellement forte qu’on craint que le schéma vertueux qui visait à éviter que les personnes ne reviennent en région parisienne ne craque », signale à son tour la directrice générale de France terre d’asile, Delphine Rouilleault, qui s’occupe d’un « sas » près d’Angers.

    Le ministère du logement assure que 3 600 places ont été « sanctuarisées dans le parc d’hébergement d’urgence pour faciliter la fluidité à la sortie des structures d’accueil temporaires ». Ce qui sous-entend que ces orientations se feront à moyens constants.

    « On est en train de planter le dispositif, alerte Pascal Brice. Des gens sont orientés vers le 115 depuis les “sas” et remis à la rue au bout de quarante-huit heures. C’est insoutenable. Je me suis rendu dans plusieurs régions et, partout, l’Etat ferme des places d’hébergement d’urgence. Si les conditions perduraient, la FAS devrait à son plus grand regret envisager un retrait de ce dispositif. »

    La province ? « Tu ne peux pas bosser là-bas »

    Outre la question de l’hébergement, le succès des « sas » devait s’appuyer sur la promesse faite aux personnes d’une étude bienveillante de leur situation administrative. Sans parler franchement de régularisation, le ministère de l’intérieur avait assuré au Monde, en mars, qu’il y aurait des réexamens au regard du #droit_au_séjour. « Il y a un travail de conviction qui n’est pas encore installé », considère à ce stade Mme Rouilleault.

    Le Monde a rencontré plusieurs familles ayant refusé une orientation en #province, à l’image de Hawa Diallo, une Malienne de 28 ans, mère de deux filles, dont une âgée de 10 ans et scolarisée dans le 15e arrondissement. « J’ai beaucoup de rendez-vous à Paris, à la préfecture, à la PMI [protection maternelle et infantile], à l’hôpital, justifie-t-elle. Et puis le papa n’a pas de papiers, mais il se débrouille à gauche, à droite avec des petits boulots. »

    La province ? « Pour ceux qui sont déboutés de l’asile, ça ne sert à rien. Quand tu n’as pas de papiers, tu ne peux pas bosser là-bas », croit à son tour Brahima Camara. A Paris, cet Ivoirien de 30 ans fait de la livraison à vélo pour la plate-forme #Deliveroo. « Je loue un compte à quelqu’un [qui a des papiers] pour 100 euros par semaine et j’en gagne 300 à 400. C’est chaud, mais c’est mieux que voler. » Sa compagne, Fatoumata Konaté, 28 ans, est enceinte de quatre mois. Les deux Ivoiriens n’ont jamais quitté la région parisienne depuis qu’ils sont arrivés en France, il y a respectivement quatre et deux ans. Ils ont, un temps, été hébergés par le 115 dans divers endroits de l’Essonne. Depuis un an, « on traîne à la rue », confie Fatoumata Konaté. « Parfois, on dort dans des squats, parfois on nous donne des tentes. »

    Chaque nuit, rien qu’à Paris, un millier de demandes auprès du 115 restent insatisfaites. Lasses, le 6 juillet, plus d’une centaine de personnes en famille originaires d’Afrique de l’Ouest ont investi deux accueils de jour de la capitale tenus par les associations Aurore et Emmaüs et y ont passé la nuit, faute de solution. « La situation devient intenable, prévient le directeur général d’Emmaüs Solidarité, Lotfi Ouanezar. On ne résoudra rien si on ne change pas de braquet. »

    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/17/orientation-des-migrants-en-region-des-retours-du-terrain-de-plus-en-plus-in

    #migrations #asile #réfugiés #France #hébergement #SDF #dispersion

    via @karine4

  • Jeunes débouté·es de l’asile : le coût économique de l’interdiction de travailler

    Mandatée par le Centre social protestant Genève et Vivre Ensemble, une étude universitaire a évalué le manque à gagner pour la collectivité genevoise que représente l’interdiction de travailler faite aux jeunes personnes déboutées de l’asile. Sa conclusion : entre #coûts de l’#aide_d’urgence et absence de salaire, sur quelque 32 jeunes vivant dans le canton, ce sont 13 millions de francs sur 10 ans de pertes sèches pour l’#économie genevoise. Une estimation minimale. En publiant cette étude, nos associations souhaitent encourager les autorités du Canton de Genève à s’appuyer sur ses conclusions pour mettre en œuvre une politique pragmatique et humaine, à l’instar de celle menée par d’autres cantons suisses.

    Aujourd’hui, une trentaine de personnes « déboutées de l’asile » âgées de 18 à 24 ans vivent à Genève. Pour beaucoup, le rejet de leur demande d’asile est survenu après plusieurs années de scolarité et d’intégration. Au terme de leur première formation, elles se sont vues interdites de travailler ou d’entamer un apprentissage dual. D’autres, arrivées après 19 ans, n’ont ni pu commencer de formation post-obligatoire ni eu accès au marché du travail. Pour toutes, le quotidien est celui de l’aide dite « d’urgence » − une aide à la survie de 10 CHF par jour et un logement précaire – dont la durée est indéfinie en raison d’un renvoi généralement inexécutable.

    Le chercheur Julien Massard, de l’Institut de recherche appliquée en économie et gestion (Université de Genève et Haute école de gestion), a cherché à estimer le manque à gagner que représente cette situation pour la collectivité. En se fondant sur une méthodologie prudente, sous la supervision des professeurs Giovanni Ferro-Luzzi et Tobias Müller, il a établi trois parcours types de formation et d’entrée sur le marché de l’emploi. En affinant ses calculs, l’économiste a pu estimer deux types de coûts : le coût direct du système d’aide d’urgence et le coût d’opportunité, c’est-à-dire le manque à gagner de l’inactivité́ de cette jeune main- d’œuvre pour l’économie genevoise. Cumulés, ces deux coûts atteignent 13 millions de francs sur dix ans. Et c’est un minimum : le calcul concerne les 32 personnes actuellement présentes dans le canton. Or, il est probable que d’autres personnes se retrouveront dans la même situation dans les années à venir. Les calculs ne comprennent pas non plus les effets collatéraux de l’aide d’urgence que sont les atteintes à la santé, notamment psychologiques, et leurs coûts, difficilement calculables.

    Cela fait plusieurs années que nos associations mènent un combat juridique et politique pour que les jeunes personnes déboutées puissent poursuivre la formation de leur choix, avoir accès au marché de l’emploi et être régularisées. Cette étude vient confirmer le constat que nous martelons depuis des années : l’impasse dans laquelle se trouvent ces jeunes est aussi coûteuse pour elles que pour la collectivité.

    D’autres cantons ont dernièrement mis en place une politique qui prend en compte les réalités de ces jeunes. Notamment Fribourg et son programme FriRAD, mis sur pied en octobre 2022 « en vue d’extraire de ce statu quo stérile certaines situations qui présentent un potentiel d’intégration suffisant » (Rapport d’activité 2022 du Conseil d’État fribourgeois, p. 45).

    Au vu des résultats de cette étude et de l’expérience menée dans le canton de Fribourg, nous invitons les autorités genevoises à changer de paradigme et à autoriser les jeunes personnes déboutées à se construire un avenir en Suisse.

    https://asile.ch/2023/06/13/jeunes-deboute%c2%b7es-de-lasile-le-cout-economique-de-linterdiction-de-travai
    #travail #déboutés #asile #déboutés_de_l'asile #Suisse #migrations #réfugiés #interdiction_de_travail

  • Ces méthodes secrètes d’expulsion

    Renvoyer par tous les moyens et à n’importe quel coût. Voici à quoi font penser les méthodes du Secrétariat d’Etat aux migrations (#SEM). Peu importe si les pratiques utilisées contournent les règles établies par d’autres Etats. Entre 2012 et 2014 au moins, la Suisse a recouru aux services d’une petite compagnie française pour renvoyer à bord de jets des personnes migrantes vers l’Italie.

    Tout laisse à penser qu’il s’agissait de #vols_spéciaux camouflés. Ils étaient enregistrés comme des #vols_de_ligne, mais seules les personnes à renvoyer et du personnel de sécurité et d’encadrement étaient à bord. Il s’agissait d’un moyen de procéder à des renvois difficiles, en contournant les directives italiennes qui refusaient les vols spéciaux. Cette méthode permettait également de ne pas attirer l’attention de la Commission nationale de prévention de la torture (CNPT) qui accompagne tous les vols spéciaux mais pas l’entier des autres renvois par les airs.

    Entre 2014 et 2016, la Confédération avait tout fait pour garder secrètes ces méthodes et ne pas dévoiler les contrats qu’elle avait conclus avec des compagnies aériennes dans le cadre de ces expulsions. Elle craignait de voir les relations entre la Suisse et l’#Italie se détériorer et ces expulsions compromises si le public l’apprenait. Le Tribunal administratif fédéral a finalement contraint Berne à divulguer certains contrats que Le Courrier a obtenus.

    Une enquête du média alémanique Republik révèle que cette pratique n’est pas enterrée. Deux Algériens ont été renvoyés par ce type d’avion en mai dernier. Interrogé, le SEM use de la langue de bois. Il dit ne pas avoir de statistiques sur la taille des avions utilisés. Les contrats transmis sont caviardés. Nous ne savons pas combien d’argent l’Etat engage pour refouler les requérant·es d’asile débouté·es. Ni comment se déroulent ces renvois potentiellement susceptibles de violer des #droits_humains puisqu’aucun civil ne se trouve à bord. On peut sérieusement se questionner sur le coût financier et environnemental du recours à ce type de #refoulement aux frais du contribuable.

    Dans un contexte où les renvois vers la Croatie sont de plus en plus contestés et que l’Italie a suspendu temporairement l’application des accords de Dublin, on peut craindre que de nouvelles méthodes discutables soient mises en place. Le Secrétariat d’Etat aux migrations doit faire preuve de davantage de transparence sur l’exécution des renvois afin de prouver que ceux-ci respectent les droits humains. Il s’agit d’un sujet d’intérêt public majeur, celui du respect élémentaire de la dignité humaine !

    https://lecourrier.ch/2023/04/20/ces-methodes-secretes-dexpulsion

    #expulsions #asile #migrations #réfugiés #Suisse #renvois #jets_privés #compagnies_aériennes #déboutés #refoulements

    • Expulsés par jet

      Des personnes migrantes ont été renvoyées à bord de jets, enregistrés par la Suisse comme des vols de ligne. Une pratique controversée que les autorités veulent garder secrète.

      Ligotés et escortés par douze policiers à bord d’un avion de 19 places. Voici comment deux Algériens affirment avoir été expulsés par la Suisse vers Lyon, puis Alger l’an dernier, dans une enquête du média alémanique Republik, publiée en début d’année. La Suisse a recouru par le passé à de petits avions pour refouler de force des personnes migrantes vers des Etats européens. Ces liaisons étaient enregistrées comme des vols de ligne réguliers. Pourtant, seules les personnes à expulser et du personnel de sécurité ou d’encadrement se trouvaient à bord.

      Une pratique qui soulève de nombreuses questions. Ce moyen permettrait à la Suisse de dissimuler aux pays de destination qu’il s’agit de retours sous la contrainte. Il permettrait également de passer, au moins en partie, entre les filets de la Commission nationale de prévention de la torture (CNPT). En effet, celle-ci n’accompagne que rarement les expulsions par vols de ligne, alors qu’elle le fait pour tous les vols spéciaux, bien plus sensibles au risque de violations des droits humains. Le Courrier a voulu savoir dans quelles conditions ces moyens étaient utilisés et s’ils étaient encore d’actualité, mais le Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM) semble vouloir garder ces pratiques secrètes.

      D’après Republik, deux Algériens ont été renvoyés depuis Zurich vers Lyon le 31 mai 2022 dans un petit bimoteur à hélices de 19 places, de la compagnie aérienne française #Twin_Jet. Ils auraient ensuite été transférés dans un avion de la compagnie #ASL_Airlines qui les a expulsés vers Alger, avec l’aide de la police française. A cette époque, l’Algérie n’acceptait pas les retours sous contraintes de ses ressortissant·es.

      Vol spécial camouflé ?

      Selon le témoignage de l’un des deux hommes, recueilli par le média alémanique, l’un d’entre eux aurait été attaché à un fauteuil roulant afin d’être entièrement immobilisé. Ils étaient escortés par douze policiers au total, six par personne. Le Courrier a contacté Tana Ibarra, conseillère juridique bénévole de l’association Asylex chargée de représenter l’une de ces deux personnes. « C’est la première fois que j’observe un renvoi effectué de cette façon. Pour moi, il s’apparente clairement à un vol spécial de degré 4 (lire ci-dessous). Ce n’est que dans des cas extrêmes que la Suisse réserve un avion pour renvoyer uniquement deux personnes, car c’est extrêmement cher. »

      L’avocate, qui vient en aide aux personnes migrantes détenues, explique que son client était sous le coup d’une ordonnance pénale et d’une interdiction à vie d’entrée sur le territoire suisse. Elle ne connaît pas la nature du délit commis. « Il vivait en Suisse depuis plusieurs années et était bien intégré. Les autorités avaient déjà tenté de le renvoyer à plusieurs reprises. »

      Ce n’est pas la première fois que #swissREPAT, la section du SEM responsable des voyages de retour, a recours à des jets pour expulser des personnes déboutées. Entre octobre 2012 et 2014 au moins, Twin Jet lui réservait sa liaison Genève-Milan/ Malpensa à une fréquence hebdomadaire ou bimensuelle. Le Courrier a obtenu quatre contrats (lire ci-dessous) qui le confirment. La compagnie française basée à Aix-en-Provence garantissait à SwissREPAT 19 places. Les montants des contrats en jeu sont en revanche caviardés. Impossible de connaître la facture de ces renvois. En 2017, le média français Buzzfeed.News révélait des accords similaires entre Twin Jet et la France. Trente-quatre millions d’euros auraient été dépensés entre 2006 et 2017 par l’Etat français.

      Billets impossibles à obtenir

      En Suisse, le SEM affirme que ce sont des vols de ligne réguliers. Pourtant, lorsqu’un journaliste de l’hebdomadaire die Wochenzeitung (WOZ) avait tenté en 2014 d’y réserver un siège, Twin Jet lui avait répondu qu’il s’agissait de vols privés. Aujourd’hui, aucune liaison Zurich- Lyon n’apparaît sur le site internet de la compagnie. Tout laisse à penser que ces avions étaient affrétés par SwissREPAT dans le but unique d’expulser des requérant·es d’asile.

