• France : #Gravelines : #EDF déverse des #déchets (trop) radioactifs en mer

    Quand l’industriel prend la nature pour une décharge

    Début décembre 2023, la centrale de Gravelines (Hauts-de-France) a déversé dans la mer les déchets liquides radioactifs qu’elle produit. Les alarmes ont retenti au bout de quelques secondes, alertant sur leur niveau de radioactivité et de dangerosité.

    La bonne nouvelle c’est que les alarmes fonctionnent. La mauvaise c’est que EDF prend la mer pour une décharge et y déverse ses déchets sans vérifier avant ce qu’il y a dedans. Il aura fallu 23 secondes pour que les alarment se déclenchent et que les rejets soient arrêtés. Durant près d’une demie minute, EDF a déversé dans la nature trop de radioactivité, plus que ce qui lui est autorisé.

    Les réacteurs nucléaires produisent lors de leur fonctionnement toutes sortes de déchets et de résidus, chimiques et/ou radioactifs, de différents niveau de dangerosité. Certains sont liquides, d’autres gazeux, d’autres solides. Seuls les déchets solides sont envoyés vers des filières extérieures, les substances liquides et gazeuses finissent dans la nature, après avoir été plus ou moins traitées. C’est que EDF, comme toutes les industries, a obtenu des autorités un droit à polluer : il a des autorisations de rejets. Mais il ne peut pas déverser n’importe quoi n’importe quand n’importe où dans la nature, il y a des conditions précises et des limites fixées pour les rejets de chaque substance.

    C’est justement ces autorisations que EDF n’a pas respectées. Il a lancé le déversement du contenu d’un réservoir de déchets liquides produits en zone nucléaire dans la nuit du 2 au 3 décembre 2023, sans en vérifier au préalable la teneur. Au bout de 23 secondes les alarmes signalant trop radioactivité se sont déclenchées, et les rejets en mer ont été interrompus. EDF ne dit pas si tout ce qui a été déversé durant ces 23 secondes a été récupéré ou pas. Il est probable qu’une partie du contenu du réservoir radioactif ait atteint la mer avant que EDF ne ferme les écoutilles. L’industriel ne précise pas non plus quels types de radioéléments étaient présents, ni en quelle concentration, pas plus qu’il ne dit quelle(s) limite(s) a été dépassée.
    Une chose est sûre : ces limites existent pour limiter la dangerosité de ces rejets. Selon leur niveau de concentration, les substances radiochimiques peuvent être très néfastes, pour l’homme et pour les écosystèmes. EDF a prévenu les autorités quelques jours après l’incident. Le public lui, ne sera averti que 3 semaines après, par un bref communiqué qui n’explique rien.

    Pourquoi les équipes de conduite ont autorisé ce rejet radioactif alors qu’il ne respectait pas les limites ? Problème de place et d’espace de stockage de ces déchets liquides produits en permanence sur le site nucléaire ? « Oubli » d’une étape dans la procédure ? Quoiqu’il en soit, l’incident montre bien que pour EDF, respecter ses autorisations de rejet et penser avant tout à préserver l’environnement n’est pas la priorité. Sa priorité semble plutôt d’aller vite, et de continuer à produire. Quitte à mal faire et à faire mal. Sachant que le site nucléaire comporte déjà 6 réacteurs et que EDF voudrait en construire deux autres, les accidents relevant d’une mauvaise gestion - déjà très fréquents (voir le bandeau à droite de cet article) - ne risquent pas de s’arrêter.

    Ce que dit EDF :

    Les évènements significatifs déclarés à l’Autorité de sûreté nucléaire en décembre 2023

    Publié le 21/12/2023

    Le 2 décembre en fin d’après midi, un réservoir d’effluents liquides dilués (KER) de l’ilôt nucléaire est mis à la disposition du service Conduite afin d’effectuer un rejet réglementé dans l’environnement naturel. Dans la nuit du 2 ou 3 décembre, l’opération est engagée, contrôlée par les chaines de mesure de radioprotection (KRT) qui assurent notamment la surveillance et le respect des seuils de rejet fixé par les décrets.

    Au bout de 23 secondes, ces chaines déclenchent et stoppent automatiquement le rejet, en raison d’un dépassement du seuil d’alarme. Cet écart n’a pas eu de conséquence sur l’environnement et a été déclaré à l’Autorité de sûreté nucléaire le 6 décembre 2023 en événement relevant du domaine Environnement.

    https://www.edf.fr/la-centrale-nucleaire-de-gravelines/les-actualites-de-la-centrale-nucleaire-de-gravelines/les-evenements-significatifs-declares-a-lautorite-de-surete-nucleaire-en-decembr

    https://www.sortirdunucleaire.org/France-Gravelines-EDF-deverse-des-dechets-trop-radioactifs-en-mer
    #radioactivité #déchets_nucléaires #résidus #pollution #centrale_nucléaire #incident

  • Sulla differenziata dei rifiuti tessili l’Italia è ancora all’anno zero

    Dal primo gennaio 2022 è entrato in vigore l’obbligo di raccolta separata per i vecchi vestiti che vengono gettati. A oggi sono poche le esperienze sui territori: manca una regia a livello nazionale che permetta alla filiera di strutturarsi

    Nonostante l’attenzione maniacale degli abitanti di Capannori (LU) per ridurre la produzione di rifiuti e per differenziare il più possibile le singole frazioni, una quota significativa di vecchie magliette, jeans e giacche dismessi perché troppo stretti o fuori moda continuava a sfuggire alla raccolta. “Già da tempo avevamo i cassonetti dedicati, ma da un’analisi sui materiali presenti nei sacchi ‘grigi’ è emerso che i tessili rappresentavano ancora il 15% della frazione indifferenziata”, spiega ad Altreconomia l’assessore comunale all’Ambiente, Giordano Del Chiaro-. Così abbiamo deciso di togliere i cassonetti e a luglio 2022 abbiamo avviato la raccolta porta a porta”.

    Ai cittadini viene consegnato un apposito sacco trasparente -che viene ritirato ogni due mesi- dove possono mettere indumenti, scarpe, borse, coperte, cuscini, lenzuola e tovaglie senza preoccuparsi delle loro condizioni: è possibile, infatti, conferire anche capi danneggiati o usurati. “La sperimentazione è andata bene, anche per merito dei cittadini di Capannori che sono molto sensibili a questi temi -sottolinea l’assessore-. Nel 2023 il porta a porta è diventato strutturale per questa frazione e si inserisce all’interno di un progetto più ampio: attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) abbiamo ottenuto un finanziamento da cinque milioni di euro per l’attivazione di centro di selezione con una capacità di trattamento di 6.500 tonnellate l’anno”.

    Qui si svolgeranno le attività di selezione dei capi, separando quelli rovinati da quelli in buone condizioni, i maglioni di lana dai jeans, i vestiti invernali da quelli estivi e così via con l’obiettivo di incanalarli separatamente lungo la filiera più corretta: il riutilizzo (ad esempio la commercializzazione sul mercato second hand), il riciclo (il recupero della fibra per produrre nuovi capi o l’utilizzo del materiale tessile di scarto per realizzare imbottiture) o, in quota residua, per tutto quello che non è possibile utilizzare altrimenti, lo smaltimento.

    Quella di Capannori è una delle poche novità che si sono registrate nel settore da quando, il primo gennaio 2022, è entrato in vigore l’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili in base a quanto previsto dal decreto legislativo 116/2020 con cui l’Italia ha anticipato di tre anni l’attuazione di uno dei decreti contenuti nel “Pacchetto di direttive sull’economia circolare” adottato dall’Unione europea nel 2018. “Non si sta facendo nulla per organizzare la raccolta differenziata a livello nazionale, che però dovrà tassativamente entrare in vigore nel 2025 in base a quanto previsto dalle normative europee -commenta Rossano Ercolini, presidente della Rete Zero Waste Europe-. Da un punto di vista operativo sono stati due anni persi, anche se alcune realtà hanno iniziato a porsi il problema e a sperimentare modelli”.

    “L’assenza di una norma di riferimento pone tutti in una situazione di attesa che non aiuta le aziende e ovviamente neanche l’ambiente” – Giancarlo Dezio

    A fronte dell’obbligo di avvio della raccolta differenziata non sono stati approvati i provvedimenti necessari a strutturare la filiera. Aziende e consorzi sono quindi ancora in fase di attesa: “Abbiamo sollecitato i ministeri interessati a redigere un testo attorno al quale potersi confrontare per rendere a tutti gli effetti operativa la gestione dei prodotti tessili -spiega ad Altreconomia Giancarlo Dezio, direttore generale di Ecotessili, consorzio nato nel 2021 per iniziativa di Federdistribuzione-. L’assenza di una norma di riferimento pone tutti in una situazione di attesa che non aiuta le aziende e ovviamente neanche l’ambiente”. Oltre a Ecotessili, in questi anni hanno preso vita anche altre realtà, tra cui Re.Crea, coordinato dalla Camera nazionale della moda, Cobat Tessile e Retex.Green, lanciato dal Sistema moda Italia (Smi) ed Erion.

    A questo si aggiunge il fatto che solo a inizio luglio 2023 la Commissione europea ha pubblicato la sua proposta per la revisione della Direttiva quadro sui rifiuti (tra cui i tessili) che comprende anche la creazione di sistemi di Responsabilità estesa del produttore (Erp) obbligatori e armonizzati tra tutti i Paesi dell’Unione: sul modello di quanto avviene, ad esempio, per i rifiuti elettrici ed elettronici, i marchi di moda e i produttori tessili saranno tenuti a pagare un contributo per ogni capo immesso sul mercato, che andrà poi a coprire i costi di raccolta, selezione, riutilizzo e riciclo. Una proposta accolta con favore dalla Federazione europea di organizzazioni ambientaliste (European environmental bureau) che invita la Commissione a fissare obiettivi ambiziosi: “L’Ue si è impegnata a fermare la fast fashion. Ora è giunto il momento di una politica veramente trasformativa, che stabilisca contributi adeguati -ha dichiarato Emily Macintosh, senior policy officer della federazione per il settore tessile-. Non possiamo regalare ai brand un lasciapassare per continuare a produrre in eccesso capi di bassa qualità progettati per una breve durata di vita e aspettarci di riciclare quantità sempre maggiori di rifiuti tessili”. I tempi per l’approvazione della direttiva però si prospettano lunghi, anche alla luce delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo del giugno 2024.

