• Directeurs, #comptez_vos_morts !

    Comptez vos morts. Chaque jour. C‘est la #consigne envoyée par le Dasen des #Bouches_du_Rhône aux directeurs d’école du département. Le Snuipp 13 demande le retrait de cette consigne. D’autant que la préparation de la rentrée dans le département n’améliore pas l’optimisme.

    « Madame la directrice, monsieur le directeur, comme chaque jour depuis le début de la crise, une remontée d’informations concernant votre école est demandée… Je vous demande de faire remonter le document word prévu pour 10h au plus tard. Vous voudrez bien rajouter les renseignements suivants : nombre de personnel Education nationale… présent à l’école, en télétravail. Nombre de personnel hospitalisé atteint du Covid-19, #décès #personnel Education nationale enseignant et hors enseignant ».

    Rendue publique par le Snuipp13 (http://13.snuipp.fr), cette circulaire du dasen des Bouches du Rhône a choqué les enseignants encore à leur poste, notamment ceux qui accueillent les enfants de soignants sans gel, parfois sans savon et bien sur sans masque. Le Snuipp dénonce « un très grave manque de #décence et de respect envers les personnels ».

    Elle arrive au moment où le Dasen maintient les opérations de carte scolaire (à distance) et où la dotation de 70 postes du département est insuffisante pour assurer les dédoublements en GS en Rep+. Il n’aura lieu que dans une partie des écoles bien que de nombreuses fermetures de classe soient décidées. Les TPS font particulièrement les frais du manque de postes.

    http://www.cafepedagogique.net/LEXPRESSO/Pages/2020/03/25032020Article637207182457458288.aspx
    #écoles #éducation_nationale #recensement #austérité #fermeture

  • Corpi e recinti. Estetica ed economia politica del decoro

    Le politiche per il decoro occupano da qualche tempo una posizione di punta nelle strategie per il governo dei comportamenti e delle diseguaglianze sociali. Apparentemente il divieto di stendere il bucato alle finestre o di coricarsi sulle panchine di un parco sembrerebbe rinviare al confine tra le prerogative del giudizio estetico e i problemi di ordine morale, ma osservate più da vicino tutte queste proibizioni si rivelano il prolungamento della guerra ai poveri e delle politiche migratorie con altri mezzi. Quelle che il decoro bandisce sono le impronte urbane della classe e della razza, la memoria vivente di una città sufficientemente porosa da lasciar intravvedere gli aspetti meno neutrali del paesaggio connaturato al potenziamento della rendita e del profitto. Delle pessime ragioni della pubblica decenza, dunque, è possibile tratteggiare un’economia politica che attraverso la formazione ottocentesca dei quartieri operai in Inghilterra, l’urbanistica coloniale di Algeri, gli uffici di collocamento nella Berlino degli anni Trenta, l’Italia delle migrazioni interne, gli Stati Uniti della tolleranza zero e i centri deputati allo smistamento dei migranti non ha mai smesso di assegnare allo spazio il compito di molestare e colpevolizzare le vite degli sconfitti. Ma il senso di queste molestie emerge in tutta evidenza attraverso l’analisi di quanto accade sui boulevard del Secondo Impero, dove all’allontanamento dei soggetti sgraditi dovevano innanzitutto corrispondere la produzione dei bisogni, i desideri e l’esperienza corporea dei soggetti conformi. Le politiche per il decoro, allora, si potrebbero definire forme di «recinzione percettiva», misure di intervento sulla realtà percepita che delle vecchie enclosure trattengono la valenza sia predatoria che disciplinare, alimentando la percezione dell’insicurezza.


    http://www.ombrecorte.it/more.asp?id=607&tipo=novita
    #livre #anti-SDF #decoro (que je ne sais pas bien comment traduire en français: #décence #décorum #bienséance...) #esthétique #villes #urban_matter #anti-pauvres #géographie_urbaine #morale #bancs #guerre_aux_pauvres #corps
    ping @albertocampiphoto @wizo

    • Città indesiderabili come dispositivi che assimilano per esclusione

      La miseria dà spettacolo. Il suo allontanamento, anche coatto, è parte dello spettacolo attorno al quale si riunisce una popolazione alienata, isolata, indebolita, stanca, se non impaurita.
      All’opera è quella che il geografo Neil Smith ha chiamato, negli anni ‘90 del secolo scorso, la città revanscista, ossia una città che richiede e attiva politiche di pulizia spaziale per allontanare le condizioni e le figure sociali del disordine: gli intollerabili, gli inappropriati, emblematicamente rappresentati dalle persone che vivono per strada, senzatetto.

