• I funerali di Majid

    Oggi si sono tenute a Monfalcone le esequie di #Majid_El_Kodra il ragazzo marocchino morto lo scorso 30 aprile.

    Protagonista delle rivolte all’interno del CIE dell’agosto dello scorso anno, non si è mai ripreso dalla caduta dal tetto del lager contro cui lottava e da cui ha cercato di fuggire.

    La gestione del suo decesso è indegna di un paese civile. I suoi congiunti sono stati avvisati una settimana dopo la sua morte con una mancanza di attenzione e sensibilità che ferisce.

    Oltre ai familiari, presenti circa un centinaio di persone tra migranti (la gran parte della multietnica comunità islamica monfalconese), attivisti antirazzisti e solidali, tra cui alcuni compagni anarchici.

    Cordoglio, dolore e rabbia erano i sentimenti che si potevano percepire tra i presenti per la morte di questo ragazzo di neanche 35 anni.

    Per quel cortocircuito della ragione che si chiama stato era Majid ad essere imputato e non coloro che lo hanno relegato fino alla morte in un lager per migranti. Lui è tragicamente scampato al procedimento giudiziario, chi ne ha indirettamente causato la morte temiamo ne uscirà con le mani pulite nonostante l’esposto depositato per i fatti accaduti al CIE da parte delle associzioni antirazziste.

    Durante il funerale c’è stata una raccolta fondi per contribuire al rientro della salma in Marocco.

    “Questo è il risultato! Questo è il risultato!” diceva un ragazzo magrebino piangendo e tenendosi la testa tra le mani.

    Questo è il risultato di un sistema criminale di gestione dei migranti ridotti in cattività solo perché privi di un pezzo di carta.

    Questo è il risultato di un sistema economico che lo stato lubrifica col sangue.

    Quello che è successo a Gradisca non deve succedere più, né qui né altrove.

    Oggi eravamo in tanti a salutare Majid.

    Ce lo ricordiamo sul tetto del CIE con le braccia alzate reclamando libertà per sé e i suoi compagni di detenzione.

    La sua lotta è la nostra lotta!

    NO CIE! Né a Gradisca né altrove!

    https://libertari-go.noblogs.org/i-funerali-di-majid
    –-> ajouté ici pour archivage.

    Décès : 30.04.2014

    #Gradisca #CIE #décès #morts #asile #migrations #réfugiés #Italie #CRA #détention_administrative #Gradisca_d'Isonzo

    • Ogni anima muore. La storia di Majid, morto di CIE
      Un documentario a cura di Ottavia Salvador

      Nella notte del 13 agosto 2013, mentre è trattenuto, da pochi giorni, nel centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Gradisca d’Isonzo, Majid El Kodra, si procura un grave trauma cranico. Si dice che, saltando dal tetto di un edificio adibito a deposito, in un tentativo di fuga dalla struttura, sia caduto a terra, battendo violentemente la testa. Erano giorni di proteste e repressioni, nel CIE, che lo hanno spinto, con un tocco invisibile, verso una lenta morte, dopo otto mesi di coma, il 30 aprile 2014. Il suo corpo è stato rimpatriato ai familiari in Marocco, nella provincia di Taounate, in una notte di maggio, e sepolto vicino alla casa dov’era nato nel 1979 e dalla quale era partito per emigrare in Europa. Sulla sua tomba è dipinta, in rosso, l’iscrizione: “Ogni anima muore“.

      Un viaggio alla ricerca delle tracce della sua vita sconosciuta, delle parole invisibili di rabbia e dolore di chi è rimasto, dei colori del suo mondo.

      E’ online il teaser del documentario “Ogni anima muore” che Ottavia Salvador sta realizzando sulla storia di Majid. Ottavia e’ una dottoranda che si occupa della morte nella migrazione e ha seguito (e continua a seguire) la vicenda di Majid e della sua famiglia.

      https://vimeo.com/217701619?embedded=true&source=vimeo_logo&owner=66638623

      https://www.meltingpot.org/2017/05/ogni-anima-muore-la-storia-di-majid-morto-di-cie
      #documentaire #film_documentaire #film

    • Presentato un esposto alla Procura della Repubblica per i fatti del CIE di Gradisca. Morto Majid, il migrante caduto dal tetto durante le proteste dell’agosto 2013

      Oggi l’associazione Tenda per la Pace e i Diritti e molte delle associazioni aderenti alla campagna LasciateCIEntrare hanno depositato presso le Procure della Repubblica di Gorizia, di Roma e di Napoli un esposto per chiedere accertamenti e indagini sugli avvenimenti dell’agosto 2013 all’interno del CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione) di Gradisca d’Isonzo.
      Si è trattato di scontri, pestaggi, lanci di lacrimogeni che iniziati l’8 agosto, sono durati diversi giorni e in circostanze ancora da chiarire, nella notte tra l’11 e il 12 agosto, uno dei migranti cade dal tetto e finisce in coma. Majid era nel centro da poche settimane: è morto il 30 aprile scorso all’ospedale di Monfalcone.

      Il Centro di Identificazione ed Espulsione di Gradisca d’Isonzo è chiuso da novembre 2013 a seguito dell’ennesima protesta da parte dei trattenuti ma rimangono nell’ombra molti avvenimenti.
      Nell’esposto vengono evidenziati i fatti, ricostruiti grazie alle testimonianze dei migranti, di associazioni e dei parlamentari che sono giunti sul posto chiamati d’urgenza durante quei giorni di proteste e di rivolte. Di particolare gravità risulta l’uso dei lacrimogeni CS (un gas considerato letale) da parte delle forze di sicurezza: inutile e spropositato il ricorso a questi mezzi per sedare la protesta di persone rinchiuse in una struttura chiamata “gabbia” per le alte sbarre che la circondano.
      Gli scontri e i pestaggi avvengono nella “vasca”, il cortile interno semichiuso e delimitato da pareti in plexiglass che non ha consentito ai fumi e vapori irritanti di dissolversi, causando malori ai migranti.
      Le associazioni e i firmatari dell’esposto si chiedono se non ci sia stato un abuso di potere da parte delle forze dell’ordine preposte alla vigilanza del centro.
      Sono molte le testimonianze dell’accaduto: migranti, medici, operatori umanitari e parlamentari racconteranno cosa è stato il CIE di Gradisca, perché non deve più riaprire e perché vanno chiusi tutti i CIE presenti sul territorio italiano.

      Se ne parla il 13 maggio alle ore 11.00 presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana in C.so Vittorio Emanuele, 249 – Roma

      Presentano l’esposto e gli sviluppi dei fatti di Gradisca:
      Galadriel Ravelli Tenda della Pace e i Diritti
      Gabriella Guido – portavoce della campagna LasciateCIEntrare
      Alberto Barbieri – Medici per i Diritti Umani
      Pietro Soldini – CGIL
      Oria Gargano – BE FREE

      Saranno mostrati video e testimonianze sugli incidenti di Gradisca che hanno portato al temporaneo svuotamento e chiusura del centro.
      Un ennesimo episodio quello di Gradisca che dimostra il fallimento del sistema di detenzione amministrativa e l’urgenza di soluzioni alternative, mentre il Governo e gli organi preposti mostrano un colpevole silenzio e totale assenza d’iniziative volte alla revisione del sistema. Un sistema di detenzione imploso, che registra una continua violazione dei diritti umani e sul quale gravano fin troppe detenzioni “illegittime”, interrogazioni parlamentari, denunce, imputazioni per reati penali commesse dagli enti gestori (tra cui Connecting People che gestiva il CIE di Gradisca e continua a gestire altre strutture), oltre che un enorme spreco in termini di risorse finanziare.

      LasciateCIEntrare denuncia inoltre quanto alla vigilia delle elezioni europee il tema dell’immigrazione venga ignorato o usato strumentalmente dai candidati di alcune forze politiche: il futuro europarlamento e l’attuale Governo italiano sono chiamati a rispondere immediatamente con soluzioni che garantiscano la difesa dei diritti umani così come l’incolumità degli uomini, donne e bambini migranti che arrivano nel nostro paese e in Europa, i meccanismi di ingresso e di soggiorno e la revisione della normativa in materia di immigrazione.

      L’esposto è stato firmato tra gli altri da:
      A BUON DIRITTO, ANTIGONE, ASGI, BE FREE, CASA INTERNAZIONALE DELLE DONNE, DA SUD, MELTING POT, ARCI Thomas Sankara e Ass. GARIBALDI 101. E dai parlamentari COSTANTINO, FRATOIANNI e PELLEGRINO di SEL e dai candidati all’europarlamento CASARINI, FURFARO e ALOTTO.

      Contatti:
      Ufficio Stampa – Paola Ferrara 328.4129242
      Coordinamento campagna LasciateCIEntrare – Gabriella Guido 329.8113338
      ggabrielle65@yahoo.it

      La campagna LasciateCIEntrare è nata nel 2011 per contrastare una circolare del Ministero dell’Interno che vietava l’accesso agli organi di stampa nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione): appellandosi al diritto/dovere di esercitare l’art. 21 della Costituzione, ovvero la libertà di stampa, LasciateCIEntrare ha ottenuto l’abrogazione della circolare e oggi si batte per la chiusura dei CIE, l’abolizione della detenzione amministrativa e la revisione delle politiche sull’immigrazione.

      https://www.articolo21.org/2014/05/presentato-un-esposto-alla-procura-della-repubblica-per-i-fatti-del-cie-

  • Bangladeshi migrant found dead near Slovenia-Croatia border (04.12.2021)

    The body of a migrant from Bangladesh has been found in Slovenia near the border with Croatia. Police say it is the first such death in this part of the border region.

    Police in the town of Koper, on Slovenia’s Adriatic coast, said that the dead body of a 31-year-old man was found on Saturday, December 4, in the Dragonja Valley, between the Dragonja and Sečovlje border crossings in southwest Slovenia.

    The man’s documents were found near his body. Police said that he was a Bangladeshi citizen and that the Embassy of Bangladesh had been informed.

    An autopsy was ordered to determine the cause of the man’s death, but initial information indicated that he died of hypothermia a day before he was found, a spokesperson from the Koper Police Department told InfoMigrants.

    While deaths of migrants have been recorded in the past on the Croatia-Slovenia border, this was the first known fatality in this region of the Dragonja valley, the spokesperson said.

    Border patrols

    Slovenian police, supported by the army, are deployed along the 670-km border with Croatia. Border surveillance of irregular migrants is conducted with the help of mounted police, dogs and technical equipment such as drones, thermographic cameras and helicopters.

    The interior ministry announced in 2020 that drones were increasingly being used to monitor the movements of migrants from above. “When migrants try to flee being apprehended, they run in several directions and drones make it easier for police officers to follow and apprehend them,” the ministry said in an article published online in June, 2020.

    Migrants usually “avoid populated areas and travel at night, using forest paths and remote terrain, while they spend the day resting in hidden-away locations,” the ministry continued.

    “Most of them use GPS navigation on smartphones in airplane mode, which prevents them being traced ... Illegal migrants very quickly adapt to police measures and frequently change both their routes and border crossing methods.”

    The police spokesperson in Koper confirmed that border patrols and surveillance have continued during the past 18 months.

    Both Croatia and Slovenia are members of the European Union, but Croatia is outside the Schengen visa-free area.

    There are thousands of migrants trapped in the Balkan states, unable to cross national borders to continue their journeys. Many are sleeping rough in cold winter weather.

    https://www.infomigrants.net/en/post/37038/bangladeshi-migrant-found-dead-near-sloveniacroatia-border

    #Croatie #Slovénie #asile #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine #Alpes #montagne #décès #mort

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    Ajouté à cette métaliste des morts à la frontière Slovénie-Croatie :
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  • Une petite fille de 10 ans meurt noyée dans la rivière frontière entre la Croatie et la Slovénie

    Une petite fille turque de 10 ans est morte dans la #Dragonja, la #rivière qui sépare la Croatie de la Slovénie, à seulement 30 km de l’Italie. Elle était sur les épaules de sa mère, qui tentait de gagner l’autre rive, lorsqu’elle a été happée par le courant.

    Elle était recherchée depuis sa disparition, le 9 décembre dernier. Une petite fille turque de 10 ans est morte noyée dans la rivière Dragonja, frontière naturelle entre la Slovénie et la Croatie, dans le nord-ouest de l’Istrie. Le 11 décembre, son corps a été retrouvé sous l’eau, à deux mètres de profondeur, et à 400m du lieu de sa disparition, a précisé Suzana Sokač, une représentante de la police, au média slovène Dvevnik (https://www.dnevnik.si/1042978940/kronika/nadaljuje-se-iskanje-deklice-ki-jo-je-odnesla-dragonja).

    Une cinquantaine de personne au total - des policiers, des pompiers, des chiens de sauvetage, et des plongeurs de l’armée slovène - avaient entrepris des recherches le long de la rivière jusqu’à son embouchure dans la mer Adriatique, durant deux jours.

    La petite fille avait disparu, alors que sa famille tentait de traverser la rivière pour gagner la Slovénie, sur l’autre rive. Elle a été emportée par les eaux alors qu’elle se trouvait sur les épaules de sa mère.

    https://twitter.com/SuzanaLovec/status/1470044411518230533

    Cette dernière est quant à elle saine et sauve. Elle a réussi à s’accrocher à un arbre et n’a pas été emportée par le courant, « très fort à cet endroit », indique le journal italien L’Espresso (https://espresso.repubblica.it/attualita/2021/12/10/news/migranti_tragedia_confine_di_schengen-329668240). Cette femme de 47 ans a réussi à grimper sur une échelle tendue par un policier croate et un policier slovène, et à sortir de l’eau, selon un communiqué de la police. « Elle était à moitié consciente, comme si elle était prise de convulsions, a raconté un habitant. Elle a de la chance d’être en vie ».

    Les policiers ont également pu sauver ses trois autres enfants. Ses deux garçons de 18 et 5 ans avaient réussi à traverser la rivière et ont été interceptés côté slovène. Son troisième garçon, âgé de 13 ans, était encore sur la rive croate. C’est lui qui a donné l’alerte, en allant chercher de l’aide auprès d’un riverain. « Il ne connaissait pas un mot d’anglais. Il était mouillé et a juste crié : ‘Help ! Help !’ », a expliqué l’habitant.

    Une étape sur la route des Balkans

    D’après ce riverain, la zone autour de la rivière Dragonja est régulièrement fréquentée par les migrants. ’’Mais quand ils voient la lumière et les gens, ils s’éloignent", a-t-il déclaré, en ajoutant que ce n’était pas la première fois qu’il aidait des exilés en détresse.

    Selon L’Espresso, la zone, où des clôtures de fils barbelés ont été érigées par endroits, est désormais une étape pour de nombreux migrants afghans, pakistanais et bangladais, qui font chemin sur la route migratoire des Balkans. Traverser la Dragonja de la Croatie à la Slovénie leur permet d’entrer dans l’espace Schengen, et de se rapprocher de l’Italie. Une fois la frontière passée, la ville italienne de Trieste n’est plus qu’à 30 km.

    La semaine dernière, le corps d’un homme bangladais de 31 ans avait été retrouvé au même endroit, après avoir traversé le cours d’eau. Une autopsie a été ordonnée pour déterminer la cause du décès. Mais les premières constatations indiquent qu’il est mort d’hypothermie, un jour avant d’avoir été retrouvé, avait déclaré à InfoMigrants un porte-parole du département de police de Koper. Ce jour-là, les températures étaient négatives.

    Le 1er janvier 2020, un corps avait été retrouvé près de là, à Socerb, à la frontière slovène : celui d’un Algérien de 29 ans, décédé après une chute dans un précipice.

    Depuis quelques années, la frontière entre la Slovénie et la Croatie, longue de 670km, est très surveillée. La police y patrouille régulièrement, appuyée par des drones, des caméras thermiques et des hélicoptères. « Lorsque des migrants tentent de fuir, ils courent dans plusieurs directions et les drones permettent aux policiers de les suivre et de les appréhender plus facilement », avait déclaré le ministère de l’Intérieur slovène en juin 2020.

    D’après le porte-parole de la police de Koper, une ville slovène au bord de l’Adriatique, la surveillance des frontières et les opérations de contrôle se sont poursuivies au cours de ces 18 derniers mois.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/37179/une-petite-fille-de-10-ans-meurt-noyee-dans-la-riviere-frontiere-entre

    #Croatie #Slovénie #asile #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine #Alpes #montagne #décès #mort

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    • Desetletno turško deklico, ki jo je odnesla Dragonja, našli mrtvo

      V Dragonji so danes našli truplo desetletne turške deklice, ki jo je v sredo zvečer med prečkanjem reke z mamo odnesel močan tok. Truplo so našli dva metra pod vodo.

      Okoli pol ene ure so kakih 400 metrov stran od njenega izginotja danes našli truplo desetletne deklice, ki jo je med prečkanjem Dragonje v sredo odnesel močan tok reke, je potrdila Suzana Sokač, predstavnica policijske uprave Istrske. »Oseba je bila najdena približno dva metra pod vodo,« pa so smrt potrdili tudi v PU Koper.
      Na terenu 50 slovenskih policistov, gasilcev ...

      Desetletno deklico so na obeh straneh Dragonje iskali vse od srede zvečer, ko jo je z maminih ram odnesel močan tok Dragonje. Takrat jim je iz reke uspelo rešiti povsem izčrpano 47-letno Turkinjo, ki je deklico skušala spraviti s hrvaške na slovensko stran. Zraven je imela še dva druga otroka in nečaka. Ni ji uspelo. Deklico je odneslo, sama se je komaj še uspela držati za podrto deblo sredi reke. Močno podhlajeno so jo odpeljali v bolnišnico v Pulju.

      Deklico so tudi danes iskali tako na slovenski kot na hrvaški strani reke. Razmere so bile težke, reka je narasla. Policisti, poklicni in prostovoljni gasilci, vodniki reševalnih psov, pripadniki podvodne reševalne službe Slovenije in potapljači Slovenske vojske so bili na terenu od devetih zjutraj, so sporočili s PU Koper. Skupno jih je bilo okoli 50. »Prav tako policisti pomorske policije in URSP izvajajo pregled in iskanje ob izlivu reke Dragonje v morje,« so še dodali.
      Na Hrvaškem tudi s podvodnimi droni

      Iskalno akcijo je izvajalo tudi večje število reševalnih služb na Hrvaški strani reke Dragonje. Večjemu številu potapljačev so se na hrvaški strani danes pridružili člani antiteroristične enote Lučko, poročajo hrvaški mediji. »Reka je visoka, vse je odvisno od tega, v kakem stanju je deklica,« je za medije povedal Robert Boban Paulović, načelnik PP Buje. »Upamo, da se je uspela rešiti na kopno. Upamo, da bomo našli kakšno sled. Vse moči smo usmerili v to, da jo najdemo,« pa je dodal Marko Rakovac, član hrvaške gorske reševalne službe, ki je prav tako priskočila na pomoč. Na delu so tudi sledni psi. Dragonjo bodo prečesali tudi s pomočjo podvodnih dronov.
      Nesel jim je lestev

      Za hrvaške medije je o dramatičnih trenutkih v sredo zvečer spregovoril Jonatan Strojan iz Dramca, ki je poklical policijo in pomagal pri reševanju ženske iz vode. Povedal je, da je na njihova vrata potrkal 13-letni deček, ki je kričal le »help, help« , torej na pomoč. »Bil je premočen. Policija je prišla v roku desetih minut, sam sem šel pogledat, ali kdo potrebuje mojo pomoč. Potrebovali so vrv in lestev,« je razložil za Dnevnik Nova TV. »Ženska ni bila pri zavesti. Kot bi bila v nekem krču. Imela je srečo, da je bila še živa,« je dodal. Tudi sam je zabredel v reko. V tem času so pri njem doma poskrbeli za dečka, ki je prišel prosit za pomoč. Dali so mu nova oblačila, čevlje, hrano in pijačo. Jonatan pravi, da je migrantov tam naokrog veliko, a ker se izogibajo lučem in domačinov, ki kaj veliko ne vidi. »Sploh si ne morem predstavljati, kako grozno je to za otroke. Ne vedo, kaj bo z mamo, gledajo, kako ji iz rok v vodo pade njihova sestra … Grozljivo,« strne svoje občutke.

      https://www.dnevnik.si/1042978940/kronika/nadaljuje-se-iskanje-deklice-ki-jo-je-odnesla-dragonja

    • Ta smrt je na tvojih plečih, Evropa. Na tvojih plečih, Slovenija

      Desetletne deklice si spletajo kitke, božajo sosedove mačke, hihitajo se s prijateljicami in igrajo nogomet. V šoli imajo priljubljene predmete, učijo se tujih jezikov, pričkajo se s svojimi brati in sestrami. In ob decembrskih večerih težko zaspijo, ker razmišljajo o tem, ali bodo lahko budne dočakale novo leto.

      Danes so desetletno deklico mrtvo potegnili iz mrzle Dragonje. Dva metra pod vodo so potapljači našli njeno truplo. V reki, mimo katere se vsako leto skoraj vsi mi vozimo na svoje počitnice. Utopila se je v četrtek, ko je s svojo družino želela prečkati mejo, v želji po boljšem življenju.

      Umrla je na našem pragu, kot že toliko prebežnikov. Kot je na našem pragu, v dolini Dragonje, pred nekaj dnevi zmrznil 31-letni moški. In kot so v Kolpi umirali ljudje pred njima.
      suzana lovec

      Desetletne deklice si spletajo kitke in se izpod svojih toplih pernic ob koncih tedna zbujajo pozno. Desetletne deklice ne bi smele biti prestrašene, premražene in jokajoče, umirajoče v reki, utopljene v krutosti naše migracijske politike.

      Ta smrt je na tvojih plečih, Evropa, ki s svojo zastraševalno migracijsko politiko hočeš natanko to. Da ljudje, ki jih nimaš za svoje, ostanejo pred tvojimi vrati. Pa čeprav mrtvi.

      Ta smrt je na tvojih plečih, Slovenija, ki v tem že dolgo pridno sodeluješ. Na meje postavljaš rezilno žico, ki ji po “evropsko” rečeš tehnična ovira. V Centru za tujce razčlovečiš. Na terenu, če le lahko, preslišiš prošnje za azil. Izvajaš push-backe ; ljudi pošiljaš nazaj na Hrvaško in od tam v BiH, zavedajoč se, da jih tam čaka sistematično nasilje. In s tem kršiš lastno zakonodajo, ustavo, mednarodne konvencije, človekove pravice. In ko te na to opozarjajo, tisti redki humanitarci, nevladniki, pravniki, kulturniki in novinarji, ki še zmorejo opozarjati, gledaš stran. Opozarjajo te že leta in ti gledaš stran. V Evropo, ki vse to dopušča. Evropo, ki je zrasla na zaklinjanju, da je vsako življenje enako vredno.

      Desetletne deklice si spletajo kitke in ob sobotnih večerih gledajo risanke. Zdaj je tak večer.