    Tra chi guarda con attenzione a quello che succede a Bruxelles ci sono anche le tante realtà del mondo della cooperazione sociale cui, da anni, molti Comuni italiani o municipalizzate affidano la raccolta di questa frazione. “Quaranta realtà che aderiscono a Confcooperative Federsolidarietà raccolgono circa 50mila tonnellate di rifiuti tessili, quasi un terzo del totale a livello nazionale. Sono presenti in 11 Regioni e attraverso questa attività creano occupazione per oltre cinquemila lavoratori, di cui 1.500 persone con disabilità o soggetti svantaggiati -spiega ad Altreconomia il presidente Stefano Granata-. Abbiamo preso consapevolezza della nostra forza e delle competenze accumulate in questi anni sui tanti territori in cui siamo presenti: abbiamo una rete capillare e diffusa, ma quello che ci manca è dare una risposta più strutturata alle fasi successive della filiera.

    Sono 50mila le tonnellate di rifiuti tessili che raccolgono le quaranta realtà aderenti a Confcooperative Federsolidarietà, circa un terzo del totale a livello nazionale. Sono presenti in 11 Regioni e attraverso questa attività creano occupazione per oltre cinquemila lavoratori, di cui 1.500 persone con disabilità o soggetti svantaggiati

    Per questo vogliamo crescere ancora, anche per creare più posti di lavoro, e nel corso del 2024 daremo vita a un’associazione per riunire tutte le nostre realtà attive nel settore”. Tra quelle che hanno iniziato a tracciare un percorso virtuoso lungo i passaggi successivi alla raccolta c’è Vestisolidale, una delle nove cooperative della rete Riuse attiva in circa 400 Comuni delle province di Milano, Varese, Monza e Brianza, Bergamo e Brescia che nel corso del 2022 ha raccolto e avviato al recupero circa 13mila tonnellate di rifiuti tessili. “A oggi il sistema è stato incentrato sulla presenza di cassonetti dedicati all’abbigliamento in buone condizioni, mentre tutto il resto spesso finiva nell’indifferenziata -spiega Matteo Lovatti, presidente di Vestisolidale-. In un anno noi mediamente raccogliamo 4,5 chili per abitante, ma le stime parlano di un immesso al consumo di 20 chili all’anno per persona. La sfida è riuscire a intercettare quella differenza”.

    Ma la raccolta non è tutto. Già da alcuni anni, infatti, Vestisolidale gestisce negozi per la vendita diretta di capi second hand e nel 2024 metterà in funzione anche uno stabilimento con sede a Rho, Comune alle porte di Milano, per la selezione e la preparazione del materiale tessile per le successive fasi di lavorazione: “L’impianto è stato autorizzato per trattare 20mila tonnellate di materiale all’anno e a regime contiamo di assumere una trentina di dipendenti”, aggiunge Lovatti. L’occhio esperto dei selezionatori permette di andare a dividere quei capi che possono essere re-immessi in commercio da quelli che invece devono essere destinati al riciclo e, più nel dettaglio, di separare le singole fibre che possono così essere trasformate in “materia prima-seconda” per la produzione di nuovi capi in cotone, lana o cachemire rigenerato.

    “Focalizzarsi sulla gestione dei rifiuti e non su come e quanto si produce significa ignorare il vero problema. La circolarità rischia di essere una scappatoia” – Dario Casalini

    “In Italia è presente una rete molto forte di realtà che hanno una grande esperienza e professionalità in merito al riutilizzo della frazione tessile -sottolinea Raffaele Guzzon, presidente del consorzio Erion, che riunisce realtà come Amazon, Artsana e Save the Duck-. Ma quello su cui vogliamo puntare è garantire la corretta gestione delle frazioni non riutilizzabili e che non possono essere re-immesse sul mercato del second hand: guardiamo ad esempio alle aziende che si stanno specializzando nel riutilizzo degli scarti tessili per produrre imbottiture o materiali fonoassorbenti”.

    Chi invece prova a fare un passo indietro e osservare la questione della gestione dei rifiuti tessili nel suo complesso è Dario Casalini, già docente di Diritto pubblico, oggi amministratore delegato del marchio di maglieria Oscalito 1936 e fondatore della rete Slow Fiber, una realtà che vuole essere un’alternativa al fenomeno dilagante del fast fashion. “Preoccuparsi solo dell’ultima fase di vita dei capi d’abbigliamento è come curare un mal di testa senza intervenire sulle cause -spiega-. Focalizzarsi sulla gestione dei rifiuti tessili e non su come e quanto si produce significa ignorare il vero problema. Tutta l’attenzione che, anche a livello europeo, si sta mettendo sulla circolarità è positiva, ma c’è il rischio che possa essere una scappatoia per consentire al sistema della moda di continuare a operare come sta facendo ora”.

    https://altreconomia.it/sulla-differenziata-dei-rifiuti-tessili-litalia-e-ancora-allanno-zero
    #déchets #déchets_textiles #recyclage #textiles #industrie_textiles #Italie #habits #sélection #tri #ré-usage #loi

  • Mine games

    Rare earths are to the 21st century what coal was to the 19th and oil to the 20th. Our everyday electronics - and Europe’s climate goals - depend on them. But China controls almost all supply chains. Can Europe free itself from this dependence?

    Your mobile has them. Your laptop as well. They are likely in the toothbrush you used this morning. E-scooters are full of them. So are electric cars.

    Rare earths and other minerals are essential for wind and solar power installations, defence, and for the gadgets that we now rely upon in our daily lives. The demand for critical raw materials is going to skyrocket in the years ahead, far beyond current supply.

    There is no “climate neutrality” ahead without them. This implies more mining than ever before. “We, eight billion of us, will use more metal than the 108 billion people who lived before us,” according to Guillaume Pitrón, author of the book Rare Metals War.

    The political headache is that Europe depends heavily on imports of these critical raw materials, primarily from China.

    China controls EU supply of critical raw materials
    The trade in rare earths and other materials is controlled by the Chinese. Russia and Chile are significant suppliers as are some European nations.

    European dependency on Russian gas was a wake-up call last year, when Russia invaded Ukraine. Now the EU urgently wants to reduce the similar dependency on Chinese supplies of rare earth elements, lithium, bismuth, magnesium and a series of other critical minerals.

    European consumers have for decades not had to be much concerned with the environmental destruction and pollution that often comes with mining. Now, governments haste to revive mining across the continent – and to fast-track processes that otherwise may take a decade or more.

    https://www.youtube.com/watch?v=qzw9-1G9Sok

    Investigate Europe reporters have unearthed what lies beneath these “green mining” ambitions. We have broken into a mountain of dilemmas, challenges and questions that come with Europe’s pressing need for minerals.

    To what extent will Europe be practically able to revive a mining industry that it has long abandoned? How can governments secure social acceptance for new mines if they are to fast-track permit processes? What kind of autonomy can come in an industry dominated by global companies?

    https://www.investigate-europe.eu/themes/investigations/critical-raw-materials-mining-europe
    #minières #mines #extractivisme #Europe #Chine #dépendance #indépendance #terres_rares #neutralité_climatique #transition_énergétique #importation #lithium #bismuth #magnésium #green_mining #industrie_minière #autonomie

    disponible en plusieurs langues, français notamment :
    https://www.investigate-europe.eu/fr/themes/investigations/critical-raw-materials-mining-europe

    • Écocides et #paradis_fiscaux : révélations sur les dérives du soutien européen à l’industrie minière

      Pour développer l’industrie des #batteries_électriques ou des éoliennes, l’Union européenne finance des entreprises minières au travers du programme #Horizon. Une partie de ces fonds soutient des sociétés impliquées dans des catastrophes environnementales, voire, pour l’une d’entre elles, domiciliée dans un paradis fiscal.

      C’est une immense tâche blanche, un entrelacs de tuyaux et de cuves, au milieu d’un écrin vert-bleu, à l’embouchure du fleuve Amazone, au #Brésil. Ici, l’usine de la société minière française #Imerys a laissé un souvenir amer aux communautés autochtones. En 2007, plusieurs dizaines de familles ont été contraintes à l’exil lorsque le leader mondial de la production de minéraux industriels a déversé 200 000 m3 de #déchets_toxiques dans les rivières alentour. #Cadmium, #baryum et autres #métaux_lourds cancérigènes se sont déposés au fond des cours d’eau dans lesquels puisent les populations, aux confins de la plus grande forêt pluviale du monde.

      De l’autre côté du globe, dans le #désert_de_Gobi, en #Mongolie, #Orano, (ex-#Areva), exploite des gisements d’#uranium. Cette fois, le géant français du combustible nucléaire est suspecté d’avoir injecté dans le sol « d’énormes quantités d’#acide_sulfurique », contaminant les #eaux_souterraines au #strontium — mortel à très haute dose — et à l’#arsenic, selon une enquête judiciaire mongole. « Moutons, chèvres, chevaux qui naissent handicapés, eau souterraine polluée, femmes qui font des fausses couches… » : l’association locale #Eviin_huch_eh_nutgiin_toloo, interrogée récemment par Reporterre, énumère les conséquences sanitaires potentiellement désastreuses de l’exploitation d’Orano.

      Plus loin au sud, près de l’équateur, l’île d’#Halmahera, en #Indonésie, fait face aux effets dévastateurs de l’exploitation récente de #nickel, à #Weda_Bay, en partie détenue par le groupe métallurgique et minier français, #Eramet. Là aussi, les terres sont détruites, et les populations autochtones déplacées. Sa filiale calédonienne, la société #Le_Nickel, est à l’origine d’une importante #pollution au #fuel constatée en avril 2023. Environ 6 000 litres de combustible se seraient échappés d’une conduite percée.

      Ces trois sociétés françaises n’ont pas pour seul point commun d’être impliquées dans des scandales environnementaux : elles bénéficient des largesses du programme européen Horizon. D’après notre enquête, la société française Eramet a touché 1,9 million d’euros, entre 2019 et 2022. Quant à Orano et Imerys, elles ont reçu respectivement 2,3 millions d’euros et 312 637 euros du programme européen. Parmi les prérequis indispensables à l’obtention de ces #subventions, figurait celui de « ne pas nuire à l’un des six objectifs environnementaux » présent au cœur du “#green_deal” européen, le #pacte_vert, en français. À commencer par la prévention contre les #risques_de_pollution ou la protection des écosystèmes. Sollicitée, la Commission européenne se contente de déclarer qu’elle accorde « une attention approfondie » aux enjeux environnementaux.