      SIAMO NELL’ORDINE, estetico oltre che sociale e politico, della città punitiva, la quale costruisce recinzioni e, insieme, asseconda il risentimento. Si tratta di una città assoggettante, che esclude, vuole escludere, si impegna a escludere, tutto ciò che non rientra nel canone della conformità, in cui per conformità si devono intendere il consumo e la buona educazione del consumare.
      Un libro da leggere Corpi e recinti. Estetica ed economia politica del decoro, scritto da Pierpaolo Ascari, professore a contratto di estetica all’università di Bologna, e pubblicato da ombre corte (pp.134, euro 13), proprio perché ci fa entrare dentro l’attualità e la storia della costruzione della città armoniosa secondo i codici del buon consumo. È la città priva di fastidi sociali quella in cui ci stiamo costringendo a vivere. È la città del decoro, il cui abitante legittimo è il buon consumatore, che non vuole turbolenze né politiche né estetiche, ma vuole solo spendere in pace.

      LO SPAZIO E I LUOGHI sono pensati e costruiti secondo tali sentimenti e richieste, depoliticizzando la povertà, le disuguaglianze e il conflitto, definiti come elementi indecorosi, antipatici, se non proprio osceni, e nemici della buona convivenza e sicurezza collettiva. E sono costruiti secondo tali sentimenti e richieste in maniera apparentemente non conflittuale, «mimetizzandosi nel buon gusto e nella decenza di tutti». D’altronde, chi può affermare di essere contro il decoro? Si può essere a favore di una città indecorosa? O insicura?

      SIAMO, DUNQUE, immersi nella città del decoro, definito da Ascari come un «dispositivo che assimila per esclusione». Questo tipo di città non è di oggi; ha una lunga storia, le cui tracce si ritrovano già nel governo dei boulevard parigini nell’800, così come nella formazione delle città industriali inglesi e nelle città coloniali. Questa storia arriva fino a oggi, entrando nella cronaca quotidiana e nelle pratiche amministrative delle ordinanze e delibere comunali. È la storia di quella che Ascari definisce città postcoloniale, da comprendere in combinazione con il concetto di città punitiva.

      LA CITTÀ POSTCOLONIALE è caratterizzata dalla «sopravvivenza dei vecchi progetti imperiali nella strutturazione o nella produzione dell’attuale spazio europeo e nordamericano». Tali progetti, nel rapporto di dominazione tra occupanti e occupati, si fondano sulla doppia funzione di raggruppamento e detenzione del campo, secondo la logica costitutiva di ogni colonizzazione, come spiegato dai citati Joël Kotek e Pierre Rigoulot nel libro Il Secolo dei campi. Questo tipo di progetto si estende ai corpi dei colonizzati, i quali, come analizzato da Frantz Fanon, sono in permanente tensione. Nella stessa condizione, di continua attivazione, sono i corpi degli «espellibili» (gli immigrati) e i corpi degli indesiderati e dei membri delle nuove classi pericolose, oggetti privilegiati delle politiche di decoro, come mostrato, ad esempio, dai lavoratori ambulanti stranieri, sempre pronti a difendersi o nascondere la merce, anche quando titolari, come in quasi tutti i casi, di regolari licenze per la vendita.

