• 28.12.2023, Migrante travolto da un treno trovato morto sui binari a #Taggia
    (pour archivage)

    Il corpo di un migrante è stato trovato all’interno della galleria “Santo Stefano”, subito dopo la stazione di Taggia in direzione Genova dal personale delle Ferrovie dello Stato intorno all’una e trenta della scorsa notte.

    Non è ancora chiaro se il migrante sia stato investito in quel punto o in un altro tratto e poi trascinato lì dal treno.

    Sul posto sono accorsi i vigili del fuoco del distaccamento di Sanremo, la polizia e il medico legale. Accertamenti sono in corso per ricostruire l’accaduto. Al termine del primo sopralluogo, effettuato intorno alle 5, è stato riattivato un binario con riduzione di velocità ed attivata circolazione alternata.

    Alle 7.15, la circolazione ferroviaria è stata nuovamente sospesa, e lo è tuttora, per consentire l’intervento dei necrofori giunti sul posto.
    Tre i treni regionali fermi nelle stazioni, mentre un Intercity è stato cancellato. Personale di assistenza alla clientela è presente nella stazione di Taggia.

    https://www.riviera24.it/2023/12/migrante-travolto-da-un-treno-trovato-morto-sui-binari-a-taggia-845357

    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #mort #décès #Alpes #Italie #France #frontières #Alpes_Maritimes

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    • Taggia, forse caduto dal tetto del treno il migrante trovato morto sui binari

      Probabilmente il giovane egiziano cercava di raggiungere la Francia.

      Potrebbe essere morto cadendo dal tetto del treno, il migrante egiziano di 24 anni trovato ieri cadavere all’interno di una galleria ferroviaria tra la stazione di Taggia e quella di Imperia. Nel corso dell’esame autoptico, eseguito oggi all’ospedale di Sanremo dal dottor Davide Bedocchi dell’istituto di Medicina Legale di Genova, sono infatti state riscontrate diverse fratture craniche e agli arti superiori.

      Probabilmente il giovane era salito sul treno nella speranza di attraversare il confine e raggiungere clandestinamente la Francia, sbagliando però convoglio e finendo nella direzione opposta. Poi, forse, ha perso la presa a causa dell’alta velocità ed è caduto sui binari, battendo la testa.

      https://www.riviera24.it/2023/12/taggia-forse-caduto-dal-tetto-del-treno-il-migrante-trovato-morto-sui-bina

  • 17.07.2022, Frontière franco-italienne : deux personnes sans-papiers renversées sur l’autoroute près de #Menton

    (pour archivage)

    Deux personnes, vraisemblablement migrantes, ont été renversées au bord de l’autoroute A8, près de Menton, à la frontière franco-italienne, dans la nuit de samedi à dimanche. Un homme a succombé à ses blessures sur les lieux de l’accident et une femme a été évacuée dans un état grave. Pour l’association Tous citoyens, la région est devenue « une zone de non-droit meurtrière ».

    Nouvelle victime à la frontière franco-italienne. Vers 1h du matin dimanche 17 juillet, deux personnes ont été renversées le long de l’autoroute A8 près de #Roquebrune-Cap-Martin, une des premières villes françaises depuis l’Italie voisine. Un homme a succombé à ses blessures sur les lieux de l’accident, tandis que la femme qui l’accompagnait a été transportée à l’hôpital dans un état grave, indique à InfoMigrants la préfecture des Alpes-Maritimes, confirmant une information de Nice matin. Les deux piétons auraient tenté de traverser les voies quand la voiture « circulant en direction de l’Italie » est arrivée dans cette zone peu éclairée.

    Selon le média local, les corps ont été retrouvés sans documents d’identité, laissant penser que ces personnes étaient entrées en France de manière illégale. « Cet accident [est] survenu dans un secteur où les passeurs déposent fréquemment des migrants », signale la préfecture.

    Une enquête a été ouverte pour identifier les deux exilés, qui « semblent assez jeunes », précise encore Nice matin.
    Des drames « évitables »

    David Nakache, président de l’association Tous citoyens, déplorent de son côté des drames qui « pourraient être évités » si « les autorités françaises respectaient la loi et le droit d’asile ».

    Sur le tronçon de 32 km allant du poste-frontière jusqu’à Nice, les migrants sont régulièrement interpellés par les forces de l’ordre et renvoyés manu militari côté italien, sans avoir la possibilité de déposer une demande de protection.

    Pour éviter d’être repérés et refoulés de l’autre côté de la frontière, les exilés se cachent et prennent tous les risques, au péril de leur vie. Ils montent sur le toit des trains, traversent la montagne ou empruntent des routes dangereuses, le plus souvent la nuit, pour échapper aux policiers et gendarmes. Pour David Nackache, cette région est devenue au fil des années « une zone de non-droit meurtrière ». Le militant réclame l’ouverture de voie légale pour les personnes cherchant à trouver refuge en France.

    Le dernier accident remonte à février, quand le corps carbonisé d’un homme avait été retrouvé sur le toit d’un train régional qui reliait la ville italienne de Vintimille à la France. Depuis 2015, au moins 30 personnes ont perdu la vie à la frontière franco-italienne, d’après les associations.

    Mais le chiffre pourrait être plus élevé car le nombre de morts n’est plus systématiquement recensé par les médias et les autorités. Certains décès passent ainsi en dehors des radars. David Nackache dénonce des drames qui se produisent désormais dans « l’indifférence générale » et qui « n’émeuvent plus personne ».

    https://www.infomigrants.net/fr/post/42033/frontiere-francoitalienne--deux-personnes-sanspapiers-renversees-sur-l

    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #mort #décès #Alpes #Italie #France #frontières #Alpes_Maritimes
    #Roquebrune-Cap-Martin

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  • 26.11.2021, Ventimiglia. migrante trovato morto : si indaga per omicidio
    (pour archivage)

    Il corpo di un uomo, un migrante, è stato trovato stamani sotto il cavalcavia di Roverino, a Ventimiglia. Durante l’esame esterno del cadavere sono state notate alcune ferite da taglio. Sul posto sono intervenuti il personale sanitario del 118 e i carabinieri. La zona, che è area di bivacco per alcuni migranti, è stata isolata e chiusa al transito. Si indaga per omicidio che potrebbe essere avvenuto ieri tra le 19 e le 24. Potrebbe essere secondo gli inquirenti un regolamento di conti o coinvolgere il traffico gestito dai passeur che si fanno pagare per accompagnare i migranti oltre frontiera.

    E’ stata confermata l’ipotesi di omicidio del migrante trovato morto sotto il cavalcavia di Roverino, a Ventimiglia. Il cadavere presentava diverse ferite da taglio a schiena e addome. La vittima, probabilmente un giovane nordafricano, potrebbe essere stata accoltellata nel corso di una lite, ma non è ancora chiara la dinamica dell’accaduto. I carabinieri di Ventimiglia stanno ascoltando diverse testimonianze anche da parte di altri migranti, tra cui quelli che stamani hanno segnalato la presenza del cadavere.
    L’area del cavalcavia di Roverino, infatti, è frequentata da numerosi migranti che vivono nella tendopoli in attesa di espatriare. Sul posto sono intervenuti il medico legale e il magistrato Luca Scorza Azzarà. Il Comune di Ventimiglia ha reso disponibile l’impianto di videosorveglianza cittadino per esaminare i filmati e trovare nuovi elementi investigativi.

    https://genova.repubblica.it/cronaca/2021/11/26/news/ventimiglia_migrante_trovato_morto_si_indaga_per_omicidio-32790820

    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #mort #décès #Alpes #Vintimille #Italie #France #frontières #Roverino #Alpes_Maritimes

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    • Ventimiglia: giovane migrante trovato morto. Ferite da taglio su schiena e addome, ipotesi omicidio/Le immagini

      In breve: Il corpo senza vita di un giovane migrante, apparentemente tra i 20 e i 30 anni, è stato trovato sotto il cavalcavia di Roverino.

      L’ipotesi più accreditata è quella dell’omicidio. Sul cadavere, infatti, sono state trovate diverse ferite da taglio, all’addome e alla schiena. La vittima, trovata riversa a terra, vicino ad un pilone del cavalcavia, dove con tuttà probabilità aveva trovato riparo per la notte, potrebbe essere stata uccisa a coltellate al cultime di una lite. Ad allertare i soccorsi alcuni migranti.

      Sul posto sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di Ventimiglia, affiancati dalla sezione Investigazioni Scientifiche dell’Arma. Presenti anche il Comandante Provinciale dei Carabinieri, Colonnello Marco Morganti, il Comandante del nucleo investigativo, Tenente Colonnello Pier Enrico Burri e il comandante della Compagnia di Imperia, Tenente Colonnello Pierluigi Giglio.

      Il corpo è stato trovato questa mattina e la morte, secondo una prima ricostruzione, potrebbe risalire a questa notte. I Carabinieri della sezione Investigazioni Scientifiche hanno effettuato tutti i rilievi del caso, alla ricerca dell’arma del delitto e di eventuali elementi utili a chiarire la dinamica dei fatti. Sentiti anche diversi migranti che bivaccano nella zona alla ricerca di eventuali testimoni.

      Le indagini sono state affidate al Pubblico Ministero Luca Scorza Azzarà. Il primo esame sul corpo è stato eseguito dal medico legale Andrea Leoncini.

      https://www.imperiapost.it/533859/ventimiglia-giovane-migrante-trovato-morto-ferite-da-taglio-su-schiena-e

    • Migrante ucciso: all’origine lite per un telefonino

      Difesa omicida, situazione di grave disagio tra connazionali.

      C’è il presunto furto di un telefonino all’origine della lite tra due connazionali sudanesi che ieri notte è terminata nel sangue con un migrante di 35 anni che ha accoltellato e ucciso un giovane sotto il cavalcavia di Roverino, a Ventimiglia (Imperia).

      L’omicida è stato sottoposto a fermo di polizia giudiziaria e lunedì sarà sottoposto a interrogatorio di convalida.

      A quanto risulta, avrebbe accusato la vittima di avergli sottratto il telefonino, tra i due è scoppiata una lite e il sudanese ha estratto un coltellino aggredendo il rivale.
      «Dal primo interrogatorio - afferma l’avvocato della difesa, Stefania Abbagnano - è emerso un quadro di grave disagio tra questi connazionali, ma non è emersa l’effettiva volontà di uccidere il ragazzo da parte del mio assistito, che anzi non pensava di aver commesso un atto così grave».
      In un primo tempo si pensava che la lite tra i due connazionali fosse iniziata nel centro di Ventimiglia, visto che dalle telecamere risultava che il presunto killer avesse litigato con altri connazionali. Invece quel diverbio si è concluso senza conseguenze, mentre l’omicidio è avvenuto sotto il cavalcavia, sull’argine del fiume Roya, dove da anni i migranti vivono in una tendopoli in attesa di trovare il momento opportuno per espatriare clandestinamente in Francia.
      Sembra che l’aggressore vivesse da parecchio tempo in Italia e dopo un primo tentativo di ottenere il permesso di soggiorno si sarebbe pian piano «irregolarizzato». La vittima sarebbe stata uccisa con almeno cinque coltellate. Le indagini sono condotte dei carabinieri di Ventimiglia, coordinate dal pm Luca Scorza Azzarà della procura di Imperia.

      https://www.ansa.it/liguria/notizie/2021/11/27/migrante-ucciso-allorigine-lite-per-un-telefonino_d28c6b5b-420f-46fa-875e-3dc95

  • Inchiesta su #Ousmane_Sylla, morto d’accoglienza

    A distanza di un mese dal suicidio di Ousmane Sylla nel #Cpr di #Ponte_Galeria, il 4 febbraio 2024, sono emersi nuovi elementi sulla sua triste vicenda, non raccontati nelle prime settimane. La prima cosa che sappiamo ora per certo è che Ousmane voleva vivere. Lo dimostrano i video e le foto che ho avuto da persone che lo hanno conosciuto, che lo ritraggono mentre balla, gioca, canta, sorride e scherza con il suo compagno di stanza. La sua vita però è stata stravolta da una violenza ingiustificabile, che scaturisce dalle dinamiche perverse su cui si basa il nostro sistema di accoglienza (ma non solo) e che impongono di farsi delle domande.

    Già nei primi giorni dopo la morte si venne a sapere che Ousmane aveva denunciato maltrattamenti nella casa famiglia di cui era stato ospite, prima di essere trasferito al Cpr di Trapani. Gli avvocati che si stanno occupando del caso e alcune attiviste della rete LasciateCIEntrare hanno rintracciato la relazione psico-sociale redatta dalla psicologa A.C. del Cpr di Trapani Milo il 14 novembre 2023. Era passato un mese dal suo ingresso nella struttura, a seguito del decreto di espulsione emesso dalla prefettura di Frosinone in data 13 ottobre 2023.

    La relazione dice che Ousmane “racconta di essere arrivato in Italia sei anni fa; inizialmente ha vissuto in una comunità per minori a Ventimiglia in Liguria, poi una volta raggiunta la maggiore età è stato trasferito presso la casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice (Cassino). Racconta che all’interno della struttura era solito cantare, ma questo hobby non era ben visto dal resto degli ospiti. Così, un giorno, la direttrice del centro decide di farlo picchiare da un ospite tunisino. In conseguenza delle percosse subite, Sylla si reca al consiglio comunale di Cassino, convinto di trovarsi in Questura, per denunciare la violenza di cui si dichiara vittima”.

    La casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice è menzionata anche sulla scritta lasciata da Ousmane – sembrerebbe con un mozzicone di sigaretta – su una parete del Cpr di Roma, prima di impiccarsi a un lenzuolo, la notte tra il 3 e il 4 febbraio 2024.

    “LASCIATEMI PARLARE”
    Sulle cronache locali della Ciociaria, l’8 ottobre 2023 venne pubblicata la notizia di un giovane profugo africano presentatosi in consiglio comunale venerdì 6 ottobre (due giorni prima) per denunciare di aver subito violenze fisiche e maltrattamenti nella casa famiglia di cui era ospite, in questa frazione di Cassino di circa cinquecento abitanti. “Lasciatemi parlare o mi ammazzo”, avrebbe gridato, secondo Ciociaria oggi, che riferiva inoltre che “il giovane adesso ha paura di tornare nella casa famiglia”. La struttura era stata inaugurata sei mesi prima, il 3 aprile 2023, dal sindaco di Cassino Enzo Salera, originario proprio di Sant’Angelo, e dall’assessore con delega alle politiche sociali Luigi Maccaro, alla presenza del funzionario dei servizi sociali, Aldo Pasqualino Matera. Si trovano diversi articoli datati 4 aprile 2023, corredati di foto della cerimonia e della targa con il nome della casa famiglia. La struttura si chiamava Revenge, che significa rivincita ma anche vendetta.

    La casa famiglia è stata chiusa tra dicembre e gennaio per “irregolarità”; le indagini sono ancora in corso. Era gestita dalla società Erregi Progress s.r.l.s. con sede in Spigno Saturnia, in provincia di Latina; la titolare della società e responsabile della casa famiglia è Rossella Compagna (non Campagna, come riportato in alcune cronache), affiancata nella gestione dall’avvocato Michelangiolo Soli, con studio legale a Minturno. Oggi sappiamo che mancavano le autorizzazioni della Asl locale all’apertura, e altri adempimenti; e che la maggior parte degli operatori che si sono succeduti nel corso dei circa nove mesi di apertura non ha mai percepito lo stipendio, né la malattia: almeno quelli che non erano vicini alla responsabile. Alcuni di essi hanno fatto causa alla società e sono in attesa di risarcimento. Altri non avevano neanche le qualifiche per operare in una struttura per minori stranieri non accompagnati.

    Sono stata a Sant’Angelo in Theodice e ho incontrato diverse persone che hanno conosciuto Ousmane, che lo hanno seguito e aiutato durante il mese e mezzo circa della sua permanenza in paese. Grazie a loro ho potuto capire chi era Ousmane e ciò che ha vissuto in quel periodo. Ousmane è arrivato a Sant’Angelo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, insieme a un ragazzo marocchino, oggi maggiorenne. Provenivano da Ventimiglia, dove avevano trascorso insieme circa un mese in un campo della Croce Rossa Italiana, prima di essere trasferiti nella casa famiglia di Cassino. Ousmane non era però “da sei anni in Italia”, come trascritto dalla psicologa del Cpr di Trapani nella sua relazione. Sembrerebbe che fosse arrivato l’estate prima, nel 2023, a Lampedusa, come si intuisce anche dalla sua pagina Fb (“Fouki Fouki”). Il 3 agosto ha pubblicato un video in cui canta sulla banchina di un porto, quasi certamente siciliano. Forse era arrivato nella fase di sovraffollamento, caos e ritardi nei trasferimenti che spesso si verificano sull’isola in questa stagione. Avrebbe poi raggiunto Roma e successivamente Ventimiglia.

    Il suo “progetto migratorio” era quello di arrivare in Francia, dove ha un fratello, cantante rap e animatore d’infanzia, Djibril Sylla, che ho incontrato di recente: è venuto a Roma per riconoscere il corpo di Ousmane e consentirne il ritorno in Africa. Ousmane parlava bene il francese e lo sapeva anche scrivere, come dimostra la scritta che ha lasciato sul muro prima di uccidersi. Con ogni probabilità è stato respinto al confine francese, verso l’Italia. Ousmane non era minorenne; si era dichiarato minorenne probabilmente perché né allo sbarco né al confine con la Francia ha potuto beneficiare di un orientamento legale adeguato che lo informasse dei suoi diritti e delle possibilità che aveva. Il regolamento “Dublino”, in vigore da decenni, prevede che i migranti restino o vengano rinviati nel primo paese in cui risultano le loro impronte (ci sono delle apposite banche dati europee), impedendo loro di raggiungere i luoghi dove hanno legami e comunità di riferimento o semplicemente dove desiderano proseguire la loro vita.

    Una volta respinto, però, anziché fare domanda di protezione internazionale in Italia, Ousmane si è dichiarato minore, pur essendo ventunenne. Non sarà facile ricostruire chi possa averlo consigliato, guidato o influenzato in queste scelte e nei suoi rapporti con le autorità, dal suo arrivo in Italia in poi. Sappiamo, tuttavia, che dichiarandosi “minore” ha determinato l’inizio, incolpevole e inconsapevole, della fine della sua breve vita, non più in mano a lui da quel momento in poi.

    Dichiarandosi maggiorenne, Ousmane avrebbe potuto presentare una domanda di protezione. Nel paese da cui proveniva, la Guinea Conakry, vige una dittatura militare dal 2021. I migranti possono chiedere protezione internazionale se manifestano il timore, ritenuto fondato da chi esamina il loro caso, di poter subire “trattamenti inumani e degradanti”, ovvero un danno grave, nel proprio paese di provenienza, laddove lo Stato di cui sono cittadini non fornisca loro adeguate protezioni. A Ousmane è accaduto l’inverso: i trattamenti inumani e degradanti li ha subiti in Italia.

    Sin dal suo arrivo nella casa famiglia di Cassino, Ousmane ha patito uno stillicidio di vessazioni, minacce e deprivazioni, come ci riferiscono tutte le persone che lo hanno assistito e accompagnato in quel mese e mezzo, che testimoniano delle modalità inqualificabili con cui veniva gestita quella struttura, della brutalità con cui venivano trattati gli ospiti, del clima di squallore e terrore che vigeva internamente. Abbiamo ascoltato i messaggi vocali aggressivi che la responsabile inoltrava ai suoi operatori, sia ai danni degli operatori che degli ospiti, scarsamente nutriti e abbandonati a sé stessi, come appare anche dalle foto. Ousmane, a causa del suo atteggiamento ribelle e “resistente”, sarebbe stato punito ripetutamente con botte, privazione di cibo, scarpe, coperte e indumenti, e di servizi cui aveva diritto, non solo in quanto “minore”, ma in quanto migrante in accoglienza: per esempio, l’accesso ai dispositivi di comunicazione (telefono e scheda per poter contattare i familiari), la scuola di italiano, il pocket money.

    Tutte le persone con cui ho parlato sono concordi nel descrivere Ousmane come un ragazzo rispettoso, intelligente, altruista e sensibile; sano, dinamico, grintoso, si ispirava alla cultura rasta e cantava canzoni di rivolta e di libertà in slang giamaicano e in sousou, la sua lingua madre. La sua unica “colpa” è stata opporsi a quello che vedeva lì, riprendendo con foto e video le ingiustizie che subiva e vedeva intorno a sé. A causa di questo suo comportamento è stato discriminato dalla responsabile e da alcuni personaggi, come un ragazzo tunisino di forse vent’anni. Dopo un mese di detenzione lo stesso Ousmane raccontò alla psicologa del Cpr di Trapani che la responsabile della casa famiglia l’avrebbe fatto picchiare da un “ospite tunisino”.

    Il 6 ottobre 2023, forse indirizzato da qualche abitante del luogo, Ousmane raggiunse il consiglio comunale di Cassino, nella speranza che le autorità italiane potessero proteggerlo. Una consigliera comunale con cui ho parlato mi ha descritto lo stato di agitazione e sofferenza in cui appariva il ragazzo: con ai piedi delle ciabatte malridotte, si alzava la maglietta per mostrare i segni di percosse sul torace. Ousmane non fu ascoltato dal sindaco Salera, tutore legale dei minori non accompagnati della casa famiglia. Ousmane fu ascoltato solo dalla consigliera che comprendeva il francese, in presenza di poche persone, dopo che il sindaco e la giunta si erano allontanati. A quanto pare quel giorno si presentò in consiglio anche una delegazione di abitanti per chiedere la chiusura della struttura, ritenuta mal gestita e causa di tensioni in paese.

    Una settimana dopo, il 13 ottobre, Ousmane tornò al consiglio comunale, dichiarando di essere maggiorenne. Pare che prima avesse provato a rivolgersi alla caserma dei carabinieri – chiedeva dove fosse la “gendarmerie” – per mostrare i video che aveva nel telefono: la sua denuncia non fu raccolta, perché in quel momento mancava il maresciallo. Di nuovo, forse non sapremo mai da chi Ousmane sia stato consigliato, guidato e influenzato, nella sua scelta di rivelare la sua maggiore età. Perché non gli fu mai consentito di esporre denuncia e di ottenere un permesso di soggiorno provvisorio, per esempio per cure mediche, o per protezione speciale, visto che aveva subito danni psicofisici nella struttura di accoglienza, e che voleva contribuire a sventare dei crimini?

    Come in molte strutture per minori migranti, la responsabile era consapevole della possibilità che molti dei suoi ospiti fossero in realtà maggiorenni. “Una volta che scoprono che sono maggiorenni, devono tornare a casa loro, perché le strutture non li vogliono”, spiega in un messaggio audio ai suoi operatori. In un altro dei messaggi che ho sentito, questa consapevolezza assume toni intimidatori: “Quindi abbassassero le orecchie, perché io li faccio neri a tutti quanti”, diceva. “Io chiudo la casa, e poi riapro, con altra gente. Dopo un mese. Ma loro se ne devono andare affanculo. Tutti! Ne salvo due o tre forse. Chiudiamo, facciamo finta di chiudere. Loro se ne vanno in mezzo alla strada, via, e io faccio tutto daccapo, con gente che voglio io. Quindi abbassassero le orecchie perché mi hanno rotto i coglioni”. Nello stesso messaggio, la responsabile aggiunge: “Tu devi essere educato con me; e io forse ti ricarico il telefono; sennò prendi solo calci in culo, e io ti butto affanculo nel tuo paese di merda”.

    La minore età può essere usata come arma di ricatto. I migranti che si dichiarano minori, infatti, entrano nel circuito delle strutture per minori stranieri non accompagnati, e ottengono un permesso di soggiorno per minore età appena nominano un tutore (solitamente il sindaco). In caso di dubbio sulla minore età questi vengono sottoposti ad accertamenti psico-fisici, che consistono nella radiografia del polso e in una serie di visite specialistiche presso una struttura sanitaria.

    Per l’accoglienza di un minore straniero non accompagnato, il ministero dell’interno eroga ai comuni che ne fanno richiesta (tramite le prefetture) dai novanta ai centoventi euro al giorno, che finiscono in buona parte nelle tasche degli enti gestori (che per guadagnare possono risparmiare su cibo, servizi, personale, in quanto non sono previsti controlli davvero efficaci sulla gestione dei contributi statali). Ma anche i comuni hanno da guadagnare sull’accoglienza ai minori. A questo proposito, vale la pena richiamare le parole pronunciate dall’assessore ai servizi sociali Maccaro in occasione dell’apertura della casa famiglia e riportate in un articolo di Radio Cassino Stereo, presente in rete: “Una nuova realtà sociale al servizio del territorio è una ricchezza per tutto il sistema dei servizi sociali che vive della collaborazione tra pubblico e privato sociale. Siamo certi che questa nuova realtà potrà integrarsi in una rete sociale che in questi anni sta mostrando grande attenzione al tema dei minori”.

    Le autorità possono in qualsiasi momento sottoporre i giovani stranieri non accompagnati ad accertamento dell’età. È così che questi ragazzi divengono vulnerabili e costretti a sottostare a qualsiasi condizione venga loro imposta, poiché rischiano di perdere l’accoglienza e finire nei Cpr. Molti migranti ventenni con un viso da adolescente, come Ousmane, vengono incoraggiati a dichiararsi minori: più ce ne sono, più saranno necessarie strutture e servizi ben sovvenzionati (molto più dei servizi per maggiorenni).

    NEL LIMBO DEI CPR
    Dopo la seconda apparizione in consiglio comunale, il 13 ottobre, anziché essere supportato, tutelato e orientato ai suoi diritti, Ousmane è stato immediatamente colpito da decreto di espulsione, e subito trasferito (il 14 ottobre) nel Cpr di Trapani Milo, dove trascorrerà tre mesi. Inutile il tentativo dell’avvocato del Cpr Giuseppe Caradonna di chiederne dopo un mese il trasferimento, con una missiva indirizzata alla questura di Trapani, in cui scriveva “continua purtroppo a mantenere una condotta del tutto incompatibile con le condizioni del Centro [Cpr] (probabilmente per via di disturbi psichici derivanti da esperienze traumatiche) al punto da mettere a serio rischio la propria e l’altrui incolumità. A supporto della presente, allego una relazione psico-sociale, redatta in data odierna dalla dottoressa A.C., psicologa che opera all’interno della struttura, la quale ha evidenziato dettagliatamente la condizione in cui versa Ousmane Sylla. Pertanto, mi permetto di sollecitare un Suo intervento per far sì che quest’ultimo venga trasferito al più presto in una struttura più idonea e compatibile con il suo stato di salute mentale”.

    La psicologa aveva scritto: “Ritengo che l’utente possa trarre beneficio dal trasferimento presso un’altra struttura più idonea a rispondere ai suoi bisogni, in cui siano previsti maggiori spazi per interventi supportivi e una maggiore supervisione delle problematiche esposte”. Richiesta alla quale la questura di Trapani risponderà negativamente, con la motivazione che “lo straniero aveva fatto ingresso nella struttura munito di adeguata certificazione sanitaria che attesta l’idoneità alla vita in comunità ristretta e che costituisce condicio sine qua non per l’accesso all’interno dei Cpr”.

    Chi aveva redatto quella “adeguata certificazione sanitaria” di cui Ousmane era munito all’ingresso nel Cpr di Trapani, se ancora portava addosso i segni delle violenze subite, come testimoniato dalla consigliera cassinese che lo aveva ascoltato nella settimana precedente, rilevandone anche lo stato di estremo disagio psicologico?

    Ousmane affermava, ripetutamente, di voler tornare in Africa. Lo diceva anche alle operatrici della casa famiglia con cui abbiamo parlato: “Gli mancava la mamma”, hanno riferito, con la quale non poteva neanche comunicare, perché privato del telefono. Un’operatrice ricorda che una volta la disegnò, perché Ousmane amava anche disegnare, oltre che cantare e giocare a pallone. Studiava l’italiano con lei ed “era molto bravo”, dice, apprendeva rapidamente.

    Voleva tornare in Africa, non perché volesse rinunciare al sogno di una vita migliore in Europa, in Francia o in Italia, anche per poter aiutare la famiglia che vive in povertà in un sobborgo di Conakry (madre, sorelle e fratelli più piccoli), ma perché non aveva trovato qui alcuna forma di accoglienza degna di chiamarsi tale, se non nelle persone che lo hanno assistito, ascoltato e che testimoniano oggi in suo favore; persone che hanno fatto il possibile per lui, tuttavia non sono “bastate” a salvargli la vita; non per loro responsabilità, ma perché ignorate o sovrastate dalle istituzioni e dalle autorità che avrebbero potuto e dovuto tutelare Ousmane.

    Dopo tre mesi trascorsi nel Cpr di Trapani, Ousmane verrà trasferito a fine gennaio nel Cpr di Roma, per continuare a restare in un assurdo limbo, in condizioni “inumane e degradanti” nelle quali è ben noto versino i Cpr. L’Italia non ha accordi bilaterali con la Guinea Conakry, come con tanti altri paesi di provenienza dei migranti detenuti nei Cpr.

    Il 19 settembre 2023, il sito istituzionale integrazionemigranti.gov.it, informava che il giorno prima il Consiglio dei ministri aveva varato nuove norme contro l’immigrazione irregolare: “Si estende – come consentito dalla normativa euro-unitaria – a diciotto mesi (sei mesi iniziali, seguiti da proroghe trimestrali) il limite massimo di permanenza nei centri per il rimpatrio degli stranieri non richiedenti asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei paesi terzi). Il limite attuale è di tre mesi, con una possibile proroga di quarantacinque giorni. […] Inoltre, si prevede l’approvazione, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della difesa, di un piano per la costruzione, da parte del Genio militare, di ulteriori Cpr, da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili”. È il cosiddetto Decreto Cutro.

    Secondo la relazione del Garante nazionale per le persone private della libertà personale, sono transitate nei Cpr 6.383 persone, di cui 3.154 sono state rimpatriate. Quelle provenienti da Tunisia (2.308), Egitto (329), Marocco (189) e Albania (58), rappresentano il 49,4%. In base allo scopo dichiarato per cui esistono i Cpr, la maggioranza è stata trattenuta inutilmente.

    Come riporta il Dossier statistico sull’immigrazione 2023, “il governo si ripromette di aprire altri dodici centri, uno per ogni regione, in luoghi lontani dai centri abitati […]. Nei dieci centri attivi in Italia possono essere ospitate 1.378 persone. Tuttavia, complici la fatiscenza delle strutture e le continue sommosse, la cifra reale si dimezza. […] Dal 2019 al 2022, otto persone sono morte nei Cpr, in circostanze diverse. Infiniti sono i casi di autolesionismo e di violenza. Numerose sono le inchieste che confermano come in questi luoghi si pratichi abuso di psicofarmaci a scopo sedativo”.

    Il caso più noto è quello del ventiseienne tunisino Wissem Ben Abdel Latif, deceduto nel novembre 2021, ancora in circostante sospette, dopo essere rimasto legato a un letto per cento ore consecutive nel reparto psichiatrico del San Camillo di Roma. La detenzione amministrativa di Ousmane si sarebbe potuta protrarre molto a lungo, inutilmente. Sono pochissimi i migranti che a oggi beneficiano dei programmi di “rimpatrio assistito”, che prevedono anch’essi accordi e progetti con i paesi di origine per la loro effettiva attuazione. Con la Guinea Conakry non ci risultano accordi neanche sui rimpatri assistiti.
    Ousmane, trovato impiccato a un lenzuolo la mattina del 4 febbraio, non vedeva forse vie di uscita e ha scelto di morire per “liberarsi”, chiedendo, nel messaggio lasciato sul muro prima di togliersi la vita, che il suo corpo venisse riportato in Africa “affinché riposi in pace” e sua madre non pianga per lui. Alcuni migranti che hanno condiviso con lui la detenzione nel Cpr di Trapani, dicono fosse stato “imbottito di psicofarmaci”. A oggi, sono ancora tanti i lati oscuri di questa vicenda, ma sono in molti a invocare verità e giustizia per Ousmane Sylla, come per tutte le persone schiacciate dall’insostenibile peso del “sistema”, al quale alcune di esse – come Ousmane – hanno provato a ribellarsi, con coraggio e dignità.

    https://www.monitor-italia.it/inchiesta-su-ousmane-sylla-morto-daccoglienza
    #migrations #asile #réfugiés #Italie #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Trapani #détention_administrative #rétention

    –-

    Vu que Ousmane a été arrêté à Vintimille pour l’amener dans un centre de détention administrative dans le Sud de l’Italie et que, selon les informations que j’ai récolté à la frontière Vintimille-Menton, il avait l’intention de se rendre en France, j’ai décidé de l’inclure dans les cas des personnes décédées à la #frontière_sud-alpine.
    Ajouté donc à cette métaliste des morts à la frontière #Italie-#France (frontière basse, donc #Vintimille / #Alpes_Maritimes) :
    https://seenthis.net/messages/784767

  • Fin de vie : Entretien avec François Guillemot et Bertrand Riff sur Radio Campus Lille !