      Quinze sociétés impliquées dans des crimes environnementaux

      Doté d’un budget de 95 milliards d’euros sur sept ans (2021-2027), le programme européen Horizon, initié en 2014, et financé en grande partie sur fonds publics, a pour mission de soutenir la #recherche et l’innovation au sein de l’Union européenne. Avec l’émergence des besoins en batteries électriques, en #éoliennes et autres industries liées au secteur de la #transition_énergétique, ce soutien se dirige en grande partie vers le secteur minier, d’après notre analyse des données mises en ligne par l’UE. Avec une nette accélération ces dernières années : sur les 667 millions d’euros réservés à ce type de projets, entre 2014 et 2023, près de la moitié ont été attribués à partir de 2020.

      Projets financés par le programme de l’UE Horizon, en lien avec la loi sur les #matières_premières_critiques

      Depuis 2014, Horizon a financé 95 projets de ce type. Ceux-ci ont reçu 667 millions d’euros distribués entre 1 043 organisations. Les 67 présentés dans le graphique ont reçu plus de 2 millions d’euros.

      En plus des trois entreprises françaises ayant bénéficié du fonds Horizon malgré leur lien avec des pollutions environnementales, Disclose et Investigate Europe ont identifié douze autres sociétés problématiques. À chaque fois, celles-ci ont été impliquées dans des catastrophes environnementales. Leurs liens avec lesdites catastrophes sont accessibles en quelques clics sur Internet.

      Un exemple : l’entreprise minière suédoise #Boliden. Elle a perçu près de 2,7 millions d’euros dans le cadre de huit appels à projets Horizon. La dernière fois, c’était en novembre 2019. Or, cette société spécialisée dans la production de #zinc et de #cuivre a un lourd passif en matière de dégradation des écosystèmes. En 1998, près de Séville, en Espagne, le barrage d’un bassin de décantation d’une mine de #pyrite lui appartenant s’est rompu, déversant des eaux polluées sur plus de 40 km de terres agricoles. Dans les années 1980, Boliden a également été épinglé pour avoir exporté des milliers de tonnes de #déchets_miniers depuis la Suède vers #Arica, au nord du #Chili. Les #boues_toxiques d’arsenic liées au stockage sont pointées par des locaux pour être vraisemblablement à l’origine de #cancers et #maladies chez des milliers de résidents, lui valant d’être un cas d’étude dans un document du Parlement européen.

      Défaillances en chaîne

      Les données analysées réservent d’autres surprises. Alors que l’Union européenne ne cesse de défendre la nécessité de réduire sa dépendance vis-à-vis de la Chine et de la Russie, surtout depuis la pandémie et le conflit russo-ukrainien, le #programme_Horizon semble souffrir de quelques défaillances. Et pour cause, selon l’examen détaillé des entreprises bénéficiaires, il est arrivé à au moins trois reprises que les fonds versés par l’UE terminent soit sur le compte en banque d’un acteur étatique chinois, soit sur celui d’oligarques russes.

      Dans le premier cas, il s’agit du dossier déposé par la #Soil_Machine_Dynamics, une entreprise britannique leader dans le domaine de la robotique sous-marine. Celle-ci a reçu 3,53 millions d’euros du budget d’Horizon pour un projet baptisé #Vamos. Il visait à développer une technique permettant d’extraire des minéraux à des profondeurs jusque-là inaccessibles. Le projet a démarré le 1er février 2015. Mais, cinq jours plus tard, le fonds d’investissement privé Inflexion a cédé l’entreprise à #Zhuzhou_CSR_Times_Electric, dont l’actionnaire majoritaire est l’État chinois. Le projet Vamos, passé sous pavillon chinois, est resté actif jusqu’au 31 janvier 2019.

      Le second cas fait référence à la société #Aughinish_Alumina. L’entreprise basée en Irlande raffine la #bauxite, la roche dont est extraite l’#alumine utilisée pour produire l’#aluminium. En 2018, elle a reçu 563 500 euros en provenance de l’Union européenne pour sa participation à un projet visant à étudier la réutilisation des résidus de bauxite. Or, cette entreprise minière appartient depuis 2007 à #Rusal, un groupe russe qui domine le secteur et dont l’un des principaux actionnaires n’est autre qu’#Oleg_Deripaska. Réputé proche de Vladimir Poutine, ce dernier figure sur la liste des oligarques russes sanctionnés par le Royaume-Uni et les États-Unis… et l’Europe.

      Des fonds publics européens atterrissent dans un paradis fiscal

      Un autre cas intrigue, celui de la société #Lancaster_Exploration_Limited, spécialisée dans l’exploration de terres rares. L’entreprise a participé à un projet Horizon qui promettait de développer de nouveaux « modèles d’exploration pour les provinces alcalines et de carbonatite » destinés à l’industrie européenne de haute technologie. Pour ce projet, elle a perçu plus de 168 000 euros de la part de l’Europe, alors que son siège social est situé dans les #îles_Vierges britanniques, paradis fiscal notoirement connu. Interrogé sur ce cas précis, un porte-parole de la Commission européenne explique que l’institution peut mettre fin à un contrat la liant avec une société qui se serait rendue coupable d’infractions avec ses « obligations fiscales » ou qui aurait été « créé sous une juridiction différente, avec l’intention de contourner les obligations fiscales, sociales ou autres obligations légales dans le pays d’origine. »

      Reste à savoir si l’Union européenne prendra des mesures contre des sociétés ne respectant manifestement pas leurs obligations. D’autant plus que l’acquisition d’une souveraineté dans le secteur des #matières_premières critiques et des terres rares est l’une des priorités affichées par l’exécutif européen. La Commission a d’ailleurs présenté, en mars dernier, le #Critical_Raw_Materials_Act, consistant à relancer l’activité minière sur le continent. Grâce, notamment, aux centaines de millions d’euros que le programme Horizon destine aux professionnels du secteur.

      https://www.investigate-europe.eu/fr/posts/eu-horizon-scheme-millions-funding-mining-companies-environmental
      #paradis_fiscal #fisc #évasion_fiscale #écocide

  • Dans les #lagons polynésiens, les #déchets invisibles du temps du nucléaire

    En trente ans de présence sur le territoire polynésien puis à la suite de son démantèlement, le #Centre_d’expérimentation_du_Pacifique a produit de très nombreux déchets. Si certains ont été enterrés, d’autres ont été jetés dans le lagon. Les #risques que représentent ces déchets contaminés restent difficile à établir.

    Combien de tonnes de déchets gisent au fond des lagons polynésiens ? Difficile à dire. Il existe bien des #chiffres de l’Agence nationale pour la gestion des déchets radioactifs (Andra) : « 3 200 tonnes de déchets radioactifs ont ainsi été immergées dans les eaux territoriales françaises en Polynésie. » Mais prennent-ils réellement en compte l’ensemble des déchets jetés dans l’océan à l’époque des #essais_nucléaires ? Rien n’est moins sûr. Une partie de ces déchets n’ont sans doute pas été comptabilisés car ils n’ont simplement pas été inventoriés.

    Entre 1966 et 1996, 193 essais nucléaires ont été menés en #Polynésie, sur les #atolls de #Moruroa et #Fangataufa, dans l’#archipel_des_Tuamotu. Ces tirs aériens dans un premier temps, puis souterrains à partir de 1975, ont généré une très grande quantité de déchets plus ou moins radioactifs, c’est-à-dire qui ont la particularité d’émettre des rayonnements pouvant présenter un risque pour l’homme et l’environnement. Ces déchets sont très hétérogènes, ce sont à la fois les avions qui récupéraient les #poussières_radioactives dans les nuages, des moteurs d’engins, des matières plastiques, des tenues et des chaussures, des déchets inertes (gravats, terre…).

    Jeter dans le #lagon : une solution rapide et peu coûteuse

    L’immersion des déchets, soit le dépôt sur les #fonds_marins, est, à l’époque, une pratique commune. On parle « d’#océanisation » des déchets. En Polynésie, ces derniers sont ainsi stockés sur plusieurs sites entre les atolls d’#Hao et Moruroa, à partir de 1967. Une fosse de 2 500 mètres de profondeur est d’abord creusée à 8 km de Hao. Selon les chiffres de l’Andra, 310 tonnes de déchets radioactifs conditionnés en fûts de béton et 222 tonnes de #déchets_radioactifs en vrac ont été immergées sur le site nommé #Hôtel. Deux sites (#November et #Oscar) sont utilisés à Moruroa, pour procéder à des immersions de plusieurs tonnes déchets à partir d’hélicoptères et de bateaux.

    Mais pourquoi avoir pollué les eaux polynésiennes ? Selon l’Andra, « l’#évacuation en mer a été un moyen de gestion de tout type de déchets. Les déchets radioactifs n’ont pas fait exception à cette règle. Cette solution était considérée à l’époque comme sûre par la communauté scientifique car la dilution et la durée présumée d’isolement apportées par le milieu marin étaient suffisantes ».

    En l’absence de filière de gestion, l’océanisation apparaît comme la seule solution. L’éloignement des sites explique aussi ce choix, selon Jean-Marie Collin, directeur de la Campagne ICAN en France (Campagne Internationale pour Abolir les Armes Nucléaires) : « Ramener les déchets jusque dans l’Hexagone était une solution plus coûteuse et plus complexe. Creuser un trou dans le désert en Algérie ou jeter par-dessus bord en Polynésie étaient une alternative bien plus simple », regrette-t-il.

    Dans le livre Des bombes en Polynésie, l’historien Renaud Meltz détaille la pratique : « Les militaires tiennent l’inventaire à la Prévert, mois après mois, des quelques tonnes de petits matériels (900 paires de gants, 272 kg ; 883 combinaisons, 618 kg, 200 paires de pataugas 200 kg, etc.) et des milliers de tonnes de gros matériel sont livrés à l’océan. »

    En 1972, la Convention de Londres sur la prévention de la pollution des mers interdit l’immersion de déchets fortement radioactifs. Elle entre en vigueur en août 1975. Mais les Français font fie des réglementations internationales. Alors que l’immersion au large des côtes métropolitaines s’arrête en 1969, elle continue en Polynésie jusqu’en 1986.