      CORPI IN TENSIONE e corpi estetizzati sono quelli di chi è bersaglio privilegiato delle politiche di decoro, i quali devono essere ubbidienti anche sul piano estetico. Essi devono rispondere e corrispondere ad un sistema di segni e stili, altrimenti vengono trasformati nell’oggetto della repressione percettiva e, se necessario, della repressione amministrativa e di polizia.
      Questo accade «perché nella città postcoloniale e punitiva del decoro, qualunque interferenza alla chiusura in un sistema di segni, dalla povertà al writing, viene perseguita in quanto crimine di stile», secondo l’interpretazione di Sarah Nuttall e Achille Mbembe, tra i riferimenti di un libro ricco, alimentato dalla lettura e dall’uso critico di strumenti di analisi fondamentali.

      https://ilmanifesto.it/citta-indesiderabili-come-dispositivi-che-assimilano-per-esclusione
      #exclusion

  • L’accueil, la circulation et l’installation des migrants

    La question des migrants, de leur circulation, de leur installation et de leur parcours résidentiel, lorsqu’il a lieu, intéresse le #territoire. Elle l’intéresse non pas seulement en vertu des pouvoirs de police qui s’exercent en son nom mais en raison des enjeux proprement territoriaux qui s’y jouent et le constituent. Les établissements humains, quelle qu’en soit la forme -du campement au lotissement, du village à la métropole- sont le produit de ces flux, légaux et illégaux, qu’ils soient souhaités ou non. Phénomène historique établi (le patrimoine matériel et immatériel des villes en témoignent), ce processus se renouvelle sous les effets combinés des guerres, des crises économiques, du partage inégal des richesses et, demain, des effets du changement climatique.

    Des villes accueillent aujourd’hui ces migrants et exilés. Elles le font de façon volontariste parfois, tentant d’assumer la part d’#hospitalité constitutive de toute organisation humaine qui place les droits de l’individu au fondement de leur constitution. Elles le font de façon contrainte et « à reculons » également, laissant alors l’arbitraire s’installer, jetant un #voile_d’ignorance sur une #gestion_autoritaire des flux conduisant alors à la #violence et à l’#indignité. Entre les deux, des #pratiques s’inventent et des installations temporaires engagées sous le sceau de la #précarité se consolident. Des #solidarités voient le jour et des formes d’#urbanité émergent aux marges des villes, dans leurs #interstices ou dans les infrastructures d’urgence les plus éloignées en apparence de ce qui constitue les bases de la condition urbaine : le #droit_d’habiter et de circuler à sa guise.

    Il n’est pas question ici de porter un jugement sur la conduite des hommes et des femmes ou même des sociétés engagées dans ces processus mais d’examiner les conditions par lesquelles un territoire peut faire place à ces flux et faire droit aux hommes et aux femmes qui les composent : comment passer de l’#indécence à la #décence, de l’#illégal au #toléré, du #campement à la #ville, de la #fuite au #projet, bref comment reconnaître dans des situations que chacun pourra trouver inacceptables à l’aune de ses propres critères, la possibilité d’une #alternative satisfaisante du point de vue du #droit de ceux qui migrent comme de ceux qui demeurent, de ceux qui circulent comme de ceux qui s’installent, de ceux qui craignent pour leur identité comme de ceux qui craignent pour leur vie.

    http://www.urbanisme-puca.gouv.fr/spip.php?page=article_print&id_article=1299
    #migrations #asile #accueil #villes #villes-refuge

    Ajouté à la métaliste sur les villes-refuge :
    https://seenthis.net/messages/759145

    ping @isskein @karine4

    • Villes et #réseaux_de_villes face à la question migratoire

      La période contemporaine est marquée par un processus, inédit par son ampleur et sa profondeur, de mondialisation économique, politique, culturelle, environnementale. Cette « troisième mondialisation » contribue à la mutation du rapport des sociétés à un espace désormais planétarisé. Face visible de cette mutation, la récente « crise des migrants » renvoie à une transformation profonde de la donne géopolitique planétaire susceptible d’affecter durablement le développement urbain. Dans ce contexte, certaines municipalités européennes lancent des initiatives collectives au sein de réseaux de villes pour promouvoir une #politique_d’accueil et d’intégration des demandeurs d’asile. Ces initiatives ouvrent un vaste chantier de recherche. Un chantier que l’action de recherche s’attachera à éclairer, en prenant comme objet d’analyse les réseaux transnationaux de villes, et en s’intéressant à la manière dont les #gouvernements_urbains se saisissent (ou non) de ces réseaux pour construire et institutionnaliser une #politique_locale pour répondre à la question migratoire.