      Cette pratique questionne également d’un point de vue du respect des droits humains. En 2010, le décès d’un ressortissant nigérian peu avant d’embarquer à bord d’un vol spécial avait eu l’effet d’un électrochoc et poussé le SEM à accepter la présence d’observateurs et observatrices indépendant·es à bord à la suite des critiques de l’ONU. Depuis 2012, la CNPT accompagne toutes les expulsions par vols spéciaux. Chaque année, son rapport dénonce de manière récurrente des pratiques policières inappropriées et un recours excessif aux entraves préventives.

      « Nous sommes notifiés de tous les renvois par les airs. Nous recevons le nom des compagnies par lesquelles sont effectuées les expulsions, nous partons donc du principe qu’il s’agit de vols de ligne et de renvois de niveau 2 et 3 », explique Livia Hadorn, cheffe du secrétariat de la CNPT. « Nos capacités sont limitées, nous ne pouvons pas assister à tous ces types de rapatriements qui sont beaucoup plus nombreux que les vols spéciaux. »

      Le renvoi des deux Algériens de Zurich vers Lyon en 2022 montre que cette méthode a à nouveau été utilisée en 2022. « Nous n’avons reçu les détails du renvoi que longtemps après qu’il a été opéré et à la suite de nombreuses demandes », relate Tana Ibarra, qui représente juridiquement l’un d’entre eux. « Il est très choquant de constater que la Suisse a explicitement demandé l’assistance de la France pour renvoyer ces personnes via son territoire. Elle contourne ainsi la décision de l’Algérie et ne veut pas que le public l’apprenne. »

      Aucun témoin

      Si la cheffe du secrétariat de la CNPT ne se prononce pas au sujet de ce cas précis, elle juge toutefois la pratique ambiguë : « Effectivement, si le vol est présenté comme un vol de ligne mais qu’il n’y a aucun autre passager à même d’observer et de dénoncer d’éventuelles violations des droits humains, cela rend l’opération plus sensible que les autres renvois de niveau 2 et 3. »

      Depuis l’enquête de Republik, la commission se dit plus attentive à ce type de renvois. « Nous dialoguons régulièrement avec le SEM et avons abordé la question de ces vols particuliers. Nos conclusions figureront dans le rapport que nous publierons en juin », poursuit Livia Hadorn. Elle n’a pas souhaité nous dire si ces pratiques étaient encore d’actualité.

      Interrogé sur les conditions dans lesquelles de petits avions sont utilisés lors d’expulsions, le SEM botte en touche. « Nous utilisons toutes les liaisons disponibles pour effectuer des rapatriements. La taille des avions n’a aucune importance et nous n’avons aucune influence sur le type d’avions proposés par les compagnies aériennes », avance son porte-parole, Lukas Rieder. Lorsqu’on le questionne sur le nombre de renvois effectués par ce biais, il affirme ne pas disposer de statistiques sur la taille des engins utilisés.

      En épluchant les rapports de la CNPT, on apprend qu’au moins 50 vols « T7 » ont eu lieu en 2013 et 2014. Les rapports concernant les années suivantes ne font plus état de renvois de ce type. Il est mentionné que dès 2015, un autre type d’avion a été choisi. Le porte-parole du SEM indique que la ligne Genève-Milan/Malpensa a été supprimée en 2017

      En mai dernier, d’après Republik, la CNPT a bien été notifiée d’un renvoi forcé par les airs entre Zurich et Lyon. Le vol n’a pourtant pas été annoncé comme un vol T7, comme par le passé, ni comme un vol spécial. Si ça avait été le cas, un membre de la commission aurait été présent pour documenter le renvoi.

      LUTTE POUR LA TRANSPARENCE

      En 2014, en marge d’une enquête dévoilant le recours aux vols « T7 », l’hebdomadaire alémanique Wochenzeitung (WOZ), invoquant la loi sur la transparence, demandait l’accès aux contrats liant la Confédération à différentes compagnies aériennes dans le cadre des renvois. Le SEM, de concert avec le Département fédéral des affaires étrangères, refusait. Les autorités sont allées jusqu’au Tribunal administratif fédéral (TAF) afin de garder ces accords secrets. En 2016, le TAF a donné partiellement gain de cause à la WOZ. Le SEM a ainsi été obligé de divulguer certains contrats, que Le Courrier a pu ensuite obtenir.

      L’arrêt stipule que les autorités refusaient de rendre public les contrats pour « garder secrète et protéger une pratique de rapatriement qui contourne les directives relatives au rapatriement de requérants d’asile vers l’Italie par voie aérienne ». Dans sa défense, la Confédération invoquait une potentielle détérioration des relations entre les deux pays, si les documents étaient rendus publics. Le TAF n’a pas jugé ces arguments convaincants et a même qualifié la pratique du SEM de « discutable d’un point de vue de l’Etat de droit ». Il affirme que l’intérêt public à connaître cette pratique et pouvoir la critiquer prime.

      https://lecourrier.ch/2023/04/20/expulses-par-jet

  • Renvoyer, même de façon illégale ?

    Une enquête (https://www.republik.ch/2023/01/17/abschiebungen-um-jeden-preis) du média en ligne alémanique Republik parue le 17 janvier 2023 révèle qu’en 2022, sous l’égide de l’ancienne cheffe du Département fédéral de justice et police Karin Keller-Sutter, la Confédération a mis en place en toute discrétion un système de #vols d’expulsion « parallèle » de manière à passer sous les radars de la #Commission_nationale_de_prévention_de_la_torture (#CNPT) censée, selon la loi, surveiller tous les renvois sous contrainte (Art. 9 al. 2 de la loi fédérale sur l’usage de la contrainte qui est une reprise de la Directive « retour » de l’Union européenne (art. 8, par.6)).

    Selon Republik, le #SEM a affrété des #jets_privés pour procéder à des expulsions sous la #contrainte de niveau 4 (#vols_spéciaux) tout en les annonçant comme des #vols_de_ligne aux observateurs·trices de la CNPT. Les expulsions par vols de ligne sont soumises à des obligations moins strictes en matière de #droits_humains : la CNPT, qui surveille chaque #vol_spécial, ne les accompagne que très rarement et le SEM le sait. L’un des renvois recensés par Republik partait de Zurich pour Lyon, où la police française a pris le relais pour une expulsion vers Alger. Pour rappel, l’#Algérie n’accepte que les #retours_volontaires. Jointe par le journaliste, une des deux personnes raconte avoir été « complètement ligotée », attachée à une chaise roulante et avoir subi des violences.

    « Discutable du point de vue de l’État de droit »

    Alertée par Republik, la CNPT a annoncé qu’elle surveillera à l’avenir ce type de vols. Le journaliste rappelle que des #renvois_forcés sur jets privés avaient déjà été menés sous l’ère Gattiker-Sommaruga en vue de contourner les dispositions légales exigées par l’Italie dans le cadre de renvois Dublin, que la CNPT les avait dénoncés, et qu’en 2016, le Tribunal administratif fédéral avait décrit cette forme d’expulsion comme une « pratique de renvoi discutable du point de vue de l’État de droit ». (A-683/2016, point 7.1.3) Un jugement contraignant le SEM à rendre publics les documents internes relatifs à cette pratique controversée, que beaucoup pensaient abandonnée.

    C’est dire l’importance d’un regard indépendant lors de ces renvois sous contrainte. Car même dans les cas où la CNPT est présente, les droits humains sont violés. Une lecture publique du dernier rapport de la CNPT (https://www.nkvf.admin.ch/nkvf/fr/home/publikationen/mm.msg-id-90231.html) devrait d’ailleurs être organisée pour que la population mesure ce que les personnes en exil subissent.

    « Pratique inhumaine et dégradante »

    Il fait notamment état du cas d’une femme enceinte qui a dû allaiter l’un de ses enfants en étant menottée. Une « manière de procéder inhumaine et dégradante », selon Daniel Bolomey, membre de la CNPT, qui viendra s’exprimer lors de la prochaine Conférence romande sur l’asile organisée à Lausanne le 11 mars 2023. Elle portera justement sur les renvois (voir ici : https://paires.ch/programme-dactivites/conferenceromande).

    https://asile.ch/2023/03/09/renvoyer-meme-de-facon-illegale

    #Suisse #renvois #expulsions #asile #migrations #réfugiés #déboutés #légalité #illégalité

    • Abschiebungen um jeden Preis

      Der Bund schiebt Ausländer in gecharterten Privat­flugzeugen ab und vertuscht die Flüge. Werden die Menschen­rechte eingehalten? Jetzt schaltet sich die Antifolter­kommission ein.

      Die Beechcraft 1900D ist eine kleine, zweimotorige Propeller­maschine, die häufig auf kurzen Strecken zum Einsatz kommt: als Fracht­flugzeug, für Geschäfts­reisen oder – wie in diesem Fall – für Abschiebungen.

      Am 31. Mai 2022 steht eine solche Propeller­maschine der Airline Twin Jet auf dem Rollfeld des Zürcher Flughafens, Flugnummer T7 1272, der Abflug ist für 12.05 Uhr geplant. Kurz vor dem Start bringt die Flughafen­polizei Zürich zwei Algerier zum Flugzeug. Reason for deportation steht auf einem Dokument, das die Behörden für sie ausgestellt haben und: illegal stay – die Männer sollen abgeschoben werden, weil sie sich illegal in der Schweiz aufhielten.

      Der Flug gilt laut Staats­sekretariat für Migration (SEM) als regulärer Linien­flug. Das ist er dem Anschein nach auch: Er ist im Linienplan eingetragen, und auf der Website der Flug­gesellschaft Twin Jet führt eine kurze geschwungene Linie von Zürich nach Lyon.

      Aber es gibt keine Möglichkeit für gewöhnliche Reisende, den Flug zu buchen: Auf der Website von Twin Jet gibt es keine Flug­daten, Tickets stehen nicht zum Verkauf. Auch auf explizite Nachfrage weigert sich der Betreiber Twin Jet, der Republik ein Ticket zu verkaufen. Es handle sich um Privatflüge – des vols privés.

      Wie ist das möglich?

      Recherchen der Republik zeigen: Der Bund hat letztes Jahr unter der damaligen Justiz­ministerin Karin Keller-Sutter klamm­heimlich ein System für Abschiebe­flüge eingerichtet, mit dem er unerwünschte Ausländer gegen ihren Willen ausschaffen kann, ohne öffentliche Aufmerksamkeit zu erregen und ohne dass Menschenrechts­beobachter an Bord wären. Diese Sonderflüge auf der Strecke von Zürich nach Lyon in Frankreich deklariert der Bund fälschlicher­weise als gewöhnliche Linien­flüge. Bei Abschiebungen auf Linien­flügen gelten weniger strenge menschen­rechtliche Standards: Die Beobachterinnen der Antifolter­kommission, die jeden Sonderflug überwachen, begleiten nur äusserst selten Abschiebungen auf Linien­flügen.

      Von der Republik auf diese Abschiebe­flüge hingewiesen, kündigt die Antifolter­kommission an, diese künftig zu überwachen, um allfällige Menschenrechts­verletzungen zu dokumentieren.

      «Rechts­staatlich fragwürdige Praxis»

      Es ist nicht das erste Mal, dass das Staats­sekretariat für Migration diese umstrittene Praxis anwendet. Doch bis vor kurzem ging man davon aus, dass das SEM diese Flüge längst aufgegeben habe. Schliesslich hatte das Bundes­verwaltungs­gericht diese Form der Abschiebungen 2016 in einem Urteil als «rechts­staatlich fragwürdige Rückführungs­praxis» beschrieben.

      Zwei Jahre zuvor, im Sommer 2014, hatte die Schweizer Antifolter­kommission diese Flüge entdeckt und kritisiert: In einem Prüfbericht zeigte sich die Kommission «beunruhigt», die Flüge seien «problematisch», der Flugzeugtyp «nicht geeignet», es gebe «keine medizinische Begleitung». Bei Notfällen sei zu wenig Platz da, um angemessen zu reagieren. Zudem würden die Passagiere systematisch voll gefesselt, also Hände und Füsse in Hand­schellen gelegt und die Hände an einem speziellen Hüftgurt festgemacht – selbst wenn Kinder mit an Bord seien.

      In der Folge zeigten Medien­recherchen die Hinter­gründe dieser ominösen Abschiebeflüge.

      Das Staats­sekretariat für Migration hatte die kleinen Privat­flugzeuge der französischen Firma Twin Jet zwar gechartert, diese offiziell aber als reguläre Linienflüge eintragen lassen. Die Antifolter­kommission nannte sie ominös «T7-Flüge», angelehnt am Airline-Code von Twin Jet: T7. Alle zwei Wochen flogen diese Flüge von Genf nach Mailand. So schob das SEM zwischen Juni 2012 und März 2015 insgesamt 235 Personen nach Italien ab. Die Falsch­deklaration der Flüge als Linien­flüge diente dazu, die italienischen Behörden zu täuschen und sie über den wahren Zweck der Flüge im Dunkeln zu lassen. Das ging später aus einem geheimen Schreiben des damaligen Staats­sekretärs Mario Gattiker hervor.

      Als die fragwürdigen Manöver des SEM aufzufliegen drohten, wehrte sich die Migrations­behörde bis ans Bundes­verwaltungs­gericht, um die Verträge mit der französischen Flug­gesellschaft vor Journalistinnen geheim zu halten, und verlangte, dass selbst die Begründung für die Geheim­haltung geheim gehalten werde.

      Die Verträge musste das SEM schliesslich doch herausgeben. Sie liegen der Republik vor.