    Des conditionnements sommaires

    Mais si ces déchets posent problème c’est aussi parce que leur #conditionnement a souvent été négligé. Pourtant, une procédure impose que « tous les déchets radioactifs doivent être déposés dans des sacs en vinyles soudés ou fermés hermétiquement par bandes adhésives. Ces sacs sont ensuite placés dans des fûts ou autres récipients lestés (ciment ferrailles). »

    En théorie, les déchets doivent donc être conditionnés selon leur #radioactivité. Dans les faits, tous ne le sont pas. « Seuls ceux dont la taille permet d’être entreposé dans des fûts profitent d’un conditionnement, les autres restent en vrac. Aussi, une partie des résidus, produits au fond des puits ou les bombes détonnaient n’ont jamais été remontés », écrit le chercheur spécialiste du nucléaire Teva Meyer dans l’ouvrage Des bombes en Polynésie.

    En 1970, huit fûts provenant des laboratoires de Mahina sont immergés sans conditionnement, après avoir été percés pour éviter l’éclatement. À partir de mars 1975, cinq avions Vautour utilisées pour traverser les nuages des explosions pour récupérer les poussières radioactives, sont coulés.

    En 1982, le rapport de la #mission_Haroun_Tazieff pointe les problèmes liés aux déchets dans le lagon, entraînés par la tempête en mars 1981. En 1988, la #mission_Calypso, dirigé par le commandant Cousteau, indique que Moruroa n’est pas un bon site de #stockage de déchets radioactifs. Ils considèrent qu’« il n’y a aucune raison de croire que si certains critères de confinement semblent nécessaires au stockage des déchets des centrales nucléaires civiles, ils ne soient plus nécessaires pour stocker les déchets des essais nucléaires militaires. » Trop tard, les immersions ont été faites, trop souvent sans protection.

    Quels #risques pour la population ?

    Aujourd’hui, les déchets datant de l’époque du nucléaire n’ont pas disparu des eaux polynésiennes. Représentent-ils un risque pour les populations ? Selon l’Andra, ces 3 200 tonnes de déchets radioactifs immergés représentent une activité totale inférieure à 0,1 TBq (térabecquerel).

    Le département de suivi des centres d’expérimentations nucléaires (DSCEN) en lien avec le Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives (CEA) effectue une surveillance radiologique de Moruroa et Fangataufa depuis 1998. « Les #radionucléides d’origine artificielle mesurés dans les échantillons sont présents à des niveaux très faibles et souvent inférieurs ou voisins de la limite de détection des appareils de mesure de la radioactivité. Les concentrations mesurées dans le milieu terrestre et les sédiments marins gardent la trace des essais atmosphériques effectués sur les atolls de Moruroa et Fangataufa. Les niveaux d’activité dans ces compartiments restent stables, voire en légère diminution », note le rapport de 2021 du Ministère des Armées.

    « Mais qu’est-ce qu’un faible taux ? », s’interroge Patrice Bouveret, directeur de l’Observatoire des armements. « Un taux est acceptable lorsqu’il est socialement accepté par la population ? Toute radioactivité a un impact sanitaire sur l’humain, le végétal, l’animal, sur la vie en général ».

    Selon Patrick Bouisset, directeur du laboratoire d’étude et de suivi de l’environnement à l’IRSN (Institut de radioprotection de sûreté nucléaire), les déchets immergés ne représentent pas de risque particulier puisque la radioactivité s’est « diluée dans l’océan ». Quant aux déchets contenus dans des fûts, même « s’ils vont fuir avec le temps car rien n’est hermétique à l’échelle de quelques siècles », ces pollutions ne seront « pas visibles » considère ce physicien, chargé d’évaluer l’exposition radiologique en Polynésie hors des sites de Moruroa et Fangataufa.

    L’#imperméabilité des conditionnements inquiète aussi Bruno Chareyron, ingénieur et directeur du laboratoire de la CRIIRAD (Commission de recherche et d’information indépendantes sur la radioactivité) : « Il est difficile d’anticiper les conséquences de l’immersion des déchets. Ce qui est certain, c’est qu’on aurait dû les conditionner sur des sites capables de garantir le confinement pendant des dizaines et des milliers d’années. Balancer des déchets en mer, sans emballage particulier, comme pour les avions Vautour, ou même en considérant une enveloppe en vinyle, c’est dérisoire pour des éléments à très longue période physique. »

    Une étude indépendante pour confirmer l’absence de danger

    « Le problème c’est qu’on ne connaît pas la quantité exacte de déchets immergés », pointe Jean-Marie Collin qui regrette que les études concernant la radioactivité soient menées par « des instituts qui appartiennent à l’État ». « D’après les études réalisées, il semblerait qu’il n’y a pas de danger concernant ces déchets immergés. Je suppose donc qu’il n’y a pas de danger. Mais il serait intéressant que des études indépendantes soient menées pour corroborer les études existantes et ainsi assurer la sécurité et rétablir la confiance des Polynésiens ».

    Les impacts sanitaires et environnementaux découlant des déchets immergés sont ainsi difficiles à établir. Reste que, Moruroa et Fangataufa demeurent des atolls contaminés, où le plutonium subsiste dans les sols comme en surface. Hao, longtemps considéré comme« la poubelle du CEP » subit aussi d’importantes pollutions aux hydrocarbures.

    Durant plus de trente ans, si une partie des déchets ont été océaniser, les autres ont été enterrés ou abandonnés. Radioactifs ou pas, ces déchets portent « la charge symbolique des essais », estime Teva Meyer. « Ils demeurent souillés, voire ‘nucléaires’ pour certains, qui demandent qu’ils soient traités comme tels ».

    https://outremers360.com/bassin-pacifique-appli/dossier-dans-les-lagons-polynesiens-les-dechets-invisibles-du-temps-du
    #pollution #santé #contamination #France

  • Why plastic ? - Le #mensonge du #recyclage

    Qu’advient-il réellement de nos déchets plastiques une fois que nous les avons mis dans le bac de recyclage ?
    Alors que la crise de la pollution plastique est devenue un scandale international, les plus grandes marques de biens de consommation de la planète ont déclaré avoir une solution : le recyclage. Mais nos emballages plastiques ont toujours plus de chances de finir brûlés ou jetés que recyclés.

    https://pages.rts.ch/docs/doc/12884036-why-plastic-le-mensonge-du-recyclage.html
    #film #documentaire #film_documentaire
    #Bulgarie #incinération #emballage #décharges_sauvages #déchets_plastique #Grüne_Punkte #économie_circulaire #tri #décyclage #électricité #valorisation_thermique_des_déchets #Chine #marché_noir #Turquie #crime_organisé #corruption #combustible #Terracycle #Tom_Szaky #éco-blanchissement #industrie_pétrochimique #Alliance_to_end_plastic_waste

  • #Nucléaire en #Polynésie : en quête de vérité

    Sous la présidence du général de Gaulle, la France se dote de la force de dissuasion nucléaire convoitée depuis le début de la Ve République. À quel prix ?
    Les 193 essais nucléaires réalisés de 1966 à 1996 en Polynésie, dans les atolls de Fangataufa et Mururoa, ont bouleversé l’existence des Polynésiens, contaminant certains par les retombées toxiques, dégradant des écosystèmes fragiles dans lesquels des déchets radioactifs ont été hâtivement jetés à la mer. Au long de cette gigantesque entreprise qui a mobilisé une centaine de milliers d’hommes et des milliards de francs, le mode de vie des habitants s’est trouvé transformé, des Marquises à Bora-Bora.
    Depuis les hésitations des décideurs politiques métropolitains sur le choix du lieu jusqu’aux conséquences sanitaires, environnementales et socio-économiques, ce film lève le voile sur une période de l’histoire polynésienne et postcoloniale française longtemps demeurée sous le signe du secret.

    https://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/67435_0
    #film #documentaire #film_documentaire
    #France #Polynésie_française #De_Gaulle #essais_nucléaires #dissuasion_nucléaire #Pacifique #DOM-TOM #surveillance #Centre_d'expérimentation_du_Pacifique (#CEP) #Tahiti #Moruroa #Fangataufa #Hao #tourisme #modernisation #Commissariat_de_l'énergie_atomique (#CEA) #bombe_atomique #Archipel_des_Gambier #contamination #Général_Thiry #comité_d'indemnisation_des_victimes_des_essais_militaires (#CIVEM) #santé #déchets_nucléaires #indemnisation

  • Inégalités : faut-il manger les riches ?
    https://www.socialter.fr/article/inegalite-manger-les-riches

    En réalité, peu importe que l’on choisisse de s’attarder sur le dernier décile ou le dernier centile des ultra-riches : une telle approche échoue toujours à rendre compte du caractère dynamique de l’accumulation de richesses, et de la tendance en apparence inévitable du capital « à s’accumuler et à se concentrer dans des proportions infinies, sans limite naturelle », ainsi que l’avait identifiée l’économiste Thomas Piketty. Cette course folle ne se rend d’ailleurs visible que par intermittences, grâce aux quelques images qui nous parviennent du monde des riches – super­yachts, jets privés, virées dans l’espace et autres villas de luxe. Attributs grotesques d’une poignée d’individus qui truste une large part des richesses mondiales mais, aussi, attributs utiles pour donner un visage aux nuisances subies. Et rappeler que la lutte des classes n’a jamais cessé. « Il y a une guerre des classes, c’est un fait, concédait le multimilliardaire américain Warren Buffet. Mais c’est ma classe, la classe des riches, qui mène cette guerre et qui est en train de la gagner. »

    Un élan d’honnêteté assez inhabituel – l’ultra-­richesse se montre, en réalité, bien plus retorse. Pour invisibiliser, voire naturaliser l’origine de ses privilèges, elle émet au quotidien de multiples écrans de fumée. Le discours méritocratique est souvent mis à contribution en ce sens. Le riche mériterait ce qu’il a car sa « réussite » est avant tout le résultat conjoint de ses efforts et de son talent. Dans ce monde où la lutte des classes est escamotée au profit de la lutte des places, nous serions tous « entrepreneurs de nous-mêmes ». Si bien que la biographie de l’ultra-riche, vainqueur ultime de cette compétition de tous contre tous, devient une « saga » qui aura peut-être droit à sa série sur Netflix : à la barbe des autres challengers, il a su triompher des obstacles pour réaliser ses rêves – l’iPhone, le parfum « Sauvage », l’oléoduc Eacop en Ouganda… On en oublierait presque que 80 % des milliardaires français sont avant tout des héritiers.

