• 28.12.2023, Migrante travolto da un treno trovato morto sui binari a #Taggia
    (pour archivage)

    Il corpo di un migrante è stato trovato all’interno della galleria “Santo Stefano”, subito dopo la stazione di Taggia in direzione Genova dal personale delle Ferrovie dello Stato intorno all’una e trenta della scorsa notte.

    Non è ancora chiaro se il migrante sia stato investito in quel punto o in un altro tratto e poi trascinato lì dal treno.

    Sul posto sono accorsi i vigili del fuoco del distaccamento di Sanremo, la polizia e il medico legale. Accertamenti sono in corso per ricostruire l’accaduto. Al termine del primo sopralluogo, effettuato intorno alle 5, è stato riattivato un binario con riduzione di velocità ed attivata circolazione alternata.

    Alle 7.15, la circolazione ferroviaria è stata nuovamente sospesa, e lo è tuttora, per consentire l’intervento dei necrofori giunti sul posto.
    Tre i treni regionali fermi nelle stazioni, mentre un Intercity è stato cancellato. Personale di assistenza alla clientela è presente nella stazione di Taggia.

    https://www.riviera24.it/2023/12/migrante-travolto-da-un-treno-trovato-morto-sui-binari-a-taggia-845357

    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #mort #décès #Alpes #Italie #France #frontières #Alpes_Maritimes

    –—

    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière de Vintimille :
    https://seenthis.net/messages/784767

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Taggia, forse caduto dal tetto del treno il migrante trovato morto sui binari

      Probabilmente il giovane egiziano cercava di raggiungere la Francia.

      Potrebbe essere morto cadendo dal tetto del treno, il migrante egiziano di 24 anni trovato ieri cadavere all’interno di una galleria ferroviaria tra la stazione di Taggia e quella di Imperia. Nel corso dell’esame autoptico, eseguito oggi all’ospedale di Sanremo dal dottor Davide Bedocchi dell’istituto di Medicina Legale di Genova, sono infatti state riscontrate diverse fratture craniche e agli arti superiori.

      Probabilmente il giovane era salito sul treno nella speranza di attraversare il confine e raggiungere clandestinamente la Francia, sbagliando però convoglio e finendo nella direzione opposta. Poi, forse, ha perso la presa a causa dell’alta velocità ed è caduto sui binari, battendo la testa.

      https://www.riviera24.it/2023/12/taggia-forse-caduto-dal-tetto-del-treno-il-migrante-trovato-morto-sui-bina

  • 17.07.2022, Frontière franco-italienne : deux personnes sans-papiers renversées sur l’autoroute près de #Menton

    (pour archivage)

    Deux personnes, vraisemblablement migrantes, ont été renversées au bord de l’autoroute A8, près de Menton, à la frontière franco-italienne, dans la nuit de samedi à dimanche. Un homme a succombé à ses blessures sur les lieux de l’accident et une femme a été évacuée dans un état grave. Pour l’association Tous citoyens, la région est devenue « une zone de non-droit meurtrière ».

    Nouvelle victime à la frontière franco-italienne. Vers 1h du matin dimanche 17 juillet, deux personnes ont été renversées le long de l’autoroute A8 près de #Roquebrune-Cap-Martin, une des premières villes françaises depuis l’Italie voisine. Un homme a succombé à ses blessures sur les lieux de l’accident, tandis que la femme qui l’accompagnait a été transportée à l’hôpital dans un état grave, indique à InfoMigrants la préfecture des Alpes-Maritimes, confirmant une information de Nice matin. Les deux piétons auraient tenté de traverser les voies quand la voiture « circulant en direction de l’Italie » est arrivée dans cette zone peu éclairée.

    Selon le média local, les corps ont été retrouvés sans documents d’identité, laissant penser que ces personnes étaient entrées en France de manière illégale. « Cet accident [est] survenu dans un secteur où les passeurs déposent fréquemment des migrants », signale la préfecture.

    Une enquête a été ouverte pour identifier les deux exilés, qui « semblent assez jeunes », précise encore Nice matin.
    Des drames « évitables »

    David Nakache, président de l’association Tous citoyens, déplorent de son côté des drames qui « pourraient être évités » si « les autorités françaises respectaient la loi et le droit d’asile ».

    Sur le tronçon de 32 km allant du poste-frontière jusqu’à Nice, les migrants sont régulièrement interpellés par les forces de l’ordre et renvoyés manu militari côté italien, sans avoir la possibilité de déposer une demande de protection.

    Pour éviter d’être repérés et refoulés de l’autre côté de la frontière, les exilés se cachent et prennent tous les risques, au péril de leur vie. Ils montent sur le toit des trains, traversent la montagne ou empruntent des routes dangereuses, le plus souvent la nuit, pour échapper aux policiers et gendarmes. Pour David Nackache, cette région est devenue au fil des années « une zone de non-droit meurtrière ». Le militant réclame l’ouverture de voie légale pour les personnes cherchant à trouver refuge en France.

    Le dernier accident remonte à février, quand le corps carbonisé d’un homme avait été retrouvé sur le toit d’un train régional qui reliait la ville italienne de Vintimille à la France. Depuis 2015, au moins 30 personnes ont perdu la vie à la frontière franco-italienne, d’après les associations.

    Mais le chiffre pourrait être plus élevé car le nombre de morts n’est plus systématiquement recensé par les médias et les autorités. Certains décès passent ainsi en dehors des radars. David Nackache dénonce des drames qui se produisent désormais dans « l’indifférence générale » et qui « n’émeuvent plus personne ».

    https://www.infomigrants.net/fr/post/42033/frontiere-francoitalienne--deux-personnes-sanspapiers-renversees-sur-l

    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #mort #décès #Alpes #Italie #France #frontières #Alpes_Maritimes
    #Roquebrune-Cap-Martin

    –—

    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière de Vintimille :
    https://seenthis.net/messages/784767

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

  • 26.11.2021, Ventimiglia. migrante trovato morto : si indaga per omicidio
    (pour archivage)

    Il corpo di un uomo, un migrante, è stato trovato stamani sotto il cavalcavia di Roverino, a Ventimiglia. Durante l’esame esterno del cadavere sono state notate alcune ferite da taglio. Sul posto sono intervenuti il personale sanitario del 118 e i carabinieri. La zona, che è area di bivacco per alcuni migranti, è stata isolata e chiusa al transito. Si indaga per omicidio che potrebbe essere avvenuto ieri tra le 19 e le 24. Potrebbe essere secondo gli inquirenti un regolamento di conti o coinvolgere il traffico gestito dai passeur che si fanno pagare per accompagnare i migranti oltre frontiera.

    E’ stata confermata l’ipotesi di omicidio del migrante trovato morto sotto il cavalcavia di Roverino, a Ventimiglia. Il cadavere presentava diverse ferite da taglio a schiena e addome. La vittima, probabilmente un giovane nordafricano, potrebbe essere stata accoltellata nel corso di una lite, ma non è ancora chiara la dinamica dell’accaduto. I carabinieri di Ventimiglia stanno ascoltando diverse testimonianze anche da parte di altri migranti, tra cui quelli che stamani hanno segnalato la presenza del cadavere.
    L’area del cavalcavia di Roverino, infatti, è frequentata da numerosi migranti che vivono nella tendopoli in attesa di espatriare. Sul posto sono intervenuti il medico legale e il magistrato Luca Scorza Azzarà. Il Comune di Ventimiglia ha reso disponibile l’impianto di videosorveglianza cittadino per esaminare i filmati e trovare nuovi elementi investigativi.

    https://genova.repubblica.it/cronaca/2021/11/26/news/ventimiglia_migrante_trovato_morto_si_indaga_per_omicidio-32790820

    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #mort #décès #Alpes #Vintimille #Italie #France #frontières #Roverino #Alpes_Maritimes

    –—

    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière de Vintimille :
    https://seenthis.net/messages/784767

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Ventimiglia: giovane migrante trovato morto. Ferite da taglio su schiena e addome, ipotesi omicidio/Le immagini

      In breve: Il corpo senza vita di un giovane migrante, apparentemente tra i 20 e i 30 anni, è stato trovato sotto il cavalcavia di Roverino.

      L’ipotesi più accreditata è quella dell’omicidio. Sul cadavere, infatti, sono state trovate diverse ferite da taglio, all’addome e alla schiena. La vittima, trovata riversa a terra, vicino ad un pilone del cavalcavia, dove con tuttà probabilità aveva trovato riparo per la notte, potrebbe essere stata uccisa a coltellate al cultime di una lite. Ad allertare i soccorsi alcuni migranti.

      Sul posto sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di Ventimiglia, affiancati dalla sezione Investigazioni Scientifiche dell’Arma. Presenti anche il Comandante Provinciale dei Carabinieri, Colonnello Marco Morganti, il Comandante del nucleo investigativo, Tenente Colonnello Pier Enrico Burri e il comandante della Compagnia di Imperia, Tenente Colonnello Pierluigi Giglio.

      Il corpo è stato trovato questa mattina e la morte, secondo una prima ricostruzione, potrebbe risalire a questa notte. I Carabinieri della sezione Investigazioni Scientifiche hanno effettuato tutti i rilievi del caso, alla ricerca dell’arma del delitto e di eventuali elementi utili a chiarire la dinamica dei fatti. Sentiti anche diversi migranti che bivaccano nella zona alla ricerca di eventuali testimoni.

      Le indagini sono state affidate al Pubblico Ministero Luca Scorza Azzarà. Il primo esame sul corpo è stato eseguito dal medico legale Andrea Leoncini.

      https://www.imperiapost.it/533859/ventimiglia-giovane-migrante-trovato-morto-ferite-da-taglio-su-schiena-e

    • Migrante ucciso: all’origine lite per un telefonino

      Difesa omicida, situazione di grave disagio tra connazionali.

      C’è il presunto furto di un telefonino all’origine della lite tra due connazionali sudanesi che ieri notte è terminata nel sangue con un migrante di 35 anni che ha accoltellato e ucciso un giovane sotto il cavalcavia di Roverino, a Ventimiglia (Imperia).

      L’omicida è stato sottoposto a fermo di polizia giudiziaria e lunedì sarà sottoposto a interrogatorio di convalida.

      A quanto risulta, avrebbe accusato la vittima di avergli sottratto il telefonino, tra i due è scoppiata una lite e il sudanese ha estratto un coltellino aggredendo il rivale.
      «Dal primo interrogatorio - afferma l’avvocato della difesa, Stefania Abbagnano - è emerso un quadro di grave disagio tra questi connazionali, ma non è emersa l’effettiva volontà di uccidere il ragazzo da parte del mio assistito, che anzi non pensava di aver commesso un atto così grave».
      In un primo tempo si pensava che la lite tra i due connazionali fosse iniziata nel centro di Ventimiglia, visto che dalle telecamere risultava che il presunto killer avesse litigato con altri connazionali. Invece quel diverbio si è concluso senza conseguenze, mentre l’omicidio è avvenuto sotto il cavalcavia, sull’argine del fiume Roya, dove da anni i migranti vivono in una tendopoli in attesa di trovare il momento opportuno per espatriare clandestinamente in Francia.
      Sembra che l’aggressore vivesse da parecchio tempo in Italia e dopo un primo tentativo di ottenere il permesso di soggiorno si sarebbe pian piano «irregolarizzato». La vittima sarebbe stata uccisa con almeno cinque coltellate. Le indagini sono condotte dei carabinieri di Ventimiglia, coordinate dal pm Luca Scorza Azzarà della procura di Imperia.

      https://www.ansa.it/liguria/notizie/2021/11/27/migrante-ucciso-allorigine-lite-per-un-telefonino_d28c6b5b-420f-46fa-875e-3dc95

  • La nature humaine selon #Dewey
    https://laviedesidees.fr/La-nature-humaine-selon-Dewey

    Dans un livre inédit en français, le philosophe américain John Dewey réactualise la notion de nature humaine et en tire toutes les conséquences sur le plan éthique et social afin de justifier une conception mélioriste de l’expérience.