    Ce Samedi 13 Avril, une heure avec l’AMD. Pour écouter l’émission en mp3, LE LIEN : https://www-radio-campus.univ-lille1.fr/ArchivesN/LibrePensee/LP240413.mp3

    La fin de vie. C’est un sujet qui fait débat en France en ce moment. La convention citoyenne sur la fin de vie a rendu ses conclusions après 27 jours de débats et d’entretiens avec une soixantaine spécialistes. Dans leur rapport, les citoyens tirés au sort déclarent : « Après en avoir largement débattu, la majorité de la Convention s’est prononcée en faveur d’une ouverture à l’aide active à mourir. »

    Si en France l’aide active à mourir n’est pas encore possible, elle l’est par contre dans un pays tout proche : la Belgique. Pour aider les Français qui souhaitent en bénéficier, l’Association pour le Droit de Mourir dans la Dignité (ADMD) propose son aide. Elle dispose d’un local à Lille (Nord), à moins d’une heure de la Belgique. A Lille, c’est Monique et le docteur François Guillemot qui s’occupent des personnes et les accompagnent.

    La suite : https://actu.fr/hauts-de-france/lille_59350/depuis-lille-ils-accompagnent-des-patients-en-belgique-pour-leur-fin-de-vie_589

    Source : http://federations.fnlp.fr/spip.php?article2296

    #AMD #mort #fin_de_vie #aide_à_mourir #aide_active_à_mourir #handicap #Belgique #Santé #liberté #décès #santé #mort #mort_choisie #acharnement_thérapeutique #AMM #souffrances #femmes #radio #Hôpital #soins_palliatifs

  • El Paso Sector Migrant Death Database

    The migrant death database published here is an attempt to address the lack of comprehensive, transparent, and publicly available migrant death data for New Mexico, El Paso and border-wide. The accessibility of this information is essential to understanding and preventing death and disappearance in the US/Mexico borderlands.

    The data for this project was collected from the New Mexico Office of the Medical Investigator (OMI), US Customs and Border Protection (CBP), the New Mexico Department of Transportation (NMDOT), the El Paso County Office of the Medical Examiner (EPCOME), Hudspeth County Justices of the Peace District 1 and 2, the International Organization for Migration’s Missing Migrant Project, independent news sources, and statements from the Sunland Park Fire Department, as well as direct observation by volunteers in the field.


    https://www.elpasomigrantdeathdatabase.org
    #USA #Mexique #base_de_données #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Etats-Unis #données #cartographie #visualisation #rapport

    ping @reka @fil

  • Ma vie, ma mort, mon choix !

    Un émission de radio campus Lille, avec aux micros, Nadine, Monique, Anick, Frédérique, Véronique.

    Mourir, est le dernier acte de notre vie. Nul ne doit pouvoir en décider à notre place.

    https://www-radio-campus.univ-lille1.fr/ArchivesN/LibrePensee/LP240309.mp3

    Pourquoi la France a-t-elle toujours 20 ans de retards en Europe pour légaliser les pratiques de liberté humaine ?


    Une majorité de Français attendent ce droit nouveau, la convention citoyenne l’a montré. Mais est-ce forcément signe de progrès pour notre société ? Ne sommes-nous pas de plus en plus individualistes, l’attente des français ne traduit-elle pas cet esprit du siècle ? Et la solidarité dans tout ça ?

    On se plaint des conditions d’accueil des malades et personnes âgées indignes dans un système de santé en panne, la priorité n’est-elle pas de restaurer notre service public et de financer les SP ?

    Parlons des médecins, qui sont ou seraient opposés au droit à l’AMM.

    Vous faites référence au combat des femmes pour le droit à l’IVG, dans les décennies 60/70, diriez vous qu’il y a une filiation avec le combat que vous menez aujourd’hui pour l’AMM ?

    Quels sont nos moyens et modes d’action ?
    . . . . .
    Le Choix-citoyens pour une mort choisie, est une association laïque, apolitique et pluraliste dans les convictions philosophiques, spirituelles, religieuses de ses membres. Le respect de la liberté de conscience est le fondement de son combat. Il concerne tous ceux qui défendent la laïcité, c’est à dire un monde de tolérance.
    . . . . .
    Antenne Nord Pas de Calais : MDA 27 rue Jean Bart 59000 Lille 
lechoix5962@laposte.net tel : 06 70 31 56 94 https://choisirmafindevie.org

    Source : http://federations.fnlp.fr/spip.php?article2292

    #Santé #liberté #décès #santé #mort #mort_choisie #acharnement_thérapeutique #AMM #souffrances #femmes #radio #Hôpital #soins_palliatifs

  • Deux morts en moins de deux mois dans le même commissariat de Genève

    Vu depuis la France, on a tendance à imaginer que la Suisse serait un havre d’apaisement, relativement épargné par les violences d’État que nous connaissons. Rien n’est plus faux, comme en témoignent ces deux affaires.

    Le 3 janvier 2024 et le 22 février 2024, deux personnes ont été retrouvées mortes en cellule de #garde_à_vue dans le même commissariat de Genève, à moins de deux mois d’intervalle, alors qu’elles étaient toutes deux âgées d’une vingtaine d’années.

    La première victime est présentée comme étant « en situation irrégulière » et a été retrouvée sans vie dans sa cellule du vieil Hôtel de police, situé boulevard Carl-Vogt à Genève. La seconde, née en 2003, avait été arrêtée pour un simple vol et n’est pas ressortie vivante du même commissariat.

    Après chacun des deux décès, les autorités ont répondu avec les mêmes mots : « Malgré les efforts déployés tant par le personnel de la Brigade de sécurité et des audiences (BSA) que par le service mobile d’urgence-réanimation (SMUR), le médecin n’a pu que constater le décès. Le Ministère public a ouvert une enquête ». Celui-ci « indiquait alors que les premiers éléments de l’enquête accréditaient l’hypothèse d’un suicide ». La mort brutale d’une personne sous la surveillance de la police ne mérite pas simplement les « hypothèses » d’un magistrat dépendant du pouvoir.

    Presque deux mois après le premier décès, comment est-il possible qu’aucun rapport d’autopsie sur la cause de la mort n’ait été établi ? Ce silence complice est peut-être la cause de ce second décès. Car non, on ne meurt pas brutalement, sans raison, à 20 ans, dans la cellule d’un commissariat.

    Ce n’est d’ailleurs pas les premières affaires de ce type en Suisse. En 2017, arrêté à tort, un ressortissant gambien de 23 ans, Lamin F., avait trouvé la mort dans une cellule du centre de police de la Blécherette, à Lausanne. Le parquet Vaudois avait alors classé l’affaire. Une affaire qui s’ajoute à celles d’« Hervé, un Congolais mort en 2016 à Bex, Mike Ben Peter, un Nigérian mort en 2018 à Lausanne, et Nzoy, un Suisse d’origine sud-africaine mort en 2021 à Morges ».

    La Suisse fait face récemment à une hausse des dénonciations de violences policières. Une augmentation de 120% des plaintes a été enregistrée en 2022. Sans surprise, le taux de classement sans suite est extrêmement élevé, comme en France, et seules 10% des plaintes aboutissent à une condamnation pénale. En comparaison, en 2020-2021, ce serait 8% des personnes dépositaires de l’autorité publiques mises en cause en France pour des violences volontaires qui seraient condamnées selon les chiffres de Politis.

    La Suisse a d’ailleurs été épinglée par un rapport de l’ONU accablant sur le racisme et les violences policières. Le rapport du groupe de travail pour l’ONU rendu en octobre 2022 conclut ainsi que « Des garçons et des hommes d’origine africaine n’ayant pas fait l’objet d’une accusation pénale ou d’une suspicion individuelle ont signalé de façon systématique que la police renforçait les stéréotypes raciaux négatifs dans l’espace public. Le profilage racial, les contrôles de police, les fouilles invasives dans la rue, les fouilles à nu publiques, les fouilles anales, les insultes et “l’humour” raciste, la violence et une habitude d’impunité ont été décrits comme étant de routine ».

    Un autre fait méconnu : les policiers suisses utilisent aussi des armes dites « non-létales », tirant des balles en caoutchouc, et ont éborgné plusieurs habitants ces dernières années, comme en France. Les LBD utilisés par les policiers français ont d’ailleurs été conçus par une firme Suisse : Brügger & Thomet.

    Un rapport d’Amnesty international pointe également « l’usage disproportionnée de la force » ainsi que les pratiques violentes et discriminatoires de la police Suisse. En 2018, Mike Ben Peter, un Nigérian de 40 ans a été tué par la police suite à un plaquage ventral. Il est transporté inconscient aux urgences et décédera le lendemain.

    https://contre-attaque.net/2024/02/25/deux-morts-en-moins-de-deux-mois-dans-le-meme-commissariat-de-geneve

    #violences_policières #Genève #Suisse #décès

  • 415 senza fissa dimora morti nel 2023: il 68% sono persone straniere
    https://www.meltingpot.org/2024/02/415-senza-fissa-dimora-morti-nel-2023-il-68-sono-persone-straniere

    Morire di freddo. Quando la temperatura va sotto lo zero e come riparo hai un portico di marmo gelato, un cartone ed una coperta raccattata qua e là.Morire di caldo. Quando il calore ti affanna a tal punto da toglierti il respiro e non hai altro sollievo che sdraiarti per terra.Morire da soli, nonostante si è circondati da persone che camminano, in mezzo alla folla ma stretto dalla più feroce e stringente solitudine.Morire, senza pietà. Morire quando si poteva evitare di morire. Sono 415 le persone senza fissa dimora morte nel 2023, secondo il report annuale di fio.PSD , la

  • Turning Grief into Action: Families of Dead and Disappeared Migrants in Morocco

    “Elach Jina Wehtajjina?” Rhetorically asking why they are here to protest. “Wladna li Bghina,” they answer, with a breast-beating shriek for their lost sons. Xeroxed pictures of their missing sons dangle on red ribbons from their necks. They march behind the vinyl-printed banners, making light-footed steps towards the Saidia beach—a seaside bordering Algeria. After rehearsing a suite of slogans, they lower themselves into a crouch and repot the shoreline with flowers in commemoration of dead and disappeared migrants. And yet, in their minds, their sons are never dead.

    These are families of dead and disappeared migrants in Morocco. On this Global Day of Commemorating Migrant Death and Disappearance—which marks the Tenth Anniversary of the Tarajal Massacre, they demand truth and justice about the fate of their loved ones. Those attending are mostly from the Oriental region; some had an all-night trip from Beni-Mellal to Oujda to participate in the commemoration in Saidia, organized by the indefatigable borderland militant, Hassan Ammari, and other members of AMSV (Association d’Aide aux Migrants en Situation Vulnérable). Amid efforts to bring solidarity groups down to size, AMSV, created in 2017, started its work with families of missing and dead migrants in 2018. The shift in migratory dynamics, mapped out below, drove its members to shift their focus on the (im)mobilities of West and Central African migrants to Moroccan migrants. Other families are unable to afford transport fares to attend the sit-in, or simply emotionally weary after attending dozens of sit-ins to no avail.

    I had countless conversations and stays with these families. Singular as they are, their stories of loss are proof of the EU’s deadly anti-migration policies. They also speak of extended collusion with a national system that has abdicated its responsibility towards the dead, disappeared and their families. Europe’s border regimes offshore not only border control to their southern neighbours; they outsource border violence, migrant death and disappearance, and the management thereof. Fortress Europe seeks not only to keep undesirable populations at bay, but its hands spick and clean from preventable, or rather willful, migrant death and disappearances. Such gory consequences are meant to be a memento mori for prospective migrants.

    Trajal Massacre, leaving at least 15 migrants dead and dozens missing and maimed as they waded their way to the shore, staged an obscene spectacle of border violence that, after ten years, let the Spanish Guardia Civil off scot-free. A new lawsuit, however, has recently been filed against Spain by a Cameroonian survivor.

    Now let me draw a broad sketch of migrant death and disappearance at the EU-Moroccan borders. In 2018, the Western Mediterranean Route had many twists and turns. After a series of incessant expulsions and deportations in the north of Morocco, West and Central African smugglers relinquished their grip over the “illegality industry”. The growth of such industry has a history of at least two decades, from the late 1990s up to the so-called ‘migration crisis’ in 2015. During this period, North Africa had been (and still is) carrefour migratoire for West and Central African migrants fleeing poverty and warfare in their home countries. After 2018, Moroccans have held the mantle, quickly placing Moroccan migrants atop of the nationalities intercepted. No sooner had the year come to close than this route shut down owing to the run-up in migrant arrivals. And there is the rub. Old routes have reactivated, new ones are activated. New tactics are embraced to outwit the militarization seaming easier routes.

    Such geopolitical buildups gave way to a new and complex edge to migrant death, disappearance, and incarceration. In mid-2020, countless fishing boats started to leave Morocco’s southern shorelines, bound to disembark at any of the Canary Islands in sight. Unsurprisingly, death and disappearance tolls have seen an uptick. When common departure points have been militarized, new departure points have been activated in cities such as Sidi Ifni, Agadir and further north on the Rabat and Casablanca coastlines. Such routes have never been sailed by migrant boats to reach the Canary Islands, in the case of Sidi Ifni and Agadir, or mainland Spain, in the case of Rabat and Casablanca. While boats may escape the mandibles of border surveillance, they get lost into the doldrums of the Atlantic Sea before they find their ways to the Spanish archipelago. The ‘count regime’ of the IOM may chronicle some of these fatalities, but their exactitude is always blatantly compromised—counting on media reports to count migrant death and disappearance.

    Most families taking part in this commemoration are from the Oriental region. Their sons took riskier routes which have been activated following the striation of the Western Mediterranean Route. They crossed the Moroccan-Algerian border trenches before they could set sail from Algeria, Tunisia, or Libya. Some get lost at sea, while others are incarcerated in Algeria or Libya. These geopolitics are crucial to understand how death and disappearance, the twin technologies of the EU’s border deterrence, are marshalled along these routes. The EU’s security-driven approach, laying financial focus on border management, spares no efforts to engage with migrant death and disappearance.

    Families remain clueless about the whereabouts of their loved ones. Loss and unresolved grief trap them in a ghostly vertigo. Amid total disengagement with migrant death and disappearance, their individual, at times collective, efforts to look for their loved ones pale into insomniac waiting and statis. Consequently, families are left embattled with their loss, falling into a spiral of scam, hope and disappointment.

    Yet their efforts to mobilize shame against the death juggernaut of the EU’s external borders are tireless. Their efforts to search for their lost ones never cease to haunt the perpetrators. They turn their individual pain into collective grief, and collective grief into collective action to search for their missing sons. They never stop looking for their sons, even in dreams.

    https://africanarguments.org/2024/02/turning-grief-into-action-families-of-dead-and-disappeared-migrant

    #Maroc #disparus #réfugiés #migrations #frontières #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #décès #commémoraction #commémoration #2024 #deuil #action

    • https://www.youtube.com/watch?v=WZmAgXu5efE

      Je plie quand tu plies, je pleure quand tu pleures
      Je prie quand tu pries alors, ton deuil, c’est mon deuil
      Je vibre quand tu vis, un cœur pour un cœur
      Puisque je brille quand tu brilles, alors je meurs quand tu meurs
      Dis-moi pourquoi je m’essouffle et je m’entête
      Pourquoi je tousse, pourquoi c’est moi qui m’étouffe quand c’est toi qu’on enterre
      Pourquoi la vie ne dit pas ce qu’elle coûte ?
      Pourquoi on a beau tuer le temps, mais c’est le temps qui nous enterre tous ?
      Pendant qu’la terre tourne sans dérision
      La mort s’en fout de vos doutes entre la science et la religion
      Je crois au paradis sans preuve, trop de larmes
      Et les sceptiques me taquinent et veulent mon Instagram de l’au-delà
      J’ai des rêves en dollars, c’est percutant
      Mais je ne cherche pas à gagner des thunes, moi, je cherche à gagner du temps
      Mon tourment n’est pas un effet d’mode
      J’avais la vingtaine, j’écrivais des chansons du genre « Youssoupha est mort »
      Énorme, personne ne sait ce que mon cœur regrette
      Personne ne connait mes rancœurs secrètes
      Je crée mes propres modes, j’ai pas d’modèle
      Et, pour me sentir immortel, je vais aux enterrements des croque-morts
      Entre la scène et la mosquée, je traîne beaucoup d’remords
      Je mène une double vie, est-ce que j’aurai une double mort ?
      Et les gens ne croient que ce qu’ils voient
      Moi, j’ai perdu tellement de proches, j’ai l’impression de mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Laisse-moi croire qu’un « Au revoir » ne nous sépare jamais
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Et on repart sans que le temps nous répare
      Alors je parle de nos proches, du temps qui les emporte
      Du temps qui laisse des marques, et puis des masques que l’ont porte
      Nos bravoures et nos larmes, nos amours et nos drames
      Le poids de nos parcours, le poids de nos vingt-et-un grammes
      Nos trous noirs et nos flashs, nos coups bas et nos crashs
      Et tout ce qu’on dit tout bas, et tous les combats que l’on cache
      Car, peu importe de vivre tout, de vivre droit
      De vivre fou, de vivre froid, puisqu’on va mourir mille fois
      Et, même en mille phrases, j’te jure, les mots me manquent
      Et, même en mille phrases, toujours la mort qui me hante
      Chacun son propre vide, quand on enterre un être cher
      On enterre aussi une partie de sa propre vie
      Un deuil est un deuil, j’essaie pas de faire la dif’
      Quand on est jeune, on ne meurt pas, on perd la vie
      Loin des vices à la mode, je marche seul
      Même si je sais que, marcher seul, c’est un peu s’entraîner à la mort
      Alors j’ai vraiment l’air anéanti, quand on m’a dit
      Que les derniers seront les premiers, disons qu’j’ai ralenti
      Repenti mais jamais trop faible
      Je vous laisse croire en vos psys, laissez-moi croire en mon prophète
      J’ai trop d’frères qui m’relèvent à chaque fois que j’me penche
      Mais trop d’frères qui me crèvent et qui me plantent
      Je repense à 2Pac et Biggie, le rap game te souhaite la mort
      Et, à ta mort, il fait des t-shirts à ton effigie
      J’me réfugie jamais dans la rancœur
      Papa, j’te porte dans ma tête, et Malik te porte dans son cœur
      Mes souvenirs sont vides à ton enterrement
      Je ne pleurais pas mon père, moi, je pleurais le grand-père de mon fils
      Les sacrifices nous rendent avisés
      On ne sait pas vraiment de quoi on est fait tant que l’on n’est pas brisé
      Mais on se relève toujours, tu l’vois
      Même si perdre tant de proches donne l’impression de mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Laisse-moi croire qu’un « Au revoir » ne nous sépare jamais
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Et on repart sans que le temps nous répare
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois
      Mourir mille fois

      #mort #musique #chanson #décès #rap

  • Mort de Blessing Matthew : la justice européenne ne permet pas de rouvrir le dossier

    La CEDH a rendu sa décision jeudi 18 janvier : elle estime irrecevable la requête de la sœur de la Nigériane retrouvée morte noyée dans la Durance, près de Briançon, en mai 2018. Elle souhaitait une réouverture de l’enquête.

    C’estC’est la fin d’un long combat en quête de justice et de vérité. Jeudi 18 janvier, la Cour européenne des droits de l’homme (CEDH) a statué dans l’affaire dite « Blessing Matthew », du nom de cette exilée nigériane retrouvée morte noyée dans la Durance, à la frontière franco-italienne, près de Briançon (Hautes-Alpes), le 7 mai 2018.

    La Cour a jugé, à l’unanimité, que la requête était « irrecevable », coupant court aux derniers espoirs nourris par Christiana, la sœur de Blessing Matthew, par l’association locale Tous Migrants, mais aussi par Hervé, le seul témoin, dont Mediapart a révélé l’existence. Son témoignage, quatre ans après les faits, pointait le rôle des forces de l’ordre dans la mort de la jeune femme.

    À seulement 20 ans, elle tentait d’échapper aux gendarmes qui cherchaient à l’interpeller au petit matin, après qu’elle eut franchi la frontière franco-italienne accompagnée de deux hommes. La justice française avait estimé qu’il n’y avait « aucun témoin ». Hervé avait d’ailleurs disparu un temps après avoir été refoulé en Italie. Une juge d’instruction indépendante avait aussi rendu un non-lieu en 2020, après une plainte déposée par Christiana.

    Lorsqu’Hervé est sorti de l’ombre pour donner sa version des faits, après des années d’errance, les avocats de Tous Migrants ont décidé de demander la réouverture du dossier. Ils n’ont pas été entendus. Pour Me Vincent Brengarth, cette décision de la CEDH cause une « déception très claire » chez tous les intervenants qui ont pu participer à ce « combat judiciaire » au cours des dernières années.

    « Il y a le sentiment que la décision de la CEDH n’est pas à la hauteur de la mobilisation exceptionnelle qu’il y a eue autour de cette affaire, pour que toute la lumière soit faite sur les circonstances de la mort de Blessing », explique l’avocat, joint par Mediapart. Il ajoute qu’il ne s’agit pas d’une irrecevabilité « classique », qui pourrait laisser entendre qu’il pouvait y avoir des vices de forme ou des irrégularités dans la procédure.
    Une décision sur le fond

    « Non, un juge a bien regardé le dossier au fond mais a rejeté la requête en considérant que les autorités françaises avaient fait le nécessaire de façon raisonnable dans ce dossier. » Un point de vue que ne partagent pas l’avocat ni l’association Tous Migrants.

    « On constate que malgré une analyse de fond, la décision donne crédit à la manière dont les autorités ont agi dans cette affaire, regrette Agnès Antoine, membre de Tous Migrants. Ni les autorités françaises ni la CEDH n’auront répondu à la demande de justice et de vérité pour Blessing depuis 2018. »

    Le contraste avec le volume et la qualité du travail produit par la communauté d’acteurs est, selon elle, saisissant. « Il y avait une intensité d’éléments fournis par le témoin, Tous Migrants ou encore Border Forensics [qui regroupe chercheuses et chercheurs, architectes et cartographes et mène des investigations sur les morts aux frontières – ndlr]. Que faut-il de plus aujourd’hui pour espérer que la justice soit rendue à une personne exilée ? », abonde Vincent Brengarth, qui évoque un « rendez-vous raté avec la justice ».

    Dans ses motivations, la CEDH justifie sa décision ainsi : « Le témoignage ne contenait pas d’allégation plausible ou crédible qui aurait permis l’identification, la poursuite et éventuellement la condamnation de l’auteur d’un homicide, et n’était de nature à remettre en cause ni le sérieux ni les conclusions de l’enquête initiale. »

    Le nouveau témoignage d’Hervé, à la fois « précis et inédit » selon Me Brengarth, aurait pourtant dû mener à de nouvelles investigations. « Il pointait des gendarmes à l’identité connue à travers les éléments de l’investigation. On a l’impression aujourd’hui que tous ces éléments ont été piétinés. » Sans parler des risques pris par Hervé en accusant des gendarmes dans une affaire aussi sensible, et qui a été menacé d’expulsion, peu de temps après avoir livré son témoignage à la presse.

    L’avocat tout comme l’association Tous Migrants prennent acte de la décision de la CEDH malgré tout. Mais ils promettent que le combat ne s’arrêtera pas là : d’autres victimes des frontières, ou proches de victimes, « ont besoin d’un espace pour être entendues dans leur quête de vérité et de justice », conclut Agnès Antoine. La mort de la jeune femme avait secoué le tissu associatif local, déjà fortement mobilisé pour venir en aide aux exilé·es en situation de détresse dans la montagne.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/180124/mort-de-blessing-matthew-la-justice-europeenne-ne-permet-pas-de-rouvrir-le

    #Blessing_Matthew #CEDH #justice (well...) #cour_européenne_des_droits_de_l'homme #asile #migrations #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #décès #frontière_sud-alpine #Alpes

    • Communiqué de presse Tous Migrants - Border Forensics, 19.01.2024 :
      LA CEDH ne répond pas à la demande de vérité pour Blessing Matthew

      [EXTRAIT] Depuis la mort de Blessing Matthew le 7 mai 2018, suite à sa chute dans la Durance alors qu’elle était poursuivie par la police, sa famille ainsi que l’association Tous Migrants ont inlassablement poursuivi leur combat pour que la justice fasse toute la lumière sur ce drame, en ne négligeant aucune voie judiciaire. Des plaintes ont ainsi rapidement été déposées auprès du Procureur de la République en 2018, avant que, en 2019, des plaintes avec constitution de partie civile soient déposées devant le Doyen des juges d’instruction après le classement sans suite de l’affaire. En dépit de l’ensemble des éléments produits au cours de la procédure, une ordonnance de non-lieu était rendue puis confirmée.

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      Texte complet :

      Depuis la mort de Blessing MATIHEW le 7 mai 2018, suite à sa chute dans la Durance alors qu’elle était poursuivie par la police, sa famille ainsi que l’association Tous Migrants ont inlassablement poursuivi leur combat pour que la justice fasse toute la lumière sur ce drame, en ne négligeant aucune voie judiciaire. Des plaintes ont ainsi rapidement été déposées auprès du Procureur de la République en 2018, avant que, en 2019, des plaintes avec constitution de partie civile soient déposées devant le Doyen des juges d’instruction après le classement sans suite de l’affaire. En dépit de l’ensemble des éléments produits au cours de la procédure, une ordonnance de non-lieu était rendue puis confirmée.

      Des éléments nouveaux sont par la suite intervenus, dont un témoignage de M. H. S., contredisant formellement les déclarations des gendarmes et faisant état de ce que Blessing MATIHEW s’était débattue avec l’un d’eux, entrainant sa chute dans l’eau, de ce que personne ne lui a porté secours avant qu’elle ne disparaisse dans la rivière et trouve la mort.

      La cohérence de ces déclarations a été confirmée par l’analyse minutieuse menée par Border Forensics, après plusieurs mois de travail. https://www.borderforensics.org/fr/enquetes/blessing

      C’est dans ces conditions qu’une demande de réouverture de l’information judiciaire a été introduite par les parties civiles le 13 juin 2022.

      Malgré les éléments nouvellement communiqués, qui n’avaient, de fait, jamais été étudiés par la justice, et en dépit de la gravité des accusations portées, le Procureur Général n’en a tiré aucune conséquence, se contentant de rejeter la demande de réouverture formulée en adoptant une motivation expéditive.

      Compte tenu de cette décision contestable, la famille de Blessing MATTHEW et l’association Tous Migrants ont fait le choix de se tourner vers la CEDH en 2022, en dernier recours.

      Par une décision communiquée ce jour, plus d’un an après la requête, la Cour Européenne des Droits de l’Homme a constaté que la demande de réouverture de l’information pour charges nouvelles formulée était bien étayée par un élément nouveau, à savoir le témoignage de M. H.S. livré postérieurement à la clôture de l’instruction, mais que, selon elle, rien ne pouvait permettre de remettre en cause l’appréciation de cet élément par le procureur général.

      La CEDH refuse par conséquent d’invalider l’enquête menée par les autorités françaises.

      Cette décision n’est absolument pas à la hauteur des enjeux, des éléments produits et du travail fourni par les parties civiles pour palier la défaillance de la justice française, s’agissant d’une affaire qui, doit-on seulement le rappeler, concerne le décès d’une personne exilée et ce consécutivement à l’intervention des gendarmes.

      Les soussignés ne vont pas cesser le combat, ni dans cette affaire ni dans d’autres. Ils entendent au contraire tirer tous les enseignements de cette décision de la CEDH, intervenue à l’ issue de l’épuisement des voies de recours internes, afin que, par la suite, les autorités n’aient plus l’occasion de trouver des échappatoires pour ne pas rechercher toutes les responsabilités.

      L’impunité qui persiste pour la mort de Blessing MATIHEW perpétue après sa mort le traitement discriminatoire et inhumain dont elle a été l’objet durant sa vie. L’absence de réponse aux demandes de vérité et de justice de la famille de Blessing de la part des institutions judiciaires françaises et maintenant la CEDH rendent le travail de la société civile encore plus essentiel.

      Nous nous engageons à continuer à chercher à éclairer les circonstances qui ont mené à la mort de Blessing et les responsabilités impliquées, et à les faire connaître publiquement.

      Nous nous engageons à continuer à soutenir d’autres victimes de la violence des frontières Alpines, dont la liste continuera de s’allonger tant que l’impunité pour les morts et les violations est perpétuée, et que les politiques qui y mènent structurellement sont maintenues.

      https://tousmigrants.weebly.com/communiqueacutes-de-presse.html

    • Noyade de Blessing Matthew : la Cour européenne des droits de l’homme déclare la « requête irrecevable »

      En octobre 2022, la sœur de Blessing Matthew et Tous migrants avaient déposé une requête contre la France devant la Cour européenne des droits de l’homme. La jeune migrante, originaire du Nigeria, était décédée en mai 2018, en tombant dans la Durance.

      (#paywall)
      https://www.ledauphine.com/societe/2024/01/18/noyade-de-blessing-matthew-la-cour-europeenne-des-droits-de-l-homme-decl

  • Reportages : InfoMigrants à la rencontre des Sénégalais tentés par le rêve européen

    InfoMigrants est allé au Sénégal, en banlieue de Dakar, à la rencontre de jeunes - et moins jeunes - tentés par un départ vers l’Europe. En cause : l’inflation, la crise du Covid et de la pêche... Certains sont restés mais ont aussi perdu un proche dans la traversée de l’Atlantique vers les Canaries espagnoles. D’autres encore sont rentrés après l’échec de leur rêve européen. Retrouvez tous nos reportages.

    La situation économique du Sénégal pousse de plus en plus d’hommes et de femmes à prendre la mer en direction des îles Canaries, distantes d’environ 1 500 km. Les Sénégalais fuient généralement une vie sans perspective, aggravée par les changements climatiques.

    https://www.youtube.com/watch?v=ZuLD1UbvL5Y&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    À l’été 2023, les départs se sont notamment succédé vers l’archipel espagnol depuis les côtes sénégalaises. Sur l’ensemble de l’année 2023, plus de 37 000 personnes ont tenté de rejoindre le pays européen, du jamais vu.

    https://www.youtube.com/watch?v=4N-_aCjoA-c&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Beaucoup prennent la mer sans en mesurer les dangers. Selon l’ONG espagnole Caminando fronteras, plus de 6 000 migrants sont morts en mer l’année dernière. Ce chiffre, qui a pratiquement triplé (+177%) par rapport à celui de 2022, est « le plus élevé » comptabilisé par l’ONG depuis le début de ses recensements.

    https://www.youtube.com/watch?v=QMMuxSFfSS4&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Dans le même temps, des Sénégalais, déçus par leur exil, sont aussi rentrés au pays après des années passées en Europe. Souvent, ils reviennent avec l’aide de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) et le soutien financier de l’Union européenne. Mais en rentrant « les mains vides », ils doivent faire face à la déception de leurs proches.

    https://www.youtube.com/watch?v=LsbHTBTn3fY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    À Dakar, on croise aussi des Centrafricains, des Congolais, des Sierra-léonais, des Ivoiriens… Certains sont réfugiés, d’autres sont en transit, d’autres encore sont « bloqués » au Sénégal et attendent de pouvoir rejoindre rentrer chez eux.

    https://www.youtube.com/watch?v=apA6oKCDlOE&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Enfin, il y a ceux qui refusent de risquer leur vie et s’échinent à demander un visa pour atteindre l’Europe, malgré les refus successifs et le coût de la procédure. Comme partout, des trafiquants profitent de la situation et organisent des trafics de rendez-vous en ambassades. Des mafias prennent ainsi tous les créneaux sur internet et les revendent à prix d’or à des Sénégalais désespérés.

    https://www.youtube.com/watch?v=IgyUa9priPY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    https://www.infomigrants.net/fr/post/54517/reportages--infomigrants-a-la-rencontre-des-senegalais-tentes-par-le-r

    #Sénégal #asile #migrations #réfugiés #reportage #vidéo #jeunes #jeunesse #Dakar #facteurs_push #push-factors #inflation #pêche #route_atlantique #Canaries #îles_Canaries #perpectives #climat #changement_climatique #décès #morts_aux_frontières #mourir_aux_frontières #Caminando_fronteras #OIM #réintégration #retour #IOM #visas

  • La #Grèce condamnée par la #Cour_européenne_des_droits_de_l’homme après les tirs de gardes-côtes sur des embarcations de migrants

    La CEDH a condamné le pays à verser 80 000 euros aux proches d’un migrant syrien mort après avoir été blessé par balle par les gardes-côtes grecs, en 2014.