  • La dissémination de matériaux « faiblement radioactifs » issus du démantèlement autorisée par le Conseil d’État
    Conseil d’État, 6ème - 5ème chambres réunies, 27/03/2023, 463186 - Légifrance
    https://www.legifrance.gouv.fr/ceta/id/CETATEXT000047357733?init=true&page=1&query=&searchField=ALL&tab_sel

    19. Il résulte de tout ce qui précède que les requêtes de l’association Réseau « Sortir du nucléaire » doivent être rejetées dans toutes leurs conclusions.

    Le nouveau cadre réglementaire :
    https://www.red-on-line.fr/substances-faiblement-radioactives-cadre-reglementaire-relatif-aux-opera

    À noter, les produits résultant de l’opération de valorisation ne sont plus considérés comme des substances radioactives, et de ce fait n’ont plus besoin de contrôles de radioprotection (nouvel article R1333-6-2 du Code de la santé publique).

    Je rappelle au passage le tour de passe-passe opéré par le gouvernement (et analysé en détail par la Criirad) qui avait présenté son projet comme devant concerner les substances « très faiblement radioactives » le « très » ayant subrepticement disparu du texte final
    #déchets_nucléaires #dissémination #démantèlement

    • La dérogation (à l’interdiction de quitter les circuits contrôlés) s’appliquera à des déchets bien plus radioactifs qu’annoncé !
      Les débats et documents officiels de ces dernières années étaient clairs : la possibilité de recyclage ne concernerait que des déchets radioactifs dits Très Faiblement Actifs (TFA), ceux dont l’activité ne dépasse pas 100 000 Bq/kg. Certains intervenants suggéraient même qu’elle ne concernerait que la partie la moins dangereuse de la catégorie TFA, à savoir les déchets TTFA (Très Très Faiblement Actifs), et même, pour l’essentiel, des déchets non contaminés. Évidemment, si tel avait été le cas, on se demande pourquoi les autorités auraient fixé des seuils de contamination résiduelle autorisée aussi élevés.
      La décision finale prend le contre-pied de ces « garanties » : le décret 2022-174 ouvre en effet la possibilité de valorisation aux déchets dits de Faible Activité (FA), dont l’activité est typiquement comprise entre 100 000 Bq/kg et 1 milliard de Bq/Kg.
      C’est écrit en toutes lettres dans le titre même du décret qui est « relatif à la mise en œuvre d’opérations de valorisation de substances faiblement radioactives » (et non très faiblement). Rappelons que dans le domaine du nucléaire, ces termes ont un sens précis, objectif. Le plus choquant est que cette substitution a eu lieu après tous les débats, y compris après la consultation de 2021 sur le projet même de décret !
      Le projet soumis aux citoyens ne parlait en effet que d’opérations de « valorisation de substances radioactives », sans aucune précision. Ce flou avait justement attiré l’attention de la CRIIRAD qui écrivait alors « toute allusion aux déchets TFA a disparu des projets réglementaires (...) ! La fusion pourrait donc s’appliquer à des déchets bien plus radioactifs qu’annoncé.
      La suppression de la précision « très faiblement », puis l’ajout de la mention « faiblement », sont donc délibérées et en disent long sur l’honnêteté du processus de décision. Élément instructif (et malheureusement récurrent), aucun des garants et autres cautions morales qui ont accompagné les débats n’a dénoncé publiquement cette violation manifeste des règles du jeu. C’est le cas des membres de la commission particulière du débat public qui a travaillé sur le PNGMDR 1 en général, et le projet de valorisation des déchets TFA en particulier. Dans le dossier de clarification des controverses, publié sous leur responsabilité, la thématique est explicitement dénommée « Déchets de très faible activité (TFA) », avec un document de référence intitulé « TFA et seuils de libération » et qui présente la valorisation comme une alternative au stockage « des déchets TFA » (à aucun moment la
      catégorie FA n’est mentionnée). Et le débat dédié organisé à Valence est clairement présenté comme une rencontre « sur la gestion des déchets de très faible activité (TFA), issus du démantèlement des installations nucléaires. »
      Il est évident qu’avec des déchets potentiellement beaucoup plus radioactifs, les risques liés à l’insuffisance des contrôles seront considérablement accrus, tout comme les quantités totales de radioactivité susceptibles d’être injectées dans le domaine public. D’autant plus que des décisions clefs sont laissées à l’appréciation de l’exploitant de l’installation de traitement des métaux, le décret stipulant que celui-ci définit 1/ « les « spécifications d’acceptation des substances entrant dans l’installation » et 2/ « les modalités de contrôle du respect de ces spécifications. »

      1 - Plan National de Gestion des Matières et Déchets Radioactifs.

      CRIIRAD - Trait d’Union n°94 - avril 2022

      Bientôt sur le bord de votre assiette, un fourchette "faiblement radioactive" ?

  • Nucléaire : A La Hague, l’avenir en suspens du traitement des déchets - Challenges
    https://www.challenges.fr/top-news/nucleaire-a-la-hague-l-avenir-en-suspens-du-traitement-des-dechets_844449

    Nucléaire : A La Hague, l’avenir en suspens du traitement des déchets

    Par Reuters le 03.02.2023 à 08h06 Lecture 5 min.
    L’usine française de retraitement de déchets nucléaires à La Hague
    Du combustible nucléaire usé dans une piscine de stockage de l’usine de retraitement des déchets nucléaires d’Orano à La Hague, près de Cherbourg. /Photo prise le 17 janvier 2023/REUTERS/Stéphane Mahé
    STEPHANE MAHE

    par Benjamin Mallet

    LA HAGUE (Reuters) - Dans un atelier de l’usine Orano de La Hague, en Normandie, des techniciens utilisent des bras mécaniques téléguidés pour remplacer un tube indispensable au traitement des déchets nucléaires français, derrière des hublots de verre et de plomb qui leur permettent de voir à l’intérieur d’une cellule hautement radioactive.

    C’est l’une des multiples interventions nécessaires au maintien en fonctionnement de La Hague, pièce maîtresse de la gestion française des combustibles usés, aujourd’hui confrontée à son vieillissement et à un risque de saturation de ses piscines de refroidissement.

    L’avenir de la filière de traitement-recyclage fait partie des interrogations majeures du projet de construction de nouveaux réacteurs nucléaires en France. Vendredi, le sujet sera abordé lors d’un Conseil de politique nucléaire présidé par Emmanuel Macron, a indiqué l’Elysée.

    Le pays « ne peut pas avoir une politique responsable en matière de nucléaire sans s’occuper de la gestion du combustible et des déchets, c’est un sujet qu’on ne peut pas mettre sous le tapis », estime un conseiller du gouvernement interrogé par Reuters.

    « On a de vraies compétences et une vraie avance technologique, notamment sur les Etats-Unis. La Russie est le seul autre pays à pouvoir faire la même chose que la France en matière de traitement-recyclage », ajoute cette source.

    Concernant le stockage des matières non recyclables, il s’agira d’adapter le projet Cigéo de Bure (Meuse et Haute-Marne), qui ne commencera à accueillir les déchets français les plus radioactifs qu’à partir des années 2080.

    Pour investir dans le renouvellement de ses usines qui atteindront 50 ans d’exploitation au cours de la décennie 2030, voire en construire de nouvelles, Orano demande quant à lui de la visibilité sur les projets de l’Etat au-delà de 2040, date après laquelle la poursuite du traitement-recyclage français n’est pas assurée.

    ORANO VEUT PLAIDER SA CAUSE

    L’ex-Areva défend le maintien du processus, dont il souligne qu’il permet de d’économiser de l’uranium naturel et de réduire les volumes de déchets à stocker.

    Le groupe veut engager des discussions avec l’exécutif dans les mois qui viennent et obtenir des décisions dès 2025 pour programmer et lancer des grands chantiers qui pourraient, pour certains, mettre près de 15 ans à se concrétiser.

    « Orano est prêt à faire des propositions pour aider à cette prise de décisions. On travaille sur des scénarios de l’usine de La Hague post-2040. Il y a plusieurs scénarios possibles, mais ils ne peuvent être travaillés en détail et ne pourront être affinés que si on a une vision un peu stratégique », a déclaré à Reuters Jean-Christophe Varin, directeur adjoint de La Hague.

    A La Hague, en cette journée de mi-janvier, des chutes de neige renforcent l’impression d’un site isolé du reste du monde. A l’horizon, les falaises du bout de la péninsule du Cotentin plongent à plus de 100 mètres dans la Manche. Au loin, on devine la centrale EDF de Flamanville et son réacteur EPR.

    Avec ses bâtiments austères et ses salles de commande tout droit sorties d’un épisode de Star Wars, le site évoque davantage les années 1980 qu’une usine à la pointe des technologies du nucléaire.

    Sans ses quatre piscines d’entreposage, qui permettent de refroidir les combustibles usés avant de les traiter pour en extraire les matières réutilisables et les déchets, les 56 réacteurs du pays ne pourraient pourtant pas évacuer puis remplacer les assemblages d’uranium qui leur permettent de fonctionner.

    RISQUE DE SATURATION

    Dans un scénario catastrophe qui verrait un arrêt des évacuations de combustibles usés vers La Hague, les entreposages au sein des centrales seraient remplis au bout de douze mois et les réacteurs devraient donc s’arrêter, ce qui a conduit la Cour des comptes, en 2019, à qualifier le site de « point de vulnérabilité important du fonctionnement actuel du cycle ».

    Or, les piscines de La Hague risquent d’être saturées à l’horizon de 2030. EDF, qui représente plus de 95% de l’activité de recyclage d’Orano, envisage d’en construire une nouvelle pour un montant de 1,25 milliard d’euros. Mais l’installation n’est prévue que pour 2034, ce qui va nécessiter d’augmenter le nombre d’assemblages de combustibles dans les bassins existants en attendant.

    Le risque de saturation tient au fait que le « cycle » nucléaire à la française ne permet aujourd’hui qu’une seule réutilisation des combustibles issus du retraitement, à savoir le Mox - fabriqué dans l’usine Orano Melox de Marcoule (Gard) - et l’uranium de retraitement enrichi, qui implique des allers et retours de matières avec la Russie.

    Un nouveau recyclage n’est pas envisagé avant la deuxième moitié du siècle. D’ici là, ces combustibles viennent donc remplir les piscines d’Orano, qui y entrepose chaque année davantage de matières qu’il n’en prélève.

