Il y a des outils en ligne. Mais tu cherchais un vrai plugin photoshop/gimp/krita... ?
▻https://www.watermarkremover.io/fr
▻https://www.fotor.com/photo-editor-app/editor/basic
Je sais que c’est pas libre, mais j’utilise Affinity Photo en remplacement complet de Photoshop.
La fonction Remplissage a une option « Inpainting » qui fait la même chose que Photoshop : ça remplit la sélection à partir des éléments environnants.
Perso je l’utilise beaucoup pour faire disparaître les extincteurs dans mes visites virtuelles des musées…
Apparemment il y a des plugins qui font ça pour Gimp. (Chercher « Inpainting ».)
Seul logiciel de retouche photo complet intégré sur macOS, Windows et iPad
Bah non, alors…
Les « dark stores » sont des entrepôts : le gouvernement se rallie à la position des maires, qui veulent réguler leur implantation
▻https://www.lemonde.fr/economie/article/2022/09/07/les-dark-stores-sont-des-entrepots-le-gouvernement-se-rallie-a-la-position-d
Les « dark stores » sont donc bien des entrepôts. Cette définition sans équivoque est celle qu’a finalement décidé de retenir le gouvernement au terme d’une réunion de concertation très attendue, menée, mardi 6 septembre, avec les maires des grandes villes de France. « Et il n’y a plus de “sauf si” », ont insisté la ministre déléguée au commerce, Olivia Grégoire, et le ministre délégué au logement et à la ville, Olivier Klein. Que ces lieux, fermés, consacrés à la livraison de courses commandées en ligne aient installé ou non un comptoir de retrait, ce ne sont pas des commerces, ont insisté les deux ministres.
Cette clarification, qui doit être encore confirmée dans un arrêté, pourrait mettre fin à plusieurs mois de crispations autour de ces activités de livraison rapide, voire ultrarapide, apparues dans les centres-villes et dont les maires – ceux de Paris et des grandes métropoles en tête – ne cessent de dénoncer les nuisances.
Pour les « dark kitchens », ces cuisines consacrées à la confection de plats à livrer, et dont certaines, par leur taille, provoquent d’importantes nuisances pour le voisinage, la solution retenue est encore vague. L’idée serait de créer une nouvelle catégorie, ou sous-destination, dans le code de l’urbanisme. « Avec le risque que le flou juridique persiste, si la rédaction n’est pas claire », met en garde France urbaine.
Ce consensus trouvé sur le statut de ces activités ne signifie pas forcément la fin de celles-ci. En revanche, à présent que le flou juridique est levé, les enseignes vont devoir se plier à la règle. Cela signifie, car c’est ainsi que cela fonctionne en France, qu’elles devront s’installer là où le maire aura jugé opportun, au moment de la rédaction de son plan local d’urbanisme (PLU), qu’une activité de logistique urbaine soit implantée.
Pour les « dark stores » déjà en place, « les règles devront s’appliquer » aussi, insiste Olivier Klein. A Paris, où le PLU les considère déjà comme des entrepôts (car la zone de stockage est supérieure à un tiers de la surface), la plupart des acteurs des courses express sont hors des clous. Soit parce qu’ils sont installés au rez-de-chaussée d’un immeuble d’habitation, soit parce qu’ils ont transformé, sans autorisation, un local commercial en entrepôt.
Une partie avait décidé de passer outre aux rappels à l’ordre de la municipalité. Les règles ne sont pas adaptées à leur modèle, l’Etat modifiera tout cela, expliquaient-ils alors. La procureure de Paris est saisie de plusieurs dossiers. En parallèle, la Ville les a mis en demeure de régulariser leur situation. Les premières astreintes financières – plafonnées à 500 euros par jour, dans une limite de 25 000 euros – doivent tomber dans les tout prochains jours.
Nella città delle piattaforme
Sullo sfondo del lavoro precario del #delivery ci sono parchi, piazze e marciapiedi: i luoghi di lavoro dei rider. Dimostrano la colonizzazione urbana operata dalle piattaforme
Non ci sono i dati di quanti siano i rider, né a Milano, né in altre città italiane ed europee. L’indagine della Procura di Milano che nel 2021 ha portato alla condanna per caporalato di Uber Eats ha fornito una prima stima: gli inquirenti, nel 2019, avevano contato circa 60mila fattorini, di cui la maggioranza migranti che difficilmente possono ottenere un altro lavoro. Ma è solo una stima, ormai per altro vecchia. Da allora i rider hanno ottenuto qualche piccola conquista sul piano dei contratti, ma per quanto riguarda il riconoscimento di uno spazio per riposarsi, per attendere gli ordini, per andare in bagno o scambiare quattro chiacchiere con i colleghi, la città continua a escluderli. Eppure i rider sembrano i lavoratori e le lavoratrici che più attraversano i centri urbani, di giorno come di notte, soprattutto a partire dalla pandemia. Dentro i loro borsoni e tra le ruote delle loro bici si racchiudono molte delle criticità del mercato del lavoro odierno, precario e sempre meno tutelato.
Esigenze di base vs “capitalismo di piattaforma”
Per i giganti del delivery concedere uno spazio urbano sembra una minaccia. Legittimerebbe, infatti, i fattorini come “normali” dipendenti, categoria sociale che non ha posto nel “capitalismo di piattaforma”. Questa formula definisce l’ultima evoluzione del modello economico dominante, secondo cui clienti e lavoratori fruiscono dei servizi e forniscono manodopera solo attraverso un’intermediazione tecnologica.
L’algoritmo sul quale si basano le piattaforme sta incessantemente ridisegnando la geografia urbana attraverso nuovi percorsi “più efficienti”. Per esempio – in base al fatto che i rider si muovono per lo più con biciclette dalla pedalata assistita, riconducibili a un motorino – le app di delivery suggeriscono strade che non sempre rispondono davvero alle esigenze dei rider. Sono percorsi scollati dalla città “reale”, nei confronti dei quali ogni giorno i lavoratori oppongono una resistenza silenziosa, fatta di scelte diverse e soste in luoghi non previsti.
