• #Veneto. L’accoglienza finisce in caserma. Un posto letto, un po’ di cibo e nessun futuro (Parte prima)

    Un piatto di pasta e un letto. L’accoglienza nella Regione Veneto è tutta qua. Nessun percorso inclusivo, nessun accompagnamento, niente corsi di lingua o avviamenti al lavoro. Solo qualcosa sul piatto e un tetto sopra la testa. Chiuse le esperienze di accoglimento diffuso, i richiedenti asilo del Veneto sono stati ammassati in grandi centri senza futuro. Nel trevisano sono state utilizzate due caserme in disuso. Una si trova a #Oderzo e l’altra, la #caserma_Serena, a #Treviso. “In quest’ultima c’erano già 350 persone. Ora sono raddoppiate. In compenso, sono diminuiti gli operatori” spiega Monica Tiengo, dello sportello migranti dell’Adl Cobas. Con i nuovi bandi emessi dalle prefetture, le cooperative che gestivamo l’accoglienza prima dell’entrata in vigore del decreto Salvini, hanno deciso di disertare l’asta, denunciando come fosse impossibile garantire i pur minimi requisiti di accoglienza con le nuove regole. “Le conseguenze si vedono di già sul territorio. Tantissimi migranti stipati tutti insieme senza che nessuno dica loro cosa debbono fare o quale sarà il loro futuro, e poi controlli delle polizia e dell’esercito… tutto questo, per la Lega, si traduce in tanti voti in più – continua Monica -. Per i richiedenti asilo, tutto questo significa dover abbandonare tutto quello che erano riusciti a conquistare. Dentro queste enormi strutture è impossibile fare qualsiasi cosa. Anche i nostri Talking Hands (un gruppo di migranti specializzati in sartoria che ha avviato una collaborazione con alcune case di moda. ndr) hanno dovuto rinunciare a partecipare ad un importante vernissage a Milano perché non gli è stato consentito di rincasare dopo le 20 di sera”.

    Questi sono gli effetti più evidenti del decreto Salvini e che riguardano i richiedenti asilo, ma ci sono pericolose conseguenze anche per chi ha già ,ottenuto il permesso umanitario. “I ragazzi con l’umanitario si sentono tranquilli e non sanno che non gli verrà più rinnovato! Per il rinnovo infatti è richiesto un contratto di lavoro – e qui ci sono pochi problemi perché nel nord est qualcosa trovi – ma serve anche un passaporto!” Chi scappa dal suo Paese, il passaporto non ce l’ha. Questo è chiaro a tutti tranne a chi ha redatto il decreto Sicurezza. Chiedere al proprio consolato è solo una perdita di tempo. “Il più delle volte, i funzionari non li stanno neppure a sentire. Capita anche che non gli aprono la porta. Così i ragazzi sono costretti a tornare nel loro Paese d’origine per chiedere il documento. Insomma siamo alla follia. Gli viene riconosciuto l’umanitario perché a casa loro c’è la guerra e hai riconosciuto che ha fatto bene a scappare e poi lo rimandi indietro per chiedere un documento! Cosa è questa se non cattiveria bella e buona?” A Treviso, si sono costituiti gruppi di persona che accompagnano i migranti al loro consolato. “Se si presentano con qualcuno che ha la pelle bianca, perlomeno li stanno a sentire. Ma, in ogni caso, Paesi come la Nigeria, il Gambia, la Guinea e tanti altri, il passaporto non te lo concedono tramite consolato”.

    Una follia anche l’allungamento di pratiche per la cittadinanza. “Qui allo sportello arrivano casi davvero al limite dell’assurdo. Un esempio? Una coppia, lei rumena lui italiano, sposata da 15 anni. Un matrimonio, vero quindi. Lei fa domanda di cittadinanza ma il marito si ammala e viene a mancare proprio a pochi mesi dall’ottenimento della cittadinanza. Ora è tutto da rifare! Per non parlare dell’innalzamento del reddito richiesto, in particolare per chi ha congiunti a carico. Una signora che vive in Italia da 16 anni, che parla bene l’italiano e con un lavoro regolare, è rimasta fuori per poco centinaia di euro perché ha due gemelli! Insomma, la richiesta della cittadinanza è diventata una corsa ad ostacoli. Eppure, se davvero volessero mandare via i migranti, riconoscere la cittadinanza a tutti sarebbe la soluzione migliore! Il Paese si svuoterebbe. Chi ha un documento europeo in regola, se ne va subito nei Paesi del Nord”.

    https://www.lasciatecientrare.it/veneto-laccoglienza-finisce-in-caserma-un-posto-letto-un-po-di-cib
    #accueil #hébergement #logement #caserne #asile #migrations #réfugiés #Italie #Italie_du_Nord #décret_salvini #Vénétie

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  • #Iscrizione_anagrafica: dai Comuni un appello per difendere i diritti dei richiedenti asilo

    Con #dirittincomune insieme ai Sindaci di Crema, Siracusa e Palermo le organizzazioni chiedono un impegno per l’iscrizione anagrafica. “A rischio diritti fondamentali”

    Promuovere l’accesso ai diritti essenziali come il diritto all’istruzione, alla salute, alle prestazioni sociali, per i richiedenti asilo nelle nostre città. Con questo obiettivo ActionAid, Asgi e i sindaci di Crema, Siracusa e Palermo promuovono l’appello #dirittincomune a tutti i Sindaci d’Italia affinché sottoscrivano un impegno a iscrivere nei registri anagrafici i richiedenti asilo, anche dopo l’entrata in vigore del cd decreto sicurezza e immigrazione (legge 132/18).

    L’articolo 13 della legge, infatti, prevede delle nuove disposizioni per l’iscrizione anagrafica che sono state oggetto di diverse interpretazioni, anche tra gli amministratori: alla prima lettura è prevalsa l’idea che ai richiedenti asilo fosse preclusa la possibilità di effettuare l’iscrizione all’anagrafe. I promotori dell’appello, invece, basandosi sui pareri di giuristi autorevoli e sulle recenti ordinanze dei Tribunali di Firenze, Bologna e Genova, secondo i quali il diritto all’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo è tuttora vigente ed esigibile, chiedono ai Sindaci di impegnarsi perché questo diritto sia effettivamente garantito, rendendo così possibile ottenere il rilascio del certificato di residenza e della carta d’identità, nei fatti utile a beneficiare di servizi pubblici come l’asilo, la formazione professionale, l’accesso all’edilizia pubblica, la concessioni di eventuali sussidi, o l’iscrizione a un centro per l’impiego.

    “Sono in gioco diritti essenziali, che nei fatti spesso sono inaccessibili o compromessi in assenza di iscrizione anagrafica”, si legge nel testo dell’appello, che non si rivolge solo agli amministratori, ma anche alle organizzazioni solidali perché si facciano portavoce “in ogni sede utile, della lettura costituzionalmente orientata dall’articolo 13 e a promuovere la corretta applicazione della normativa”.

    “I diritti sono un bene comune irrinunciabile. Tutti noi, singoli cittadini, società civile organizzata, siamo chiamati in causa quando vengono compromessi o resi inaccessibili – dichiara Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid – Con #dirittincomune vogliamo promuovere un’azione ampia e aperta, rivolta sia agli amministratori delle nostre città sia alle organizzazioni solidali, perché i diritti di tutti siano sempre garantiti e si combatta il rischio di esclusione e marginalità sociale. È in discussione la qualità della nostra democrazia”.

    “La persona che chiede protezione ha una condizione giuridica definita dalla normativa italiana, europea ed internazionale ed è regolarmente soggiornante in Italia indipendentemente dall’esito della domanda di asilo – ricorda l’avvocata Daniela Consoli (ASGI).”Il tentativo di negarle visibilità sul territorio sopprime un diritto ed urta con le stesse ragioni di ordine pubblico che motiverebbero la misura”.

    “Noi sindaci all’inizio del nostro mandato giuriamo sulla Costituzione e non si tratta di un rito vuoto e insignificante – spiega la Sindaca di Crema, Stefania Bonaldi – La Costituzione resta la nostra stella polare, così come il suo spirito; mai e poi mai i Padri e le Madri Costituenti, che tanto ci mancano, avrebbero osato formare graduatorie sui diritti e dispensarli secondo le etnie, le provenienze geografiche, la lingua o la religione. L’interpretazione ‘costituzionalmente orientata’ dell’art. 13 della Legge Sicurezza – peraltro la sola che consente a tale articolo di non essere travolto da manifesta incostituzionalità – è anche un imperativo etico per chi prende sul serio proprio quel giuramento”.

    “Nel solco di una tradizione che vuole Siracusa città solidale e contro le discriminazioni, io e la mia Giunta siamo stati tra i primi, con una lettera dai contenuti giuridici ai presidenti Mattarella e Conte, a sollevare il tema della costituzionalità del decreto rispetto al principio di uguaglianza – ricorda il Sindaco di Siracusa Francesco Italia – Ma oltre alle forti ragioni formali, ci sono anche motivazioni politiche che impediscono di non concedere l’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo. Di fronte al fallimento del Governo sui rimpatri, non è né corretto né etico privare di diritti universalmente riconosciuti persone che attendono dallo Stato una risposta a una legittima istanza. Lasciare questi uomini e queste donne in un limbo, nella impossibilità di trovarsi un lavoro o di accedere ai livelli minimi di assistenza, significa aumentare l’insicurezza di tutti”.

    “‘Io sono persona, noi siamo comunità”, con queste parole spieghiamo la nostra politica rivolta ai migranti, che è la stessa rivolta a tutti coloro vivono condizioni di difficoltà o disagio, quale che ne sia l’origine, quali che siano la nazionalità, la religione, la provenienza delle persone coinvolte – ha dichiarato il Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando – “Io sono persona” sottolinea che ognuno e ognuna è portatore e portatrice di diritti umani inalienabili. Il riconoscimento di tali diritti è elemento imprescindibile che costituisce il nostro essere, tutti insieme, una comunità.

    Oggi i Sindaci si trovano di fronte alla possibilità di escludere, per altro violando la Costituzione, qualcuno, ferendo tutta la comunità, o piuttosto avviare percorsi inclusivi e legali per rafforzare le proprie comunità”.
    Per adesione: dirittincomune.ita@actionaid.org

    https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/actionaid-e-asgi-lanciano-appello-ai-sindaci-per-garantire-i-diritti-dei-richie
    #résistance #appel #décret_salvini #asile #migrations #réfugiés #Italie #diritti_in_comune

    Texte de l’appel:
    https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/06/Appello_IscrizioneAnagrafica.pdf

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    • Iscrizione anagrafica: il Comune di #Padova dice sì

      1. Il richiedente aveva inviato, previo consulto con il proprio legale e con il supporto della Coop ospitante, la richiesta di iscrizione anagrafica, sussistendone i requisiti di legge.

      2. Il Comune – Settore Servizi Demografici - comunicava il preavviso di rigetto della domanda de qua, in quanto, secondo l’Autorità, “il permesso di soggiorno per richiesta asilo non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica, come ribadito dalla Circolare Ministero dell’Interno 18 ottobre 2018 n.15 (disposizioni in materia di iscrizione anagrafica)”.

      3. Veniva così inviata la dovuta memoria ex art. 10 bis della legge 241/1990 in cui si rappresentava, in maniera molto semplice, che “la Circolare Ministeriale fornisce delle indicazioni che, se non correttamente interpretate, potrebbero, inconsapevolmente, indurre la Pubblica Amministrazione ad adottare un provvedimento di diniego dell’iscrizione anagrafica palesemente illegittimo, come sottolineato sia dal Tribunale di Firenze sia da quello di Bologna”.

      4. Si palesava che “diversamente da quanto sembra suggerire il Ministero dell’Interno, nella sua circolare, il diritto all’iscrizione anagrafica non richiede la produzione di alcun titolo; trattasi, infatti, di un diritto soggettivo consistente in un atto meramente ricognitivo, in relazione al quale l’Autorità Amministrativa non dispone di alcuna discrezionalità, se non quella di appurare che la persona effettivamente abbia fissato la propria dimora abituale presso un determinato luogo, conditio sine qua non della residenza ai sensi e per effetti dell’art. 43, secondo comma, del c.c.”.

      5. In relazione al caso in esame, si precisava come l’ordinamento giuridico italiano stabilisce, a chiare lettere, che lo straniero regolarmente soggiornante ha diritto all’iscrizione anagrafica alle medesime condizioni del cittadino italiano; più precisamente, la dimora dello straniero si considera abituale “anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 6, comma 7, del d.lgs.286/98, requisito perfettamente realizzatosi nel caso in esame, in quanto il Richiedente aveva fissato, da più di 3 mesi, la propria dimora abituale presso uno degli alloggi della Cooperativa ospitante, ove, peraltro, ha intenzione di continuare a vivere.

      6. Si precisava, inoltre, che le regole previste per i cittadini italiani, ossia quelle contenute nel D.P.R. 223/1989, come modificato dal D.P.R. 126/2015, dovevano applicarsi parimenti ai cittadini stranieri, fossero essi o meno richiedenti protezione internazionale. Anzi, l’Autorità amministrativa avrebbe dovuto avere una particolare attenzione nei confronti dei richiedenti asilo in virtù dell’art. 26 della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 28 luglio 1951 (ratificata con legge 722/1954), che stabilisce il diritto a scegliere liberamente il luogo di residenza.

      7. Si precisava come l’interpretazione errata del Ministero dell’Interno era, probabilmente, “stata dettata dalla circostanza che, previamente all’entrata in vigore della l.132/2018, vigeva la procedura semplificata per l’iscrizione anagrafica dei richiedenti protezione internazionale che si trovavano presso le strutture di accoglienza ex art. 5 bis del d.lgs.142/2015, la quale veniva abrogata dall’art. 13 del d.l.113/2018 convertito, con modificazioni, nella legge 132/2018"; pertanto, venendo meno la procedura semplificata di registrazione d’ufficio - che non richiedeva alcun controllo, se non l’esibizione del titolo de quo - si doveva e si deve fare riferimento all’art. 6, comma 7, del d.lgs.286/98, il quale stabilisce che l’ospitalità per un periodo superiore ai 3 mesi determina la dimora abituale per lo straniero, ergo, la residenza. Quindi, l’abrogazione dell’iscrizione d’ufficio - che di fatto svincolava l’ufficiale dell’anagrafe ad effettuare qualsivoglia controllo - lascia il posto all’applicazione della norma ordinaria di cui all’art. 6, comma 7, del d.lgs. 286/1998.

      8. In conclusione, si ricordava all’Autorità come l’art. 3 della l. 1228/1954 (ordinamento dell’anagrafe della popolazione residente) stabilisce che il Sindaco, in qualità di Ufficiale del Governo, rivestendo la qualifica di Ufficiale dell’anagrafe, ha l’obbligo giuridico di procedere all’iscrizione anagrafica.

      9. Si chiedeva, in conclusione che, fosse o il Comune di Padova, nella persona del pubblico Ufficiale addetto ai Servizi Demografici, a procedere all’iscrizione anagrafica oppure lo stesso Sindaco.

      10. La città di Padova ha deciso, supportata da un team di Legali, di condividere e portare ad attuazione le ragioni squisitamente tecniche della memoria.

      https://www.meltingpot.org/Iscrizione-anagrafica-il-Comune-di-Padova-dice-si.html
      #Padoue

  • Decreto sicurezza-bis. Antigone scrive a Conte: «preoccupati per l’ulteriore compressione dei diritti. Il Premier lo blocchi»

    «Il sistema giuridico e i diritti, per loro intrinseca natura, non possono essere continuamente intaccati sulla base di presunte ed indimostrate emergenze criminali e sociali». E’ quanto si legge nella lettera che l’associazione Antigone ha indirizzato al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, per richiamare l’attenzione sull’ulteriore compressione dei diritti e delle garanzie che il decreto sicurezza-bis, che domani sarà discusso in Consiglio dei Ministri, potrebbe produrre nell’ordinamento italiano.

    Diversi sono i motivi di preoccupazione che Antigone ha riscontrato nel testo del decreto. Innanzitutto riguardo al ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza. «Più volte - sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - abbiamo sentito il ministro degli Interni vantarsi pubblicamente della riduzione del numero di flussi di migranti o del calo degli indici di delittuosità. Questo fa cadere la straordinarietà ed urgenza che giustifichi l’adozione di un decreto-legge che va ad intervenire su quei terreni».

    Ad essere evidenziato inoltre è come il decreto difetti di omogeneità, un criterio che la Corte Costituzionale ha ritenuto necessario per affermare la legittimità della decretazione di urgenza. Nel decreto in esame si giustappongono norme contrarie al senso di umanità in materia di immigrazione, norme in materia penale che criminalizzano il dissenso, norme che cambiano l’organizzazione interna allo Stato, norme che sottraggono competenze ai ministeri della Giustizia e dei Trasporti per affidarle pretestuosamente e pericolosamente al ministero dell’Interno, norme che riguardano le prossime Universiadi. Disomogeneità che mettono a rischio la costituzionalità del decreto, anche alla luce dei precedenti giurisprudenziali, ed in particolare della sentenza n.32 del 2014.

