• Europe : la #pollution aux #particules_fines a tué 253 000 personnes en 2021, selon un #rapport

    Le chiffre est en hausse par rapport à l’année 2020, au cours de laquelle 238 000 personnes sont mortes prématurément des mêmes causes, selon un rapport de l’Agence européenne de l’environnement.
    La pollution de l’air aux particules fines a provoqué le #décès de 253 000 personnes dans l’Union européenne en 2021, selon un rapport de l’Agence européenne de l’environnement (AEE) publié vendredi 24 novembre. Un chiffre en hausse comparé à l’année 2020, au cours de laquelle 238 000 personnes étaient mortes prématurément des mêmes causes.

    L’augmentation constatée entre les deux années s’explique par une exposition accrue aux polluants et par une légère hausse de la mortalité européenne, essentiellement due au Covid-19, explique l’AEE. La tendance reste cependant largement positive sur un plus long terme : entre 2005 et 2021, le nombre de décès prématurés imputables aux particules fines a diminué de 41%, souligne l’étude.

    En dépit des « grands progrès » réalisés ces dernières années, « l’impact de la pollution de l’air sur notre #santé reste encore trop élevé », relève la directrice exécutive de l’AEE, Leena Ylä-Mononen, citée dans le communiqué. La #pollution_atmosphérique demeure le principal #risque_environnemental pour la santé des Européens (suivie d’autres facteurs tels que l’exposition au bruit, aux produits chimiques et aux effets croissants sur la santé des vagues de chaleur liées au climat), causant des #maladies_chroniques et des décès, en particulier dans les #villes et les zones urbaines.

    https://www.francetvinfo.fr/monde/environnement/europe-la-pollution-aux-particules-fines-a-tue-253-000-personnes-en-202
    #pollution #pollution_de_l'air #qualité_de_l'air #chiffres #statistiques #mortalité #Europe #urban_matters

    ping @reka

    • Les niveaux de pollution atmosphérique restent trop élevés en Europe et constituent le principal risque environnemental pour la santé

      La pollution atmosphérique en Europe reste nettement supérieure aux niveaux recommandés par l’Organisation mondiale de la santé (OMS), ce qui représente une menace considérable pour notre santé. Selon la dernière évaluation de l’impact de la qualité de l’air sur la santé de l’#Agence_européenne_pour_l’environnement (#AEE), qui a été publiée aujourd’hui, 253,000 décès auraient pu être évités dans l’Union européenne (UE) si les concentrations de particules fines avaient respecté les recommandations de l’OMS. Selon de nouvelles estimations concernant les #incidences_sanitaires de la pollution atmosphérique, l’exposition à la pollution atmosphérique provoque ou aggrave certaines maladies telles que le cancer du poumon, les maladies cardiaques, l’asthme et le diabète.

      https://www.eea.europa.eu/fr/highlights/les-niveaux-de-pollution-atmospherique

    • La pollution de l’air a causé plus de 300 000 décès en Europe en 2021
      Une véritable hécatombe. Selon une analyse de l’Agence européenne pour l’environnement (AEE) publiée le 24 novembre, au moins 253 000 décès au sein de l’Union européenne en 2021 sont imputables à une exposition à une pollution par les particules fines (PM2,5) supérieure à la concentration de 5 µg/m³ recommandée par l’Organisation mondiale de la santé (OMS). La pollution par le dioxyde d’azote a quant à elle entraîné 52 000 décès prématurés sur le continent ; l’exposition à court terme à l’ozone, 22 000.

      Virginijus Sinkevičius, commissaire européen à l’environnement, aux océans et à la pêche, voit dans ces chiffres une « piqûre de rappel » : « La pollution atmosphérique reste le premier problème de santé environnementale dans l’UE. » Même si le nombre de décès imputables aux particules fines au sein de l’Union a chuté de 41 % depuis 2005, il faut selon lui « redoubler d’efforts et réduire davantage les niveaux de pollution ».

      https://reporterre.net/La-pollution-de-l-air-a-cause-plus-de-300-000-deces-en-Europe-en-2021

  • Un anno di osservazione sul CPR di Via Corelli, Milano

    Il report-denuncia di Naga e Rete Mai più Lager - No ai CPR

    «Al di là di quella porta. Un anno di osservazione dal buco della serratura del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Milano» è il titolo del report 1 realizzato dall’associazione Naga e della Rete Mai Più Lager – No ai CPR (di qui in avanti “Rete”).

    Il risultato di un monitoraggio multi livello 2 durato un anno che tuttavia, lascia l’impressione di aver giusto sbirciato “dal buco della serratura” di quel CPR.

    La diversità di fonti e metodi riflette infatti la difficoltà che si riscontra quando si vuole rompere il muro di oscurità che avvolge via Corelli e tutti gli altri centri d’Italia. La maggior parte delle informazioni raccolte sono infatti il frutto delle segnalazioni arrivate al centralino telefonico “SOS CPR Naga” o alle pagine social di Naga e Rete dai cellulari personali dei trattenuti.

    Un monitoraggio che solleva l’angosciante interrogativo su quanto accade negli altri Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) d’Italia.

    Il CPR di Milano infatti è l’unico, insieme a quello di Gradisca d’Isonzo, in cui, grazie a una sentenza sul ricorso ASGI del 20213, i trattenuti possono detenere i propri telefoni cellulari. Questa possibilità, a garanzia del diritto alla libera corrispondenza di fatto negata negli altri CPR, ha plausibilmente l’effetto di limitare gli abusi da parte di forze dell’”ordine” e operatorə del centro, consapevoli inoltre della presenza di associazioni e reti di solidali ben radicate sul territorio.

    Se le atrocità osservate a Milano sono il frutto di un relativo contegno che le autorità si impongono in Via Corelli, qual è invece la realtà quotidiana degli altri CPR, esclusi da un accorto e costante monitoraggio? Il titolo infatti rende perfettamente idea di quanto è nascosto agli occhi quando si cerca di osservare la totalità di una stanza dal piccolo spiraglio della serratura.
    “Accedere al CPR: una lunga storia”

    Naga accede regolarmente alle carceri ordinarie, mentre nei Centri di permanenza per i rimpatri la Prefettura nega l’autorizzazione in modo quasi sistematico e spesso senza neanche fornire una motivazione dettagliata. Eppure la possibilità di accesso è formalmente prevista dalla Direttiva Lamorgese e spesso viene fatta valere solo in seguito a un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale. Non prima, dunque, di spendere tempo, energie e risorse per fare ricorso contro il diniego.

    “La battaglia per visitare il CPR è durata oltre un anno, ha visto impegnati due avvocati e una decina tra attiviste e attivisti. Istanze, memorie, accessi agli atti, un’ordinanza e una sentenza” 4. Tutta questa fatica per due ore di sopralluogo all’interno del centro, in cui la delegazione è stata accompagnata – o, per meglio dire, scortata – lungo tutto il tragitto.
    Gli accessi civici agli atti e i dati quantitativi del report

    Un intero capitolo del dossier è dedicato a dettagliare le richieste di accesso civico generalizzato agli atti 5 che hanno spesso ottenuto dinieghi, risposte glissate, parziali, contraddittorie 6, a volte nessuna risposta affatto. Dalle risposte ottenute il rapporto riesce a ricostruire qualche dato quantitativo.

    In un anno sono state deportate da via Corelli verso il paese d’origine 7 238 persone, ovvero il 44% dei trattenuti (dove la media nazionale si attesta tra il 49 e il 50%).

    “L’82% dei rimpatriati proviene dal nord Africa. Del resto, il 65% dei trattenimenti ha riguardato persone provenienti da Egitto, Marocco e Tunisia. I dati della Prefettura confermano che sono soprattutto tunisini a popolare il CPR.” (Naga, 2023, p.137)

    In assenza di dati ufficiali sui motivi di rilascio diversi dalla deportazione nel paese di origine, Naga e Rete riportano a tal proposito i dati in loro possesso. Dei 24 casi di rilasci ottenuti grazie all’assistenza legale Naga, la maggior parte erano motivati dalle condizioni di salute dei trattenuti.

    Secondo l’ATS (Agenzia di Tutela della Salute), dal 1°marzo 2022 al 28 marzo 2023 sono stati emessi 203 codici STP. (Naga, 2023, p.167).

    A tutti i trattenuti però dovrebbe essere assegnato un codice STP (Straniero Temporaneamente Presente) al momento dell’ingresso. Considerando che il numero di trattenuti per lo stesso periodo è di 544, lo scarto è di ben 341 codici. Sul perché a questi individui non sia stato assegnato alcun codice STP non è dato avere spiegazione.

    Sul numero di trattenuti sottoposti a Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), l’ATS non ha fornito alcuna risposta. La Prefettura sostiene di non avere tale informazione e, anche avendola, non la comunicherebbe in quanto relativa a dati “sensibilissimi”. Invece il Comune di Milano, che sotto la firma del suo Sindaco Giuseppe Sala dispone i TSO, ha riferito che nel periodo di riferimento dell’istanza ci sono stati due TSO sullo stesso cittadino. Risulta poi che questi trattamenti si riferiscono a due distinti periodi di trattenimento in CPR: questo significa, ancora una volta, che nonostante i gravi problemi psichiatrici è stato dichiarato idoneo al trattenimento ed è finito poi per subire un ulteriore TSO.
    La visita d’idoneità

    Una visita medica deve accertare l’idoneità alla vita in comunità ristretta entro le 48h dall’ingresso della persona in un CPR. Secondo la normativa, la visita d’idoneità deve svolgersi all’esterno del Centro e dev’essere obiettiva. Secondo le raccomandazioni del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale (di qui in avanti abbreviato “Garante Nazionale”), per essere obiettiva la visita dev’essere svolta da medici del Servizio Sanitario Pubblico in una struttura pubblica.

    Invece, sin dalla sua apertura e con l’eccezione di una sola breve parentesi, le visite di idoneità per l’ingresso nel CPR di Via Corelli sono state svolte sempre dagli stessi due medici. Non si tratta di dipendenti dell’ASL, ma di medici in libera professione vincitori di concorsi che sembrano istituiti ad-hoc per affidare loro le visite d’idoneità. Inoltre, nel primo anno di apertura del centro, questi due medici lavoravano anche privatamente per l’ente gestore dell’epoca, la R.T.I. Luna S.c.s. – Versoprobo S.c.s. (oggi a gestire il Centro di Via Corelli è Martinina S.r.l.) in evidente conflitto d’interesse.

    Alcuni trattenuti riferiscono di non essere mai stati visitati al di fuori del centro o di aver svolto la visita in Questura. Tutti ad ogni modo sono stati visitati in presenza di agenti di polizia e le visite consistono nella compilazione di un modulo a crocette, nella somministrazione di un test COVID, nella dichiarazione di assenza di sintomi da Tubercolosi, ma senza disponibilità di strumenti diagnostici né la previsione di esami di approfondimento. Dunque si è idonei solo se si è ritenuti approssimativamente e a vista d’occhio “sani”.

    “Nel periodo tra maggio 2022 e marzo 2023 sono pervenute al centralino SOS CPR del Naga diverse segnalazioni di problematiche sanitarie che potrebbero porre qualche dubbio sulle idoneità rilasciate. Ricordiamo almeno 4 casi di trattenuti affetti da epilessia, 8 con gravi problemi psichiatrici e psicologici, diverse decine di persone che praticavano autolesionismo, 9 portatori di malattie croniche, gravi o comunque difficilmente compatibili con le modalità di trattenimento (sempre che queste si possano considerare compatibili con qualsiasi essere umano)” – Naga, 2023 (p. 84)
    “Il battesimo d’ingresso”

    Una volta all’interno del CPR, i trattenuti sono sottoposti a una seconda “visita”, quella di presa in carico 8. I neo arrivati vengono portati in infermeria, denudati integralmente di fronte a medici e, anche qui, ad agenti di polizia e obbligati a fare flessioni per espellere eventuali oggetti nascosti nell’ano.

    “Un trattamento umiliante dalla dubbia utilità pratica, stigmatizzato in infinite occasioni dai tribunali perché riservato, per legge, ai soggetti più pericolosi solo in caso di estrema necessità. Questo trattamento viene risparmiato solo ai soggetti provenienti direttamente dal carcere, quindi “puliti” in ragione della loro provenienza. A volte neanche a loro.” – Naga, 2023 (p.26)

    Al termine di questa visita viene refertata una scheda medica di ingresso, senza data e con la sezione “anamnesi” quasi sempre barrata. Nessun accertamento dettagliato sulla salute psichica dei trattenuti, seppur previsto dall’offerta tecnica con la quale Martinina S.r.l. vince l’appalto.

    Finita questa umiliante prassi di sottomissione, i trattenuti vengono spogliati anche della loro stessa umanità e identità personale. Viene loro consegnato un cartellino identificativo con un codice numerico progressivo (arrivato il 28 luglio 2023 al numero 1566) che di lì in avanti sostituirà il loro nome nelle interazioni con il personale all’interno del centro.

    Uno spettro agghiacciante dei metodi nazisti, in cui la deumanizzazione degli internati era funzionale al loro soggiogamento e all’annientamento di ogni guizzo di resistenza attiva alle ingiustizie e violenze subite.
    La vita nei blocchi: squallore e “zombizzazione”

    Secondo il monitoraggio di Naga e Rete, nel CPR di Via Corelli risultano agibili solo due moduli abitativi – spesso definiti “blocchi” dai trattenuti – ciascuno per 28 persone.

    “Per ogni trattenuto il gestore percepisce, come da appalto, un compenso di 40,16 euro al giorno. A loro disposizione un “kit di ingresso” (per il quale il gestore percepisce un compenso a parte) miserrimo e un cambio di vestiti (biancheria intima compresa) già usati da altri, che nella maggioranza dei casi vengono rifiutati.” – Naga, 2023 (p. 26)

    Le squallide condizioni di vita all’interno dei CPR sono ormai largamente documentate. Le pagine social della Rete pubblicano quasi quotidianamente foto e video inviati dai trattenuti raffiguranti locali non idonei, sporcizia, degrado, sangue, violenze e sofferenza diffusa.

    Uno scenario post-apocalittico all’interno del quale gli avvocati e le avvocate Naga raccontano di una veloce degenerazione psicofisica dei loro clienti, che colloquio dopo colloquio, vedono progressivamente diventare come zombie.

    “Giovani sani e forti si trasformano in poche settimane in zombie scoloriti e disorientati dagli psicofarmaci, drogati di e per disperazione, o più semplicemente per mantenere l’ordine all’interno del centro senza alcun dispendio di forze, energie e personale: sedandoli” – Naga, 2023 (p.28)
    Mai più distante dalla realtà: il capitolato d’appalto di Martinina S.r.l. tra servizi non erogati e protocolli falsi

    Nel CPR di Milano, come negli altri CPR d’Italia, i trattenuti non hanno la possibilità di svolgere alcuna attività ricreativa. Eppure Martinina S.r.l. avrebbe ottenuto in gestione via Corelli – con un appalto di 1,2 milioni di euro! – sulla base delle “proposte migliorative” dell’offerta tecnica.

    Il rapporto di Naga e Rete documenta dettagliatamente come quanto formalmente previsto dal capitolato non corrisponde a un servizio effettivo e/o di qualità 9. Ma ancor più grave è quanto emerso dalla recente inchiesta di Luca Rondi e Lorenzo Figoni per Altraeconomia: «Inchiesta sul gestore del Cpr di Milano: tra falsi protocolli e servizi non erogati».

    Interpellando le associazioni e Ong iscritte negli accordi che Martinina S.r.l. ha presentato in gara d’appalto hanno scoperto che questi protocolli d’intesa sono falsi. Altri ancora sono siglati con soggetti che non risultano da nessuna parte online, di cui di fatto non è possibile verificare la veridicità. Un accordo è addirittura firmato dal solo ente gestore, Martinina S.r.l. Tra questi le società che dovrebbero provvedere alla realizzazioni di attività ricreative e migliorative del tempo trascorso dai trattenuti all’interno del Centro.

    i trattenuti nei CPR non hanno nemmeno la possibilità di tenersi carta e penna. La giustificazione? La prima perché infiammabile e la seconda perché passibile di uso improprio. Il divieto di circolazione di carta tra i detenuti però inficia gravemente anche sul loro diritto all’informazione legale e di reclamo diretto al Garante Nazionale.

    Secondo l’offerta tecnica, Martinina S.r.l. fornisce consulenti legali interni che dovrebbero consegnare una “carta dei diritti dei trattenuti”, che però non può circolare nel CPR perché, appunto, di carta. Senza carta e penna é inoltre inverosimile che i trattenuti possano scrivere reclami diretti al Garante Nazionale. In occasione dell’accesso fisico la delegazione Naga ha potuto constatare inoltre che il vademecum che dovrebbe informarli sulle modalità di invio riporta informazioni errate: istruiscono per l’invio di reclami al Garante territoriale, che a Milano manca. Esiste un Garante Comunale che tuttavia non segue il CPR di Via Corelli per mancanze di risorse e personale e che consiglia di riferirsi alla Procura della Repubblica o al Garante Nazionale, per cui le modalità d’invio, tuttavia, richiedono procedure differenti. A queste mancanze cercano di sopperire Naga e Rete mandando costanti segnalazioni al Garante. Nel rapporto forniscono qualche dato sulle segnalazioni inviate.

    “Quale difesa?”

    Ai trattenuti viene sistematicamente limitato il diritto alla difesa. La nomina di unə avvocatə di fiducia è condizionata alle risorse economiche disponibili: quando sono scarse o ormai esaurite, non resta che l’avvocatə di ufficio. I detenuti dovrebbero poterne scegliere unə da una lista fornita dall’ente gestore. Questa, in quanto cartacea, non può circolare all’interno del CPR e quindi di fatto l’assegnazione avviene in maniera casuale. Anche quando un detenuto è assistito da unə avvocatə di fiducia, questə viene convocatə in ore serali, tarde o non viene convocatə affatto.

    Lə rappresentante legale spesso non conosce il caso, non ha avuto accesso al fascicolo, non ha nemmeno mai visto o parlato con il trattenuto. Se d’ufficio, poi, il suo incarico si limita a una singola udienza. Le udienze durano in media 6 minuti e sono svolte online: oltre alla pessima connessione internet, l’avvocatə deve decidere se presenziare di fronte al giudice o collegarsi online con la persona assistita, con ulteriori gravi implicazioni sulla qualità della difesa.

    L’impedimento al diritto di difesa viene esercitato anche in occasione dei colloqui individuali. A differenza del carcere ordinario, nei CPR questi avvengono alla presenza degli agenti di polizia. Il rapporto riporta un episodio particolarmente grave del 3 agosto 2023, in cui all’avv. Simona Stefanelli e all’interprete di fiducia che l’accompagnava, é stato inizialmente negato negato l’accesso al CPR, nonostante regolare nomina di incarico per diversi assistiti. È stato poi concesso alla sola avvocata di parlare con un solo assistito e per 30 minuti, dopodiché è stata fatta uscire sul pretesto che ci sarebbero stati altri appuntamenti per i quali doveva essere lasciata libera la stanza. Il direttore avrebbe inoltre sequestrato alcuni documenti dell’assistito impedendole di fatto di preparare un’adeguata difesa.
    L’interprete

    Fino a giugno 2022 l’interprete di fiducia poteva accedere al CPR, previa comunicazione del nominativo all’ente gestore, come anche presenziare alle udienze presso il Giudice di pace. Ora invece serve l’autorizzazione della Prefettura, che oppone dinieghi ostinati e strumentali anche in presenza di professionistə competenti e qualificatə.

    All’interprete che accompagnava l’avv. Stefanelli è stato opposto un diniego perché non aveva presentato documentazione atta a dimostrare la sua qualifica di mediatrice culturale. Quando questa è stata presentata, le si è opposto che la qualifica di per sé non fosse sufficiente, ma doveva dimostrare di svolgere “ordinariamente attività come traduttrice o mediatrice culturale a supporto di studi legali, o comunque in contesti peculiari come quello dei CPR” 10. Nel diniego si aggiungeva inoltre che l’interprete di fiducia risultava superfluo data la presenza di personale di mediazione professionista garantita dall’ente gestore.

    Non solo dal rapporto emerge come l’unico mediatore “professionista” di Martinina S.r.l. mai incontrato abbia candidamente ammesso di essere un autodidatta. In base ai protocolli presentati in gara d’appalto sarebbe Ala Milano Onlus a fornire servizi di mediazione linguistico-culturale nel CPR di Milano. Peccato che il suo presidente, intervistato da Luca Rondi e Lorenzo Figoni nell’ambito della già citata inchiesta su Altraeconomia, dichiara di non aver mai siglato quell’accordo.
    Il diritto alla salute e gli “scheletri nell’armadio”

    Il grosso del dossier riguarda i dati medici e parla di un vero e proprio ostruzionismo da parte di Prefettura ed ente gestore, vinto ancora una volta soltanto in sede di ricorso. L’ostruzionismo viene esercitato su voluti fraintendimenti tra le “cartelle cliniche” e i “diari clinici” dei trattenuti.

    Quando lə avvocatə chiede per iscritto “le cartelle cliniche” dell’assistito, l’ente gestore invia le cartelle cliniche refertate da ospedali qualora si siano verificati dei ricoveri, ma non quello che loro chiamano il “diario clinico”. Quest’ultimo è un fascicolo che l’ente gestore dovrebbe aggiornare lungo tutto il periodo di trattenimento, tra l’altro avvalendosi di un software gestionale online che comunicherebbe alla prefettura ogni aggiornamento su base quotidiana. Questo diario non viene rilasciato, come ricostruisce dettagliatamente il rapporto, neanche quando esplicitamente ordinato da sentenza del giudice su ricorso.

    Non è chiaro poi se questo software gestionale esista davvero: la documentazione ottenuta risulta scritta a mano, spesso in maniera illeggibile; inoltre anche il “registro degli eventi critici”, che da offerta tecnica dovrebbero essere registrati e comunicati informaticamente, è un quaderno da cartoleria ad anelli, “dal quale possono essere agilmente strappati fogli scomodi, non numerati né tanto meno vidimati” – Naga, 2023 (p.147)

    Quando si è riusciti ad ottenere la documentazione sanitaria di alcuni trattenuti sono emersi dei veri e propri “scheletri nell’armadio”. Ne è un esempio la storia di J.M., dettagliata nel rapporto.

    Lamentando gravi mal di testa, J.M. viene visitato in ospedale perché non era disponibile un medico nel centro; il suo referto medico viene sequestrato al rientro nel centro e il suo compagno di stanza chiama il centralino del Naga perché lo vede fortemente turbato. Lə attivistə di Naga e Rete riescono a risalire all’Ospedale dov’era stato ricoverato e scoprono che una TAC aveva rilevato una neoplasia cerebrale. Viene invece dimesso con diagnosi di crisi da verosimile astinenza da cocaina e riportato nel CPR come se nulla fosse. Il legale fa allora richiesta ufficiale della sua cartella clinica e soltanto allora J.M. viene rilasciato dal centro: più precisamente, viene abbandonato in mezzo alla strada, nonostante non fosse nemmeno in grado di camminare, e senza ricevere la sua cartella clinica.
    La non-assistenza psico-sociale in Via Corelli

    L’offerta tecnica di Martinina S.r.l prevede personale e locali adibiti ai colloqui psicologici, che però si svolgono in presenza degli agenti di polizia, in totale violazione della privacy necessaria. Nell’accesso fisico alla struttura, la delegazione Naga ha constatato che a tale servizio sarebbero incaricate due persone, di cui una si è presentata come coordinatrice del servizio. Interrogata su tecniche e modalità impiegate nel suo lavoro dimostrava gravi mancanze e ammetteva di non affiancarsi di personale di mediazione linguistico-culturale.

    Il suo nome é stato poi nominato da svariati trattenuti, che però la identificavano come l’operatrice che si occupa dei cartellini identificativi con il numero progressivo. Lə avvocatə che collaborano con Naga riportano inoltre che sarebbe sempre lei a rispondere alle email di nomina di legali di fiducia. Mansioni che non sembrano c’entrare nulla con l’incarico di psicologa.

    In assenza di un supporto psicologico adeguato la prassi è una diffusa somministrazione di psicofarmaci a fini sedativi 11, così che le condizioni psicofisiche dei trattenuti deteriorano progressivamente e velocemente. Uno non-luogo di abbandono e brutalizzazione costante.
    La storia di H.B.

    Nessuna legge vieta un ulteriore periodo di detenzione, rendendone i “termini massimi” stabiliti per legge meno effettivi. Dalle testimonianze delle persone che si sono rivolte al centralino “SOS CPR Naga”, è evidente poi che il trattenimento viene imposto e reiterato anche quando la deportazione non è attuabile, in completa violazione del Testo Unico Immigrazione 12. Inoltre, spesso vengono trasferite da un CPR a un altro in ottica punitiva e strumentale.

    Tutte queste dimensioni discriminanti possono verificarsi per una stessa persona con effetti devastanti, come esemplificato nella storia di H.B., dettagliata nel report di Naga e Rete.

    H.B. non è registrato all’anagrafe del paese di origine e dunque, poiché quest’ultimo non lo riconosce come proprio cittadino, non è deportabile. Per questo stesso motivo era stato rilasciato dal suo primo trattenimento nel CPT di Bologna, salvo poi venir messo dentro a Via Corelli a Milano. Da qui, salito sul tetto in atto di protesta contro la convocazione di un avvocato sconosciuto per la sua udienza 13, viene trasferito per punizione al CPR di Ponte Galeria a Roma, ma solo dopo due episodi di violenza da parte di almeno 6 agenti di polizia, che gli causano una ferita aperta in testa, perdite di sangue e siero da orecchie e bocca, vista offuscata e torsione del braccio.

    Perché a Ponte Galeria? Per recidere i suoi rapporti e contatti con lə attivistə di Milano, non potendo nel CPR di Roma tenere il suo cellulare personale. Invece lə avvocatə NAGA hanno continuato a seguirlo, e l’hanno poi fatto rilasciare da Ponte Galeria, proprio perché le gravi lesioni inflittegli in Via Corelli lo rendevano evidentemente inidoneo al trattenimento in CPR 14.

    Anche nel caso di H.B. il rilascio ha equivalso a un abbandono in mezzo alla strada. Lə attivistə NAGA perdono le sue tracce per un certo periodo e lo ritrovano nuovamente rinchiuso, questa volta al CPR di Gradisca d’Isonzo. Non sapendo che fare, era tornato a Bologna dove si era presentato in Questura per domandare protezione internazionale in ragione della sua apolidia. Qui non solo gli viene negato l’accesso alla domanda 15, ma nuovamente lo rinchiudono nel Centro nonostante l’ingessatura al braccio per la quale doveva risultare inidoneo. Nuovamente lə avvocatə NAGA ottengono il suo rilascio, questa volta sulla base del comprovato tentativo di domandare la protezione internazionale e presentano una denuncia per tortura, lesioni, omissione di soccorso e falso nei confronti di agenti, direttore e medico del CPR di Milano e Roma, di cui seguiamo con ansia gli esiti.
    Pratiche di deportazione, morti di Stato e morti invisibili

    Sulla base delle testimonianze di ex-trattenuti deportati e dell’ultima relazione del Garante Nazionale 16, le modalità di esecuzione delle deportazioni implicano regolarmente l’uso della violenza e dell’inganno.

    Le forze di polizia fanno irruzione nella stanza di notte, mentre tutti dormono; immobilizzano e prelevano di forza il deportando, se serve lo sedano contro la sua volontà o a sua insaputa. In alternativa usano la “trappola dell’infermeria” 17, la bugia del trasferimento in un altro centro, o ancora si fa loro credere che verranno portati dal console a cui in ultimo spetta la decisione, quando invece tutto è ormai definitivo.

    Lo stesso Garante Nazionale evidenzia gli abusi della forza da parte degli agenti, in media tre per ogni deportato: a prescindere dall’eventuale resistenza opposta dai deportandi, questi vengono immobilizzati con fascette di velcro o altri dispositivi “con modalità considerate eccezionali anche nell’ambito del regime penitenziario con il rischio di incidere fortemente sulla dignità delle persone straniere” (…) “In talune occasioni i monitor hanno constatato che i dispositivi non sono stati levati nemmeno per consentire la consumazione del pasto e durante la fruizione dei servizi igienici” 18.

    Di questo sistema di violenza e razzismo istituzionale, amministrativa e fisica le persone ci muoiono: nascosti negli impenetrabili CPR o lontano dagli occhi e dai confini territoriali.

    Naga ha domandato al Dipartimento di Pubblica Sicurezza, che fa capo al Ministero dell’Interno, quante morti fossero avventue nei CPR d’Italia negli ultimi 5 anni: sono 14, età media di 33 anni.

    Vittime immolate in nome del culto dei confini, del razzismo, del profitto senza scrupoli che riduce le persone in corpi senza storia e senza identità, solo numeri.

    Numeri a cui Naga cerca di dare un nome, che qui riportiamo per rispetto della loro dignità, confidando che ci legge non ce ne vorrà se anche il resoconto del rapporto risulta molto lungo.

    • Donna – 46 anni – Ucraina – CPR di Ponte Galeria (Roma) il 13 novembre 2018. Di lei il Naga e la Rete Mai più Lager – No ai CPR non sanno nulla, nemmeno il suo nome.

    • Harry – 20 anni – Nigeria – CPR di Brindisi Restinco – 2 giugno 2019

    • Hossain Faisal – 31 anni – Bangladesh – CPR di Torino – 8 luglio 2019

    • Ayman Mekni – 33 anni – Tunisia – CPR di Pian del Lago – Caltanissetta – 12 gennaio 2020

    • Vakthange Enukidze – 39 anni – Georgia – CPR di Gradisca d’Isonzo – gennaio 2020

    • Orgest Turia – 29 anni – Albania – CPR di Gradisca d’Isonzo – 14 luglio 2020

    • Moussa Balde – 23 anni – Nuova Guinea – CPR di Torino – maggio 2021

    • Wissem Abdel Latif – 26 anni – Tunisia – CPR di Ponte Galeria – 28 novembre 2021

    • Ezzedine Anani – 41 anni – Marocco – CPR di Gradisca di Isonzo – 6 dicembre 2021

    • Uomo: – 36 anni – Nigeria – CPR di Brindisi Restinco – 4 agosto 2022.

    • Uomo – 34 anni – Bangladesh – CPR di Ponte Galeria – 22 agosto 2022.

    • Arshad Jahangir – 28 anni – Pakistan- CPR di Gradisca d’Isonzo – 31 agosto 2022

    • Uomo – 44 anni – Nigeria – CPR di Palazzo San Gervasio – 7 ottobre 2022.

    • Nome non trapelato – 38 anni – Marocco – CPR di Brindisi Restinco – 19 dicembre 2022 (Naga, 2023, pp.175-176)

    Di questi 14 morti di stato, 5 rimangono senza nome. Morti invisibili, o meglio invisibilizzate. Le loro morti come anche le loro vite: costrette, negate, taciute. Così nella depredazione dell’Occidente a danno dei paesi resi a basso reddito, ma in realtà di estremo valore estrattivo e umano; così nel Mar Mediterraneo, ormai stabilmente rotta migratoria più mortale sul pianeta; così anche sul territorio italiano, nei campi di sfruttamento, nelle carceri, nei CPR. E di quanti morti ancora non è dato sapere, una volta che queste persone vengono espulse e allontanate dagli occhi e dalla nostra coscienza.

    Vite di cui Naga, come le altre realtà sul territorio italiano, cercano di ricostruire l’identità, per rispetto, per dignità, ma anche per offrire un’occasione a eventuali familiari delle vittime di reclamare giustizia – se davvero così può essere chiamata – sistematicamente violata nel sistema CPR d’Italia.

    https://www.meltingpot.org/2023/11/un-anno-di-osservazione-sul-cpr-di-via-corelli-milano

    #détention_administrative #rétention #asile #migrations #réfugiés #Italie #CPR #décès #morts #mourir_en_rétention #via_Corelli #Milan #rapport

    • Firme false e assistenza inesistente per i reclusi: la Procura indaga sul Cpr di Milano

      Il primo dicembre la Guardia di Finanza ha perquisito la struttura per acquisire documentazione. Il reato ipotizzato per l’ente gestore #Martinina è frode in atto pubblico. Un’inchiesta di Altreconomia aveva svelato le “false promesse” della società alla prefettura di Milano

      Servizi di mediazione e assistenza sanitaria “gravemente deficitari”, ausilio psicologico e psichiatrico “largamente insufficiente” e poi cibo “spesso maleodorante, avariato e scaduto”, mancanza di medicinali e informativa legale. Sono queste le basi su cui la Procura di Milano ha dato mandato alla Guardia di Finanza per l’ispezione dei locali del Cpr di via Corelli del primo dicembre. I reati ipotizzati per i rappresentanti della Martinina Srl, la società che si è aggiudicata l’appalto da 1,2 milioni di euro per la gestione del centro nell’ottobre 2022, sarebbero frode nelle pubbliche forniture e turbata libertà degli incanti. Le prime informazioni confermerebbero quanto emerso dalle inchieste di Altreconomia sulle presunte “false promesse” della società alla prefettura e sull’abuso di psicofarmaci.

      Sono due, infatti, i profili al vaglio degli inquirenti. Da un lato c’è la turbativa d’asta legata ai servizi promessi da Martina Srl e mai realizzati. Alessandro Forlenza, gestore del centro e Consiglia Caruso, amministratrice unica della società, avrebbero commesso “frode nell’esecuzione del contratto di appalto” ponendo in essere “espedienti maliziosi e ingannevoli idonei a far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti”. Da un lato quindi i servizi, come detto, “gravemente deficitari” riguardanti mediazione culturale e assistenza sanitaria e informativa legale e poi, in sede di aggiudicazione dell’appalto pubblicato dalla prefettura di Milano, la presenza di protocolli falsi siglati da Consiglia Caruso, all’epoca rappresentante legale della società, con organizzazioni della società civile (ignare) per migliorare l’offerta tecnica al fine di vincere la gara.

      “In concorso con persone non identificate mediante la presentazione documentazione contraffatta e apocrifa turbava la gara d’appalto”, si legge nel decreto con cui il pubblico ministero ha chiesto la possibilità di ispezionare il Corelli. I protocolli, come raccontato anche su Altreconomia, sarebbero dieci in totale. Addirittura due riguarderebbero contratti d’acquisto per distributori di tabacchi e snack. “Servizi mai resi”, sempre secondo l’accusa. Protocolli forniti ovviamente in sede di gara ed esaminati dalla Commissione giudicatrice della prefettura, la quale, nella decisione di assegnare l’appalto alla società domiciliata in provincia di Salerno, sottolineava l’importanza del “valore delle proposte migliorative dell’offerta tecnica”.

      C’è poi il capitolo sanitario. Nell’inchiesta “Rinchiusi e sedati” avevamo dato conto di un acquisto spropositato di psicofarmaci destinati al Cpr di Milano. Il pubblico ministero scrive di “visite di idoneità alla vita in comunità ristretta assolutamente carenti” con ospiti trattenuti affetti da “epatite, gravi patologie psichiatriche, tossicodipendenti, persone con tumori al cervello” a cui si aggiungono servizi di ausilio psichiatrico e psicologico “largamente insufficienti” con colloqui svolti senza i mediatori culturali. “Con le persone trattenute si capiva sulla base del feeling”, avrebbe spiegato la psicologa del centro. Sono state acquisite “copie delle cartelle cliniche e della documentazione sanitaria (attuali e passati)”.

      Martinina Srl ha attualmente altre due sedi attive: una a Palazzo San Gervasio, a Potenza, dove è arrivata seconda nella gara di assegnazione della nuova gestione del Cpr precedentemente dalla Engel, vinto da Officine Solidali nel marzo 2023, un’altra a Taranto, per la gestione del Cas Mondelli che accoglie minori stranieri non accompagnati. L’ultimo bilancio disponibile è del 31 dicembre 2021 con importi ridottissimi: appena 2.327 euro di utili “portati a nuovo”. A quella data ancora non era attivo il Cpr di via Corelli. C’è un terzo soggetto, però, nella “sfera Martinina” con ben altri risultati: si tratta della Engel Family Srl nata nell’ottobre 2020 con in “dotazione” 250mila euro derivanti da Engel Srl. Paola Cianciulli è nuovamente amministratrice e socia unica della società che si occupa di “locazione immobiliare di beni propri o in leasing” che al 31 dicembre 2021 (l’ultimo disponibile) conta un valore della produzione complessivo di poco superiore a 372mila euro.

      Anche l’avvicendamento delle società gestite dall’imprenditore Alessandro Forlenza è rilevante. Lui, nel 2012 fonda la Engel Italia Srl, ex gestore del “Corelli” di Milano e del Cpr di Palazzo San Gervasio a Potenza: oggi quella società non esiste più perché il 20 ottobre 2023 è stata definitivamente “inglobata” nella Martinina Srl, a cui inizialmente era stato ceduto il ramo d’azienda che si occupava della detenzione amministrativa. La società è formalmente in mano a Paola Cianciulli, moglie di Forlenza, che è attualmente l’amministratrice unica dopo l’uscita di scena di Consiglia Caruso (la firmataria di tutti i protocolli d’intesa sopra citati), che il 31 agosto 2023 ha ceduto i mille euro di capitale sociale. A lei restano intestate due società con sede a Milano: l’Edil Coranimo Srl, che si occupa di costruzioni, e dal febbraio 2023 l’Allupo Srl che ha sede proprio in via Corelli, nel numero civico successivo al Centro per il rimpatrio. Una dinamica che desta interesse: l’oggetto sociale della Allupo Srl è molto diversificato e oltre alla ristorazione in diverse forme (da asporto o somministrazione diretta) è inclusa anche la possibilità di “gestione di case di riposo per anziani, case famiglia per minori, Cas, Sprar, Cara e Cpr”. Forse nel tentativo di togliere di mezzo il nome di Martinina per altri eventuali bandi.

      In questo quadro c’è poi il problematico ruolo giocato dalla prefettura. In una nota rilanciata da diverse agenzie di stampa, l’ufficio territoriale del Viminale ha fatto sapere che “aveva già avviato un procedimento amministrativo per la contestazione di condotte ritenute contrarie agli obblighi contrattuali a seguito di alcune criticità gestionali emerse nei mesi scorsi” che si sarebbe concluso con “l’irrogazione della massima sanzione prevista”. Non è chiaro a quando risalgano queste contestazioni. Ma ci sono alcuni elementi noti. Secondo i dati consultati da Altreconomia il primo settembre 2023, tre mesi fa, quando l’indagine della Procura era presumibilmente già in corso, la stessa prefettura ha bonificato a Martinina 80mila euro come rimborso per la gestione della struttura di marzo 2023, una cifra in linea con quelle riconosciute per i mesi precedenti per un totale di quasi un milione di euro dall’inizio del contratto (943mila euro).

      Il 10 novembre poi, quattro giorni prima dell’uscita della nostra inchiesta su Martinina, la prefettura ha pubblicato tutta la documentazione relativa al contratto aggiudicato da Engel nel 2021, sempre per la gestione del Cpr, da cui emerge che già in quell’offerta alcuni dei protocolli d’intesa sono siglati con le stesse realtà che dichiarano di non aver mai avuto rapporti né con l’ente gestore né con il Cpr. Un eccesso di trasparenza -mai vista quando si tratta di Cpr (per ottenere l’attuale contratto d’appalto è stato necessario un ricorso al Tar da parte dell’associazione Naga)- che nei fatti si è tradotto in un’autodenuncia. “La prefettura ha provveduto a informare ‘immediatamente’ gli uffici della locale Procura sugli esiti della propria attività, ‘trasmettendole’ anche la relativa documentazione e fornendo la propria massima collaborazione”, hanno spiegato da corso Monforte.

      Dai verbali delle ispezioni prefettizie consultati da Altreconomia, però, non emergerebbe una verifica dettagliata di quanto avviene nella struttura. In uno di questi, per esempio, alla domanda “La fornitura degli effetti letterecci avviene regolarmente e secondo le tempistiche e modalità previste dallo Schema di Capitolato vigente?”, il funzionario della prefettura barra “Sì”. Ma nella nota integrativa sottostante, riportata in calce al verbale, si legge che “ai 25 trattenuti non viene richiesto di firmare la consegna/ritiro degli effetti letterecci”. Risultano perciò incomprensibili le basi su cui viene affermata l’effettiva consegna di questi oggetti. La condizione dei reclusi e l’assistenza inesistenti dell’ente gestore non sono certo una notizia di attualità, così come i protocolli falsi, chiusi nei cassetti della prefettura da più di un anno.

      https://altreconomia.it/firme-false-e-assistenza-inesistente-per-i-reclusi-la-procura-indaga-su
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    • Il CPR di via Corelli a Milano sotto indagine della Procura

      Indagati gli amministratori di Martinina srl, Consiglia Caruso e Alessandro Forlenza

      La gestione del CPR di via Corelli è ufficialmente sotto inchiesta della Procura di Milano, che venerdì 1 dicembre ha disposto un’ispezione a sorpresa nel centro da parte degli agenti della Guardia di Finanza. Perquisita la documentazione dell’ente gestore all’interno della struttura e acquisite immagini e video delle condizioni del centro.

      Locali sporchi, “bagni in condizioni vergognose”, cibo “maleodorante, avariato, scaduto”. I servizi, pur previsti dal capitolato d’appalto con i quali la società si è aggiudicata ben 4,4 milioni di euro, risultano carenti o del tutto assenti. Mancate cure e visite specialistiche necessarie ai trattenuti “per il rifiuto del gestore di pagare”. Gli stessi dipendenti del centro hanno segnalato agli inquirenti mancati pagamenti del Tfr, dello stipendio e pagamenti tardivi. Visite di idoneità sommarie che hanno dichiarato idonei anche individui “affetti da epilessia, epatite, tumore al cervello, patologie psichiatriche, tossicodipendenti”. Assistenza psicologica inadeguata, assenza di informativa legale ai trattenuti, nessuna attività ricreativa né luoghi di culto.

      È quanto osservato dagli inquirenti e contenuto nel decreto di ispezione della Procura, che ipotizza i reati di frode nelle pubbliche forniture e turbativa d’asta. Tra gli indagati, oltre alla società stessa, Consiglia Caruso, firmataria di tutti i protocolli d’intesa scoperti falsi nell’inchiesta pubblicata da Altraeconomia 1, e il figlio, Alessandro Forlenza, gestore della struttura di via Corelli.

      Una “gestione familiare” (l’attuale amministratrice di via Corelli 28 è infatti Paola Cianciulli, moglie di Forlenza) già al centro delle denunce di giornalisti e associazioni presenti sul territorio, che adesso trovano seguito nelle verifiche della Procura.

      Quanto riportato dalla Procura descrive infatti lo stesso quadro dettagliato nel report-denuncia recentemente pubblicato dall’associazione Naga in collaborazione con la Rete Mai più lager – No ai CPR 2, che ha dedicato ampio spazio alle incongruenze tra capitolato d’appalto e servizi erogati, nonché alle grave mancanze del presidio sanitario. Contestualmente, tra la documentazione perquisita dagli inquirenti nel centro figurerebbero anche le cartelle cliniche dei trattenuti, che di fatto vengono sequestrate dall’ente gestore che rifiuta sistematicamente di consegnarle ai diretti interessati o ai loro rappresentanti legali.

      L’inchiesta della Procura sembra dunque una buona notizia, che ripaga almeno in parte gli sforzi, le energie e delle risorse impegnate in inchieste, impervie azioni di monitoraggio e denuncia. Che accende la speranza che responsabilità e colpe vengano finalmente stabilite e sanzionate, arginando l’impunità dilagante in cui si muovono gli enti gestori con beneplacito delle Prefetture.

      Come espresso dall’avvocato ASGI, Nicola Datena ai giornalisti di Altraeconomia, “Il monitoraggio da parte della società civile si conferma essere uno strumento fondamentale. Se quanto emerso verrà confermato nelle sedi opportune viene da chiedersi chi controlla i controllori”.

      La Prefettura di Milano, preso atto dell’ispezione nel centro da parte della Procura, ha tempestivamente emesso un comunicato per chiarire che “aveva avviato a carico dell’ente gestore un procedimento amministrativo per la contestazione di talune condotte ritenute contrarie agli obblighi contrattuali”. Un tentativo di migliorare la propria posizione di fronte alle gravi irregolarità sulle quali non ha vegliato o ha soprasseduto. Irregolarità che poi si osservano da parte della Prefettura stessa, che, tra le altre, non ha ancora formalizzato alcuna proroga dell’incarico di gestione di Martinina s.r.l., nonostante l’appalto sia formalmente scaduto il 31 di ottobre.

      “Come Rete Mai più Lager – No ai CPR teniamo a ricordare che la situazione di Corelli non è isolata, e che questo tipo di controlli andrebbe fatto a tappeto in tutti i centri che purtroppo sono ancora aperti in Italia. Ma soprattutto, teniamo a ricordare che le responsabilità vanno ricercate a tutti i livelli. E quindi non solo nei disservizi causati dagli inadempimenti dei gestori, ma anche nelle Prefetture che selezionano i candidati vittoriosi dei bandi e dovrebbero monitorarne l’attività, come anche in chi, sapendo e vedendo, tace”, scrive la Rete in un comunicato pubblicato sulle sue pagine social 3.

      Quanto emerge dalle inchieste su via Corelli non può essere ridotto a un semplice caso di malagestione e oltre alle responsabilità penali vanno messe in luce anche quelle politiche. Perché non si tratta solo di illeciti amministrativi nelle gare d’appalto, ma di gravissime e sistematiche violazioni di diritti fondamentali e della dignità delle persone.