Le piattaforme non generano valore nelle città unicamente offrendo servizi, utilizzando tecnologie digitali o producendo e rivendendo dati e informazioni, ma anche organizzando e trasformando lo spazio urbano, con tutto ciò che in esso è inglobato e si può inglobare, in una sorta di area Schengen delle consegne. Fanno in modo che gli spazi pubblici della città rispondano sempre di più a un fine privato. Si è arrivati a questo punto grazie alla proliferazione incontrollata di queste società, che hanno potuto disegnare incontrastate le regole alle quali adeguarsi.
Come esclude la città
Sono quasi le 19, orario di punta di un normale lunedì sera in piazza Cinque Giornate, quadrante est di Milano. Il traffico è incessante, rumoroso e costeggia le due aiuole pubbliche con panchine dove tre rider si stanno riposando. «Siamo in attesa che ci inviino un nuovo ordine da consegnare», dicono a IrpiMedia in un inglese accidentato. «Stiamo qui perché ci sono alberi che coprono dal sole e fa meno caldo. Se ci fosse un posto per noi ci andremmo», raccontano. Lavorano per Glovo e Deliveroo, senza un vero contratto, garanzie né un posto dove andare quando non sono in sella alla loro bici. Parchi, aiuole, marciapiedi e piazze sono il loro luogo di lavoro. Gli spazi pubblici, pensati per altri scopi, sono l’ufficio dei rider, in mancanza di altro, a Milano come in qualunque altra città.
In via Melchiorre Gioia, poco lontano dalla stazione Centrale, c’è una delle cloud kitchen di Kuiri. È una delle società che fornisce esercizi commerciali slegati dalle piattaforme: cucine a nolo. Lo spazio è diviso in sei parti al fine di ospitare altrettante cucine impegnate a produrre pietanze diverse. I ristoratori che decidono di affittare una cucina al suo interno spesso hanno dovuto chiudere la loro attività durante o dopo la pandemia, perché tenerla in piedi comportava costi eccessivi. Nella cloud kitchen l’investimento iniziale è di soli 10mila euro, una quantità molto minore rispetto a quella che serve per aprire un ristorante. Poi una quota mensile sui profitti e per pagare la pubblicità e il marketing del proprio ristorante, attività garantite dall’imprenditore. Non si ha una precisa stima di quante siano queste cucine a Milano, forse venti o trenta, anche se i brand che le aprono in varie zone della città continuano ad aumentare.
Una persona addetta apre una finestrella, chiede ai rider il codice dell’ordine e gli dice di aspettare. Siccome la cloud kitchen non è un “luogo di lavoro” dei rider, questi ultimi non possono entrare. Aspettano di intravedere il loro pacchetto sulle sedie del dehors riservate ai pochi clienti che ordinano da asporto, gli unici che possono entrare nella cucina. I rider sono esclusi anche dai dark store, quelli che Glovo chiama “magazzini urbani”: vetrate intere oscurate alla vista davanti alle quali i rider si stipano ad attendere la loro consegna, sfrecciando via una volta ottenuta. Nemmeno di questi si conosce il reale numero, anche se una stima realistica potrebbe aggirarsi sulla ventina in tutta la città.
Un posto «dal quale partire e tornare»
Luca, nome di fantasia, è un rider milanese di JustEat con un contratto part time di venti ore settimanali e uno stipendio mensile assicurato. La piattaforma olandese ha infatti contrattualizzato i rider come dipendenti non solo in Italia, ma anche in molti altri paesi europei. Il luogo più importante nella città per lui è lo “starting point” (punto d’inizio), dal quale parte dopo il messaggio della app che gli notifica una nuova consegna da effettuare. Il turno di lavoro per Luca inizia lì: non all’interno di un edificio, ma nel parco pubblico dietro alla stazione di Porta Romana; uno spazio trasformato dalla presenza dei rider: «È un luogo per me essenziale, che mi ha dato la possibilità di conoscere e fare davvero amicizia con alcuni colleghi. Un luogo dove cercavo di tornare quando non c’erano molti ordini perché questo lavoro può essere molto solitario», dice.
Nel giardino pubblico di via Thaon de Revel, con un dito che scorre sul telefono e il braccio sulla panchina, c’è un rider pakistano che lavora nel quartiere. L’Isola negli anni è stata ribattezzata da molti «ristorante a cielo aperto»: negli ultimi 15 anni il quartiere ha subìto un’ingente riqualificazione urbana, che ha aumentato i prezzi degli immobili portando con sé un repentino cambiamento sociodemografico. Un tempo quartiere di estrazione popolare, ormai Isola offre unicamente divertimento e servizi. Il rider pakistano è arrivato in Italia dopo un mese di cammino tra Iran, Turchia, Grecia, Bulgaria, Serbia e Ungheria, «dove sono stato accompagnato alla frontiera perché è un paese razzista, motivo per cui sono venuto in Italia», racconta. Vive nel quartiere con altri quattro rider che lavorano per Deliveroo e UberEats. I giardini pubblici all’angolo di via Revel, dice uno di loro che parla bene italiano, sono «il nostro posto» e per questo motivo ogni giorno si incontrano lì. «Sarebbe grandioso se Deliveroo pensasse a un posto per noi, ma la verità è che se gli chiedi qualunque cosa rispondono dopo tre o quattro giorni, e quindi il lavoro è questo, prendere o lasciare», spiega.
Girando lo schermo del telefono mostra i suoi guadagni della serata: otto euro e qualche spicciolo. Guadagnare abbastanza soldi è ormai difficile perché i rider che consegnano gli ordini sono sempre di più e le piattaforme non limitano in nessun modo l’afflusso crescente di manodopera. È frequente quindi vedere rider che si aggirano per la città fino alle tre o le quattro del mattino, soprattutto per consegnare panini di grandi catene come McDonald’s o Burger King: ma a quell’ora la città può essere pericolosa, motivo per il quale i parchi e i luoghi pubblici pensati per l’attività diurna sono un luogo insicuro per molti di loro. Sono molte le aggressioni riportate dalla stampa locale di Milano ai danni di rider in servizio, una delle più recenti avvenuta a febbraio 2022 all’angolo tra piazza IV Novembre e piazza Duca d’Aosta, di fronte alla stazione Centrale. Sul livello di insicurezza di questi lavoratori, ancora una volta, nessuna stima ufficiale.
I gradini della grande scalinata di marmo, all’ingresso della stazione, cominciano a popolarsi di rider verso le nove di sera. Due di loro iniziano e svolgono il turno sempre insieme: «Siamo una coppia e preferiamo così – confessano -. Certo, un luogo per riposarsi e dove andare soprattutto quando fa caldo o freddo sarebbe molto utile, ma soprattutto perché stare la sera qui ad aspettare che ti arrivi qualcosa da fare non è molto sicuro».