    #Philosophie
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240415_dewey_v2.pdf

  • De la statistique au terrain
    https://metropolitiques.eu/De-la-statistique-au-terrain.html

    Comment anticiper la #vacance des logements et comment lutter contre ? À partir d’une étude de terrain à Montluçon, Charline Sowa et Hugo Bruyant montrent la complexité de cette question et les difficultés des élus pour y répondre. Le #logement vacant, un objet à étudier au-delà des chiffres La vacance dans les parcs de logements n’est pas un phénomène nouveau. Pour autant, l’analyse de ce phénomène très répandu reste un exercice complexe, dont les résultats peuvent rester partiels (Arab et Miot 2021 ; #Terrains

    / #habitat, vacance, ruralité, #villes_moyennes, #décroissance_urbaine, #élus_locaux, logement

    #ruralité
    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_sowa-bruyant.pdf

  • Germany to give Holocaust survivors $236 payout to help them cope with October 7 attacks | CNN
    https://www.cnn.com/2024/04/12/europe/israeli-holocaust-germany-payout-october-7-intl/index.html

    L’Allemagne donne 220 euros aux survivants de l’holocauste pour surmonter le traumatisme du 7 octobre. Soit c’est débile, soit c’est très radin. (Peut-être les deux.)

    Germany will provide a one-time payment of $236 (€220) to Holocaust survivors, to help them cope with the impacts of the Hamas-led October 7 attacks in southern Israel.

    Berlin will compensate 113,000 Holocaust survivors in Israel in the form of $27 million (€25 million), according to the German finance ministry.

    “Many Holocaust survivors were hit particularly hard by the Hamas attacks, whether through the loss of their homes, support systems in the form of care,” a German finance ministry spokeswoman said.

    The additional funds were aimed at helping the Holocaust survivors ”as quickly as possible (…) in this frightening and hopeless war situation,” the spokeswoman added.

    The Hamas-led murderous rampage into southern Israel was the deadliest terror attack in Israel’s history, killing at least 1,200 people and abducting more than 250 others.

    • Est-ce que cette information signifie qu’il y a toujours en Israël 113,000 anciens détenus juifs des camps d’extermination nazis qui ont ont atteint un age biblique grâce au climat méditerranéen et à la solidarité de leurs concitoyens ?
      Sinon quelle est la définition de « Holocaust survivors » pour le gouvernement allemand ?
      Il va falloir que je me renseigne ...
      D’après cet article de 2019 il y avait encore plus de 220000 survivant de l’holocauste en Israël. Il s’agit sans doute de tous les juifs d’origine européenne nés avant 1945 qui ont choisi l’état d’Israël comme lieu de résidence.
      https://www.spiegel.de/politik/ausland/benjamin-netanjahu-weitere-zahlungen-deutschlands-an-holocaust-ueberlebende-
      Chaque personne de cette catégorie reçoit au moins plusieurs centaines d’Euros mensuels. La subvention évoquée est un montant exceptionnel supplémentaire

      Mehr als 220.000 Holocaust-Überlebende leben in Israel.

      #shoa #Israël #dédommagement

  • Le "dôme de fer" : un pognon de dingue

    Attaque de l’Iran contre Israël : comment le « Dôme de fer » a-t-il permis de contrer les missiles ?
    https://www.ouest-france.fr/monde/israel/attaque-de-liran-contre-israel-comment-le-dome-de-fer-a-t-il-permis-de-

    Attaque de l’Iran contre Israël : comment le « Dôme de fer » a-t-il permis de contrer les missiles ?

    L’Iran a mené une attaque sans précédent contre Israël en lançant plus de 200 drones et missiles sur l’État Hébreu. Celui-ci s’est quant à lui félicité d’avoir « déjoué » l’attaque grâce à son système de défense aérien et l’aide de ses alliés. Au cœur de ce système : le fameux « Dôme de fer ».

    C’est une attaque directe de l’Iran sans précédent. Plus de 200 drones et missiles lancés contre Israël, son ennemi juré. L’État hébreu s’est lui félicité d’avoir « déjoué » l’attaque en interceptant « 99 % des tirs » . Au cœur de son arsenal défensif : le « Dôme de fer ». Comment fonctionne ce parapluie qu’Israël utilise aussi contre les roquettes du Hamas ? On fait le point.
    Un système performant

    Le système de défense aérienne israélien « Dôme de fer » a intercepté des milliers de roquettes depuis sa mise en service en 2011, offrant une protection essentielle en période de conflit, rappelle l’AFP.

    Il a été largement utilisé pour protéger les sites militaires et civils des tirs fréquents de roquettes en provenance de Gaza et du Liban dans le cadre de la guerre actuelle entre Israël et le mouvement islamiste palestinien Hamas.

    Israël a d’abord développé seul le « Dôme de fer » après la guerre du Liban de 2006, avant d’être rejoint par les États-Unis, qui ont apporté leur savoir-faire en matière de défense et des milliards de dollars de soutien financier.

    Le système a un taux d’interception d’environ 90 %, selon l’entreprise militaire israélienne Rafael, qui a participé à sa conception. Toutefois certains spécialistes remettent en question les chiffres fournis par Rafael.
    Un système en trois parties

    « Le Dôme de fer » est l’un des éléments du système israélien de défense antimissile à plusieurs niveaux. Il est conçu pour abattre des roquettes d’une portée allant jusqu’à 70 kilomètres, précise l’AFP.

    Chaque batterie de ce « Dôme de fer » se compose de trois parties principales : un système de détection radar, un ordinateur qui calcule la trajectoire de la roquette entrante et un lanceur qui tire des intercepteurs si la roquette est susceptible de toucher une zone bâtie ou stratégique.

    Il s’accompagne d’autres systèmes de défense antimissile tels que le système Arrow, destiné à contrer les missiles balistiques, et le système David’s Sling, dont l’objectif est de contrer les attaques de roquettes ou de missiles à moyenne portée.
    Des tirs coûteux

    La facture du Dôme de fer, pour laquelle les États-Unis contribuent largement, est salée. Chaque intercepteur du « Dôme de fer » coûte entre 40 000 et 50 000 dollars (37 500 à 46 900 €) à produire, selon le Centre d’études stratégiques et internationales, basé à Washington. Un système complet, comprenant le radar, l’ordinateur et trois ou quatre lanceurs - chacun contenant jusqu’à 20 intercepteurs - coûte environ 100 millions de dollars à produire.

    Israël dispose de 10 systèmes de ce type, selon le groupe américain d’aéronautique et de défense RTX (ex-Raytheon), qui participe à la construction du « Dôme de fer ».

    Selon d’autres estimations, ce chiffre est légèrement plus élevé.
    Un système au cœur de l’alliance américano-israélienne

    Le « Dôme de fer » est l’un des piliers stratégiques de l’alliance américano-israélienne, qui a été suivie par les administrations démocrates et républicaines successives.

    En août 2019, l’armée américaine a signé un contrat pour l’achat de deux batteries de « Dôme de fer » afin de renforcer ses propres capacités de défense contre les missiles à courte portée.

  • Inchiesta su #Ousmane_Sylla, morto d’accoglienza

    A distanza di un mese dal suicidio di Ousmane Sylla nel #Cpr di #Ponte_Galeria, il 4 febbraio 2024, sono emersi nuovi elementi sulla sua triste vicenda, non raccontati nelle prime settimane. La prima cosa che sappiamo ora per certo è che Ousmane voleva vivere. Lo dimostrano i video e le foto che ho avuto da persone che lo hanno conosciuto, che lo ritraggono mentre balla, gioca, canta, sorride e scherza con il suo compagno di stanza. La sua vita però è stata stravolta da una violenza ingiustificabile, che scaturisce dalle dinamiche perverse su cui si basa il nostro sistema di accoglienza (ma non solo) e che impongono di farsi delle domande.

    Già nei primi giorni dopo la morte si venne a sapere che Ousmane aveva denunciato maltrattamenti nella casa famiglia di cui era stato ospite, prima di essere trasferito al Cpr di Trapani. Gli avvocati che si stanno occupando del caso e alcune attiviste della rete LasciateCIEntrare hanno rintracciato la relazione psico-sociale redatta dalla psicologa A.C. del Cpr di Trapani Milo il 14 novembre 2023. Era passato un mese dal suo ingresso nella struttura, a seguito del decreto di espulsione emesso dalla prefettura di Frosinone in data 13 ottobre 2023.

    La relazione dice che Ousmane “racconta di essere arrivato in Italia sei anni fa; inizialmente ha vissuto in una comunità per minori a Ventimiglia in Liguria, poi una volta raggiunta la maggiore età è stato trasferito presso la casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice (Cassino). Racconta che all’interno della struttura era solito cantare, ma questo hobby non era ben visto dal resto degli ospiti. Così, un giorno, la direttrice del centro decide di farlo picchiare da un ospite tunisino. In conseguenza delle percosse subite, Sylla si reca al consiglio comunale di Cassino, convinto di trovarsi in Questura, per denunciare la violenza di cui si dichiara vittima”.

    La casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice è menzionata anche sulla scritta lasciata da Ousmane – sembrerebbe con un mozzicone di sigaretta – su una parete del Cpr di Roma, prima di impiccarsi a un lenzuolo, la notte tra il 3 e il 4 febbraio 2024.

    “LASCIATEMI PARLARE”
    Sulle cronache locali della Ciociaria, l’8 ottobre 2023 venne pubblicata la notizia di un giovane profugo africano presentatosi in consiglio comunale venerdì 6 ottobre (due giorni prima) per denunciare di aver subito violenze fisiche e maltrattamenti nella casa famiglia di cui era ospite, in questa frazione di Cassino di circa cinquecento abitanti. “Lasciatemi parlare o mi ammazzo”, avrebbe gridato, secondo Ciociaria oggi, che riferiva inoltre che “il giovane adesso ha paura di tornare nella casa famiglia”. La struttura era stata inaugurata sei mesi prima, il 3 aprile 2023, dal sindaco di Cassino Enzo Salera, originario proprio di Sant’Angelo, e dall’assessore con delega alle politiche sociali Luigi Maccaro, alla presenza del funzionario dei servizi sociali, Aldo Pasqualino Matera. Si trovano diversi articoli datati 4 aprile 2023, corredati di foto della cerimonia e della targa con il nome della casa famiglia. La struttura si chiamava Revenge, che significa rivincita ma anche vendetta.

    La casa famiglia è stata chiusa tra dicembre e gennaio per “irregolarità”; le indagini sono ancora in corso. Era gestita dalla società Erregi Progress s.r.l.s. con sede in Spigno Saturnia, in provincia di Latina; la titolare della società e responsabile della casa famiglia è Rossella Compagna (non Campagna, come riportato in alcune cronache), affiancata nella gestione dall’avvocato Michelangiolo Soli, con studio legale a Minturno. Oggi sappiamo che mancavano le autorizzazioni della Asl locale all’apertura, e altri adempimenti; e che la maggior parte degli operatori che si sono succeduti nel corso dei circa nove mesi di apertura non ha mai percepito lo stipendio, né la malattia: almeno quelli che non erano vicini alla responsabile. Alcuni di essi hanno fatto causa alla società e sono in attesa di risarcimento. Altri non avevano neanche le qualifiche per operare in una struttura per minori stranieri non accompagnati.

    Sono stata a Sant’Angelo in Theodice e ho incontrato diverse persone che hanno conosciuto Ousmane, che lo hanno seguito e aiutato durante il mese e mezzo circa della sua permanenza in paese. Grazie a loro ho potuto capire chi era Ousmane e ciò che ha vissuto in quel periodo. Ousmane è arrivato a Sant’Angelo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, insieme a un ragazzo marocchino, oggi maggiorenne. Provenivano da Ventimiglia, dove avevano trascorso insieme circa un mese in un campo della Croce Rossa Italiana, prima di essere trasferiti nella casa famiglia di Cassino. Ousmane non era però “da sei anni in Italia”, come trascritto dalla psicologa del Cpr di Trapani nella sua relazione. Sembrerebbe che fosse arrivato l’estate prima, nel 2023, a Lampedusa, come si intuisce anche dalla sua pagina Fb (“Fouki Fouki”). Il 3 agosto ha pubblicato un video in cui canta sulla banchina di un porto, quasi certamente siciliano. Forse era arrivato nella fase di sovraffollamento, caos e ritardi nei trasferimenti che spesso si verificano sull’isola in questa stagione. Avrebbe poi raggiunto Roma e successivamente Ventimiglia.