      Quanto emerge sulla gestione del CPR di Milano non riflette un caso isolato. É un esempio di quanto accade in tutti i luoghi di detenzione amministrativa in Italia, che oggi si vogliono rafforzare e ampliare sul territorio. In tutti i CPR d’Italia le persone si ammalano, si aggravano, soffrono, si intossicano, subiscono abusi e violenze indicibili. Nei CPR d’Italia le persone muoiono. Morti di Stato e morti invisibilizzate che rimangono senza giustizia.

      I CPR vanno chiusi non perché gestiti male, ma perché sono illegittime istituzioni totali che investono risorse pubbliche nella produzione di marginalizzazione, violenza e oppressione; perché sono incarnazione di una pericolosa sospensione di principi fondamentali, che mette a rischio diritti e libertà di tuttə; perché sono massima espressione di un razzismo istituzionale e di una necropolitica che si accanisce sulle persone straniere razzializzate, martoriandone corpo, spirito e dignità.
      Un sistema di violenza razziale inaccettabile, che va superato e che chiama in causa la responsabilità politica, sociale e storica dell’intera comunità.

      https://www.meltingpot.org/2023/12/il-cpr-di-via-corelli-a-milano-sotto-indagine-della-procura

    • Milano: la vergogna del Cpr di via Corelli. Niente cure e cibo scaduto

      L’ispezione della Guardia di finanza al cpr di via Corelli a Milano nell’ambito dell’indagine per frode in pubblica fornitura. Sotto accusa la società salernitana La Martinina srl che gestisce il centro per conto della Prefettura di Milano e del ministero dell’Interno. L’inchiesta della Procura di Milano parte anche dalle segnalazioni dell’ex senatore De Falco che fece due ispezioni: «Il gestore del centro ha tutto l’interesse a trattenere il maggior numero di persone perché è pagato per quello. Se nessuno controlla può succedere qualsiasi cosa, e infatti succede»

      Ora si accende anche il faro della Procura sul Cpr di via Corelli a Milano. A far scattare l’indagine dei magistrati hanno contribuito le innumerevoli denunce pubbliche fatte in questi anni da attivisti antirazzisti, giornalisti e alcuni politici.

      Nelle carte infatti c’è tutto il corollario di cose dette in questi anni da coloro che si sono occupati dei centri di permanenza per il rimpatrio: trattamenti disumani, cibo scadente, abuso di farmaci, impossibilità di comunicare con l’esterno, assistenza sanitaria negata. I Cpr sono questo e ora su quello di Milano c’è anche la parola dei magistrati.

      NELL’INCHIESTA VIENE citata la visita effettuata dall’associazione Naga e dalla rete Mai Più Lager-No ai Cpr il 2 marzo 2023 e l’ispezione del 29 maggio 2022 dell’ex senatore del M5S Gregorio de Falco.

      L’indagine è dei pm Giovanna Cavalleri e Paolo Storari che ieri mattina hanno mandato i militari della Guardia di finanza a perquisire il centro. L’ipotesi di reato è frode in pubbliche forniture e turbativa d’asta nei confronti degli amministratore della società La Martinina srl che gestisce il Cpr per conto della Prefettura di Milano e del ministero dell’Interno. A ottobre 2022 la società aveva vinto la gara d’appalto da 4,4 milioni di euro per gestire il centro per un anno dopo alcuni passaggi societari sui cui i magistrati vogliono fare chiarezza.

      A settembre 2021 il bando era stato vinto dalla Engel Italia di Salerno, il 10 ottobre 2022 era passato alla Martinina di Pontecagnano, sempre con sede a Salerno. A novembre 2022 la Engel Italia finiva in concordato e si fondeva nella Martinina srl. Le quote delle due società fanno capo alla stessa persona, Paola Cianciulli, moglie del gestore del Cpr milanese Alessandro Forlenza, figlio dell’amministratrice della Martinina srl Consiglia Caruso.

      Dall’indagine emerge che la società vincitrice del bando aveva promesso di tutto per aggiudicarsi l’appalto: dal cibo biologico ai mediatori culturali, dall’assistenza sanitaria di qualità alle attività religiose, sociali e ricreative. E invece nulla di tutto ciò è stato fatto. Nell’assenza di controlli e di occhi indipendenti, in quei luoghi di segregazione può avvenire di tutto. E avviene.

      Da oggi però sappiamo che, almeno qui a Milano, le denunce pubbliche fatte da attivisti, associazioni e da quei pochi parlamentari che ispezionano i centri non sono cadute nel vuoto.

      SCRIVONO I PM che «il presidio sanitario con medici e infermieri era assolutamente inadeguato», mancavano medicinali e visite di idoneità alla vita nel centro per chi aveva «epilessia, epatite, tumore al cervello» e altre gravi patologie. Il supporto psicologico e psichiatrico era «largamente insufficiente e fornito da personale che non conosceva la lingua» degli immigrati trattenuti. Le camere erano «sporche», i bagni «in condizioni vergognose», il cibo «maleodorante, avariato e scaduto».

      La Martinina srl avrebbe anche prodotto documenti «contraffatti». Dagli esponenti della maggioranza di governo, che vorrebbe moltiplicare e esternalizzare oltre i confini nazionali i Cpr, non sono arrivati commenti.

      SI DIRÀ CHE QUESTI gestori di via Corelli sono delle mele marce e si proverà a difendere l’indifendibile. Dal centrosinistra in tanti hanno chiesto la chiusura del centro o la riconversione in struttura d’accoglienza, dal Pd, all’Alleanza Verdi Sinistra, a Rifondazione Comunista, al Patto Civico lombardo.

      «Da tempo chiedo la chiusura del Cpr di via Corelli, come peraltro ha fatto mesi fa il consiglio comunale di Milano» ha commentato il responsabile nazionale del Pd per le politiche migratorie Pierfrancesco Majorino.

      Quando era assessore al welfare a Milano Majorino era riuscito a convincere l’allora governo a convertire il Cpr in centro d’accoglienza. Per gli attivisti e le associazioni che si oppongono ai Cpr il problema è politico e riguarda tutte le strutture aperte in Italia.

      Dice Riccardo Tromba del Naga: «Ci aspettiamo che i magistrati abbiano trovato quello che denunciamo da tempo, in quel centro non c’era nulla di quanto promesso dal gestore. Noi ci opponiamo da sempre al trattenimento dei migranti, dal 1998 quando li istituì un governo di centrosinistra».

      Per la rete Mai Più Lager-No ai Cpr «la situazione di Corelli non è isolata, questo tipo di controlli andrebbero fatti a tappeto in tutti i centri che purtroppo sono ancora aperti in Italia. Le responsabilità vanno ricercate a tutti i livelli, quindi non solo nei disservizi causati dagli inadempimenti dei gestori, ma anche nelle prefetture che selezionano i candidati vittoriosi dei bandi e dovrebbero monitorarne l’attività, come anche in chi, sapendo e vedendo, tace».

      RESPINGE LE ACCUSE la Prefettura di Milano: «Nei mesi scorsi erano emerse criticità gestionali, era quindi stato avviato a carico dell’ente gestore un procedimento amministrativo ed era stata informata la Procura».

      De Falco: «Nel cpr vidi il degrado, colpa della gestione privata e dello Stato che nasconde»

      Gregorio De Falco, quando è stato senatore del M5S nel Cpr di via Corelli ha fatto due ispezioni. L’inchiesta della Procura di Milano parte anche dalle sue segnalazioni, cos’ha pensato questa mattina?

      Finalmente. Perché fin dall’esito della prima ispezione, quella del 5-6 giugno 2021, avendo fatto un esposto alla Procura della Repubblica mi aspettavo che qualcosa succedesse. Poi c’è stata la seconda ispezione, quella del 29 maggio 2022. Era chiara la condizione di assoluto abbandono nella quale vivevano e vivono tutt’ora le persone trattenute all’interno e mi aspettavo che qualcuno avviasse indagini. Oggi quindi dico: finalmente la giustizia si muove.

      Qual era l’obbiettivo delle sue ispezioni?

      Era quello di verificare le condizioni di vita dei trattenuti e quindi se lo Stato, attraverso le sue funzioni amministrative come la Prefettura, esercitasse il trattenimento con criteri minimi di dignità e umanità. Quello che abbiamo visto è stata invece una condizione diffusa di degrado. Le persone vengono trattenute in modo brutale perché senza aver commesso reati sono costrette a stare in un centro equivalente al carcere, ma a differenza dei carcerati a loro non è concesso il diritto di difesa, non possono fare nulla. Spesso le visite mediche sono fatte da operatori pagati dalle società di gestione, non va bene. Il gestore del centro ha tutto l’interesse a trattenere il maggior numero di persone perché è pagato per quello. Se nessuno controlla può succedere qualsiasi cosa, e infatti succede. Dal cibo avariato, all’abuso di farmaci, all’impedimento a comunicare con l’esterno. E lo Stato tiene nascosto tutto ciò.

      Il controllo del lavoro delle società che vincono gli appalti di gestione dei Cpr spetterebbe al ministero dell’Interno e alle prefetture. Avviene?

      Guardi, in quegli anni ho fatto interrogazioni parlamentari all’allora ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e le risposte che ho avuto sono sempre state sconfortanti. Una volta avevo chiesto di entrare nel Cpr di Roma insieme a una mia collaboratrice. All’epoca il prefetto di Roma era Matteo Piantedosi. Bene, mi fu negato il permesso perché Piantedosi aveva fatto fare delle indagini sulla mia collaboratrice e non risultava essere la mia assistente legislativa parlamentare. Ma io avevo chiesto proprio a lei di accompagnarmi perché era una persona che parlava l’arabo e si occupava di immigrazione. E invece no, Piantedosi impiegò il suo tempo per fare indagini sulla mia collaboratrice e negarmi l’ingresso al Cpr.

      Oggi Piantedosi è ministro dell’Interno di un governo che i Cpr li vuole moltiplicare, persino fuori dai confini nazionali…

      Moltiplicare ed esternalizzare. Con l’idea di costruire Cpr fuori dal territorio nazionale vogliono evitare che i parlamentari possano esercitare la loro funzione di controllo su queste strutture. È gravissimo, ma penso che il piano del governo sia fallimentare perché ancora c’è una Costituzione che anche loro devono rispettare. Il livello di civiltà non può tornare indietro.

      https://www.osservatoriorepressione.info/milano-la-vergogna-del-cpr-via-corelli-niente-cure-cibo-sc

    • Condizioni disumane nel Cpr di Milano ma la Prefettura rinnova il contratto a Martinina

      La Procura di Milano ha chiesto il sequestro preventivo d’urgenza della struttura per il concreto rischio che i gravissimi reati ipotizzati continuino. L’ha fatto anche perché l’attuale gestore si era visto prolungare di un altro anno l’incarico dalla prefettura. Alle violazioni dei diritti umani si affianca l’opacità dell’impianto amministrativo

      “Era un vero e proprio lager, neanche i cani sono trattati così nei canili: gli psicofarmaci vengono dati come fossero caramelle, in alti dosaggi, con uno smodato uso di Rivotril. I medici erano razzisti: ‘meglio che muori, torna al tuo Paese’, dicevano. La pulizia? Erano posti pieni di piccioni, nutriti dagli stessi trattenuti e, com’è noto, i piccioni portano malattie. Vi era spazzatura ovunque, le stanze erano lorde, piene di mozziconi, le lenzuola erano sporche, fatte di tessuto non tessuto e non venivano ovviamente cambiate tutti i giorni. Durante l’estate poteva capitare che il sapone, pur presente, non veniva dato ai trattenuti per cui di fatto le docce non venivano fatte”.

      Questo era ed è il Cpr di via Corelli a Milano nelle parole di un lavoratore di Martinina Srl, società che gestisce la struttura dall’ottobre 2022 grazie a “promesse” false di servizi forniti ai reclusi, come anticipato nell’inchiesta di Altreconomia. Non è una dichiarazione isolata: leggere le 164 pagine con cui i sostituti procuratori Giovanna Cavalleri e Paolo Storari, il 13 dicembre 2023, hanno argomentato la richiesta di sequestro preventivo d’urgenza del ramo d’azienda che gestisce il centro, permette di ricostruire nel dettaglio l’orrore del “Corelli”. Sono gli stessi magistrati a scrivere che i reclusi “sono ridotti in condizioni che non pare esagerato definire disumane”.

      “Secondo te questi animali meritano una visita medica? Devono tornare alla giungla”. Lo avrebbe detto un medico del centro rivolgendosi a un operatore che accompagnava in ambulatorio un recluso. Il diritto alla salute sarebbe stato calpestato su più fronti. Per la necessità del gestore di risparmiare, Abdul, nome di fantasia, “non ha potuto effettuare una gastroscopia perché il gestore non pagava il ticket”; Amin, invece, pur avendo il piede fratturato non sarebbe stato visitato “per il rifiuto del gestore di pagare”.

      C’è poi, come abbiamo già raccontato, l’abuso di psicofarmaci. “Al centro ho visto dare quantità da 75 milligrammi a 300 milligrammi per tre volte al giorno di Lyrica, c’era una persona che assumeva circa 300 milligrammi di Lyrica per tre volte al giorno, cioè quasi un grammo, dose sostanzialmente fuori dosaggio”, racconta un’operatrice. “Vi era un uso smodato di Rivotril -racconta un’altra- Alcune volte venivano somministrati ad alcuni pazienti 100 gocce, io sono arrivata a diluire la boccetta con l’acqua per evitare effetti collaterali negativi”. “L’unico modo per gestire le criticità sanitarie era o lo psicofarmaco o la chiamata al 118”, ha dichiarato agli inquirenti Nicola Cocco, medico esperto di detenzione amministrativa.

      Nel centro c’erano persone che non avrebbero potuto esserci: gli inquirenti hanno ricostruito che le visite di idoneità alla comunità ristretta sono “assolutamente carenti”. Lo dimostrano la presenza all’interno del Centro di “ospiti affetti da epilessia, epatite, tumore al cervello, gravi patologie psichiatriche, tossicodipendenti” e, al momento della visita del primo dicembre, la presenza di una persona “cui sarebbe stata asportata la milza nel 2018”. “Vi erano numerosi malati psichiatrici all’interno”, racconta un’altra operatrice.

      Persone che vivevano in luoghi sudici. “Gli ambienti erano sporchi, c’erano anche dei topi all’interno delle diverse aree: le pulizie venivano svolte molto superficialmente, tanto che molti ospiti hanno avuto delle malattie epidermiche dovute alle scarse condizioni igieniche -racconta un dipendente-. Ci sono stati anche episodi di scabbia su più ospiti. Agli ospiti non è stato mai consegnato il kit per l’igiene personale, né saponi, né le lenzuola, dovevano arrangiarsi con quello che trovavano all’interno”. Ancora. “Gli ospiti vestivano sempre con la stessa tuta per l’intera giornata, sia di notte sia di giorno. Una volta a settimana avveniva il lavaggio della tuta e se qualcuno non aveva la possibilità di un cambio, restava seminudo fino a quando non venivano riconsegnata la tuta pulita”.

      E poi il cibo avariato: “Poiché erano avanzate delle vaschette di pasta, erano state offerte a noi dipendenti -si legge in una delle dichiarazioni rilasciate agli inquirenti-. A me sembrava pasta con il gorgonzola, in quanto aveva un odore rancido, poi mi sono accorta invece che era pasta con le zucchine andata a male. Ho cercato di evitare che venisse mangiata dai trattenuti, ma non sono arrivata in tempo, 40 persone hanno avuto un’intossicazione alimentare. Quasi tutti i giorni il cibo era scaduto o avariato”.

      Questo è il quadro, questo è il Cpr di via Corelli. L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha pubblicato la scorsa settimana un dettagliato report sulle lacune nella gestione del Cpr, evidenziando anche l’immobilismo della prefettura di Milano. “Dai verbali trasmessi all’Asgi a seguito di accesso civico generalizzato riguardante i verbali delle visite di controllo effettuate dalla prefettura non emerge tuttavia alcuna verifica sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone trattenute nel Cpr, né alcun rilievo da parte dell’amministrazione riguardo della corretta erogazione dei servizi previsti in offerta tecnica”, scrive l’associazione a margine del report. Un paradosso, a cui se ne aggiunge un altro.

      La richiesta dei Pm di sequestrare la struttura arrivata a sorpresa il 13 dicembre 2023 nasce da un motivo ben preciso. Il 17 novembre 2023 la società Martinina, gestita da Alessandro Forlenza (amministratore di fatto), accusato di frode insieme alla madre Consiglia Caruso (fino al 31 agosto amministratrice unica sostituita poi dalla moglie di Forlenza, Paola Cianciulli), si è vista rinnovare il contratto siglato con la prefettura di Milano per la gestione della struttura per un altro anno. La firma di Caruso sul rinnovo è del primo dicembre, il pomeriggio di quando la Gdf ha fatto l’accesso in struttura. Il “nuovo” contratto, pubblicato sul sito della Prefettura, ricalca quello precedente. Non si menziona nessuno dei problemi di gestione da parte di Martinina.

      Un paradosso. Anche perché, dall’ufficio territoriale del Viminale, in seguito alla perquisizione della Guardia di Finanza al centro del primo dicembre, avevano fatto sapere di aver “già avviato un procedimento amministrativo per la contestazione di condotte ritenute contrarie agli obblighi contrattuali a seguito di alcune criticità gestionali emerse nei mesi scorsi” che si sarebbe concluso con “l’irrogazione della massima sanzione prevista”. Ma il contratto è stato rinnovato, come detto, come se tutto fosse normale.

      A quali criticità potrebbe riferirsi la Prefettura? “Il verbale dell’ispezione del 18 aprile 2023 -si legge però nel report di Asgi- non viene trasmesso sostenendo di non volere compromettere le verifiche tutt’ora in corso, essendo in corso istruttoria in merito alle spese sostenute per il personale”. Una presunta “massima sanzione” quindi che potrebbe essere riferita a questo specifico punto. Anche perché il 13 novembre il contratto è stato rinnovato. Ecco perché i procuratori Storari e Cavalleri hanno sequestrato la struttura. “Gli elementi testimoniano una situazione di frode non soltanto a oggi in atto ma destinata a proseguire nel prossimo futuro -scrivono- tale situazione di illegalità non potrà prevedibilmente che protrarsi almeno per un ulteriore intero anno”.

      C’è poi un’altra stranezza: dopo che l’Asgi ha inviato il report all’Autorità nazionale anticorruzione, il 10 novembre 2023 la prefettura ha pubblicato il contratto del precedente appalto di gestione del Cpr (all’epoca la società gestita di fatto da Forlenza era la Engel Italia). Le associazioni Dianova, BeFree, l’organizzazione “Musica e Teatro” vengono citate tra i firmatari dei protocolli di intesa presentati anche nell’offerta tecnica di Engel Srl formulata il 26 maggio 2021 per l’aggiudicazione del bando precedente a quello in essere.

      La richiesta della Procura è quella, come detto, del sequestro del ramo d’azienda che gestisce la struttura “senza però determinare la cessazione del Cpr, con l’immissione in possesso di un amministratore”. I magistrati non stanno quindi chiedendo la chiusura del Centro -almeno per ora- ma non è chiaro che cosa succederà e come verrà gestita la struttura. Nel frattempo, venerdì 15 dicembre, si è svolta l’udienza di fronte al giudice per le indagini preliminari per decidere se Martinina potrà in futuro partecipare a bandi pubblici.

      Al di là dell’esito giudiziario della vicenda, si ha un’altra prova dell’orrore di quello che succede nel Corelli, come denunciano da anni diverse associazioni, dalla rete Mai più lager – No ai Cpr al Naga. E non solo. “Emerge il fallimento del sistema Cpr, incluso il caso di Milano -spiega Giulia Vicini, avvocata Asgi-. Si tratta di un fallimento che non riguarda solo le ormai croniche e documentate violazioni dei diritti fondamentali e l’inefficienza, ma anche l’opacità dell’impianto burocratico-amministrativo che concede in appalto la vita delle persone a società private”. “Si entra come persona -ha raccontato un’operatrice agli inquirenti-. Poi viene assegnato un tesserino di riconoscimento con un numero, e a quel punto si diventa numeri e si esce da zombie imbottiti di psicofarmaci”.

      https://altreconomia.it/la-disumanita-nel-cpr-di-milano-e-la-prefettura-rinnova-il-contratto-a-

    • Freddo, cibo scadente e nuovi ingressi. Al Cpr di Milano nulla è cambiato

      Da fine dicembre il centro di via Corelli è gestito da un amministratore giudiziario dopo l’inchiesta della Procura sui mancati servizi erogati dalla Martinina Srl. Un mese dopo manca un direttore e la condizione dei reclusi resta precaria. I nuovi ingressi, inoltre, non si fermano. Un appello chiede ai sanitari coinvolti di prendere posizione

      Riscaldamento rotto, mancanza di coperte, lenzuola di carta velina, cibo ancora scadente: il Cpr di Milano sembra essere lo stesso di sempre a un mese dalla nomina dell’amministratore giudiziario subentrato alla Martinina Srl, l’ente gestore sotto indagine della Procura per aver “promesso” servizi non erogati. “Ho constatato in prima persona che la società resta di fatto ancora alla guida della struttura -spiega Paolo Romano, consigliere regionale del Partito democratico che ha fatto visita al ‘Corelli’ il 17 gennaio- nonostante le accuse relative alla scarsa qualità del cibo, alla mancanza dei servizi psicologici e delle visite mediche. L’unica soluzione a questo punto è la chiusura”.

      Secondo diverse testimonianze raccolte da Altreconomia la situazione sarebbe ancora peggiore di prima. Gli stessi funzionari di polizia non saprebbero a chi rivolgersi quando ci sono problematiche nella struttura anche perché, fino al 17 gennaio, non era ancora stato nominato un direttore. I dipendenti operativi nella struttura sarebbero invece gli stessi. Inoltre, Martinina Srl non avrebbe liquidità per garantire i servizi basilari per le persone ristrette.

      Questa situazione non fermerebbe però i nuovi ingressi: anche perché, per le “regole di appalto”, al di sotto di un certo numero di ospiti, la gestione del centro è in perdita. Un settore della struttura rimane chiuso e di conseguenza la capienza massima è ridotta: una gestione che non vada in perdita taglierà là dove è possibile farlo. “L’affidamento del Cpr al ribasso a soggetti privati fa sì che si perdano anche i pochi servizi che dovrebbero essere garantiti e si aggravino così le violazioni dei diritti umani”, riprende il consigliere Romano.

      Il 29 dicembre 2023 la prefettura di Milano vista “l’assoluta urgenza ed ineluttabilità dell’intervento connesso alle esigenza di sicurezza ed igiene del Centro di accoglienza” ha affidato alla Sfhera Srl, azienda di Milano, lavori per più di 30mila euro destinati a “servizi di manutenzione ordinaria e obbligatoria della centrale termica, degli impianti di raffrescamento e dei presidi antincendio” per garantire “l’efficienza della struttura”. Un’urgenza tale che i lavori vengono affidati “anche nelle more dell’accreditamento dei fondi”. Ma le persone sarebbero ancora al freddo.

      Nel frattempo, l’azienda guidata dall’imprenditore Alessandro Forlenza ha fatto ricorso a inizio gennaio 2024 contro la decisione del Giudice per le indagini preliminari di metà dicembre 2023 di commissariare il Cpr, dandolo in gestione al commercialista Giovanni Falconieri e impedire così alla “sua” Martinina Srl di partecipare a bandi pubblici per un anno. Un provvedimento che si è reso necessario perché, nonostante le indagini e le gravi accuse rivolte alla “gestione” del centro, l’azienda si era vista rinnovare di un anno il contratto da parte della prefettura di Milano il 17 novembre 2023. A quel punto i pubblici ministeri titolari dell’indagine, Paolo Storari e Giovanna Cavalleri, avevano chiesto il sequestro preventivo d’urgenza, poi accolto dal gip Livio Cristofano, perché “gli elementi testimoniano una situazione di frode non soltanto a oggi in atto ma destinata a proseguire nel prossimo futuro -scrivevano- tale situazione di illegalità non potrà prevedibilmente che protrarsi almeno per un ulteriore intero anno”.

      Tra il 2021 e il 2022 in cinque mesi la spesa in psicofarmaci è superiore al 60% del totale, di cui oltre la metà ha riguardato il Rivotril (196 scatole)

      Il Cpr nelle parole delle persone sentite dalla Procura di Milano è stato descritto come “un vero e proprio lager” in cui “gli psicofarmaci vengono dati “come fossero caramelle, in alti dosaggi, con uno smodato uso di Rivotril”, come già documentato da Altreconomia nell’aprile 2023. E proprio il tema della salute resta un elemento centrale. Anche per questo motivo, a metà gennaio 2024 la Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm), “Mai più lager – No ai Cpr” e l’Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione (Asgi) hanno rivolto a tutto il personale sanitario un appello per una “presa di coscienza sulle condizioni e sui rischi per la salute delle persone migranti sottoposte a detenzione amministrativa”. Soprattutto per quanto riguarda la valutazione dell’idoneità a fare ingresso nel centro: un “compito” che spetterebbe ai medici del Servizio sanitario nazionale, con diversi profili problematici.

      Da un lato, si chiede ai medici “di attestare in pochi minuti lo stato di salute di persone di cui non conoscono la vita né il percorso migratorio, per l’invio in luoghi che non conoscono, in cui la salute è gestita da enti privati e che molteplici fonti attendibili hanno ormai certificato essere patogeni e rischiosi per la salute delle persone che vi vengono detenute”. Ma non solo. Entra in gioco anche il rispetto del codice di deontologia medica rispetto su diversi profili, tra cui l’obbligo per il medico di “protezione del soggetto vulnerabile” quando ritiene che l’ambiente in cui vive non sia idoneo a proteggere la sua salute, dignità e qualità di vita “come di fatto si può configurare il contesto dei Cpr”.

      “I Cpr rinchiudono senza diritti e senza motivazioni persone che non hanno commesso un reato con il solo risultato di togliere loro dignità e renderle vere e proprie bombe sociali. E l’attuale situazione di Milano è insostenibile” – Paolo Romano

      “Secondo te questi animali meritano una visita medica? Devono tornare alla giungla”. Lo avrebbe detto un medico del Cpr di Milano rivolgendosi a un operatore che accompagnava in ambulatorio un recluso. Il diritto alla salute sarebbe stato calpestato su più fronti. Per la necessità del gestore di risparmiare -sempre secondo le ricostruzioni delle persone sentite dalla Procura di Milano- un recluso “non ha potuto effettuare una gastroscopia perché il gestore non pagava il ticket”; un altro, invece, pur avendo il piede fratturato non sarebbe stato visitato “per il rifiuto del gestore di pagare”. Un contesto da tenere conto nel momento in cui si dà l’idoneità alla persona per far ingresso nel Cpr.

      Nel caso di Milano, come denunciato dalla rete “Mai più lager – No ai Cpr” a inizio gennaio di quest’anno, le visite sarebbero svolte da due medici che nel 2021 “comparivano non solo a libro paga di Ats ma anche operanti in questura e soprattutto collaboratori a partita Iva del gestore del Cpr”. Un altro cortocircuito. E con delibera del 29 dicembre 2023, denuncia sempre la rete di attivisti e attiviste, l’Ats di Milano ha nuovamente incaricato i due dottori fino a febbraio con un compenso di 30 euro all’ora. “Se redatta come superficiale nulla osta potrebbe essere contestata e il medico che l’ha firmato coinvolto in sede giudiziaria”, scrivono le organizzazioni nell’appello rivolto agli operatori sanitari. “In coscienza e con cognizione di causa -sottolineano- tenendo presenti i principi fondamentali dell’ordinamento e della deontologia professionale medica, nessuno può essere considerato idoneo ad esservi rinchiuso”. Invece al “Corelli” di Milano si continua ad entrare. Come se niente fosse.

      Il 29 dicembre 2023 la Prefettura di Milano ha saldato un pagamento di 170mila euro alla Martinina Srl che comprende anche un “acconto per l’amministratore giudiziario”. Non è però specificato a quanti e quali mesi di gestione si riferiscono e quindi è impossibile, ricostruire a quanto ammonta la “massima sanzione” che l’ufficio milanese del Viminale, a inizio dicembre, ha dichiarato di aver applicato per la “malagestione” del Cpr. “Va chiuso, lo ribadisco -conclude il consigliere Romano-. I Cpr rinchiudono senza diritti e senza motivazioni persone che non hanno commesso un reato con il solo risultato di togliere loro dignità e renderle vere e proprie bombe sociali. E l’attuale situazione di Milano è insostenibile”.

      https://altreconomia.it/freddo-cibo-scadente-e-nuovi-ingressi-al-cpr-di-milano-nulla-e-cambiato

    • Milano: Ancora violenze poliziesche nel cpr di via Corelli

      Ancora violenze di polizia contro i migranti reclusi nel Cpr di via Corelli, il centro permanenza e rimpatri finito sotto sequestro dopo un’inchiesta della procura di Milano che aveva certificato le condizioni disumane dei migranti all’interno. Nella serata di sabato una protesta contro le condizioni di reclusione, che nonostante il commissariamento avviato dopo l’azione della Procura non sono migliorate, ha preso vita nel cortile del centro, dove due persone si sono spogliate.

      Una volta rientrate nelle stanze è giunta la rappresaglia da parte di alcuni agenti della guardia di finanza che in assetto antisommossa, hanno punito a suon di manganellate i due migranti protagonisti della protesta che sono poi stati portati in infermeria: “uno con una gamba visibilmente rotta e l’altro, il più giovane, quasi esanime , in braccio”, afferma pubblicando un video la rete “Mai più lager – No ai Cpr” (https://www.facebook.com/watch/?v=1114485583309953). I due sono stati anche denunciati per resistenza a pubblico ufficiale.

      https://www.osservatoriorepressione.info/milano-ancora-violenze-poliziesche-nel-cpr-via-corelli

  • Réhumaniser les personnes décédées en Méditerranée

    Au-delà d’un bilan chiffré, les personnes décédées sont des personnes, avec une histoire et des proches. Dans un contexte de guerre comme un contexte migratoire, lutter contre la #déshumanisation permet à plusieurs acteurs de faire passer des messages politiques.

    Il y a d’abord ces noms, écrits au stylo sur les bras par des enfants de Gaza et dont les images ont circulé sur les réseaux sociaux ces derniers jours. Un prénom, une date de naissance, pour être identifié, pour dire qu’on a existé. Alors que dans la nuit de vendredi 27 à samedi 28 octobre la guerre en Israël et en Palestine est entrée dans une nouvelle phase selon les termes de l’état-major israélien, les Palestiniens bloqués au nord de Gaza subissent des bombardements intensifs. Le territoire est d’ailleurs aujourd’hui décrit comme un “champ de bataille” par l’armée israélienne.

    Jour après jour, les bilans sont diffusés. Le Hamas, qui a pris le pouvoir sur #Gaza depuis 2007, publie le décompte quotidien des victimes du conflit côté palestinien. Des chiffres repris dans les médias qui donnent l’impression d’une masse d’êtres humains non-identifiables ; plus de 8 000 personnes décédées à ce jour, dont 40% sont des enfants selon l’ONG Save the Children qui publiait dimanche 29 octobre un communiqué pour alerter sur cette réalité : 3 257 enfants sont morts depuis le début de l’offensive israélienne en réponse aux attaques meurtrières du Hamas contre des civils israéliens le 7 octobre. En trois semaines, le nombre d’enfants tués a dépassé le bilan de l’année 2019.

    A ce jour, l’OMS indique également qu’un millier de corps non identifiés seraient ensevelis sous les décombres à Gaza. Derrière les statistiques, la peur d’être oublié, que son corps disparaisse sans identité, comme le rappelle les mots de la journaliste palestinienne Plestia Alaqad qui rend compte du conflit sur son compte Instagram : “je perds mes mots à ce stade… à chaque minute, Gaza pourrait être effacée et personne ne saurait rien… je pourrais être tuée à chaque instant, et le plus effrayant est que peut-être, personne n’arrivera à retrouver mon corps mort, et il n’y aura peut être plus rien de moi-même à enterrer”, a-t-elle écrit le 28 octobre alors qu’Israël annonçait lancer la seconde phase de son offensive sur Gaza et intensifiait les bombardements sur l’enclave.

    Ces chiffres égrenés au fil des semaines rappellent d’autres drames, d’autres disparitions silencieuses et invisibles. En Palestine, comme en haute mer depuis le début des années 2010, invisibiliser, nier la présence des corps participe au processus de déshumanisation. Il vient illustrer la hiérarchie des décès entre ceux que l’on montre, que l’on médiatise et que l’on prend en compte et ceux que certains préfèrent laisser dans une masse incertaine. Dans les différents cas, il y a les dominés et les dominants. Un processus politique qui n’est pas inéluctable et qu’il est possible de dénoncer et de dépasser.

    Au-delà des bilans qui paraissent importants à diffuser pour montrer l’ampleur du drame qui se joue à Gaza, certains souhaitent donc aujourd’hui réhumaniser les victimes, mettre un visage, un parcours, une histoire pour ne pas oublier que sous les bombes se sont des humains qui disparaissent : “On peut continuer à rafraîchir le bilan du nombre de morts à Gaza de manière froide et désintéressée ou bien on peut considérer que ces femmes, ces hommes, ont des visages, des noms, des histoires”, explique le journaliste du Parisien Merwane Mehadji sur le réseau social X (anciennement Twitter). Sur son compte, il publie des photos et des courtes biographies de certains des invisibles décédés à Gaza : l’autrice Heba Abu Nada, 32 ans, Ibraheem Lafi, photoreporter, 21 ans, Areej, dentiste, 25 ans qui devait se marier dans quelques jours.

    Sur le site de l’ONG Visualizing Palestine c’est la campagne We Had Dreams qui met des mots sur les peurs et les aspirations des personnes prises au piège dans Gaza bombardée :

    “Si je meurs, rappelez-vous que nous étions des individus, des humains, que nous avions des noms, des rêves, des projets et que notre seul défaut était d’être classé comme inférieurs », Belal Aldbabbour.

    Ces initiatives posent un des enjeux actuels du conflit : mettre un visage c’est humaniser les #victimes alors que dans de nombreuses déclarations de responsables politiques en Europe et aux États-Unis, il est courant de parler uniquement du Hamas comme cible des Israéliens. Hillary Clinton dit ainsi “ceux qui demandent un cessez-le-feu ne comprennent pas qui est le Hamas”. Cela revient alors à annuler la présence de civils à Gaza ou à faire des habitants des terroristes.

    https://twitter.com/CBSEveningNews/status/1718681711133794405

    Du côté des autorités israéliennes, certaines personnalités politiques nient même l’humanité des habitants de Gaza : « J’ai ordonné un siège complet de la bande de Gaza. Il n’y aura pas d’électricité, pas de nourriture, pas de carburant. Tout est fermé. Nous combattons des animaux humains et nous agissons en conséquence », déclarait ainsi le ministre XX le XX octobre.

    “Nous sommes en présence d’un désir d’éradiquer les Palestinien.ne.s, si ce n’est de la terre, de la vie politique terrestre”, analyse la chercheuse Samera Esmeir au regard de cette déclaration. Dans un article publié en anglais sur le site du média égyptien Mada Masr, elle explique : “ Nous sommes en présence d’une entreprise coloniale qui tente de détruire ce qui a échappé à la destruction pendant et après les cycles précédents de conquête et de dévastation – cycles qui ont commencé en 1948. Nous sommes en présence d’une volonté coloniale d’effacer l’autochtone.” Remontant l’histoire de la création de l’État d’Israël, la professeure associée du département de rhétorique de l’université de Berkeley en Grande-Bretagne développe pour démontrer la construction au fil des années d’une dénégation d’accorder un statut civil aux Palestiniens : “La société palestinienne a été détruite en 1948. Les territoires occupés en 1967 ont été délibérément fragmentés, déconnectés et séparés par des colonies. Il n’y a pas de forme d’État, d’armée permanente, d’étendue de territoire ou de position civile. Au lieu de cela, il y a de nombreux camps de réfugiés, des familles dépossédées et des sujets en lutte. Tout ce qui pourrait favoriser la normalité civile est déjà visé par l’occupation israélienne, qu’il s’agisse de maisons, d’écoles, d’ONG, de centres culturels ou d’universités. Comparée à l’autre côté de la ligne verte, la vie en Cisjordanie et dans la bande de Gaza, où se concentre la violence israélienne à l’encontre des Palestinien.ne.s, n’autorise aucune normalité civile”.

    Selon les statistiques de l’ONG israélienne pour la défense des droits humains B’Tselem, plus de 10 500 Palestiniens ont été tués par les forces israéliennes depuis le début de la 2nde Intifada en 2000. L’ONG a entrepris un travail de vérification de chaque décès, que la personne soit palestinienne, israélienne ou étrangère : “B’Tselem examine les circonstances de chaque décès, notamment en recensant les témoignages oculaires lorsque cela est possible et en rassemblant des documents officiels (copies de pièces d’identité, actes de décès et dossiers médicaux), des photographies et des séquences vidéo”, peut-on lire sur le site de l’organisation. Un travail de recensement et d’identification qui répond également à l’enjeu de garder traces des victimes du conflit au fil des années. Une position que l’organisation défend depuis sa création : “Depuis la création de B’Tselem en 1989, nous documentons, recherchons et publions des statistiques, des témoignages, des séquences vidéo, des prises de position et des rapports sur les violations des droits humains commises par Israël dans les territoires occupés.”, peut-on lire sur le site internet de l’ONG. Une position énoncée dans le nom même de l’association puisque B’Tselem signifie en Hébreu “à l’image de” selon un verset de la Genèse (premier livre de la Torah juive et de la Bible chrétienne) qui considère : “Le nom exprime l’attendu moral universel et juif de respecter et de faire respecter les droits humains de tous”.

    Un enjeu qui rappelle celui de la disparition de personnes migrantes anonymes en Méditerranée. Des corps avalés par la mer que la médecin légiste italienne #Cristina_Cattaneo et son équipe tentent, elles-aussi, d’identifier. Son livre Naufragés sans visage a été traduit en français en 2019. Une manière de lutter contre la figure du migrant qui devient parfois une entité abstraite, notamment dans les discours politiques des extrêmes en Europe. “Lorsque l’on identifie ces gens, il est aussi plus difficile de détourner les yeux de la situation”, expliquait-elle au micro de France Culture. Un travail qu’elle réalise au sein de l’université de Milan depuis 1995 au début à propos des inconnus de la rue décédés. En 2013, les inconnus de la migration prennent de plus en plus de place dans son travail du fait de la catastrophe grandissante en haute mer.

    Comme à Gaza, les personnes migrantes sont conscientes de la possibilité de disparaître sans laisser de #traces. Dans son travail à la frontière entre l’Espagne et le Maroc, l’anthropologue #Carolina_Kobelinsky relève : « Toutes les personnes rencontrées parlent de la mort, des morts laissés en route, des stratégies pour y faire face. De l’éventualité de sa propre mort. La mort est présente dans les discours quotidiennement, autant que la musique, le foot,… ». Elle décide donc d’intégrer à son terrain de recherche l’omniprésence de la mort comme potentialité dans les #récits des personnes qui traversent la frontière. A la frontière entre le Maroc et l’Espagne au niveau de Melilla et Nador, il est aussi question de la disparition des corps à la « barrière », notamment lors des confrontations avec la gendarmerie marocaine ou la guardia civile espagnole.

    « Ces #corps disparaissent : enterrés dans des #fosses_communes, avalés par la terre, toutes sortes de théories circulent parmi les migrants. Cela renforce l’idée qu’il s’agit non seulement d’une #peur de la mort mais encore plus celle de la #disparition_totale. Ils sont partis comme anonymes socialement, et ils atteignent l’#anonymat de la mort avec la #volatilisation du corps. »

    « Le plus important pour les jeunes rencontrés est de mettre en place une #stratégie pour faire en sorte que les familles reçoivent la nouvelle du décès. Interviennent alors de véritables « #pactes », où l’on apprend le numéro de téléphone par cœur de la famille de l’autre pour faire passer ce message : « J’ai fait tout ce que j’ai pu pour avoir une vie meilleure », jusqu’à la mort.

    https://www.1538mediterranee.com/rehumaniser-les-personnes-decedees-en-mediterranee
    #décès #humanisation #réhumanisation #migrations #guerre #mort #morts #identification

  • En 2022, 624 SDF sont morts en France, un « drame sociétal scandaleux »
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/10/27/en-2022-624-sdf-sont-morts-un-drame-societal-scandaleux_6196795_3224.html

    Le nombre de sans domicile fixe en France a doublé en dix ans, avec plus de 330 000 personnes selon le dernier décompte de la Fondation Abbé Pierre en 2022. Les femmes, familles et mineurs sont de plus en plus nombreux à la rue.

    31/12/2017 les vœux du président au petit jésus

    « Je veux que nous puissions apporter un toit à toutes celles et ceux qui sont aujourd’hui sans-abri. Le gouvernement s’est beaucoup engagé dans cette direction ces derniers mois et a beaucoup amélioré les choses, mais il y a encore des situations qui ne sont pas acceptables, a déclaré Emmanuel #Macron à la télévision. Nous continuerons l’effort indispensable pour réussir (...) »

  • « Contrôler » les migrations : entre laisser-mourir et permis de tuer

    À l’heure où le Conseil européen se réunit à Bruxelles, les 26 et 27 octobre 2023, pour évoquer, dans un monde en plein bouleversement, le renforcement des frontières européennes, le réseau Migreurop rappelle le prix exorbitant de cette #surenchère_sécuritaire et la #responsabilité accablante des États européens dans la #mise_en_danger constante des personnes en migration, qui tentent d’exercer leur #droit_à_la_mobilité au prix de leur vie.

    Depuis plus de 30 ans, la lutte contre l’immigration dite « clandestine » est la priorité des États européens, qui ont adopté diverses stratégies visant au fil des années à renforcer les #contrôles_migratoires et la sécuritisation des frontières des pays de destination, de transit et de départ. Quoi qu’il en coûte. Y compris au prix de vies humaines, les #morts_en_migration étant perçues par les autorités comme une conséquence dommageable de cette même « lutte ».

    Comme le dénonçait déjà Migreurop en 2009, « nombreuses sont les #frontières où tombent des dizaines de migrants, parfois tués par les #forces_de_l’ordre : des soldats égyptiens tirant à vue sur des Soudanais et des Érythréens à la frontière israélienne ; des soldats turcs abattant des Iraniens et des Afghans ; la marine marocaine provoquant sur les côtes d’Al Hoceima le naufrage de 36 personnes en partance pour l’Espagne (…) en perforant leur zodiac à coups de couteaux ; des policiers français à Mayotte faisant échouer volontairement des embarcations (Kwassa-kwassa) pour arrêter des migrants, engendrant ainsi la noyade de plusieurs d’entre eux. En Algérie, au Maroc, des migrants africains sont refoulés et abandonnés dans le désert, parfois miné, sans aucun moyen de subsistance » [1].

    Si l’objectif sécuritaire de #surveillance et #militarisation_des_frontières européennes reste le même, la stratégie mise en œuvre par les États européens pour ne pas répondre à l’impératif d’accueil des populations exilées a évolué au fil des années. Depuis des décennies, les « drames » se répètent sur le parcours migratoire. Ils ne relèvent en aucun cas de la #fatalité, de l’#irresponsabilité des exilé·e·s (ou de leurs proches [2]), du climat ou de l’environnement, de l’état de la mer, ou même d’abus de faiblesse de quelconques trafiquants, mais bien d’une politique étatique hostile aux personnes exilées, développée en toute conscience à l’échelle européenne, se traduisant par des législations et des pratiques attentatoires aux droits et mortifères : systématisation à l’échelle européenne des #refoulements aux portes de l’Europe [3], déploiement de dispositifs « anti-migrants » le long des frontières et littoraux (murs et clôtures [4], canons sonores [5], barrages flottants [6], barbelés à lames de rasoir [7], …), conditionnement de l’aide au développement à la lutte contre les migrations [8], #criminalisation du sauvetage civil [9]... Une stratégie qualifiée, en référence au concept créé par Achille Mbembe [10], de « #nécro-politique » lors de la sentence rendue par le Tribunal Permanent des Peuples en France, en 2018 [11].

    Déjà en août 2017, le rapport relatif à « la mort illégale de réfugiés et de migrants » de la rapporteuse spéciale du Conseil des droits de l’Homme onusien sur les exécutions extrajudiciaires, sommaires ou arbitraires, mettait en évidence « de multiples manquements des États en matière de respect et de protection du #droit_à_la_vie des réfugiés et des migrants, tels que des homicides illégaux, y compris par l’emploi excessif de la force et du fait de politiques et pratiques de #dissuasion aggravant le #danger_de_mort » [12].

    Mettant en place une véritable stratégie du #laisser-mourir, les États européens ont favorisé l’errance en mer en interdisant les débarquements des bateaux en détresse (Italie 2018 [13]), ont retiré de la mer Méditerranée les patrouilles navales au bénéfice d’une surveillance aérienne (2019 [14]), signe du renoncement au secours et au sauvetage en mer, ou en se considérant subitement « ports non-sûrs » (Italie et Malte 2020 [15]). Migreurop a également pointé du doigt la responsabilité directe des autorités et/ou des forces de l’ordre coupables d’exactions à l’égard des exilé·e·s (Balkans 2021 [16]), ou encore leur franche complicité (UE/Libye 2019 [17]).