      Twin Jet sicherte damals schriftlich zu, dass auf diesen Flügen sämtliche 19 Plätze exklusiv den Schweizer Behörden zur Verfügung stehen. Das geht aus mehreren Verträgen aus den Jahren 2012 bis 2014 hervor, die der Republik vorliegen. Die heutigen Verträge dürften ähnlich ausgestaltet sein. Sicher ist das nicht. Das SEM erteilt grundsätzlich «keine Auskunft über einzelne Rück­führungen oder über die Flug­gesellschaften, mit denen es dabei zusammen­arbeitet». Es bestätigt noch nicht einmal, dass es mit Twin Jet eine Zusammen­arbeit gibt, und verweigert auch jeden Kommentar zum Flug, der am 31. Mai 2022 von Zürich aus abhob.
      Zwei Passagiere, zwölf Polizisten

      Die Maschine mit den zwei Algeriern an Bord fliegt an diesem Tag nicht direkt nach Nord­afrika, sondern lädt die beiden Männer in Frankreich ab, am Flughafen Lyon Saint-Exupéry. Dort sollen sie mit Unterstützung der französischen Polizei auf ein Flugzeug der ASL Airlines gebracht werden, die sie weiter nach Algier fliegt. Das geht aus behördlichen Dokumenten zum Flug hervor, die der Republik vorliegen.

      Zwar gibt es seit letztem Jahr wieder einen direkten Linien­flug aus der Schweiz nach Algerien (während der Corona-Pandemie war der Direkt­flug gestrichen worden). Aber im Mai 2022 akzeptieren die algerischen Behörden gemäss SEM nur freiwillige Rück­kehrer auf diesen Flügen, keine polizeilich begleiteten Zwangs­rückführungen.

      Das gilt insbesondere für sogenannte Sonder­flüge. So heissen Charter­flüge, die ausschliesslich der Abschiebung unerwünschter Ausländerinnen dienen. Sonder­flüge geraten immer wieder in die Kritik, weil die Menschen auf diesen Flügen nur mit Zwang, also polizeilicher Gewalt und in manchen Fällen sehr viel polizeilicher Gewalt, in ihre Herkunfts­länder gebracht werden. Dabei kommt es immer wieder zu Menschen­rechts­­verletzungen.

      Auch die beiden Algerier auf dem Flug T7 1272 im Mai vergangenen Jahres gehen nicht freiwillig. Sie werden begleitet von insgesamt zwölf Polizisten, je sechs pro Person. Das hatte das SEM bereits zwei Wochen vor Abflug festgelegt.

      «Anzahl der notwendigen Flug­begleiter» heisst es im entsprechenden Dokument: 6 Männer, 0 Frauen; 1 Equipen­leiter, 5 Begleiter.

      Einen der beiden ausgeschafften Männer kann die Republik nach seiner Abschiebung telefonisch in Algerien erreichen. Er beschreibt die Geschehnisse des Tages so:

      Er habe vor dem Abflug in einer Zelle des Flughafen­gefängnisses Zürich gleich neben der Rollbahn gewartet. Dann seien mehrere Polizisten gekommen und hätten ihn «vollständig gefesselt»: an Armen, Händen, Füssen, Hüfte, sagt der Mann. Zudem habe man ihn auf einen Roll­stuhl gebunden, sodass er sich nicht mehr habe bewegen können. Zusammen­geschnürt wie ein Paket habe man ihn zum Flugzeug gebracht. Als er einmal versucht habe, sich an einer Stange festzuhalten, hätten die Polizisten auf ihn eingeschlagen. Er habe am ganzen Körper blaue Flecken davongetragen.

      Die Kantons­polizei Zürich äussert sich nicht zu den Vorwürfen. Ihr lägen keine Informationen dazu vor.

      Das SEM will den Flug grundsätzlich nicht kommentieren. Es hält fest, dass es weder nach Frankreich noch nach Algerien Sonder­flüge durchführe. «Es nutzt aber die Möglichkeit, weggewiesene Personen per Linien­flug zurück­zuführen. Anders als in einem Sonder­flug kommen keine Zwangs­massnahmen wie etwa Vollfesselung zur Anwendung.»

      Was genau auf dem Flug T7 1272 geschah, kann niemand unabhängig bezeugen. Der Mann hat keine Fotos seiner Verletzungen. Und ausser den mutmasslichen Tätern und Opfern war niemand anwesend. Keine Passagiere, keine Ärztin – und auch keine Menschen­rechts­beobachter.
      Übermässige Polizei­gewalt, rechts­widrige Fesselungen

      Leo Näf weiss, wie es auf Abschiebe­flügen zu- und hergehen kann. Er ist seit 2011 Mitglied der Nationalen Kommission zur Verhütung von Folter, besser bekannt als Antifolter­kommission. Er ist so lange dabei wie kein anderes Mitglied. Dieses Jahr wird er die Kommission wegen der Amtszeit­beschränkung verlassen.

      Vierzig oder fünfzig Flüge habe er im letzten Jahrzehnt begleitet und beobachtet, sagt Näf. Vom Abholen im Gefängnis über den Transport ins Flugzeug bis zur Ankunft im Zielland. Immer waren es Sonder­flüge, die aus menschen­rechtlicher Sicht besonders heikel sind.

      Das Mandat, Ausschaffungs­flüge zu überwachen, hat die Antifolter­kommission im Jahr 2012 vom Bund erhalten. Zwei Jahre zuvor war Joseph Ndukaku Chiakwa bei den Vorbereitungen für einen Sonder­flug nach Nigeria gestorben. Eine Uno-Kommission kritisierte, dass die Schweiz bei Zwangs­ausschaffungen keine unabhängigen Beobachterinnen zuliess. Die Schweiz passte darauf ihre Praxis an und liess seither alle Sonder­flüge überwachen, so wie es die entsprechende EU-Rückführungs­richtlinie vorsieht.

      Regelmässig veröffentlicht die Antifolter­kommission seither Prüfberichte «betreffend das ausländer­rechtliche Vollzugs­monitoring». Darin dokumentieren die Beobachter der Antifolter­kommission unverhältnis­mässige Polizei­gewalt, rechtswidrige Fesselungen oder dramatische Einzel­fälle, bei denen grund­legende Menschen­rechte missachtet werden.

      Im jüngsten Bericht etwa ist ein Fall beschrieben, bei dem eine schwangere Frau vor ihren Kindern gefesselt wurde und ihr Kleinkind in Hand­schellen stillen musste. Danach wurde die Frau, die über Schmerzen im Bauch klagte, «auf inadäquate Art» von mehreren Polizistinnen die Treppe hinunter­getragen und in einen Kleinbus gebracht, der sie zum Flughafen fuhr. Die Antifolter­kommission beurteilte das Vorgehen der Polizei als «erniedrigend und unmenschlich».

      Die Wirkung solcher Berichte ist allerdings begrenzt: Die Kommission kann nur Empfehlungen aussprechen, keine Sanktionen verhängen. Ihr fehlt es auch an Ressourcen, um nicht nur Sonder­flüge zu überwachen, sondern auch andere heikle Flüge.

      Im Jahr 2021 – aktuellere Zahlen hat das SEM nicht – fanden insgesamt 43 Sonderflüge statt, auf denen 165 Personen abgeschoben wurden. In der gleichen Zeit wurden auf Linien­flügen 248 Personen zur Rückkehr gezwungen, wobei in der Regel auf Linien­flügen nur einzelne Personen abgeschoben werden. Die Zahl der Linien­flüge will das SEM nicht bekannt geben, sie dürfte aber deutlich höher sein als jene der Sonder­flüge.

      Und so kam es auch, dass die Antifolter­kommission erst durch eine Anfrage der Republik erfahren hat, dass das SEM im vergangenen Jahr die umstrittene Praxis der falsch deklarierten Sonder­flüge mit Twin Jet wieder­aufgenommen hat.

      Einen Tag bevor der Flug T7 1272 von Zürich nach Lyon abhob, ging zwar um 8.33 Uhr eine E-Mail bei der Antifolter­kommission ein, in der das SEM den Flug ankündigte, so wie es der Kommission alle zwangsweisen Rück­führungen vorgängig meldet. Aber der Flug wurde nicht als T7-Flug gemeldet, wie das in den Jahren 2012 bis 2015 der Fall war. Und schon gar nicht als Sonder­flug, denn dann wäre auf jeden Fall ein Kommissions­mitglied mitgeflogen und hätte die Geschehnisse an Bord beobachtet.

      Stattdessen verschickte das SEM «mit freundlichen Grüssen» eine leere Mail mit Anhang, in der es über einen verhältnis­mässig harmlosen «Linienflug» informierte.

      Leo Näf von der Antifolter­kommission kann nichts dazu sagen, ob die Migrations­behörden die Flüge falsch deklarierten, um die Über­wachungen durch die Kommission zu umgehen. «Die Flüge werden uns als Linien­flüge gemeldet. Wir müssen davon ausgehen, dass das stimmt. Aber wir haben das nicht überprüft und verifiziert.»

      Er könne deshalb auch nicht beurteilen, ob auf den aktuellen T7-Flügen alles korrekt ablaufe, denn die Kommission war nicht dabei. «Ich kann mich also nur auf die früheren Flüge beziehen. Und damals kritisierten wir sie, weil sie wegen der engen Platz­verhältnisse grundsätzlich nicht geeignet waren für Rück­führungen. Diese Kritik gilt im Grund­satz auch heute noch.»

      Kritik gab es jüngst auch von der Uno-Subkommission gegen Folter. Ihr gegenüber wurden mehrere Vorwürfe wegen übermässiger Zwangs­anwendungen auf Linien­flügen geäussert. Dabei ging es vor allem um zu enge Fesselungen hinter dem Rücken und eine Technik, «bei der stark auf den Adamsapfel gedrückt wurde, um die rückzuführenden Personen am Schreien zu hindern».

      Von der Republik auf die Wieder­aufnahme der sogenannten T7-Flüge hingewiesen, kündigt die Antifolter­kommission an, diese künftig zu überwachen, um allfällige Menschen­rechts­verletzungen zu dokumentieren.
      Abschiebung über Istanbul, Paris, Barcelona, Rom, Doha

      Als Karin Keller-Sutter 2019 das Justiz­departement übernahm, betonte sie nach knapp 100 Tagen im Amt, wie wichtig eine «glaubwürdige Asyl­politik» sei. Sie meinte damit vor allem: dass man jene, die kein Asyl erhalten, konsequent abschiebt. Das habe für sie höchste Priorität, sagte sie.

      Es ist seit jeher das Credo der Schweizer Asyl­behörden: dass man grosszügig sei beim Anerkennen von Flüchtlingen, aber dafür streng beim Wegschicken der Abgewiesenen.

      Im Fall von Algerien aber liegen die Dinge anders. Da lautet das Motto: rigorose Ablehnung von Asyl­suchenden. Und noch konsequentere Abschiebung.

      Letztes Jahr gingen bis Ende November 1239 Asylgesuche aus Algerien ein, 7 Personen erhielten Schutz. 332 Personen verliessen das Land freiwillig, 101 Algerier wurden unter polizeilichem Zwang ausgeschafft.

      Dabei scheuten die Behörden offenbar keinen Aufwand und schoben die abgewiesenen Algerier auf Linien­flügen mit Zwischen­station in Istanbul, Paris, Barcelona, Rom oder Doha ab.

      Mehrere Algerier, mit denen die Republik gesprochen hat, berichten, dass sie auf diesen Flügen von Polizisten beschimpft und geschlagen worden seien.

      In einem Fall, der von der Antifolter­kommission ebenfalls nicht beobachtet wurde, kam es demnach zu einer Vollkörper­fesselung an Oberarmen, Händen, Hüften und Füssen. Der Mann sagte der Republik, er sei auf einen Rollstuhl geschnürt und ihm sei ein sogenannter Schutz­helm mit Spucknetz aufgesetzt worden. Er hätte aus der Schweiz über Istanbul nach Algier abgeschoben werden sollen. Als die Polizisten ihn im Flugzeug aber auf den Stuhl hätten setzen wollen, habe er sich gewehrt, sei zu Boden gedrückt und geschlagen worden. In diesem Moment hätten reguläre Passagiere das Flugzeug betreten und angefangen zu filmen, worauf die Abschiebung abgebrochen worden sei.

      Beim zweiten Versuch im November 2022 habe ihn die Polizei in einem Minivan nach Mulhouse gebracht, wo sie ihn in eine Maschine der ASL Airline direkt nach Algier gesetzt habe. Wieder voll gefesselt, aber dieses Mal hinter einem Vorhang, der als Sicht­schutz diente, damit die anderen Passagiere nicht gestört würden.

      Diese Praktiken sind nicht verboten. Sie sind fast alltäglich in diesem Land. Ob sie menschen­würdig sind oder sinnvoll, ist eine andere Frage.

      Einer der abgeschobenen Algerier sagte der Republik im Gespräch, er komme bald zurück in die Schweiz. «Ich kenne einen», sagte er, «der macht mir für 1000 Euro einen neuen Pass. Vielleicht 1500. Und dann fahre ich wieder nach Europa.»

      https://www.republik.ch/2023/01/17/abschiebungen-um-jeden-preis

  • #Sulla_loro_pelle”, l’inchiesta sui CPR che ha vinto il Premio Morrione
    Un documentario di #Marika_Ikonomu#Alessandro_Leone#Simone_Manda

    Ha vinto l’undicesima edizione del Premio Roberto Morrione per il giornalismo investigativo, l’inchiesta “Sulla loro pelle” di Marika Ikonomu, Alessandro Leone, Simone Manda (tutor Sacha Biazzo di Fanpage.it) che ha investigato l’opacità della gestione privata dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio e le ripercussioni sui diritti basilari delle persone migranti.

    «L’inchiesta “Sulla loro pelle” dà voce agli ultimi con equilibrio e forza narrativa attraverso immagini e testimonianze, con maturità professionale e attenzione al linguaggio visivo e narrativo. Un lavoro toccante, di attualità, sempre più necessario, che tiene accesa l’attenzione su un tema, quello dei Centri di Permanenza per i Rimpatri, veri e propri luoghi di detenzione di cui si parla sempre troppo poco» sono le motivazioni della giuria.

