• Il nuovo volto del #water_grabbing e la complicità della finanza

    Fondi pensione e società di private equity investono sulla produzione di colture di pregio, dai piccoli frutti alle mandorle, che necessitano abbondanti risorse idriche. Il ruolo del fondo emiratino #Adq che ha acquisito l’italiana #Unifrutti.

    Per osservare più da vicino il nuovo volto del water grabbing bisogna andare nella regione di Olmos, nel Nord del Perù, dove il Public sector pension investment board (Psp), uno dei maggiori gestori di fondi pensionistici canadesi (con un asset di circa 152 miliardi di dollari) ha acquistato nel 2022 un’azienda agricola di 500 ettari specializzata nella coltivazione di mirtilli. Un investimento finalizzato a sfruttare il boom della produzione di questi piccoli frutti, passata secondo le stime della Banca Mondiale dalle 30 tonnellate del 2010 alle oltre 180mila del 2020: quantità che hanno fatto del Paese latino-americano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti.

    Nella regione di Olmos l’avvio di questa coltivazione intensiva è stato reso possibile grazie a un progetto idrico, costato al governo di Lima oltre 180 milioni di dollari, per deviare l’acqua dal fiume Huancabamba verso la costa e migliorare la produzione agricola locale. “Ma il progetto non ha ottenuto i risultati annunciati”, denuncia il report “Squeezing communities dry” pubblicato a metà settembre 2023 da Grain, una Ong che lavora per sostenere i piccoli agricoltori nella loro lotta per la difesa dei sistemi alimentari controllati dalle comunità e basati sulla biodiversità. Chi ha realmente beneficiato del progetto, infatti, sono state le grandi realtà agroindustriali. “Quasi tutta l’acqua convogliata dalle Ande va alle aziende di recente costituzione che producono avocado, mirtilli e altre colture che vengono vendute a prezzi elevati all’estero -continua Grain-. Il progetto, finanziato con fondi pubblici, ha avuto pochi benefici per la popolazione ma ha creato una fonte di profitti per le aziende che hanno accesso libero e gratuito all’acqua e i loro investitori”.

    I protagonisti di questa nuova forma di water grabbing sono fondi pensione, società di private equity e altri operatori finanziari che si stanno muovendo in modo sempre più aggressivo per garantirsi le abbondanti risorse idriche necessarie alla produzione di colture di pregio. A differenza del passato, però, non cercano più di acquisire enormi superfici di terre coltivabili.

    “L’accesso all’acqua è sempre stato un fattore cruciale -spiega ad Altreconomia Delvin Kuyek, ricercatore di Grain e autore dello studio-. Ma negli ultimi anni abbiamo osservato un nuovo modello: investimenti in colture come mirtilli, avocado o mandorle che richiedono meno terra rispetto al grano o alla soia, ma quantità molto maggiori di acqua. A guidare l’investimento, in questo caso, è proprio la possibilità di accedere ad abbondanti risorse idriche per mettere sul mercato prodotti che permettano di generare un ritorno economico importante”. Una forma di sfruttamento che Grain paragona all’estrazione di petrolio: si pompa acqua da fiumi o falde fino all’esaurimento, senza preoccuparsi degli impatti sull’ambiente o dei bisogni della popolazione locale. Gli operatori finanziari, infatti, non prevedono di sviluppare attività produttive sul lungo periodo ma puntano a ritorno sui loro investimenti entro 10-15 anni. Un’altra caratteristica di questi accordi, è che tendono a realizzarsi in località in cui l’acqua è già scarsa o in via di esaurimento.

    Negli ultimi anni il fondo pensionistico canadese ha acquistato direttamente o investito in società che gestiscono piantagioni di mandorle in California, di noci in Australia e California. Mentre in Spagna, attraverso la controllata Hortifruit, è diventato uno dei principali produttori di mirtilli nella regione di Huelva (nel Sud-Ovest del Paese) dove si concentra anche la quasi totalità della coltivazione di fragole spagnole, destinata per l’80% all’export.

    In Perù nel 2020 sono stati prodotte 180mila tonnellate di mirtilli. Numeri che fanno del Paese latinoamericano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. Nel 2010 erano solo 30

    Tutto questo sta avendo effetti devastanti sulle falde che alimentavano le zone umide della vicina riserva di Doñana, ricchissimo di biodiversità e patrimonio Unesco: un riconoscimento oggi messo a rischio proprio dall’eccessivo sfruttamento idrico. Lo studio “Thirty-four years of Landsat monitoring reveal long-term effects of groundwater abstractions on a World heritage site wetland” pubblicato ad aprile 2023 sulla rivista Science of the total environment, evidenzia come tra il 1985 e il 2018 il 59,2% della rete di stagni sia andata perduta a causa delle attività umane. “Il problema è collegato anche alla produzione di frutti rossi che ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni Ottanta, grazie alla presenza di condizioni climatiche ottimali e a un suolo sabbioso”, spiega ad Altreconomia Felipe Fuentelsaz del Wwf Spagna. Ma la crescita del comparto ha portato a uno sfruttamento eccessivo delle falde, da cui viene prelevata troppa acqua rispetto al tempo che necessitano per rigenerarsi. L’organizzazione stima che nel corso degli anni siano stati scavati più di mille pozzi illegali: “L’80% dei produttori rispetta le norme per l’utilizzo delle risorse idriche, ma il restante 20%, che equivale a circa duemila ettari di terreno, pompa acqua senza averne diritto”, puntualizza Fuentelsaz.

    Questa nuova forma di water grabbing interessa diversi Paesi: dal Marocco (dove il settore agro-industriale pesa per l’85% sul consumo idrico nazionale) al Messico dove è attiva la società di gestione Renewable resources group. Secondo quanto ricostruito da Grain, nel 2018 ha acquisito centomila ettari di terreni agricoli in Messico, Stati Uniti, Cile e Argentina, nonché diritti idrici privati negli Stati Uniti, in Cile e in Australia, generando rendimenti annuali superiori al 20% per i suoi investitori, che comprendono fondi pensione, di private equity e compagnie di assicurazione.

    Tra le società indicate nel report di Grain figura anche Adq, il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, che negli ultimi anni ha effettuato importanti investimenti nel comparto agro-alimentare: attraverso la sua controllata Al Dahra ha acquistato terreni in Egitto, Sudan e Romania. Nel 2020 ha acquisito il 45% di Louis Dreyfus Company, una delle quattro principali aziende che controllano il mercato globale del commercio agricolo. E nel 2022 ha comprato la quota di maggioranza di Unifrutti group, società italiana specializzata nella produzione e nella commercializzazione di frutta fresca con oltre 14mila ettari di terreni tra Cile, Turchia, Filippine, Ecuador, Argentina, Sudafrica e Italia.

    Unifrutti group ha sede fiscale a Cipro, uno dei Paesi dell’Unione europea a fiscalità agevolata che garantiscono vantaggi alle società che vi hanno sede. Ma a sfruttare i benefici sono anche oligarchi russi colpiti dalle sanzioni dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 e inasprite a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. A rivelarlo l’inchiesta “Cyprus confidential” pubblicata a novembre dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij)

    “Questi investimenti hanno un doppio obiettivo -spiega ad Altreconomia Christian Henderson, esperto di investimenti agricoli nel Golfo e docente presso l’Università di Leiden nei Paesi Bassi- da un lato, sono orientate a trarre profitto dal commercio internazionale e dalle materie prime. In secondo luogo, si preoccupano di garantire la sicurezza alimentare. Queste due logiche in qualche modo sono intrecciate tra loro, in modo da rendere la sicurezza alimentare redditizia per gli Emirati Arabi Uniti. C’è poi un altro elemento: penso che i Paesi del Golfo siano piuttosto preoccupati dal fatto di essere visti come ‘accaparratori’ di terra. In questo modo, invece, possono affermare di aver effettuato un semplice investimento sul mercato”.

    Fondata dall’imprenditore Guido De Nadai nel 1948 ad Asmara come compagnia di import/export di frutta e verdura, oggi Unifrutti group è una realtà globale “che produce in quattro diversi continenti e distribuisce in oltre 50 Paesi” si legge sul sito. Trecento tipologie di prodotti commercializzati, 14mila ettari di terreni (di proprietà o in gestione) e 12mila dipendenti sono solo alcuni numeri di una realtà che ha ancora la propria sede principale a Montecorsaro, in provincia di Macerata, dove si trova il domicilio fiscale di Unifrutti distribution spa. La società è controllata da Unifrutti international holdings limited, con sede fiscale a Cipro, Paese a fiscalità agevolata. Con l’ingresso di Adq come socio di maggioranza sono cambiati anche i vertici societari: il 13 novembre 2023, ha assunto l’incarico di amministratore delegato del gruppo Mohamed Elsarky che ha alle spalle una carriera ventennale come Ceo per società del calibro di Kellog’s Australia e Nuova Zelanda e Godiva chocolatier e come presidente di United biscuits del gruppo Danone. Mentre Gil Adotevi, chief executive officer per il settore “Food and agriculture” del fondo emiratino Adq, ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione: “Mentre il Gruppo si avvia verso un nuovo entusiasmante capitolo di crescita -ha dichiarato- siamo certi che la guida e la leadership di Mohamed porteranno l’azienda a realizzare i suoi ambiziosi piani”.

    Nel 2021 il gruppo ha commercializzato circa 620mila tonnellate di prodotti (in primo luogo banane, uva, mele, pere, limoni e arance) registrando un fatturato complessivo di 720 milioni di dollari (in crescita del 2% rispetto al 2020) e un margine operativo lordo di 78 milioni. Una performance estremamente positiva che “si è verificata nonostante le numerose sfide che hanno caratterizzato il perimetro operativo del gruppo a partire dalle condizioni climatiche avverse senza precedenti in Cile e in Italia”. Il Paese latino-americano -principale sito produttivo del gruppo, con oltre seimila ettari di terreno dove si producono mele, uva, pere e ciliegie- è stato infatti colpito per il quarto anno di fila da una gravissima siccità che alla fine del 2021 ha visto 19 milioni di persone vivere in aree caratterizzate da “grave scarsità d’acqua”. Come ricorda Grain nel report “Squeezing communities dry” tutte le regioni cilene specializzate nella produzione di frutta “stanno affrontando una crisi idrica aggravata dalla siccità causata dal cambiamento climatico”.

    https://altreconomia.it/il-nuovo-volto-del-water-grabbing-e-la-complicita-della-finanza
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  • À #Volvic, #Danone accusée d’assécher les ruisseaux pour produire 7 millions de bouteilles plastiques d’eau par jour | La Relève et La Peste
    https://lareleveetlapeste.fr/a-volvic-danone-accusee-dassecher-les-ruisseaux-pour-produire-7-mi

    “Dans ce contexte précis, l’argument du changement climatique est inadapté”, avance le chercheur, chiffres à l’appui : “Entre 1971 et 1999, la pluviométrie moyenne était de 755 millimètre par an. Entre 1999 et 2018, elle était était de 751 millimètre par an. Elle était donc quasi-identique, alors même que le débit des sources a été divisé par 8 et que les prélèvements de la #SEV ont, eux, été multipliés par dix en 40 ans. Et avec tout ça, on voudrait nous faire croire que les prélèvements d’eau par Danone n’y sont pour rien ?”

    Face à cette situation, les demandes de l’association Preva sont claires : en premier lieu, baisser drastiquement les prélèvements de la SEV.

    “Ces prélèvements sont actuellement bien supérieurs à la capacité de renouvellement de la ressource, détaille Sylvie De Larouzière. Ça ne peut plus durer, sachant que le fait même d’embouteiller dans des bouteilles en plastique, qui sont en plus ensuite vendues majoritairement à l’étranger, c’est vraiment un système de l’ancien monde…”

    #eau

  • https://www.lefigaro.fr/sciences/l-eau-du-robinet-ne-doit-plus-etre-consommee-affirme-le-directeur-de-l-ars-

    L’eau du robinet « ne doit plus être consommée », affirme le directeur de l’ARS Occitanie dans un mail confidentiel

    « Il faut privilégier l’eau en bouteille ». Le Canard enchaîné a révélé dans son édition de mercredi 18 octobre un mail envoyé par le directeur de l’Agence régionale de santé (ARS) d’Occitanie, Didier Jaffre, où il mettait en garde contre l’utilisation de l’eau potable dans la région. Le directeur de l’ARS a envoyé cet avertissement le 23 septembre dans un courriel adressé à ses cadres.

    (en mode lecture
    https://justpaste.it/ca72j)

    les confidences de Didier Jaffre, directeur de l’#ARS #Occitanie #PFAS #chlorothalonil

    • Il faut convenir qu’on ne cesse de tergiverser entre les différentes injonctions contradictoires :
      – L’eau en bouteille contient des microplastiques, nous empoisonne, et empoisonne la nature, et en plus, le plastique se recycle bien plus mal qu’annoncé
      – L’eau du robinet nous empoisonne, car les procédés actuels sont incapables de supprimer les molécules chimiques qu’on refuse d’interdire, et qui de toute façon ont été diffusées avec tant d’allégresse qu’on ne s’en débarrassera pas.

      Ici, pour éviter les dizaines de bouteilles chaque semaine, on boit de l’eau du robinet filtrée par charbon. Mais avec ce qu’on entend au sujet des PFAS sur la région lyonnaise... Groumpf. Envie de revenir à l’eau de source qu’on pompe en profondeur pour produire du coca ou remplir les mégabassines...

    • Mais l’eau en bouteille, elle vient bien de quelque part.