    Le naufrage d’au moins 27 personnes dans la Manche le 24 novembre 2021 [18], fruit de la non-assistance à personnes en danger des deux côtés de la frontière franco-britannique, est une illustration de cette politique de dissuasion et du laisser-mourir. Le #naufrage de #Pylos, le 14 juin 2023, en mer Ionienne [19], est quant à lui un exemple d’action directe ayant provoqué la mort de personnes exilées. La manœuvre tardive (accrocher une corde puis tirer le bateau à grande vitesse) des garde-côtes grecs pour « remorquer » le chalutier sur lequel se trouvaient environ 700 exilé·e·s parti·e·s de Libye pour atteindre les côtes européennes, a probablement causé les remous qui ont fait chavirer le bateau en détresse et provoqué la noyade d’au moins 80 personnes, la mer ayant englouti les centaines de passager·e·s disparu·e·s.

    Le rapport des Nations unies de 2017 [20] pointe également les conséquences de l’#externalisation des politiques migratoires européennes et indique que « les autres violations du droit à la vie résultent de politiques d’extraterritorialité revenant à fournir aide et assistance à la privation arbitraire de la vie, de l’incapacité à empêcher les morts évitables et prévisibles et du faible nombre d’enquêtes sur ces morts illégales ». Le massacre du 24 juin 2022 aux frontières de Nador/Melilla [21], ayant coûté la vie à au moins 23 exilés en partance pour l’Espagne depuis le Maroc, désignés comme des « assaillants », 17 ans après le premier massacre documenté aux portes de Ceuta et Melilla [22], est un clair exemple de cette externalisation pernicieuse ayant entraîné la mort de civils. Tout comme les exactions subies en toute impunité ces derniers mois par les exilé·e·s Noir·e·s en Tunisie, en pleine dérive autoritaire, fruits du #racisme_structurel et du #marchandage européen pour le #contrôle_des_frontières [23].

    Nous assistons ainsi ces dernières années à un processus social et juridique de légitimation de législations et pratiques étatiques illégales visant à bloquer les mouvements migratoires, coûte que coûte, ayant pour conséquence l’abaissement des standards en matière de respect des droits. Un effritement considérable du droit d’asile, une légitimation confondante des refoulements – « légalisés » par l’Espagne (2015 [24]), la Pologne (2021 [25]) et la Lituanie (2023 [26]) –, une violation constante de l’obligation de secours en mer, et enfin, un permis de tuer rendu possible par la progressive #déshumanisation des personne exilées racisées, criminalisées pour ce qu’elles sont et représentent [27].

    Les frontières sont assassines [28] mais les États tuent également, en toute #impunité. Ces dernières années, il est manifeste que les acteurs du contrôle migratoire oscillent entre #inaction et action coupables, entre laisser-mourir (« let them drown, this is a good deterrence » [29]) et permis de tuer donné aux acteurs du contrôle frontalier, au nom de la guerre aux migrant·e·s, ces dernier·e·s étant érigé·e·s en menace(s) dont il faudrait se protéger.

    Les arguments avancés de longue date par les autorités nationales et européennes pour se dédouaner de ces si nombreux décès en migration sont toujours les mêmes : la défense d’une frontière, d’un territoire ou de l’ordre public. Les #décès survenus sur le parcours migratoire ne seraient ainsi que des « dommages collatéraux » d’une #stratégie_de_dissuasion dans laquelle la #violence, en tant que moyen corrélé à l’objectif de non-accueil et de mise à distance, est érigée en norme. L’agence européenne #Frontex contribue par sa mission de surveillance des frontières européennes à la mise en danger des personnes exilées [30]. Elle est une composante sécuritaire essentielle de cette #politique_migratoire violente et impunie [31], et de cette stratégie d’« irresponsabilité organisée » de l’Europe [32].

    Dans cet #apartheid_des_mobilités [33], où la hiérarchisation des droits au nom de la protection des frontières européennes est la règle, les décès des personnes exilées constituent des #risques assumés de part et d’autre, la responsabilité de ces morts étant transférée aux premier·e·s concerné·e·s et leurs proches, coupables d’avoir voulu braver l’interdiction de se déplacer, d’avoir exercé leur droit à la mobilité… A leurs risques et périls.

    Au fond, le recul que nous donne ces dernières décennies permet de mettre en lumière que ces décès en migration, passés de « évitables » à « tolérables », puis à « nécessaires » au nom de la protection des frontières européennes, ne sont pas des #cas_isolés, mais bien la conséquence logique de l’extraordinaire latitude donnée aux acteurs du contrôle frontalier au nom de la guerre aux migrant·e·s 2.0. Une dérive qui se banalise dans une #indifférence sidérante, et qui reste impunie à ce jour...

    Le réseau Migreurop continuera d’œuvrer en faveur de la liberté de circulation et d’installation [34] de toutes et tous, seule alternative permettant d’échapper à cette logique criminelle, documentée par nos organisations depuis bien trop longtemps.

    https://migreurop.org/article3211.html
    #nécropolitique #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #guerre_aux_migrants

  • C’était 2019...

    Asphyxiés dans un camion pour l’Angleterre

    En 2019, 39 Vietnamiens meurent dans une remorque. Une conséquence de l’environnement hostile aux exilés voulu par le gouvernement britannique.

    JJe meurs, je ne peux pas respirer. » Ce sont les derniers mots que Pham Thi Tra My a envoyés par SMS à sa mère, dans la nuit du 22 au 23 octobre 2019. La jeune femme, âgée de 26 ans, avait quitté le Viêtnam quelques semaines plus tôt et espérait gagner l’Angleterre. Pham Thi Tra My a été retrouvée sans vie à l’arrière d’un camion frigorifique, dans une zone industrielle de la ville de Grays, à vingt kilomètres à l’est de Londres. Elle n’était pas seule : trente-huit compatriotes, trente-et-un hommes et sept femmes, sont morts par asphyxie avec elle, dans d’atroces conditions. Tous avaient passé plus de dix heures dans cette remorque hermétique, dont le système de réfrigération avait été coupé. Ils font partie des 376 exilés disparus à la frontière franco-britannique entre 1999 et le 15 août 2023, dont Les Jours racontent les vies et les morts dans cette série (lire l’épisode 1, « Voir Calais et mourir, 367 fois ») et dans le « Mémorial de Calais », un outil interactif inédit (à retrouver en bas de page).

    Pham Thi Tra My était originaire de Nghen, une ville de la province de Ha Tinh, dans le centre du Viêtnam. « La majorité des trente-neuf victimes de cette traversée mortelle sont originaires de régions qui sont non seulement les moins développées du pays, mais aussi les plus vulnérables au changement climatique actuel », souligne Danielle Tan, docteure en science politique et coautrice d’une enquête de terrain auprès des exilés vietnamiens bloqués à la frontière franco-britannique. « À la différence des boat people des années 1970, qui venaient principalement du Sud du Viêtnam, les exilés actuels sont pour la plupart originaires du centre et du Nord du pays », souligne-t-elle. Des régions qui, par le passé, ont fourni la plupart des travailleurs indochinois réquisitionnés pendant la Seconde Guerre mondiale. « Ce ne sont toutefois pas les habitants les plus pauvres de ces régions qui décident de partir, précise la chercheuse indépendante. Car ce voyage implique d’importantes ressources, notamment financières. » Pham Thi Tra My a ainsi payé au moins 20 000 euros pour rejoindre le Royaume-Uni. « La plupart du temps, ce sont les proches qui se cotisent pour financer le voyage d’un jeune de la famille, une dette qui devra ensuite être remboursée. » Pham Thi Tra My quitte Nghen en bus le 3 octobre 2019, direction Hanoï, la capitale, puis se rend en Chine en voiture, où elle reste dix jours avant de s’envoler pour Paris, grâce à un visa de touriste fourni par un passeur.

    Les réseaux de passeurs ressemblent au secteur de la logistique avec ses multiples acteurs dont l’objectif est de faire circuler des marchandises

    Parmi les autres victimes originaires de la province de Ha Tinh se trouvent deux cousins, Hoang Van Tiep, 18 ans, et Nguyen Van Hung, 33 ans. Leur périple vers l’Europe a commencé deux ans plus tôt. En 2017, le premier rallie la France via un passage par la Russie. Le second suit le même itinéraire un an plus tard. « De nombreux Vietnamiens souhaitant aller en Europe font étape en Russie en voyageant avec un simple visa de touriste », explique Mimi Vu, experte indépendante sur la traite des êtres humains, basée à Hô Chi Minh-Ville. « Mais les choses ont changé avec l’épidémie de Covid et surtout depuis l’agression russe en Ukraine. Désormais, rejoindre l’Europe est devenu plus compliqué. » Entre le Viêtnam et les anciens pays du bloc communiste, des liens ont perduré malgré la chute du mur. « Pendant la guerre froide, des étudiants vietnamiens sont partis se former en Union soviétique, en Pologne, en Hongrie ou bien en Allemagne de l’Est. C’est de cette manière que s’est établie la diaspora vietnamienne dans cette région du monde », développe l’analyste. Aujourd’hui encore, de nombreux pays d’Europe centrale et de l’Est mettent en œuvre des programmes d’emplois saisonniers avec des pays d’Asie du Sud-Est. « L’Europe centrale et orientale manque sérieusement de main-d’œuvre dans les secteurs de l’industrie, du bâtiment ou encore de l’agriculture », constate Mimi Vu, avant de souligner que « deux victimes de la traversée mortelle d’octobre 2019 étaient arrivées en Europe avec des visas de travail temporaire ».

    Le recours aux passeurs permet ensuite de traverser l’Europe d’est en ouest. « Décrire ces réseaux comme étant organisés, avec au sommet de la pyramide un chef et en bas une peuplade de migrants en attente d’être transbahutés, est une erreur », explique cependant Danielle Tan. « Le passeur, c’est ton oncle, c’est ton cousin, c’est surtout la personne qui a les contacts pour continuer le trajet. Au final, c’est un peu de la débrouille. » Mimi Vu décrit, elle, une organisation qui ressemble « au vaste secteur de la logistique », avec ses multiples acteurs dont l’objectif est de faire circuler des marchandises. « Le container que vous voulez envoyer du Viêtnam jusqu’en Europe passe d’une entreprise à une autre, sans qu’elles ne se connaissent toutes et sans que vous ne les connaissiez toutes. Là, c’est pareil, mais avec des êtres humains. »

    Les conditions de travail déplorables, voire proches de l’exploitation, et l’espoir de gagner mieux sa vie ailleurs ont probablement joué dans le choix de continuer la route vers l’Angleterre.
    Mimi Vu, experte indépendante sur la traite des êtres humains

    En France, Hoang Van Tiep, le plus jeune des cousins, trouve du travail comme plongeur dans un restaurant. Il y travaille pendant plusieurs mois. En septembre 2019, il dit à sa famille vouloir se rendre au Royaume-Uni. « Les conditions de travail déplorables, voire proches de l’exploitation, et l’espoir de gagner mieux sa vie ailleurs ont probablement joué dans le choix de continuer la route vers l’Angleterre », suggère Mimi Vu. Le 21 octobre 2019, le jeune homme écrit à ses parents et leur demande 13 000 dollars (12 000 euros) pour passer en Angleterre. Ce sont les derniers messages échangés avec ses proches restés au pays.

    Le 22 octobre au matin, Pham Thi Tra My prend, elle, un taxi depuis Paris qui la dépose au milieu d’une zone industrielle de Bierne, une ville du Nord à quelques kilomètres au sud de Dunkerque. Elle est rejointe par d’autres exilés vietnamiens, venus de Bruxelles ou de Dunkerque, dont Hoang Van Tiep et son cousin. Quelques instants plus tard, un poids lourd se gare à proximité du groupe, caché près d’un bâtiment agricole. Ils grimpent à l’arrière du camion, qui prend aussitôt la direction du port de Zeebruges, en Belgique.

    Peu avant 14 heures, le chauffeur, Eamonn Harrison, un Irlandais de 22 ans qui dira lors du procès qu’il regardait Netflix tous rideaux fermés quand sont entrés les migrants, détache la remorque sur les quais du port belge. Elle est embarquée une heure plus tard sur le ferry Clementine à destination de Purfleet, en Angleterre. La durée de la traversée est d’environ huit heures. Au fond du ferry, dans la remorque hermétique, la température atteint 38 degrés dans la soirée, l’oxygène vient à manquer, la panique gagne les passagers. Certains exilés tentent de défoncer la paroi à l’aide d’une barre de fer, mais n’y parviennent pas. À 19 h 37, une des victimes, Nguyen Tho Tuan, écrit à ses proches : « Je suis désolé, je ne peux pas prendre soin de vous, je ne peux pas respirer. » Leur lente agonie se poursuit toute la soirée. Le Clementine accoste les côtes anglaises peu après minuit. Les trente-neuf victimes ne seront découvertes qu’une heure plus tard par la police.

    Ces morts sont surtout la conséquence des politiques d’“environnement hostile” déployées par les autorités britanniques.
    Kay Stephens, membre du collectif Remember & Resist

    « Le lendemain, nous avons décidé d’organiser une veillée devant le Home Office [l’équivalent du ministère de l’Intérieur, ndlr] à Westminster, à Londres. Il y avait beaucoup de colère et de tristesse, en particulier dans les diasporas de l’Asie de l’Est et du Sud-Est », se souvient Kay Stephens, membre du collectif Remember & Resist, né peu après. D’autres commémorations ont lieu à travers le Royaume-Uni, de Belfast à Glasgow. « Rapidement, dans le discours des médias et des autorités, une seule responsabilité a été pointée, celle des passeurs », déplore l’activiste, qui ajoute que « voir la ministre de l’Intérieur, Priti Patel, dire sur Twitter qu’elle est “choquée et attristée”, c’est oublier que ces morts sont surtout la conséquence des politiques d’“environnement hostile” déployées par les autorités britanniques ».

    Au cours de la veillée devant Westminster, « un militant de la communauté chinoise, Jabez Lam, a pris la parole et rappelé que, vingt ans plus tôt, cinquante-huit exilés chinois étaient morts dans des circonstances similaires », reprend Kay Stephens. C’était le 18 juin 2000. Ce jour-là, les douaniers du port de Douvres découvrent les corps de cinquante-quatre hommes et quatre femmes, morts asphyxiés dans la remorque d’un camion en provenance de Zeebruges, déjà. Deux survivants, inconscients, sont transportés à l’hôpital en état de choc et souffrant de déshydratation. « Les mêmes politiques continuent d’être menées, donc il y a évidemment une résonance forte entre ces deux événements », dit Kay Stephens.

    Une autre traversée meurtrière a eu lieu dans des circonstances similaires, en décembre 2001. Le 4 décembre, treize personnes tentent de rallier l’Angleterre cachées dans un container au départ – une fois encore – du port de Zeebruges. Le ferry n’a cependant pas pris la direction de Douvres, mais celle de Waterford, dans le Sud de l’Irlande. Les exilés, parmi lesquels se trouvaient onze Turcs (dont quatre enfants), un Algérien et un Albanais, sont restés enfermés pendant quatre jours. Quand ils ont été découverts à l’arrivée, huit d’entre eux étaient morts. Les cinq survivants étaient tous dans un état très grave, déshydratés et plongés dans un semi-coma.

    La mort collective des trente-neuf exilés vietnamiens en octobre 2019 a déclenché une large enquête de police dans plusieurs pays. Cette investigation a abouti au Royaume-Uni à la condamnation de onze personnes, dont le chauffeur du camion, qui a écopé de dix-huit ans de prison pour homicide involontaire. Dans le volet belge de l’affaire, la justice a sanctionné dix-neuf personnes (dont des chauffeurs de taxi et plusieurs propriétaires de logements par lesquels ont transité des victimes), tandis qu’au Viêtnam, quatre condamnations pour trafic d’êtres humains ont été prononcées. En France enfin, dix-neuf personnes, dont plusieurs chauffeurs de taxi, seront jugées prochainement en correctionnelle.

    La restauration, la santé, le secteur de la livraison, l’agriculture… toute une partie de l’économie britannique repose sur ces “travailleurs essentiels”, dont une majorité sont des immigrants.
    Kay Stephens

    Vu du Viêtnam, « la mort de ces trente-neuf exilés n’a rien changé, mais a eu pour principale conséquence une augmentation des coûts du voyage », raconte Mimi Vu, qui rappelle que l’organisation du franchissement des frontières est « un marché ». En clair : « Plus les passeurs prennent de risques, plus le coût du passage augmente. » Alors que le prix à payer pour rallier l’Europe de l’Ouest oscillait entre 15 000 et 30 000 euros avant octobre 2019, l’analyste indique que la somme peut désormais atteindre 50 000 euros. « Beaucoup de Vietnamiens désireux de quitter le pays considèrent que ces exilés sont morts car ils n’ont pas payé suffisamment cher et donc que l’arrivée au Royaume-Uni n’était pas garantie », résume-t-elle.

    « Que seraient devenues ces personnes si elles n’étaient pas mortes dans ce camion ? », feint de se demander Kay Stephens, qui précise que « la restauration, la santé, le secteur de la livraison, l’agriculture… toute une partie de l’économie britannique repose sur ces “travailleurs essentiels”, dont une majorité sont des immigrants ». Bas salaires, conditions de travail déplorables, l’activiste détaille un quotidien qui aurait sans doute été marqué par « l’exploitation ». Car une fois arrivés au Royaume-Uni, nombre d’exilés vietnamiens se retrouvent aussi enrôlés de force dans des fermes de cannabis ou des « bars à ongles », faisant de cette communauté l’une des plus vulnérables au risque d’esclavage moderne, selon le Home Office. « La pauvreté là-bas, l’exploitation ici : voici le choix qui leur était proposé », conclut Kay Stephens.

    https://lesjours.fr/obsessions/calais-migrants-morts/ep6-vietnamiens-chinois

    #UK #Angleterre #Essex #asile #migrations #réfugiés #frontières #Manche #La_Manche #22_octobre_2019 #camion #décès #morts #mourir_dans_la_forteresse_Europe

    Ce fil de discussion porte sur la tragédie :
    https://seenthis.net/messages/807727

  • #Aadam_Cabdi_Mohamed, 21.10.2023 #Bordighera, il cadavere sulla spiaggia è di un migrante africano. Continuano le ricerche del disperso

    Le ricerche continueranno finché non si avrà certezza che il cadavere sia del migrante dato per disperso venerdì sera

    Bordighera. Finché non si avrà certezza che il corpo del migrante rinvenuto intorno alle 22 di ieri, sulla spiaggia del lungomare di Bordighera, appartiene all’uomo visto attraversare la foce del torrente #Nervia, tra Ventimiglia e Camporosso, la sera di venerdì scorso, continueranno le ricerche da parte dalla Capitaneria di Porto.

    Da questa mattina, infatti, l’elicottero della Guardia Costiera sta sorvolando lo specchio acqueo antistante la costa tra Ventimiglia e Bordighera, dove le correnti, secondo gli esperti, avrebbero trascinato lo straniero.

    Nel frattempo è stato identificato il corpo dello straniero trascinato ieri tra gli scogli bordigotti. A lanciare l’allarme, intorno alle 22, sono stati alcuni passanti, che lo hanno visto galleggiare in acqua, tra alcuni scogli. La salma è stata poi adagiata dai soccorritori sul bagnasciuga.

    Il cadavere era privo di vestiti, forse strappati dalla mareggiata che da venerdì scorso imperversa sulle coste dell’estremo Ponente ligure. 
Sul posto sono accorsi carabinieri, polizia di frontiera e capitaneria di porto, che stanno indagando per ricostruire quanto accaduto. Il corpo presenta alcune ferite: solo l’esame autoptico potrà dire se le lesioni siano o meno compatibili con la collisione tra il cadavere e gli scogli. Per risalire all’identità dello straniero, sono state rilevate le impronte digitali. Elementi utili alle indagini saranno ricavati dalle telecamere di videosorveglianza presenti nell’area.

    https://www.riviera24.it/2023/10/bordighera-il-cadavere-sulla-spiaggia-e-di-un-migrante-africano-continuano
    #asile #migrations #réfugiés #frontières #frontière_sud-alpine #Alpes_maritimes #Italie #décès #France #Vintimille #Italie #France #frontières

    –—

    ajouté à cette métaliste sur les migrants décédés à la frontière italo-française « basse » :
    https://seenthis.net/messages/784767

  • Bulgaria : lottare per vivere, lottare per morire

    Di morti insepolti, notti insonni e domande che non avranno risposta

    “ГРАНИЦИТЕ УБИВАТ”, ovvero “I confini uccidono”. Questa scritta campeggia su delle vecchie cisterne arrugginite lungo la statale 79, la strada che collega Elhovo a Burgas, seguendo il confine bulgaro-turco fino al Mar Nero. L’abbiamo fatta noi del Collettivo Rotte Balcaniche (https://www.facebook.com/profile.php?id=100078755275162), rossa come il sangue che abbiamo visto scorrere in queste colline. Volevamo imprimere nello spazio fisico un ricordo di chi proprio tra questi boschi ha vissuto i suoi ultimi istanti, lasciare un segno perché la memoria avesse una dimensione materiale. Dall’altra parte, volevamo lanciare un monito, per parlare a chi continua a transitare su questa strada ignorandone la puzza di morte e a chi ne è direttamente responsabile, per dire “noi sappiamo e non dimenticheremo”. Ne è uscita una semplice scritta che forse in pochi noteranno. Racchiude le lacrime che accompagnano i ricordi e un urlo che monta dentro, l’amore e la rabbia.

    Dall’anno passato il confine bulgaro-turco è tornato ad essere la prima porta terrestre d’Europa. I dati diffusi dalla Polizia di frontiera bulgara contano infatti oltre 158 mila tentativi di ingresso illegale nel territorio impediti nei primi nove mesi del 2023, a fronte dei 115 mila nel corrispondente periodo del 2022, anno in cui le medesime statistiche erano già più che triplicate 1. Il movimento delle persone cambia a seconda delle politiche di confine, come un flusso d’acqua alla ricerca di un varco, così la totale militarizzazione del confine di terra greco-turco, che si snoda lungo il fiume Evros, ha spostato le rotte migratorie verso la più porosa frontiera bulgara. Dall’altro lato, la sempre più aggressiva politica di deportazioni di Erdogan – che ha già ricollocato con la forza 600 mila rifugiatə sirianə nel nord-ovest del paese, sotto il controllo turco, e promette di raggiungere presto la soglia del milione – costringe gli oltre tre milioni di sirianə che vivono in Turchia a muoversi verso luoghi più sicuri.

    Abbiamo iniziato a conoscere la violenza della polizia bulgara più di un anno fa, non nelle inchieste giornalistiche ma nei racconti delle persone migranti che incontravamo in Serbia, mentre ci occupavamo di distribuire cibo e docce calde a chi veniva picchiatə e respintə dalle guardie di frontiera ungheresi. Siamo un gruppo di persone solidali che dal 2018 ha cominciato a viaggiare lungo le rotte balcaniche per supportare attivamente lə migrantə in cammino, e da allora non ci siamo più fermatə. Anche se nel tempo siamo cresciutə, rimaniamo un collettivo autorganizzato senza nessun riconoscimento formale. Proprio per questo, abbiamo deciso di muoverci verso i contesti caratterizzati da maggior repressione, laddove i soggetti più istituzionali faticano a trovare agibilità e le pratiche di solidarietà assumono un valore conflittuale e politico. Uno dei nostri obiettivi è quello di essere l’anti-confine, costruendo vie sicure attraverso le frontiere, ferrovie sotterranee. Tuttavia, non avremmo mai pensato di diventare un “rescue team”, un equipaggio di terra, ovvero di occuparci di ricerca e soccorso delle persone disperse – vive e morte – nelle foreste della Bulgaria.

    La prima operazione di salvataggio in cui ci siamo imbattutə risale alle notte tra il 19 e il 20 luglio. Stavo per andare a dormire, verso l’una, quando sento insistentemente suonare il telefono del Collettivo – telefono attraverso cui gestiamo le richieste di aiuto delle persone che vivono nei campi rifugiati della regione meridionale della Bulgaria 2. Era M., un signore siriano residente nel campo di Harmanli, che avevo conosciuto pochi giorni prima. «C’è una donna incinta sulla strada 79, serve un’ambulanza». Con lei, le sue due bambine di tre e sei anni. Chiamiamo il 112, numero unico per le emergenze, dopo averla messa al corrente che probabilmente prima dell’ambulanza sarebbe arrivata la polizia, e non potevamo sapere cosa sarebbe successo. Dopo aver capito che il centralino ci stava mentendo, insinuando che le squadre di soccorso erano uscite senza aver trovato nessuno alle coordinate che avevamo segnalato, decidiamo di muoverci in prima persona. Da allora, si sono alternate settimane più e meno intense di uscite e ricerche. Abbiamo un database che raccoglie la quarantina di casi di cui ci siamo in diversi modi occupatə da fine luglio e metà ottobre: nomi, storie e foto che nessunə vorrebbe vedere. In questi mesi tre mesi si è sviluppata anche una rete di associazioni con cui collaboriamo nella gestione delle emergenze, che comprende in particolare #CRG (#Consolidated_Rescue_Group: https://www.facebook.com/C.R.G.2022), gruppo di volontariə sirianə che fa un incredibile lavoro di raccolta di segnalazioni di “distress” e “missing people” ai confini d’Europa, nonché di relazione con lə familiari.

    Ricostruire questo tipo di situazioni è sempre complicato: le informazioni sono frammentate, la cronologia degli eventi incerta, l’intervento delle autorità poco prevedibile. Spesso ci troviamo ad unire tessere di un puzzle che non combacia. Sono le persone migranti stesse a lanciare l’SOS, oppure, se non hanno un telefono o è scarico, le “guide” 3 che le accompagnano nel viaggio. Le richieste riportano i dati anagrafici, le coordinate, lo stato di salute della persona. Le famiglie contattano poi organizzazioni solidali come CRG, che tra lə migrantə sirianə è un riferimento fidato. L’unica cosa che noi possiamo fare – ma che nessun altro fa – è “metterci il corpo”, frapporci tra la polizia e le persone migranti. Il fatto che ci siano delle persone bianche ed europee nel luogo dell’emergenza obbliga i soccorsi ad arrivare, e scoraggia la polizia dal respingere e torturare. Infatti, è la gerarchia dei corpi che determina quanto una persona è “salvabile”, e le vite migranti valgono meno di zero. Nella notte del 5 agosto, mentre andavamo a recuperare il cadavere di H., siamo fermatə da un furgone scuro, senza insegne della polizia. È una pattuglia del corpo speciale dell’esercito che si occupa di cattura e respingimento. Gli diciamo la verità: stiamo andando a cercare un ragazzo morto nel bosco, abbiamo già avvisato il 112. Uno dei soldati vuole delle prove, gli mostriamo allora la foto scattata dai compagni di viaggio. Vedendo il cadavere, si mette a ridere, “it’s funny”, dice.

    Ogni strada è un vicolo cieco che conduce alla border police, che non ha nessun interesse a salvare le vite ma solo ad incriminare chi le salva. Dobbiamo chiamare subito il 112, accettando il rischio che la polizia possa arrivare prima di noi e respingere le persone in Turchia, lasciandole nude e ferite nel bosco di frontiera, per poi essere costrette a riprovare quel viaggio mortale o imprigionate e deportate in Siria? Oppure non chiamare il 112, perdendo così quel briciolo di possibilità che veramente un’ambulanza possa, prima o poi, arrivare e potenzialmente salvare una vita? Il momento dell’intervento mette ogni volta di fronte a domande impossibili, che rivelano l’asimmetria di potere tra noi e le autorità, di cui non riusciamo a prevedere le mosse. Alcuni cambiamenti, però, li abbiamo osservati con continuità anche nel comportamento della polizia. Se inizialmente le nostre azioni sono riuscite più volte ad evitare l’omissione di soccorso, salvando persone che altrimenti sarebbero state semplicemente lasciate morire, nell’ultimo mese le nostre ricerche sono andate quasi sempre a vuoto. Questo perché la polizia arriva alle coordinate prima di noi, anche quando non avvisiamo, o ci intercetta lungo la strada impedendoci di continuare. Probabilmente non sono fatalità ma stanno controllando i nostri movimenti, per provare a toglierci questo spazio di azione che ci illudevamo di aver conquistato.

    Tuttavia, sappiamo che i casi che abbiamo intercettato sono solo una parte del totale. Le segnalazioni che arrivano attraverso CRG riguardano quasi esclusivamente persone di origini siriane, mentre raramente abbiamo ricevuto richieste di altre nazionalità, che sappiamo però essere presenti. Inoltre, la dottoressa Mileva, capo di dipartimento dell’obitorio di Burgas, racconta che quasi ogni giorno arriva un cadavere, “la maggior parte sono pieni di vermi, alcuni sono stati mangiati da animali selvatici”. Non sanno più dove metterli, le celle frigorifere sono piene di corpi non identificati ma le famiglie non hanno la possibilità di venire in Bulgaria per avviare le pratiche di riconoscimento, rimpatrio e sepoltura. Infatti, è impossibile ottenere un visto per venire in Europa, nemmeno per riconoscere un figlio – e non ci si può muovere nemmeno da altri paesi europei se si è richiedenti asilo. In alternativa, servono i soldi per la delega ad unə avvocatə e per effettuare il test del DNA attraverso l’ambasciata. Le procedure burocratiche non conoscono pietà. Le politiche di confine agiscono tanto sul corpo vivo quanto su quello morto, quindi sulla possibilità di vivere il lutto, di avere semplicemente la certezza di aver perso una sorella, una madre, un fratello. Solo per sapere se piangere. Anche la morte è una conquista sociale.

    «Sono una sorella inquieta da 11 mesi. Non dormo più la notte e passo delle giornate tranquille solo grazie ai sedativi e alle pillole per la depressione. Ovunque abbia chiesto aiuto, sono rimasta senza risposte. Vi chiedo, se è possibile, di prendermi per mano, se c’è bisogno di denaro, sono pronta a indebitarmi per trovare mio fratello e salvare la mia vecchia madre da questa lenta morte». Così ci scrive S., dalla Svezia. Suo fratello aveva 30 anni, era scappato dall’Afghanistan dopo il ritorno dei Talebani, perché lavorava per l’esercito americano. Aveva lasciato la Turchia per dirigersi verso la Bulgaria il 21 settembre 2022, ma il 25 non era più stato in grado di continuare il cammino a causa dei dolori alle gambe. In un video, gli smuggler che guidavano il viaggio spiegano che lo avrebbero lasciato in un determinato punto, nei pressi della strada 79, e che dopo aver riposato si sarebbe dovuto consegnare alla polizia. Da allora di lui si sono perse le tracce. Non è stato ritrovato nella foresta, né nei campi rifugiati, né tra i corpi dell’obitorio. È come se fosse stato inghiottito dalla frontiera. S. ci invia i nomi, le foto e le date di scomparsa di altre 14 persone, quasi tutte afghane, scomparse l’anno scorso. Lei è in contatto con tutte le famiglie. Neanche noi abbiamo risposte: più la segnalazione è datata più è difficile poter fare qualcosa. Sappiamo che la cosa più probabile è che i corpi siano marciti nel sottobosco, ma cosa dire allə familiari che ancora conservano un’irrazionale speranza? Ormai si cammina sulle ossa di chi era venuto prima, e lì era rimasto.

    –—

    1. РЕЗУЛТАТИ ОТ ДЕЙНОСТТА НА МВР ПРЕЗ 2022 г., Противодействие на миграционния натиск и граничен контрол (Risultati delle attività del Ministero dell’Interno nel 2022, Contrasto alla pressione migratoria e controllo delle frontiere), p. 14.
    2. Per quanto riguarda lə richiedenti asilo, il sistema di “accoglienza” bulgaro è gestito dall’agenzia governativa SAR, e si articola nei campi ROC (Registration and reception center) di Voenna Rampa (Sofia), Ovcha Kupel (Sofia), Vrajdebna (Sofia), Banya (Nova Zagora) e Harmanli, oltre al transit centre di Pastrogor (situato nel comune di Svilengrad), dove si effettuano proceduredi asilo accelerate. […] I centri di detenzione sono due: Busmantsi e Lyubimets. Per approfondire, è disponibile il report scritto dal Collettivo.
    3. Anche così sono chiamati gli smuggler che conducono le persone nel viaggio a piedi.

    https://www.meltingpot.org/2023/10/bulgaria-lottare-per-vivere-lottare-per-morire

    #Bulgarie #Turquie #asile #migrations #réfugiés #frontières #décès #mourir_aux_frontières #street-art #art_de_rue #route_des_Balkans #Balkans #mémoire #morts_aux_frontières #murs #barrières_frontalières #Elhovo #Burgas #Evros #Grèce #routes_migratoires #militarisation_des_frontières #violence #violences_policières #solidarité #anti-frontières #voies_sures #route_79 #collettivo_rotte_balcaniche #hiréarchie_des_corps #racisme #Mileva_Galya #Galya_Mileva

    • Bulgaria, lasciar morire è uccidere

      Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino: la cronaca di un’omissione di soccorso sulla frontiera bulgaro-turca


      I fatti si riferiscono alla notte tra il 19 e il 20 luglio 2023. Per tutelare le persone coinvolte, diffondiamo questo report dopo alcune settimane. Dopo questo primo intervento, come Collettivo Rotte Balcaniche continuiamo ad affrontare emergenze simili, agendo in prima persona nella ricerca e soccorso delle persone bloccate nei boschi lungo la frontiera bulgaro-turca.

      01.00 di notte, suona il telefono del Collettivo. “We got a pregnant woman on Route 79“, a contattarci è un residente nel campo di Harmanli, amico del marito della donna e da noi conosciuto qualche settimana prima. E’ assistito da un’interprete, anch’esso residente nel campo. Teme di essere accusato di smuggling, chiede se possiamo essere noi a chiamare un’ambulanza. La route 79 è una delle strade più pattugliate dalla border police, in quanto passaggio quasi obbligato per chi ha attraversato il confine turco e si muove verso Sofia. Con l’aiuto dell’interprete chiamiamo la donna: è all’ottavo mese di gravidanza e, con le due figlie piccole, sono sole nella jungle. Stremate, sono state lasciate vicino alla strada dal gruppo con cui stavano camminando, in attesa di soccorsi. Ci dà la sua localizzazione: 42.12.31.6N 27.00.20.9E. Le spieghiamo che il numero dell’ambulanza è lo stesso della polizia: c’è il rischio che venga respinta illegalmente in Turchia. Lei lo sa e ci chiede di farlo ugualmente.

      Ore 02.00, prima chiamata al 112. La registriamo, come tutte le successive. Non ci viene posta nessuna domanda sulle condizioni della donna o delle bambine, ma siamo tenuti 11 minuti al telefono per spiegare come siamo venuti in contatto con la donna, come ha attraversato il confine e da dove viene, chi siamo, cosa facciamo in Bulgaria. Sospettano un caso di trafficking e dobbiamo comunicare loro il numero dell’”intermediario” tra noi e lei. Ci sentiamo sotto interrogatorio. “In a couple of minutes our units are gonna be there to search the woman“, sono le 02.06. Ci rendiamo conto di non aver parlato con dei soccorritori, ma con dei poliziotti.

      Ore 03.21, è passata un’ora e tutto tace: richiamiamo il 112. Chiediamo se hanno chiamato la donna, ci rispondono: “we tried contacting but we can’t reach the phone number“. La donna ci dice che in realtà non l’hanno mai chiamata. Comunichiamo di nuovo la sua localizzazione: 42.12.37.6N 27.00.21.5E. Aggiungiamo che è molto vicino alla strada, ci rispondono: “not exactly, it’s more like inside of the woods“, “it’s exactly like near the border, and it’s inside of a wood region, it’s a forest, not a street“. Per fugare ogni dubbio, chiediamo: “do you confirm that the coordinates are near to route 79?“. Ci tengono in attesa, rispondono: “they are near a main road. Can’t exactly specify if it’s 79“. Diciamo che la donna è svenuta. “Can she dial us? Can she call so we can get a bit more information?“. Non capiamo di che ulteriori informazioni abbiano bisogno, siamo increduli: “She’s not conscious so I don’t think she’ll be able to make the call“. Suggeriscono allora che l’interprete si metta in contatto diretto con loro. Sospettiamo che vogliano tagliarci fuori. Sono passati 18 minuti, la chiamata è stata una farsa. Se prima temevamo le conseguenze dell’arrivo della polizia, ora abbiamo paura che non arrivi nessuno. Decidiamo di metterci in strada, ci aspetta 1h e 40 di viaggio.

      Ore 04.42, terza chiamata. Ci chiedono di nuovo tutte le informazioni, ancora una volta comunichiamo le coordinate gps. Diciamo che stiamo andando in loco ed incalziamo: “Are there any news on the research?“. “I can’t tell this“. Attraverso l’interprete rimaniamo in costante contatto con la donna. Conferma che non è arrivata alcuna searching unit. La farsa sta diventando una tragedia.

      Ore 06.18, quarta chiamata. Siamo sul posto e la strada è deserta. Vogliamo essere irreprensibili ed informarli che siamo arrivati. Ripetiamo per l’ennesima volta che chiamiamo per una donna incinta in gravi condizioni. Il dialogo è allucinante, ricominciano con le domande: “which month?“, “which baby is this? First? Second?“, “how old does she look like?“, “how do you know she’s there? she called you or what?“. Gli comunichiamo che stiamo per iniziare a cercarla, ci rispondono: “we are looking for her also“. Interveniamo: “Well, where are you because there is no one here, we are on the spot and there is no one“. Si giustificano: “you have new information because obviously she is not at the one coordinates you gave“, “the police went three times to the coordinates and they didn’t find the woman, the coordinates are wrong“. Ancora una volta, capiamo che stanno mentendo.

      Faremo una quinta chiamata alle 06.43, quando l’avremo già trovata. Ci richiederanno le coordinate e ci diranno di aspettarli lungo la strada.

      La nostra ricerca dura pochi minuti. La donna ci invia di nuovo la posizione: 42.12.36.3N 27.00.43.3E. Risulta essere a 500 metri dalle coordinate precedenti, ma ancor più vicina alla strada. Gridiamo “hello” e ci facciamo guidare dalle voci: la troviamo letteralmente a due metri dalla strada, su un leggero pendio, accasciata sotto un albero e le bambine al suo fianco. Vengono dalla Siria, le bambine hanno 4 e 7 anni. Lei è troppo debole per alzarsi. Abbiamo per loro sono dell’acqua e del pane. C’è lì anche un ragazzo, probabilmente minorenne, che le ha trovate ed è rimasto ad aiutarle. Lo avvertiamo che arriverà la polizia. Non vuole essere respinto in Turchia, riparte solo e senza zaino. Noi ci guardiamo attorno: la “foresta” si rivela essere una piccola striscia alberata di qualche metro, che separa la strada dai campi agricoli.

      Dopo poco passa una ronda della border police, si fermano e ci avvicinano con la mano sulla pistola. Non erano stati avvertiti: ci aggrediscono con mille domande senza interessarsi alla donna ed alle bambine. Ci prendono i telefoni, ci cancellano le foto fatte all’arrivo delle volanti. Decidiamo di chiamare un’avvocata locale nostra conoscente: lei ci risponde che nei boschi è normale che i soccorsi tardino e ci suggerisce di andarcene per lasciar lavorare la polizia. Nel frattempo arrivano anche la gendarmerie e la local police.

      Manca solo l’unica cosa necessaria e richiesta: l’ambulanza, che non arriverà mai.

      Ore 07.45, la polizia ci scorta nel paese più vicino – Sredets – dove ci ha assicurato esserci un ospedale. Cercano di dividere la donna e le bambine in auto diverse. Chiediamo di portarle noi tutte assieme in macchina. A Sredets, tuttavia, siamo condotti nella centrale della border police. Troviamo decine di guardie di frontiera vestite mimetiche, armate di mitraglie, che escono a turno su mezzi militari, due agenti olandesi di Frontex, un poliziotto bulgaro con la maglia del fascio littorio dei raduni di Predappio. Siamo relegati nel fondo di un corridoio, in piedi, circondati da cinque poliziotti. Il più giovane urla e ci dice che saremo trattenuti “perché stai facendo passare migranti clandestini“. Chiediamo acqua ed un bagno per la donna e le bambine, inizialmente ce li negano. Rimaniamo in attesa, ora ci dicono che non possono andare in ospedale in quanto senza documenti, sono in stato di arresto.

      Ore 09.00, arriva finalmente un medico: parla solamente in bulgaro, visita la donna in corridoio senza alcuna privacy, chiedendole di scoprire la pancia davanti ai 5 poliziotti. Chiamiamo ancora una volta l’avvocata, vogliamo chiedere che la donna sia portata in un ambulatorio e che abbia un interprete. Rimaniamo inascoltati. Dopo a malapena 5 minuti il medico conclude la sua visita, consigliando solamente di bere molta acqua.

      Ore 09.35, ci riportano i nostri documenti e ci invitano ad andarcene. E’ l’ultima volta che vediamo la donna e le bambine. Il telefono le viene sequestrato. Non viene loro permesso di fare la richiesta di asilo e vengono portate nel pre-removal detention centre di Lyubimets. Prima di condurci all’uscita, si presenta un tale ispettore Palov che ci chiede di firmare tre carte. Avrebbero giustificato le ore passate in centrale come conversazione avuta con l’ispettore, previa convocazione ufficiale. Rifiutiamo.

      Sulla via del ritorno ripercorriamo la Route 79, è estremamente pattugliata dalla polizia. Pensiamo alle tante persone che ogni notte muoiono senza nemmeno poter chiedere aiuto, oltre alle poche che lo chiedono invano. Lungo le frontiere di terra come di mare, l’omissione di soccorso è una precisa strategia delle autorità.

      L’indomani incontriamo l’amico del marito della donna. Sa che non potrà più fare qualcosa di simile: sarebbe accusato di smuggling e perderebbe ogni possibilità di ricostruirsi una vita in Europa. Invece noi, attivisti indipendenti, possiamo e dobbiamo continuare: abbiamo molto meno da perdere. Ci è chiara l’urgenza di agire in prima persona e disobbedire a chi uccide lasciando morire.

      Dopo 20 giorni dall’accaduto riusciamo ad incontrare la donna con le bambine, che sono state finalmente trasferite al campo aperto di Harmanli. Sono state trattenute quindi nel centro di detenzione di Lyubimets per ben 19 giorni. La donna ci riferisce che, durante la loro permanenza, non è mai stata portata in ospedale per eseguire accertamenti, necessari soprattutto per quanto riguarda la gravidanza; è stata solamente visitata dal medico del centro, una visita molto superficiale e frettolosa, molto simile a quella ricevuta alla stazione di polizia di Sredets. Ci dà inoltre il suo consenso alla pubblicazione di questo report.

      https://www.meltingpot.org/2023/08/bulgaria-lasciar-morire-e-uccidere

      #laisser_mourir

    • Bulgaria, per tutti i morti di frontiera

      Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino: un racconto di come i confini d’Europa uccidono nel silenzio e nell’indifferenza


      Da fine giugno il Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino è ripartito per un nuovo progetto di solidarietà attiva e monitoraggio verso la frontiera più esterna dell’Unione Europea, al confine tra Bulgaria e Turchia.
      Pubblichiamo il secondo report delle “operazioni di ricerca e soccorso” che il Collettivo sta portando avanti, in cui si racconta del ritrovamento del corpo senza vita di H., un uomo siriano che aveva deciso di sfidare la fortezza Europa. Come lui moltə altrə tentano il viaggio ogni giorno, e muoiono nelle foreste senza che nessuno lo sappia. Al Collettivo è sembrato importante diffondere questa storia perchè parla anche di tutte le altre storie che non potranno essere raccontate, affinché non rimangano seppellite nel silenzio dei confini.

      Ore 12, circa, al numero del collettivo viene segnalata la presenza del corpo di un ragazzo siriano di trent’anni, H., morto durante un tentativo di game in prossimità della route 79. Abbiamo il contatto di un fratello, che comunica con noi attraverso un cugino che fa da interprete. Chiedono aiuto nel gestire il recupero, il riconoscimento e il rimpatrio del corpo; ci mandano le coordinate e capiamo che il corpo si trova in mezzo ad un bosco ma vicino ad un sentiero: probabilmente i suoi compagni di viaggio lo hanno lasciato lì così che fosse facilmente raggiungibile. Nelle ore successive capiamo insieme come muoverci.

      Ore 15, un’associazione del territorio con cui collaboriamo chiama una prima volta il 112, il numero unico per le emergenze. Ci dice che il caso è stato preso in carico e che le autorità hanno iniziato le ricerche. Alla luce di altri episodi simili, decidiamo di non fidarci e iniziamo a pensare che potrebbe essere necessario metterci in viaggio.

      Ore 16.46, chiamiamo anche noi il 112, per mettere pressione ed assicurarci che effettivamente ci sia una squadra di ricerca in loco: decidiamo di dire all’operatore che c’è una persona in condizioni critiche persa nei boschi e diamo le coordinate precise. Come risposta ci chiede il nome e, prima ancora di informazioni sul suo stato di salute, la sua nazionalità. E’ zona di frontiera: probabilmente, la risposta a questa domanda è fondamentale per capire che priorità dare alla chiamata e chi allertare. Quando diciamo che è siriano, arriva in automatico la domanda: “How did he cross the border? Legally or illegally?“. Diciamo che non lo sappiamo, ribadiamo che H. ha bisogno di soccorso immediato, potrebbe essere morto. L’operatore accetta la nostra segnalazione e ci dice che polizia e assistenza medica sono state allertate. Chiediamo di poter avere aggiornamenti, ma non possono richiamarci. Richiameremo noi.