La mozione del consiglio comunale
Nel marzo 2022 alcuni consiglieri comunali di maggioranza hanno presentato una mozione per garantire ai rider alcuni servizi necessari allo svolgimento del loro lavoro, come ad esempio corsi di lingua italiana, di sicurezza stradale e, appunto, un luogo a loro dedicato. La mozione è stata approvata e il suo inserimento all’interno del Documento Unico Programmatico (DUP) 2020/2022, ossia il testo che guida dal punto di vista strategico e operativo l’amministrazione del Comune, è in via di definizione.
La sua inclusione nel DUP sarebbe «una presa in carico politica dell’amministrazione», commenta Francesco Melis responsabile Nidil (Nuove Identità di Lavoro) di CGIL, il sindacato che dal 1998 rappresenta i lavoratori atipici, partite Iva e lavoratori parasubordinati precari. Melis ha preso parte alla commissione ideatrice della mozione. Durante il consiglio comunale del 30 marzo è parso chiaro come il punto centrale della questione fosse decidere chi dovesse effettivamente farsi carico di un luogo per i rider: «È vero che dovrebbe esserci una responsabilità da parte delle aziende di delivery, posizione che abbiamo sempre avuto nel sindacato, ma è anche vero che in mancanza di una loro risposta concreta il Comune, in quanto amministrazione pubblica, deve essere coinvolto perché il posto di lavoro dei rider è la città», ragiona Melis. Questo punto unisce la maggioranza ma la minoranza pone un freno: per loro sarebbe necessario dialogare con le aziende. Eppure la presa di responsabilità delle piattaforme di delivery sembra un miraggio, dopo anni di appropriazione del mercato urbano. «Il welfare metropolitano è un elemento politico importante nella pianificazione territoriale. Non esiste però che l’amministrazione e i contribuenti debbano prendersi carico dei lavoratori delle piattaforme perché le società di delivery non si assumono la responsabilità sociale della loro iniziativa d’impresa», replica Angelo Avelli, portavoce di Deliverance Milano. L’auspicio in questo momento sembra comunque essere la difficile strada della collaborazione tra aziende e amministrazione.
Tra la primavera e l’autunno 2020, momento in cui è diventato sempre più necessario parlare di sicurezza dei lavoratori del delivery in città, la precedente amministrazione comunale aveva iniziato alcune interlocuzioni con CGIL e Assodelivery, l’associazione italiana che raggruppa le aziende del settore. Interlocuzioni che Melis racconta come prolifiche e che avevano fatto intendere una certa sensibilità al tema da parte di alcune piattaforme. Di diverso avviso era invece l’associazione di categoria. In quel frangente «si era tra l’altro individuato un luogo per i rider in città: una palazzina di proprietà di Ferrovie dello Stato, all’interno dello scalo ferroviario di Porta Genova, che sarebbe stata data in gestione al Comune», ricorda Melis. La scommessa del Comune, un po’ azzardata, era che le piattaforme avrebbero deciso finanziare lo sviluppo e l’utilizzo dello spazio, una volta messo a bando. «Al piano terra si era immaginata un’area ristoro con docce e bagni, all’esterno tensostrutture per permettere lo stazionamento dei rider all’aperto, al piano di sopra invece si era pensato di inserire sportelli sindacali», conclude Melis. Lo spazio sarebbe stato a disposizione di tutti i lavoratori delle piattaforme, a prescindere da quale fosse quella di appartenenza. Per ora sembra tutto fermo, nonostante le richieste di CGIL e dei consiglieri comunali. La proposta potrebbe avere dei risvolti interessanti anche per la società che ne prenderà parte: la piattaforma che affiggerà alle pareti della palazzina il proprio logo potrebbe prendersi il merito di essere stata la prima, con i vantaggi che ne conseguono sul piano della reputazione. Sarebbe però anche ammettere che i rider sono dipendenti e questo non è proprio nei piani delle multinazionali del settore. Alla fine dei conti, sembra che amministrazione e piattaforme si muovano su binari paralleli e a velocità diverse, circostanza che non fa ben sperare sul futuro delle trattative. Creare uno spazio in città, inoltre, sarebbe sì un primo traguardo, ma parziale. Il lavoro del rider è in continuo movimento e stanno già nascendo esigenze nuove. Il rischio che non sia un luogo per tutti , poi, è concreto: molti di coloro che lavorano nelle altre zone di Milano rischiano di esserne esclusi. Ancora una volta.
▻https://irpimedia.irpi.eu/nella-citta-delle-piattaforme
#ubérisation #uber #géographie_urbaine #urbanisme #villes #urban_matters #espace_public #plateformes_numériques #Milan #travail #caporalato #uber_eats #riders #algorithme #colonisation_urbaine #espace_urbain #Glovo #Deliveroo #cloud_kitchen #Kuiri #dark_store #magazzini_urbani #JustEat #starting_point
« L’addiction aux jeux vidéo entretenue par des algorithmes mérite l’attention du législateur »
▻https://www.lemonde.fr/idees/article/2022/07/27/l-addiction-aux-jeux-video-entretenue-par-des-algorithmes-merite-l-attention
« L’addiction aux jeux vidéo entretenue par des algorithmes mérite l’attention du législateur »
Tribune
Perrine Pelletier
Avocate
Il faut préserver le secteur du jeu français des dérives des manipulations, notamment financières, rendues possibles par la collecte de données, estime Perrine Pelletier, avocate spécialisée dans les nouvelles technologies, dans une tribune au « Monde ».
Publié aujourd’hui à 06h26 Temps de Lecture 3 min.
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« Oops ! Vous n’avez pas assez de potion. Pour continuer le jeu, achetez une loot box et voyez ce que la chance vous réserve ! » « La partie s’arrête maintenant pour vous. Tentez votre chance et achetez une loot box pour gagner des vies supplémentaires ! » Première industrie culturelle en France, les jeux vidéo déchaînent les passions. Risques d’addiction, déconnexion avec le monde réel, autant de griefs souvent mentionnés pour diaboliser un monde virtuel captivant – pour plus de 3,2 milliards de joueurs dans le monde.