      Nihče ne trdi, da so migracijske politike lahka stvar. Da vprašanja niso kompleksna in da ne terjajo kompleksnih odgovorov. Jih. A povsem jasno je, da je edini napačen odgovor na migracije – kršenje človekovih pravic. Natanko to, kar Evropa in Slovenija že dolgo počneta. Delamo natanko to, česar ne bi smeli. V ljudeh smo nehali videti ljudi.

      https://n1info.si/novice/slovenija/ta-smrt-je-na-tvojih-plecih-evropa-na-tvojih-plecih-slovenija

    • Morire al confine

      Giovedì scorso una quarantasettenne con i suoi quattro bambini ha cercato di guadare il fiume per entrare in Slovenia. Il figlio diciottenne e un altro bimbo di cinque anni sono riusciti ad arrivare sulla sponda slovena; la donna con sulle spalle la bambina è rimasta in mezzo al corso d’acqua, mentre l’altro figlio tredicenne anni è restato bloccato sul versante croato. Le acque, ingrossate dalle piogge dei giorni precedenti, hanno trascinato via la bimba, mentre la madre è rimasta aggrappata ad un tronco. È stato il figlio sulla sponda croata a dare l’allarme, bussando alla porta di una casa e urlando in inglese le uniche parole che conosceva: “help”, “help”. Il proprietario è andato immediatamente sul posto e poco dopo è arrivato anche un agente della polizia croata che si è buttato nel fiume, ma non è riuscito a far altro che a impedire che la piena portasse via anche la donna. A quel punto dall’altra parte del confine sono arrivati i poliziotti sloveni. Hanno usato il guinzaglio del cane per legare l’agente che si è tuffato in acqua e poi, con l’aiuto di una scala, messa tra le due sponde, hanno tratto in salvo la donna.

      I profughi sono stati immediatamente riconsegnati ai croati, che prima li hanno trasportati a Pola, dove sono stati ricoverati in ospedale (in Slovenia l’ospedale di Isola distava solo pochi chilometri) e poi li hanno trasferiti al centro profughi di Zagabria, dove hanno chiesto asilo politico. Ora la salma della bimba attende di venir portata in Turchia, dove verrà sepolta nel villaggio natale della famiglia.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Slovenia/Morire-al-confine-214618

    • Tužan kraj potrage : U rijeci pronađeno tijelo djevojčice (10) koja je s obitelji prelazila rijeku

      Djevojčicu je, podsjetimo, odvukla jaka struja kada je s turskom državljankom pokušala prijeći rijeku i doći u Sloveniju. Policija je ženu uspjela spasiti. Riječ je o migrantima.

      Desetogodišnja djevojčica za kojom se od jučer tragalo nakon što je nestala u nabujaloj rijeci Dragonji pronađena je mrtva u subotu oko 12.30 sati, izvijestila je istarska policija. “Mrtvo tijelo djevojčice pronađeno je u vodi na mjestu koje je oko 400 metara nizvodno od mjesta nestanka, a pronašli su je djelatnici interventne postrojbe PU istarske”, izvijestila je glasnogovornica istarske policije Suzana Sokač koja je u ime policije izrazila sućut obitelji. Inače u pretrazi za djevojčicom tijekom jučerašnje dana i jutros sudjelovali su policijski službenici iz Buja, pripadnici interventne jedinice policije iz Pule, pripadnici specijalne policije iz Rijeke i ATJ Lučko sa svojim roniocima, HGSS sa psima tragačima, djelatnici Civilne zaštite državne intervencijske postrojbe Rijeka, djelatnici Crvenog križa obučeni za potrage na brzim vodama, vatrogasci i pripadnici lokalnih DVD-a te slovenski policajci i vatrogasci.

      https://www.vecernji.hr/vijesti/i-dalje-se-traga-za-curicom-iz-turske-u-pomoc-stize-veci-broj-ronioca-15465

  • Des migrants crèvent de froid aux portes de Paris, et l’État ne fait rien
    https://reporterre.net/Des-migrants-crevent-de-froid-aux-portes-de-Paris-et-l-Etat-ne-fait-rien

    Des centaines d’exilés s’entassent dans un tunnel aux portes de la capitale. Hommes, femmes et enfants y sont dans « l’abandon le plus complet », regrettent les auteurs de cette tribune. Ils appellent les autorités à mettre à disposition les locaux vacants. Source : Reporterre

  • When migrants go missing on the Atlantic route to Spain

    Hamido had heard nothing from his wife and child in 10 days since they set sail from Western Sahara for the Canary Islands — but then a boat was found with many dead onboard.

    Frantic and distraught, Hamido — an Ivorian national working in France — tried to contact the Spanish police and the authorities in Gran Canaria for news of his family.

    But no one could help him, so he flew to the island where he learned via the media that his wife had died on the boat, and his six-year-old daughter — who had watched her die — was completely traumatised.

    “This man contacted us, he was absolutely desperate because no one would give him any information,” said Helena Maleno of Caminando Fronteras, a Spanish NGO that helps migrant boats in distress and families searching for loved ones.

    For worried relatives, trying to find information about people lost on the notoriously dangerous route to the Spanish Atlantic archipelago can be a nightmare.
    Deadliest year since 1997

    In fact, 2021 has been a particularly deadly year for migrants trying to reach Spain, via either the Atlantic or the Mediterranean.
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    In the past two years, the number of dead and missing on the Atlantic route has increased nearly fivefold — from 202 in 2019 to 937 so far this year, the International Organization for Migration says LLUIS GENE AFP

    “The data show that 2021 seems to be the deadliest year on record since 1997, surpassing 2020 and 2006 as the two years with the highest recorded deaths,” said MMP’s Marta Sanchez Dionis.

    According to figures compiled with Spanish human rights organisation, APDHA, 10,236 people died between 1997 and 2021.

    But both organisations concede that the real number “could be much higher”.

    Caminando Fronteras — which tracks data from boats in distress, including the number of people on board — calculates that 2,087 people died or went missing in the Atlantic in the first half of 2021, compared with 2,170 for the whole of 2020.

    It was in late 2019 that the number of migrant arrivals in the Canaries began to rise, after increased patrols along Europe’s southern coast reduced Mediterranean crossings.

    But the numbers really took off in mid-2020 as the pandemic took hold, and so far this year, 20,148 have reached the archipelago, MMP figures show.
    Canary Islands AFP MAP

    The Atlantic route is extremely hazardous for the small, overloaded boats battling strong currents, with MMP saying “the vast majority of departures” were from distant ports in Western Sahara, Mauritania or even Senegal some 1,500 kilometres (900 miles) to the south.
    Boats become coffins

    The migrants hope that the boats will carry them to a new life in Europe, but for many, the vessels end up becoming their coffins.

    “I knew getting the boat was no good, but there was war in Mali and things were very difficult,” says ’Mamadou’, who left Nouadibou in Mauritania on a boat with 58 people in August 2020.
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    ’Mamadou’ was one of more than 50 people who took a boat from Nouadibou in Mauritania in August 2020 that got lost at sea for two weeks. He was one of just 11 survivors LLUIS GENE AFP

    After three days at sea, food and water ran out, and people began to die, images which still haunt him today.

    Wandering through the “boat cemetery” at Gran Canaria’s Arinaga port, the lanky teen falls silent as he looks at the shabby wooden hulls, overwhelmed by memories of the two weeks he and his fellow passengers spent lost at sea.

    He was one of just 11 survivors.

    “A lot of people died at sea. They didn’t make it...,” he says, a vacant look in his eyes.

    “Their families know they’ve gone to Spain, but they don’t know where they are.”

    Rescuers found five bodies in the boat. The rest had been thrown overboard, joining a growing list of uncounted dead.

    “These people shouldn’t be dying,” says Teodoro Bondyale of the Federation of African Associations in the Canary Islands (FAAC), standing by the grave of a Malian toddler who died in March, a faded blue teddy still perched on the mound of earth.
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    ’We are forcing people to travel on dangerous migratory routes where the risk of dying is very high,’ says Teodoro Bondyale, of the Federation of African Associations in the Canary Islands (FAAC) LLUIS GENE AFP

    At least 83 children died en route to the Canary Islands this year, MMP figures show.

    “If migration could be done normally with a passport and a visa, people could travel and try and improve their lives. And if it didn’t work, they could go home,” he told AFP.

    “But we are forcing them to travel on dangerous migratory routes, trafficked by unscrupulous people where the risk of dying is very high.”
    More boats, more deaths

    “Day after day the situation is getting worse, the number of boats and deaths this year has increased much more than last year,” immigration lawyer Daniel Arencibia told AFP.
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    This year, more than 20,000 people have reached the Canary Islands, the vast majority rescued by Spain’s Salvamento Maritimo lifeboat service LLUIS GENE AFP

    "The situation is complicated at a political level because there is no single body in charge of managing the search for the missing.

    “So it’s down to the families themselves and the people helping them. But many times they never find them.”

    Jose Antonio Benitez, a Catholic priest, uses his extensive network of contacts among the authorities and NGOs to try to help distraught families.

    “My role is to make it easier for families to get the clearest possible picture of where they might find their loved ones. Without a body, we cannot be sure a person has died, but we can tell them they’ve not been found in any of the places they should be,” he says.

    But even then, bureaucratic red tape and rigid data protection laws can often cause more suffering.

    Such was the case with several Moroccan family members who flew over after the coastguard found a boat on which 10 North Africans lost their lives.

    “They spent several days going round all the hospitals, but nobody gave them any answers because you have to have documentary proof that you are a relative,” Benitez told AFP.
    PHOTO ’If we had other laws and safe corridors, if immigration was allowed, this would not be happening,’ says Catholic priest Jose Antonio Benitez, who helps families track down their missing loved ones LLUIS GENE AFP

    They eventually found the bodies of their loved ones in the morgue.

    “The laws of Europe and Spain are profoundly inhumane,” Benitez said.

    “If we had other laws and safe corridors, if immigration was allowed, this would not be happening.”
    Red Cross pilot programme

    Since mid-June, Caminando Fronteras has been helping 570 families trace people missing in the Atlantic, while the Spanish Red Cross has received 359 search requests.
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    Malian migrant ’Mamadou’ shows a picture of the boat he arrived on where dozens of people died LLUIS GENE AFP

    By the end of November, the Spanish Red Cross had recovered just 79 bodies on the Canaries route, internal data show, but experts say most of the dead will never be found.

    “What happens to these families when there are no bodies? You have to find other ways to reach the same goal,” says Jose Pablo Baraybar, a forensic anthropologist running an ICRC pilot programme in the Canary Islands with the Spanish Red Cross.

    The aim is to clarify the fate of the disappeared by pooling information from multiple sources on a collaborative platform to build a picture of who was on the boat and what happened, with accredited users feeding data directly into the system.

    “More than finding people, it’s about providing authoritative, if partial, answers,” Baraybar said.

    https://www.france24.com/en/live-news/20211203-when-migrants-go-missing-on-the-atlantic-route-to-spain?ref=tw
    #décès #morts #asile #migrations #réfugiés #frontières #Espagne #route_atlantique #Canaries #îles_canaries #Atlantique

  • Liste des footballeurs morts sur un terrain en 2021
    Source : https://fr.wikipedia.org/wiki/Liste_des_footballeurs_morts_sur_un_terrain

    La presse sportive en parle assez peu, probablement de peur que le football soit interdit.

    2018 1 décès.

    2019 8 décès.

    2020 3 décès.

    2021, on est déjà à 15 décès

    03/01/2021 - Alex Apolinario - décède à l’hôpital quatre jours après avoir fait un arrêt cardiorespiratoire sur le terrain - Source : RMC Sport.
    https://rmcsport.bfmtv.com/football/portugal-forte-emotion-apres-le-deces-d-un-jeune-joueur-bresilien_AN

    11/04/2021 - Reda Saki (Maroc) - s’effondre lors d’un match de championnat amateur puis décède peu de temps après son transfert à l’hôpital - Source : africatopsports.com.
    https://www.africatopsports.com/2021/04/12/maroc-joueur-meurt-match

    04/06/2021 - Giuseppe Perrino (Italie) - Décédé d’un arrêt cardiaque lors d’un match en hommage à son frère - Source marca.com.
    https://www.marca.com/en/football/international-football/2021/06/05/60bbd7d722601d9a708b4608.html

    17/06/2021 - Robert Lima (Salvador) - Meurt au cours d’un match amical, victime d’une crise cardiaque - Source today.in-24.
    https://today.in-24.com/sport/News/2311.html

    21/06/2021 - Viktor Marcell Hegedüs (Hongrie) - Décédé après s’être effondré lors d’un entraînement - Source budapestherald.
    https://www.budapestherald.hu/sport/2021/06/26/an-18-year-old-hungarian-football-player-collapsed-and-died-during-tr

    16/07/2021 - Imad Bayoumi (Egypte) - S’effondre dans un match puis meurt à l’hôpital - Source eg24.news.
    https://www.eg24.news/2021/07/the-death-of-a-retired-egyptian-player-during-a-friendly-match-to-pay-tribute

    17/08/2021 - Moira Claire Arney (Texas) - Décédée lors d’un entraînement avec son équipe - Source Forth Worth Star-Télégram.
    https://www.star-telegram.com/news/state/texas/article253583989.html

    04/09/2021 - Jens De Smet (Belgique Pays Bas) - Effondré sur le terrain, probablement à victime d’une cardiomyopathie - Source Sud Info.
    https://lacapitale.sudinfo.be/829129/article/2021-09-07/un-jeune-de-27-ans-decede-en-match-de-foot-amateur-mon-frere-etai

    05/09/2021 - Dylan Rich (Angleterre) - Victime d’un malaise cardiaque lors d’un match, il est hospitalisé puis décède trois jours plus tard - Source Voici.fr.
    https://www.voici.fr/news-people/actu-people/mort-de-dylan-rich-a-17-ans-le-footballeur-a-ete-victime-dun-malaise-cardiaque

    11/09/2021 - Frédéric Lartillot (Ain) - Succombe à une crise cardiaque dans les vestiaires après un match amical - Source Le Progrés.
    https://www.leprogres.fr/culture-loisirs/2021/09/11/deces-d-un-joueur-de-foot-apres-un-match-ses-coequipiers-ont-tout-tente-po

    28/09/2021 - Antonello Campus (Sardaigne) - Décède suite à une crise cardiaque à la fin de l’entraînement d’une équipe de jeunes - Source unionesarda.it/news.
    https://www.unionesarda.it/news-sardegna/sassari-provincia/tragedia-in-campo-malore-fatale-per-lallenatore-della-juniones-dellusine

    07/10/2021 - Niels De Wolf (Belgique) - Décédé à l’hôpital quelques jours après avoir fait un arrêt cardiaque dans les vestiaires - Source RTL 5mn.
    https://5minutes.rtl.lu/sport/international/a/1798456.html

    08/10/2021 - Benoît Sabard (Cher) - Succombe à un arrêt cardiaque pendant la seconde mi-temps - Source Ouest France.
    https://www.ouest-france.fr/centre-val-de-loire/cher/cher-un-footballeur-meurt-d-un-arret-cardiaque-en-plein-match-7461855

    10/10/2021 - (France) Un joueur de Saint James est victime d’une crise cardiaque - Source actu.fr/normandie .
    https://actu.fr/normandie/avranches_50025/un-joueur-de-foot-fait-un-arret-cardiaque-avant-le-match-saint-james-contre-avr
    Toujours vivant

    17/10/2021 - Badr Laksour (Vaucluse) - Mort d’un arrêt cardiaque en fin de première mi-temps. Source Ouest France.
    https://www.20minutes.fr/faits_divers/3153839-20211021-avignon-un-footballeur-amateur-meurt-d-un-arret-cardiaque

    24/10/2021 - Jean Megarus (Isére) - Victime d’un malaise cardiaque à la mi-temps, il n’a pas pu être ranimé. Source Rennes maville.
    https://rennes.maville.com/sport/detail_-isere.-un-gardien-de-but-meurt-dans-les-vestiaires-au-cours-

     #santé #santé_publique #décès #football #sport #foot #football_is_a_country #fifa #presse

    • Rugby : décès de l’internationale écossaise Siobhan Cattigan à 26 ans
      https://www.lefigaro.fr/sports/rugby/rugby-deces-de-l-internationale-ecossaise-siobhan-cattigan-a-26-ans-2021120

      01/12/2021 La Fédération écossaise de rugby a annoncé le décès brutal de l’internationale Siobhan Cattigan à l’âge de 26 ans. « Scottish Rugby est profondément attristé d’apprendre le décès de l’internationale écossaise Siobhan Cattigan. Les pensées de tous nos employés et joueurs vont à la famille de Siobhan et à de nombreux coéquipiers du comté de Stirling et de l’Écosse en cette période incroyablement difficile », indique la Fédération dans un communiqué, qui ne précise pas les causes de son décès. Trois-quarts polyvalente, Siobhan Cattigan avait porté le maillot écossais à 19 reprises.


      Siobhan Cattigan avait été sélectionnée 19 fois en équipe d’Écosse. Photo Scottish Rugby

    • Diminué depuis qu’il est vacciné, Jérémy Chardy suspend sa saison L’équipe ! ! ! !
      https://www.lequipe.fr/Tennis/Actualites/Jeremy-chardy-suspend-sa-saison/1287521

      Jérémy Chardy (73e mondial) a été contraint de suspendre sa saison, sans savoir pour combien de temps, en raison d’une réaction au vaccin Pfizer contre le Covid. « Depuis que j’ai eu mon vaccin (entre les Jeux olympiques et l’US Open, ndlr), j’ai un problème, j’enchaîne les galères. Du coup, je ne peux pas m’entraîner, je ne peux pas jouer », a-t-il confié à l’AFP en expliquant ressentir de violentes douleurs partout dans le corps dès qu’il fait un effort physique.

      « Je préfère prendre plus de temps pour me soigner et être sûr que, dans le futur, je n’aurai pas de problème »

      Durant plusieurs semaines, le Français (34 ans) s’est posé des questions sur la provenance de ces douleurs quasiment paralysantes. « Maintenant, j’ai été voir deux docteurs, j’ai fait des tests, donc je sais ce que j’ai et le plus important, c’est de me soigner. Je préfère même prendre plus de temps pour me soigner et être sûr que, dans le futur, je n’aurai pas de problème, plutôt que d’essayer de revenir le plus vite possible sur le court et me retrouver avec encore des problèmes de santé. Dans la tête, c’est difficile parce que je ne sais pas combien de temps ça va durer. Pour l’instant, ma saison est arrêtée et je ne sais pas quand je reprendrai », a-t-il encore souligné, toujours sous le choc vingt-quatre heures après avoir reçu les résultats de ses analyses.
      . . . . . .

    • Officialisation des réactions graves suite aux vaccins.
      Les personnes qui ont très mal réagi au vaccin auront un certificat de vaccination sans deuxième dose Belga
      https://bx1.be/categories/news/les-personnes-qui-ont-tres-mal-reagi-au-vaccin-auront-leurs-cst

      Les personnes qui ont fait une réaction grave à la vaccination contre le Covid-19 et pour qui une deuxième injection n’est plus envisageable peuvent également recevoir un certificat de vaccination par l’un des 21 médecins de référence officiels. Cette attestation n’est pas contre valable qu’en Belgique, a indiqué samedi la Taskforce vaccination.

      Depuis septembre, certaines personnes qui, pour des raisons médicales (risque élevé de réactions allergiques notamment) ne peuvent pas se faire vacciner, peuvent se voir proposer par l’un de ces 21 médecins de référence, une attestation leur permettant le remboursement sans limite des tests PCR. A peine quelques dizaines de personnes en ont profité depuis le début de l’année scolaire, malgré la quantité importante de demandes reçues, la plupart des personnes pouvant être vaccinées moyennant quelques adaptations, a précisé la taskforce lors d’un point de presse.

      Depuis peu, les personnes ayant eu une réaction indésirable très grave (ayant entraîné une hospitalisation) après une première vaccination peuvent également être envoyées par leur médecin généraliste vers un médecin de référence qui pourra envisager d’utiliser un vaccin différent pour la prochaine vaccination anti-coronavirus ou, si cela n’est pas possible, une attestation permettant d’obtenir un CST-vaccination, mais qui ne s’appliquera qu’au territoire belge.

      #vaccins #effets_secondaires #crise_sanitaire #sante #santé #coronavirus #sars-cov-2 #variant #covid #pandémie #santé_publique 

  • Migrants : « Ce sont bien les Etats qui tuent aux frontières de l’Europe »

    Face aux discours de dédouanement de nombreux responsables politiques après la mort d’au moins 27 personnes au large de Calais le 25 novembre, plus de 200 universitaires spécialistes des questions migratoires demandent, dans une tribune au « Monde », que les Etats européens, y compris le Royaume-Uni, reconnaissent leurs responsabilités.

    Tribune. Mercredi 24 novembre, au moins 27 personnes sont mortes dans la Manche après avoir tenté une traversée en bateau vers les côtes britanniques. C’est le bilan le plus meurtrier de ces dernières années à Calais et ses environs. Pourtant, quiconque connaît la région ne peut s’étonner d’une telle nouvelle. D’abord parce que les frontières – mais surtout les politiques visant à empêcher leur passage – ont tué plus de 300 personnes sur ce seul littoral depuis 1999.

    Ensuite parce que, depuis le début des passages en small boats, en 2018, on ne pouvait que craindre un tel drame : la Manche est l’une des voies maritimes les plus empruntées au monde, les personnes qui traversent le font dans des embarcations de fortune et avec un équipement minimum, et la température de l’eau ne laisse que peu de chance de survie aux personnes qui passent par-dessus bord. Enfin, parce qu’avec l’approche de l’hiver et la politique de non-accueil des pouvoirs publics français, les personnes en transit sont prêtes à tout pour passer coûte que coûte.

    Dans les heures qui ont suivi le repêchage de plusieurs corps sans vie au large de Calais, on a assisté à un véritable déferlement de déclarations émanant d’élus et de représentants d’institutions publiques, se défaussant de toute responsabilité dans les conséquences dramatiques d’une politique migratoire meurtrière, qu’ils ont pourtant choisie et rendent opérationnelle tous les jours. A les entendre, les « passeurs » seraient les seuls et uniques criminels dans cette « tragédie humaine », épaulés, selon certains, par les associations non mandatées par l’Etat, qui auraient « du sang sur les mains », selon les propos tenus par Pierre-Henri Dumont, député [LR] du Pas-de-Calais, sur Franceinfo, le soir du drame. Ce retournement des responsabilités est odieux et inacceptable.

    Rhétorique éculée

    Le dédouanement des politiques en France et au Royaume-Uni fait tristement écho à la situation dramatique dans le canal de Sicile, où, depuis maintenant plus de vingt ans, des bateaux chavirent et des exilés se noient dans l’indifférence. Il fait écho aussi au traitement de la situation en cours à la frontière entre la Biélorussie et la Pologne, où quelques milliers de migrants sont pris au piège entre les forces armées biélorusses et polonaises, poussés en avant par les premières et repoussés par les secondes. N’y voir que le machiavélisme de la Biélorussie épaulée par la Russie, c’est occulter la responsabilité de l’Union européenne (UE) dans ce refus obstiné d’accueillir celles et ceux qui fuient leur détresse.

    C’est bien avec l’assentiment de tous les Etats membres que les gardes-frontières polonais repoussent à coups de grenades lacrymogènes et de lances à incendie des familles afghanes, syriennes et d’autres nationalités, dont la vie est chaque jour mise en danger dans des forêts marécageuses, par des températures glaciales. Ce sont bien les Etats qui tuent aux frontières européennes.