      Ore 17.54, richiamiamo. L’operatrice ci chiede se il gruppo di emergenza è arrivato in loco, probabilmente pensando che noi siamo insieme ad H. La informiamo che in realtà siamo a un’ora e mezzo di distanza, ma che ci possiamo muovere se necessario. Ci dice che la border police “was there” e che “everything will be okay if you called us“, ma non ha informazioni sulle sorti di H. Le chiediamo, sempre memori delle false informazioni degli altri casi, come può essere sicura che una pattuglia si sia recata in loco; solo a questo punto chiama la border police. “It was my mistake“, ci dice riprendendo la chiamata: gli agenti non lo hanno trovato, “but they are looking for him“. Alle nostre orecchie suona come una conferma del fatto che nessuna pattuglia sia uscita a cercarlo. L’operatrice chiude la chiamata con un: “If you can, go to this place, [to] this GPS coordinates, because they couldn’t find this person yet. If you have any information call us again“. Forti di questo via libera e incazzatə di dover supplire alle mancanze della polizia ci mettiamo in viaggio.

      Ore 18.30, partiamo, chiamando il 112 a intervalli regolari lungo la strada: emerge grande indifferenza, che diventa a tratti strafottenza rispetto alla nostra insistenza: “So what do you want now? We don’t give information, we have the signal, police is informed“. Diciamo che siamo per strada: “Okay“.

      Ore 20.24, parcheggiamo la macchina lungo una strada sterrata in mezzo al bosco. Iniziamo a camminare verso le coordinate mentre il sole dietro di noi inizia a tramontare. Richiamiamo il 112, informando del fatto che non vediamo pattuglie della polizia in giro, nonostante tutte le fantomatiche ricerche già partite. Ci viene risposto che la polizia è stata alle coordinate che noi abbiamo dato e non ha trovato nessuno; gli avvenimenti delle ore successive dimostreranno che questa informazione è falsa.

      “I talked with Border Police, today they have been in this place searching for this guy, they haven’t find anybody, so“

      “So? […] What are they going to do?“

      “What do you want from us [seccato]? They haven’t found anyone […]“

      “They can keep searching.”

      “[aggressivo] They haven’t found anybody on this place. What do you want from us? […] On this location there is no one. […] You give the location and there is no one on this location“.

      Ore 21.30, arriviamo alle coordinate attraverso un bosco segnato da zaini e bottiglie vuote che suggeriscono il passaggio di persone in game. Il corpo di H. è lì, non un metro più avanti, non uno più indietro. I suoi compagni di viaggio, nonostante la situazione di bisogno che la rotta impone, hanno avuto l’accortezza di lasciargli a fianco il suo zaino, il suo telefono e qualche farmaco. E’ evidente come nessuna pattuglia della polizia sia stata sul posto, probabilmente nessuna è neanche mai uscita dalla centrale. Ci siamo mosse insieme a una catena di bugie. Richiamiamo il 112 e l’operatrice allerta la border police. Questa volta, visto il tempo in cui rimaniamo in chiamata in attesa, parrebbe veramente.

      Ore 21.52, nessuno in vista. Richiamiamo insistendo per sapere dove sia l’unità di emergenza, dato che temiamo ancora una volta l’assoluto disinteresse di chi di dovere. Ci viene risposto: “Police crew is on another case, when they finish the case they will come to you. […] There is too many case for police, they have only few car“. Vista la quantità di posti di blocco e di automobili della polizia che abbiamo incrociato lungo la route 79 e i racconti dei suoi interventi continui, capillari e violenti in “protezione” dei confini orientali dell’UE, non ci pare proprio che la polizia non possegga mezzi. Evidentemente, di nuovo, è una questione di priorità dei casi e dei fini di questi: ci si muove per controllare e respingere, non per soccorrere. Insistiamo, ci chiedono informazioni su di noi e sulla macchina:

      “How many people are you?“

      “Three people“

      “Only women?”

      “Yes…”

      “Have patience and stay there, they will come“.

      Abbiamo la forte percezione che il fatto di essere solo ragazze velocizzerà l’intervento e che di certo nessuno si muoverà per H.: il pull factor per l’intervento della polizia siamo diventate noi, le fanciulle italiane in mezzo al bosco da salvare. Esplicitiamo tra di noi la necessità di mettere in chiaro, all’eventuale arrivo della polizia, che la priorità per noi è il recupero del corpo di H. Sentiamo anche lə compagnə che sono rimastə a casa: davanti all’ennesimo aggiornamento di stallo, in tre decidono di partire da Harmanli e di raggiungerci alle coordinate; per loro si prospetta un’ora e mezzo in furgone: lungo la strada, verranno fermati tre volte a posti di blocco, essendo i furgoni uno dei mezzi preferiti dagli smuggler per muovere le persone migranti verso Sofia.

      Ore 22, continuiamo con le chiamate di pressione al 112. E’ una donna a rispondere: la sua voce suona a tratti preoccupata. Anche nella violenza della situazione, registriamo come la socializzazione di genere sia determinante rispetto alla postura di cura. Si connette con la border police: “Police is coming to you in 5…2 minutes“, ci dice in un tentativo di rassicurarci. Purtroppo, sappiamo bene che le pratiche della polizia sono lontane da quelle di cura e non ci illudiamo: l’attesa continuerà. Come previsto, un’ora dopo non è ancora arrivato nessuno. All’ennesima chiamata, il centralinista ci chiede informazioni sulla morfologia del territorio intorno a noi. Questa richiesta conferma quello che ormai già sapevamo: la polizia, lì, non è mai arrivata.

      Ore 23.45, delle luci illuminano il campo in cui siamo sedute ormai da ore vicine al corpo di H. E’ una macchina della polizia di frontiera, con sopra una pattuglia mista di normal police e border police. Nessuna traccia di ambulanza, personale medico o polizia scientifica. Ci chiedono di mostrargli il corpo. Lo illuminano distrattamente, fanno qualche chiamata alla centrale e tornano a noi: ci chiedono come siamo venute a sapere del caso e perchè siamo lì. Gli ribadiamo che è stata un’operatrice del 112 a suggerici ciò: la cosa ci permette di giustificare la nostra presenza in zona di confine, a fianco ad un corpo senza vita ed evitare le accuse di smuggling.

      Ore 23.57, ci propongono di riaccompagnarci alla nostra macchina, neanche 10 minuti dopo essere arrivati. Noi chiediamo cosa ne sarà del corpo di H. e un agente ci risponde che arriverà un’unità di emergenza apposita. Esplicitiamo la nostra volontà di aspettarne l’arrivo, vogliamo tentare di ottenere il maggior numero di informazioni da comunicare alla famiglia e siamo preoccupate che, se noi lasciamo il campo, anche la pattuglia abbandonerà il corpo. Straniti, e forse impreparati alla nostra presenza e insistenza, provano a convincerci ad andare, illustrando una serie farsesca di pericoli che vanno dal fatto che sia zona di frontiera interdetta alla presenza di pericolosi migranti e calabroni giganti. Di base, recepiamo che non hanno una motivazioni valida per impedirci di rimanere.

      Quando il gruppo di Harmanli arriva vicino a noi, la polizia li sente arrivare prima di vederli e pensa che siano un gruppo di migranti; a questo stimolo, risponde con la prontezza che non ha mai dimostrato rispetto alle nostre sollecitazioni. Scatta verso di loro con la mano a pistola e manganello e le torce puntate verso il bosco. Li trova, ma il loro colore della pelle è nello spettro della legittimità. Va tutto bene, possono arrivare da noi. Della pattuglia di sei poliziotti, tre vanno via in macchina, tre si fermano effettivamente per la notte; ci chiediamo se sarebbe andata allo stesso modo se noi con i nostri occhi bianchi ed europei non fossimo stati presenti. Lo stallo continua, sostanzialmente, fino a mattina: la situazione è surreale, con noi sdraiati a pochi metri dalla polizia e dal corpo di H. L’immagine che ne esce parla di negligenza delle istituzioni, della gerarchia di vite che il confine crea e dell’abbandono sistematico dei corpi che vi si muovono intorno, se non per un loro possibile respingimento.

      Ore 8 di mattina, l’indifferenza continua anche quando arriva la scientifica, che si muove sbrigativa e sommaria intorno al corpo di H., vestendo jeans e scattando qualche fotografia simbolica. Il tutto non dura più di 30 minuti, alla fine dei quali il corpo parte nella macchina della border police, senza comunicazione alcuna sulla sua direzione e sulle sue sorti. Dopo la solita strategia di insistenza, riusciamo ad apprendere che verrà portato all’obitorio di Burgas, ma non hanno nulla da dirci su quello che avverrà dopo: l’ipotesi di un rimpatrio della salma o di un possibile funerale pare non sfiorare nemmeno i loro pensieri. Scopriremo solo in seguito, durante una c​hiamata con la famiglia, che H., nella migliore delle ipotesi, verrà seppellito in Bulgaria, solo grazie alla presenza sul territorio bulgaro di un parente di sangue, da poco deportato dalla Germania secondo le direttive di Dublino, che ha potuto riconoscere ufficialmente il corpo. Si rende palese, ancora una volta, l’indifferenza delle autorità nei confronti di H., un corpo ritenuto illegittimo che non merita nemmeno una sepoltura. La morte è normalizzata in questi spazi di confine e l’indifferenza sistemica diventa un’arma, al pari della violenza sui corpi e dei respingimenti, per definire chi ha diritto a una vita degna, o semplicemente a una vita.

      https://www.meltingpot.org/2023/08/bulgaria-per-tutti-i-morti-di-frontiera

  • Les départs du #Sénégal vers les #Canaries : une société en proie au #désespoir économique, à la #répression politique et à l’ingérence européenne

    La #route_Atlantique fait encore la une, avec une forte augmentation des passages dans les dernières semaines : à peu près 4000 personnes sont arrivées aux Canaries en septembre et plus 6 000 dans les deux premières semaines d’octobre. Mais le phénomène sous-jacent se dessine déjà depuis juin : la plupart des embarcations sur la route Atlantique font leur départ au Sénégal. Ainsi cet été 2023 les deux tiers des voyages se sont faits dans des #pirogues venant du Sénégal, et un tiers seulement en provenance du Maroc et du Sahara Occidental.

    „Ces derniers temps nous revivons une situation des départs du Sénégal qui nous rappelle le phénomène “#Barça_ou_Barsakh” en 2006 – 2008 et en 2020/2021. Ce slogan “Barça ou Barsakh” qui signifie „soit on arrive à Barcelone, soit on meurt“ est le reflet du plus grand désespoir“ explique Saliou Diouf de Boza Fii, une organisation sénégalaise qui lutte pour la liberté de circulation.

    La population sénégalaise et surtout la #jeunesse fait face à un dilemme impossible : rester et mourir à petit feu dans la galère, ou partir dans l’espoir d’avoir des probabilités de vivre dignement en Europe. À la profonde #crise_économique (effondrement des moyens de subsistance en raison de la #surpêche des eaux sénégalaises et des conséquences du #changement_climatique) s’ajoute l’#injustice de la politique européenne des #visas qui sont quasi impossibles à obtenir. La crise politique au Sénégal rend la situation catastrophique : de nombreux-euses manifestant-es sont abusé-es et arbitrairements emprisonné-es, il y a même des morts. Cela pousse les jeunes à quitter le pays, en empruntant les moyens les plus risqués.

    Nous exprimons notre colère face à cette situation est nous sommes en deuil pour les centaines de personnes mortes en mer cet été.

    Pourtant, les autorités sénégalaises ne se mobilisient pas en soutien à la popluation mais reproduisent à l’identique le discours européen contre la migration qui vise à criminaliser et réprimer la #liberté_de_circulation. Le gouvernment sénégalais a créé une entité dénommée #CILEC (#Comité_interministériel_de_lutte_contre_l’émigration_clandestine). Ce dernier est constitué en grande partie de personnes gradées de l’armée Sénégalaise. Le 27 juillet, le gouvernment a adopté le plan d’action #SNLMI (#Stratégie_nationale_de_lutte_contre_la_migration_irrégulière_au_Sénégal) qui consiste à traquer des soit-disant 3passeurs que l’on traite de #trafiquants_d’êtres_humains. Le 4 août 2023 des répresentants de l’Union Européene et du gouvernement du Sénégal ont inauguré un grand bâtiment pour abriter la DPAF (Division de la police de l’air et des frontières). Toutes ces mesures sont prises en pleine #crise_politique dans le pays : une honte et un manque de respect envers la population.

    Ces derniers mois, il y a une série d’actes de répression qui montre comment le gouvernment sénégalais cherche à intimider la population entière, et surtout la population migrante. Les autorités utilisent l’armée,la gendarmerie et la police pour étouffer toute situation qui pourrait amener des polémiques dans le pays, ce qui est illustré par la liste suivante :

    - Le 10 juillet, 101 personnes ont prit départ de Fass Boye, à Thies. Plus d’un mois après, 38 survivants ont ête retrouvé à 275km du Cap-Vert, seuls 7 corps ont été retrouvés. Quand le gouvernement sénégalais a décidé de rapatrier seulements les survivants et de laisser les morts au Cap-Vert, les populations de Fass Boye ont manifesté contre cette décision. Après les manifestations, la gendarmerie est revenue à 3h du matin pour rentrer dans les maisons pour attraper des manifestant-es, les frapper, puis les amener au poste de police.
    – Dans la nuit du 9 au 10 août sur la plage de Diokoul Kaw dans la commune Rufisque à Dakar, une centaine de jeunes Sénégalais se préparaient pour un départ vers les îles Canaries. Le groupe attendait la pirogue au bord de la mer, à environ 2h du matin. La police sénégalaise a repéré le groupe et après des tirs en l’air pour disperser la foule, un agent de la gendarmerie a ouvert le feu sur la foule qui remontait vers les maisons. Malheureusementune balle a atteint par derrière un jeune garçon qui est finalement mort sur le coup. Jusqu’à présent, ce dossier est sans suite.
    – Un groupe de 184 personnes a quitté le Sénégal le 20 août et a été intercepté par la Guardia Civil espagnole dans les eaux mauritaniennes, qui a ensuite effectué un refoulement. Le groupe a été mis dans les mains de la marine sénégalaise le 30 août et a subi de nombreuses maltraitances de la part des agents espagnols et sénégalais. En plus, 8 personnes sont sous enquête de la Division nationale de lutte contre le trafic (DNLT) et on les poursuit pour association de malfaiteurs, complicité de trafic de migrants par la voie maritime et mise en danger de la vie d’autrui.
    - Le 18 septembre à Cayar dans la région de Thiès, un groupe de personnes qui embarquait pour partir aux Canaries a été interpellé par la gendarmerie lors du départ. Mais l’arrestation a fini par des affrontements entre les gendarmes et la population. Comme d’habitude, les gendarmes sont arrivés encore plus tard dans la nuit pour rentrer dans les maisons pour attraper, frapper et puis encore amener les gens au poste de police.

    Ces exemples démontrent que la stratégie du gouvernment est de semer la peur avec la #violence pour intimider et dissuader la popluation de partir. Nous dénonçons cette politique que nous jugeons injuste, violante, barbare et autoritaire.

    Dans l’indignation devant la médiocrité de nos gouvernants, nous continuons à voir nos frères et sœurs mourir sur les routes migratoires. Aujourd’hui les départs du Sénégal font l’actualité des médias internationaux, mais les problèmes datent depuis des décennies, voir des siècles et prennent racine dans l’#exploitation_capitaliste des nos resources, la politique néo-coloniale et meurtrière de l’Union Européenne et l’incompétence de nos gouvernments.

    https://alarmphone.org/fr/2023/10/20/les-departs-du-senegal-vers-les-canaries

    #émigration #facteurs-push #push-factors #migrations #asile #réfugiés #intimidation #dissuasion #mourir_aux_frontières #décès #morts_aux_frontières #capitalisme

    ping @_kg_ @karine4

  • Company that used AI to revive voice of deceased Cyberpunk 2077 actor says it took “ethical” approach
    https://www.axios.com/2023/10/19/cyberpunk-2077-ai-voice-acting

    Driving the news: Respeecher’s work for Cyberpunk 2077 re-creates the voice of actor Miłogost “Miłek” Reczek, who performed the Polish voiceover for supporting character Viktor Vektor in the 2020 video game. Reczek died in 2021 prior to the recording of voice work for 2077’s expansion, released last month.

    #jeux_vidéo #jeu_vidéo #jeu_vidéo_cyberpunk_2077 #ia #intelligence_artificielle #synthèse #audio #voix #doublage #imitation #décès

  • La Polonia che imprigiona i migranti nei campi, ostaggio dei “geni della manipolazione”

    Il 15 ottobre, con le elezioni generali, i cittadini polacchi saranno chiamati a esprimersi su un referendum xenofobo indetto dal partito di estrema destra al potere. Rut Kurkiewicz, co-autrice del documentario “We are prisoners of the Polish State” e tra le poche voci indipendenti del Paese, racconta la situazione dei transitanti e rifugiati

    “Sei d’accordo con l’ammissione di migliaia di immigrati illegali dal Medio Oriente e dall’Africa, a seguito del meccanismo di ricollocamento forzato imposto dalla burocrazia europea?”. “Sei d’accordo con la rimozione delle barriere al confine tra Polonia e Bielorussia?”. Sono due dei quattro quesiti che figurano nel referendum indetto dal partito polacco di estrema destra Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, Pis), attualmente al potere. Si vota il 15 ottobre, stesso giorno delle elezioni governative.

    Rut Kurkiewicz, una delle poche voci indipendenti nel panorama dell’informazione polacca sulla situazione delle persone rifugiate e transitanti, chiama “geni della manipolazione” gli artefici di quelle domande, che trovano la loro ratio nello spostare l’attenzione su un nemico esterno piuttosto che sui temi che davvero dovrebbero trovare posto in una campagna elettorale.

    Dall’inizio della cosiddetta crisi dei rifugiati al confine tra Polonia e Bielorussia nell’estate del 2021, Kurkiewicz, con il suo lavoro giornalistico, racconta che cosa accade alle persone in movimento una volta entrate nel Paese. Nel 2022, insieme a Wojciech Szumowski, ha pubblicato “We are prisoners of the Polish State”, documentario riguardante la situazione dei centri di detenzione in Polonia. È stato trasmesso sulla prima televisione nazionale, raggiungendo almeno mezzo milione di persone.

    Kurkiewicz, quale è la situazione attuale delle persone in movimento tra Bielorussia e Polonia, a due anni dalla cosiddetta crisi del confine?
    RK Non è cambiato nulla. Ogni anno decine di migliaia di persone tentano di attraversare questo confine, in particolare nella stagione estiva. Non si sa quante riescano effettivamente a passare e quante siano respinte; la polizia di frontiera ogni giorno pubblica sui propri canali social il numero di persone intercettate, ma non si sa quanto questi dati siano affidabili. La cosa di cui siamo certi è che dal 2021 sono 50 le salme ritrovate al confine. Sono decine anche gli scomparsi. I gruppi di attivisti che operano su questo confine vengono contattati tutti i giorni dai familiari di persone di cui non si hanno più tracce. L’argomento sembra dimenticato, sia in Polonia sia fuori: ci sono tre gruppi di attivisti che intervengono come possono in forma volontaria ma nessuna grande organizzazione, nessun organismo europeo o internazionale.

    Che ruolo gioca la polizia di frontiera in tutto questo?
    RK Ogni giorno opera respingimenti, indipendentemente da chi si trova di fronte. Di recente gli attivisti hanno trovato un ragazzo somalo in condizioni critiche, respirava con difficoltà, sembrava essere disidratato. I volontari hanno chiamato l’ambulanza. Al suo posto è arrivata la polizia di frontiera, hanno messo il ragazzo su un autocarro militare, gli hanno detto di sorridere e nel frattempo lo hanno ripreso: il video è sui social della polizia di frontiera, si vede evidentemente che il ragazzo sta male. Probabilmente poi è stato respinto, perché non si trova nei registri dei centri di detenzione. La famiglia ha perso i contatti con lui.

    Dal febbraio 2022 milioni di ucraini in fuga dalla guerra hanno attraversato il vicino confine tra Ucraina e Polonia. In questo caso la grande maggioranza è stata accolta, non riscontrando alcun ostacolo alla frontiera. Come mai questa differenza?
    RK Su entrambi i confini ci sono persone che scappano da guerre. Su uno, iracheni, afghani, siriani, sull’altro, ucraini. Ma gli standard sono stati opposti: da una parte respingimenti e violenze, dall’altra apertura e accoglienza. Esiste un razzismo istituzionalizzato alle frontiere e in questo caso è stato lampante. Chi era nero, anche sul confine ucraino-polacco, veniva fermato, i bianchi no. Questa differenza si è vista anche nella reazione dei cittadini polacchi: c’è stata un’enorme mobilitazione per ospitare le persone ucraine, tantissima gente comune ha aperto le porte di casa, è stato bello. Allo stesso tempo per le persone non ucraine nulla di questo. Nel mio giro di amici alcuni hanno ospitato persone ucraine per settimane. Una volta ho provato a chiedere loro di ospitare una persona irachena per due notti: non ho trovato nessuno. C’è paura, un razzismo profondo nelle nostre menti. Gli Stati Uniti hanno fatto un grande lavoro dopo l’11 settembre: hanno vinto, adesso tutta l’Europa è razzista.

    Nel tuo ultimo documentario “We are prisoners of the Polish State” racconti della situazione carceraria a cui vengono costrette le persone una volta in Polonia. Quale è la situazione attuale?
    RK Adesso sono cinque i campi di detenzione in Polonia, all’interno dei quali si trovano circa 500 persone, a fine 2021 ce n’erano molte di più. Dopo i report di alcuni giornali e associazioni il campo più grande a Wędrzyn ha chiuso i battenti, era come l’inferno.

    Come mai le persone che vogliono fare domanda di asilo, una volta in Polonia, vengono rinchiuse nei centri detentivi?
    RK Quando le persone in movimento sorpassano “illegalmente” il confine, se vengono intercettate dalla polizia di frontiera polacca e non vengono respinte in Bielorussia, con buona probabilità vengono portate in un centro di detenzione. È paradossale: da una parte la Polonia non vuole persone migranti, dall’altra una volta che entrano non vuole che queste lascino il Paese, rinchiudendole in un centro. La situazione legale è poco chiara: alcune persone rimangono lì due anni, altre tre mesi, anche se provengono dallo stesso Paese, anche se hanno una storia simile. Non si capisce quale sia la logica.

    Il 5 settembre, nel campo di detenzione di Prezmy, le persone detenute hanno cominciato uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni di prigionia. Pensi che questo cambierà qualcosa?
    RK Speriamo. È un evento unico, ci sono stati altri scioperi della fame, ma questa è la prima volta che quasi tutte le persone all’interno del campo partecipano. Sono 100 detenuti in sciopero della fame. Protestano contro il trattamento disumano delle guardie del centro. Queste utilizzano taser per far rispettare l’ordine, identificano i detenuti con dei numeri e non con nomi e cognomi. Nel campo non si possono utilizzare social network, impedendo così ai detenuti di avere contatti con famiglie e amici. Il cibo e gli oggetti per l’igiene sono centellinati. Qualche settimana fa nel centro è morto un ragazzo siriano di 27 anni. La polizia ha inizialmente nascosto quanto accaduto, ma adesso il caso è già in corte. Era ammalato, ha più volte chiesto l’intervento di un dottore. Lo hanno picchiato per porre fine alle sue richieste. Alla fine, è morto nel campo di detenzione, senza l’intervento di nessuno. La polizia nei campi si sente al di sopra delle leggi nazionali e internazionali. A Prezmy stanno protestando per tutto questo.

    Il tuo documentario sui centri di detenzione è stato trasmesso in prima serata sulla prima televisione polacca. Sono state organizzate proiezioni in altri Paesi dell’Unione europea, quale è l’impatto che questo tuo importante lavoro sta avendo sull’opinione pubblica?
    RK Difficile da dire. Il vantaggio di un documentario che va in televisione, rispetto agli articoli o ai report sui giornali, è che raggiunge un pubblico più vasto: l’hanno visto in 500mila. Capitava che alcune persone mi fermavano per le strade, nei negozi, dicendomi: “Non sapevamo che stesse accadendo questo, è terribile”. Concretamente però non è cambiato nulla, le guardie di polizia dei centri detentivi continuano ad agire nello stesso modo. Voglio però credere che il nostro lavoro abbia cambiato le menti di qualcuno. I polacchi non potranno dire: “Non lo sapevamo”. Adesso sanno dell’esistenza di questa enorme oppressione.

    https://altreconomia.it/la-polonia-che-imprigiona-i-migranti-nei-campi-ostaggio-dei-geni-della-

    #militarisation_des_frontières #frontières
    #Pologne #référendum #xénophobie #racisme #migrations #barrières_frontalières #murs #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #décès #réfugiés_ukrainiens #catégorisation #tri #Prezmy #détention_administrative #rétention #emprisonnement #camps_de_réfugiés

    –—

    sur le film, voir aussi:
    https://seenthis.net/messages/1018549

  • 21.05.2018 : 82 migrants blocked in Slovenia, one drowns in river

    Slovenian authorities have stopped 82 migrants who entered the country irregularly, while yet another drowning took place in the river along the country’s border with Croatia. Meanwhile, authorities in Bosnia have highlighted some priorities for fighting the flow of irregular migrants into the country.

    Slovenian police last week blocked 82 migrants who entered the country illegally, while on Tuesday, a new case of drowning was recorded in the Kupa River along the border with Croatia, marking the fifth this year. Local media sources said police arrested two migrants after they crossed the river to enter Slovenia, while a third didn’t make it and drowned. The nationalities of the migrants were not specified.

    The migrants who were stopped over the weekend were from Afghanistan, Pakistan, Morocco, Algeria, India, Libya, and Egypt. All of the migrants applied for international protection and are being housed in a migrant reception centre. Another three migrants were found on a Bulgarian truck at the Bregana crossing between Croatia and Slovenia.

    Bosnia plans new measures to fight migrant flows

    The “Action Group for the Fight Against Illegal Migration and the Trafficking of Persons”, convened by Attorney General Gordana Tadic, established three priorities for police forces: protection of the borders of Bosnia and Herzegovina, an improvement in related legislation, and regulations with neighboring countries on the question of readmission of refugees. Another goal of the action group meeting was to establish means of intervention to prevent future crises such as the one that took place last Friday, when police in the Mostar Canton stopped a convoy of buses with migrants from Sarajevo aboard, who were headed to a reception centre in Mostar.

    Meanwhile, Bosnia and Herzegovina Security Minister Dragan Mektic said strengthening police presence along the borders with Serbia and Montenegro has produced visible results and significantly reduced the number of illegal migrants who have entered Bosnia.


    https://www.infomigrants.net/en/post/9419/82-migrants-blocked-in-slovenia-one-drowns-in-river
    #migrations #asile #réfugiés #décès #mourir_aux_frontières #frontières #morts_aux_frontières #Slovénie #Croatie #frontière_sud-alpine #Kolpa #Kupa #rivière #rivière_Kolpa

    #Rosalnica

    • AYS DAILY DIGEST 25/05/2018: Another absurd deal to stop people from coming to the EU

      Slovenia

      Slovenian police issued a statement saying that number of people who are arriving to this country incresed this year. According to the official data, until the end of April this year, Slovenian Police apprehended 1,226 persons for irregular border-crossing. It signifies increase of 280 percent in comaprison to the same period last year.

      Slovenian authorities said they stopped 82 people entering the country last week, with one person drowning in the Kupa River along the border with Croatia.

      A rise in asylum applications has also been reported, with 798 registered in the four months of 2018, compared to 1,476 in the entire year 2017.

      As reported, the Government Office for the Support and Integration of Migrants, is working on a new contingency plan for responding to the higher number of arrivals, while the Migration Office is in the process of enlisting more staff for the purpose of processing applications.

      https://medium.com/are-you-syrious/ays-daily-digest-25-05-2018-another-absurd-deal-to-stop-people-from-coming-t

  • #Mustafa_Fannane, ucciso dai Cpr

    Mustafa Fannane non è morto in carcere, ma dopo tre settimane dall’uscita da un #Centro_di_permanenza_per_rimpatri, uno di quei luoghi dove i migranti vengono trattenuti e reclusi senza aver commesso alcun reato, per scontare una detenzione amministrativa in quanto privi di permesso di soggiorno.

    Un’amica di Mustafa ci ha raccontato la sua storia.

    Lo ha conosciuto nell’estate del 2020 nel quartiere Torpignattara, a Roma. Era seduta su una panchina ad ascoltare musica e un ragazzo sconosciuto le si avvicinò con gentilezza chiedendole di poter sentire una canzone marocchina che gli piaceva tanto, intitolata Mamma non piangere. La canzone parla di un ragazzo che ha avuto sfortuna e non è riuscito a realizzare i propri sogni, a differenza dei suoi amici; in seguito alle proprie vicissitudini è rimasto solo, al freddo, senza nessuno che potesse aiutarlo o proteggerlo.

    Mustafa aveva trentotto anni, era in Italia dal 2007, arrivato come tanti in cerca di un futuro migliore, con un visto per motivi lavorativi. Era originario di Fquih Ben Salah, comune marocchino a meno di duecento chilometri da Casablanca e Marrakech, dove ancora abita la sua famiglia, che provava ad aiutare. Per anni ha lavorato, soprattutto come ambulante, alzandosi prestissimo al mattino. Nel 2014 ha perso il lavoro, e dopo poco, come conseguenza, la casa. Ha cominciato un percorso di progressiva marginalizzazione, è rimasto solo e si è visto negare il rinnovo del permesso di soggiorno. Nel 2015 è stato raggiunto da un decreto di espulsione. Nel 2019 ha trascorso tutti i sei mesi previsti dalla legge Salvini all’interno del Cpr di Roma. Durante l’estate 2020, nonostante le condizioni di salute precarie, il disagio psicologico ed economico, è stato nuovamente condotto nel Cpr di Torino, per poi uscire dopo novanta giorni. Secondo la ricostruzione di DinamoPress, in quelle settimane Mustafa diviene vittima di una vera e propria campagna di espulsione dal quartiere romano in cui viveva, caldeggiata da partiti e difensori del decoro vari, come il Movimento 5 stelle, Fratelli d’Italia e il giornale Il Tempo.

    Il 31 agosto viene nuovamente arrestato: il quotidiano on-line Roma Today racconta di un marocchino classe ’84 accusato di aver minacciato un passante con un coltello per avere il suo cellulare. Mustafa viene portato ancora una volta in Cpr, a Ponte Galeria. Viene ritenuto idoneo al trattenimento nonostante i numerosi segni di autolesionismo che ne evidenziano le condizioni problematiche e la tendenza a cercare pratiche estreme e suicidarie. Chi è fuori non ha sue notizie per un po’, la stessa amica con cui parliamo scoprirà dopo un mese, grazie a una telefonata di Mustafa, della sua detenzione.

    A metà novembre il volto di Mustafa inizia a gonfiarsi e il suo spirito a divenire apatico. Le cartelle cliniche del Cpr evidenziano un peggioramento delle condizioni fisiche e dei parametri vitali (frequenza cardiaca e pressione arteriosa). Alla sua amica dice: «Non sono ingrassato, sono ancora uguale a prima. Eppure quando mi vedrai non mi riconoscerai!». Il 28 novembre viene rilasciato. Il 2 dicembre quattro testimoni dichiareranno che era molto gonfio, probabilmente imbottito di psicofarmaci, in particolare una delle caviglie era gonfissima. A distanza di tre settimane dall’uscita dal Cpr Mustafa viene rinvenuto privo di conoscenza per strada e troverà poco dopo la morte, in ospedale, per arresto cardiocircolatorio. La polizia lo manda in obitorio come “paziente ignoto” cosa che complica anche il riconoscimento della salma, effettuato successivamente dai parenti contattati dall’amica del giovane. Un procedimento viene aperto dal procuratore aggiuntivo e un’autopsia viene disposta.

    Tuttavia, molti aspetti di questa vicenda non sono stati ancora chiariti, neppure nella documentazione consegnata ai legali. Persino le dimissioni dalla struttura non sono state registrate, né viene indicata con sufficiente chiarezza la gestione del piano terapeutico a base di Diazepam, uno psicofarmaco il cui uso è praticamente di routine, ormai, all’interno dei Cpr (lo testimonia bene l’inchiesta Rinchiusi e sedati. L’abuso di psicofarmaci nei Cpr italiani, di Luca Rondi e Lorenzo Figoni).

    L’avvocatessa nominata dal fratello di Moustafà, e naturalmente tutta la sua famiglia, e le persone che gli volevano bene, chiedono ora che siano accertati i fatti e le responsabilità per il mancato intervento a soccorso di una persona che non era in alcun modo nelle condizioni di poter affrontare quell’assurda detenzione che chiamano Cpr.

    Il 7 settembre, il governo Meloni ha allungato, nell’ambito del decreto legge cosiddetto “per il Sud”, fino a diciotto mesi il periodo in cui è possibile trattenere persone all’interno dei Cpr, e ha aumentato i posti disponibili per il loro trattenimento in questo tipo di strutture. (luna casarotti, yairaiha ets)

    https://napolimonitor.it/un-gruppo-di-supporto-per-i-familiari-dei-detenuti-morti-in-carcere-mu

    #CPR #détention_administrative #rétention #décès #migrations #réfugiés #sans-papiers #mourir_en_détention_administrative #Italie

  • Migration : « Inscrivons l’obligation d’identification des défunts anonymes dans le droit européen »

    La recherche d’identité des migrants morts en mer ou sur le territoire européen doit être systématisée afin de permettre aux familles de retrouver leurs proches disparus, plaident quatre professionnels de la médecine légale et des droits humains, dans une tribune au « Monde ».

    Le 9 août, quarante et une personnes ont été portées disparues au large des côtes de Lampedusa (Italie). Les témoignages des quatre survivants nous permettent de savoir que l’embarcation était partie des côtes tunisiennes avec quarante-cinq passagers, dont trois enfants. Cette énième tragédie vient s’ajouter à la longue liste des drames survenus en mer ces dernières années. Elle survient près de dix ans après le naufrage du 3 octobre 2013, là encore au large de Lampedusa, l’une des plus grandes tragédies maritimes du XXIe siècle.

    Dans la nuit du 13 au 14 juin, le naufrage d’une embarcation au large des côtes grecques a entraîné la disparition de plusieurs centaines de personnes. En raison de l’absence de renflouage de l’épave et d’examens médico-légaux, l’identité des hommes, femmes et enfants disparus dans cette tragédie ne sera pas formellement établie.

    Cette absence de collecte de #données_post_mortem ainsi que l’absence d’activation de #procédures de collecte de #données_ante_mortem des proches des #disparus soulèvent de nombreuses questions éthiques et juridiques. Elles entravent en effet la possibilité pour les proches des défunts de faire leur #deuil en l’#absence de #corps, ou d’engager les démarches administratives habituelles en cas de décès, démarches qui nécessitent précisément un #certificat_de_décès.

    Au cours des décennies 2000 et 2010, les #disparitions_anonymes au sein et aux portes de l’Europe ont significativement augmenté. Ce phénomène est intimement lié à la dangerosité croissante des migrations transfrontalières, et notamment des traversées par voies maritimes. Au-delà des disparus en mer, dont l’identité précise demeure bien souvent inconnue, il faut reconnaître la hausse des disparitions anonymes sur le territoire européen. Nous observons l’arrivée croissante, dans nos services médico-légaux de Paris et de Milan, de corps sans aucun élément d’identité et pour lesquels la prise en charge ne fait pas l’objet d’un protocole. Si ce #protocole existe pour les victimes de catastrophe, il est rarement appliqué aux morts du quotidien.

    Transformer l’émotion en action

    Une telle réalité s’inscrit dans un contexte plus général où les sciences médico-légales ont fait des progrès significatifs, notamment en ce qui concerne le prélèvement, le croisement et l’archivage des données morphologiques, biométriques et génétiques. La mise en œuvre d’efforts concertés à l’échelle européenne permettrait d’appliquer le #cadre_législatif qui donnerait une chance à ces #corps_anonymes d’être un jour identifiés.

    En inscrivant dans le #droit européen une obligation étatique d’identification des #défunts_anonymes, imposant la collecte de données scientifiques ante mortem auprès des proches (photographies, radiographies, matériel clinique et génétique) et la comparaison avec les données post mortem recueillies lors d’#autopsies complètes sur les corps anonymes, il nous serait ainsi possible de mettre en place et de consolider des #bases_de_données biométriques contenant les caractéristiques et #profils_génétiques afin de maximiser les chances d’identifier les corps anonymes.

    En réponse à l’onde de choc suscitée par le naufrage du 18 avril 2015, l’Italie avait pris l’initiative de renflouer l’épave du chalutier située à 400 mètres de profondeur, afin de permettre à des travaux d’identification des quelque mille victimes d’être engagés. Cette initiative n’a pas été reconduite lors des naufrages successifs et, dans un silence relatif, nos sociétés se sont habituées à ce que des hommes, des femmes et des enfants puissent disparaître sans laisser de trace et sans que leurs proches soient dûment informés.

    Alors que nous nous préparons à commémorer les 10 ans de la tragédie du 3 octobre 2013, il nous semble nécessaire de transformer l’émotion en action. Nous appelons à un engagement collectif pour mettre en œuvre les efforts nécessaires afin d’accélérer et de garantir la recherche d’identité des défunts anonymes, rendant ainsi à leurs familles les proches disparus qu’elles recherchent encore. Cela ne peut se faire sans un nouvel effort législatif à l’échelle de l’Europe.

    #Charles_Autheman, consultant international spécialisé dans les droits humains ; #Cristina_Cattaneo, professeure titulaire en médecine légale à l’institut Labanof, université de Milan ; #Tania_Delabarde, anthropologue légiste, Institut médico-légal de Paris ; #Bertrand_Ludes, professeur de médecine légale, directeur de l’Institut médico-légal de Paris

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/08/30/migration-inscrivons-l-obligation-d-identification-des-defunts-anonymes-dans

    #décès #morts #mourir_aux_frontières #identification #biométrie

  • Bodies of 18 people found in #Dadia forest that is on fire

    August 22, 2023

    The charred bodies of at least 18 people have been found in Dadia forest that has been on fire since Monday afternoon, the Fire Service announced on Tuesday.

    The bodies were found in two spots of the dense forest near the village of #Avantas in #Evros, north-eastern Greece.

    Fire Service inspectors and a coroner are heading to the area, news247.gr reported.

    “The bodies were found near some huts and as there are no alerts of missing people in the area, it is possible that they were irregular migrants, who entered the country illegally,” fire Service spokesman Giannis Artopoios announced.

    He added that the Civil Protection sent evacuation messages in time on time, when the fire broke out on Monday.

    Avantas is one of the dozens of villages and settlements that were evacuated in the area.

    Monday night, the charred body of a man was found also in Dadia forest with authorities suspecting that it belonged to a migrant.

    Some news websites claimed that the number of bodies found in Dadias were 26.

    Police and military forces in Evros are on the highest level of alert to intercept even the slightest attempt by irregular immigrants to cross into Greece, website newsit.gr noted.

    https://www.keeptalkinggreece.com/2023/08/22/bodies-18-people-fire-dadias-forest
    #forêt #incendie #feu #migrations #asile #réfugiés #Grèce #morts #décès

    –-

    see as well:
    2 groups of ~250 people in total stranded on different islets of the #Evros river ! (22.08.2023)
    https://seenthis.net/messages/1014292

    • 18 migrants killed in wildfires raging across Greece, officials say

      Eighteen people, believed by fire officials to be migrants or refugees, were found dead in Greece’s Dadia Forest after a raging wildfire swept for the fourth day through the northeastern Greek region near the Turkish border that serves as a major crossing point for refugees and migrants.

      The charred remains of the 18 people were recovered Tuesday near a shack close to a national park in Alexandroupolis, a city in Greece’s Evros region. Evros, which shares a land border with Turkey, is seen as a “no man’s land,” where bodies of migrants trying to cross into the European Union are found every year.

      “With great sadness, we learned of the death of at least 18 immigrants from the fire in the forest of Dadia,” Dimitris Kairidis, Greece’s migration minister, said in a statement Tuesday. “This tragedy confirms, once again, the dangers of irregular immigration.”

      Kairidis added that he denounced the “murderous activity of criminal traffickers” which is “what endangers the lives of many migrants both on land and at sea every day.”

      Two other people were killed in this week’s fires — an 80-year-old shepherd and an apparent migrant — bringing the death toll in Greece to at least 20.

      While migration numbers into Greece from Turkey have dropped in recent years as a result of strict border controls and deals with Ankara, Greece remains a front-line country for migration to Europe. The Eastern Mediterranean route — which includes arrivals by land and sea — has seen more than 17,000 people trying to cross this year, mostly from Syria, the Palestinian territories, Afghanistan, Somalia and Iraq.

      Earlier Tuesday, the Hellenic Fire Service said that because there were no reports of missing people from surrounding areas, “the possibility that these are people who entered the country illegally is being investigated.”

      In early August, Greek officials met to coordinate migration policy after more than 100 migrants — mostly from Syria and Iraq, including 53 children — were found crossing the border in Evros, the Associated Press reported. Last week, Greece’s coast guard stopped nearly 100 migrants in inflatable boats crossing through the Aegean Sea from Turkey — with such crossings increasing in recent weeks, officials said.

      Sixty-three wildfires broke out in Greece within 24 hours, the fire service said Monday. The agency added that it sent out more than 100 evacuation messages for the broad area since Monday, amid windy, dry conditions as Southern European temperatures hit 40 degrees Celsius (104 Fahrenheit).

      On Tuesday, the Ministry for Climate Crisis and Civil Protection issued a “very high fire risk” alert for several areas.

      Authorities have been evacuating affected villages as the wildfires spread. Flames threatened to engulf a hospital in Alexandroupolis, prompting officials to evacuate all of its patients — including newborns and those in intensive care units — onto a ferry that became a makeshift hospital on Tuesday, Reuters reported. Nuns from a monastery were also evacuated, local media reported.

      Satellite images recorded massive plumes of smoke streaming from the affected areas.

      Theodore Giannaros, a fire meteorologist and associate researcher at the National Observatory of Athens, called the 18 deaths a “true tragedy.” Nearly 99,000 acres have been burned in the past three days.

      “These facts clearly stress … that we need to change our whole approach for managing wildfires in Greece,” he said, calling for an integrated and interdisciplinary fire management approach and better collaboration between authorities and the scientific community.

      Fire officials and researchers have raised alarm bells at the region’s lack of preparedness for wildfires — which are increasing in intensity, length and geographic breadth alongside summer heat waves.

      Neighboring Turkey and Spain’s island of Tenerife have also dealt with wildfires this week.

      The E.U. mobilized more resources Tuesday to help Greece’s firefighting battle. In the last two days, the E.U. has deployed seven airplanes, one helicopter, 114 firefighters and 19 vehicles, the E.U. commission said in a statement.

      Greece is seeing “an unprecedented scale of wildfire devastation this summer,” European Commissioner for Crisis Management Janez Lenarcic, said in a statement Tuesday.

      https://www.washingtonpost.com/world/2023/08/22/greece-wildfires-bodies-heat-europe

    • Elliniki Lysi MP for Evros P. Papadakis also made similar statements live to local outlet e-evros, where he clearly blames people on the move for the #Evros #wildfires:
      [from 1.06] ’I said it and will say it again, we’re at war, the mountains are full and everywhere, at all sites [of fire], there’ve been interfered with. Arrests have been made by ordinary citizens but also by the police at all (fire) fronts … we have war, they have come here in coordination, and they have put, the illegal immigrants specifically, fires at more than ten locations. At all mountains and where there are fires, there are illegal immigrants. They know this very well the police, the fire brigade and the volunteers who are very many.

      https://www.youtube.com/watch?v=MbwC1D1Nq2c


      https://twitter.com/lk2015r/status/1694421902985515295

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      The MP with the extreme-right party Greek Solution, P. Papadakis, invites people on Facebook to “take measures” & “be alert to do what we do best” against “illegal migrants” who, he alleges, “hinder the work of pilots”.
      In another post he states that “illegals” were “starting fires”. “It’s a war” he says, and urges: “declare an emergency”!
      The comments are a cesspool of pure, unadulterated racist hatred.

      These are the depths to which parts of Greek society have sank -and the @kmitsotakis govt has everything to do with it.

      https://twitter.com/ninarei/status/1694096863094288864

    • 19 refugees dead in the devastating fires and escalation of racist violence in Evros, Greece

      While the situation seems to be out of control with fires burning across a large part of Greece, from Evros region to Parnitha in Attica, the tragic human toll currently includes 19 confirmed dead refugees on Evros.

      One refugee was found charred on Monday 21/8 in Lefkimi, Evros, where he was reportedly trapped and died from the fumes. Another 18 refugees, including two children, died yesterday, Tuesday 22/8 in the Dadia forest, where they were also found charred by firefighters.

      At the same time, the fires have destroyed and threaten vast forest and residential areas, many of which have been evacuated. The evacuation of the Alexandroupolis hospital at dawn on Tuesday is characteristic: 65 impatiens, including babies and intubated patients, were transferred to a passenger ferry boat that served as a floating hospital and to the port of Alexandroupolis, in tents. Νursing homes in the city were also evacuated.

      The lack of effective fire protection, prevention and response to the fires is blatant, also due to the severe understaffing – also blatant is the overall inadequacy of the state mechanism. The fires, which burn huge green areas and now also residential areas every year, are a predestined tragedy, to the extent that no effective protection and response policies are implemented.