Les clés du succès ? La qualité graphique et créative, les nombreuses références culturelles, les multiples options de jeu conjuguées à des scénarios remarquablement ficelés pour augmenter l’effet ludique… et retenir l’engagement des joueurs. Sans compter l’effet de réseau qui, comme en dehors de l’univers du gaming, a pour résultat de maintenir les joueurs connectés.
D’abord réservé aux jeux vidéo mobiles, gratuits pour le joueur – du moins tant qu’il le souhaite –, un nouvel outil nommé « loot box » s’est développé dans les jeux à gros budget. Une loot box, ou « coffre à butin », contient plusieurs objets virtuels apparentés à des récompenses aléatoires susceptibles d’offrir au joueur des améliorations, allant de la personnalisation des personnages à l’acquisition de nouvelles options, parfois rares, lui permettant d’avancer dans le jeu.
Lire aussi : « Loot boxes » dans les jeux vidéo : où en est leur régulation en France ?
A première vue, il ne s’agit là que d’une simple fonctionnalité qui doit permettre à un joueur de maximiser son expérience ludique. Mais dès lors que ces loot boxes sont payantes, elles se révèlent finalement plus problématiques. Génératrices de gains incertains, fondées sur le hasard, en contrepartie d’une somme d’argent, les loot boxes ont les caractéristiques pour être assimilées à des loteries payantes en ligne, prohibées en France (hors Française des jeux). Car les jeux d’argent et de hasard sont réglementés, dans le monde réel comme dans le monde numérique, afin d’endiguer notamment les risques d’addiction – ce pourquoi les jeux de hasard sont généralement interdits aux personnes mineures en France.
Les achats intégrés aux jeux vidéo représentent environ 15 milliards de dollars de gains (environ 14,69 milliards d’euros) pour l’industrie (en 2020), et en France, 4,78 millions de joueurs sont mineurs. Vu l’ampleur du phénomène et dès lors que ces achats intégrés produisent des effets aléatoires, à l’instar d’une loterie, faut-il les réglementer ou les interdire dans l’Hexagone, comme les jeux d’argent et de hasard en ligne en 2010 ?
Lire aussi les témoignages : Article réservé à nos abonnés Une affaire de famille : « La génération actuelle a grandi avec une vraie culture jeu vidéo, qu’elle peut transmettre aux enfants »
Aujourd’hui, les loot boxes sont encadrées à la marge par certains pays seulement. La Belgique et les Pays-Bas ont fait le choix de les interdire, les assimilant à des jeux de hasard, la Suède souhaite également modifier sa législation en ce sens. Plus récemment, le Norwegian Consumer Council publiait un rapport intitulé « Comment l’industrie du jeu exploite les consommateurs à l’aide de boîtes à butin », auquel 20 associations de consommateurs issues 18 pays européens, dont la France, ont décidé d’apporter leur soutien. Elles soulignent un besoin évident de réglementation prônant l’interdiction des conceptions trompeuses au moyen de méthodes marketing, la protection des mineurs compte tenu de leur vulnérabilité, notamment en ligne, mais aussi la transparence des transactions. Une législation protectrice du consommateur, du joueur vulnérable, mais peut-être surtout une législation qui responsabilise les éditeurs de jeux ?
Finalement, ce n’est pas tant les achats intégrés susceptibles d’être accessibles à des mineurs qui sont au cœur du sujet – ils doivent pouvoir être encadrés par des règles d’accès à des jeux réservés à leur âge, un contrôle parental, des règles de modération des écrans et des limites financières – comme pour toute autre activité sur Internet en somme.
Ce qui est davantage en cause, c’est l’usage massif des loot boxes au moyen de techniques marketing de manipulation grâce aux données collectées pendant les sessions de jeu et, in fine, l’instauration d’un dark pattern [une interface conçue pour manipuler l’utilisateur] qui pousse à la consommation malgré soi. Ce qui mérite l’attention du législateur, ce sont les schémas implacables d’addiction entretenus par des algorithmes.
Le jeu vidéo est un formidable levier de croissance et de rayonnement culturel pour la France dans le monde, fort de véritables pépites reconnues internationalement. Permettons à ce secteur de poursuivre son essor, en préservant l’art et le divertissement des risques d’addictions par le pay to win [« payer pour gagner »].
Perrine Pelletier est une avocate intervenant en propriété intellectuelle, médias et nouvelles technologies.
#Jeux #Jeux_vidéos #Economie_numérique #Culture_numérique #Dark_patterns
C’est con, à force de naviguer en mode privé, je ne retrouve plus un lien survolé aujourd’hui (mais derrière paywall) qui parlait de la collecte des données personnelles dans les jeux vidéo et de son rôle méconnu mais essentiel.
D’une part, les loot boxes sont apparues il y a quelque quinze ans (notamment avec Team Fortress 2). D’autre part, les jeux vidéo français sont rarement connus pour intégrer des coffres à butins. Enfin, l’addiction aux jeux vidéo ne fait pas consensus auprès de la communauté scientifique.
Paresse business : petits livreurs et gros profits | ARTE Radio
▻https://www.arteradio.com/emission/vivons_heureux_avant_la_fin_du_monde
Depuis la pandémie, les applications de « quick commerce » ont révolutionné les comportements du citadin moyen. La recette miraculeuse ? Commander en trois clics sur son smartphone une barquette de guacamole pour l’apéro ou un pack de lait UHT, et se les faire amener à domicile en quelques minutes par un livreur à vélo. Et ceci tous les jours, de l’aube à minuit, pour un surcoût dérisoire de même pas deux euros. Flink, Cajoo, Gorillas, Getir… Une dizaine de jeunes start-up européennes se disputent, après celui de la livraison des repas, ce nouveau marché des courses d’épicerie disruptées. Leur arme fatale : un réseau de dark stores, des mini-entrepôts disséminés dans les grandes métropoles et qui permettent aux livreurs d’être à proximité des clients. Des siècles de civilisation et d’innovation technique pour ne plus bouger ses fesses du canapé... Que raconte ce business de la paresse ? Sous prétexte de nous simplifier la vie, comment cette économie change-t-elle le visage de la ville ? Notre rapport aux autres, au travail, au temps ? D’ailleurs, quelle vie mènent ceux qui pédalent toute la journée avec des sacs isothermes sur le dos ? En rencontrant un livreur à vélo sans papiers, des geeks du numérique, et un économiste affûté et pédagogue, Delphine Saltel éclaire ce qui se passe à l’ombre des dark stores et des dark kitchens. Au cœur de nos petits arrangements avec la flemme.