    I Cpr sono appunto luoghi di detenzione amministrativa destinati al rimpatrio delle persone migranti. Anche se non sono ufficialmente delle carceri, le condizioni di vita e le morti avvenute al loro interno hanno portato società civile e associazioni a denunciare ripetutamente violazioni dei diritti umani. Sulla loro pelle affronta le problematiche di questo sistema: dai rapporti tra i privati gestori e le prefetture, a chi dentro quelle strutture ha perso la propria vita, dando voce al racconto di lavoratori e reclusi.

    https://www.meltingpot.org/2022/11/sulla-loro-pelle-linchiesta-sui-cpr-che-ha-vinto-il-premio-morrione

    https://www.youtube.com/watch?v=hb5XBVFUzDY


    #film #film_documentaire #documentaire #CPR #rétention #détention_administrative #Italie #asile #migrations #réfugiés #déboutés #sans-papiers

  • Oltre 40 milioni di euro per nuovi Cpr. Il governo investe su un modello fallimentare

    Nei prossimi tre anni l’esecutivo vuole ampliare la rete dei Centri di permanenza per il rimpatrio. Lo ha previsto nella manovra finanziaria presentata in Parlamento. Un investimento senza precedenti che ignora volutamente le condizioni di vita e il rispetto dei diritti fondamentali di chi è costretto al “trattenimento”

    Più di 42,5 milioni di euro nei prossimi tre anni assegnati al ministero dell’Interno per “l’ampliamento della rete dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr)”. È scritto nella manovra finanziaria 2023 varata il 21 novembre dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e sottoposta al dibattito parlamentare con tempistiche contingentate. L’obiettivo annunciato è quello di assicurare “la più efficace esecuzione dei decreti di espulsioni dello straniero”. “È l’antica tecnica della diversione dell’attenzione perché l’imbuto sta sempre negli accordi con i Paesi di origine -spiega l’avvocato Maurizio Veglio, socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione-. Se il rapporto tra numero di persone trattenute e rimpatriate è sempre lo stesso, cioè il 50%, è il pericolo di episodi di violenza o gesti anticonservativi a rischiare un aumento esponenziale: nuovi Cpr significano nuovi rischi per la salute di chi è trattenuto”.

    L’aumento della capienza dei Cpr sembra essere l’obiettivo primario. Sono due le voci di spesa imputate al ministero. Da un lato oltre 36,5 milioni di euro destinati alla “costruzione, acquisizione, completamento, adeguamento e ristrutturazione di immobili” destinati a centri di trattenimento di accoglienza; dall’altro circa sette milioni per le spese relative “all’attivazione, locazione e gestione dei Cpr”. La progressione dei finanziamenti è scalare e l’aumento più consistente avverrà nel 2025 con 16 milioni destinati alla costruzione e più di quattro per la seconda voce. “In questo momento non è agevole comprendere come verranno utilizzati questi fondi -riflette Veglio-. La qualità dei servizi essenziali all’interno dei centri (sanità, assistenza psicologica, mediazione linguistica, informazione legale) è del tutto inadeguata ma dubito che il denaro verrà impiegato per potenziare queste voci”. 

    Manovra alla mano, la “gestione” dei Cpr è già inserita nella seconda voce con un portafoglio cinque volte più magro rispetto al finanziamento per la costruzione dei centri. Già nel febbraio 2017, con il via libera del Consiglio dei ministri al cosiddetto decreto Minniti, l’allora ministro dell’Interno aveva dichiarato che i “nuovi” Cpr (ex Cie) sarebbero stati costruiti uno per Regione per un totale di 1.600 posti. “La decisione di stanziare nuovi fondi per il sistema della detenzione, allo scopo presumibile di ampliare la capienza, in assenza di qualunque intervento di contenimento dei danni rischia di innescare ennesime situazioni estreme, come l’epidemia di tentati suicidi registrata a Torino nello scorso autunno”, aggiunge Veglio. Finanziamenti quindi che non tengono conto del fallimento del “modello” Cpr. Finanziamenti quindi che non tengono conto del fallimento del “modello” Cpr. 

    I dati su quelli attualmente in funzione sono eclatanti. Nel 2021 sono transitati all’interno dei dieci centri attivi in Italia poco più di 5mila persone ma ne sono state espulse meno del 50% (2.519). Un dato che secondo la relazione del Garante nazionale delle persone private della libertà personale è rimasto costante nel corso degli anni nel 2019 il 48,3%, nel 2020 il 50,9%. Il tema resta quello degli accordi con i Paesi di origine e i costi effettivi di rimpatrio, Ma non solo. Il caso della Tunisia, come raccontato su Altreconomia, sembra “funzionare” in termini di voli charter che partono alla volta di Tunisi ma non garantisce il rispetto dei diritti delle persone trattenute. I Cpr sono dei “buchi neri”, come titola la Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild) in un report dedicato al tema, o dei luoghi in cui “le persone camminano sull’orlo di un burrone” secondo il “terribile” documento pubblicato dall’Asgi dove vengono raccontate sette storie di ordinaria ferocia al Cpr di Torino. E le morti di chi vive l’esperienza del trattenimento sono numerose: il suicidio di Moussa Balde, giovane originario della Guinea morto nel maggio 2021, ha spinto la Procura di Torino ad aprire un’indagine, che è ancora in corso, sul funzionamento del Centro per il rimpatrio del capoluogo piemontese (a cui è “dedicata” una puntata del podcast Limbo).

    La Cild, commentando la proposta del governo, sottolinea come i Cpr non siano un “male necessario”. “Esistono alternative possibili, come il case management -spiegano- con la presa in carico individuale delle singole persone che, oltre a essere infinitamente più economiche, offrono risultati maggiormente apprezzabili nel garantire percorsi di integrazione nelle comunità” anche perché il trattenimento nei Centri avviene “in assenza di ordinamento o un regolamento, a differenza di quanto avviene ad esempio per il carcere, e l’esercizio dei diritti delle persone trattenute è difficoltoso e incerto”. Dal diritto alla salute all’assistenza legale, passando per la possibilità di avere contatti con l’esterno. Temi strettamente connessi anche ai capitolati d’appalto per la gestione di questi Centri a cui accennava anche l’avvocato Veglio. I centri, infatti, sono gestiti da enti privati e i trattenuti diventano oggetti di un business milionario. Almeno 43 milioni per la gestione di dieci centri sono stati spesi nel 2021.

    “In nome della massimizzazione del profitto, questi enti comprimono ancora di più i servizi che dovrebbero essere offerti alle persone recluse che non hanno commesso alcun reato”, sottolinea la Cild. “Spesso quando si parla di Cpr -sottolinea Emilio Caja, uno dei curatori del libro ‘Corpi reclusi in attesa di espulsione’ pubblicato per Edizioni SEB27 all’inizio del 2022- si dipinge questi luoghi come qualcosa di ‘eccezionale’ in cui quando qualcuno muore sembra un evento eccezionale. Non è così, la gestione dei Centri si inserisce perfettamente nelle dinamiche economiche dell’economia contemporanea”. Caja fa riferimento agli enti gestori che vincono i bandi pubblicati dalle prefetture. “L’Ors Italia, ad esempio, presente a Macomer prima e oggi ente a cui è appaltata la gestione del Brunelleschi di Torino è una multinazionale con sede nel Regno Unito e varie articolazioni in tutta Europa. Sono dinamiche economiche classiche del nostro tempo: finanziarizzazione, diversificazione del portfolio, esternalizzazione dei servizi”. Con gravi conseguenze sulla salute e l’esercizio dei diritti delle persone che il governo sembra volutamente ignorare.

    https://altreconomia.it/oltre-40-milioni-di-euro-per-nuovi-cpr-il-governo-investe-su-un-modello
    #CPR #rétention #détention_administrative #cra #Italie #sans-papiers #déboutés #migrations #asile #réfugiés #financement #budget #efficacité #Ors_Italia #privatisation #ors

  • Migration: Wie Deutschland Einwanderung neu regeln will

    Den Arbeitgebern fehlen hunderttausende Fachkräfte. Die Regierung will Einwanderung und Staatsbürgerschaft reformieren - und neue Chancen für Geduldete schaffen.

    #We_need_you“ - „#Wir_brauchen_Sie“, so wirbt Wirtschaftsminister Robert Habeck auf dem Portal der Bundesregierung „Make it in Germany“ (https://www.make-it-in-germany.com/en) in einem englischen Video um Arbeitskräfte aus dem Ausland (https://www.dw.com/de/deutschland-sucht-dringend-arbeitskr%C3%A4fte/a-62598680). Deutschland sei ein vielfältiges Einwanderungsland, betont Innenministerin #Nancy_Faeser, die Regierung wolle einen „Neustart in der Migrationspolitik“. Menschen, die nach Deutschland gekommen sind, „haben sehr dazu beigetragen, dass unsere Wirtschaft so stark ist, wie sie heute ist“, sagt Bundeskanzler Olaf Scholz in seiner jüngsten Videobotschaft. Er wirbt wie Faeser für Erleichterungen beim Staatsbürgerschaftsrecht (https://www.dw.com/de/wie-h%C3%A4lt-es-europa-mit-dem-doppelpass/a-63927440).

    Deutschland fehlen immer mehr Fach- und Arbeitskräfte: in Technik und Handwerk, der Gastronomie, Logistik, Erziehung oder Pflege. Wenn die geburtenstarken Jahrgänge der Babyboomer demnächst in Rente gehen, verschärft sich das Problem. „Für viele Betriebe ist die Suche nach Fachkräften schon heute eine existenzielle Frage“, warnte Bundesarbeitsminister Hubertus Heil, gerade mit Blick auf Digitalisierung und Klimaschutz. Ziel sei es, das modernste Einwanderungsrecht in Europa zu schaffen.


    https://twitter.com/BMAS_Bund/status/1597966160972042243

    Chancen für Zuwanderer und für Deutschland

    Die Ampel-Regierung aus Sozialdemokraten (SPD), Grünen und der liberalen FDP hat schon im Koalitionsvertrag angekündigt, das Einwanderungsrecht weiterzuentwickeln (https://www.dw.com/de/ampelkoalition-einwanderung-wird-leichter-gemacht/a-59946490). Offener und einfacher soll es werden.

    Drei Änderungspakete rund um die Migration hat die Ampel erarbeitet: zur Asylgesetzgebung und Chancen für Geduldete, der Fachkräfteeinwanderung und zur Staatsbürgerschaft. Viel ist die Rede von Chancen für Zuwanderer, doch es geht auch um Chancen für Deutschland (https://www.dw.com/de/arbeitskr%C3%A4ftemangel-deutschlands-greencard-pl%C3%A4ne/a-63055635).

    Ein erstes Migrations-Paket der Ampel wurde bereits einmal im Bundestag beraten und soll in Kürze beschlossen werden.

    Chancen-Aufenthaltsrecht für Geduldete

    Ende vergangenen Jahres lebten in Deutschland gut 240.000 Menschen mit dem Status Duldung: Ihr Asylantrag wurde abgelehnt, ihre Abschiebung aber befristet ausgesetzt - zum Beispiel wegen einer Gefährdung im Heimatland, schwerer Krankheit oder fehlender Reisedokumente. Trotz jahrelanger Kettenduldung können Menschen von jetzt auf gleich abgeschoben werden, auch wenn sie gut integriert sind, arbeiten und ihre Kinder zur Schule gehen.

    Die Ampel will das ändern: Wer zum Stichtag 1.10.2022 seit mindestens fünf Jahren geduldet in Deutschland gelebt hat, soll für eineinhalb Jahre das neue Chancen-Aufenthaltsrecht (https://www.bmi.bund.de/SharedDocs/pressemitteilungen/DE/2022/07/chancen-aufenthaltsrecht.html) bekommen. Infrage kommen rund 136.000 Personen. Wer keine Straftaten begangen hat, kann in dieser Probezeit die Voraussetzungen für ein Bleiberecht schaffen.

    Innenministerin Faeser erklärt das so: „Dazu gehört vor allem, dass sie ihren Lebensunterhalt selbst bestreiten, dass sie Deutsch sprechen und ihre Identität eindeutig nachweisen können.“ Wenn alle Voraussetzungen erfüllt sind, erhalten sie ein dauerhaftes Bleiberecht in Deutschland. Das gäbe Betroffenen und Arbeitgebern Sicherheit. Auch die Behörden wären entlastet.
    Schnelleres Bleiberecht

    Gut integrierte Jugendliche und junge Erwachsene bis zum 27. Lebensjahr sollen schon nach drei Jahren Aufenthalt in Deutschland ein Bleiberecht bekommen können. Bei allen anderen Geduldeten mit besonderen Integrationsleistungen wird die Wartezeit um zwei Jahre verkürzt auf sechs, oder vier Jahre, wenn bei ihnen minderjährige Kinder leben.
    Integrationskurse für alle

    Alle Asylbewerber sollen von Anfang an Zugang zu Integrations- und Berufssprachkursen erhalten, unabhängig von ihrer Bleibeperspektive. Die Bundesregierung will so Teilhabe und den gesellschaftlichen Zusammenhalt fördern, heißt es. Zudem soll eine unabhängige Beratung fürs Asylverfahren geben.
    Schnellere Asylverfahren?

    Die Regierung will Asylverfahren beschleunigen, zum Beispiel, indem Fälle schneller ans Bundesverwaltungsgericht abgegeben werden. Musterentscheidungen könnten auf ähnliche Fälle übertragen werden.
    Abschiebungen

    Die Rückführung von Menschen, die nicht bleiben können, soll konsequenter als bisher durchgesetzt werden, so formuliert es das Bundesinnenministerium. Das gelte besonders für Straftäter und Gefährder. Für sie sollen Ausweisung und Abschiebungshaft erleichtert werden.
    Leichterer Familiennachzug für Fachkräfte

    Um Deutschland für Fachkräfte aus Drittstaaten, also Nicht-EU-Staaten, attraktiver zu machen, wird der Familiennachzug erleichtert: Angehörige von Fachkräften müssen dann vor der Einreise keinen Nachweis über Sprachkenntnisse mehr vorlegen.

    In einem zweiten Migrations-Paket geht es ausdrücklich um die Fachkräfte-Einwanderung. Fünf Ministerien haben sich auf Eckpunkte geeinigt, die das Bundeskabinett beschlossen hat.
    Fachkräfte-Einwanderung

    „Deutschland benötigt branchenübergreifend dringend Fachkräfte. Deshalb müssen alle Potenziale im In- und Ausland gehoben werden“ - so lauten die ersten Sätze im Eckpunkte-Papier zur Fachkräfte-Einwanderung aus Drittstaaten (https://www.bmas.de/SharedDocs/Downloads/DE/Pressemitteilungen/2022/eckpunkte-fachkraefteeinwanderung-drittstaaten.pdf?__blob=publicationFile&v=5). Die Bundesanstalt für Arbeit geht davon aus, dass Deutschland jedes Jahr einen Zuzug von 400.000 Arbeitskräften aus dem Ausland benötigt. Bisher kamen viele aus anderen EU-Staaten nach Deutschland, doch auch hier macht sich der demografische Wandel bemerkbar.