    Le #22_septembre_2014, à l’aube, non loin des côtes turques et près de l’îlot grec de #Psérimos, un bateau à moteur transportant quatorze migrants est repéré par les #gardes-côtes_grecs. Le commandant du navire militaire demande au conducteur d’arrêter l’embarcation. Ce dernier refuse. Les gardes-côtes tirent alors vingt balles pour immobiliser la vedette – sept coups de semonce et treize tirs ciblés sur le moteur. Deux ressortissants syriens sont blessés. L’un d’eux, Belal Tello est touché à la tête et conduit par hélicoptère à l’hôpital de Rhodes, une île grecque voisine. En août 215, il est transféré en Suède où habitent sa femme et ses enfants (les requérants). Il est pris en charge à l’hôpital universitaire Karolinska, à Stockholm. Mais il meurt quatre mois plus tard.

    Les proches de #Belal_Tello ont attendu près de dix ans pour obtenir le verdict de la Cour européenne des droits de l’Homme (CEDH), qui a finalement condamné la Grèce à leur verser 80 000 euros. D’après la cour, Athènes n’a pas prouvé « que l’usage de la force était absolument nécessaire » pour arrêter le bateau qui s’approchait des côtes grecques. « Les treize coups de feu tirés exposaient forcément les passagers de la vedette à un risque », ont estimé les sept juges européens.

    « La condamnation concerne également l’enquête inefficace menée par les autorités grecques sur l’incident », souligne, dans un communiqué, l’ONG Refugee Support Aegean (RSA), qui représentait, avec l’association Pro Asyl, la famille de la victime. Le parquet grec avait ouvert une enquête préliminaire sur cet incident, mais la justice avait rapidement classé l’affaire en 2015. D’après la CEDH, l’enquête menée par les autorités nationales comportait « de nombreuses lacunes qui ont conduit notamment à la perte d’éléments de preuve ». « Au cours de la procédure pénale, les deux réfugiés blessés par balle n’ont jamais été appelés à témoigner. Les déclarations des témoins recueillies lors des interrogatoires préliminaires semblent identiques », souligne RSA. La CEDH s’est aussi étonnée que plusieurs mesures pouvant faire avancer l’enquête n’aient pas été prises : une expertise médico-légale sur la blessure à la tête du réfugié syrien ; un rapport balistique établissant les trajectoires des tirs…
    « Impunité généralisée »

    Ce n’est pas la première fois que les agissements des gardes-côtes grecs sont condamnés ou mis en cause. En juillet 2022, la CEDH avait accordé 330 000 euros à seize requérants dont le bateau avait coulé en mer Egée, près de l’île de Farmakonisi, en janvier 2014. Onze personnes, dont huit enfants, avaient trouvé la mort dans ce naufrage provoqué par un navire garde-côtes grec, qui aurait navigué à grande vitesse à proximité de l’embarcation, entraînant le chavirement de celle-ci.
    La CEDH avait déjà noté que les autorités grecques n’avaient pas mené une « enquête approfondie et effective permettant de faire la lumière sur les circonstances du naufrage ». L’une des avocates des requérants, Maria Papamina, du Conseil pour les réfugiés grec, avait déclaré, lors du rendu de cette décision de justice : « Nous avions l’impression que l’intention [des autorités grecques] était de clore rapidement l’affaire. »

    Et c’est justement ce que les défenseurs des droits de l’homme souhaitent éviter, que le cas d’un autre naufrage survenu il y a quelques mois, au large du Péloponnèse, à Pylos, ne soit classé, lui aussi, sans suite. Le 14 juin 2023, un chalutier, l’Adriana, parti de Libye, a coulé avec près de 750 migrants à son bord, dans les eaux territoriales grecques. Seules 104 personnes ont survécu et 82 corps ont été retrouvés.

    Les témoignages des survivants suggèrent qu’un patrouilleur garde-côtes grec a attaché une corde à l’Adriana et tiré dessus, ce qui aurait conduit à faire chavirer le bateau surchargé de migrants. D’après plusieurs enquêtes journalistiques, les opérations de sauvetage ont été également tardivement mises en place.
    Dans un rapport publié en décembre 2023, Amnesty International et Human Rights Watch déploraient, six mois après le drame, le « peu de progrès » dans les investigations menées par les autorités grecques. Selon les deux ONG, « les échecs historiques des enquêtes grecques sur les naufrages (…) et l’impunité généralisée pour les violations systémiques des droits humains à ses frontières suscitent des inquiétudes quant à l’adéquation des enquêtes judiciaires en cours sur la tragédie de Pylos ».

    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/01/17/la-grece-condamnee-par-la-cour-europeenne-des-droits-de-l-homme-apres-les-ti
    #CEDH #justice #condamnation #asile #migrations #réfugiés #gardes-côtes #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #décès #naufrage #tir

  • #Décès de #Dick_Marty, personnalité et politicien d’exception

    L’ancien député radical et procureur général du Tessin Dick Marty est mort jeudi, à l’âge de 78 ans. Celui qui fut aussi rapporteur au Conseil de l’Europe et membre de la Commission des droits de l’homme de l’OSCE avait acquis une notoriété internationale.

    La mort de M. Marty, qui a consacré une bonne partie de sa carrière à combattre les systèmes mafieux et à défendre les libertés, a été confirmée par le PLR Suisse à Keystone-ATS.

    Né en 1945 à Lugano, Dick Marty a été procureur du Tessin de 1975 à 1989 puis conseiller d’Etat, avant de siéger durant seize ans au Conseil des Etats, de 1995 à 2011. C’est durant cette période qu’il a été délégué à l’Assemblée parlementaire du Conseil de l’Europe à Strasbourg, dès 1998.

    Il s’y est fait connaître comme enquêteur spécial sur les très contestés transports de prisonniers de la CIA et les prisons secrètes américaines en Europe.

    Menaces de mort et haute surveillance

    Cette ancienne grande figure de la politique et de la justice suisses a longtemps vécu sous surveillance policière maximale, dès fin 2020. La Confédération avait été alertée que les services de renseignement serbes auraient cherché à assassiner M. Marty.

    « Les services serbes ont demandé à la pègre de me liquider, tout simplement pour faire retomber la faute sur les Kosovars », a-t-il confié au printemps 2022.

    Car le nom de Dick Marty a aussi étroitement été associé au Kosovo. En 2010, en tant que rapporteur spécial du Conseil de l’Europe à Strasbourg, le Tessinois avait dénoncé un trafic d’organes conduit dès 1999 par l’Armée de libération du Kosovo.

    Ses dénonciations pour crimes de guerre des milices kosovares contre la Serbie ont débouché sur l’inculpation en 2020, devant le Tribunal spécial de La Haye sur le Kosovo, de l’ancien président kosovar Hashim Thaci.

    Au plan national, Dick Marty s’est aussi fait connaître par sa présidence de feu l’Assemblée interjurassienne de 2011 à 2017, dans le cadre du conflit jurassien. Il a également été président de Suisse Tourisme pendant près de dix ans (1996-2007) et a présidé pendant trois ans le Conseil de l’Université de Neuchâtel, dès 2010.

    Parallèlement à son parcours politique et de défenseur des grandes causes, comme le combat contre la torture mais aussi contre le dopage dans le cyclisme, Dick Marty a exercé à temps partiel comme conseiller en droit et en économie.

    Homme de grande envergure

    Dans un hommage fort, le PLR tessinois regrette le décès d’une personnalité « de la plus haute envergure ». Dick Marty, écrit le parti, « laisse un vide incombable dans le paysage politique et social tessinois ». Au-delà, l’homme « était parvenu au fil des années à gagner le respect et la considération au niveau national et international ».

    Lors de ses enquêtes au Conseil de l’Europe, M. Marty s’est profilé comme un ardent défenseur des droits de l’homme, rappelle le PLR tessinois. Il a pris des risques, « qu’il a toujours affrontés avec courage et en suivant ses principes et son devoir institutionnel ».

    Pas toujours parfaitement dans la ligne de son parti, M. Marty est toujours resté fidèle à ses valeurs, avec la défense de l’individu et des libertés au coeur de son action, ajoute le parti. Qui conclut en mettant en exergue son charisme et sa profondeur de pensée, avec « sa voix qui inspirait le respect ».

    « Crise démocratique »

    Dans une interview parue début décembre dans La Liberté et Le Courrier, Dick Marty, souvent fin observateur, avait estimé que « la démocratie en Suisse traversait sa crise la plus importante depuis le siècle dernier. On assiste à un déplacement du pouvoir vers l’exécutif, au détriment du législatif et du judiciaire », déplorait-il.

    M. Marty a cité l’exemple des contrats à hauteur de milliards de francs pour des vaccins anti-Covid. « Aucune information sur le sujet n’a été rendue publique. Or, un des principes cardinaux de la démocratie est justement la transparence », a-t-il constaté, critiquant par ailleurs « le recours du Conseil fédéral au droit d’exception ».

    https://www.swissinfo.ch/fre/d%C3%A9c%C3%A8s-de-dick-marty--personnalit%C3%A9-et-politicien-d-exception/49090542

    J’ai signalé sur seenthis certaines infos/citations le concernant, une figure à qui je suis très attachée :
    https://seenthis.net/tag/dick_marty

    • Ungebetene Besucher

      Er kämpfte gegen Mafiosi, Geld­wäscherinnen und Kriegs­verbrecher. Seinen Ruhe­stand verbringt er unter Polizei­schutz. Wie Dick Marty seine Freiheit verlor.

      Gegen Ende des Jahres 2020 verloren zwei Männer ihre Freiheit. Einer war ein mutmasslicher Kriegs­verbrecher. Der andere hatte die Verbrechen untersucht. Der eine landete im Gefängnis. Der andere im Polizeischutz.

      Der eine hiess Hashim Thaçi, ein Kriegs­held, gefeierter Widerstands­kämpfer und der erste Premier­minister Kosovos. Er musste am 5. November 2020 als kosovarischer Präsident zurück­treten, wurde noch gleichentags verhaftet und nach Den Haag gebracht, um dort vor einem Kriegsverbrecher­tribunal angeklagt zu werden, er habe zum Ende des Kosovo­krieges Hunderte Menschen gefangen nehmen, foltern und töten lassen.

      Der andere hiess Dick Marty, ein ehemaliger Schweizer Ständerat aus Lugano. Er hätte die Verhaftung Thaçis mit sanfter Zufriedenheit aufnehmen können. Schliesslich hatte er 10 Jahre zuvor den Grundstein für die Anklage Thaçis gelegt, als er als Sonder­berichterstatter für den Europarat mutmassliche Kriegs­verbrechen der kosovarischen Befreiungs­armee UÇK in Kosovo und im Norden Albaniens untersuchte und schwere Vorwürfe gegen Thaçi und andere Führungs­personen der UÇK erhob.

      Aber Marty kümmerte die Verhaftung im November 2020 so wenig wie der Prozess­beginn vergangenen Frühling. Er war längst auf seiner nächsten Mission, in seinem letzten grossen politischen Kampf: die Abstimmung über die Konzern­verantwortungs­initiative. Danach wollte er seine politische Karriere abschliessen, sich aus der Öffentlichkeit zurück­ziehen.

      Marty verlor die Abstimmung. Aber er gewann den Ruhe­stand, den er schon so lange ersehnt hatte.

      Er dauerte nur 18 Tage.

      Dann, am Freitag­nachmittag des 18. Dezember 2020, tönte aus Martys Handy die Marsch­musik des «chant des partisans», sein Klingelton. Marty nahm den Anruf an. Am anderen Ende sprach der Kommandant der Tessiner Kantons­polizei und warnte: Es gebe eine ernste und unmittelbare Gefahr für Martys Leben. Er werde sofort unter Personen­schutz gestellt.

      Marty hörte zu, dann stellte er eine Frage. Sie bestand aus nur einem Wort: Balkan?

      Der Kommandant bejahte. Und damit änderte sich Martys Leben so radikal, wie er es sich in seinen absurdesten Gedanken nicht ausgemalt hätte. 16 Monate lang lebte Marty unter schwerem Schutz­regime der Polizei. Nie musste ein Politiker so lange so stark geschützt werden.

      Die Gefahr?

      «Ich vermutete damals UÇK-Nostalgiker», sagt Marty heute. Er lag falsch.
      1. Der grösste Drogenfund der Schweiz

      Dick Marty – schon der Name verspricht ein Abenteuer. Und tatsächlich könnte Marty, ehemaliger Staats­anwalt, ehemaliger Ständerat und ehemaliger Sonder­berichterstatter für den Europarat, eine Figur sein aus einem Kriminal­roman von Raymond Chandler – nur besonnener, vornehmer und sehr viel weniger verrucht. Eine Schweizer Version von Philip Marlowe, ein etwas aus der Zeit gefallener, fast altmodischer, aber grundehrlicher Mann auf der Suche nach dem, was Chandler die «verborgene Wahrheit» nannte und sein Held Marlowe simpel «Gerechtigkeit».

      Dick Marty wird im Januar 79 Jahre alt, aber als ich ihn an diesem sonnig-kalten Wintertag in Lugano treffe, kommt er um die Ecke geschossen, als wäre er auf der Durchreise: auf zum nächsten Termin, auf zum nächsten Rätsel.

      Er trägt feste Schuhe, Chinos, Hemd, Pullover, Schal, einen Fischer­hut und eine rote Goretex-Jacke – vielleicht ist das Zufall, vielleicht aber kleidet man sich so, wenn man ein Leben lang Mafiosi, Geld­wäscherinnen und Kriegs­verbrecher jagt, der CIA und der Uno auf die Füsse tritt, von Staats­chefs als Witz­figur und Nazi beschimpft wird und zwischen­durch einfach mal mit seinen Hunden durch die Tessiner Wälder streifen will: Man sucht sich ein Kleidungs­stück aus für jede Eventualität.

      Was Marty nie zu Hause lässt, ist seine Brille. Sie hilft ihm zu sehen, was andere übersehen.

      Als Marty 1945 zur Welt kam, war er fast blind. Der Arzt prophezeite der Mutter, dass ihr Kind nie sehen würde. Er täuschte sich. Aber Marty verbrachte viel Zeit in einer Augenklinik, allein, ohne Freunde und ohne die zwei älteren Geschwister.

      Vielleicht lernte Marty damals, allein zu sein, aber nicht einsam.

      In der Schule war Marty dann das einzige reformierte Kind in einer katholischen Klasse. Wenn der Priester unterrichtete, schickte er Marty und ein jüdisches Kind aus dem Zimmer.

      Darunter gelitten habe er nicht, sagt Marty. Aussen­seiter zu sein, habe ihn sogar stärker gemacht.

      Jedenfalls machte es ihm als Erwachsenem nichts aus, einen Weg ganz allein zu gehen.

      Seine Mutter wünschte ihm einen Beruf im Freien, Gärtner vielleicht, das würde die Augen schonen. Dick Marty aber interessierte sich für Psychologie, Politik, das Recht. Als er 11 Jahre alt war, verfolgte er aufmerksam, wie sich die Ungarn in Budapest gegen die Kommunisten erhoben und wie Algerien für die Unabhängigkeit von Frankreich kämpfte. Er schwänzte die Schule, um den Reden von Charles de Gaulle zu lauschen. Am Esstisch forderte er seine Eltern heraus, indem er für eine Algérie française einstand, nur um bald zu lernen, dass man eine Meinung ändern kann. Und soll.

      Als junger Staats­anwalt glaubte Marty in den 1970er-Jahren an die herrschende Doktrin: Jede Droge war gleich, jede Droge war gefährlich. Demnach mussten Drogen und alle, die damit zu tun hatten, bekämpft werden.

      «Ich glaubte anfangs, die Repression würde die Jugendlichen aus der Sucht retten», sagt Marty. «Aber das ist totaler Quatsch. Man straft nur Jugendliche, die schon Opfer sind. Doch gegen die grossen Profiteure unternimmt man nichts.»

      Dick Marty änderte das.

      An einem Wochen­ende im Februar 1987 hielt die Polizei bei Bellinzona einen kleinen Lastwagen an, öffnete den doppelten Boden des Fahrzeugs und fand darin 100 Kilogramm Heroin. Staats­anwalt Marty schlug mit seinem Coup gleich zwei Rekorde: Ihm gelang der bis dahin grösste Drogen­fund der Schweizer Kriminal­geschichte. Und er fing gleich­zeitig an, den grössten Geldwäscherei­fall der Schweizer Geschichte aufzudecken.

      Denn Marty fand im Lastwagen nicht nur einen Berg Heroin, sondern auch ein kleines Adress­buch mit Dutzenden Namen, die ihn einmal um die Welt führten.

      Ein Jahr später liess er einen internationalen Drogen- und Geldwäscherei­ring hochgehen, der kofferweise Bargeld in verschiedenen Währungen auf Konten der Schweizerischen Kredit­anstalt in Zürich geschaufelt hatte – 1,5 Milliarden Franken in nur zwei Jahren oder rund 2 Millionen jeden Tag.

      In diese «Libanon-Connection» verwickelt war auch der Geschäfts­mann Hans W. Kopp, der Ehemann von Elisabeth Kopp, der ersten Frau in der Schweizer Regierung, die, just eine Woche bevor Martys Ermittlungs­ergebnisse im Oktober 1988 publik wurden, ihren Mann anrief, ihn warnte und in der Folge wegen des Anrufs zurück­treten musste.

      Jetzt kannten ihn alle, den Mann mit dem Namen wie ein Privat­detektiv aus Los Angeles: Dick Marty, Chef der Tessiner Staats­anwaltschaft.

      Folgt man den Drogen, erwischt man Drogen­süchtige und Drogen­dealerinnen. Folgt man dem Geld, weiss man nie, wo zur Hölle es einen hinführt.

      Bei Marty klingelte das Telefon. Fulvio Pelli, Chef der Tessiner FDP. Er suchte einen glaubwürdigen Mann für die Tessiner Regierung. Also zog Marty ins nächste Abenteuer: die Politik.
      2. Mit Begleitung und im gepanzerten Wagen

      Wenn Marty durch die Gassen der Luganeser Altstadt geht, dann wundert man sich, dass er sich nicht öfter umsieht. Marty aber scheint es nicht zu kümmern, ob da jemand lauert, der nach seinem Leben trachtet oder es schützt.

      Er sagt, mit der Polizei habe er nur noch selten zu tun. Er bewege sich heute völlig frei. Zumindest fast.

      Kürzlich hatte Marty einen grossen Auftritt im Kunst- und Kultur­zentrum LAC Lugano. Er sprach vor mehr als 200 Personen über sein Leben und sein neustes Buch, das er im November veröffentlichte: «Verità irriverenti», «unverschämte Wahrheiten». Prompt standen sie wieder da: kräftige Gestalten mit Knopf im Ohr, wachem Blick und schnellen Schuhen an den Füssen.

      Martys Buch ist ein schmaler Band, in dem er von den ungebetenen Besuchern erzählt, die kurz vor Weihnachten 2020 in sein Haus einzogen.

      Zuerst war es das Kommando Spezial­kräfte der Armee, das Marty schützte. Der Bundesrat musste den Einsatz per Eilentscheid bewilligen. Die Elite­soldaten zogen im Keller von Martys Haus ein, überall lagen Gewehre, Granaten, Gasmasken. Eine Zeit lang trug Marty ständig eine kugel­sichere Weste, auch ein Kleidungs­stück für jede Eventualität. Das Haus verliess er nur in Begleitung und in gepanzertem Wagen.

      Später wurden Spezial­einheiten von verschiedenen Kantons­polizeien aufgeboten. Erst nach fast fünf Monaten zogen sie aus seinem Haus aus, aber sie folgten ihm weiter auf Schritt und Tritt, auch wenn Marty mit seinen Hunden im Wald spazieren ging.

      16 Monate ging das so. So lange hielt das Bundesamt für Polizei Fedpol die Lage für sehr gefährlich.

      «Stufe 4», sagt Marty. «Das ist die zweit­höchste Stufe.» Stufe 5 bedeutet: untertauchen. Die Polizei sagte Marty, nie zuvor sei in der Schweiz ein so grosses Sicherheits­dispositiv für so lange Zeit aufrecht­erhalten worden.

      Publik wurden das beispiellose Sicherheits­aufgebot und sein Hintergrund erst nach knapp eineinhalb Jahren. Einer Journalistin des Westschweizer Fernsehens RTS waren die Personen­schützerinnen bei einem Auftritt Martys aufgefallen. Nach langem Zögern erklärte sich Marty im Frühling 2022 bereit, öffentlich über seinen Fall zu sprechen.

      Er war enttäuscht, wie wenig Bundes­anwaltschaft und Fedpol bei den Ermittlungen voran­gekommen waren. Er übte öffentlich Kritik. Statt die Hinter­männer der Mord­pläne zu überführen, hielt man Marty quasi in Halb­gefangenschaft. Dabei hatte man recht schnell eindeutige Hinweise darauf, wer Marty umbringen wollte.
      3. Das gelbe Haus

      Dick Marty sass 16 Jahre für die FDP im Ständerat, 13 Jahre lang war er zudem im Europarat und wurde dort just zum Präsidenten der Menschen­rechts­kommission gewählt, als Ende 2005 in der «Washington Post» erstmals Hinweise publik wurden, dass die USA in ihrem Krieg gegen Terror in Europa Geheim­gefängnisse unterhielten, wohin sie angebliche und mutmassliche Terror­verdächtige verschleppten, wo sie sie folterten und verhörten. Der Europarat beschloss, die Vorwürfe zu untersuchen.

      Man suchte jemanden, der als unbestechlich galt, neutral, glaubwürdig. Ein Schweizer, der Erfahrung als Ermittler hatte. Sie fanden Dick Marty. Und zählten darauf, dass er nichts heraus­finden würde.

      Anfangs stiess Marty auf verschlossene Türen. Die europäischen Behörden weigerten sich, Auskunft zu geben. Aber mit öffentlichem Druck, einigem Glück und einem sehr tüchtigen Mitarbeiter gelang es Marty, an wichtige Flug­daten zu kommen. So konnte er nach­vollziehen, dass Flugzeuge aus Kabul in Osteuropa zwischen­landeten, wo die Gefangenen ausgeladen und verhört wurden. Marty fand zudem Informanten, auch innerhalb des Geheim­dienstes CIA.

      2006 und 2007 veröffentlichte Marty zwei vernichtende Berichte, in denen nicht nur die Existenz von CIA-Geheim­gefängnissen und Geheim­flügen durch Europa bestätigt wurde. Vielmehr belegte er, dass die USA nicht im Geheimen operierten, sondern im Wissen und mit Unterstützung zahlreicher europäischer Regierungen. Drei Monate später gab US-Präsident George W. Bush erstmals öffentlich die Existenz solcher Geheim­gefängnisse zu. Dick Marty ist überzeugt, dass sein Bericht ein Auslöser dafür war.

      «Wissen Sie», sagt Marty und verweist auf ein Zitat, das irrtümlich immer wieder Arthur Schopenhauer zugeschrieben wird: «Die Wahrheit geht immer durch drei Stadien. Zuerst wird sie lächerlich gemacht. Dann wird sie bekämpft. Und zum Schluss wird sie selbst­verständlich.»

      Marty nennt das die «Dynamik der Wahrheit».

      Das Ringen um die Wahrheit war Marty in der Politik immer wichtig: als er die CIA-Methoden aufdeckte, als er sich für die Konzern­verantwortungs­initiative einsetzte und natürlich, als er im Kosovo mutmassliche Kriegs­verbrechen untersuchte.

      Die Wahrheit, sagt Marty, sei gegenüber der Lüge immer im Nachteil. Denn die Lüge sei einfacher, bequemer und darum häufig beliebter als die Wahrheit.

      Aber ohne Wahrheit gibt es keine Gerechtigkeit. Und das ist letztlich das, was Marty immer angetrieben hat. «Wenn ich nicht nach der Wahrheit suche, kann ich nicht in den Spiegel schauen. Das ist vielleicht altmodisch oder naiv. Aber so ist mein Gewissen.»

      2008 veröffentlichte Carla Del Ponte, die ehemalige Chef­anklägerin des Kriegsverbrecher­tribunals in Den Haag, ihre Memoiren. Darin schrieb sie unter anderem über Hinweise, dass die Befreiungs­armee UÇK nach Ende des Kosovo­krieges mehrere hundert Personen habe verschwinden lassen.

      Für grosse Aufregung sorgte Del Pontes Verdacht, was mit einem Teil der Verschwundenen geschehen sein soll: Journalistinnen hatten Del Ponte von einem «gelben Haus» im nördlichen Albanien berichtet, wo junge und gesunde Gefangene hingebracht worden seien, um ihnen Organe zu entnehmen und diese dann ins Ausland zu verkaufen.

      Das klang wie ein Schauer­märchen. Die Geschichte ging einmal um die Welt.

      Der Europarat wollte den Vorwürfen nachgehen. Wieder suchte man jemanden für einen Job, den niemand wollte. Wieder rief man Dick Marty. Er sagte, es werde eine «mission impossible».

      Sonderbericht­erstatter Marty ermittelte während zwei Jahren in Serbien, in Kosovo, in Albanien. Er las vertrauliche Dossiers, liess sich Beweise zeigen, hörte Zeugen an. Er sagt: «Es war sehr schwierig, Zeugen zu finden. Denn die internationalen Gerichte waren nie in der Lage, Zeugen zu schützen.»

      Marty kam trotzdem voran. Denn er hatte bei seinen Recherchen zwei Vorteile.

      Erstens: Er hatte sich bei der Enthüllung der CIA-Geheim­gefängnisse den Ruf erarbeitet, hartnäckig zu sein und glaubwürdig.

      Zweitens: Er war kein Ermittler, sondern Bericht­erstatter. Die Zeuginnen würden nicht vor Gericht aussagen müssen.

      2011 legte er einen umfangreichen Bericht vor. Demnach entführte die UÇK nach Ende des Krieges Serben, Roma und (dissidente) kosovarische Albanerinnen, unterwarf sie unmenschlicher und erniedrigender Behandlung und tötete sie anschliessend.

      Marty schien auch Del Pontes Schilderungen über die Vorgänge im «gelben Haus» zu bestätigen. Im Bericht schrieb Marty von «zahlreichen Hinweisen» auf illegalen Handel mit Organen. Und auch heute sagt er im Gespräch: «Ich habe Zeugen getroffen, die mir sagten, sie hätten persönlich am Organ­handel teilgenommen. Sie müssten jeden Tag damit leben, aber sie würden niemals vor einem Gericht aussagen. Sie wollten ihre Familie nicht in Gefahr bringen.»

      Marty schrieb in den Bericht, Anfang der Nuller­jahre hätten «konkrete Beweise» existiert, aber die internationalen Behörden hätten darauf verzichtet, die Umstände zu untersuchen, oder es nur oberflächlich getan. Der Bericht war nicht nur ein Angriff auf die UÇK, sondern vor allem auch eine Kritik an den internationalen Organisationen und an den USA, dass sie bewusst weggesehen hätten. Denn politisch war es nicht opportun, dass es unter den Albanern nicht nur Opfer gab, sondern auch Täter.

      Die Reaktionen auf den Bericht folgten sofort.

      Bernard Kouchner, der Leiter der Uno-Mission im Kosovo, lachte Marty vor laufender Kamera aus. Hashim Thaçi verglich Marty in einem Interview mit Joseph Goebbels. Edi Rama verlangte vom Europarat, den Bericht zu entfernen, Marty sei von Putin gezahlt worden.

      Marty kümmert das bis heute kaum. Er erinnert stattdessen an die «Dynamik der Wahrheit» und sagt: Im Sommer 2014 hätten die Ermittlungen eines US-Staats­anwalts seinen Bericht über weite Strecken bestätigt. Sie stützten auch Martys Erkenntnisse über die Entnahme von und den Handel mit Organen, diese Praxis habe statt­gefunden, wenn auch «in sehr beschränktem Umfang».

      Und doch: Als im Frühling 2023 der Prozess gegen Hashim Thaçi und weitere Anführer der UÇK vor dem Kosovo-Tribunal in Den Haag begann, war in der Anklage­schrift von Organ­handel nicht mehr die Rede. Es gab zu wenig Beweise für eine Anklage.

      Ärgert ihn das?

      «Nein», sagt Marty gelassen. «Die Anklage lautet auf Verbrechen gegen die Menschlichkeit.» Er will sagen: Es ist alles noch viel schlimmer.

      Der Organhandel habe ohnehin nur einen kleinen Teil der Kriegs­verbrechen ausgemacht, die damals verübt wurden. Aber die Geschichte vom «gelben Haus» habe die Journalistinnen masslos fasziniert und deshalb viel, zu viel, Platz eingenommen in der Bericht­erstattung.
      4. Der Spion, der aus dem Balkan kam

      Die Geschichte verfolgt Marty bis heute. Ein Jahrzehnt nach der Veröffentlichung seines Berichts holt sie ihn im Dezember 2020 ein, als das Telefon klingelt und plötzlich Gefahr droht vom Balkan.

      UÇK-Nostalgiker, dachte Marty damals. Genaue Angaben, wer hinter den Mord­plänen steckte, bekam er nicht. Erst nach einigen Monaten unter strengster Überwachung sickerten Informationen zu Marty durch.

      Ein Informant, der in den Neunziger­jahren im jugoslawischen Geheimdienst ausgebildet worden war und später als Doppel­agent für verschiedene Polizeien Europas arbeitete, hatte mitbekommen, dass ein Anschlag auf Marty geplant war. Die Waffen sollen da bereits in die Schweiz geschmuggelt worden sein. Als der Informant davon Wind bekam, benachrichtigte er das Fedpol. Marty erhielt Schutz. Aber gemäss den Angaben des Informanten waren die mutmasslichen Täter keine Kosovaren, wie Marty zuerst vermutete, sondern serbische Kriminelle mit engen Verbindungen zu Polizei und Geheimdienst.

      Das Westschweizer Fernsehen RTS hat den Informanten ausfindig gemacht und ihn unter grösster Geheim­haltung getroffen. Er sagt, er sei wegen Fehlern der Schweizer Sicherheits­behörden aufgeflogen und habe unter­tauchen müssen.

      Marty vermutet, die mutmasslichen Attentäterinnen seien dem Informanten auf die Schliche gekommen, als die Schweiz über Interpol Belgrad nach den Verdächtigen suchte. Der Informant wurde in der Folge bedroht und floh in die Schweiz, wo ihm laut RTS eine neue Identität verschafft wurde.

      Das Bundesamt für Polizei Fedpol stritt diese Darstellung von RTS später öffentlich ab. Man habe lediglich eine allgemeine Erkenntnis­anfrage nach Belgrad gestellt.

      In den anderen wesentlichen Punkten aber bestätigten Fedpol, Bundes­anwaltschaft und auch der Bundesrat die Recherchen von RTS. Der Fall sei nicht nur strafrechtlich relevant, sondern habe vor allem auch eine politische Komponente. Man stehe im Austausch mit den serbischen Behörden.

      Die Bundes­anwaltschaft hält gegenüber der Republik fest, dass das Verfahren nach wie vor laufe, sie macht darüber hinaus im Moment keine Angaben.

      Die serbischen Behörden wiesen die Vorwürfe von sich, in ein Mord­komplott gegen Marty verwickelt zu sein.
      5. Der letzte Liberale

      Wenn Marty kann, dann verlässt er mit seinem Hund Leim das Haus und streift durch die Wälder in den Hügeln über Lugano. Auf den stunden­langen Spazier­gängen grübelt er über den Zustand der Welt, der Demokratie und der Schweiz. Manchmal, erzählt er, verliere er sich so sehr in seinen Gedanken, dass er sie mit den Bäumen teile.

      «Das Alter», sagt Marty und lächelt.

      Kaum ein Schweizer Politiker hat international so viel Bekanntheit erlangt wie er. In der Schweiz fällt Martys Name heute vor allem dann, wenn man sich auf die Suche macht nach den letzten Liberalen in der freisinnigen Partei.

      Aber über seine alte Partei mag Marty nicht gross reden. Dabei führte er seinen letzten innen­politischen Kampf ausgerechnet gegen die freisinnige Justiz­ministerin Karin Keller-Sutter. In seinem Buch wirft er ihr vor, sie habe die Konzern­verantwortungs­initiative «mit viel Eifer und grosser Nonchalance gegenüber der Wahrheit» bekämpft (die Geschäfts­prüferinnen des Bundes gaben ihm kürzlich recht). Und wer Marty ein wenig kennt, merkt, dass das eine der schlimmsten Beleidigungen überhaupt ist.