    Face à la rhétorique éculée de l’appel d’air et de l’invasion, face à l’entier report de la responsabilité à des passeurs ou à des régimes dits hostiles à l’UE, face à la criminalisation toujours plus grande de la solidarité, nous, sociologues, politistes, géographes, anthropologues, historiens, juristes, philosophes et psychologues spécialistes des questions migratoires, souhaitons rétablir quelques vérités issues de nos longues années d’observation et d’analyse des situations créées par les politiques anti-immigration :

    – les migrations ne sont pas le fait de criminels, mais de personnes qui fuient des situations insoutenables et qui exercent un droit à la mobilité devenu, dans les faits, le privilège d’une minorité ;

    – les passeurs n’existent que parce que les frontières sont devenues difficiles, voire impossibles, à traverser légalement ;

    – l’augmentation des contrôles et des moyens policiers ne fait qu’accroître le prix des services proposés pour l’aide à la traversée ;

    – les frontières tuent ; dans les pays d’origine et de transit, en Méditerranée, dans la Manche, aux frontières terrestres, dans l’espace Schengen, dans les territoires d’outre-mer, des personnes en détresse sont confrontées à la multiplication des dispositifs de contrôle frontaliers financés en grande partie par l’UE, ses Etats membres, et le Royaume-Uni ; pour éviter d’être enfermées, expulsées, maltraitées, elles empruntent des itinéraires toujours plus dangereux et tentent malgré tout le voyage en prenant des risques immenses ;

    – le durcissement et la violence de ces contrôles augmentent la durée de l’attente, le nombre de tentatives de passage aux abords des frontières, les risques d’expulsion, conduisant à des parcours erratiques à travers la France et l’Europe, renforçant d’autant les souffrances endurées et les risques létaux ;

    – la politique de « non-accueil » mise en œuvre à Calais comme ailleurs, consistant à harceler sans relâche les personnes exilées, à leur dénier l’accès aux droits fondamentaux les plus élémentaires et à entraver le travail des associations qui leur viennent en aide ne fait que rendre l’horizon britannique plus désirable ;

    – à l’encontre des politiques dominantes, la solidarité des populations avec les personnes migrantes est de plus en plus patente à travers l’Europe ; des individus et des associations se mobilisent pour permettre à des milliers d’hommes, de femmes et d’enfants de survivre malgré des conditions toujours plus difficiles ; qu’ils et elles soient accusés de « favoriser l’appel d’air », quand ce n’est pas de complicité de meurtre, est tout simplement honteux.

    Face à ces drames, il est urgent que l’UE et les Etats européens, y compris le Royaume-Uni, reconnaissent leurs responsabilités et changent radicalement de cap : il n’est pour nous ni concevable ni acceptable que les institutions poursuivent dans leur entêtement à traiter les personnes migrantes comme des criminels, pour ensuite regretter hypocritement les morts que les mesures sécuritaires contribuent à produire.

    Premiers signataires : Annalisa Lendaro (CNRS, Certop) ; Karine Lamarche (CNRS, CENS) ; Swanie Potot (CNRS, Urmis) ; Marie Bassi (université Nice-Sophia-Antipolis, Ermes) ; Michel Agier (IRD-EHESS, IIAC) ; Didier Bigo (Sciences Po, CERI) ; Alain Morice (CNRS, Urmis) ; Léa Lemaire (ULB, Cofund Marie Curie) ; Morgane Dujmovic (AMU, Telemme) ; Mustapha El Miri (AMU, LEST) ; Etienne Balibar (université Paris-Nanterre, Sophiapol) ; Nicolas Fischer (CNRS, Cesdip) ; Marie-Laure Basilien-Gainche (université Lyon-III, Ediec) ; Yasmine Bouagga (CNRS, Triangle) ; Mathilde Pette (UPVD, ART-Dev) ; Sarah Sajn (Aix-Marseille Université, Mesopolhis) ; Nicolas Lambert (CNRS, RIATE)

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/12/01/ce-sont-bien-les-etats-qui-tuent-des-migrants-aux-frontieres-de-l-europe_610

    –-

    En contre-point :
    #Gérarld_Darmanin autour des morts dans #La_Manche (sans honte)
    https://seenthis.net/messages/938261

    #responsabilité #Etats #asile #migrations #réfugiés #morts #décès #morts_aux_frontières #passeurs

    • Morts et #refoulements pour cause de #non-assistance délibérée dans la Manche

      Lorsque la nouvelle a commencé à circuler qu’un bateau avait coulé au milieu de la Manche et que 27 personnes, hommes, femmes et enfants, avaient perdu la vie le mercredi 24 novembre, les gouvernements britanniques et français se sont empressés d’accuser les ” passeurs ” de cette perte de vie. Les informations qui ont émergé depuis montrent que c’est la décision des autorités de ne pas intervenir et de ne pas coopérer entre elles, alors qu’elles avaient été alertées que le bateau était en détresse, qui a conduit directement à leur mort.

      L’un des deux survivants, Mohammad Khaled, s’est entretenu avec le réseau d’information kurde Rudaw et a expliqué son histoire. Il raconte que les voyageurs sont montés sur le bateau et sont entrés dans l’eau près de Dunkerque vers 21 heures HEC dans la nuit de mardi à mercredi. Trois heures plus tard, ils pensaient être arrivés à la ligne de démarcation entre les eaux britanniques et françaises.

      Mohammad raconte que pendant leur traversée le flotteur droit perdait de l’air et des vagues entraient dans le bateau. Les passagers ont évacué l’eau de mer et utilisé une pompe manuelle pour regonfler le flotteur droit du mieux qu’ils pouvaient, mais lorsque la pompe a cessé de fonctionner, ils ont appelé les garde-côtes français à la rescousse. Ils ont partagé leur position GPS via un smartphone avec les autorités françaises, ce à quoi les Français ont répondu que le bateau se trouvait dans les eaux britanniques et qu’ils devaient appeler les Britanniques. Les voyageurs ont alors appelé les garde-côtes britanniques qui leur ont dit de rappeler les Français. Selon son témoignage, “deux personnes appelaient – l’une appelait la France et l’autre la Grande-Bretagne”. Mohammad a raconté que : “La police britannique ne nous a pas aidés et la police française a dit : “Vous êtes dans les eaux britanniques, nous ne pouvons pas venir”. Bien que les garde-côtes de Douvres et le centre français de coordination des secours maritimes de Gris-Nez connaissent l’emplacement et l’état du bateau, aucun des deux n’a lancé d’opération de recherche et de sauvetage.

      Un parent d’une des personnes à bord, également interrogé par Rudaw, explique que les problèmes avec le flotteur ont commencé vers 01h30 du matin GMT. Il a été en contact avec les personnes à bord jusqu’à 02h40 GMT et suivait également la position du bateau, partagée en direct sur Facebook. Il insiste sur le fait qu’à ce moment-là, le bateau se trouvait dans les eaux britanniques et que les garde-côtes de HM étaient au courant de la situation. Il déclare : “Je crois qu’ils étaient à cinq kilomètres à l’intérieur des eaux britanniques” et lorsqu’on lui demande si les Britanniques étaient au courant du bateau en détresse, il répond : “100 pour cent, 100 pour cent et ils [la police britannique] ont même dit qu’ils viendraient [à la rescousse]”.

      Interrogés par Rudaw, les Britanniques ont nié que le bateau se trouvait dans leurs eaux. Un communiqué du ministère de l’Intérieur indique : “Les responsables ici ont confirmé hier soir que l’incident s’est produit bien à l’intérieur des eaux territoriales françaises, ils ont donc dirigé les opérations de sauvetage, mais [nous] avons déployé un hélicoptère en soutien à la mission de recherche et de sauvetage dès que nous avons été alertés.” Cependant, Rudaw (au 29/11) n’a toujours pas reçu de réponse détaillée sur la question de savoir si oui ou non les garde-côtes de HM avaient reçu un appel de détresse du navire pendant la nuit ou tôt le matin.

      Une question se pose quant à la déclaration du ministère de l’Intérieur : quelle est la période qui, selon lui, constitue “l’incident” ? La déclaration mentionne le déploiement d’un hélicoptère “dès que nous avons été alertés”. Le suivi du vol de l’hélicoptère G-MCGU des garde-côtes de HM (nommé “Sar 111232535” sur MarineTraffic) par Sergio Scandura montre qu’il a effectué trois vols au-dessus de la zone le 24 novembre :

      Le premier entre 03h46 et 06h26 GMT, où il semble avoir effectué une recherche de type “carré en expansion”, et le second des cibles spécifiques qu’il a trouvées. S’il s’agit du lancement “dès que nous avons été alertés” dont parle le ministère de l’Intérieur, cet hélicoptère a-t-il repéré le bateau de Mohammad et d’autres navires ont-ils été lancés pour participer à la mission de recherche et de sauvetage ?

      La fois suivante, l’hélicoptère a été lancé dans l’après-midi, à 13 h 16 GMT. Il semble faire une “recherche de secteur” et encercle à nouveau certains endroits spécifiques. C’est à peu près l’heure à laquelle les Français ont lancé leur opération de recherche et de sauvetage, et il est plus probable qu’il s’agisse du lancement et de l’ “incident” dont il est question dans la déclaration du ministère de l’Intérieur. Ce n’est qu’à 15 h 47 que la préfecture maritime de la Manche et mer du Nord a indiqué pour la première fois sur Twitter qu’elle coordonnait une opération de recherche et de sauvetage concernant un naufrage dans la Manche. Les données de MarineTraffic montrent que les bateaux impliqués dans le sauvetage, par exemple le canot de sauvetage Notre Dame Du Risban de la SNSM, n’ont commencé à se diriger vers cet endroit que vers 14h00, soit environ 12 heures après que Mohammad et son parent aient déclaré avoir parlé pour la première fois avec les autorités. La majeure partie de l’activité des navires français chargés de l’opération de sauvetage en question se déroule autour de 51°12′ N, 1°12 E, une position située à environ 1 mile seulement à l’est de la ligne séparant les eaux françaises des eaux britanniques.

      Cela signifie que pendant environ 12 heures, entre 02h30 et 14h00 environ, plus de trente personnes ont été laissées à la dérive dans un bateau qui coulait et sans moteur dans l’une des voies maritimes les plus fréquentées et les plus surveillées du monde. Des informations supplémentaires sont encore nécessaires pour prouver définitivement que Mohammad et les autres personnes à bord de son bateau se trouvaient dans les eaux britanniques, pendant combien de temps, et que leur situation de détresse était connue des garde-côtes de HM. Toutefois, compte tenu du témoignage de Mohammad, des parents des autres passagers, du premier hélicoptère et du temps pendant lequel le bateau a dérivé en mer, il est extrêmement probable que les garde-côtes britanniques étaient au courant de la situation. Mais au lieu d’intervenir pour sauver des vies en mer, il semble qu’ils aient décidé de faire de la politique et d’espérer que les voyageurs reviennent à la dérive et se noient dans les eaux françaises.

      Mohammad a témoigné que, même si l’eau pénétrait dans le bateau pendant la nuit et que des personnes étaient submergées, “tout le monde pouvait supporter la situation jusqu’au lever du soleil, puis, lorsque la lumière a brillé, personne ne pouvait plus supporter la situation et ils ont abandonné la vie”. Au moment où le soleil s’est levé, ils avaient déjà perdu tout espoir de survie.

      20/11/21

      Le récit de Mohammad Khaled du 24 novembre n’est pas le premier de ce qui semble être une non-assistance délibérée aux bateaux de migrants en détresse dans la Manche. Moins d’une semaine auparavant, le 20 novembre, nous nous sommes entretenus avec une autre personne dont les appels à l’aide dans la Manche, près de la ligne frontalière, semblent avoir été délibérément ignorés par les Britanniques et qui nous a fourni le récit suivant de son voyage :

      ‘’ C’était aux environs de trois heures du matin le samedi 20 novembre, lorsque nous avons embarqué sur notre bateau. Nous étions 23 personnes sur le bateau. Trois heures après, je pense, nous avons atteint la frontière britannique puis nous nous sommes retrouvés à court d’essence, je pense à 7 heures et ensuite nous avons décidé d’appeler le 999.

      Lorsque nous les avons appelé, ils nous ont dit que nous étions dans les eaux françaises sans nous demander notre localisation. Ils nous ont dis d’appeler le 196. Dans un premier temps, nous n’étions pas d’accord pour appeler les français.

      Nous avons essayé de ramer, mais c’était très difficile à cause des vagues. Puis, nous avons décidé d’appeler les français. Quand nous avons appelé, ils nous ont demandé de leur envoyer notre localisation en direct, puis ils nous ont dit ʺ vous êtes dans les eaux britanniques ʺ. Ils nous ont dit d’appeler le 999.

      Ensuite, nous avons rappelé les anglais beaucoup de fois, mais ils ont continué à nous répéter que nous étions dans les eaux françaises et puis ils nous ont raccroché au nez. Les britanniques nous ont répondu de manière très impolie, et il nous a semblé qu’ils se moquaient de nous. Je leur ai dis deux fois qu’il y avait des gens qui mouraient à bord, mais ils n’en avaient rien à foutre.

      Nous avons envoyé notre localisation en direct une deuxième fois aux gardes côtes français. Nous avons également appelé, et nous avons essayé de les joindre avec deux téléphones mais ils ont continué à nous dire que nous étions dans les eaux anglaises.

      J’ai donc décidé aux alentours de 9h30 de téléphoner à Utopia. Puis, ils nous ont aidé et ont forcé les autorités françaises à nous envoyer un bateau pour nous sauver aux alentours de 10H-10H30.

      La raison pour laquelle je partage cela c’est parce que je ne veux pas que cela arrive encore parce que cela concerne la vie des gens. ‘’

      Utopia 56, après avoir été appelé par les personnes en détresse, a appelé le CROSS Gris-Nez, le centre français de coordination des secours maritimes responsable du détroit de Douvres.
      Utopia 56 a relayé les informations reçues et la position du bateau, puis le CROSS lui a répondu qu’il était certain que les Britanniques n’étaient délibérément pas intervenus et avaient laissé les personnes dériver vers les eaux françaises.

      Les conséquences mortelles d’un manque de coopération

      Ces deux cas indiquent que, bien que la Border Force n’ait pas encore mis en œuvre de refoulement forcé en retournant les bateaux de migrants avec des jet-skis ou en les ramenant dans les eaux françaises, des refoulements ont déjà lieu, sous la forme de refus délibéré des garde-côtes de HM de venir en aide aux migrants qui, selon eux, dériveront vers les eaux françaises. Cette non-assistance délibérée est une tactique mortelle qui laisse les gens en mer, dans des bateaux surpeuplés et en mauvais état, pendant de nombreuses heures après leur appel à l’aide, afin de traumatiser les voyageurs et de les dissuader de tenter à nouveau la traversée vers le Royaume-Uni en bateau.

      Les garde-côtes français et britanniques “ont le devoir de coopérer ensemble pour prévenir les pertes de vie en mer et assurer l’achèvement d’une mission de recherche et de sauvetage” en vertu de la Convention internationale pour la sauvegarde de la vie humaine en mer et de la Convention sur la recherche et le sauvetage. Les deux parties ont notamment la responsabilité de se contacter dès qu’elles reçoivent des informations sur des personnes en danger et de coopérer aux opérations de recherche et de sauvetage de toute personne en détresse en mer.

      Cependant, il semble que les politiques anti-migrants actuelles du Royaume-Uni signifient que cette coopération n’existe pas, dans les faits, pour les migrants en détresse dans la Manche. En particulier, le gouvernement britannique ne veut pas être vu en train de secourir les bateaux immédiatement après leur entrée dans ses eaux.

      En outre, leurs critiques à l’encontre des Français qui (à leurs yeux) n’en font pas assez pour intercepter les bateaux de migrants en mer ou les empêcher de quitter les côtes françaises, ont semblé empoisonner les relations diplomatiques et opérationnelles entre les pays. Par exemple, le Journal du Dimanche a récemment publié que, même dans les enquêtes sur les réseaux de passeurs, il y a eu une rupture dans la coopération française et britannique.

      Au lieu de coopérer pour sauver des vies en mer, la réponse franco-britannique a été de se disputer, d’introduire davantage de mesures de police aux frontières (y compris la surveillance aérienne de Frontex), de blâmer les victimes et de continuer à faire des passeurs des boucs émissaires. Cela a été utile pour détourner l’attention de leurs propres échecs de ces derniers jours, mais n’améliorera pas la situation des personnes qui doivent réellement entreprendre ces voyages. Une sécurisation accrue des plages et des mers ne fera que pousser les gens à emprunter des routes plus longues et plus dangereuses, où la couverture téléphonique n’est pas toujours bonne. Les petits bateaux en détresse se retrouveront plus loin du grand nombre de moyens de recherche et de sauvetage potentiels situés dans le détroit de Douvres.

      La mort de leurs amis et les heures passées en détresse à dériver en mer sans secours ne dissuaderont pas les gens d’essayer d’effectuer les mêmes trajets car ils n’ont pas d’autres options. Les solutions proposées, telles que les visas humanitaires, n’offriront pas à tous ceux qui en ont besoin une route sûre vers le Royaume-Uni. D’autres continueront à s’embarquer sur de petits bateaux qui ne sont pas en état de naviguer. Simultanément, des millions de personnes font ce même voyage chaque année à bord des ferries et des trains qui traversent la Manche plusieurs fois par jour sans incident. Ce n’est qu’en accordant le droit à la liberté de circulation à tous que nous mettrons fin à l’apartheid frontalier et que nous éviterons que d’autres vies soient perdues en mer.

      https://calaismigrantsolidarity.wordpress.com/2021/11/30/morts-et-refoulements-pour-cause-de-non-assistanc

    • Naufrages dans la Manche : de l’indécence à l’horreur

      Le drame qui s’est noué le 24 novembre 2021 dans la Manche est le pendant de ce qui se joue tous les jours en Méditerranée. Il était prévisible et donc évitable : la situation qui s’enlise depuis des années dans le nord de la France est la conséquence des politiques d’asile nationale et européenne.

      Face à ce drame, la réaction des autorités navre, mais ne surprend pas.

      – L’#indécence d’abord, lorsque les responsables politiques imputent aux seuls « passeurs » la responsabilité de ce drame collectif, en faisant abstraction de l’ensemble des autres causes et singulièrement de la politique de non-accueil qui offre maintenant prise à un chantage migratoire devenu outil de pression diplomatique dans toute l’Europe.

      – Le #déni, ensuite, quand le ministre de la justice assène impunément la post-vérité officielle sur les plateaux-télés : « Vous vous rendez compte de ce que l’on suggère ? Que l’on pourrait comme ça impunément lacérer des tentes, qu’on l’encouragerait et qu’on ne distribuerait pas des vivres à ces migrants ? », en se gardant bien de s’interroger sur les raisons pour lesquelles des exilé.es continuent de transiter par Calais depuis plus de vingt ans en dépit du harcèlement violent qu’ils y subissent.

      – L’#hypocrisie, quand après avoir constaté que les lacérations de tentes étaient documentées et qu’il n’était plus possible de continuer à mentir devant l’évidence, le ministre de l’intérieur rétropédale et renvoie la responsabilité ... sur les co-contractants de l’Etat qui auraient pris l’initiative, d’eux-mêmes, de décider la destruction de ces tentes.

      – L’#horreur, enfin, quand le ministre de l’intérieur affirme que « les migrants utilisaient des bébés et menaçaient de les jeter dans une eau à quelques degrés sur un moteur (sic) si [les policiers] venaient les interpeller » ou que les premiers témoignages de rescapés du naufrage du 24 novembre dénoncent l’inaction des secours français et britanniques.

      Il faut le marteler : le harcèlement policier et administratif, les démantèlements quotidiens, systématiques et violents de tous les campements sont inadmissibles. L’État doit en finir avec sa politique de déni : en cherchant à invisibiliser ou à faire fuir les personnes étrangères, il n’aboutit qu’à les mettre toujours plus en danger. Il doit cesser d’attenter à la dignité de ces femmes et ces hommes qui ont fui le danger dans leur pays et qui vivent désormais dans l’angoisse de perdre le peu qui leur reste.

      Il faut le réaffirmer : la solution à l’hécatombe migratoire ne passe pas par l’envoi d’un avion de Frontex, cette agence européenne soupçonnée d’être complice de violations des droits humains en Grèce ; ni par la seule dénonciation des accords du Touquet, qui délocalisent les frontières britanniques sur le sol français ; elle ne passe pas par l’intensification de la lutte contre le « trafic migratoire », dont les réseaux ne prospèrent que grâce au durcissement des contrôles aux frontières.

      Il faut le dénoncer : la rhétorique mensongère des pouvoirs publics français et européens ne peut tenir lieu de politique. En invoquant la faute des autres tout en poussant les exilé.es à prendre toujours plus de risques au péril de leur vie, ils sont les premiers responsables des drames qui endeuillent les frontières.

      La France doit prendre acte de la présence d’exilé.es depuis les années 1990 et leur offrir des conditions de vie dignes. Elle doit reconnaître que, quelles que soient ces conditions de vie, certains d’entre eux voudront se rendre au Royaume-Uni, quoi qu’il en coûte.

      L’Union européenne et les Etats membres doivent en finir avec une politique qui, des îles grecques au détroit de Gibraltar, de la Pologne aux côtes de la Manche, enferme, harcèle, bafoue les droits et va jusqu’à tuer, dans un renoncement fatal aux principes qui l’engagent.

      https://www.gisti.org/spip.php?article6703

    • Hécatombe aux frontières : identifier les responsables

      À la suite du dramatique accident qui a causé la mort de trois personnes exilées, fauchées par un train à proximité de Saint-Jean-de-Luz le 12 octobre dernier et au cours duquel une quatrième a été grièvement blessée, trois associations s’associent à la plainte contre X déposée ce 6 décembre par plusieurs victimes entre les mains du procureur de la République de Bayonne.

      Le 12 octobre dernier, un train en provenance d’Hendaye a percuté quatre personnes qui se trouvaient sur les voies ferrées non loin de la gare de Saint-Jean-de-Luz. Trois d’entre elles ont perdu la vie dans l’accident. Le seul survivant, très grièvement blessé, a déclaré aux enquêteurs que leur groupe, qui venait d’Espagne, s’était réfugié au niveau de cette voie, déserte et non éclairée, afin d’éviter les contrôles de police.

      De fait, depuis leur rétablissement en 2015, les contrôles aux frontières intérieures françaises sont sans cesse renforcés et la frontière franco-espagnole n’échappe pas au déploiement des moyens matériels, technologiques et humains toujours plus importants consacrés à cette surveillance.

      Pourtant, chacun sait que cette politique a un coût humain considérable : en rendant le franchissement des frontières toujours plus difficile et périlleux, elle accroît mécaniquement les risques d’accidents et de morts pour les personnes exilées auxquelles toute autre voie d’accès ou de circulation est interdite.

      C’est ainsi que le drame du 12 octobre est venu aggraver le bilan des morts à la frontière franco-espagnole pour 2021, après les décès par noyade de Yaya Karamamoko le 22 mai et d’Abdoulaye Koulibaly le 8 août – tous deux ayant tenté de traverser la Bidassoa pour rejoindre la France depuis la ville d’Irun – et celui, le 16 juillet, d’une personne également fauchée par un train entre Cerbère et Banyuls-sur-Mer. S’y ajoute désormais le décès d’une troisième personne, par noyade dans la Bidassoa, le 20 novembre dernier.

      A la frontière franco-italienne, ce sont plus de trente décès qui ont été recensés depuis 2015 : principalement des cas d’électrocution sur des trains ou de collisions avec des trains ou des véhicules sur la voie Nice-Vintimille, ainsi que des cas de chute ou d’hypothermie sur les chemins de montagne. Le 6 novembre dernier, le corps d’une personne exilée qui avait chuté du « sentier du pas de la mort » était ainsi retrouvé vers Menton, dans un état de décomposition avancée.

      Quant à la frontière avec l’Angleterre, au moins 336 personnes ont perdu la vie, depuis 1999, en tentant de la franchir : cachées dans la remorque d’un camion, électrocutées par un caténaire du site d’Eurotunnel, noyées dans la Manche, ou mortes par défaut de prise en charge médicale ou des suites d’une intervention des forces de l’ordre.

      Ces drames ne peuvent continuer de s’accumuler sans que soient questionnées des décisions et des pratiques de verrouillage des frontières toujours plus rigoureuses et sophistiquées, et ayant pour conséquence d’accroître les risques auxquels expose leur franchissement.