    Il suo “progetto migratorio” era quello di arrivare in Francia, dove ha un fratello, cantante rap e animatore d’infanzia, Djibril Sylla, che ho incontrato di recente: è venuto a Roma per riconoscere il corpo di Ousmane e consentirne il ritorno in Africa. Ousmane parlava bene il francese e lo sapeva anche scrivere, come dimostra la scritta che ha lasciato sul muro prima di uccidersi. Con ogni probabilità è stato respinto al confine francese, verso l’Italia. Ousmane non era minorenne; si era dichiarato minorenne probabilmente perché né allo sbarco né al confine con la Francia ha potuto beneficiare di un orientamento legale adeguato che lo informasse dei suoi diritti e delle possibilità che aveva. Il regolamento “Dublino”, in vigore da decenni, prevede che i migranti restino o vengano rinviati nel primo paese in cui risultano le loro impronte (ci sono delle apposite banche dati europee), impedendo loro di raggiungere i luoghi dove hanno legami e comunità di riferimento o semplicemente dove desiderano proseguire la loro vita.

    Una volta respinto, però, anziché fare domanda di protezione internazionale in Italia, Ousmane si è dichiarato minore, pur essendo ventunenne. Non sarà facile ricostruire chi possa averlo consigliato, guidato o influenzato in queste scelte e nei suoi rapporti con le autorità, dal suo arrivo in Italia in poi. Sappiamo, tuttavia, che dichiarandosi “minore” ha determinato l’inizio, incolpevole e inconsapevole, della fine della sua breve vita, non più in mano a lui da quel momento in poi.

    Dichiarandosi maggiorenne, Ousmane avrebbe potuto presentare una domanda di protezione. Nel paese da cui proveniva, la Guinea Conakry, vige una dittatura militare dal 2021. I migranti possono chiedere protezione internazionale se manifestano il timore, ritenuto fondato da chi esamina il loro caso, di poter subire “trattamenti inumani e degradanti”, ovvero un danno grave, nel proprio paese di provenienza, laddove lo Stato di cui sono cittadini non fornisca loro adeguate protezioni. A Ousmane è accaduto l’inverso: i trattamenti inumani e degradanti li ha subiti in Italia.

    Sin dal suo arrivo nella casa famiglia di Cassino, Ousmane ha patito uno stillicidio di vessazioni, minacce e deprivazioni, come ci riferiscono tutte le persone che lo hanno assistito e accompagnato in quel mese e mezzo, che testimoniano delle modalità inqualificabili con cui veniva gestita quella struttura, della brutalità con cui venivano trattati gli ospiti, del clima di squallore e terrore che vigeva internamente. Abbiamo ascoltato i messaggi vocali aggressivi che la responsabile inoltrava ai suoi operatori, sia ai danni degli operatori che degli ospiti, scarsamente nutriti e abbandonati a sé stessi, come appare anche dalle foto. Ousmane, a causa del suo atteggiamento ribelle e “resistente”, sarebbe stato punito ripetutamente con botte, privazione di cibo, scarpe, coperte e indumenti, e di servizi cui aveva diritto, non solo in quanto “minore”, ma in quanto migrante in accoglienza: per esempio, l’accesso ai dispositivi di comunicazione (telefono e scheda per poter contattare i familiari), la scuola di italiano, il pocket money.

    Tutte le persone con cui ho parlato sono concordi nel descrivere Ousmane come un ragazzo rispettoso, intelligente, altruista e sensibile; sano, dinamico, grintoso, si ispirava alla cultura rasta e cantava canzoni di rivolta e di libertà in slang giamaicano e in sousou, la sua lingua madre. La sua unica “colpa” è stata opporsi a quello che vedeva lì, riprendendo con foto e video le ingiustizie che subiva e vedeva intorno a sé. A causa di questo suo comportamento è stato discriminato dalla responsabile e da alcuni personaggi, come un ragazzo tunisino di forse vent’anni. Dopo un mese di detenzione lo stesso Ousmane raccontò alla psicologa del Cpr di Trapani che la responsabile della casa famiglia l’avrebbe fatto picchiare da un “ospite tunisino”.

    Il 6 ottobre 2023, forse indirizzato da qualche abitante del luogo, Ousmane raggiunse il consiglio comunale di Cassino, nella speranza che le autorità italiane potessero proteggerlo. Una consigliera comunale con cui ho parlato mi ha descritto lo stato di agitazione e sofferenza in cui appariva il ragazzo: con ai piedi delle ciabatte malridotte, si alzava la maglietta per mostrare i segni di percosse sul torace. Ousmane non fu ascoltato dal sindaco Salera, tutore legale dei minori non accompagnati della casa famiglia. Ousmane fu ascoltato solo dalla consigliera che comprendeva il francese, in presenza di poche persone, dopo che il sindaco e la giunta si erano allontanati. A quanto pare quel giorno si presentò in consiglio anche una delegazione di abitanti per chiedere la chiusura della struttura, ritenuta mal gestita e causa di tensioni in paese.

    Una settimana dopo, il 13 ottobre, Ousmane tornò al consiglio comunale, dichiarando di essere maggiorenne. Pare che prima avesse provato a rivolgersi alla caserma dei carabinieri – chiedeva dove fosse la “gendarmerie” – per mostrare i video che aveva nel telefono: la sua denuncia non fu raccolta, perché in quel momento mancava il maresciallo. Di nuovo, forse non sapremo mai da chi Ousmane sia stato consigliato, guidato e influenzato, nella sua scelta di rivelare la sua maggiore età. Perché non gli fu mai consentito di esporre denuncia e di ottenere un permesso di soggiorno provvisorio, per esempio per cure mediche, o per protezione speciale, visto che aveva subito danni psicofisici nella struttura di accoglienza, e che voleva contribuire a sventare dei crimini?

    Come in molte strutture per minori migranti, la responsabile era consapevole della possibilità che molti dei suoi ospiti fossero in realtà maggiorenni. “Una volta che scoprono che sono maggiorenni, devono tornare a casa loro, perché le strutture non li vogliono”, spiega in un messaggio audio ai suoi operatori. In un altro dei messaggi che ho sentito, questa consapevolezza assume toni intimidatori: “Quindi abbassassero le orecchie, perché io li faccio neri a tutti quanti”, diceva. “Io chiudo la casa, e poi riapro, con altra gente. Dopo un mese. Ma loro se ne devono andare affanculo. Tutti! Ne salvo due o tre forse. Chiudiamo, facciamo finta di chiudere. Loro se ne vanno in mezzo alla strada, via, e io faccio tutto daccapo, con gente che voglio io. Quindi abbassassero le orecchie perché mi hanno rotto i coglioni”. Nello stesso messaggio, la responsabile aggiunge: “Tu devi essere educato con me; e io forse ti ricarico il telefono; sennò prendi solo calci in culo, e io ti butto affanculo nel tuo paese di merda”.

    La minore età può essere usata come arma di ricatto. I migranti che si dichiarano minori, infatti, entrano nel circuito delle strutture per minori stranieri non accompagnati, e ottengono un permesso di soggiorno per minore età appena nominano un tutore (solitamente il sindaco). In caso di dubbio sulla minore età questi vengono sottoposti ad accertamenti psico-fisici, che consistono nella radiografia del polso e in una serie di visite specialistiche presso una struttura sanitaria.

    Per l’accoglienza di un minore straniero non accompagnato, il ministero dell’interno eroga ai comuni che ne fanno richiesta (tramite le prefetture) dai novanta ai centoventi euro al giorno, che finiscono in buona parte nelle tasche degli enti gestori (che per guadagnare possono risparmiare su cibo, servizi, personale, in quanto non sono previsti controlli davvero efficaci sulla gestione dei contributi statali). Ma anche i comuni hanno da guadagnare sull’accoglienza ai minori. A questo proposito, vale la pena richiamare le parole pronunciate dall’assessore ai servizi sociali Maccaro in occasione dell’apertura della casa famiglia e riportate in un articolo di Radio Cassino Stereo, presente in rete: “Una nuova realtà sociale al servizio del territorio è una ricchezza per tutto il sistema dei servizi sociali che vive della collaborazione tra pubblico e privato sociale. Siamo certi che questa nuova realtà potrà integrarsi in una rete sociale che in questi anni sta mostrando grande attenzione al tema dei minori”.

    Le autorità possono in qualsiasi momento sottoporre i giovani stranieri non accompagnati ad accertamento dell’età. È così che questi ragazzi divengono vulnerabili e costretti a sottostare a qualsiasi condizione venga loro imposta, poiché rischiano di perdere l’accoglienza e finire nei Cpr. Molti migranti ventenni con un viso da adolescente, come Ousmane, vengono incoraggiati a dichiararsi minori: più ce ne sono, più saranno necessarie strutture e servizi ben sovvenzionati (molto più dei servizi per maggiorenni).

    NEL LIMBO DEI CPR
    Dopo la seconda apparizione in consiglio comunale, il 13 ottobre, anziché essere supportato, tutelato e orientato ai suoi diritti, Ousmane è stato immediatamente colpito da decreto di espulsione, e subito trasferito (il 14 ottobre) nel Cpr di Trapani Milo, dove trascorrerà tre mesi. Inutile il tentativo dell’avvocato del Cpr Giuseppe Caradonna di chiederne dopo un mese il trasferimento, con una missiva indirizzata alla questura di Trapani, in cui scriveva “continua purtroppo a mantenere una condotta del tutto incompatibile con le condizioni del Centro [Cpr] (probabilmente per via di disturbi psichici derivanti da esperienze traumatiche) al punto da mettere a serio rischio la propria e l’altrui incolumità. A supporto della presente, allego una relazione psico-sociale, redatta in data odierna dalla dottoressa A.C., psicologa che opera all’interno della struttura, la quale ha evidenziato dettagliatamente la condizione in cui versa Ousmane Sylla. Pertanto, mi permetto di sollecitare un Suo intervento per far sì che quest’ultimo venga trasferito al più presto in una struttura più idonea e compatibile con il suo stato di salute mentale”.

    La psicologa aveva scritto: “Ritengo che l’utente possa trarre beneficio dal trasferimento presso un’altra struttura più idonea a rispondere ai suoi bisogni, in cui siano previsti maggiori spazi per interventi supportivi e una maggiore supervisione delle problematiche esposte”. Richiesta alla quale la questura di Trapani risponderà negativamente, con la motivazione che “lo straniero aveva fatto ingresso nella struttura munito di adeguata certificazione sanitaria che attesta l’idoneità alla vita in comunità ristretta e che costituisce condicio sine qua non per l’accesso all’interno dei Cpr”.

    Chi aveva redatto quella “adeguata certificazione sanitaria” di cui Ousmane era munito all’ingresso nel Cpr di Trapani, se ancora portava addosso i segni delle violenze subite, come testimoniato dalla consigliera cassinese che lo aveva ascoltato nella settimana precedente, rilevandone anche lo stato di estremo disagio psicologico?

    Ousmane affermava, ripetutamente, di voler tornare in Africa. Lo diceva anche alle operatrici della casa famiglia con cui abbiamo parlato: “Gli mancava la mamma”, hanno riferito, con la quale non poteva neanche comunicare, perché privato del telefono. Un’operatrice ricorda che una volta la disegnò, perché Ousmane amava anche disegnare, oltre che cantare e giocare a pallone. Studiava l’italiano con lei ed “era molto bravo”, dice, apprendeva rapidamente.

    Voleva tornare in Africa, non perché volesse rinunciare al sogno di una vita migliore in Europa, in Francia o in Italia, anche per poter aiutare la famiglia che vive in povertà in un sobborgo di Conakry (madre, sorelle e fratelli più piccoli), ma perché non aveva trovato qui alcuna forma di accoglienza degna di chiamarsi tale, se non nelle persone che lo hanno assistito, ascoltato e che testimoniano oggi in suo favore; persone che hanno fatto il possibile per lui, tuttavia non sono “bastate” a salvargli la vita; non per loro responsabilità, ma perché ignorate o sovrastate dalle istituzioni e dalle autorità che avrebbero potuto e dovuto tutelare Ousmane.

    Dopo tre mesi trascorsi nel Cpr di Trapani, Ousmane verrà trasferito a fine gennaio nel Cpr di Roma, per continuare a restare in un assurdo limbo, in condizioni “inumane e degradanti” nelle quali è ben noto versino i Cpr. L’Italia non ha accordi bilaterali con la Guinea Conakry, come con tanti altri paesi di provenienza dei migranti detenuti nei Cpr.