      At a time when at least 19 refugees are dead, instead of the State assuming its responsibilities, we unfortunately see its representatives obfuscating reality, and in some cases, accepting, if not fomenting, racist discourse and practices. Characteristic is the statement of the Minister of Migration and Asylum Dimitris Kairidis on the deaths that “this tragedy confirms, once again, the dangers of irregular migration”, as well as the respective statement by the Minister of Climate Crisis and Civil Protection, Vassilis Kikilias. At the same time, an attempt is unfolding to collectively incriminate refugees in part of the media, referring to alleged arson and fires emerging on the paths they follow.

      To top it off, we see an escalation of racist violence in Evros, targeting refugees and migrants as allegedly responsible for the fires: yesterday, on Tuesday, a video was released in which a civilian has 13 refugees imprisoned in his truck – he referred to 25 people – and calls for a pogrom against them. After the extent of the incident, he was arrested along with two alleged accomplices without, however, any official information on the fate of the kidnapped refugees. At the same time, many other reports and videos speak of vigilante “militias” and “bounty hunters”, citizens that are called to swoop in against refugees and migrants. Further, members of the parliament appear to foment such practices through their public statements, which include racist language and a “call to action” to citizens in the area.

      This escalation of racist discourse and practices is extremely worrying and cannot be tolerated! The murderous persecution of refugees at the borders and racist “pogroms” must stop now, their victims must be protected, existing incidents must be thoroughly investigated and the perpetrators must be punished, taking into account a potential racist motive. The State must assume its responsibilities and act immediately to identify and rescue people who may be in danger in the region, both from these practices and from the devastating fires. Furthermore, as regards the dead, all the relevant protocols must be followed to identify them, inform their relatives and bury their remains, with respect for the dead and their rights.

      https://rsaegean.org/en/19-refugees-dead-fires-and-escalation-of-racist-violence
      #racisme #violence #violence_raciste

    • Greece: Suspected asylum seekers killed in Evros fires

      Eighteen bodies were found in two different locations in Dadia national park amid forest fires, the Evros fire department reported today.

      Fire fighters have found the charred remains of 18 suspected asylum seekers in the Dadia forest in Evros amid wildfires in Greece that have been raging for the past four days.

      Fire department spokesman Yiannis Artopoios confirmed in a televised address on Tuesday that the bodies were found in two different locations near the Turkish border, one of the most common migration entry points for Syrian and Asian migrants crossing the Evros River from Turkey.

      No local people have been reported missing, so the remains are thought to belong to asylum seekers.

      “We know very quickly if it’s a local or not, because [they] will be reported missing very fast,” forensics anthropologist Jan Bikker, who is working to identify the bodies, told MEE. “If they’re not reported, then most likely it’s an asylum seeker.”

      According to Bikker, Dadia is a common migration route, as it is densely forested, allowing migrants to hide from the Greek authorities who would likely push them back out to sea.

      “The safest way [for them] is through the forest. This is what people do after they cross over the river,” he told MEE.

      “A lot of migrant groups [that] travel [do] not even [travel] on the roads, but in the middle of the forest.”

      Amid soaring temperatures, these routes are also the sites of devastating forest fires.

      “There is always a possibility that someone could have died in one of those fires…and the bodies are never recovered," he said.

      “It’s very, very dangerous terrain…if they go missing, it’s very difficult to trace them."

      While Artopois said that emergency alerts were sent to all mobile phones in the area, according to Bikker, it is unlikely the group would have carried phones or had any signal if they did.

      “Often, they are not able to communicate with the outside world until they reach like a village where there is some internet signal,” he said.
      Struggling to breathe

      The NGO Alarm Phone had reportedly been in contact with two groups of 250 people stranded on different islets of the Evros River for days. Some of them sent videos of the approaching fires with pleas for help: “The fires are getting very close to us now. We need help as soon as possible!"

      “They fear for their lives as the wildfires approach & the air is unbreathable. Their cries for help have remained unanswered by authorities for days,” the NGO tweeted.

      Later, the NGO reported receiving another alert from a group near the town of Soufli. “They tell us one person struggles to breathe. They unable to move due to the nearby fires and worry they will die,” they tweeted.

      Greece has seen a devastating wave of wildfires since July, fuelled by high winds and soaring temperatures. The recent deaths have brought the overall toll to 20. Fifty-three new blazes broke out across the country on Monday.

      For Bikker, who works to trace long-term missing people in the region, the impact of wildfires on migrants is often overlooked.

      “People think of the locals, but it also [impacts] the migrants.” He added: “For many of the people who go missing, we will not find anything…because they get lost in the fires and the remains will never be recovered.”

      Since 2020, civil actors have reported a surge in disappearances and deaths of asylum seekers on the Greek islands.

      When they arrive on the islands, migrants are driven to hiding in forested or mountainous areas in order to evade pushback by the Greek authorities.

      https://www.middleeasteye.net/news/greece-suspected-asylum-seekers-killed-evros-fires

    • Deaths in Greece wildfires highlight the plight of asylum seekers

      Firefighters find 18 burned bodies in Dadia Forest, suspected to be asylum seekers, as wildfires ravage northern Greece.

      The discovery of 18 bodies in the Greek wildfires – thought to be asylum seekers – has prompted new discussion around the plight of those on the move in the country.

      Greek authorities found the remains of 18 people in the national forest of Dadia on Tuesday, in the northeastern Greek region of Evros where the blaze is still raging.

      The group, reportedly made up of two children and 16 adults, was likely trying to flee from the flames, according to the local coroner Pavlos Pavlidis, who said the children were between 10 and 15 years old.

      It was separately reported that the body of a man was found on Monday also presumed to be an asylum seeker.

      Locals have had to abandon homes and livelihoods to escape the fires as villages and even the main hospital in Alexandroupoli, the region’s capital, were evacuated.

      The Evros region shares a land border with Turkey and lies along a well-trodden route for asylum seekers crossing into Europe from Turkey.

      The area is highly monitored by Greek authorities and there have been ongoing reports of illegal and brutal pushbacks of asylum seekers, which authorities adamantly deny.

      Some people who used this route, which consists of swathes of forests, have previously described to Al Jazeera how they have hidden to avoid detection.

      Alarm Phone, an emergency hotline frequently contacted by people on the move in distress, told Al Jazeera they had been in contact with a number of groups of people in the region in recent days who described being threatened by the flames, but said were equally afraid of being pushed back over the border.

      Alarm Phone said the area was essentially a “no-man’s land” for asylum seekers.

      The Greek Ministry of Migration and Asylum expressed “great sadness” on the news of the deaths, but added that “despite the constant and persistent efforts of the Greek authorities to protect the borders and human life, this tragedy confirms, once again, the dangers of irregular immigration”, and denounced “the murderous activity of criminal traffickers”.

      The Civil Protection Ministry also expressed condolences, but added “the unfortunate foreigners, while they were forbidden to be in the forest … and despite multiple 112 messages to Greeks and foreigners in the area, did not leave”.

      It is not known if the group had working mobile phones, understood the language of the messages or knew it was forbidden to be in the forest.

      Two Greeks and one Albanian were arrested on Tuesday after posting a video online of a group of people presumed to be asylum seekers locked in a trailer.

      In the video, the man accused migrants of having started the fires but offered no evidence and none has emerged that this is the case.
      Conspiracy theories

      The Border Violence Monitoring Network (BVMN), a coalition of more than 14 organisations, in a statement with Lena Karamanidou, a noted researcher on Evros, pointed to far-right galvanisation around conspiracy theories that migrants were responsible for the fires.

      They said that figures such as Kyriakos Velopoulos, a member of parliament and leader of the far-right party Hellenic Solution had shared the video of the people locked in the trailer.

      “Yet again, a tragic situation has been manipulated to blame people on the move themselves for their own deaths, and to strengthen links between migration and criminality that has led to the proliferation of mobilised right-wing groups in the region,” the BVMN said, criticising the response of some Greek authorities.

      “Greece’s intense focus on migration has come at the cost of its land and its citizens, with tens of millions of euros poured into high-tech Closed Controlled Access Centres and the Automated Border Surveillance Systems used to ‘prevent entry’ of 2,170 undocumented persons between the 14th and 17th of August, and arrest 29 alleged human traffickers,” they said.

      “Yet, there were few fire-preparedness measures taken for the wildfires that everyone knew were coming, and that have destroyed Greece’s natural landscape and razed homes and livelihoods to the ground,” BVMN added.

      Eftychia Georgiadi, International Rescue Committee’s head of programmes in Greece, told Al Jazeera it was “devastating that at least 18 people have needlessly lost their lives”.

      “Nobody should be forced to seek shelter in the forest and left without adequate protection,” Georgiadi said.

      She said – once confirmed – the deaths “demonstrate the deadly consequences of the EU’s failure to agree on a humane, sustainable asylum system”.

      “This lack of coordinated action leaves people exposed to grave dangers at every step of their journeys in search of protection in Europe,” Georgiadi said, adding it was vital “the EU and its member states uphold the fundamental right to apply for asylum, and create more safe routes so that fewer people are left with no option but to risk their lives on such dangerous journeys”.
      ‘Invisible’

      Alarm Phone told Al Jazeera that asylum seekers moving through the region had become “invisible”, and sent a list of the groups they had lost contact with in recent days as well as a catalogue of reports of pushbacks and violence in the area.

      “Nobody implied that foreigners set the fires on Rhodes one month ago,” they said, “state mechanisms – not just Greek – did everything to evacuate tourists”, and highlighted the difference between how international media focussed heavily on tourists impacted by the fires on Rhodes earlier this summer compared to the muted response now.

      The group told Al Jazeera that climate change added an extra layer of violence to the lives and treatment of those on the move.

      “The comparison between how foreigners are treated during disasters in Greece shows that the right to life is arbitrarily determined based on racist and colonial socioeconomic standards.”

      https://www.aljazeera.com/news/2023/8/24/deaths-in-greece-wildfires-highlight-the-plight-of-asylum-seekers
      #invisibilité #droit_à_la_vie #touristes #tourisme

    • Update : originally it was reported that 18 died, but now 8 more dead have been added.

      “The first 18 #migrants were found dead near a landslide in the Avanda area , as the Fire Service spokesman said, while the second group was found in the Lefkimmi area”

      https://twitter.com/EleniKonstanto/status/1693983836298776988

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      Φρίκη : 18 οι απανθρακωμένοι μετανάστες μέσα στο δάσος της Δαδιάς - Εγκλωβίστηκαν από τη φωτιά

      18 πτώματα εντοπίστηκαν μέσα στο δάσος της Δαδιάς - Οι μετανάστες βρήκαν φριχτό θάνατο

      Τραγωδία στο Δάσος της Δαδιά. Οπως αναφέρουν οι πληροφορίες, η μεγάλη φωτιά στον Εβρο έχει προκαλέσει τον θάνατο 18 μεταναστών, που εγκλωβίστηκαν μέσα στο δάσος της Διαδιάς. Και υπάρχουν φόβοι ότι ενδεχομένως ο αριθμός θα αυξηθεί. Πάντως η πληροφορορία που μετέδωσε ο Σκάι ότι βρέθηκαν και άλλοι 8 μετανάστες νεκροί στη Λευκίμμη δεν επιβεβαιώθηκε.

      Μέχρι στιγμής έχουν εντοπιστεί 18 πτώματα.

      Σύμφωνα με τα όσα έχουν διαρρεύσει από πηγές της Πυροσβεστικής, μονάδες πυροσβεστών που επιχειρούν στην περιοχή, βρέθηκαν ξαφνικά μπροστά σε ένα αποτρόπαιο θέαμα. Δεκάδες απανθρακωμένα πτώματα μεταναστών, που εγκλωβίστηκαν στην φωτιά μέσα στο δάσος. Τις πληροφορίες επιβεβαιώσε σε έκτακτη ανακοίνωση που έκανε ο εκπρόσωπος της Πυροσβεστικής κ. Αρτοποιός, σημειώνοντας ότι γίνονται ενέργειες μέσω Διεθνών οργανισμών βοήθειας, για την αναγνώριση των θυμάτων.

      Οι 18 μετανάστες βρέθηκαν νεκροί κοντά σε παράπηγμα στην περιοχή του Αβαντα, όπως είπε ο εκπρόσωπος τύπου της Πυροσβεστικής Υπηρεσίας.

      « Στην πυρκαγιά της Αλεξανδρούπολης, σε επιτόπιο έλεγχο από στελέχη της Πυροσβεστικής στην ευρύτερη περιοχή του Άβαντα εντοπίστηκαν οι σωροί 18 ατόμων πλησίον παραπήγματος. Με δεδομένο ότι από τις γύρω περιοχές δεν έχει υπάρξει καμία δήλωση εξαφάνισης ή αγνοουμένων κατοίκων διερευνάται το ενδεχόμενο να πρόκειται για ανθρώπους που εισήλθαν παράτυπα στη χώρα.

      Υπενθυμίζεται ότι από χθες είχαν σταλεί μηνύματα 112 εκκένωσης της ευρύτερης περιοχής. Σημειώνεται ότι, τα μηνύματα μεταδίδονται και σε κινητά από ξένα δίκτυα που βρίσκονται στην περιοχή. Ήδη από το αρχηγείο της ελληνικής αστυνομίας έχει ενεργοποιηθεί η ομάδας αναγνώρισης θυμάτων καταστροφών. Οι έρευνες σε όλο το μήκος της περιοχής που εκδηλώθηκε και βρίσκεται σε εξέλιξη η πυρκαγιά, συνεχίζονται ».

      https://www.thetoc.gr/koinwnia/best-of-internet/plirofories-gia-dekades-apanthrakomenous-metanastes-mesa-sto-dasos-tis-dadias

    • Greece: Evros wildfire dead are victims of ‘two great injustices of our times’

      Reacting to the deaths of 19 people, likely migrants and refugees, on 21 and 22 August in fires affecting the Evros region, Northern Greece, Adriana Tidona, migration researcher at Amnesty International said:

      “The 19 people killed by wildfires in northern Greece appear to be victims of two great injustices of our times. On the one hand, catastrophic climate change, which governments are failing to address and is worsening the scale of wildfires worldwide as rising temperatures lead to longer and more destructive fire seasons. On the other hand, the lack of access to safe and legal routes for some people on the move, and the persistence of migration management policies predicated on racialized exclusion and deadly deterrence, including racist border violence.

      “Though the identities of the people killed by the fires are not known, it seems likely that they were migrants and refugees who had recently crossed the border into Greece. Because of the lack of access to safe and legal routes for people trying to reach Europe, migrants and refugees increasingly use the land borders in the Evros region to cross irregularly from Turkey into Greece. Authorities there have systematically responded with unlawful forced returns at the border, denial of the right to seek asylum and violence.

      “The fires have fuelled racist rhetoric and abuses against migrants and refugees. On his Facebook account, Paraschos Christou Papadakis, an ultra-nationalist Greek MP, racist language to claim that fires had been started by migrants and refugees. A private individual was arrested, after he abducted a group of migrants and refugees in his vehicle and incited others to do the same, uploading a video of his actions online.

      “Alarm Phone, an NGO, has reported that hundreds of refugees and migrants are stranded in different areas of Evros while fires blaze in the region. Amnesty International calls on the Greek authorities to urgently evacuate all those stranded in the Evros region and who are unable to move safely due to fires and to ensure that refugees and migrants who have entered into Greece irregularly can seek asylum and are not illegally forcibly returned at the border. The Greek authorities must publicly condemn and investigate any act of racist violence or speech or incitement to such behaviours, including on the part of politicians.”

      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2023/08/greece-evros-wildfire-dead-are-victims-of-two-great-injustices-of-our-times
      #injustice #climat #changement_climatique #exclusion #exclusion_raciale

    • Reçu via la mailing-letter Migreurop, de Eirini Markidi, 23.08.2023

      https://hellas.postsen.com/local/475765/Fire-in-Evros--Locked-immigrants-in-a-truck-trailer-and-calls-for-a-

      He kidnapped and forcibly locked migrants and refugees in a truck, spewing his racist venom on live broadcast

      Unthinkable situations unfold in streets of Alexandroupolis. While he rages for the fourth day the fiery fronta man broadcast and even to live broadcast video on social media, in which it has been locked immigrants and refugees in truck trailers and in his racist delusion, he mentions that he has “25 tracks inside the trailer”.

      This is a resident of the area, who essentially forcibly kidnaps refugees and immigrants in a truck, spreading the his racist poison. In fact, he calls others to organize and follow these inhumane practices, because as he says about the refugees “they will burn us.”

      Characteristically, in his racist delirium he states “We are sleeping! A ride from Chili to Scopo Volis I have loaded 25 pieces I have here in the trailer. Open up a little. 25 pieces. Open the wire a little. They will burn us…, they will burn us. Oops, see? 215 pieces. It’s filled the whole mountain, guys. The whole mountain is full. They are sworn, they are sworn to burn us. Full of holly. Full of holly, everywhere, that’s what I’m telling you guys. Get organized, let’s all go out and collect them. They will burn us, that’s all I’m telling you.”

      In fact, some of the comments under the video, which are full of racism and hatred, make a sad impression. Indicatively, some users wrote to him “Turn off the camera and give pain”“Kapstous”, “At sea with the trailer”, cleaning Apostoli etc.

      video (without subs): https://youtu.be/LxMugRHvXP0

      https://www.reuters.com/world/europe/greece-detains-man-calling-migrants-be-rounded-up-police-2023-08-23

      August 23, 2023

      THENS, Aug 23 (Reuters) - Greek police said they had detained a man who held migrants in a trailer and called on citizens to “go out and round up” migrants he accuses of setting wildfires in Greece.

      The man was detained after a video posted on social media showed a jeep pulling a trailer along a dirt road in northern Greece, and he can be heard asking another person to open its doors. Two migrant men can be seen crammed inside the trailer.

      “Get organised, let’s all go out and round them up. They will burn us...,” the man, who police said is a foreign national, can be heard saying in Greek in the video.

      In a statement late on Tuesday, police said the man, who owns the vehicle, had illegally detained 13 Syrian and Pakistani migrants. Two Greek nationals who allegedly helped him were also arrested.

      The three were expected to appear before a prosecutor on Wednesday, after which it will be decided if they are formally arrested and charged.

      A police official, speaking on condition of anonymity, said the 13 migrants had also been detained for entering the country illegally.

      The semi-official state news agency ANA said a Supreme Court prosecutor has ordered an investigation into the video. In a document published by ANA, the prosecutor is quoted as saying: “Phenomena of racist violence against immigrants are worrying.”

      She described the video as “a racist delirium of violence, accusing immigrants of ’burning us’ and inciting others to racist pogroms, calling on them to organise and imitate him”.

      Major wildfires have broken out in Greece in recent days, with the biggest front in the northern region of Evros bordering Turkey, from where migrants typically cross into Greece via the river separating the two countries.

      The burned bodies of 18 people, believed to be migrants, were found in a rural area in the region on Tuesday.

      Reporting by Karolina Tagaris and Lefteris Papadimas, editing by Mark Heinrich

    • Reçu via la mailing-list Migreurop, de Vicky Skoumbi, 25.08.2023

      Le comble de l’horreur : les 13 migrants kidnappés par trois hommes faisant partie d’un réseau constitué de chasseurs de migrants non seulement ont subi l’expérience atroce et traumatisante étant traité comme des animaux, retenus à 13 dans un cagot pour chiens, mais ils n’ont pas été vraiment libérés par la police mais arrêtés. Ils sont accusés d’avoir fabriqué des mécanismes incendiaires et doivent maintenant faire face à des charges très lourdes, le tout sur la foi des témoignages de leurs …kidnappeurs ! Les charges contre ces 13 personnes migrantes sont très lourdes : tentative d’incendie criminel mettant en danger la vie d’autrui, fabrication et possession d’explosifs et entrée illégale au territoire L’avocat de l’homme qui a monté la vidéo où il se vantait d’avoir attrapé « 25 pièces » lors de sa patrouille, soutient que son client les avait surpris à essayer de mettre le feu par des mécanismes incendiaires artisanaux aux abords du tissu urbain et que lui-même et ses deux complices étaient désarmés, tandis que les 13 migrants –les 25 proies de la chasse au "clandestin" étaient finalement 13 syriens et pakistanais- avaient des armes blanches.

      Comment trois individus désarmés arrivent à capturer et à enfermer dans une remorque 13 personnes armées de couteaux, c’est sans doute une question qui n’a pas trop préoccupé le juge d’instruction. Car, c’est bien sur la foi de ce témoignage incroyable et qui plus est, en flagrante contradiction avec la vidéo que l’homme qui les avait capturés avait tournée et de ses complices, que les 13 migrants voient leur cauchemar continuer et même s’aggraver. Enfin, quel intérêt auraient ces personnes migrantes qui se tiennent au loin d’endroits habités, en tentant de passer inaperçues au risque d’être piégées par le feu, de s’exposer à la proximité d’une ville pour y mettre le feu avec un mécanisme incendiaire ?

      Tout cela arrive à un moment où des députés locaux, dont un de la Nouvelle Démocratie au pouvoir actuellement, appellent la population à se défendre contre les étrangers incendiaires, tandis que des chefs locaux de milices paramilitaires constituées des honnêtes gens rassemblent des foules qu’ils haranguent afin qu’elles prennent la situation en main, et ceci au vu et au su de tous.

      Il est évident que les 13 victimes de ce pogrom ont besoin en toute urgence de notre soutien et surtout d’une assistance juridique à la hauteur des risques qu’ils encourent, avec des charges si lourdes, Y-aurait-il des avocats ou des ONG –HIAS, GCR etc- en mesure de fournir une aide immédiate et efficace à ces 13 victimes de violences et de traitements inhumains qui doivent maintenant se défendre devant un tribunal grec ?

      Ci-dessous les sources d’information en anglais

      https://www.efsyn.gr/ellada/koinonia/401767_katigoroyn-toys-13-gia-emprismo-me-martyres-toys-apagogeis-toys

      They accuse the "13" [migrants, victims of kidnapping] of arson, with their captors as witnesses

      24.08.23 16:02

      efsyn. gr

      The public prosecutor of Alexandroupolis decided to impeach the uninvited sheriffs who locked 13 refugees and immigrants in a cart. According to today’s proposal from the Prosecutor, the indictment attributed to them concerns incitement to commit crimes, violence or discord with racial motives in combination with robbery with racial motives together and complicity and exposure to danger, while the foreign owner of the vehicle that appears in a video pulling the trailer is also charged with violating the law on personal data.

      As far as the 13 immigrants and refugees are concerned, they are charged with attempted arson endangering human life, manufacturing and possession of explosives and illegal entry. But it is a referral that raises reasonable questions, as according to information the charge against them arose from the testimonies of their alleged captors. Therefore, the question arises as to how reliable the accusation of attempted arson is when the arrest of the alleged arsonists was not made by the police authorities themselves, but by those who launched the pogrom against the refugees who have an interest in establishing the case of arson to make their trial a more favorable position. Even according to the statement of the lawyer of the 45-year-old Albanian who speaks in the shameful video, the immigrants were holding knives in their hands, while he was not armed, yet he managed to trap them inside the closed cart. How is it possible for three unarmed men to capture 13 armed and dangerous arsonists ?

      Even more surprising is the fact that the three men claimed that they called the police to hand over the alleged arsonists around 5.30 pm and that they finally handed over the 13 men a few minutes later when the police arrived at the scene, to whom they also handed over the alleged incendiary device. Consequently, there is also a significant time gap between the statements that talk about the police being called at the time of the "arrest" of the immigrants at 17.30 and the arrest of the three men which took place late at night after the reactions that caused the release of the video. According to the police, the 13 immigrants were found in the 45-year-old’s cart at the moment they arrested him, so how did they surrender to them at 5:30 p.m.?

      https://english.elpais.com/international/2023-08-24/no-guns-no-knives-civilian-militias-hunting-migrants-on-greek-border

      ‘No guns, no knives :’ Civilian militias ‘hunting’ migrants on Greek border amid devastating wildfires

      The Supreme Court has ordered an investigation into what it terms an ‘alarming phenomena of violence’ against immigrants and incitement to ‘racist pogroms’

      ANDRÉS MOURENZALOLA HIERRO

      Istanbul / Madrid - AUG 24, 2023 - 12:47 CEST

      The Greek province of Evros, where at least 18 migrants were found burned to death Tuesday in a wave of wildfires ravaging the country, was already a hell on earth for those fleeing their countries in search of a better life in Europe. For more than a decade, countless cases of abuses and violations of the most basic rights against people attempting to cross the territory — where the homonymous river serves as a natural border between Greece and Turkey — have been reported. Beatings, forced deportations, rapes, and illegal detentions have been recorded by human rights organizations. But if the situation for people attempting to reach EU territory was already dangerous, now it has become considerably worse : since the most recent fire broke out last Saturday, groups of local residents have organized themselves into militias to hunt down migrants. It is not the first time such practices have been witnessed, but tensions have been stoked further by the popular belief that they are to blame for the fires.

      The chief prosecutor of the Greek Supreme Court, Georgia Adilini, on Wednesday ordered a double investigation to look for possible evidence of “an organized plan” to provoke the fire — although the police later stated that it had been caused by lightning — and to discover more details about the “alarming phenomena of violence” against migrants and incitements to “racist pogroms.”

      These investigations have arisen following a video shared on social networks on Tuesday in which a man triumphantly displays the result of what he considers his hunting booty. The man, who is also the alleged author of the recording, opens the hatch of a trailer attached to a van to display an undetermined number of captured men looking confusedly at the camera. Their captor refers to these people as “pieces,” claims there are 25 of them and that he has “hunted them down” because they are responsible for the fires. “The mountains are full of these,” he adds.

      “Part of the population thinks that the fires are the fault of the migrants and that’s why they chase them,” explains Lefteris Papayannakis, director of the Greek Institute for Refugees, in an interview with EL PAÍS. “They function as a militia ; they arrest them on their own account and use violence against them.”

      The owner of the vehicle and suspected author of the video, a resident of the province of Albanian origin, and two other people of Greek nationality were arrested Wednesday. But Vassilis Kerasiotis, director of the NGO HIAS Greece and a lawyer specializing in migration, says that these militias are far from a one-off phenomenon and are organized with absolute impunity because the authorities prefer to look the other way. “There is tolerance on the part of the authorities, that’s why they feel they can freely publicize these criminal acts,” he adds. “Obviously, when a criminal act occurs, the authorities must react. That’s why they have arrested them,” he insists.

      “It’s frightening how openly accepted hostility against migrants is in a certain part of society,” says a spokesman for Alarm Phone, an organization dedicated to receiving messages from migrants in distress throughout the Mediterranean area and passing them on to the relevant authorities.

      Appeals to chase and capture migrants are spread through messages on social networks such as Facebook, X or TikTok. The video of the Albanian citizen showing the result of his “hunt” was uploaded to a channel on the Viber messaging network, with 240 members. Another recording released Wednesday shows a man dressed in military attire instructing several dozen residents of Evros to organize another pogrom. “Whoever can, start patrolling [...] But I’m going to ask you, no guns, no knives, or you’re going to get in trouble. It’s illegal. You will be arrested,” he says.

      Before the video of the illegally detained migrants appeared, Paris Papadakis, deputy of the far-right Greek Solution party for the province of Evros, published another inflammatory tirade in which he accused the migrants of “obstructing the work of firefighters” and of starting the blaze.

      Several left-wing MPs have called for Papadakis to be investigated by the Greek Parliament’s Ethics Committee. In his publication, the far-right MP described the situation as a “war” and called on his fellow citizens to organize raids to “arrest” illegal migrants “in the same way as in March 2020,” during the Greek-Turkish border crisis, when the government of Ankara facilitated the arrival of tens of thousands of migrants on the frontier with Evros. At that time, some locals organized themselves into militias to assist the police and the Greek Army in their defense of the border.

      Hiding for fear of deportations

      Evros was the main entry route to Greece and Europe until 2015 and 2016, when migrants started using boats to reach Aegean islands such as Chios or Lesbos. However, the transit of refugees has never stopped. So far in 2023, around 3,700 migrants have entered Greece via the land route, compared to some 6,000 in total in 2022, according to the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR). It is possible that the numbers of those who have made it into Greek territory via Evros is in fact much higher. “More than 250,000 illegal entries were prevented at the Evros border during 2022,” the Ministry of Citizen Protection said in a statement. Some of that number probably crossed the border but were illegally deported by the Greek authorities, a very common practice in the area despite the fact that it violates both Hellenic and European laws. Various NGOs and human rights organizations have collected testimonies and evidence of about 400 such incidents during the last six years, in which some 20,000 migrants were illegally deported, in most cases with violent methods and having been stripped of their money and belongings.

      Between Tuesday and Wednesday, Alarm Phone passed on alerts about four groups comprising hundreds people trapped in the area affected by the wildfires : three of them on islets in the river and another in a wooded area near the town of Sufi. “The fact that in the face of a fire people are hiding in the forest instead of trying to get to safety gives an idea of the need they feel to hide for fear of deportations,” Vassilis points out.

      The Alarm Phone spokesman explains that the authorities contacted them and assured them that they had not found anyone at the indicated points. The organization also adds that on Wednesday, contact was lost with two of the four groups and that only the two larger ones, stranded on islets, remained in contact : one, of about 250 people, had been surrounded by the police. Another, of about 100 people trapped on an islet near the town of Lagina, was rounded up by officers and taken to a detention center. “We cannot say much more about the situation [of the groups], but previously, when the authorities claim they cannot find them, what they do is to attack the migrants and return them illegally to Turkey. It’s an excuse they often use,” says Vassilis.

      Groups of civilians hunting for migrants is yet another threat that adds to the already treacherous conditions they face when crossing the border. The route involves a militarized zone where no one is permitted to enter, not even humanitarian aid organizations. They use the dense forests to hide for indeterminate periods of time during which they have no access to food, sanitation, or any other basic necessity. “There is no assistance there. It is almost impossible to help them when they are in hiding. Sometimes they take food with them, sometimes they go somewhere nearby to look for it,” says Lefteris Papayannakis of the Greek Refugee Institute. “We know that sometimes the Turks give them food while forcing them to cross, or give them access to power to charge their phones.”

      Papayannakis adds that road accidents involving vehicles carrying migrants are frequent. “They are trafficked in cabs or vans to the cities. It is illegal, so sometimes the traffickers go very fast, in the wrong direction... We know of people who have died or been seriously injured because they were involved in an accident.”

      For his part, the Minister of Climate Crisis and Civil Protection, Vassilis Kikilias, has attributed the death of migrants to not having followed the evacuation orders that are sent automatically, in Greek and English, to all cellphones in the affected area : “In Evros there have been 15 fire outbreaks at the same time, which have joined together to form a huge fire,” read one. Satellite images show an immense area in flames, with a front reaching 20 kilometers (12.5 miles) and advancing “uncontrollably” in several directions. The dense smoke from this large fire, together with that of other fronts in Greece, has reached the islands of Sicily and Malta, more than a 1,000 kilometers (620 miles) away, and now covers 80% of Greek territory. Kerasiotis, of HIAS, takes a different view of the tragedy : “The cause of these 18 deaths is a combination of the absence of legal and safe entry procedures on Greek and European territory, together with the fact that potential asylum seekers are afraid of being illegally returned to Turkey.”

    • NGO umbrella group condemns self-proclaimed ‘militia’ groups

      An umbrella group comprising 55 non-governmental organizations and civil society bodies across Greece has condemned recent incidents involving civilian self-proclaimed “militia” groups engaging in unlawful acts of violence against refugees and migrants.

      In an “alarming incident” in the Evros region, “citizens appeared to threaten and illegally detain a group of migrants and refugees inside a trailer, while using racist and derogatory language and inciting similar acts of violence,” the Racist Violence Recording Network said, in statement issued through the UNHCR in Greece.

      “The incident came to light through a relevant video and subsequent articles, which triggered numerous racist comments. These events coincide with the tragic news of discovering dead people, reportedly refugees and migrants, in the Evros region due to the fires.”

      The network said it was pleased to note “that the authorities have included the investigation of racist motive” under the relevant article of the Penal Code.

      The network also expresses “serious concern regarding the deteriorating climate against refugees and migrants in the political and public discourse, which is even expressed by representatives of parties in the Greek Parliament, in light of the aforementioned incidents.”

      “Such phenomena normalize, encourage, and ultimately escalate racist reactions, firstly in the media and social media, that sometimes result in attacks on the street, with the clear risk of irreparably disrupting social cohesion,” it said.

      Coordinated by the Greek National Commission for Human Rights and UNHCR in Greece, the network comprises 55 non-governmental organizations and civil society bodies, as well as the Greek Ombudsman and the Migrant Integration Council of the Municipality of Athens as observers.

      https://www.ekathimerini.com/news/1218541/ngo-umbrella-group-condemns-self-proclaimed-militia-groups

      #milice #milices

    • En Grèce, les feux attisent des propos et des actes racistes

      A la frontière gréco-turque, les migrants sont tenus pour responsables des incendies qui brûlent la forêt depuis six jours par des groupes d’habitants, qui s’organisent pour les chasser.

      Avec plus de 73 000 hectares brûlés en six jours, les incendies autour d’#Alexandroupoli, ville frontalière avec la Turquie, dans le nord-est de la Grèce, sont les feux les plus dévastateurs jamais enregistrés dans l’Union européenne. Devant des paysages de désolation, la tristesse laisse place depuis deux jours à la rage, voire à la haine envers des boucs émissaires tout trouvés, des migrants, désignés comme responsables des départs de feux par des groupes d’extrême droite agissant dans la région.

      Mercredi 23 août, 19 personnes (dont deux enfants, selon le médecin légiste), très probablement des migrants, selon les autorités, qui avaient traversé le fleuve Evros séparant la Grèce et la Turquie, ont été retrouvées mortes. Quelques heures après cette annonce, des rumeurs alimentées par des groupuscules d’extrême droite circulaient sur les réseaux sociaux : des migrants auraient été à l’origine des feux, il ne s’agirait pas d’un hasard si les incendies ont lieu sur la route empruntée par les exilés. S’ensuit une vidéo diffusée sur Facebook par un homme qui montre un groupe de migrants enfermés dans la remorque de son véhicule. « J’ai chargé 25 morceaux », dit-il fièrement. « Ils vont nous brûler !(…) Organisez-vous tous pour les ramasser ! » , ajoute-t-il.

      Sous la publication, un internaute commente : « Jette-les dans le feu ! » Les propos, repris par les médias grecs, ont choqué le pays et le ministre de la protection du citoyen, Yannis Oikonomou, a réagi : « La Grèce est un Etat de droit, doté de solides acquis démocratiques et d’une tradition humanitaire. Faire justice par soi-même ne peut être toléré. » Le propriétaire de la voiture et deux de ses complices ont été interpellés et ont été inculpés pour « enlèvement à caractère raciste et mise en danger de la vie d’autrui ». Treize demandeurs d’asile, syriens et pakistanais, sont eux aussi détenus, accusés d’être entrés illégalement sur le territoire grec et d’avoir été non intentionnellement à l’origine de départs de feux. Tous doivent être présentés devant la justice vendredi.

      Depuis mardi, plusieurs groupes d’hommes de la région frontalière de l’Evros, s’organisent pour patrouiller et débusquer ceux qu’ils appellent les « clandestins ». Dans une vidéo, diffusée par le média en ligne The Press Project, un homme en treillis militaire s’adresse à la foule : « Commencez à patrouiller, prenez toutes les informations nécessaires… Mais s’il vous plaît, pas d’armes, pas de couteaux sur vous, vous allez avoir des problèmes ! Les autorités ne nous laissent pas faire, même si nous faisons face à une guerre hybride ! »

      « Le climat est effrayant ! »

      Thanassis Mananas, un journaliste local, le confirme : « Autour d’Alexandroupoli, des patrouilles de civils s’organisent pour attraper des migrants (…).Ils échangent sur des groupes Viber ou WhatsApp et appellent clairement à des actes violents. Plusieurs centaines de personnes se regroupent et le climat est effrayant ! », confie le jeune homme.

      Les appels à la haine sont relayés par des députés d’extrême droite, notamment ceux du petit parti Solution grecque, qui a recueilli 8,8 % dans le nome de l’Evros aux élections législatives, en juin. Paraschou Papadakis, un avocat originaire d’Alexandroupoli et député de ce parti, est bien connu dans la région. « J’ai des informations sérieuses sur des clandestins qui dérangent le travail des pilotes [des Canadair]. Il faut passer à l’action ! (…) Nous avons une guerre, Messieurs ! », écrit-il sur son compte Facebook. Le député s’adresse aux membres de l’Ainisio Delta, l’association des propriétaires de cabanes de la région du delta de l’Evros, qui, fin février-début mars 2020, avaient coopéré avec la police et l’armée pour empêcher le passage de milliers de migrants, incités par le président turc, Recep Tayyip Erdogan, à prendre le chemin de l’Europe.

      En février 2020, dans le village de Poros, le maire, Athanassios Pemoussis, confiait au Monde que « la démonstration de force » des agriculteurs qui avaient quadrillé le fleuve de l’Evros avec des tracteurs avait été efficace. Aujourd’hui, il assure que « les patrouilles n’ont plus lieu, mais que les arrivées de migrants ont repris de plus belle » .

      Lena Karamanidou, une chercheuse spécialisée sur la question migratoire, estime que « les feux ont été instrumentalisés par ces groupes d’extrême droite, mais les phénomènes de violence et de chasse aux migrants ne sont pas nouveaux » . En 2020, « ces hommes ont été valorisés, dépeints par les médias grecs comme des héros qui défendent les frontières de la Grèce et de l’Europe. Les hommes politiques, dont le premier ministre, leur ont rendu visite en les remerciant pour leur action et ils jouissent d’une grande impunité, puisqu’ils côtoient la police et les gardes-frontières quotidiennement ! » , explique-t-elle.

      Plusieurs ONG qui ont déjà dénoncé les refoulements illégaux de migrants à la frontière, accompagnés de vols, de violences et d’humiliations, s’inquiètent du sort des centaines d’exilés qui seraient actuellement bloqués à la frontière avec les feux. Adriana Tidona, chercheuse à Amnesty International, appelle « les autorités grecques à évacuer de toute urgence toutes les personnes bloquées dans la région d’Evros (…) , et à enquêter sur tout acte de violence raciste ou tout discours incitant à de tels comportements, y compris de la part d’hommes politiques ».

      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/08/25/en-grece-les-feux-attisent-des-propos-et-des-actes-racistes_6186488_3210.htm

    • Greek wildfires spur anti-migrant sentiment

      As Greece was hit by wave after wave of wildfires this week, asylum-seekers found themselves at the receiving end of several allegations they started fires, leading to an anti-migrant frenzy online.

      At least two news reports implicating migrants were soon denied.

      The verbal assault intensified after a group of 13 Pakistani and Syrian men were accused by locals of being caught red-handed trying to light a fire outside the city of Alexandroupoli, in the Evros region bordering Turkey.

      One of the locals on Tuesday posted a live Facebook video showing the migrants stacked in a trailer, boasting that he had caught them for trying to “burn us.”

      “Don’t show them... burn them,” another user commented on the feed.

      The 45-year-old man was arrested alongside two alleged accomplices, with authorities insisting that “vigilantism” will not be tolerated.

      The three detainees have been charged with inciting racist violence. The migrants were charged by a prosecutor in Alexandroupoli with illegal entry and attempted arson.

      But a government source told Kathimerini daily that the evidence so far suggested migrants could more likely be linked to accidental arson by making campfires, rather than premeditated.

      A picture of the alleged arson device posted on social media showed two car tyres crammed with styrofoam and wood.

      The 45-year-old caught for detaining the migrants — dubbed the “Evros sheriff” by Greek media — was placed under house arrest Friday.

      The man, who lives in the area after emigrating from Albania, claimed that he intervened after seeing the migrants attempting to light the device in bushes near a supermarket.

      Heightened fears in the area have also given rise to media misinformation.

      An Evros news portal on Tuesday said that 20 migrants had been arrested outside Alexandroupoli after exchanging gunfire with police.

      Authorities later denied this.

      Similarly, national TV station Open on Wednesday issued a correction after erroneously reporting that two migrants had been caught lighting a fire in the neighbouring region of Rodopi.

      Northern Greece has been engulfed in a mega fire that originally broke out Saturday and required over 14,000 evacuations, including at a local hospital.

      Lightning sparked the fire, according to Alexandroupoli’s mayor Giannis Zamboukis.

      By Thursday, the various fronts had merged into a line stretching over 15 kilometres (nine miles), burning over 60,000 hectares (148,000 acres) of agricultural land and forest.

      The area is just a few kilometres from the Turkish border. Migrant crossings aided by smugglers occur on a regular basis.

      In 2020, tens of thousands of migrants tried to break through this remote northeastern area, clashing for days with Greek security forces.

      Work on extending a 37.5-kilometre (23-mile) steel barrier to block the path is to be completed by the end of the year.

      After the first fires broke out Saturday near Alexandroupoli, pictures and videos have been posted on social media claiming to show makeshift arson devices created by migrants crossing the border with Turkey.
      ’They want to destroy us’

      Anti-migrant sentiment is strong in Greek border areas, where locals accuse asylum seekers of stealing and say reckless driving by smugglers poses a serious traffic risk.

      “I am absolutely convinced that the fires were caused by migrants,” Evros resident Christos Paschalakis told AFP.

      “They burn us, they steal from us, they kill us in road accidents,” he said.

      “I have no doubt that the forest fire was started by migrants,” said Vangelis Rallis, a 70-year-old retired logger from Dadia, a village near a key national park that also burned last year.

      “They burned it last year, and this year they returned to finish the job. They may have even been paid to do it. They want to destroy us,” he said.

      The issue also sparked political controversy this week after Kyriakos Velopoulos, the leader of nationalist party Greek Solution, joined the attacks on migrants and praised the man arrested for illegally detaining them.

      An MP for Velopoulos, Paris Papadakis, also called on locals to “take measures” as migrants were allegedly “obstructing” fire-fighting plane pilots.

      “We are at war,” Papadakis said in a Facebook post.

      In national elections in June, Velopoulos’ party and two other far-right groups posted their highest ratings in northern Greece.

      In the Evros region, Greek Solution scored nearly nine percent of the vote.
      Wildfire victims

      Of the 20 people killed in this week’s fires, it is believed 19 were migrants.

      One group of 18, including two children, was found Tuesday near a village 38 kilometres (24 miles) from the Turkish border.

      Another migrant was found dead in the area of Lefkimmi near the Turkish border a day earlier.
      Of the 20 people killed in this week’s fires, it is believed 19 were migrants

      The head of Evros’ border guards, Valandis Gialamas, told AFP he expects more bodies of migrants to be found, as crossings from Turkey have increased in recent days.

      Amnesty International on Wednesday called on Greece to “urgently evacuate all those stranded in the Evros region and who are unable to move safely due to fires, and to ensure that refugees and migrants who have entered into Greece irregularly can seek asylum and are not illegally forcibly returned at the border.”

      https://www.france24.com/en/live-news/20230825-greek-wildfires-spur-anti-migrant-sentiment

    • Reçu via la mailing-list Migreurop, de Vicky Skoumbi, 25.08.2023:

      Tandis que les trois auteurs de séquestration de 13 personnes migrantes sont libres de rentrer chez eux assignés à domicile par le procureur et le juge d’instruction, leurs victimes sont toujours en détention et doivent se présenter au juge d’instruction ce lundi
      Bref le signal à la société locale est claire: impunité de chasseurs de tête de migrants et pénalisation des victimes
      En même temps; Le parc National de Dadia, détruit en très grande partie par le feu, ne cesse de révéler de personnes migrantes et réfugiées qui ont trouvé une mort atroce dans leur effort de rester cachées pour éviter un refoulement vers la Turquie. Jusqu’aujourd’hui il y a au moins 20 personnes dont deux enfants qui ont connu ce sort; mais il devrait y avoir plus voire beaucoup plus qui ont été piégés par le feu dans la forêt

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      Charred body found in Dadia forest; number of migrants burned in Evros rises to 20: https://www.keeptalkinggreece.com/2023/08/25/migrants-burned-dadia-evros

      August 25, 2023

      Τhe body of one more person has been found charred in the forest of Dadia in Evros, north-eastern Greece. The fire victim was most possible a migrant, raising the number of migrants who lost their lives in the wildfires to 20.

      The body was found with burn injured in the area of Lefkimmi on late Thursday afternoon, at the point where the destructive and deadly fire in Evros passed through and where another migrant was found charred on on Monday, August 21, 2023.

      On Tuesday, August 22, the bodies of 18 migrants were found charred in the forest of Dadia. Among the dead were also two children.

      Speaking to Reuters news agency, coroner Pavlos Pavlidis said that one group of seven to eight bodies were found huddled together in what appeared to be a final embrace. Others were buried in the wreckage of a shelter destroyed by the flames.

      “They realized, at the last moment, that the end was coming, it was a desperate attempt to protect themselves,” Pavlidis said.

      DNA samples have been taken form the bodies in an effort to identify them and have an answer to relatives who may seek them.

      The fire in Dadia has been raging since beginning of the week.

      Spokesperson of the Fire Service, Giannis Artopoios, said on Friday that two suspects of arson are being sought, while investigation being carried out in depth.