Dis donc y a de bons entretiens dans cette série de podcast « Vivons heureux avant la fin du monde »… Merci.
Le vrai lien de l’émission précise (et non pas de la série complète) :
▻https://www.arteradio.com/son/61671782/paresse_business_petits_livreurs_et_gros_profits
▻https://cdn.arteradio.com/permanent/arteradio/sites/default/files/sons/28paressebusiness_hq_fr.mp3
#audio #radio #livreurs #livraison #dark_store #quick_commerce
Huhu @marcimat beauuuucoup trop de choses à écouter… entre arte radio, france cul déjà rien que ça fait des heures + tous les podcasts natifs binge, etc… au secouuurs
@marcimat La série mérite le détour. Je conseille aussi particulièrement les épisodes sur le recyclage ou la fast fashion qui sont très réussis.
▻https://www.arteradio.com/son/61666976/le_recyclage_est_une_ordure
▻https://www.arteradio.com/son/61664723/fast_fashion_ou_coton_bio_peut_on_s_habiller_sans_polluer
Cette émission est vraiment très bien, et du coup lien très clair avec #critique_de_la_valeur (l’économiste dedans explique bien que le capitalisme en général a chaque année de moins en moins de création de valeur !) #wertkritik #capitalisme #survaleur #publicité
Livreurs #UberEats ou #Deliveroo, ils risquent leurs vies pour un burger | StreetPress
►https://www.streetpress.com/sujet/1646309485-livreurs-ubereats-deliveroo-morts-route-accident-uberisation
Si les prix baissent, les distances des courses, elles, augmentent. Pour répondre au besoin de #croissance de leur #modèle_économique, les plateformes étendent progressivement leurs zones de #livraisons. Deliveroo fonctionne désormais dans 300 agglomérations et UberEats dans plus de 245. Depuis peu, l’application au lapin blanc sur fond turquoise a d’ailleurs mis en place des « #dark_kitchen », des cuisines uniquement dédiées à la livraison, située dans des hangars de banlieue donc éloignées des centres-villes. C’est ce qui explique que le GPS fait parfois prendre aux livreurs l’autoroute ou des chemins peu praticables pour les #vélos, comme en a tragiquement fait les frais Franck Page, le jeune marmandais décédé.
[...]
Selon une enquête de Franceinfo menée en avril 2021, à Paris et en proche banlieue, 81% des livraisons sont effectuées avec un scooter thermique. Un mode de transport encore plus risqué.
[...]
« Je contacte le #SAV de Deliveroo et la seule chose qu’ils me demandent c’est si j’ai pu livrer la commande. » Baladé de service en service pendant des jours, le barbu aux yeux clairs finit par laisser tomber et payer lui-même les 200 euros de réparation de son vélo. « C’est l’un des pires souvenirs que je garde de cette #application. Je pense qu’ils font exprès de rendre le processus insupportable pour qu’on se décourage », analyse-t-il. Il y a quelques mois, vers 23h, alors qu’il terminait sa journée de travail, Julien est mordu par un chien. Il a le mollet en sang :
« J’ai directement appelé SOS médecin, je n’ai même pas pris la peine d’appeler Deliveroo. Je savais que j’allais parler à quelqu’un qui allait réagir comme un robot. »
[...]
Mais AXA couvre les blessures aux jambes, aux bras et à la tête, mais a considéré que ses viscères n’étaient pas assurés.
¿Karacole ? Cet après-midi j’ai vu l’escargot s’envoler au dessus de la carte de France. Puis il a fait pluie-froid-sombre et j’ai vu l’Ombre... Mais rappelle-toi : « No morirá la flor de la palabra. »
▻https://www.flickr.com/photos/valkphotos/51381352930
ValK. a posté une photo :
#Nantes, 15 août 2021.
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«No morirá la flor de la palabra. Podrá morir el rostro oculto de quien la nombra hoy, pero la palabra que vino desde el fondo de la historia y de la tierra ya no podrá ser arrancada por la soberbia del poder.»
México, enero de 1996
▻https://enlacezapatista.ezln.org.mx/1996/01/01/cuarta-declaracion-de-la-selva-lacandona #ezln
Ça pique !
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Autoportrait. Nantes, 21 juillet 2021.
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« Et sinon, vous faites toujours de la photo ? »
« Oui et non : comme je vous l’ai dit, gaz & tonfas m’ont chassée de la rue. »
... Le silence ausculte mon ventre.
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ValK. a posté une photo :
#Nantes le 5 juillet 2021
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Mmmh tu t’es encore trompé de lien de vidéo à priori :) (tu peux éditer)
oui je viens de voir, c pas moa ki se trompe mais le bookmarlet qui mets ce que j’ai regardé juste avant.
en vrai j’aime pas trop dmx, sauf, et je suis d’accord avec driver ce son « Who we be », un « #traumatisme » :
sur foxy brown ça slut shame sale.
DMX Funeral Procession through The Bronx
▻https://www.youtube.com/watch?v=gArx_BjXeBY
ah mais y a des vélos aussi
Someone need to find that young man who rode from Bronx to Brooklyn on a one wheel bike through the traffic. That’s whole lot of DMX love.
En ce moment, c’est la multiplication des écrans sur le thème « Soit tu nous refiles tes données personnelles, soit tu n’accèdes pas à notre site ». Comme en plus j’ai activé un bloquer de pubs, c’est la fête du slip en permanence.
Évidemment, c’est la multiplication des design maléfiques, où le lien « Ne pas accepter » est planqué (désormais en petit en haut à droite du popup), et le lien « Oui, fliquez-moi » est un beau gros bouton bien visible. Ou le classique choix entre « Oui pour tout, z’y va » et « Non, je ne veux pas, mais je vais devoir passer les 5 prochaines minutes de ma vie dans un formulaire à la con pour régler le truc. »
Mais le pompon, ces derniers jours, c’est :
– {{Alternatives économiques}}, qui veut bien que je lise son article, mais à condition que je file mon adresse email.
– {{Jeuxvideo.com}}, soit j’accepte les cookies intrusifs, soit je paie 2€ :
Je me demande si toutes ces conneries sont vaguement légales…
Au-delà de la légalité, je crois surtout qu’ils ont décidé de se passer de nos lectures.