    Il 19 settembre 2023, il sito istituzionale integrazionemigranti.gov.it, informava che il giorno prima il Consiglio dei ministri aveva varato nuove norme contro l’immigrazione irregolare: “Si estende – come consentito dalla normativa euro-unitaria – a diciotto mesi (sei mesi iniziali, seguiti da proroghe trimestrali) il limite massimo di permanenza nei centri per il rimpatrio degli stranieri non richiedenti asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei paesi terzi). Il limite attuale è di tre mesi, con una possibile proroga di quarantacinque giorni. […] Inoltre, si prevede l’approvazione, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della difesa, di un piano per la costruzione, da parte del Genio militare, di ulteriori Cpr, da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili”. È il cosiddetto Decreto Cutro.

    Secondo la relazione del Garante nazionale per le persone private della libertà personale, sono transitate nei Cpr 6.383 persone, di cui 3.154 sono state rimpatriate. Quelle provenienti da Tunisia (2.308), Egitto (329), Marocco (189) e Albania (58), rappresentano il 49,4%. In base allo scopo dichiarato per cui esistono i Cpr, la maggioranza è stata trattenuta inutilmente.

    Come riporta il Dossier statistico sull’immigrazione 2023, “il governo si ripromette di aprire altri dodici centri, uno per ogni regione, in luoghi lontani dai centri abitati […]. Nei dieci centri attivi in Italia possono essere ospitate 1.378 persone. Tuttavia, complici la fatiscenza delle strutture e le continue sommosse, la cifra reale si dimezza. […] Dal 2019 al 2022, otto persone sono morte nei Cpr, in circostanze diverse. Infiniti sono i casi di autolesionismo e di violenza. Numerose sono le inchieste che confermano come in questi luoghi si pratichi abuso di psicofarmaci a scopo sedativo”.

    Il caso più noto è quello del ventiseienne tunisino Wissem Ben Abdel Latif, deceduto nel novembre 2021, ancora in circostante sospette, dopo essere rimasto legato a un letto per cento ore consecutive nel reparto psichiatrico del San Camillo di Roma. La detenzione amministrativa di Ousmane si sarebbe potuta protrarre molto a lungo, inutilmente. Sono pochissimi i migranti che a oggi beneficiano dei programmi di “rimpatrio assistito”, che prevedono anch’essi accordi e progetti con i paesi di origine per la loro effettiva attuazione. Con la Guinea Conakry non ci risultano accordi neanche sui rimpatri assistiti.
    Ousmane, trovato impiccato a un lenzuolo la mattina del 4 febbraio, non vedeva forse vie di uscita e ha scelto di morire per “liberarsi”, chiedendo, nel messaggio lasciato sul muro prima di togliersi la vita, che il suo corpo venisse riportato in Africa “affinché riposi in pace” e sua madre non pianga per lui. Alcuni migranti che hanno condiviso con lui la detenzione nel Cpr di Trapani, dicono fosse stato “imbottito di psicofarmaci”. A oggi, sono ancora tanti i lati oscuri di questa vicenda, ma sono in molti a invocare verità e giustizia per Ousmane Sylla, come per tutte le persone schiacciate dall’insostenibile peso del “sistema”, al quale alcune di esse – come Ousmane – hanno provato a ribellarsi, con coraggio e dignità.

    https://www.monitor-italia.it/inchiesta-su-ousmane-sylla-morto-daccoglienza
    #migrations #asile #réfugiés #Italie #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Trapani #détention_administrative #rétention

    –-

    Vu que Ousmane a été arrêté à Vintimille pour l’amener dans un centre de détention administrative dans le Sud de l’Italie et que, selon les informations que j’ai récolté à la frontière Vintimille-Menton, il avait l’intention de se rendre en France, j’ai décidé de l’inclure dans les cas des personnes décédées à la #frontière_sud-alpine.
    Ajouté donc à cette métaliste des morts à la frontière #Italie-#France (frontière basse, donc #Vintimille / #Alpes_Maritimes) :
    https://seenthis.net/messages/784767

  • L’attaque qu’on a le droit (4 avril 2024) :
    https://english.alarabiya.net/News/middle-east/2024/04/04/us-uk-france-block-un-condemnation-of-attack-on-iran-s-embassy-in

    US, UK, France block UN condemnation of attack on Iran’s embassy in Syria

    L’attaque qu’on n’a pas le droit (14 avril) :

    Secretary Antony Blinken :
    https://twitter.com/SecBlinken/status/1779367139519897917

    The United States condemns Iran’s attack on Israel. As the President said, our commitment to Israel’s security against threats from Iran is ironclad.

    Rishi Sunak :
    https://twitter.com/RishiSunak/status/1779256852057874718

    “I condemn in the strongest terms the Iranian regime’s reckless attack against Israel.

    Iran has once again demonstrated that it is intent on sowing chaos in its own backyard.

    The UK will continue to stand up for Israel’s security and that of all our regional partners, including Jordan and Iraq.

    Alongside our allies, we are urgently working to stabilise the situation and prevent further escalation. No one wants to see more bloodshed.”

    Emmanuel Macron
    https://twitter.com/EmmanuelMacron/status/1779419464389255287

    Je condamne avec la plus grande fermeté l’attaque sans précédent lancée par l’Iran contre Israël, qui menace de déstabiliser la région.

    J’exprime ma solidarité avec le peuple israélien et l’attachement de la France à la sécurité d’Israël, de nos partenaires et à la stabilité régionale.

    La France travaille à la désescalade avec ses partenaires et appelle à la retenue.

  • Mutations bloquées : Paris, département-prison pour les enseignants
    https://www.liberation.fr/societe/education/mutations-bloquees-paris-departement-prison-pour-les-enseignants-20240413

    Selon les chiffres du ministère de l’Education nationale transmis par les syndicats, dans le premier degré, 749 enseignants ont demandé à quitter Paris pour la rentrée scolaire 2023. Seules 65 demandes ont été satisfaites. Avec un taux de réussite de sortie d’à peine plus de 8,5%, Paris est devenu, pour beaucoup d’enseignants, un département-prison.

    Dans l’éducation nationale, les #mutations sont soumises à l’immuable système à points. Chaque année, selon le type d’établissement, l’ancienneté, la situation familiale et personnelle, un enseignant engrange un certain nombre de points, lui permettant ensuite de demander un changement de département. Dans le premier degré, « il faut un certain nombre de points pour sortir de son département mais aussi pour entrer dans le nouveau. Donc, selon les départements, le nombre de points nécessaire peut atteindre des sommets », précise Cécile Suel, secrétaire nationale du syndicat SE-Unsa, chargée du parcours professionnel. Exemple : pour quitter Paris à la rentrée 2023, il fallait minimum 874 points. Pour entrer dans le département de Seine-Maritime – que Marion vise – il en fallait 201. Sauf qu’après neuf ans d’enseignement, la jeune femme en a accumulés… 78. « Autant vous dire que je n’aurai jamais mon mouvement. Je sais que j’aurai #démissionné avant de l’avoir », partage-t-elle.

    A Paris, outre les convenances personnelles et les envies d’ailleurs de chacun, c’est le coût de la vie qui pousse les #enseignants outre-périphérique. Car le salaire de ces fonctionnaires (loin d’être mirobolant) est le même partout en France. « Enfin, on a quand même une prime dite d’habitation qui est de 56 euros par mois », s’étrangle Marion. Sauf qu’à Paris, « le prix des loyers n’est pas compatible avec le niveau de rémunération des professeurs des écoles. Ils ont le choix entre habiter dans une petite surface intra-muros ou aller s’installer à 1h30 et faire la route tous les matins et tous les soirs », abonde Cécile Suel.

    [...] Après vingt-cinq ans d’enseignement, Sonia s’est mise en #disponibilité de l’#éducation nationale. Accordée aux #fonctionnaires sous certaines conditions, cette situation temporaire d’arrêt de travail concernait 3% des agents en 2022-2023, selon les chiffres du ministère de l’Education nationale, et fait perdre salaire et cotisations retraite pendant une durée déterminée. Après avoir posé ses valises à #Paris en 2012, Sonia aimerait gagner les Bouches-du-Rhône pour y rejoindre sa conjointe. Ses 360 points ne lui permettant pas de prétendre au département dans l’académie d’Aix-Marseille, se mettre en disponibilité tenait, selon elle, de l’unique horizon. « C’est un sacrifice, avec des risques : plus aucun salaire, la découverte des entretiens d’embauche à la chaîne… Mais c’est la seule solution que j’ai pour qu’on accepte mon mouvement », regrette-t-elle. En plus de lui permettre de rejoindre sa conjointe, être en disponibilité est aussi, selon elle, un moyen de faire pression et d’appuyer sa demande de mouvement.

    [...] Aujourd’hui, une des seules façons de voir sa disponibilité acceptée est de faire valoir les raisons familiales et se pacser avec son conjoint installé dans une autre ville, affirment les syndicats et les enseignantes interrogés. Un secret de polichinelle de l’éducation nationale : nombreux sont ceux à avoir recours à la pratique, non pas par engagement romantique mais pour accélérer sa carrière.

    [...] Si le pacs permet de demander un rapprochement de conjoint, il permet aussi et surtout de considérablement faire gonfler son pécule. [...] Dans le détail, à la signature du pacs, l’enseignant séparé de son conjoint récolte d’emblée 150 points. Il gagne ensuite 190 points la première année de séparation, 325 la deuxième, 475 la troisième, et 600 pour quatre ans et plus de séparation. Pour Pauline, après sept années dans la grisaille parisienne, le pari est enfin gagné : grâce à son pactole, la jeune femme fera sa rentrée 2024 dans le Sud, comme souhaité.

  • Fermo Mare Jonio: il Ministro Piantedosi ha mentito al Parlamento
    https://www.meltingpot.org/2024/04/fermo-mare-jonio-il-ministro-piantedosi-ha-mentito-al-parlamento

    Giovedì pomeriggio in Senato, il Ministro dell’interno Piantedosi ha risposto all’interrogazione urgente presentata dal senatore Antonio Nicita in merito all’attacco armato da parte della motovedetta libica 658 “Fezzan”, avvenuto lo scorso 4 aprile in acque internazionali, contro naufraghi in acqua e i soccorritori della nave Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans. Il titolare del Viminale ha affermato che la nave italiana è intervenuta in un “momento successivo, avvicinandosi alla motovedetta Fezzan quando questa aveva già assolto gli obblighi di salvataggio #In_mare”. Secondo Mediterranea, quando detto da Piantedosi, «è clamorosamente falso». Queste affermazioni sono confermate dal nuovo #Video diffuso (...)

    #Notizie #Accordo_Italia_-_Libia #Decreto_Piantedosi #Italia #Libia #Mediterraneo_centrale #Operazioni_SAR #Redazione #Violazioni_e_abusi

  • German colonial genocide in Namibia the #Hornkranz massacre

    Introduction

    On 12 April 1893, German colonial troops attacked the Nama settlement of ||Nâ‡gâs, known today as Hornkranz. Their intent was to destroy the settlement and its people, after its leader, Hendrik Witbooi, refused to sign so-called ‘protection’ treaties—tools of the German colonial administration for controlling sovereign indigenous nations and their lands. As their presence in what they declared in 1885 as ‘German Southwest Africa’ grew, the German regime was increasingly unwilling to tolerate the independence and agency exercised by Hendrik Witbooi and his clan in the face of the encroaching German empire.

    In their attack on Hornkranz, the Germans wanted to both make an example of the Witbooi clan and to punish them for their defiant rejection of German rule. Curt von Francois, who led the attack, made his objective clear: ‘to exterminate the Witbooi tribe’ (Bundesarchiv, R 1001/1483, p. 46). In this premeditated act of erasure, his troops massacred almost eighty women and children before capturing another hundred, burned what remained of the settlement to the ground, and established a garrison, rendering it impossible for survivors to return.

    Though the genocide of the Nama, Ovaherero and other peoples indigenous to what is now modern-day Namibia is widely recognised to have taken place between 1904 and 1908, the Nama people remember this massacre as the true first act in the genocide against them. This is substantiated not only by the clarity of the German objective to destroy the |Khowesin as a people, but also by the retrospective reading of Hornkranz as a clear precedent of the systemic tactics of dispossession and destruction that would be used by the Germans against the Nama, the Ovaherero, the San, and others in the years to come.

    Outside of the descendant communities, the events at Hornkranz have until now been overlooked and underrepresented, as has the cultural significance of the settlement itself within the dominant historiography, broadly based on the German visual and narrative record. The site of the former Witbooi settlement was expropriated and today constitutes a private farm, access to which is possible only with special permission from its owner. The descendants of Hornkranz are rarely able to visit their own cultural heritage sites and commemorate the struggle of their ancestors.