      L’action de recherche, menée par le Laboratoire UMR 5206 Triangle en partenariat avec le PUCA, s’organise autour de 2 axes d’investigation :

      – le premier axe consacré à la façon dont les réseaux de villes se saisissent de la thématique migratoire. Il s’agit de comprendre la façon dont ces acteurs collectifs travaillent pour s’imposer à l’échelle communautaire. Comment les villes prennent-elles part aux réflexions menées par les institutions européennes sur les politiques migratoires, en considérant aussi bien les enjeux d’intégration que d’accueil ? De quelle manière les villes envisagent-elles collectivement leur rôle dans l’architecture des politiques européennes d’immigration et d’intégration ? En quoi cet investissement donne-t-il à voir la manière dont les villes participent à catégoriser les populations migrantes dans l’espace européen ?

      – le deuxième axe porte sur les effets de la participation des villes à ces réseaux de villes européens. L’objectif ici est de saisir concrètement l’appropriation par les acteurs urbains de leur investissement sur la scène européenne et de leurs effets sur l’action publique locale envisagée. Cet axe de questionnement est aussi l’occasion d’interroger d’autres espaces régionaux comme le Canada. Par ailleurs, en considérant la ville comme un acteur collectif, il s’agit de réfléchir aux positionnements d’acteurs locaux non municipaux, tels que les associations ou les acteurs économiques dans ces politiques d’accueil organisées par les décideurs publics locaux.

      http://www.urbanisme-puca.gouv.fr/villes-et-reseaux-de-villes-face-a-la-question-a1219.html
      #réseau

    • La ville accueillante - Accueillir à #Grande-Synthe. Question théoriques et pratiques sur les exilés, l’#architecture et la ville

      Comment répondre aux défis posés aux villes par les migrations ? Quelles solutions architecturales et urbaines proposer quand les manières actuelles de fabriquer la ville semblent ne pas savoir répondre aux problématiques de l’accueil, pour tous les « indésirables » des villes : Migrants, SDFs, Roms… ?
      La Ville Accueillante est un projet de recherche-pédagogie-action qui s’est mis en place à partir de l’expérience de Grande-Synthe entre 2015 et 2017, quand la Mairie, Médecins Sans Frontières et de nombreuses associations ont tenté de mettre en place une réponse coordonnée à cette crise de l’accueil.
      Partant d’une analyse poussée de ce qui s’y est joué, ainsi que de retours d’expériences faits dans des villes du monde entier, des scénarios et des pistes de solutions sont alors proposés pour aller dans le sens d’une pensée architecturale et urbaine de l’accueil : la Ville Accueillante.

      http://www.urbanisme-puca.gouv.fr/la-ville-accueillante-accueillir-a-grande-synthe-a1439.html

  • https://www.franceculture.fr/emissions/les-chemins-de-la-philosophie/george-orwell-what-else-24-apologie-de-la-decence-ordinaire

    « George Orwell, what else ? (2/4) Apologie de la décence ordinaire »