    «La norma che modifica il Testo Unico sull’immigrazione introducendo l’illecito amministrativo del trasporto irregolare di migranti in acque internazionali, introducendo una multa elevata per ogni vita salvata, evoca momenti bui della storia novecentesca - scrive il Presidente di Antigone nella lettera indirizzata al Premier. L’attribuzione di competenze al ministero dell’Interno, anziché al Ministero delle Infrastrutture e trasporti, del potere di limitare o vietare il transito o la sosta di imbarcazioni determina una degenerazione di tutto ciò che accade nello spazio marittimo in questione di ordine pubblico. La criminalizzazione della solidarietà, che fino a oggi ha visto naufragare qualsiasi inchiesta penale, non avrà adesso bisogno di indagini ma sarà agibile senza alcun controllo giurisdizionale».

    «Le norme in materia di manifestazioni pubbliche - si legge ancora nella lettera - che prevedono aumenti di pena o nuove circostanze aggravanti, andando addirittura a irrigidire il testo unico di Polizia del 1931 di epoca fascista, costituiscono una forma di criminalizzazione del dissenso che non è giustificabile con la necessità di garantire manifestazioni pacifiche. Prevedere che l’organizzatore di una riunione, seppur non autorizzata, risponda di danneggiamenti o saccheggi operati da altri, contraddice il principio costituzionale della responsabilità penale personale».

    A preoccupare molto Antigone è infine l’istituzione di un Commissario governativo che si sostituisca alla magistratura nel potere di decidere l’ordine da attribuire alla esecuzione di sentenze penali. «Questa disposizione - si sottolinea ancora nella lettera - significa minare alla radice quella separazione dei poteri che è alla base di ogni ordinamento democratico. È pericolosissimo prevedere che possa essere l’autorità governativa a poter operare una selezione nei reati da perseguire effettivamente».
    «In una recente pubblicazione in onore di Guido Alpa, il Premier Conte ha scritto come il criterio ultimo e determinante di ogni ricerca giuridica, e dunque della stessa produzione normativa, non può non essere ‘la centralità della persona’. Un rispetto dell’altro che il decreto in questione mette fortemente in discussione e che per questo ci auguriamo il Presidente del Consiglio bloccherà» conclude Patrizio Gonnella.

    http://www.antigone.it/news/antigone-news/3220-decreto-sicurezza-bis-antigone-scrive-conte-compressione-diritti-premi
    #decreto_sicurezza_bis #Italie #décret_sécurité_bis #asile #droits #démantèlement #migrations

    • Cosa prevede il decreto sicurezza bis, approvato dal Consiglio dei ministri

      Tra le misure, contrasto ai trafficanti di esseri umani, stretta sugli episodi di violenza durante le pubbliche manifestazioni e inasprimento di pene per chi aggredisce gli operatori di polizia.

      E’ stato approvato dal Consiglio dei ministri il decreto sicurezza bis. L’approvazione è stata resa nota da fonti governative leghiste al termine della riunione durata circa un’ora.

      «Nel contrasto ai trafficanti di esseri umani potranno essere usati agenti sotto copertura, anche ricorendo allo strumento delle intercettazioni». Lo ha detto il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, nella conferenza stampa seguita al Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto sicurezza bis.

      «Sia sul primo che sul secondo decreto sulla sicurezza siamo tranquilli», ha continuato Salvini, ribadendo che non ci sono profili di incostituzionalità riguardo i decreti sulla sicurezza varati dal governo.
      «Questi decreti sono rispettosi di qualunque norma vigente in Italia e all’estero», ha spiegato il ministro dell’Interno.

      «Gli episodi di violenze durante pubbliche manifestazioni debbono prevedere un concreto pericolo per le persone. La libertà di pensiero degli italiani» non viene messa in discussione, osserva il ministro.

      «Il decreto sicurezza bis prevede, tra l’altro, la confisca della nave per coloro che ripetutamente non ottemperano ai divieti di ingresso nelle acque territoriali e una multa da 10 a 50 mila euro per comandante, proprietario e armatore». «Un altro capitolo del decreto - ha aggiunto - prevede l’inasprimento di pene per chi aggredisce gli operatori di polizia nel corso di manifestazioni. Un altro passaggio (la cosiddetta norma spazza-clan, ndr) è quella che prevede l’assunzione di 800 unita’ di personale amministrativo per la notifica delle sentenze a carico di condannati ancora liberi: solo a Napoli sono 12 mila».

      https://www.agi.it/politica/decreto_sicurezza_bis-5638245/news/2019-06-11

    • Tutte le critiche al decreto sicurezza bis

      Nell’ultima settimana il governo ha discusso diverse bozze di un decreto sicurezza bis su immigrazione e sicurezza pubblica proposto dal ministro dell’interno Matteo Salvini a pochi giorni dalle elezioni europee del 26 maggio. La misura, che prevede un’ulteriore criminalizzazione del soccorso in mare, la riforma del codice penale, maggiori finanziamenti per i rimpatri e l’estensione dei poteri delle forze di polizia, ha diviso i due alleati di governo: Movimento 5 stelle e Lega.

      Il consiglio dei ministri del 21 maggio ha portato a un nulla di fatto, e il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha detto che il Quirinale aveva sollevato dubbi di costituzionalità in particolare sulla prima parte del decreto, quella sul soccorso in mare. Il 22 maggio il presidente della repubblica Sergio Mattarella ha incontrato sia Conte sia il ministro dell’interno Salvini, e in seguito agli incontri si è deciso di rinviare l’esame del decreto a dopo il voto. Nel frattempo la misura – articolata in 18 punti – è stata criticata da organizzazioni e associazioni. Ecco cosa prevede in linea di principio (stiamo parlando di bozze) e quali critiche sono emerse durante la discussione.

      Il soccorso in mare
      La prima bozza del decreto sicurezza bis prevedeva multe da 3.500 a 5.500 euro per ogni straniero soccorso e trasportato in Italia da navi di soccorso e addirittura la revoca o la sospensione della licenza per navi che battono bandiera italiana; il trasferimento della competenza a limitare o vietare il transito e la sosta nel mare territoriale italiano dal ministero delle infrastrutture al ministero dell’interno; l’affidamento alle procure distrettuali anche delle ipotesi non aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; l’estensione dell’uso delle intercettazioni per questo tipo di reati; lo stanziamento di tre milioni di euro per il finanziamento di poliziotti di origine straniera per indagini sotto copertura.

      Questa prima bozza è stata modificata diverse volte, essendo una delle parti più controverse e giudicate in contrasto con diverse normative nazionali e internazionali. Nell’ultima bozza sparisce il riferimento alle multe, ma rimane una sanzione da diecimila e cinquantamila euro per chi trasgredisce il divieto di oltrepassare le acque territoriali italiane, con il rischio accessorio di confisca della nave. Ma secondo i giuristi la parte che rimane in ogni caso problematica è quella che prevede che sia lo stesso ministro dell’interno a “limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza”. Per i giuristi, al di là del fatto che questo articolo è in contrasto con le norme che regolano il soccorso in mare, si registra il tentativo di portare sul piano amministrativo quello che è un problema di ordine penale e che quindi è di competenza della magistratura.

      Per Gianfranco Schiavone dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) “il problema è che il ministro dice di poter vietare l’ingresso in acque italiane quando c’è una violazione delle leggi sull’immigrazione ed evidentemente si riferisce al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che però è un reato penale e per essere accertato deve essere oggetto d’indagine da parte di una procura. Su che base un prefetto deciderà che c’è stata una violazione di una norma nazionale sull’immigrazione?”. A questo si aggiunge che, nel caso di soccorso in mare, il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è difficilmente imputabile a una nave umanitaria che ha soccorso in mare persone che erano in uno stato di necessità. “Lo scopo è quello di aggirare le procure, procedere per via amministrativa bloccando le navi e i soccorsi. Il ministero sa benissimo che queste sono misure che vanno contro la legge e non possono durare a lungo”, conclude Schiavone.

      Riforma del codice penale e norme sulla sicurezza
      Una seconda parte del decreto riguarda la gestione della pubblica sicurezza e la riforma del codice penale e prevede per esempio l’inasprimento delle sanzioni in seguito ai reati di devastazione, saccheggio e danneggiamento commessi nel corso di riunioni pubbliche; maggiori tutele per le forze dell’ordine attraverso l’introduzione di nuove fattispecie di reato per colpire più severamente coloro che si oppongono ai pubblici ufficiali; modifiche al codice penale che prevedono sanzioni per i reati di oltraggio a pubblico ufficiale e il reato di violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale; più militari per le Universiadi di Napoli del 2019. Tre norme sono particolarmente gravi e illegittime, secondo i giuristi.

      “Al di là degli aumenti di pena per alcune tipologie di reato, che ormai sono diventati la norma, una delle novità che mi sembra più grave è quella che prevede che ci sia una responsabilità penale per chi organizza una manifestazione non autorizzata nella quale qualcun altro compie un qualsiasi reato di danneggiamento. In questo caso chi ha organizzato una manifestazione non autorizzata deve rispondere per il saccheggio e il danneggiamento compiuto da altri, venendo meno al principio secondo cui la responsabilità penale è personale. La stessa cosa vale per l’articolo che prevede un ulteriore aumento di pena per reati che accadono durante le manifestazioni pubbliche, irrigidendo il testo unico di polizia che risale agli anni trenta, di epoca mussoliniana. Non certo un testo lassista”, afferma Patrizio Gonnella dell’Associazione Antigone.

      Queste modifiche avrebbero l’obiettivo di scoraggiare la partecipazione delle persone alle manifestazioni pubbliche. L’ultima questione, secondo Antigone, è l’eccesso di protezione che è costruito intorno a chi ha un ruolo di polizia: “Abbiamo per tre-quattro volte depenalizzato l’oltraggio e poi lo abbiamo reintrodotto a seconda delle circostanze politiche. L’idea che chi oltraggia le forze dell’ordine rischia una pena più alta rompe con il principio dell’uguaglianza”.

      La costituzionalità del decreto
      Per Gonnella il decreto non ha i requisiti di urgenza e necessità che sarebbero previsti per emanare una misura di questo tipo, e inoltre si occupa di materie troppo disomogenee tra loro per essere affrontate con un unico decreto. “La corte costituzionale già nel 2014 ha specificato che sin dal titolo e poi nell’articolazione del decreto ci deve essere una omogeneità nel contenuto, non si possono mettere insieme cose che hanno poco a fare l’una con l’altra. In questo caso ci sono norme che hanno a che fare con l’immigrazione, norme che hanno a che fare con la riforma del codice penale e poi ci sono norme sulla sicurezza alle Universiadi di Napoli. Stiamo costruendo un decreto legge scriteriato, disomogeneo e quindi per vizi formali illegittimo”, afferma Gonnella. Tra l’altro, secondo Antigone, anche il primo decreto immigrazione e sicurezza presentava un problema simile.

      Le direttive per la chiusura dei porti
      Oltre alla discussione sul decreto sicurezza bis, nelle ultime settimane si è tornato a parlare delle due direttive emanate dal ministero dell’interno per impedire l’attracco in Italia delle navi umanitarie che hanno soccorso migranti.

      Il 19 maggio in diretta tv il ministro dell’interno Matteo Salvini ha scoperto che i 47 migranti a bordo della nave SeaWatch 3, bloccati da giorni al largo delle coste italiane, stavano arrivando a Lampedusa a bordo di un mezzo della guardia di finanza dopo che il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio aveva disposto un sequestro probatorio per la nave, aprendo un’indagine per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Salvini, sempre in diretta, ha minacciato di denunciare il procuratore.

      Secondo il parere dei giuristi, i porti non sono affatto chiusi e le direttive emanate dal Viminale negli ultimi mesi sul soccorso in mare sono in contrasto con la normativa internazionale sul diritto del mare. La pensa così anche l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani che con una lettera di dodici pagine il 18 maggio ha chiesto all’Italia di ritirare le direttive di marzo e aprile sul soccorso in mare.

      “La direttiva di marzo è una seria minaccia ai diritti dei migranti, inclusi i richiedenti asilo e le persone vittime di tortura, sequestri, detenzioni illegali. Ci sono ragionevoli elementi per ritenere che sia stata emanata per colpire direttamente la Mare Jonio (la nave dell’Ong Mediterranea), vietandole l’accesso alle acque e ai porti italiani”, è scritto nella lettera. “Nella direttiva del 15 aprile la si accusa esplicitamente di favorire l’immigrazione clandestina. Siamo profondamente preoccupati per queste direttive, che non sono basate su alcuna sentenza della competente autorità giuridica”.

      Contrarie al diritto
      L’esperta di diritto del mare dell’università Sacro Cuore di Milano, Francesca de Vittor, spiega che i porti non sono mai stati chiusi: “Se ci atteniamo ai documenti che abbiamo in mano i porti sono aperti, ci sono delle procedure anomale di sbarco ultimamente, ma un atto ufficiale di chiusura dei porti non esiste”. Per l’esperta, se la nave si trova particolarmente vicina alle coste italiane, oppure quando la centrale operativa che ha coordinato i soccorsi è l’Italia, allora non è strano che sia l’Italia a predisporre un porto di sbarco: “Dopodiché non è escluso che anche altri stati cooperino nelle operazioni di sbarco e di redistribuzione delle persone: l’obbligo dei soccorsi è di tutti gli stati non solo dell’Italia. Ma questa cooperazione invece non può riguardare la Libia che non è un paese sicuro”, chiarisce.

      Secondo De Vittor le due direttive ministeriali di marzo e aprile contro le navi umanitarie che compiono soccorsi in mare sono contrarie al diritto internazionale del mare: “Entrambe le direttive obbligano le navi umanitarie ad attenersi alle indicazioni date dalla guardia costiera libica, tuttavia questo punto è in contrasto con la Convenzione Sar che invece attribuisce al capitano la responsabilità di valutare nella situazione in cui si trova quale sia la scelta migliore per garantire la sicurezza e la salvaguardia della vita umana in mare. Se le indicazioni chiedono di portare le persone in un porto non sicuro come la Libia, il capitano ha tutte le ragioni di rifiutarsi”.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/05/24/decreto-sicurezza-bis-critiche

    • L’Italie adopte un décret antimigrants, avec des amendes records pour ceux qui leur viennent en aide

      Le texte prévoit des amendes de 150 000 euros à 1 million d’euros pour les bateaux de sauvetage d’ONG en Méditérranée, et jusqu’à dix ans de prison en cas de résistance.

      C’est une victoire symbolique et politique supplémentaire pour Matteo Salvini sur son allié au gouvernement italien, le Mouvement 5 étoiles (M5S). Les sénateurs du parti fondé par Beppe Grillo se sont en effet pliés aux consignes de vote et ont accordé, lundi 5 août au soir, leur confiance au gouvernement, donnant force de loi au très contesté nouveau décret sécurité porté par le ministre de l’intérieur d’extrême droite. Il y avait néanmoins peu de risque que la coalition au pouvoir chute en plein mois d’août, malgré les tensions quotidiennes de ces dernières semaines.

      Avec 160 voix pour et seulement 57 contre, le texte a été adopté à une large majorité des sénateurs présents, aidés par l’abstention des partisans de Silvio Berlusconi et de la formation d’extrême droite Fratelli d’Italia. Le triomphe est total pour Matteo Salvini : déjà affaiblis, ses alliés de gouvernement sont taxés de lâcheté. Sur les réseaux sociaux, quelques minutes après le vote de confiance, l’un des hashtags les plus populaires a très vite été « Grillini [surnom des partisans de Beppe Grillo] sans gloire », lancé à l’adresse des élus du parti populiste.

      Quelques minutes avant le vote, certaines voix s’étaient pourtant élevées pour demander aux sénateurs 5 étoiles de ne pas donner leur blanc-seing à un texte jugé liberticide. La plus forte a été celle de Gregorio De Falco, ancien officier de marine, qui a dénoncé dans le blocage des navires de secours de migrants une « règle criminogène » qui n’aura pour conséquence que de faire mourir plus de personnes dans la Méditerranée. Cette voix dissidente du M5S, invitant à « voter pour une fois en conscience », n’aura pas été entendue. Le chef du Parti démocrate, Nicola Zingaretti, a, pour sa part, raillé les « esclaves » du Mouvement 5 étoiles.
      Jusqu’à dix ans de prison

      Sur le fond, ce texte, taillé sur mesure par Matteo Salvini, accroît encore ses pouvoirs en matière migratoire. Si le décret détaille de nouvelles mesures renforçant les peines pour les actes de défiance envers les forces de police, dans les stades ou lors des manifestations, c’est bien envers les migrants et ceux qui leur viennent en aide que ce texte est dirigé. Ainsi, alors que de nouveaux navires de secours ont repris la mer ces dernières semaines pour aller sauver des migrants de la noyade, le texte donne la possibilité d’intercepter préventivement une embarcation de sauvetage et d’infliger jusqu’à dix ans de prison en cas de résistance. Une réponse à l’affront subi après l’invalidation de l’arrestation de la capitaine du Sea-Watch 3 Carola Rackete, au mois de juin.