    Seit 2020 gibt es ein Fachkräfte-Einwanderungsgesetz, doch der Zuzug aus Nicht-EU-Staaten nach Deutschland hält sich in Grenzen - und schrumpfte in der Corona-Pandemie: 2019 kamen gut 39.000 Menschen aus Drittstaaten zum Arbeiten nach Deutschland, gerade einmal 0,1 Prozent der Gesamtzahl an inländischen Arbeitskräften. 2020 waren es dann nur noch gut 29.000.

    Kritiker und Unternehmer bemängeln bürokratische Hürden, zu langsam arbeitende Behörden und mangelnde Digitalisierung. Vor allem die Visa-Vergabe bei den Botschaften verlaufe schleppend. Die Ampel will einige Regeln ändern.

    #Blue_Card EU für Akademiker

    Die EU-weite Blaue Karte für hochqualifizierte Fachkräfte (https://www.bamf.de/DE/Themen/MigrationAufenthalt/ZuwandererDrittstaaten/Migrathek/BlaueKarteEU/blauekarteeu-node.html) - analog zur Green Card in den USA - wurde in Deutschland vor zehn Jahren eingeführt. Ohne Vorrangprüfung, ob Deutsche oder EU-Bürger verfügbar wären, und ohne Sprachkenntnisse können Akademiker damit für ein Beschäftigungsverhältnis einreisen. Sie müssen bestimmte Mindesteinkommen erzielen, um Lohndumping auszuschließen.

    Die Ampelkoalition will die Gehaltsgrenzen senken, die bisher weit über 50.000 Euro im Jahr liegen. Niedrigere Sätze gibt es für bestimmte Mangelberufe in der Medizin, der IT oder bei Ingenieuren - auch für Berufsanfänger soll das künftig gelten.
    Fachkräfte mit Berufsausbildung

    Servicekräfte, Köche, Baufachleute, Energietechnikerinnen, LKW-Fahrer, Erziehungs- und Pflegekräfte, die Liste der Mangelberufe wird immer länger. Die Ampelparteien wollen die Vorteile der Blue Card auf nichtakademische Berufe ausweiten, heißt es im Koalitionsvertrag.

    Fachkräfteeinwanderung
    Migration: Wie Deutschland Einwanderung neu regeln will

    Den Arbeitgebern fehlen hunderttausende Fachkräfte. Die Regierung will Einwanderung und Staatsbürgerschaft reformieren - und neue Chancen für Geduldete schaffen.

    Eine junge Frau mit langen dunklen Haaren in blauer Jacke hält einen Schraubenzieher in der Hand und montiert etwas an einer grauen Wand mit Schaltungen. Im Hintergrund sind einige Männer zu sehen, die ebenfalls im Sitzen oder Stehen arbeiten

    Technik- und Handwerksbetriebe, aber auch viele andere Branchen in Deutschland suchen dringend Auszubildende, Arbeits- und Fachkräfte

    „We need you“ - „Wir brauchen Sie“, so wirbt Wirtschaftsminister Robert Habeck auf dem Portal der Bundesregierung „Make it in Germany“ in einem englischen Video um Arbeitskräfte aus dem Ausland. Deutschland sei ein vielfältiges Einwanderungsland, betont Innenministerin Nancy Faeser, die Regierung wolle einen „Neustart in der Migrationspolitik“. Menschen, die nach Deutschland gekommen sind, „haben sehr dazu beigetragen, dass unsere Wirtschaft so stark ist, wie sie heute ist“, sagt Bundeskanzler Olaf Scholz in seiner jüngsten Videobotschaft. Er wirbt wie Faeser für Erleichterungen beim Staatsbürgerschaftsrecht.

    Deutschland fehlen immer mehr Fach- und Arbeitskräfte: in Technik und Handwerk, der Gastronomie, Logistik, Erziehung oder Pflege. Wenn die geburtenstarken Jahrgänge der Babyboomer demnächst in Rente gehen, verschärft sich das Problem. „Für viele Betriebe ist die Suche nach Fachkräften schon heute eine existenzielle Frage“, warnte Bundesarbeitsminister Hubertus Heil, gerade mit Blick auf Digitalisierung und Klimaschutz. Ziel sei es, das modernste Einwanderungsrecht in Europa zu schaffen.
    Chancen für Zuwanderer und für Deutschland

    Die Ampel-Regierung aus Sozialdemokraten (SPD), Grünen und der liberalen FDP hat schon im Koalitionsvertrag angekündigt, das Einwanderungsrecht weiterzuentwickeln. Offener und einfacher soll es werden.

    Drei Änderungspakete rund um die Migration hat die Ampel erarbeitet: zur Asylgesetzgebung und Chancen für Geduldete, der Fachkräfteeinwanderung und zur Staatsbürgerschaft. Viel ist die Rede von Chancen für Zuwanderer, doch es geht auch um Chancen für Deutschland.

    Ein erstes Migrations-Paket der Ampel wurde bereits einmal im Bundestag beraten und soll in Kürze beschlossen werden.
    Chancen-Aufenthaltsrecht für Geduldete

    Ende vergangenen Jahres lebten in Deutschland gut 240.000 Menschen mit dem Status Duldung: Ihr Asylantrag wurde abgelehnt, ihre Abschiebung aber befristet ausgesetzt - zum Beispiel wegen einer Gefährdung im Heimatland, schwerer Krankheit oder fehlender Reisedokumente. Trotz jahrelanger Kettenduldung können Menschen von jetzt auf gleich abgeschoben werden, auch wenn sie gut integriert sind, arbeiten und ihre Kinder zur Schule gehen.

    Die Ampel will das ändern: Wer zum Stichtag 1.10.2022 seit mindestens fünf Jahren geduldet in Deutschland gelebt hat, soll für eineinhalb Jahre das neue Chancen-Aufenthaltsrecht bekommen. Infrage kommen rund 136.000 Personen. Wer keine Straftaten begangen hat, kann in dieser Probezeit die Voraussetzungen für ein Bleiberecht schaffen.
    3:09 min
    Deutschland: Neue Chance für Geduldete

    Innenministerin Faeser erklärt das so: „Dazu gehört vor allem, dass sie ihren Lebensunterhalt selbst bestreiten, dass sie Deutsch sprechen und ihre Identität eindeutig nachweisen können.“ Wenn alle Voraussetzungen erfüllt sind, erhalten sie ein dauerhaftes Bleiberecht in Deutschland. Das gäbe Betroffenen und Arbeitgebern Sicherheit. Auch die Behörden wären entlastet.
    Schnelleres Bleiberecht

    Gut integrierte Jugendliche und junge Erwachsene bis zum 27. Lebensjahr sollen schon nach drei Jahren Aufenthalt in Deutschland ein Bleiberecht bekommen können. Bei allen anderen Geduldeten mit besonderen Integrationsleistungen wird die Wartezeit um zwei Jahre verkürzt auf sechs, oder vier Jahre, wenn bei ihnen minderjährige Kinder leben.
    Integrationskurse für alle

    Alle Asylbewerber sollen von Anfang an Zugang zu Integrations- und Berufssprachkursen erhalten, unabhängig von ihrer Bleibeperspektive. Die Bundesregierung will so Teilhabe und den gesellschaftlichen Zusammenhalt fördern, heißt es. Zudem soll eine unabhängige Beratung fürs Asylverfahren geben.
    Schnellere Asylverfahren?

    Die Regierung will Asylverfahren beschleunigen, zum Beispiel, indem Fälle schneller ans Bundesverwaltungsgericht abgegeben werden. Musterentscheidungen könnten auf ähnliche Fälle übertragen werden.
    Abschiebungen

    Die Rückführung von Menschen, die nicht bleiben können, soll konsequenter als bisher durchgesetzt werden, so formuliert es das Bundesinnenministerium. Das gelte besonders für Straftäter und Gefährder. Für sie sollen Ausweisung und Abschiebungshaft erleichtert werden.
    Leichterer Familiennachzug für Fachkräfte

    Um Deutschland für Fachkräfte aus Drittstaaten, also Nicht-EU-Staaten, attraktiver zu machen, wird der Familiennachzug erleichtert: Angehörige von Fachkräften müssen dann vor der Einreise keinen Nachweis über Sprachkenntnisse mehr vorlegen.
    Auf einem Eisengitter bücken sich zwei Männer in Arbeitskleidung und befestigen Drähte

    Auch in der Baubranche in Deutschland werden dringend Fachkräfte gesucht

    In einem zweiten Migrations-Paket geht es ausdrücklich um die Fachkräfte-Einwanderung. Fünf Ministerien haben sich auf Eckpunkte geeinigt, die das Bundeskabinett beschlossen hat.
    Fachkräfte-Einwanderung

    „Deutschland benötigt branchenübergreifend dringend Fachkräfte. Deshalb müssen alle Potenziale im In- und Ausland gehoben werden“ - so lauten die ersten Sätze im Eckpunkte-Papier zur Fachkräfte-Einwanderung aus Drittstaaten. Die Bundesanstalt für Arbeit geht davon aus, dass Deutschland jedes Jahr einen Zuzug von 400.000 Arbeitskräften aus dem Ausland benötigt. Bisher kamen viele aus anderen EU-Staaten nach Deutschland, doch auch hier macht sich der demografische Wandel bemerkbar.

    Seit 2020 gibt es ein Fachkräfte-Einwanderungsgesetz, doch der Zuzug aus Nicht-EU-Staaten nach Deutschland hält sich in Grenzen - und schrumpfte in der Corona-Pandemie: 2019 kamen gut 39.000 Menschen aus Drittstaaten zum Arbeiten nach Deutschland, gerade einmal 0,1 Prozent der Gesamtzahl an inländischen Arbeitskräften. 2020 waren es dann nur noch gut 29.000.
    Infografik - Fachkräfteengpässe - DE

    Diese Probleme nannten Arbeitgeber, die ausländische Fachkräfte beschäftigen

    Kritiker und Unternehmer bemängeln bürokratische Hürden, zu langsam arbeitende Behörden und mangelnde Digitalisierung. Vor allem die Visa-Vergabe bei den Botschaften verlaufe schleppend. Die Ampel will einige Regeln ändern.
    Blue Card EU für Akademiker

    Die EU-weite Blaue Karte für hochqualifizierte Fachkräfte - analog zur Green Card in den USA - wurde in Deutschland vor zehn Jahren eingeführt. Ohne Vorrangprüfung, ob Deutsche oder EU-Bürger verfügbar wären, und ohne Sprachkenntnisse können Akademiker damit für ein Beschäftigungsverhältnis einreisen. Sie müssen bestimmte Mindesteinkommen erzielen, um Lohndumping auszuschließen.
    Ein Finger zeigt auf das Wort Aufenthaltstitel auf einer Plastikkarte

    So sieht die „Blaue Karte“ für ausländische Fachkräfte für Menschen aus Nicht-EU-Staaten aus

    Die Ampelkoalition will die Gehaltsgrenzen senken, die bisher weit über 50.000 Euro im Jahr liegen. Niedrigere Sätze gibt es für bestimmte Mangelberufe in der Medizin, der IT oder bei Ingenieuren - auch für Berufsanfänger soll das künftig gelten.
    Fachkräfte mit Berufsausbildung

    Servicekräfte, Köche, Baufachleute, Energietechnikerinnen, LKW-Fahrer, Erziehungs- und Pflegekräfte, die Liste der Mangelberufe wird immer länger. Die Ampelparteien wollen die Vorteile der Blue Card auf nichtakademische Berufe ausweiten, heißt es im Koalitionsvertrag.
    Hinter Küchenwerkzeugen wie Schöpflöffeln, die von der Decke hängen, steht ein junger Mann im weißen Oberteil an einer langen Gerätezeile in einer Großküche

    Köchinnen und Köche fehlen ebenso wie Sevicekräfte - viele Restaurants müssen tageweise oder ganz schließen

    Schon jetzt gibt es ergänzend zur Blue Card eine Aufenthaltserlaubnis für Fachkräfte mit einem deutschen oder in Deutschland anerkannten Berufsabschluss. Weil die Arbeitswelt sich ständig verändert, sollen diese Fachkräfte künftig jede qualifizierte Beschäftigung ausüben dürfen: Eine Mechanikerin könnte auch in der Logistik arbeiten. Die Arbeitgeber entscheiden, wer für sie geeignet ist.

    Die Anerkennung soll digitalisiert werden, es soll mehr Möglichkeiten geben, Unterlagen auf Englisch oder in der Originalsprache anzuerkennen. Anders als bisher soll es auch möglich sein, die Anerkennung erst in Deutschland einzuleiten und nebenbei schon zu arbeiten, wenn Arbeitgeber eine „Anerkennungspartnerschaft“ übernehmen.
    Chancenkarte zur Jobsuche

    Eine neue Chancenkarte mit einem Punktesystem soll Menschen erlauben, einzureisen, um sich in Deutschland eine Arbeits- oder Ausbildungsstelle zu suchen. „Zu den Auswahlkriterien können Qualifikation, Sprachkenntnisse, Berufserfahrung, Deutschlandbezug und Alter gehören“, heißt es vage.

    Arbeitsmarktforscher Holger Bonin sieht das kritisch. „Die Chancenkarte schafft neue Hürden“, sagte der Forschungsdirektor des Instituts zur Zukunft der Arbeit (IZA) der DW: „Bevor jemand einen Arbeitsvertrag abschließen kann, muss er Nachweise vorbringen, die er in anderen Ländern nicht vorbringen muss.“ Sein Alternativvorschlag: „Die Leute dürfen kommen, einen Arbeitsplatz suchen und wenn sie einen Arbeitsvertrag haben, dann prüfen wir, ob die Bedingungen stimmen.“
    Werbung um Studierende und Auszubildende

    Die Regierung wünscht sich, dass mehr Menschen aus dem Ausland für ein Studium oder eine Ausbildung nach Deutschland kommen, um anschließend hier als Fachkräfte zu arbeiten. Für Auszubildende soll die Vorrangprüfung entfallen. Studierenden soll es erleichtert werden, neben dem Studium zu arbeiten.