    Dans un foyer ouvrier – je ne parle pas ici des familles de chômeurs, mais de celles qui vivent dans une relative aisance – on respire une atmosphère de chaleur, de décence vraie, de profonde humanité qu’il n’est pas si facile de retrouver ailleurs. Je dirais même qu’un travailleur manuel, à condition qu’il ait un emploi stable et un bon salaire – condition qui se fait de plus en plus précaire – a beaucoup plus de chances d’être heureux qu’un homme qui a « fait des études ». La vie qu’il connaît parmi les siens semble plus naturellement encline à prendre une orientation saine et harmonieuse. J’ai souvent été frappé par l’impression de tranquille plénitude, de parfaite symétrie si vous préférez, que dégage un intérieur ouvrier quand tout va bien. En particulier l’hiver, après le thé du soir, à l’heure où le feu luit doucement dans le fourneau de cuisine et se reflète dans le garde-feu d’acier, à l’heure où le père, en manches de chemise, se balance dans son rocking-chair en lisant les résultats des courses, tandis que la mère, lui faisant pendant de l’autre côté de l’âtre, fait de la couture – les enfants qui se régalent de trois sous de bonbons à la menthe et le chien qui se rôtit doucement sur le tapis de chiffons… C’est un endroit où il fait bon vivre, à condition de n’être pas là juste physiquement, mais aussi moralement.

    #décence_ordinaire #orwell #audio #radio

  • Dans l’ambiance actuelle, l’intelligence collective, l’#auto-organisation et la #solidarité spontanée sont les seuls points d’accroche pour faire tomber les velléités vengeresses guerrières.
    La fenêtre pour faire entendre raison au gouvernement est toute petite, on va avoir besoin d’un grand mouvement pacifiste basé sur ces valeurs.
    (relevé sur twitter, https://twitter.com/feeskellepeut/status/665853548555583488 et suivants)
    #attentats

    on a évité le pire. la souricière du stade contenait 80000 personnes, si ces gens avaient bougé ensemble
    on aurait eu un bilan trois fois plus lourd ne serait ce que par le mouvement de foule, sans mm parler du piège dehors.
    si ça ne s’est pas produit c’est pas parce qu’on a une super armée c’est parce que plein de gens dans ce stade ont pigé et pris sur eux.
    l’orga du stade a géré, les footeux (qui sont kamême pas assez cons pour pas piger qu’une extraction de président ça pue^^) ont continué, le public a pas fait le con (c’est pas les stadiers qui les auraient retenus vu le nombre), bref une sorte de « nous » a été au level.
    le même « nous » collectivement diffus a été au niveau aussi pour mettre des gens à l’abri, éviter un mvt de foule dans les rues. le même « nous » est encore actif aujourd’hui pour les recherches des victimes. c’est ça qui est rassurant et qu’on peut dire à nos enfants.
    moi ce que je dis à mes enfants c’est « personne n’a merdé. ce qui ne pouvait pas être évité a eu lieu mais personne n’a aggravé , c’est important ». au delà de la sécurité en uniforme il y a celle du groupe social qui s’est mise en place toute seule, spontanément. il y en a qui auraient voulu nous faire croire qu’en pareil cas on serait tous des chiens les uns pour les autres.
    un nombre considérable de personnes a démontré juste le contraire. les initiatives populaires ont été nombreuses.
    les jeunes ont organisé leurs réseaux sociaux, les taxis ont éteint les compteurs, les stadiers ont géré comme des oufs, les commerçants ont ouvert leurs portes et abrité au mieux, des blessés en ont évacué d’autres, et tout ça s’est fait sans aucun ordre ni aucune hiérarchie.
    c’est environ le seul point d’accroche pour faire tomber les velléités vengeresses guerrières blabla qui aggraveront juste les choses.

    #psychologie_sociale #entraide #décence #common_decency (en voilà une illustration)

  • Opinion de Alessandro Pelizzari | Tragédie de l’asile : la nécessaire insurrection de la décence
    http://www.asile.ch/vivre-ensemble/2015/08/20/opinion-de-alessandro-pelizzari-tragedie-de-lasile-la-necessaire-insurrection-

    En guise de réponse à l’opinion de Philippe Barraud « Ces collectifs qui dansent sur le ventre des autorités », le syndicaliste Alessandro Pelizzari plaide pour qu’en ces temps sombres, ceux qui n’ont pas le courage de les dénoncer aient au moins la décence de se taire face à ceux qui se battent pour les changer.