    The faint extant traces of the Witbooi settlement at Hornkranz can be identified today only with the guidance of the descendants and the historians that learned from them. Two plaques on the site are the only indications of the Nama presence on that land. One plaque was inaugurated by the community in 1997, the only occasion on which they were able to gather to commemorate the massacre at the site where it took place. The other plaque (date unknown) glorifies the German troops, even going so far as to include an offensive slur for the Nama; the massacre is described as a ‘battle’, conveying little of the atrocities perpetrated there.

    The descendants of Hornkranz and the wider Nama community continue to struggle for justice and for opportunities to correct the historical record and tell the story of Hornkranz on their own terms. In support of their efforts to resist this erasure, we worked with descendants, who have inherited knowledge of their community’s history through oral transmission over multiple generations, to reconstruct the lost settlement and produce a new body of visual evidence about the massacre and its aftermath. Led by their testimonies, we used modelling and mapping techniques along with our own field research and a very limited archival record to situate their accounts and rematerialize Hornkranz.

    Our reconstruction of the Witbooi settlement at Hornkranz aims to underscore the vitality of oral tradition in the act of reconstituting the colonial archive and testifies to the oral transmission of inherited knowledge as an ongoing act of resistance in itself.
    Background

    The |Khowesin (Witbooi) people, a semi-nomadic subtribe of the wider Nama peoples, settled around the perennial spring at Hornkranz in 1884-1885, the very period during which the Berlin Conference, formalising the fragmentation of Africa into colonies and protectorates, was taking place. The chief of the Witbooi clan, Hendrik Witbooi, later went on to become one of the most prominent figures of anti-colonial resistance in Southwest Africa, uniting all Nama clans and later forming a coalition with the Ovaherero to fight against the German colonial regime.

    Following the establishment of their settlement in Hornkranz, the Witbooi Nama lived relatively undisturbed until 1892, when first attempts to compel Hendrik Witbooi into signing a protection treaty began. Hendrik Witbooi, aware that the true objective of the so-called ‘protection treaties’ was nothing short of subjugation, was the last leader to refuse to comply:

    What are we being protected against? From what danger or difficulty, or suffering can one chief be protected by another? […] I see no truth or sense, in the suggestion that a chief who has surrendered may keep his autonomy and do as he likes.

    The German attempt to secure control over the peoples inhabiting the colony and their land is manifested in their mapping efforts. The first map we found featuring Hornkranz dates to 1892, the same year that the Germans began demanding the Witbooi sign such treaties. Despite Witbooi’s refusal to sign, Hornkranz is labelled in these German maps as ‘proposed Crown Land’ already six months before the attack—the very act of cartographic representation prefiguring the expulsion and massacre to follow less than a year later.

    After the Germans attacked Hornkranz, the Witboois were finally forced to concede and sign one of the protection treaties they had so long been resisting.

    A decade later, in 1904, the Nama joined the Ovaherero in an anti-colonial struggle against German rule. In response, the Germans issued an extermination order against the Ovaherero and later, another against the Nama. Hendrik Witbooi died in battle on 29 October 1905. Following his death, the Nama tribes surrendered. The extermination order against the Nama was never revoked.
    12 April 1893: The Attack and Aftermath

    The German troops approached the settlement in the early hours of 12 April, planning to attack under the cover of night without any warning. They then split into three contingents—a recounting of this strategy is recorded in the diary of Kurd Schwabe, one of the perpetrators of the attack. Von Francois led the attack from the northern side, entering the village first, while Schwabe approached from the east.

    Hendrik Witbooi, who was allegedly sitting outside of his house when he noticed the approaching troops, ordered all Nama fighters to retreat and take up defensive positions along the riverbed, where he expected the ensuing battle to take place. Instead, the German troops stopped when they reached the sleeping village and proceeded to target the defenceless population that had stayed behind. The brutality of the onslaught came as a shock to Hendrik Witbooi, who had not expected the Germans to unleash such ‘uncivilised’ tactics upon another sovereign nation.

    Sixteen thousand rounds of bullets were reportedly discharged by the Germans in the span of just thirty minutes. According to the testimony of descendants and corroborated by Schwabe’s diary, some victims were burned alive in their homes.

    The canisters recovered from the site during our fieldwork in September 2023 indicate where some exchange of fire may have taken place while the Witbooi fighters were retreating. While the found bullets were identified as those used by the Witbooi Nama, their location and distribution also corroborates written descriptions of the massacre unfolding in the inhabited area of the settlement, with stored ammunition exploding from inside the burning houses.

    The massacre yielded 88 victims: ten men, including one of Hendrik Witbooi’s sons, and 78 women and children.

    The following day, the German troops returned to raze what remained of the settlement to the ground. Promptly after, a garrison was established on the ashes of the Witbooi settlement, reinforcing the Germans’ clear intention to claim the land and prevent the Witboois from ever returning.

    Over the next year, the Witbooi Nama made several attempts to return to Hornkranz, resulting in four more skirmishes on the site. Eventually, they were forced to sign a protection treaty in Naukluft in August 1894, which cemented the dispossession of their land.

    The treaty meant that the Witbooi Nama were now obliged to assist the Schutztruppen in their battles against other tribes, most devastatingly at the Battle of Waterberg in August 1904 (see our Phase 1 investigation of this event). Once the Nama realised the true genocidal intent of the Schutztruppen, they united with the Ovaherero against colonial rule. The extermination order against the Nama was issued on 22 April 1905.

    After the genocidal war ended in 1908, Hornkranz was sold off to a private owner and a police station was established on its premises. Today, the police station building is the main farmhouse.

    Nama descendants are seeking to establish the 1893 massacre as the first act of genocide against the Nama, and 12 April as the official Genocide Remembrance Day in Namibia.

    This investigation—part of a larger collaboration between Forensic Architecture, Forensis, Nama Traditional Leaders Association (NTLA) and Ovaherero Traditional Authority (OTA)—seeks to support the community’s broader efforts to make the site accessible for commemoration and preservation.

    Methodology
    What Remains

    Little material evidence of Hornkranz survives today. This is in part due to the scale and totality of destruction by the Germans; but it is also a testament to the Witbooi’s steadfast resistance to being documented by the colonial regime, as well as to the light footprint the Nama exerted on the land through their semi-nomadic inhabitation and subsistence. The archival record about the Witbooi and Hornkranz is also sparse and skewed. Alongside an incomplete and biased colonial description of the massacre and the settlement, the only visual representation of Hornkranz on record is a soldier’s crude sketch showing its houses set alight by the German troops on the night of the massacre. The memory of Hornkranz as it was at the time of the attack lives on instead through the descendant communities who have inherited the testimonies of their forebearers about its material culture, rituals, life and environmental practices; our reconstruction and understanding of Hornkranz is possible only insofar as we are led by their testimonies.

    Around the rectangular patch where Hendrik Witbooi’s house once stood, Maboss Ortman and Lazarus Kairabeb, NTLA advisors, identified stones they said are the ruins of the house. Right next to it is the only stone foundation in the settlement, that of a church still under construction at the time of the German assault. These two traces anchored us spatially when we began the 3D reconstruction. We were told by Zak Dirkse, a Nama historian, that Hendrik Witbooi’s house was located higher up in the settlement, with the other houses further down toward the river.

    The other remains and known landmarks of the original Hornkranz settlement help us to navigate it and determine its approximate boundaries. During our visit to the site, the farm owner pointed us to a long strip of clustered stones he explained were the remains of the settlement’s defensive walls, some 300 metres north-west of the church ruins. To the south, by the river, the settlement’s former cemetery is marked by the spread of small rectangular cut stones marking each grave. Further along the river, Maboss and Lazarus showed us the remains of two defensive ramparts, guard outposts downhill from the settlement on its outer edges. They recounted that these ramparts were identifiable to the Witbooi from a distance by a white cornerstone that stands out among the brown stones the rest of the rampart is made of. The ramparts are placed along the hill leading down to the river and would have had a wide lookout view. A few steps to the west of one of the ramparts, we found what brought the Witbooi to this area, a rare perennial spring, which acted not only as a fresh water source for the village, but as a lifeline to the fauna and flora on which the Witbooi relied to survive. Since the early 20th century, this spring has been surrounded to its north by a concrete dam. By establishing this constellation of remains and landmarks, we were able to clarify the approximate outer edges of the settlement.

    Reconstruction

    To reconstruct the Hornkranz settlement, departing from the few architectural landmarks at our disposal, we replicated the architecture of each house and the elements of family life around it, estimated the area of inhabitation within the settlement, and constructed possible layouts of house distribution within the settlement. This reconstruction was led by the close guidance of descendants of the Witbooi we met with in Gibeon, the expertise of Nama historian Zak Dirkse, and the feedback of the Witbooi Royal House council, the representative body of the Witbooi Nama. Our model represents the most comprehensive visual reconstruction of the Witbooi settlement to date.

    Architecture of the Settlement

    Houses in Hornkranz consisted mostly of round domed huts, between four and five metres in diameter, and constructed with cladding made out of reed mat or a mix of animal dung and clay. Zak explained that these huts would have been constructed on a light foundation made up of the same dung and clay mixture spread on the ground. A central pole would act as the main structural pillar on which the reed mats would rest. According to members of the Witbooi descendants, alongside these huts there would have been other houses built of stone, like that of Hendrik Witbooi. Descendants also explained that houses typically had two entrances opposite one another and positioned on an east-west axis with the main entrance facing east.

    Working with the community descendants and Zak, we used 3D modelling software to reconstruct what a typical family home would have looked like. We were told that outside the houses, many families would have had a round kraal lined with a light wooden fence where they kept smaller livestock. Close to the main entrance, they would also have had a fireplace and a simple wooden rack to hang and dry meat. The main kraal of the settlement was near the chief’s house, where a separate storage hut also stood.

    The light environmental trace of the Nama, the German colonial army’s obliteration of the settlement, the failure of subsequent administrations to engage in preservation efforts, and the conversion of the land into a private farm all make it difficult to locate definitive traces of the layout and location of homes based on what little remains at the modern-day site. Nevertheless, by closely reading the texture of the ground, we found possible traces of cleared, round areas surrounded by larger rocks, and noted areas of sparse vegetation growth, a potential indicator of the impact of the huts’ clay-dung foundations. We marked five possible sites where Witbooi homes might have stood.

    Zak explained that a defensive wall would have flanked the settlement along its more vulnerable northern and eastern fronts. We studied the contours of the landscape to estimate, based on the presence of limited remains, how the wall might have cut through the landscape. We estimate that the eastern wall may have been constructed along the peak of the hill to the settlement’s east, given its optical reach and defensive position.

    Area of Inhabitation

    To estimate the area of inhabitation and the settlement’s population, we studied the remaining ruins of the settlement, the terrain of the landscape, and the land’s geological features.

    Houses, we were told, would have been built on flatter ground. We used a 12.5 metre resolution digital elevation model (DEM) to build the terrain in our 3D model and further analysed it in geographic information system (GIS) software. From the DEM, we extracted the contour lines of the landscape and conducted a slope analysis, which calculates the percentage of slope change in the settlement. Analysis of the contours and the areas of low slope help to define the curvature of the settlement’s inhabitation.
    Contour Analysis - 1 metre contours of the site of Hornkranz derived from a digital elevation model (DEM). (Forensic Architecture/Forensis)

    We then traced and excluded uninhabitable geological features from the area of potential inhabitation, including bodies of water and large embedded rock formations. Together, the land’s features, its topography, and our estimated location of the defensive wall help establish where people may have lived.

    Layout of Hornkranz

    Building on the traces of potential houses we previously identified within the landscape and the descendant’s description of the settlement, we were able to algorithmically model potential layouts of the settlement. We used the 3D procedural modelling software application Houdini to design an algorithm that would generate possible layouts of the settlement according to a set of rules, including our defined area of potential inhabitation and the approximate space each household would need for its family life (which we approximate to be a radius of 10 metres). The rules fed to the algorithm were that the houses had to be at least 20 metres apart, each house was approximately 5 metres in size, and there were sixty houses in total with a deviation of +/- ten houses.

    According to the Hornkranz descendants, there would have been around four to six people per household. With an average of five people per household, we estimate the population to be around 300 people per household.
    Number of inhabitants

    The exact population size of Hornkranz at the time of the attack is not known. Sources provide estimates ranging from 250 up to nearly one thousand inhabitants.