      Für Linke ist Marty eine Art Sehnsuchts­figur, für Rechte eher ein Dissident. Wahr ist vermutlich beides: Marty hat die politischen Verhältnisse sehr häufig kritisiert, ohne Rücksicht darauf, ob das vorteilhaft oder willkommen war.

      Manchen gilt Marty deswegen als Nest­beschmutzer, aber er sagt: «Ungerechtigkeit, Korruption und schlechte Regierungs­führung anzuprangern, ist nicht nur die Pflicht eines Bürgers, sondern ein Akt tiefer Verbundenheit mit dem eigenen Land. Die Schweiz zu kritisieren, ist also ein Akt der Liebe.»

      «Dennoch, warum gehen Sie so weit?», frage ich.

      «Weil ich nicht gleichgültig geworden bin. Antonio Gramsci sagte: ‹Ich hasse die Gleichgültigen.› So geht es mir auch. Aber ich weiss schon, ich kann nicht alle Probleme der Welt lösen. Ich bin nur ein piccolo granello di sabbia – ein kleines Sandkorn.»

      «Sie haben sich damit in Ihrem politischen Leben nicht viele Freunde gemacht …»

      «Wissen Sie, die Wahrheit ist fast immer unangenehm. Ich habe immer nur mit zwei, drei Leuten gearbeitet, denen ich traute. Ich sagte: Wir müssen die Wahrheit suchen, ganz egal, was dann wird.»

      «War es das wert?»

      «Für die Allgemeinheit wahrscheinlich nicht so sehr. Aber für mich? Ich habe ein ruhiges Gewissen und kann jeden Tag in den Spiegel schauen. Und ich denke: Geheim­gefängnisse wird es in Europa wahrscheinlich für eine Zeit nicht mehr geben.»

      «Und was», frage ich mit Blick auf die eineinhalb Jahre, die Marty unter schwerstem Polizei­schutz verbrachte, «bleibt von dieser Episode?»

      «Viel verlorene Zeit.»
      6. Auf der Suche nach der verborgenen Wahrheit

      Heute wird Dick Marty nicht mehr auf Schritt und Tritt von Polizistinnen begleitet. Er kann tun und lassen, was er will, und wenn er Journalisten zum Tee trifft, zieht er in aller Regel keinen Schatten hinter sich her.

      Aber Marty ist wenig unterwegs in diesen Tagen. «Ich führe meinen letzten Kampf», sagt Marty. «Jetzt habe ich es mit einem viel gefährlicheren Feind zu tun. Und gegen den nützt auch die beste Polizei der Welt nichts.»

      Die Einschränkungen, die fehlende Freiheit, das Leben unter dem Radar – das alles hat Marty gut weggesteckt. Nur zwei Dinge lassen ihn nicht los.

      Das Erste ist der Preis, den seine Familie zahlte.

      «Ich habe eine Enkelin im Teenager­alter, die sehr häufig bei uns ist. Für sie war es eine sehr grosse Belastung, in ein Haus zu kommen, in dem überall Waffen, Masken und fremde Leute rumstanden», sagt Marty. «Ich kann vieles vergeben, aber das? Das kann ich nicht verzeihen.»

      Das Zweite hat direkt mit dem Ersten zu tun. Marty versteht nicht, warum die Schweizer Sicherheits­behörden trotz guter Informations­lage erst sehr spät gegen die mutmasslichen Attentäter ermittelten und bis heute kein Ergebnis vorlegen konnten.

      Ist das Dilettantismus? Falsche Vorsicht? Oder steckt Kalkül dahinter? Nahm die Schweiz die monatelange Gefangenschaft eines ehemaligen Magistraten in seinem eigenen Haus in Kauf, weil sie Serbien aus diplomatischen Gründen schonen wollte? Wollten die Schweizer Sicherheits­behörden einen befreundeten Geheim­dienst mit engen Verbindungen in die kriminelle Unterwelt nicht verärgern? Oder die ohnehin fragilen serbisch-kosovarischen Beziehungen nicht für einen ausgeschiedenen Parlamentarier auf die Probe stellen? Wer sind die Verantwortlichen in diesem hoch­politischen Rechtsfall, und wer fällte die Entscheidungen? Und warum wollen die zuständigen Bundesräte wie etwa Aussen­minister Ignazio Cassis so wenig über die Affäre gewusst haben?

      Die Fragen führen womöglich mitten in einen komplexen politischen Skandal. Nur gibt es offenbar niemanden, der ein ernsthaftes Interesse daran hat, die Fragen zu beantworten. Dafür bräuchte es jemanden mit einem feinen Gespür für Gerechtigkeit, jemanden, der mit vielen Wassern gewaschen ist, aber immer noch ehrlich, einen Mann auf der Suche nach der verborgenen Wahrheit, einen wie Dick Marty.

      https://www.republik.ch/2023/12/20/dick-marty-und-die-ungebetenen-besucher

  • Nel Mediterraneo non esistono stragi minori

    Mem.Med sul naufragio del 27 ottobre 2023 a #Marinella_di_Selinunte.

    Ahmed, Kousay, Bilel, Wael, Oussema, Souhé, Yassine, Sabrin, Fethi, Ridha, Yezin, Bilel, Mahdi questi sono i nomi di alcune delle persone scomparse a seguito del naufragio avvenuto a Marinella Selinunte in Sicilia (TP) il 27 ottobre 2023.
    Non numeri: erano circa 60 persone partite con un peschereccio da una spiaggia poco lontana da Mahdia, città costiera della Tunisia nord orientale. Sulla rotta per la Sicilia, verso Mazara, avevano viaggiato per alcuni giorni, uomini, donne e minori, tuttə di nazionalità tunisina. Poi, proprio poco prima di arrivare, il viaggio si è arrestato improvvisamente. Alcune persone sono riuscite a sopravvivere e a nuotare fino alla riva, altre hanno perso la vita, non soccorse in tempo, in una dinamica che ricorda molto quella che ha caratterizzato il massacro avvenuto a Steccato di Cutro il 26 febbraio 2023.

    L’indagine è ancora in corso, i fatti non sono chiari ma, da quanto ricostruito, sembrerebbe che a poca distanza dalla riva della spiaggia di Marinella di Selinunte, il peschereccio si sarebbe incagliato in una secca e questo avrebbe provocato il ribaltamento dell’imbarcazione e il successivo annegamento di diverse persone cadute in acqua.

    Nei giorni successivi 6 corpi sono stati recuperati dalla capitaneria di Porto, dalla Guardia Costiera e dai Vigili del fuoco: 5 corpi rinvenuti sulla spiaggia di Marinella di Selinunte e 1 sulla spiaggia di Triscina. Le persone disperse sarebbero almeno 10. Perciò il totale delle persone rimaste uccise sono tra le 15 e le 20.

    Le persone sopravvissute, minori e adulte, sono le uniche a conoscere le dinamiche dell’evento: hanno visto i corpi dellə loro compagnə galleggiare a pochi metri dalla riva e hanno dichiarato che moltə di loro sono rimastə in acqua mentre i soccorsi hanno tardato ad arrivare.
    Nonostante fossero decine le persone disperse, le ricerche dei corpi si sono fermate tre giorni dopo il tragico evento. Le persone sopravvissute sono state ricollocate nei centri siciliani di Porto Empedocle, Milo e Castelvetrano o sono partite in autonomia verso altre mete europee.
    La ricerca di verità

    La procura di Marsala sta conducendo un’inchiesta sull’accaduto. I 6 corpi, tutti maschili, sono stati inizialmente trasferiti a Palermo e sottoposti ad autopsia, nonché a prelievo del DNA e a raccolta dei dati post mortem per l’eventuale identificazione. Dopodiché sono stati riportati a Castelvetrano, 5 sono stati collocati nell’obitorio dell’ospedale locale e 1 al cimitero.

    A pochi giorni dall’accaduto ci siamo recate nel luogo della strage dove, sulla spiaggia deserta e bagnata dalla pioggia, giaceva riverso su un fianco il peschereccio di legno tunisino, semi abbattuto dalla mareggiata.
    Sulla battigia, tutto intorno al relitto, giacevano i resti dell’imbarcazione in pezzi e decine di indumenti delle persone che viaggiavano su quel peschereccio, alcuni oggetti personali e cibo. Uno scenario di guerra. Una guerra senza indignazione, senza riflettori. Consumata nel silenzio assoluto rotto solo dalle onde del mare e dalla pioggia.
    Sappiamo che capita spesso che gli oggetti delle persone in viaggio finiscono in fondo al mare o restano perduti nella sabbia. Quasi sempre le autorità non predispongono la loro conservazione e spesso le famiglie o le comunità di appartenenza non sono in loco per poterli recuperare per tempo. Così quegli oggetti così preziosi si trasformano in pezzi di una memoria mossa via dalle onde.


    Diverse sono le famiglie che nel corso delle settimane passate ci hanno contattato per avere supporto nella ricerca dellə parenti ancora dispersə nella strage del 27.10.2023. Ancora una volta, in mancanza di un efficace sistema di raccolta delle richieste, a livello locale e internazionale, le famiglie sperimentano un non riconoscimento di quella violenza e una delegittimazione delle perdite e del lutto: non se ne parla mediaticamente, le grandi organizzazioni non si attivano, le istituzioni tardano a rispondere, nonostante le famiglie rivendichino con forza verità e giustizia.
    Anche in questa circostanza, i tempi necessari all’identificazione delle salme sono lunghi e incerti, proprio in ragione del fatto che non c’è un lavoro coordinato e le procedure sono frammentate tra più attori: Procura, Medicina legale, Polizia giudiziaria, Consolato tunisino.

    Tra le segnalazioni che ci sono arrivate ci sono quelle delle famiglie di Adem e Kousay, giovani rispettivamente di 20 e 16 anni, originari di Teboulba e Mahdia.

    Adem, Kousay e la lotta delle famiglie

    Qualche settimana fa, in una giornata di novembre, ci siamo recate a Teboulba nella casa tunisina della famiglia di Adem. Sedute in cerchio nel cortile, mentre calava il tramonto, abbiamo ripercorso i fatti dell’evento e abbiamo aggiornato le famiglie delle informazioni raccolte in Sicilia.
    A partecipare all’incontro non c’erano solo la madre, la sorella, il padre e i parenti prossimi di Adem, ma anche tutta la comunità di quartiere, che da settimane vive con angoscia e rabbia questa sparizione.

    Omaima, la sorella di Adem, era seduta al centro del cerchio e pronunciava i nomi delle persone disperse, contandole sulla punta delle dita, come in una preghiera ripetuta.
    Tante sono state le domande poste: Perché non sono stati soccorsi? Erano arrivati, erano a pochi metri da terra! Le autorità hanno continuato a cercarli? È possibile che ci voglia tanto tempo per sapere se Adem è tra quei corpi? Lo vogliamo indietro, lo vogliamo vedere, vogliamo sapere.

    La famiglia ci ha raccontato anche che le autorità tunisine hanno fatto pressione sui genitori dellə giovani accusandoli di essere responsabili del viaggio in mare. Uno dei familiari è stato più volte convocato presso gli uffici di polizia locali per difendersi da queste accuse. Non hanno trovato un colpevole tra i sopravvissuti allora incolpano noi! ha detto il padre di Adem.

    Non è la prima volta che questo accade. Il processo di criminalizzazione della migrazione dal sud al nord del Mediterraneo, se non può colpire i cosiddetti presunti scafisti tra coloro che sopravvivono, scarica sulle famiglie delle persone disperse responsabilità da cui queste sono chiamate a difendersi in un momento tanto violento come quello che caratterizza la scomparsa di unə familiare in mare.
    Sappiamo bene che il silenzio permea le conseguenze di queste necropolitiche che si muovono verso un indirizzo sempre più securitario nella gestione delle migrazioni: il nuovo Patto UE sulla Migrazione legittima abusi e respingimenti che renderanno ancora più mortali le frontiere. Le morti in aumento sono strumentalizzate ai fini di implementare politiche di maggior chiusura, condannando inoltre chi sopravvive alle frontiere a essere reclusə e detenutə e chi cerca di fare luce sulla violenza ad essere destinatariə di una repressione feroce.
    Non è normale morire in frontiera

    Il naufragio di Selinunte è uno di quelli che non destano attenzione, che non infiammano i programmi televisivi, che non fanno scalpore. Sono morte “solo” 6 persone e ci sono “solo” una decina di persone disperse. Non si parla di morte violenta o di strage, si è parlato di incidente: è un naufragio “minore”. Avvenuto nello stesso mese in cui si celebra la Giornata nazionale della memoria per non dimenticare le vittime della migrazione, questo evento – come moltissimi altri – non ha però goduto della stessa attenzione dei “grandi” naufragi e la sua visibilità è dipesa solo grazie al lavoro di alcune brave giornaliste.
    Eppure questa strage, come le altre, interpella responsabilità politiche e collettive: è avvenuta a poche centinaia di metri dalle coste siciliane, a causa della negazione del diritto a muoversi e per assenza di soccorso di persone in difficoltà che prendono la via del mare. Come è avvenuto anche pochi giorni fa al largo della Libia, dove hanno perso la vita almeno 61 persone.
    Come Cutro e Lampedusa, anche questa è una strage da ricordare, una strage che si somma a tante altre sconosciute o rimosse, che insieme fanno migliaia di vite barbaramente spezzate.

    La stessa indifferenza ha colpito le morti delle persone i cui corpi nelle ultime settimane hanno raggiunto l’Isola di Lampedusa, come ha raccontato l’associazione Maldusa che opera sull’isola. Tra il 10 e il 17 novembre sono stati almeno 4 i naufragi e almeno 4 le persone che risultano disperse. Il 20 novembre un altro naufragio ha causato la morte di almeno una bimba di 2 anni e altri dispersi. Il 22 novembre un’altra barca di ferro è naufragata provocando la morte di almeno una donna ivoriana di 26 anni.

    La lotta dellə sopravvissutə e dellə familiarə ci ricorda che non esistano naufragi o stragi “minori”. Con loro ci opponiamo all’idea di una gerarchia delle vite determinata da privilegi attribuiti arbitrariamente ma accettati e normalizzati dall’opinione pubblica.

    Adem, Kousay e le altre 20 persone disperse partite il 26 ottobre da Mahdia non ci sono più e forse non torneranno. Sono ancora in corso gli accertamenti per determinare l’identità delle salme e, attraverso l’esame del DNA, attestare con certezza se Adem e Kousay sono tra i cadaveri recuperati.
    Ci sono però i loro nomi, le loro storie e, soprattutto, c’è la lotta delle loro famiglie: la madre di Adem, di cui suo figlio porta inciso il nome nel tatuaggio sul petto. Il padre di Adem che deve difendersi dai tentativi di criminalizzazione.

    Voglio sapere se il corpo appartiene a mio fratello. E poi voglio che si faccia giustizia, ha detto la sorella Oumaima guardandoci negli occhi, prima che lasciassimo il cortile della loro casa di Teboulba. Il suo volto infervorato non ci ha lasciato dubbi:

    Il loro dolore e la loro rabbia non sono minori a nessuno.

    https://www.meltingpot.org/2023/12/nel-mediterraneo-non-esistono-stragi-minori
    #27_octobre_2023 #Italie #naufrage #décès #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #morts_en_mer #Sicile #identification #ceux_qui_restent #Selinunte

  • CARTOGRAPHIE DES VIOLATIONS SUBIES PAR LES PERSONNES EN DEPLACEMENT EN TUNISIE

    L’#OMCT publie aujourd’hui un rapport, « Les routes de la torture : Cartographie des violations subies par les personnes en déplacement en Tunisie » qui met en lumière l’ampleur et la nature des violations des #droits_humains commises en Tunisie entre juillet et octobre 2023 à l’encontre de migrant-e-s, réfugié-e-s et demandeurs d’asile.

    Depuis octobre 2022, la Tunisie a connu une intensification progressive des violations à l’encontre des personnes en déplacement essentiellement d’origine subsaharienne, sur fond de #discrimination_raciale. Le discours présidentiel du 21 février 2023 les a rendues encore plus vulnérables, et le mois de juillet 2023 a représenté un tournant dans l’échelle et le type des violations des #droits_humains commises, avec une recrudescence des #arrestations et des #détentions_arbitraires, des #déplacements_arbitraire et forcés, ayant donné lieu à des #mauvais_traitement, des #tortures, des #disparitions et, dans plusieurs cas, des #décès. Ce cycle d’#abus commence avec une situation d’irrégularité qui accroît leur #vulnérabilité et qui les expose au risque de violations supplémentaires.

    Cependant, malgré l’ampleur des violations infligées, celles-ci ont été très largement passées sous silence, invisibilisant encore davantage une population déjà marginalisée. A traves les voix de victimes directes de violations ayant voulu partager leurs souffrances avec l’OMCT, ce rapport veut contribuer à contrer cette dynamique d’#invisibilisation des migrant-e-s, refugié-e-s et demandeurs d’asile résidant en Tunisie, qui favorise la perpétuation des violations et un climat d’#impunité.

    Le rapport s’appuie notamment sur plus de 30 entretiens avec des représentant-e-s d’organisations partenaires et activistes travaillant sur tout le territoire tunisien et une vingtaine de témoignages directes de victimes de violence documentés par l’OMCT et ses partenaires. Il dresse une cartographie des violations infligées aux migrants, parmi lesquelles les expulsions forcées des logements, les #violences physiques et psychologiques exercées aussi bien par des citoyens que par des agents sécuritaires, le déni d’#accès_aux_soins, les arrestations et détentions arbitraires, les déplacements arbitraires et forcés sur le territoire tunisien, notamment vers les zones frontalières et les #déportations vers l’Algérie et la Libye. Les interactions avec les forces de l’ordre sont généralement assorties de torture et mauvais traitements tandis que les victimes sont privées, dans les faits, du droit d’exercer un recours contre ce qu’elles subissent.

    Cette #violence institutionnelle touche indistinctement les personnes en déplacement, indépendamment de leur statut, qu’elles soient en situation régulière ou non, y compris les réfugié-e-s et demandeurs d’asile. Les victimes, hommes, femmes, enfants, se comptent aujourd’hui par milliers. A la date de publication de ce rapport, les violations se poursuivent avec une intensité et une gravité croissante, sous couvert de lutte contre l’immigration clandestine et les réseaux criminels de trafic d’êtres humains. La Tunisie, en conséquence, ne peut être considérée comme un pays sûr pour les personnes en déplacement.

    Ce rapport souhaite informer les politiques migratoires des décideurs tunisiens, européens et africains vers une prise en compte décisive de l’impact humain dramatique et contre-productif des politiques actuelles.

    https://omct-tunisie.org/2023/12/18/les-routes-de-la-torture

    #migrations #asile #réfugiés #Tunisie #rapport

    ping @_kg_

  • Repackaging Imperialism. The EU – IOM border regime in the Balkans

    In November 2023, European Commission President #Ursula_von_der_Leyen concluded a Balkan tour, emphasizing EU enlargement’s priority for peace and prosperity. However, scrutiny intensified over EU practices, especially in the Balkans, where border policies, implemented by the International Organization for Migration (IOM), reflect an imperialist approach. This report exposes the consequences – restricted migration, erosion of international norms, and deadly conditions along migrant routes. The EU’s ’carrot and stick’ strategy in the Balkans raises concerns about perpetual pre-accession status and accountability for human rights abuses.

    https://www.tni.org/en/publication/repackaging-imperialism

    #migrations #asile #réfugiés #IOM #OIM #impérialisme #frontières #rapport #tni #paix #prospérité #droits_humains #militarisation_des_frontières #route_des_Balkans #humanitarisme #sécurisation #sécurité #violence #Bosnie #Bosnie-Herzégovine #hotspot #renvois #retours_volontaires #joint_coordination_plateform #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #décès

  • #Royaume-Uni : un migrant décède à bord de la #barge « #Bibby_Stockholm »

    Un exilé est mort, mardi matin, sur la barge « Bibby Stockholm », stationnée dans un port du sud-ouest de l’Angleterre. D’après la presse britannique, l’homme se serait suicidé. La structure, qui accueille des demandeurs d’asile en attente du traitement de leur dossier, est sous le feu des critiques depuis sa mise en place en août dernier.

    Nouvelle polémique à propos de « Bibby Stockholm ». Un demandeur d’asile est décédé mardi 12 décembre à bord de la barge, stationnée à quai dans le port de Portland, au sud-ouest de l’Angleterre. La police du Dorset a indiqué avoir été informée à 06h22, heure locale, de la « mort soudaine d’un résident ».

    Aucun autre détail n’a été rendu public, mais plusieurs sources ont déclaré à la BBC que l’homme décédé se serait suicidé. Le décès est survenu dans l’une des plus de 200 cabines à bord, a indiqué une autre source au média britannique.

    Le porte-parole du Premier ministre a fait savoir au Guardian que « toute personne arrivant à Bibby Stockholm subit une évaluation médicale, est surveillée en permanence pendant son séjour dans l’hébergement et reçoit toute l’assistance nécessaire, à juste titre ». Près de 300 demandeurs d’asile sont actuellement hébergés dans la barge, pour une capacité totale de 500 places.
    « Des conditions » d’hébergement « traumatisantes »

    Le ministre de l’Intérieur James Cleverly a assuré que ce décès ferait l’objet d’une « enquête complète ». « Je suis sûr que les pensées de toute la Chambre, comme la mienne, vont aux personnes concernées », a-t-il ajouté. Richard Drax, député conservateur de South Dorset, a déclaré qu’il s’agissait d’une « tragédie née d’une situation impossible ». « On ne peut qu’imaginer les circonstances désespérées qui ont conduit à ce triste résultat ».

    Le directeur général du Conseil pour les réfugiés Enver Solomon, lui, a demandé qu’une enquête indépendante soit menée afin « d’éviter de nouvelles tragédies de ce type ».

    Steve Smith, président de l’association Care4Calais, pointe également du doigt « le gouvernement britannique » qui « doit assumer la responsabilité de cette tragédie humaine ». « Nous signalons régulièrement des intentions suicidaires parmi les résidents et aucune mesure n’est prise », a-t-il déploré sur X.

    https://twitter.com/FreefromTorture/status/1734552685506875393

    « Cette dernière tragédie nous rappelle une fois de plus que les politiques punitives du gouvernement à l’égard des réfugiés sont non seulement cruelles, mais qu’elles coûtent également des vies », a martelé Ann Salter de l’ONG Freedom from Torture. « D’après les survivants avec lesquels je travaille chaque jour, je sais que les conditions exiguës et dangereuses à bord du Bibby peuvent être profondément choquantes pour ceux qui ont survécu à la torture et à la persécution, en plus des expériences traumatisantes qu’ils ont vécues en route vers le Royaume-Uni ».
    Contamination à la légionellose

    La plateforme de trois étages est utilisée depuis quelques mois pour héberger des migrants malgré de vives critiques. Le recours à cette barge, dénoncé par de nombreuses associations d’aide aux migrants, est destiné à réduire la facture de l’hébergement des demandeurs d’asile. Il figure parmi les nombreuses mesures controversées du gouvernement conservateur en matière d’immigration.

    Les premiers migrants sont arrivés sur le « Bibby Stockholm », lancée par l’ex-ministre de l’Intérieur Suella Braverman, en août dernier. Mais l’embarcation avait dû être évacuée en raison d’une contamination du réseau hydraulique à la légionellose. En octobre, la barge avait pu être de nouveau utilisée.

    D’après le Guardian, le ministère de l’Intérieur a depuis fourni un financement supplémentaire au port de Dorset pour la création d’un centre médical à bord. Un infirmier praticien ou un ambulancier sont présents sur la barge quatre ou cinq jours par semaine et un médecin généraliste, une fois par semaine, avec des services de traduction disponibles, a déclaré l’administration du Dorset en octobre.

    Insuffisant, pour les associations, qui ne cessent de tirer la sonnette d’alarme sur la détérioration de la santé mentale des résidents à bord, exacerbée par l’emplacement isolé de la barge. Suite au décès ce matin, un demandeur d’asile hébergé dans la structure a fait savoir au Guardian « ne pas être surpris » par cette annonce. « C’est un résultat prévisible de la politique appliquée par le ministère de l’Intérieur. Plus il y a de gens ici, plus l’attente est longue, et plus la santé mentale de chacun se détériore », a-t-il soufflé.

    « J’ai un message simple pour le ministère de l’Intérieur : combien de personnes doivent mourir avant que vous ne réalisiez les erreurs que vous avez commises dans la façon dont vous traitez les demandeurs d’asile ? »

    https://www.infomigrants.net/fr/post/53837/royaumeuni--un-migrant-decede-a-bord-de-la-barge-bibby-stockholm
    #UK #Angleterre #décès #mort #migrations #asile #réfugiés #hébergement #accueil #suicide

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    ajouté à la métaliste sur le Bibby Stockholm :
    https://seenthis.net/messages/1016683

  • #Derman_Tamimou , décédé le 06.02.2019

    Cadavere di un migrante trovato sulla strada del Monginevro : voleva andare in Francia

    Un uomo di 29 anni proveniente dal Togo sepolto dalla neve.

    ll cadavere di un migrante di 29 anni, proveniente dal Togo, è stato ritrovato questa mattina in mezzo alla strada nazionale 94 del colle del Monginevro. Da quanto si apprende da fonti italiane, sul posto è presente la polizia francese. Le abbondanti nevicate degli scorsi giorni e il freddo intenso hanno complicato ulteriormente l’attraversamento della frontiera per i migranti. Si tratta del primo cadavere trovato quest’anno sul confine italo-francese dell’alta Val Susa dopo che l’anno scorso erano stati rinvenuti tre corpi (https://torino.repubblica.it/cronaca/2018/05/25/news/bardonecchia_il_corpo_di_un_migrante_affiora_tra_neve_e_detriti_su).

    https://torino.repubblica.it/cronaca/2019/02/07/news/cadavere_di_un_migrante_trovato_sulla_strada_del_monginevro_voleva
    #décès #mort #mourir_aux_frontières #Tamimou
    #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #morts_aux_frontières #Hautes-Alpes #mourir_aux_frontières #frontières #Italie #France #Briançonnais #Montgenèvre #La_Vachette

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    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière des Hautes-Alpes :
    https://seenthis.net/messages/800822

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Retrouvé inanimé le long de la RN 94, le jeune migrant décède

      Un homme d’une vingtaine d’années a été découvert en arrêt cardio-respiratoire, cette nuit peu avant 3 heures du matin, sur la #RN_94, à #Val-des-Près. La police aux frontières, qui patrouillait à proximité, a vu un chauffeur routier arrêté en pleine voie, près de l’aire de chaînage. Celui-ci tentait de porter secours au jeune migrant, inanimé et en hypothermie. La victime a été prise en charge par les sapeurs-pompiers et un médecin du Samu. L’homme a ensuite été transporté à l’hôpital de Briançon, où il a été déclaré mort.

      Une enquête a été ouverte pour « homicide involontaire et mise en danger de la vie d’autrui ».


      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/02/07/val-des-pres-un-jeune-migrant-decede-apres-avoir-ete-retrouve-inanime-le

    • Hautes-Alpes : un jeune migrant retrouvé mort au bord d’une route

      Il a été découvert près d’une aire de chaînage en #hypothermie et en arrêt cardio-respiratoire.

      Un migrant âgé d’une vingtaine d’années a été retrouvé mort dans la nuit de mercredi à ce jeudi dans les Hautes-Alpes au bord d’une route nationale reliant la frontière italienne à Briançon, a-t-on appris ce jeudi de source proche du dossier.

      Le jeune homme a été découvert inconscient jeudi vers 3h du matin par un chauffeur routier à Val-des-Près, une petite commune située à la sortie de Briançon. Il gisait près d’une aire de chaînage nichée en bordure de la RN94 qui mène à Montgenèvre, près de la frontière italienne.

      « Il n’a pas été renversé par un véhicule », a précisé une source proche du dossier, confirmant une information du Dauphiné Libéré.
      Hypothermie

      C’est une patrouille de la Police aux frontières (PAF) qui a prévenu les pompiers en découvrant le chauffeur routier tentant de porter secours à la victime.

      Souffrant d’hypothermie et en arrêt cardio-respiratoire, le jeune homme a été pris en charge par les pompiers et un médecin du Samu, mais leurs tentatives pour le réanimer ont été vaines. Il a été déclaré mort à son arrivée à l’hôpital de Briançon.

      Une enquête pour « homicide involontaire et mise en danger de la vie d’autrui » a été ouverte par le parquet de Gap. Elle a été confiée à la brigade de recherches de Briançon et à la gendarmerie de Saint Chaffrey. L’identité et la nationalité du jeune migrant n’ont pas été communiquées.
      « Nous craignons d’autres disparitions »

      En mai 2018, le parquet de Gap avait également ouvert une enquête pour identifier et connaître les circonstances du décès d’un jeune homme noir dont le corps avait été découvert par des promeneurs près de Montgenèvre.

      En décembre, plusieurs associations caritatives, qui dénoncent « l’insuffisance de prise en charge » des migrants qui tentent de franchir la frontière franco-italienne vers Briançon, avaient dit leur crainte de nouveaux morts cet hiver.

      « Plus de trente personnes ont dû être secourues depuis l’arrivée du froid, il y a un mois, et nous craignons des disparitions », avait affirmé l’association briançonnaise Tous Migrants dans un communiqué commun avec Amnesty, la Cimade, Médecins du monde, Médecins sans frontières, le Secours catholique et l’Anafé.

      http://www.leparisien.fr/faits-divers/hautes-alpes-un-jeune-migrant-retrouve-mort-au-bord-d-une-route-07-02-201

      Commentaire sur twitter :

      Le corps d’un jeune migrant mort de froid sur un bord de route retrouvé par la police aux frontières – celle-là même à laquelle il essayait d’échapper. Celle-là même dont la traque aux grands voyageurs accule ces derniers à risquer leur vie.

      https://twitter.com/OlivierCyran/status/1093565530324303872

      Deux des compagnons d’infortune de #Derman_Tamimou, décédé jeudi, se sont vu délivrer des OQTF après avoir témoigné à la BRI sur la difficulté à obtenir du secours cette nuit là.
      Ils nous ont raconté les secours qui n’arrivent pas, les tentatives pour arrêter les voitures , les appels à l’aide le temps qui passe une heure deux heures à attendre.

      https://twitter.com/nos_pas/status/1093978770837553154

    • Hautes-Alpes : l’autopsie du migrant découvert jeudi conclut à une probable mort par hypothermie

      L’autopsie du jeune migrant togolais, découvert inanimé dans la nuit de mercredi à jeudi sur le bord de la RN 94 à Val-des-Prés (Hautes-Alpes), a conclut "à l’absence de lésion traumatique externe et à une probable mort par hypothermie", selon le parquet de Gap. Le jeune homme âgé de 28 ans n’a pu atteindre Briançon, après avoir traversé la frontière entre la France et l’Italie à pied.

      Le procureur de la République de Gap a communiqué les conclusions de l’autopsie du jeune migrant de 28 ans, découvert ce jeudi 7 février le long de la route nationale 94 à Val-des-Prés, entre Montgenèvre et Briançon.
      Absence de lésion traumatique externe et à une probable mort par hypothermie

      "Dans le cadre de l’enquête recherchant les causes et les circonstances du décès du migrant décédé le 7 février 2019, une autopsie a été pratiquée ce jour par l’institut médico légal de Grenoble qui conclut à l’absence de lésion traumatique externe et à une probable mort par hypothermie", détaille Raphaël Balland, dans son communiqué.

      "Le parquet de Gap a levé l’obstacle médico légal et le corps a été rapatrié à Briançon, le temps de confirmer l’identité du défunt et de tenter de contacter des membres de sa famille", poursuit le magistrat de Gap.
      Découvert par un chauffeur routier vers 2 h 30 du matin

      Le corps du ressortissant togolais de 28 ans avait été repéré, jeudi, vers 2 h 30 du matin par un chauffeur routier italien qui circulait sur la RN94. Le jeune homme gisait inanimé sur un chemin forestier qui longe le torrent des Vallons, juste à côté de l’aire de chaînage de La Vachette, sur la commune de Val-des-Prés.

      “A compter de 2 h 10, les secours et les forces de l’ordre étaient informés de la présence d’un groupe de présumés migrants qui était en difficulté entre Clavière (Italie) et Briançon. Des policiers de la police aux frontières (PAF) partaient alors en patrouille pour tenter de les localiser et retrouvaient vers 3 heures à Val-des-Prés, au bord de la RN94, un homme de type africain inconscient auprès duquel s’était arrêté un chauffeur routier italien”, relatait hier Raphaël Balland.