      L’arsenal répressif se traduit également par des amendes records : selon ce nouveau décret, les organisations humanitaires de sauvetage sont désormais passibles de 150 000 euros à 1 million d’euros de pénalité et leurs bateaux pourront être placés sous séquestre. Après avoir assisté au vote des sénateurs, Matteo Salvini a remercié les Italiens et la Vierge Marie, se félicitant que les forces de l’ordre aient désormais des pouvoirs élargis pour « plus de contrôles aux frontières et plus d’hommes pour arrêter les mafieux ». Il n’est pourtant que peu question de lutte contre la mafia dans le décret.

      Don Luigi Ciotti, le président de Libera, l’une des principales associations italiennes de lutte contre la mafia, a d’ailleurs dénoncé « un choix politique indigne », déplorant que le « degré d’humanité » de l’Italie se soit autant dégradé. Le président Mattarella, qui a un mois pour signer le décret, pourrait l’accompagner d’une lettre, comme il l’avait fait au mois d’octobre 2018 lors du premier décret sécurité de Salvini. Dans cette missive, le chef de l’Etat, garant de la Constitution, rappelait l’importance du fait que l’Italie se conforme à ses engagements internationaux. Les articles 1 et 2 du nouveau décret, portant sur l’interdiction d’entrer dans les eaux italiennes pour les navires de secours, pourraient, selon certains juristes de la péninsule, constituer une violation de la Constitution.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/08/06/l-italie-adopte-le-decret-anti-migrants-de-salvini_5497095_3210.html

    • Tutte le leggi che potrebbe violare il “decreto sicurezza bis”

      La convenzione di Ginevra, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, forse anche la Costituzione: e sono nodi che a un certo punto verranno al pettine.

      Martedì il Senato ha approvato in via definitiva il cosiddetto “decreto sicurezza bis“, una misura voluta e promossa dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che prevede regole molto stringenti per la gestione dei migranti che arrivano via mare. Da mesi il decreto viene criticato sia dalle ong che si occupano di salvataggi in mare, sia più genericamente dagli attivisti per i diritti umani, che temono una ulteriore stretta sui diritti e le condizioni dei migranti dopo il primo decreto sicurezza, approvato in autunno.

      Ma le critiche al decreto non sono arrivate soltanto dalle associazioni che in qualche modo hanno a che fare col soccorso in mare e l’accoglienza. Come ha notato la giornalista Annalisa Camilli di Internazionale, «durante l’esame della norma in commissione Affari costituzionali e giustizia della Camera sono stati interpellati diversi esperti, professori universitari e autorità che hanno fatto emergere i diversi problemi del provvedimento».

      I punti sollevati dagli esperti in commissione Affari costituzionali sono diversi e si aggiungono alle critiche che già erano arrivate al governo da parte dell’ONU per un provvedimento contro la ong Mediterranea che già prevedeva un simile approccio. Era da tempo che una legge promossa dal governo italiano non era così problematica per le convenzioni e i trattati firmati dall’Italia.

      I nuovi poteri del ministro dell’Interno
      La norma più controversa del decreto è l’articolo 1, secondo cui il ministro dell’Interno «può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica», quando si realizzano le condizioni dell’articolo 19, comma 2, lettera g) della Convenzione ONU sui diritti del mare firmata a Montego Bay nel 1982 (PDF). Il paragrafo in questione della convenzione tratta i casi di «carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato».

      In pratica, il decreto sicurezza consente al ministro dell’Interno di vietare l’ingresso – ma persino la sosta o il transito – nel mare territoriale italiano di navi che violano le leggi italiane in materia di immigrazione. Salvini ha già usato i poteri che gli sono stati conferiti dal decreto per emettere i divieti di ingresso nei confronti delle navi delle ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo.

      Il soccorso in mare in caso di pericolo e il diritto di asilo sono però regolati da numerose convenzioni che non possono essere superate con una legge nazionale.

      Un primo problema è stato individuato dal Servizio Studi della Camera, secondo cui «andrebbe chiarito come trovi applicazione la disposizione in caso di mancata individuazione in termini univoci del “porto sicuro” di sbarco». Quello di “porto sicuro” è un concetto molto diffuso nelle norme internazionali: esiste nella cosiddetta convenzione di Amburgo del 1979 e in altre altre norme sul soccorso marittimo, che prevedono che gli sbarchi di persone soccorse in mare debbano avvenire nel primo “porto sicuro” sia per prossimità geografica a dove è avvenuto il salvataggio sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani.

      Per quasi tutte le navi che soccorrono migranti nel Mediterraneo centrale, cioè nei pressi della Libia, il primo porto sicuro è sicuramente l’Italia: nessuno degli altri paesi dell’area è sufficientemente attrezzato per permettere uno sbarco che non metta a rischio le persone soccorse.

      Il “decreto sicurezza bis” ignora completamente questo aspetto, concentrandosi sulla condizione di irregolarità dei migranti che entrano nelle acque italiane a bordo delle navi delle ong. Qui subentra un altro punto problematico del decreto: dato che tutte le persone soccorse intendono chiedere asilo in Italia – legittimamente, dato che il diritto internazionale prevede che chiunque possa farlo – non vanno trattati come migranti qualsiasi ma come richiedenti asilo.

      Il respingimento dei richiedenti asilo è vietato da numerose norme del diritto internazionale: su tutte la convenzione di Ginevra del 1951, all’articolo 33, e dall’articolo 4 del Protocollo 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (“Le espulsioni collettive di stranieri sono vietate”). Ciascuna richiesta d’asilo va esaminata singolarmente e da un’autorità giudiziaria: per questa ragione allontanare una nave piena di richiedenti asilo equivarrebbe a un respingimento illegale.

      Nei mesi scorsi Salvini ha più volte “chiuso” i porti italiani nei confronti delle navi delle ong o delle navi militari italiane che trasportavano richiedenti asilo, grazie ad alcuni espedienti: su tutti, il fatto che la decisione di non rendere disponibili i porti fosse comunicata in maniera informale, senza alcun documento scritto, cosa che rendeva praticamente impossibile impugnarla davanti a un tribunale. L’unica volta che Salvini è stato costretto a rendere conto pubblicamente del suo approccio, cioè quando ha chiesto al Movimento 5 Stelle di votare contro l’avvio di un processo nei suoi confronti sul caso della nave Diciotti, si è difeso sostenendo che chiudere i porti fosse un “atto politico” e perciò non punibile secondo l’articolo 7 del codice del processo amministrativo.

      Ricapitolando: fino all’entrata in vigore del decreto, Salvini poteva chiudere i porti soltanto in maniera informale. Oggi può farlo sulla base del “decreto sicurezza bis”. Alcuni ritengono che la nuova legge abbia “normalizzato” i respingimenti. Altri, paradossalmente, considerano le misure del decreto «una buona notizia», perché costringeranno Salvini a mettere per iscritto le ragioni di ciascun divieto di ingresso. Lo ha spiegato bene il giudice Andrea Natale del tribunale di Torino sulla rivista Questione Giustizia.

      Per «chiudere i porti» serve un provvedimento, non basta un tweet. Sembra un dettaglio, ma i ripetuti casi di “chiusura dei porti” via Twitter – e nel modo più emblematico, il cd. caso Diciotti – mettono in luce quanto sia utile e preziosa questa disposizione: la necessaria esistenza di un provvedimento renderà più trasparente la catena decisionale, più agevolmente individuabili le responsabilità politiche e quelle giuridiche e, sebbene con angusti (e probabilmente non tempestivi) spazi di intervento, renderà quei provvedimenti giustiziabili dalla giurisdizione amministrativa (dovendosi probabilmente escludere che si tratti di “atti politici”, sottratti alla sfera di controllo del giudice amministrativo).

      Il ragionamento di Natale è che dall’entrata in vigore del decreto sarà più facile contestare al governo eventuali abusi, anche in sede internazionale. In passato, peraltro, l’Italia è stata condannata più volte per alcuni respingimenti collettivi di migranti verso la Libia, l’ultima volta nel 2012.

      Le multe alle ong
      Un altro punto considerato problematico è l’articolo 2 del decreto, che prevede ingenti multe per i comandanti delle navi che ignorano il divieto di ingresso previsto dall’articolo 1. La violazione del divieto comporta una multa compresa fra i 150mila e il milione di euro e la confisca della nave. Dato che i destinatari della norma sono esplicitamente le navi delle ong che trasportano migranti, gli esperti di migrazione e diritti umani ritengono che l’intento del governo sia rendere economicamente proibitivo, e quindi scoraggiare, qualsiasi intervento di soccorso in mare.

      L’agenzia ONU per i rifugiati ha commentato l’introduzione delle multe in un duro comunicato stampa, in cui sostiene che «l’imposizione di sanzioni pecuniarie e di altro tipo ai comandanti delle navi potrebbe ostacolare o impedire le attività di soccorso in mare da parte delle navi private in un momento in cui gli Stati europei hanno significativamente ritirato il proprio sostegno alle operazioni di soccorso nel Mediterraneo Centrale». Anche il giudice Andrea Natale la considera «una norma che manifesta in modo esplicito l’intendimento di fare “terra bruciata” intorno al migrante, disincentivando – quanto più possibile – ogni forma di aiuto e soccorso in suo favore».

      Particolarmente fuori scala sembra la multa in relazione dell’illecito, cioè la violazione di un divieto di ingresso: un milione di euro sono tantissimi soldi, se si pensa che ad esempio l’abuso edilizio viene punito con una multa che può arrivare a un massimo di 20mila euro.

      Secondo Sky Tg24, la norma sulle multe alle ong sarebbe quella su cui si stanno concentrando le attenzioni del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Finora Mattarella non ha mai respinto alcuna legge promossa dal governo di Giuseppe Conte, ma aveva accompagnato la promulgazione del primo “decreto sicurezza” con una lettera in cui chiedeva al governo di rispettare «gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo, e, in particolare, quanto direttamente disposto dall’articolo 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia».

      L’articolo 10 della Costituzione impone che lo Stato italiano debba rispettare «le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute», e i trattati internazionali sulla «condizione giuridica dello straniero». Essendo molto generico, non è ancora chiaro se possa comportare l’incostituzionalità del decreto, anche se come abbiamo visto esistono le basi per ritenere che la nuova legge violi diverse norme internazionali.

      Repubblica fa notare che per arrivare davanti alla Corte Costituzionale ci vuole l’intervento di un giudice o di una regione, e che da quel momento dovranno comunque passare circa sei mesi prima che la Corte emetta una sentenza. Significa che nella migliore delle ipotesi il “decreto sicurezza bis” rimarrà in vigore almeno per tutto il 2019. Il primo “decreto sicurezza” era stato contestato da alcune regioni ma soltanto riguardo a un eventuale conflitto di competenze fra stato e regione: la Corte aveva dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando però che non aveva esaminato il contenuto del decreto.

      Infine
      Il “decreto sicurezza bis” contiene diverse altre norme molto controverse che non c’entrano nulla con l’immigrazione. L’articolo 7, per esempio, introduce un’aggravante per i reati di violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale quando il presunto reato avviene durante una manifestazione pubblica: secondo Amnesty International «ha il chiaro scopo di limitare gli spazi di libertà di chi vuole rivendicare i propri diritti e quelli della collettività», per esempio durante un corteo di protesta.

      Infine, il decreto legge mancava con ogni probabilità del criterio di urgenza che dovrebbe giustificare l’uso di questo strumento: nei primi sei mesi del 2019 gli sbarchi sono diminuiti dell’84,3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2018, in continuità con quanto accade da qualche anno, mentre i migranti portati in Italia dalle navi delle ong sono appena l’8 per cento del totale.

      https://www.ilpost.it/2019/08/07/violazione-leggi-decreto-sicurezza-bis

  • JE VAIS COMMENCER ICI UN NOUVEAU FIL DE DISCUSSION, SUR LES SAUVETAGES ET LES NAUFRAGES EN MEDITERRANEE.

    CE FIL DE DISCUSSION COMPLÈTE CELUI COMMENCÉ ICI :
    https://seenthis.net/messages/768421

    Ici la métaliste complète:
    https://seenthis.net/messages/706177

    ping @isskein

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    Ecco il decreto sicurezza-bis: multe per ogni migrante trasportato e per chi non rispetta le norme Sar

    Salvini si attribuisce la competenza a vietare il transito delle navi ritenute pericolose e prevede che a indagare possano essere solo le Dda. Pene più pesanti per chi aggredisce le forze dell’ordine. Il M5S: «Il ministro dell’Interno copre così il fallimento sui rimpatri».

    È un vero e proprio blitz quello con il quale il ministro dell’Interno Matteo Salvini vara un #decreto_sicurezza_bis che prevede sanzioni pecuniarie pesantissime contro chi soccorrse i migranti in violazione delle norme #Sar ma soprattutto con cui attribuisce al Viminale e alle Direzione distrettuali antimafia competenze che erano del ministero dei Trasporti e delle Procure ordinarie.

    Il provvedimento consta di dodici articoli, la maggior parte dei quali dedicato ancora al contrasto dell’immigrazione clandestina. Con norme clamorose destinate a spaccare il consiglio dei ministri.
    La prima prevede sanzioni a chi «nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetta gli obblighi previste dalle Convenzioni internazionali», dunque i comportamenti che Salvini attribuisce alle navi umanitarie. Le sanzioni previste sono di due tipi: da 3.500 a 5.500 euro per ogni straniero trasportato e, nei casi reiterati, se la nave è battente bandiera italiana la sospensione o la revoca della licenza da 1 a 12 mesi.

    L’articolo numero 2 va a modificare il #Codice_della_navigazione. Salvini attribuisce al Viminale quelle che sono al momento competenze del ministero dei Trasporti, in particolare la limitazione o il divieto di transito nelle acque territoriali di navi qualora sussistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico. E, come già scritto nelle direttive fin qui emanate, Salvini ritiene che tutte le navi che trasportino migranti siano una minaccia per la sicurezza nazionale.

    Il decreto modifica anche il codice di procedura penale estendendo anche alle ipotesi non aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina la competenza delle Direzioni distrettuali antimafia e la disciplina delle intercettazioni preventive. Di fatto togliendo alle Procure ordinarie la possibilità ad indagare.

    Tre milioni di euro vengono stanziati per l’impiego di poliziotti stranieri in operazioni sotto copertura contro le organizzazioni di trafficanti di uomini.

    Un altro pacchetto di norme inasprisce le sanzioni per chi devasta o danneggia nel corso di riunioni in luoghi pubblici e al contempo trasforma da sanzioni in delitti, con il conseguente inasprimento delle pene, le azioni di chi si oppone a pubblici ufficiali con qualsiasi mezzo di resistenza attiva o passiva, dagli scudi alle mazze e ai bastoni. Modifiche al codice penale aggravano il reato e dunque le sanzioni per violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale soprattutto se commessi durante manifestazioni in luogo pubblico. Soppressa la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

    L’articolo 7 è la norma già annunciata come «#spazzaclan» e prevede l’istituzione di un commissario straordinario con il compito di realizzare un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretrato delle sentenze di condanna da eseguire nei confronti di imputati liberi. Previste le assunzioni a tempo determinato di durata annuale di 800 unità .

    L’ultimo articolo infine prevede l’impiego di altri 500 militari a Napoli in occasione delle #Universiadi.

    Fonti del M5s hanno commentato: «Salvini copre così il fallimento sui rimpatri». Secondo altre fonti «c’è fortissima preoccupazione che il ministro dell’Interno si spinga sempre più su temi estremisti».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/10/news/ecco_il_decreto_sicurezza-bis_pene_piu_pesanti_per_i_trafficanti_di_uomin
    #decreto_sicurezza #décret #Italie #Salvini #migrations #réfugiés #Méditerranée #amende #sauvetage #mourir_en_mer #ONG #eaux_territoriales #eaux_internationales #frontières #militarisation_des_frontières

    • Message d’@isskein via la mailing-list Migreurop.
      Chronique 9-10 mai 2019 en Méditerranée :

      9 mai Le Mare Jonio (Mediterranea Saving Humains, RescueMed) sauve 29 passagers (1 enfant de 1 an, 3 femmes dont une enceinte) d’un bateau pneumatique endommagé dans les eaux internationales, à 40 miles des côtes libyennes. Ils demandent un port sûr au centre de coordination italien, le ministère de l’Intérieur leur enjoint de contacter les gardes-côtes libyens...

      10 mai Le Mare Ionio accoste à Lampedusa, les 29 rescapés débarquent. 20h45, la « saisie préventive » du MareJonio, réclamée depuis le matin par l’Intérieur, a été notifiée. Le capitaine Pietro Marrone et Luca Casarini, chef de mission du #Mare_Jonio, font l’objet d’une enquête pour facilitation de l’immigration clandestine

      10 mai le navire militaire italien #Cigala_Fulgosi débarque dans le port d’Augusta (Sicile) 36 migrants secourus sur une embarcation à la dérive

      10 mai Au moins 70 personnes disparues dans un naufrage au large des côtes tunisiennes

      Il n’y a aujourd’hui plus aucun navire d’ONG en Méditerranée centrale.