    In addition to the members of the |Khowesin Nama clan, Hendrik Witbooi also gathered followers from other clans at Hornkranz, including the ǀAixaǀaen (Afrikaner Oorlams), ǁKhauǀgoan (Swartbooi Nama), Khaiǁkhaun (Red Nation Nama) and ǂAonin (Topnaar Nama). Indeed, the various Nama subtribes were elastic social entities.

    We estimated the 1893 population of Hornkranz by referencing the reported number of individuals killed and captured. Hendrik Witbooi wrote in his diary that 88 people were killed by the Germans that day, 78 of them women and children and ten of them men, with one hundred women and children captured by German colonial forces. Other sources indicate a similar number of casualties: 85 women and children, and ten men (Missonary Olpp, cited in Steinmetz 2009). Descendant narratives also mention the successful escape of some women and children during the German assault. Assuming that before the attack, women and children totalled at least 178 (according to Hendrik Witbooi’s figures), and that women and children made up around three out of five family members in an average household, we estimate there could have been around sixty households and three hundred people in Hornkranz on the dawn of the German attack.

    https://forensic-architecture.org/investigation/restituting-evidence-genocide-and-reparations-in-german-colon

    #Allemagne #colonialisme #massacre #génocide #Namibie #architecture_forensique #histoire #histoire_coloniale #témoignage #Nama #Hendrik_Witbooi #Witbooi #Curt_von_Francois #Ovaherero #San

    ping @reka

  • Fin de vie : Entretien avec François Guillemot et Bertrand Riff sur Radio Campus Lille !

    Ce Samedi 13 Avril, une heure avec l’AMD. Pour écouter l’émission en mp3, LE LIEN : https://www-radio-campus.univ-lille1.fr/ArchivesN/LibrePensee/LP240413.mp3

    La fin de vie. C’est un sujet qui fait débat en France en ce moment. La convention citoyenne sur la fin de vie a rendu ses conclusions après 27 jours de débats et d’entretiens avec une soixantaine spécialistes. Dans leur rapport, les citoyens tirés au sort déclarent : « Après en avoir largement débattu, la majorité de la Convention s’est prononcée en faveur d’une ouverture à l’aide active à mourir. »

    Si en France l’aide active à mourir n’est pas encore possible, elle l’est par contre dans un pays tout proche : la Belgique. Pour aider les Français qui souhaitent en bénéficier, l’Association pour le Droit de Mourir dans la Dignité (ADMD) propose son aide. Elle dispose d’un local à Lille (Nord), à moins d’une heure de la Belgique. A Lille, c’est Monique et le docteur François Guillemot qui s’occupent des personnes et les accompagnent.

    La suite : https://actu.fr/hauts-de-france/lille_59350/depuis-lille-ils-accompagnent-des-patients-en-belgique-pour-leur-fin-de-vie_589

    Source : http://federations.fnlp.fr/spip.php?article2296

    #AMD #mort #fin_de_vie #aide_à_mourir #aide_active_à_mourir #handicap #Belgique #Santé #liberté #décès #santé #mort #mort_choisie #acharnement_thérapeutique #AMM #souffrances #femmes #radio #Hôpital #soins_palliatifs

  • « Pressentiments, sentiments et ressentiments antifrançais : itinéraire
    d’un passé qui ne passe pas »
    El Hadj Souleymane Gassama (Elgas) - Journaliste, docteur en sociologie et chercheur associé à l’IRIS.
    Extraits de la revue de l’IRIS - printemps 2024
    https://drive.google.com/file/d/19fofUU-lfVozuoB4TXUnzNcXISaoK4DB/view


    #françafrique #décolonisation #antifrançais

  • Der Postillon präsentiert DeppL Translate – das schlechteste KI-Übersetzungstool der Welt!
    https://www.der-postillon.com/2023/10/deppl-translate-ki.html

    Pour des traductions systématiquement hilarantes.

    In schwierigen Zeiten wie diesen ist Völkerverständigung wichtiger denn je! Aus diesem Grund hat der Postillon seine weltberühmte KI-Taskforce (bekannt aus DeppGPT und Grünen-Bashing-Überleitungsgenerator) aktiviert und mit DeppL Translate ein KI-Übersetzungstool entwickeln lassen, das seinesgleichen sucht.

    Es dürfte sich von selbst verstehen, dass es sich um das womöglich unpräziseste Übersetzungstool aller Zeiten handelt. Hier können Sie DeppL exklusiv testen und die schönsten Übersetzungen mit anderen teilen (#DeppL):

    #traduction #wtf

    • Wir haben 1000 Arbeiter damit beauftragt, den höchsten Turm der Welt zu bauen. Anschließend haben wir ihren Sprach-Output von einer künstlichen Intelligenz analysieren lassen, die ursprünglich programmiert worden war, um Gulaschrezepte zu entwickeln. Die Ergebnisse waren erstaunlich inkorrekt und unnütz – DeppL war geboren.

       :-))

  • « Notre travail, c’est du bidouillage » : la #débrouille impossible pour sauver l’#école_publique | #StreetPress

    https://www.streetpress.com/sujet/1712654163-travail-bidouillage-debrouille-impossible-sauver-ecole

    #Profs absents et jamais remplacés
    « On a demandé à des #AESH de repeindre le mur du préau de l’école ! » C’était il y a longtemps, mais Florence s’en souvient très bien. « Ça m’a marquée. » Un exemple qui illustre le #bricolage permanent imposé au #personnel de l’#école. « Dans certains collèges du 93, il n’y a pas assez de #chaises pour les #élèves », lâche Yuna, professeur en école maternelle à Paris. À l’image du collège Travail Langevin à Bagnolet, dont StreetPress racontait récemment les galères. Les #murs des #locaux sont moisis et laissent passer la pluie. Il manque une #infirmière_scolaire et une #assistante_sociale.

    #lucie_inland

  • Politiques migratoires : « Des dispositifs mortels, dont l’effet est de tuer pour dissuader »
    https://migreurop.org/article3257.html

    Les textes composant le nouveau pacte européen sur la migration et l’asile sont votés par les euro-député·e·s ce 10 avril 2024 à Bruxelles. Retrouvez l’émission À l’air libre de Médiapart, par Nejma Brahim avec la participation de : Sophie-Anne Bisiaux, membre et co-présidente du réseau Migreurop, spécialiste des questions liées à l’externalisation, notamment en Afrique du Nord ; Rima Hassan, candidate LFI aux élections européennes, juriste et fondatrice de l’Observatoire des camps de réfugiés ; Sophie (...) #Décryptages

    https://www.mediapart.fr/studio/videos/emissions/l-air-libre

  • Les gardiens de prison n’ont pas réussi à sauver Brian Dorsey, exécuté au Missouri - Le Temps
    https://www.letemps.ch/monde/ameriques/les-gardiens-de-prison-n-ont-pas-reussi-a-sauver-brian-dorsey-execute-au-mis

    La particularité de ce cas ? Environ 70 de ses gardiens de prison ont imploré la clémence pour cet homme qui a reconnu le meurtre, le 23 décembre 2006, de sa cousine Sarah Bonnie et de son mari Ben, chez qui il était hébergé pour échapper à des trafiquants de drogue qui lui réclamaient de l’argent. Jade, la fille de 4 ans du couple, qui dormait dans une autre chambre, avait été épargnée. « C’est la première fois que je vois un tel soutien pour la clémence de la part d’employés pénitentiaires en activité ou à la retraite », commente Robin Maher, directrice du Death Penalty Information Center, une ONG qui documente l’usage de la peine de mort aux Etats-Unis et milite pour son abolition.

    pour info voici les crimes qui lui étaient reprochés :

    Brian Dorsey a assassiné sa cousine, Sarah Bonnie, et son mari, Ben Bonnie, au milieu de la nuit après qu’ils l’aient sauvé des trafiquants de drogue qui tentaient de recouvrer des dettes dans son appartement plus tôt dans la journée. Après les avoir assassinés, Brian Dorsey a violé le cadavre de Sarah alors que la fille de quatre ans des Bonnie, désormais orpheline, dormait dans une autre pièce.

    #détenu_modèle

  • Halten und Parken – was ist erlaubt, was ist verboten?
    https://taxi-times.com/halten-und-parken-was-ist-erlaubt-was-ist-verboten

    6.3.2024 von Remmer Witte - Taxi- und Mietwagenchauffeure bewegen sich alltäglich in einer Grauzone, denn der Vorgang des Be- und Entladens von Fahrgästen oder Kuriergut erfordert oft doch noch einen Moment länger.

    Eigentlich ist das Be- und Entladen zwar klassisch ein Halte- und kein Parkvorgang, doch wenn die angebotene Dienstleistung länger dauert, klebt manchmal ruckzuck ein Knöllchen hinterm Scheibenwischer. Die gute Nachricht zum Thema: Die Protagonisten des mobilsten Gewerbes der Welt dürfen hier manchmal doch noch einen Tick mehr als die Normalsterblichen. Was geht also, was definitiv nicht?

    Im Volksmund und auch nach der Vorgehensweise vieler Ordnungskräfte gibt es eigentlich nur eine Regel: Steht ein Auto am Fahrbahnrand, so hält es maximal drei Minuten, danach parkt es. Aus Sicht der Ordnungsbehörden sind solch klare Regelungen notwendig, denn ansonsten verkäme die Kommunikation zwischen Knöllchengeber und Knöllchennehmer zum Diskutierclub. Aber – wir sind in Deutschland – eigentlich ist es viel komplexer, und gleichzeitig schwindet die Toleranz gegenüber Falschparkern immer mehr. Also sollten sich gerade „Berufshalter“ wie Taxi- und Mietwagenfahrer ganz genau mit den diesbezüglichen Regeln auskennen.

    Dies gilt besonders, da Parkverstöße seit November 2021 deutlich schärfer bestraft werden können und sogar zu Punkten in Flensburg führen. Dies gilt zwar nur für Verstöße, die die Sicherheit des Straßenverkehrs gefährden, aber dazu gehört auch die Gefährdung von Fußgängern und Radfahrern. Der Bußgeldkatalog widmet der Aufstellung der Bußgelder für falsches Halten und Parken etliche Seiten, deswegen hier nur ein Verweis.

    Zunächst ist deswegen die Definition des Haltens notwendig: Als Halten bezeichnet man eine kurze, freiwillige Unterbrechung der Fahrt. Freiwillig bedeutet, dass diese nicht durch die Verkehrslage, Schilder, Ampeln oder Polizisten verursacht wird. Wer in einem Stau oder vor einer roten Ampel anhält, hält also nicht, sondern wartet. Und auch wer wegen einer Panne nicht weiterfahren kann, hält nicht, sondern bleibt liegen. Das freiwillige Halten ist darüber hinaus an engen und an unübersichtlichen Straßenstellen, im Bereich von scharfen Kurven, auf Einfädelungs- und auf Ausfädelungsstreifen, auf Bahnübergängen und vor und in Feuerwehrzufahrten verboten, auch wenn dies nicht explizit so ausgeschildert ist. Auf Geh- und Radwegen sowie den durch eine durchgezogene Linie abgeteilten Radfahrstreifen auf der Fahrbahn dürfen Autos ebenfalls nicht halten.

    Gemäß Straßenverkehrsordnung (StVO) gibt es für die verbleibenden Flächen das generelle Halteverbot, Schild Nr. 283, landläufig als Parkverbot bezeichnet, und das eingeschränkte Halteverbot, welches das Halten zum Zweck des Be- und Entladens gestattet, ggf. ausgewiesen durch Schild Nr. 286. Weiter definiert die StVO dann: Wer ein Fahrzeug führt, darf nicht länger als drei Minuten auf der Fahrbahn halten, ausgenommen zum Ein- oder Aussteigen oder zum Be- oder Entladen. Ladegeschäfte müssen ohne Verzögerung durchgeführt werden.

    Wie lange man also freiwillig halten darf, ist gesetzlich nicht klar geregelt, sondern nur der Rechtsprechung zu entnehmen. Nach der Rechtsprechung soll z. B. das Warten auf einen Fahrgast über drei Minuten hinaus zulässig sein, wenn nach der mit diesem Fahrgast getroffenen Vereinbarung zu erwarten ist, dass er in Kürze erscheint. Selbst, wenn der Fahrgast dann nicht erscheint, soll kein Verstoß vorliegen. Entscheidend ist letztendlich ausschließlich die Zweckbestimmung des Haltens, wobei es nicht darauf ankommt, ob dieser Zweck auch tatsächlich erreicht wird (Bayer. Oberstes Landesgericht, DAR 1979, 198-199 – hier ging es um ein Halten von ca. fünf bis sechs Minuten, ohne dass die Ehefrau des Fahrers am verabredeten Ort erschien).