      C’est pourquoi l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé), le Groupe d’information et de soutien des immigré·es (Gisti) et la Cimade ont décidé de s’associer à la plainte contre X qui vient d’être déposée entre les mains du procureur de la République de Bayonne par plusieurs victimes afin que toute la lumière soit faite sur les circonstances et les causes du drame de Saint-Jean-de-Luz.

      L’hécatombe aux frontières doit cesser : en s’associant à cette plainte, nos associations manifestent l’exigence de transparence et de vérité qui doit contribuer à en identifier tous les responsables.
      Le 8 décembre 2021

      Anafé
      Gisti
      La Cimade

      Reçu via la mailing-list du Gisti, le 08.12.2021

    • Débat : Peut-on en finir avec la « #crise » des migrants dans les #médias ?

      Le 24 novembre 2021, 27 personnes meurent dans un naufrage au large de Calais alors qu’elles espéraient traverser la Manche pour rejoindre l’Angleterre.

      Dans les heures qui suivent, l’événement fait la une et les journalistes se mettent à la recherche d’« experts » à inviter à la radio et à la télévision. Rebelote quelques jours plus tard, cette fois pour commenter l’annonce du ministre de l’Intérieur d’appeler en renfort Frontex, l’agence européenne de contrôle des frontières.

      Il se trouve qu’à l’instar de nombre de mes collègues, je fais partie des chercheurs et universitaires considérés comme « spécialistes des migrations ». C’est à chaque fois pareil : les journalistes cherchent un invité pour parler durant quelques minutes ; il y a urgence car l’émission est prévue pour le soir même, ou le lendemain matin au plus tard ; et comme tout le monde prévoit de parler de Calais, les « spécialistes » sont sur-sollicités, renvoient à d’autres collègues, les journalistes enchaînent les coups de fil, l’agitation croît au fil de la journée – parfois jusqu’à l’absurde.
      Nous disons tous la même chose

      Les collègues qui finissent par passer à l’antenne disent tous la même chose. Non, les passeurs ne sont pas les seuls responsables de ces drames, ce sont les États qui condamnent les migrants à prendre des risques insensés. Non, le traitement inhumain infligé aux migrants, que ce soit à Calais, ailleurs en Europe ou encore en Libye, ne décourage personne, mais ne fait que perpétuer une impasse qui aboutit aux tentatives les plus désespérées. Oui, il est possible d’accueillir décemment ces exilés, en garantissant leur droit de demander l’asile ou en reconnaissant qu’ils occupent les emplois dont personne ne veut. Et non, une telle politique ne créerait pas l’appel d’air tant redouté, mais ne ferait que respecter les principes les plus élémentaires d’un continent qui se prétend un « espace de liberté, de sécurité et de justice ».

      De telles séquences ne sont malheureusement pas nouvelles. Depuis des décennies les migrants meurent aux frontières de l’Europe. Et depuis des décennies les États européens accusent les passeurs et renforcent le contrôle des frontières. Qui se souvient qu’au début des années 2000, l’Espagne réclamait déjà « bateaux et avions » pour empêcher les arrivées de migrants sur les îles Canaries ?

      Certains chercheurs font donc le tour des plateaux, pour l’adrénaline du direct et le narcissisme inhérent à l’exercice, bien sûr, mais aussi pour de très bonnes raisons : apporter un éclairage au débat public, valoriser l’utilité des sciences sociales, défendre des valeurs, et contrer les propos xénophobes qui saturent l’espace public, a fortiori en ce début de campagne présidentielle.

      D’autres chercheurs sont plus hésitants. Question de tempérament, d’expérience des médias, et aussi de rigueur car force est d’avouer qu’on ne connaît pas toujours grand-chose du sujet du jour, et qu’on a de toute manière pas le temps de se préparer. Pour ma part, bien que « spécialiste des migrations », je n’ai jamais étudié la situation à Calais et n’ai aucune connaissance particulière sur le sujet (de même que je connais pas grand-chose non plus sur la frontière entre la Pologne et la Biélorussie, sujet sur lequel mes collègues et moi-même sommes aussi sollicités).

      Ce n’est pas vraiment un problème car je maîtrise bien les quelques généralités qu’on me demande d’énoncer. Mais cette superficialité n’en est pas moins un peu insatisfaisante, voire parfois aliénante. Et puis il y a le problème de la disponibilité, avec des émissions de très bon matin ou vers 19-20 heures, quand ce n’est pas le dimanche à midi – autant dire des horaires défavorables à la vie de famille.
      Des questions de fond

      Au-delà de ces petits débats entre collègues, le traitement médiatique des migrations pose des questions de fond. Avec la crise des migrants et des réfugiés en Europe, la manière dont la presse couvre des événements comme les naufrages en Méditerranée a fait l’objet de beaucoup de réflexions. On s’accorde à considérer que les médias jouent un rôle clé et qu’ils ont une responsabilité particulière. L’Unesco, par exemple, travaille avec les médias pour qu’ils fournissent « des informations vérifiées, des opinions éclairées ainsi que des récits équilibrés ».

      De même, Amnesty International déconseille l’usage de termes qui « déshumanisent » les migrants comme : clandestins, illégaux, ou flux migratoires.

      On se souvient aussi qu’en 2015 la chaine Al Jazeera écartait le terme de migrant et ne parlait que de réfugiés, pour insister sur les raisons impérieuses et légitimes qui motivent leur départ (là où de nombreux médias européens faisaient le contraire).

      Il existe également un manuel destiné aux journalistes qui travaillent sur le sujet, tandis que l’association France Terre d’asile organise des séances de formation à leur intention.

      C’est là aussi le sens des invitations aux « spécialistes des migrations », lesquels fourniraient un éclairage aux journalistes (et, à travers eux, à leur public). Mais on peut s’interroger sur ce besoin d’instruire les médias. Les quelques journalistes que j’ai eu l’occasion de rencontrer connaissent tout aussi bien que moi les arguments sur les impasses des politiques migratoires actuelles. S’ils m’invitent, ce n’est donc pas pour mes connaissances. Ce n’est pas étonnant : à force d’inviter des chercheurs, les journalistes sont devenus familiers de leurs explications. Le « spécialiste » ne fait donc que redire ce que tout le monde sur le plateau sait déjà.
      Une médiatisation qui renforce le climat de crise

      Ce que je constate surtout, c’est que les interactions entre médias et « spécialistes » sont pernicieuses car elles renforcent paradoxalement le climat de « crise » qui caractérise la perception des migrations.

      En ce qui me concerne, j’expliquerais volontiers qu’un naufrage comme celui de Calais ne relève pas d’une « crise », mais d’une forme de routine – une routine certes tragique et inacceptable, mais une routine quand même. Cette routine est la conséquence directe de la manière dont les États gouvernent les migrations, et il ne faut donc pas s’en étonner. C’est là le travail des universitaires (et des sciences sociales) : prendre du recul par rapport à l’actualité brûlante, mettre l’événement en perspective, rappeler des précédents historiques, etc.

      Mais comment exposer de tels arguments si, précisément, on ne parle des migrations qu’à l’occasion de naufrages ? En matière de communication, la forme prend souvent le pas sur le fond. Et naturellement, plus on évoque les migrations sous l’angle d’une crise, plus les responsables politiques seront fondés à ne présenter les naufrages que comme des événements imprévus et tragiques, et à les traiter à grands coups de réunions d’urgence et de mesures ad hoc – perpétuant ainsi un cycle de crise et d’urgence qui dure depuis près de trente ans.

      On objectera que les lamentations sur les biais médiatiques sont aussi anciennes que les médias eux-mêmes, et que face à l’urgence il faut se lancer dans l’arène sans hésitation ni cynisme, et avec toute l’indignation qui sied aux circonstances. Éternel débat, auquel il n’existe probablement aucune réponse satisfaisante. Mais tout de même, comment se fait-il qu’en 2021, alors que la barre des 20 000 décès de migrants en Méditerranée a été franchie depuis 2020 déjà, on continue à solliciter en urgence des « spécialistes » à chaque naufrage, pour qu’ils interviennent le soir même et commentent un événement qui, hélas, n’en est pas un ?

      https://theconversation.com/debat-peut-on-en-finir-avec-la-crise-des-migrants-dans-les-medias-1

  • Afghans fleeing the Taliban face death, deportation and push-backs in Turkey

    With financial support from the EU, Turkey has toughened up its migration policies – putting hundreds of thousands at risk.

    As the US continues withdrawing its troops from Afghanistan, and the Taliban increases its control in the country, around 1,000 Afghans have been arriving to Turkey’s eastern border with Iran every day.

    According to an aid provider for refugees in Eastern Turkey who wishes to remain anonymous, local authorities are exposing the arriving migrants to harsh controls as they struggle to process all those in need of safety. To avoid detection by state authorities and potential mistreatment, many migrants must rely on smugglers and use dangerous routes that can sometimes end in death.

    When walking in the #Seyrantepe cemetery in #Van, in eastern Turkey, one might stumble across a large area at the end, lined with headstones without names. The gravestones are marked either by numbers or nationalities. Most are Afghans who tried to cross from Iran to Turkey before attempting to travel to Istanbul and finally to the European Union.

    “The majority of refugees die during the smuggling accidents,” the local gravedigger, a Kurdish man in his late forties, explained while walking around the cemetery. “Smugglers put too many people in small fishing boats when trying to transport them across the Van Lake, which results in boat accidents and drownings.

    “Refugees are also driven very fast through army road checks, drivers lose control and kill the passengers,” he added.

    Residents say they find dozens of dead bodies in the mountains when the snow melts every spring. These are refugees who try to cross the border in the winter and either freeze to death, are attacked by wild animals or are shot by the Iranian army.

    Who crosses the Iran-Turkey border?

    Turkey’s eastern border with Iran has served as the main transit point for Afghans since the Soviet-Afghan War in the 1980s. The Afghans I met at this border were mostly Hazara Shia Muslims, LGBTIQ+ individuals and former soldiers or translators for the US Army. All were particularly vulnerable to the recent increase in Taliban control.

    I also met Iranian, Pakistani, Bangladeshi, Iraqi, Syrian and Nigerian nationals crossing Turkey’s eastern border in search of an alternative transit route to safety after Turkey’s southern border with Syria was sealed with a wall in 2018.

    Since refugees lack access to legal routes to safety, most move without authorisation and rely on smugglers. The Turkish Ministry of Interior estimates that almost half a million ‘illegal’ migrants entered Turkey prior to the COVID-19 pandemic in 2019 and around 62,000 in 2021. However, it is likely that the real numbers are much higher due to the clandestine nature of this movement.

    Toughening up migration policies in Turkey

    Turkey hosts the largest refugee population in the world, with more than four million refugees. Since the country retains geographical limitation to the 1951 UN Refugee Convention, only people fleeing events in Europe can be given refugee status there. Yet, the majority of refugees in Turkey are Syrian nationals granted special status of temporary protection.

    Those who are non-Syrian and non-European, including Afghans, are not entitled to seek asylum in the country but must instead ask for international protection, and if successful, wait for a third country to resettle them, explains Mahmut Kaçan, a lawyer from the Bar Van Association.

    “I registered five years ago, but no one has even asked me for an interview to be resettled. We are losing hope to be resettled,” says Taimur, a refugee from Afghanistan currently residing in Van.

    Turkey has recently toughened up its migration policies, which numerous people I spoke to considered to be driven by the government’s fear that migrants will overstay in Turkey.

    My friend was crossing with a large group from Iran to Turkey. When the Iranian police saw them, they started shooting

    In 2018, the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) gave its responsibility for determining a person’s international protection status in Turkey to the Directorate General Migration Management (DGMM), which acts under the Turkish Ministry of Interior. This centralization had a catastrophic impact on non-Syrian refugees in Turkey. The DGMM gave positive international protection status to only 5,449 applicants in 2019, compared to 72,961 successful applications in 2018 under UNHCR mandate: a 92.5% drop.

    At the same time, the number of removal centers, where people are accommodated before being deported, increased in Turkey from ten to 28 since the 2016 EU-Turkey Agreement. The European Commission gave €60m to Turkey for the management, reception and hosting of migrants, some of which was spent on the construction and refurbishment of these facilities. This boom of removal centers goes hand in hand with an increase in the number of deportations of Afghans from Turkey from 10,000 in 2017 to 33,000 in 2018 and 40,000 in 2019, according to an internal presentation allegedly from a Turkish government meeting, which was sent to the Afghanistan Analyst Network (AAN). While return flights mostly stopped in 2020 due to the COVID-19 pandemic, ANN reports that still more than 9,000 Afghans were deported from Turkey during the last year.
    Navigating the local military conflict and push-backs

    Migration in eastern Turkey takes place under the shadow of Turkey’s fight against the Kurdistan Workers’ Party (PKK), a military struggle that has been ongoing since the 1980s.

    Although the fighting has calmed down over the past five years, a large Turkish military presence and military operations continue across the region, marked by killings and arrests of PKK suspects.

    Civilians are also subjected to military surveillance and anti-terror operations, including Kurdish people who are economically dependent on the smuggling of goods (e.g., tobacco, petrol, food) or refugees across the border.

    “You can be killed on the spot if you cross the border through a military area,” explained Muge, a member of the Hayatadestek (‘Support to Life’), a humanitarian organization helping disaster-affected communities and refugees in Turkey.

    The European Commission has criticised Turkish authorities for detaining, persecuting and convicting journalists, students, lawyers, opposition political parties and activists mostly on overly broad terrorism-related charges, which concern particularly populations in eastern Turkey. However, at the same time, the commission has dedicated extensive funds and support for military projects in eastern Turkey with the aim to stop onward ‘illegal’ migration to the European Union.

    These involve millions of euros for walls and the construction of barbed-wire fences, as well as delivery of surveillance vehicles, communication and surveillance masts, thermal cameras, and hardware and software equipment, as well as training of border patrols along the Iran-Turkey border.

    Outsourcing borders

    What this approach does is push the borders of the European Union much further away, and outsource anti-migration measures to authoritarian governments who apply local anti-terror policies to exclude border crossers.

    “My brother keeps trying to enter Turkey from Iran. He tried to cross six times recently but was beaten up by Turkish army each time, and then pushed back to Iran. The army was shooting at him,” Amir, another Afghan living in Van, told me.

    The experience of Amir’s brother is an example of ‘push-backs’: the illegal procedure by which people are forced back over a border without consideration of their individual circumstances. Push-backs by EU state authorities and Frontex, the European Border and Coast Guard Agency, have been reported to take place in Greece, Bulgaria, Croatia and other places along the EU’s physical borders.

    A soldier from the Turkish Gendarmerie General Command, who agreed to provide commentary as long as he remains anonymous, confirmed the regular practice of push-backs from Turkey to Iran. “The [national] police told the gendarmerie [serving at the Iran-Turkey border] not to take all migrants for registration, because it is a financial burden to accommodate them all in removal centers, feed them, and legally process all of them,” he explains. “So, the gendarmerie was told to push some migrants back.”

    People who are pushed back are often trapped in the rough mountainous terrain between Turkey and Iran and face harsh treatment by the Iranian state authorities, as Ali, an Afghan in his late twenties, recalls while drinking tea in a café in Van: “My friend was crossing with a large group of people from Iran to Turkey. When the Iranian police saw them, they started shooting. They killed 14 people. My friend was shot in his leg but survived.”

    While these tough border measures have been deployed to stop onward ‘illegal’ migration, they paradoxically push refugees to flee further from Turkey without authorization. “If we do not get resettled from Turkey in a few years, our family will try to cross into Europe by ourselves,” says Taimur while holding his young son on his lap in a small flat in Van.

    Those arriving in Eastern Turkey often do not stay long in the country for fear of push-backs and rapid deportations. Instead, they place their money and lives in the hands of more smugglers and wish to move on.

    https://www.opendemocracy.net/en/north-africa-west-asia/afghans-fleeing-taliban-face-death-deportation-and-push-backs-turkey

    #Iran #Turquie #frontières #décès #morts #cimetière #externalisation #asile #migrations #réfugiés #montagne #réfugiés_afghans #refoulements #push-backs

    ping @isskein

  • Romania: 25.000 morti da inquinamento all’anno
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-25.000-morti-da-inquinamento-all-anno-213926

    Da anni i media denunciano che la Romania sta diventando la discarica d’Europa. Ma le istituzioni non intervengono e intanto l’Agenzia Europea dell’Ambiente riporta che il paese occupa il primo posto in Europa per i decessi causati dall’inquinamento

  • 06.11.2021 : Ventimiglia, cadavere nel burrone. Iniziato il recupero

    Si tratta probabilmente di un migrante precipitato dal passo della morte.

    Sono iniziate stamani le operazioni di recupero del corpo avvistato ieri sera nel dirupo sottostante il cosiddetto “passo della morte”, a Ventimiglia.

    A recuperare la salma, probabilmente appertenente ad un migrante, saranno i vigili del fuoco del nucleo Saf (Speleo Alpino Fluviale) con l’ausilio di un’autoscala.

    https://www.riviera24.it/2021/11/ventimiglia-cadavere-nel-burrone-iniziato-il-recupero-725159/?share_from=facebook

    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #mort #décès #Alpes #Vintimille #Italie #France #frontières #passo_della_morte

    –—

    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière de Vintimille :
    https://seenthis.net/messages/784767

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Migranti, trovato cadavere sul ‘Passo della Morte’ tra Italia e Francia

      Un corpo è stato avvistato, nella tarda serata di ieri, in una gola sotto il Passo della Morte, in frazione Mortola di Ventimiglia, il sentiero scosceso solitamente utilizzato dai migranti per espatriare in Francia.

      Questa mattina sono iniziate le operazione per il recupero della salma, segnalata da un escursionista di passaggio che ha notato il corpo in fondo alla scarpata: sul posto anche i vigili del fuoco che hanno aiutato con i propri mezzi a raggiungere il cadavere.

      Al momento sono in corso le operazioni per identificare il corpo, in modo da risalire alle cause dell’incidente e quindi ricostruire la vicenda.

      https://www.genova24.it/2021/11/migranti-trovato-cadavere-sul-passo-della-morte-tra-italia-e-francia-282523

  • #Covid-19 : les #décès prématurés et les années de vie perdues - Sciences et Avenir
    https://www.sciencesetavenir.fr/sante/covid-19-les-deces-prematures-ont-entraine-la-perte-de-28-millions-

    Par exemple, l’excès de mortalité en 2020 est similaire entre l’Espagne et les États-Unis (160 pour 100.000 habitants), alors que le nombre d’années de vie perdues est presque deux fois plus élevé dans le pays nord-américain (3.400 contre 1.900 pour 100.000 habitants). Montrant que les personnes décédées en Espagne étaient bien plus âgées qu’aux États-Unis.

    Source :
    Effects of covid-19 pandemic on life expectancy and premature mortality in 2020 : time series analysis in 37 countries | The BMJ
    https://www.bmj.com/content/375/bmj-2021-066768

  • À la frontière franco-espagnole, le renforcement des contrôles conduit les migrants à prendre toujours plus de #risques

    Au #Pays_basque, après que trois Algériens sont morts fauchés par un train à Saint-Jean-de-Luz/Ciboure le 12 octobre, associations et militants dénoncent le « #harcèlement » subi par les migrants tentant de traverser la frontière franco-espagnole. Face à l’inaction de l’État, des réseaux citoyens se mobilisent pour « sécuriser » leur parcours et éviter de nouveaux drames.

    Saint-Jean-de-Luz (Pyrénées-Atlantiques).– Attablés en terrasse d’un café, mardi 26 octobre, sous un ciel gris prêt à déverser son crachin, Line et Peio peinent toujours à y croire. « On n’imagine pas le niveau de fatigue, l’épuisement moral, l’état de détresse dans lequel ils devaient se trouver pour décider de se reposer là un moment », constatent-ils les sourcils froncés, comme pour marquer leur peine.

    Le 12 octobre dernier, trois migrants algériens étaient fauchés par un train, au petit matin, à 500 mètres de la gare de Saint-Jean-de-Luz/Ciboure. Un quatrième homme, blessé mais désormais hors de danger, a confirmé aux enquêteurs que le groupe avait privilégié la voie ferrée pour éviter les contrôles de police, puis s’était arrêté pour se reposer, avant de s’assoupir.

    Un cinquième homme, dont les documents d’identité avaient été retrouvés sur les lieux, avait pris la fuite avant d’être retrouvé deux jours plus tard à Bayonne.

    « Ceux qui partent de nuit tentent de passer la frontière vers 23 heures et arrivent ici à 3 ou 4 heures du matin. La #voie_ferrée est une voie logique quand on sait que les contrôles de police sont quasi quotidiens aux ronds-points entre #Hendaye et #Saint-Jean-de-Luz », souligne Line, qui préside l’association #Elkartasuna_Larruna (Solidarité autour de la Rhune, en basque) créée en 2018 pour accompagner et « sécuriser » l’arrivée importante de migrants subsahariens dans la région.

    Peio Etcheverry-Ainchart, qui a participé à la création de l’association, est depuis élu, dans l’opposition, à Saint-Jean-de-Luz. Pour lui, le drame reflète la réalité du quotidien des migrants au Pays basque. « Ils n’iraient pas sur la voie ferrée s’ils se sentaient en sécurité dans les transports ou sur les axes routiers », dénonce-t-il en pointant du doigt le manque d’action politique au niveau local.

    « Ils continueront à passer par là car ils n’ont pas le choix et ce genre de drame va se reproduire. La #responsabilité politique des élus de la majorité est immense, c’est une honte. » Trois cents personnes se sont réunies au lendemain du drame pour rendre hommage aux victimes, sans la présence du maire de Saint-Jean-de-Luz. « La ville refuse toutes nos demandes de subvention, peste Line. Pour la majorité, les migrants ne passent pas par ici et le centre d’accueil créé à #Bayonne, #Pausa, est suffisant. »

    Un manque de soutien, à la fois moral et financier, qui n’encourage pas, selon elle, les locaux à se mobiliser auprès de l’association, qui compte une trentaine de bénévoles. Son inquiétude ? « Que les gens s’habituent à ce que des jeunes meurent et que l’on n’en parle plus, comme à Calais ou à la frontière franco-italienne. Il faut faire de la résistance. »

    Samedi dernier, j’en ai récupéré deux tard le soir, épuisés et frigorifiés

    Guillaume, un « aidant »

    Ce mardi midi à Saint-Jean-de-Luz, un migrant marocain avance d’un pas sûr vers la halte routière, puis se met en retrait, en gardant un œil sur l’arrêt de bus. Dix minutes plus tard, le bus en direction de Bayonne s’arrête et le trentenaire court pour s’y engouffrer avant que les portes ne se referment.

    Guillaume, qui travaille dans le quartier de la gare, fait partie de ces « aidants » qui refusent de laisser porte close. « Samedi dernier, j’en ai récupéré deux tard le soir, qui étaient arrivés à Saint-Jean en fin d’après-midi. Ils étaient épuisés et frigorifiés. » Après les avoir accueillis et leur avoir offert à manger, il les achemine ensuite jusqu’à Pausa à 2 heures du matin, où il constate qu’il n’est pas le seul à avoir fait la navette.

    La semaine dernière, un chauffeur de bus a même appelé la police quand des migrants sont montés à bord

    Guillaume, un citoyen vivant à Saint-Jean-de-Luz

    « Il m’est arrivé de gérer 10 ou 40 personnes d’un coup. Des femmes avec des bébés, des enfants, des jeunes qui avaient marché des heures et me racontaient leur périple. J’allais parfois m’isoler pour pleurer avant de m’occuper d’eux », confie celui qui ne cache pas sa tristesse face à tant d’« inhumanité ». Chaque jour, rapporte-t-il, la police sillonne les alentours, procède à des #contrôles_au_faciès à l’arrêt de bus en direction de Bayonne et embarque les migrants, comme en témoigne cette vidéo publiée sur Facebook en août 2019 (https://www.facebook.com/100000553678281/posts/2871341412894286/?d=n).