      Perrier c’est à Vergèze, tout près de Nîmes. C’est autant l’Occitanie que l’eau du robinet de Montpellier (tirée de la source du Lez).

      Mont Roucous, c’est dans le Tarn. Montcalm c’est les Pyrénées ariégeoises. Eau de la Reine (je connais pas) c’est le Tarn aussi. Ô9, la Haute-Ariège. La Vernière c’est près de Bézier. La Salvetat c’est le Haut Languedoc.

      Qu’est-ce qu’il différencie une eau minérale d’Occitanie d’une eau du robinet qui provient d’Occitanie ?

    • Pff, même au fin fond des Corbières (première épicerie à 30mn en voiture village de 90 habitants l’été) l’eau a été polluée par des pesticides (aux avants derniers relevés effectués) mais je trouve personne pour m’informer correctement et le maire me fuit. (Je gueule trop notamment parce qu’ils accordent des permis de construire … sans eau au village) Le village a bien fait un effort en remplaçant les pastilles de chlore par un traitement ultra violet. Et donc on boit de l’eau de la source ou ce qu’il en reste car ça se tarit doucement, il n’y a plus d’eau pour les potagers et les minis fontaines au coin des rues ont été fermées.
      Et il y a plein de citadins retraités ou jeunes qui s’installent joyeusement dans l’ivresse de cette belle nature où tout crève faute d’eau et qui n’ont pas encore compris leur douleur.

    • Merci pour la doc @monolecte.

      Maintenant, sans vouloir passer pour un pénible, je me dis que tout ça, ce n’est pas que le problème des humains. Il y aussi les végétaux, les bestioles en tout genre qui doivent morfler. Même si nous les filtrons, les poisons se retrouvent bien quelque part. Et finalement, faudrait-il avoir honte de se réjouir lorsque tous ces citadins (un peu CSP+ quand même) qui s’esbaudissent façon hédoniste chez les bouseux vont comprendre leurs douleurs ? La chimiothérapie (àskip), ça vous atomise la joie de vivre façon puzzle.

    • Bon, même si il y a les films d’Agnès Varda sur Arte en ce moment, je déprime, je fonds, je disloque et je loque. Je me suis échappée dans les Corbières comme tu auras compris, mais ce sentiment de monde factice et vain me poursuit avec ces fameux citadins venus remplacés ceux qui sont morts ou disparus. Les maisons abandonnées depuis des dizaines d’années ont toutes été reprises, souvent payées très chères, parfois restaurées en toc pour du RBNB avec boitier. Sinon on ne voit pas trop ces nouveaux habitants terrés dans leur home sweet home. Le long de la rivière on peut toutefois compter sur les déjections de leurs chiens, et la mairie a pété le mur en pierres sèches qui menait aux potagers parce qu’il leur faut des parkings, toujours plus de parkings. Des crottes, des chiens crados et des parkings avec des voitures à gogo, l’héritage de la ville avec sa triste solitude nous happe jusqu’ici.
      Le viticulteur à la retraite a passé la main pour les haut-parleurs qui crachotaient son aquecent du sud en annonçant l’arrivée du camion de la boucherie sur la place de la fontaine où l’eau ne coule plus, ce soir l’écho électrique annonce dans les ruelles vides : « La population est invitée a utiliser l’eau en petites quantités ». Et je me demande comment les chasseurs vont bien pouvoir nettoyer les boyaux des sangliers si l’eau du robinet manque au village, une dérogation, vite ?

  • Moins on mange, plus ils encaissent : l’inflation gave les bourgeois
    https://www.frustrationmagazine.fr/inflation-bourgeois

    C’est à n’y rien comprendre. C’est la crise, l’inflation reste très élevée, l’économie n’est ni remise du Covid ni de la guerre en Ukraine qui se poursuit. Et pourtant, les profits atteignent des records, les dividendes sont plus hauts que le ciel, et les milliardaires n’ont jamais accumulé autant de milliards. Si on n’y regarde […]

    • Moins on mange, plus ils encaissent : l’#inflation gave les bourgeois

      C’est à n’y rien comprendre. C’est la crise, l’inflation reste très élevée, l’économie n’est ni remise du Covid ni de la guerre en Ukraine qui se poursuit. Et pourtant, les profits atteignent des records, les #dividendes sont plus hauts que le ciel, et les #milliardaires n’ont jamais accumulé autant de milliards. Si on n’y regarde pas de plus près, on pourrait considérer comme paradoxale une situation qui est parfaitement logique. Pour accumuler les milliards, il faut accumuler les dividendes. Pour accumuler les dividendes, il faut accumuler les profits. Pour accumuler les profits, il faut appauvrir la population en augmentant les #prix et en baissant les #salaires réels. Ça vous parait simpliste ? Alors, regardons de plus près les chiffres.

      Selon l’INSEE, au premier trimestre de cette année, l’#excédent_brut_d’exploitation (#EBE) des entreprises de l’#industrie_agro-alimentaire (c’est-à-dire le niveau de profit que leur activité génère) a progressé de 18%, pour ainsi s’établir à 7 milliards d’euros. Les industriels se font donc de plus en plus d’argent sur le dos de leurs salariés et, plus globalement, sur celui des Français qui galèrent pour se nourrir correctement : les ventes en volume dans la #grande_distribution alimentaire ont baissé de 9% au premier trimestre 2023 par rapport à la même période l’année précédente. La #consommation en France est ainsi tombée en-dessous du niveau de 2019, alors que la population a grossi depuis de 0,3%. Selon François Geerolf, économiste à l’OFCE (Observatoire français des conjonctures économiques), cette baisse de la #consommation_alimentaire n’a aucun précédent dans les données compilées par l’Insee depuis 1980. Dans le détail, sur un an, on constate des baisses de volumes vendus de -6% l’épicerie, -3% sur la crèmerie, -1,6% pour les liquides, etc. Cela a des conséquences concrètes et inquiétantes : en avril dernier, l’IFOP montrait que presque la moitié des personnes gagnants autour du SMIC se privait d’un repas par jour en raison de l’inflation.

      Une baisse de la consommation pilotée par les industriels

      Comment les entreprises peuvent-elles se faire autant d’argent, alors que nous achetons de moins en moins leurs produits ? Tout simplement, car cette baisse de la consommation est pilotée par les industriels. Ils choisissent d’augmenter massivement leurs prix, en sachant que la majorité des gens accepteront malgré eux cette hausse, car ils considéreront qu’elle est mécaniquement liée à l’inflation ou tout simplement, car ces industriels sont en situation de quasi-monopole et imposent donc les prix qu’ils veulent (ce qu’on appelle le #pricing_power dans le jargon financier). Ils savent très bien que beaucoup de personnes n’auront par contre plus les moyens d’acheter ce qui leur est nécessaire, et donc que les volumes globaux qu’ils vont vendre seront plus bas, mais cette baisse de volume sera très largement compensée par la hausse des prix.

      Sur le premier trimestre 2023, en Europe, #Unilever et #Nestlé ont ainsi augmenté leurs prix de 10,7%, #Bonduelle de 12,7% et #Danone de 10,3 %, alors que l’inflation tout secteur confondu passait sous la barre des 7%. La quasi-totalité d’entre eux voient leurs volumes vendus chuter dans la même période. Les plus pauvres, pour lesquels la part de l’alimentaire dans la consommation est mécaniquement la plus élevée, ne peuvent plus se nourrir comme ils le souhaiteraient : la #viande et les #céréales sont particulièrement touchés par la baisse des volumes vendus. Certains foyers sautent même une partie des repas. Les #vols se multiplient, portés par le désespoir et les grandes enseignes poussent le cynisme jusqu’à placer des #antivols sur la viande et le poisson.

      Les hausse des profits expliquent 70% de la hausse des prix de l’alimentaire

      Comme nous avons déjà eu l’occasion de l’écrire, les hausses de profit des #multinationales sont déterminantes dans l’inflation que nous traversons. Même le FMI le dit : selon une étude publiée le mois dernier, au niveau mondial depuis 2022, la hausse des profits est responsable de 45 % de l’inflation. Le reste de l’inflation vient principalement des coûts de l’#énergie et des #matières_premières. Plus spécifiquement sur les produits alimentaires en France, d’après les calculs de l’institut La Boétie, « la hausse des prix de #production_alimentaire par rapport à fin 2022 s’explique à plus de 70 % par celle des profits bruts ». Et cela ne va faire qu’empirer : en ce début d’année, les prix des matières premières chutent fortement, mais les prix pratiqués par les multinationales poursuivent leur progression, l’appétit des actionnaires étant sans limites. L’autorité de la concurrence s’en inquiète : « Nous avons un certain nombre d’indices très clairs et même plus que des indices, des faits, qui montrent que la persistance de l’inflation est en partie due aux profits excessifs des entreprises qui profitent de la situation actuelle pour maintenir des prix élevés. Et ça, même la Banque centrale européenne le dit. », affirme Benoît Cœuré, président de l’Autorité de la concurrence, au Parisien.

      La stratégie des multinationales est bien rodée : augmenter massivement les prix, mais aussi bloquer les salaires, ainsi non seulement leur #chiffre_d’affaires progresse fortement, mais ils génèrent de plus en plus de profits grâce à la compression de la #masse_salariale. Les calculs sur longue période de l’Institut La Boétie donnent le vertige : « entre 2010 et 2023, le salaire brut horaire réel (c’est-à-dire corrigé de l’inflation) a baissé de 3,7 %, tandis que les profits bruts réels, eux, ont augmenté de 45,6 % ». Augmenter massivement les prix tout en maintenant les salaires au ras du sol permet d’augmenter le vol légal que les #actionnaires commettent sur les salariés : ce qu’ils produisent est vendu de plus en plus cher, et les patrons ne les payent par contre pas davantage.

      La Belgique a le plus bas taux d’inflation alors que les salaires y sont indexés

      L’une des solutions à cela est bien connue, et était en vigueur en France jusqu’en 1983 : indexer les salaires sur les prix. Aujourd’hui seul le SMIC est indexé sur l’inflation et la diffusion des hausses du SMIC sur les salaires plus élevés est quasi inexistante. Les bourgeois s’opposent à cette mesure en affirmant que cela risque de favoriser encore davantage l’inflation. Les statistiques prouvent pourtant le contraire : la Belgique est le pays affichant le plus bas taux d’inflation en avril 2023 (moins de 5% tandis qu’elle atteint 6,6% en France) alors que là-bas les salaires s’alignent automatiquement sur les prix. Il est urgent de mettre en œuvre ce genre de solutions en France. En effet, la situation devient de plus en plus intenable : la chute des #conditions_de_vies de la majorité de la population s’accélère, tandis que les bourgeois accumulent de plus en plus de richesses.

      Cela dépasse l’entendement : selon le magazine Challenges, le patrimoine professionnel des 500 plus grandes fortunes de France a progressé de 17 % en un an pour s’établir à 1 170 milliards d’euros cette année ! En 2009, c’était 194 milliards d’euros… Les 500 plus riches détiennent donc en #patrimoine_professionnel l’équivalent de presque la moitié de la #richesse créée en France par an, mesurée par le PIB. Et on ne parle ici que de la valeur des actions qu’ils détiennent, il faudrait ajouter à cela leurs placements financiers hors du marché d’actions, leurs placements immobiliers, leurs voitures, leurs œuvres d’art, etc.

      La #France au top dans le classement des gros bourges

      La fortune de #Bernard_Arnault, l’homme le plus riche du monde, est désormais équivalente à celle cumulée de près de 20 millions de Français et Françaises d’après l’ONG Oxfam. Sa fortune a augmenté de 40 milliards d’euros sur un an pour s’établir à 203 milliards d’euros. Ce type a passé sa vie à exploiter des gens, ça paye bien (à peine sorti de polytechnique, Bernard Jean Étienne avait pris la direction de l’entreprise de son papa). Au classement des plus grands bourges du monde, la France est donc toujours au top, puisque non seulement on a l’homme le plus riche, mais aussi la femme, en la personne de #Françoise_Bettencourt_Meyers (patronne de L’Oréal, 77 milliards d’euros de patrimoine professionnel). Mais il n’y a pas que le luxe de représenté dans ce classement, la grande distribution est en bonne place avec ce cher #Gérard_Mulliez (propriotaire des #Auchans notamment) qui détient 20 milliards d’euros de patrimoine ou #Emmanuel_Besnier, propriétaire de #Lactalis, le 1er groupe mondial de produits laitiers, qui émarge à 13,5 milliards.

      Les chiffres sont vertigineux, mais il ne faut pas se limiter à une posture morale se choquant de ces #inégalités sociales et appelant, au mieux, à davantage les taxer. Ces fortunes ont été bâties, et progressent de plus en plus rapidement, grâce à l’exploitation du travail. L’augmentation de valeur de leurs entreprises est due au travail des salariés, seul créateur de valeur. Tout ce qu’ils détiennent est ainsi volé légalement aux salariés. Ils doivent donc être pris pour cible des mobilisations sociales futures, non pas principalement parce qu’ils sont #riches, mais parce qu’ils sont les plus gros voleurs du monde : ils s’emparent de tout ce qui nous appartient, notre travail, notre vie, notre monde. Il est temps de récupérer ce qui nous est dû.

      https://www.frustrationmagazine.fr/inflation-bourgeois

      #profit #économie #alimentation #chiffres #statistiques

  • À #Volvic, #Danone pompe malgré la #pénurie d’#eau

    Dans le #Puy-de-Dôme, les habitants sont priés de réduire leur consommation en eau potable. Des #restrictions auxquelles échappe la #Société_des_eaux_de_Volvic, propriété de Danone.