    « L’ENVELOPPE DÉPEND DE CE QUE VOUS VOULEZ FAIRE »

    « Si on devait faire du traitement de combustible Mox en grandes quantités, l’usine n’est aujourd’hui pas adaptée », souligne le directeur adjoint de La Hague.

    Jean-Christophe Varin évoque le besoin potentiel de nouveaux investissements « conséquents » sur le site mais se refuse à donner des ordres de grandeur.

    « L’enveloppe dépend de ce que vous voulez faire. Pour faire du mono-recyclage, vous pouvez partir sur des briques technologiques qui existent déjà. Pour du multi-recyclage, les briques technologiques ne sont pas les mêmes, donc les enjeux de modernisation ou même de remplacement des installations ne sont pas les mêmes. »

    A court-terme, le premier enjeu consiste à garantir le fonctionnement du site Orano de La Hague jusqu’en 2040. Pour la seule période 2015-2025, il aura nécessité près de 300 millions d’euros d’investissements par an.

    À l’heure où l’on annonce que ce jour-même sera mis à l’ordre du jour la relance de l’industrie nucléaire - confirmation d’un engagement irréversible sur le pire type de sociétés de contrainte, de contrôle, de destruction du vivant, pendant au moins plusieurs générations - on voit qu’ils sont incapables de considérer la problématique du retraitement des déchets en dehors de logiques de #marché, de #compétitivité, de #modernisation, #d’innovation technologique, de #compétences, #d'avance_technologique, de #développement_industriel etc. tous ces concepts surannés, intégrés dans un même bloc idéologique, qui nous ont conduit au désastre.

    #obligation_technologique #contrainte_industrielle #déchets_nucléaire #productivisme #industrie_nucléaire #EPR

  • Au Niger, près de 20 millions de tonnes de déchets radioactifs entreposées à l’air libre par une entreprise française
    https://www.francetvinfo.fr/monde/afrique/niger/au-niger-pres-de-20-millions-de-tonnes-de-dechets-radioactifs-entrepose

    Un paysage désertique de sable et de roches, un vent puissant qui balaye régulièrement les sols. C’est à #Arlit, dans le Sahara nigérien, que sont entreposées à l’air libre ces #boues_radioactives, les déchets de la #Cominak. « C’est à peu près 20 millions de tonnes de #déchets_radioactifs produits pendant plus de 40 ans », commente Bruno Charon, ingénieur en physique #nucléaire au laboratoire de la Criirad, association de protection de l’environnement, qui a analysé ces déchets et alerte aujourd’hui sur les #dangers pour les habitants et l’environnement.

    La filiale nigérienne d’#Orano, anciennement #Areva, a exploité durant 40 ans une mine d’#uranium, notamment pour alimenter les centraux nucléaires français. Si le site a fermé depuis près de deux ans, les déchets, eux, ne sont toujours pas confinés. « Compte tenu de la puissance des vents dans la région, les poussières radioactives, le gaz radioactif sont dispersables dans l’environnement très facilement, explique l’ingénieur. Comme ces #déchets ne sont pas confinés, la #contamination est passée dans les eaux souterraines. C’est tout à fait inacceptable. »

  • En Espagne, un vaste trafic de déchets vers l’Afrique de l’Ouest démantelé
    https://www.france24.com/fr/europe/20230103-en-espagne-un-vaste-trafic-de-d%C3%A9chets-vers-l-afrique-de-l-ou

    Les douanes et la Garde civile espagnoles ont « démantelé » une « #organisation_criminelle qui, durant les deux dernières années, avait réussi à envoyer depuis l’île (espagnole) de la Grande Canarie vers l’Afrique plus de 5 000 tonnes de #déchets_dangereux d’appareils électroniques, obtenant un bénéfice économique de plus d’un million et demi d’euros », a indiqué le ministère des Finances dans un communiqué.

    Ces déchets contiennent des substances et des gaz qui abîment la couche d’ozone et contribuent au réchauffement climatique, ajoute le communiqué. 

    Ils étaient envoyés par bateaux, « principalement » en Mauritanie, au Nigeria, au Ghana et au Sénégal.

    Les autorités ont arrêté 43 personnes « pour des délits présumés contre l’environnement, faux et usage de faux, et appartenance à une organisation criminelle ».

    Cette dernière « retirait les déchets de la filière légale » à l’aide d’une « supposée entreprise de gestion qui falsifiait des documents sur la provenance et la gestion », ont détaillé les autorités.

    Ces déchets étaient ensuite présentés comme des articles d’occasion pour être envoyés à ces pays africains.

  • La Suisse veut enfouir ses #déchets_atomiques pour des millénaires

    La Suisse produit de l’#énergie_nucléaire, et donc des #déchets_radioactifs ultratoxiques qu’il faut entreposer en sécurité pour des millénaires. Après 50 ans de recherches actives, le lieu où l’on enfouira ces déchets dangereux vient d’être déterminé. De nombreuses questions restent cependant ouvertes sur ce dépôt qui coûtera 20 milliards de francs.

    Dans la commune rurale de #Stadel, dans l’Unterland zurichois, non loin de la frontière allemande, la vie était plutôt paisible au cours des siècles derniers. Le paysage, modelé par les glaciers et bordé de collines boisées, possède un caractère agricole. Là où l’on ne cultive pas, on exploite essentiellement de riches gisements de gravier, eux aussi hérités des ères glaciaires passées.

    Aujourd’hui, Stadel se retrouve cependant au cœur d’un énorme #projet. C’est là, en effet, qu’on prévoit de construire l’accès à un gigantesque #dépôt_souterrain pour les déchets radioactifs. Voilà près de 50 ans que la #Société_coopérative_nationale_pour_l’entreposage_des_déchets_radioactifs (#Nagra : https://nagra.ch/fr/23383) recherchait un site d’#enfouissement définitif. En septembre 2022, elle a porté son choix sur Stadel et son sous-sol rocheux très stable. L’#argile à Opalinus qu’on y trouve offre la plus grande sécurité possible pour le confinement de matières radioactives, affirment les experts de la Nagra. Leur CEO, Matthias Braun, note qu’entre tous les sites examinés, Stadel est celui qui présente « les plus grandes marges de sécurité ». Ce qu’il entend par là, c’est que la #géologie parle en faveur de ce site, et non le fait que l’opposition politique y soit faible.

    Des dimensions temporelles inconcevables

    Il est prévu de creuser, à proximité de Stadel, des puits d’une profondeur allant jusqu’à 900 mètres. Ces puits formeront l’accès aux cavernes qui seront aménagées dans l’#argile_à_Opalinus pour abriter les déchets radioactifs. Pour ce projet, la Nagra s’appuie sur des dimensions temporelles inconcevables : d’après l’état actuel des connaissances, les déchets faiblement et moyennement radioactifs doivent être confinés en sécurité pendant 30 000 ans, et la Nagra prévoit environ 200 000 ans pour les déchets hautement radioactifs. Les « marges de sécurité » doivent donc permettre d’exclure, pour près d’un million d’années, que la matière radioactive remonte à la surface d’une manière ou d’une autre.

    « Fermeture du couvercle » dans environ 100 ans

    La recherche d’un site de dépôt définitif pour les déchets radioactifs produits en Suisse s’est avérée extrêmement ardue. Par endroits, des paysans furieux ont chassé les équipes de sondage de la Nagra avec leurs fourches, comme à Ollon (VD). Ailleurs, des communes et des cantons potentiellement visés ont voté contre le projet. En revanche, Stadel et le canton de Zurich n’ont guère de moyens de s’opposer au choix du site. Face aux vives résistances, les possibilités d’intervention des communes et des cantons en matière de dépôt définitif ont en effet été fortement limitées par la loi. Néanmoins, même à l’issue de cette longue recherche, nombre de points restent flous. Pour pouvoir construire son dépôt, la Nagra doit tout d’abord présenter une demande auprès de la Confédération. Cela pourrait se faire en 2024. Le choix définitif du site ne sera fait qu’une fois que les autorités fédérales auront conclu qu’un enfouissement sûr des déchets nucléaires est réellement possible à Stadel. Il est peu probable que cela arrive avant 2029. Ensuite, le peuple suisse pourrait aussi avoir à se prononcer. Ainsi, la construction du dépôt pourrait débuter, dans le meilleur des cas, en 2045. Ce n’est qu’en 2050 que les premiers conteneurs d’acier remplis de déchets radioactifs pourront donc y prendre place. Le « couvercle serait posé » en 2115, date du scellage du site.

    #Sémiotique_de_l’atome : parler à nos lointains descendants

    Jusque-là, la Nagra doit encore trouver une réponse à cette question : comment avertir les futures sociétés des dangers que recèlera le sous-sol de Stadel ? Il se peut fort bien, en effet, qu’un panneau d’avertissement conçu de nos jours ne soit plus compréhensible dans 10 000 ou 100 000 ans. Les mégalithes impressionnants érigés à Stonehenge, en Angleterre, illustrent cette difficulté : bien qu’ils n’aient que près de 4000 ans, leur raison d’être n’est plus déchiffrable. Les chercheurs travaillent par conséquent sur une « sémiotique de l’atome », une forme d’expression pour un futur lointain, sachant que dans 200 000 ans, les sociétés humaines telles qu’on les connaît aujourd’hui auront peut-être disparu, et que diverses périodes glaciaires pourraient avoir conduit les glaciers à remodeler à nouveau de fond en comble le paysage autour de Stadel.

    Une sortie du nucléaire décidée en 2011

    Comparées à toutes les protestations auxquelles fait face la Nagra, les réactions à son choix de site sont relativement tempérées. Même les fervents opposants à l’utilisation de l’énergie atomique – notamment les Verts et l’organisation Greenpeace – concèdent que la Suisse ne peut échapper à ses responsabilités et doit entreposer ses déchets radioactifs de la manière la plus sûre possible. L’une des raisons de cette attitude est le fait que le pays a d’ores et déjà arrêté sa sortie progressive du nucléaire. Peu après la catastrophe de Fukushima (2011), le Conseil fédéral a décidé d’interdire la construction de toute nouvelle centrale. Le démantèlement de celle de Mühleberg, mise en service en 1972, a d’ailleurs déjà commencé. Et les quatre réacteurs restants, ceux de Beznau I (1969), Beznau II (1972), Gösgen (1979) et Leibstadt (1984), fonctionnent encore, mais s’approchent toujours plus de la fin de leur durée d’exploitation. Dans ce contexte, nombreux sont ceux qui voient le dépôt de Stadler comme le point final à l’utilisation de l’énergie atomique en Suisse.

    https://www.youtube.com/watch?time_continue=3&v=I7VI4f59hgk&embeds_euri=https%3A%2F%2Fwww.swisscomm

    Et pourquoi pas tout de même de nouvelles centrales ?