Après, j’ai à peu près tous mes clients qui me réclament d’installer un « écran RGPD ». Quand je leur dis que le modèle qu’ils me demandent est de toute façon illégal, hé ben tant pis, c’est ça qu’ils veulent.
Les plus patients me demandent quel serait l’écran « légal », je dis donc qu’il faut un écran qui demande réellement l’autorisation de poser un cookie tiers, et qu’il ne faut pas déclencher Google Analytics avant. Donc on aura une grosse partie des gens qui vont tout simplement dire non, et on n’aura pas d’Analytics pour eux. Donc on pourrait tout aussi bien ne pas mettre Analytics du tout, et comme par ailleurs on ne pose rien d’autre, on n’aurait plus besoin de « popup RGPD ». Là généralement ça bug : « non alors on va mettre l’autre écran d’avertissement » (celui qui est illégal).
(Et je leur ai pas encore expliqué pour l’insertion de pavés Facebook, de vidéos Youtube dans leurs pages, ou bien les ceusses qui veulent insérer leur flux Twitter sur leur page d’accueil – parce qu’on est toujours en 2011…)
M’enfin j’ai jamais eu ces cas pathologiques où l’on me demanderait d’interdire les visites si les gens ont mis un anti-pub, ou d’exiger qu’on file son adresse email pour accéder au site.
C’est une des raisons qui fait que je ne me bats plus pour créer des sites Internet vitrine... Ras le bol de ces considérations ineptes.
Je réponds : « y-a qu’à pas utiliser ceci et cela, et plus besoin d’écran ». Mais oui, ça bug.
En début de semaine, on m’interrogeait sur tarteaucitron.io ; je trouve le truc bien foutu dans l’esprit. Pas encore mis en œuvre, mais ça ne devrait pas tarder.
Pour info, selon la config de ton bloqueur de pub (certes strict), Tarte au citron génère une erreur qui pète tout le js de ta page :
▻https://github.com/AmauriC/tarteaucitron.js/issues/576
A noter que la règle en question pète également les commentaires Github, donc bon :)
Une messagerie 100% pur beurre
►https://www.francebleu.fr/infos/societe/treebal-la-nouvelle-messagerie-bretonne-et-ecolo-1621395345
Treebal c’est la nouvelle application bretonne et écolo à installer dans nos téléphones portables. Une alternative à Whatsapp, Telegram ou Signal qui promet de protéger nos données personnelles tout en plantant des arbres !
appel moi con, aussi !
oui mais sur Treebal
@arno {{héhé}} tu fais du SPIP en ce moment ? ^^ (cf les {{ pour graisser du texte)
/me se comprend
Je suppose que tu connais ce post …
►https://seenthis.net/messages/665225
En ce moment, ma banque m’annonce que je ne recevrai plus de SMS pour valider mes paiements sur internet (ce sera votre tour bientôt, ne vous inquiétez pas). Et que si je ne veux pas installer leur application sur mon telephone, il faudra que je paye pour avoir un boitier qui flashera le QRcode de l’écran.
Hé oui, mon bon Monsieur, les nouvelles règles européennes sur la vente en ligne n’étaient pas assez contraignantes. Sous prétexte de sécurité, les formulaires d’achat envoie en clair vers la banque, ton nom, ton adresse, ton pays, ton mail et ton numéro de téléphone. Et bientôt ce sera la biométrie, oui, c’est plus sécure hinhin, pour engranger encore des #données_personnelles.
#authentification
#DSP2
#3Dsecure
#RGPD (mais on va pas craché dessus)
Si tu veux vérifier ce que je te raconte, voila l’exemple des données transmises pour une banque irlandaise
▻http://developer.elavonpaymentgateway.com/#!/hpp/3d-secure-2/mandatory-fields
et quelques captures d’écran de ma banque
A noter qu’avec le CM, j’étais enquiquiné par leur application qui refusait de fonctionner si je refusais de partager l’accès aux fichiers et aux contacts. C’est terminé, l’application permet de valider les achats et les accès web sans nécessité de donner des autorisations élargies.
Toujours au CM : si tu n’as pas de compte Google (playstore) sur ton téléphone, tu ne peux pas installer leur application de double authentification... (ou alors il te faut bricoler avec quelqu’un qui l’a installée pour récupérer l’apk)...
...et quand tu en cause à ton « conseiller » il ne comprend même pas quel est le problème !
Je suis contente : j’ai convaincu plusieurs clients qu’on n’en a rien à battre de collecter des données sur nos sites. Que la seule donnée qui compte, c’est combien de ventes et de bons propects solides on a récupéré en ligne et pour cela, il suffit de demander gentiment.
Que s’ils sont accros aux chiffres, on a toujours les données brutes du serveur qui permettent de se rendre compte qu’en ligne, on récolte beaucoup de bruit et qu’il n’est pas utile de perdre du temps avec. Qu’il vaut mieux un bon client content qui a eu une bonne expérience utilisateur sur le site qu’une volée de trolls et de bots qui ne font que pinguer sans lendemain.
20 Popular Onion Sites Useful for Anonymous Online Activities- Dr.Fone
▻https://drfone.wondershare.com/dark-web/onion-websites.html
With over 100,000 onion tor services and websites available through the Dark Web, and more than 2 million people logging into the network every single day, getting started on your own deep Dark Web onion journey can feel very much like an overwhelming challenge.
Chaos im Radio vom 8. März: Das papierlose Büro, das IT-Sicherheits...
▻https://diasp.eu/p/12566991
Chaos im Radio vom 8. März: Das papierlose Büro, das IT-Sicherheitsgesetz #ITSIG2 und das #Darknet ▻https://radio.ccc-p.org/#nt-2021-03-08
Quand tu veux aller écouter un podcast de Klaire sur arte radio (▻https://www.arteradio.com/son/61665162/renaud_de_toi), et que tu veux refuser le dépôt de cookies.
C’est moi qui ai l’esprit tordu ?
P.S. : le surlignement sur la capture est de moi, dans la réalité la phrase est noyée dans le bloc de texte.
(Sinon, le podcast il est bien, hein, Klaire n’y est pour rien de sur l’histoire des cookies).
C’est le composant d’interface « truc glissant » qui est un dark pattern à lui tout seul, et qui ne devrait jamais être utilisé.