    • “Free without restrictive conditions for the charges of attempted arson & possession of incendiary materials & incendiary device, 4 Pakistani nationals were released.” Racist motivated vigilante accusations against 13 #Evros #migrants are falling apart!

      https://twitter.com/EleniKonstanto/status/1695545622147858504

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      Ελεύθεροι οι 4 Πακιστανοί – Μόνο οι « σερίφηδες » είδαν εμπρηστικό μηχανισμό

      Αρκετές αντιφάσεις ως προς τον χειρισμό της υπόθεσης απ’ τις διωκτικές αρχές εντοπίζει ο έγκριτος νομικός Θανάσης Καμπαγιάννης. O ισχυρισμός περί « αυτοσχέδιου εμπρηστικού μηχανισμού » βασίζεται αποκλειστικά στον λόγο των τριών κατηγορουμένων για αρπαγή.

      Ελεύθεροι χωρίς περιοριστικούς όρους για τις κατηγορίες της απόπειρας εμπρησμού και κατοχής εμπρηστικών υλών και εμπρηστικού μηχανισμού, αφέθηκαν οι τέσσερις υπήκοοι Πακιστάν, έπειτα από πολύωρη διαδικασία, η οποία έλαβε τέλος με τη σύμφωνη γνώμη εισαγγελέα και ανακρίτριας.

      Όσον αφορά τους υπόλοιπους εννέα που βρέθηκαν στο « κλουβί » των αυτόκλητων σερίφηδων της περιοχής θα απολογηθούν τη Δευτέρα (28/08).

      Στο μεταξύ, σύμφωνα με πληροφορίες, η ανακρίτρια διέταξε ιατροδικαστική εξέταση για τους « 13 » καθώς φαίνεται πως έχουν τραύματα που τα προκάλεσε -όπως λένε- ο 45χρονος κατηγορούμενος για διέγερση και διάπραξη εγκλημάτων, βιαιοπραγίες και αρπαγή με ρατσιστικά κίνητρα από κοινού και κατά συναυτουργία, έκθεση σε κίνδυνο και για παράβαση της νομοθεσίας περί προσωπικών δεδομένων.

      Αντιφάσεις

      Για την υπόθεση που έχει ξυπνήσει τα δημοκρατικά αντανακλαστικά αρκετού κόσμου τοποθέτηθηκε ο γνωστός δικηγόρος Θανάσης Καμπαγιάννης, που επισημαίνει αρκετές αντιφάσεις ως προς τον χειρισμό της υπόθεσης απ’ τις διωκτικές αρχές.

      - Ένα απ’ τα σημεία που τονίζει είναι ότι τα θύματα αρπαγής δεν κλήθηκαν να καταθέσουν ως μάρτυρες στο πλαίσιο της προανάκρισης, ενώ δύο φαίνεται να κατέθεσαν στην ανακρίτρια.

      – Η μόνη περίπτωση που μέχρις στιγμής ακούστηκε η φωνή των προσφύγων είναι η έγγραφη δήλωση παράστασης υποστήριξης της κατηγορίας από πλευράς ενός 24χρονου Σύριου πρόσφυγα, με επιμέλεια των εξουσιοδοτημένων δικηγόρων του, Κατερίνας Γεωργιάδου και Γιάννη Πατζανακίδη, που μετέβησαν χτες στο κρατητήριο του Αστυνομικού Τμήματος Φερών και σήμερα στο Δικαστικό Μέγαρο Αλεξανδρούπολης, σημειώνει.

      - Ένα δεύτερο στοιχείο που υπογραμμίζει ο κ. Καμπαγιάννης είναι ότι ενώ ζητήθηκε η κατάσχεση των κινητών τηλεφώνων των τριών κατηγορούμενων δραστών για να διαπιστωθούν οι συνεννοήσεις και οι κινήσεις τους, ακόμα δεν έχει διαταχθεί η κατάσχεση.

      – Το τρίτο στοιχείο που υπογραμμίζει είναι ότι η η δίωξη στους μετανάστες για απόπειρα εμπρησμού βασίζεται αποκλειστικά και μόνο στις καταθέσεις των τριών δραστών της κακουργηματικής αρπαγή, με την επισήμανση ότι στην περίπτωση αυτή οι προανακριτικοί υπάλληλοι αστυνομικοί μερίμνησαν να λάβουν μαρτυρικές καταθέσεις.

      - Το τέταρτο στοιχείο είναι πως ο αστυνομικός που κατέθεσε στην προανάκριση, προσήλθε όταν οι 13 πρόσφυγες ήταν ήδη κλειδωμένοι στο κλουβί, οπότε ο ισχυρισμός περί “αυτοσχέδιου εμπρηστικού μηχανισμού” γύρω από τον οποίο βρέθηκαν οι 13 πρόσφυγες βασίζεται αποκλειστικά στον λόγο των τριών κατηγορουμένων για αρπαγή και σε καμία άλλη κατάθεση, στοιχείο ή έκθεση αυτοψίας.

      Στο σπίτι τους οι « σερίφηδες » κατόπιν διαφωνίας εισαγγελέα και ανακριτή

      Νωρίτερα, χθες, οι τρεις που είχαν συγκροτήσει τάγμα εφόδου σε παράνομο πογκρόμ μίσους και συμμετείχαν στην απαγωγή τουλάχιστον 25 μεταναστών, τους οποίους κλειδαμπάρωσαν σε τρέιλερ φορτηγού, εμφανίστηκαν στο δικαστικό μέγαρο Αλεξανδρούπολης για να απολογηθούν αλλά κατόπιν διαφωνίας μεταξύ εισαγγελέα και ανακριτή για το αν πρέπει να προφυλακιστούν αποφασίστηκε να τεθούν σε κατ’ οίκον περιορισμό.

      Για την τύχη τους θα αποφασίσει τώρα το δικαστικό συμβούλιο.

      Σύμφωνα με τα όσα δήλωσε μετά το πέρας της διαδικασίας ο Βασίλης Δεμίρης, συνήγορος του ιδιοκτήτη του οχήματος που εμφανίζεται σε βίντεο να έλκει το τρέιλερ, « τη διαφωνία αυτή καλείται να λύσει το Συμβούλιο Πλημμελειοδικών εντός πέντε ημερών όπως προβλέπει ο Κώδικας Ποινικής Δικονομίας. Μέχρι τότε έχει επιβληθεί ο όρος του κατ’ οίκον περιορισμού, της απαγόρευσης εξόδου από τη χώρα και της αφαίρεσης διαβατηρίου ».

      Αναφορικά με το επίμαχο βίντεο ο κ. Δεμίρης δήλωσε : « Υπήρχε ένα ατυχές βίντεο για τους χαρακτηρισμούς τους οποίους χρησιμοποίησε (σ.σ. ο εντολέας μου) δηλώνει δια στόματός μου πλήρως μετανοημένος. Όλη του η οργή όμως και η αγανάκτηση έχει εξαντληθεί σ’ αυτό το βίντεο. Δεν άσκησε ποτέ βία, δεν χρησιμοποίησε ποτέ οπλισμό, κάλεσε τις Αρχές ως όφειλε να κάνει και οι Αρχές έφτασαν στο σημείο. Θα αναμείνουμε με αγωνία την απόφασή του Συμβουλίου Πλημμελειοδικών. Εντός τριών ημερών θα πρέπει να γίνει η πρόταση και να εισαχθεί από τον εισαγγελέα πρωτοδικών προς το Συμβούλιο και εντός πέντε ημερών θα πρέπει να υπάρχει και το σχετικό βούλευμα του Συμβουλίου », ανέφερε.

      https://www.efsyn.gr/ellada/dikaiosyni/401935_eleytheroi-oi-4-pakistanoi-mono-oi-serifides-eidan-empristiko-mihanismo

    • Lena K. sur twitter :

      Just finished talking with family back home in #Evros. I’ll write down some of what I’ve heard, at least as an antidote to media coverage focusing on locals blaming border crossers for the fire etc. Note: family & their friends are mostly but not exclusively leftwing.

      They don’t seem to have fallen for the narrative of border crossers being responsible for the fire, & were angry with media & govt not counting them among the dead. Lots of disagreements with locals blaming borders crossers & discounting their deaths.

      The dominant view was that the worst was averted because of local people. Some participated in firefighting, but (especially in relation to the village we come from) what they did before & after the night the village partly burned - such as hosing water around houses to prevent fires restarting & clearing out unburned grass and weeds. There seems to be a belief that failure (mostly by the local authorities) to clear such vegetation (& also e.g. wheat stalks after fire) contributed to the fire spreading more quickly.

      Lots of anger towards the government & local authorities for this - not doing enough for fire prevention. Reports of firefighting equipment breaking down too, a perception of lack of coordination between Greek & EU firefighting forces who came to help.

      Lots of anger towards the government for not showing up when the fires were at their worst, too.
      The contrast with frequent visits by government officials before the fires (for whatever reason, not only the wall) is not unnoticed.

      I’d note on this that there’s a very deep-rooted (and justified) belief in Evros being largely neglected by Athens, the fires seem to reinforce it. Nationalism & anti-migration discourses have been used ’manage’ this (& IMO the far right has been useful) but did not eradicate it.

      https://twitter.com/lk2015r/status/1695780783288615323

    • Locked immigrants in a truck trailer and calls for a pogrom

      Les 13 migrants détenus à Evros ont été libérés et l’accusation d’incendie criminel a été complètement abandonnée.

      Les 9 immigrants, à savoir 8 Syriens et un Pakistanais, accusés de tentative d’incendie criminel à Evros, ont été libérés sans conditions restrictives. Selon dikastiko.gr, la décision a été prise avec l’accord de l’enquêteur et procureur d’Alexandroupolis, qui avaient déjà libéré vendredi 25 août les quatre Pakistanais accusés des mêmes charges. Comme l’a souligné dans son message l’avocat Thanasis Kabayannis, l’accusation de « tentative d’incendie criminel » a été totalement abandonnée. Il est rappelé que des poursuites pénales avaient été engagées contre les 13 migrants pour tentative d’incendie criminel à Alexandroupoli sur la base exclusive des témoignages des trois auteurs présumés de leur enlèvement, à savoir les shérifs « autoproclamés », qui ont « arrêté » et entassé les 13 réfugiés syriens et pakistanais dans une remorque fermée, les ont accusés de tentative d’incendie criminel. Les personnes migrantes ont déclaré qu’elles ont été violemment frappées avec une barre métallique par les chasseurs de tête de migrants.

      https://www.efsyn.gr/ellada/dikaiosyni/402168_eleytheroi-kai-oi-alloi-9-metanastes-ston-ebro-katepese-pliros-i-katigo

      Mais l’ ‘exploit’ des trois chasseurs de tête a fait des émules :

      Nouvel incident avec un shérif autoproclamé à Evros.

      Déchaînement de l’extrême droite à Evros avec des shérifs autoproclamés appelant toujours à des pogroms contre les migrants et mettant en ligne des vidéos fières de " leurs exploits’’. La réaction du représentant du gouvernement est assez molle. Réaction forte de SYRIZA-P.S.

      La nouvelle vidéo publiée sur les réseaux sociaux qui montre ouvertement l’action d’un autre "chasseur de têtes" ne peut susciter que la honte. À Aisimi Evros, le shérif autoproclamé et ses deux assistants auraient immobilisé quatre migrants terrifiés sur un chemin de terre, en rivalisant avec l’homme qui avait capturé 13 immigrés dans une remorque de camion, provoquant l’intervention de la Cour suprême. Dans la vidéo qui circule sur Internet, on entend le « gardien » d’extrême droite de la patrie dire : « Quatre de plus, quatre de plus, des investisseurs... Vous voyez ? A midi, où sont les autorités...où sont les autorités, où sont les autorités...Quatre autres investisseurs, on appelle la police, il n’y a pas de réseau … ». La vidéo a été « sauvée » par d’internautes, l’auteur lui-même parlant de diffamation, il a supprimé les messages de haine qu’il avait publiés. Il n’y a jusqu’à présent aucune réaction de la part de la police ou du parquet d’Evros.

      La réaction du représentant du gouvernement est molle. Lors du briefing habituel, le représentant du gouvernement a été interrogé sur le rôle de l’Etat et sur ce qu’il compte faire. Pavlos Marinakis a répondu simplement en disant : "dans tout acte illégal, comme cela s’est produit dans un cas précédent, il est de la responsabilité des autorités de faire leur travail et cela sera fait". Que disent-ils à SYRIZ-PS ? A Koumoundourou, le siège de Syriza, on se demande "que font les autorités compétentes et la justice face à ces réseaux qui veulent imposer la loi du Far West, qui capturent les gens et incitent à la haine ? Ils appellent les autorités et la justice à « intervenir de manière décisive ».

      Rappel : il y a quelques jours, les trois qui avaient formé une escouade d’assaut dans un pogrom haineux illégal et participé à l’enlèvement d’au moins 25 immigrés (des « morceaux » selon leurs dires), qu’ils ont enfermés dans une remorque de camion, se sont présentés au palais de justice d’Alexandroupoli, mais suite à un différend entre le procureur et le juge d’instruction sur leur éventuelle détention provisoire, il a été décidé de les assigner à résidence. Le conseil judiciaire qui va siéger cette semaine va désormais décider de leur sort.

      https://www.efsyn.gr/ellada/koinonia/402105_ta-kommatia-tora-eginan-ependyte

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      Déclaration des avocats de la défense des 8 réfugiés syriens

      (traduction par Vicky Skoumbi)

      Après une procédure très longue qui s’est terminé tard dans la nuit au palais de justice d’Alexandroupoli, le juge d’instruction et le procureur ont accepté la libération inconditionnelle des 8 réfugiés de nationalité syrienne et de l’un de nationalité pakistanaise, accusés de tentative d’incendie criminel, le seul élément étant le témoignage de l’auteur accusé de leur enlèvement et de leur séquestration dans une caravane le 22 août. Après la libération inconditionnelle des 4 accusés d’origine pakistanaise le vendredi 25 août, et étant donné que les 13 citoyens syriens et pakistanais n’ont pas de résidence connue dans le pays, on peut conclure que l’accusation portée contre eux a été jugée dépourvue de tout fondement. Les auteurs de l’enlèvement sont assignés à résidence, suite au désaccord entre le juge d’instruction et le procureur, et la décision finale sur leur détention provisoire sera prise par le Conseil Juridique.

      L’affaire n’est pas terminée.

      Les 13 réfugiés sont toujours détenus administrativement en raison de leur entrée illégale dans le pays. Étant donné qu’ils sont déjà victimes et témoins essentiels d’actes criminels poursuivis en vertu de l’article 82A du Code pénal pour le délit à caractère raciste, pour lequel une déclaration de soutien à l’accusation a été présentée, l’octroi d’un permis de séjour à tous les 13 pour raisons humanitaires doit être décidé immédiatement

      En plus de nos propres actions, les autorités policières et le Département des Violences Racistes de l’ELAS (police hellénique) doivent assurer leur séjour légal dans le pays.

      Nous tenons à remercier les milliers de citoyens qui ont exprimé leur solidarité avec les victimes et les centaines qui ont aidé à couvrir les frais de leur défense juridique. La possibilité de représenter les migrants signifiait l’exercice pratique de leur droit à la défense et la mise en évidence, de notre part, du caractère raciste organisé des « milices » autoproclamées opérant dans la région d’Evros. De nouvelles séquences vidéo diffusées aujourd’hui montrent que l’incident en question était tout sauf isolé.

      Alexandroupoli, 28/8/2023,

      Aikaterini Georgiadou, Ioannis Patzanakidis,

      avocats de la défense des 8 réfugiés syriens dans l’affaire de l’#enlèvement d’Evros.

      https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=pfbid02XULbKN47o1nCQEZE3VB8TiqDsJaa8NLwPFXo5jQ2Tk

    • To date, the tragic death toll from the #fires in #Evros #Greece has risen to 20 dead, all refugees. The fire is still burning in the area, for the 10th day, while the overall scale of the destruction is terrifying.

      https://twitter.com/rspaegean/status/1696076952874951005

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      Στους 20 οι νεκροί του Εβρου

      Πρωτοφανές και σε ευρωπαϊκό επίπεδο το μέγεθος της καμένης γης που έχει ήδη ξεπεράσει τα 700.000 στρέμματα.

      Στους 20 νεκρούς ανέρχεται ο τραγικός απολογισμός της φονικής πυρκαγιάς που κατακαίει τον Εβρο για περισσότερο από μία εβδομάδα και παραμένει το ενεργότερο μέτωπο στη χώρα. Είχε προηγηθεί ο εντοπισμός 18 μεταναστών που βρέθηκαν νεκροί κοντά σε παράπηγμα στην περιοχή του Αβαντα, ενώ στις 21 Αυγούστου είχε εντοπιστεί ο πρώτος νεκρός από τη φωτιά που μαίνεται στον Εβρο στην περιοχή της Λευκίμμης.

      Υπενθυμίζεται ότι ολική απανθράκωση είναι η αιτία θανάτου των μεταναστών που βρέθηκαν νεκροί στο δάσος λόγω της πυρκαγιάς, σύμφωνα με τον ιατροδικαστή Αλεξανδρούπολης Παύλο Παυλίδη. Συνεχίζουν να σοκάρουν τα στατιστικά στοιχεία που δείχνουν το μέγεθος της καταστροφής. Σύμφωνα με την ευρωπαϊκή υπηρεσία Copernicus για τις πυρκαγιές στον Εβρο μέχρι την 6η ημέρα από την έναρξή τους, έχει καεί το 17% της συνολικής έκτασης του νομού και το 45% του δασικού συμπλέγματος που εκτείνεται από τον κεντρικό έως τον νότιο Εβρο, στους δήμους Σουφλίου και Αλεξανδρούπολης.

      Η καμένη έκταση υπολογίζεται σε 723.440 στρέμματα και χαρακτηρίζεται « η μεγαλύτερη που έχει καταγραφεί σε ευρωπαϊκό έδαφος εδώ και χρόνια ». Η καταστροφή είναι τεράστια εάν αναλογιστεί κανείς ότι η έκταση του Εβρου είναι 4.242 τετραγωνικά χιλιόμετρα (ή 4.242.000 στρέμματα) και το δασικό σύμπλεγμα των δήμων Σουφλίου και Αλεξανδρούπολης είναι περίπου 1,6 εκατ. στρέμματα. Σε όλα αυτά πρέπει να προστεθεί και το κύριο πλήγμα που δέχτηκε το παραγωγικό μοντέλο της περιοχής με τις τεράστιες υποδομές σε αγροτικό και ζωικό κεφάλαιο.

      https://www.efsyn.gr/ellada/koinonia/401920_stoys-20-oi-nekroi-toy-ebroy

    • « Recherche de coupables », #milices organisées… En Grèce, les incendies réveillent la xénophobie

      Si les feux ravageant le pays depuis des jours sont un révélateur de l’inefficacité de l’Etat, ils exacerbent aussi le racisme qui se propage dans une partie de la société : la vidéo d’un passage un tabac de migrants par des sympathisants d’#extrême_droite fait polémique depuis ce lundi.

      D’un côté, il y a la Grèce qui affronte le « plus grand incendie jamais enregistré dans l’Union européenne », comme l’a déclaré ce mardi 29 août un représentant de la Commission européenne. De l’autre, il y a celle qui recherche des #boucs_émissaires.

      Depuis près de deux semaines, sous une #canicule asséchant encore un peu plus le pays après un des étés les plus chauds de ces dernières décennies, les flammes dévorent le nord du pays. Dans la région d’Alexandroúpoli, à la frontière avec la Turquie, elles ont provoqué l’évacuation de villages, d’une partie de l’hôpital… Elles ont carbonisé la forêt de Dadia, un parc du réseau européen Natura 2000 connu pour abriter de nombreux rapaces et déjà brûlé l’an dernier. A ce jour, plus de 81 000 hectares ont été réduits en cendres, soit une superficie plus grande que la ville de New York, selon l’agence Copernicus.

      Certes, les Vingt-Sept mobilisent actuellement près de la moitié des moyens aériens européens communs pour lutter contre les feux. Mais les onze avions et l’hélicoptère de la flotte européenne, ainsi que les 407 pompiers envoyés pour aider la Grèce, ne suffisent pas à éteindre un brasier qui s’étend sur un front de près de 10 kilomètres. D’après un porte-parole des pompiers, ces flammes sont « toujours hors de contrôle ».

      En parallèle du combat quasi désespéré des soldats du feu, la colère ne cesse de monter chez les Grecs. « Il y avait un manque de préparation des autorités », déplore Antonis Telopoulos, journaliste à Alexandroúpoli pour Efsyn (« le journal des rédacteurs »). Prévention insuffisante, entretien des forêts défaillant, moyens des pompiers manquants… Le constat revient depuis des années. Mais bien que le pays ait retrouvé des marges de manœuvre budgétaires depuis 2018, le gouvernement du Premier ministre, Kyriákos Mitsotákis, de droite conservatrice, n’a ni investi dans du matériel récent ni recruté des pompiers. Selon leurs syndicats, il y aurait au moins 4 000 postes vacants.

      « Un #discours_dominant inattendu et très dangereux de l’extrême droite »

      Il semble que l’incendie ait été déclenché par la foudre. La météo est la première raison invoquée par les autorités. Ce qui ne les empêche pas non plus de se lancer dans « la recherche des coupables », poursuit le journaliste d’Efsyn, ciblant « le récit mis en place par le Premier ministre » Mitsotákis.

      C’est le cas concernant le foyer ravageant la banlieue d’Athènes, notamment la ville d’#Asprópyrgos, où vit une communauté Rom dans un bidonville, stigmatisée par une grande partie de la population. « Ces derniers jours, nous avons été témoins, en Grèce, d’un discours dominant inattendu et très dangereux de l’extrême droite. Les médias, le gouvernement et l’administration locale accusent les migrants d’avoir allumé le feu en Evros et les #Roms d’être les responsables des incendies à Apsrópyrgos », analyse le chercheur Giorgos Katsambekis, sur Twitter (renommé X).

      Cette inquiétude trouve sa source dans de nombreux discours politiques. Le ministre de la Protection civile, Vassilis Kikilias, a visé des « pyromanes de bas étage » à la télévision, sans que personne ne lui demande de preuve de ce qu’il avançait. Puis il a ajouté : « Vous commettez un crime contre le pays, vous ne vous en tirerez pas comme ça, nous vous trouverons et vous devrez rendre des comptes. » Le président du parti d’extrême droite Solution grecque, Kyriákos Velópoulos, accuse les « immigrants illégaux » d’être à l’origine des incendies. La chasse aux coupables est officiellement lancée.

      Elle atteint son point culminant au fleuve Evros. Différents médias tel que Efsyn ou The Press Project ont révélé des vidéos où des habitants de la région s’organisent en milices, comme ils l’avaient déjà fait en mars 2020. Leur objectif ? Chasser les migrants. Paris Papadakis, député du parti d’extrême droite pour la région d’Evros, est allé jusqu’à déclarer « être en guerre ». Il a lui-même participé aux patrouilles, tout en débitant des horreurs : « Les migrants illégaux sont venus ici de manière coordonnée et les migrants illégaux ont spécifiquement mis le feu à plus de dix endroits. »

      18 migrants morts dans les flammes

      Des vidéos font le tour des réseaux sociaux. Elles montrent des migrants à terre, sans doute battus. Le gouvernement est-il, alors, dépassé par la situation ? Il n’a en tout cas pas condamné ces actes racistes et xénophobes pour l’instant. Toutefois, le procureur général de la Cour de cassation et son adjoint ont appelé à conduire une enquête sur ces phénomènes de milices organisées sur les réseaux sociaux et leur composante raciste.

      Plus de 20 personnes sont mortes dans les incendies depuis le début de l’été, dont 18 migrants pris dans les flammes à Evros. Dans la même région, trois migrants ont depuis été arrêtés, ainsi que trois miliciens qui les avaient capturés. Les trois premiers ont été relâchés lundi, sans preuve aucune de leur implication dans l’incendie.

      https://www.liberation.fr/international/europe/recherche-de-coupables-milices-organisees-en-grece-les-incendies-reveille
      #bouc_émissaire #responsabilité

    • Le Premier ministre grec à propos des migrants morts dans l’Evros avec les feux : « ils n’auraient jamais dû se trouver là dans la forêt et le msg du 112 (pour les évacuations) avait été envoyé » …

      https://twitter.com/News247gr/status/1697237541588447435

      –->

      Ο πρωθυπουργός, @PrimeministerGR για τους νεκρούς μετανάστες στη Δαδιά από το βήμα της Βουλής « Δεν έπρεπε ποτέ να βρίσκονται στο δάσος και με το μήνυμα από το 112 που εστάλη και στις δύο γλώσσες ».

      https://twitter.com/MarinaRafen/status/1697246231523905797

    • Grèce : des militants d’extrême droite arrêtent des migrants au nom de la lutte contre l’incendie

      Des hommes apeurés dans une remorque, ou humiliés à terre au pied d’un 4X4 : deux vidéos ont montré depuis le 23 août des arrestations de migrants par des militants d’extrême-droite dans la région grecque de l’Evros, frontalière de la Turquie. Ce genre d’arrestations n’est pas nouveau, mais n’a que rarement été documenté en images. Les agresseurs accusent les migrants d’être responsables de l’immense incendie dans la région, dans un contexte politique anti-migrants disent nos Observateurs.

      "Quatre autres... Vous voyez ? Il est midi et où sont les autorités ? [...] Nous contactons la police, mais il n’y a pas de réponse" s’énerve un homme qui filme cette vidéo publiée le 27 août et tournée dans la région de l’Evros, à une date inconnue. On y voit quatre migrants à terre, au pied d’un véhicule devant lequel se trouvent au moins deux autres hommes debout, manifestement complices de celui qui filme. Ce dernier se montre à la fin de la vidéo, vêtu d’un t-shirt noir et d’un pantalon à motif militaire. L’homme s’appelle Walandi Abrassis sur ses comptes sur les réseaux sociaux où il a directement diffusé sa vidéo.

      https://twitter.com/parameteoros/status/1695824660884070411

      Quelques jours plus tôt, une autre vidéo montrait une scène similaire : un homme filme son 4x4 puis ouvre la porte de la remorque qu’il y avait attachée, dans laquelle on voit au moins quatre hommes apeurés. "J’ai chargé 25 pièces dans la remorque. Organisez-vous, sortons tous et récupérons-les" dit-il, ajoutant : "Toute la montagne est pleine, les gars (…) Ils ont juré de nous brûler (…) Ils vont nous brûler, c’est tout ce que je vous dis", une référence claire à l’incendie, qui ravage le nord-est de la Grèce, considéré comme le plus important jamais enregistré dans l’Union européenne. Selon la presse locale, cette vidéo a été prise à Alexandroúpolis, à quelques kilomètres de la frontière turque, démarquée par le fleuve Evros.

      Les victimes, au total 13 hommes et non 25, ont affirmé au site The Press Project avoir été frappées avec des barres en métal : “Ils ont enlevé tous nos vêtements et nous ont filmés. Nous sommes restés là un long moment, en sueur et incapables de respirer" a déclaré l’un des 13 hommes arrêtés.

      https://twitter.com/EFSYNTAKTON/status/1694020764012359710

      L’auteur de cette deuxième vidéo a été placé en résidence surveillée dans l’attente d’une éventuelle inculpation.

      “Ces miliciens arrêtent des migrants mais comme ils ne peuvent pas les refouler, ils les remettent ensuite aux policiers”

      Panayote Dimitras est le porte-parole de l’Observatoire grec des accords d’Helsinki, une ONG de défense des droits de l’homme qui alerte notamment sur les refoulements de migrants par la Grèce, qu’ils soient fait par la police ou par des civils :

      Ce phénomène existe depuis des années, mais cette fois ils ont vraiment décidé d’eux-mêmes de présenter les vidéos de leurs actions. Cela illustre des choses dont des organisations comme la nôtre parlent de longue date, et cela a incité un procureur adjoint de la Cour suprême à charger un procureur local de s’en saisir. Ceci dit, rien n’a été fait face à tous les cas de refoulements illégaux vers la Turquie orchestrés par la Grèce, bien qu’ils aient été largement documentés, donc on peut douter que qui que ce soit, soit condamné ici. Mais toutes ces données enrichissent les dossiers qu’on peut présenter aux institutions internationales comme la Cour européenne des Droits de l’Homme, pour montrer comment ça se passe pour les migrants dans cette région.

      On sait que ces milices coopèrent avec la police locale. Dans l’Evros, ces miliciens arrêtent des migrants mais comme ils ne peuvent pas les refouler, ils les remettent ensuite aux policiers, qui ne vont pas enregistrer l’incident parce que sinon, la présence de ces hommes est notifiée et ils ont le droit de faire une demande d’asile et ne peuvent plus être refoulés illégalement.

      Les partis d’extrême droite comme Aube dorée ou Solution grecque cherchent à trouver des soutiens dans cette région. Il est clair que ces hommes sont liés à des organisations locales d’extrême droite.

      L’auteur de la vidéo publiée le 27 aout, qui n’a pas été interpellé, a réagi dans une interview dans un journal d’extrême droite ainsi que sur la page Facebook d’un leader local d’extrême droite. Il assure qu’il souhaitait seulement apporter de l’eau et venir en aide aux migrants.

      Les migrants désignés responsables

      Sur les réseaux sociaux grecs, des groupes citoyens s’organisent dans la région avec des appels à chasser les migrants venus de Turquie, comme le montre The Press Project avec une capture d’une conversation sur Viber. Des leaders d’extrême droite ont ouvertement imputé la responsabilité de l’incendie aux migrants qui passent par l’Evros. Le député du parti Solution grecque, ParisPapadakis, originaire d’Alexandroupolis, a notamment écrit sur Facebook : “J’ai des informations sur des clandestins qui dérangent le travail des pilotes [des Canadair]. Il faut passer à l’action ! (…) Nous avons une guerre, messieurs !”.

      Le 30 août, le Premier ministre de droite, Konstantinos Mitsotakis, a laissé entendre que les migrants étaient responsables des feux - ce que rien n’étaye - déclarant : "Il est presque certain que les causes sont d’origine humaine. Il est également presque certain que cet incendie s’est déclaré sur des routes souvent empruntées par des migrants illégaux qui sont entrés dans notre pays", ajoutant cependant que "les actes d’autodéfense et les shérifs autoproclamés ne seront pas tolérés par ce gouvernement”.

      “L’action de ces hommes est adoubée par la police tout simplement parce qu’ils ont la même idéologie que l’État”

      Eva (pseudonyme), une habitante de la région de l’Evros qui suit de près la situation et a requis l’anonymat, ajoute :

      En mars 2020, quand la Turquie avait ouvert sa frontière pour faire pression sur l’Union européenne, la police avait officiellement demandé l’aide des civils, et une association locale de pêcheurs de l’Evros, Aenisio Delta Evros avait été très active pour arrêter des migrants. Officiellement, ce n’est plus le cas, la police ne veut pas donner l’impression qu’elle tolère cela. Mais quand on leur demande s’ils le font encore… ils ne répondent pas à la question, ce qui en dit long.

      L’action de ces hommes est adoubée par la police tout simplement parce qu’ils ont la même idéologie que l’État : protéger les frontières, utiliser la violence pour le faire, pour eux tout ce qu’ils font est dans l’intérêt de l’État grec. Au sein de l’association Aenisio Delta Evros, on trouve d’ailleurs énormément de réservistes de l’armée.

      https://observers.france24.com/fr/europe/20230901-migrants-turquie-grece-extreme-droite-milice-incendie-e

    • « Brûlez-les ! » : les incendies en Grèce attisent la haine contre les migrants
      https://reporterre.net/Brulez-les-les-incendies-en-Grece-attisent-la-haine-contre-les-migrants

      4 septembre 2023 à 09h53 Mis à jour le 5 septembre 2023 à 10h26

      Les incendies qui ravagent toujours le nord-est de la Grèce se conjuguent avec une déferlante de racisme. Sous les encouragements de l’extrême droite, des citoyens capturent des migrants qu’ils tiennent pour responsables des feux.
      Parc de Dadia (Grèce), reportage

      « Vous voyez, là-bas c’est l’incendie de l’an dernier et maintenant ça brûle de l’autre côté. C’est sûr que ce sont eux qui sont revenus pour terminer leur travail. Nous sommes en danger », affirme cette habitante de Dadia, dans le nord-est de la Grèce.

      Sans détenir la moindre preuve, elle est certaine que des demandeurs d’asile ont délibérément provoqué cet incendie historique qui fait rage depuis plus de deux semaines. Certaines autorités penchent toutefois pour un départ de feu d’origine naturelle, causé par la foudre.


      Les exilés utilisaient la forêt pour se cacher de la police. © Romain Chauvet / Reporterre

      Cette forêt protégée de Dadia est située dans la région de l’Evros, près de la frontière avec la Turquie. Une route empruntée par les demandeurs d’asile qui veulent rejoindre l’Europe et qui s’y cachent pour échapper aux autorités. Près d’une vingtaine d’exilés y ont été retrouvés morts, calcinés.


      © Louise Allain / Reporterre

      Mais le Premier ministre grec, Kyriakos Mitsotakis (conservateur), a déclaré au parlement qu’il était « presque certain que ce feu soit d’origine humaine », allumé sur des « itinéraires empruntés par les migrants illégaux ». Des propos qui font écho à ce que l’on entend sur place.

      « Tout ça c’est la faute des réfugiés, ils sont partout dans la forêt et ils mettent le feu, ils veulent nous tuer ! » lance en colère un habitant qui doit évacuer, les flammes se rapprochant dangereusement de son hameau.

      Kidnappings racistes

      Ce méga incendie n’en finit plus de susciter des propos et actes racistes, dans cette région reculée, pauvre et très encline à voter pour l’extrême droite. « Ce sont les Pakistanais, ils nous envahissent, c’est un problème, un immense problème ici », dit cet autre habitant de la région.

      Durant les derniers jours, plusieurs citoyens, encouragés par l’extrême droite, se sont filmés en train d’arrêter des migrants, qu’ils tiennent pour responsables de ce feu. « J’ai chargé 25 morceaux », s’est vanté en vidéo sur les réseaux sociaux un homme après avoir mis une dizaine de demandeurs d’asile dans une remorque.

      « Brûlez-les ! » a répondu une internaute à la vidéo. Ces demandeurs d’asile ont depuis été mis hors de cause et plusieurs auteurs d’arrestations poursuivis par les autorités.


      Alors que le gouvernement est vivement critiqué pour sa gestion des feux, la communication du Premier ministre est loin de décourager l’extrême droite. © Romain Chauvet / Reporterre

      « En temps de crise, il y a toujours une forte tendance à blâmer les autres, ceux qui ne sont pas comme nous. Ça permet aussi d’éviter d’être confronté à des critiques pour une mauvaise gestion », analyse la politologue spécialisée dans les migrations, Eda Gemi.

      Depuis le début de l’été, le gouvernement grec est sous le feu des critiques pour sa gestion des incendies et son manque de préparation. Plusieurs médias locaux ont aussi alimenté ce climat raciste, dans un pays qui se classe dernier de l’Union européenne en matière de liberté de la presse, selon Reporters sans frontières.

      Une chaîne de télévision a par exemple rapporté que deux migrants avaient été surpris en train d’allumer un incendie avant de démentir, alors que sur une autre chaîne de télévision, une présentatrice s’est réjouie en direct qu’il n’y ait pas eu de décès, si ce n’est ces « pauvres migrants ».

      Un mur à la frontière

      « Le soutien aux partis de droite et d’extrême droite semble avoir augmenté depuis 2015, ce qui coïncide avec le pic des arrivées de demandeurs d’asile dans le pays », explique Georgios Samara, professeur en politique publique, qui analyse les mouvements d’extrême droite.

      Plus de 850 000 arrivées de demandeurs d’asile avaient été enregistrées sur le sol grec cette année-là, marquant le début de ce que l’on a appelé en Europe la crise des réfugiés.

      Mais depuis, la situation a considérablement changé, avec un durcissement de la politique migratoire. Un mur de plusieurs kilomètres a été construit à la frontière terrestre avec la Turquie.


      Des personnes ont été arrêtées pour enlèvement, mise en danger d’autrui et incitation à commettre des crimes racistes après s’être filmées en train d’arrêter et d’enfermer des exilés. © Romain Chauvet / Reporterre

      Pendant ce temps, les autorités sont régulièrement accusées de criminaliser l’aide humanitaire et de refouler violemment les migrants, refoulements communément appelés « pushbacks ». La Grèce est donc devenue un point de transit, plutôt qu’une destination finale.

      Ce climat de tension fait suite à la poussée de l’extrême droite en Grèce, près de 15 % aux dernières élections. « Les partis d’extrême droite pourraient être les grands gagnants de cet incendie, dans la mesure où les électeurs pourraient vouloir encore plus de mesures extrêmes (contre les migrants) », s’inquiète Georgios Samara. Depuis le début de l’année, plus de 17 000 arrivées de demandeurs d’asile ont été enregistrées en Grèce.

  • Hautes-Alpes : un migrant retrouvé mort entre #Briançon et #Montgenèvre

    Une enquête a été ouverte par le parquet de Gap. Une autopsie du corps devrait être pratiquée dans les prochains jours.

    Un migrant a été retrouvé mort lundi matin par un vététiste sur la route militaire des #Gondrans, entre Briançon et Montgenèvre, a appris BFM DICI.

    Le corps de la victime a été découvert face au sol sur cette piste, accessible aux randonneurs ainsi qu’aux véhicules de type 4x4, qui mène au #fort_de_Gondrans.

    Une autopsie prévue dans les prochains jours

    Selon les premières constatations, la victime était un jeune homme. Des techniciens en identification criminelle se sont rendus sur place pour effectuer des prélèvements ADN et des analyses afin d’identifier la victime.

    « Une autopsie sera rapidement pratiquée », a indiqué Florent Crouhy, le procureur de la république de Gap. « Une enquête en recherche des causes de la mort a été ouverte et confiée à la brigade de recherches de Briançon. »

    Selon les informations de BFM DICI, aucune trace de lutte ou de violences n’a été constatée par les techniciens en identification criminelle. Seules des écorchures sur les genoux de la victime ont été observées.

    https://www.bfmtv.com/bfm-dici/hautes-alpes-un-migrant-retrouve-mort-entre-briancon-et-montgenevre_AN-202308

    #décès #morts #morts_aux_frontières #frontière_sud-alpine #Alpes #Hautes-Alpes #migrations #asile #réfugiés

    #Fort_des_Gondrans :
    https://patrimoine.hautes-alpes.fr/home/fiche/3158

    –—

    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière des Hautes-Alpes :
    https://seenthis.net/messages/800822

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Hautes-Alpes : le corps d’un jeune migrant retrouvé par un vététiste entre Montgenèvre et Briançon

      Une personne, probablement originaire d’Afrique du Nord, a été retrouvée morte ce lundi 7 août sur la route militaire des Gondrans. Une enquête en recherche des causes de la mort a été ouverte par le procureur de Gap.

      Un jeune migrant a été retrouvé mort ce lundi matin par un vététiste sur la route militaire des Gondrans, entre Montgenèvre et Briançon (Hautes-Alpes), à quelques kilomètres de la frontière italienne. L’information de BFM Dici a été confirmée à La Provence par le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy.

      La victime a été découverte face au sol sur cette piste, accessible aux randonneurs ainsi qu’aux véhicules de type 4x4, qui mène au fort de Gondrans. « Il s’agit d’une piste carrossable, a précisé le procureur. Ce n’est pas un terrain escarpé, dangereux. »

      Selon les premières constatations, la victime était un homme âgé entre 20 et 25 ans, de type nord-africain, vêtu de vêtements pas à sa taille.

      Des techniciens en identification criminelle se sont rendus sur place pour effectuer des prélèvements ADN et des analyses afin d’identifier la victime.
      « Hypothermie, crise cardiaque… toutes les hypothèses sont envisagées ».

      « Une autopsie sera rapidement pratiquée, a indiqué Florent Crouhy. Une enquête en recherche des causes de la mort a été ouverte et confiée à la brigade de recherches de Briançon. »

      Aucune trace de lutte ou de violences n’aurait été constatée par les techniciens en identification criminelle. Seules des écorchures sur les genoux de la victime ont été observées. « Hypothermie, crise cardiaque, toutes les hypothèses sont envisagées. En tout cas, à cette heure, personne n’a signalé sa disparition » a ajouté le procureur.

      https://www.laprovence.com/article/region/62547295827161/hautes-alpes-le-corps-dun-jeune-migrant-retrouve-par-un-vetetiste-entre-

    • Un migrant retrouvé mort par un cycliste dans les Alpes

      Pendant l’été, de nombreux migrants traversent chaque année à pied la frontière franco-italienne au niveau du col de Montgenèvre.

      Un migrant a été retrouvé mort lundi matin dans les Hautes-Alpes, sur une route entre Briançon et Montgenèvre, a indiqué ce mardi le procureur de Gap, confirmant une information de BFM DICI.

      Le corps a été retrouvé par une personne circulant en VTT sur la route militaire des Gondrans, une piste accessible aux randonneurs ainsi qu’aux véhicules tout-terrain. Le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy, a précisé à l’AFP que la mort de ce jeune adulte semblait « assez récente » et que « le corps ne portait pas de trace de violences ou de lutte ».

      Point de passage clandestin

      Des techniciens en identification criminelle se sont rendus sur place lundi pour effectuer des prélèvements ADN et des analyses, notamment afin d’identifier la victime. « Une autopsie sera pratiquée ces prochains jours », a ajouté le procureur, qui a ouvert une « enquête en recherche des causes de la mort », confiée à la brigade de recherches de Briançon.

      Pendant la saison estivale, de nombreux migrants traversent chaque année à pied la frontière franco-italienne au niveau du col de Montgenèvre pour atteindre Briançon, l’un des principaux points de passage de clandestins entre les deux pays depuis 2017.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2023/08/08/un-migrant-retrouve-mort-par-un-cycliste-dans-les-alpes

    • Mort d’un migrant dans les Alpes : « L’autopsie n’a pas permis de déterminer les causes de la mort »

      Un vététiste a découvert un homme mort sur la route militaire des Gondrans, une piste carrossable, entre Briançon et Montgenèvre. Il pourrait s’agir d’un migrant. L’autopsie a « confirmé l’absence de cause traumatique ». Le parquet de Gap a ouvert une enquête.

      n homme a été découvert mort ce lundi 7 août au matin, a indiqué le procureur de la République de Gap Florent Crouhy, confirmant une information de BFM D’Ici. C’est un vététiste qui a fait la découverte sur cette piste carrossable de la route militaire des Gondrans, accessible aux 4x4, entre Briançon et Montgenèvre. Elle est régulièrement utilisée par les randonneurs et vététistes, donc très fréquentée l’été. La victime pourrait être un migrant.

      Une enquête en recherches des causes de la mort a été ouverte par le parquet de Gap et confiée à la brigade de recherches de la gendarmerie de Briançon. Des techniciens en identification criminelle se sont rendus sur les lieux afin d’effectuer les constatations d’usage. Le procureur indiquait ce mardi 8 août dans la journée que, « les techniciens en identification criminelle de la gendarmerie n’ont relevé aucune trace de lutte ou de violences sur le corps. Les causes de la mort sont inconnues mais non suspectes et certainement pas d’origine traumatique ».

      Une autopsie a été pratiquée dans la journée. Le procureur de Gap déclarait, dans la soirée, qu’« elle n’a pas permis de déterminer les causes de la mort. Elle a toutefois confirmé l’absence de cause traumatique. Des expertises anatomopathologiques et toxicologiques seront réalisées en complément ». L’identification du jeune défunt est toujours en cours.
      Du côté des associations, ce mardi 8 août dans la soirée, aucune disparition de personne exilée n’était signalée.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2023/08/08/une-personne-decouverte-decedee-sur-la-piste-des-gondrans

    • Le corps d’un exilé découvert à la frontière franco-italienne : « On se retrouve confronté aux mêmes tragédies »

      Le parquet de Gap a annoncé le décès d’un jeune homme dont le corps a été retrouvé le long d’une route au-dessus du col de Montgenèvre, non loin de Briançon, à la frontière entre la France et l’Italie. La route est régulièrement empruntée par les personnes migrantes. Ce nouveau drame intervient alors que les traversées sont en hausse et les Terrasses solidaires, principal lieu d’accueil sur la commune, sont saturées.

      Une personne migrante a été retrouvée morte lundi 7 août dans les Alpes françaises, sur les hauteurs du col de Montgenèvre, non loin de Briançon, a indiqué ce mardi le parquet de Gap à l’AFP. Il s’agit d’un jeune adulte, dont la mort semblait « assez récente » et dont « le corps ne portait pas de trace de violences ou de lutte », a précisé le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy.

      Une « enquête en recherche des causes de la mort » a été ouverte. Des prélèvements ADN et des analyses ont été effectuées lundi, afin d’aider à l’identification de la victime. « Une autopsie sera pratiquée ces prochains jours », a ajouté le procureur auprès de l’AFP.

      Le corps du jeune homme a été retrouvé par un cycliste en VTT sur la route militaire des Gondrans. « Pas étonnant » qu’il s’agisse là des lieux du drame, commente Agnès Antoine, de l’association Tous Migrants : il s’agit de l’une des principales routes de montagne empruntées par les exilés pour passer la frontière franco-italienne.

      L’annonce du décès intervient dans un « climat déjà très lourd », expose cette bénévole impliquée depuis des années auprès des personnes exilées, jointe par Infomigrants. « Il y a énormément d’arrivées. On avait beaucoup de monde depuis le mois de mai, mais là, depuis le début de l’été, cela s’intensifie », précise-t-elle.

      200 exilés au refuge, d’une capacité de 80 places

      D’ordinaire, les associatifs et citoyens solidaires voient plutôt arriver « entre 5 et 30 personnes par jour » à Briançon, décrit Luc Marchello, responsable de la sécurité des Terrasses Solidaires. Ce site constitue le principal refuge pour les personnes parvenant à rejoindre la ville après leur traversée de la frontière. Or, ces dernières semaines, « les arrivées sont plus massives ».