    En mai, ferme les robinets. Depuis la semaine dernière, quarante-quatre communes du Puy-de-Dôme sont visées par un #arrêté_préfectoral de restriction sur l’eau potable « pour éviter les risques de #pénuries ». Au nord de Clermont-Ferrand, interdiction jusqu’à fin juin de laver sa voiture, remplir une piscine et arroser son jardin entre 10 et 18 heures. Les entreprises du territoire sont également tenues de diminuer d’un quart leurs prélèvements sur le réseau.

    C’est la conséquence d’une #sécheresse_hivernale durable et de la chute du débit de la source principale du secteur, le #Goulet, sur la commune de Volvic. Pourtant, la Société des eaux de Volvic (#SEV), filiale de Danone, qui embouteille plus d’un quart de l’eau de la #nappe_souterraine, n’est, elle, pas concernée par ces restrictions. La raison ? « Les activités de Volvic n’ont pas d’impact » sur le réseau d’eau potable car elles sont « effectuées en aval de la source », explique l’entreprise. C’est même « en solidarité avec les acteurs du territoire » que la SEV applique d’elle-même « une baisse 5 % de ses autorisations de prélèvements ».

    Restriction symbolique

    Est-ce là une belle « contribution à l’effort collectif » de la part d’une entreprise qui exporte des pleins camions de bouteilles en plastique et revend une ressource souterraine commune 100 à 300 fois plus cher que l’eau du robinet ? Pas vraiment. La SEV se borne en fait à appliquer des mesures qu’elle a elle-même établies dans son #plan_d’utilisation_rationnelle_de_l’eau (#PURE). Ce document, non rendu public, a été cosigné entre la SEV et la préfecture en septembre 2021 et engage l’entreprise à réduire son niveau maximum de #prélèvement mensuel autorisé en cas d’alerte #sécheresse.

    Un engagement jugé « ridicule » par Marc Saumureau, président de la Frane, association environnementale auvergnate. « La SEV a perdu des marchés, notamment au Japon, et ne produit déjà plus depuis longtemps au maximum autorisé », assure-t-il. Des éléments confirmés par une commission d’enquête parlementaire de 2021 sur la mainmise des intérêts privés sur l’eau. Celle-ci relevait qu’à Volvic, les volumes réellement utilisés sont « en nette baisse » depuis 2017 jusqu’à tomber à moins de 84 % des 2,79 millions de mètres cubes, la limite autorisée. Dès lors, abaisser ce maximum, même de 10 %, ne change pas grand-chose à la réalité du pompage quotidien.

    Des phénomènes d’interférence

    Si Danone peut s’exonérer des obligations touchant les autres industriels — contraints, eux, de baisser de 25 % leurs prélèvements par la préfecture — c’est qu’elle sépare la nappe de Volvic en deux masses d’eau distinctes : les #eaux_de_surface, qui alimentent le réseau d’eau potable avec lequel Danone estime n’avoir rien à voir, et la #nappe_profonde, là où l’entreprise exploite le filon liquide. Si, de fait, les relations hydrologiques entre les deux zones ne sont pas pleinement établies, cela ne veut pas dire qu’elles ne sont pas étanches. Mais l’hydrosystème de la nappe est « encore mal connu », selon la commission d’enquête parlementaire, ce qui ne permet pas de conclure.

    Début 2023, la publication d’une thèse de l’École des Mines, publiée une dizaine d’années après avoir été terminée, relevait « des phénomènes d’interférence entre le #pompage des #forages_d’eau_minérale et la galerie du Goulet dans laquelle est puisée l’eau potable ». Mais de préciser que : « L’impact de ces pompages [en profondeur] sur le débit de la galerie est très faible ». La préfecture a bien lancé sa propre étude d’hydrogéologie, mais les résultats ne seront connus que d’ici une à plusieurs années.

    « C’est la même eau ! » assure, de son côté, Jacky Massy, le président de l’association Preva qui se bat depuis 2018 pour une gestion durable de l’eau dans la région. Pour lui, le lien entre l’abaissement des niveaux d’eaux de surface et l’activité de Danone est évident : « Ils exploitent durement la nappe, jusqu’à dépasser sa capacité de régénération ».

    « Ne pas focaliser sur Volvic »

    Et si la SEV échappe aux contraintes, selon ce militant, c’est en raison de son poids économique local : 900 salariés et 200 intérimaires et sous-traitants. Mais aussi parce que nationalement, « plusieurs proches de Macron ont travaillé pour Danone », accuse Jacky Massy. Plus nuancée, Isabelle Aledo-Piedpremier, présidente de France Nature Environnement 63 (FNE), convient que l’on puisse « s’interroger » sur ce lien, même si pour elle il ne faut « pas focaliser sur Volvic, c’est toute la région qui manque d’eau ».

    Les tensions sur les usages industriels de l’eau ne sont pas nouvelles. En 2019, le préfet du Puy-de-Dôme avait pris un arrêté-cadre sécheresse qui exonérait l’ensemble des industriels des mesures d’économie. Une décision attaquée en justice par FNE 63, UFC Que Choisir et trois autres associations. La justice n’a pas encore statué, demandant des expertises complémentaires.

    Reste qu’en attendant d’en savoir plus sur les interactions entre les couches souterraines, Danone continue pour l’heure à produire presque comme si de rien n’était. Au même moment, dans les Vosges, le groupe Nestlé vient d’annoncer qu’il suspendait l’exploitation de deux de ses forages en raison des conditions climatiques qui se détériorent.

    https://reporterre.net/A-Volvic-Danone-pompe-malgre-la-penurie-d-eau

    #eau_en_bouteilles #eau_potable

  • Danone investit dans Imagindairy pour les produits laitiers sans lait de vache Sharon Wrobel - Time of israel

    Le géant français des produits laitiers Danone a réalisé un investissement stratégique dans la start-up israélienne Imagindairy Ltd. qui pourrait ouvrir la voie à une collaboration sur le développement de produits laitiers sans produits d’origine animale pour les consommateurs en utilisant la technologie de la fermentation de précision.

    Le géant de l’agroalimentaire basé à Paris a rejoint Imagindairy en avril en tant qu’investisseur stratégique par l’intermédiaire de sa société de capital-risque Danone Manifesto Ventures (DMV). Les conditions financières de l’investissement n’ont pas été divulguées.


    Il s’agit du deuxième investissement de Danone dans une start-up israélienne de technologie alimentaire – ou FoodTech – en moins d’un mois. Début avril, la société française, qui produit le yaourt Activia, le lait maternisé Aptamil et l’eau Evian, a annoncé un investissement de 2 millions de dollars dans la start-up israélienne Wilk, qui développe une une technologie cellulaire pour produire du lait humain et animal cultivé.

    « C’est un très bel investissement qui nous aidera à aller de l’avant », a déclaré le Dr. Eyal Afergan, co-fondateur et PDG d’Imagindairy, au Times of Israel. « Il s’agit d’un partenariat à plusieurs niveaux, avec l’investissement d’un côté et des discussions pour établir une collaboration avec les équipes de R&D afin de développer des produits sans animaux, et éventuellement une fois que nous aurons le bon produit et que nous aurons tout mis en place, comme le coût, le prix et le goût, alors cela pourrait nous conduire à un accord commercial. »

    Fondée en 2020 par le Dr. Afergan, le Dr. Arie Abo et le Pr. Tamir Tuller, Imagindairy a développé une technologie de fermentation de précision qui apprend aux micro-organismes tels que la levure ou les champignons à produire des protéines laitières qui, selon la start-up, sont identiques à celles du lait de vache. Cette technologie, qui repose sur 15 années de recherche menées par Tuller, professeur à l’université de Tel Aviv, recrée des versions non animales des protéines de lactosérum et de caséine qui peuvent être utilisées pour reproduire n’importe quel type de lait.

    Les protéines de lactosérum sont les éléments de base pour développer une gamme complète de produits non laitiers qui imitent les produits laitiers avec la même quantité de protéines et de matières grasses que le lait de vache, mais sans cholestérol ni lactose.



    Eyal Afergan, co-fondateur et PDG d’Imagindairy. (Crédit : Tal Shahar/Imagindairy)

    La fermentation de précision est une technologie utilisée dans l’industrie alimentaire depuis plus de 40 ans, par exemple pour la production d’enzymes alimentaires. « Imagindairy l’utilise pour produire des protéines laitières sans produits d’origine animale de manière rentable », a déclaré le Dr. Afergan.

    « Notre technologie brevetée est une technologie très complète qui nous permet d’améliorer la productivité de nos organismes. C’est la différence entre une vache qui vous donne un litre de lait par jour ou 40 litres de lait par jour », a-t-il déclaré. Il s’agit essentiellement de champignons, de levures et de bio-ingénierie – à l’aide d’une technologie d’apprentissage automatique – pour nous aider à améliorer la production de protéines de manière beaucoup plus efficace et de bien meilleure qualité.

    Le Dr. Afergan a déclaré que l’investissement stratégique de Danone intervient alors que la start-up est en train de se transformer en entreprise industrielle et vise le lancement de son premier produit aux États-Unis d’ici la fin de l’année, en collaboration avec un producteur laitier dont le nom n’a pas été dévoilé.

    « Nous fournissons la protéine elle-même et ils développent le produit », a déclaré le Dr. Afergan. « La première étape consiste à atteindre la production commerciale et à obtenir l’approbation réglementaire aux États-Unis, puis dans d’autres régions. »

    La start-up située à Yokneam est composée d’une équipe multidisciplinaire de 30 experts en microbiologie, en systèmes informatiques et en biotechnologie, avec le soutien de The Kitchen FoodTech hub, basé en Israël. À ce jour, Imagindairy a levé 28 millions de dollars en fonds de démarrage auprès d’investisseurs tels que Target Global, Strauss Group, Emerald Technology Ventures, Green Circle Foodtech Ventures, Collaborative Fund et New Climate Ventures.

    Un certain nombre d’entreprises opèrent dans le secteur des produits laitiers de substitution pour les protéines de lait en utilisant la technologie de fermentation de précision, comme la start-up israélienne Remilk, qui affirme avoir mis au point des protéines de lait chimiquement identiques à celles du lait et des produits laitiers produits par les vaches.

    La semaine dernière, le ministère de la santé a accordé à Remilk la première autorisation réglementaire de ce type pour commercialiser et vendre des produits laitiers fabriqués avec les protéines non animales de la start-up, qui sont exemptes de lactose, de cholestérol, d’antibiotiques et d’hormones de croissance. Pigmentum est une autre entreprise qui a mis au point une technologie végétale génétiquement modifiée pour créer des protéines laitières à partir de laitue, qui peuvent être utilisées pour fabriquer du fromage.

    « L’approbation réglementaire est une bonne nouvelle pour l’industrie, car une fois que la première entreprise obtient l’approbation, il est plus facile pour les deuxième et troisième entreprises d’obtenir leur approbation, ce qui nous permet de développer le marché plus efficacement », a déclaré le Dr. Afergan. « Nous avons conclu un accord de développement conjoint avec le groupe Strauss et nous prévoyons de lancer des produits ensemble en Israël. »

    En 2022, le gouvernement a déclaré que la FoodTech était l’une des cinq nouvelles priorités nationales pour lesquelles des investissements importants seront réalisés au cours des cinq prochaines années. Au début de l’année, l’Autorité de l’Innovation israélienne (IIA) a lancé un appel à propositions pour la construction d’installations de recherche et de développement utilisant la technologie de fermentation de précision pour le développement de protéines alternatives, afin de maintenir l’avance du pays dans ce domaine. Le budget total pour toutes les propositions approuvées s’élèvera à 50 millions de shekels.

    « J’espère qu’il s’agira d’un premier pas vers la construction d’installations de production en Israël », a déclaré le Dr. Afergan.

    L’année dernière, Israël s’est classé deuxième après les États-Unis en matière d’investissements dans les protéines alternatives, les start-ups locales dans ce domaine ayant levé quelque 454 millions de dollars de capitaux, selon un rapport du Good Food Institute (GFI) Israël, une organisation à but non lucratif qui cherche à promouvoir la recherche et l’innovation dans la FoodTech.

    #Lait #FoodTech #danone #Imagindairy #dmv #activia #aptamil #Evian #wilk #technologie_cellulaire #R&D #remilk #protéines alternatives #vaches #ersatz #alimentation #capitalisme

    Source : https://fr.timesofisrael.com/danone-investit-dans-imagindairy-pour-les-produits-laitiers-sans-l

  • L’industrie de l’eau en bouteille pollue et freine l’accès à l’or bleu Aurélie Coulon

    Selon un rapport des Nations unies, l’industrie de l’eau en bouteille creuse les inégalités d’accès au précieux liquide et aggrave la pollution plastique. L’idée que l’eau en bouteille serait de meilleure qualité est aussi remise en question.

    Dans le monde, un million de bouteilles d’eau est vendu chaque minute avec une consommation annuelle estimée à 350 milliards de litres. Un rapport publié ce jeudi par l’Institut pour l’eau, l’environnement et la santé de l’Université des Nations unies (Unu-Inweh) – basé au Canada – dresse le tableau, souvent critique, des tendances et des impacts de cette industrie, en s’appuyant sur des données issues de 109 pays. La sortie de ce document précède de quelques jours la Conférence des Nations unies pour l’eau qui se tiendra à New York du 22 au 24 mars.