      En arrêt cardio-respiratoire, inanimée, en hypothermie, la victime a été massée sur place. Mais les soins prodigués par le médecin du Samu et les sapeurs-pompiers n’ont pas permis de la ranimer. Le décès du jeune migrant a été officiellement constaté à 4 heures du matin ce jeudi au centre hospitalier des Escartons de Briançon, où il avait été transporté en ambulance.
      Parti avec un groupe de Clavière, en Italie

      "Les premiers éléments d’identification du jeune homme décédé permettent de s’orienter vers un Togolais âgé de 28 ans ayant précédemment résidé en Italie, détaillait encore Raphaël Balland hier soir. Selon des témoignages recueillis auprès d’autres migrants, il serait parti à pied de Clavière avec un groupe d’une dizaine d’hommes pour traverser la frontière pendant la nuit. Présentant des signes de grande fatigue, il était déposé auprès de la N94 par certains de ses compagnons de route qui semblent avoir été à l’origine de l’appel des secours."

      Une enquête a été ouverte pour "homicide involontaire et non-assistance à personne en péril" et confiée à la brigade de recherche de gendarmerie de Briançon, qui "poursuit ses investigations" selon le procureur.

      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/02/08/hautes-alpes-briancon-val-des-pres-autopsie-migrant-decouvert-vendredi-p

      Commentaire de Nos montagnes ne deviendront pas un cimetière :

      Derman Tamimou n’est pas mort de froid il est mort de cette barbarie qui dresse des frontières , des murs infranchissables #ouvronslesfrontières l’autopsie du migrant découvert jeudi conclut à une probable mort par hypothermie

      https://twitter.com/nos_pas/status/1093976365404176385

    • Briançon : ils ont rendu hommage au jeune migrant décédé

      Il a été retrouvé mort au bord d’une route nationale, entre Montgenèvre et Briançon, dans la nuit de mercredi à jeudi. Pour que personne n’oublie le jeune migrant togolais, et afin de dénoncer la politique d’immigration, plusieurs associations et collectifs ont appelé à se réunir, ce samedi après-midi, au Champ de Mars, à Briançon.

      Plusieurs ONG nationales, Amnesty International, la Cimade, Médecins sans frontières, Médecins du monde, le Secours catholique, l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers, ont voulu attirer l’attention sur ce nouveau drame.

      Avec des associations et collectifs locaux, Tous Migrants, Refuges solidaires, la paroisse de Briançon, la Mappemonde et la MJC, l’Association nationale des villes et territoires accueillants... tous se sont réunis au Champ de Mars ce samedi après-midi pour rappeler « qu’il est inacceptable qu’un jeune homme meure au bord de la route dans ces conditions », explique l’un des soutiens de Tous migrants.

      « Ce ne sont pas des pro ou anti-migrants, juste des personnes qui ont envie de protéger d’autres êtres humains »

      Dans la nuit de mercredi à jeudi, vers 2h30, un ressortissant togolais de 28 ans a été repéré par un chauffeur routier italien qui circulait sur la RN 94. La victime gisait inanimée, à côté de l’aire de chaînage de La Vachette, sur la commune de Val-des-Prés. Le décès a été officiellement constaté à 4 heures du matin au centre hospitalier des Escartons où il avait été transporté.


      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/02/09/ils-ont-rendu-hommage-au-jeune-migrant-decede

      #hommage #commémoration

    • Cerca di varcare confine: giovane migrante muore assiderato tra l’Italia e la Francia

      L’immigrato, originario del Togo, aveva 29 anni: è morto assiderato sul colle Monginevro
      Il cadavere di un migrante di 29 anni è stato ritrovato questa mattina in mezzo alla strada nazionale N94 del colle del Monginevro (che collega Piemonte e Alta Savoia), mentre cercava di varcare il confine tra l’Italia e la Francia.

      L’extracomunitario, originario del Togo, è morto assiderato per la neve e le bassissime temperature.

      A notarlo, sepolto dalla neve ai margini della strada, intorno alle tre di note, sarebbe stato un camionista. La Procura ha aperto un fascicolo per «omicidio involontario».

      Le abbondanti nevicate dei giorni scorsi e il freddo rendono ancora più inaccessibili sentieri e stradine della zona e hanno complicato ulteriormente l’attraversamento della frontiera per i migranti.

      Da quanto si apprende da fonti italiane, sul posto è presente la polizia francese: si tratta del primo cadavere trovato quest’anno sul confine italo-francese dell’alta Val Susa dopo che l’anno scorso erano stati rinvenuti tre corpi nelle medesima località di frontiera, un passaggio molto battuto dai migranti.

      http://www.ilgiornale.it/news/cronache/cerca-varcare-confine-giovane-migrante-muore-assiderato-1641573.html

    • Man trying to enter France from Italy dies of hypothermia

      Death of Derman Tamimou from Togo comes as Matteo Salvini ramps up border row.

      French magistrates have opened an inquiry into “involuntary manslaughter” after a man trying to cross into France from Italy died of hypothermia.

      A lorry driver found Derman Tamimou on Thursday morning unconscious on the side of a highway that links Hautes-Alpes with the northern Italian region of Piedmont. Tamimou, 29, from Togo, was taken to hospital in Briançon, but it is unclear whether he died there or was already dead at the scene.

      “The second hypothesis is the most likely,” said Paolo Narcisi, president of the charity Rainbow for Africa. “He was probably among a group of 21 who left the evening before, despite all the warnings given to them by us and Red Cross volunteers about how dangerous the crossing is.”

      Tamimou was found between Briançon and Montgenèvre, an Alpine village about 6 miles from the border.

      Narcisi said his charity was working with colleagues in France to try and establish whether the rest of the group arrived safely. He said they most likely took a train to Oulx, one stop before the town of Bardonecchia, before travelling by bus to Claviere, the last Italian town before the border. From there, they began the mountain crossing into France.

      “Every night is the same … we warn people not to go as it’s very dangerous, especially in winter, the snow is high and it’s extremely cold,” Narcisi said.

      Tamimou is the first person known to have died while attempting the journey this winter. Three people died last year as they tried to reach France via the Col de l’Échelle mountain pass.

      The movement of people across the border has been causing conflict between Italy and France since early 2011.

      Matteo Salvini, the Italian interior minister, on Thursday accused France of sending more than 60,000 people, including women and children, back to Italy. He also accused French border police of holding up Italian trains with lengthy onboard immigration checks.

      Last year, seven Italian charities accused French border police of falsifying the birth dates of children travelling alone in an attempt to pass them off as adults and return them to Italy.

      While it is illegal to send back minors, France is not breaking the law by returning people whose first EU landing point was Italy.

      “Some of the returns are illegal, such as children or people who hold Italian permits,” said Narcisi. “But there are also those who are legally sent back due to the Dublin agreement. So there is little to protest about – we need to work to change the Dublin agreement instead of arguing.”

      https://www.theguardian.com/world/2019/feb/08/man-dies-hypothermia-france-italy-derman-tamimou-togo

    • Message posté sur la page Facebook de Chez Jésus, 10.02.2019 :

      Un altro morto.
      Un’altra persona uccisa dalla frontiera e dai suoi sorvegliatori.
      Un altro cadavere, che va ad aggiungersi a quelli delle migliaia di persone che hanno perso la vita al largo delle coste italiane, sui treni tra Ventimiglia e Menton, sui sentieri fra le Alpi che conducono in Francia.

      Tamimou Derman, 28 anni, originario del Togo. Questo è tutto quello che sappiamo per ora del giovanissimo corpo trovato steso al lato della strada tra Claviere e Briancon. Tra Italia e Francia. È il quarto cadavere ritrovato tra queste montagne da quando la Francia ha chiuso le frontiere con l’Italia, nel 2015. Da quando la polizia passa al setaccio ogni pullman, ogni treno e ogni macchina alla ricerca sfrenata di stranieri. E quelli con una carnagione un po’ più scura, quelli con un accento un po’ diverso o uno zaino che sembra da viaggiatore, vengono fatti scendere, e controllati. Se non hai quel pezzo di carta considerato «valido», vieni rimandato in Italia. Spesso dopo minacce, maltrattamenti o furti da parte della polizia di frontiera.

      Giovedì è stato trovato un altro morto. Un’altra persona uccisa dal controllo frontaliero, un’altra vita spezzata da quelle divise che pattugliano questa linea tracciata su una mappa chiamata frontiera, e dai politicanti schifosi che la vogliono protetta.
      Un omicidio di stato, l’ennesimo.
      Perché non è la neve, il freddo o la fatica a uccidere le persone tra queste montagne. I colpevoli sono ben altri. Sono gli sbirri, che ogni giorno cercano di impedire a decine di persone di perseguire il viaggio per autodeterminarsi la loro vita. Sono gli stati, e i loro governi, che di fatto sono i veri mandanti e i reali motivi dell’esistenza stessa dei confini.

      Un altro cadavere. Il quarto, dopo blessing, mamadu e un altro ragazzo mai identificato.
      Rabbia e dolore si mischiano all’odio. Dolore per un altro morto, per un’altra fine ingiusta. Rabbia e odio per coloro che sono le vere cause di questa morte: le frontiere, le varie polizie nazionali che le proteggono, e gli stati e i politici che le creano.
      Contro tutti gli stati, contro tutti i confini, per la libertà di tutti e tutte di scegliere su che pezzo di terra vivere!

      Abbattiamo le frontiere, organizziamoci insieme!

      Un autre mort. Une autre personne tuée par la frontière et ses gardes. Un autre cadavre, qui s’ajoute aux milliers de personnes mortes au large des côtes italiennes, sous des trains entre Vintimille et Menton, sur les chemins alpins qui mènent en France.
      Derman Tamimou, 28 ans, originaire du Togo. C’est tout ce qu’on sait pour le moment du très jeune corps retrouvé allongé sur le bord de la route vers Briançon entre l’Italie et la France. C’est le 4e corps trouvé dans cette vallée depuis que la France a fermé ses frontières avec l’Italie en 2015. Depuis que la police contrôle chaque bus, chaque train, chaque voiture, à la recherche acharnée d’étrangers. Et celleux qui ont la peau plus foncée, celleux qui ont un accent un peu différent, ou se trimballent un sac à dos de voyage, on les fait descendre et on les contrôle. Si tu n’as pas les papiers qu’ils considèrent valides, tu es ramené directement en Italie. Souvent, tu es victime de menaces et de vols de la part de la PAF (police aux frontières).
      Le 7 février 2019, un corps a été retrouvé. Une autre personne tuée par le contrôle frontalier. Une autre vie brisée par ces uniformes qui patrouillent autour d’une ligne tracée sur une carte, appelée frontière. Tuée par des politiciens dégueulasses qui veulent protéger cette frontière. Encore un homicide d’État. Parce que ce n’est pas la neige, ni le froid, ni la fatigue qui a tué des personnes dans ces montagnes. Les coupables sont tout autres. Ce sont les flics, qui essaient tous les jours d’empêcher des dizaines de personnes de poursuivre leur voyage pour l’autodétermination de leur vie.
      Ce sont les États et leurs gouvernements qui sont les vrais responsables et les vraies raisons de l’existence même des frontières. Un autre corps, le quatrième après Blessing, Mamadou, et Ibrahim. Rage et douleur se mêlent à la haine. Douleur pour une autre mort, pour une autre fin injuste. Rage et haine envers les véritables coupables de cette mort : les frontières, les différentes polices nationales qui les protègent, les États et les politiques qui les créent.
      Contre tous les États, contre toutes les frontières, pour la liberté de toutes et tous de choisir sur quel bout de terre vivre.
      Abattons les frontières, organisons-nous ensemble !


      https://www.facebook.com/362786637540072/photos/a.362811254204277/541605972991470

    • Immigration. Dans les Hautes-Alpes, la chasse aux étrangers fait un mort

      Une enquête a été ouverte après le décès, jeudi, à proximité de Briançon, d’un jeune exilé qui venait de franchir la frontière franco-italienne. Les associations accusent les politiques ultrarépressives de l’État.

      « C ’est la parfaite illustration d’une politique qu’on dénonce depuis deux ans ! » Michel Rousseau, membre du collectif Tous migrants dans les Hautes-Alpes, ne décolère pas depuis l’annonce, jeudi matin, de la mort de Taminou, un exilé africain, à moins de 10 kilomètres de la frontière franco-italienne. Le quatrième en moins de neuf mois... Découvert vers 3 heures du matin, sur une zone de chaînage de la route nationale reliant Briançon à Montgenèvre, le jeune homme aurait succombé au froid, après avoir tenté de passer la frontière. Évitant les patrouilles de police, il aurait pendant plusieurs heures arpenté les montagnes enneigées, avant d’y perdre ses bottes et de continuer en chaussettes.

      « Les premiers éléments d’identification (...) permettent de s’orienter vers un Togolais âgé de 28 ans ayant précédemment résidé en Italie, indique la préfecture dans un communiqué. Il serait parti à pied de Clavières avec un groupe de plus d’une dizaine d’hommes pour traverser la frontière nuitamment. Présentant des signes de grande fatigue, il aurait été déposé auprès de la RN94 par certains de ses compagnons de route qui semblent avoir été à l’origine de l’appel des secours. »

      Une politique ultrarépressive à l’égard des citoyens solidaires

      Postés au milieu de la route, les amis de Taminou auraient tenté de stopper plusieurs voitures, sans qu’aucune s’arrête. Une patrouille de la police aux frontières serait arrivée sur le lieu du drame, deux heures après le premier appel au secours, y trouvant un camionneur en train de venir en aide au malheureux frappé d’hypothermie et en arrêt cardio-respiratoire. Pris en charge par le Samu, le jeune homme a finalement été déclaré mort à son arrivée à l’hôpital de Briançon.

      Une enquête pour non-assistance à personne en danger et pour homicide involontaire a été ouverte par le parquet de Gap. « Les conducteurs des véhicules qui ne se sont pas arrêtés ne doivent pas dormir tranquille », acquiesce Michel, s’inquiétant cependant de savoir qui sera réellement visé par les investigations de la police. « La préfecture pointe régulièrement les maraudeurs solidaires qui tentent de venir en aide aux exilés égarés dans nos montagnes, explique-t-il. À l’image des accusations portées contre les bateaux de sauveteurs en mer, en Méditerranée, on les rend responsables d’un soi-disant appel d’air. »

      En réalité, c’est suite au bouclage de la frontière à Menton et dans la vallée de la Roya que, depuis deux ans, cette route migratoire est de plus en plus empruntée. L’État y mène aujourd’hui une politique ultrarépressive à l’égard des citoyens solidaires et des exilés. En moins d’un an, dans le Briançonnais, 11 personnes ont été condamnées pour délit de solidarité, dont 9 à des peines de prison, et des violations régulières des droits des étrangers y sont régulièrement dénoncées par les associations. Plusieurs d’entre elles, dont Amnesty International, Médecins du monde et la Cimade, ont réuni, samedi, près de 200 personnes sur le champ de Mars de Briançon pour rendre hommage à Taminou, malgré l’interdiction de manifester émise par la préfecture au prétexte de l’ouverture de la saison hivernale.

      Pour elles, c’est au contraire la chasse aux exilés et à leurs soutiens qu’il faut pointer, « les renvois systématiques en Italie au mépris du droit, les courses-poursuites, les refus de prise en charge, y compris des plus vulnérables : ces pratiques qui poussent les personnes migrantes à prendre toujours plus de risques, comme celui de traverser des sentiers enneigés, de nuit, en altitude, par des températures négatives, sans matériel adéquat », accusent les associations.

      Ce mercredi soir, justement, la présence policière était particulièrement importante dans la zone. « Ce drame aurait pu être évité, s’indigne un habitant, qui préfère conserver l’anonymat. Les maraudeurs solidaires étaient sur le terrain. Ils ont vu passer toutes ces personnes et, s’ils ne les ont pas récupérées, c’est soit parce qu’ils se savaient surveillés par la PAF, qui les aurait interpellés, soit parce que les exilés eux-mêmes en ont eu peur, les prenant pour des policiers en civil. » Espérons que l’enquête pointera les véritables responsables de la mort de Taminou.

      https://www.humanite.fr/immigration-dans-les-hautes-alpes-la-chasse-aux-etrangers-fait-un-mort-6677

    • Derman Tamimou e il tema di una bambina di nove anni

      “Le persone che ho visto, tra i migranti, mi sembravano persone uguali a noi, non capisco perchè tutti pensano che siano diverse da noi. Secondo me aiutare le persone, in questo caso i migranti, è una cosa bella”.

      Derman Tamimou aveva 29 anni, era arrivato in Italia dal Togo e, nella notte tra il 6 e il 7 febbraio, ha intrapreso il suo ultimo viaggio nel tentativo di varcare il confine. Un camionista ne ha scorto il corpo semiassiderato e rannicchiato tra la neve ai bordi della statale del colle di Monginevro. Nonostante l’immediato trasporto all’ospedale di Briancon, Derman è morto poco dopo.

      E’ difficile immaginare cosa abbia pensato e provato Derman negli ultimi istanti della sua vita, prima di perdere conoscenza per il gelo invernale. Quali sogni, speranze, ricordi, … quanta fatica, rabbia, paura …

      Potrebbe essere tranquillizzante pensare a questa morte come tragica fatalità e derubricarla a freddo numero da aggiungere alla lista di migranti morti nella ricerca di un futuro migliore in Europa. Eppure quell’interminabile lista parla a ognuno di noi. Racconta di vite interrotte che, anche quando non se ne conosce il nome, ci richiamano a una comune umanità da cui non possiamo prescindere per non smarrire noi stessi. A volte lo ricordiamo quando scopriamo, cucita nel giubbotto di un quattordicenne partito dal Mali e affogato in un tragico naufragio nel 2015, una pagella, un bene prezioso con cui presentarsi ai nuovi compagni di classe e di vita. Altre volte lo ricordano i versi di una poesia “Non ti allarmare fratello mio”, ritrovata nelle tasche di Tesfalidet Tesfon, un giovane migrante eritreo, morto subito dopo il suo sbarco a Pozzallo, nel 2018, a seguito delle sofferenze patite nelle carceri libiche e delle fatiche del viaggio: “È davvero così bello vivere da soli, se dimentichi tuo fratello al momento del bisogno?”. È davvero così bello?

      L’estate scorsa, lungo la strada in cui ha perso la vita Derman Tamimou, si poteva ancora trovare un ultimo luogo di soccorso e sostegno per chi cercava di attraversare il confine. Un rifugio autogestito che è stato sgomberato in autunno, con l’approssimarsi dell’inverno, senza alcuna alternativa di soccorso locale per i migranti. Per chiunque fosse passato da quei luoghi non era difficile prevedere i rischi che questa chiusura avrebbe comportato. Bastava fermarsi, incontrare e ascoltare i migranti, i volontari e tutte le persone che cercavano di portare aiuto e solidarietà, nella convinzione che non voltare lo sguardo di fronte a sofferenze, rischi e fatiche altrui sia l’unica strada per restare umani.

      Incontri che una bambina di nove anni, in quelle che avrebbe voluto fossero le sue “Montagne solidali”, ha voluto raccontare così: “Oggi da Bardonecchia, dove in stazione c’è un posto in cui aiutano i migranti che cercano di andare in Francia, siamo andati in altri due posti dove ci sono i migranti che si fermano e ricevono aiuto nel loro viaggio, uno a Claviere e uno a Briancon. In questi posti ci sono persone che li accolgono, gli danno da mangiare, un posto dove dormire, dei vestiti per ripararsi dal freddo, danno loro dei consigli su come evitare pericoli e non rischiare la loro vita nel difficile percorso di attraversamento del confine tra Italia e Francia tra i boschi e le montagne. I migranti, infatti, di notte cercano di attraversare i boschi e questo è difficile e pericoloso, perchè possono farsi male o rischiare la loro vita cadendo da un dirupo. I migranti scelgono di affrontare il loro viaggio di notte perchè è più difficile che la polizia li veda e li faccia tornare indietro. A volte, per sfuggire alla polizia si feriscono per nascondersi o scappare. Nel centro dove sono stata a Claviere, alcuni migranti avevano delle ferite, al volto e sulle gambe, causate durante i tentativi di traversata. Infatti i migranti provano tante volte ad attraversare le montagne, di solito solo dopo la quarta o quinta volta riescono a passare. La traversata è sempre molto pericolosa, perchè non conoscono le montagne e le strade da percorrere, ma soprattutto in inverno le cose sono più difficili perchè con la neve, il freddo, senza i giusti vestiti e scarpe, del cibo caldo e non conoscendo la strada tutto è più rischioso. Lo scorso inverno, sul Colle della Scala, sono morte diverse persone provando a fare questo viaggio. Anche le persone che li aiutano sono a rischio, perchè solo per aver dato loro da mangiare, da dormire e dei vestiti possono essere denunciate e arrestate. Oggi sette ragazzi sono in carcere per questo. Io penso che non è giusto essere arrestati quando si aiutano le persone. A Briancon, dove aiutano i migranti che hanno appena attraversato il confine, ho visto alcuni bambini e questa cosa mi ha colpito molto perchè vuol dire che sono riusciti a fare un viaggio così lungo e faticoso attraverso i boschi e le montagne. Qui ho conosciuto la signora Annie, una volontaria che aiuta i migranti appena arrivati in Francia, una signora gentile e molto forte, che è stata chiamata 8 volte ad andare dalla polizia per l’aiuto che sta dando ai migranti, ma lei sorride e continua a farlo, perchè pensa che non aiutarli sia un’ingiustizia. Le persone che ho visto, tra i migranti, mi sembravano persone uguali a noi, non capisco perchè tutti pensano che siano diverse da noi. Secondo me aiutare le persone, in questo caso i migranti, è una cosa bella”.

      http://www.vita.it/it/article/2019/02/10/derman-tamimou-e-il-tema-di-una-bambina-di-nove-anni/150635

    • Reportage. In Togo a casa di #Tamimou, il migrante morto di freddo sulle Alpi

      Da Agadez alla Libia, poi l’attesa in Italia. Il papà: «Non aveva i soldi per far curare la madre». Le ultime parole su Whatsapp: «Ho comprato il biglietto del treno e partirò domani per la Francia»

      Il villaggio di #Madjaton si trova tra le verdi colline di Kpalimé, una tranquilla città nel sud-ovest del Togo. Un luogo dalla natura lussureggiante e il terreno fertile. È qui che è cresciuto Tamimou Derman, il migrante deceduto per il freddo il 7 febbraio mentre cercava di superare a piedi il confine tra l’Italia e la Francia. La sua famiglia è composta da padre, madre, tre fratelli, e una sorella. Sono tutti seduti all’ombra di un grande albero in attesa di visite e notizie.

      «Salam aleikum, la pace sia con voi» dicono con un sorriso all’arrivo di ogni persona che passa a trovarli per le condoglianze. L’accoglienza è calorosa nonostante la triste atmosfera. «È stato un nostro parente che vive in Libia a darci per primo la notizia», dice Samoudini, il fratello maggiore di 35 anni. «All’inizio non potevamo crederci, ci aveva spedito un messaggio vocale due giorni prima della partenza per la Francia. Poi le voci si sono fatte sempre più insistenti – continua Samoudini – e le speranze sono piano piano svanite. Ora il nostro problema principale è trovare i soldi per far ritornare la salma».

      Tamimou è la prima vittima dell’anno tra chi, come molti altri migranti africani, ha tentato di raggiungere la Francia dall’Italia attraverso le Alpi. Il giovane togolese era partito con un gruppo di altri venti ragazzi. Speravano di eludere gli agenti di polizia che pattugliano una zona sempre più militarizzata. «Diciamo a tutti i migranti di non incamminarsi per quei valichi in questa stagione – ha spiegato alla stampa Paolo Narcisi, medico e presidente della Onlus torinese, Rainbow for Africa – . È un passaggio troppo rischioso».

      Prima di avventurarsi tra la neve e il gelo, Tamimou aveva appunto lasciato un messaggio alla famiglia. «Ho comprato il biglietto del treno e partirò domani per la Francia – si sente in un audio whatsapp di circa un minuto –. Pregate per me e se Dio vorrà ci parleremo dal territorio francese». Il padre e un amico, uno accanto all’altro, scoppiano a piangere. La mamma, seduta tra il gruppo delle donne, resta immobile con gli occhi rossi. La sorella pone invece il capo tra le ginocchia ed emette un leggero singhiozzo. Per alcuni secondi restiamo in un silenzio profondo, interrotto solamente dalle voci dei bambini del villaggio che rincorrono cani e galline. Ascoltare la voce di Tamimou riporta la famiglia al momento in cui è giunta la notizia del suo decesso, l’8 febbraio.


      «Non volevamo che partisse per l’Europa», riprende Inoussa Derman, il papà, cercando di trattenere le lacrime. «Lui però era determinato. Si sentiva responsabile per le condizioni di salute di mia moglie che, tuttora – racconta il genitore – soffre di ipertensione e per diverso tempo è stata ricoverata in ospedale. Non avevamo i soldi per pagare le cure». La madre, Issaka, fissa il terreno senza parlare. Sembra avvertire il peso di una responsabilità legata alla partenza del figlio. Tamimou si era dato da fare subito dopo la scuola. Aveva lavorato a Kpalimé come muratore prima di trasferirsi in Ghana per due anni e continuare il mestiere. Non riuscendo a guadagnare abbastanza, aveva deciso di partire per l’Europa nel 2015. Con i suoi risparmi e un po’ di soldi chiesti a diversi conoscenti, ha raggiunto la città nigerina di Agadez, da decenni importante crocevia della rotta migratoria proveniente da tutta l’Africa occidentale e centrale. Dopo qualche mese il ragazzo ha contattato la famiglia dalla Libia. «Ci diceva quanto era pericoloso a causa dei continui spari e degli arresti indiscriminati – aggiunge Moussara, la sorella di 33 anni –. Gli abbiamo detto più volte di tornare, ma non ci ha voluto ascoltare».

      Tamimou ha trascorso almeno 18 mesi in Libia in attesa di trovare i soldi per continuare il viaggio.

      «Ci sentivamo spesso anche quando ha oltrepassato il ’grande fiume’ per arrivare in Italia – racconta Satade, un amico d’infanzia, in riferimento al Mar Mediterraneo –. Con i nostri ex compagni di scuola avevamo infatti creato un gruppo su whatsapp per rimanere in contatto con lui».

      Dopo più di 16 mesi in Italia, il migrante togolese raccontava alla famiglia di essere ancora disoccupato. «Non ho trovato niente – spiegava in un altro messaggio vocale –. In Italia ci vogliono i documenti per lavorare e io non riesco a ottenerli». La decisione di partire per la Francia era stata presa con grande sofferenza. Diversi amici avevano assicurato al migrante togolese che al di là del confine sarebbe stato molto più facile trovare un impiego. Ma di Tamimou, in Francia, è arrivato solo il cadavere. Da giorni è ospitato all’obitorio dell’ospedale di Briançon. La famiglia è in contatto con un cugino che vive da diversi anni in Italia e sta seguendo le pratiche. Parenti e amici vogliono riportare il corpo di Tamimou nel caldo di Madjaton, a casa, per seppellirlo secondo le usanze tradizionali. «Gli avevamo detto di non partire – insiste il padre –. Ma non si può fermare la determinazione di un giovane sognatore».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/in-togo-a-casa-di-tamimou-migrante-morto-freddo-alpi
      #ceux_qui_restent

    • Notre frontière tue : Tamimou Derman n’est plus — Récit d’une #maraude solidaire

      Chaque nuit, des exilé·e·s tentent d’arriver en France par le col de Montgenèvre malgré le froid, la neige et l’omniprésence de la Police. En dépit des maraudes spontanées des habitant·e·s, certain·e·s y perdent la vie. Comme Tamimou Derman, retrouvé mort d’hypothermie la nuit du 6 au 7 février 2019. Cette semaine-là, une vingtaine de membres de la FSGT ont maraudé avec les locaux. Récit.

      D’un mélèze à l’autre, quatre ombres noires glissent sur la neige blanche. Au cœur de la nuit, les ombres sont discrètes, elles marchent sans bruit. Elles traversent les pistes de ski et s’enfoncent vers les profondeurs de la forêt, malgré les pieds glacés, les mains froides et les nuages de leurs souffles courts.

      Les ombres sont craintives comme des proies qui se savent épiées : elles nous fuient.

      Nous les poursuivons sans courir, pour ne pas les effrayer davantage. Nous lançons plusieurs cris sur leur trace, et nous réussissons finalement à les rattraper. Leurs mains sont de glace : nous les serrons et nous disons aux ombres qu’elles ne craignent rien, que nous voulons les sortir du froid et de la neige, que nous sommes là pour les aider.

      Les quatre ombres deviennent des hommes encore pétris de crainte. Leurs yeux hagards demandent : "Êtes-vous la Police ?". Malgré la peur, les ombres devenues hommes montent dans notre voiture. Nous dévalons la route qui serpente entre les montagnes. Les quatre hommes sont saufs.

      Je me réveille en sursaut : ce n’était qu’un rêve.

      Parce qu’hier soir, les quatre ombres se sont enfoncées dans la forêt. Parce qu’hier soir, nous n’avons pas pu les rattraper. Parce qu’hier soir, nous n’avons pas su les rattraper. Parce qu’hier soir, les quatre ombres ont cru voir en nous des officiers de Police venus pour les arrêter.

      Quelques heures après ce réveil agité, la nouvelle tombe.

      Cette nuit, une ombre est morte.

      De la neige jusqu’aux hanches, l’ombre a senti ses frêles bottes se faire aspirer par l’eau glacée. Ses chaussures noyées au fond de la poudreuse, disparues. En chaussettes, l’ombre a continué à marcher entre les mélèzes. L’ombre n’avait pas le luxe de choisir. Épuisée, gelée jusqu’aux os, l’ombre a perdu connaissance. Ses frères de l’ombre l’ont portée jusqu’à la route pour tenter de la sauver, quitte à se faire attraper par la Police. Ils ont appelé les secours.

      L’ambulance est arrivée près de deux heures plus tard.

      L’ombre a été retrouvée sur un chemin forestier, au bord de la route nationale 94, reliant la frontière italienne et la ville de Briançon. L’autopsie confirmera ce que ses frères savaient déjà : décès par hypothermie.

      L’ombre avait dit au revoir à sa famille, puis elle avait peut-être traversé le désert. Elle avait peut-être échappé aux geôles libyennes, aux tortures et aux trafics en tout genre. L’ombre s’était peut-être fait voler ses maigres économies par des passeurs. L’ombre avait peut-être bravé les tempêtes de la Méditerranée entassée avec cent autres ombres sur un canot pneumatique. Et tant d’autres mésaventures.

      L’ombre avait jusque-là échappé aux polices européennes qui la traquaient uniquement parce que ce que l’ombre voulait, c’était arrêter d’être une ombre.

      L’ombre avait traversé la moitié du globe mais son chemin s’est arrêté en France, à quelques kilomètres de la frontière, parce que l’ombre a eu peur de la Police française.

      L’ombre, c’était Tamimou Derman. Tamimou Derman avait notre âge. Tamimou Derman n’était qu’un homme qui rêvait d’une vie meilleure.

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      -- Contexte —

      Dans la nuit du mercredi 6 au jeudi 7 février 2019, j’ai participé à une maraude solidaire dans la station de ski de Montgenèvre avec des amis de la FSGT (Fédération Sportive et Gymnique du Travail), dans le cadre d’un séjour organisé et patronné par cette fédération.

      Ce séjour annuel se concentre habituellement sur les seules activités de loisir de montagne. Cette année, il a été décidé d’organiser cette sortie dans la région de Briançon, à quelques kilomètres de la frontière franco-italienne, afin de montrer notre solidarité envers les locaux qui portent assistance aux personnes qui arrivent en France, au niveau du col de Montgenèvre, situé à 1800m d’altitude.

      Chaque soir, quelques uns et quelques unes de la vingtaine de participants à ce séjour partaient en maraude pour accompagner les gens de la vallée qui eux, toute l’année, sauvent des vies là-haut. La loi ne peut nous considérer comme des passeurs : nous n’avons fait passer la frontière à personne. Nous étions uniquement là pour porter assistance aux personnes en danger de mort sur le territoire français. S’il fallait encore une preuve, Tamimou Derman est mort d’hypothermie, la nuit où j’ai maraudé.

      Bien que légales, ces maraudes semblent être considérées de facto comme illégale par les forces de l’ordre : elles tentent de les entraver par tous les moyens, surtout par l’intimidation. C’est aussi pour cela que j’ai voulu partager ce récit.

      -- #Chasse_à_l'homme

      Dès que les pistes de ski de Montgenèvre ferment, que le soleil se couche et que les vacanciers se reposent, un obscur jeu du chat et de la souris se noue sous les fenêtres de leurs résidences. Une véritable chasse à l’homme.