    « La semaine dernière, un #chauffeur_de_bus a même appelé la #police quand des migrants sont montés à bord. Ça rappelle une époque à vomir. » Face à ce « harcèlement » et cette « pression folle », Guillaume n’est pas étonné que les Algériens aient pris le risque de longer la voie ferrée. « Les habitants et commerçants voient régulièrement des personnes passer par là. Les gens sont prêts à tout. »

    À la frontière franco-espagnole aussi, en gare de Hendaye, la police est partout. Un véhicule se gare, deux agents en rejoignent un autre, situé à l’entrée du « topo » (train régional qui relie Hendaye à la ville espagnole de Saint-Sébastien), qui leur tend des documents. Il leur remet un jeune homme, arabophone, qu’ils embarquent.

    « Ils vont le laisser de l’autre côté du pont. Ils font tout le temps ça, soupire Miren*, qui observe la scène sans pouvoir intervenir. Les policiers connaissent les horaires d’arrivée du topo et des trains venant d’#Irun (côté espagnol). Ils viennent donc dix minutes avant et se postent ici pour faire du contrôle au faciès. » Depuis près de trois ans, le réseau citoyen auquel elle appartient, Bidasoa Etorkinekin, accueille et accompagne les personnes en migration qui ont réussi à passer la frontière, en les acheminant jusqu’à Bayonne.

    La bénévole monte à bord de sa voiture en direction des entrepôts de la SNCF. Là, un pont flambant neuf, barricadé, apparaît. « Il a été fermé peu après son inauguration pour empêcher les migrants de passer. » Des #grilles ont été disposées, tel un château de cartes, d’autres ont été ajoutées sur les côtés. En contrebas, des promeneurs marchent le long de la baie.

    Miren observe le pont de Santiago et le petit chapiteau blanc marquant le #barrage_de_police à la frontière entre Hendaye et #Irun. « Par définition, un #pont est censé faire le lien, pas séparer... » Selon un militant, il y aurait à ce pont et au pont de #Behobia « quatre fois plus de forces de l’ordre » qu’avant. Chaque bus est arrêté et les passagers contrôlés. « C’est cela qui pousse les personnes à prendre toujours plus de risques », estime-t-il, à l’instar de #Yaya_Karamoko, mort noyé dans la Bidassoa en mai dernier.

    On ne peut pas en même temps organiser l’accueil des personnes à Bayonne et mettre des moyens énormes pour faire cette chasse aux sorcières

    Eñaut, responsable de la section nord du syndicat basque LAB

    Le 12 juin, à l’initiative du #LAB, syndicat socio-politique basque, une manifestation s’est tenue entre Irun et Hendaye pour dénoncer la « militarisation » de la frontière dans ce qui a « toujours été une terre d’accueil ». « Ça s’est inscrit dans une démarche de #désobéissance_civile et on a décidé de faire entrer six migrants parmi une centaine de manifestants, revendique Eñaut, responsable du Pays basque nord. On ne peut pas en même temps organiser l’accueil des personnes à Bayonne et mettre des moyens énormes pour faire cette #chasse_aux_sorcières, avec les morts que cela engendre. L’accident de Saint-Jean-de-Luz est le résultat d’une politique migratoire raciste. » L’organisation syndicale espère, en développant l’action sociale, sensibiliser toutes les branches de la société – patronat, salariés, État – à la question migratoire.

    Des citoyens mobilisés pour « sécuriser » le parcours des migrants

    À 22 heures mardi, côté espagnol, Maite, Arantza et Jaiona approchent lentement de l’arrêt de bus de la gare routière d’Irun. Toutes trois sont volontaires auprès du réseau citoyen #Gau_Txori (les « Oiseaux de nuit »). Depuis plus de trois ans, lorsque les cars se vident le soir, elles repèrent d’éventuels exilés désorientés en vue de les acheminer au centre d’accueil géré par la Cruz Roja (Croix-Rouge espagnole), situé à deux kilomètres de là. En journée, des marques de pas, dessinées sur le sol à intervalle régulier et accompagnées d’une croix rouge, doivent guider les migrants tout juste arrivés à Irun. Mais, à la nuit tombée, difficile de les distinguer sur le bitume et de s’orienter.

    « En hiver, c’est terrible, souffle Arantza. Cette gare est désolante. Il n’y a rien, pas même les horaires de bus. On leur vient en aide parce qu’on ne supporte pas l’injustice. On ne peut pas rester sans rien faire en sachant ce qu’il se passe. » Et Maite d’enchaîner : « Pour moi, tout le monde devrait pouvoir passer au nom de la liberté de la circulation. » « La semaine dernière, il y avait beaucoup de migrants dans les rues d’Irun. La Croix-Rouge était dépassée. Déjà, en temps normal, le centre ne peut accueillir que 100 personnes pour une durée maximale de trois jours. Quand on leur ramène des gens, il arrive que certains restent à la porte et qu’on doive les installer dans des tentes à l’extérieur », rapporte, blasée, Jaiona.

    À mesure qu’elles dénoncent les effets mortifères des politiques migratoires européennes, un bus s’arrête, puis un second. « Je crois que ce soir, on n’aura personne », sourit Arantza. Le trio se dirige vers le dernier bus, qui stationne en gare à 23 h 10. Un homme extirpe ses bagages et ceux d’une jeune fille des entrailles du car. Les bénévoles tournent les talons, pensant qu’ils sont ensemble. C’est Jaiona, restée en arrière-plan, qui comprend combien l’adolescente a le regard perdu, désespérée de voir les seules femmes présentes s’éloigner. « Cruz Roja ? », chuchote l’une des volontaires à l’oreille de Mariem, qui hoche la tête, apaisée de comprendre que ces inconnues sont là pour elle.

    Ni une ni deux, Maite la soulage d’un sac et lui indique le véhicule garé un peu plus loin. « No te preocupes, somos voluntarios » (« Ne t’inquiète pas, nous sommes des bénévoles »), lui dit Jaiona en espagnol. « On ne te veut aucun mal. On t’emmène à la Croix-Rouge et on attendra d’être sûres que tu aies une place avant de partir », ajoute Maite dans un français torturé.

    Visage juvénile, yeux en amande, Mariem n’a que 15 ans. Elle arrive de Madrid, un bonnet à pompon sur la tête, où elle a passé un mois après avoir été transférée par avion de Fuerteventura (îles Canaries) dans l’Espagne continentale, comme beaucoup d’autres ces dernières semaines, qui ont ensuite poursuivi leur route vers le nord. Les bénévoles toquent à la porte de la Cruz Roja, un agent prend en charge Mariem. Au-dehors, les phares de la voiture illuminent deux tentes servant d’abris à des exilés non admis.

    J’avais réussi à passer la frontière mais la police m’a arrêtée dans le #bus et m’a renvoyée en Espagne

    Fatima*, une exilée subsaharienne refoulée après avoir franchi la frontière

    Le lendemain matin, dès 9 heures, plusieurs exilés occupent les bancs de la place de la mairie à Irun. Chaque jour, entre 10 heures et midi, c’est ici que le réseau citoyen Irungo Harrera Sarea les accueille pour leur donner des conseils. « Qui veut rester en Espagne ici ? », demande Ion, l’un des membres du collectif. Aucune main ne se lève. Ion s’y attendait. Fatima*, la seule femme parmi les 10 exilés, a passé la nuit dehors, ignorant l’existence du centre d’accueil. « J’avais réussi à passer la frontière mais la police m’a arrêtée dans le bus et m’a renvoyée en Espagne », relate-t-elle, vêtue d’une tenue de sport, un sac de couchage déplié sur les genoux. Le « record », selon Ion, est détenu par un homme qui a tenté de passer à huit reprises et a été refoulé à chaque fois. « Il a fini par réussir. »

    Éviter de se déplacer en groupe, ne pas être trop repérable. « Vous êtes noirs », leur lance-t-il, pragmatique, les rappelant à une triste réalité : la frontière est une passoire pour quiconque a la peau suffisamment claire pour ne pas être contrôlé. « La migration n’est pas une honte, il n’y a pas de raison de la cacher », clame-t-il pour justifier le fait de s’être installés en plein centre-ville.

    Ion voit une majorité de Subsahariens. Peu de Marocains et d’Algériens, qui auraient « leurs propres réseaux d’entraide ». « On dit aux gens de ne pas traverser la Bidassoa ou longer la voie ferrée. On fait le sale boulot en les aidant à poursuivre leur chemin, ce qui arrange la municipalité d’Irun et le gouvernement basque car on les débarrasse des migrants, regrette-t-il. En voulant les empêcher de passer, les États ne font que garantir leur souffrance et nourrir les trafiquants. »

    L’un des exilés se lève et suit une bénévole, avant de s’infiltrer, à quelques mètres de là, dans un immeuble de la vieille ville. Il est invité par Karmele, une retraitée aux cheveux grisonnants, à entrer dans une pièce dont les murs sont fournis d’étagères à vêtements.

    Dans ce vestiaire solidaire, tout a été pensé pour faire vite et bien : Karmele scrute la morphologie du jeune homme, puis pioche dans l’une des rangées, où le linge, selon sa nature – doudounes, pulls, polaires, pantalons – est soigneusement plié. « Tu es long [grand], ça devrait t’aller, ça », dit-elle en lui tendant une veste. À sa droite, une affiche placardée sous des cartons étiquetés « bébé » vient rappeler aux Africaines qu’elles sont des « femmes de pouvoir ».

    Le groupe d’exilés retourne au centre d’accueil pour se reposer avant de tenter le passage dans la journée. Mariem, l’adolescente, a choisi de ne pas se rendre place de la mairie à 10 heures, influencée par des camarades du centre. « On m’a dit qu’un homme pouvait nous faire passer, qu’on le paierait à notre arrivée à Bayonne. Mais je suis à la frontière et il ne répond pas au téléphone. Il nous a dit plus tôt qu’il y avait trop de contrôles et qu’on ne pourrait pas passer pour l’instant », confie-t-elle, dépitée, en fin de matinée. Elle restera bloquée jusqu’en fin d’après-midi à Behobia, le deuxième pont, avant de se résoudre à retourner à la Cruz Roja pour la nuit.

    L’exil nous détruit, je me dis des fois qu’on aurait mieux fait de rester auprès des nôtres

    Mokhtar*, un migrant algérien

    Au même moment, sur le parking précédant le pont de Santiago, de jeunes Maghrébins tuent le temps, allongés dans l’herbe ou assis sur un banc. Tous ont des parcours de vie en pointillés, bousillés par « el ghorba » (« l’exil »), qui n’a pas eu pitié d’eux, passés par différents pays européens sans parvenir à s’établir. « Huit ans que je suis en Europe et je n’ai toujours pas les papiers », lâche Younes*, un jeune Marocain vivant depuis un mois dans un foyer à Irun. Mokhtar*, un harraga (migrant parti clandestinement depuis les côtes algériennes) originaire d’Oran, abonde : « L’exil nous détruit, je me dis des fois qu’on aurait mieux fait de rester auprès des nôtres. Mais aujourd’hui, c’est impossible de rentrer sans avoir construit quelque chose... » La notion « d’échec », le regard des autres seraient insoutenables.

    Chaque jour, Mokhtar et ses amis voient des dizaines de migrants tenter le passage du pont qui matérialise la frontière. « Les Algériens qui sont morts étaient passés par ici. Ils sont même restés un temps dans notre foyer. Avant qu’ils ne passent la frontière, je leur ai filé quatre cigarettes. Ils sont partis de nuit, en longeant les rails de train depuis cet endroit, pointe-t-il du doigt au loin. Paix à leur âme. Cette frontière est l’une des plus difficiles à franchir en Europe. » L’autre drame humain est celui des proches des victimes, ravagés par l’incertitude faute d’informations émanant des autorités françaises.
    Les proches des victimes plongés dans l’incertitude

    « Les familles ne sont pas prévenues, c’est de la torture. On a des certitudes sur deux personnes. La mère de l’un des garçons a appelé l’hôpital, le commissariat… Sans obtenir d’informations. Or elle n’a plus de nouvelles depuis le jour du drame et les amis qui l’ont connu sont sûrs d’eux », expliquait une militante vendredi 22 octobre. Selon le procureur de Bayonne, contacté cette semaine par Mediapart, les victimes ont depuis été identifiées, à la fois grâce à l’enquête ouverte mais aussi grâce aux proches qui se sont signalés.

    La mosquée d’Irun a également joué un rôle primordial pour remonter la trace des harragas décédés. « On a été plusieurs à participer, dont des associations. J’ai été en contact avec les familles des victimes et le consulat d’Algérie, qui a presque tout géré. Les corps ont été rapatriés en Algérie samedi 30 octobre, le rescapé tient le coup moralement », détaille Mohamed, un membre actif du lieu de culte. Dès le 18 octobre, la page Facebook Les Algériens en France dévoilait le nom de deux des trois victimes, Faisal Hamdouche, 23 ans, et Mohamed Kamal, 21 ans.

    À quelques mètres de Mokhtar, sur un banc, deux jeunes Syriens se sont vu notifier un refus d’entrée, au motif qu’ils n’avaient pas de documents d’identité : « Ça fait quatre fois qu’on essaie de passer et qu’on nous refoule », s’époumone l’aîné, 20 ans, quatre tickets de « topo » à la main. Son petit frère, âgé de 14 ans, ne cesse de l’interroger. « On ne va pas pouvoir passer ? » Leur mère et leur sœur, toutes deux réfugiées, les attendent à Paris depuis deux ans ; l’impatience les gagne.

    Jeudi midi, les Syriens, mais aussi le groupe d’exilés renseignés par Irungo Harrera Sarea, sont tous à Pausa, à Bayonne. Certains se reposent, d’autres se détendent dans la cour du lieu d’accueil, où le soleil cogne. « C’était un peu difficile mais on a réussi, confie Fofana, un jeune Ivoirien, devant le portail, quai de Lesseps. Ça me fait tellement bizarre de voir les gens circuler librement, alors que nous, on doit faire attention. Je préfère en rire plutôt qu’en pleurer. »

    Si les exilés ont le droit de sortir, ils ne doivent pas s’éloigner pour éviter d’être contrôlés par la police. « On attend le car pour aller à Paris ce soir », ajoute M., le Syrien, tandis que son petit frère se cache derrière le parcmètre pour jouer, à l’abri du soleil, sur un téléphone. Une dernière étape, qui comporte elle aussi son lot de risques : certains chauffeurs des cars « Macron » réclament un document d’identité à la montée, d’autres pas.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/311021/la-frontiere-franco-espagnole-le-renforcement-des-controles-conduit-les-mi

    #frontières #migrations #réfugiés #France #Espagne #Pyrénées #contrôles_frontaliers #frontières #délation #morts #morts_aux_frontières #mourir_aux_frontières #décès #militarisation_de_la_frontière #refoulements #push-backs #solidarité

    –—

    voir aussi :
    #métaliste sur les personnes en migration décédées à la frontière entre l’#Espagne et la #France, #Pays_basque :
    https://seenthis.net/messages/932889

  • Les cimetières de Bruxelles et de Laeken pourront inhumer plus de 800 urnes biodégradables
    https://www.rtbf.be/info/regions/bruxelles/detail_les-cimetieres-de-bruxelles-et-de-laeken-pourront-inhumer-plus-de-800-ur

    Dès janvier prochain, les cimetières de Bruxelles et de Laeken pourront inhumer plus de 800 urnes biodégradables, a annoncé jeudi l’échevine des espaces verts de la Ville de Bruxelles, Zoubida Jellab.

    À partir du 1er janvier 2022, le cimetière de Bruxelles aura ainsi la capacité d’inhumer 500 urnes biodégradables et le cimetière de Laeken,


    Le cimetière de Laeken, le plus vieux cimetière de la région bruxelloise. © BRUNO FAHY / Belga

    Selon l’échevine, l’urne biodégradable est une urne de bois ou de carton qui sera inhumée devant un massif de fleurs et d’arbustes. Cette alternative innovante au cercueil ou à l’urne classique présente différents avantages : réduction de CO2, amélioration esthétique et paysagère, amélioration de la biodiversité.

    Qui dit nouvel espace vert, dit aussi nouvelles sources de nourritures et de refuges pour la faune, et notamment pour les insectes pollinisateurs. La biodiversité est ainsi favorisée.
     
    Réalisée en bois ou en papier, voire en autre matière, une urne biodégradable, pollue moins les sols et permet une réduction de la production de CO2.

    Une construction d’un cavurne ou columbarium est évitée, le transport est réduit, et l’énergie requise à la réalisation de l’urne est bien moindre par rapport à une urne métallique ou en pierre naturelle. La place destinée à l’inhumation est réduite, ce qui augmente l’aménagement vert au détriment d’une pierre tombale qui se désagrège au cours du temps et qui finit souvent en désuétude après le délai de concession. La charge d’entretien disparaît ainsi pour la famille.

    Une plaquette sera fournie par la Ville de Bruxelles pour que la famille en deuil puisse apposer le nom du défunt avec les dates de début et de fin de vie. Cette plaquette sera fixée sur le pupitre de la borne en acier corten.

    #CO2 #cimetière #Mort #décès #cercueil #urne #tombe #compost #biodégradable #Bruxelles

  • Zwei tote Flüchtlinge in Kleinbus entdeckt : Suche nach Schlepper läuft

    Nach dem Tod zweier syrischer Flüchtlinge in einem Klein-Lkw am gestrigen Dienstag im #Burgenland ist die Fahndung nach dem Schlepper am Mittwoch weitergegangen. Nach ihm werde „rund um die Uhr“ gesucht, sagte Polizeisprecher Helmut Marban zur APA. Die 27 Männer, die die Schlepperfahrt über die burgenländisch-ungarische Grenze überlebt haben, wurden als Zeugen befragt. Nun werde den Hinweisen aus ihren Aussagen und Beobachtungen im Zuge der Fahndung nachgegangen.

    Die aufgegriffenen Migranten wurden mit Hilfe eines Dolmetschers befragt. Die Todesursache und der Todeszeitpunkt der zwei verstorbenen Männer, die zwischen 25 und 30 Jahre alt gewesen sein dürften, standen noch nicht fest. Eine Obduktion wurde angeordnet. Die Staatsanwaltschaft Eisenstadt erwartet das Ergebnis Ende der Woche.

    Soldaten des Bundesheeres hatten die zwei toten Flüchtlinge am Dienstag an der ungarischen Grenze bei Siegendorf (Bezirk Eisenstadt-Umgebung) in einem Klein-Lkw entdeckt, in dem sich auch 27 weitere Syrer befanden. Der Fahrer war bei der Kontrolle sofort in Richtung Ungarn geflüchtet, nach ihm wird weiterhin gefahndet.

    „Die Ermittlungen laufen auf Hochtouren. Vielleicht ergeben sich aus den Angaben der Geschleppten interessante Hinweise“, noch seien nicht alle Personen als Zeugen einvernommen worden, erklärte Marban. Die 27 Männer wurden am Mittwoch weiter von der Polizei versorgt. Bisher haben sie keinen Asylantrag gestellt. Man gehe aber davon aus, dass sie das noch tun könnten - vorerst waren sie nach dem Vorfall aber „mit anderen Sorgen belastet“, sagte Marban. Sollten sie noch Asyl beantragen, werde man sie den Asylbehörden übergeben.

    Bis 28. September sind laut Innenministerium in Österreich 27.300 Menschen aufgegriffen worden, die ins Land „geschleppt“, rechtswidrig eingereist oder aufhältig waren. Davon entfallen alleine auf das Burgenland 11.400 Personen. Aktuell beträgt die Zahl der Aufgegriffenen etwa 30.000, wobei diese hauptsächlich aus Syrien, Afghanistan, Bangladesch und Somalia stammen. Wegen Schlepperei gab es bis Ende September 280 Anzeigen, die mittlerweile auf rund 300 angewachsen sind.

    https://www.bvz.at/burgenland/chronik-gericht/siegendorf-zwei-tote-fluechtlinge-in-kleinbus-entdeckt-suche-nach-schlepper-laeu

    #réfugiés #asile #migrations #Autriche #asile #mourir_aux_frontières #frontières #Hongrie #Siegendorf #morts #décès

    Ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières des #Alpes, à voir si ces cas sont à mettre dans cette catégorie :
    https://seenthis.net/messages/758646

    –-

    Pour rappel, dans la même région, en 2015, moururent 71 personnes :
    https://seenthis.net/messages/402751

    • U autobusu u Austriji nađena dva mrtva migranta. Vozač pobjegao, traži ga policija

      U MINIBUSU punom putnika koji je došao iz Mađarske u Austriju pronađena su dva mrtva migranta.

      Austrijske oružane snage zaustavile su danas minibus i u njemu pronašle tijela migranata. Priopćile su kako je vozač pobjegao s mjesta događaja kada su ga zaustavili. Sada je za njim organizirana potraga u koju su uključeni i helikopteri, dronovi te psi tragači.

      U minibusu je bilo 30-ak migranata, za koje se pretpostavlja da su većinom došli iz Sirije.
      Čekaju se nalazi obdukcije

      Policija je priopćila da su tijela dvojice muškaraca u dvadesetim godinama pronađena nakon što su vozilo zaustavili pripadnici oružanih snaga. Uzrok smrti još nije poznat te se čekaju nalazi obdukcije.

      Hans Peter Doskozil, guverner regije Gradišće, rekao je lokalnim medijima da je paralela s tragičnim događajem iz 2015. “zastrašujuća”. Naime, vlasti su prije šest godina u kamionu pronašle 71 mrtvu osobu.

      “Današnji incident pokazuje brutalnost i nečovječnost organiziranog krijumčarenja ljudi”, kazao je Doskozil.

      https://www.index.hr/vijesti/clanak/u-autobusu-u-austriji-nadjena-dva-mrtva-migranta-vozac-pobjegao-trazi-ga-policija/2312105.aspx

    • Zwei tote Flüchtlinge im Burgenland : Schlepper festgenommen

      Ende Oktober wurden zwei Flüchtlinge tot in einem LKW im Bezirk Eisenstadt-Umgebung aufgefunden. Nun wurde der mutmaßliche 19-jährige Schlepper in Lettland gefasst. Er befindet sich in Übergabehaft.

      Im Fall der beiden Flüchtlinge, die Ende Oktober tot in einem Klein-Lkw bei Siegendorf (Bezirk Eisenstadt-Umgebung) gefunden worden waren, ist der mutmaßliche Schlepper festgenommen worden. Ein 19-jähriger Lette wurde in seinem Heimatland gefasst, berichtete die Landespolizeidirektion Burgenland am Dienstag. Er soll das Fahrzeug gelenkt haben und bei der Kontrolle durch Soldaten des Bundesheeres geflüchtet sein. Derzeit befindet er sich in Übergabehaft.

      Der 19-Jährige soll am 19. Oktober 29 Migranten über die grüne Grenze bei Siegendorf gebracht haben. Zwei syrische Flüchtlinge konnten damals nur noch tot aus dem Klein-Lkw geborgen werden. Sie dürften erstickt sein. Eine Alarmfahndung, die grenzüberschreitend auch in Ungarn stattfand, blieb erfolglos.
      20 weitere Schlepper in Untersuchungshaft

      In weiterer Folge wurden laut Polizei Ermittlungen gegen eine international agierende Vereinigung aufgenommen, die vor allem afghanische und syrische Flüchtlinge nach Österreich gebracht haben soll. Im Zuge dessen seien zwölf Schlepper in Österreich und acht weitere in Ungarn festgenommen worden, die letztlich auch zu dem flüchtigen Lenker von Siegendorf geführt hätten. Weil dieser mittlerweile wieder in Lettland war, wurde ein Europäischer Haftbefehl erlassen und Kontakt mit der lettischen Zielfahndungseinheit aufgenommen. In Ogre sei der 19-Jährige schließlich auf offener Straße gefasst worden.