      Sur le #naufrage au large de la #Tunisie, v. plus ici :
      https://seenthis.net/messages/780298

    • Dl sicurezza bis, cosa prevede il decreto che introduce multe da 5.500 euro a chi salva i migranti

      Il Ministero dell’Interno nella serata del 10 maggio 2019 ha messo a punto il “decreto sicurezza bis”, che prevede multe per chi soccorre i migranti, ma non solo.

      Il decreto si compone di 12 articoli.

      Il nucleo centrale prevede l’inasprimento delle misure contro i trafficanti di esseri umani e il potenziamento delle operazioni sotto copertura per contrastare l’immigrazione clandestina.

      Qui abbiamo spiegato cosa prevede il decreto sicurezza bis, punto per punto:
      Multe per chi soccorre i migranti

      L’articolo 1 del decreto sicurezza bis prevede che chi, nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetta gli obblighi previsti dalle Convenzioni internazionali – con particolare riferimento alle istruzioni operative delle autorità SAR competenti o di quelle dello Stato di bandiera può incorrere in una “sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 3.500 a 5.500 euro per ciascuno degli stranieri trasportati”.

      Nei casi “più gravi o reiterati è disposta la sospensione da 1 a 12 mesi, ovvero la revoca della licenza, autorizzazione o concessione rilasciata dall’autorità amministrativa italiana inerente all’attività svolta e al mezzo di trasporto utilizzato”.
      Modifiche al codice della navigazione

      L’articolo 2 del decreto sicurezza bis prevede alcune modifiche al codice della navigazione, e nello specifico viene attribuito al ministro dell’Interno il potere di “limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili o unità da diporto o di pesca nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica e comunque in caso di violazione” di alcune delle disposizioni della Convenzione di Montego Bay.
      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

      All’articolo 3 il decreto sicurezza bis vuole contrastare a monte l’organizzazione dei trasporti di migranti irregolari. I reati associstende ai
      Finanziamento da 3 milioni per le forze dell’ordine

      Il decreto sicurezza bis all’articolo 4 prevede lo stanziamento di 3 milioni di euro nel triennio 2019-2021 per il finanziamento degli “oneri conseguenti al concorso di operatori di polizia di Stati con i quali siano stati stipulati appositi accordi” per lo svolgimento di operazioni sotto copertura “anche con riferimento alle attività di contrasto del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
      Universiadi

      Tra le novità del decreto sicurezza bis c’è l’arrivo di 500 militari in più a Napoli in vista delle Universiadi 2019.
      Inasprimento delle sanzioni per i reati di devastazione

      L’articolo 5 del decreto sicurezza bis interviene sul Tulps, il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, inasprendo le sanzioni conseguenti ai reati di devastazione, saccheggio e danneggiamento, commessi nel corso di riunioni effettuate in luogo pubblico o aperto al pubblico.

      Inoltre, prevede espressamente l’obbligo di comunicazione immediata, non oltre le 24 ore, all’autorità di pubblica sicurezza delle generalità delle persone ospitate in alberghi o in altre strutture ricettive.

      Tutela degli operatori delle forze dell’0rdine

      L’articolo 6 del decreto sicurezza bis prevede maggiori tutele per gli operatori delle forze dell’ordine impiegati in servizio di ordine pubblico, attraverso l’introduzione di nuove fattispecie delittuose. Il decreto inoltre trasforma quelle che attualmente sono contravvenzioni in delitti e prevede inoltre l’inasprimento delle sanzioni.

      Ad esempio, “chiunque nel corso di manifestazioni.. per opporsi a pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio.. utilizza scudi o altri oggetti di protezione passiva ovvero materiali imbrattanti o inquinanti è punito con la reclusione da 1 a 3 anni”.

      Ovvero, “chiunque lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile… ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti è punito con la reclusione da 1 a 4 anni”.
      Commissario straordinario e assunzione di 800 persone

      L’articolo 8 del decreto sicurezza bis prevede l’istituzione di un commissario straordinario e l’assunzione di 800 persone con impegno di spesa per oltre 25 milioni di euro: permetterà di notificare sentenze ai condannati attualmente in libertà e garantire così l’effettività della pena. Inasprite anche le misure per chi aggredisce operatori delle forze dell’ordine.

      Il commissario straordinario, nominato dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Interno, ha il compito di realizzare un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretrato relativo ai procedimenti di esecuzione delle sentenze di condanna divenute definitive da eseguire nei confronti di imputati liberi.

      https://www.tpi.it/2019/05/10/decreto-sicurezza-bis-cosa-prevede

    • Decreto sicurezza bis, ennesima proposta in contrasto con i principi fondamentali

      Nelle stesse ore in cui apprendevamo dell’ennesima strage avvenuta nel Mare Mediterraneo a causa delle politiche di chiusura ed esternalizzazione dell’Italia e dell’Unione europea, i mass media hanno anticipato i contenuti di un possibile nuovo decreto d’urgenza proposto dal Ministero dell’Interno che dovrebbe andare nuovamente a modificare alcune delle norme sulla disciplina dell’immigrazione in Italia.

      Il testo appare essere l’ennesimo stravolgimento dei fondamentali principi di diritto internazionale e un ulteriore contributo alla politica posta in essere da questo Governo, così come da quello precedente, finalizzata a colpire coloro, specialmente organizzazioni non governative di chiara fama, che non vollero ubbidire alla regolamentazione della salvaguardia del diritto alla vita.

      Tra esse la previsione di nuove sanzioni (ed addirittura la sospensione o la revoca della licenza alla navigazione) a carico di chi a certe condizioni ponga in essere “azioni di soccorso di mezzi adibiti alla navigazione ed utilizzati per il trasporto irregolare di migranti, anche mediante il recupero delle persone”. Ovvero sanzioni per chi, nell’adempimento di un dovere etico, giuridico e sociale, salva vite umane altrimenti destinate alla morte.

      Nonostante i gravi dissidi istituzionali determinati dall’ultimo Governo Conte e dalle politiche dell’attuale Ministro dell’Interno, con l’attuale ipotesi di decreto legge (a cui sono evidenti a tutti la mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza), si persegue pervicacemente nella strada intrapresa e, addirittura, si decide di portare la guerra agli esseri umani anche in acque internazionali sbeffeggiando le convenzioni internazionali in materia di ricerca e soccorso in mare.

      Riservandoci una compiuta analisi normativa se e quando (malauguratamente) quel testo dovesse prendere formalmente vita, riteniamo doveroso evidenziare che :

      sino ad oggi la magistratura italiana ha ritenuto che le operazioni di salvataggio in mare da parte di navi private sono state svolte per adempiere a precisi obblighi internazionali e per rispondere ad evidenti condizioni di necessità

      La situazione generatasi in Libia nel corso degli ultimi anni è degenerata ulteriormente nelle ultime settimane impone di intervenire per salvare la vita dei civili e dei migranti presenti nel Paese e di interrompere le politiche di sostegno alla Libia relative alle operazioni della Guardia costiera libica

      Salvare vite in mare è un dovere che risponde a precisi obblighi umanitari e non può e non dovrà mai essere considerato un crimine.

      Prendere posizione contro questo ennesimo attacco al rispetto della vita umana, ai diritti e alle libertà fondamentali è un dovere a cui non è più possibile sottrarsi.

      https://www.asgi.it/primo-piano/decreto-sicurezza-bis-ennesima-proposta-in-contrasto-con-i-principi-fondamental

    • Il teorema #Zuccaro sulle ong è fallito

      Il giudice per le indagini preliminari (gip) di Catania, #Nunzio_Sarpietro, ha accolto la richiesta di archiviazione della procura di Catania per l’inchiesta a carico del comandante della nave umanitaria Open Arms Marc Reig e della capomissione Anabel Montes Mier, accusati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in seguito al salvataggio di più di duecento persone, il 15 marzo 2018, al largo della Libia. Durante l’operazione la nave umanitaria si era trovata a dover affrontare momenti di tensione con una motovedetta libica, che rivendicava il coordinamento delle operazioni.

      In quell’occasione gli spagnoli si erano rifiutati di consegnare ai guardacoste libici i migranti appena soccorsi e per questo, dopo essere approdati nel porto di Pozzallo, erano stati accusati di diversi reati e la loro nave era stata sequestrata. Con l’archiviazione di questa inchiesta, cade uno degli ultimi pilastri del cosiddetto “teorema Zuccaro”, la tesi sostenuta dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro secondo cui ci sarebbero stati dei contatti tra le navi delle ong e i trafficanti di esseri umani. Resta aperta, invece, l’inchiesta della procura di Ragusa contro Reig e Montes Mier accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata per lo stesso caso. Rimane aperta anche l’inchiesta della procura di Trapani contro la nave Iuventa dell’ong Jugend Rettet, sequestrata nell’agosto del 2017. Il gip dovrebbe decidere l’eventuale rinvio a giudizio nelle prossime settimane.

      “Siamo felici di apprendere che un ulteriore passo verso la verità è stato fatto”, ha commentato l’organizzazione spagnola Proactiva Open Arms in un comunicato. “Ribadiamo di aver sempre operato nel rispetto delle convenzioni internazionali e del diritto del mare e che continueremo a farlo mossi da un unico obiettivo: difendere la vita e i diritti delle persone più vulnerabili”. L’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro chiarisce di non aver ancora preso visione delle motivazioni che hanno spinto la stessa procura di Catania a chiedere l’archiviazione. “Dal 3 maggio 2019 sapevamo però che il gip aveva archiviato questa indagine”, conferma Lo Faro.

      Già nel marzo del 2018 lo stesso gip Sarpietro aveva confermato il sequestro della nave, ma aveva escluso il reato di associazione a delinquere contro il capitano Marc Reig e la coordinatrice dei soccorsi Anabel Montes Mier, lasciando in piedi invece l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Questo elemento aveva fatto decadere la competenza territoriale del tribunale di Catania che ha una specifica autorità per i reati associativi e aveva fatto intervenire il tribunale di Ragusa, che deve ancora esprimersi in merito all’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata.

      In questo caso giudiziario è stata particolarmente importate la decisione del gip di Ragusa nell’aprile del 2018 di dissequestrare la nave, ferma nel porto di Pozzallo per un mese dopo il salvataggio. Nel decreto di dissequestro infatti il gip di Ragusa Giovanni Giampiccolo aveva riconosciuto lo stato di necessità nel quale era avvenuto il salvataggio e aveva inoltre stabilito che la Libia non è un posto sicuro in cui portare le persone soccorse in mare. Il giudice Giampiccolo ha riconosciuto che la Libia è “un luogo in cui avvengono gravi violazioni dei diritti umani (con persone trattenute in strutture di detenzione in condizioni di sovraffollamento, senza accesso a cure mediche e a un’adeguata alimentazione, e sottoposte a maltrattamenti e stupri e lavori forzati)”.

      “Quella decisione ha fatto scuola”, sottolinea l’avvocata Lo Faro. Da quel momento infatti non sono stati più disposti sequestri preventivi, ma solo sequestri probatori.

      Le indagini della procura di Catania
      Una figura centrale in questa vicenda è stato il procuratore generale di Catania Carmelo Zuccaro, alla guida della procura della città siciliana dal 2016. Dopo aver annunciato l’apertura di un fascicolo d’indagine conoscitivo sull’attività di queste organizzazioni, nella primavera del 2017 aveva rilasciato numerose interviste ai mezzi d’informazione italiani e stranieri. Il 22 marzo 2017 il pm era anche intervenuto in un’audizione al comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen dichiarando di aver aperto delle indagini sui profitti delle ong e affermando di ritenere sospetto il “proliferare così intenso di queste unità navali”.

      “Noi riteniamo ci si debba porre il problema di capire da dove provenga il denaro che alimenta, che finanzia questi costi elevati. Da questo punto di vista, la successiva fase della nostra indagine conoscitiva sarà quella di capire quali siano i canali di finanziamento”. In quell’occasione aggiungeva di trovare “anomalo” che le navi non approdassero nel porto più vicino, bensì nei porti italiani, e sosteneva che ci fosse un rapporto tra la presenza delle navi umanitarie e l’aumento del numero dei morti. L’altra questione che il procuratore sollevava era quella della necessità della presenza a bordo delle navi di poliziotti e autorità giudiziarie impegnate nel contrasto al traffico di esseri umani. Questo è stato un tema caro ai magistrati, perché il materiale raccolto dalla polizia giudiziaria nel periodo della missione umanitaria Mare nostrum aveva aiutato le procure a condurre diverse indagini contro i trafficanti.

      La stessa preoccupazione ha ispirato anche uno dei punti del codice di condotta voluto dal ministro dell’interno Marco Minniti. Dal 2013 la procura di Catania si era trasformata nell’epicentro delle indagini sul traffico di esseri umani nel Mediterraneo, grazie proprio alla missione Mare nostrum. Prima i barconi con i migranti si spingevano sotto costa e arrivavano a Lampedusa, l’isola italiana più vicina alla Tunisia, oppure sulla parte occidentale della Sicilia, nella provincia di Trapani, che in linea d’aria è più raggiungibile dalle spiagge nordafricane. Ma in quello stesso periodo la marina militare e la guardia costiera italiana avevano cominciato a effettuare soccorsi in alto mare, nel canale di Sicilia, e poi nelle acque internazionali davanti alle coste libiche, quindi diversi porti siciliani, soprattutto quelli orientali come Catania, erano stati coinvolti negli sbarchi.

      Anche per questo Zuccaro si diceva preoccupato del grado di collaborazione tra le ong e la polizia giudiziaria: “Vogliamo cercare di capire se da parte di queste ong vi è comunque quella doverosa collaborazione che si deve prestare alle autorità di polizia e alle autorità giudiziarie al momento in cui si pongono in contatto con l’autorità giudiziaria italiana”. In questa prima audizione per il procuratore di Catania risultano sospetti soprattutto i finanziamenti che le ong ricevono, mentre in diverse interviste successive si concentra sui presunti contatti tra i trafficanti e le navi.

      Circa un mese dopo, durante la trasmissione Agorà su Rai 3, il pm si spinge oltre, affermando che l’obiettivo delle navi umanitarie potrebbe essere quello di destabilizzare l’economia: “A mio avviso alcune ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti, sono a conoscenza di contatti. Forse la cosa potrebbe essere ancora più inquietante. Si perseguono da parte di alcune ong finalità diverse: destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”.

      Accuse a cui il governo, tramite i ministri dell’interno Marco Minniti e quello della giustizia Andrea Orlando, reagiva con fermezza, chiedendo le prove. Zuccaro rispondeva di “avere denunciato un fenomeno e non singole persone”, perché se “si aspetta troppo tempo si rischia di produrre elementi deleteri non più controllabili”. Parlava di “deroga” al riserbo, ma anche di “un dovere per chi deve fare rispettare la legalità”. In un’intervista con la Repubblica del 28 aprile 2017, il procuratore afferma però una cosa nuova: finalmente ha “la certezza” dei contatti tra le ong e i trafficanti, ma si tratta di materiale non utilizzabile in sede giudiziaria. Si parla di tabulati telefonici e conversazioni nelle mani dell’intelligence. Zuccaro si dice certo di un rapporto di complicità tra le ong e gli scafisti.

      Per due mesi nella primavera del 2017 il procuratore è molto presente sui mezzi d’informazione nazionali e internazionali con dichiarazioni di questo tenore, in tanti lo accusano di violare il segreto istruttorio e di produrre affermazioni che hanno un valore più politico che giudiziario. Mentre Zuccaro concede le sue interviste è aperta un’indagine conoscitiva sulle ong della Commissione difesa del senato, guidata dal senatore Nicola La Torre. Interpellato dalla commissione parlamentare, il generale Stefano Screpanti, capo del III Reparto operazioni del comando generale della guardia di finanza, smentisce le affermazioni del procuratore capo di Catania: “Allo stato attuale delle nostre conoscenze, non ci sono evidenze investigative tali da far emergere collegamenti tra ong e organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti”.

      Dopo due anni d’indagini, il 13 agosto 2018 l’inchiesta “madre” di Zuccaro (che intanto aveva ipotizzato anche il reato di associazione a delinquere) è avviata all’archiviazione, nel caso Open Arms viene archiviata l’accusa di “associazione a delinquere”, ma ormai la campagna di discredito ai danni delle ong ha fatto il suo corso e le dichiarazioni del pm hanno influenzato in maniera irreversibile l’opinione pubblica italiana, che considera “accertati” i contatti tra ong e scafisti, in barba a qualsiasi garantismo.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/05/15/amp/open-arms-zuccaro-ong?__twitter_impression=true

    • Des migrants débarqués à Lampedusa, Salvini furieux

      Quarante-sept migrants ont été débarqués dimanche soir à Lampedusa, une île au sud de la Sicile, après la saisie sur ordre de justice de leur bateau de sauvetage, provoquant la colère du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini.

      Le navire affrété par l’ONG allemande Sea-Watch battant pavillon néerlandais, qui stationnait dans les eaux italiennes tout près de l’île de #Lampedusa, a été saisi dans la journée par la police financière italienne sur ordre d’un procureur de Sicile.