    « Ce rapport pose la question du rôle des industriels dans l’accès à l’eau potable pour tous, qui est l’un des buts de développement durable approuvés par les Nations unies en 2015, explique Zeineb Bouhlel, chercheuse à l’Unu-Inweh et autrice principale du rapport. Notre travail montre que le marché de l’eau en bouteille n’est pas aligné avec ce but et même, ralentit les efforts pour l’atteindre. »

    Un marché lucratif, surtout en Asie
    Les plus gros consommateurs d’eau conditionnée sont les citoyens asiatiques, de la région Asie-Pacifique plus précisément, puis viennent les Etats-Unis et l’Europe. Dans ces derniers, l’eau en bouteille est perçue comme meilleure pour la santé et de meilleur goût que celle du robinet, et constitue donc un bien de luxe plus que de nécessité, « les habitants des pays du Sud achètent des bouteilles avant tout pour remédier au manque ou à l’absence d’un système solide de distribution publique », d’après les auteurs. En Europe, l’Allemagne est le plus gros marché.

    En 2021, cinq compagnies – PepsiCo Inc, The Coca-Cola Company, Nestlé Waters, Danone et Primo Waters Corporation – combinaient un revenu de 65 milliards par an, soit un quart du total global.

    Déplétion des ressources en eau
    Or, produire des bouteilles d’eau consomme… de l’eau, utilisée comme contenu mais aussi dans le processus de production. Selon des estimations tirées des données fournies par les fabricants, Coca-Cola en utilise en moyenne 1,9 litre pour produire un litre en bouteille, contre 3,3 litres pour Unilever et 4,1 litres pour Nestlé.

    Dans le monde, l’or bleu mis en bouteille provient principalement de sources souterraines. Des études basées sur des déplétions en eau déclarées en Inde, au Pakistan, au Mexique, au Népal et au Canada ont permis de déterminer qu’en 2021, Coca-Cola en avait extrait 300 milliards de litres et Nestlé Waters 100 milliards. Le géant chinois Hangzhou Wahaha est lui aussi cité avec ses 12 millions de litres prélevés chaque jour dans les sources des monts Changbai. Tout comme Danone qui extrait 10 millions de litres à Evian-les-Bains quotidiennement.

    « Les informations sur les quantités prélevées par les industriels sont rares et nous avons fait des estimations sur la base de ce qui était disponible, commente Zeineb Bouhlel. Comparé aux prélèvements pour l’irrigation, l’usage pour l’eau en bouteille est bien inférieur, pour le moment. Mais même si ces chiffres sont petits en valeur absolue, l’impact à l’échelle locale sur l’accès aux ressources en eau peut être important. »

    Contacté par Le Temps, le porte-parole de Nestlé Waters s’en défend : « Partout où nous embouteillons, nous veillons à ce qu’il n’y ait pas d’impact négatif sur les bassins-versants et les aquifères locaux. Pour preuve, nous certifierons toutes nos usines selon la norme de l’Alliance for Water Stewardship d’ici à 2025. Là où c’est nécessaire, en collaboration avec des partenaires, nous fournissons un accès à l’eau et à l’assainissement aux communautés proches de nos usines. »

    Des traces de contamination aussi
    Par ailleurs, « les entreprises de boissons aiment désigner l’eau en bouteille comme une alternative sûre à celle du robinet, en pointant du doigt certains ratés du système publique », affirme Zeineb Bouhlel. Alors que la réalité est tout autre, à voir la longue liste des cas de contamination des eaux en bouteille, toute marque confondue. Il peut s’agir de métaux lourds ou d’autres pollutions chimiques comme les pesticides ou les microplastiques. « Ce qui m’a le plus frappé, ce sont les fois où ce sont des micro-organismes qui ont été retrouvés dans des bouteilles », remarque l’autrice. Des microbes – pour certains résistants aux antibiotiques – ont été identifiés depuis dix ans dans des dizaines de bouteilles de marques différentes, aux Etats-Unis, en Chine, en France, au Portugal et dans d’autres pays.

    « Cela ne veut pas dire que toutes les eaux en bouteilles sont contaminées, mais elles ne sont pas forcément meilleures que celle du robinet », commente Vladimir Smakhtin, ancien chercheur à l’Unu-Inweh, tout juste retraité, et coauteur du rapport. Il rappelle avec ses collègues que la source de l’eau (système municipal ou surface de prélèvement), le processus de traitement (par chlorination, exposition à la lumière ou par la température), les conditions de stockage et l’emballage sont autant de facteurs potentiels qui peuvent altérer la qualité de l’eau en bouteille.

    « Des entreprises privées s’approprient un bien public à faibles coûts, le traitent et le revendent à ceux qui ne peuvent pas se le payer, affirme le rapport. Ironiquement, de nombreux cas parmi 40 pays montrent que ce produit final n’est pas sûr pour la santé, les entreprises étant bien moins contrôlées que les installations publiques. »

    Pollution plastique importante
    Enfin, troisième dégât de l’eau en bouteille pointé par ce rapport, sa contribution importante aux déchets de plastique. Les industriels auraient produit autour de 600 milliards de bouteilles plastiques en 2021. Une grande part n’est pas recyclée et finit dans des décharges à ciel ouvert, rarement contrôlées.

    Coca-Cola par exemple, produit près de trois millions de tonnes de plastique en 2019, dont seulement 3% sont réutilisables, selon certaines estimations établies par la Fondation Ellen MacArthur. L’entreprise Coca-Cola, contactée par Le Temps, n’a pas voulu commenter les données mondiales, mais rappelle que pour la Suisse, ses activités sont encadrées par l’ordonnance sur les emballages pour boissons.

    « Le problème des déchets plastiques provenant des bouteilles s’accélère, et il correspond déjà chaque année à une file de camion de 40 tonnes reliant New York à Bangkok », illustrent les auteurs. « La plupart des pays dans le monde n’ont pas de système de gestion des déchets, confirme Pascal Hagmann, directeur de l’ONG d’étude sur la pollution des océans par les déchets plastiques (Oceaneye). Il y a un manque d’anticipation dans ce domaine. »

    Or selon les projections, le marché des eaux en bouteille va continuer de grossir, les ventes de bouteilles devraient doubler d’ici 2030 pour atteindre un revenu global de 500 milliards de dollars. « Nous espérons que notre rapport permettra de lancer des réflexions au sein des gouvernements et dans la société, pour adapter les législations, déclare Zeineb Bouhlel. Il faudrait plus de régulation de ce secteur industriel et plus d’investissements dans les infrastructures publiques pour assurer un accès égal à l’eau. »

    #eau #capitalisme #déchets #pollution #plastique #agriculture #environnement #santé #privatisation #PepsiCo #Coca-Cola #Nestlé #Nestlé_Waters #Danone #Primo_Waters_Corporation

    Source et Shémas : https://www.letemps.ch/sciences/lindustrie-leau-bouteille-pollue-freine-lacces-lor-bleu

    • « or bleu » : Une expression assez ignoble dans le titre.

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  • Guerre en Ukraine : Auchan, Decathlon, Lactalis, Danone… les Français exposés
    https://www.lsa-conso.fr/guerre-en-ukraine-auchan-leroy-merlin-decathlon-lactalis-danone-les-entrep
    L’attaque dans la nuit du 23 au 24 février par l’armée russe d’un grand nombre de cibles militaires en Ukraine place sous les projecteurs l’importante activité des entreprises françaises dans le pays, en particulier les distributeurs avec la présence de 3 enseignes du groupe Mulliez (Auchan, Leroy Merlin et Decathlon) mais aussi l’industrie agroalimentaire avec des implantations pour Lactalis, Danone, Savencia, Soufflet, etc… Selon un extrait d’un document des douanes françaises, près de 160 entreprises françaises sont aujourd’hui implantées en Ukraine, employant 30 000 personnes et faisant de la France le premier employeur international en Ukraine. Elles sont présentes notamment dans la grande distribution (groupe Auchan, Decathlon), la banque (Crédit Agricole et BNP Paribas), l’agroalimentaire (notamment Louis Dreyfus, groupe Soufflet, Danone, Lactalis, Savencia, Malteurop, Limagrain), et le numérique (Ubisoft, Blablacar).


    Auchan compte 40 magasins en Ukraine dont 21 hypers pour 6000 salariés. Sur la photo un hypermarché Auhan à Kiev.

    15 entreprises agroalimentaires tricolores présentes en Ukraine
    Le site de la direction du Trésor indique par ailleurs qu’une quinzaine d’entreprises agroalimentaires et agricoles françaises sont présentes en Ukraine, plus particulièrement dans les domaines de la production, du négoce et de la transformation des céréales (Soufflet, Louis Dreyfus, Malteurop), de la transformation du lait (Danone, Lactalis, Savencia - Bongrain Zveniogorod), et de la production de semences végétales : Limagrain, MAS seeds (qui a ouvert récemment un centre de recherche à Borispil) et Euralis, groupes coopératifs ayant investi dans des unités de production.

    40 magasins Auchan, 5 Decathlon, 6 Leroy Merlin
    La distribution française est également présente en Ukraine via essentiellement des enseignes appartenant à la galaxie Mulliez. Contacté par LSA, Auchan retail qui mentionnait 26 magasins dans le pays dans son dernier rapport annuel, en compte en fait 40 aujourd’hui suite à des acquisitions notamment, dont 21 hypers, ce qui le situe au troisième rang de la distribution alimentaire locale. "Nous restons très attentifs à la situation, commente un porte parole du groupe qui ne notait néanmoins pas d’incidence sur les ouvertures de la plupart de ses magasins ce matin, précisant que l’enseigne ne compte aucun magasin dans le Donbass. Auchan emploie 6000 salariés dans le pays dont 3 expatriés (2 Français). Leroy Merlin, autre paquebot de l’Association Familiale Mulliez compte lui 6 magasins en Ukraine, 5 à Kiev 1 à Odessa. Enfin, Decathlon exploite 5 magasins en Ukraine, dont le premier a ouvert en 2019. « Nous restons attentifs, suivons et suivrons scrupuleusement les consignes gouvernementales », indique sobrement à LSA un porte-parole de l’enseigne de sport.

    Quid des activités françaises en Russie ?
    Mais pour ces trois distributeurs, ainsi que certains des industriels cités, s’ajoute un autre point de préoccupation, sans doute au moins aussi important. Quelles vont être les conséquences de la guerre pour leurs implantations et leurs activités en Russie cette fois-ci, où leurs infrastructures et leur poids économiques sont bien plus importants qu’en Ukraine. Selon son dernier rapport annuel, Auchan retail exploite 255 magasins en Russie (63 hypers, 193 supers) pour un chiffre d’affaires évalué à 4 milliards d’euros selon la presse locale, ce qui en fait le second pays du groupe après la France. L’enseigne emploie 30000 personnes en Russie, dont 25 expatriés. Pour Leroy Merlin, le pays est encore plus important. On estime que le champion français du bricolage y réalise plus de 5 milliards d’euros de chiffre d’affaires avec 112 magasins en Russie dans 56 villes selon les dernières données de l’enseigne. Quant à Decathlon, il compte 61 magasins en Russie, pays où il s’est implanté dès 2006. Est-ce que l’opposition française à la guerre contre l’Ukraine aura des répercussions directes ou indirectes sur leurs ventes et leur activité ? Bien malin qui pourra le prévoir au premier jour du conflit.

    Danone et Lactalis plus exposés en Russie qu’en Ukraine
    La Russie est aussi le pays où Danone est le plus exposé à des conséquences du conflit. Selon les données du groupe, le pays présidé par Vladimir Poutine représente environ 5% des revenus de Danone en 2021, et l’Ukraine moins de 1%. « Dans ces deux pays, nous opérons principalement dans la catégorie EDP (produits laitiers et d’origine végétale), avec un modèle principalement local, de la collecte de lait à la production et à la distribution », indique un porte-parole qui précise : Nos équipes locales suivent évidemment de près la situation et mettent en place toutes les actions nécessaires pour assurer la sécurité de nos salariés, ainsi que la continuité de nos activités."