      Ce week-end du 5 et 6 août, « on est monté jusqu’à 100 personnes en une journée ». Un pic intervenu alors que les forces de l’ordre étaient largement déployées au col de Montgenèvre pour empêcher le passage de la marche solidaire Passamontagna, menée par des activistes depuis la ville italienne de Clavière.

      Conséquence de cette situation : les Terrasses solidaires sont saturées. Ce mardi, pas moins de 200 personnes s’y trouvent hébergées. Or, la structure peut accueillir au maximum 80 personnes pour « rester dans les normes du bâtiment », rappelle Luc Marchello.

      Le réfectoire a été transformé en dortoir. « Il y a des tentes à l’extérieur, sur les terrasses », s’attriste le responsable de la sécurité du site. « On en est là. On essaie de gérer au mieux les départs pour faire de la place, mais les prix des trains sont très élevés ».

      Quant à l’hébergement chez des citoyens solidaires, « on en touche les limites », constate-t-il. En période estivale, donc touristique, les maisons sont occupées ou louées. Et au fil des années d’engagement, « il y a de l’épuisement ».
      « L’État refuse l’ouverture d’un centre d’accueil »

      Un courrier a été adressé au préfet, les communiqués se multiplient. Mais « personne ne vient nous appuyer avec d’autres solutions. L’Etat refuse l’ouverture d’un centre d’accueil, même simplement d’urgence », déplore Luc Marchello.

      Dès la fin mai, la préfecture assurait à Infomigrants avoir pris connaissance de ces alertes. Mais elle expliquait qu’il n’était « pour l’heure pas envisageable d’ouvrir de nouvelles places en hébergement d’urgence » dans le département et que « le dispositif [de 135 places pérennes] est actuellement saturé ».

      « Nous sommes mi-juillet, la population accueillie depuis mai est passée d’une moyenne par jour de 100 à 120, aujourd’hui nous sommes à 170 personnes pour un hébergement dans les normes ERP de 64 prévues », récapitule le conseil d’administration des Refuges Solidaires (gérant les Terasses), dans une lettre ouverte publiée le 18 juillet. « Depuis maintenant 6 années nous alertons les services de l’Etat pour qu’ils nous accompagnent dans cette action humanitaire ».

      « Psychologiquement, c’est assez dur », conclut Agnès Antoine de Tous Migrants. « Tous les bénévoles font des efforts incroyables pour les maraudes, pour tenir le refuge, pour mener des campagnes de sensibilisation... Et à chaque fois on se retrouve confrontés aux mêmes tragédies. »

      https://www.infomigrants.net/fr/post/50924/le-corps-dun-exile-decouvert-a-la-frontiere-francoitalienne--on-se-ret

    • LA FRONTIÈRE A ENCORE TUÉ !

      Une autre personne est morte à la frontière franco-italienne à Montgenèvre. Un autre mort, un autre corps sans vie a été retrouvé sur la route militaire de Claviere (Valsusa, IT) à Briançon (FR).

      Lundi 7 août, un autre cadavre a été retrouvé dans ces montagnes, tué par une frontière raciste où les routes sont traversées quotidiennement par des voitures, des bus et des trains transportant des touristes, des marchandises et du personnel militaire, tandis que les migrants sont contraints de marcher à travers les sentiers de montagne, échappant aux contrôles de la police française qui tente de bloquer leur voyage même dans les bois à 1800 mètres au-dessus du niveau de la mer.

      Il semble avoir été trouvé par un cycliste, par l’un des nombreux touristes qui affluent dans ces montagnes pour les vacances d’été. Ils s’amusent sur les mêmes routes qui sont traversées nuit et jour par des personnes obligées de se cacher parce qu’elles n’ont pas la bonne pièce d’identité. Depuis 2018, au moins 10 personnes ont perdu la vie en tentant de franchir la frontière de la Haute-Valusie. Pendant que les touristes s’amusent à jouer sur une pelouse impeccable signée Lavazza et la commune de Montgenèvre, des dizaines de personnes en déplacement meurent ou risquent leur vie à quelques encablures de là, sur les sentiers qui traversent la frontière.

      Nous n’avons pas beaucoup d’informations sur ce qui s’est passé, mais nous savons avec certitude que ceux qui ont tué à nouveau étaient le bras armé de l’État : les militaries, la gendarmerie, la police des frontières (PAF). Un bras armé qui, armé de jeeps, de drones et de lunettes de vision nocturne, cherche à protéger les intérêts nationaux d’un État néocolonial et raciste, élargissant et rétrécissant les mailles de cette frontière intérieure européenne qui continue de séparer, de réprimer et de tuer. Comme le désert du Niger, comme les prisons de Libye et de Tunisie, comme la mer Méditerranée, comme la Manche, comme toutes les frontières extra-européennes, de la Turquie à la Pologne en passant par le Maroc, comme les centres de rétention administrative disséminés dans de nombreuses villes, les montagnes de Valses sont, elles aussi, depuis des années, une frontière où l’on continue de mourir.

      Et ce qui tue, une fois de plus, ce n’est pas la montagne, la neige, le froid ou la fatigue. Ce qui tue, c’est l’Etat, la forteresse Europe, le système des frontières incarné par les hommes et les femmes en uniforme qui battent le pavé dans une chasse à l’homme, ce qui tue, ce sont tous ces indifférents qui se détournent pour ne pas remettre en cause leurs privilèges de bourgeois blancs, alors qu’à côté d’eux, ceux et celles qui sont nés du “mauvais” côté du monde souffrent et meurent dans le silence général.

      Ce week-end, il y avait un camp contre les frontières, avec l’idée de franchir collectivement cette frontière meurtrière, avec l’idée que l’union fait la force et que, pour une fois, les gens n’auraient pas dû être exposés à la violence policière ; la police a empêché notre passage, déployant tout son armement dans les bois et les chemins de montagne, armée de gaz lacrymogènes, de boucliers, de bombes TNT, de flashballs. Nous n’avons pas pu passer. Deux jours après cette marche qui a mal tourné, un cadavre a été retrouvé.

      Si les frontières n’existaient pas, il n’y aurait pas de gens qui meurent encore pour les franchir.
      Les mises à jour suivront, les rendez-vous suivront. Ne restons pas indifférents, faisons quelque chose pour éviter d’autres meurtres dans ces montagnes !

      Police assassine ! All Cops Are Borders. Smash the borders !

      CONTRE TOUTES LES FRONTIÈRES, LES ÉTATS QUI LES CRÉENT ET LES UNIFORMES QUI LES PROTÈGENT

      https://www.passamontagna.info/?p=4551&lang=fr

    • È un guineano di 20 anni il migrante morto sui sentieri per la Francia. Il freddo potrebbe essergli stato fatale

      Su di lui nessun segno, solo qualche sbucciatura sulle ginocchia. Vicino al corpo, lo zaino e il telefono. Indaga la procura di Gap

      Uno zainetto e un telefono accanto al corpo, scarponcini ai piedi qualche taglia più grande del necessario. Ha vent’anni e viene dalla Guinea. È morto a un passo dalla meta, Briançon. Arrivarci avrebbe significato aver superato i pericoli dei sentieri di montagna e i controlli della gendarmeria che ogni notte pattuglia il confine per fermare i migranti, come il giovane, che cercano di lasciare l’Italia — dove sono sbarcati — per raggiungere parenti che vivono altrove in Europa.

      (#paywall)
      https://torino.repubblica.it/cronaca/2023/08/09/news/migrante_morto_monginevro-410541248

    • Il migrante morto a Briancon si chiamava Moussa e aveva 20 anni, cercava di sfuggire ai droni e ai controlli di frontiera

      È probabile che anche #Moussa abbia compiuto il percorso che attraversa Mali, Niger e poi Libia o Tunisia prima della traversata per raggiungere Lampedusa. Poi il viaggio fino alla Val di Susa.

      Sognava una casa, un lavoro e un futuro migliore e invece ha trovato la morte a 20 anni, di notte, cadendo da un sentiero di montagna al confine tra Italia e Francia. Mentre cercava di sfuggire ai droni e ai controlli di frontiera. I suoi compagni di avventura hanno avuto più fortuna e sono riusciti ad arrivare a Briancon. Hanno riconosciuto gli effetti personali di Moussa, un ragazzo con cui avevano percorso un pezzo di strada verso «la nuova vita», ma che avevano perso di vista durante la difficoltosa discesa al buio. Non si tratta di un riconoscimento ufficiale e il cadavere di quel giovane migrante ritrovato lunedì sul cammino militare che porta al forte di Gondrans, in Francia, è ancora senza un nome.

      Le procedure di identificazione avviate dalla polizia e dalla procura di Gap sono in corso, ma le dichiarazioni degli altri profughi che hanno raggiunto Briancon sembrano attendibili. #Moussa era partito dalla Guinea, come uno dei 4 sopravvissuti all’ultimo naufragio di un barcone nel canale di Sicilia, costato la vita a 41 persone. È probabile che anche Moussa abbia seguito la stessa rotta di quei migranti: Mali, Niger e poi Libia o Tunisia prima della traversata per raggiungere Lampedusa. Per arrivare in Val di Susa, una delle «porte di accesso» più frequentate per passare clandestinamente il confine con la Francia, Moussa ha dovuto aspettare ancora molto tempo.

      Secondo Paolo Narcisi, presidente di Rainbow4Africa, ogni anno almeno 13 mila persone transitano da Oulx e il giovane guineano potrebbe essere uno dei 5 ragazzi, con lo stesso nome e la stessa nazione di provenienza, che fra giovedì e lunedì hanno bussato alla porta del rifugio Fra Massi prima di dirigersi verso Claviere e inoltrarsi nel bosco. Moussa aveva seguito le indicazioni che aveva ricevuto ed era riuscito a superare la frontiera, ma probabilmente è caduto mentre scendeva verso valle, sperando di non essere scoperto.

      https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/23_agosto_09/migrante-morto-a-20-anni-mentre-cercava-di-sfuggire-ai-droni-e-ai-co

      –—

      La mention des drones (mais qui n’est pas confirmée par les personnes sur place) :

      Lo scorso 27 luglio il rifugio Fra Massi di Oulx era stato preso d’assalto da 180 persone e ogni notte si registrano circa cento presenze: «Una situazione più gestibile da medici e personale, ma sempre al limite – spiega Paolo Narcisi, presidente di Rainbow4Africa -. Non so nulla di questa ennesima tragedia, ma se sul corpo sono stati trovati i segni di una caduta è probabile si tratti di uno dei tanti migranti costretti a cercare strade sempre più pericolose per sfuggire ai controlli. E credo che ci sia una grossa responsabilità di chi utilizza droni, esercito e polizia per effettuare i respingimenti al confine».

      https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/23_agosto_08/migrante-morto-sul-sentiero-per-briancon-al-confine-italo-francese-e

    • Le corps découvert au Gondran est celui d’un jeune migrant guinéen

      L’homme, dont le corps a été retrouvé par un vététiste lundi 7 août sur une route militaire du Gondran, entre Briançon et Montgenèvre, a été identifié. Il s’agit d’un Guinéen né en 2004.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2023/08/13/le-corps-decouvert-au-gondran-est-celui-d-un-jeune-migrant-guineen

    • Pour info, Moussa serait mort la nuit du 6 au 7 août 2023, soit alors qu’avait lieu le #campeggio_itinerante organisé par le collectif #Passamontagna (donc : #militarisation accrue de la frontière) :

      CHIAMATA PER UN CAMPEGGIO ITINERANTE PASSAMONTAGNA – 4-5-6 Agosto 2023


      4-5-6 Agosto 2023

      Claviere (ITA)- Briancon (FR)
      Tre giorni in cammino verso un mondo senza frontiere né autoritarismi
      Tre giorni di incontri e discussioni, condividendo riflessioni, esperienze e pratiche
      TRE GIORNI DI LOTTA CONTRO LE FRONTIERE

      Le politiche dell’unione europea continuano ad aumentare le morti in mare e nei territori di passaggio, costruendo frontiere interne ed esterne alla stessa.
      Nuovi accordi vengono siglati con i paesi di transito e di partenza.
      Milioni di euro sono assegnati in tecnologie, polizie e nuovi muri per fermare le persone in viaggio verso l’europa o in lager d’oltremare.
      Uno schema funzionale all’annichilimento delle persone che migrano.

      Chi raggiunge l’u.e. è condannatx ad una vita da schiavx nella speranza di ottenere il lasciapassare ad uno status considerato accettabile dal sistema.
      Chi non riesce a districarsi nel percorso a ostacoli burocratico, chi non lavora in regola, chi si ribella, chi non viene consideratx integrabile o sfruttabile, diventa carne da macello per il sistema dei centri di detenzione o le patrie galere.

      In questo contesto aumenta anche il numero di persone costrette a migrare a causa della crisi climatica ed ecologica innescata dal modello produttivo degli stati occidentali. Per smascherare l’ipocrisia di questo sistema che saccheggia, respinge e deporta mentre predica ecologismo, pensiamo che l’azione diretta é la strada necessaria.

      Se, da un lato, l’unione europea attua un sistema che genera guerre e miseria per poi criminalizzare e sfruttare le persone che ne sfuggono, dall’altro, c’è chi con forza e determinazione ogni giorno questo sistema continua a sfidarlo.
      Gli attraversamenti di frontiere che sfuggono al controllo sempre più intenso degli stati, le rivolte e le lotte che inceppano gli ingranaggi dei centri di detenzione amministrativa, facendone talvolta macerie – come a febbraio 2023 nel CPR di Torino – indicano che la mostruosa macchina statale è meno invincibile di quanto non sembri.

      Per queste ragioni sentiamo l’esigenza di riunirci, incontrarci, riconoscerci, di organizzarci meglio, provando a sottrarci alle trappole dell’assistenzialismo o da azioni mediatiche.

      Nell’arco delle giornate di campeggio vorremmo ri-attraversare questa frontiera a noi vicina, ancora una volta in maniera collettiva.
      Vorremmo ribadirne la pratica e la portata simbolica, contro tutte le frontiere, interne ed esterne, e i dispositivi che le alimentano. Contro i nuovi decreti assassini italiani (Cutro) e francesi (Darmanin). Contro le nuove leggi europee che permetteranno una esternalizzazione sempre più forte e violenta delle frontiere, con future deportazioni dirette in paesi terzi non di origine.

      Tra queste montagne si stanno spendendo i miliardi nel tentativo di costruzione del TAV, devastando un territorio in nome della velocità di merci e trasporti, mentre chi non ha i documenti é costretto a rischiare la vita, subendo inseguimenti, vessazioni e violenze poliziesche per mancanza di quel pezzo di carta che continua a uccidere mentre merci e turisti viaggiano indisturbati.
      Su questa frontiera si contano almeno 9 morti. Molti i feriti, infiniti i respinti. Decine di persone al giorno cercano di attraversare questa linea immaginaria protetta da gendarmi francesi e guardie italiane.
      Noi eravamo, siamo e saremo al loro fianco!

      Partecipiamo numerosi al campeggio itinerante -Passamontagna- nel tentativo di rilanciare momenti di incontro e confronto collettivo, di agire insieme, provando a coordinarci tra differenti realtà e territori in lotta, nella prospettiva di nuovi possibili percorsi.


      https://www.passamontagna.info/?p=4435

    • NOUS RECHERCHONS LA FAMILLE DE MOUSSA SIDIBÉ. CE MIGRANT GUINÉEN DE 19 ANS, A ÉTÉ RETROUVÉ MORT, À LA FRONTIÈRE FRANCO-ITALIENNE .
      Le corps sans vie de l’exié a été retrouvé dans les Hautes-Alpes ( /#France ) entre BRIANÇON et MONTGENÈVRE , le lundi 07 août 2023 par un vététiste.
      Moussa a tenté la traversée de la #Méditerranée. Le chemin du jeune homme passe ensuite par l’île italienne de #Lampedusa . Puis il décide de franchir les Alpes pour aller en #France .
      Moussa a été vu le 06 août 2023 à #OULX ( ville italienne frontalière de la France. )
      Le 07 août , la victime a été retrouvé face au sol , sur une piste accessible aux randonneurs…
      ´Le jeune homme a été inhumé le 21 août 2023 a BRIANÇON. Nous n’avons aucune photo de ce dernier pour l’instant.
      Des associations souhaiteraient aider dans la mesure du possible. au rapatriement de son corps en #Guinée #conakry . Bien entendu si sa famille le souhaite.
      Si vous pensez connaître le jeune guinéen Moussa Sidibé , né en 2004 , contactez-nous . Merci svp de partager massivement.🙏🙏🙏
      ( #WHATSAPP : 00.33.6.27.78.78.41 )

      https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=pfbid02bj8KV8xJ4EGWb6M8YGiSby4YEEN2rtR5D2poTfSQHP

      #Moussa_Sidibé

  • #Sénégal : au moins une quinzaine de morts dans le chavirement d’une pirogue au large de Dakar (#24_juillet_2023)

    Lundi matin, au moins 15 corps sans vie ont été retrouvés au large de #Dakar, très probablement des candidats à l’exil selon le maire adjoint du quartier de Ouakam. Ce drame de la migration est le dernier d’une triste série qui a endeuillé le Sénégal ces dernières semaines.

    C’est un nouveau drame de la migration qui touche le Sénégal. Lundi 24 juillet, au moins 15 corps ont été retrouvés au large de Dakar. Selon Samba Kandji, maire adjoint du quartier de Ouakam, il s’agirait de candidats à l’exil qui cherchaient à rejoindre l’archipel espagnol des #Canaries en pirogue.

    « Ce matin, aux environs de 3h30, on nous a alertés pour un chavirement de pirogue au large de #Ouakam. Immédiatement, on a dépêché sur les lieux deux équipes de plongeurs, quatre ambulances et on a démarré les opérations », a indiqué l’édile.

    Une embarcation en bois, à bord de laquelle se trouvaient les migrants selon plusieurs témoins sur la plage, flottait sur l’eau, près de la côte. Un journaliste de l’AFP a vu les sapeurs-pompiers repêcher un corps et le déposer sur une bâche sur la plage.

    « On a dénombré au total 17 victimes, donc 15 corps sans vie et deux rescapés », a déclaré à la presse Martial Ndione, commandant du groupement des sapeurs-pompiers de Dakar, qui n’a pas donné de précisions sur la provenance de l’embarcation, le nombre de personnes encore recherchées ou les circonstances.

    « La marine a obligé l’embarcation à accoster et des gens se sont enfuis. Certains ont sauté mais ne savaient pas nager », avait affirmé plus tôt à l’AFP Samba Kandji.
    « L’horizon est bouché ici »

    Durant les opérations de secours, quelques dizaines de badauds sur la plage regardaient le déroulement des opérations, a observé un journaliste de l’AFP. « C’est pénible tous ces morts qu’on voit », a estimé l’un d’entre eux, Amndy Moustapha Sène, 23 ans, qui rêve de devenir footballeur professionnel.

    « Je rêvais d’aller en Europe parce que l’horizon est bouché ici. J’étais prêt à embarquer dans une pirogue mais maintenant j’ai décidé d’émigrer par la voie légale quand l’opportunité se présentera. Je ne veux plus prendre une pirogue pour partir. Ça n’en vaut pas la peine », assure le jeune homme.

    La route migratoire des Canaries, porte d’entrée vers l’Europe dans l’océan Atlantique, connaît ces dernières semaines un net regain d’activités au départ des côtes du nord-ouest de l’Afrique.

    Plusieurs drames ont été recensés ces deux dernières semaines. Au moins 13 migrants originaires des environs de Dakar sont morts dans le naufrage de leur embarcation il y a environ une semaine au large du Maroc. Un autre bateau a chaviré à Saint-Louis, dans le nord du Sénégal, faisant au moins 15 morts. Trois bateaux de migrants partis fin juin des côtes sénégalaises en direction des Canaries sont également toujours portés disparus, selon l’ONG espagnole Caminando fronteras. Quelque 300 personnes se trouvaient en tout à bord.

    La récente crise politique au Sénégal, après la volonté du président de Macky Sall de briguer un troisième mandat, n’est pas un facteur permettant d’expliquer à lui seul ce phénomène migratoire, estiment les spécialistes. La contestation, bien que violemment réprimée, a été relativement courte et le chef de l’État a finalement renoncé à son projet.
    « Beaucoup de gens n’arrivent plus à joindre les deux bouts »

    La situation économique du Sénégal est en revanche une des causes largement mise en avant par les chercheurs. Comme d’autres États dans le monde, l’inflation, liée notamment à la guerre en Ukraine, plombe l’économie du Sénégal. Le prix des matières premières s’envole. À titre d’exemple, un kg d’oignons se vendait environ 300 francs CFA (soit 0,46 centimes d’euros) avant la crise, contre 1 000 francs CFA (1,52 euros) aujourd’hui.

    Les tarifs de l’électricité, aussi, s’emballent. Moustapha Kebe, responsable du Bureau d’accueil et d’orientation des Sénégalais de l’extérieur (BOAS) de Louga (nord du Sénégal), explique que sa facture a augmenté de 30 000 francs CFA par mois (soit 45 euros). « Le coût de la vie est de plus en plus chère, beaucoup de gens n’arrivent plus à joindre les deux bouts », signale le fonctionnaire.

    Boubacar Seye, président de l’association Horizons sans frontières qui lutte contre l’immigration clandestine, partage la même analyse. Pour lui aussi, la situation économique du Sénégal explique en partie l’intensification des flux migratoires. Boubacar Seye assure que l’extrême pauvreté s’est accrue avec la pandémie de Covid-19. « La crise sanitaire a plombé toute l’économie du Sénégal et rien n’a été fait pour aider les gens. Depuis deux ans, le pays ne fonctionne plus », constate-t-il.

    Le secteur informel, qui fait vivre la majorité de la population, a été touché de plein fouet par les restrictions liées au coronavirus. Les domaines du commerce ou de l’artisanat ne sont pas parvenus à se relever. Les jeunes, largement représentés dans les pirogues, ne trouvent pas de travail. Même ceux qui occupent un emploi pensent à partir, par peur du lendemain.

    Jeudi en conseil des ministres, le chef de l’État Macky Sall « s’est incliné devant la mémoire des personnes décédées, suite aux récents accidents relevés en mer ». Il a « demandé au gouvernement d’intensifier les contrôles au niveau des zones et sites potentiels de départ, mais également de déployer l’ensemble des dispositifs de surveillance, de sensibilisation et d’accompagnement des jeunes » en renforçant les programmes publics « de lutte contre l’émigration clandestine ».

    Ce lundi, le président sénégalais a de nouveau exprimé sa « douleur » face au nouveau drame survenu au large de Dakar.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/50585/senegal--au-moins-une-quinzaine-de-morts-dans-le-chavirement-dune-piro
    #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #asile #migrations #mourir_en_mer #naufrage

  • « L’#indifférence face aux morts en #Méditerranée est le signe d’un effondrement en #humanité »

    L’écart entre l’#émotion provoquée par la disparition des cinq occupants du submersible « Titan » et l’indifférence à l’égard des centaines de migrants ayant subi le même sort, huit jours plus tôt, en Méditerranée doit nous interpeller, soulignent les anthropologues Michel Agier, Filippo Furri et Carolina Kobelinsky.

    Jusqu’à la difficile acceptation, le 22 juin, de la mort des cinq touristes embarqués dans le submersible #Titan pour voir de près l’épave du #Titanic, les médias du monde entier ont suivi heure par heure les rebondissements de cette tentative de #sauvetage, dans laquelle plusieurs Etats s’étaient impliqués. L’émotion suscitée par cet accident a mis crûment en évidence, par contraste, le calme plat des Etats et de la plupart des médias européens face à un autre drame maritime, le #naufrage, une semaine plus tôt, le 14 juin, d’un chalutier parti de Libye avec environ 750 passagers originaires pour la plupart du Pakistan, de Syrie et d’Egypte, dont seulement 104 personnes sont rescapées. A ce jour, seuls 84 corps ont été retrouvés.

    Reste un calcul que presque personne ne semble vouloir faire, portant à plus de 600 le nombre de victimes fatales. Ce naufrage n’est tristement pas le premier, mais il est l’un des plus meurtriers de ces dernières années. Pourtant, si le naufrage, déjà en Méditerranée, du 3 octobre 2013 et celui survenu dans la nuit du 18 au 19 avril 2015 ont provoqué un grand retentissement médiatique ainsi que des réponses des autorités italiennes, cette énième tragédie, elle, n’a pas eu d’effet.

    La tragédie n’a pas donné lieu à la sidération collective, elle n’a pas provoqué de polémique publique sur les politiques sécuritaires qui sont aujourd’hui la norme de presque tous les Etats européens. Elle n’a pas fait changer d’un pouce les discours xénophobes et sécuritaires des dirigeants européens. En France, les tractations continuent autour de la nouvelle loi sur l’immigration, sans cesse repoussée faute d’accord entre la droite et le centre droit, avec en perspective la remise en cause des conventions internationales de droits humains, et le durcissement des mesures sécuritaires antimigrants.

    Le rejet des responsabilités

    En Europe, le nouveau pacte sur l’asile et la migration porte moins sur la capacité des pays membres à organiser un dispositif d’asile européen que sur le renforcement, une fois de plus, de la fermeture des frontières et de la logique d’externalisation [consistant à délocaliser la gestion administrative et policière des migrants dans les pays de départ ou de transit].

    Comme cela s’est passé après le naufrage dans la Manche du 21 novembre 2021, lorsque les gardes-côtes et sauveteurs français et britanniques se rejetèrent la #responsabilité du drame, ou après celui de Cutro, en Calabre, le 26 février 2023, où la police, les douanes et les gardes-côtes italiens sont mis en cause, l’Agence européenne des frontières externes (Frontex) et les gardes-côtes grecs se renvoient la responsabilité de cet abandon en mer pour le drame du 14 juin.

    Plusieurs témoignages de rescapés accusent directement les gardes-côtes grecs d’avoir provoqué l’accident après avoir attaché un câble au chalutier afin de l’éloigner des eaux territoriales grecques pour ne pas avoir à prendre en charge ses occupants une fois à terre. Une telle pratique pour remorquer le bateau n’est pourtant pas recommandée, puisqu’elle comporte le risque de déstabiliser l’embarcation, voire de la faire chavirer.

    Une gestion migratoire au mépris du droit

    Détournant les regards ailleurs que sur les administrations grecques et européennes, la mise en cause rapide de neuf supposés « passeurs » parmi les rescapés n’est autre que l’invention cynique d’un bouc émissaire. Le renvoi (« push back »), l’abandon ou le harcèlement aux frontières sont devenus la règle implicite de la gestion migratoire contemporaine, au mépris du droit.

    Depuis que l’Europe de Schengen existe, elle a tué ou au moins « laissé mourir » plus de 55 000 exilés, hommes et femmes, à ses frontières. L’Organisation internationale pour les migrations, liée aux Nations unies, évoque quant à elle, selon ses données actualisées en juillet, le total de 27 675 morts et disparus dans la seule Méditerranée depuis 2014. Mais la publication de ces nombres, aussi édifiants soient-ils, semble sans effet.

    C’est surtout l’#indifférence apparente des sociétés qui interpelle. Pour les uns, le sentiment d’impuissance et l’accablement laissent sans voix, pour les autres une acceptation ou une accoutumance coupables à une hécatombe interminable. Huit jours après le naufrage du 14 juin, un autre a déjà eu lieu près de Lampedusa, faisant 46 morts, passés cette fois totalement inaperçus.

    Le refus de faire face collectivement à la réalité

    Des hommes et des femmes originaires d’Afrique subsaharienne avaient embarqué à Sfax pour échapper aux persécutions en Tunisie, alors que, dans le même temps, à l’instar de l’Italie, les pays européens marchandaient avec le président de ce pays, dont les propos racistes contre les Africains ont pourtant été largement rapportés, pour faire de la Tunisie un pays de rétention, comme l’est déjà la Libye.

    Ces politiques d’externalisation sont des manières de mettre en œuvre le rejet des indésirables, leur disparition des radars de l’attention publique, et elles ont besoin de l’indifférence des sociétés. A la peur des étrangers venus des pays du Sud, régulièrement entretenue ou suscitée par des dirigeants bornés, aveugles aux réalités du monde, succèdent des politiques de repli et de fermeture, puis, logiquement, des dizaines de milliers de « vies perdues », selon les mots du sociologue Zygmunt Bauman (1925-2017) dans son livre qui porte ce titre (Payot, 2006), consacré à « la modernité et ses exclus ».

    On évoque souvent, à propos de ce naufrage du 14 juin, « au moins 80 morts » et « des centaines de disparus ». Certes, parler de « #disparus » peut être une forme minimale de respect à l’égard des familles et des proches qui attendent encore de voir les corps de leur frère, cousin ou enfant. Mais c’est aussi une façon de ne pas faire face collectivement à la réalité. Attend-on que les corps noyés se volatilisent ?

    Une urgence absolue

    Plus probablement, l’absence de reconnaissance et de deuil pour ces plus de 600 personnes qui avaient un nom, une vie et des proches contribuera à en faire des fantômes pour l’Europe. En 2015, après le naufrage du 18 au 19 avril, l’opération de récupération de l’épave organisée par le gouvernement italien de l’époque, coûteuse et complexe, avait interpellé la conscience collective, avec l’ambition de récupérer les corps des victimes et de mettre en place un dispositif médico-légal pour les identifier et leur donner un nom. Cette fois, ces corps semblent destinés à rester emprisonnés à jamais au fond de la mer.

    L’écart entre l’#émoi suscité par la disparition des cinq occupants du Titan et l’indifférence à l’égard des centaines de personnes migrantes subissant le même sort huit jours plus tôt ne tient-il qu’à l’#anonymat de ces dernières, au fait qu’il n’y aurait pas d’histoires à raconter, pas de suspense à susciter, tant leur sort s’est banalisé ? S’émouvoir, comprendre, agir sont trois moments indispensables pour faire face.

    L’indifférence face aux morts en Méditerranée est le signe d’un effondrement en humanité dont il nous faut prendre la mesure pour sortir du cercle infernal qui l’a provoqué. Il nous faut, collectivement, raconter toutes ces vies perdues, retracer ces destins individuels, comprendre ce qui est en train de se passer, et agir dans le respect de toutes les vies humaines. La tâche est « titanesque » et demande du temps et du courage, mais elle est absolument urgente. Paradoxalement, l’#accoutumance, l’#accablement ou l’indifférence apparente sont les signes les plus éclatants de cette urgence.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/07/25/l-indifference-face-aux-morts-en-mediterranee-est-le-signe-d-un-effondrement
    #morts_aux_frontières #décès #migrations #réfugiés #frontières #Filippo_Furri #Carolina_Kobelinsky #mourir_aux_frontières #morts #14_juin_2023 #terminologie #mots #mourir_en_mer

  • La betterave, la gauche, le peuple - et nous Chez Renard - Tomjo

    Le 12 janvier 2023, la coopérative sucrière #Tereos est condamnée à une amende record d’un demi-million d’euros pour l’ #écocide de l’Escaut en 2020 [1]. Que ce soit au moment de la catastrophe, lors de l’audience en décembre 2022, ou du délibéré quelques semaines plus tard, on n’a vu ni le député local ni le maire exiger des comptes du deuxième groupe sucrier mondial devant une foule vengeresse. Non plus qu’on n’a entendu le « député reporter » #François_Ruffin, dans sa cuisine ou aux portes de l’usine, dénoncer les méfaits du sucre sur la #santé et de Tereos sur la vie. On n’a pas vu le ministre de l’industrie Renaud Lescure taper du poing en sous-préfecture, ni #Xavier_Bertrand, président du Conseil régional, défiler dans les rues. Le président des Hauts-de-France préférant manifester à Paris le 7 février 2023, juché sur les tracteurs des betteraviers pour défendre l’épandage de #néonicotinoïdes : « Il n’est pas question de faire les mêmes conneries sur l’agriculture que sur le nucléaire ! »

    
À l’inverse, aucun élu n’a manqué pour défendre l’usine à l’annonce de la fermeture de la sucrerie d’Escaudoeuvres le 7 mars suivant. A entendre nos représentants du peuple, non seulement celle-ci ferait la prospérité des gens du Nord, mais elle participerait d’un patrimoine digne d’être défendu – demandez à la DRAC (Direction régionale des affaires culturelles), appelée à la rescousse de l’usine pendant les procès pour relancer le mythe de la betterave sucrière, impériale et napoléonienne. Seul Renart s’échine à briser le silence d’une région, de ses habitants et # ses élus, sur leurs méfaits.

    #Pollution historique, amende record. Le 9 avril 2020, un bassin de décantation de la #sucrerie d’Escaudoeuvres déverse 100 000 m3 d’eau contaminée dans l’Escaut. Le préfet n’ayant pas prévenu les autorités belges, la pollution a tout loisir de passer les écluses, descendre la rivière, et supprimer toute trace de vie sur plus de 70km, poissons, batraciens, libellules. Les autorités belges et des associations françaises attentent un procès à Tereos. Trois ans plus tard, le 12 janvier 2023, le juge inflige neuf millions d’euros de dommages et intérêts pour restauration de la rivière, et une amende de 500 000 euros – laissant l’État français, lui aussi muet depuis le début, sauf de toute responsabilité pour sa négligence. L’avocat des betteraviers se réjouit que le montant soit « très inférieur aux demandes qui ont été faites [2]. » C’est tout de même plus que la dernière grande catastrophe écologique survenue en France, le naufrage de l’Erika en 1999, qui avait valu à Total une amende de 375 000 euros, soit 424 000 euros d’aujourd’hui.

    Les 123 salariés et les habitants d’Escaudœuvres s’apprêtaient à célébrer les 150 ans de leur sucrerie quand Tereos annonce sa fermeture le 7 mars, à peine deux mois après le délibéré. Ces élus qui n’avaient rien dit, et rien à dire, sur la catastrophe de Tereos, se précipitent pour dénoncer sa fermeture [3]. Parmi les trémolos, ceux du député Guy Bricout et du maire Thierry Bouteman :

    Cambrai, terre agro-alimentaire depuis 150 ans : c’est notre passé, c’est notre présent, et nous croyons que c’est notre avenir. Nous demandons l’arrêt de tout processus qui conduirait à la fermeture de notre sucrerie à Escaudœuvres. Il faut être déconnecté, ou perdre confiance, pour prendre une telle décision. Je ne les crois pas déconnectés, je crois qu’ils ont perdu confiance. Pas nous. Pas les sucriers, pas les saisonniers, pas les intérimaires, pas les sous-traitants depuis 150 ans. Pas les élus, pas les habitants.

    En écho, le ministre délégué à l’industrie #Renaud_Lescure se déplace quelques jours plus tard pour déclarer que « l’industrie, c’est une arme anti-colère, l’industrie c’est une arme d’espoir. » Il annonce trois millions d’euros pour un « rebond industriel dans le Cambrésis ». Puis c’est au sénateur communiste Eric Bocquet de rappeler combien « la sucrerie, c’est l’ADN de la commune » (bonjour le diabète), une « véritable institution dans l’arrondissement de Cambrai », dont l’« histoire » et la « richesse » rendent sa fermeture « particulièrement violente » [4].
    
Chacun sa partition, mais le premier arrivé devant l’usine pour donner le ton, c’est l’« insoumis » amiénois François Ruffin : la betterave à sucre serait selon notre « député reporter », comme il se présente, une « production industrielle qui appartient à notre patrimoine » national, un fruit de « l’intelligence humaine » inventé pendant le blocus continental entre 1806 et 1815, justifiant par là que « l’État intervienne dans l’économie, construise des filières dans la durée, et fasse que les vies, les usines, l’économie ne dépendent pas seulement des cours de bourse. » 

    Si les cours de bourse ne doivent pas décider de la fermeture d’une usine (dont le groupe Tereos empoche cette année des profits records : 6,6 milliards d’euros de chiffre d’affaires sur 2022/2023, +29 % en un an), au nom de quoi doit-elle tourner ? Son utilité sociale ? Son histoire centenaire ?

    Le « député-reporter » attaque son discours-reportage par la glorification de l’épopée scientifique du sucre. Nous, on commencerait plutôt par toutes ces maladies de l’ #agro-industrie, et du sucre en particulier, qui représentent désormais la première cause de mortalité dans le monde. Savez-vous, lecteur, qu’entre le #diabète, l’ #obésité, les maladies cardiovasculaires et l’ #hypertension artérielle, la bouffe tue désormais plus que la faim ! Vu la progression actuelle du diabète (+ 4,5 % par an en France par exemple), la revue scientifique The Lancet prédit 1,3 milliard de malades du sucre en 2050 dans le monde - presque 10 % de la population mondiale [5] ! Du sucre, on en trouve partout, dans les sodas bien sûr, mais aussi dans les chips, les pizzas, le pain de mie, le pesto, et toutes les pâtées préparées. Le sucre, c’est la drogue de l’industrie alimentaire.
    
Accordons à Ruffin qu’avec une telle entrée en matière – « Vous êtes la première cause de mortalité dans le monde » –, l’accueil eut été réservé. Mieux vaut seriner combien la betterave, comme toute autre nuisance industrielle, est objet de fierté dans une région de labeur et pour un peuple courageux. Ce que Ruffin rabâche depuis dix ans [6]. Ce qu’il est venu rabâcher sur les lieux mêmes d’une catastrophe historique qui élimina toute trace de vie sur 70 km, des poissons aux batraciens :

    Les salariés me disent combien ils aiment leur travail, combien ils aiment le sucre. Je pense que cet amour du métier, quand on est prof, soignant ou dans l’industrie... faut pas croire que le travail ce soit seulement un salaire. C’est aussi un amour de son métier. Les gens me disent : "Tereos, c’est notre famille, c’est notre maison, on y est bien, on est prêts à passer quatre noëls d’affilée sans voir nos enfants. Mon gamin il a quatre ans et je n’ai pas passé un seul noël avec lui. On est prêts à faire 190 heures par mois pour faire le boulot".

    Accordons encore que douze heures de turbin, que l’on soit salarié d’une sucrerie ou esclave d’un champ de canne à sucre, finissent en effet par créer des liens fraternels, mais ne peut-on jamais dans ce Nord funèbre tisser de liens fraternels ailleurs que dans les tranchées, au fond des mines, ou sur une ligne de production ? Sommes-nous à jamais enfermés dans un roman de Zola ou de Van der Meersch ?
    
Il en a fallu des mensonges, des récits grandioses et des mythes fondateurs, répétés de gauche à droite, par les patrons et parfois par les ouvriers, pour excuser les saloperies dont on se rend coupable ou consentir à son exploitation. Demandez aux combattants de la « Bataille du charbon », quand les mines nationalisées, gérées par un accord gaullo-communiste, restauraient le salaire à la tâche, augmentaient les cadences, les taux de silicose et de mortalité, en échange de congés payés [7]. Est-ce là votre « progrès » ?

    Aujourd’hui, Ruffin et ses pareils, qui n’ont pas perdu leurs quatre derniers noëls dans la mélasse, entendent utiliser « l’histoire grandiose du sucre de betterave » afin de justifier le sauvetage de l’industrie betteravière. Mais c’est un mythe que l’invention du sucre de betterave par Benjamin Delessert, et la création d’une filière sucrière par un Plan d’investissements de Napoléon. Une mystification que Le Betteravier français propage à l’envi pour justifier l’œuvre supérieure de la corporation devant ses calomniateurs écologistes [8], que Le Monde répète pour magnifier le Génie technoscientifique [9], ainsi que Fakir, le journal de François Ruffin, pour célébrer le volontarisme étatique [10].
Reprenons donc depuis le début la véritable histoire du sucre de betterave, bien plus passionnante que la fausse.

    Arnaque impériale chez les sucriers lillois
    Ou le mythe de la betterave napoléonienne

    Suivant la version courante, le prix du sucre sur le continent aurait été multiplié par dix à la suite du blocus continental décrété en 1806 contre l’Angleterre par Napoléon. La canne à sucre, cultivée par des esclaves, arrivait jusqu’alors des Antilles, avant d’être raffinée en métropole. Il aurait fallu trouver d’urgence une solution à la pénurie. Sur les conseils du célèbre chimiste Jean-Antoine Chaptal, #Napoléon signe le 25 mars 1811 un décret d’encouragement de la betterave à sucre : il réserve 32 000 hectares de culture à la betterave, dont 4 000 dans le nord de la France et en Wallonie (alors française), et promet un prix d’un million de francs à qui ramènerait le premier pain de sucre.
    
Vient ensuite la scène légendaire. Le 2 janvier 1812, Chaptal court chez l’empereur. Un industriel versé dans la science, Benjamin Delessert, aurait relevé le challenge dans son usine de Passy. L’empereur et le chimiste se seraient hâtés pour admirer les pains de sucre et, dans son enthousiasme, Napoléon aurait décroché sa propre croix de la Légion d’honneur pour en décorer Delessert.
Moralité : dans l’adversité de la guerre et de la pénurie, l’œuvre conjuguée d’un chef d’État volontaire (Napoléon), d’un scientifique compétent (Chaptal) et d’un industriel ingénieux (Delessert), nous aurait offert le premier pain de sucre de betterave – et l’abondance à portée de main.
A peu près tout est faux. En rétablissant certains faits, en observant les autres d’un autre point de vue, on découvre en réalité une sombre affaire de #vol_industriel et de #copinage au plus haut de l’État, suivie d’une lamentable défaite commerciale.


    Napoléon 1er, protecteur de l’agriculture et de l’industrie, Bronze, Henri Lemaire, 1854, Palais des Beaux-arts de Lille.

    Premier mythe : l’urgence du blocus. Dans un article assez complet sur le sucre de betterave, l’historien Ludovic Laloux est formel :
    Prévaut souvent l’idée que le blocus britannique instauré en 1806 aurait empêché de débarquer du sucre dans les ports français et, en réaction, donné l’idée à Napoléon d’encourager la production de sucre à partir de la betterave. Or, la première intervention de l’Empereur en ce sens date de 1811. En fait, dès 1791, la situation saccharifère s’avère plus complexe en Europe avec un effondrement des approvisionnements en sucre de canne [11].

    Pourquoi cet effondrement ?
Dans les remous de la Révolution française, les esclaves de Saint-Domingue s’insurgent fin août 1791 et obtiennent leur affranchissement. La main d’œuvre se rebiffe. Le prix du sucre explose. Il faut s’imaginer Saint-Domingue comme une île-usine, et même la première du monde. 500 000 esclaves produisent à la veille de l’insurrection 80 000 tonnes de canne à sucre par an (à titre de comparaison, 600 000 esclaves travaillent alors dans les colonies américaines) [12]. Une « crise du sucre » éclate immanquablement à Paris en janvier 1792. Les femmes attaquent les commerces, les hommes la police, puis on réclame du pain. Rien d’original. On peut recommencer la scène autant que vous voulez, avec du Nutella ou des paquets de cigarettes.
    
Mais le blocus ? En 1810, quatre ans après son instauration, dans une lettre à son frère Louis-Napoléon, l’empereur doit admettre l’efficacité de la contrebande : « C’est une erreur de croire que la France souffre de l’état actuel. Les denrées coloniales sont en si grande quantité qu’elle ne peut pas en manquer de longtemps, et le sirop de raisin et le miel suppléent partout au sucre [13]. » Le blocus n’inquiète en rien l’empereur.

    Deuxième mythe : l’invention du sucre de betterave. A partir des découvertes du chimiste Andreas Marggraf, son maître, le chimiste prussien Franz Achard, fils de huguenots du Dauphiné et membre de l’Académie royale des sciences, plante ses premières betteraves à sucre en 1796. Le roi Frédéric-Guillaume III lui accorde un terrain et des subsides pour une première raffinerie en 1801. L’Allemagne est la plus avancée dans le sucre local. Son procédé inquiète le gouvernement anglais, producteur et importateur de sucre de canne, qui se lance dans une manœuvre de déstabilisation industrielle. Il tente de soudoyer Achard, contre 50 000 écus d’abord puis 200 000 ensuite, afin que ce dernier publie un article scientifique dénigrant ses propres recherches. L’honnête Achard refuse et il revient au chimiste anglais Humphry Davy d’expliquer combien la betterave sera à jamais impropre à la consommation.

    La « désinformation » paraît fonctionner. En France, l’Académie des sciences sabote ses propres recherches sur la betterave, et Parmentier, le célèbre pharmacien picard qui fit le succès de la pomme de terre, milite encore en 1805 en faveur d’un sucre extrait du raisin.

    Les précurseurs français du sucre de betterave ne sont pas à l’Académie, ni dans les salons impériaux, mais à Lille, à Douai et en Alsace. Leurs Sociétés d’agriculture connaissent depuis longtemps la betterave fourragère et suivent de près les progrès du raffinage de la betterave réalisés en Belgique, aux Pays-Bas et en Allemagne. Le scientifique François Thierry expose ses recherches dans La Feuille de Lille en avril 1810, et récolte ses premiers pains de sucre à l’automne. Expérience concluante au point que le préfet du Nord envoie des échantillons au ministre de l’Intérieur Montalivet le 7 novembre, et cette lettre à M. Thierry : « Votre sucre a la couleur, le grain, le brillant, j’ose dire même la saveur de celui des colonies [14]. » Le ministre Montalivet envoie à son tour remerciements et gratification au Lillois.