      Puis, les migrants à bord ont été transférés par moto-vedettes vers la terre ferme en fin de soirée. Une décision que M. Salvini —également vice-Premier ministre et chef de la Ligue (extrême-droite)— a semblé découvrir en temps réel à la télévision, l’amenant à demander qui au gouvernement avait pu prendre une telle décision contre son avis formel.

      Déjà à couteaux tirés avec lui, son partenaire gouvernemental du Mouvement 5 étoiles, Luigi Di Maio, a rétorqué qu’il n’acceptait pas ses insinuations, rappelant qu’il était obligatoire de faire débarquer les passagers d’un bateau saisi par la justice.

      Parallèlement à ce nouveau couac gouvernemental en pleine campagne pour les élections européennes, des échauffourées ont eu lieu dimanche soir à Florence (centre) entre forces de l’ordre et 2.000 personnes venues protester contre la présence de M. Salvini qui tenait un meeting politique dans la ville.

      Dimanche, le chef de Ligue avait jugé risibles les critiques du Haut-Commissariat aux droits de l’Homme (HCDH) de l’ONU contre un projet visant à durcir la législation anti-migratoire en Italie.

      L’ONU, « un organisme international qui coûte des milliards d’euros aux contribuables, qui a comme membres la Corée du Nord et la Turquie, et qui vient faire la morale sur les droits de l’Homme à l’Italie ? (...) Cela prête à rire », a commenté M. Salvini.

      Un projet de décret-loi, qui pourrait être soumis lundi au conseil des ministres, propose de donner au ministre de l’Intérieur le pouvoir d’interdire les eaux territoriales italiennes à un navire pour des raisons d’ordre public.

      Le texte prévoit aussi une amende de 3.500 à 5.500 euros par migrant arrivé en Italie pour tout navire de secours n’ayant pas respecté les consignes des garde-côtes compétents dans la zone où il serait intervenu.

      Dans sa lettre envoyée au ministère italien des Affaires étrangères, le HCDH demande à l’Italie de ne pas approuver ce nouveau décret-loi.

      https://www.courrierinternational.com/depeche/des-migrants-debarques-lampedusa-salvini-furieux.afp.com.2019

    • Sea Watch, sbarcati i migranti. Salvini accusa i M5s: «Chi ha dato l’ordine?». Di Maio: «Non dia la colpa a noi»

      Sequestrata la nave Ong. Il ministero dell’Interno: i migranti non scenderanno. Ma il pm ordina che vengano portati sull’isola. E scoppia lo scontro tra i partner di governo. I primi a scendere una donna incinta e suo marito.
      La prima è una donna incinta, sorretta dal marito. A piedi nudi. Poi via via, tutti gli altri. Sorrisi, abbracci e saluti. Sono scesi tutti. Nonostante Salvini. “Fino a quando sono ministro io quella nave in un porto italiano non entra e non sbarca nessuno”, aveva garantito il ministro dell’Interno quando la Sea Watch 3 aveva ignorato la sua diffida e si era presentata davanti al porto di Lampedusa ottenendo l’autorizzazione all’ancoraggio alla fonda.

      Ventiquattro ore dopo, i 47 migranti rimasti a bordo della nave della Ong tedesca sono scesi a terra. Sequestro della nave d’iniziativa della Guardia di finanza, perquisizione e contestuale sbarco di tutti i migranti. Lo stesso “modello” già seguito per due volte per sbloccare i precedenti soccorsi della Mare Jonio, rimasta sequestrata per alcuni giorni e poi sempre liberata dai pm di Agrigento. Che questa volta si sono mossi di concerto con la Guardia di finanza forzando la mano ad un inferocito Salvini, incredulo di essere smentito proprio alla vigilia di quel consiglio dei ministri in cui intende portare all’approvazione il suo contestatissimo decreto sicurezza-bis.

      Un braccio di ferro senza precedenti quello tra la Procura di Agrigento e la Guardia di finanza da una parte e il Viminale dall’altro, conclusosi alle otto di sera quando due motovedette, dopo aver notificato al comandante della Sea Watch i decreti di sequestro e perquisizione firmati dal procuratore aggiunto Salvatore Vella che per tutto il weekend ha seguito personalmente sull’isola l’evolversi della vicenda, hanno scortato in porto la nave umanitaria.

      L’accelerazione nel primo pomeriggio quando il comandante Arturo Centore fa sapere alla Guardia costiera che la situazione a bordo è di assoluta emergenza. Alcuni migranti hanno indossato il giubbotto di salvataggio e minacciano di buttarsi a mare. “Se entro le nove di sera la situazione non si sblocca, levo l’ancora ed entro direttamente in porto”, annuncia il comandante della Sea Watch.

      A quel punto Guardia di finanza, guardia costiera e Procura decidono di notificare i sequestri e far sbarcare tutti. Anche contro il volere del Viminale.

      Salvini, che già poche ore prima, in un comizio a Sassuolo aveva attaccato a testa bassa “una procura e un giudice che invece di indagare gli scafisti indaga me”, incassa malissimo il colpo e ancor prima che la Sea Watch attracchi al molo di Lampedusa mette le mani avanti e sottolinea che lo sbarco avviene contro la sua volontà. “La magistratura faccia come crede ma il Viminale continua e continuerà a negare lo sbarco da quella nave fuorilegge. Il ministro dell’Interno si aspetta provvedimenti nei confronti del comandante della nave dal quale è lecito attendersi indicazioni precise sui presunti scafisti presenti a bordo”.

      Alle otto di sera, quando i 47 migranti toccano terra e vengono portati nell’hotspot di contrada Imbriacola, una nota firmata dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio (il pm del caso Diciotti che per primo ha contestato a Salvini il sequestro di persona) spiega la “ratio” della scelta degli inquirenti: “Il sequestro probatorio è stato eseguito per violazione dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione ponendo la nave a disposizione di questa procura che ne ha disposto, previo sbarco dei migranti, il trasferimento sotto scorta nel porto di Licata. Le indagini proseguiranno sia per l’individuazione degli eventuali trafficanti di esseri umani coinvolti sia per la valutazione della condotta della Ong”. Come sempre. A sbarco avvenuto, quando anche l’ultimo migrante era già sceso a terra, Salvini ricara: «Per me possono stare lì fino a ferragosto. Gli porto da mangiare e da bere ma stanno lì». E al procuratore di Agrigento: «E’ quello che mi ha indagato per sequestro di persona. Se li farà sbarcare, ne prenderò atto e valuteremo nei suoi confronti il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».
      Salvini attacca i 5s: «Chi ha dato l’ordine?»
      Matteo Salvini ha assistito in diretta tv allo sbarco dei migranti dalla nave Sea Watch 3, ospite in studio su La7. «Qualcuno l’ordine lo avrà dato. Questo qualcuno ne dovrà rispondere», si irrita il ministro. Il M5s fa sapere a stretto giro che non sono stati i suoi ministri. Ma Salvini insiste: «Chi è che li ha autorizzati a
      sbarcare? Io no, non ho autorizzato niente, deve essere qualcun altro. Io sorrido ma è grave. Perché siamo un Paese sovrano con leggi, regole, una storia e nessuna associazione privata se ne può disinteressare. Qualcuno quell’ordine lo avrà dato. Questo qualcuno ne deve rispondere».

      Il vicepremier Luigi Di Maio prende le distanze parlando A che tempo che fa: «Il sequestro lo esegue la magistratura quindi non credo sia un espediente» per far sbarcare i migranti a bordo «perché la magistratura è indipendente dal governo. Quando arrivano qui contattiamo i Paesi Ue e chiediamo la redistribuzione. Io credo che la politica delle redistribuzioni è l’unica strada che abbiamo per fronteggiare il fenomeno. Poi c’è il tema dei rimpatri che si devono fare. La Chiesa Valdese stamattina ha lanciato una disponibilità, lavoriamo nel senso della redistribuzione» e «non scontriamoci con la magistratura, tutte queste tensioni non fanno bene al Paese».

      E dopo le accusa di Salvini replica: «Non accetto che il ministro dell’Interno dice che se stanno sbarcando dalla Sea Watch è perché i ministri 5 Stelle hanno aperto i porti. La nave è stata sequestrata dalla magistratura e, quando c’è un sequestro, si fanno sbarcare obbligatoriamente le persone a bordo».

      Duro anche il ministro Danilo Toninelli: «Salvini, se ha qualcosa da dirmi, me la dica in faccia. Non parli a sproposito del sottoscritto in tv. È evidente che l’epilogo della vicenda è legato al sequestro della nave da parte della magistratura, non serve un esperto per capirlo. Magari il ministro dell’Interno si informi prima di parlare. E trovi soluzioni vere sui rimpatri, non ancora avviati da quando è il responsabile della sicurezza nazionale».
      Lo sbarco per Salvini è una sconfitta politica
      Comunque la si guardi, la conclusione del braccio di ferro per Salvini è una sonora sconfitta che il ministro dell’Interno cerca di capitalizzare puntando tutte le sue carte su quel decreto sicurezza-bis che l’Onu chiede di ritirare ritenendolo una “violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali”.

      Dopo aver irriso la lettera dell’alto Commissariato dell’Onu invitandolo ad occuparsi “dell’emergenza umanitaria in Venezuela anziché fare campagna elettorale in Italia”, Salvini ribadisce: "Resta un tema fondamentale: la difesa dei confini nazionali e l’ingresso in Italia di un gruppo di sconosciuti dev’essere una decisione della politica (espressione della volontà popolare) o di magistrati e Ong straniere? La vicenda Sea Watch 3 conferma una volta di più l’urgenza di approvare il decreto sicurezza bis già nel Consiglio dei ministri di domani per rafforzare gli strumenti del governo per combattere i trafficanti di uomini e chi fa affari con loro”.

      I 47 migranti sbarcati aspettano adesso di conoscere il loro destino. Le chiese evangeliche hanno dato la loro piena disponibilità ad accoglierli tutti nelle loro comunità in Italia ma anche all’estero.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/19/news/via_libera_per_la_sea_watch_puo_attraccare_a_lampedusa-226674239

    • Italy: UN experts condemn bill to fine migrant rescuers

      UN human rights experts* have condemned a proposed draft decree by Italy’s interior minister, Matteo Salvini, to fine those who rescue migrants and refugees at sea, and urged the Government to halt its approval.

      “The right to life and the principle of non-refoulement should always prevail over national legislation or other measures purportedly adopted in the name of national security,” said the independent experts, who conveyed their concerns about the decree in a formal letter to the Italian Government.

      “We urge authorities to stop endangering the lives of migrants, including asylum seekers and victims of trafficking in persons, by invoking the fight against traffickers. This approach is misleading and is not in line with both general international law and international human rights law. Instead, restrictive migration policies contribute to exacerbating migrants’ vulnerabilities and only serve to increase trafficking in persons.”

      Earlier this month, Mr. Salvini announced a proposal to issue a decree that would fine vessels for every person rescued at sea and taken to Italian territory. NGO and other boats that rescued migrants could also have their licences revoked or suspended.

      The UN experts said that, should the decree – yet to be approved by the government – enter into force, it would seriously undermine the human rights of migrants, including asylum seekers, as well as victims of torture, of trafficking in persons and of other serious human rights abuses.

      They also asked for the withdrawal of two previous Directives banning NGO vessels rescuing migrants off Libya’s coasts from accessing Italian ports. In particular, the second Directive singled out the Italian ship Mare Jonio for helping those at sea.

      Declaring that Libyan ports were “able to provide migrants with adequate logistical and medical assistance” was particularly alarming, the experts said, especially given reports that Libyan coastguards had committed multiple human rights violations, including collusion with traffickers’ networks and deliberately sinking boats.

      The experts said any measure against humanitarian actors should be halted. “We are deeply concerned about the accusations brought against the Mare Jonio vessel, which have not been confirmed by any competent judicial authority. We believe that this represents yet another political attempt to criminalise humanitarian actors delivering life-saving services that are indispensable to protect humans’ lives and dignity.”

      The UN experts said Italian authorities had failed to properly consider several international norms, such as article 98 of the UN Convention on the Law of the Sea, on the duty to help any person in danger at sea. “Article 98 is considered customary law. It applies to all maritime zones and to all persons in distress, without discrimination, as well as to all ships, including private and NGO vessels under a State flag,” they said.

      The Directives stigmatize migrants as “possible terrorists, traffickers and smugglers”, without providing evidence, the experts said. “We are concerned that this type of rhetoric will further increase the climate of hatred and xenophobia, as previously highlighted in another letter to which the Italian Government is also yet to reply.”

      The experts have contacted the Government about their concerns and await a reply. A copy of the letter has also been shared with Libya and the European Union.

      https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=24628&LangID=E

    • Des ONG accusent la marine italienne de ne pas avoir porté assistance à des migrants en détresse

      L’ONG allemande Sea-Watch et le collectif Mediterranea accusent un navire de la marine italienne d’être resté à distance d’une embarcation de migrants en détresse au large des côtes libyennes, alors qu’il ne se trouvait qu’à plusieurs dizaines de kilomètres. Les 80 personnes en difficulté ont finalement été interceptées par les garde-côtes libyens et renvoyées en Libye.

      « Le navire P492 Bettica de la marine italienne est à proximité d’un canot pneumatique en détresse avec environ 80 personnes à son bord mais il n’intervient pas ». Ce message a été posté sur Twitter jeudi 23 mai en début d’après-midi par l’ONG Sea-Watch qui alerte sur la présence d’une embarcation dans les eaux internationales, au large de la Libye. C’est son avion de secours, le Moonbird, qui a repéré le canot en difficulté. « Notre avion a envoyé un message de détresse et a confirmé que des personnes sont accrochées à l’embarcation qui est en train de se dégonfler », continue l’ONG allemande.
      https://twitter.com/SeaWatchItaly/status/1131652854006067200?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

      Un peu plus tôt, Alarm Phone, la plateforme téléphonique qui vient en aide aux migrants en mer, avait donné l’alerte sur les réseaux sociaux. « Depuis 12h40, nous sommes en contact avec un bateau en détresse en Méditerranée centrale […]. L’eau entre dans le bateau. Nous avons transmis leur position au MRCC de Rome. Nous demandons une opération de sauvetage rapide ».

      Selon les ONG, la marine italienne n’est pas loin de l’embarcation. Elle ne serait pas intervenue.

      Un tweet de la marine italienne confirme, en effet, sa présence dans la zone, à 80 km du canot en difficulté. « Nous envoyons notre propre hélicoptère pour soutenir le Colibri [également sur zone, ndlr] », écrit la marine italienne sur le réseau social. « Avec un hélicoptère de la région, nous avons vérifié que les migrants ont été récupérés par un bateau de la patrouille libyenne ».

      « Le gouvernement sera responsable de ses actes »

      Seulement voilà, les ONG accusent ainsi les Italiens d’être « restés à distance » sciemment, pour laisser « le champ libre » aux garde-côtes libyens. « Encore un refoulement par procuration en Méditerranée centrale » a réagi Alarm Phone. « L’UE continue de violer le droit international, d’ignorer les bateaux en détresse et de repousser les gens en zone de guerre ».

      https://twitter.com/alarm_phone/status/1131612656341852161?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

      Des accusations qui inquiètent plusieurs personnalités politiques en Italie. « Si c’est vrai, ce serait très grave car il est absolument impensable que des hommes, des femmes et des enfants soient renvoyés dans cet enfer qu’est la Libye », a déclaré le sénateur du mouvement 5 étoiles (M5S) Gregorio De Falco, également officier de la marine.

      Même son de cloche chez Massimiliano Smeriglio, candidat du Parti démocrate aux élections européennes. « Nous ne pouvons pas croire qu’’un navire de notre marine, qui a accompli tant de missions de secours international, peut apporter son aide sans intervenir dans une tragédie. Intervenez sans délai sans quoi le gouvernement sera responsable de ses actes », a-t-il insisté.
      Début mai, un navire militaire italien avait subi les foudres du ministre de l’Intérieur après avoir secouru des migrants en mer sans avoir attendu les garde-côtes. Matteo Salvini refuse systématiquement le débarquement des migrants sur le sol italien.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17114/des-ong-accusent-la-marine-italienne-de-ne-pas-avoir-porte-assistance-

    • Dl sicurezza bis, I pescatori continueranno a salvare i migranti

      Michele e Salvatore Casciaro, padre e figlio, sono pescatori di Novaglie, Salento. Salvatore assiste alla tragedia dei migranti nel canale d’Otranto sin dal grande esodo degli albanesi negli anni Novanta. E da allora partecipa con la propria imbarcazione alle operazioni di soccorso e salvataggio dei naufraghi. Oggi i flussi principali provengono dal nord africa. Nell’ultimo salvataggio ha salvato con il figlio Michele una somala che altrimenti sarebbe annegata. Ma con il decreto sicurezza bis, continueranno a salvare i naufraghi o si volteranno dall’altra parte? (M. Tota)

      http://www.la7.it/tagada/video/dl-sicurezza-bis-i-pescatori-continueranno-a-salvare-i-migranti-21-05-2019-27242
      #pêcheurs

    • Il cambio di rotta di un Paese che perde l’onore
      Finora la Marina militare aveva sempre risposto alle chiamate di

      naufraghi in difficoltà.