    #Documentation #Publications_-_Analyses_récentes

  • Orwell et la « common decency »
    http://www.pileface.com/sollers/spip.php?article753

    « On ignore trop souvent que c’était au nom du socialisme qu’il [Orwell] avait mené sa lutte antitotalitaire, et que le socialisme, pour lui, n’était pas une idée abstraite, mais une cause qui mobilisait tout son être, et pour laquelle il avait d’ailleurs combattu et manqué se faire tuer durant la guerre d’Espagne. »
    Simon Leys, Orwell ou l’horreur de la politique, 1984.
    « Si Orwell plaidait pour qu’on accorde la priorité au politique, c’était seulement afin de mieux protéger les valeurs non politiques. »
    Bernard Crick, Orwell, une vie.

    #Orwell #Michéa #CommonDecency

    • Or c’est bien en ce sens qu’Orwell parlait de « société décente ». Il entendait désigner ainsi une société dans laquelle chacun aurait la possibilité de vivre honnêtement d’une activité qui ait réellement un sens humain.

    • Note : Orwell avait d’ailleurs sur la question une position ouverte et pragmatique. « Il est vain de souhaiter, dans l’état actuel de l’évolution du monde — écrit-il ainsi dans Le Lion et la Licorne — que tous les êtes humains possèdent un revenu identique. Il a été maintes fois démontré que, en l’absence de compensation financière, rien n’incite les gens à entreprendre certaines tâches. Mais il n’est pas nécessaire que cette compensation soit très importante. Dans la pratique, il sera impossible d’appliquer une une limitation des gains aussi stricte que celle que j’évoquais. Il y aura toujours des cas d’espèce et des possibilités de tricher. Mais il n’y a aucune raison pour qu’un rapport de un à dix ne représente pas l’amplitude maximum admise. Et à l’intérieur de ces limites, un certain sentiment d’égalité est possible. Un homme qui gagne trois livres par semaines et celui qui en perçoit mille cinq cent par ans peuvent avoir l’impression d’être des créatures assez semblables [can feel themselves fellow creatures] ce qui est inenvisageable si l’on prend le duc de Westminster et un clochard de l’Embankment. »Essais, Articles, Lettres, vol. 2, éditions Ivrea

    • Dans son Essai sur le don, Mauss en a d’ailleurs dégagé les conditions anthropologiques universelles : le principe de toute moralité (comme de toute coutume ou de tout sens de l’honneur) c’est toujours — observe-t-il — de se montrer capable, quand les circonstances l’exigent, de « donner, de recevoir et de rendre ».

      Note : Si on accepte de voir dans la morale commune moderne (ou common decency) une simple réappropriation individuelle des contraintes collectives du don traditionnel (tel que Marcel Mauss en a dégagé les invariants anthropologiques) on pourra assez facilement en définir les maximes générales : savoir donner (autrement dit, être capable de générosité) ; savoir recevoir (autrement dit, savoir accueillir un don et non comme un dû ou un droit ; savoir rendre (autrement dit, être capable de reconnaissance et de gratitude). On pourra également en déduire les fondements moraux de toute éducation véritable (que ce soit dans la famille ou à l’école) : ils se résumeront toujours, pour l’essentiel) à l’idée qu’à l’enfant humain tout n’est pas dû (contrairement à ce qu’il est initialement porté à croire) et qu’en conséquence, il est toujours nécessaire de lui enseigner, sous une forme compatible avec sa dignité, que le monde entier n’est pas à son service (sauf, bien entendu, si le projet explicite des parents est de faire de leur enfant un exploiteur ou un politicien — ou, d’une manière plus générale, un manipulateur et un tapeur). Il suffirait, d’ailleurs, d’inverser ces principes socialistes pour obtenir automatiquement les axiomes de toute éducation libérale (et notamment l’idée décisive que l’enfant doit être placé en permanence au centre de tous les processus éducatifs).

    • @eoik, je t’en prie. Si tu regarde à #michéa ici tu en sauras davantage quant à ses positions, avec des avis contradictoires à leur sujet. Comme bien d’autres, j’aime beaucoup certains textes d’Orwell (qui a eu plusieurs vies et soutenu des positions forts ... diverses) dont Hommage à la Catalogne

      qui est téléchargeable là
      http://radicatheque.over-blog.com/2013/08/ebook-hommage-à-la-catalogne-george-orwell.html

    • Ah, chance. Je m’en vais me télécharger ça tout de suite ! Merci @colporteur.