    Chez Lactalis, les deux pays occupent également des positions non négligeables. L’industriel lavallois réalise 175 millions d’euros de chiffre d’affaires en Russie avec 4 sites de production (Istra, Belgorod, Effremov et Ekaterinbourg), 1 siège à Istra et 1900 salariés. A noter que Belgorod est proche de la frontière Ukrainienne et qu’une base militaire importante se trouve sur cette zone. Lactalis y produit localement les produits du marché russe et indique à LSA qu’il n’y a pas, à date, « de précautions particulières prises côté russe ». Comme « il n’y a pas de relations d’affaires entre la Russie et l’Ukraine depuis 2014. » L’entreprise française exploite 3 sites de production en Ukraine (Soumy / Pavlograd / Nikolaeiev) et 1 siège (Kiev) et emploie 850 collaborateurs Ukrainiens (pas d’expatriés) pour un chiffre d’affaires d’environ 100 millions d’euros. Elle y exporte vers la Géorgie, la Moldavie et les républiques d’Asie centrale. Lactalis précise à LSA qu’en Ukraine « nous nous efforcerons de maintenir notre contribution à l’alimentation des populations dans la limite d’assurer la sécurité de nos collaborateurs, fournisseurs et clients. A date, 100% de nos sites sont opérationnels et il n’y a pas de perturbation d’approvisionnement (Lait, Emballages, Ingrédients,…). En cas de risque dans les zones où des usines sont situées, nous demanderons l’arrêt de la production et le retour anticipé des salariés à leur domicile. »

    La France, 9e fournisseur de l’Ukraine
    Autre élément à ajouter aux conséquences économiques du conflit pour les entreprises françaises : le commerce extérieur avec l’Ukraine. Les douanes françaises dans le document précité précisent que la France est le 9ème fournisseur de l’Ukraine avec une part de marché de 2,8 %, en hausse constante par rapport à son niveau d’avant crise (2,2% en 2013). Le total des échanges commerciaux entre la France et l’Ukraine atteint 1,8 Md€ en 2019, en forte augmentation par rapport à 2018 (1,5 Md€). La France occupe notamment de solides positions sur les segments des produits chimiques, parfums et cosmétiques (35,4% de nos exportations en 2019), des équipements mécaniques, matériel électrique, électronique et informatique (19,1%, dont plus des deux tiers correspondant à des machines agricoles et forestières), des matériels de transport (9,2%), des produits pharmaceutiques (8,8%) et des produits agricoles (8%). Les biens importés en France en provenance d’Ukraine sont essentiellement des produits agricoles et agroalimentaires (66,2%).

    groupe #Mulliez #Auchan #Leroy Merlin #Decathlon #Lactalis #Danone #Savencia #Soufflet #Crédit_Agricole #BNP_Paribas #Louis_Dreyfus #groupe_Soufflet #Danone #Malteurop #Limagrain #Ubisoft #Blablacar #Bongrain #Limagrain #MAS_seeds #Euralis #lavallois #Ukraine #Russie #agroalimentaire

  • À sec, la grande soif des multinationales

    Depuis des décennies, les grandes multinationales de l’eau en bouteille amplifient leur pression sur les nappes phréatiques, au détriment des populations locales. Dans la région auvergnate de Volvic, l’État a accordé à la multinationale Danone de nouveaux droits de prélèvement, alors même que le niveau des réserves d’eau atteignait un niveau alarmant. Plusieurs sources historiques sont désormais taries, laissant sinistré le secteur autrefois florissant de la pisciculture. À Vittel, dans les Vosges, Nestlé Waters - premier employeur de la région - contrôle le territoire dont il surexploite sciemment l’aquifère. La firme suisse se trouve désormais embourbée dans une affaire de prise illégale d’intérêts doublée d’un scandale de pollution des sols. De l’autre côté du Rhin, c’est le géant Coca-Cola qui projette d’exploiter un troisième puits.

    https://www.linternaute.com/television/documentaire-a-sec-la-grande-soif-des-multinationales-p5559982/a-sec-la-grande-soif-des-multinationales-e5524003
    #film #film_documentaire #documentaire
    #Volvic #Lüneburg #eau #eau_en_bouteilles #extractivisme #Danone #multinationales #transparence #Nestlé #Vittel #nappe_phréatique #eau_potable #collectif_eau_88 #nappe_profonde #vigie_de_l'eau #conflits_d'intérêts #plainte #justice #pipeline #Coca-Cola #Nestlé_Waters #Contrex #Hépar #forages_profonds

    A participé aux enquêtes l’équipe de @wereport
    https://www.wereport.fr/articles/asec

  • A #Volvic, #Danone puise et épuise l’eau

    À Volvic, Danone assure « ne pas prendre à la nature plus que ce qu’elle est capable de nous donner ». En réalité, la multinationale augmente ses prélèvements pendant les mois les plus chauds, portant atteinte aux riverains et aux eaux de surface. En toute connaissance de cause et sous le regard bienveillant des autorités.

    Tapie derrière l’image verte de son « eau des volcans », la #Société_des_eaux_de_Volvic (#SEV) se targue d’« encourager des pratiques d’hydratation plus saines et durables dans le respect de notre écosystème ». Cette communication cache pourtant une vérité dérangeante : la SEV a augmenté le débit de ses forages en pleine période de sécheresse, en 2015, 2017 et 2018, comme le montrent des documents confidentiels que Mediapart a pu obtenir. Loin de porter le fer contre la multinationale, les services de l’État ont fermé les yeux sur ces pratiques et permis à l’entreprise de doubler ses prélèvements en vingt ans. L’entreprise consomme aujourd’hui dix fois plus d’eau que la population locale.

    En plein mois de juillet 2015, alors que la sécheresse ravage le Puy-de-Dôme, obligeant la préfecture à constituer une mission d’enquête sur l’étendue des dégâts, le minéralier français appuie sur l’accélérateur. Plus de 250 millions de litres d’eau sont extraits de la nappe en quatre semaines, soit 15 % de plus que la moyenne annuelle. De quoi continuer à remplir plusieurs millions de bouteilles par jour, exportées ensuite vers des dizaines de pays à travers le monde.

    Ce comportement, en contradiction totale avec toutes les affirmations de la multinationale, se reproduit en juillet et en août 2017. Dans un compte-rendu du comité de suivi de « l’aquifère de Volvic », qui réunit services de l’État, syndicat des eaux et représentants de la multinationale, il est question de « légère augmentation » des prélèvements pendant ces deux mois. Sans que les représentants de l’État présents n’y trouvent à redire. L’été 2017 est pourtant une période particulièrement chaude qui pousse la préfecture à prendre des mesures drastiques de réduction de la consommation d’eau pour tous les usagers du département… à l’exception notable de la SEV*.

    Interrogé sur cette pratique, Danone nie en bloc. « Dans le contexte de sécheresse, depuis 2017, nous réduisons chaque année nos prélèvements lors des mois d’été », affirme une agence spécialisée dans la communication de crise, au nom du géant de l’agroalimentaire, avançant même le chiffre invérifiable de « 500 millions de litres d’eau économisés entre 2017 et 2020 ». Une affirmation contredite par les chiffres en possession de Mediapart.

    En 2018, c’est bien en janvier, puis de juin à août, que les forages de Danone ont été les plus performants, comme le montre un document confidentiel de la Direction départementale des territoires du Puy-de-Dôme. Encore une fois, cette augmentation des prélèvements intervient pendant un été particulièrement aride, au point que la préfecture du Puy-de-Dôme reconnaît l’état de catastrophe naturelle sécheresse pour 75 communes du département. Et, encore une fois, les services de l’État en sont informés et ne réagissent pas, ces prélèvements respectant de justesse les limites autorisées par la préfecture. « Les prélèvements sont plafonnés mensuellement, dans l’arrêté d’autorisation. Chaque année le service police de l’eau s’assure du respect de l’intégralité de l’arrêté, notamment des prélèvements réalisés en été », se contente de préciser la préfecture.

    Pour Jacky Massy, de l’association environnementale Preva*, l’appétit du géant français de l’eau met directement en danger les cours d’eau qui dépendent de la nappe exploitée, dont le Gargouilloux. « Tout type de prélèvements opérés sur la nappe impacte l’aval (et les cours d’eau) », explique-t-il. Pour réduire son empreinte écologique, l’activiste aimerait que Danone se limite « au marché national » et ne produise plus que des bouteilles en verre. « Aujourd’hui, avec cinq forages, il est clair qu’ils [Danone] ajoutent aux ennuis qu’on rencontre », conclut-il.

    Massy n’est pas le seul à s’inquiéter des méthodes de la multinationale et de l’attitude de l’État. Le ruisseau du Gargouilloux passe sur le domaine d’Édouard de Féligonde, situé à quelques encablures en aval de l’usine de Volvic. En cette mi-septembre, il n’est plus qu’un mince filet d’eau et les dizaines de bassins de pisciculture du propriétaire des lieux sont quasiment tous à sec. Pour Édouard de Féligonde, qui a d’abord pris la parole dans les colonnes du Monde, c’est bien l’activité de la multinationale qui est à l’origine de la pénurie. « Le comité de suivi de l’aquifère ne suit que les intérêts de Danone », cingle-t-il à propos de l’organe réunissant, depuis 2016, des représentants publics et de Danone afin de surveiller les prélèvements en eau. S’estimant lésé, Féligonde réclame plusieurs millions d’euros à la SEV, dont huit millions d’euros pour la seule remise en état de la partie de sa pisciculture classée monument historique.

    Des accusations confirmées par un document confidentiel de la Société des eaux de Volvic datant de 2017, que Mediapart a pu consulter. Il y est écrit que « l’impact des prélèvements au captage du Gargouilloux » a pu être mis « en évidence » en 2015. Sur le plus long terme, et avec l’aval des autorités, l’embouteilleur a quasiment doublé ses prélèvements depuis 1998, passant de 1,5 million de m3 à 2,7 millions en 2018 (page 29 sur 89 du document). Soit dix fois plus que la consommation annuelle d’eau potable des quelque 4 500 habitants de Volvic (page 5 sur 6 du rapport 2018 de la commune de Volvic). Parallèlement à cette explosion des prélèvements, le débit du Gargouilloux, situé à proximité immédiate du site industriel, a été divisé par sept entre 2013 et 2019, selon les chiffres de la Direction régionale de l’environnement, de l’aménagement et du logement (Dreal) d’Auvergne.

    Danone continue pourtant de relativiser : « Nos analyses mettent en évidence le fait que la modification du débit s’explique essentiellement par des facteurs naturels », fait savoir l’entreprise. Sur son site, elle se veut encore plus rassurante : « L’Auvergne subit depuis plusieurs années un phénomène de sécheresse. Cela renforce les interrogations des citoyens, que nous comprenons aisément, sur la pérennité des ressources en eau. » Afin de préserver cette « ressource essentielle », Danone explique faire toute confiance à ses « experts [qui] veillent à sa gestion raisonnée ». Concernant l’eau pompée par ses soins, Danone se contente de renvoyer aux autorisations préfectorales en vigueur, sans évoquer les variations estivales : « Les quantités prélevées sont toujours en deçà des quantités autorisées par notre arrêté préfectoral. »

    Hasard malheureux du calendrier, c’est en plein bras de fer autour de la gestion de l’eau, et alors que la préfecture a annoncé pour la première fois dans la presse envisager une « baisse » des autorisations accordées à Danone, que l’État vient de valider en catimini, par un arrêté du 26 août 2020, « l’augmentation temporaire des débits » de forage de l’entreprise. Une autorisation qui intervient en pleine période de « vigilance sécheresse » et qui reste valable six mois, renouvelable une fois. « Les eaux du forage pompées durant les phases d’essai seront réinjectées dans l’aquifère en aval », précise l’arrêté, laissant à Danone le soin de réaliser lui-même le « bilan global » de cette opération, sans en préciser les modalités.

    Le but de cette dérogation ? Permettre à la firme de mener à bien la phase test de son tout nouveau forage, supposé remplacer un autre ouvrage, datant de 1968. Une opération qui ne devrait donc pas modifier les quantités globales prélevées par la SEV au cours de l’année, mais qui pourrait bien raviver les tensions, à quelques semaines d’une réunion entre les associations environnementales et le préfet. Malgré ce couac, la préfecture assure être consciente des enjeux. « Une approche globale est nécessaire et nous examinons depuis plusieurs mois, suite notamment à la sécheresse exceptionnelle de 2019, comment l’eau est consommée pour dégager des solutions à différents niveaux, expliquent les services préfectoraux du Puy-de-Dôme. L’approche doit concerner l’ensemble des prélèvements. »

    Si Danone continue de mettre en doute le lien direct entre ses prélèvements et la baisse des nappes souterraines, la corrélation a été confirmée en 2012 par une thèse de l’Institut de sciences et technologie de Paris. Mediapart a pu consulter ce document scientifique, classé confidentiel jusqu’au 31 décembre 2022. Une confidentialité à la demande du commanditaire des travaux, la Société des eaux de Volvic. L’auteur, Simon Rouquet, est formel : « On peut donc penser que le débit pompé au niveau du forage de Clairval [appartenant à Danone – ndlr] a une incidence sur le débit de la galerie du Goulet sur une durée de quelques jours. »

    Cette « galerie du Goulet » alimente plusieurs cours d’eau ainsi qu’une source utilisés pour alimenter les communes alentour en eau potable. Des données que Jean-François Béraud, expert hydrogéologue mandaté par les avocats de Féligonde, résume ainsi : « Quand on pompe davantage en haut, il y a moins d’eau en bas. »

    Une analyse que Danone réfute, préférant voir le verre à moitié plein. « Il ressort de nos études auprès des plus grands scientifiques hydrogéologues que la cause essentielle de la réduction du débit en aval consiste en des facteurs naturels (climat principalement, couvert forestier, etc.) », avance la firme. Avant de conclure : « Nos prélèvements en amont n’ont pas d’impacts significatifs sur le débit des sources de front de coulée en aval et permettent à l’aquifère de se renouveler. »

    Depuis la parution de la thèse de Simon Rouquet, il y a près de huit années, et en dépit de la communication récurrente du minéralier français, le lien entre les prélèvements de Danone et les ressources en eau de la région est clairement prouvé. Et bien connu des services de l’État, qui ont accordé une nouvelle autorisation de pomper à Danone, valable jusqu’en 2032, seulement deux ans après la publication doctorale.

    C’est un fonctionnaire d’une agence environnementale publique qui fut, à l’époque, rapporteur de la thèse de Simon Rouquet. Ce haut fonctionnaire est, entre-temps, passé avec armes et bagages chez… #Danone_Waters.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/250920/volvic-danone-puise-et-epuise-l-eau
    #eau #eau_potable #France #multinationales #extractivisme #forages #sécheresse #Puy-de-Dôme #eau_minérale #Gargouilloux #pisciculture #pénurie_d'eau #dérogation #Clairval #galerie_du_Goulet

    Une enquête signée @wereport

    • Wasser marsch !