Les trucs glissants gauche-droite qui simulent une case à cocher ou deux boutons radios, ne sont accessibles et compréhensibles que si et seulement si les deux labels sont à l’extérieur du bouton, afin de pouvoir les lire en permanence et donc savoir que quand le bitoniau est à gauche ça veut dire le label de gauche et vice versa.
Label à gauche O--- Label à droite
Label à gauche ---O Label à droite
Design & Ethique | Kevin Pardo, Bertrand VIGNAU-LOUS et Nicolas CHAUVEAU | Replay Flupa Online
▻https://www.youtube.com/watch?v=2cb2U2Jjvds
De la caméra au synthé modulaire, les explorations de Marc Caro – #Gonzaï
▻http://gonzai.com/de-la-camera-au-synthe-modulaire-les-explorations-de-marc-caro
#Marc_Caro, né le 2 avril 1956, est un cinéaste et dessinateur français surtout connu pour ses œuvres de cinéma co-réalisées avec Jean-Pierre Jeunet. Les deux ont écrit et réalisé trois courts métrages ainsi que des longs métrages cultes comme Delicatessen et La Cité Des Enfants Perdus. Mais ce que peu de gens savent, c’est que Marc est aussi musicien, il a commencé en 1977 dans un groupe de punk bruitiste nommé Parazite avec lequel il fera la bande son du Bunker De La Dernière Rafale en 1981. Son retour au son avec MonoB & NoroE (+Closer²/UPR) est donc un événement rare dont nous avons pu discuter, en totale exclusivité pour Gonzaï.
▻https://hivmusic1.bandcamp.com/track/mutatrophine
Unknown Pleasures Records
Cold Wave Years 2012 - 2020
▻https://hivmusic1.bandcamp.com/track/a-i-ashes-to-ashes-david-bowie-cover
▻https://closer2.bandcamp.com/track/third-eye
►https://seenthis.net/messages/851683
#dark #electro #techno #indus
Relire #Dark_Knight_Returns de #Frank_Miller, ou le rêve d’une société sécuritaire sous surveillance (1)
▻https://labojrsd.hypotheses.org/2862
J’ai relu Dark Knight Returns, dans une édition en noir et blanc qui confère à la violence du plus mythique des héros DC #Comics une coloration sensiblement différente. Moins frappante mais non moins graphique,...
#Billets #Batman #BD_étatsunienne #DC_Comics #dispositifs_sécuritaires #Etats-Unis #Gotham #Harvey_Dent #Joker #Super-Héros
Ce groupe de hackers mercenaires vantait ses services... sur LinkedIn
▻https://cyberguerre.numerama.com/5542-ce-groupe-de-hackers-mercenaire-vantait-ses-services-sur-
Le Citizen Lab a révélé l’existence du groupe de hackers mercenaires Dark Basin. Alimenté par une entreprise indienne, il s’est attaqué à des centaines de victimes : journalistes, dirigeants, personnalités politiques... Mais les traces grossière laissées par ces membres ont permis de l’identifier. Ce groupe de hackers mercenaires est embauché pour des tâches allant de l’espionnage industriel aux manœuvres d’intimidations. Depuis 2017, il a visé, souvent avec succès, des milliers d’organisations et (...)
#BellTroX #LinkedIn #spyware #milice #écoutes #hacking #phishing #CitizenLab #DarkBasin_
//c1.lestechnophiles.com/cyberguerre.numerama.com/content/uploads/sites/2/2020/06/logo-linkedin.jpg
Dark Basin : Uncovering a Massive Hack-For-Hire Operation
▻https://citizenlab.ca/2020/06/dark-basin-uncovering-a-massive-hack-for-hire-operation
Key Findings Dark Basin is a hack-for-hire group that has targeted thousands of individuals and hundreds of institutions on six continents. Targets include advocacy groups and journalists, elected and senior government officials, hedge funds, and multiple industries. Dark Basin extensively targeted American nonprofits, including organisations working on a campaign called #ExxonKnew, which asserted that ExxonMobil hid information about climate change for decades. We also identify Dark Basin (...)
#BellTroX #DarkBasin_ #ExxonMobil #DoJ #algorithme #spyware #activisme #journalisme #écoutes #hacking #surveillance #CitizenLab (...)
##EFF
Une entreprise émiratie conclut un marché avec les géants israéliens de l’armement
Tamara Nassar, Electronic Intifada, le 22 juillet 2020
▻https://agencemediapalestine.fr/blog/2020/07/24/une-entreprise-emiratie-conclut-un-marche-avec-les-geants-israe
L’enquête de Marczak a découvert que Group 42 était impliqué dans la création de l’appli de messagerie ToTok.
Google et Apple ont retiré ToTok de leurs réserves en décembre dernier craignant entre autres que les utilisateurs de l’appli soient susceptibles de voir leurs messages et leurs conversations contrôlés par le gouvernement des EAU.
ToTok était très populaire dans les Emirats parce qu’il servait d’alternative gratuite aux applis de messagerie mondiales, FaceTime, WhatsApp et Skype, parce qu’elles sont restreintes par le gouvernement et ne permettent pas les appels.
#israel #Emirats_Arabes_Unis #Group_42 #DarkMatter_Group #Unit_8200 #Pegasus_LLC #PAX_AI #NSO #ToTok #Israel_Aerospace_Industries #Rafael_Advanced_Defense_Systems #complicité #boycott #BDS
Dark Patterns and Design Policy - Data & Society : Points
▻https://points.datasociety.net/dark-patterns-and-design-policy-75d1a71fbda5
These are what Designer Harry Brignull calls “dark patterns,” a term he created in 2010 to describe design choices and characteristics that trick users into making decisions they normally wouldn’t make. Dark patterns can be purposeful or accidental, though it’s often hard to determine the intent behind them. For example, is it an intentional dark pattern to suppress privacy when social networks bury their security settings, or are designers and engineers not sure where to place the appropriate buttons for users to find? Is it intentional that marketplaces like Amazon have price confusion, or again, is it accidental bad design? (In 2019, a few US senators tried to create legislation to ban some forms of dark patterns, though the bill ultimately failed.)
What matters here is not unpacking direct intent, but rather looking at the outcomes and harms of these design decisions and then, creating policy that accounts for these decisions.
What is design policy?