      OGGI le cose in Italia non sono facili e quindi è proprio oggi che dobbiamo amare il nostro Paese, rispettarlo, dobbiamo dialogare, confrontarci, litigare sapendo che il suolo che calpestiamo ci restituirà solo ciò che avremo seminato e curato. Ogni parola è un seme, ogni ragionamento è un seme e noi italiani restiamo quello che siamo sempre stati: persone fatte di terra e mare. Conosciamo il mare, gabbia e occasione, limite e infinito, siamo uomini e donne di mare. Ecco perché, quando già l’Europa trattava l’immigrazione come un problema, l’Italia continuava a salvare vite in mare. E le salvava perché un uomo, una donna, un bambino che dall’Africa prendono il mare per venire in Italia, se in pericolo, non sono migranti, ma naufraghi. È la legge eterna del mare: ogni naufrago va tratto in salvo. Sempre.

      Qualcuno mi dira’, non possiamo salvarli tutti noi. Se nessun altro li salva, vi rispondo, allora li salveremo noi! Esistono le Zone Sar (Search and Rescue, ovvero “ricerca e salvataggio”) di competenza dei diversi paesi, perché dovremmo farci carico di recuperare i naufraghi anche laddove non sarebbe di nostra competenza? Perché per prima cosa dobbiamo rispettare la vita umana, è una regola universale alla quale se ci sottraiamo iniziamo a modificarci. Lasciare che una persona anneghi significa perdere qualsiasi cosa abbiamo raggiunto. Empatia, leggi, diritti, morale, convivenza. Perdiamo tutto. Non è sentimentalismo, è misura di ciò che sta accadendo. Non possiamo sottrarci dal salvare le persone in mare perché ogni vita perduta, quando poteva essere salvata, è sofferenza che si moltiplica, è odio. E l’odio diventa rancore, e il rancore vendetta.

      Ma non possiamo accoglierli tutti, mi direte. Manca il lavoro per noi, come possiamo farci carico di centinaia di migliaia di persone in cerca di un futuro migliore? Ma noi non dobbiamo accoglierli tutti: noi dobbiamo salvarli tutti, è nostro dovere farlo. Non facciamoci fregare dalla propaganda: salvare e accogliere sono due cose diverse, due momenti diversi che possono e devono essere gestiti in maniera diversa. Il salvataggio risponde a una necessità immediata, non c’è tempo per la strategia. L’accoglienza viene dopo e su quella si può discutere e cambiare passo, ma senza mettere in dubbio la necessità di salvare. Anzi, direi, senza mettere in discussione il diritto che noi italiani abbiamo, il privilegio che viviamo nel salvare vite umane. Salvare vite è come donare vita, come è accaduto che lo abbiamo dimenticato? Qualcuno oggi pensa di poter girare la faccia davanti a queste storie, pensa che tutto sommato la quotidianità sia già così difficile che non serve complicarsi la vita con questo strazio; non invidio queste persone perché per loro il risveglio sarà ancora più duro. E non le invidio perché non sanno quanto l’Italia abbia fatto la differenza, perché non sanno che l’Italia non ha mai girato le spalle a chi, in pericolo, chiedeva aiuto.

      Mi sono sentito orgoglioso di essere italiano quando ho visto il lavoro titanico che la Marina militare italiana ha sempre fatto, prima da sola, poi con l’Europa ma da capofila, poi insieme alle Ong, poi di nuovo da sola. Sono orgoglioso dei pescatori italiani che, nonostante andassero incontro a sanzioni gravose e al sequestro delle loro imbarcazioni che sono per loro sopravvivenza stessa, hanno sempre obbedito alla legge del mare, quella legge che impone di prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo tra le onde, a qualunque costo e senza pensare alle conseguenze. “Noi gente in mare non l’abbiamo lassata mai!”: questo era il principio dei pescatori lampedusani e a questo principio non si sono sottratti; se l’avessero fatto, avrebbero negato ogni singola parte della loro vita.

      Ma le cose sono cambiate ora, dirà qualcuno tra voi. Oggi la Marina sta agendo diversamente, direte. Sappiamo che il 23 maggio scorso, e lo sappiamo dagli unici testimoni rimasti nel Mediterraneo a darci queste informazioni, ovvero le Ong, un uomo è morto durante un’operazione di salvataggio, anzi, prima ancora che l’operazione iniziasse. Nel video girato da un velivolo della Sea-Watch si vede un gommone in avaria che sta imbarcando velocemente acqua. La Sea-Watch contatta prima la Guardia costiera libica che non risponde e poi la nave della Marina militare italiana Bettica, che si trova a meno di trenta miglia dal gommone.

      Improvvisamente e per quasi un’ora le comunicazioni tra la Marina militare italiana e la Sea-Watch si interrompono, quando riprendono la Bettica avverte che la Guardia costiera libica si sta recando sul posto. È prassi che la Guardia costiera libica non risponda alle richieste di soccorso. È prassi che i salvataggi siano fatti all’unico scopo di riportare i migranti nei campi di prigionia libici dove ricomincia il loro calvario, dove vengono torturati e dove viene estorto loro denaro: ogni migrante preso dalla Guardia costiera libica è guadagno doppio per i trafficanti (che, detto per inciso, non sono le Ong ma la guardia costiera libica finanziata dall’Italia e dall’Europa) che li lasceranno tornare nel loro paese solo in cambio di denaro.

      È ormai appurato che la Libia non è un porto sicuro. E allora perché la nave della Marina militare italiana Bettica non è intervenuta? Perché si infanga l’onore (che bella parola quando porta con sé il rispetto per la vita umana) dei militari della Marina che hanno sempre, secondo coscienza, risposto prima ancora che alle convenzioni internazionali, che pure stabiliscono il dovere di salvare vite, alla superiore e universale legge del mare? Oggi possiamo dividerci su tutto, ma non sulla necessità e sul dovere di salvare vite. Quando un uomo, una donna o un bambino sono in pericolo in mare, noi abbiamo il dovere di salvarli e se l’alternativa è la Libia, dobbiamo essere consapevoli che li stiamo condannando all’inferno. Per sfuggire a questo ragionamento, la propaganda inventa scorciatoie ridicole ma funzionanti: parole da buonista, parli bene dall’attico a Manhattan; si bersaglia chi racconta, non il racconto, perché quello è oggettivo e non può essere messo in discussione. Ma quell’uomo che annega è vita reale, non la finzione spacciata per realtà sui social.

      Facile dire la solita balla buonista parli tu dall’attico a Manhattan… no, parlo da meridionale, nato e cresciuto nelle terre più martoriate d’Italia, più saccheggiate, terre dimenticate da Dio e dagli uomini, ma non dai politici avvoltoi e sciacalli. Quelli, di noi meridionali, non si dimenticano mai. Promettono acqua agli assetati e intanto condannano le nostre anime per l’eternità. Parlo da uomo che non può accettare che il confine tra la vita e la morte sia una linea convenzionale e invisibile tracciata nel mare. Ciò che resta, alla fine di tutto, è l’onore. L’onore riscattato dal significato abusivo che ne danno le mafie per indicare nell’uomo d’onore l’affiliato. Onore inteso come rispetto dei nostri principi umani più profondi al di là delle conseguenze, nonostante le conseguenze.

      Onore è ciò che permette ancora di guardarci l’un l’altro e di sapere che io mi posso fidare di te perché tu ti puoi fidare di me, qualunque sia la tua condizione sociale, qualunque sia il luogo da cui provieni, il tuo quartiere, la tua religione e il colore della tua pelle, la tua condizione sociale, il tuo lavoro, il tuo conto in banca, la scuola che frequenta tuo figlio, il lavoro che fai. È facile: se mentre tu soffri e muori io giro lo sguardo dall’altra parte, se io soffrirò e rischierò di morire mi ripagherai con la stessa moneta. Salvare per essere salvati. Salvare per salvarsi: nel nostro mare, se smettiamo di salvare, finiremo annegati noi.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/06/01/news/il_cambio_di_rotta_di_un_paese_che_perde_l_onore-227596448

    • Appel au secours d’un capitaine, coincé en mer avec 75 migrants malades

      Le capitaine d’un bateau égyptien ayant recueilli vendredi 75 migrants dans les eaux internationales, a lancé un appel aux autorités tunisiennes pour qu’elles le laissent accoster, alors que les vivres commencent à manquer et que des migrants sont malades.

      Le remorqueur égyptien #Maridive_601, qui dessert des plateformes pétrolières entre la Tunisie et l’Italie, est arrivé vendredi soir au port de Zarzis, dans le sud de la Tunisie, après avoir récupéré dans la matinée les migrants à la dérive.

      « Je demande aux autorités tunisiennes de nous permettre d’urgence d’entrer dans le port de Zarzis », a déclaré à l’AFP le capitaine #Faouz_Samir, ajoutant que « l’état de santé des migrants est mauvais, beaucoup sont atteints de la gale ».

      Un médecin a pu monter à bord, a indiqué la branche locale du Croissant-Rouge. « Quatre personnes sont dans un état qui nécessite une intervention médicale », et la plupart d’entre eux sont atteints de la gale infectieuse", a déclaré à l’AFP Mongi Slim, responsable du Croissant-Rouge dans le sud de la Tunisie.

      Selon l’organisation internationale pour les migrations (OIM), les migrants, 64 Bangladais, 9 Egyptiens, un Marocain et un Soudanais, dont au moins 32 enfants et mineurs non accompagnés, « ont besoin d’urgence d’eau, de nourriture, de vêtements, de couvertures et surtout d’assistance médicale ».

      L’agence de l’ONU a indiqué être prête à aider la Tunisie pour accueillir ces candidats à l’exil, partis de Libye dans l’espoir d’atteindre l’Europe.

      « Nous comprenons les difficultés et l’ampleur des défis que les flux migratoires peuvent poser et nous travaillons à appuyer les capacités de secours et d’assistance », a souligné Lorena Lando, chef de mission de l’OIM en Tunisie.

      « Nous restons toutefois préoccupés par les politiques de plus en plus restrictives adoptées par plusieurs pays du nord de la Méditerranée », ajoute Mme Lando.

      Le gouvernement et les autorités locales tunisiennes, sollicitées par l’AFP, n’ont pas souhaité s’exprimer.

      En août dernier, un autre bateau commercial, le Sarost 5, était resté bloqué plus de deux semaines en mer avec les 40 immigrés clandestins qu’il avait secourus. Soucieuses de ne pas créer un précédent, les autorités tunisiennes avaient souligné qu’elles acceptaient ces migrants exceptionnellement et pour raisons « humanitaires ».

      Le 10 mai, 16 migrants originaires en majorité du Bangladesh avaient été sauvés par des pêcheurs tunisiens, après le naufrage de leur embarcation qui avait fait une soixantaine de morts.

      La majorité des bâtiments de la marine qui ont patrouillé au large de la Libye ces dernières années se sont retirés tandis que les navires humanitaires font face à des blocages judiciaires et administratifs.

      https://www.voaafrique.com/a/appel-au-secours-d-un-capitaine-coinc%C3%A9-en-mer-avec-75-migrants-malades/4943716.html

    • Tugboat carrying 75 migrants stranded off Tunisia for 10 days

      The #Maridive_601, an Egyptian tugboat that rescued 75 migrants in international waters over one week ago, is still stranded off the Tunisian coast as Tunisian authorities refuse to let it dock.

      The Egyptian tugboat Maridive 601 rescued the migrants off the southern Tunisian coast on May 31 after they embarked from Libya.

      Sixty-four of the 75 migrants are Bangladeshi and at least 32 of those on board are minors and unaccompanied children, according to the International Organization for Migration.

      The Maridive 601, which services oil platforms between Tunisia and Italy, picked up the migrants who were drifting in international waters near the Tunisian coast, and headed to the closest port of Zarzis in southern Tunisia.

      “I request that the Tunisian authorities allow us to make an emergency entry to Zarzis port,” appealed Faouz Samir, captain of the Maridive 601 shortly after the rescue.

      Since then, the crew has not received entry permission. An official from the Tunisian interior ministry was quoted as saying Monday that „the migrants want to be taken in by a European country." The official did not want to be quoted by name.

      Cases of infectious scabies

      Earlier last week, a Red Crescent team based in the southern Tunisian city of Zarzis delivered aid and medical care to the migrants, some of whom were ill, according to the Red Crescent.

      They “urgently need water, food, clothes, blankets and above all medical assistance,” the IOM added. According to AFP reports, the IOM added it was ready to help Tunisia provide for the migrants.

      Mongi Slim, a Red Crescent official in southern Tunisia, told InfoMigrant last Thursday that cases of scabies were on the rise and that there were around thirty people affected. The second captain of the Maridive 601 added that the Red Crescent was not allowed to board the ship to provide scabies medication. Instead, the crew had to contact its chartering company, Shell Tunisia, which in turn delivered medication in addition to food, water, mattresses and blankets. “We’re in telephone contact with the Red Crescent and they give us instructions on how to treat the migrants,” the captain informed InfoMigrants.

      Video footage

      Photos published online by the Tunisian Forum for Economic and Social Rights, an NGO, showed migrants lying on the deck of the boat, while sailors attempted to feed them. A video by the same NGO shows migrants shouting: “We don’t need food, we don’t want to stay here, we want to go to Europe.”

      https://www.facebook.com/ftdes/videos/189765251957864

      Tunisia’s central government and local authorities did not wish to comment to media requests.

      “We understand the difficulties and the scale of the challenges that migration flows pose and we are working to support relief and assistance capacities,” said Lorena Lando, the IOM’s head of mission in Tunisia. “But we are worried by the increasingly restrictive policies adopted by several countries,” Lando told AFP.

      Last month, around 60 migrants, most from Bangladesh, drowned off the coast of Tunisia after leaving Libya on a boat bound for Europe.

      https://www.infomigrants.net/en/post/17413/tugboat-carrying-75-migrants-stranded-off-tunisia-for-10-days?ref=tw
      #Tunisie
      ping @_kg_

    • Méditerranée : le navire #Sea_Watch_3 de retour dans la zone de détresse

      Après avoir été bloqué par la justice italienne pendant près d’un mois, le navire humanitaire Sea Watch 3 est de retour dans la zone de détresse (SAR zone) au large de la Libye. Il est actuellement le seul bateau de sauvetage en mer.

      Le navire humanitaire de l’ONG allemande Sea Watch, le Sea Watch 3, est de retour dans la zone de sauvetage au large de la Libye, la SAR zone.

      Le Sea Watch 3 était bloqué depuis le 20 mai par la justice italienne dans le cadre de poursuites pour aide à l’immigration illégale. Il a reçu samedi 8 juin l’autorisation de repartir en mer, a annoncé l’association.

      "Le Sea Watch 3 est libre ! Nous avons reçu une notification formelle sur la libération du navire saisi et son retour aux opérations" en mer, s’est félicitée l’organisation humanitaire sur Twitter.

      Malgré la politique de "fermeture des ports" du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini (extrême droite), le Sea Watch 3 avait pu débarquer les 65 migrants qu’il avait secourus à la mi-mai ; ils ont été autorisés à débarquer sur l’île de Lampedusa.

      Cette opération de secours avait provoqué la fureur de Matteo Salvini, qui a semblé la découvrir en temps réel à la télévision. “Je suis le ministère des règles et des ports fermés. Si un ministre du mouvement 5 étoiles a autorisé le débarquement, il devra répondre de ses actes devant les Italiens”, avait-il notamment lâché.

      Matteo Salvini estime que les migrants qui partent en mer à partir de la Libye doivent être remis aux garde-côtes libyens, conformément à un accord conclu entre l’Union européenne et Tripoli, mais les organisations humanitaires qui portent au secours des migrants refusent de s’y conformer.

      Hormis le Sea Watch 3, à la date du 10 juin, aucun autre navire humanitaire n’est présent au large des côtes libyennes.

      Les navires humanitaires qui sont bloqués dans des ports européens :

      – Depuis un débarquement en juin 2018 à Malte, le Lifeline de l’ONG allemande eponyme est bloqué au port de La Valette, à Malte, où les autorités contestent sa situation administrative.

      – Depuis le mois de janvier 2019, l’Open Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms est bloqué à Barcelone par les autorités espagnoles. Au printemps 2018, ce navire avait été placé un mois sous séquestre en Italie avant d’être autorisé à repartir.

      – Début août 2017, la justice italienne a saisi le Juventa de l’ONG allemande Jugend Rettet, accusée de complicité avec les passeurs libyens mais qui clame depuis son innocence.

      –Le Mare Jonio, un navire battant pavillon italien qui entend avant tout témoigner de la situation en mer, est actuellement bloqué en Sicile par les autorités.

      Les ONG qui résistent :

      –Dans les airs, les petits avions Colibri de l’ONG française Pilotes volontaires et Moonbird de Sea-Watch mènent régulièrement des patrouilles pour tenter de repérer les embarcations en difficulté.

      –L’Astral, le voilier de l’ONG Open Arms, est actuellement à Barcelone.