    Toutefois, des politiciens issus des rangs du PLR et de l’UDC insistent pour un assouplissement de l’interdiction de construire de nouvelles centrales. Le site d’enfouissement définitif pèse sur ce nouveau débat : face aux coûts colossaux du projet – estimé à 20 milliards de francs – on se demande si l’électricité nucléaire, tout compte fait, est réellement bon marché. Les centrales nucléaires doivent en effet alimenter elles-mêmes le « #fonds_de_désaffection » qui financera la construction du site – et répercuter bon gré mal gré cette dépense sur le prix de l’électricité. L’argument selon lequel de nouvelles centrales pourraient réduire notre dépendance énergétique vis-à-vis de la Russie belligérante relève plutôt de la pensée à court terme, car les centrales nucléaires suisses actuelles fonctionnent en grande partie grâce à l’uranium importé de Russie.

    https://www.swisscommunity.org/fr/nouvelles-et-medias/revue-suisse/article/la-suisse-veut-enfouir-ses-dechets-atomiques-pour-des-millenaires

    Comment trouver un site pour un dépôt nucléaire ? (par la Nagra)
    https://www.youtube.com/watch?v=I7VI4f59hgk&t=3s

    #nucléaire #déchets_nucléaires #Suisse #enfouissement #radioactivité

  • #Nucléaire : une solution pour la planète ?

    Une enquête dense sur les enjeux écologiques et économiques de l’énergie nucléaire, à travers la question cruciale du démantèlement et du retraitement des déchets contaminés. 

    À l’heure où l’Allemagne, l’Italie, l’Espagne ou la Suisse ont décidé de sortir de l’énergie atomique, la France – pays le plus nucléarisé au monde, dont près de 70 % de l’électricité est produite par ses réacteurs – projette d’investir dans de nouveaux EPR. Ce choix est-il réellement compatible avec la transition écologique ? C’est ce que laisse entendre la Commission européenne, qui vient d’accorder un label « vert » au nucléaire dans le cadre de sa taxonomie, une classification des énergies selon leur durabilité. Certes, les centrales n’émettent pas de CO2, ce qui constitue un avantage incontestable face au réchauffement climatique. Mais le nucléaire implique aussi des niveaux mal maîtrisés de rejets radioactifs aux abords des centrales (tritium, carbone 14...), des quantités exponentielles de déchets dangereux dont le recyclage et le stockage restent problématiques, ou le risque jamais exclu d’accident grave, à l’image des catastrophes de Tchernobyl et de Fukushima. Alors, le nucléaire peut-il être qualifié d’énergie « verte » ?

    Débat verrouillé
    En s’intéressant aux coulisses de « l’après-Fessenheim » en France, la documentariste Ghislaine Buffard s’est lancée dans une vaste enquête. Partant à la rencontre de scientifiques, de représentants de l’industrie de l’atome et de militants écologistes, elle éclaire avec pédagogie et sans manichéisme un débat verrouillé par des intérêts politiques et économiques complexes, auquel le changement climatique donne une nouvelle perspective. Des voix de plus en plus nombreuses présentent en effet le nucléaire comme la seule alternative crédible aux énergies fossiles. Mais, en France comme ailleurs, les exemples abondent pour illustrer l’"arrogance scientifique" dont les pronucléaires font preuve, selon les termes du consultant Mycle Schneider : recyclage très parcellaire des combustibles dans l’usine de retraitement de La Hague, sûreté controversée du futur « cimetière » de déchets de Bure – dangereux pendant des centaines de milliers d’années –, pollution de la Loire par des rejets radioactifs... Si le nucléaire peut apparaître comme une solution à moyen terme, il semble impossible d’en maîtriser les retombées à une échéance (beaucoup) plus lointaine.

     
    https://www.arte.tv/fr/videos/098818-000-A/nucleaire-une-solution-pour-la-planete
    #film #documentaire #film_documentaire

    #énergie_nucléaire #changement_climatique #démantèlement #déchets_radioactifs #radioactivité #high_level_waste (#HLW) #CIRES #ANDRA #décontamination #EDF #Cyclife #santé #recyclage #ANS #grand_carénage #Framatome #IRSN #ACRO #eau_potable #Orano #Bure #Onkalo #Cigéo #voix_du_nucléaire #coût #FORASTOM #taxonomie_verte #lobby #transition_énergétique

  • Riduzione della plastica delle aziende alimentari europee: solo promesse
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Italia/Riduzione-della-plastica-delle-aziende-alimentari-europee-solo-prome

    Un’indagine realizzata da Deutsche Welle insieme al consorzio Edjnet da noi fondato rivela che due terzi delle promesse fatte dalle grandi aziende del settore alimentare di ridurre l’uso di plastica non sono state rispettate. Ma la legislazione potrebbe intervenire...

  • Les terrils, une histoire de la mine à l’air libre

    Dans le #Pas-de-Calais, à côté de la ville d’#Oignies, d’un paysage plat, à l’horizon infini, surgit une étrange excroissance : c’est un des nombreux #terrils qui parsèment la région.

    En savoir plus

    A côté de la ville de Oignies, dans un #paysage plat, à l’horizon infini, surgit une étrange excroissance de la terre, une colline massive, imposante, noire. Le regard s’habitue et on repère alors à l’horizon d’autres monticules, disséminés sans logique apparente, sans implication dans la géographie du lieu, des monticules dont la couleur noire indiquerait, de loin, qu’ils sont arides, sans végétation. Mais on s’approche et on constate alors que sur ces monticules, malgré tout, quelques plantes ont réussi à pousser...

    Ces monticules, ce sont les terrils : ils marquent le paysage et rappellent l’histoire de la région, une histoire minière, une #histoire sociale, une histoire industrielle.

    Emblèmes de cette histoire, les terrils se sont formés en écho aux mines ; ce sont les #résidus, les #déchets_miniers, qu’on laissait sur place, à côté des fosses et qui au cours des années ont fini par devenir ces immenses #collines.

    Autour d’Oignies s’étend le #bois_des_Hautois. En 1842, la forêt était le parc du château d’Henriette de Clercq et un ingénieur y trouve la première trace prometteuse de #charbon ! Rappelons que jusqu’en 1713, le charbon était extrait sur le territoire belge. On cherchait donc à en trouver en #France. On en trouve dès 1720 près de Valenciennes, mais la veine se révèlera trop faible, et c’est donc à Oignies qu’on trouvera la manne …

    Dans une des fosses creusées aux environs de la ville descend la première berline de charbon. Symboliquement, ce sera de cette même fosse que remontera la dernière berline, le 20 décembre 1990, mettant ainsi fin à des années d’exploitation minière dans la région.

    Quand on pense à la mine, on pense à la vie sous terre, aux coups de grisou, à une vie d’ombre et de souterrains, aux visages noircis des mineurs, à l’histoire sociale qui l’accompagne - pourtant c’est du haut des terrils, à l’air libre et en surplomb, qu’on embrassera peut-être le mieux, aujourd’hui, le paysage minier et son histoire.

    Les terrils forment des circuits de randonnées d’où on peut contempler tout le bassin minier … Pour quelques-uns ils deviennent même des lieux d’observation privilégiés de certaines plantes. Figurez-vous que des arbres sont nés des trognons de pommes, de poires, de fruits que les mineurs jetaient dans les wagons de charbon ! Enfouis dans les terrils, avec le temps, les pépins ont recréé un paysage végétal, un paysage du souvenir …

    Du haut des 70 mètres du terril 110, le plus proche d’Oignies, on contemplera un panorama qui ouvre sur l’intégralité du bassin minier. Il assemble en un regard les autres terrils au loin, et le 9-9 bis, centre minier emblématique à l’architecture reconnaissable, aujourd’hui reconverti en centre culturel.

    Plus au loin encore, on apercevra les silhouettes imposantes de deux autres terrils, les terrils 116 et 117. Surnommés les colosses d’Oignies ils protègent aujourd’hui la ville du bruit intempestif des axes routiers ! Des terrils non seulement intégrés au paysage, mais intégrés aussi, désormais, au quotidien des habitants.

    Et sur les flancs de ces terrils, 110, 116 ou 117, des fleurs jaunes se sont développées. Elles forment comme une constellation de points lumineux dans les masses noires, comme un éclatant rappel de l’histoire propre à la région …

    Archives diffusées : témoignages de mineurs lors de la fermeture du dernier puit à Oignies le 20 décembre 1990 et chanson chantée par des mineurs des Cévennes, avril 1980

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/l-esprit-des-lieux-la-chronique-de-l-ete/les-terrils-une-histoire-de-la-mine-6923159

    #mines #mine #France

  • Bure ou la poubelle nucléaire

    A côté du village de Bure dans la Meuse, dans une des régions les plus désertiques de France, on prévoit d’enfouir nos pires déchets nucléaires. Sur place, les opposantes et opposants au projet #Cigéo se relaient pour mener « la bataille du nucléaire ».

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-pieds-sur-terre/bure-ou-la-poubelle-nucleaire-2339007

    #Bure #déchets #déchets_nucléaires #nucléaire #podcast #audio

  • Nucléaire : le projet de centre d’enfouissement des déchets Cigéo déclaré d’utilité publique
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2022/07/08/nucleaire-le-projet-de-centre-d-enfouissement-des-dechets-cigeo-declare-d-ut

    Le dossier était déjà sur la table de son prédécesseur, mais c’est finalement Elisabeth Borne qui a acté l’intérêt général du centre d’enfouissement des déchets nucléaires Cigéo. Le décret déclarant le projet d’utilité publique, signé par la cheffe du gouvernement ainsi que par la ministre de la transition énergétique, Agnès Pannier-Runacher, et le nouveau ministre de la transition écologique, Christophe Béchu, a été publié au Journal officiel, vendredi 8 juillet. L’opposition à ce projet, mobilisée depuis plusieurs décennies, a dénoncé un « passage en force » au « mépris des interrogations et propositions » émanant de la société civile.

    Cigéo vise à enfouir, sous 500 mètres de roches argileuses, les déchets nucléaires dits « de moyenne et haute activité à vie longue », soit les plus dangereux, sur un terrain situé à cheval sur les départements de la Meuse et de la Haute-Marne.