      In der Werbung wirkt das Land bei Volvic wie eine grüne Idylle. Uralte Vulkane prägen die Landschaft rund um die kleine Gemeinde in der zentralfranzösischen Auvergne, aus der das Volvic-Mineralwasser stammt. Der Konzern Danone lässt es hier fördern, in Flaschen füllen und verspricht dabei, stets „nur so viel Wasser zu entnehmen, wie es die Natur erlaubt“.

      Viele Bewohner der Gegend bezweifeln das. Seit Jahren beobachten Bürger und Bauern, dass die Bäche weniger Wasser führen. An nur einem Tag, so hat eine Bürgerinitiative gezählt, hätten mehr als 200 Lastwagen und einige Dutzend Güterzüge die Abfüllanlage von Danone in Volvic verlassen. Ihre Ladung: Mineralwasser in Plastikflaschen für die Supermärkte der Welt.

      https://www.wereport.fr/articles/wasser-marsch-die-zeit

      #paywall, mais...

      Notre enquête #Volvic avec @dergrenzgaenger est l’article le plus lu et le plus partagé de la journée sur @zeitonline avec près de 150 000 vues

      https://twitter.com/alexabdelilah/status/1310231866499366914

    • À Volvic, la justice s’interroge sur les prélèvements d’eau de Danone

      L’État a-t-il accordé trop de droits de pompage à Danone sur les eaux de Volvic ? Ce 25 mai, la #justice a demandé de nouvelles expertises pour déterminer la #responsabilité de l’État dans l’asséchement d’une #pisciculture à Volvic.

      La justice demande des investigations supplémentaires. À Volvic, la #multinationale Danone est accusée d’avoir asséché une des plus vieilles piscicultures d’Europe pour remplir ses bouteilles. Mercredi 25 mai, le #tribunal_administratif de Clermont-Ferrand (Puy-de-Dôme) a ordonné une première expertise en géologie et hydrologie, pour déterminer si, oui ou non, il y a eu une réduction du débit des sources de l’élevage de poissons — et si cela est lié aux prélèvements de Danone. Une seconde expertise, économique celle-ci, devrait évaluer le préjudice lié à la perte d’exploitation et à la détérioration de la pisciculture.

      Petit retour en arrière. Les #eaux_souterraines de Volvic surgissent en surface à #Saint-Genès-l’Enfant, là où se situe le domaine de la famille d’#Édouard_de_Féligonde. « Les Romains nommaient cet endroit “les sources du dragon”, tant l’eau jaillissait dans un vacarme assourdissant », raconte le notable, propriétaire d’élevage de poissons. En 1927, date des premières mesures, le débit s’établissait à 470 litres par seconde. Mais depuis quelques années, la ressource s’est amoindrie, jusqu’à se tarir. À l’été 2017, les gérants de la pisciculture ont vu les bassins se vider et des centaines de poissons mourir. L’élevage a fermé en octobre 2018.

      Pour Édouard de Féligonde, le responsable est tout indiqué : « Le débit de ma source a été divisé par dix. Dans le même temps, les prélèvements de Danone n’ont fait qu’augmenter. » En 1965, la Société des eaux de Volvic puisait 15,6 litres par seconde. Depuis 2014, l’entreprise, rachetée par Danone, est autorisée par l’État à pomper 88,6 litres par seconde, soit 2,7 millions de mètres cubes par an. Le groupe agroalimentaire assure limiter ses prélèvements — 2,33 millions de mètres cubes en 2020 —, et économiser l’eau au maximum. « Nous avons investi 25 millions d’euros pour réduire notre consommation de 350 millions de litres, nous affirme le service presse du groupe. Volvic prend le sujet avec beaucoup d’attention. »

      « Après l’État, j’attaquerai Danone »

      Insuffisant, selon Édouard de Féligonde, qui a donc attaqué les #autorisations_préfectorales. Il est soutenu dans sa démarche par le collectif Eau bien commun 63 : « Danone et #Limagrain, les deux plus gros “préleveurs” privés du département, ne sont quasiment pas limités dans leurs #prélèvements en période de #sécheresse », dénonce Laurent Campos-Hugueney, porte-parole du collectif et maraîcher près de Volvic. Le préfet a en effet délivré une #autorisation_annuelle : Danone peut ainsi, en théorie, pomper autant qu’il veut en #été, tant qu’il ne dépasse pas la limite annuelle de 2,7 millions de mètres cubes. Les consommateurs s’hydratant plus en période chaude, le groupe embouteille effectivement plus en été qu’en hiver.

      Pour l’État, le coupable n’est pas Danone, mais le #changement_climatique : « Les conditions environnementales, et notamment la sécheresse, ont conduit à une baisse de la recharge de l’#aquifère sans qu’elle puisse être imputée à notre sens aux prélèvements réalisés en aval par la Société des eaux de Volvic », indiquait le préfet lors de son audition par des députés, en 2021. Autrement dit : s’il y a moins d’eau sous Volvic, c’est avant tout parce qu’il a moins plu et fait plus chaud. La température moyenne à l’année dans le Puy-de-Dôme a ainsi augmenté de 2,2 °C depuis les années 1980, diminuant la capacité de la nappe phréatique de 30 %.

      « On est dans une situation de #raréfaction de l’eau liée au changement climatique, dit Laurent Campos-Hugueney. Avant, les prélèvements massifs de Danone passaient inaperçus, maintenant, ce n’est plus le cas. » Pour le maraîcher, il est donc grand temps que la multinationale se sert la ceinture. « On défend des intérêts citoyens pour un usage de l’eau vraiment partagé, souligne-t-il. Mais cette revendication, pourtant légale, n’est pas prise en compte par l’État, il faut aller au tribunal pour espérer se faire entendre. » La mobilisation des citoyens semble avoir porté ses premiers fruits : en septembre dernier, le directeur du groupe à Volvic et le préfet du Puy-de-Dôme ont signé un « plan d’utilisation rationnelle de l’eau ». Volvic s’est engagé à prélever 10 % d’eau en moins sur l’année, avec une attention particulière en cas de sécheresse.

      Comme M. de Féligonde, le collectif #Eau_bien_commun_63 espère que la décision du tribunal de Clermont-Ferrand permettra d’ouvrir le débat sur l’avenir de l’eau sur le territoire. « Avec l’eau de Volvic, on pourrait remettre en culture 3 600 hectares de terres, qui étaient jadis couvertes de potagers et de vergers, dit M. Campos-Hugueney. Plutôt que de profiter aux #multinationales, cette eau pourrait permettre de créer des emplois paysans et de soutenir notre résilience alimentaire. »

      Le propriétaire d’élevage de poissons, Édouard de Féligonde, s’est dit déterminé à ne pas en rester là : « Mon nom provient de “felix onda”, l’eau féconde... autant vous dire que je n’accepte pas de me retrouver à marée basse, soutient-il à Reporterre. Après l’État, j’attaquerai Danone. »

      https://reporterre.net/A-Volvic-la-justice-s-interroge-sur-les-prelevements-d-eau-de-Danone

    • Thread sur twitter :
      https://twitter.com/Disclose_ngo/status/1279049745659559938

      Une enquête de @TBIJ, avec @Disclose_ngo et le @guardian révèle que 2,3 milliards d’euros ont été versés à l’industrie de la viande et du lait par la #BERD et #IFC, deux des principales banques d’aide au développement de @Banquemondiale.

      Principal bénéficiaire des financements de l’IFC et de la BERD : la filière laitière, avec plus de 890 millions d’euros investis en 10 ans. Les filières de la #volaille et du #porc ont obtenu 445 millions d’euros chacune.

      et ses partenaires ont découvert que ces #fonds_publics ont été largement mis au service de l’expansion de #multinationales. Des géants de l’#agrobusiness qui les ont utilisés pour construire des #abattoirs et des « #méga-fermes » industrielles à travers le monde.

      Parmi les bénéficiaires se trouve des poids lourds de l’agroalimentaire français. En 2010, la BERD a pris une participation dans les filiales d’Europe de l’Est et d’Asie centrale du groupe @DanoneFR – 25,3 milliards d’euros de CA en 2019.
      En 2016, c’est le @groupe_lactalis, n°1 mondial du lait, qui obtient un prêt de 15 millions d’euros de la part de la BERD. Les fonds ont bénéficié à #Foodmaster, la filiale de Lactalis au Kazakhstan.

      A l’époque, la #BERD annonce que « ce programme permettra à #Foodmaster d’augmenter la production et la qualité des produits laitiers » locaux. Ces dernières années, #Lactalis a été impliqué dans plusieurs scandales, dont la contamination de lait infantile à la salmonelle en 2017.
      Récemment, l’IFC a validé un prêt de 48M d’euros à la société indienne Suguna, le plus gros fournisseur de volaille du pays et l’un des dix plus gros producteurs mondiaux. En 2016, une ferme de Suguna a été accusée d’utiliser un antibiotique pointé du doigt par l’OMS.

      Autant d’investissements en contradiction avec les engagements de la BERD et de l’IFC en faveur de la lutte contre le changement climatique. Incohérence d’autant plus criante que l’élevage industriel est responsable de près de 15% des émissions de gaz à effets de serre.

      #Danone #France #Lactalis #Kazakhstan #produits_laitiers #lait_infantile #Suguna #antibiotiques

    • Le groupe #Carrefour complice de la #déforestation de l’#Amazonie

      Au #Brésil, les supermarchés Carrefour se fournissent en viande de #bœuf auprès d’un géant de l’agroalimentaire baptisé #Minerva. Une multinationale accusée de participer à la déforestation de l’Amazonie, et qui bénéficie du financement de la Banque mondiale.

      Chaque année, le Brésil exporte près de deux millions de tonnes de viande de boeuf. Pour assurer un tel niveau de production, l’élevage intensif est devenu la norme : partout à travers le pays, des méga-fermes dévorent la forêt amazonienne pour étendre les zones de pâturages.

      L’organisation internationale Trase, spécialisée dans l’analyse des liens entre les chaînes d’approvisionnement et la déforestation, a publié en 2019 une étude indiquant que l’industrie de la viande bovine au Brésil est responsable du massacre de 5 800 km2 de terres chaque année. Cette déforestation massive met en danger la faune et la flore, accélère les dérèglements climatiques et favorise les incendies, souvent localisés dans les zones d’élevage.

      Parmi les géants du bœuf brésilien qui sont aujourd’hui dans le viseur de plusieurs ONG : Minerva. Cette société inconnue en France est l’un des leaders de l’exportation de viande transformée, réfrigérée et congelée vers les marchés du Moyen-Orient, d’Asie ou d’Europe. Selon nos informations, l’un de ses principaux clients n’est autre que le groupe français Carrefour, qui a fait du Brésil son deuxième marché après la France.

      Fin 2019, après les incendies qui ont dévasté l’Amazonie, Noël Prioux, le directeur général de Carrefour au Brésil, s’est fendu d’une lettre à ses fournisseurs brésiliens, dont Minerva. Il souhaitait s’assurer que la viande de bœuf fournie par Minerva, mais aussi JBS et Marfrig, ne provenait pas d’élevages installés dans des zones déboisées. Quelques mois plus tôt, en juin, Carrefour s’était engagé à ce que « 100% de sa viande fraîche brésilienne » soit issue d’élevages non liés à la déforestation.

      Contacté par Disclose, Carrefour qualifie Minerva de fournisseur « occasionnel » au Brésil. Selon un responsable de la communication du groupe, Carrefour Brasil » a demandé à l’ensemble de ses fournisseurs de la filière bœuf un plan d’action pour répondre à l’engagement de lutte contre la déforestation. Dès que le groupe a connaissance de preuves de pratiques de déforestation, il cesse immédiatement d’acheter les produits dudit fournisseur. »

      https://www.youtube.com/watch?v=6ACsayFkw_Y&feature=emb_logo

      Le groupe continue pourtant à se fournir en viande bovine auprès de Minerva, mis en cause dans un rapport de Greenpeace Brésil au début du mois de juin. Selon l’ONG, l’entreprise aurait acheté des milliers de bovins à une exploitation appelée « Barra Mansa ». Laquelle est soupçonnée de se fournir auprès d’éleveurs accusés de déforestation. À l’image de la ferme de Paredão, installée dans le Parc national Serra Ricardo, dont la moitié des 4000 hectares de terrain auraient été déboisés illégalement. Barra Mansa, située à quelques kilomètres à peine, y a acheté 2 000 bovins, qui ont été achetés à leur tour par Minerva, le fournisseur de Carrefour au Brésil. Les analyses de données effectuées par Trase indiquent, elles aussi, qu’il existerait un lien direct entre les chaînes d’approvisionnement de Minerva et la déforestation de plus de 100 km2 de terres chaque année ; Minerva conteste ces conclusions.

      Minerva bénéficie du soutien de la Banque mondiale

      En décembre 2019, notre partenaire, The Bureau of Investigative Journalism (TBIJ), et le quotidien britannique The Guardian ont révélé que la Banque mondiale et son bras financier, la Société internationale financière (IFC), soutiennent directement l’activité de Minerva. Une participation financière initiée en 2013, date de la signature d’un prêt de 85 millions de dollars entre Minerva et l’IFC. Objectif affiché à l’époque : « Soutenir [le] développement [de Minerva] au Brésil, au Paraguay, en Uruguay et probablement en Colombie ». En clair, une institution d’aide au développement finance un géant mondial du bœuf soupçonné de participer à la déforestation de l’Amazonie. Le tout, avec de l’argent public.