    Schülerinnen und Schüler aus Nicht-EU-Staaten mit ausreichenden Deutschkenntnissen sollen Kurzpraktika bis zu sechs Wochen machen können, ohne dass die Bundesagentur für Arbeit zustimmen muss.
    Westbalkan-Regelung

    Die Westbalkan-Regelung erlaubt Staatsangehörigen aus Albanien, Bosnien und Herzegowina, Kosovo, der Republik Nordmazedonien, Montenegro und Serbien in Deutschland zu arbeiten, wenn sie ein Jobangebot eines deutschen Arbeitgebers haben. Vor der Zustimmung steht hier die Vorrangprüfung, ob nicht auch Arbeitskräfte aus Deutschland oder der EU zur Verfügung stehen.

    Die Regelung ist noch bis Ende 2023 befristet. Sie soll künftig unbefristet gelten. Bisher gibt es eine Begrenzung auf 25.000 Personen je Kalenderjahr. Die Regierung möchte das Kontingent deutlich erhöhen und die Ausweitung auf weitere Staaten prüfen. Der Arbeitgeberverband BDA hat gefordert, die Kontingentierung ganz abzuschaffen.
    Einwanderung mit Berufserfahrung

    Die Regierung plant, für verschiedene Berufe die Einwanderung auch ohne deutsche Anerkennung ihres Abschlusses zu erlauben. Voraussetzung wäre eine mindestens zweijährige Berufserfahrung und ein Abschluss, der im jeweiligen Herkunftsland staatlich anerkannt ist. Die Prüfung der Sprachkenntnisse läge dann beim Arbeitgeber. Das gilt allerdings nicht für reglementierte Berufe wie in der Medizin- und Pflegebranche.

    Für IT-Spezialisten soll die Mindestgehaltsgrenze abgesenkt werden. Die Arbeitgeber entscheiden selbst, welche Sprachkenntnisse erforderlich sind. Durch Beratungsangebote für alle soll der „Schutz vor ausbeuterischen Arbeitsbedingungen“ verbessert werden.

    In einem dritten Migrationspaket soll das Staatsangehörigkeitsrecht reformiert werden.
    Staatsbürgerschaft

    „Wer auf Dauer hier lebt und arbeitet, der soll auch wählen und gewählt werden können, der soll Teil unseres Landes sein, mit allen Rechten und Pflichten, die dazugehören“, das sagte Bundeskanzler Olaf Scholz bei einer Veranstaltung mit dem Titel „Deutschland. Einwanderungsland. Dialog für Teilhabe und Respekt“. 

    Innenministerin Nancy Faeser will den Weg zur deutschen Staatsbürgerschaft verkürzen: Nach fünf statt acht Jahren in Deutschland soll es eine Chance zur Einbürgerung geben. „Wer besonders gut integriert ist, kann diesen Zeitraum auf drei Jahre verkürzen - Menschen, die zum Beispiel sehr gut Deutsch sprechen, in Schule oder Beruf herausragende Leistungen erzielen und sich ehrenamtlich engagieren. Leistung soll sich lohnen.“ Für alle ab 67 Jahren soll der formale Einbürgerungstest entfallen.

    Zudem sollen Menschen nicht mehr gezwungen sein, ihre alte Staatsbürgerschaft aufzugeben, um Deutsche zu werden. Bundeskanzler Scholz sagte: „Ich habe nie verstanden, warum wir darauf bestanden haben.“ Bisher gibt es die doppelte Staatsbürgerschaft in Deutschland offiziell nur in Ausnahmefällen.
    Kritik der Opposition, Zustimmung der Wirtschaftsweisen

    Kritik an den Reformplänen kam von den oppositionellen Unionsparteien CDU und CSU, die unter anderem vor einer „Verramschung“ der deutschen Staatsbürgerschaft warnten.

    Überraschend kam aber auch Kritik von Politikern der FDP, die diesen Plänen im Koalitionsvertrag zugestimmt hat.

    Viel positiver sehen der Bundesverband mittelständische Wirtschaft und die Chefin der Wirtschaftsweisen eine erleichterte Einbürgerung. Monika Schnitzer sagte in einem Interview der Funke Mediengruppe: „Angesichts des demografischen Wandels und des steigenden Fachkräfte- und Arbeitskräftemangels ist das unbedingt zu begrüßen.“

    https://www.dw.com/de/migration-wie-deutschland-einwanderung-neu-regeln-will/a-63641441

    #Allemagne #modernisation #migrations #politique_migratoire #migration_de_travail #citoyenneté #naturalisation #nationalité #green_card #déboutés #étudiants #migration_économique #main_d'oeuvre #marché_du_travail

    • Ampelkoalition: Einwanderung wird leichter gemacht

      Mehr doppelte Staatsbürgerschaften, Familienzusammenführungen für Flüchtlinge und mehr Visamöglichkeiten - das sind nur einige der Ankündigungen der künftigen Bundesregierung.

      Eine radikale Überarbeitung des deutschen Staatsbürgerschafts- und Einwanderungsrechts gehört zu den zentralen Ankündigungen im Koalitionsvertrag der künftigen Bundesregierung. „Wir wollen einen Neuanfang in der Migrations- und Integrationspolitik, wie es für ein modernes Einwanderungsland richtig ist“, heißt es in der 178-seitigen Vereinbarung von Sozialdemokraten (SPD), Grünen und Freien Demokraten (FDP).
      Einbürgerung nach fünf Jahren möglich

      Konkret soll der Erwerb der deutschen Staatsangehörigkeit vereinfacht werden und Einbürgerungen bereits nach fünf Jahren möglich sein - bei besonderen Integrationsleistungen sogar nach nur drei Jahren. In Deutschland geborene Kinder ausländischer Eltern werden mit ihrer Geburt Deutsche, wenn ein Elternteil seit fünf Jahren in Deutschland lebt. Migration - so heißt es im Vertrag - solle „vorausschauend und realistisch“ gestaltet, „irreguläre Migration“ reduziert werden. Für schnellere Asylverfahren will die neue Koalition das Bundesamt für Migration und Flüchtlinge entlasten. Die Visavergabe soll digitalisiert und ebenfalls beschleunigt werden. Arbeitsverbote „für bereits in Deutschland Lebende“ sollen abgeschafft werden.

      „Wir wollen als Koalition einen Schlussstrich unter die restriktive Asylpolitik der letzten Jahre ziehen und dafür sorgen, dass Menschen, die hier dauerhaft leben und absehbar auch dauerhaft leben werden, die Möglichkeit erhalten, ihren Aufenthalt zu verfestigen, in Arbeit zu kommen, Sprachzugang zu haben, und zwar unterschiedslos“, sagt die Bundestagsabgeordnete Luise Amtsberg von den Grünen im DW-Gespräch.

      „Das sind alles wichtige Schnittpunkte, die für ein modernes Einwanderungsland relevant sind und tatsächlich einen Paradigmenwechsel beschreiben“, fügt sie hinzu.
      Union befürchtet Zunahme illegaler Migration

      Ralph Brinkhaus, Fraktionsvorsitzender der konservativen Union aus CDU und CSU, die nach 16 Regierungsjahren nun auf der Oppositionsbank sitzt, steht den Plänen skeptisch gegenüber. „Wir hätten sicherlich nicht diese brutale Offenheit im Bereich Migration gehabt“, sagte Brinkhaus im Deutschlandfunk. „Wir haben große Sorge, dass das ein Pull-Faktor für ganz, ganz viel illegale Migration sein wird.“ Das Menschen, die ohne rechtliche Grundlagen nach Deutschland gekommen seien, nach einer gewissen Zeit hierbleiben dürften, halte er für falsch.

      https://twitter.com/phoenix_de/status/1463561367361925121

      Allerdings hatten die zuständigen Minister der 16 Bundesländer die Bundesregierung Anfang des Jahres aufgefordert, die Staatsbürgerschaftsregeln zu lockern. Die 2007 unter Bundeskanzlerin Angela Merkel ins Leben gerufene Integrationsministerkonferenz zur Koordinierung der Zuwanderungspolitik von Bund und Ländern forderte in einem mehrheitlichen Appell nachdrücklich eine Gesetzesänderung im Sinne der neuen Koalitionsvereinbarungen.
      Niedrige Quote doppelter Staatsbürgerschaft

      Aufgrund der geltenden Gesetze hat Deutschland eine der niedrigsten Quoten an doppelter Staatsbürgerschaft in Europa. Von den Vorschlägen zur doppelten Staatsbürgerschaft und der vereinfachten Einwanderungsverfahren dürfte besonders der Bevölkerungsteil mit türkischem Mitrationshintergrund profitieren. In Deutschland leben rund drei Millionen Menschen mit türkischen Wurzeln. Die ersten von ihnen kamen in 1960er Jahren anfangs als Gastarbeiter in die Bundesrepublik, die meisten blieben. 

      Aufgrund der bisherigen Gesetzeslage besitzen weniger als zehn Prozent von ihnen die deutsche und die türkische Staatsbürgerschaft. Nach einer Studie des Center for American Progress verfügen 55 Prozent nur über die türkische Staatsbürgerschaft.

      Die Soziologin Gülay Türkmen vom Wissenschaftszentrum für Sozialforschung in Berlin, die über türkische Migrationsbewegungen forscht, begrüßt die angekündigte Überarbeitung der Staatsbürgerschaftsgesetze. Insbesondere in Bezug auf Deutschlands größten ausländischen Bevölkerungsteil.
      Emotionale Bindung zur Türkei

      „Der Hauptgrund, warum die türkischstämmige Bevölkerung die deutsche Staatsbürgerschaft ablehnen, ist die Verpflichtung, die türkische Staatsbürgerschaft aufzugeben“, erklärt sie der DW. „Das war bei älteren Generationen noch verbreiteter, weil die emotionale Bindung zur früheren Heimat viel stärker war.“ Das Vorhaben der neuen Bundesregierung werde sicherlich zu einer Zunahme der Anträge auf Staatsbürgerschaft in der türkischen Bevölkerung führen, „wie wir auch im Jahr 2000 nach der Vereinfachung des Einbürgerungsverfahrens gesehen haben“, fügt Türkmen hinzu.

      Die Grünen-Abgeordnete Amtsberg macht die Union aus CDU und CSU dafür verantwortlich, dass so viele in Deutschland lebende Menschen keinen Einbürgerungsantrag gestellt haben.

      „Herr Brinkhaus und die Union waren 16 Jahre in der Verantwortung. Sie haben in der Asyl- und Flüchtlingspolitik in Europa, aber auch in Deutschland relativ wenig erreicht. Vor allen Dingen haben sie dazu beigetragen, dass sehr viele Menschen über Jahre - und man muss schon fast sagen: Jahrzehnte - in diesem Land leben, ohne die Möglichkeit zu bekommen, ihren Aufenthalt zu verfestigen“, kritisiert Amtsberg. Obwohl es nach einer bestimmten Zeit absehbar gewesen sei, dass die Menschen dauerhaft bleiben würden. Wie das jetzt bei den afghanischen Schutzsuchenden der Fall sei.
      Von Duldung zu vollem Aufenthaltsrecht

      Im Koalitionsvertrag wird auch ein schnellerer Weg zum Aufenthalt für junge Menschen aufgezeigt, die sich in Deutschland besonders „integriert“ gezeigt hätten. Ein Vorteil für diejenigen, die nur über einen Duldungsstatus verfügen. Ihre Abschiebung wäre künftig schwieriger. Die rechtspolitische Referentin der deutschen Flüchtlingsorganisation Pro Asyl, Wiebke Judith, begrüßt diese Reform: „Aufgrund der Einschränkungen in den letzten Jahren leben rund 200.000 Menschen mit Duldungsstatus in Deutschland. Der Koalitionsvertrag enthält einige gute Ideen, wie man ihr Leben besser legalisieren kann“, erklärt Judith der DW. Zum Beispiel durch eine Absenkung der Schwelle für die Beantragung des Aufenthaltsrechts.

      Im Allgemeinen stelle sie fest, dass die vorgeschlagenen Änderungen „das Leben von Menschen, die sich bereits in Deutschland aufhalten, viel einfacher machen werde“, sagt Judith. „Unser größter Kritikpunkt ist aber, dass der Koalitionsvertrag keine Änderung des Erstaufnahmesystems vorsieht.“ Demnach sind neue Flüchtlinge und Personen ohne legalen Status weiterhin zu einem Aufenthalt in einem Flüchtlingszentrum verpflichtet.
      Flüchtlingszentren als Corona-Hotspots

      „Die maximale Aufenthaltsdauer dort hat sich in den letzten Jahren auf 18 Monate erhöht“, erklärt Judith. Solche Aufenthalte könnten ein „ein enormes Gesundheitsrisiko bedeuten“, weil viele Zentren zu „Coronavirus-Hotspots“ geworden seien. Es gebe große Bedenken, dass dies die Asylverfahren negativ beeinflusse.

      „Wir sind enttäuscht, dass der Koalitionsvertrag die Verbleibe-Dauer in Erstaufnahmeeinrichtungen nicht verringert“, fügt sie hinzu. Möglicherweise werde dies noch geschehen. Judith bemängelt auch, dass das derzeitige Abschiebesystem, nach dem kranke und traumatisierte Menschen gewaltsam aus Deutschland abgeschoben werden können, nicht thematisiert wurde.

      Auf der anderen Seite wird der Familiennachzug für Geflüchtete erleichtert, nachdem es auch wegen der Pandemie einen Stau an Anträgen gegeben hat. Viele Menschen ohne deutsche Staatsbürgerschaft dürften die angestrebten Änderungen begrüßten. Aber der Koalitionsvertrag ist noch kein Gesetz. Außerdem gibt es keinen Zeitplan für die Vorschläge.

      In Anbetracht der zunehmenden Internationalität Deutschlands wird die Einwanderungspolitik eine der zentralen Herausforderungen für die künftige Bundesregierung sein. „Mehr als ein Viertel der Menschen in Deutschland hat einen Migrationshintergrund“, betont die Soziologin Gülay Türkmen. „Es ist also definitiv an der Zeit, Reformen anzugehen.“

      https://www.dw.com/de/ampelkoalition-einwanderung-wird-leichter-gemacht/a-59946490

      #regroupement_familial

    • #Bienvenue_en_Allemagne

      Le Ministre Fédéral de l’Économie et de l’Action Climatique, Robert Habeck, s’adresse directement aux travailleurs qualifiés internationaux : L’Allemagne a besoin de personnes qui souhaitent venir investir leurs connaissances, leurs compétences et leur passion - ici, dans notre pays.