      Tous les soirs ou presque, des hommes et des femmes tentent de gagner notre pays depuis le village italien de Clavière. À 500 mètres à peine de ce village, de l’autre côté de la frontière, la rutilante station de ski de Montgenèvre. Pour parcourir cette distance ridicule, ils mettent plus de trois heures. Parce qu’ils passent par la forêt, traversent des torrents glacés, parce qu’ils marchent dans le froid et la neige. Enfin, ils tentent enfin de se fondre dans les ombres de Montgenèvre avant d’entamer les 10 kilomètres de chemins enneigés qui les séparent de Briançon.

      « Des témoignages parlent de poursuites en motoneige, en pleine nuit »

      Côté français, par tous les moyens ou presque, la police et la gendarmerie les guettent pour les arrêter : des témoignages parlent de poursuites en motoneige, en pleine nuit, forçant ces hommes et ces femmes à fuir pour tenter se cacher par tous les moyens au risque de tomber dans des réserves d’eau glacées ou des précipices. Des récits parlent de séquestration dans des containers sans eau, ni nourriture, ni chauffage, ni toilettes, ni rien ; tout ça pour les renvoyer quelques heures plus tard en Italie, encore congelés. D’autres attestent que la police et la gendarmerie bafouent les droits élémentaires de la demande d’asile. Toujours d’après des témoignages, la police et la gendarmerie se déguiseraient en civils pour mieux amadouer et alpaguer celles et ceux qui tentent la traversée. À plusieurs reprises, la police et la gendarmerie auraient été aidées par les nazillons du groupuscule fachiste "Génération Identitaire" qui patrouillent eux aussi dans les montagnes. Certains de ceux qui tenteraient le passage se seraient vus déchirer leurs papiers d’identité attestant leur minorité par la police et la gendarmerie, et donc se voir déchirer le devoir qu’a la France de les protéger. Et bien d’autres infamies.

      Tous les soirs ou presque, enfin, des habitants de la région de Briançon sont là pour essayer de secourir ces personnes qui tentent de passer la frontière, même quand il fait -20°c, même quand il neige, même quand la police est en ébullition, partout dans la ville.

      Sur place, impossible de ne pas entendre l’écho de l’histoire des Justes dans le vent glacial.

      -- Ce que j’ai vu —

      Dans la nuit du mercredi 6 au jeudi 7 février, il faisait environ -10°c à Montgenèvre. Plus d’un mètre de neige fraiche recouvrait la forêt. Une vingtaine de personne étaient a priori descendues d’un bus, côté Italien de la frontière. Supposément pour tenter la traversée. Mes compagnons maraudeurs et moi-même attendions dans Montgenèvre, pour essayer d’aller à la rencontre d’un maximum d’entre eux.

      À l’aide de jumelles, des maraudeurs ont alors vu une quinzaine d’ombres se faufiler entre les arbres qui bordent les pistes de ski. Quatre d’entre eux ont été accueillis de justesse par deux maraudeurs.

      Cela faisait vraisemblablement trois heures qu’ils marchaient dans la neige. Ils n’étaient clairement pas équipés pour ces conditions. L’un des quatre avait un centimètre de glace sur chaque main et les pieds congelés. Il était tombé dans un torrent qui avait emporté le reste de ses affaires.
      Les deux maraudeurs lui ont donné des chaussettes de rechange, des gants, du thé chaud et à manger.

      Les maraudeurs racontent qu’à ce moment-là, alors qu’ils les avaient hydraté, réchauffé, nourri et donné des vêtements chauds, les quatre hommes pensaient encore s’être fait attrapés par la police. La peur irradiait le fond de leurs yeux.

      « Nous leur avons crié que nous n’étions pas la Police, que nous étions là pour les aider »

      Précisément à cet instant-là, j’étais ailleurs dans Montgenèvre, avec d’autres maraudeurs. Avec nos jumelles, nous avons vu quatre autres ombres se faufiler entre les mélèzes et traverser les pistes de ski discrètement. Nous savions qu’ils craignaient de se faire attraper par la Police. La nuit, ici, n’importe quel groupe de personnes ressemble à une patrouille de policiers.

      Nous avons décidé de les attendre, un peu dans la lumière, en espérant qu’ils nous voient et qu’ils ne prennent pas peur. Derrière nous, à travers les fenêtres éclairées des résidences, nous voyions les vacanciers regarder la télévision, manger leur repas. C’était surréaliste. Nous avions peur, sans doute moins qu’eux qui marchaient depuis des heures, mais nous aussi nous avions peur de la Police.

      Nous avons choisi de ne pas les aborder de loin, pour éviter qu’ils ne nous prenne pour des flics et qu’ils s’enfuient. Est-ce la bonne solution ? Qu’est-ce qui est le mieux à faire ? Vont-ils courir ? Une dizaine de questions d’angoisse nous frappaient.

      Nous avons attendu qu’ils arrivent non loin de nous. Ils ne nous avaient pas vu. Nous avons attendu trop longtemps.

      Nous avons finalement avancé en leur criant (mais pas trop fort, pour ne pas alerter tout le voisinage — et les forces de l’ordre) que nous n’étions pas la Police, que nous étions là pour les aider, que nous avions du thé chaud et de quoi manger. Les trois premiers n’ont même pas tourné la tête, ils ont accéléré. Nous leur avons crié les mêmes choses. Le dernier de la file s’est retourné, tout en continuant de marcher très vite, et il nous a semblé l’entendre demander : "Quoi ? Qu’est-ce que vous dites ?" Nous avons répété ce qu’on leur avait déjà dit. Mais il était tiraillé entre ses amis qui ne se retournaient pas et notre proposition. Si tant est qu’il l’ait entendue, notre proposition, avec le bruit de la neige qui couvrait très probablement nos voix. Il a préféré suivre ses amis, ils se sont enfoncés dans la forêt en direction de Briançon et nous n’avons pas pu ni su les rattraper.

      Un sentiment d’horreur nous prend. Nous imaginons déjà la suite. Je me sens pire qu’inutile, méprisable.

      Malgré mes deux paires de chaussettes, mes collants, pantalon de ski, t-shirt technique, polaire, doudoune, énorme manteau, gants, bonnet, grosses chaussures, un frisson glacial m’a parcouru le corps. Eux marchaient depuis plus de trois heures.

      « J’étais là pour éviter qu’ils crèvent de froid »

      Nous ne pouvions plus les rejoindre : nous devions rapidement descendre les quatre que les autres maraudeurs avaient commencé réconforter. Nous sommes retournés à notre voiture, le cœur prêt à exploser, des "putain", des "c’est horrible" et d’autres jurons incompréhensibles qui sortait en torrents continus de notre bouche. Mais il fallait agir vite.

      B. et C. sont montés dans la voiture que nous conduisions et nous les avons amenés à Briançon via la seule et unique route qui serpente entre les montagnes. Je n’ai jamais autant souhaité ne pas croiser la Police.

      B. et C. n’ont pas beaucoup parlé, je ne leur ai pas non plus posé beaucoup de question. Que dire, que demander ?

      Quand j’ai raconté cette histoire à d’autres, on m’a demandé : "Ils venaient d’où ?" "Pourquoi ils voulaient venir en France ?" Dans cette situation, ces questions me semblaient plus qu’absurdes : elles étaient obscènes. J’étais là pour éviter qu’ils crèvent de froid et je n’avais pas à leur demander quoi que ce soit, à part s’ils voulaient que je monte le chauffage et les rassurer en leur disant qu’on arrivait en lieu sûr d’ici peu.

      Sur cette même route, un autre soir de la semaine, d’autres maraudeurs ont eux aussi transporté des personnes qui avaient traversé la frontière. Persuadés de s’être fait attraper par la Police, résignés, ces hommes d’une vingtaine d’années ont pleuré durant les 25 minutes du trajet.

      « Les ombres avaient toutes été avalées par la noirceur de la montagne blanche »

      Nous avons déposé les quatre au Refuge Solidaire, dans Briançon. Un lieu géré par des locaux et des gens de passage qui permet aux personnes qui ont traversé de se reposer quelques jours avant de continuer leur route. En arrivant, C. a cru faire un infarctus : c’était finalement une violente crise d’angoisse, une décompensation.

      À peine quelques minutes plus tard, nous sommes repartis vers Montgenèvre pour essayer de retrouver la dizaine d’autres ombres qui étaient encore dans la montagne et que nous n’avions pas vu passer. Alors qu’avant, nous n’avions pas vu un seul signe de la Police, une ou deux voitures tournait constamment dans la station. Vers minuit ou une heure du matin, nous nous sommes rendus à l’évidence : nous n’en verrons plus, cette nuit-là. Les ombres avaient toutes été avalées par la noirceur de la montagne blanche. Frustration indicible. Sentiment de ne pas avoir fait tout ce qu’on pouvait.

      Nous sommes repartis vers Briançon. Nous sommes passés juste à côté de l’endroit où Tamimou Derman était en train d’agoniser, mais nous ne le savions alors pas. À quelques minutes près, nous aurions pu le voir, l’amener aux urgences et peut-être le sauver.

      « La nuit du mercredi 6 au jeudi 7 février 2019, une vingtaine de personnes auraient tenté de traverser la frontière franco-italienne »

      En partant de Montgenèvre, une voiture était arrêtée avec les pleins phares allumés, en plein milieu de la petite route de montagne. Nous avons presque dû nous arrêter pour passer à côté. C’était la Police qui surveillait les voitures qui descendaient vers Briançon. Nous sommes passés, notre voiture s’est faite ausculter à la recherche de "migrants".

      Les "migrants", ils étaient dans la montagne, de la neige jusqu’aux hanches et en chaussettes, en train de mourir pour éviter précisément ce contrôle.

      La nuit du mercredi 6 au jeudi 7 février 2019, une vingtaine de personnes auraient tenté de traverser la frontière franco-italienne. Nous en avons accompagné quatre à Briançon. Quatre autres ont eu peur de nous, pensant que nous étions la Police. Ils seraient a priori bel bien arrivé au Refuge Solidaire, à pied. D’autres ont été interceptés par la police et renvoyés en Italie, à l’exception de deux jeunes mineurs confiés au Département. Tamimou Derman, lui, a été retrouvé sur le bord de la route, mort d’hypothermie.

      Le 15 mars prochain, une maraude géante est organisé à Montgenèvre. Pour médiatiser ce qui se passe là-bas. Pour que les chasses à l’homme cessent. Pour que les droits des personnes exilées soient enfin respectés. Et pour que plus personne ne meurt dans nos montagnes.

      Avec d’autres membres de la FSGT, nous y serons.

      https://blogs.mediapart.fr/maraudeurs-solidaires-fsgt/blog/200219/notre-frontiere-tue-tamimou-derman-nest-plus-recit-dune-maraude-soli

    • Hautes-Alpes : un nouveau décès, conséquence tragique des politiques migratoires [Alerte inter-associative]

      Dans la nuit du 6 au 7 février, un jeune homme est mort entre Montgenèvre et Briançon. Il avait rejoint la France depuis l’Italie après avoir passé plusieurs heures dans la montagne.

      Un drame qui alerte nos associations (Anafé, Amnesty International France, La Cimade, Médecins du Monde, Médecins sans Monde, Secours Catholique-Caritas France, Tous Migrants) qui, depuis plus de deux ans, ne cessent de constater et de dénoncer les violations des droits de la part des autorités françaises à la frontière : renvois systématiques en Italie au mépris du droit, courses-poursuites, refus de prise en charge y compris des plus vulnérables. Ces pratiques poussent les personnes migrantes à prendre toujours plus de risques, comme celui de traverser par des sentiers enneigés, de nuit, en altitude, par des températures négatives, sans matériel adéquat.

      En dépit d’alertes répétées, ces violations perdurent. Dans le même temps, les personnes leur portant assistance sont de plus en plus inquiétées et poursuivies en justice.

      Alors que les ministres de l’intérieur de l’Union européenne se sont réunis à Bucarest pour définir une réforme du régime de l’asile et des politiques migratoires, nos associations demandent le respect des droits fondamentaux des personnes réfugiés et migrantes pour que cessent, entre autres, les drames aux frontières.

      Un rassemblement citoyen à Briançon est prévu
      Ce samedi 9 février 2019 à 15h
      Au Champ de Mars
      Des représentants des associations locales seront disponibles pour témoigner

      http://www.anafe.org/spip.php?article518

    • REPORTAGE - Hautes-Alpes : une frontière au-dessus des lois

      Humiliés et pourchassés, des migrants voient leurs droits bafoués dans les Hautes-Alpes.

      Un mort de froid, une bavure et des maraudeurs : le reportage d’Anna Ravix à la frontière avec l’Italie.

      https://www.facebook.com/konbinifr/videos/639237329867456/?v=639237329867456
      #vidéo #mourir_aux_frontières

      Témoignage d’un migrant qui a fait la route avec #Tamimou, trouvé mort en février 2019 :

      « Au milieu des montagnes, on était perdus, totalement. On s’est dit : On ne va pas s’en sortir, on va mourir là. Tamimou, il ne pouvait plus avancer, il avait perdu ses deux bottes. En chaussettes, il marchait dans la neige. Ses pieds étaient congelés, ils sont devenus durs, même le sang ne passait plus. Et puis je l’ai porté, il me remerciait, il me remerciait... Il disait : ’Dieu va te bénir, Dieu va te bénir, aide-moi. En descendant, on a vu une voiture, un monsieur qui quittait la ville. On lui a expliqué le problème. Il a pris son téléphone et il a appelé le 112. Il a dit : ’Si vous ne venez pas vite, il va perdre la vie.’ C’est là qu’ils ont dit qu’ils seraient là dans 30 minutes. Il était 1 heure du matin, ils ne sont pas arrivés avant 3 heures du matin. »

      Tamimou est mort à l’hôpital à 4 heures du matin.

      « La mort du jeune », continue le témoin, « sincèrement, je peux dire que c’est le problème de la police. Le fait qu’on a appelé la police. Si ils étaient arrivés à temps, le jeune serait encore en vie ».

      –-> Le témoin a été interrogé par la police. Et ils ont reçu un OQTF.

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      Témoignage d’un maraudeur :

      Il n’y a pas de RV, on est là. Peut-être il n’y a personne aujourd’hui, je ne sais pas...
      Ce qui n’est pas évident, parce que quand ils nous voient, ils ont tendance à nous prendre pour les forces de l’ordre. ça, c’est quelque chose qu’ils ont mis en place l’été dernier. On a commencé à voir descendre des fourgons de la gendarmerie des personnes en shorts et en baskets. Les migrants, quand ils croisent ces personnes, ils les prenaient pour des randonneurs, ils demandaient des renseignements, et ils tombaient dans le panneau, quoi.

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      Témoignage d’un migrant (mineur au moment des faits), il revient sur des événements ayant eu lieu une année auparavant :

      « On est parti dans la forêt et c’est là que la police nous a attrapés. Ils nous ont obligés à retourner à la frontière de Clavière.
      Après, j’ai fouillé tous mes bagages et je trouvais plus mon argent, plus de 700 EUR. »

      Du coup, il va à la police et il enregistre la conversation. C’était le 04.08.2018
      –> cette conversation avec la police a été recensée ailleurs (sur seenthis aussi). Un policier avait dit :

      « Tu accuses la police de vol, ce soir tu es en garde à vue ici, demain t’es dans un avion »

    • Voir aussi le témoignage de #Marie_Dorléans de Tous Migrants :

      Au-delà de ces personnes qui ont survécu et échappé au pire, on voulait absolument rappeler aussi aujourd’hui celles qui n’ont pas eu cette chance et notamment parce qu’il faut pas s’habituer, parce qu’il ne faut pas que ces gens tombent dans l’anonymat. Le 7 février 2019, Tamimou, un jeune togolais de 28 ans, est mort d’épuisement et de froid au bord de la route nationale que la plupart d’entre vous viennent de monter. »

      Et de #Pâquerette_Forest de SOS Alpes solidaires :

      « Ils marchent quelques fois avec google maps sur le portable, si le portable fonctionne, parce que si il fait trop froid ils n’ont plus de batterie, et au bout d’un moment ça marche plus. Après il y a un peu des traces de gens qui se promènent et du passage quand il y a des gens qui passent tous les jours, donc ça peut aussi les aider. Après ils se repèrent aux lumières des villages. #Tamimou qui est décédé, il a perdu ses bottes au-dessus de La Vachette. Ils ont coupé, et on a bien compris qu’au début ils étaient sur une espèce de piste et puis à un moment ils ont coupé la piste et ils avaient de la neige jusque là [elle montre la hauteur de la neige avec ses mains sur les jambes, on ne voit pas sur la vidéo]. Lui il a perdu ses bottes, après ils ont essayé de le porter, et puis il était épuisé et puis il est mort »

      https://seenthis.net/messages/756096#message777436

    • Extrait du livre de Maurzio Pagliassotti,

      Ancora dodici chilometri

      :

      « Trovato da una camionista lungo la statale, come un cane abbandonato. Si muore così, lungo la rotta apina : si muore sempre così, solo che, a volte,capita che il cadavere finisca come una pietra d’inciampo nel cammino di qualcuno che non può evitarlo, che non può non vederlo. Noi, non vediamo cosa succede in questi boschi la notte, e la natura provvede a nascondere le nostre vergogne, a far sparire le prove della nostra miseria.
      Morto. Nella buia e gelida notte di questo febbraio, mentre l’Italia gioca a far la guerra alla Francia e questa richiama l’ambasciatore a Parigi. Si muore così, lungo la rotta alpina, nel tentativo di una fuga sempre più assurda, e disperata.
      Ventinove anni, dal Togo, si chiamava #Derman_Teminou. Aveva superato il campo da golf, la frontiera presidiata dalla gendarmeria, il paese del Monginevro silenzioso, le piste da sci e gli ultimi nottambuli che uscivano dalle discoteche. Ma non è riuscito a superare il freddo polare che piano piano lo ha stroncato, portandolo ad accucciarsi come un animale ferito in un cantuccio. Chissà cosa ha pensato in quelle ore di marcia da solo, forse da solo, se ha visto lontano il fondovalle da raggiungere, le luci delle città sempre più fioche negli occhi che si spengono, stroncati dal sonno.
      Molta neve è caduta questi giorni, e le montagne si sono trasformate in un mare bianco in cui nuotare. Una distesa farinosa in cui i migranti affondano passo dopo passo, con la coltre bianca che carpisce fino alle ascelle. Si vedono così, in questi giorni : come se fossero caduti nel Mediterraneo, annaspare con le braccia larghe e il collo teso, le bocche spalancate, naufraghi a 2000 metri di quota. I volontari tentano di recuperarli, di avvertirli, le raccomandazioni minacciose di questi bianchi sconosciuti devono suonare vagamente ridicole per chi arriva dai campi di sterminio della Libia.
      La procura di Gap apre un fascicolo per omicidio involontario : chissà cosa vuole dire. Chi sarebbe l’omicida involontario da trovare ? Qualcuno che lo ha abbandonato ? Un militare ? Un governo ? Sui quotidiani esce qualche sparuto articoletto che parla di ‘migrante morto’. Ma l’uomo trovato, ridotto ad essere un pezzo di ghiaccio, non è un ‘migrante’. L’uomo morto questa note, e tutti gli altri che non vengono nemmeno trovati perché dispersi in qualche dirupo o divorati dagli animali di queste foreste, sono fuggiaschi. Uomini, donne e bambini che scappano dall’Italia, che percepiscono, e vivono , come un paese pericoloso e ostile, da attraversare il più velocemente possibile o da abbandonare dopo anni di vita.
      Lo hanno portato all’ospedale di Briançon ancora in vita : ma il freddo gli aveva ormai ghiacciato il sangue e il cuore. Si muore così, lungo la rotta alpina. Lontani da ogni pietà, con i gendarmi che danno la caccia ai fuggiaschi e volontari : gli mancavano nove chilometri di strata lungo la statale. Non poteva farcela, in quelle condizioni, da solo, senza un amico, qualcuno a cui dire l’ultima parola della sua vita.
      Passa qualche giorno, finisco in una cena dove mi raccontano cosa è accaduto realmente la note in cui quell’uomo di ventinove anni è caduto. Uno dei tanti, delle decine di cui non sappiamo nulla dato che valgono solo qualche trafiletto nelle ultime pagine dei settimanali locali.
      Derman Tamimou arriva a Claviere insieme ad altri ‘migranti’ come sempre accade: con l’autobus serale che parte da Oulx e li scarica di fronte alla chiesetta. Sono ventuno : un gruppo imponente. Ma l’ordine di grandezza di questi plotoni che quotidianamente si arrendono e scappano è stabile. Partono e seguono la pista da sci di fondo : dopo circa mezz’ora vengono intercettati dai gendarmi, che ne prendono tredici. Otto riescono a fuggire nei boschi. Superano il piccolo villaggio del Monginevro e si dividono ulteriormente : cinque si gettano lungo la statale, tre rimangono lungo i sentieri che attraversano il ripido pendio che conduce a Monginevro.
      Tra questi tre c’è Darman che, a circa quattro chilometri dalla sua meta, si arrende e si sveste. E’ completamente bagnato, perché la neve da subito si è fatta strada nelle scarpe e nei vestiti. La neve nei piedi che dà un delirio e provoca l’illusione di un senso di calore che uccide passo dopo passo la percezione stessa della morte, che sale dai piedi fino al cuore.
      Si fermano e accendono un fuoco con i pochi legni secchi che trovano nei boschi. Impresa non semplice. Derman si spoglia ed espone al calore delle fiamme i suoi vestiti e il suo corpo. I suoi compagni intanto si gettano lungo la statale alla ricerca di aiuto : e qui accade qualcosa di incredibile. Qualcuno si ferma, ma dato che si tratta di due africani che chiedono aiuto per un loro amico che sta per morire, tutti decidono di proseguire.
      Una letale miscellanea di paura, buio, uominii neri e morte spinge in avanti il tempo senza che nulla accada. Le ore della notte diventano ore dell’alba, e i primi raggi di sole altro non sono che mezze illusioni. Derman si attorciglia su se stesso, ormai lasciato solo a morire nel suo buco. Le fiamme spente, i vestiti ghiacciati e rigidi che pendono da una croce di rami come un Cristo senza dignità. Lo trova un camionista, la corsa all’ospedale, la morte.
      Passano i giorni, si scopre che i suoi compagni vengono intercettati dai gendarmi che mostrano loro le foto di alcuni italiani : ‘Diteci chi vi ha aiutato a passare il confine’, questa la richiesta, che spiega la singlare accusa di ‘omicidio involntario’. Scorrono le foto dei volontari che sul fronte italiano di questa guerra ‘aiutano’ : colpa suprema, peccato totale da cui redenzione non può esistere ».
      (Pagliassotti, 2019 : 172-175)

    • Migranti. L’ultimo viaggio di Tamimou

      Il corpo del giovane morto di freddo sulle Alpi è tornato in Togo. L’articolo che «Avvenire» gli aveva dedicato, facendo visita alla sua famiglia, è stato ripubblicato da un giornale togolese

      Sono le 2:07 di giovedì mattina all’aeroporto internazionale Gnassingbé Eyadema di Lomé. L’aereo della Royal Air Maroc è appena atterrato. All’interno c’è la bara di Tamimou Derman, il migrante togolese morto assiderato tra le Alpi mentre cercava di attraversare a piedi il confine dall’Italia verso la Francia: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/migrante-morte-assiderato-tra-italia-e-francia.

      Da oltre tre ore, un gruppo formato da una decina di familiari e amici attende paziente ai bordi della strada. Le guardie dell’aeroporto gli hanno detto di aspettare fuori dalla struttura. Sono solo uomini: padre, fratelli, cugini, zii e qualche amico d’infanzia. Hanno percorso tre ore di strada da Madjaton, il villaggio dove è cresciuto Tamimou. Il furgone bianco noleggiato per il viaggio avrà il compito di riportare indietro il corpo del ragazzo morto a 29 anni. Dopo essersi seduti al tavolo dell’unico bar ancora aperto, il gruppo spiega cosa è successo in queste settimane. «Un nostro cugino che vive in Italia ci ha dato la notizia settimana scorsa», racconta ad Avvenire Samoudine Derman, il fratello maggiore. «Ha raccolto i soldi per rimpatriare Tamimou. Siamo molto contenti – continua Samoudine –, finalmente potremo seppellirlo».

      Il migrante togolese era ancora vivo quando è stato trovato da un camionista lo scorso 7 febbraio sul ciglio della strada statale 94 del Colle del Monginevro. Come altri suoi compagni, Tamimou ha rischiato la vita per raggiungere clandestinamente la Francia dall’Italia. L’ambulanza l’ha trasportato nell’ospedale di Briançon dove il giovane ha però esalato il suo ultimo respiro. «Ringraziamo molto la stampa italiana per aver parlato di Tamimou – afferma Sadate Boutcho, un amico d’infanzia –. Dopo aver recuperato la bara torneremo subito al villaggio per il funerale». La cerimonia è stata annunciata su una radio locale. «Siamo musulmani, abituati a interrare il corpo il prima possibile e a ricevere per giorni le persone che vogliono dare l’ultimo saluto – afferma con un tiepido sorriso Isak, un altro amico e coetaneo della vittima –. Nel caso di Tamimou abbiamo però aspettato quasi due mesi».

      Il 19 febbraio Avvenire aveva pubblicato la storia del migrante intitolata ’Il sogno spezzato di mio figlio’: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/in-togo-a-casa-di-tamimou-migrante-morto-freddo-alpi. Lo stesso articolo è stato ripubblicato sul giornale togolese L’Alternative il 22 febbraio. «È preoccupante che a parlare della morte di un nostro fratello sia stata prima la stampa italiana rispetto a quella togolese», ha ammesso Ferdinand Mensah Ayite, direttore della rivista. Nei giorni seguenti, per volere della famiglia Derman, due buste con dentro entrambi gli articoli e una lettera di richiesta di aiuto per il rimpatrio del cadavere sono state consegnate alla presidenza e al ministero degli Affari esteri togolesi. Nel mentre, Ganiou, il cugino di Tamimou residente in Italia, si è occupato delle formalità in Francia. «Abbiamo raccolto almeno 3.500 euro per le spese del trasporto – spiega Ganiou, arrivato a Lomé in anticipo per assicurarsi che tutto andasse a buon fine –. Ho ricevuto sostegno da un’organizzazione francese di cui preferisco non rivelare il nome». Il bar chiude e ci ritroviamo in strada. Ganiou è andato a seguire le ultime formalità. Il tempo continua a passare.

      Nessuno sa cosa stia succedendo con esattezza. Alle 4 e mezza di mattina, il padre di Tamimou, Inoussa Derman, si siede sul marciapiede vicino a un parente. Samoudine e gli altri si addormentano. Solo verso le 10 di mattina viene spedito ad Avvenire un messaggio con la foto della bara nel furgone. «Finalmente abbiamo recuperato il corpo – scrive Sadate –, il funerale è stato spostato quindi alle 3 del pomeriggio». La folla osserva la bara mentre viene calata in una buca scavata nella terra rossa di Madjaton. Il villaggio sprofonda nel silenzio. Potrà la morte di Tamimou arrestare la migrazione dei togolesi verso l’Europa? «Qui non c’è lavoro – aveva spiegato Isak durante l’attesa fuori dall’aeroporto –. Ho studiato da meccanico e, nonostante la drammatica fine di Tamimou, sono pronto a partire verso l’Italia o la Francia».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/lultimo-viaggio-di-taminou

    • Derman Tamimou e il tema di una bambina di nove anni

      “Le persone che ho visto, tra i migranti, mi sembravano persone uguali a noi, non capisco perchè tutti pensano che siano diverse da noi. Secondo me aiutare le persone, in questo caso i migranti, è una cosa bella”

      Derman Tamimou aveva 29 anni, era arrivato in Italia dal Togo e, nella notte tra il 6 e il 7 febbraio, ha intrapreso il suo ultimo viaggio nel tentativo di varcare il confine. Un camionista ne ha scorto il corpo semiassiderato e rannicchiato tra la neve ai bordi della statale del colle di Monginevro. Nonostante l’immediato trasporto all’ospedale di Briancon, Derman è morto poco dopo.

      E’ difficile immaginare cosa abbia pensato e provato Derman negli ultimi istanti della sua vita, prima di perdere conoscenza per il gelo invernale. Quali sogni, speranze, ricordi, … quanta fatica, rabbia, paura …

      Potrebbe essere tranquillizzante pensare a questa morte come tragica fatalità e derubricarla a freddo numero da aggiungere alla lista di migranti morti nella ricerca di un futuro migliore in Europa. Eppure quell’interminabile lista parla a ognuno di noi. Racconta di vite interrotte che, anche quando non se ne conosce il nome, ci richiamano a una comune umanità da cui non possiamo prescindere per non smarrire noi stessi. A volte lo ricordiamo quando scopriamo, cucita nel giubbotto di un quattordicenne partito dal Mali e affogato in un tragico naufragio nel 2015, una pagella, un bene prezioso con cui presentarsi ai nuovi compagni di classe e di vita. Altre volte lo ricordano i versi di una poesia “Non ti allarmare fratello mio”, ritrovata nelle tasche di Tesfalidet Tesfon, un giovane migrante eritreo, morto subito dopo il suo sbarco a Pozzallo, nel 2018, a seguito delle sofferenze patite nelle carceri libiche e delle fatiche del viaggio: “È davvero così bello vivere da soli, se dimentichi tuo fratello al momento del bisogno?”. È davvero così bello?

      L’estate scorsa, lungo la strada in cui ha perso la vita Derman Tamimou, si poteva ancora trovare un ultimo luogo di soccorso e sostegno per chi cercava di attraversare il confine. Un rifugio autogestito che è stato sgomberato in autunno, con l’approssimarsi dell’inverno, senza alcuna alternativa di soccorso locale per i migranti. Per chiunque fosse passato da quei luoghi non era difficile prevedere i rischi che questa chiusura avrebbe comportato. Bastava fermarsi, incontrare e ascoltare i migranti, i volontari e tutte le persone che cercavano di portare aiuto e solidarietà, nella convinzione che non voltare lo sguardo di fronte a sofferenze, rischi e fatiche altrui sia l’unica strada per restare umani.

      Incontri che una bambina di nove anni, in quelle che avrebbe voluto fossero le sue “Montagne solidali”, ha voluto raccontare così: “Oggi da Bardonecchia, dove in stazione c’è un posto in cui aiutano i migranti che cercano di andare in Francia, siamo andati in altri due posti dove ci sono i migranti che si fermano e ricevono aiuto nel loro viaggio, uno a Claviere e uno a Briancon. In questi posti ci sono persone che li accolgono, gli danno da mangiare, un posto dove dormire, dei vestiti per ripararsi dal freddo, danno loro dei consigli su come evitare pericoli e non rischiare la loro vita nel difficile percorso di attraversamento del confine tra Italia e Francia tra i boschi e le montagne. I migranti, infatti, di notte cercano di attraversare i boschi e questo è difficile e pericoloso, perchè possono farsi male o rischiare la loro vita cadendo da un dirupo. I migranti scelgono di affrontare il loro viaggio di notte perchè è più difficile che la polizia li veda e li faccia tornare indietro. A volte, per sfuggire alla polizia si feriscono per nascondersi o scappare. Nel centro dove sono stata a Claviere, alcuni migranti avevano delle ferite, al volto e sulle gambe, causate durante i tentativi di traversata. Infatti i migranti provano tante volte ad attraversare le montagne, di solito solo dopo la quarta o quinta volta riescono a passare. La traversata è sempre molto pericolosa, perchè non conoscono le montagne e le strade da percorrere, ma soprattutto in inverno le cose sono più difficili perchè con la neve, il freddo, senza i giusti vestiti e scarpe, del cibo caldo e non conoscendo la strada tutto è più rischioso. Lo scorso inverno, sul Colle della Scala, sono morte diverse persone provando a fare questo viaggio. Anche le persone che li aiutano sono a rischio, perchè solo per aver dato loro da mangiare, da dormire e dei vestiti possono essere denunciate e arrestate. Oggi sette ragazzi sono in carcere per questo. Io penso che non è giusto essere arrestati quando si aiutano le persone. A Briancon, dove aiutano i migranti che hanno appena attraversato il confine, ho visto alcuni bambini e questa cosa mi ha colpito molto perchè vuol dire che sono riusciti a fare un viaggio così lungo e faticoso attraverso i boschi e le montagne. Qui ho conosciuto la signora Annie, una volontaria che aiuta i migranti appena arrivati in Francia, una signora gentile e molto forte, che è stata chiamata 8 volte ad andare dalla polizia per l’aiuto che sta dando ai migranti, ma lei sorride e continua a farlo, perchè pensa che non aiutarli sia un’ingiustizia. Le persone che ho visto, tra i migranti, mi sembravano persone uguali a noi, non capisco perchè tutti pensano che siano diverse da noi. Secondo me aiutare le persone, in questo caso i migranti, è una cosa bella”.

      https://www.vita.it/derman-tamimou-e-il-tema-di-una-bambina-di-nove-anni

  • 04.12.2023 : #Menton : une personne meurt happée par un train, le trafic interrompu dans les deux sens
    –-> pas d’info sur le fait que ça soit un migrant (j’attends des infos plus précises)

    Un accident grave de personne s’est produit en gare ce lundi 4 décembre. Des retards et des suppressions de trains sont à prévoir sur la ligne entre #Vintimille et Monaco.