“Design policy” looks at the role of design in products and software—how designers “make things”—and then analyzes how design terms and the structure of design operate in relation to policy and technology. User experience design is what makes technology usable and accessible. For example, iOS follows flat design principles for mobile, and Android follows material design. Most digital design follows the principles of human-centered design, a design methodology created in the 1990s that focuses on user experience. These methodologies are how, for example, a person in Croatia can use an app designed in India and understand how to use the app.
If policy is, roughly, a set of rules that outline and/or govern how things work, then design policy is the act of using design to make policies around software and hardware understandable. It recognizes that design affects technology, including how technology looks and feels to consumers, and what consumers can ‘see’ or know about technology.
This has changed in the last years: Today, across many industries, companies use digital design practices that harm consumers, erode privacy, and harm competition.” Dark patterns have only been focused in larger, general press journalist publications recently, even though designers have known about dark patterns for years. Rieger points out that this could be because dark patterns have started to cause more serious, widespread damage; for instance, when filing taxes or in implementations of the European Union’s General Data Protection Regulation (GDPR).
In 2018, Germany passed the Network Enforcement Act or NetzDG, which allows users to report illegal content and specifically online hate speech. However, the interface to report hate speech was buried and confusing for users; this blog post had to illustrate how to access the reporting mechanism and then how to use it.
Rieger and I argue that this is a dark pattern, since the reporting form was difficult to access and the design of the flow itself was confusing to users. User interface for specific kinds of features need to be viewed under a lens of ‘searchability,’ or access to information, and if a feature is buried or difficult to find, that makes it harder to access.
GDPR asks, how do we design for user consent and transparency in products and in ad tracking? GDPR is what we could label a ‘wicked design problem’, which is design problem that seems hard or impossible to solve, since it has to address privacy settings and cookies, create user consent-focused flows in a way that is understandable to users, and provide ways to opt-in and opt-out, while not radically slowing down users (which would cause user frustration).
Since it’s been passed, the GDPR has been radically misinterpreted across platforms and US news media websites. Below are a few examples from the websites of Le Monde, Vice Germany, Harper’s Bazaar, The Daily Beast, and The Atlantic.
Harper’s Bazaar initial GDPR settings (Figure 9), where they only offer the ‘accept’ button, is a design that some argue is probably illegal. This is not a consensual choice: users either select ‘yes,’ or forgo reading the website. The May 2020 examples from Le Monde, Vice Germany, Harper’s Bazaar, and The Daily Beast could also be considered dark patterns because users lack clear options to reject cookie tracking. Harper’s Bazaar does a slightly better job once the user clicks into “cookie settings,” but it takes an extra step to get there.
Design policy in practice
It’s time for policy teams, think tanks, independent research institutes, and research labs to engage with designers in the same ways that technologists and engineers are being welcomed into research, policy, and academia. Design can unintentionally shift, mask, and hide policy, as well as the intentions of policy.
When we set out to regulate tech, let’s remember that technology employees on a granular level—not just the monolith of the company—are the ones interpreting that regulation, whether or not the employee realizes it. When providing policy regulations, if researchers aren’t thinking about how a designer will take what we write and implement it in a specific way, then our research and recommendations aren’t producing the intended impact. Designers can take the directive of “tell people about cookies and give them consent options” and create many different things, which is why we see so many different results of GDPR. But imagine if in legislation, it was outlined that “the choices need to be equal in hierarchy and legible for all audiences.” That tells a designer a different story.
FreshNewsHardware est en ligne! ►https://paper.li/K1ng0fNo0b/1418475525?edition_id=b89451b0-9cf5-11ea-aa42-0cc47a0d1609 … Merci à @Dave01184289 @Simo10_10 #darkweb #selling
▻https://twitter.com/K1ng0fNo0b/status/1264180022891491330
FreshNewsHardware est en ligne! ►https://paper.li/K1ng0fNo0b/1418475525?edition_id=b89451b0-9cf5-11ea-aa42-0cc47a0d1609 … Merci à @Dave01184289 @Simo10_10 #darkweb #selling
5 heures de live dark ambient industriel confiné, avec des bouts de tekno dedans. Réalisé du 25 au 26 avril 2020, à l’occasion de la célébration des 20 ans de la Dröne Zone (▻http://drone-zone.org).
Octatrack + MachineDrum + Analog 4 + Analog Rytm + RS 7000. Plus un visuel maison... disons... bunker, sur OBS Studio.
#musique #live #electro #indus #dark #ambient #tekno #confinement
Dark mode
▻https://blog.smarchal.com/dark-mode
Dark-mode : media-query CSS et matchMedia JS pour prefers-color-scheme
DECEIVED BY DESIGN - How tech companies use dark patterns to discourage us from exercising our rights to privacy
▻https://fil.forbrukerradet.no/wp-content/uploads/2018/06/2018-06-27-deceived-by-design-final.pdf
27.06.2018 - Summary
In this report, we analyze a sample of settings in Facebook, Google and Windows 10, and show how default settings and dark patterns, techniques and features of interface design meant to manipulate users, are used to nudge users towards privacy intrusive options. The findings include privacy intrusive default settings, misleading wording, giving users an illusion of control, hiding away privacy-friendly choices, take-it-or-leave-it choices, and choice architectures where choosing the privacy friendly option requires more effort for the users. Facebook and Google have privacy intrusive defaults, where users who want the privacy friendly option have to go through a significantly longer process. They even obscure some of these settings so that the user cannot know that the more privacy intrusive option was preselected.
The popups from Facebook, Google and Windows 10 have design, symbols and wording that nudge users away from the privacy friendly choices. Choices are worded to compel users to make certain choices, while key information is omitted or downplayed. None of them lets the user freely postpone decisions. Also, Facebook and Google threaten users with loss of functionality or deletion of the user account if the user does not choose the privacy intrusive option.
#GAFAM #vie_privée #nudging #Facebook #Google #Microsoft #Android #WIndows_10
Analyse complète et détaillée des pratiques de Facebook, Google et Microsoft pour optimiser le « consentement par défaut » des utilisateurs.
Dark patterns can be described as “...features of interface design crafted to trick users into doing things that they might not want to do, but which benefit the business in question.”, or in short, nudges that may be against the user’s own interest.13This encompasses aspects of design such as the placement and colour of interfaces, how text is worded, and more direct interventions such as putting pressure on users by stating that the product or service they are looking at is about to be sold out.