      Qu’il s’agisse d’artisans, d’ingénieurs électriciens, de spécialistes en informatique, de professionnels de la santé ou de personnel de restauration, nous avons besoin de personnes de tous horizons qui souhaitent venir vivre et travailler en Allemagne.

      https://www.youtube.com/watch?v=E3SY8BkRZug

      #vidéo #make_it_in_Germany

    • Bundesregierung beschließt erstes Migrationspaket

      Neues Chancen-Aufenthaltsrecht, Erleichterungen für Fachkräfte und konsequente Ausweisung von Straftätern.

      In der heutigen Kabinettsitzung hat die Bundesregierung das von der Bundesministerin des Innern und für Heimat, Nancy Faeser, vorgelegte erste Migrationspaket beschlossen. 

      Die wichtigsten Bausteine sind die Einführung eines Chancen-Aufenthaltsrechts, Erleichterungen bei der Fachkräfteeinwanderung, der unmittelbare Zugang zu Integrationskursen und die konsequentere Ausweisung von Straftätern. 

      Bundesinnenministerin Nancy Faeser: „“""Mit dem Chancen-Aufenthaltsrecht schaffen wir einen Perspektivwechsel. Wir wollen, dass Menschen, die gut integriert sind, auch gute Chancen in unserem Land haben. Dafür sorgen wir mit dem Chancen-Aufenthaltsrecht. Die bisherige Praxis der Kettenduldungen wollen wir beenden. Damit beenden wir auch die Bürokratie und die Unsicherheit für Menschen, die schon Teil unserer Gesellschaft geworden sind. Wer Straftaten begeht oder hartnäckig Angaben über seine Identität verweigert, bleibt vom Chancen-Aufenthaltsrecht ausgeschlossen. "

      „Wir müssen schneller Fachkräfte gewinnen, die wir in vielen Branchen dringend brauchen. Deshalb erleichtern wir es Fachkräften, ihre Familie mit nach Deutschland zu bringen. Sie müssen künftig keine Deutschkenntnisse mehr nachweisen. Wir wollen, dass Fachkräfte sehr schnell nach Deutschland kommen und bei uns Fuß fassen können. “

      „Wir stärken die Integration von Anfang an – und das für alle Asylbewerberinnen und Asylbewerber. Der Zugang zu Integrationskursen hängt künftig nicht mehr von der Bleibeperspektive ab. Denn unsere Werte und unsere Sprache zu vermitteln, ist immer wichtig, auch wenn Menschen nur vorübergehend in Deutschland sind. “

      „Gleichzeitig sorgen wir für die richtige Balance. Wir wollen irreguläre Migration reduzieren und reguläre Migration zu ermöglichen. Wir müssen vor allem Straftäter und Gefährder schneller und konsequenter ausweisen. Straftätern kann künftig leichter das Aufenthaltsrecht entzogen werden. Die Verwaltungsverfahren vereinfachen wir deutlich. Und für Straftäter erleichtern wir die Anordnung von Abschiebungshaft und verhindern damit, dass ausreisepflichtige Straftäter vor einer Abschiebung untertauchen.“"

      Das erste Migrationspaket enthält insbesondere diese Änderungen:

      - Chancen-Aufenthaltsrecht: Langjährig Geduldete erhalten durch eine einjährige Aufenthaltserlaubnis die Möglichkeit, die notwendigen Voraussetzungen für ein Bleiberecht zu erfüllen. Dazu gehört die Sicherung des Lebensunterhalts und die Klärung der Identität. Menschen, die sich zum Stichtag 1. Januar 2022 fünf Jahre lang in Deutschland aufgehalten haben, nicht straffällig geworden sind und sich zur freiheitlichen demokratischen Grundordnung bekennen, profitieren davon. Mit dem Chancen-Aufenthaltsrecht sollen Kettenduldungen verhindert und die Zahl der Langzeitgeduldeten reduziert werden. Am 31. Dezember 2021 haben sich in der Bundesrepublik Deutschland 242.029 geduldete Ausländer aufgehalten, davon 136.605 seit mehr als fünf Jahren. 

      – Bleiberechte: Bestehende Bleiberechtsregelungen werden so angepasst, dass mehr Menschen davon profitieren können. Gut integrierte Jugendliche sollen nach drei Jahren Aufenthalt in Deutschland und bis zum 27. Lebensjahr die Möglichkeit für ein Bleiberecht bekommen. Besondere Integrationsleistungen von Geduldeten werden gewürdigt, indem ihnen künftig nach sechs Jahren oder schon nach vier Jahren bei Zusammenleben mit minderjährigen Kindern ein Bleiberecht eröffnet wird. Die Voraufenthaltszeiten werden damit um jeweils zwei Jahre reduziert. 

      – Erleichterung der Fachkräfteeinwanderung: Um den Standort Deutschland für Fachkräfte aus Drittstaaten attraktiver zu machen, werden bewährte Regelungen aus dem Fachkräfteeinwanderungsgesetz entfristet. Der Familiennachzug zu drittstaatsangehörigen Fachkräften wird erleichtert, indem für nachziehende Angehörige das Erfordernis eines Sprachnachweises entfällt. 

      – Integration von Anfang: Allen Asylbewerberinnen und Asylbewerbern soll zukünftig der Zugang zum Integrationskurs und zu Berufssprachkursen im Rahmen verfügbarer Plätze offenstehen. Durch frühe Sprachförderangebote möchte die Bundesregierung einen Beitrag zur Teilhabe und zum gesellschaftlichen Zusammenhalt leisten. 

      – Rückführungsoffensive: Die Rückführung von Menschen, die nicht hierbleiben können, soll konsequenter als bisher durchgesetzt werden. Das gilt insbesondere für Straftäter und Gefährder. Für diese Personengruppe wird die Ausweisung und die Anordnung von Abschiebungshaft erleichtert.

      https://www.bmi.bund.de/SharedDocs/pressemitteilungen/DE/2022/07/chancen-aufenthaltsrecht.html

      ... „und konsequente Ausweisung von Straftätern“...
      –-> #criminels_étrangers #renvois #expulsions

    • Arbeitskräftemangel: Deutschlands Greencard-Pläne

      Deutschland will Nicht-EU-Bürgern die Einreise erleichtern und den Fachkräftemangel bekämpfen: mit einer Greencard-Variante, der sogenannten „Chancenkarte“.

      Seit langem beklagen sich Industrieverbände über fehlende Fachkräfte und das Arbeitsministerium warnt davor, dass das Wirtschaftswachstum dadurch ausgebremst werden könnte.

      Nach Angaben der Bundesvereinigung der deutschen Arbeitgeberverbände der Metall- und Elektroindustrie, Gesamtmetall, sehen zwei von fünf Unternehmen ihre Produktion durch Personalmangel behindert. Der Zentralverband des Deutschen Handwerks (ZDH) bezifferte, dass Deutschland rund 250.000 Handwerker fehlen.
      Kriterien zur Arbeitsplatzsuche

      Nun soll die neue sogenannte „Chancenkarte“, die Bundesarbeitsminister Hubertus Heil in dieser Woche vorstellte, Ausländern die Möglichkeit bieten, auch ohne Jobangebot zur Arbeitssuche nach Deutschland einzureisen. Dafür müssen sie mindestens drei von vier Kriterien erfüllen:

      1) Ein Hochschulabschluss oder eine berufliche Qualifikation

      2) Mindestens drei Jahre Berufserfahrung

      3) Sprachkenntnisse oder ein früherer Aufenthalt in Deutschland

      4) Ein Alter unter 35 Jahren

      Dazu wird es weitere Begrenzungen und Bedingungen geben, betonte der SPD-Politiker. Die Zahl der Karten werde begrenzt sein, je nach dem Bedarf, den die deutsche Regierung festlegen werde, kündigte Heil an.

      „Es geht um eine qualifizierte Zuwanderung, um ein unbürokratisches Verfahren. Deshalb ist es wichtig, dass diejenigen, die die Chancenkarte erhalten haben, ihren Lebensunterhalt bestreiten können, wenn sie hier sind“, sagte Heil am Mittwoch im WDR-Radio.
      Immer weniger junge Menschen in Deutschland

      Dass es für den deutschen Arbeitsmarkt Verbesserungsbedarf gibt, findet auch Sowmya Thyagarajan. Sie kam 2016 aus Indien nach Hamburg, um in Luftfahrttechnik zu promovieren. Mittlerweile ist sie Geschäftsführerin ihres eigenen deutschen Unternehmens Foviatech, das Software für die Optimierung von Transport- und Gesundheitsdienstleistungen entwickelt.

      „Ich denke, dieses Punktesystem könnte eine sehr gute Möglichkeit für Menschen aus dem Ausland sein, hier zu arbeiten“, sagte Thyagarajan der DW. „Vor allem, weil es immer weniger junge Menschen in Deutschland gibt.“ Im Moment bevorzuge ihr Unternehmen bei der Einstellung Deutsche und EU-Bürger, einfach wegen der bürokratischen Hürden, die es für Arbeitnehmer aus anderen Ländern gebe.

      Den Nutzen der vier Kriterien für die Erlangung einer Chancenkarte bewertet Thyagarajan unterschiedlich: Qualifikationen und Sprachkenntnisse seien wichtig. „Aber bei einer Altersbegrenzung unter 35 Jahren bin ich mir nicht sicher, wie sinnvoll das ist. Man muss nicht jung sein. Es kommt auf die Fähigkeiten an“, sagt die Geschäftsfrau. Was die dreijährige Berufserfahrung angeht, so ist Thyagarajan ebenfalls skeptisch, weil in einigen Fällen ein Hochschulabschluss das erforderliche Fachwissen vermittele: „Für manche Berufsprofile braucht man keine Erfahrung, aber für manche muss man tatsächlich Erfahrung haben.“
      Bürokratische Hürden für ausländische Arbeitnehmer

      Noch kritischer blickt Holger Bonin auf die Pläne von Arbeitsminister Heil. Für den Forschungsdirektor am Institut für Arbeitswirtschaft (IZA) in Bonn stellt die Chancenkarte „unnötig hohe Hürden auf und macht das System komplizierter“. Bonin befürchtet einen Zuwachs an Bürokratie. „Warum macht man es nicht viel einfacher? Man gibt den Leuten ein Visum, um Arbeit zu suchen, und wenn sie innerhalb einer bestimmten Zeit nichts finden, müssen sie gehen.“ Wenn diese Kriterien für Arbeitgeber wichtig seien, „können sie das bei der Einstellung entscheiden. Da muss keine Chancenkarte vorgeschaltet sein.“

      Bonin argumentiert, dass einige der von Heil genannten Kriterien für deutsche Arbeitgeber vielleicht gar nicht so wichtig seien. Wie zum Beispiel ein internationales Unternehmen, welches hauptsächlich auf Englisch kommuniziere: dort sei es relativ egal, ob die Bewerber Deutsch sprechen oder in Deutschland gelebt haben.
      Kulturelle und strukturelle Probleme

      Deutschland hat im Vergleich zu anderen westlichen Ländern, die um qualifizierte Arbeitskräfte werben, einige kulturelle Nachteile: Zum einen wird Deutsch weniger häufig gesprochen als Englisch. „Fachkräfte suchen fast immer nach Ländern, in denen Englisch gesprochen wird“, so Thyagarajan. Ein weiteres Problem ist, dass deutsche Arbeitgeber traditionell einen höheren Wert auf Zertifikate und Qualifikationen legen. Doch ausländische Nachweise werden in Deutschland oft nicht anerkannt oder deren Zertifizierung dauert Monate. „Diese Probleme werden nicht durch die Einführung einer Chancenkarte gelöst“, sagt Bonin.

      Daneben gibt es noch systemische Schwierigkeiten. Deutschlands föderales System mit regionalen Zuständigkeiten in den Bundesländern führt dazu, dass lokale Behörden manchmal unterschiedliche Qualifikationen anerkennen. Hinzu kommt, dass Deutschland immer noch abhängig ist von einer Papierbürokratie, bei der ausländische Arbeitnehmer oft notariell beglaubigte Übersetzungen ihrer Zeugnisse vorlegen müssen. Auch dies ist ein Problem, das Arbeitsminister Heil anzugehen versucht.

      „Ich halte es für sehr, sehr notwendig, neben einem modernen Einwanderungsgesetz auch das bürokratische Monster bei der Anerkennung von Qualifikationen auszudünnen“, sagte er dem WDR. Dazu wünsche er sich eine zentrale Stelle, die Qualifikationen schnell anerkennt, und Backoffices in Deutschland, welche die überlasteten Konsulate im Ausland unterstützen können. Einen Entwurf für ein neues Zuwanderungsgesetz will Heil im Herbst vorlegen.

      https://www.dw.com/de/arbeitskr%C3%A4ftemangel-deutschlands-greencard-pl%C3%A4ne/a-63055635

  • Nigeria-UK Migration Agreement : Smugglers, illegal migrants to face maximum sentence, deportation

    THE United Kingdom government has signed a new migration agreement with Nigeria that will deter illegal migration, the Home Office announced Friday.

    Under the agreement, both countries will issue emergency travel certificates or temporary passports within five days in order to speed up removal of people with no right to be in the UK.“Our new landmark agreement with Nigeria will increase the deportation of dangerous foreign criminals to make our streets and country safer.

    “The deal will mean that operational teams in both countries will share their expertise to take the fight to criminal people smugglers who are responsible for a wider range of criminality and put profit before people while undermining the security of our two countries,” Home Secretary and member of the UK Parliament for Witham Priti Patel said.

    On Thursday, 21 people (13 Nigerians and eight Ghanaians) with no right to be in the country, including those with combined sentences of more than 64 years, for crimes such as rape and sexual offences against children, were deported.

    The UK is also working closely with the governments of Belgium, France and Rwanda to do everything possible to stop illegal migrants before they reach the UK.