    Un grave accident de personne à Menton (Alpes-Maritimes). Les faits se sont produits ce lundi 4 décembre, indiquent les sapeurs-pompiers. Selon ces derniers, une personne a été happée par un train. La victime, un homme de 35 ans, est morte.

    La circulation a été interrompue dans les deux sens de circulation, entre Vintimille et Monaco, une partie de l’après-midi. Le trafic a été rétabli aux alentours de 15 heures.

    https://www.bfmtv.com/cote-d-azur/menton-une-personne-happee-par-un-train-le-trafic-interrompu-dans-les-deux-se
    #frontière_sud-alpine #frontières #Italie #France #Alpes #Italie #France #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Alpes_maritimes

    –—

    ajouté à cette métaliste sur les migrants décédés à la frontière italo-française « basse » :
    https://seenthis.net/messages/784767

  • Europe’s Nameless Dead

    As more people try to reach Western Europe through the Balkans, taking increasingly dangerous routes to evade border police, many are dying without a trace

    When hundreds of thousands of refugees crossed through the Balkans in 2015, border controls were limited and there were few fences or walls. The route was largely open.

    After several years of lull, the number of people making this journey recently increased again. Last year saw the highest number of crossings since 2015, predominantly due to ongoing conflicts in Afghanistan and hostile treatment of refugees in Turkey.

    But the Balkan route has changed in the last eight years. With the help of funding from both the EU and the UK, countries in the Balkans have erected fences and built walls. When border police catch people seeking asylum, they often force them back over the border.

    Subsequently, those making the journey often take longer and more dangerous routes in order to evade the police – and the consequences can be deadly; people are freezing to death in forests, drowning in rivers or dying from sheer exhaustion.

    There is no official data on the number of dead and missing migrants in the Balkans. Efforts that have been made to collect data – for example the IOM’s Missing Migrants Project – are based mostly on media reports and are likely to be significantly underestimated.

    With RFE/RL, Der Spiegel, ARD, the i newspaper, Solomon and academics from Aston, Liverpool and Nottingham Universities, we sought to measure the scale of migrant deaths at the borders of a commonly trodden route spanning Bulgaria, Serbia and Bosnia. Crucially, we sought to find out what subsequently happens to the bodies of these people and what their families go through trying to find them.

    We found that the hostility people face at the borders of Europe in life continues into death. State authorities make little to no effort to identify dead migrants or inform their families, while individual doctors, NGO workers and activists do what they can to fill in the gaps. Unidentified bodies end up piled in morgues or buried without a trace.
    METHODS

    It was clear from the outset that it would be impossible to get comprehensive numbers on migrant deaths, given some bodies will never be found, particularly when people have drowned in rivers or died deep in forests.

    In Bulgaria, Serbia and Bosnia, we requested data from police departments, prosecutors’ offices, courts and morgues on how many unidentified bodies they had recorded in recent years. While some provided information, most failed to respond or declined to disclose the data.

    But through this process we managed to obtain data on the number of bodies known or presumed to be migrants received by six morgues near the borders along the Bulgaria-Serbia-Bosnia route. We found 155 such cases across the six facilities since the start of 2022 – the majority (92) dying this year alone.

    By speaking with forensic pathologists in Bulgaria, Serbia and Bosnia, we found that in each of the three countries, the legal protocol is that an autopsy must be performed on all unidentified bodies – but what happens next is less clear. Information on the deceased is fragmented and held across different institutions, with no unified system which proactively seeks to connect them with families looking for them.

    Through interviews with more than a dozen people whose family members had gone missing or died along the route, we learnt that they are left with no idea where to look or who to ask. We found WhatsApp groups and Facebook pages connecting networks of concerned families, desperately sharing photos and information about their lost loved ones. Some NGOs in Bulgaria and Serbia said they are contacted about such cases every day.

    In some cases when families approached Burgas morgue in south-eastern Bulgaria – where we recorded the highest number of migrant bodies – they were told by staff that they could only check the bodies if they paid them cash bribes. This was confirmed by multiple testimonies and NGOs operating in the area.
    STORYLINES

    RFE/RL followed the case of one Syrian father’s search for his son. Husam Adin Bibars, a refugee in Denmark, travelled to Bulgaria after his son, Majd Addin Bibars, went missing there while trying to reach Western Europe.

    After a day and a half of asking different institutions, Bibars was directed to a local police station near the Turkish border – where he was shown a photo of Majd’s lifeless body. He was told he had died of thirst, exhaustion and cold – and that he had been buried four days after his body was found.

    In an interview with ARD, the prosecutor in Yambol, a Bulgarian city close to the Turkish border, near where Majd was buried, said his body was buried after four days in keeping with their procedure of carrying out burials of unidentified migrants “fast” to free up space in the morgue.

    Some 900 kilometres away in Bosnia, iNews spoke to Dr Vidak Simić, a forensic pathologist responsible for performing autopsies on bodies found in the Drina River, which runs along the Serbian border. He said that in 2023 alone, he had examined 28 bodies presumed to be migrants, compared with five last year. The vast majority remain unidentified and are now buried in graves marked ‘NN’ – an abbreviation for a Latin term for a person with no name.

    The doctor is now working with local activist Nihad Suljić to try to help families find their missing loved ones, by checking his autopsy files to see if any unidentified bodies match the description of missing people. But he says a proper system needs to be put in place for this. “[Families] enter a painstaking process, through embassies, burial organisations, to obtain a bone sample, so that they can compare it with one of their family members,” he says.

    https://www.lighthousereports.com/investigation/europes-nameless-dead

    #mourir_aux_frontières #frontières #morts_aux_frontières #migrations #asile #réfugiés #décès #morts #Balkans #route_des_Balkans #visualisation #cartographie

    ping @reka

    • Sie erfrieren in Wäldern, ertrinken in Flüssen

      Europas namenlose Tote: Viele Flüchtende, die auf der Balkanroute sterben, werden nie identifiziert. Angehörige suchen verzweifelt nach Gewissheit – manche müssen sich den Zugang zu Leichenhallen erkaufen. Der SPIEGEL-Report.

      (#paywall)

      https://www.spiegel.de/ausland/vermisste-fluechtlinge-auf-der-balkanroute-europas-namenlose-tote-a-5d0b55a7

    • Namenloser Tod in Bulgarien

      An der türkisch-bulgarischen Grenze endet der Versuch von Migranten, in die EU zu kommen, oft in tödlicher Erschöpfung. Die Behörden begraben die Leichen schnell - ohne Identifizierung. Für die Angehörigen ist das ein weiteres Trauma.

      Das Porträt hängt zwischen den Fenstern im ansonsten schmucklosen Wohnzimmer. Wenn Hussam Adin Bibars es von der Wand nimmt, um es zu zeigen, wirkt es, als würde er eine Bürde tragen.

      Der gut aussehende junge Mann mit den blauen Augen und dem akkurat gestutzten, schwarzen Bart auf dem Foto ist sein Sohn. Das letzte Lebenszeichen von ihm kam im Herbst. Majid hatte sich auf den Weg gemacht, um zu seiner Familie zu ziehen. Sein Vater war bereits im Jahr 2015 aus Syrien geflohen und lebt heute in Dänemark.

      Um seinen Plan in die Tat umzusetzen, musste Majid über die berüchtigte Balkanroute, die in den vergangenen Jahren immer gefährlicher geworden ist. Die Außengrenzen werden strenger bewacht, Geflüchtete und ihre Schleuser wählen längere und gefährlichere Routen, um ein Aufeinandertreffen mit der Polizei zu vermeiden.

      Verloren im „Dreieck des Todes“

      Der Weg führt an der türkisch-bulgarischen Grenze durch dichte, endlose Wälder. „Dreieck des Todes“ nennen sie das Gebiet hier, weil dort besonders viele tote Körper gefunden wurden. Immer wieder verirren sich Flüchtlinge, sterben an Dehydrierung und Erschöpfung.

      Oft sind es Mitarbeiter von NGOs wie Diana Dimova, die die Toten finden. Vergangenes Jahr hätten sie zehn bis zwölf Notrufe erreicht, erzählt sie, dieses Jahr habe sie schon nicht mehr zählen können, es seien aber auf jeden Fall mehr als 70 gewesen.

      Nach Recherchen des ARD-Studios Wien in Kooperation mit Lighthouse Reports, dem Spiegel, RFE/RL, Solomon und inews starben allein in den vergangenen zwei Jahren mindestens 93 Menschen auf ihrem Weg durch Bulgarien.

      Dem Rechercheteam liegen zahlreiche Videos und Fotos Geflüchteter vor. Sie stehen neben ihren sterbenden Weggefährten, betten sie auf Jacken, versuchen sie zuzudecken und müssen sie schließlich auf dem Waldboden zurücklassen, der starre Blick eingefangen auf einem wackeligen Handyvideo.

      Wer zu schwach ist, wird zurückgelassen

      Hussam Adin Bibars erfährt, dass auch Majid nicht genug zu trinken hat. Er wird immer schwächer, berichtet von Bauchkrämpfen und kann nicht mehr weiterlaufen. Sein Vater macht sich Sorgen, versucht, mit dem Schleuser in Kontakt zu kommen.

      Der Schmuggler sagte, dass sich der Gesundheitszustand von Majid verschlechtert habe. Sie hätten ihn im Wald zurückgelassen. Ich habe versucht, ihm zu erklären, dass Majid ein Mensch ist und man ihn in so einem Zustand nicht einfach im Wald zurücklassen kann. Ich habe den Schmuggler gebeten, Majid an die nächstmögliche Behörde zu übergeben.

      Verzweifelte Suche in Bulgarien

      Als der Kontakt abbricht, macht Hussam sich auf eigene Faust auf die Suche. Er reist nach Bulgarien, klappert Krankenhäuser ab, schließlich auch Leichenhallen.

      In der Gerichtsmedizin in Yambol, einer Stadt im Südosten des Landes, findet er eine erste Spur, die ihn zu seinem Sohn führen könnte. Ein Körper, der zu seiner Beschreibung passt, sei dort gewesen, erzählt man ihm.

      Auf der Polizeistation zeigt man ihm schließlich Fotos, man habe den Leichnam auf einem Feld gefunden.

      Was bleibt: eine Grabnummer

      Hussam will seinen Sohn sehen und identifizieren, doch der Leichnam ist bereits weg. Die Polizei hat nur noch die Nummer eines Grabes für ihn. Für den Vater ist diese Nachricht kaum zu ertragen:

      Ich wünschte, ich hätte wenigstens die Chance, Majid ein letztes Mal zu sehen, aber bis heute bin ich mir über seinen Tod absolut unsicher. Ich habe zwar Fotos von ihm gesehen und sein Telefon erhalten, aber ich habe ihn nicht mit eigenen Augen gesehen, so dass mein Verstand immer noch nicht glauben kann, dass die Person in diesem Grab mein Sohn ist.

      Die Begründung der Staatsanwaltschaft

      Bevor der Körper überhaupt identifiziert werden konnte, hatte der Staatsanwalt ihn bereits zur Beerdigung freigegeben. Nach nur vier Tagen. Milen Bozidarov, einer der zuständigen Staatsanwälte für die Region verweist im Interview mit der ARD auf hygienische Gründe.

      Die Leichenhallen seien voll, jeder sei zur Eile angehalten. Wenn man davon ausgehen könne, die tote Person sei ein Migrant und die Angehörigen weit weg, dann gebe es keine sinnvollen Gründe, den Körper weiterhin aufzubewahren.

      Doch Majids Vater wollte seinen Sohn finden, die weite Anreise aus Dänemark hinderte ihn nicht an der Suche. 22 Tage nach seinem Tod war er in Bulgarien vor Ort. Da war es jedoch längst zu spät.

      Das einzige, was er noch besuchen konnte, war ein Erdhaufen auf einem Friedhof inmitten anderer namenloser Gräber.

      „Man will keine Aufmerksamkeit“

      Scharfe Kritik an dieser Praxis des schnellen Begrabens kommt von Anwalt Dragomir Oshavkov aus Burgas. Eigentlich dürfe es keinen Unterschied machen, ob der Tote ein Bulgare oder ein Migrant sei.

      Die Behörden hätten bei Migranten jedoch kein Interesse daran, die wahre Todesursache und die Identität herauszufinden, erzählt er. Man wolle den Prozess einfach schnell und möglichst bequem abschließen.

      Ein Verhalten, das für die EU unwürdig ist. So sieht es Erik Marquardt, der für die Grünen im Europaparlament sitzt und die Migrationspolitik der letzten Jahre genau verfolgt.

      Wenn man nach wenigen Tagen, ohne die Todesursache genau zu ermitteln, Menschen einfach verscharrt und sich nicht um die Angehörigen kümmert, dann will man offenbar nicht, dass die Aufmerksamkeit auf diese Fälle kommt.

      Marquardt bringt die Einführung einer EU-Datenbank ins Spiel und eine Verpflichtung der Mitgliedstaaten, bei der Auffindung von Verwandten mitzuwirken.

      Ein Kind ohne Vater

      Für viele Menschen ist der Weg über die Balkanroute inzwischen tödlich - und endet in einem namenlosen Grab. Auch für Majid.

      Wenige Tage nach seinem Tod kommt Majids Tochter zur Welt. Hussam, der Großvater, zeigt ein Video, auf dem die Kleine unter einer weiß-blauen Samtmütze hervor blinzelt. Sie wird bei ihrer Mutter aufwachsen.

      Wo und wie ihr Vater genau gestorben ist, wird sie niemals erfahren.

      https://www.tagesschau.de/multimedia/audio/audio-177358.html

      https://www.tagesschau.de/ausland/europa/bulgarien-migranten-todesfaelle-100.html

      #Bulgarie #Turquie

    • "Ничии тела". Как стотици хора загинаха в бягството си през България

      През България минава път, който не е на картата и е все по-смъртоносен. По него вървят мигрантите, тръгнали за Западна Европа. Някои умират по пътя. После близките им ги търсят сред хаос и корупция. Разследване на Свободна Европа, Lighthouse Reports, The I Newspaper, Solomon, Der Spiegel и ARD.

      “Това е синът ми!”, възкликва със стегнат в гърлото глас 53-годишният сириец от Алепо Хусам Ал-Дийн Бибарс. Дежурният полицай в Елхово му показва снимка на очевидно мъртъв млад мъж със сиво-черни дрехи. На снимката той лежи в пръстта в землището на село Мелница, Ямболска област.

      Само ден по-рано бащата е пристигнал в България от Дания, където живее, с надеждата да открие безследно изчезналия си син Мажд, на 27 години. Екипът ни съпровожда бащата в това търсене.

      Още 22 дни по-рано Мажд е преминал нелегално българо-турската граница с група, водена от трафиканти. Платил е 7000 евро на каналджиите, за да достигне до заветната дестинация - Германия, където мечтае да се установи с жена си и малката си дъщеря.

      Хусам е чул сина си за последен път ден преди началото на фаталното пътуване. “Как си татко, добре ли си със здравето?” - пита Мажд.
      Хусам и снимката

      “На първата снимка не беше той. На втората обаче беше. Когато го видях, се сринах на земята”, каза бащата. От полицията му обясняват, че синът му е починал от преумора и че по тялото му няма следи от насилие.

      Първоначалната мисъл на Хусам Бибарс е да вземе тялото на Мажд и да го погребе у дома, в Сирия или в Турция, при семейството му. Тази надежда бързо бива попарена. Разбираме, че младият мъж вече е погребан служебно в безименен гроб в Елхово с постановление на окръжен прокурор от Ямбол. Документът е издаден едва 4 дни след като тракторист случайно е намерил тялото му и звъни в полицията.

      “Слушаме, че Европа е земя на свобода, демокрация и човешки права. Но къде са човешките права в това да не мога да видя сина си преди да бъде погребан? Видях единствено гроба му, снимките и телефона му. Това е всичко, което имам от него”, казва бащата.
      Един от стотици загинали

      Мажд Бибарс е един от стотиците бежанци от Близкия изток, изгубили живота си в последните години, докато минават по т.нар. Балкански маршрут в опит да намерят закрила в Европа.

      По данни на европейската гранична агенция Frontex, през 2022 г. броят на опитите за преминаване на европейските граници достига до пиковите равнища от 2016 г., като почти половината от тях, или 145 000 души, са минали именно през Югоизточна Европа.

      Обикновено смъртта по европейските граници се свързва с трагичните корабокрушения по бреговете на Средиземно море. Но различни доклади, като проекта Missing Migrants на Международната организация по миграция показват, че сухопътният маршрут през Балканите става все по-опасен.

      В продължение на повече от седем месеца екип от журналисти на Lighthouse reports, Der Spiegel, ARD, Свободна Европа и Inews проследи и документира десетки случаи на мигранти, безследно изчезнали или изгубили живота си в опит да преминат през три държави от т.нар. Балкански маршрут - България, Сърбия и Босна и Херцеговина.

      За семействата им процесът по издирване се оказва истински кошмар. Ако се окаже, че мигрантът е загинал, те трябва да идентифицират и евентуално да репатрират тялото му, или да го погребат в България.

      Само че на национално и на международно ниво няма нито единен, нито адекватен отговор на техните въпроси. Независимо от разрастващия се мащаб на проблема, роднините на загинали и изчезнали мигранти се сблъскват с липса на информация, незаинтересованост и тромави административни процедури. А ако действието се развива в България - и с корупция в бургаската морга, където се озовава най-големият брой от телата за загиналите.
      “Лавинообразен” ръст на изчезналите и загиналите

      “Често се случва да получа обаждане в полунощ от човек (...), който, на развален английски директно ме пита: Можете ли да намерите брат ми?”, разказва Калинка Янкова от Службата за възстановяване на семейни връзки към Българския червен кръст.

      “Най-много ни мотивира това да намираме хората живи. Но напоследък рядко имаме този късмет”, допълва тя.

      Янкова и екипът й разполагат с 631 сигнала за предполагаемо загинали през тази година и още стотици молби за издирване на изчезнали мигранти, подадени от роднините им. Към момента имат установени около 20 смъртни случая, в които са съдействали на семействата за идентифициране на починалите им близки. Сред тях има и деца.

      “Всичко започна през септември миналата година и оттогава случаите нараснаха лавинообразно”, казва Янкова.

      Думите й се потвърждават и от данните на правозащитната организация Фондация “Достъп до права”, или ФАР, която само за месеците септември и октомври 2023 г. е получила на своя спешен телефон 70 сигнала за изчезнали на територията на страната мигранти. За трима от тях по-късно разбират, че са починали в горите около град Средец.

      “В около 95 процента от случаите това са роднини, които се свързват с нас, посочвайки България, като държава, в която те за последен път са се чули с лицето”, казаха от ФАР.

      В останалите около 5 процента лично трафикантите подават сигнали за бедстващи хора, но това се случва часове след като човекът е бил изоставен, за да се избегне рискът от това служители на гранична полиция да задържат групата или да я върнат в Турция - практика, за която ви разказахме в последните ни разследвания. Основните места, където се намират лицата, са в горите около Средец и планината “Странджа” - район, печално известен още от времето на комунистическите гранични войски като“триъгълника на смъртта”.

      Но реално черната статистика е доста по-голяма. Само за периода 2022-2023 г. в моргата към УМБАЛ Бургас, която е и най-натоварената заради близостта си до турската граница, са съхранявани общо 54 тела на мигранти. 31 от тях са намерени от началото на тази година. Проверките ни в граничните райони до Турция и Сърбия установиха поне 93 смъртни случаи с мигранти на територията на страната за последните две години.

      Екипът ни документира други 62 случая от Сърбия и Босна и Херцеговина за същия период, с което трагичните инциденти по тази част от Балканския маршрут, установени само в рамките на това разследване, достигнаха 155.

      В местните медии темата е сведена до сензационни заглавия от типа на “Моргата в Бургас се препълни” или “Странджа е осеяна с трупове”. Ние решихме да проследим историите зад числата, причините за големия брой трагични инциденти и начините, по които институциите се справят с тях.
      В търсене на изчезналите роднини

      Мохамад Мудасир Арианпур е гордостта на семейството си. Служи в афганистанската армия, докато талибаните не вземат отново властта през 2021 г. Това прави живота му у дома невъзможен.

      На 21 септември 2022 г. Мохамад прекосява турско-българската граница с група от 26 други мигранти, водени от двама трафиканти. На 25 септември младият мъж губи сили и не може да продължи пътя през горите на Странджа. Негови приятели виждат, че се намират близо до село и му оставят две бутилки с вода с надеждата, че скоро ще бъде намерен и предаден на българските власти.

      Оттогава никой няма връзка с него.

      В следващите месеци негови роднини, живеещи в Западна Европа, посещават България няколко пъти, обикалят полицейски управления, бежански центрове, болници и морги, но опитите им да го открият не се увенчават с успех.

      Отчаяното търсене ги среща и с други семейства, сполетени от същата съдба. Сестра му Фатме Арианпур решава да създаде Whatsapp група, в която всички си помагат и обменят информация.

      “Намерихме се в различни групи във Фейсбук и разбрахме, че сме толкова много хора в една и съща ситуация”, разказва Фатме. “Надявам се, че като говорим за тези неща, ще успеем да променим нещо. Независимо дали са живи или мъртви, хората имат права”, допълва тя.

      Именно в създадената от нея група, както и в други подобни срещнахме основния герой на историята ни - Хусам Бибарс, както и други семейства, с които разговаряхме.

      Поне четирима от интервюираните ни казаха, че при посещенията си в моргата в УМБАЛ Бургас са плащали на служители на лечебното заведение, за да видят дали близките им не са сред съхраняваните там тела.

      Сумите, за които чухме, варираха между 50 лева и 200 евро на посещение.

      “В крайна сметка всички просто искат пари”, обобщи опита си Али, афганистански бежанец. Той прекарва месеци в България, опитвайки се да погребе 16-годишния си брат, като общо разходите му възлизат на над 8000 евро.
      50 лева

      Оплакванията от корупционни практики с тела на мигранти в моргата в Бургас не са нищо ново за работещите в правозащитния сектор.

      “Получавали сме информация и сигнали, че от семейства, открили мъртъв човек там, са били искани големи суми за потвърждение, че тялото е там, и за освобождаването му. Оплакват се, че са им били искани пари на всяка стъпка от процеса”, казва Георги Войнов, адвокат в бежанско-мигрантската служба на Българския хелзинкски комитет.

      За Калинка Янкова от БЧК новината за подобни форми на изнудване идва от близки на загинал афганистанец, които й споделят, че са платили над 100 евро, за да видят тялото на своя близък.

      “Бях извън себе си от възмущение.(...) Когато споделих с един колега, той ми каза: добре дошла в клуба”, добавя тя.

      Аудиофайл, с който екипът ни разполага, е и първото категорично потвърждение на тези твърдения. В него ясно се чува как служител на моргата в Бургас иска общо 100 лева от семейство, търсещо свой близък, заради това, че му е показал тела на починали мигранти в камерата.

      “Две по 50. Двама човека сме. Още едно 50”, инструктира той роднините, преди да ги насочи към процедура по разпознаване чрез ДНК.

      От УМБАЛ Бургас обясниха, че в лечебното заведение не е постъпвал нито един сигнал или жалба за подобни практики и обясниха, че идентификацията на телата се извършва само и единствено в присъствието на разследващ полицай и съдебен лекар.

      “Огромна част от телата са в състояние на напреднало разложение и е невъзможно да бъдат разпознати без ДНК експертиза, дори и да бъдат показани”, уточниха от болницата.

      “Апелираме подобни сигнали и оплаквания, да бъдат адресирани по официалния ред към нас и към разследващите органи. Ако се установи, че има подобни практики, служителите ще понесат съответната отговорност”, посочи още управлението на МБАЛ Бургас.
      “Ничии тела”

      В българския НПК процедурите по идентифициране на случайно намерени тела са едни и същи, независимо дали казусът засяга български или чужд гражданин. В подобни случаи прокуратурата започва досъдебно производство, което има две цели: да идентифицира лицето и да установи причината за смъртта. На жертвите се взема ДНК, което се съхранява, ако евентуално в бъдеще се появят близки, които искат да извършат разпознаване.

      Съвпадението на ДНК е задължително за освобождаване на тела от моргите или за евентуална ексхумация, което отнема около 3 месеца и допълнително усложнява процеса по репатриране на починалите. Към момента Хусам Бибарс вече над месец очаква резултатите от ДНК тест, за да може да получи важни документи за семейството на починалия си син.

      В случай, че самоличността на лицето не може да бъде установена и няма данни за насилствено причинена смърт, наблюдаващият прокурор може да издаде постановление за извършване на служебно погребение, което е в правомощията на съответната община.

      Чрез запитвания по Закона за достъп до обществена информация разбрахме, че през последните 4 години общините Бургас, Средец и Ямбол са извършили общо 14 служебни погребения, като основната част - 10, са били в Бургас.

      Тези данни се отнасят за всички неидентифицирани тела, но посещения на гробищните паркове ни дават основание да смятаме, че в болшинството от случаите става дума за мигранти. За сравнение, от най-голямата община в страната, столичната, в същия период не е извършено нито едно служебно погребение, разпоредено от прокурор.

      Остава отворен и въпросът защо от моргата в Бургас редовно идват оплаквания, че е препълнена с тела на неидентифицирани мигранти, някои от които престояват там с години, а случаи като този на Мажд Бибарс биват приключени за четири дни, повдигайки сериозни съмнения, че изобщо са били правени опити тялото да бъде идентифицирано.

      В отговор на наше запитване от Главната прокуратура ни увериха, че на централно ниво няма решение за по-бързо освобождаване на тела и това “не е възможно, тъй като наблюдаващите прокурори следва стриктно да спазват нормите на НПК”.

      “Ако близките не пожелаят да получат тялото и изрично заявят това, тогава се пристъпва към служебно погребение. Същото се налага да се извърши и когато не бъде установена самоличността на починалия – при обективно положени изчерпателни усилия за това или при случаи, когато се изясни, че починалият няма близки и роднини”, посочват прокурорите. Те подчертават, че при случаите с български граждани се действа по същия начин.

      Но Милен Божидаров, който е прокурор в Ямболската районна прокуратура, признава, че стремежът в неговия район е случаите да се приключват бързо.

      “Това е въпрос на организация на процеса, всички ние целим бързина”, заяви той.

      По думите на прокурора, при “обичайни обстоятелства” роднините на загинали се търсят и обикновено се установяват още в деня на смъртта.

      Но очевидно случаите с телата на мигранти не попадат в обичайната хипотеза.

      “Когато ние имаме неидентифициран труп, за който няма обяснение [за самоличността], освен, че е [ясно, че е] бежанец, и се предполага, че роднините му са някъде по света и не са се свързали с нас в този, предходния или по-предходния ден, няма обективни причини, които да налагат съхранението на този труп”, обясни той.

      “Представете си, че този баща не се беше появил - ние така или иначе нямаше да стигнем до някакъв резултат и трупът не може да стои безкрайно в камера в някое от здравните заведения”, допълни прокурорът.

      Но според адвокат Драгомир Ошавков, който работи с фондация ФАР в Бургас, в огромния процент от случаите с мигранти органите на досъдебното производство и прокуратурата просто нямат интерес от това да вършат подробни изследвания и да установяват реално причините за смъртта и самоличността.

      “Те бързат да приключат по най-бързия и удобен за тях начин това досъдебно производство”, категочен е той.

      “Това са едни ничии хора, ничии тела. Мигранти, които не представляват голям обществен интерес. Те не са желани в България, не са желани вероятно и в Западна Европа. Вероятно затова те са считани по-скоро като тежест за системата, вместо като случаи, които трябва да бъдат разрешени”, смята юристът.

      https://www.svobodnaevropa.bg/a/migranti-zaginali-bejanci/32708468.html

    • Νεκροί πρόσφυγες στα Βαλκάνια : « Λάδωσε » για να βρεις τον άνθρωπό σου

      Στη βαλκανική οδό πεθαίνουν περισσότεροι αιτούντες άσυλο ακόμα και από το 2015. Ενώ οι συγγενείς καλούνται να αντιμετωπίσουν την κρατική αδιαφορία για την ταυτοποίηση των ανθρώπων τους, αναγκάζονται και να πληρώσουν εκατοντάδες ευρώ απλώς για να τους αναζητήσουν.

      Ήλπιζε πως θα έβρισκε τον γιο του σε κάποιον προσφυγικό καταυλισμό. Και αφού είχε περάσει τρεις εβδομάδες αναζητώντας τον, είχε προετοιμαστεί για το ενδεχόμενο να τον εντοπίσει σε κάποιο νοσοκομείο.

      Αλλά δεν περίμενε να τον βρει στο νεκροταφείο.

      Όταν ο αστυνομικός με το βουλγαρικό εθνόσημο του έδειξε τη φωτογραφία του γιου του, να κείτεται δίχως ζωή στο γρασίδι, έχασε τη γη κάτω απ’ τα πόδια του. « Εύχομαι τουλάχιστον να είχα τη δυνατότητα να δω τον Μαχίντ μια τελευταία φορά. Το μυαλό μου ακόμη και σήμερα δεν μπορεί να πιστέψει πως ο άνθρωπος σε αυτόν τον τάφο είναι ο γιος μου », λέει ο Χουσάμ Αντίν Μπίμπαρς.

      Ο 56χρονος Σύριος πρόσφυγας, πατέρας πέντε ακόμη παιδιών, είχε συμπληρώσει 22 ημέρες αναζητώντας από απόσταση τον γιο του, όταν αποφάσισε να ξοδέψει τα λιγοστά του χρήματα για να ταξιδέψει από τη Δανία στη Βουλγαρία και να ψάξει για εκείνον — αλλά ήταν πια αργά.

      Στη Βουλγαρία, έμαθε πως το σώμα του 27χρονου Μαχίντ είχε ταφεί μέσα σε μόλις τέσσερις ημέρες από τον εντοπισμό του. Ο Μαχίντ είχε ταφεί ως αγνώστων στοιχείων, τίποτα δεν ενημέρωνε πως κάτω από εκείνον τον σωρό με χώμα που αργότερα επισκέφθηκε βρισκόταν ο γιος του.

      « Ακούμε πως η Ευρώπη είναι η γη της ελευθερίας, της δημοκρατίας, και των ανθρωπίνων δικαιωμάτων », λέει νηφάλια ο Χουσάμ Αντίν Μπίμπαρς. « Που είναι τα ανθρώπινα δικαιώματα, εάν δεν έχω τη δυνατότητα να δω τον γιο μου πριν την ταφή του ; ».

      Νεκροί δίχως ταυτότητα

      Ο Μαχίντ είχε περάσει από την Τουρκία στη Βουλγαρία με ένα γκρουπ περίπου 20 ακόμη ατόμων, ελπίζοντας να συναντήσει και πάλι τους γονείς και τα αδέρφια του στην Ευρώπη. Αφού έφτανε εκείνος, η έγκυος γυναίκα του και η κόρη τους, Χάνα, θα μπορούσαν να ακολουθήσουν.

      Προς τα τέλη Σεπτεμβρίου, σταμάτησε να απαντάει σε κλήσεις και μηνύματα. Ο διακινητής είπε στον Μπίμπαρς ότι ο Μαχίντ είχε αρρωστήσει και είχε χρειαστεί να τον αφήσουν πίσω. Οι Αρχές είπαν ότι ο γιος του πέθανε από τη δείψα, την εξάντληση, και το κρύο.

      Τα τελευταία χρόνια, με κοινοτικά χρήματα και αυξημένη συμμετοχή του ευρωπαϊκού οργανισμού συνοριοφυλακής Frontex, οι βαλκανικές χώρες εντείνουν ολοένα τους συνοριακούς ελέγχους, αναπτύσσοντας φράχτες, drones, και μηχανισμούς επιτήρησης. Αλλά αυτό δεν αποτρέπει τους αιτούντες άσυλο — τους οδηγεί σε μεγαλύτερες και περισσότερο επικίνδυνες διόδους για να αποφύγουν τις Αρχές.