    Ebenso soll das Halten über drei Minuten hinaus zulässig sein, wenn zum Aussteigenlassen noch unvermeidbare Nebenverrichtungen gehören, z. B. das Verbringen eines Kindes in den Kindergarten. (KG Berlin VRS 59, 230 – 233) Aber: Das Mitgehen des Fahrers zum Bahnhof ist nach OLG Karlsruhe z. B. nicht zulässig. Außerdem zu beachten ist, dass ein Halten zum Zweck des Be- oder Entladens grundsätzlich nur zulässig ist bei Gegenständen von einiger Größe oder einigem Gewicht. Ein Tragen über eine längere Strecke darf daher nicht zumutbar sein. (OLG Karlsruhe VM 75, 21 KG VRS 33, 314). Im geschäftlichen Lieferverkehr ist aber auch das Be- oder Entladen leichterer Gegenstände zulässig. Allgemeingültige Aussagen dazu, ob gehalten oder geparkt wird, können somit also gar nicht getroffenen werden, da es letztlich immer um Einzelfälle geht. Allgemein gilt aber: Je stärker der übrige Verkehr durch das haltende Fahrzeug beeinträchtigt ist, desto eher ist vom Fahrzeugführer zu verlangen, dass er von einem (weiteren) Halten Abstand nimmt.

    Aber wo sind die Lücken für das mobile Gewerbe? Taxen dürfen gemäß StVO in zweiter Reihe halten, wenn die Verkehrslage es zulässt, denn sie dürfen neben anderen Fahrzeugen, die auf dem Seitenstreifen oder am rechten Fahrbahnrand halten oder parken, Fahrgäste ein- oder aussteigen lassen. Hier ist allerdings zu beachten, dass das Fahrzeug nicht verlassen werden darf und die Regelung auch nicht für Mietwagen, sondern explizit nur für Taxen gilt. Des Weiteren finden sich Hinweise auf minimale Sonderrechte in der Rechtsprechung: „Der Vorgang des Parkens zeichnet sich durch das Halten und Verlassen eines Fahrzeugs auf unbestimmte Zeit aus. Dieser kann neben der Handlung des Ein- und Aussteigens auch geringe Nebenverrichtungen, so z. B. das Warten auf Fahrgäste umfassen, solange dies nicht länger als wenige Minuten dauert. Die Benachrichtigung sofort zum Einsteigen bereiter Fahrgäste ist als Halte- und nicht als Parkvorgang zu werten. Ebenso sind Zimmernachfragen oder der Vorgang des Gepäckausladens zu werten. Ist mit dem Erscheinen des Fahrgastes in Kürze zu rechnen, so darf das Warten auf ihn über drei Minuten hinaus – auch zum Abholen aus einer Wohnung – ausgedehnt werden, ohne dass geparkt wird. (OLG Hamm VRS 36, 77, OLG Frankfurt NJW 52, 675, Bayrisches OLG VRS 57, 140, Kommentierung bei Hentschel, Straßenverkehrsrecht, 38. Auflage).“

    Wer solche Möglichkeiten ausreizen will, sollte aber immer darauf achten, dies so unauffällig und elegant wie möglich zu bewerkstelligen. Denn wer hier auffällt oder sich rechthaberisch verhält, der wird schnell zur Ordnung gerufen werden. Wer also nur dort hält, wo das Halten nicht verboten ist, der darf dort auch das Fahrzeug verlassen, um sich kurz an der Hotelrezeption, in der Arztpraxis oder der Krankenhausinformation zu melden oder das Kuriergut abzugeben, selbst, wenn dies vielleicht sechs Minuten dauert (danach dürfte es kritisch werden). Die Unterstützung von Fahrgästen, insbesondere Patienten, wird jedoch schnell zum Risiko, solange man sich nicht mehr im direkten Sichtbereich des Fahrzeugs aufhält. Dafür darf man beim Halten zum Be- und Entladen in engen Seitenstraßen aber auch mal ganz kurz den Verkehr blockieren, eine Einfahrt blockieren oder an größeren Straßen in zweiter Reihe halten, ohne dass gleich ein Ticket riskiert wird, auch wenn andere Verkehrssteilnehmer nicht begeistert sein werden. rw

    #Deutschland #Taxi #Recht #Rechtsprechung #Verkehr #StVO #Halten #Parken

  • Pour les tenants du projet de réforme, « les allocations-chômage sont les ennemis de l’emploi et des politiques de remise en activité des chômeurs »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/04/10/pour-les-tenants-du-projet-de-reforme-les-allocations-chomage-sont-les-ennem

    0n peine à comprendre le bien-fondé d’une nouvelle #réforme de l’#assurance-chômage visant à durcir les conditions d’indemnisation des #chômeurs, doctrine dont ce double mandat présidentiel se sera fait une spécialité. Les motivations pour justifier ces coups de canif portés à l’Unédic ont varié au fil du temps.

    Ce fut l’argument financier de résorption de la #dette : s’il s’agit d’en réduire le poids, il aurait été utile que l’Etat en donnât l’exemple en remboursant à l’institution paritaire ce qu’il lui doit : le financement du chômage partiel durant la crise sanitaire et l’équivalent des cotisations sociales perdues du fait de la politique d’allégement des charges sociales conduite depuis des années par ce gouvernement et ceux qui l’ont précédé.

    Indemniser, placer, former

    L’autre argument avancé consiste à justifier cette réforme au nom du #travail avec le postulat implicite que les allocations-chômage, leur montant, leur durée sont les ennemis de l’emploi et des politiques de remise en activité des chômeurs, les fameuses politiques dites « actives ».
    Et c’est sur ce point de l’argumentation que le bât blesse lourdement, et pour plusieurs raisons. Car depuis la création des premières formes d’indemnisation des chômeurs à la création de l’Unédic en 1958, puis de celle de l’Agence nationale pour l’emploi (ANPE) en 1967 (aujourd’hui France Travail), l’indemnisation des chômeurs et leur placement sur le marché du travail ne faisaient qu’un seul et même binôme.

    Ce fut tout le sens de la mise en place d’un service public de l’emploi dans ces années-là, tout ce dont le rapport Ortoli, rédigé par un certain Jacques Delors (1925-2023), appelait de ses vœux en 1963 : mettre en place une grande politique d’infrastructure publique de l’emploi au service de la mobilité professionnelle des actifs. Pour cela il fallait avant toute chose indemniser correctement les chômeurs (Unédic), les accompagner pour les placer (ANPE) avec le recours éventuel de la formation professionnelle (Association pour la formation professionnelle des adultes). L’indemnisation, au cœur des réformes aujourd’hui, constituait l’indispensable maillon et le levier principal de ces politiques actives.

    Plus récemment, un inspecteur de l’inspection générale des affaires sociales (IGAS), Jean-Marc Boulanger, chargé par le gouvernement en 2008 d’une mission de préfiguration pour la création de Pôle emploi, présentait l’indemnisation des chômeurs comme la rémunération du travail de recherche d’emploi des chômeurs. Il rappelait, ce que l’actuel gouvernement semble ignorer, que « l’indemnisation et le placement via une politique d’intermédiation active constituaient les deux leviers à mettre en une même main pour donner corps à la volonté de donner toute sa puissance à la stratégie de sécurité des parcours dans un marché de l’emploi souple et dynamique ».

    Perte en puissance inquiétante

    Si l’indemnisation est la condition d’une politique active de l’emploi, force est de constater que la perte en puissance de ce levier, pour soutenir le revenu de remplacement des chômeurs et l’adosser à une aide active au retour à l’emploi, est pour le moins inquiétante. En effet, au cours de l’année 2023 ce sont moins de 40 % des demandeurs d’emploi qui sont couverts par le régime d’assurance-chômage. Dans ces conditions il va devenir de plus en plus difficile d’utiliser l’indemnisation comme le support d’une politique d’accompagnement et d’activation des demandeurs d’emploi.

    Pour les 60 % de chômeurs non indemnisés le risque est d’abandonner le chemin de France Travail, de renoncer à être accompagnés par ses services pour privilégier la recherche de petits boulots, souvent précaires, et subvenir ainsi à leurs besoins.

    Pour celles et ceux des chômeurs qui choisiraient de maintenir leur inscription à France Travail, ils risquent, eux, de bénéficier d’un accompagnement bien moins intensif et soutenu que les demandeurs indemnisés puisque la doxa de l’équilibre budgétaire n’a rien à gagner financièrement de leur retour à l’emploi. Pour le dire dans le jargon des politiques de l’emploi : rien ne sert de les activer, puisqu’il n’y a aucune dépense passive (l’allocation-chômage) à récupérer.

    Ils ne sont pas rares, les demandeurs d’emploi non indemnisés, qui ont le sentiment à tort ou à raison que l’accompagnement qu’ils reçoivent de #France_Travail est plus light que pour les autres chômeurs encore indemnisés. C’est du reste une norme de comportement qu’ils ont eux-mêmes intégrée provoquant un même retrait vis-à-vis de leur investissement dans la recherche d’emploi.

    Course contre la montre

    Quant aux chômeurs indemnisés qui verraient leur période d’indemnisation ramenée à douze mois maximum si cette réforme devait être adoptée, il y a fort à parier que ce sera la course contre la montre pour parvenir à être pleinement accompagné dans un laps de temps aussi court.
    Car du côté de France Travail, il faudra, pour aligner l’accompagnement sur ce timing, revoir singulièrement le processus de prise en charge des demandeurs d’emploi. Conseillers comme demandeurs d’emploi font souvent le même constat d’un manque de réactivité de l’institution à la demande des usagers. Il y a d’abord le temps de la demande d’indemnisation, puis celui de l’entretien de situation pour orienter le chômeur vers la modalité d’accompagnement la plus adaptée à son profil, puis enfin la rencontre avec son conseiller qui va l’accompagner.

    Les délais d’entrée dans les prestations se comptent souvent en semaines pouvant entraîner le renoncement à suivre la prestation en question. Mais c’est surtout sur le volet de la formation professionnelle que les délais d’entrée dans les stages sont les plus longs même si, sous l’effet du plan d’investissement dans les compétences adopté en 2018, ces délais se sont légèrement réduits. Globalement, il faut encore attendre un bon trimestre pour pouvoir intégrer la formation voulue en espérant que l’on soit indemnisé suffisamment longtemps pour pouvoir y faire face.
    Voilà donc tout l’enjeu de la période actuelle : faire du triptyque indemnisation/formation/placement une seule et même politique pour répondre aux enjeux à venir dans le champ des multiples transitions (écologiques, numériques…) qui nous attendent. Il est temps que l’idéologie cède le pas à la raison.

    Carole Tuchszirer est chercheuse au Conservatoire national des arts et métiers/Centre d’études de l’emploi et du travail (CNAM/CEET).

    • La « classe moyenne » qui s’en prend aux « chômeurs » ne s’en prend qu’à elle-même, Mathieu Grégoire, Sociologue, enseignant-chercheur à l’université Paris-Nanterre (IDHES)
      04 AVRIL 2024
      https://www.alternatives-economiques.fr/mathieu-gregoire/classe-moyenne-sen-prend-aux-chomeurs-ne-sen-prend/00110237

      Pour vous, le RSA, c’est dans douze mois ? Oui : « vous ». C’est à vous que je m’adresse. Vous qui êtes salariés dans le privé (ou allez le devenir). En CDI ou en CDD, peu importe. Vous qui êtes un homme ou une femme. Vous qui êtes ouvrier, employé, technicien, ingénieur, cadre… Vous qui avez 20, 30, 40 ou 50 ans.

      Pour la plupart d’entre vous, le revenu de solidarité active (RSA), dans douze mois, ça ne rentrait pas, objectivement, dans l’univers des possibles. Mais le Premier ministre souhaite que ça le devienne en diminuant la durée maximale des indemnités servies par l’assurance chômage à 12 mois.

  • Érosion du littoral : 57 décharges à réhabiliter bénéficieront de l’exemption de TGAP
    Le recul du trait de cote c’est aussi la mise au jour des anciennes décharges et le déversement dans la mer de montagnes de déchets.
    https://www.actu-environnement.com/ae/news/liste-decharges-littoral-exemption-tgap-43826.php4

    La liste comporte 57 décharges : deux en Charente-Maritime ; cinq en Côtes-d’Armor ; sept dans le Finistère ; une dans l’Hérault ; une en Loire-Atlantique ; dix dans la Manche ; trois dans le Morbihan ; trois dans le Pas-de-Calais ; sept en Seine-Maritime ; neuf en Guadeloupe ; trois en Martinique ; une en Guyane ; cinq à La Réunion.