      Les navires humanitaires qui ont renoncé :

      Des ONG engagées au large des côtes libyennes ont suspendu leurs activités, face à la chute des départs de Libye et face à une intensification des menaces des garde-côtes libyens, qui considèrent les ONG comme complices des passeurs.

      – Suite aux pressions politiques, privé de pavillon, l’Aquarius de l’ONG SOS Méditerranée – qui a secouru près de 20 000 personnes en deux ans et demi - a mis fin à ses missions en décembre 2018. L’ONG espère toutefois trouver un nouveau bateau pour repartir rapidement en mer au printemps 2019.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17410/mediterranee-le-navire-sea-watch-3-de-retour-dans-la-zone-de-detresse

    • Italy to fine NGOs who rescue migrants at sea

      The Italian government has decided to impose stiff fines on rescuers who bring migrants into port without authorization. It also gave the interior ministry, led by Matteo Salvini, power to demand the payment.

      A decree adopted by the Italian government on Tuesday would force non-governmental organizations to pay between €10,000 and €50,000 ($11,327 – $56,638) for transporting rescued migrants to Italian ports.

      Rescuers who repeatedly dock without authorization risk having their vessel permanently impounded. The fines would be payable by the captain, the operator and the owner of the rescue ship.

      The Italian government is composed of the anti-establishment 5-Star Movement and right-wing populist League Party. The League leader Matteo Salvini, who also serves as the interior minister, has been spearheading an effort to clamp down on illegal immigration.

      Delayed decree

      The adoption of the decree has been delayed due to criticism from the United Nations and the office of the Italian president. Following the cabinet session on Tuesday, however, Salvini praised it as a “step forward the security of this country.” The populist leader also said he was “absolutely sure about the fact that it is compliant” with all national and international laws.

      The decree allows police to investigate possible migrant trafficking operations by going undercover. It also makes it easier to eavesdrop electronically on suspected people smugglers. Other sections of the decree impose stricter punishments on rioters and violent football fans.

      Read more: Italian court rules Salvini can be charged with kidnapping

      Additionally, the decree gives Salvini’s ministry the power to order the NGOs to pay the fines, this was previously the area of the transport and infrastructure ministries.

      Salvini has pushed through several anti-migrant decrees since becoming interior minister a year ago, including one in December which ended humanitarian protection for migrants who do not qualify for refugee status. Earlier this week, Salvini blasted three judges who opposed his hardline policies.

      Risking life at sea

      Since 2014, more than 600,000 people have made the dangerous journey across the central Mediterranean to reach Italy, fleeing war and poverty in Africa, Asia, and the Middle East. More than 14,000 have been recorded killed or missing when attempting the trip.

      Without a legal way to reach Europe, they pay people smugglers for passage in unseaworthy boats. The UNHCR and IOM recently said that 1,940 people have reached Italy from north Africa since the beginning of 2019, and almost 350 have died en route — putting the death rate for those crossing at more than 15%. The number of new arrivals has dropped off in recent years, but Rome is still faced with hundreds of thousands of people who migrated illegally. Pending asylum claims as of May 31 this year were 135,337.

      With official search-and-rescue missions canceled, the burden of assisting the shipwrecked migrants falls on rescue NGOs. The Italian coastguard estimates NGOs have brought in some 30,000 people per year since 2014.

      https://www.dw.com/en/italy-to-fine-ngos-who-rescue-migrants-at-sea/a-49143481

    • L’UNHCR chiede all’Italia di riconsiderare un decreto che penalizzerebbe i salvataggi in mare nel Mediterraneo centrale

      L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, esprime preoccupazione per l’approvazione da parte del governo italiano di un nuovo decreto contenente anche diverse disposizioni che potrebbero penalizzare i salvataggi in mare di rifugiati e migranti nel Mediterraneo centrale, compresa l’introduzione di sanzioni finanziarie per le navi delle Ong ed altre navi private impegnate nel soccorso in mare.

      Salvare vite umane costituisce un imperativo umanitario consolidato ed è anche un obbligo derivante dal diritto internazionale. Nessuna nave o nessun comandante dovrebbe essere esposto a sanzioni per aver soccorso imbarcazioni in difficoltà e laddove esista il rischio imminente di perdita di vite umane.

      “In una fase in cui gli Stati europei si sono per lo più ritirati dalle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale, le navi delle Ong sono più cruciali che mai,” ha dichiarato Roland Schilling, Rappresentante regionale a.i. per il Sud Europa. “Senza di loro, altre vite saranno inevitabilmente perse”.

      L’UNHCR è inoltre preoccupata per il fatto che il decreto possa avere l’effetto di penalizzare i comandanti che rifiutano di far sbarcare le persone soccorse in Libia.

      Alla luce della situazione di sicurezza estremamente volatile, delle numerose segnalazioni di violazioni di diritti umani e dell’uso generalizzato della detenzione nei confronti delle persone soccorse o intercettate in mare, nessuno dovrebbe essere riportato in Libia.

      L’UNHCR ha ribadito più volte che il rafforzamento delle capacità di ricerca e soccorso, in particolare nel Mediterraneo centrale, deve essere accompagnato da un meccanismo regionale volto ad assicurare procedure di sbarco rapide, coordinate, ordinate e sicure. La responsabilità per i rifugiati e i migranti soccorsi in mare deve essere condivisa tra tutti gli stati che li accolgono, invece di ricadere su uno o due.

      L’UNHCR chiede al governo italiano di rivedere il decreto e al parlamento di modificarlo, mettendo al centro la protezione dei rifugiati ed il salvataggio di vite umane.

      https://www.unhcr.it/news/lunhcr-chiede-allitalia-riconsiderare-un-decreto-penalizzerebbe-salvataggi-mar

    • Migrants bloqués au large de la Tunisie : les Bangladais refusent le rapatriement

      Quinze jours après avoir été secourus, 75 migrants - dont la moitié de mineurs - sont toujours coincés à bord d’un navire commercial égyptien près des côtes tunisiennes. La Tunisie refuse de les laisser débarquer et souhaite les faire « rentrer chez eux ». Seuls les migrants africains ont accepté d’être rapatriés. La majorité des rescapés, des Bangladais, s’opposent à toute expulsion.

      Les 75 naufragés secourus il y a quinze jours par le bateau commercial égyptien Maridive 601 sont toujours bloqués au large de Zarzis, sur la côte tunisienne. Quelque 32 mineurs se trouvent à bord du navire.

      Les autorités tunisiennes refusent de les laisser débarquer depuis le vendredi 31 mai, jour du sauvetage. « Le gouverneur de Médenine insiste pour qu’ils rentrent chez eux », explique Mongi Slim du Croissant rouge tunisien, joint par InfoMigrants vendredi 14 juin.

      Informés de cette décision par le Croissant rouge, seuls les Égyptiens, les Marocains et les Soudanais présents à bord ont accepté un rapatriement dans leurs pays.

      La Tunisie demande l’aide du Bangladesh

      Les 64 autres naufragés, des Bangladais dont de nombreux mineurs, ont refusé cette offre. « Ils demandent de rejoindre l’Italie ou de pouvoir rester en Tunisie avec une permission de travail », raconte Mongi Slim.

      « Les autorités ont sollicité l’aide de l’ambassade du Bangladesh. Elle va intervenir pour résoudre le problème », ajoute-t-il.

      « Rien pour se mettre à l’abri du soleil »

      En attendant, à bord, la situation psychologique des naufragés se dégrade. « Il fait très chaud en cette période de l’année dans le sud de la Tunisie, et sur le bateau les migrants n’ont rien pour se mettre à l’abri du soleil. Ils risquent la déshydratation. Ils sont emprisonnés en mer », déplore Ben Amor Romdhane, du Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES) également contacté par InfoMigrants. Le militant s’inquiète aussi des cas de gale signalés à bord.

      Pour la première fois depuis 15 jours, jeudi, une équipe médicale du Croissant rouge tunisien a pu monter sur le Maridive 601 avec des médicaments et des vivres. Jusqu’ici, le navire était ravitaillé en eau, en nourriture et en médicament anti-gale par la compagnie Shell Tunisie qui affrète le bateau. Le Croissant rouge était néanmoins parvenu à faire acheminer un stock de médicaments. Les premiers soins avaient été prodigués par l’équipage, guidé au téléphone par le Croissant rouge.

      Le médecin du Croissant rouge, qui a pu examiner les 75 migrants jeudi, a déclaré qu’il n’y avait pas de maladie grave ou d’urgences, seulement des cas de diabète, selon Mongi Slim.

      D’après le représentant du navire égyptien, joint par InfoMigrant, la situation reste pourtant « très tendue ». « La seule solution est de laisser ces migrants entrer en Tunisie », estime-t-il.

      Cet incident rappelle celui qu’avait connu le Sarost 5 l’an dernier. Le navire commercial, qui avait secouru 40 migrants en mer Méditerranée, avait dû attendre 17 jours l’autorisation de débarquer à Zarzis. Les autorités avaient finalement cédé titre exceptionnel « pour des raisons humanitaires ».

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17533/migrants-bloques-au-large-de-la-tunisie-les-bangladais-refusent-le-rap

    • Migrants stranded at sea for three weeks now risk deportation, aid groups warn

      Group of 75 people survive prolonged ordeal but could now be made to leave Tunisia.

      https://i.guim.co.uk/img/media/235b366ca8ef3c06feec045df894e482906510c0/0_0_1280_768/master/1280.jpg?width=620&quality=85&auto=format&fit=max&s=35a960601e803a971255f0

      A group of migrants who spent nearly three weeks trapped onboard a merchant ship in torrid conditions face possible deportation to their home countries after they were finally allowed to disembark in Tunisia, aid groups have warned.

      The 75 migrants, about half of whom are minors or unaccompanied children, were rescued on 31 May by the Maridive 601 only to spend the next 20 days at sea as European authorities refused to let them land.

      “The migrant boat was ignored by Italian and Maltese authorities, though they were in distress in international waters”, said a spokesperson for Alarm Phone, a hotline service for migrants in distress at sea that was alerted to the ship’s plight by crew members. “This is a violation of international law and maritime conventions”.

      Heat and humidity onboard the Maridive 501, an Egyptian tugboat that services offshore oil platforms, were insufferable, said aid groups. Food and water were scarce, scabies broke out and spread, and several people suffered fractures and other injuries during the rescue operation.

      Witnesses said the psychological strain was immense for migrants and crew members alike.

      The brother of one Bangladeshi man said on 3 June: “Today is Eid [the festival marking the end of Ramadan]. But the day is not for me. My brother is on the ship. I can’t take it any more. How is he? How can I explain my feelings to you? When I get good news, this will be my Eid gift and that day will be my Eid day.”

      Six days later, he said: “How many days will they stay there? Who can take care of him? I am depressed, every day my mother is crying.”

      The ship’s captain, Faouz Samir, asked repeatedly to be allowed to land at the nearest port, in Zarzis, but was initially refused permission. Regional authorities said migrant centres in Medenine were too overcrowded.

      On 6 June, the migrants staged an onboard protest, asking to be sent to Europe. Video of the protest was published by the Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux.

      The closure of Italian and Maltese ports to rescue ships has seemingly had a ripple effect, with Tunisia closing its own harbours to rescued people in order to avoid an overwhelming influx of migrants.

      On Tuesday evening, however, the Tunisian authorities relented. The migrants, who are mainly from Bangladeshi but also include Egyptians, Moroccans and Sudanese, will now be transferred to a detention centre.

      Aid groups, however, who had been demanding an immediate disembarkation in view of the medical emergency onboard, are concerned people may be sent back to Libya or even deported to their home countries after landing in the port of Zarzis. The governor of Medenine had previously said the boat would be allowed to dock only if all the migrants were immediately deported.

      “We are happy for the survivors. They are exhausted, some are traumatised, but we will accompany them so that we can finally find respite and reflect on the different alternatives available to them,” said Wajdi Ben Mhamed, head of the International Organisation for Migration’s Zarzis office.

      The IOM said its protection team would assist the survivors with “their protection needs and provide, for those who have requested it, assistance for voluntary return to their country of origin’’.

      Relatives claim some of the Bangladeshi survivors were told that food, water and medical treatment would be withheld if they did not accept deportation.

      One man who spoke to his brother on 18 June said fears of imminent deportation had been exacerbated by the visit of a Bangladeshi envoy to the boat. The envoy’s visit followed a meeting five days earlier with the Tunisian minister of the interior.

      Another relative said of a Bangladeshi migrant aboard the tugboat: “In Bangladesh there are people who want to kill him. He paid all the money and went to Libya to get away from the problems in Bangladesh. Then he escaped from Libya because of the problems there. He wants to go to Europe.”

      Médecins Sans Frontières warned that Tunisia could not be defined a safe haven for migrants and refugees, given that it had no functioning asylum system in place. “The nearest places of safety for rescues in the central Mediterranean are Italy or Malta,” said a spokesperson.

      A dangerous precedent would be set if an agreement was found to deport those rescued to their countries of origin quickly after disembarkation in Tunisia. Aid groups warn that boats like the Maridive would turn into migrant holding facilities until deportations were arranged. Many more boats could thus turn from places of rescue to prison islands, floating along north African shores.
      More than 70 million people now fleeing conflict and oppression worldwide
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      Giorgia Linardi, of SeaWatch in Italy said: “After this episode we should reflect on whether Tunisia qualifies as a place of safety, as our sources suggested that the migrants could be immediately repatriated or expelled from the country. The situation aboard the Maridive is very much confronted with the situation faced right now by the SeaWatch vessel with 53 migrants on board which is still floating in front of Italian territorial waters. As of now, the attitude of the Italian authorities is no different from the attitude of the Tunisian authorities towards the Maridive despite the two states having a different framework in terms of protection of human rights and in terms of asylum system in place.”

      With sea conditions currently favourable, thousands are preparing to leave Libya, where war and political instability have been aggravated by floods caused by heavy rain.

      Without rescue boats, however, the number of shipwrecks is likely to rise further. Only two of the 10 NGO rescue boats that were active in the Mediterranean are still present.

      According to data from the UN and the IOM, about 3,200 people have reached Italy and Malta from North Africa since the beginning of 2019, and almost 350 have died en route – putting the death rate for those crossing at about 11% along the central Mediterranean route.

      https://www.theguardian.com/global-development/2019/jun/19/migrants-stranded-at-sea-for-three-weeks-now-face-deportation-aid-group

    • Italy’s redefinition of sea rescue as a crime draws on EU policy for inspiration

      https://www.statewatch.org/analyses/no-341-italy-salvini-boats-directive.pdf

      –-> analyse de #Yasha_Maccanico sur la première directive de Salvini contre la #Mare_Jonio et la façon dans laquelle il essaye (avec part de raison) justifier la criminalisation systématique des secours en mer en base aux instructions issues de la Commission dans le contexte de l’Agenda Européenne, plus des problèmes de base dans les représentations contenues dans la directive.

    • Maridive : les 75 migrants bloqués depuis 18 jours au large de Zarzis ont pu débarquer en Tunisie

      Après 18 jours d’hésitation, les autorités tunisiennes ont finalement laissé les 75 migrants du #Maridive débarquer au port de Zarzis, ce mercredi. Ils ont toutefois imposé leurs conditions : les migrants ont tous accepté préalablement de rentrer dans leur pays.

      « C’est enfin fini, c’est un soulagement ». Mongi Slim, membre du Croissant-rouge tunisien, s’est réjoui, mardi 18 juin, du débarquement des 75 migrants bloqués depuis le 31 mai au large de Zarzis. Les autorités tunisiennes refusaient en effet de laisser débarquer en Tunisie ces personnes secourues par un navire commercial égyptien, le Maridive 601, au large de la Libye.

      Après 18 jours de blocage, ils ont enfin pu toucher la terre ferme. « Nous sommes heureux pour les survivants. Ils sont épuisés, certains sont traumatisés mais nous les accompagnerons pour pouvoir enfin trouver du répit », a déclaré Wajdi Ben Mhamed, chef de bureau de l’agence de l’Organisation internationale des migrations (OIM), dans un communiqué.

      Un premier vol vers le Bangladesh jeudi

      Cependant, ce débarquement s’est fait sous conditions après de longues négociations entre les ONG, les organisations internationales et les autorités. Tunis a finalement autorisé leur débarquement à condition que les migrants acceptent tous d‘être renvoyés dans leur pays d’origine. Parmi les 75 migrants secourus, 64 sont de nationalité bangladaise, neuf égyptienne, un est originaire du Maroc et un autre du Soudan.


      https://www.facebook.com/iomtunis/posts/354908018559713

      Samedi 15 juin, des représentants de l’ambassade du Bangladesh sont montés à bord du Maridive et ont convaincu les Bangladais de retourner chez eux. Selon Mongi Slim, du Croissant rouge tunisien, un premier groupe de 20 Bangladais devrait être renvoyé dès jeudi 20 juin.