      Selon des experts de l’ONU interrogés par le BIJ, la Banque mondiale doit absolument reconsidérer ses investissements au sein de Minerva. « Compte tenu de la crise climatique mondiale, la Banque mondiale devrait veiller à ce que tous ses investissements soient respectueux du climat et des droits de l’Homme et doit se retirer des industries qui ne respectent pas ces critères », a déclaré David Boyd, le rapporteur spécial des Nations Unies pour les droits de l’homme et l’environnement. Une position également défendue par son prédécesseur, le professeur de droit international John Knox : « Le financement international de projets contribuant à la déforestation et la détérioration du climat est totalement inexcusable ».

      Contactée, l’IFC explique avoir « investi dans Minerva afin de promouvoir une croissance pérenne (…) dans le but de créer une industrie bovine plus durable ». L’organisation assure que sa participation dans l’entreprise a permis à Minerva de prendre « des mesures pour améliorer la traçabilité de son approvisionnement auprès de ses fournisseurs directs », précisant qu’aujourd’hui « 100 % de ses achats directs proviennent de zones qui n’ont pas été déforestées. » Quid, dès lors, des fournisseurs indirects ? Ceux qui font naître et élèvent les bovins, avant qu’ils n’arrivent aux ranchs qui les enverront à l’abattoir ? Ils constituent de fait le premier maillon de la chaîne d’approvisionnement.

      Taciano Custódio, responsable du développement durable de Minerva, reconnaît lui-même qu’ « à ce jour, aucun des acteurs de l’industrie n’est en mesure de localiser les fournisseurs indirects ». Il en rejette la faute sur l’administration brésilienne et l’absence de réglementation en la matière, tout en justifiant la déforestation : « Les pays d’Amérique du Sud possèdent encore un grand pourcentage de forêts et de terres non défrichées qui peuvent être exploitées légalement et de manière durable. Certains pays invoquent notamment la nécessité d’agrandir leur territoire de production afin de pouvoir développer la santé et l’éducation publiques et investir dans des infrastructures. ».

      Depuis le début de l’année 2020, plus de 12 000km2 de forêt ont disparu. Soit une augmentation de 55% par rapport à l’année dernière sur la même période.

      https://disclose.ngo/fr/news/au-bresil-le-groupe-carrefour-lie-a-la-deforestation-de-lamazonie

  • Comment la désinformation sur le climat se diffuse et se finance sur YouTube
    https://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2020/01/17/comment-la-desinformation-sur-le-climat-se-diffuse-et-se-finance-sur-youtube

    « Le changement climatique est l’un des plus grands défis de notre époque […], des mesures immédiates doivent être prises à l’échelle mondiale pour limiter et, idéalement, inverser [ses effets] », clame Google dans son rapport environnemental 2019. Pourtant, malgré ces propos volontaristes, l’entreprise semble bien démunie, voire complaisante, face à la diffusion de contenus climatosceptiques sur sa plate-forme de vidéos YouTube, selon un rapport de l’ONG Avaaz publié jeudi 16 janvier. Ce document d’une (...)

    #Carrefour #Google #L'Oréal #Facebook #Twitter #Uber #YouTube #algorithme #écologie #manipulation #modération #Avaaz #Greenpeace #WWF #Danone #Décathlon (...)

    ##RedBull

  • Black bloc contre blackrock Rue affre 2 - 19 Décembre 2019 - tgb
    https://rueaffre2.com

    Toute l’histoire du #macronisme et de son monde, pourrait pourri, tenir dans cet odieux personnage ordinaire. Laurent Pietraszewski. https://www.frustrationlarevue.fr/laurent-pietraszewski-ex-drh-dauchan-est-reste-fidele-a-son-ancie

    Non, rien de personnel, juste l’incarnation parfaite de la start up nation, le maître étalon du valet de pisse #corporate, trimbalant la banalité de son inhumanité au service du pognon.

    Une véritable métonymie. La partie pour le tout. Le petit contremaître s’élevant sur les faibles pour mieux nourrir la barbarie policée de l’entre soi collabo et du 1%.

    Vendu, acheté, du conflit d’intérêt plein les fouilles, du vote de loi accommodante sur commande et du remerciement à 71 872 € la gamelle.

    C’est donc un de ces DRH radical, exalté, amicalement nommé « le #nettoyeur » par ses anciens collègues de la cfdt (c’est dire) qui l’ont côtoyé dans le Nord-Pas-de-Calais, de ce genre de psychopathe lambda qui fit se défenestrer par dizaine les « inutiles » les « riens » ces épuisés de l’âme et du corps de chez France Telecom, de cet #intégriste du financier qui aime à s’engraisser opportunément sur les #licenciements à dividendes, à jouer de la variable d’ajustement humain, et qui toujours zélé, fusille pour l’exemple un de ces délégués syndical tout juste bon à la fraternité, quel ringard, pour une erreur de caisse de 80 centimes et un croissant offert.

    Toute la normalité « moderne » du salopard, du cadre sup de « l’entreprise France », de la supérette discount, sous larbin du larbin chef, PDG de que dalle mais liquidateur de tout, au profit du profit et qui au jour de l’hypothétique procès du Nuremberg entrepreneurial dira innocemment qu’il n’a fait qu’obéir aux ordres.

    A l’ordre. Au nouvel ordre mondial. Ce #chaos. Ce désordre ordonné.

    Ainsi vont les ministres de chez #Auchan, de chez #Danone, les premiers ministres de chez #Areva, les secrétaires d’état de chez #Véolia, tout à spéculer sur la fin des mondes et les morts de faim, ainsi vont les candidats à la mairie de Paris de chez Unibail-Rodamco… https://fr.wikipedia.org/wiki/Unibail-Rodamco-Westfield Le voici tout ce petit monde playmobil de la réforme régressive, du progrès en arrière, de l’intérêt perso à se gaver sur l’usure des autres, dans ce monde sans pitié qu’ils arborent en médaille, tout à dépecer le bien général, à imposer leur sous-culture dans la suffisance de soi et la culpabilisation de l’autre.

    Oui un de ces petits #kapo grossièrement notable et structurellement dégénéré https://twitter.com/OuestFrance/status/1207617189236412417
    qui offre « du matériel humain bon marché », https://blogs.mediapart.fr/jean-marc-b/blog/190917/lordon-vivre-et-penser-comme-des-drh
    à tâter du biceps d’esclave sur cv. Le type même du sale type, vrp de cette bourgeoisie vip, dans son obscurantisme normal, s’adonnant au mépris sans complexe ; https://www.huffingtonpost.fr/entry/darmanin-conseille-a-macron-de-sentourer-de-gens-qui-mangent-avec-les

    ce mépris si longtemps refoulé, qui enfin peut exprimer dans sa légitime #vulgarité, sa #novlangue en son vide et sa réduction des coûts : sociaux, écologiques, vitaux.

    Ces marchands de mort.
    Rien à espérer, rien à voter, rien à négocier, rien à discuter, rien à attendre du manageur à démanager à coups de marteau. Dans le remplacement du pire, trouvera t’on toujours pire, du pire commun, du pire motivé, du pire formaté, du pire fusible et jetable, pour un futur du pire, de pire en pire, au service de l’empire et du monstre tout économisé.

    Encore trop à perdre avant qu’ils aient tout. Jusqu’à payer le prix dérisoire des chemises déchirées et de l’adjuration publique à s’en excuser.

    Mais viendra, et il rôde, le plus rien à perdre du tout qui ne se contentera pas de régler le pressing mais y foutra le feu avec le beau linge dedans et ses calcifs douteux.
    Non pas de « win win », comme ils disent, entre deux #benchmarking de la gestion des troupes d’#open_space sur tableaux excel. On ne sera jamais deux à faire de bonnes affaires. Le caporal chef #Lallement en son ample casquette à pointe, à amplement raison : nous ne sommes pas du même camp.

    La barricade n’ayant que deux côtés ; black bloc contre blackrock https://www.cafedelabourse.com/blackrock-monstre-finance-geant-gestion-actifs
    Alors viendra vraiment l’esprit de #noël et ses guirlandes clignotantes de pantins effroyables accrochés aux branches des sapins.
    La peur est très bonne conseillère.

    tgb

    #Laurent_Pietraszewski

  • #Matières_premières : comment les #géants #français épuisent la #planète - Observatoire des ##multinationales
    http://multinationales.org/Matieres-premieres-comment-les-geants-francais-epuisent-la-planete
    #terres

    Soja : une prise de conscience insuffisante pour prévenir la déforestation et les abus
    Utilisé comme matière première dans l’industrie agroalimentaire et surtout pour l’alimentation animale, le soja est devenue une denrée clé pour l’industrie. Sa production a littéralement explosé en Amérique du Sud, associé à l’utilisation massive de pesticides et de semences génétiquement modifiées et à des violations des droits des communautés et des travailleurs. L’expansion du soja empiète non seulement sur la forêt amazonienne, mais également sur d’autres régions du continent comme le la savane du #Cerrado au Brésil ou la région du #Chaco (Brésil, Argentine, Paraguay).

    Les associations Mighty Earth, France nature #environnement et Sherpa se sont associés pour identifier les principaux acheteurs français de soja en provenance d’Amérique du Sud. Une liste dans laquelle on retrouve des groupes agroalimentaires (et notamment laitiers) comme Danone ou Lactalis, des acteurs de la restauration comme #Sodexo et Elior, des chaînes de grande distribution comme #Auchan, #Carrefour ou #Casino.

    Force est de constater que ces firmes ne semblent pas avoir pris la mesure des risques liés à leur approvisionnement en soja, ni de leur responsabilité (y compris juridique, dans le cadre de la loi sur le devoir de vigilance) dans la prévention des abus constatés sur le terrain. Seule une poignée d’entre eux (Avril, Danone et Bel) fournit des informations un peu poussées (mais très incomplètes) sur les volumes, l’origine et la part tracée du soja utilisé dans la chaîne d’approvisionnement. D’autres ont purement et simplement refusé de répondre aux ONG au nom du secret commercial. La plupart de celles qui identifient les risques liés au soja se contentent de promouvoir des systèmes de « soja certifié » notoirement insuffisants pour empêcher la déforestation.

    Huile de palme : une industrie destructrice qui continue à s’étendre
    De l’agroalimentaire aux cosmétiques en passant par les #agrocarburants, l’huile de palme est un ingrédient commode et bon marché apprécié de nombreuses industries. Problème : son exploitation à grande échelle a dévasté des millions d’hectares de forêt en Asie du Sud-est, déplaçant des populations entières et mettant en danger des espèces animales emblématiques comme l’orang-outang.

    Malgré la prise de conscience des consommateurs, l’exploitation de l’huile de palme ne ralentit pas. Davantage surveillées en Indonésie et en Malaisie, les multinationales du secteur tournent désormais leurs regards vers l’Afrique et l’Amérique du Sud, créant les mêmes problèmes.

    Une fuite en avant alimentée entre autres par la demande de multinationales françaises comme L’#Oréal ou #Danone (71 000 tonnes d’huile de palme et de dérivés achetées chacune en 2018) et bientôt de #Total, qui a choisi de reconvertir sa raffinerie de La Mède, dans le Sud de la France, pour produire des agrocarburants à base d’huile de palme. Initialement, le géant pétrolier voulait en importer pas moins de 550 000 tonnes par an, mais a revu ce chiffre à la baisse sous pression des écologistes. Les multinationales acheteuses se défendent souvent en arguant qu’elles n’achètent presque que de l’huile de palme certifiée « responsable », mais l’expérience prouve que ces certifications ne sont pas fiables (lire notre article).

    Le #caoutchouc, aussi nocif que l’#huile_de_palme ?
    Des géants français sont très impliqués dans la filière, à commencer par #Michelin, en tant que fabricant de pneumatiques, et la #Socfin, filiale du groupe #Bolloré. Greenpeace a mis en cause les agissements de l’entreprise singapourienne Halcyon au #Cameroun, qui fournit des groupes comme Michelin. Face à la montée des critiques, l’industrie du pneumatique a fini par lancer en 2018 une initiative « multi-partie prenantes » sur le caoutchouc soutenable, sur le modèle de celles qui existent déjà pour le soja ou l’huile de palme. Lorsque l’on voit à quel point ces initiatives sont contestées, il n’est pas sûr que cela suffise à enrayer les problèmes.

    Bois et papier : une filière toujours opaque
    Le groupe Rougier et Guillemette & Cie se sont ainsi approvisionnées, selon l’ONG Amazon Watch, auprès du groupe brésilien Benevides Madeiras, condamné pour #déforestation illégale en #Amazonie. D’autres firmes ont commercialisé les produits de l’entreprise forestière de RDC Ifco, accusée par l’ONG Global Witness de couper des arbres en dehors des périmètres autorisés.

    Eau : la soif intarissable des grands groupes

  • Les Marocains testent le boycott marketing
    http://www.lefigaro.fr/societes/2018/11/18/20005-20181118ARTFIG00142-les-marocains-testent-le-boycott-marketing.php

    Les bouteilles d’eau Sidi Ali offertes avec le café ont été écartées par les serveurs. Sur les bidons de 5 l de Aïn Saiss, le logo #Danone a disparu. La marque veut se faire oublier. Le boycott visant depuis le 20 avril trois marques de grande consommation pour dénoncer « la cherté de la vie » a laissé des traces. En un semestre, les Eaux Minérales d’Oulmès, distributeur de Sidi Ali, ont vu leurs ventes chuter de 18 %, alors que celles de Centrale Danone, filiale du géant français, se réduisaient de 19 %. Aussi visé, le distributeur de carburant Afriquia n’a pas publié ses résultats financiers.