      Innenminister Gerhard Karner (ÖVP) hob in diesem Zusammenhang die Arbeit der Zielfahnder des Bundeskriminalamtes hervor, die die Fahndung nach dem Schlepper Ende November auf Ersuchen des Landeskriminalamtes Burgenland übernommen hatten. „Durch dieses engmaschige Netzwerk der Sicherheitsbehörden und die gute internationale Zusammenarbeit der Polizei kann sich kein Täter auf der Flucht sicher fühlen“, betonte Karner. Die 20 weiteren Schlepper, die im Zuge der Ermittlungen festgenommen wurden, befinden sich in Untersuchungshaft.

      https://www.diepresse.com/6074005/zwei-tote-fluechtlinge-im-burgenland-schlepper-festgenommen

    • Tote Flüchtlinge: Schlepper gefasst

      Nachdem im Oktober bei Siegendorf in einem Klein-Lkw 29 Flüchtlinge – zwei davon waren bereits tot – gefunden worden waren, ist der mutmaßliche Schlepper festgenommen worden. Das berichtete die Landespolizeidirektion nach Anfragen des ORF Burgenland in einer Aussendung. Der 18-jährige lettische Staatsbürger steht unter Verdacht, das Fahrzeug gelenkt zu haben.

      Als am 19. Oktober der Klein-Lkw auf der Puszta bei Siegendorf (Bezirk Eisenstadt-Umgebung) durch Bundesheersoldaten angehalten wurde, flüchtete der Lenker. 29 Flüchtlinge befanden sich im Fahrzeug – mehr dazu in Zwei tote Flüchtlinge: Schlepper weiter auf der Flucht. Zwei von ihnen waren damals bereits tot, sie dürften erstickt sein – mehr dazu in Tote Flüchtlinge in Klein-Lkw vermutlich erstickt. Die damals verstorbenen Männer aus Syrien waren 33 und 37 Jahre alt. Die 27 weiteren Flüchtlinge beantragten Asyl.
      Verdächtiger lettischer Staatsbürger

      Unmittelbar danach wurde eine grenzüberschreitende Alarmfahndung eingeleitet, die zunächst erfolglos blieb, hieß es am Dienstag von der Polizei – mehr dazu in Tote Flüchtlinge: Suche nach Schleppern läuft. Man setzte auf internationale Ermittlungen, insbesondere in Kooperation mit der Polizei in Ungarn – mehr dazu in Huber: „Klares Zeichen gegen Schlepperei setzen“. Die Ermittlungen konzentrierten sich sehr bald auf eine international agierende kriminelle Vereinigung, die umfangreiche Schleppungen von überwiegend afghanischen und syrischen Migrantinnen und Migranten nach Österreich durchgeführt hat. Im Zuge dessen wurden zwölf Schlepper in Österreich und acht Schlepper in Ungarn gefasst, so Polizeisprecher Helmut Marban gegenüber dem ORF Burgenland. Alle befinden ich in Untersuchungshaft.

      Verdächtiger wird nach Österreich gebracht

      So konnten die Ermittler auch die Identität des Verdächtigen ausfindig machen – es handelt sich um einen 18-jährigen lettischen Staatsbürger. Er wurde am 8. Dezember 2021 auf offener Straße in Ogre (Lettland) festgenommen. Der Tatverdächtige befindet sich derzeit in Übergabehaft. In den kommenden Tagen soll er nach Österreich gebracht und in Untersuchungshaft genommen werden. Dann könne er von den Ermittlern zu der Schleppung bei Siegendorf befragt werden, so Marban.
      „Akribische kriminalistische Arbeit“

      Es handle sich dabei um eine sehr genaue und akribische kriminalistische Arbeit, so Marban. „Über Zeugenaussagen der geschleppten Personen, Routen, die man auf dem Handy findet, Informationen, die man auf dem Handy und Computer findet, und durch den Austausch mit anderen internationalen Polizeibehörden kann man langsam in diese großen kriminellen Organisationen vordringen“, sagte Marban. Das zeige, wie wichtig die internationale Zusammenarbeit sei.
      Marban: Schlepperszene „brutalisiert“ sich

      Es sei erkennbar, dass sich die Szene der Schlepperei durchaus „brutalisiert“, so Marban. Das zeige dieser Fall, aber auch andere Vorfälle mit Schleppern, wo auch schon Schusswaffen zu Einsatz kommen mussten. Auch bei Verfolgungsjagden würden Schlepper mit viel „Rücksichtslosigkeit“ vorgehen, sagte Marban im Interview mit dem ORF Burgenland.

      https://burgenland.orf.at/stories/3134435

    • Tragödie im Burgenland: Zwei Flüchtlinge tot im Kastenwagen

      29 Männer befanden sich in dem aus Ungarn kommenden Kleinbus. Zwei der Männer dürften während der Fahrt erstickt sein.

      Als der gelbe Renault-Kastenwagen am Dienstag gegen 13 Uhr in der Puszta von Siegendorf (Burgenland) zum Stehen kam, öffnete sich die Türe des Transporters auf der Rückseite. „Help! Help!“, schrien mehrere Männer. Sie rangen um Luft. Ein Blick in das Innere der Ladefläche offenbarte die Tragödie: 29 Menschen zwängten sich dicht an dicht. Zwei Männer lagen reglos am Boden. Sie dürften erstickt sein.

      Wieder ein Schlepper Drama im Burgenland

      Es sind fürchterliche Erinnerungen, die am Dienstag wieder wach wurden: Am 26. August 2015 starben 71 Menschen in einem Lkw.

      Diesmal war das Fahrzeug nicht abgestellt worden. Diesmal hielten zwei Bundesheer-Soldaten den gelben Kastenwagen mit ungarischem Kennzeichen in Siegendorf auf. Die Soldaten, die im Burgenland Assistenzdienst leisten, wollten eine Lenkerkontrolle durchführen.
      Großflächige Fahndung

      Der Lenker selbst konnte zu Fuß flüchten. Als die Soldaten den Hilferufen folgten, öffnete er die Tür und rannte davon. Eine sofort eingeleitete Alarmfahndung blieb bis zu am Abend ohne Erfolg. Der Mann könnte laut ersten Angaben der Flüchtlinge bewaffnet sein.

      Im Laufe des Nachmittags trafen immer wieder Meldungen von Zeugen ein, die den Flüchtenden gesehen haben wollen. Auch von einem zweiten Schlepper war kurzfristig die Rede, diese Annahme bestätigte sich aber nicht. Mit einem Polizeihubschrauber, Hunden und Drohnen wurde in dem Grenzgebiet gesucht.

      Die beiden Flüchtlinge, die im Lkw erstickt sein dürften, waren laut ersten Angaben stark dehydriert und körperlich auffallend schwach. Gewalteinwirkung konnte vorerst keine festgestellt werden. Die beiden Männer dürften laut ersten Schätzungen zwischen 25 und 30 Jahre alt gewesen sein.

      Noch am Dienstagabend hat die Staatsanwaltschaft Eisenstadt die Obduktion der beiden Toten angeordnet, um Todesursache und –Zeitpunkt zu klären. Mit einem Ergebnis wird Ende der Woche gerechnet.

      „Schlimmeres verhindert“

      Die Überlebenden – es handelt sich um männliche Syrer und zwei Pakistani – wurden zur Erstversorgung nach Nickelsdorf gebracht. Ihr Zustand ist laut Polizei den Umständen entsprechend gut. Die Männer wurden am Nachmittag mit Dolmetschern zu den Vorgängen als Zeugen befragt.

      „Wir konnten Schlimmeres verhindern“, meint Gerald Tatzgern, Leiter der Zentralstelle zur Bekämpfung der Schlepperkriminalität im Bundeskriminalamt. Auch ungarische Beamte waren am Dienstag an Ort und Stelle. Man sei auch mit Budapest in Kontakt.

      Lager am Westbalkan

      Die Flüchtlinge dürften aus den Lagern am Westbalkan kommen. „Vermutlich wollten sie keinen weiteren Winter dort verbringen“, meint Tatzgern. Mehr als 80 Prozent der Flüchtlinge vor Ort seien Männer.

      Aufgriffe vom Westbalkan beobachtet er in der jüngsten Zeit vermehrt. „Normalerweise führt die Route über Serbien nach Ungarn oder via Rumänien nach Ungarn.“

      Die Hauptziele der Flüchtlinge seien neben Österreich Deutschland, Holland, Schweden und Belgien. Schleppungen in Kastenwagen bzw. Transportern würden zunehmen. „Das bringt mehr Gewinn für die Schlepper.“ Tatzgern beobachtet zudem wieder einen vermehrt „sorglosen Umgang“ der Schlepper. Todesfälle passieren immer wieder – zuletzt etwa in Serbien oder Ungarn.
      Innenminister meldet sich zu Wort

      „Schlepperei gehört zu den menschenverachtendsten Formen der Organisierten Kriminalität“, meldete sich Innenminister Karl Nehammer (ÖVP) zu Wort. „Meine Gedanken gelten den Opfern und deren Angehörigen.“
      Reaktion von Landeshauptmann Doskozil

      Der burgenländische Landeshauptmann Hans Peter Doskozil (SPÖ) hat sich am Dienstag über den Vorfall erschüttert und tief betroffen gezeigt. Er forderte eine gesamteuropäische Reform des Asylwesens, die Asylverfahren schon außerhalb Europas ermöglicht und damit die gefährliche Flucht verhindere.

      Illegale Migration: Die Zahlen steigen

      Die Aufgriffe von Flüchtlingen, speziell im Burgenland, sind in den vergangenen Wochen und Monaten wieder stark angestiegen. Das Innenministerium berichtet in einer internen Analyse für das vierte Quartal über „gleichbleibend hohen Druck am Balkan und weiterhin hohen Migrationsdruck von Ungarn nach Österreich. Entspannung ist kurzfristig nicht zu erwarten.“

      1.200Flüchtlinge werden aktuell jede Woche in Österreich aufgegriffen. Es handelt sich großteils um Menschen aus Syrien und Afghanistan. Die Zahl der Schleppungen ist gegenüber dem Vorjahr um 63 Prozent gestiegen.
      Gruppen-Aufgriffe

      Immer öfter handelt es sich bei den Aufgriffen um Gruppen-Aufgriffe. Damit sind Aufgriffe mit mehr als fünf Personen gemeint. Besonders stark betroffen sind die burgenländischen Bezirke Oberpullendorf, Neusiedl und Oberwart.

      Laut Einschätzungen des Bundeskriminalamtes handelt es sich bei den Flüchtlingen, die aktuell nach Österreich kommen, um solche, die am Westbalkan festgesessen sind.

      https://kurier.at/chronik/burgenland/kurier-talk-mit-gerald-tatzgern-leiter-bekaempfung-der-schlepperkriminalitaet/401775372

  • A Berne, un vélo-cargo pour le dernier voyage
    https://www.letemps.ch/suisse/berne-un-velocargo-dernier-voyage

    Une entreprise de pompes funèbres bernoise propose de transporter les dépouilles à deux-roues. Une démarche qui s’inscrit dans un projet de la ville pour lever le tabou sur la mort

    Son corps se fige, yeux braqués sur le vélo-cargo au format inhabituel qui passe devant lui. « Il y a un mort, là-dedans ! » s’exclame l’ouvrier sur le trottoir, en dialecte bernois, dans un mélange de surprise et de stupeur. Aucun doute possible : la structure, ouverte, dévoile le cercueil porté par l’engin.

    Le véhicule électrique de l’entreprise de pompes funèbres Aurora ne laisse pas indifférent, alors qu’il traverse Berne pour le dernier voyage de Margrit (£), une dame âgée, décédée en EMS. Le convoi conduit par Alessandro, employé d’Aurora, a quitté un peu plus tôt le sous-sol de l’hôtel du quartier de Lorraine où il est parqué d’ordinaire, au milieu des rangées de cercueils.

    Son chargement encore vide, il a traversé l’un des ponts surplombant l’Aar, puis il a glissé sur la piste cyclable devant la gare, avant de s’arrêter à un feu rouge. Il accroche le regard des passants. Intrigués. Parfois amusés. Vaguement inquiets. Ou gênés. Certains détournent les yeux. D’autres en restent bouche bée.

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    Quelques kilomètres plus loin, le vélo-corbillard s’est arrêté devant l’entrée de l’EMS. Alessandro et son collègue sont allés chercher Margrit. Puis ils sont remontés avec son cercueil, qu’ils ont déposé, délicatement, sur le plateau du vélo-cargo, devant les yeux écarquillés d’une résidente.

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    Le convoi silencieux a poursuivi son chemin, provoquant encore quelques sourires énigmatiques sur son passage. Enfin, le vélo est arrivé au cimetière. Sous un soleil resplendissant, il a parcouru les derniers mètres le séparant du crématoire, sa course paisible rythmée par le cliquetis à peine perceptible des roues et le chant des oiseaux.

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    Le vélo-cargo interpelle, et c’est bien là son but. C’est ce qu’explique un peu plus tôt ce matin-là, le responsable de l’entreprise de pompes funèbres Aurora, Gyan Härri, dans son bureau. La démarche, dit-il, s’inscrit dans une volonté de briser le tabou autour de la mort, pour instaurer un rapport plus ouvert avec les rituels de départ.

    « Aujourd’hui, nous passons par la porte principale »
    « Lorsque j’ai commencé à faire ce métier, en 2010, nous allions chercher les personnes décédées dans les EMS tard le soir. Nous passions par le garage pour que les autres résidents ne nous voient pas. C’était une situation tendue pour tout le monde. Aujourd’hui, nous venons de jour, par l’entrée principale. Les défunts sont célébrés, avec une bougie, ou une photo. Cette visibilité facilite le rapport à la mort des autres résidents. Elle rend aussi notre travail plus agréable. » Si les pratiques évoluent, la mort reste encore bien souvent invisible. C’est aussi lié au fait que souvent, elle survient entre les murs d’une institution de soin : « Aujourd’hui, dans 50% des cas, nous allons chercher les défunts dans un EMS ou un hôpital. Nous nous sommes deshabitués à leur présence dans notre quotidien », explique Gyan Härri.

    Le professionnel de la mort compare le vélo funéraire aux calèches d’antan, qui transportaient les cercueils à travers la ville, sous le regard des passants. Qui sait, peut-être que le vélo-corbillard s’installera durablement dans le paysage. Pour l’instant, c’est une option laissée au choix des familles, qui préfèrent, la plupart du temps, un mode de transport plus conventionnel : « En ce moment, nous réalisons un à deux voyages par semaine à vélo-cargo », souligne Gyan Härri.

    https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=1WMpod4PgIs

    L’idée du corbillard sur deux roues lui est venue peu après son mariage. Gyan Härri transportait son épouse enceinte à vélo-cargo au marché. « J’ai beaucoup aimé l’idée de porter ma famille, comme on se soutient les uns les autres dans l’existence. J’avais envie de proposer à mes clients de porter leurs proches défunts dans cette dernière étape de la vie. » Gyan Härry évoque une anecdote, chargée d’émotions. Pour l’enterrement de leur enfant de 5 ans, un couple a souhaité pouvoir se servir du vélo-cargo afin d’emmener le corps jusqu’à la tombe. « Nous avons placé le petit cercueil au milieu de la plateforme et neuf enfants venus pour la cérémonie se sont assis tout autour. C’était une scène extrêmement forte. »

    Et récemment, l’un de ses clients a souhaité prendre lui-même le guidon du vélo-cargo pour transporter le cercueil de son épouse au cimetière. « Un geste très fort, du point de vue symbolique. » Contacté par téléphone, Gerhard Röthlin explique : « Je roule souvent à vélo, j’adore cela. J’ai trouvé beau de pouvoir accompagner mon épouse de cette façon, plutôt que dans une de ces voitures corbillards sombres et anonymes, purement fonctionnelles », raconte le Bernois. Son épouse Barbara est décédée trois mois après avoir appris qu’elle était atteinte d’un cancer, à l’âge de 60 ans. « Ce trajet, c’était une sorte d’événement. Il fait partie de mon travail de deuil. Et je suis sûr qu’elle aurait trouvé cela cool, elle aussi. »

    Une initiative soutenue par la ville
    Le vélo-cargo d’Aurora porte le logo « Bärn-treit » (« Berne soutient », en dialecte). Un slogan de la ville de Berne, qui s’engage à soutenir les personnes mourantes ou endeuillées. Elle a élaboré une charte et lancé depuis un an une série d’initiatives pour susciter des discussions autour de la mort, dans les écoles, au travail, au musée ou au théâtre. La ville offre par exemple une série de cours grand public de quelques heures, dans lesquels une thérapeute explique comment soutenir une personne qui vient de perdre un proche. Ou encore une formation, appelée « derniers secours », qui donne des clés pour accompagner une personne mourante.

    Berne espère ainsi promouvoir une « culture de l’entraide », pour atténuer la détresse, la solitude, ou l’exclusion liées à la mort. Elle s’inscrit dans un réseau de « compassionate cities », aux côtés de Cologne en Allemagne, Plymouth en Angleterre ou Ottawa au Canada : ces villes entendent, sous ce label, améliorer l’approche collective de la mort.

    « Avec la professionnalisation des soins, nous avons perdu certains savoir-faire liés à la mort. Nous devons faire appel à notre mémoire collective », observe Gyan Härri. Ne dites pas au croque-mort qu’il exerce un métier difficile. Lui préfère le mot « intensif ». « Il y a de la douleur, bien sûr. Mais c’est tellement plus que cela. Il y a aussi des rires, souvent. » Avant de devenir croque-mort, il travaillait dans la gastronomie et le cinéma. « Un univers dominé par le paraître et l’apparence. Aujourd’hui, au quotidien, mes rapports avec les autres sont empreints de sincérité et de profondeur. »

    £ Prénom d’emprunt
    #Mort #décès #vélo #cyclisme #vélo-cargo #voyage #ehpad #deux-roues #tabou

  • #métaliste sur les personnes en migration décédées à la frontière entre l’#Espagne et la #France, #Pays_basque

    Historique des personnes décédées dans la région en 2021 :

    EH Bai a immédiatement réagi dans la matinée à cette « terrible nouvelle » qui « s’est répétée ces derniers mois ». Le 22 mai dernier, le corps de Yaya Karamoko, un Ivoirien de 28 ans, était retrouvé dans la Bidassoa, près de la rive espagnole. Deux mois et demi plus tard, une autre jeune migrant décédait dans le fleuve frontière. Le 8 août, Abdoulaye Koulibaly, Guinéen de 18 ans, mourrait lui aussi dans une tentative de traversée à la nage, pour éviter les contrôles policiers réguliers entre Irun et Hendaye. Enfin, le 18 avril, à Irun, un exilé erythréen s’était donné la mort.

    https://www.sudouest.fr/pyrenees-atlantiques/saint-jean-de-luz/terrible-drame-a-saint-jean-de-luz-trois-personnes-meurent-ecrasees-par-un-

    #frontières #migrations #réfugiés #morts #morts_aux_frontières #mourir_aux_frontières #asile #décès

    –-

    voir aussi
    À la frontière franco-espagnole, le renforcement des contrôles conduit les migrants à prendre toujours plus de #risques
    https://seenthis.net/messages/935055

  • #Bruxelles : L’étrange histoire du cimetière oublié Marc Oschinsky
    https://www.rtbf.be/info/regions/bruxelles/detail_l-etrange-histoire-du-cimetiere-oublie?id=10856830

    Nous sommes dans un cimetière, en région bruxelloise. Rien de plus banal à première vue. Mais si votre curiosité vous emmène un peu plus loin, derrière un mur, vous allez découvrir un endroit où le temps semble s’être arrêté. Les tombes y sont plus rapprochées, plus resserrées. La plupart date de la fin des années 30 ou du début des années 40. Vous venez d’entrer dans un cimetière oublié.

    Ou, plus précisément, dans un cimetière dont les gérants avaient oublié l’existence. C’est vers la fin des années 90 qu’un employé de la commune a appelé les responsables de la Chessed Chel Emmeth, une des sociétés mutuelles juives chargées de l’inhumation des défunts. Son message : « Qu’est-ce que vous comptez faire de ce cimetière dont vous avez la concession depuis 1938 ? » Comme l’explique Luc Kreisman, le responsable actuel de la mutuelle : « C’est ce jour-là que nous avons réalisé que nous avions la charge de ce cimetière »

    Oublier un cimetière, l’affaire n’est pas fréquente. Mais elle s’explique mieux quand on sait que les sociétés mutuelles d’inhumation fonctionnaient à l’époque plus sur la mémoire humaine et moins à l’informatique : « C’était des contrats qui avaient été oubliés par les anciens qui n’avaient pas pensé à les transmettre aux nouvelles générations. »

    Aujourd’hui, l’oubli est réparé. D’ailleurs, certaines des tombes ont été rénovées par les familles des disparus. Tandis que d’autres s’ornent de petits cailloux blancs, signe qu’on s’y est recueilli. 

    Cet endroit a une histoire étonnante : inauguré en 1938, il a continué à fonctionner pendant la guerre. Parce que, comme l’explique Luc Kreisman, "Les nazis ne voulaient pas créer de sentiment de panique dans la population juive". Il fallait que les Juifs aient l’impression de pouvoir mener une vie à peu près normale. Et donc, les enterrements religieux ont continué, jusqu’à ce que l’occupant les interdise.

    L’arbre de Babylone est un symbole présent dans les cimetières juifs. A la place de la pierre tombale, on met une sculpture représentant un jeune arbre coupé, dont les branches sont, elles aussi, tranchées. Une manière de représenter une jeune vie fauchée. Ces sculptures sont omniprésentes dans le cimetière. Parce que, dans les années de guerre, bon nombre de jeunes Juifs ont participé à des actes de résistance, d’espionnage ou de sabotage. Arrêtés par la Gestapo, ils étaient torturés et fusillés. Et enterrés ici.

    Il y a aussi des tombes vides. Celles de victimes des camps d’extermination, mortes à Auschwitz ou à Birkenau. Parfois, leurs proches ont fait installer une pierre à leur nom, pour avoir un endroit où se recueillir.

    En se promenant dans ce petit espace, en lisant ce que chaque tombe raconte, en tentant de deviner ce que chacune tait, on se rend rapidement compte qu’on est ici dans un lieu de mémoire. Un lieu dont l’importance historique reste à découvrir.

    #cimetière #religion #migrations #décès #morts #histoire #mort #tombe #mémoire #religion #histoire #Belgique

    • Rappelons qu’en Belgique, il y a un peu plus d’un siècle, celles et ceux qui n’appartenaient pas à la religion officielle étaient enterrés dans la partie du cimetière appelée « le trou à chien ».

      Ces cimetière privés ne concernaient donc pas que les adeptes de la religion juive, mais aussi les athées, les . . . .

  • La frontière de l’Evros, un no man’s land grec ultra-militarisé où « personne n’a accès aux migrants »

    Échaudée par l’afflux de milliers de migrants venus de Turquie via la rivière Evros à l’extrême est du pays en mars 2020, la Grèce a hautement militarisé la zone. Des exilés continuent toutefois de traverser cette frontière greco-turque sous contrôle exclusif de l’armée. Ils ne reçoivent l’aide d’aucune ONG, d’aucun habitant, interdits dans la zone.

    C’est une rivière inapprochable à l’extrême pointe de l’Union européenne. Les 500 kilomètres de cours d’eau de l’Evros, frontière naturelle qui sépare la Grèce de la Turquie sur le continent, sont, depuis des années, sous contrôle exclusif de l’armée grecque.