    Quelques jours plus tard, le 19 novembre, un pharmacien peu scrupuleux présente devant l’Académie des sciences de Paris deux pains de sucre sortis mystérieusement du laboratoire du chimiste Jean-Pierre Barruel, chercheur à l’École de médecine de Paris. L’affaire est bidon et Barruel confondu en « charlatanisme » par ses pairs [15]. Elle prouve cependant que les milieux scientifiques parisiens s’intéressent à la betterave sucrière.
Au même moment, les commerçants lillois Crespel, Dellisse et Parsy améliorent les procédés d’Achard, d’abord en séparant le sucre de la mélasse grâce à une presse à vis, puis en utilisant le charbon animal (de l’os calciné) pour blanchir le sucre [16]. Ils remettent leur premier pain de sucre en décembre 1810 au maire de Lille, M. Brigode, puis installent leur sucrerie rue de l’Arc, dans le Vieux-Lille. En février 1811, un pharmacien lillois du nom de Drapiez parvient également à tirer deux pains de sucre de qualité.

    Le 10 janvier, le ministre Montalivet vante auprès de l’empereur les progrès du sucre de betterave… dans les pays germaniques, sans mentionner les Lillois. Quand deux mois plus tard, Napoléon (aidé de Chaptal) publie son fameux décret à un million de francs, il sait qu’à Lille on fabrique des pains de sucre de qualité commercialisable.

    Troisième mythe : l’empereur visionnaire. Pour saisir l’entourloupe, il faut s’attarder sur la culture de la betterave. La betterave se plante fin mars. Un campagne de production suivant un décret signé le 25 du même mois n’a donc aucune chance de réussir. Il aurait fallu de surcroît disposer d’un stock de graines que la France ne possède pas : la betterave est bisannuelle, elle fleurit une année, et ne donne des graines que l’année suivante.
Aussi, connaissant la nature assez peu aventureuse des paysans, il est compréhensible que ceux-ci s’abstiennent de cultiver en grande quantité, et du jour au lendemain, une espèce inconnue. Enfin, le peu de betteraves récoltées à l’automne 1811 s’entasse devant des raffineries inexistantes ou des raffineurs encore incompétents.
    
Bref, la planification de la betterave à sucre ressemble davantage à un caprice d’empereur qu’à une décision mûrement établie par un technocrate visionnaire. Dans son rapport du 30 décembre 1811, Montalivet doit masquer le fiasco. C’est alors que Napoléon se tourne vers #Chaptal pour sa politique sucrière.

    Quatrième mythe : l’épisode de l’intrépide Benjamin Delessert. Jean-Antoine Chaptal est en 1811 un chimiste réputé, professeur à l’école Polytechnique, membre de l’Académie française, mais aussi l’ancien ministre de l’Intérieur de Napoléon de 1801 à 1804 – auteur de cette loi qui instaura le département, l’arrondissement, le canton, et la commune. Chaptal est enfin un industriel d’acide sulfurique, et le propriétaire depuis 1806 de terres et d’une raffinerie de betterave à sucre dans l’Indre-et-Loire. C’est en bref, au sens le plus actuel du mot un technocrate polyvalent. Tout à la fois scientifique, politique et entrepreneur, jouant successivement et simultanément de ces diverses compétences.
    
Un autre historien résume la politique betteravière française : « Non seulement il [Chaptal] est à l’origine de tous les décrets qui lui ont donné naissance mais encore il l’a pratiquée lui-même à Chanteloup, sur ses propres terres, dès 1806 [17]. » Un banal conflit d’intérêts.
Chaptal a pour ami proche Benjamin Delessert, riche banquier issu d’une riche famille suisse et calviniste de banquiers, propriétaire d’une usine textile à Passy. Sa mère était amie avec Benjamin Franklin, et lui-même rencontra Adam Smith et James Watt pendant son voyage d’études en Écosse. Delessert fut maire du 3ème arrondissement de Paris en 1800 et avait déjà monté une raffinerie de sucre de canne en 1801 alors que son cousin Armand œuvrait lui-même dans le raffinage, à Nantes, avec Louis Say (future #Béghin-Say, future Tereos). En 1801, Delessert avait aidé Chaptal, alors ministre de l’Intérieur, à monter sa Société d’encouragement pour l’industrie nationale, puis avait été nommé Régent de la Banque de France en 1802. Voilà le C.V. de nos deux combinards quand l’empereur s’apprête à soutenir la production betteravière de son premier décret.

    A la fin de l’année 1811, la raffinerie du Vieux-Lille a déjà produit 500 kilos de sucre, et elle en produira 10 000 l’année suivante. Ainsi…

    Lorsqu’en 1812, Derosne [un chimiste proche de l’Empereur] et Chaptal arrivèrent à Lille avec mission d’y installer une sucrerie, leur surprise fut extrême en apprenant, dès leur arrivée, que le problème était résolu et que la petite fabrique de Crespel et Parsy fonctionnait depuis près de deux années. Ils s’en retournèrent à Paris, mais il ne paraît pas qu’ils aient averti Napoléon de ce qu’ils avaient vu, car les industriels lillois n’entendirent point parler de la récompense promise. Celle-ci fut décernée, la même année, à B. Delessert qui, occupé des mêmes recherches, obtint, mais deux ans plus tard, les mêmes résultats que Crespel et Parsy. […] Il est bon de constater qu’au moment même où Delessert était supposé découvrir le moyen de tirer du sucre de la betterave en 1812, Crespel et Parsy livraient déjà régulièrement leurs produits, à raison de 10 000 kilogrammes par an, à la consommation, précise un Dictionnaire encyclopédique et biographique de l’Industrie et des arts industriels de 1883 [18].

    Quand Napoléon débarque chez Delessert, celui-ci vient d’extraire 74kg de sucre à partir de cinq tonnes de betteraves, soit la quantité produite un an auparavant par les Lillois. Le duo Chaptal-Delessert semble bien avoir intrigué pour se réserver le million à investir dans le sucre. En 1812, Chaptal double ses terres de betterave, qui passent à cinquante hectares. Il y récolte vingt tonnes par hectare, emploie seize personnes, et prétend utiliser le procédé inventé par Delessert.
Delessert quant à lui ajoute le sucre de betterave à ses multiples affaires. Il fondera en 1818 la Caisse d’Épargne et – comme cette histoire est décidément riche de ricochets ! – notre populaire Livret A.

    Cinquième et dernier mythe : le Plan qui créa la filière. Le 15 janvier 1812, Napoléon signe un second décret qui cette fois réserve 100 000 hectares de terres à la betterave, offre 500 licences de raffinage, et crée quatre raffineries impériales. La France doit trouver 500 tonnes de graines qu’elle n’a pas, et les paysans sont d’autant plus réticents que la campagne précédente fut désastreuse. Seuls 13 000 hectares sont plantés. La récolte atteint péniblement 1,5t de sucre, 27 % de plus que l’année précédente.
    
L’impérial fiasco de Napoléon cesse là. La guerre l’appelle, il perd et abdique au printemps 1814. Les rois Bourbons installent leur Restauration. Fin du blocus. La politique betteravière française est enterrée. Les faillites se multiplient. Seul le Nord continue de planter de la betterave sucrière, et le Lillois Crespel, parti à Douai, demeure longtemps l’unique fabricant de sucre de betterave de France. Il résiste tant et si bien au « lobby » du sucre colonial qu’un boulevard porte aujourd’hui son nom à Arras, où trône sa statue. Le mythe napoléonien est quant à lui bien plus répandu. On doit au patronat lillois, en 1854, un bronze de Napoléon premier du nom, aux pieds duquel sont gravés les décrets relatifs à la betterave, ainsi qu’une grosse betterave. La statue est restée jusqu’en 1976 au milieu de la Vieille Bourse, sur la Grand’Place de Lille, avant d’être remisée dans la rotonde Napoléon du Palais des Beaux-Arts.

    Si l’invention du sucre de betterave par Napoléon est devenue un mythe au XIX° siècle, il s’agit d’abord d’un mythe patronal.

    On peine à le saisir, mais la « question des sucres » est pendant la première moitié du XIX° siècle un sujet politique des plus épineux. Le roi Louis-Philippe taxe le « sucre indigène » en 1838 et va jusqu’à menacer d’interdiction le commerce de betterave. La bataille est commerciale autant qu’idéologique. Avec la canne à sucre, les armateurs, les ports et les propriétaires coloniaux défendent les rentes de leur vieille économie agraire/féodale, et donc la monarchie. Avec le « sucre indigène » extrait de la betterave, les industriels défendent une nouvelle économie plus dynamique, plus scientifique, plus moderne, et donc un système politique bourgeois. Contre les monarchistes, les rentiers, les esclavagistes, et les Anglais : la betterave !

    Louis-Napoléon publie en 1842, depuis sa geôle picarde du fort du Ham, une Analyse de la question des sucres [19]. Faut-il favoriser le travail des esclaves ou celui des ouvriers français libres ? « Il est impossible d’arrêter la marche de la civilisation, répond le futur empereur, et de dire aux hommes de couleur qui vivent sous la domination française : ‘’Vous ne serez jamais libres.’’ » Vive la betterave.

    Alors que la production française ne passe que de 4 000 tonnes de sucre en 1814 à 10 000 en 1830, la production décolle avec l’arrivée de Louis-Napoléon sur le trône. De 26 000 tonnes en 1841, elle passe à 92 000 tonnes en 1850, monte à 381 000 à la fin de l’empire en 1870, pour atteindre le million en 1900, avant que la guerre 14-18 ne détruise 75 % des sucreries, concentrées dans le nord de la France [20].
Si l’actuelle union sacrée de la betterave devait déposer une gerbe aux pieds d’un empereur, c’est à ceux de Louis-Napoléon III qu’il faudrait la déposer, tant la production betteravière explose sous le second empire.
    Les promesses de paradis terrestre à Escaudœuvres et dans le monde
    En septembre 2022, deux ans après la catastrophe, et à quelques semaines du procès, la Direction régionale des affaires culturelles (la DRAC) envoie ses artistes en résidence dans le Cambrésis pendant six mois pour « une série d’actions permettant aux habitants une meilleure appréhension et compréhension de la sucrerie d’Escaudœuvres et de son ‘’écosystème’’ dans le cadre des 150 ans ». 

    Que peut-on attendre d’un « laboratoire original d’action culturelle patrimoniale » en lien « avec la sucrerie et les tissus agricole et économique », sinon une couche de caramel sur un tas d’ordures [21] ?
Des questions se posent, trop simples sans doute pour les esprits raffinés. En un siècle et demi, la sucrerie a-t-elle fait d’Escaudœuvres un pays de Cocagne pour habitants comblés ? Vivait-on mieux dans la région, ou moins bien, avant la monoculture de la betterave ? Quel bilan tirer de l’industrie alimentaire pour le canton, pour la région et pour le monde ?

    Imaginons que vous rejoigniez Cambrai en voiture depuis Amiens : que vous preniez l’autoroute à Péronne ou la nationale par Albert, vous traversez la même désolante plaine agro-industrielle, une terre lourde désertifiée aux herbicides en hiver, rythmée non par des haies mais par des éoliennes. Certains villages de ce coin perdu de la Somme semblent ne devoir leur survie qu’à quelques propriétaires d’exploitations, dont on compte le nombre d’hectares en centaines. A peine les villages autour de Pozières accueillent des touristes anglais, canadiens et australiens, dans leur Musée de la guerre 14 et leurs innombrables cimetières militaires. On conseille la visite pendant les neuf mois d’hiver. Notre tableau n’est certes pas bucolique, mais les offices du tourisme ne participent pas non plus aux concours du plus beau village de France.

    Arrivés sur place, Escaudœuvres n’est séparée de Cambrai que par la zone commerciale, aujourd’hui le premier employeur de la ville, avec ses restaurants de « bouffe rapide » et sucrée bourrés les mercredis et week-ends. Escaudœuvres est une zone-village sans attrait, s’étirant le long de la départementale 630, qui elle-même longe l’Escaut, qui lui-même s’en va mourir en Mer du nord sous le toponyme flamand de Schelde. La sucrerie fut longtemps le cœur battant du village, qui vit au rythme des récoltes depuis 150 automnes. Mais à côté de la sucrerie et de la zone commerciale, Escaudœuvres est également connue pour sa fonderie Penarroya-Metalleurop qui rejetait avant sa fermeture en 1998 une tonne de plomb dans l’air tous les ans. Une digue, encore une digue, avait cédé en 1976, décimant les troupeaux alentours et interdisant la consommation des légumes« Pollution par le plomb près de Cambrai », [22]. Pour tout souvenir indélébile de l’épopée métallurgique, les riverains sont depuis le début du mois de juillet 2023 invités à un dépistage de plombémie dans le sang [23]. La fonderie est devenue une usine de « recyclage » de batteries de voitures électriques. Si la filière est d’avenir, elle en aura toujours moins que le saturnisme, la maladie du plomb.

    La Sucrerie centrale de Cambrai fut fondée en 1872 par l’inventeur de la râpe à betterave, l’ingénieur des Arts et Métiers Jules Linard [24]. Son invention lui offre un avantage compétitif sérieux. La sucrerie d’Escaudoeuvres est réputée la plus grande du monde avant sa destruction en 1914. Reconstruite et modernisée grâce aux indemnités des dommages de guerre, elle est rachetée par Ferdinand Béghin en 1972, alors patron du sucre et de la presse de droite. Un C.V. s’impose :
La famille Béghin raffine du sucre depuis que Ferdinand 1er (1840-1895) s’est vu léguer la raffinerie de Thumeries en 1868, dans le Pas-de-Calais. Ses fils Henri (1873-1945) et Joseph (1871-1938) font prospérer l’entreprise : ils rachètent plusieurs sucreries dans la région, et construisent à Corbehem en 1926 leur propre papeterie-cartonnerie, pour assurer eux-mêmes l’emballage. 

    Ce faisant, pourquoi ne pas fabriquer aussi des journaux ?, leur suggère le patron roubaisien du textile et des médias Jean Prouvost (1885-1978). Banco : voilà un marché porteur. Le groupe #Béghin prend la moitié de Paris-Soir, de Marie Claire et de Match vers 1936-1938, si bien qu’il doit acheter 34 000 hectares de forêt en Finlande pour couvrir ses besoins de papier. 

    Pendant ce temps, le village de Thumeries est devenu une « ville-usine », une coopérative géante dominée par la main paternelle des Béghin. Entre leurs cinq châteaux, ils construisent les logements de leurs ouvriers, mais aussi leur stade de foot, leur gymnase leur piscine, leur club de basket, et rénovent encore leur église après les bombardements de 1940. Les Béghin emploient, logent, distraient leur main d’œuvre, qui les gratifie du poste de maire à plusieurs reprises. L’enfermement industriel si répandu dans les corons.

    La papeterie-cartonnerie de Corbehem, où l’on fabrique le papier magazine satiné, surclasse la concurrence, et Ferdinand le jeune (1902-1994) investit à son tour dans l’édition. Il prend en 1950 le contrôle de Paris-Match, Le Figaro et Télé 7-jours, en même temps qu’il devient leader du marché des mouchoirs, papiers toilette, et serviettes hygiéniques (Lotus, Vania, Okay). Sucre et papier, de la bouche au c… cabinet.
    
Bref, Ferdinand Béghin s’associe à la famille Say en 1972 pour créer le groupe Béghin-Say. Mais les investissements hasardeux s’enchaînent, le groupe familial se délite, et finit racheté par son banquier historique Jean-Marc Vernes – intime de Serge Dassault et de Robert Hersant, argentier de la presse de droite et du RPR, trafiquant en tous genres, et notamment d’influence.

    Les grandes manœuvres capitalistes se poursuivent. Béghin-Say passe sous la coupe du chimiste italien Ferruzzi en 1986, puis de l’autre groupe chimique italien, Montedison, en 1992. L’entreprise s’installe au Brésil en 2000 alors que les betteraviers réorganisent, en 2003, leur activité sucrière sous la forme coopérative et sous le nom de Tereos. Investie dans la canne à sucre, la coopérative peut prendre part à la déforestation de l’Amazonie, à la culture de canne transgénique [25], à la perpétuation de l’esclavage [26]. Tereos est aujourd’hui le deuxième producteur mondial de sucre, présent sur les cinq continents, en République tchèque, à La Réunion, en Indonésie, au Kenya, en Inde, pour produire du sucre et des dérivés comme le glucose, l’amidon, l’éthanol, etc.

    Dans les Hauts-de-France, près de la moitié des agriculteurs produisent de la betterave à sucre, qui rapporte à elle seule 350 millions d’euros à la région tous les ans. Cette manne sucrière alimente ensuite la filière régionale des chocolateries, sucreries et sodas, fournissant par exemple Coca-Cola à Dunkerque à raison de 42 morceaux de sucre par bouteille de deux litres, mais aussi les usines Cémoi (Dunkerque et Villeneuve d’Ascq), Häagen-Dazs (Arras), Nestlé (Nesquik, Chocapic, Lion, Kitkat, près de Saint-Quentin), et encore Ferrero (Nutella, Kinder, à Arlon en Belgique) – une filière aussi prospère que des salmonelles dans des œufs Kinder. Coïncidence ou non : l’obésité touche presque un quart de la population des Hauts-de-France (22 %), soit cinq points de plus que la moyenne nationale. Le haut du podium.

    Revenons à Escaudœuvres et longeons le canal un instant. D’un côté les poules d’eau font connaissance, de l’autre les bassins de rétention de l’usine s’étendent sur deux kilomètres derrière les talus. Ce sont les bassins de rétention éventrés en mai 2020. Et si ça pue autant la pourriture pourrie, « c’est à cause des bassins, nous confirme un promeneur. Et encore, c’est pire pendant les 120 jours de la campagne ! »
    
Lui prétend s’être habitué – mais on s’habitue à tout. Notre promeneur est « né à Escaudœuvres en face de la sucrerie ». Étudiant en chimie, il attendait une réponse de Tereos pour un stage, réponse qui ne viendra plus. Il désigne les cuves rutilantes « qui n’ont peut-être jamais servi », et la nouvelle chaudière à gaz en remplacement de celle à charbon : 24 millions d’investissements en 2021 « pour que ça ferme », conclut-il dépité. Mais il a son explication :

    Tout ça, c’est à cause des écolos, pour faire bonne figure. Ça a été décidé là-haut. On est le seul pays à interdire les néonicotinoïdes. D’un côté ça va faire tomber la production, et la sucrerie ne sera plus rentable ; de l’autre la France va acheter du sucre aux pays qui peuvent encore utiliser des pesticides, et on sera encore moins rentables.

    Ce sont les mots de l’industriel, du syndicat de la betterave, et des gens du coin – qu’il s’agit de vérifier : la Cour de justice européenne n’accorde ni à la Belgique ni à l’Allemagne ni à la Pologne de dérogation sur les néonicotinoïdes. En revanche l’importation de sucre aux néonicotinoïdes hors de l’UE semble en effet autorisée, et des discussions seraient en cours au Parlement pour aligner les réglementations.

    Quoi qu’il en soit : que l’on considère l’interdiction des néonicotinoïdes, ces « tueurs d’abeilles », comme une victoire ou une défaite, cette histoire aux mille rebondissements tend à masquer tout le reste des produits « phytos » qui entrent dans la production de sucre, d’alcool, de carburant ( #bioéthanol ), et de gel hydroalcoolique produits à partir de la betterave. Or, les trois départements qui en France consomment le plus de produits cancérigènes, mutagènes et reprotoxiques - ces substances dites « CMR » parmi les plus meurtrières du catalogue -, sont la Somme, le Pas-de-Calais et le Nord. En cause : la pomme de terre, la plus consommatrice, et la betterave, juste derrière.
    
Quant aux herbicides, le Ministère nous informe que « L’Oise tout comme l’Aisne, la Marne et la Somme sont les quatre premiers départements en terme de superficie de culture de betteraves. Or, [...] la culture de betteraves reçoit un nombre moyen de traitements en herbicides très élevé par rapport à d’autres cultures (13,7 contre 2,9 sur le blé tendre par exemple) [27]. »

    Le plus épandu est le fameux #glyphosate, que les coopérateurs de la betterave défendent avec acharnement. Tout comme ils défendaient dernièrement le s-métolachlore, un herbicide si persistant dans les nappes phréatiques qu’il devrait interdire de consommation l’eau des deux tiers des robinets de la région, logiquement la plus touchée [28], 11 avril 2023.]]. À peine son interdiction évoquée par l’Agence sanitaire nationale (ANSES) que la Confédération générale de la Betterave, le syndicat de la corporation, s’insurgeait contre la « longue liste des moyens de productions retirés progressivement aux agriculteurs, obérant ainsi leur capacité à exercer leur rôle premier : nourrir les populations [29]. » Le ministre de l’agriculture Marc Fresnau leur a déjà garanti plusieurs années de S-metolachlore.

    Cette interdiction des néonicotinoïdes révèle le bourbier où pataugent les scientifiques, les journalistes scientifiques, comme les associations environnementales : l’interdiction des néonicotinoïdes, votée à l’Assemblée nationale le 15 mars 2016, n’est effective que depuis janvier 2023... sous pression de Bruxelles ; et après les dérogations successives du ministre actuel de l’agriculture et de la précédente ministre de l’environnement Barbara Pompili (une autre Amiénoise). Cette interdiction fut arrachée après plus de dix années de voltes-faces politiques, de pseudo-controverses scientifiques, de coups de pression des syndicats agricoles, et de menaces sur l’emploi.

    Si pour chaque molécule, le spectacle médiatique et parlementaire doit mettre en scène ses expertises et contre-expertises, discutailler les protocoles et les résultats, la sixième grande extinction nous aura fauché que l’expertocratie bruxelloise n’aura pas encore tranché le cas du glyphosate. D’ailleurs cette digue de papier qu’on appelle « Droit de l’environnement », comme d’autres digues, n’empêche pas Tereos, au Brésil par exemple, de poursuivre ses épandages aériens d’Actara 750 SG, un insecticide interdit depuis 2019 [30]. Le sucre industriel est essentiellement catastrophique, de sa culture à sa transformation jusqu’à sa consommation.

    Poser les questions de nos besoins en sucre, de l’automobile à betterave, de l’utilité de Tereos pour les Hauts-de-France et de la filière agro-alimentaire pour l’Humanité, et plus généralement encore du modèle industriel qui domine la région et le monde depuis deux cents ans, nous feraient sans doute gagner du temps. Mais ce qui nous ferait gagner du temps, leur ferait perdre de l’argent. Encore une fois, leurs profits et nos emplois valent plus que nos vies.

    L’industrie – mines, filatures, chemins de fer, hauts fourneaux, sucreries –, s’est développée tout au long du XIX° dans un acte de foi promettant l’avènement du paradis terrestre. Acte de foi répété aussi bien par les économistes libéraux que communistes, par les partisans du roi que par ceux de l’empire ou de la république. Deux-cents ans plus tard, avec des taux de chômage, de pollution, et de maladies associées parmi les plus hauts du pays, le paradis terrestre s’avère être un enfer – et nous devrons encore gérer des déchets mortellement radioactifs, ceux de Gravelines par exemple, pendant des milliers d’années.

    Voilà ce que nul élu local – et surtout pas François Ruffin –, parfaitement informé des nuisances de la société industrielle, ne peut ignorer. Voilà pourtant ce que le candidat à la prochaine élection présidentielle, « biolchevique » revendiqué et partisan de l’alliance « rouge/verte », entre « sociaux-démocrates » et écologistes, ouvriers et petits-bourgeois, a pris soin de dissimuler à ses lecteurs et électeurs depuis vingt-cinq ans. A tort d’ailleurs, toutes ces choses vont sans dire chez les gens du Nord comme chez ceux du Sud. Tout ce qui leur importe c’est la pâtée, bien sucrée, et des écrans pour se distraire en digérant. Le pouvoir et l’élu qui peuvent tenir cette double-promesse n’auront jamais de problème avec sa population et ses électeurs.
    Tomjo
    Notes
    [1] « Nos betteraviers sont des tueurs », Chez Renart, 13 janvier 2023.
    [2] France Bleu Nord, 12 janvier 2023.
    [3] « De l’Escaut à l’Amazonie : Beghin-Say ou la catastrophe permanente », Chez Renart, 10 mai 2020.
    [4] ericbocquet.fr
    [5] Le Monde, 24 juin 2023.
    [6] Cf. Métro, Boulot, Chimio, Collectif, Le monde à l’envers, 2012. Cancer français : la récidive. A propos d’Ecopla et de l’aluminium, Pièces et main d’œuvre, 2016. D’Amiens nord à Blanquefort, délivrons les ouvriers, fermons les usines, Tomjo, Pièces et main d’œuvre, 2017.
    [7] Cf. le film Morts à 100 % : post-scriptum, de Tomjo et Modeste Richard, 45 mn, 2017. Ou encore La foi des charbonniers, les mineurs dans la Bataille du charbon, 1945-1947, Evelyne Desbois, Yves Jeanneau et Bruno Mattéi, Maison des sciences de l’homme, 1986.
    [8] « Quand Napoléon engageait la bataille du sucre », 31 janvier 2023.
    [9] « La Bataille du sucre », Le Monde, 10 septembre 2007.
    [10] Fakir, mai-juin 2023.
    [11] « La bataille du sucre ou la défaite méconnue de Napoléon Ier », Ludovic Laloux, Artefact, 2018.
    [12] « Histoire : les Antilles françaises, le sucre et la traite des esclaves », Futura sciences, 10 janv. 2019.
    [13] Cité par Ludovic Laloux, art. cit.
    [14] Idem.
    [15] Lettre d’Andriel et Wolft au ministre de l’Intérieur, 18 juillet 1813, citée par Laloux, art. cit.
    [16] L’Industrie sucrière indigène et son véritable fondateur, Pierre Aymar-Bression, 1864.
    [17] « Le sucre de betterave et l’essor de son industrie : Des premiers travaux jusqu’à la fin de la guerre de 1914-1918 », Denis Brançon, Claude Viel, Revue d’histoire de la pharmacie, n°322, 1999.
    [18] Dictionnaire encyclopédique et biographique de l’Industrie et des arts industriels, Vol. 3, art. « Louis Crespel », Eugène-Oscar Lami, 1883. On peut lire aussi L’Industrie sucrière indigène et son véritable fondateur, op. cit.
    [19] A retrouver ici.
    [20] « Le sucre de betterave et l’essor de son industrie... », art. cit.
    [21] Appel à candidature « Une sucrerie, un territoire », culture.gouv.fr, 29 juillet 2022.
    [22] Le Monde, 25 mars 1977.
    [23] La Voix du nord, 12 juillet 2023.
    [24] Jules Linard (1832-1882), multi-propriétaire de sucreries, est l’inventeur de la râpe à betterave, toujours utilisée aujourd’hui, pour laquelle il fut récompensé lors de l’Exposition universelle de 1878.
    [25] « De l’Escaut à l’Amazonie... », art. cit.
    [26] « Des plantations brésiliennes accusées de travail forcé fournissent l’Europe en sucre », Le Monde, 31 déc. 2022.
    [27] « État des lieux des ventes et des achats de produits phytopharmaceutiques en France en 2020 », mars 2022.
    [28] « Eau du robinet : les Hauts-de-France est la région où les concentrations de pesticides sont les plus élevées », [[France bleu Nord
    [29] cgb-france.fr, 16 février 2023.
    [30] « Au Brésil, les géants du sucre responsables d’une pluie toxique », Mediapart, 25 avril 2023.

    Source : https://renart.info/?La-betterave-la-gauche-le-peuple-et-nous

  • Initiative of Lawyers and Jurists for the shipwreck of Pylos

    All of us who gathered on Thursday, June 22, 2023, at the Athens Bar Association, responding to the call for an open meeting of lawyers and jurists for the fatal criminal shipwreck off Pylos on June 14, 2023 – lawyers, citizens and representatives of organizations in the field:

    We voice our disgust at the tragic death of hundreds of our fellow human beings and express our sadness and pain to their families and loved ones.

    We express our belief that this fatal shipwreck could have been avoided, as the overloaded ship had been spotted in time and the danger it was in had been identified many hours before it sank. But the competent bodies of the Coast Guard, as well as Frontex, which were watching the incident, refrained from any rescue action. In fact, there is evidence of an attempt to tow the ship by the vessel of the Greek Coast Guard, without it being known for what purpose or in which direction. In any case, the criminal liabilities of the state authorities responsible for the salvage operation of the ship off Pylos must be investigated regarding committing felonies by acts or omissions. It is necessary for there to be a true and objective, independent from state interest, exhaustive investigation of the circumstances of the shipwreck. That is for the truth to emerge and for the responsibilities to be assigned to all those who were involved with the incident in any position and in any capacity.

    The first open meeting on June 22, attended by over 70 people, was an opportunity for a rich discussion with interventions by lawyers active in the field, figures from human rights organizations and representatives of anti-racist movements.

    We decided to create an Initiative of Lawyers and Jurists for the shipwreck of Pylos, with the aim of revealing the whole truth about the circumstances of the wreck and in order to render justice. We seek to create a space that helps highlight, document and record the facts, and empower victims, their families and their representatives in their fight for justice, through all the required political and legal actions. We ask all Bar Associations in Greece to undertake similar initiatives.

    We are open to cooperation and coordination with every individual and collective fighting for the same cause. The initiative will meet again to discuss our next steps and actions.

    To contact us, email: justice4pylos@yahoo.com

    https://justice4pylos.org

    #Justice_4_Pylos #Pylos #résistance #naufrage #justice
    #Grèce #naufrage #asile #migrations #décès #morts #tragédie #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #14_juin_2023 #Méditerranée #Mer_Méditerranée #13_juin_2023

    –—

    sur le naufrage (et les contre-enquêtes), voir ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/1008145

  • La betterave, la gauche, le peuple - et nous
    https://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?article1863

    Le 12 janvier 2023, la coopérative sucrière Tereos est condamnée à une amende record d’un demi-million d’euros pour l’écocide de l’Escaut en 2020 (voir ici). Que ce soit au moment de la catastrophe, lors de l’audience en décembre 2022, ou du délibéré quelques semaines plus tard, on n’a vu ni le député local ni le maire exiger des comptes du deuxième groupe sucrier mondial devant une foule vengeresse. Non plus qu’on n’a entendu le « député reporter » François Ruffin, dans sa cuisine ou aux portes de l’usine, dénoncer les méfaits du sucre sur la santé et de Tereos sur la vie. On n’a pas vu le ministre de l’industrie Renaud Lescure taper du poing en sous-préfecture, ni Xavier Bertrand, président du Conseil régional, défiler dans les rues. Le président des Hauts-de-France préférant manifester à Paris le 7 (...)

    https://chez.renart.info/?Nos-betteraviers-sont-des-tueurs #Nécrotechnologies
    https://www.piecesetmaindoeuvre.com/IMG/pdf/la_betterave_et_nous.pdf

  • Dans le port d’#Ellouza, en #Tunisie, les migrants entre noyade et #errance

    Ce village situé au nord de Sfax n’est qu’à 150 km de Lampedusa. Un point de départ à haut risque pour les migrants subsahariens qui tentent de rallier l’Europe. Dimanche, une nouvelle embarcation a fait naufrage au large des côtes tunisiennes ; une personne a été tuée et une dizaine d’autres sont portées disparues.

    Après cinq heures de mer, Yannick pose finalement pied sur la terre ferme. Mais du mauvais côté de la Méditerranée. Ce Camerounais de 30 ans, avec des dizaines d’autres migrants subsahariens, vient, jeudi 6 juillet, d’être intercepté par les garde-côtes tunisiens au large d’Ellouza, petit village de pêcheurs à 40 km au nord de Sfax. Envolés les 2 500 dinars (800 euros) que lui a coûtés la traversée vers Lampedusa (Italie).

    Sur la plage, une unité de la garde nationale est déjà en poste pour les accueillir. Les agents tentent de contenir les quelques villageois, curieux, venus assister au débarquement. Hommes, femmes, enfants et nourrissons sont ainsi contraints de quitter leur bateau de fortune, devant des spectateurs amusés – ou au moins habitués – et face à une police sur les nerfs. Un gendarme, tendu, prend son téléphone pour demander des renforts. « Vous nous laissez seuls, personne n’est arrivé », reproche-t-il à son interlocuteur. « C’est tous les jours comme ça, plusieurs fois par jour », maugrée-t-il en raccrochant.

    Les uns après les autres, les migrants quittent le bateau. « Venez ici. Asseyez-vous. Ne bougez pas », crient les agents des forces de l’ordre qui retirent le moteur de l’embarcation de métal et éloignent les bidons de kérosène prévus pour assurer la traversée d’environ 150 km qui séparent Ellouza de Lampedusa. Migrants subsahariens, villageois tunisiens et agents de la garde nationale se regardent en chien de faïence. Dans l’eau, le petit bateau des garde-côtes qui a escorté les migrants surveille l’opération. La présence inattendue de journalistes sur place ne fait qu’augmenter la tension. Yannick, accompagné de son frère cadet, s’inquiète. « Est-ce qu’ils vont nous emmener dans le désert, ne les laissez pas nous emmener », supplie-t-il.
    Violents affrontements

    Depuis une semaine, des centaines de migrants subsahariens ont été chassés de Sfax vers une zone tampon désertique bordant la mer, près du poste frontière avec la Libye de Ras Jdir. D’autres ont été expulsés à la frontière algérienne. Ces opérations font suite aux journées d’extrême tension qui ont suivi la mort d’un Tunisien, lundi 3 juillet, tué dans une rixe avec des migrants subsahariens, selon le porte-parole du parquet de Sfax.

    Trois hommes, de nationalité camerounaise, d’après les autorités, ont été arrêtés. Dans la foulée, des quartiers de Sfax ont été le théâtre de violents affrontements. Des Tunisiens se sont regroupés pour s’attaquer aux migrants et les déloger de leur habitation. Yannick et son petit frère faisaient partie des expulsés. Les deux hommes ont fui la ville au milieu de la nuit, parcourant des dizaines de kilomètres à pied pour se réfugier dans la « brousse », près d’Ellouza.

    La région de Sfax est depuis devenue le théâtre d’un étrange ballet. Toute la journée et toute la nuit, dans l’obscurité totale, des groupes de migrants subsahariens errent sur les routes communales entourées de champs d’oliviers et de buissons. « A chaque fois, quelques personnes étaient chargées des courses, de l’eau et un peu de nourriture. Il fallait transporter le tout à pied sur plusieurs kilomètres », raconte Yannick. Lui et son petit frère de 19 ans ont dormi deux nuits dehors, avant que leur grande sœur, qui a réussi à rejoindre la France des années auparavant, ne leur paie leur traversée, prévue le 6 juillet à midi.

    « Commerçants de la mort »

    Ce jour-là, près du port d’Ellouza, Hamza, 60 ans, repeignait son petit bateau en bois bleu et blanc. Ce pêcheur expérimenté ne cache pas son émotion face au drame dont son village est le théâtre. Lui-même a dû s’improviser pêcheur de cadavres depuis quelque temps. Des corps sans vie se coincent parfois dans ses filets. « Une fois, j’ai trouvé la moitié du corps d’une femme mais elle était dans un état de décomposition tel que je n’ai pas trouvé par où la tenir. Je l’ai laissée là. Je n’ai pas pu dormir pendant des jours », dit-il, la voix tremblante.
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    Dimanche 9 juillet, une nouvelle embarcation a fait naufrage au large de cette région : une personne est morte et une dizaine d’autres sont portées disparues. En plus des cadavres, les épaves des bateaux métalliques qui servent à la traversée des migrants déchirent souvent les filets des pêcheurs. « Je n’ai pas les moyens de racheter des filets tous les mois », regrette Hamza.

    Le long de la côte autour d’Ellouza, les bateaux métalliques échoués et rongés par la rouille sont innombrables. Ces bateaux, de « très mauvaise qualité » selon le pêcheur, sont construits en quantités importantes et coûtent moins cher que ceux en bois, les pneumatiques ou les barques en plastique qui servaient auparavant à la traversée. « Ce sont des commerçants de la mort », accuse Hamza en pointant aussi bien les passeurs que les politiques migratoires européennes et les autorités tunisiennes.

    « Je retenterai ma chance »

    La Commission européenne a annoncé en juin le déblocage de 105 millions d’euros « pour lutter contre les passeurs [et] investir dans le contrôle maritime des frontières par les Tunisiens », sans compter la coopération bilatérale venant de Paris ou Rome. Selon le Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, durant le premier semestre, près de 30 000 migrants sont arrivés à Lampedusa en provenance de Tunisie.

    Sur les rochers recouverts d’algues, des centaines de pneus de voiture, servant à amarrer les navires, jonchent la côte. Depuis la falaise, on aperçoit le corps en début de décomposition d’un migrant. Un autre à quelques mètres. Et puis un autre encore, en contrebas, devenu squelette. Personne n’a cherché à les enterrer, ni à savoir qui ils étaient. Ils font partie des « disparus » en mer. Des chiens rôdent. Le paysage est aussi paradisiaque qu’infernal.
    Lire aussi :
    En Tunisie, les cadavres de migrants s’accumulent à Sfax

    Débarqué vers 17 heures, Yannick sera finalement relâché sur la plage avec son groupe. « C’est grâce à vous, si vous n’étiez pas restés, ils nous auraient embarqués et emmenés à la frontière », assure-t-il. Le soir même, avec son frère, ils ont parcouru à pied les dizaines de kilomètres qui séparent Ellouza de Sfax. Cette fois dans l’autre sens. Après être arrivé à la gare ferroviaire à 3 heures du matin, Yannick a convaincu un vieil homme de leur acheter des tickets pour Tunis.

    Ils sont finalement arrivés sains et saufs dans la capitale. « Il faut que je trouve du travail mais la situation est plus acceptable ici », dit-il. Malgré cette expérience, Yannick est toujours convaincu qu’un avenir meilleur l’attend de l’autre côté de la Méditerranée. « Quand j’aurai l’argent, je retenterai ma chance, promet-il. Retourner au pays n’est pas une option. »

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/10/a-ellouza-port-de-peche-tunisien-la-mort-l-errance-et-les-retours-contraints

    #Sfax #migrations #réfugiés #Méditerranée #décès #mourir_en_mer #Tunisie #désert #abandon #pêcheurs #naufrage

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    déjà signalé par @_kg_ ici :
    https://seenthis.net/messages/1008817#message1009698
    et par @veronique_petit ici :
    https://seenthis.net/messages/1009521

  • France Travail : « Les travailleurs handicapés sont utilisés comme variable d’ajustement du marché du travail », Pierre-Yves Baudot et Jean-Marie Pillon.

    Le chantier France Travail ouvert par le gouvernement et le projet de loi « plein-emploi » présenté en conseil des ministres visent, entre autres, à intégrer les travailleurs handicapés dans le droit commun. L’intention est louable. La manière mérite toutefois une mise en perspective.
    Cette inclusion dans le marché de l’emploi se fait sans réfléchir à la façon dont le travail « produit » le handicap : en usant le corps d’une part (troubles musculosquelettiques, accidents du travail, dépression), en éloignant de l’autonomie financière les moins productifs d’autre part (sélectivité du marché du travail, intensité des cadences, organisation standardisée du travail).
    Elle se fait également en pensant le problème de l’inclusion comme une question d’appariement : ce qu’il manquerait aux travailleurs handicapés pour travailler, ce serait uniquement de l’information, de l’accompagnement et un travail d’intermédiation pour les rapprocher des employeurs.

    Augmenter le nombre de personnes employables

    Il n’y a rien dans ce projet de loi qui soit relatif à l’accessibilité ou à l’aménagement des postes de travail, rien non plus sur les obligations des employeurs, rien, enfin, sur l’accessibilité des zones d’activité. Ces occultations sont liées aux objectifs visés par cette réforme. D’une part, celle-ci s’inscrit dans une trajectoire de réformes visant à augmenter le nombre de personnes employables.

    Les lycéens en bac techno seront plus facilement accessibles aux entreprises via des guichets de stage installés dans les lycées, les demandeurs d’emploi seront incités à accepter plus facilement les offres d’emploi, leur durée d’indemnisation étant réduite. Les bénéficiaires du RSA devront travailler presque gratuitement pour conserver leurs droits. L’ensemble des salariés devra travailler deux ans de plus pour espérer une retraite à taux plein.

    Dans une période qui se rapproche statistiquement du plein-emploi, cet accroissement de la main-d’œuvre disponible vise à limiter la hausse des salaires induite par la raréfaction du nombre de personnes sans aucun emploi. Ces réformes n’ont pas pour objectif de réduire le nombre de personnes en sous-emploi (à temps partiel ou en emploi discontinu) ou de personnes vivant des minima sociaux. Au contraire : la réforme de l’assurance-chômage verra croître le nombre de travailleurs pauvres.

    La réforme des retraites augmentera, selon la direction de la recherche, des études, de l’évaluation et des statistiques (Drees) le nombre de personnes vivant grâce au RSA (+ 30 000 bénéficiaires) et augmentera le coût pour l’Etat de cette prestation (+ 150 millions d’euros pour le RSA). Le nombre de bénéficiaires et le coût de l’allocation adulte handicapé devraient aussi augmenter (+ 510 millions d’euros pour l’AAH) , beaucoup de travailleurs usés ne pouvant pas continuer deux ans de plus.

    Inclusion ou véritable émancipation ?

    D’autre part, cette réforme introduit une bascule cruciale.
    Historiquement, les personnes handicapées avaient été épargnées par l’injonction au travail salarié, compte tenu des causes de leur handicap (accident du travail, invalidité de guerre, maladies chroniques). On mesure alors le pas important qui a été franchi pour que l’ancienne secrétaire d’Etat aux personnes handicapées, Sophie Cluzel, ait pu dire « tout le monde est employable ».

    Certes, nul ne revendique que toute personne handicapée reste chez elle à attendre que le temps passe. Mais l’inclusion sur le marché ordinaire est ici imposée dans des conditions peu propices à une véritable émancipation. Le cas anglais nous alerte : au début des années 2010, le gouvernement britannique avait lancé une politique comparable, avec pour corollaire une hausse des #décès et du taux de #pauvreté (de 23 à 27 % entre 2013 et 2020) dans les foyers comptant une personne handicapée.

    A cela s’ajoute un enjeu institutionnel important : la réforme réduit le rôle des maisons départementales des personnes handicapées (MDPH). Jusqu’alors, celles-ci décidaient, sur la base d’une évaluation pluridisciplinaire, de l’orientation professionnelle des travailleurs handicapés vers le milieu ordinaire ou vers le milieu protégé. Cette orientation n’est pas exempte de critiques : elle contribuait à construire des filières de travail ségrégué, maintenant les personnes handicapées, de l’enfance à l’âge adulte, dans des structures au sein desquelles leurs droits n’étaient pas les mêmes que ceux d’un travailleur ordinaire.

    Une rupture importante

    Le projet de loi entend effectivement remédier à ceci en accordant à ces travailleurs des droits identiques à ceux des travailleurs du secteur ordinaire. Mais il ne revient pas sur une dimension essentielle : faire de la « rémunération garantie » des travailleurs d’établissements et services d’aide par le travail (ESAT) un véritable salaire. Ceux-ci constituent une main-d’œuvre sous-payée pour un travail de plus en plus soumis à des impératifs de productivité. [120 000 travailleurs handicapés sont sous-payés en ESAT]

    Dans ses versions initiales, le projet de loi annonce une rupture importante : échappant aux MDPH, l’évaluation est confiée aux conseillers de France Travail qui se fonderont davantage sur l’aptitude au travail plutôt que sur la situation de handicap. Présentée comme un élément décisif d’inclusion des personnes handicapées dans le droit commun, cette réforme amène non à produire de l’autonomie par le travail, mais à subordonner davantage les personnes handicapées aux impératifs de production de valeur marchande – qui, pour une part, produisent le handicap.

    Si le salariat peut ouvrir la voie de l’autonomie, l’adaptation des conditions de travail et d’emploi demeure un préalable. Enfin, cette réforme fait peser l’intégralité de l’effort d’accès concret au marché de l’emploi sur les personnes handicapées, tout en autorisant France Travail à ne pas s’appuyer sur leurs projets pour décider de leur orientation.

    L’insertion professionnelle n’est pas favorisée

    Cette réforme ne contient aucune disposition structurelle pour favoriser leur insertion professionnelle : pas d’accroissement de la contrainte pour les employeurs, pas d’incitation au recours à des aménagements raisonnables, pourtant promus aux niveaux européen et international. Enfin, aucune disposition relative à l’accessibilité des transports, un des éléments constitutifs de l’éloignement de l’emploi des travailleurs handicapés.
    C’est pourtant le principal frein mentionné par les jeunes handicapés dans leur accès à l’emploi. En dépit de son inachèvement affiché, cette réforme est bien porteuse d’une vision politique claire de restructuration du marché du travail dans une perspective de plein-emploi et aveugle aux enjeux de conditions de #travail, d’#emploi et de #salaire.

    Ces dimensions-là ont peu de chances d’être amendées dans un jeu parlementaire cadenassé. Et, là encore, à leur corps défendant, les #travailleurs_handicapés sont utilisés comme variable d’ajustement du marché du travail.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/07/07/france-travail-les-travailleurs-handicapes-sont-utilises-comme-variable-d-aj

    #France_Travail #MDPH #ESAT #RSA #AAH #retraites

    • Le projet a l’air d’augmenter par tous les moyens la masse de personnes «  employables  » pour augmenter la pression sur les salaires et garantir un volume constant voire augmentant de main d’œuvre disponible à cout contrôlé, voire déclinant.

      Une sorte de «  choc de compétitivité  » qui passerait par un appauvrissement généralisé de la classe laborieuse, tout en dégageant un maximum «  d’improductifs  » de l’équation.