    Cet été, seul Danone, après avoir dépêché son PDG, a opéré une baisse de prix de son lait frais pasteurisé et annoncé la création d’une gouvernance du « juste prix » commune avec les consommateurs. La marque participe ainsi à l’émergence dans la conscience collective d’un « consommateur marocain ». « Le boycott manifeste l’éveil du consommateur marocain. Ce que nous cherchons, nous, mouvement associatif ...

    Suite de l’article payante, mais on a compris que le #boycott paye.

  • Emmanuelle Wargon, l’ex-lobbyiste en chef de Danone à la Transition écologique - Libération
    https://www.liberation.fr/france/2018/10/16/emmanuelle-wargon-l-ex-lobbyiste-en-chef-de-danone-a-la-transition-ecolog

    Cette énarque de 47 ans, ancienne camarade de promotion d’Edouard Philippe, a été nommée secrétaire d’Etat auprès de François de Rugy. Une nouvelle illustration du « rétro-pantouflage », ou quand un haut-fonctionnaire passé au privé revient exercer des fonctions importantes au cœur de l’Etat.

    « Qui a le pouvoir ? Qui gouverne ? » Fin août, pour justifier sa démission spectaculaire, Nicolas Hulot avait dénoncé « la présence des #lobbys dans les cercles du pouvoir », estimant que cela pose « un problème de démocratie ». L’ex-ministre de la Transition écologique et solidaire ne croyait pas si bien dire… Moins de deux mois plus tard, voici qu’arrive dans son ancien ministère, comme secrétaire d’Etat, Emmanuelle Wargon, rien moins que la directrice des affaires publiques et de la communication de Danone.

    Lobbying et pollution

    Soit la lobbyiste en chef du groupe alimentaire… l’un des plus gros pollueurs de la planète, en termes de plastique. La semaine dernière, Break Free From Plastic, une coalition de 1 300 organisations du monde entier, révélait que sur les 180 000 déchets plastiques ramassés dans l’environnement dans 42 pays en juin et septembre, ceux produits par Danone figuraient en quatrième position, après ceux provenant de Coca-Cola, de Pepsi et de Nestlé. Danone fait aussi partie des 25 entreprises françaises qui épuisent le plus les écosystèmes de la planète, pointait l’ONG WWF en 2016.

    Emmanuelle Wargon, 47 ans, rejoint au gouvernement l’ancienne directrice des ressources humaines de Danone, Muriel Pénicaud, devenue ministre du Travail. Au ministère de la Transition énergétique, où elle remplace Sébastien Lecornu – qui au sein du ministère s’était vu confier les dossiers « énergie », dont plusieurs dossiers brûlants, de Fessenheim à Bure –, elle rejoindra une autre secrétaire d’Etat venue d’un géant du privé : Brune Poirson, ancienne cadre de Veolia. Et Wargon, la fille unique de Lionel Stoléru, ancien ministre de Valéry Giscard d’Estaing et de François Mitterrand, est issue de la même promotion de l’ENA que le Premier ministre Edouard Philippe, lui-même ancien lobbyiste en chef du groupe nucléaire Areva (devenu Orano).

    « Rétro-pantouflage »

    Comme ce dernier, Emmanuelle Wargon, qui a aussi fait Sciences-Po et HEC, illustre parfaitement une pratique de plus en plus répandue : le « rétro-pantouflage », soit un cadre dirigeant du privé, souvent issu des grandes écoles (ENA, Polytechnique), qui revient exercer des fonctions importantes au sommet de l’Etat après avoir « pantouflé » en quittant la haute fonction publique pour un poste bien payé dans le privé. De quoi faire réagir mardi sur Twitter le secrétaire d’EE-LV David Cormand : « Avec Macron, l’écologie, c’est jamais sans les lobbys. »

    Décrite comme pugnace et opiniâtre, Emmanuelle Wargon a commencé sa carrière en 1997 comme auditrice à la Cour des comptes. En 2001, elle est devenue conseillère technique auprès du ministre délégué à la Santé Bernard Kouchner, dans le gouvernement Jospin. De 2007 à 2010, sous le gouvernement Fillon, elle a dirigé le cabinet du Haut-Commissaire aux solidarités actives Martin Hirsch, où elle a géré entre autres le dossier RSA, mis en œuvre sous Nicolas Sarkozy en 2008. Elle a aussi été adjointe au directeur général de l’Afssaps (aujourd’hui ANSM), l’agence de sécurité des produits de santé.

    Puis, avant Danone et après un passage au ministère des Affaires sociales, elle a été pendant trois ans déléguée générale à l’emploi et à la formation professionnelle au ministère du Travail, un poste clé, pilotant notamment la réforme de la formation professionnelle ou encore la gestion des crédits de la politique de l’emploi. Pas grand-chose à voir, donc, avec l’écologie ou l’énergie. Même si son ancien patron, le PDG de Danone Emmanuel Faber, a twitté mardi que « pendant trois ans, Emmanuelle Wargon a coordonné les engagements de Danone en matière de santé, d’environnement et d’inclusion ». Lui souhaitant « une pleine réussite au service de l’enjeu majeur qu’est la transition écologique et solidaire ».
    Coralie Schaub

    De mieux en mieux ici…

    #Wargon #Danone #écologie #lobbying #agro-industrie #agro-alimentaire

  • Boycott au Maroc : quelles sont les mesures annoncées par le PDG de Danone 5 Juillet 2018 - RTBF avec Brut
    https://www.rtbf.be/info/monde/detail_boycott-au-maroc-quelles-sont-les-mesures-annoncees-par-le-pdg-de-danone

    Depuis des mois, les Marocains protestent contre la vie chère en boycottant certains produits de Danone. La raison ? “Ils en ont ras-le-bol des prix qui sont très élevés par rapport à leur pouvoir d’achat“, explique une boycotteuse.

    Débuté sur les réseaux sociaux au travers de hashtags, le mouvement a très rapidement pris de l’ampleur. Depuis le mois d’avril, cette campagne de boycott massive cible en effet plusieurs entreprises, dont les produits laitiers de la filiale Danone appelée “Centrale Danone“.

    Respecter le pouvoir d’achat des citoyens
    Pour les boycotteurs, il ne fait nul doute que le mouvement a pour but de “servir les intérêts du citoyen marocain“. Aucun autre objectif n’est mis en avant si ce n’est la volonté de “respecter le pouvoir d’achat du citoyen“ . De son côté, le PDG de Danone respecte ce mouvement de boycott. “Je le regrette profondément“, a-t-il assuré lors d’une rencontre avec l’activiste à l’origine du boycott.

    Mais Emmanuel Faber craint que cela mette en péril les emplois des salariés de l’entreprise. “Si on continue à perdre de l’argent tous les jours, un jour l’entreprise s’arrête“.

    Et en effet, les conséquences financières de ce mouvement social sont loin d’être négligeables : Danone a annoncé une perte de 20 % de son chiffre d’affaires au Maroc sur le premier semestre 2018, par rapport à l’année dernière.

    Plus aucun profit sur cette marque ?
    Malgré cela, l’entreprise a indiqué qu’elle souhaitait rester au Maroc et a défendu la qualité de ses produits. Lors de sa rencontre avec les Marocains, Emmanuel Faber a ainsi annoncé que “le lait Centrale restera ce qu’il est et ce qu’il a toujours été : un lait naturel, complètement issu d’élevages marocains“. Le patron de la filiale en a profité pour “démentir les rumeurs“ de la présence d’antibiotiques et de conservateurs dans les laits pasteurisés, avant d’annoncer une série de mesures comme rendre le lait plus abordable en prix. “Nous ne ferons plus aucun profit sur cette marque en lait frais pasteurisé“.

    #Maroc #Boycott #danone #alimentation #prix #agroalimentaire #corruption #collusion

  • Réactions en « stock » dans l’affaire Pénicaud
    http://www.humanite.fr/reactions-en-stock-dans-laffaire-penicaud-639572

    Selon Christophe Castaner, Muriel Pénicaud pouvait gagner 100 ans de SMIC sur coup de Bourse au lieu de 80 perçus en 2013.

    Le pantouflage, Christophe Castaner connaît, tout comme son mentor Emmanuel Macron. Vendredi, il a, dans sa fonction de porte-parole du gouvernement, distillé quelques paroles prononcées par l’oracle pour la bonne conduite de ses troupes à l’issue de ce même conseil des ministres : « Le président nous a encouragés à réfléchir au fait que chacune de nos décisions soit dans une logique de sens. Il a insisté sur le fait que les Français nous comprennent toujours quand on les amène sur une logique de sens et non quand on prend les arbitrages ponctuels à tel ou tel moment ».

    En suggérant que Muriel Pénicaud a perdu 20% de la somme qu’elle aurait pu empocher en vendant dès 2013 un paquet d’action au lieu d’attendre 2017 pour gagner 20% de plus, il n’est pas certain que le porte-parole du gouvernement ait donné à ses propos le sens souhaité par le chef de l’Etat.

    S’agissant du sens à donner à ses propos concernant l’affaire Pénicaud, on est plutôt tenté de parodier Sully en se disant que le « pantouflage et l’auto-gavage sont les deux mamelles de la France » de Macron.

    #muriel_pénicaud #danone #loi_travail_macron #pantouflage #moralisation_de_la_vie_publique

  • Denis Robert & la censure par « Les Golden corbeaux de Twitter » :
    l’enCorback, suite.

    Bon... J’ai subi une attaque disons violente contre mon ordinateur, adresse mail et cette page Facebook qui a été interrompue quelques heures. L’article dans sa version définitive reste inaccessible. Je viens de faire des requêtes à Facebook. On me reproche des images à contenu pornographique. Je note que ces twittos racistes et attaquant les ennemis de la liberté totale sont les premiers censeurs dès qu’on touche à leur pré carré et à leurs privilèges...
    Revoilà un lien vers une ancienne version...

    https://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache%3AicTEHLFtBuYJ%3Ahttps%3A%2F%2Fwww.facebo

    J’imagine que ce serait bien d’en faire un article ailleurs et que, vu les attaques violentes, il a pas trop le temps (et moi non plus hélas) ; il publie plein d’autres trucs sur sa page facebook et seulement là, du coup deux/trois p’tits rappels :
    – pour ne rien perdre de ses petites affaires : https://archive.org
    – écrire un priorité sur des supports non-commerciaux et sécurisés : http://mediaslibres.org
    – diffuser chez les ami-e-s qui diffusent : http://seenthis.net (ben oué !)

    C’est vraiment un souci de devoir traquer les infos confiées sur facebook... #pfffff #halalalala... mais en tout cas il fout un beau bordel :p

    #Denis_Robert #censure #délation #racisme

  • Les géants français de l’agroalimentaire et de la #Grande_distribution épuisent la planète
    http://multinationales.org/Les-geants-francais-de-l-agroalimentaire-et-de-la-grande-distributi

    Quelles sont les 25 entreprises françaises qui impactent le plus les écosystèmes mondiaux ? Le #WWF a cherché à identifier les multinationales qui consomment le plus de #matières_premières comme le soja, l’huile de palme ou le bois, contribuant à fragiliser des régions comme l’Amazonie ou l’Asie du sud-est. Une liste où l’on trouve autant de firmes françaises que d’américaines. Les géants français de la #Grande_distribution, de la #Restauration_collective et du lait se distinguent. Chaque année, nous consommons (...)

    Actualités

    / #Agroalimentaire, Grande distribution, Restauration collective, #France, #Agriculture_et_alimentation, Grande distribution, #impact_sur_l'environnement, #chaîne_d'approvisionnement, matières premières, #agriculture, #alimentation, #consommateurs, #certification, #Carrefour, (...)

    #Auchan #Danone #Sodexo #Lactalis

    • http://multinationales.org/IMG/arton851.jpg?1461834413

      Pour le WWF (et beaucoup d’autres), l’une des réponses à cette question est de cibler les filières d’approvisionnement en matières premières comme le soja, l’huile de palme, le bois ou le poisson. L’organisation environnementaliste a dressé la liste des 25 entreprises françaises qui pèsent le plus sur les écosystèmes de la planète. Une liste où l’on trouve surtout des géants de la grande distribution et de l’agroalimentaire, dont certains sont peu connus du grand public. Une manière de rappeler que l’agriculture industrielle et les biens de consommation causent autant de dégâts environnementaux que les industries minière ou pétrolière. Mais c’est de manière indirecte, à travers leurs fournisseurs et leur chaine d’approvisionnement.

  • Les géants français de l’agroalimentaire et de la #Grande_distribution pèsent autant sur la planète que les multinationales américaines
    http://multinationales.org/Les-geants-francais-de-l-agroalimentaire-et-de-la-grande-distributi

    Quelles sont les 25 entreprises françaises qui impactent le plus les écosystèmes mondiaux ? Le #WWF a cherché à identifier les multinationales qui consomment le plus de #matières_premières comme le soja, l’huile de palme ou le bois, contribuant à fragiliser des régions comme l’Amazonie ou l’Asie du sud-est. Une liste où l’on trouve autant de firmes françaises que d’américaines. Les géants français de la #Grande_distribution, de la #Restauration_collective et du lait se distinguent. Chaque année, nous consommons (...)

    Actualités

    / #Agroalimentaire, Grande distribution, Restauration collective, #France, #Agriculture_et_alimentation, Grande distribution, #impact_sur_l'environnement, #chaîne_d'approvisionnement, matières premières, #agriculture, #alimentation, #consommateurs, #certification, #Carrefour, (...)

    #Auchan #Danone #Sodexo #Lactalis