      Μια έρευνα του Solomon σε συνεργασία με την ερευνητική ομάδα Lighthouse Reports, το γερμανικό περιοδικό Der Spiegel, τη γερμανική δημόσια τηλεόραση ARD, τη βρετανική εφημίδα i, το Radio Free Europe / Radio Liberty, και ακαδημαϊκούς από τα πανεπιστήμια Aston, Liverpool, και Nottingham, αποτυπώνει πως η εχθρότητα που αντιμετωπίζουν στα σύνορα της Ευρώπης οι άνθρωποι σε κίνηση όσο ζουν συνεχίζεται και στο θάνατο.

      Διαπιστώσαμε πως, από τις αρχές του 2022 έως σήμερα, τα άψυχα σώματα 155 ανθρώπων που πιθανολογείται ότι ήταν αιτούντες άσυλο κατέληξαν σε νεκροτομεία κοντά στα σύνορα κατά μήκος μιας διαδρομής που εκτείνεται ανάμεσα στη Βουλγαρία, τη Σερβία, και τη Βοσνία.

      Από την εξέταση των στοιχείων, για το 2023 προκύπτει ήδη μια αύξηση των θανάτων κατά 46% σε σύγκριση με ολόκληρο το 2022.

      Στα Βαλκάνια, οι αιτούντες άσυλο καλούνται να αντιμετωπίσουν τις δύσκολες καιρικές συνθήκες, αλλά και τις επαναπροωθήσεις, την αυξημένη βιαιότητα συνοριοφυλάκων και διακινητών, την καταλήστευση από συνοριακές δυνάμεις — έως και την κράτησή τους σε μυστικές « φυλακές ».

      Οι οικογένειες των ανθρώπων που πεθαίνουν, ή καθίστανται αγνοούμενοι στην περιοχή, αναζητούν τους δικούς τους σε νεκροτομεία, νοσοκομεία, και ειδικά γκρουπ σε Facebook και WhatsApp. Καλούνται να ανταπεξέλθουν σε μια εξίσου ψυχοφθόρα προσπάθεια, και να αντιμετωπίσουν την αδιαφορία των Αρχών.

      Στη Βουλγαρία, όπως τεκμηριώνει η παρούσα έρευνα, συχνά χρειάζεται και να « λαδώσουν » στην ελπίδα να μάθουν περισσότερα για τους δικούς τους.
      Τα 10 βασικά ευρήματα της έρευνας :

      1. Ο αριθμός όσων ταξίδεψαν παράτυπα μέσω Βαλκανίων για τη δυτική Ευρώπη το 2022 έφτασε στο ανώτατο σημείο από το 2015, με την Frontex να καταγράφει 144.118 παράτυπες διελεύσεις συνόρων.

      2. Ο αντίστοιχος αριθμός για το 2023 είναι μικρότερος (79.609 έως τον Σεπτέμβριο), αλλά παραμένει πολλαπλάσιος σε σχέση με το 2019 (15.127) και το 2018 (5.844).

      3. Η βαλκανική οδός είναι πιο επικίνδυνη από ποτέ : ελλείψει ενός κεντρικού σχετικού συστήματος καταγραφής, η πλατφόρμα Missing Migrants του Διεθνούς Οργανισμού Μετανάστευσης (ΔΟΜ) υποδεικνύει ότι το 2022 έχασαν τη ζωή τους ή κατέστησαν αγνοούμενοι περισσότεροι άνθρωποι ακόμη και από το 2015.

      4. Σύμφωνα με στοιχεία που συγκεντρώσαμε, τουλάχιστον 155 αταυτοποίητα πτώματα κατέληξαν σε έξι νεκροτομεία ενός τμήματος της βαλκανικής οδού, που περιλαμβάνει Βουλγαρία, Σερβία, και Βοσνία. Η πλειοψηφία των πτωμάτων (92) εντοπίστηκαν φέτος.

      5. Για το 2023, ο αριθμός εμφανίζει ήδη αύξηση κατά 46% σε σχέση με το 2022, και εκτοξεύεται σε ορισμένα νεκροτομεία.

      6. Κάποια νεκροτομεία της Βουλγαρίας (Μπουργκάς, Γιάμπολ) δυσκολεύονται να βρουν χώρο για τα σώματα των προσφύγων. Άλλα στη Σερβία (Λόζνιτσα) δεν διαθέτουν καθόλου χώρο.

      7. Η έλλειψη χώρου οδηγεί στην ταφή αταυτοποίητων σωμάτων εντός ημερών, σε τάφους αγνώστων στοιχείων. Αυτό σημαίνει πως καθίσταται πρακτικά αδύνατο για τις οικογένειες να μπορέσουν να ταυτοποιήσουν τους δικούς τους.

      8. Στη Βουλγαρία, οικογένειες μας είπαν πως αναγκάστηκαν να « λαδώσουν » εργαζομένους σε νοσοκομεία και νεκροτομεία, αλλά και συνοριοφύλακες, αναζητώντας τους ανθρώπους τους. Πηγές στο πεδίο επιβεβαιώνουν την πρακτική, η οποία καταγράφεται και σε ηχητικό αρχείο στην κατοχή μας.

      9. Στη Βοσνία, 28 άνθρωποι που εκτιμάται πως ήταν αιτούντες άσυλο έχουν ήδη χάσει τη ζωή τους στον ποταμό Ντρίνα φέτος, σε σύγκριση με μόλις πέντε το 2022 και τρεις το 2021.

      10. Γραφειοκρατία και έλλειψη κρατικού ενδιαφέροντος καταγράφεται πως δυσχεραίνουν τις προσπάθειες ταυτοποίησης νεκρών αιτούντων άσυλο.

      Νεκρός αλλά δεν ξέρει γιατί

      Τι κάνεις όταν ο μικρός σου αδερφός σου αγνοείται, και το δικό σου καθεστώς απαγορεύει να βρεθείς στο πεδίο για να τον αναζητήσεις ;

      Ο 29χρονος Ασματουλά Σεντίκι βρισκόταν στη δομή φιλοξενίας στο Γουόρινγκτον του Ηνωμένου Βασιλείου, όπου έχει αιτηθεί άσυλο, όταν συνταξιδιώτες του αδερφού του τον ενημέρωσαν πως ο 22χρονος Ραχματουλά πιθανόν να ήταν νεκρός.

      Λόγω του καθεστώτους του ως αιτούντα άσυλο, το Home Office δεν επέτρεψε στον Ασματουλά να επιστρέψει στη Βουλγαρία, την οποία είχε διασχίσει και ο ίδιος κατά το δικό του ταξίδι, για να αναζητήσει τον αδερφό του.

      Όταν ένας φίλος κατέστη δυνατό να πάει για λογαριασμό του, η βουλγαρική αστυνομία αρνήθηκε να δώσει οποιαδήποτε πληροφορία. Και το προσωπικό του νεκροτομείου ζήτησε 300 ευρώ για τον αφήσει να δει ορισμένα πτώματα, είπε ο Σεντίκι στα πλαίσια της παρούσας έρευνας.

      « Σε μια τέτοια κατάσταση, ο άνθρωπος πρέπει να βοηθάει τον άνθρωπο », πρόσθεσε. « Ξέρουν μόνο τα χρήματα. Δεν τους ενδιαφέρει η ανθρώπινη ζωή ».

      Κατάφερε να δανειστεί το ποσό που του ζήτησαν. Τον Ιούλιο του 2022, 55 ημέρες μετά την εξαφάνισή του αδερφού του, το νοσοκομείο του Μπουργκάς επιβεβαίωσε ότι ένα από τα σώματα στο νεκροτομείο ανήκε σε κείνον. Με ακόμη 3.000 ευρώ που δανείστηκε, μπόρεσε να επαναπατρίσει τον αδελφό του στους γονείς τους στο Αφγανιστάν.

      Αλλά έως και σήμερα, τον Ασματουλά κατατρώει μια σκέψη : δεν γνωρίζει πώς, δεν τον έχει ενημερώσει κανείς γιατί, πέθανε ο αδερφός του.

      Οι βουλγαρικές Αρχές δεν του έχουν δώσει τα αποτελέσματα της νεκροψίας, επειδή δεν έχει βίζα για να ταξιδέψει εκεί, λέει. « Είμαι σίγουρος ότι, όταν η αστυνομία τον βρήκε στο δάσος, θα τράβηξε κάποιες φωτογραφίες. Θέλω να δω πώς έμοιαζε τότε το σώμα του ».
      « Ούτε μια καταγγελία »

      Στα πλαίσια της παρούσας έρευνας των Solomon, Lighthouse Reports, RFE/RL, inews, ARD, και Der Spiegel, αρκετοί συγγενείς μας είπαν πως είχαν επίσης αναγκαστεί να « λαδώσουν » εργαζομένους στο νεκροτομείο του Μπουργκάς, προκειμένου να μπορέσουν να διαπιστώσουν εάν ανάμεσα στα νεκρά σώματα στους ψύκτες βρίσκονταν οι δικοί τους.

      Όταν ρωτήσαμε τη διοίκηση του νοσοκομείου εάν τέτοιου είδους πρακτικές ήταν σε γνώση της, η επικεφαλής του τμήματος ιατροδικαστικής του νοσοκομείου Μπουργκάς, Γκαλίνα Μίλεβα, είπε πως δεν έχει λάβει « ούτε μία αναφορά ή καταγγελία για κάποια τέτοια περίπτωση ».

      « Η ταυτοποίηση των πτωμάτων πραγματοποιείται αποκλειστικά και μόνο παρουσία αστυνομικού που διεξάγει την έρευνα και ιατροδικαστή », υποστήριξε. Απαντώντας σε σχετική ερώτηση, συμπλήρωσε πως δεν υπάρχει καμία νομική πρόβλεψη, με βάση την οποία εργαζόμενοι στο νεκροτομείο θα μπορούσαν να ζητήσουν χρήματα από τους συγγενείς γι’ αυτή τη διαδικασία.

      « Απευθύνουμε έκκληση αυτές οι καταγγελίες να απευθύνονται μέσω της επίσημης οδού σε εμάς και στις ανακριτικές αρχές. Εάν διαπιστωθεί η ύπαρξη τέτοιων πρακτικών, οι εργαζόμενοι θα λογοδοτήσουν », είπε.
      « Ζητούνται χρήματα σε κάθε βήμα της διαδικασίας »

      Άλλος συγγενής, η οικογένεια του οποίου στα τέλη του 2022 χρειάστηκε επίσης να μεταβεί στη Βουλγαρία για να αναζητήσει μέλος της, μας είπε πως αφού έδωσαν δίχως επιτυχία 300 ευρώ σε κάποιον στο νεκροτομείο για να τους επιτραπεί να κοιτάξουν τα νεκρά σώματα, χρειάστηκε να πληρώσουν και συνοριοφύλακες.

      Ήταν ο μόνος τρόπος να τους πάρουν στα σοβαρά, εξήγησε.

      Όταν ζήτησαν από τους συνοριοφύλακες να τους δείξουν φωτογραφίες ανθρώπων σε κίνηση που είχαν εντοπιστεί νεκροί, εκείνοι τους είπαν πως δεν είχαν χρόνο — όταν δέχθηκαν να τους δώσουν 20 ευρώ για κάθε φωτογραφία που θα τους έδειχναν, ο χρόνος βρέθηκε.

      Ο Γκεόργκι Βόινοφ, δικηγόρος του προγράμματος για πρόσφυγες και μετανάστες της Βουλγαρικής Επιτροπής του Ελσίνκι, επιβεβαίωσε πως οικογένειες θανόντων έχουν απευθυνθεί στην οργάνωση για περιπτώσεις στις οποίες νοσοκομεία ζήτησαν μεγάλα ποσά για να επιβεβαιώσουν πως τα σώματα των δικών τους βρίσκονταν εκεί.

      « Καταγγέλλουν ότι τους ζητούνται χρήματα σε κάθε βήμα της διαδικασίας », είπε.

      Πηγές από διεθνείς οργανισμούς, μεταξύ αυτών και από τον Ερυθρό Σταυρό Βουλγαρίας, επιβεβαίωσαν πως είχαν συναφή εμπειρία από συγγενείς τους οποίους είχαν υποστηρίξει, και οι οποίοι είχαν επίσης αναγκαστεί να καταβάλουν χρήματα σε νεκροτομεία και νοσοκομεία.

      « Καταλαβαίνουμε ότι αυτοί οι άνθρωποι είναι πολύ καταβεβλημένοι και πρέπει να πληρώνονται επιπλέον για όλη αυτή την επιπλέον δουλειά που κάνουν », σχολίασε στέλεχος του Ερυθρού Σταυρού Βουλγαρίας που μίλησε στην έρευνα υπό τον όρο ανωνυμίας.

      « Αλλά ας συμβαίνει αυτό με νόμιμο τρόπο ».

      * Στην έρευνα, που πραγματοποιήθηκε σε συντονισμό του Lighthouse Reports, συμμετείχαν οι Σταύρος Μαλιχούδης, Jack Sapoch, May Bulman, Maria Cheresheva, Steffen Ludke, Ivana Milanovic Djukic, Nicole Voegele, Jelena Obradović-Wochnik, Thom Davies, Arshad Isakjee, Doraid al Hafid, Anna Tillack, Oliver Soos, Klaas van Dijken, Aleksandar Milanovic, Camelia Ivanova, Pat Rubio Bertran.

      https://wearesolomon.com/el/mag/thematikh/metanasteush/dead-refugees-balkans

      #Loznica

    • Surge in refugee deaths in Balkans region where UK provides border force training

      InvestigationAlmost 100 people presumed to be migrants have died along one section of the route this year - a 46 per cent increase on the whole of 2022

      When he saw the photograph of his dead son, Hussam Adin Bibars collapsed to the floor. After three weeks of searching, he had found him – and his worst fears had been realised.

      The image, handed to him by a Bulgarian police officer, showed 27-year-old Majd Addin Bibars lying pale and lifeless on a patch of grass. “I fell down when I saw it,” Mr Bibars, 53, recalls. “I recognised him immediately … It was my son.”

      The Syrian father of five, who has refugee status and lives in Denmark, wanted to see Majd’s body for himself – but was told it had already been buried in an unmarked grave in a cemetery several miles away, four days after it was found.

      Majd had been travelling through Bulgaria from Turkey in the hope of reaching Germany, where he would be closer to his parents and hoped to later bring his pregnant wife and young daughter, Hanaa, to join him.

      He had been with a group of around 20 others embarking on the same, dangerous journey – but he stopped responding to texts and calls at the end of September. The smuggler leading the group informed Mr Bibars that Majd had fallen sick and the group had left him, the grieving father says.

      After 22 days searching for Majd from afar, Mr Bibars decided to spend the little money he had to travel to Bulgaria.

      After speaking to a staff member at a hospital near the Turkish border – with the help of a translator – he was directed to the local police station, where he was shown the photo of Majd’s lifeless body. He was told his son had died of thirst, exhaustion and cold – and that he had been buried.

      “We hear that Europe is the land of freedom, democracy and human rights – where are human rights if I can’t see my son before his funeral?” asks Mr Bibars. “All I saw was a grave, photos and his phone. That’s all I have of him.”

      Majd was one of many people who have died while travelling through the Balkans to reach Western Europe – and whose families are forced to undergo a painstaking process to find out what happened.

      Many making these fatal journeys had hoped to claim asylum in EU countries such as Germany and France, while others planned to try their luck on a small boat towards the UK, often due to existing family ties in the country. So far this year, Britain has received the fifth-highest number of asylum applications across Europe.

      There is no official data on the number of deaths, but an investigation by i, in collaboration with investigative bureau Lighthouse Reports, Der Spiegel, Solomon, ARD and RFE/RL Sofia, has found that the bodies of 92 people presumed to be migrants have been received across six morgues in border areas along one section of the route – spanning Bulgaria, Serbia and Bosnia – this year, a 46 per cent increase on the whole of 2022.

      Border security in these countries has been tightened in recent years, helped by funding from the EU and the UK. Britain has provided training and equipment to Bulgarian border police since 2020, and Rishi Sunak announced in October that his Government would form bilateral initiatives with Bulgaria and Serbia aimed at tackling organised crime linked to illegal migration.

      Migration experts have criticised these agreements, highlighting the risks attached to such cooperation given that border guards in these countries are known to have been involved in violations of international law, including pushbacks and other violence against people on the move.

      Use of violence by border police in the Balkans has increased, with officers in some areas – notably Bulgarian police operating near the Turkish border and Serbian police in northern Serbia – documented using violence against people trying to cross, and sometimes illegally forcing them back across borders.

      Instead of deterring people from making the journeys, it has led them to take longer and more dangerous routes to evade security forces – leading to more deaths.

      At the same time, the number of people being resettled under safe and legal routes in Europe has declined, with 79 per cent fewer relocated under UNHCR resettlement schemes in the UK last year than in 2019, and 17 per cent fewer across the EU.

      This investigation has found that many migrants have been buried in anonymous graves, sometimes within days – like Majd – due to lack of space in morgues, making it almost impossible for their families to locate them.

      Milen Bozhidarov, the prosecutor in Yambol, a Bulgarian city close to the Turkish border, said Majd’s funeral took place after four days in keeping with their procedure of carrying out burials of unidentified migrants “fast” to free up space in the morgue.

      “When we have unidentified body that was found in a place that gives us no other explanation except that the person is a migrant, and the suggestion is that the relatives are somewhere in the world and no one is getting in touch with us that day or on the next day, then there are no objective reasons why the body should be kept,” he added.

      Some family members have been forced to pay bribes to morgue staff to find out whether their loved ones’ bodies are held. i has heard testimony from several families saying they paid sums of cash ranging from €50 to €300 to staff at the morgue in Burgas, a Bulgarian city near the Turkish border, to see the bodies.

      The head of the Burgas morgue, Galina Mileva, said it had not received any complaints about such incidents and encouraged people to report such cases to the morgue’s management.

      The countries where these deaths occur, and Europe as a whole, are under growing pressure from politicians, NGOs and forensic experts to create a mechanism to help families searching for missing loved ones who have died on these journeys.

      Families face additional hurdles when they can’t travel due to their status or nationality. Asmatullah Sediqi, an Afghan asylum seeker in the UK, was prevented by UK Home Office rules from travelling to Bulgaria, where his 22-year-old brother Rahmatullah had gone missing presumed dead after crossing from Turkey.

      A friend went on his behalf, but Bulgarian police refused to provide any information, and morgue staff said he would need to pay them €300 to see any bodies, Mr Sediqi said.

      “They just know money. They don’t care about a human life,” he added.

      Mr Sediqi, 29, who lives in asylum accommodation in Warrington, borrowed money to pay the bribe. His friend established that one of the bodies in the morgue was Rahmatullah.

      By borrowing another €3,000 – putting him into heavy debt – Mr Sediqi paid a company to repatriate his brother’s body to his parents in Afghanistan. But he has had no information by the Bulgarian authorities on how Rahmatullah died.

      “They didn’t give us the results of the autopsy because I don’t have a visa to go there,” he says. “It’s very painful not knowing what happened to my brother.”

      Dr Vidak Simić, a pathologist in Bosnia who carries out autopsies on bodies found in the Drina River on the Serbian border, said the number of unidentified migrant bodies being brought to him for autopsy has surged in the past year.

      In 2023, he has examined the bodies of 28, compared with five last year and three in 2021. The vast majority remain unidentified and are buried in graves marked “NN” – an abbreviation for a Latin term for a person with no name.

      The doctor is working with a local activist to try to help families find missing loved ones, checking his autopsy files to see if any unidentified bodies match the description of missing people – but says a proper system is needed.

      “[Families] enter a painstaking process, through embassies, burial organisations, to obtain a bone sample, so that they can compare it with one of their family members,” he says. “Nobody is doing the work to connect families with those who have drowned.”

      EU human rights commissioner Dunja Mijatović described “inaction” among European countries to facilitate DNA matching and create a data collection procedure on migrant disappearances and deaths.

      Erik Marquardt, Green Party politician in the European Parliament, said the fact that countries such as Bulgaria are burying unidentified bodies within days suggested they “don’t want attention brought to these cases”.

      “We have to think about whether we can set up a database at an EU level that would oblige member states to clarify: who is this person’s child, who are the parents, how can they be reached? This is very important,” he added.

      Until then, the bodies of those who die escaping conflict will continue to pile up in morgues or be buried without a trace, leaving more families to endure an agonising process to find out they have died – or left in a perpetual state of uncertainty.

      A Home Office spokesperson said: “The UK and Bulgaria have a close law enforcement partnership. By working together we are able to bolster Bulgaria’s border security, tackle serious organised crime and immigration crime threats, and disrupt the business model of these criminal groups.

      “Individuals awaiting the outcome of their asylum claims in the UK are not permitted to travel abroad, but are provided with a range of support by the government.”

      https://inews.co.uk/news/world/surge-refugee-deaths-balkans-uk-training-border-forces-2785043

    • Almost 100 refugees died on their way through Bulgaria within the last two years

      According to a research by the ARD studio (https://www.tagesschau.de/ausland/europa/bulgarien-migranten-todesfaelle-100.html) in Vienna in cooperation with Lighthouse Reports (https://www.lighthousereports.com/investigation/europes-nameless-dead), Der Spiegel (https://www.spiegel.de/ausland/vermisste-fluechtlinge-auf-der-balkanroute-europas-namenlose-tote-a-5d0b55a7), RFE/RL (https://www.svobodnaevropa.bg/a/migranti-zaginali-bejanci/32708468.html), Solomon (https://wearesolomon.com/el/mag/thematikh/metanasteush/dead-refugees-balkans) and inews (https://inews.co.uk/news/world/surge-refugee-deaths-balkans-uk-training-border-forces-2785043) – which was published in the beginning of December 2023 – at least 93 people died on their way through Bulgaria in the last two years alone.

      The research team spoke with forensic pathologists in Bulgaria and people whose family members had gone missing or died on the route. The people on the run are usually dying because of exhaustion and cold on their route, which leads through mountains, bushes and the countryside. The last case was reported on the 27th of November 2023 by the Bulgarian authorities (https://orf.at/stories/3341237). Additionally there is a fence at the Bulgarian-Turkish border which was constructed already in 2013 and replaced and modified in the following years with a bigger one (https://bordermonitoring.eu/wp-content/uploads/2020/06/bm.eu-2020-bulgaria_web.pdf). Additionally to this numerous car accidents are happening regularly. Some of them are fatal (https://bulgaria.bordermonitoring.eu/2023/03/20/another-refugee-dies-on-the-streets-of-bulgaria).

      But not only the dangerous way is the problem for the people on the run, there is also the Bulgarian border police, which is accused of brutal Push-Backs. According to the Bulgarian Helsinki Committee only in 2022 almost 90.000 people where affected by #push-backs (https://ecre.org/2022-update-aida-country-report-on-bulgaria). Also young people with their families and unaccompanied minors are at risk to be push-backed, as the NGOs “Center for legal aid – Voice in Bulgaria“ and “Mission Wings“ found out, while conducting interviews in Turkey (https://www.tdh.de/fileadmin/user_upload/inhalte/04_Was_wir_tun/Themen/Weitere_Themen/Fluechtlingskinder/tdh_Bericht_Kinderrechtsverletzungen-an-EU-Aussengrenzen.pdf). For 2023 Interior Minister Kalin Stoyanov stated that that app 165,000 ‚illegal entry attempts‘ at the Bulgarian-Turkish were prevented (https://www.novinite.com/articles/222633/October+Sees+41+Decrease+in+Illegal+Migrants+in+Bulgaria).

      With regard to Bulgaria, the fundamental rights officer of the EU border protection authority Frontex became active in a total of seven internally reported cases regarding possible violations of fundamental rights, the authority said in response to a request from ORF (https://orf.at/stories/3341237). In the beginning of December 2023. All cases concern pushback allegations from Bulgaria to Turkey, a Frontex spokeswoman said. At least 232 Frontex officers were deployed in Bulgaria in 2023 (https://www.infomigrants.net/en/post/51259/exclusive-why-are-migrant-pushbacks-from-bulgaria-to-turkey-soaring).

      https://bulgaria.bordermonitoring.eu/2023/12/02/almost-100-people-died-on-their-way-through-bulgaria-withi

  • Prijelaz / #The_Passage — dedicated to our fallen comrades

    Od 14. do 21. svibnja 2021. godine u galeriji Živi Atelje DK u Zagrebu predstavljeno je spomen-platno Prijelaz / The Passage. Prijelaz / The Passage je zbirka memorijalnih portreta izrađenih od crvenog i crnog konca na botanički obojanoj tkanini koji su nastali u okviru umjetničkih istraživačkih radionica koje je osmislila i kurirala selma banich u suradnji s Marijanom Hameršak, a na kojima su sudjelovale umjetnice, znanstvenice, prevoditeljice i druge članice kolektiva Žene ženama i znanstveno-istraživačkog projekta ERIM.

    https://erim.ief.hr/en/publikacije/prijelaz-the-passage

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    THE PASSAGE — dedicated to our fallen comrades

    #Selma_Banich and #Marijana_Hameršak in collaboration with Women to Women collective

    Živi Atelje DK, Zagreb, 2021

    https://selmabanich.org/index#/the-passage
    #portraits #art_et_politique #migrations #réfugiés #asile #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #commémoration #mémoire #textile #Balkans #route_des_Balkans

  • Aumento di arrivi alle Canarie. Dall’inizio dell’anno più di 1.000 le persone disperse

    La principale causa è la repressione delle proteste in Senegal.

    A partire dallo scorso maggio 2023 il collettivo spagnolo Caminando Fronteras ha registrato un nuovo importante aumento di sbarchi alle isole Canarie dovuto principalmente alla situazione politica in Senegal, da dove partono la maggior parte delle imbarcazioni. Come sempre accade, proporzionalmente all’aumento di approdi, aumenta anche il numero di morti e dispersi. La risposta del governo spagnolo è la promessa di maggiore controllo sulle coste africane di partenza, mentre le strutture di “accoglienza” sono al collasso e non forniscono le condizioni minime di igiene e abitabilità.

    Secondo le ricerche di Caminando Fronteras le persone scomparse sono già più di mille dall’inizio dell’anno. Solo nel mese di giugno sono scomparse 3 imbarcazioni con oltre 300 persone a bordo. La maggior parte delle imbarcazioni che stanno raggiungendo le Canarie in questi mesi partono dal Senegal, a causa di una situazione politica sempre più tesa, che vive ora una fase particolarmente acuta.

    Migliaia di persone stanno protestando per la stretta autoritaria messa in atto dall’attuale presidente Macky Sall in vista delle prossime elezioni presidenziali che si terranno a febbraio 2024. Dalla fine di maggio in particolare, la situazione è peggiorata notevolmente e diverse organizzazioni senegalesi per la protezione dei diritti umani hanno denunciato arresti di massa che stanno colpendo anche un gran numero di adolescenti.

    La repressione è molto dura, attualmente si contano circa due mila arresti e 16 persone uccise durante le proteste. Tra le persone detenute si contano anche numerosi minori, motivo per cui negli ultimi due mesi, il numero di bambini e adolescenti che viaggiano sui cayucos è aumentato, rappresentando in alcuni casi fino al 40% delle persone che scelgono di partire a bordo di queste tradizionali imbarcazioni da pesca. Anche donne e intere famiglie stanno iniziando a imbarcarsi in misura sempre maggiore.

    Le autorità spagnole concentrano la loro azione sugli arrivi, ma non sulla pericolosa rotta che divide il Senegal dalle Canarie, attualmente quella che provoca più morti. Il viaggio da Kafountine, in Senegal, al Hierro, l’isola delle Canarie più vicina, può durare anche due settimane. Si tratta di un viaggio molto lungo, in cui le persone sono esposte alle forti correnti dell’oceano, alle condizioni meteorologiche avverse e alla possibilità di imprevisti o guasti al motore. Per queste ragioni la rotta verso le Canarie continua ad affermarsi come una delle più pericolose e con il più alto tasso di mortalità.

    L’azione statale rispetto al soccorso e alla ricerca dei dispersi presenta grosse falle, dal momento che non esiste nessun protocollo per la ricerca dei dispersi in mare e che le operazioni di salvataggio risultano attraversate e ostacolate dalle politiche razziste implementate dal governo spagnolo. Dal 2018 esiste infatti un protocollo specifico per il salvataggio delle persone che naufragano a bordo delle pateras, diverso dal protocollo di salvataggio per il resto delle persone che si trovano a rischio in mare.

    Questo protocollo è fortemente deficitario in termini di mezzi e di azione, ciò obbliga gli operatori e le operatrici di Salvamento marítimo a una differenziazione di tipo razzista nelle operazioni di salvataggio. Molte morti si sarebbero potute evitare, per esempio, se si fossero attivati i mezzi di soccorso nel momento dell’avvistamento delle imbarcazioni invece di aspettare che queste naufragassero. Queste gravi mancanze nel soccorso e nella ricerca dei dispersi non sono un caso, bensì una precisa strategia per tentare di invisibilizzare questa situazione nel discorso pubblico e il governo la mette in atto impunemente, sulla pelle di migliaia di persone che potevano invece essere salvate, la cui vita viene considerata niente più che una moneta di scambio per le proprie esigenze politiche.

    Anche una volta arrivate le persone continuano a essere oggetto di razzismo e maltrattamento istituzionale. A El Hierro, dove sta arrivando la maggior parte di persone in questi mesi, i mezzi per gestire l’accoglienza sono scarsi. Le persone vengono trattenute sulle darsene dei porti, in spazi sovraffollati e in cui le condizioni di vita sono ridotte al minimo. Anche i lavoratori e le lavoratrici delle ONG hanno denunciato la difficile situazione, soprattutto durante le ondate di caldo, in cui le persone sono state costrette a permanere diversi giorni sedute sul cemento in attesa di essere identificate e trasferite in altre isole.

    A tutta questa situazione il governo risponde attraverso la solita retorica del bisogno di un maggiore controllo migratorio. Le misure promesse dal ministro dell’interno Marlaska, riconfermato dopo le ultime elezioni, comprenderebbero anche un aereo della Guardia Civil che sorvoli costantemente le coste africane per identificare le partenze. Questo controllo non sarebbe funzionale ad attività di soccorso, come dimostrano i numerosi casi di omissione di soccorso da parte delle autorità spagnole denunciati da Caminando Fronteras, di cui uno documentato il 20 giugno scorso dall’emittente radio CadenaSER 1.

    Una volta in più assistiamo a come le politiche di controllo, non potendo fermare le migrazioni, siano solamente un dispositivo funzionale alla criminalizzazione e al confinamento delle persone migranti, e di come si rivelino uno strumento di violenza che provoca ogni anno la morte di migliaia di persone che potevano invece essere salvate. I tentativi di insabbiamento di queste morti da parte del governo spagnolo dimostrano la disumanità con cui vengono gestite le frontiere e l’opportunismo politico con cui i governi europei rigirano a proprio favore queste tragedie, di cui sono i responsabili, per mettere in campo nuovi strumenti per la persecuzione delle persone migranti.

    1. Está dentro de la zona SAR nuestra”: la SER accede a las grabaciones de Salvamento Marítimo del último naufragio en la ruta canaria, Cadenaser (22 giugno 2022): https://cadenaser.com/nacional/2023/06/22/esta-dentro-de-la-zona-sar-nuestra-la-ser-accede-a-las-grabaciones-de-sal

    https://www.meltingpot.org/2023/11/aumento-di-arrivi-alle-canarie-dallinizio-dellanno-sono-gia-piu-di-1-000

    J’avais loupé ce protocole raciste:

    Dal 2018 esiste infatti un protocollo specifico per il salvataggio delle persone che naufragano a bordo delle pateras, diverso dal protocollo di salvataggio per il resto delle persone che si trovano a rischio in mare.

    Questo protocollo è fortemente deficitario in termini di mezzi e di azione, ciò obbliga gli operatori e le operatrici di Salvamento marítimo a una differenziazione di tipo razzista nelle operazioni di salvataggio.

    –-> deepl translation:

    « En effet, depuis 2018, il existe un protocole spécifique pour le sauvetage des naufragés à bord des pateras, qui diffère du protocole de sauvetage du reste des personnes en danger en mer.

    Ce protocole est gravement déficient en termes de moyens et d’action, ce qui oblige les opérateurs du Salvamento marítimo à une #différenciation_raciale dans les opérations de sauvetage. »

    #route_atlantique #asile #migrations #réfugiés #Canaries #îles_Canaries #statistiques #chiffres #Sénégal #répression #Caminando_Fronteras #Macky_Sall #cayucos #Kafountine #Hierro #mourir_en_mer #frontières #morts #décès #mortalité #secours #pateras #Salvamento_marítimo #racisme #sauvetage_différencié #contrôles_frontaliers