    En 2022 la décharge de Dollemard avait fait la une.


    #érosion_du_littoral #décharges #déchets

  • Rencontres des luttes locales, à Aouste samedi 04 mai
    https://ricochets.cc/Rencontres-des-luttes-locales-a-Aouste-samedi-04-mai-7457.html

    Le 10 février dernier, à Saillans, une première journée « Rencontres des luttes locales » a rassemblé 120 personnes d’horizons géographiques, générationnels et militants, divers avec en soirée le film "Nous n’avons pas peur des ruines". Dans la foulée, un petit groupe s’est constitué pour mettre en chantier d’autres rendez-vous similaires, à l’échelle de nos territoires. La prochaine journée « Rencontres des luttes locales » Val de Drôme – Vercors – Diois – Ardèche se précise : ce sera (...) #Les_Articles

    / #Ecologie, #Féminisme, #Résistances_au_capitalisme_et_à_la_civilisation_industrielle, Démocratie directe, communes libres..., #Vallée_de_la_Drôme, #Autonomie_et_autogestion, Luttes (...)

    #Démocratie_directe,_communes_libres... #Luttes_sociales

  • Jaja, der Andi
    https://de.wikipedia.org/wiki/Andreas_Scheuer


    Ex-Minister Scheuer ist vor allem als der Don Teflon bekannt, der ungestraft unter einem billigen Vorwand hunderte Millionen Euro Staatsknete an Freunde und Bekannte verteilte.

    Seine Rolle bei der Zerstörung des ÖPNV als Teil der öffentlichen Daseinsvorsorge wird nur selten thematisiert. Er hat duch die Abschaffung der vorgeschriebenen Ortskundeprüfung zunächst für Mietwagen- und dann Taxifahrer aus einer prekären Branche ein Spielfeld der organisierten Kriminalität gemacht, die auf staatskosten die Ärmsten der Armen ausbeutet. So ganz nebenbei hat er maßgeblich dazu beigetragen, ein Angebot des öffentlichen Nahverkehrs namens Taxi durch ein System der Ausbeutung von Fahrern und Sozialkassen zu ersetzen, ein Prozeß, der als Uberisierung bekannt ist.

    Geschätzer Schaden allein für Berlin : Mindestens 60 Millionen, nach anderen Schätzungen ein dreistelliger Millinbetrag pro Jahr.

    Scheuer ist seit August 2021 mit Julia Reuss verheiratet, die bis Ende Februar 2021 Büroleiterin von Staatsministerin Dorothee Bär war und seither als Lobbyistin bei Facebook tätig ist.

    Berufliches (4.4.2024)
    https://www.welt.de/wirtschaft/article250845832/Andreas-Scheuer-Ex-Verkehrsminister-kurbelt-seine-Zukunft-als-Unternehmensberat

    4.4.2024 - Andreas Scheuer hatte am Wochenende seinen vorzeitigen Abschied aus dem Bundestag bekannt gegeben. Zu seiner Zukunft äußerte er sich bislang nicht. Doch Dokumente zeigen, dass er gleich zwei Firmen gegründet hat. Scheuer scheint dabei aus einem politischen Debakel gelernt zu haben.
    Anzeige
    Am 12. Februar hatte Andreas Franz Scheuer viel zu tun: Neben seinem Job als Bundestagsabgeordneter besuchte er auch einen Notar in seiner Heimat Passau. Gleich zwei Firmen gründete der frühere CSU-Verkehrsminister an diesem Tag: erst die Positanis Holding GmbH mit Sitz in Berlin, dann die Tancredis GmbH, die der Positanis Holding gehört. Das belegen Dokumente aus dem Handelsregister, die WELT vorliegen.

    Zumindest die Holding-Gesellschaft Positanis wird ein Familienbetrieb. Neben Andreas Scheuer, 49, gibt es nur eine weitere Gesellschafterin: seine Ehefrau Julia Scheuer, 41. Allerdings werden die Anteile der Familien-Holding nicht gleichmäßig zwischen den Eheleuten verteilt.

    Laut Handelsregister gehören 80 Prozent der Firma Andreas Scheuer, nur 20 Prozent hält seine Frau. Der frühere Verkehrsminister übernahm auch in beiden Unternehmen den Job als alleiniger Geschäftsführer.

    Scheuer hatte am Wochenende überraschend angekündigt, dass er sein Bundestagsmandat vorzeitig niederlegt. Nach seiner Zeit als Verkehrsminister war Scheuer nur noch einfacher Abgeordneter der Unionsfraktion.

    Dass er bei der nächsten Bundestagswahl nicht mehr antreten wollte, war bereits seit einiger Zeit bekannt. Nun sorgt sein vorzeitiger Rückzug dafür, dass die CSU den Rest der Legislaturperiode mit einem Abgeordneten weniger bestreiten muss, da es keinen Nachrücker für Scheuer geben wird.

    Eine Holding – und eine Unternehmensberatung
    Bislang äußert sich der Ex-Politiker nicht zu seiner beruflichen Zukunft. Die Unterlagen zu den Firmengründungen geben aber immerhin einen Hinweis, was er künftig vorhat.

    Anzeige
    Während die Positanis Holding GmbH als Unternehmensgegenstand lediglich „das Halten von Unternehmensbeteiligungen im eigenen Namen, auf eigene Rechnung und nicht als Dienstleistung für Dritte“ sowie „die Verwaltung eigenen und fremden Vermögens“ angibt, soll die Tancredis GmbH laut ihrer Satzung die „Erbringung von Unternehmensberatungsleistungen und zugehörige Dienstleistungen“ als Zweck haben.

    Scheuer dürfte seine Zukunft demnach in der Unternehmensberatung sehen. Schon vor einigen Monaten hatte das Logistikunternehmen Mosolf, das auf den Transport für die Autoindustrie spezialisiert ist, bekannt gegeben, dass Scheuer künftig dem „Fachbeirat“ des Unternehmens angehören soll.

    Mit seiner langjährigen Erfahrung als Bundesverkehrsminister und Präsident des Vereins Asienbrücke e. V. wird er einen wertvollen Beitrag zur Weiterentwicklung unseres Unternehmens leisten“, schrieb die Firma damals im sozialen Netzwerk LinkedIn.

    Anzeige
    Die Reaktion fiel durchwachsen aus. „Na, dann lasst ihn besser nicht in die Vertragsabteilung......“, kommentierte ein Nutzer. Scheuer hatte als Verkehrsminister zu verantworten, dass der Bund wegen des misslungenen Versuchs eine Pkw-Maut nur für ausländische Fahrzeuge einzuführen mehr als 240 Millionen Euro Schadenersatz an die Betreiberfirmen zahlen musste.

    Scheuer hatte damals den Vertrag mit den Betreibern unterschrieben, obwohl eine Gerichtsentscheidung noch ausstand, ob eine solche Maut mit europäischem Recht zu vereinbaren ist. Scheuer hofft nun offenbar, dass seine Beratungsleistungen und Kontakte trotz dieser Vergangenheit gefragt sein werden. Eine Anfrage zu den Firmengründungen und möglichen Mandaten für die Tancredis GmbH ließ Scheuer am Dienstagnachmittag zunächst unbeantwortet.

    Aus dem Maut-Debakel etwas gelernt
    Immerhin scheint Scheuer aus den Erfahrungen des Maut-Debakels persönlich gelernt zu haben: Bei beiden Gesellschaften regelt Paragraf 6 der Satzung die Haftung des Geschäftsführers – also die von Andreas Scheuer.

    Demnach ist eine Haftung gegenüber den Gesellschaftern bei einfacher Fahrlässigkeit „generell ausgeschlossen“, bei mittlerer Fahrlässigkeit kann eine Dreiviertel-Mehrheit der Gesellschafterversammlung beschließen, dass er nicht haftet, bei grober Fahrlässigkeit muss dieser Beschluss einstimmig sein. Scheuer selbst darf nicht mitstimmen – er wäre also allein in den Händen seiner Ehefrau.

    Der Name der Beratungsfirma dürfte übrigens an eine Oper von Gioachino Rossini angelehnt sein, dessen „Tancredi“ wurde 1813 uraufgeführt. Es ist eine Tragödie um zwei verfeindete Familien, im Zentrum steht ein großes Missverständnis.

    Analogien zur Causa Scheuer sind natürlich höchstens zufällig. Wie die Geschichte ausgeht, ist offen: Es gibt eine Version der Oper, in der der Held am Ende triumphiert, in einer anderen Fassung ereilt ihn der Heldentod.

    Vor Rückzug aus Bundestag, Ex-Verkehrsminister Scheuer hat Beratungsfirma gegründet
    https://www.n-tv.de/wirtschaft/Ex-Verkehrsminister-Scheuer-hat-Beratungsfirma-gegruendet-article24846855.html

    3.4.2024 - Seine neue Karriere hat der Ex-Verkehrsminister und nun auch Ex-Bundestagsabgeordnete Scheuer bereits begonnen. Noch während seiner Abgeordnetenzeit gründete er gleich zwei Firmen. Einen weiteren Job hatte er schon im vergangenen Herbst angenommen.

    Andreas Scheuer, Ex-CSU-Verkehrsminister, dessen Name für viele vor allem mit dem Maut-Debakel verknüpft ist, hatte seinen Rückzug aus der Politik zum Ende der Legislaturperiode schon vor Monaten angekündigt. Am Ostermontag gab er dann sein Bundestagsmandat plötzlich mit sofortiger Wirkung zurück. Selbst Parteifreunde waren offenbar von diesem Rückzug überrascht. Scheuer selbst hat diesen Schritt allerdings sorgsam vorbereitet. Der nächste Abschnitt seiner Berufslaufbahn hat bereits vor Wochen begonnen.

    So hat Scheuer am 12. Februar dieses Jahres zwei neue Unternehmen gegründet. Das geht aus Handelsregistereinträgen hervor, aus denen der „Business Insider“ zitiert. Demzufolge hat Scheuer gemeinsam mit seiner Ehefrau, einer ehemaligen Mitarbeiterin in Scheuers Ministerium und später im Kanzleramt, die heute als Europa-Direktorin für Meta arbeitet, eine Firma namens Positanis Holding GmbH gegründet. Gegenstand des Unternehmens ist laut Handelsregister: „Halten von Unternehmensbeteiligungen im eigenen Namen, auf eigene Rechnung und nicht als Dienstleistung für Dritte.“ Sowie: „Verwaltung eigenen und fremden Vermögens.“

    Ein Unternehmen dieser Holding ist die ebenfalls von Scheuer gegründete Tancredis GmbH, deren Gegenstand „Erbringung von Unternehmensberatungsleistungen und zugehöriger Dienstleistungen“ ist. Geschäftsführer beider Firmen ist Scheuer. Losgelegt mit seiner Beraterkarriere hat er allerdings schon vor Gründung seiner neuen Unternehmen.

    Logistikgruppe schätzt Scheuers „Verkehrs-Expertise“
    Bereits im vergangenen Herbst verkündete die Mosolf Group, ein Logistikunternehmen aus der Region Stuttgart, den ehemaligen Bundesminister für seinen Fachbeirat gewonnen zu haben. Für das Verkehrswesen, also die Branche, für die er als Minister mehr als dreieinhalb Jahre zuständig war, bringe Scheuer „ausführliche Expertise und politisches sowie zivilgesellschaftliches Verständnis für die Herausforderungen und Chancen“ mit, heißt es in der Pressemitteilung dazu. Zudem erwähnt das Unternehmen neben Scheuers politischen Ämtern dessen Funktion als Präsident des Wirtschaftsverbands Asienbrücke. Besonders „in Entwicklung und Erschließung des asiatisch-pazifischen Marktes“ erhofft sich Mosolf laut der Pressemitteilung Hilfe Scheuers.

    Ob Scheuers neue Firma Tancredis bei ihrer Beratungstätigkeit einen ähnlichen Fokus auf das Verkehrswesen haben wird, ist unbekannt. Anfragen zu seiner beruflichen Zukunft des „Business Insiders“ ließ der Ex-Minister unbeantwortet.

    #Deutschland #Politik #Uber #Korruption