      Je viens de finir Orwell ou l’horreur de la politique de Simon Leys. L’Orwell qu’il présente m’est très sympathique (je n’ai que de lointains et scolaires souvenirs d’Animal Farm et de 1984) mais il ne parle pas du tout de la « Common Decency » et je m’interroge sur son origine.

      Oui, j’ai parcouru #Michéa : très intéressant, en effet.

  • #Michéa répond aux chasseurs de sorcières | Causeur
    http://www.causeur.fr/michea-antifascisme-orwell-31251.html

    Si tant d’universitaires de gauche m’attribuent spontanément une vision aussi platonicienne du peuple – je laisse évidemment de côté le cas des falsificateurs professionnels – c’est, en général, parce qu’ils ne parviennent toujours pas à comprendre que l’idée orwellienne selon laquelle les « gens ordinaires » (à la différence des élites) restent encore globalement attachés – dans leur vie quotidienne – aux principes minimaux de la « décence commune » n’implique en rien que leur conscience politique ne puisse être simultanément aliénée. On peut assurément être « quelqu’un de bien » – c’est-à-dire loyal et généreux dans ses rapports avec ses proches – tout en souscrivant, par ailleurs, au culte de la « croissance » et de la consommation, en absorbant naïvement tous les discours officiels sur la « nécessité » des réformes libérales, voire en entretenant sur des cultures plus lointaines un certain nombre de préjugés ethnocentriques. Tout ce qu’on peut dire – et Orwell ne disait rien de plus –, c’est qu’un mouvement politique qui tournerait ostensiblement le dos (que ce soit au nom de son « relativisme culturel », de l’idée que « le monde bouge » ou de la croyance selon laquelle « la fin justifie les moyens ») à l’idée populaire qu’« il y a des choses qui ne se font pas » – comme, par exemple, manquer à sa parole ou aux devoirs élémentaires de l’amitié – finira toujours, tôt ou tard, par trahir la cause du #peuple.

    #décence-ordinaire

  • Après avoir (rapidement) exploré le thème #orwell, je me suis dit que cet interview de Jean-Jacques Rosat (éditions Agone) qui date de 2009 et que j’ai exhumé l’autre jour de mes archives pourrait peut-être intéresser quelqu’un :

    Orwell, Agone et la décence commune - Métaphores
    http://www.brunocolombari.fr/Orwell-Agone-et-la-decence-commune

    Savez-vous comment j’ai découvert Orwell ? J’ai commencé à le lire à 35 ans. C’est un élève qui me l’a fait découvrir, en cours de philo. J’avais l’idée que c’était un truc dans le genre Le meilleur des mondes, ça ne m’intéressait pas. J’ai découvert que c’était un très grand roman politique et philosophique sur la vérité, le langage, la mémoire, le pouvoir. Très vite, j’ai fait lire 1984 à mes élèves, j’ai fait des cours en m’en servant.

    Je viens de lire le blog de Enoga, et j’en apprends de belles sur les éditions Agone... Apparemment ce n’était pas encore comme ça en 2009 au moment où cet entretien a été fait.
    http://enoga.wordpress.com

    #george-orwell #décence_commune #agone

  • Bruce Bégout : « Les exemples de l’indécence sociale sont multiples, quotidiens, gigantesques »
    http://www.article11.info/?Bruce-Begout-Les-exemples-de-l

    Toujours, revenir à Orwell. L’écrivain anglais n’a pas seulement livré une œuvre romanesque passionnante. Mais a aussi analysé avec une rare clairvoyance les problèmes politiques de son temps - et du nôtre. Dans De La Décence ordinaire (2008), Bruce Bégout revenait sur la pensée d’Orwell, analysant une part méconnue et très contemporaine de son œuvre. On a voulu en savoir plus. (...) Source : Article11