    En longeant la frontière, la zone est déserte et fortement boisée. Des ronces, des buissons touffus, des arbres empêchent le tout-venant de s’approcher du secteur militarisé et du cours d’eau. « Il y a des caméras partout. Faites attention, ne vous avancez pas trop », prévient Tzamalidis Stavros, le chef du village de Kastanies, dans le nord du pays, en marchant le long d’une voie ferrée - en activité - pour nous montrer la frontière. Au loin, à environ deux kilomètres de là, des barbelés se dessinent. Malgré la distance, Tzamilidis Stavros reste vigilant. « Ils ont un équipement ultra-moderne. Ils vont nous repérer très vite ».

    Cette zone interdite d’accès n’est pourtant pas désertée par les migrants. Depuis de nombreuses années, les populations sur la route de l’exil traversent l’Evros depuis les rives turques pour entrer en Union européenne. Mais la crise migratoire de mars 2020, pendant laquelle des dizaines de milliers de migrants sont arrivés en Grèce via Kastanies après l’ouverture des frontières turques, a tout aggravé.

    En un an, la Grèce - et l’UE - ont investi des millions d’euros pour construire une forteresse frontalière : des murs de barbelés ont vu le jour le long de la rivière, des canons sonores ont été mis en place, des équipements militaires ultra-performants (drones, caméras…). Tout pour empêcher un nouvel afflux de migrants par l’Evros.

    « Nous avons aujourd’hui 850 militaires le long de l’Evros », déclare un garde-frontière de la région, en poste dans le village de Tychero. « Frontex est présent avec nous. Les barbelés posés récemment
    nous aident énormément ».

    « Black-out »

    Ces installations ont contribué à faire baisser le nombre de passages. « A Kastanies, avant, il y avait au moins cinq personnes par jour qui traversaient la frontière. Aujourd’hui, c’est fini. Presque plus personne ne passe », affirme le chef du village qui se dit « soulagé ». « La clôture a tout arrêté ». Mais à d’autres endroits, « là où il y a moins de patrouilles, moins de surveillance, moins de barbelés », des migrants continuent de passer, selon l’association Border violence, qui surveille les mouvements aux frontières européennes.

    Combien sont-ils ? La réponse semble impossible à obtenir. Les médias sont tenus à l’écart, le ministère des Affaires étrangères grec évoquant des raisons de « sécurité nationale ». Les autorités grecques ne communiquent pas, les garde-frontières déployés dans la région restent flous et renvoient la balle à leurs supérieurs hiérarchiques, et les associations sont absentes de la zone.

    C’est ce « black-out » de la zone qui inquiète les ONG. « Des migrants arrivent à venir jusqu’à Thessalonique et ils nous racontent leur traversée. Mais il faut 25 jours à pied depuis l’Evros jusqu’ici. Nous avons donc les infos avec trois semaines de retard », explique une militante de Border Violence, à Thessalonique.

    Les migrants arrêtés par les garde-frontières grecs dans la zone ne peuvent pas non plus témoigner des conditions de leur interpellation. Ils sont directement transférés dans le hotspot de Fylakio, le seul camp de la région situé à quelques km de la Turquie. Entouré de barbelés, Fylakio fait partie des sept centres fermés du pays où les migrants ne peuvent pas sortir. Et où les médias ne peuvent pas entrer.

    « J’ai traversé l’Evros il y a un mois et demi et je suis bloqué ici depuis », nous crie un jeune Syrien de 14 ans depuis le camp. « On a passé 9 jours dans la région d’Evros et nous avons été arrêtés avec un groupe de mon village, nous venons de Deir-Ezzor ». Nous n’en saurons pas plus, un militaire s’approche.
    Des milliers de pushbacks, selon les associations

    La principale préoccupation des associations comme Border violence – mais aussi du Haut commissariat de l’ONU aux réfugiés (HCR) – restent de savoir si les droits fondamentaux des demandeurs d’asile sont respectés à la frontière de l’Evros. « Là-bas, personne n’a accès aux migrants. La politique frontalière est devenue complètement dingue ! Nous, les militants, nous n’allons même pas dans la région ! On a peur d’être arrêté et mis en prison ».

    La semaine dernière, le ministre des Migrations, Notis Mtarakis a officiellement rejeté l’instauration d’un « mécanisme de surveillance » à ses frontières, réclamé par l’ONU et la Commission européenne, déclarant que cela « portait atteinte à la souveraineté du pays ».

    Margaritis Petritzikis, à la tête du HCR dans le hotspot de Fylakio, reconnaît que ce qu’il se passe dans l’Evros est opaque. « La frontière doit être mieux surveillée », explique-t-il, en faisant référence à demi mot aux pushbacks, ces renvois illégaux entre deux Etats voisins.

    Si les autorités grecques nient les pratiquer, ces pushbacks seraient nombreux et réguliers dans cette partie du pays. « Evidemment, qu’il y a des renvois vers la Turquie », assure un ancien policier à la retraite sous couvert d’anonymat qui nous reçoit dans sa maison à moins de 5 km de la Turquie. « J’ai moi-même conduit pendant des années des bateaux pour ramener des migrants vers la Turquie à la tombée de la nuit ».

    Selon Border violence, environ 4 000 personnes ont été refoulées illégalement depuis le début de l’année. « Il y en a certainement beaucoup plus, mais de nombreuses personnes ne parlent pas. Elles ont peur ».
    38 morts dans l’Evros depuis le début de l’année

    Au-delà des refoulements illégaux, la question des violences inquiète les associations. Selon le New York Times, des centres de détention secrets, appelés « black sites », seraient présents dans la région. Sans observateurs extérieurs, la zone suscite énormément de fantasmes. « Des migrants nous ont parlé de tortures dans ces centres cachés en Grèce, de chocs électriques, de simulacres de noyades. Nous ne pouvons pas vérifier », continue la militante de Border violence.

    Et comment recenser les victimes, celles et ceux qui se sont noyés en tentant la traversée ? Sans accès à la zone, « nous ne pouvons même pas parler de morts mais de personnes disparues », déplore-t-elle. « Nous considérons qu’au bout d’un mois sans nouvelles d’un migrant dans la zone, celui-ci est présumé décédé ».

    Selon Pavlos Pavlidis, un des médecins-légistes de l’hôpital d’Alexandropoulis, le chef-lieu de la région, déjà 38 personnes sont mortes cette année.

    « Beaucoup se sont noyés dans l’Evros, d’autres sont morts d’hypothermie. Surtout l’hiver. Ils traversent la rivière, ils sont trempés. Personne n’est là pour les aider, alors ils meurent de froid. Leurs corps sont parfois trouvés 20 jours plus tard par la police et amenés à l’hôpital », explique-t-il.

    Y a-t-il des victimes non recensées ? « Peut-être », répond-t-il. Mais sans maraudes, impossible de surveiller la zone et de venir en aide à des blessés potentiels. « C’est triste de mourir ainsi », conclut-il, « loin des siens et loin de tout ».

    https://www.infomigrants.net/fr/post/35496/la-frontiere-de-levros-un-no-mans-land-grec-ultramilitarise-ou-personn
    #Evros #région_de_l'Evros #migrations #asile #réfugiés #frontières #militarisation_des_frontières
    #décès #morts #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #statistiques #chiffres #2021
    #push-backs #refoulements #Pavlos_Pavlidis #Turquie #Grèce
    #murs #barbelés #barrières_frontalières #Kastanies #clôture #surveillance #fermeture_des_frontières #Fylakio #black_sites #torture

    C’est comme un déjà-vu pour moi... une répétition de ce qui se passait en 2012, quand j’étais sur place avec Alberto...
    Dans la région de l’Evros, un mur inutile sur la frontière greco-turque (2/4)
    https://visionscarto.net/evros-mur-inutile

    • Un médecin légiste grec veut redonner une identité aux migrants morts dans l’Evros

      Médecin légiste depuis les années 2000, Pavlos Pavlidis autopsie tous les corps de migrants trouvés dans la région de l’Evros, frontalière avec la Turquie. A l’hôpital d’Alexandropoulis où il travaille, il tente de collecter un maximum d’informations sur chacun d’eux - et garde dans des classeurs tous leurs effets personnels - pour leur redonner un nom et une dignité.

      Pavlos Pavlidis fume cigarette sur cigarette. Dans son bureau de l’hôpital d’Alexandropoulis, les cendriers sont pleins et l’odeur de tabac envahit toute la pièce. Le médecin légiste d’une cinquantaine d’années, lunettes sur le nez, n’a visiblement pas l’intention d’ouvrir les fenêtres. « On fume beaucoup ici », se contente-t-il de dire. Pavlos Pavlidis parle peu mais répond de manière méthodique.

      « Je travaille ici depuis l’an 2000. C’est cette année-là que j’ai commencé à recevoir les premiers corps de migrants non-identifiés », explique-t-il, le nez rivé sur son ordinateur. Alexandropoulis est le chef-lieu de la région de l’Evros, à quelques kilomètres seulement de la frontière turque. C’est là-bas, en tentant d’entrer en Union européenne via la rivière du même nom, que les migrants prennent le plus de risques.

      « Depuis le début de l’année, 38 corps sont arrivés à l’hôpital dans mon service, 34 étaient des hommes et 4 étaient des femmes », continue le légiste. « Beaucoup de ces personnes traversent l’Evros en hiver. L’eau monte, les courants sont forts, il y a énormément de branchages. Ils se noient », résume-t-il sobrement. « L’année dernière, ce sont 36 corps qui ont été amenés ici. Les chiffres de 2021 peuvent donc encore augmenter. L’hiver n’a même pas commencé. »

      Des corps retrouvés 20 jours après leur mort

      Au fond de la pièce, sur un grand écran, des corps de migrants défilent. Ils sont en état de décomposition avancé. Les regards se détournent rapidement. Pavlos Pavlidis s’excuse. Les corps abîmés sont son quotidien.

      « Je prends tout en photo. C’est mon métier. En ce qui concerne les migrants, les cadavres sont particulièrement détériorés parce qu’ils sont parfois retrouvés 20 jours après leur mort », explique-t-il. Densément boisée, la région de l’Evros, sous contrôle de l’armée, est désertée par les habitants. Sans civils dans les parages, « on ne retrouve pas tout de suite les victimes ». Et puis, il y a les noyés. « L’eau abîme tout. Elle déforme les visages très vite ».

      Tous les corps non-identifiés retrouvés à la frontière ou dans la région sont amenés dans le service de Pavlos Pavlidis. « Le protocole est toujours le même : la police m’appelle quand elle trouve un corps et envoie le cadavre à l’hôpital. Nous ne travaillons pas seuls, nous collaborons avec les autorités. Nous échangeons des données pour l’enquête : premières constatations, présence de documents sur le cadavre, heure de la découverte… »

      Les causes de décès de la plupart des corps qui finissent sous son scalpel sont souvent les mêmes : la noyade, donc, mais aussi l’hypothermie et les accidents de la route. « Ceux qui arrivent à faire la traversée de l’Evros en ressortent trempés. Ils se perdent ensuite dans les montagnes alentours. Ils se cachent des forces de l’ordre. Ils meurent de froid ».
      Cicatrices, tatouages…

      Sur sa table d’autopsie, Pavlos sait que le visage qu’il regarde n’a plus rien à voir avec la personne de son vivant. « Alors je photographie des éléments spécifiques, des cicatrices, des tatouages... » Le légiste répertorie tout ; les montres, les colliers, les portables, les bagues... « Je n’ai rien, je ne sais pas qui ils sont, d’où ils viennent. Ces indices ne leur rendent pas un nom mais les rendent unique. »

      Mettant peu d’affect dans son travail – « Je fais ce que j’ai à faire., c’est mon métier » – Pavlos Pavlidis cache sous sa froideur une impressionnante humanité. Loin de simplement autopsier des corps, le médecin s’acharne à vouloir leur rendre une identité.

      Il garde les cadavres plus longtemps que nécessaire : entre 6 mois et un an. « Cela donne du temps aux familles pour se manifester », explique-t-il. « Ils doivent chercher le disparu, trouver des indices et arriver jusqu’à Alexandropoulis. Je leur donne ce temps-là ». En ce moment, 25 corps patientent dans un conteneur réfrigéré de l’hôpital.

      Chaque semaine, il reçoit des mails de familles désespérées. Il prend le temps de répondre à chacun d’eux. « Docteur, je cherche mon frère qui s’est sûrement noyé dans l’Evros, le 22 aout 2021. Vous m’avez dit le 7 septembre qu’un seul corps avait été retrouvé. Y en a-t-il d’autres depuis ? », peut-on lire sur le mail de l’un d’eux, envoyé le 3 octobre. « Je vous remercie infiniment et vous supplie de m’aider à retrouver mon frère pour que nous puissions l’enterrer dignement ».

      « Je n’ai pas de données sur les corps retrouvés côté turc »

      Dans le meilleur des scénario, Pavlos Pavlidis obtient un nom. « Je peux rendre le corps à une famille ». Mais ce cas de figure reste rare.

      Qu’importe, à chaque corps, la même procédure s’enclenche : il stocke de l’ADN, classe chaque objet dans des enveloppes rangées dans des dossiers, selon un protocole précis. Il note chaque élément retrouvé dans un registre, recense tous les morts et actualise ses chiffres.

      Le médecin regrette le manque de coopération avec les autorités turques. « Je n’ai pas de chiffres précis puisque je n’ai pas le décompte des cadavres trouvés de l’autre côte de la frontière. Je n’ai que ceux trouvés du côté grec. Combien sont morts sur l’autre rive ? Je ne le saurai pas », déplore-t-il. Ces 20 dernières années, le médecin légiste dit avoir autopsié 500 personnes.

      Les corps non-identifiés et non réclamés sont envoyés dans un cimetière de migrants anonymes, dans un petit village à 50 km de là. Perdu dans les collines, il compte environ 200 tombes, toutes marquées d’une pierre blanche.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/35534/un-medecin-legiste-grec-veut-redonner-une-identite-aux-migrants-morts-

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      Portrait de @albertocampiphoto de Pavlos Pavlidis accompagné de mon texte pour @vivre (c’était 2012) :

      Pavlos Pavlidis | Médecin et gardien des morts

      Pavlos Pavlidis nous accueille dans son bureau, au sous-sol de l’hôpital d’Alexandroupoli. Sa jeune assistante, Valeria, est également présente pour l’aider dans la traduction anglaise. Pavlidis est calme. Sa voix est rauque, modelée par la fumée de cigarettes.

      Il s’occupe de trouver la cause de la mort des personnes vivant dans la région de l’Evros, mais également de donner une identité aux cadavres de migrants récupérés dans le fleuve. Une cinquantaine par année, il nous avoue. Déjà 24 depuis le début de l’année, dont un dixième ont un nom et un prénom.

      Après seulement 2 minutes d’entretien, Pavlidis nous demande si on veut regarder les photos des cadavres. Il dit que c’est important que nous les voyions, pour que nous nous rendions compte de l’état dans lequel le corps se trouve. Il allume son vieil ordinateur et nous montre les photos. Il les fait défiler. Les cadavres se succèdent et nous comprenons vite les raisons de faire systématiquement une analyse ADN.

      Pavlidis, en nous montrant les images, nous informe sur la cause de la mort : « Cette dame s’est noyée », dit-il. « Cette dame est morte d’hypothermie ». Ceux qui meurent d’hypothermie sont plus facilement identifiables : « Cet homme était d’Erythrée et on a retrouvé son nom grâce à ses habits et à son visage ». Le visage était reconnaissable, le froid l’ayant conservé presque intact.

      « Celle-ci, c’est une femme noire ». Elle s’est noyée après l’hiver. Pavlidis ne peut en dire de plus. Nous voyons sur la photo qu’elle porte un bracelet. Nous lui posons des questions, sur ce bracelet. Alors il ouvre un tiroir. Il y a des enveloppes, sur les enveloppes la date écrite à la main de la découverte du corps et des détails qui pourraient être important pour donner à ce corps une identité. Dans les enveloppes, il y les objets personnels. Il n’y a que ces objets qui restent intacts. Le corps, lui, subit le passage du temps.

      Pavlidis nous montre ensuite un grigri. C’est un homme qui le portait. Il restera dans l’enveloppe encore longtemps ; jusqu’à ce qu’un cousin, une mère, un ami vienne frapper à la porte de Pavlidis pour dire que c’est peut-être le grigri de son cousin, de son fils, de son ami. Et alors l’ADN servira à effacer les doutes.

      Les cadavres, quand personne ne les réclame, restent dans les réfrigérateurs de l’hôpital pendant 3 mois. Puis, ils sont amenés dans le cimetière musulman du village de Sidiro, où un mufti s’occupe de les enterrer. Ils sont tous là, les corps sans nom, sur une colline proche du village. Ils sont 400, pour l’instant. 450, l’année prochaine. Le mufti prie pour eux, qu’ils soient chrétiens ou musulmans. La distinction est difficile à faire et le fait de les enterrer tous au même endroit permet à Pavlidis de savoir où ils sont. Et là, au moins, il y a quelqu’un qui s’occupe d’eux. Si un jour, la famille vient frapper à la porte du médecin, il saura où est le corps et, ensemble, ils pourront au moins lui donner un nom. Et le restituer à sa famille.

      https://asile.ch/2012/11/09/gardien-des-morts-dans-le-sous-sol-de-lhopital-dalexandropouli

      #identification #Pavlos_Pavlidis

    • http://Evros-news.gr reports that according to info from villagers at the 🇬🇷🇧🇬 border in the Rhodopi & Xanthi prefecture, army special forces (commandos) have been deployed specifically for migration control. They’ve reported in the past the same happens in Evros.

      https://twitter.com/lk2015r/status/1460326699661414408

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      ΑΠΟΚΑΛΥΨΗ: Ειδικές δυνάμεις, μετά τον Έβρο, επιτηρούν τα ελληνοβουλγαρικά σύνορα για λαθρομετανάστες σε Ροδόπη, Ξάνθη

      Ειδικές Δυνάμεις (Καταδρομείς) μετά τον Έβρο, ανέλαβαν δράση στα ελληνοβουλγαρικά σύνορα για έλεγχο και αποτροπή της εισόδου λαθρομεταναστών και στους νομούς Ροδόπης και Ξάνθης, εδώ και λίγες ημέρες.

      Σύμφωνα με πληροφορίες που έφτασαν στο Evros-news.gr από κατοίκους των ορεινών περιοχών των δύο γειτονικών στον Έβρο νομών, οι οποίοι έχουν διαπιστώσει ότι υπάρχει παρουσία στρατιωτικών τμημάτων που ανήκουν στις Ειδικές Δυνάμεις και περιπολούν μέρα-νύχτα στην ελληνοβουλγαρική συνοριογραμμή, από τον έλεγχο που έχουν υποστεί κάθε ώρα της ημέρας αλλά και νύχτας. Είναι άλλωστε γνωστό, πως από εκεί, όπως και την αντίστοιχη του Έβρου, μπαίνει σημαντικός αριθμός λαθρομεταναστών, που με την βοήθεια Βούλγαρων διακινητών μπαίνουν στο έδαφος της γειτονικής χώρας από την Τουρκία και στη συνέχεια… βγαίνουν στην Ροδόπη ή την Ξάνθη, για να συνεχίσουν από εκεί προς Θεσσαλονίκη, Αθήνα.

      Όπως είχαμε ΑΠΟΚΑΛΥΨΕΙ τον περασμένο Αύγουστο, άνδρες των Ειδικών Δυνάμεων και συγκεκριμένα Καταδρομείς, ανέλαβαν τον έλεγχο της λαθρομετανάστευσης στα ελλην0οβουλγαρκά σύνορα του Έβρου, προκειμένου να “σφραγιστεί” από το Ορμένιο ως τον ορεινό όγκο του Σουφλίου στα όρια με το νομό Ροδόπης. Εγκαταστάθηκαν στο Επιτηρητικό Φυλάκιο 30 του Ορμενίου στο Τρίγωνο Ορεστιάδας και στο Σουφλί. Τόσο εκείνη η απόφαση όσο και η πρόσφατη για επέκταση της παρουσίας Ειδικών Δυνάμεων, πάρθηκε από τον Αρχηγό ΓΕΕΘΑ Αντιστράτηγο Κωνσταντίνο Φλώρο και ανέλαβε την υλοποίηση της το Δ’ Σώμα Στρατού.

      Στόχος είναι ο περιορισμός της εισόδου λαθρομεταναστών και μέσω Βουλγαρίας από τους τρεις νομούς της Θράκης, αφού εκεί δεν μπορεί να δημιουργηθεί φράχτης, όπως έχει γίνει στα δυο σημεία της ελληνοτουρκικής συνοριογραμμής, στις Καστανιές και τις Φέρες, αφού η Βουλγαρία είναι χώρα της Ευρωπαϊκής Ένωσης και κάτι τέτοιο δεν επιτρέπεται. Επειδή όμως είναι γνωστό πως υπήρχαν παράπονα και αναφορές όχι μόνο κατοίκων αλλά και θεσμικών εκπροσώπων της Ροδόπης και της Ξάνθης για πρόβλημα στις ορεινές τους περιοχές όπου υπάρχουν τα σύνορα με την Βουλγαρία, πάρθηκε η συγκεκριμένη απόφαση προκειμένου να “σφραγιστούν” όσο είναι δυνατόν, οι περιοχές αυτές με την παρουσία των Ειδικών Δυνάμεων. Κι επειδή είναι γνωστό ότι υπήρχαν και παλαιότερα τμήματα τους στους δυο νομούς, να επισημάνουμε ότι οι Καταδρομείς που τοποθετήθηκαν πρόσφατα, προστέθηκαν στις υπάρχουσες δυνάμεις και έχουν μοναδικό αντικείμενο την επιτήρηση της ελληνοβουλγαρικής μεθορίου.

      https://t.co/jzXylBaGUW?amp=1

    • 114 of the 280 vehicles recently acquired by the police will be used for border control in Evros, including:
      80 police cars
      30 pick-up trucks
      4 SUVs
      (this is probably why they need a new police building in Alexandroupoli, parking is an issue)

      https://twitter.com/lk2015r/status/1464287124824506370

      Έρχονται στον Έβρο 114 νέα αστυνομικά οχήματα για την φύλαξη των συνόρων


      https://t.co/qajuhOwPWW?amp=1

  • « Ce sont les oubliées, les invisibles de la migration » : l’odyssée des femmes africaines vers l’Europe

    Les migrantes originaires d’#Afrique_de_l’Ouest sont de plus en plus nombreuses à tenter de rallier les #Canaries, archipel espagnol situé au large du Maroc. Un voyage au cours duquel certaines d’entre elles se retrouvent à la merci des passeurs et exploiteurs en tout genre.
    Ris-Orangis, terminus de son exil. Dans le pavillon de sa grande sœur, Mariama se repose, et décompresse. « Je suis soulagée », lâche-t-elle d’une voix à peine audible. Cette Ivoirienne de 35 ans, réservée et pudique, est arrivée dans ce coin de l’#Essonne le 7 août, après un périple commencé il y a plus de deux ans, un voyage sans retour de plusieurs milliers de kilomètres, à brûler les frontières sans visa ni papiers. Avec une étape plus décisive que les autres : les Canaries. C’est là, à #Las_Palmas, que Le Monde l’avait rencontrée une première fois, le 22 juillet.