    #nucléaire

  • Stress, peur, pression : le difficile quotidien des salariés du réacteur nucléaire Iter
    https://reporterre.net/Stress-peur-pression-le-difficile-quotidien-des-salaries-du-reacteur-nuc

    « L’Organisation #Iter a instauré une gestion par la peur », a déclaré ce lundi 28 février Michel Claessens, directeur de la communication de 2011 à 2015 et « ITER policy officer » à la Commission européenne de 2016 à 2021. « Mes collègues subissent un stress insupportable, une peur omniprésente, la peur de parler. Il y a dans ce projet de pointe une omerta scientifique. Elle conduit à des dérives inacceptables concernant le personnel et la radioprotection. » Il était entendu lors d’une réunion exceptionnelle consacrée au projet Iter par la Commission de contrôle budgétaire du Parlement européen. Bernard Bigot, directeur de l’Organisation d’Iter, a annulé sa participation à la réunion au Parlement européen, expliquant dans un message qu’« il ne souhaitait pas s’exprimer en présence de Michel Claessens ». Cette rencontre a été organisée suite au rapport accablant de cet ancien directrice de la communication, spécialiste de la fusion, et au suicide en mai 2021 d’un ingénieur italien de 38 ans au sein de l’agence Fusion 4 Energy de Barcelone, qui coordonne le projet Iter au niveau européen.

    #nucléaire

  • Nitrates : l’usine nucléaire de La Hague pollue plus qu’une mégaporcherie
    https://reporterre.net/Nitrates-l-usine-nucleaire-de-La-Hague-pollue-plus-qu-une-megaporcherie

    Qui a dit que le nucléaire était une énergie propre ? Selon l’association Robin des bois, l’usine de retraitement de #déchets_radioactifs de #La_Hague, en Normandie, polluerait autant qu’une #porcherie_industrielle de 100 000 porcs. Chaque année, elle rejette 2 000 tonnes de #nitrates directement dans la Manche. Ces substances chimiques sont issues de l’acide nitrique utilisé pour dissoudre les combustibles irradiés et pour séparer le plutonium, l’uranium et les produits de fission.

    #pollution #nucléaire

  • Vers des #sables alternatifs issus de la déconstruction des bâtiments : le projet de recherche SAND

    Le sable est la 3e ressource consommée dans le monde. Il existe de forts enjeux à développer l’#économie_circulaire de cette ressource non renouvelable : c’est l’objet du #projet_de_recherche #SAND destiné à valoriser du sable issu de la #déconstruction des bâtiments et des #boues_de_bétons dans les mortiers, et à mettre en place une filière de recyclage.

    Le projet de recherche SAND, financé par l’#Ademe et coordonné par l’entreprise #PAREX / #SIKA, est mené en synergie avec #Clamens et le Cerema. Il a pour objectif de produire du sable issu du recyclage de #matériaux_du_bâtiment et des boues de bétons afin d’économiser la #matière_première.

    En effet, le sable est la 3e ressource la plus consommée au monde après l’air et l’eau et son extraction a un fort impact environnemental, et est devenue un enjeu stratégique car sa raréfaction est de plus en plus critique.

    Du #sable_recyclé pour du mortier à usage du bâtiment

    La #dépendance mondiale du sable induit une forte tension au niveau de l’#approvisionnement et une hausse de prix. L’usage d’un #sable_de_substitution pour le bâtiment qui en est le principal consommateur et la création d’une filière de recyclage des #déchets_locaux_inertes du #BTP, dans une démarche d’économie circulaire, répondraient à ces problématiques en développant des emplois locaux.

    Par ailleurs, un procédé de production de sables alternatifs sera mis au point. Ce procédé, économe en énergie, permettrait de produire un gisement homogène et ayant les propriétés requises pour être intégré dans des #mortiers colles ou des mortiers d’enduits.

    Le projet, qui bénéficie d’un financement du #Programme_d’investissement_d’avenir et s’étendra sur quatre ans, sera mené en trois grandes étapes pratiques :

    - Définir les propriétés des sables recyclés qui pourront être incorporés dans des mortiers colles ou des mortiers d’enduits. Différentes propriétés des sables vont être analysées afin de garantir un flux homogène malgré la diversité des sources.
    - Mettre en place des formules adaptées selon le taux d’incorporation des sables recyclés. Les formules seront caractérisées selon les normes en vigueur, notamment d’un point de vue durabilité.
    – Mettre en place un démonstrateur industriel qui pour produire un sable homogène avec un procédé éconologique (économiquement viable et dont l’impact environnemental serait réduit). L’objectif est de s’assurer de la viabilité technique du procédé et de sa reproductibilité pour permettre le développement d’une filière des mortiers recyclés destinés au bâtiment. Ce démonstrateur permettra à terme de traiter 100.000 tonnes de sable par an.

    L’expertise du Cerema en caractérisation des matériaux mobilisée

    L’équipe de recherche DIMA (Durabilité, Innovation et valorisation des Matériaux Alternatifs) du Cerema sera plus particulièrement impliqué dans deux volets qu’il pilotera : l’évaluation des scénarii logistiques et des voies de valorisation des sables, et l’évaluation des impacts environnementaux, économiques et sociétaux des mortiers fabriqués. Des essais en laboratoire seront menés par le Cerema d’Ile-de-France afin de valider les mélanges proposés par le partenaire industriel. Une attention particulière sera portée à la durabilité des mortiers mis en œuvre.

    Dans une seconde phase, les mortiers à base de sables recyclés seront testés avec la pose de carrelages et d’enduits à l’aide de ce mortier sur des bâtiments existants.

    L’objectif final est de permettre la diffusion et la mise en oeuvre du procédé partout où il eut être utile aux filières.

    https://www.cerema.fr/fr/actualites/sables-alternatifs-issus-deconstruction-batiments-projet
    #sable #construction #recyclage #alternative

    et un nouveau mot : #éconologie

    ping @albertocampiphoto

  • Perquisitions dans le milieu de la drogue, 64 arrestations : « Nous estimons la production à une tonne de cocaïne par semaine à Bruxelles »
    https://www.rtbf.be/info/societe/detail_perquisitions-dans-le-milieu-de-la-drogue-64-arrestations-nous-estimons-

    Une soixantaine de personnes ont été arrêtées au cours de 114 perquisitions visant un important réseau d’importation de #cocaïne qui ont été effectuées mardi matin, dès 5h00, principalement en région bruxelloise mais également, et notamment, dans la région d’Anvers, en Brabant wallon et en quelques lieux de Flandre et de Wallonie, a annoncé mardi en fin de journée Frédéric Van Leeuw, procureur fédéral lors d’une conférence de presse. De plus, 6 laboratoires d’extraction de cocaïne ont été découverts, principalement à #Bruxelles et dans sa périphérie.


    Il s’agit de la plus importante série de perquisitions depuis celle de mars dernier réalisée à la suite du décryptage de messages cryptés via le logiciel SKY ECC, installé sur des cryptophones employés pour communiquer dans le milieu criminel.

    C’est de plus la 3e vague d’arrestations en une semaine, actions auxquelles s’ajoutent des actions des parquets locaux comme celui d’Anvers lundi.

    Des pièces d’or
    « Le dossier d’aujourd’hui porte sur une organisation criminelle soupçonnée d’être active dans le trafic de cocaïne, entre l’Amérique du Sud et l’#Europe », a précisé Eric Jacobs, directeur de la police judiciaire fédérale (PJF) de Bruxelles. « Un groupe de criminels situés en Belgique, principalement à Bruxelles, organise la réception de la cocaïne, son extraction et son reconditionnement dans des laboratoires belges. Nous estimons la production à une tonne de cocaïne par semaine à Bruxelles et en périphérie. Après ce reconditionnement, des courriers assurent la distribution vers le reste de l’Europe ».

    Les policiers ont confisqué plus d’un million en liquide et une importante quantité de pièces d’or. Des voitures et objets de luxe, notamment des #montres - qui constituent un nouveau moyen d’écoulement d’importantes sommes d’argent - ont été saisis, de même que des tonnes de produits imprégnés de cocaïne, 300 m3 de tabac et du matériel technique comme des #drones, des moteurs de propulsion de sous-marin pour la plongée. Il n’y a pas eu d’incidents.

    Avant l’opération de ce jour, plus de 350 kg de cocaïne via l’arrestation de courriers, 9 tonnes de cannabis, 32 tonnes d’engrais imprimés de cocaïne et plus de 2000 litres de #déchets_chimiques ont été saisis.

    Au total, 455 arrestations et près de 2000 personnes ont été identifiées en lien avec le dossier SKY ECC. 77 tonnes de cocaïne ont été saisies cette année. 

    Une filière de blanchiment est organisée, notamment à destination des #paradis_fiscaux .

    « La criminalité organisée internationale voire mondiale est manifestement très implantée en Belgique », a souligné Eric Snoeck, directeur général à la police judiciaire fédérale. « Nous savions déjà que le port d’#Anvers est le premier port européen d’importation de la cocaïne ». La région de Bruxelles apparait aujourd’hui comme le deuxième lieu d’activité de ce réseau.

    #criminalité_organisée #criminalité_internationale #criminalité

  • Cigéo/Bure – Meuse Nature Environnement
    https://meusenature.fr/themes/cigeo
    #Cigéo, c’est quoi ?

    Derrière cet acronyme – qui signifie Centre Industriel Géologique -, se cache le souhait du gouvernement, on pourrait dire des gouvernements successifs, d’enfouir à 500m sous terre les #déchets_radioactifs produits par nos 58 réacteurs nucléaires, à cheval sur les départements de la Meuse, la Haute-Marne et les Vosges. Ce sont les déchets dits de haute activité et moyenne activité à vie longue – HA et MA-VL pour les intimes -, en clair, les plus dangereux puisqu’ils en concentreraient en un seul et même endroit plus de 99% de la radioactivité produite.


    https://bureburebure.info

  • Une victoire pour les opposants au projet d’enfouissement de déchets à Stocamine
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2021/10/16/stocamine-l-autorisation-de-stockage-des-dechets-annulee-par-la-justice_6098

    Le coup d’arrêt de la cour d’appel de Nancy intervient alors que les travaux de confinement des 42 000 tonnes de #déchets_toxiques menaçant la #nappe_phréatique rhénane étaient sur le point de commencer.

    #paywall #stocamine #justice