    While thousands of illegal migrants are ferried into the UK by small boats from bordering countries, some people who enter the UK on regular routes can still become irregular migrants.

    According to the UK government, illegal migrants include persons who entered the UK without authority, entered with false documents and individuals who have overstayed their visas.

    It also includes people who work or study on a tourist visa or non-immigrant visa waiver, enter into forced or fraudulent marriages or had their marriages terminated or annulled.

    The agreement will compliment UK’s newly approved Borders Act which prescribes increased maximum sentence for illegally entering the UK or overstaying a visa and a maximum sentence of life imprisonment for people smugglers and small boat pilots.

    In addition, the act puts into law that those who could have claimed asylum in another safe country but arrive illegally in the UK, can be considered as ‘inadmissible’ to the UK asylum system.

    UK Guardian reported that the deal with Rwanda, which will reportedly cost an initial £120 million, follows three years of promises by Patel to outsource asylum processing to third countries and failures to strike deals with Albania and Ghana.

    Under the arrangement which has faced heavy criticism, migrants will have their asylum claims processed in the East African country and be encouraged to settle there.

    “We will now work tirelessly to deliver these reforms to ensure we have an immigration system that protects those in genuine need while cracking down on abuse of the system and evil people-smuggling gangs,” Patel assured.

    In 2021, French and UK authorities prevented more than 23,000 attempts to travel illegally to the UK.

    Over 6,000 crossings have been prevented so far in 2022, more than twice as many as at this point last year.

    https://www.icirnigeria.org/nigeria-uk-migration-agreement-smugglers-illegal-migrants-to-face-maxim

    #UK #Angleterre #Nigeria #accord #accord_bilatéral #accords_bilatéraux #asile #migrations #renvois #expulsions #déboutés #passeport_temporaire #certificat_de_voyage_d'urgence #sans-papiers #criminels #criminels_étrangers #passeurs #mariage_blanc #Borders_Act

    ping @isskein @karine4

  • « France, pays des droits de l’homme ». Ce qu’en disent les conventions et accords

    Certaines voix déplorent régulièrement que la souveraineté de la France en matière de gouvernance des migrations est contrainte par un sérail de conventions internationales. C’est oublier que la France, loin d’être le seul pays des droits de l’homme, conclut aussi des accords de réadmission pour le renvoi des personnes étrangères dans leur pays d’origine.


    https://www.icmigrations.cnrs.fr/2022/03/05/defacto-032-04
    #accords_de_réadmission #réadmission #France #cartographie #visualisation #liste #retours #renvois #migrations #asile #réfugiés #déboutés

    par @fbahoken et al.

    ping @isskein @visionscarto

  • #Vols_spéciaux : la pratique suisse menace les #droits_humains

    Chaque année, plus de cent personnes, familles avec enfants comprises, sont renvoyées de Suisse contre leur gré par voie aérienne. Malgré les critiques exprimées depuis plusieurs années par la société civile et des organes internationaux de protection des droits humains, les agent·e·s de police font régulièrement usage de différentes formes de contrainte et de violence lors des vols spéciaux. Des mesures qui, dans leur mise en œuvre, vont souvent à l’encontre des droits humains.

    Joseph Chiakwa décède le 17 mars 2010 à l’aéroport de Zurich lors d’un renvoi forcé de niveau 4. Il est alors en grève de la faim depuis au moins six semaines. Comme il « agite » les mains alors qu’il est partiellement ligoté, il est attaché à un fauteuil roulant, casqué et porte un filet facial. Ce n’est que lorsque son pouls n’est plus perceptible qu’il est désentravé. Pour les organisations de la société civile, le jeune homme de 29 ans est clairement mort des suites de sa grève de la faim et du stress provoqué par son renvoi et son entrave. Jusqu’à aujourd’hui, sa mort n’a pas été entièrement expliquée par les autorités.

    La pratique suisse en matière d’exécution des renvois compte encore aujourd’hui parmi les plus dures d’Europe. Il n’est pas rare que la violence excessive lors des renvois fasse l’objet d’articles de presse ou de films. Mais ces cas isolés et médiatisés ne sont que la pointe de l’iceberg : selon l’Organisation suisse d’aide aux réfugiés, le nombre de vols spéciaux est en constante augmentation et s’accompagne généralement d’un usage disproportionné de la violence. Cette pratique ne passe pas inaperçue au niveau international : le Comité contre la torture de l’ONU a réprimandé la Suisse en 2010 pour son usage excessif de la force et des mauvais traitements lors de ces rapatriements par voie aérienne et l’a encore exhortée en 2015 à recourir de manière proportionnée aux mesures de contrainte.

    L’article 28 de l’ordonnance sur l’usage de la contrainte (OLUsC) définit quand et quelles mesures de contrainte sont autorisées de la part des fonctionnaires de police lors des vols de rapatriement. Les personnes qui n’acceptent pas un retour autonome - correspondant au niveau de rapatriement d’exécution 1 - sont renvoyées par un vol de ligne au niveau 2, accompagnées par deux fonctionnaires civil·e·s. Si la personne à rapatrier est susceptible de résister physiquement, le niveau 3 est appliqué : les agent·e·s de police peuvent utiliser des menottes partielles ou complètes ainsi que la force physique. Si une résistance physique « forte » est supposée, le rapatriement se fait en outre par vol spécial et sous l’accompagnement d’au moins deux policier·cière·s, soit le niveau d’exécution 4.

    Depuis juillet 2012, la Commission nationale de prévention de la torture (CNPT) organise des escortes aériennes sur des vols spéciaux et fait un rapport annuel sur les pratiques des autorités. À ce jour, la commission observe de manière récurrente des « pratiques policières inappropriées » et un recours excessif aux entraves préventives lors des rapatriements par voie aérienne. Selon son dernier rapport de suivi de l’exécution, entre avril 2020 et mars 2021, des menottes partielles ont été utilisées dans plus de la moitié des renvois au niveau d’exécution 4. Il s’agit de la mise en place de menottes, de manchettes pour les pieds et le haut du bras ainsi que d’une ceinture, les poignets étant fixés à la sangle. La commission estime que le menottage partiel et la surveillance des personnes concernées sont en partie disproportionnés. Dans environ 10 % des cas, il a en outre été fait usage d’entraves pour le corps entier, les pieds et les jambes étant fixés par des manchettes et des attaches-câbles. La CNPT fait également état de l’utilisation de menottes métalliques, de casques de protection et de filets à crachats. Dans un cas isolé, une personne a même été amenée à l’avion attachée à un fauteuil roulant, ce qui constitue une pratique dégradante selon la CNPT. De plus, dans plusieurs cas, les personnes concernées ont été informées de manière lacunaire ou non compréhensible de leur transfert et des mesures de contrainte.

    Le recours à la contrainte et à la violence est particulièrement grave lors du rapatriement de familles et d’enfants. Les familles sont régulièrement arrêtées la nuit, rapatriées de manière échelonnée et les parents ou parfois même les enfants sont attaché·e·s. De plus, les enfants doivent régulièrement traduire les conversations entre leurs parents et le personnel d’accompagnement. Ces pratiques portent atteinte au bien-être des enfants et à l’unité de la famille.

    Enfin, les soins de santé ne sont pas toujours garantis aux personnes sur les vols de rapatriement. L’immobilité forcée pendant des heures et les entraves au niveau d’exécution 4, associées au port du casque et du filet anti.crachat, rendent la surveillance de l’état de santé peu efficace. Enfin, les médecins traitant·e·s invoquent régulièrement le secret médical lors des rapatriements ou leurs rapports sont ignorés par le personnel médical d’escorte.

    Les renvois forcés sont en soi délicats du point de vue des droits humains, une exécution contre la volonté d’une personne portant gravement atteinte à ses droits et à ses libertés. La pratique des autorités suisses en matière d’exécution des renvois implique des atteintes disproportionnées à la liberté personnelle (art. 5 CEDH) et à la dignité humaine (art. 7 Cst.) des personnes concernées ainsi qu’à l’interdiction des peines et traitements inhumains et dégradants (art. 3 CEDH, art. 7 du Pacte II de l’ONU). La mort de Joseph Chiakwa illustre le fait que le droit à la vie (art. 2 CEDH) est également menacé lors de l’exécution du renvoi. La manière dont le rapatriement des familles et des enfants est effectué remet en outre en question la garantie de la Convention de l’ONU relative aux droits de l’enfant.

    https://www.humanrights.ch/fr/qui-sommes-nous/rapatriements-aerienne-pratique-suisse-menace-droits-humains

    #vol_spécial #Suisse #asile #migrations #réfugiés #déboutés #renvois #expulsion #retour #contrainte #renvoi_forcé #violence #Joseph_Chiakwa

  • À l’usage des vivants

    "Fuyant le Nigéria, Semira Adamu est arrivée en Belgique en 1998. Détenue dans un centre fermé proche de l’#aéroport de Bruxelles, elle meurt étouffée avec un coussin lors d’une sixième tentative de rapatriement forcé. Vingt ans après, Pauline Fonsny remet en scène cet « assassinat d’État » qui avait secoué le plat pays et conduit à la démission du ministre de l’Intérieur de l’époque. Le récit de À l’usage des vivants, mené à deux voix, est structuré par le témoignage de Semira – incarnée à l’écran par la peintre nigériane Obi Okigbo – et en voix off, l’adaptation d’un texte que la poétesse belge Maïa Chauvier a écrit après le décès de la jeune femme. Pour contourner l’interdiction de filmer dans les centres, la cinéaste a fait appel à des maquettes qui permettent de visualiser la topographie précise des lieux où sont encore parqués les demandeurs d’asile. Au terme de cette puissante évocation documentaire, le constat est amer. Les « barbelés de la honte » se sont multipliés, des policiers peuvent ouvrir le feu sur une camionnette transportant des exilé-e-s et tuer une fillette de deux ans, sans être inquiétés."

    https://vimeo.com/groups/108294/videos/412703657
    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/55804_1
    #rétention #détention_administrative #Belgique #migrations #asile #réfugiés #déboutés #décès #mourir_en_rétention #mort
    #Pauline_Fonsny #film #film_documentaire

    ping @isskein @karine4

  • Rapport “Jeunes et débouté·es à Genève : des vies en suspens”

    Dans ce rapport réalisé en collaboration avec l’Observatoire romand du droit d’asile et des étranger·ères (ODAE romand), la Coordination asile.ge dénonce la situation des jeunes débouté·es à Genève. Illégalisé·es, menacé·es d’un renvoi et plongé·es dans le système de l’#aide_d’urgence, environ 60 jeunes âgé·es de 15 à 25 ans se retrouvent sans possibilité de travailler ou d’accéder à un apprentissage dual.

    https://coordination-asile-ge.ch/rapport-jeunes-et-deboute%c2%b7es-a-geneve-des-vies-en-suspens

    Pour télécharger le rapport :
    https://coordination-asile-ge.ch/wp-content/uploads/2021/06/CGE_21_06_rapport_jeunes_deboutes_web.pdf

    #déboutés #asile #migrations #réfugiés #Suisse #jeunesse #jeunes #jeunes_majeurs #rapport #coordination_asile

  • Svolta sul bunker di #Camorino

    Il cantone vuole chiudere il prima possibile la struttura sotterranea - Emesso un bando per cercare soluzioni alternative .

    Il canton Ticino cambia passo e decide di chiudere il controverso bunker di Camorino: la struttura sotterranea che alloggia richiedenti l’asilo la cui domanda è già stata respinta o neppure presa in considerazione, ovvero i cosiddetti casi «NEM». Il Consiglio di Stato ha indetto una raccolta di proposte per cercare soluzioni alternative.

    In sostanza, il Governo chiede a privati o enti pubblici - via foglio ufficiale - di proporre strutture idonee ad accogliere richiedenti l’asilo. Il bando scade venerdì. «L’obiettivo è uscire il prima possibile», spiega Gabriele Fattorini, direttore della Divisione dell’azione sociale e delle famiglie. «È chiaro che questo dipende anche dalla quantità di offerte che arrivano. Se non dovessero arrivarne bisognerà chinarsi ancora una volta sul tema e riaprire una riflessione. Il prima possibile credo che sia la risposta più corretta», afferma.

    Negli anni ci sono state manifestazioni, petizioni, appelli. Nel 2019, un centinaio di medici ha messo nero su bianco che «le condizioni in cui vivono i richiedenti l’asilo a Camorino sono disumane». L’ultima petizione in ordine di tempo è del Forum Alternativo che in queste settimane ha raccolto 1’600 firme.

    «È da diverso tempo che si sta cercando una soluzione alternativa, ma non è facile individuare una nuova sede, perché anzitutto richiede un consenso da parte delle autorità comunali, ma anche un consenso della popolazione», osserva Fattorini. In un rapporto del 2019, la Commissione nazionale per la prevenzione della tortura aveva scritto, in termini generali, che nessuno dovrebbe vivere in una struttura sotterranea per più di 3 mesi, perché manca luce e non circola aria. A Camorino si può rimanere anche un anno o più.

    Nonostante le critiche, il Cantone ha sempre dichiarato che la situazione era - secondo quanto si legge in una risposta del Consiglio di Stato a un’interpellanza dell’anno scorso - «modesta, ma idonea e in linea con quanto stabilito dal quadro normativo vigente per le persone che sono tenute a lasciare la Svizzera».

    Cos’è cambiato? «Siamo in un contesto di grande movimento. Innanzitutto c’è anche la costruzione che dovrebbe partire a breve che obbligherà la partenza da questa struttura di Camorino e in tutto questo ambito di pianificazione generale della migrazione, la ricerca di altre soluzioni fuori terra è sicuramente ritenuta più adeguata».

    Oggi, nella struttura sotterranea alloggiano 23 persone, tutte con statuto di NEM: dovrebbero lasciare il Paese perché la loro domanda d’asilo è stata respinta o neppure presa in considerazione, ma non possono essere rimpatriate contro la loro volontà perché con i loro Paesi d’origine la Confederazione non ha accordi di riammissione.

    https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/Svolta-sul-bunker-di-Camorino-14646993.html

    #Tessin #asile #migrations #réfugiés #Suisse #bunkers #bunker #fermeture #alternatives #déboutés #NEM

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    sur ce bunker voir aussi :
    https://seenthis.net/messages/577204
    https://seenthis.net/messages/789186