    Situé au large du Maroc, cet archipel espagnol de l’Atlantique est devenu une des portes d’entrée maritime vers l’Europe les plus fréquentées par les migrants. « La #route_canarienne est la plus active sur la frontière euroafricaine occidentale », confirme l’association Caminando Fronteras, qui œuvre pour la protection des droits de ces migrants. Les chiffres le prouvent : d’après le ministère espagnol de l’intérieur, 13 118 personnes – pour la plupart originaires d’Afrique de l’Ouest – ont débarqué sur place, du 1er janvier au 30 septembre, à bord de 340 embarcations. En 2019, les autorités n’en avaient dénombré, à cette date, que 6 124.

    Détresse économique

    « Les problèmes politiques des derniers mois entre le Maroc et l’Espagne concernant [les enclaves de] Ceuta et Melilla ont poussé les gens à chercher une autre voie de passage », souligne Mame Cheikh Mbaye, président de la Fédération des associations africaines aux Canaries (FAAC). « Ce qu’il se passe en ce moment en Afrique est pire que la guerre, c’est la #détresse_économique. Les Africains vivent dans une telle #souffrance qu’ils sont prêts à affronter l’océan », ajoute Soda Niasse, 42 ans, une Sénégalaise qui milite pour la dignité des sans-papiers sur l’archipel.

    Retour à Las Palmas, en juillet. En ce début de soirée, la ville commence à bâiller. Dans une maison au charme fou, c’est une autre ambiance : des enfants galopent dans les couloirs ou dans la cour carrelée ; des femmes dansent, radieuses comme jamais, pour l’anniversaire d’une fillette, son premier sur le sol européen, même si Las Palmas paraît bien éloigné de Paris ou de Bruxelles. « Heureuse ? Oui. C’est comme si on vivait en colocation », lance Mariama.

    Ce refuge appartient à la Croix-Blanche, une fondation tenue par des frères Franciscains. La jeune Ivoirienne, vendeuse de légumes dans son pays, y est hébergée au côté d’une vingtaine d’autres femmes, toutes francophones. Voilà quatre mois qu’elle est arrivée en patera (« bateau de fortune ») sur l’île de Grande Canarie.

    Le nombre d’arrivées de migrants aux Canaries a doublé depuis le début de l’année

    Ce lieu paisible lui permet de récupérer de cette épreuve. « Et aussi de se réparer », ajoute le frère Enrique, 42 ans, un des responsables de l’organisation. « Ici, on donne de l’attention et de l’amour », précise-t-il au sujet de ces exilées, souvent traumatisées par d’éprouvantes odyssées. Le religieux s’étonne de voir de plus en plus de femmes tentées par l’exil depuis le début de l’année. Un constat partagé par le président de la Croix-Rouge des Canaries, Antonio Rico Revuelta : « En 2020, 10 % des migrants [sur 23 023] étaient des femmes. Cette année, nous sommes déjà à 17,1 % ».

    Echapper aux #violences

    « Elles n’ont pas d’autre choix que de fuir, insiste Mariama, la jeune Ivoirienne. Mais on ne s’imagine pas que c’est aussi dangereux. » Et meurtrier. L’ONG Caminando Fronteras a comptabilisé 2 087 victimes, disparues au large de l’Espagne, dont 341 femmes. « Les #décès sur les routes migratoires vers l’Espagne ont augmenté de 526 % par rapport à la même période de 2020 », souligne l’organisation. « La #route_des_Canaries est l’une des plus dangereuses au monde », confirme Amnesty International.

    Si des centaines de femmes – de toutes conditions sociales – risquent leur vie sur ce chemin entre les côtes africaines et les Canaries (500 kilomètres d’océan), c’est pour échapper aux #mariages_forcés ou aux #excisions sur elles-mêmes ou leurs enfants. « Les #violences_de_genre ont toujours été une explication à l’exode », commente Camille Schmoll, géographe, autrice des Damnées de la mer (La Découverte, 2020).

    Celle-ci avance une autre explication à ces phénomènes migratoires : « Ces dernières années, beaucoup de femmes se sont installées au #Maroc. Elles n’avaient pas toutes comme projet d’aller en Europe. Mais avec la #crise_sanitaire, la plupart ont perdu leur travail. Cette situation les a probablement contraintes à précipiter leur départ. On ne parle jamais d’elles : ce sont les oubliées et les invisibles de la migration. »

    Cris Beauchemin, chercheur à l’Institut national d’études démographiques (INED), estime pour sa part que le « durcissement des politiques de #regroupement_familial peut être vu comme un motif qui pousse les femmes à partir de manière clandestine pour celles qui cherchent à rejoindre, en France, leur conjoint en règle ou pas ». D’après lui, la #féminisation_de_la_migration n’est cependant pas une nouveauté. En 2013, une étude menée par l’INED et intitulée « Les immigrés en France : en majorité des femmes » expliquait déjà que les migrantes partaient « de façon autonome afin de travailler ou de faire des études ».

    « Dans ce genre de voyage,les femmes sont violentées, violées, et les enfants entendent », dit Mariama, migrante ivoirienne de 35 ans
    « Celles qui arrivent en France sont de plus en plus souvent des célibataires ou des “pionnières” qui devancent leur conjoint, notait cette étude. La #scolarisation croissante des femmes dans leur pays d’origine et leur accès à l’#enseignement_supérieur jouent sans doute ici un rôle déterminant. » Selon Camille Schmoll, les femmes célibataires, divorcées, ou simplement en quête de liberté ou d’un avenir meilleur pour leurs proches et leurs enfants sont parfois mal vues dans leur pays. « Ces statuts difficiles à assumer les incitent à partir », dit-elle.

    Laisser ses enfants

    Ce fut le cas de Mariama. Son histoire commence en 2017 et résume celles de bien d’autres migrantes rencontrées à Las Palmas. Assise dans un fauteuil, enveloppée dans un voile rose qui semble l’étreindre, entourée par la travailleuse sociale et la psychologue du centre, elle se raconte : ses deux filles, de 6 et 8 ans ; son mari, un électricien porté sur l’alcool.

    Ce n’est pas la violence conjugale, tristement ordinaire, qui la pousse à envisager l’exil, en 2019, mais ces nuits où elle surprend son époux en train de « toucher » deux de ses nièces. « J’avais peur qu’il finisse par s’en prendre à mes filles, je devais agir. »Son but ? Rejoindre une sœur installée en France. Dans le plus grand secret, elle économise chaque jour quelques euros pendant près de deux ans.

    C’est alors que la destinée va bouleverser ses plans, et ajouter de la peine et des angoisses à une situation déjà douloureuse. Sa famille lui confie une nièce de 8 ans, dont le père vient de mourir noyé en Méditerranée en tentant d’atteindre l’Italie en bateau. Sa mère, elle, est décédée d’une maladie foudroyante. « Personne d’autre ne pouvait s’occuper de la petite, assure Mariama. Je suis sa nouvelle maman. » Le moment du départ approche, mais que faire ? Fuir avec les trois petites ? Impossible, elle n’en aura pas les moyens. Le cœur déchiré, elle choisit alors de laisser ses deux filles – afin qu’au moins elles restent ensemble – chez une sœur domiciliée loin de leur père…

    « Flouze, flouze » ou « fuck, fuck »

    A l’été 2019, Mariama et sa nièce quittent la Côte d’Ivoire en car, direction Casablanca, au Maroc. Là-bas, elle devient à la fois nounou, femme de ménage et cuisinière pour une famille marocaine. « Je gagnais 8 euros par jour, je dormais par terre, dans la cuisine. » Exploitation, préjugés, racisme, tel est, d’après elle, son nouveau quotidien. « Un jour, au début de la crise du coronavirus, je monte dans un bus, et une personne me crache dessus en criant “pourquoi les autres meurent facilement et pas vous, les Africains ?” »

    Après avoir économisé un peu d’argent, elle se rend avec sa nièce à Dakhla, au Sahara occidental (sous contrôle marocain), dans l’espoir de rallier les Canaries à travers l’Atlantique. Les passeurs ? « C’est “flouze, flouze” ou “fuck, fuck” », résume-t-elle. Généralement, dans ce genre de voyage, les femmes sont violentées, violées, et les enfants entendent. »Mariama retient ses larmes. Elle-même n’a pas été violée – comme d’autres protégées de la Croix-Blanche – mais elle ne compte plus le nombre de fois où des policiers, des habitants, l’ont « tripotée ».

    Une nuit, à Dakhla, après avoir versé 800 euros à un passeur, elle obtient deux places à bord d’un « modeste bateau de pêche » avec quarante autres personnes. La suite restera à jamais gravée en elle : la peur, l’obscurité, les vagues, l’eau qui s’invite à bord, le visage de son frère, mort noyé, lui aussi, lors d’une traversée clandestine. Et les cris, la promiscuité… « On ne peut pas bouger. Si tu veux uriner, c’est sur toi. Je me suis dit que c’était du suicide. Je n’arrêtais pas de demander pardon à la petite. Je l’avais coincée entre mes jambes. »

    « Durant leur voyage en Afrique, beaucoup de femmes violées sont tombées enceintes. Personne ne leur a dit qu’elles avaient le droit d’avorter en Espagne », Candella, ancienne travailleuse sociale
    La traversée dure cinq jours. Une fois la frontière virtuelle espagnole franchie, tout le monde sur le bateau se met à hurler « Boza ! », un cri synonyme de « victoire » en Afrique de l’Ouest. Les secours ne sont pas loin…

    « Je m’incline devant le courage de ces femmes. Quelle résilience ! », confie Candella, 29 ans, une ancienne travailleuse sociale, si marquée par ces destins qu’elle a fini par démissionner, en février, de son poste dans une importante ONG. « A force d’écouter leurs histoires, je les ai faites miennes, je n’en dormais plus la nuit. » Comment les oublier ?« Durant leur voyage en Afrique, beaucoup de femmes violées sont tombées enceintes. Une fois aux Canaries, personne ne leur a dit qu’elles avaient le droit d’avorter en Espagne. D’autres ont découvert qu’elles avaient le #sida en arrivant ici. C’est moi qui devais le leur annoncer. »

    Depuis deux décennies, Begoña Barrenengoa, une éducatrice sociale de 73 ans, suit de près les dossiers des clandestins, et particulièrement ceux liés aux violences faites aux femmes. D’après elle, les migrantes sont « les plus vulnérables parmi les vulnérables ». D’où sa volonté de les aider à continuer leur chemin vers le nord et l’Europe continentale. Car elles ne veulent pas rester aux Canaries mais rejoindre leur famille, en particulier en France. « L’archipel n’est qu’un point de passage, il n’y a de toute façon pas de travail ici », souligne Mme Barrenengoa.

    En mars, un juge de Las Palmas a ordonné aux autorités espagnoles de ne plus bloquer les migrants désireux de se rendre sur le continent. « Avec un simple passeport – voire une copie –, ou une demande d’asile, ils ont pu voyager jusqu’à Madrid ou Barcelone, et aller en France », poursuit Begoña Barrenengoa.

    Selon Mame Cheikh Mbaye (FAAC), entre 10 000 et 15 000 personnes auraient rallié la péninsule depuis cette décision de justice, des transferts le plus souvent organisés par la Croix-Rouge. « Huit migrants sur dix arrivés cette année par la mer aux îles ont poursuivi leur voyage vers la péninsule », assurait récemment le journal canarien La Provincia.

    Aujourd’hui, la plupart des femmes rencontrées à la Croix-Blanche sont sur le territoire français. « J’ai pu voyager avec mon passeport et celui de la petite, confirme ainsi Mariama. C’est ma sœur qui a acheté mon billet d’avion pour Bilbao. » Une fois sur place, elle a pris un car jusqu’à Bordeaux, puis un Blablacar vers Ris-Orangis, au sud de Paris. Son ancienne vie est derrière elle, désormais, et elle ne veut plus parler de son périple. « Moi, je ne demande pas beaucoup, juste le minimum », confie-t-elle. Maintenant que sa nièce est bien installée, et scolarisée, la jeune Ivoirienne n’a qu’un rêve : faire venir ses deux filles en France, « un pays où l’on se sent enfin libre ».

    https://www.lemonde.fr/international/article/2021/10/06/ce-sont-les-oubliees-les-invisibles-de-la-migration-l-odyssee-des-femmes-afr

    #femmes #femmes_migrantes #invisibilisation #invisibilité #morts #mourir_aux_frontières #statistiques #chiffres #îles_Canaries #route_Atlantique #viols #violences_sexuelles #parcours_migratoires #grossesses #grossesse #facteurs_push #push-factors

    ping @_kg_ @isskein

    • voir aussi cette note de Migreurop (décembre 2018) :
      Femmes aux frontières extérieures de l’Union européenne

      Les Cassandre xénophobes de la « ruée vers l’Europe » appuient leurs prévisions apocalyptiques sur des images dont les femmes sont absentes : ce serait des hommes jeunes qui déferleraient par millions sur nos sociétés qui verraient alors mis à bas un équilibre des sexes – tant du point de vue quantitatif que relationnel – chèrement acquis. La médiatisation et la politisation de « l’affaire de la gare de Cologne » (31 décembre 2016) ont ainsi joué un grand rôle dans le retournement de la politique allemande vis-à-vis des exilé·e·s. Ces derniers étant décrits comme des hommes prédateurs en raison de leurs « cultures d’origine », il devenait légitime de ne pas les accueillir…

      Ce raisonnement est bien sûr vicié par de nombreux biais idéologiques, mais aussi par des erreurs factuelles et statistiques : les nouvelles entrées dans l’Union européenne (UE) sont tout autant le fait d’hommes que de femmes, et ces dernières
      représentent près de la moitié des immigré·e·s installés dans l’UE. Ce phénomène n’est pas nouveau : au début des années 1930, alors que la France était la principale « terre d’accueil » des exilé·e·s, les femmes représentaient déjà plus de 40% des arrivant·e·s. L’invisibilisation des femmes n’est certes pas propre à l’immigration mais, en l’occurrence, elle sert également un projet d’exclusion de certains hommes.
      Les exilé·e·s sont en effet quasiment absentes des « flux » les plus médiatisés : plus de 90 % des boatpeople de Méditerranée ou des mineur·e·s isolé·e·s entrant dans l’UE sont des hommes. Cela permet d’ailleurs de justifier le caractère pour le moins « viril » des dispositifs de répression les visant. La « guerre aux migrants » serait une affaire mâle ! Or, les femmes en migration, loin de voir leur supposée « vulnérabilité » prise en compte, sont également prises au piège de la militarisation des frontières. La violence de la répression redouble celle des rapports sociaux.

      http://migreurop.org/article2903.html?lang=fr

    • Voir aussi cette étude publiée par l’INED :

      Les immigrés en France : en majorité des femmes

      Les femmes sont désormais majoritaires parmi les immigrés en France. Comme nous l’expliquent Cris Beauchemin, Catherine Borrel et Corinne Régnard en analysant les données de l’enquête Trajectoires et Origines (TeO), contrairement à ce que l’on pourrait penser, la féminisation des immigrés n’est pas due seulement au regroupement familial. Les femmes migrent de plus en plus de façon autonome afin de travailler ou de faire des études.

      https://www.ined.fr/fr/publications/editions/population-et-societes/immigres-france-majorite-femmes

    • Et ce numéro de la revue Ecarts d’identité :
      Exil au feminin

      Editorial :

      Une éclaircie ?

      Une éclaircie, dit Le Robert, c’est une embellie qui « apparaît dans un ciel nuageux ou brumeux » (le ciel de cette saison qui tarde à se dégager !).

      Sur terre, c’est l’éclaircie des terrasses, des sourires retrouvés sur les visages quand ils tombent les masques. Pas complètement mais on veut y croire : on veut croire que ce monde ne s’est pas totalement effondré, qu’une vie sociale est encore possible, que le dehors peut redevenir un espace public où l’on peut respirer, échanger, frôler et non cet espace de troisième type qui s’était semi-privatisé en petits groupes se méfiant les uns des autres ! L’éclaircie aussi, relative, des lieux culturels où nourrir de nouveau son imaginaire, admirer, élucider et rêver d’autres possibles aux devenirs.

      Une éclaircie, c’est en somme comme une clairière dans une forêt touffue où l’on peut connaître un répit, se racler un peu la voix après un quasi-étouffement, reprendre souffle, ou encore une sorte d’armistice dans une « guerre »...Ce langage impayable du pouvoir ! Il recycle constamment ses armes. L’espace social est devenu une géographie qui sert désormais à « faire la guerre », avec fronts et arrières, héros et vétérans, logisticiens et unités d’interventions, etc. Une guerre déclarée à un ennemi invisible, ou trop visible au contraire ! Il s’incorpore, il s’incarne en nous, nous faisant devenir ennemis de nous-mêmes, cette « part maudite » de « nous » que l’on ne veut surtout pas voir, nous contentant de nous voiler la face, garder les distances, frictionner frénétiquement les mains, comme si ce carnaval, bien macabre pouvait nous prémunir de « nous-mêmes »... Cela préoccupe évidemment, mais cela occupe beaucoup et jusqu’à épuisement les uns et désœuvre grandement les autres, et cette pré-occupation-là fait « chaos-monde »... qui fait oublier le reste !

      Or, le reste, c’est la vie. La vie dans tous ses états sur cette terre « ronde et finie » et appartenant à tout le monde, c’est « nous » tel que ce pronom personnel le dit : un pluriel et tel qu’il est pronom réfléchi : sujet de ce « nous » constamment en devenir. Ce « nous » est de tous les genres et espèces, matières et manières, temps et espaces sur terre, réels et imaginaires, à tout moment et partout singulier et pluriel, tenant dans cette singularité-pluralité de son infiniment petit à son infiniment grand.
      Ce qui fait ce tenant, c’est l’avec : l’être-avec et le vivre-avec, sans distinctions – hormis celles qui font pluralité, multitude et multiplicité précisément – accordant des primats d’être ou de vivre aux uns au détriment des autres ou empêchant, dans le temps comme dans l’espace, les uns de devenir autrement que ce que les autres pensent qu’ils doivent être… La différence entre l’être et l’être-avec est la différence entre les métaphysiques (petites ou grandes et « indécrottables ») et le politique (le politique tel qu’il « excède » les politiques d’intérêts et de calculs et tel qu’il organise un vivre-avec et non « une autre manière de faire la guerre » !)…
      Il a fallu sans doute cette calamité virale pour nous rappeler que ce reste est en fait le tout – fait de l’avec – dont il faut se préoccuper prioritairement et partout, ce tout qui ne se contamine jamais que de ses propres éléments et depuis tous temps… Le politique consiste à en prendre soin dans ses devenirs !

      Vivre-avec et aussi penser-avec. Penser avec les un•e•s et les autres un autre rapport à ce monde, et penser avec les expériences que vivent au présent les un•e•s et les autres et ce qu’elles nous révèlent sur la manière de mieux aborder l’avenir. Il ne dépend désormais plus de quelques-uns mais de tout le monde. La revue Écarts d’identité, et c’est sa vocation, explore, depuis son premier numéro, les chemins de ce vivre-avec, notamment ceux des migrations et des exils qui nous en apprennent plus sur le devenir-monde que ce que les discours officiels en retiennent et concèdent à en dire. Dans ce numéro, ce sont les spécificités des chemins de l’exil au féminin : une double exposition aux violences de l’exil en tant que tel et à celles, réelles et symboliques, faites aux femmes. Un dossier préparé par Lison Leneveler, Morane Chavanon, Mathilde Dubesset et Djaouidah Sehili (lire l’introduction du dossier).

      Et comme à chaque fois, une fenêtre ouverte sur un horizon de beauté (notre dossier culturel). Bruno Guichard a réalisé un documentaire (Patrick Chamoiseau, ce que nous disent les gouffres) sur Patrick Chamoiseau (ami et parrain de la revue), il nous en ouvre les coulisses où se mêlent puissance poétique et conscience politique. Et une rencontre avec Meissoune Majri, comédienne et metteuse en scène, qui mène depuis 2010 une recherche esthétique interrogeant les effets du réel sur les imaginaires.

      Si, comme le dit l’adage, « à quelque chose malheur est bon », puissions-nous avancer, avec cette calamité, sur les voies de la conscience et « les chemins de la liberté »...

      Abdelattif Chaouite


      https://ecarts-identite.org/-No136-

    • Épisode 3 : Femmes migrantes invisibles

      Statistiquement plus nombreuses que les hommes sur les chemins de l’exil, les femmes sont pourtant les grandes absentes du récit médiatique et de la recherche scientifique dans le domaine des migrations.

      Pour comprendre l’invisibilité Camille Schmoll constate : “il y a aussi un peu d’auto-invisibilité de la part des femmes qui ne souhaitent pas forcément attirer l’attention sur leur sort, leur trajectoire. La migration reste une transgression” et remarque que cette absence peut servir un certain discours “ or, quand on veut construire la migration comme une menace, c’est probablement plus efficace de se concentrer sur les hommes.”

      Depuis plus d’un demi-siècle, les bénévoles de l’Association meusienne d’accompagnement des trajets de vie des migrants (AMATRAMI) viennent en aide aux personnes migrantes présentes sur leur territoire, aux femmes notamment. Camille Schmoll rappelle cette situation : “il y a toujours eu des femmes en migration. On les a simplement occultés pour différentes raisons. En fait, ce sont à l’initiative de femmes, de chercheuses féministes que depuis les années 60-70, on redécouvre la part des femmes dans ces migrations. On sait qu’elles étaient très nombreuses dans les grandes migrations transatlantiques de la fin du 19ème siècle et du début du 20ème siècle. "

      Confrontées tout au long de leurs parcours migratoires mais également dans leur pays de destination à des violences de genre, ces femmes ne sont que trop rarement prises en compte et considérées selon leur sexe par les pouvoirs publics. Majoritairement des femmes, les bénévoles de l’AMATRAMI tentent, avec le peu de moyens à leur disposition de leur apporter un soutien spécifique et adapté.  Lucette Lamousse se souvient “elles étaient perdues en arrivant, leur première demande c’était de parler le français”. Camille Schmoll observe un changement dans cette migration : “les femmes qui partent, partent aussi parce qu’elles ont pu conquérir au départ une certaine forme d’autonomie. Ces changements du point de vue du positionnement social des femmes dans les sociétés de départ qui font qu’on va partir, ne sont pas uniquement des changements négatifs”.

      https://www.franceculture.fr/emissions/lsd-la-serie-documentaire/femmes-migrantes-invisibles


      #audio #son #podcast

  • British computing pioneer Sir Clive Sinclair has died
    https://www.nme.com/news/gaming-news/british-computing-pioneer-sir-clive-sinclair-has-died-3047745

    By the 1980s, “Sinclair” became a household name. After creating several early ZX computers, Sinclair eventually created the ZX Spectrum, which went on sale in 1982. The sleek design and affordability made it an instant hit.

    Soon, the ZX Spectrum began sporting a whole line of colour games – classics such as Jet Set Willy, Chuckie Egg, and Manic Miner were soon followed by more complex titles. Chase HQ, Bubble Bobble and various Dizzy games soon debuted on the ZX Spectrum.

    #décès #mort #disparition #clive_sinclair #sinclair_zx_spectrum #jeu_vidéo #jeux_vidéo #jeu_vidéo_jet_set_willy #jeu_vidéo_chuckie_egg #jeu_vidéo_manic_miner #jeu_vidéo_chase_hq #jeu_vidéo_bubble_bobble #commodore_64 #inventeur

  • Le pionnier britannique de l’informatique Clive Sinclair meurt à 81 ans
    https://www.lefigaro.fr/international/le-pionnier-britannique-de-l-informatique-clive-sinclair-meurt-a-81-ans-202

    La Sinclair ZX80, lancée en 1980 et vendue pour moins de 100 livres sterling à l’époque, a permis de démocratiser l’informatique domestique en Grande-Bretagne et ailleurs.

    #décès #clive_sinclair #mort #disparition #micro-ordinateur #londres #cancer #belinda_sinclair #sinclair_zx-80 #zx-80