      Aucune demande d’asile déposée

      Une information que ne confirme par l’OIM, qui est chargée d’organiser les retours volontaires de ces naufragés. « Nous avons effectivement dit aux autorités qu’un vol commercial avec une vingtaine de places partaient de Tunisie demain vers le Bangladesh. Mais nous n’organisons pas de retours forcés », précise à InfoMigrants Lorena Lando, chef de mission de l’OIM en Tunisie. « Mais, nous attendons de faire un point avec les migrants et savoir qui veut profiter d’un retour volontaire », insiste-t-elle.

      Malgré l’accord, l’OIM rappelle que les migrants qui veulent demander l’asile seront redirigés vers le Haut-commissariat des Nations unies aux réfugiés (HCR). Mais pour l’heure, selon l’agence onusienne, aucun des migrants du Maridive ne souhaite déposer une demande d’asile en Tunisie.
      Le 10 mai dernier, 16 migrants, majoritairement du Bangladesh, avaient été sauvés par des pêcheurs tunisiens, après le naufrage de leur embarcation ayant fait une soixantaine de morts. Deux d’entre eux avaient décidé de rentrer dans leur pays.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17614/maridive-les-75-migrants-bloques-depuis-18-jours-au-large-de-zarzis-on

    • Working Paper: Guidelines on temporary arrangements for #disembarkation

      Given the voluntary nature of participation in the mechanism, determination of persons to be relocated will be based on the indications by the Member States of relocation of the profiles that these Member States are willing to accept (variable geometry)."

      “Member States that relocate voluntarily (a lump sum of 6000 EUR per applicant).”

      The Council of the European Union has produced a new “Working Paper” on: Guidelines on temporary arrangements for disembarkation (LIMITE doc no: WK 7219-19):

      “The Guidelines are based on best practices used in previous disembarkation cases, and rely on a coordinating role of the Commission and support by relevant agencies. The framework is of a temporary nature and the participation of the Member States is on a voluntary basis. This document has a non-binding nature.” [emphasis added]

      The circumstances for “triggering” Temporary Arrangements (TA) are:

      “type of arrivals covered

      – a search and rescue operation; and/or

      – other sea arrivals where there is a humanitarian ground at stake.”

      On the face of it the idea would appear to refer to just about every rescue. However the idea relies on the state of first disembarkation - for example, in the Med: Spain, France, Italy and Greece - allowing a safe port of arrival. These states then make a “relocation” request to other Member States. This is entirely based on voluntary participation.

      “Workflow in the Member State of disembarkation

      The following procedural steps should be undertaken in the Member State of disembarkation, where appropriate with the assistance from EU agencies, and where relevant with the involvement of the Member State of relocation, in agreement with the benefitting Member State:

      (...) Initial identification, registration, fingerprinting and swift security screening: Registration and fingerprinting of all arriving migrants as category 2 in Eurodac system; check against national and EU information systems (such as Eurodac, SIS, VIS, Europol and Interpol databases) to ensure that none of the persons arriving to the EU is a threat to public policy, internal security or public health.

      Assessment regarding possible use of alternatives to detention or detention, on a case by case basis, pending further processing (in the context of border procedure, where possible, or otherwise)”

      Member states will be allowed to set conditions on acceptable refugees to relocate:

      “Given the voluntary nature of participation in the mechanism, determination of persons to be relocated will be based on the indications by the Member States of relocation of the profiles that these Member States are willing to accept (variable geometry).”

      The European Border and Coast Guard Agency (EBCGA) will:

      “provide assistance in screening, debriefing, identification and fingerprinting;

      – deploy Return Teams (composed of escort, forced return monitor and/or return specialists);”

      Financial support

      "Under the AMIF Regulation, funds are to be made available for:

      – Member States that relocate voluntarily (a lump sum of 6000 EUR per applicant, applying the amended Article 18 of the AMIF Regulation 516/2014);

      – support to return operations;

      – Member States under pressure, as appropriate, including the possibility of a lump sum per relocation to cover transfer costs.

      – When MS make full use of the lump sums available under the national programmes, additional financial support could be provided.

      http://www.statewatch.org/news/2019/jun/eu-council-disembark.htm

    • La #marine_italienne sur le banc des accusés

      En octobre 2013, un bateau de pêche chargé de réfugiés syriens fait naufrage près de Lampedusa, île italienne proche de la Sicile. Si 212 personnes ont pu être sauvées, 26 corps ont été repêchés et environ 240 sont restées portés disparus dont une soixantaine d’enfants. Ce drame ne restera pas impuni.
      Un procès se tiendra en 2018 avec, sur le banc des accusés pour homicide involontaire et non-assistance à personnes en danger, des officiers de la marine italienne. C’est la première fois qu’un procès de ce type est lancé. Ce jour-là, un médecin syrien qui se trouvait à bord avec ses deux enfants -tous deux morts noyés- a appelé plusieurs fois au secours les garde-côtes italiens. Ceux-ci retransmettaient le relais à leurs confrères maltais et peu après lançaient un message signalant la situation aux navires se trouvant dans la zone. C’était le cas du navire Libra de la marine italienne, à moins d’une heure de navigation mais qui, au lieu de se précipiter, s’est éloigné en laissant intervenir les Maltais, ce qui prenait beaucoup plus de temps. Le bateau des migrants a fini par chavirer à 17h07. Les secours dont, le Libra, sont arrivés vers 18h00. Trop tard.

      https://www.arte.tv/fr/videos/080337-000-A/la-marine-italienne-sur-le-banc-des-accuses

    • Bangladeshi migrants in Tunisia forced to return home, aid groups claim

      Relatives say more than 30 people stuck at sea told to go home or lose food and water.

      More than 30 migrants from Bangladesh who were trapped on a merchant ship off Tunisia for three weeks have been sent back to their home country against their will, according to relatives.

      They were among 75 migrants rescued on 31 May by the Maridive 601, an Egyptian tugboat that services offshore oil platforms, only to spend the next 20 days at sea near the Tunisian coast.

      The International Organization for Migration, an intergovernmental organisation linked to the United Nations, said the Bangladeshis “wished to return home”.

      But relatives and aid groups claimed that when a Bangladeshi envoy visited the boat the migrants were forced to accept their repatriation under the threat of having food, water and medical treatment being taken away.

      One relative told the Guardian: “When all the people were on the boat, they were told by the Bangladeshi embassy that if they didn’t agree to sign, they would not get any food or water any more. The people were afraid to die on the boat. The Bangladeshi embassy forced them to sign.”

      On 18 June, the 75 migrants, who included Egyptian, Moroccan and Sudanese people, were taken off the Maridive 601 and transferred to a Tunisian detention centre.

      The IOM confirmed that a few days later the first 17 individuals were returned to Bangladesh, and on 24 June, another 15 migrants were sent back.

      It said “more migrants will be travelling in the coming days, according to their decision”.

      The Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux (FTDES), an independent organisation that aims to defend economic and social rights, said: “We doubt that the decisions to return were made voluntarily by the migrants.

      “We have tried to visit the migrants in the reception centre in order to inquire about their wellbeing but despite making repeated inquiries and requests, the whereabouts of the detained migrants was not revealed.”

      Another relative said: “I spoke with my brother this morning in the centre. He is scared to be returned to Bangladesh, like all the people there. Nobody wants to return to Bangladesh; everyone who is returned is forced.”

      The IOM’s head of mission in Tunisia, Lorena Lando, rejected the accusations. “None of the migrants has been deported; [they] wished to return,” she said. “IOM does not do deportation, nor force anyone to return.”

      Lando said the IOM “did not have access” to the migrants until 19 June, after the Tunisian authorities allowed their disembarkation.

      She added: “Remaining at sea was not a solution either. It is up to the person to also apply for asylum if they fear persecution … or seek help to return home or take time to decide.”

      A spokesperson for Alarm Phone, a hotline service for migrants in distress at sea that was alerted to the ship’s plight by crew members, said: “The IOM refers to such deportations as voluntary returns but what is voluntary about telling survivors that they can leave their prison merely if they agree to be returned?

      “Do we really believe that these Bangladeshi people risked their lives to move to Libya and then to try to cross the Mediterranean, only to then be ‘voluntarily’ returned to Bangladesh?”

      https://www.theguardian.com/world/2019/jun/25/bangladeshi-migrants-in-tunisia-forced-to-return-home-aid-groups-claim

  • #Campania. Con i nuovi bandi, l’esodo è forzato. Chiudono le
    esperienze positive e si aprono spazi alla mala accoglienza

    Anche in Campania, le novità sono arrivate con i nuovi bandi. Nuovi bandi che, va sottolineato, sono stati emanati dalle Prefetture prima che entrasse in vigore il decreto Salvini, ma che non si sono comunque fatti scrupolo di anticipare le modalità e le logiche annunciate dal ministro dell’Interno. “Si sono allineate prima ancora che ce ne fosse bisogno” commenta amaramente Gennaro Avallone, attivista della campagna LasciateCIEntrare. Anche in Campania, quindi, una parte dei piccoli #Cas è stata chiusa e gli ospiti dirottati su strutture più grandi, anche a 50 o 60 chilometri di distanza. “In provincia di #Salerno, ad esempio, i migranti che risiedevano nei centri dell’#Agro_Nocerino-Sarnese sono stati spostati verso la #Piana_del_Sele con un preavviso non superiore alle 24 o al massimo 36 ore. Ho visitato personalmente un centro a Pagani, piccolo Comune dell’Agro Nocerino e ho conosciuto persone che erano in quel comune da oltre due anni e che già lavoravano e cominciavano a intascare un piccolo reddito, sia pure inferiore a quanto richiesto per rimanere in accoglienza. Come faranno a raggiungere il posto di lavoro ora? Un amico pakistano di nome Mohamed frequentava l’università a Napoli. Dall’Agro Nocerino-Sarnese arrivava in città col treno, ma adesso ha grandi difficoltà per farlo. Ma anche senza citare questi casi, sappiamo tutti che la vita quotidiana è fatta di relazioni e anche di piccole cose. C’è chi, molto più banalmente, aveva investito in una scuola guida e ora non può più seguire le lezioni”.

    Qualcuno è riuscito a rimanere o a ritornare nei luoghi in cui viveva grazie all’aiuto di amici o della rete di attivisti. Ma per i più è stato un esodo forzato.

    “Proprio in previsione di questa situazione, il 26 gennaio, abbiamo organizzato una manifestazione a Salerno che ha visto la partecipazione di circa un migliaio di cittadini e di migranti. Il primo punto delle richieste manifestate, quello che in maniera più semplice si sarebbe potuto affrontare, era proprio il mantenimento delle piccole strutture dislocate nel territorio ma la Prefettura non ci ha voluto ascoltare. Eppure l’esperienza dei Cas e degli sprar della provincia di Salerno non è stata così totalmente negativa, pure se ha presentato situazioni pessime sotto diversi punti di vista ed altre che si sarebbero potute migliorare – continua Gennaro. In particolare, stava dando buoni frutti il Cas per nuclei familiari nel comune di Piaggine che dava assistenza a 22 persone migranti, chiuso recentemente”.

    Capitolo a parte per #Caserta dove si è costituita un’originale alleanza sociale, che comprende, ad esempio, la collaborazione tra le suore Orsoline e le attiviste e gli attivisti del Centro sociale Ex Canapificio legati al locale movimento Rifugiati e migranti. “Questa alleanza si è tradotta nella gestione dello Sprar, in cui la rete costituita attorno al centro sociale ha fatto da punto di riferimento a centinaia di richiedenti asilo, con l’organizzazione di un’accoglienza diffusa che ha evitato grandi strutture concentrate ma si è organizzata attraverso piccoli appartamenti dislocati in tutta la città. Questa esperienza diffusa ha aiutato a combattere anche su fronti difficili come lo sfruttamento della prostituzione e quello lavorativo, specialmente agricolo. Come già avvenuto per Riace, anche in questa situazione è arrivata puntuale una inchiesta della magistratura che il 7 febbraio ha accusato alcune persone dell’Ex Canapificio di associazione a delinquere finalizzata a truffa aggravata. Il 12 marzo, poi, come sappiamo, anche il centro sociale è stato sgomberato dalle forze dell’ordine”. Tuttavia, lo sprar di Caserta comunque continua a funzionare, sebbene il bando scadrà quest’anno “e non abbiamo ancora idea di cosa farà l’amministrazione comunale”.

    In una regione che ha conosciuto la vergogna della pessima accoglienza, come abbiamo ricostruito anche nel libro Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienze, resistenze, segregazione, del quale con l’editore Orthotes stiamo per pubblicare la seconda edizione aggiornata con gli effetti del Decreto Salvini, non ci possiamo permettere una gestione che continua a subordinare i bisogni e i percorsi di inclusione sociale delle persone richiedenti asilo alle necessità della propaganda o della cieca burocrazia”, conclude Gennaro Avallone, evidenziando la necessità, in ogni caso, di pensare ad un superamento radicale di questo sistema, assumendo la necessità di far ripartire in Italia una politica universalistica per la casa.

    https://www.lasciatecientrare.it/campania-con-i-nuovi-bandi-lesodo-e-forzato-chiudono-le-esperienze
    #décret_salvini #decreto_salvini #decreto_sicurezza #Italie #fermeture #conséquences #asile #migrations #réfugiés #hébergement #SPRAR #accueil

  • Italie | Le droit d’asile à la botte de Matteo Salvini
    https://asile.ch/2019/04/16/italie-le-droit-dasile-a-la-botte-de-matteo-salvini

    https://asile.ch/wp/wp-content/uploads/2019/04/salvini.jpeg

    Giuseppe Conte a beau être officiellement le Président du Conseil des ministres depuis le 1er juin 2018, c’est son ministre de l’intérieur d’extrême droite, Matteo Salvini, qui fixe le tempo de la politique gouvernementale en matière migratoire. À peine investi, celui-ci déclare : « [L]e bon temps pour les clandestins est fini : préparez-vous à faire vos […]

  • Le droit d’asile malmené : le Conseil d’État appelé à se prononcer sur le refus des conditions d’accueil aux personnes « dublinées »

    Douze associations et syndicats ont déposé devant le Conseil d’État une requête en annulation, accompagnée d’un référé-suspension, contre le décret du 28 décembre 2018 relatif aux conditions matérielles d’accueil (CMA), versées aux demandeur·e·s durant l’examen de leur dossier. Il s’agit de contester un système inique visant à couper irrévocablement le #droit_à_l’hébergement et à une #allocation aux personnes dublinées prétendues « en fuite ».

    Ce #décret met en application les dispositions de la loi du 10 septembre 2018 qui prévoient la fin des CMA pour plusieurs catégories de personnes en demande de protection, ainsi que la possibilité de les assigner à résidence ou de les placer en rétention dès la notification d’une décision défavorable de l’Ofpra (Office français de protection des réfugiés et apatrides). Le décret prévoit également que l’Ofii (Office français de l’immigration et de l’intégration) peut désormais refuser ou retirer automatiquement le droit à l’hébergement et à l’allocation notamment aux personnes dublinées placées « en fuite » ou à celles qui n’ont pas respecté l’orientation directive vers un hébergement ou une région de résidence.

    Au cours de l’audience, qui s’est déroulée le 28 mars 2019, le juge des référés a pointé plusieurs difficultés dans le dispositif critiqué. Sa décision sur la suspension du décret, et donc de la loi, est attendue dans quelques jours.

    En plus de cette requête, de nombreux contentieux individuels sont également en cours contre cette procédure-piège qui place les personnes dans l’extrême précarité. Depuis plusieurs mois, le nombre de personnes dublinées accueillies dans les permanences associatives, à la suite du retrait ou du refus de leur accorder des CMA au prétexte qu’elles ont été déclarées « en fuite » par les préfectures, ne cesse d’augmenter. Car en cas de « fuite », l’Ofii leur retire mécaniquement les droits sociaux sans leur notifier une décision motivée et individualisée.

    Le 5 avril 2019, le Conseil d’État va examiner la légalité de ces coupes claires de droits pratiquées par l’Ofii dans cinq dossiers individuels en appui desquels nos organisations ont déposé des interventions volontaires. Or l’Ofii a la main de plus en plus lourde : selon ses propres chiffres, plus de 15 417 décisions de suspension des CMA ont été prises en 2018, soit 5 fois plus qu’en 2017.

    Les campements aux portes de Paris ou d’autres grandes métropoles abritent désormais une part importante de ces demandeur·e·s d’asile jeté·e·s à la rue parce que considéré·e·s comme « en fuite », alors que leur demande d’asile est en cours d’instruction devant l’Ofpra ou la CNDA. Sans aucune ressource, ni logement, leur état de santé physique et psychique se dégrade rapidement.

    Nous contestons cette logique manifestement contraire au droit européen. La directive « accueil » oblige en effet les États membres de l’UE à garantir aux demandeur·e·s d’asile « des moyens de subsistance permettant d’assurer la dignité des personnes ».

    L’accueil des demandeur·e·s d’asile par la France est mis à mal depuis des années, la dernière loi « asile et immigration » renforce son caractère dissuasif et punitif, mettant des milliers d’exilé⋅e⋅s dans le dénuement le plus total.

    https://www.gisti.org/spip.php?article6135
    #conditions_d'accueil #Dublin #dublinés #règlement_dublin #France #accueil #hébergement #conditions_matérielles_d'accueil #CMA #assignation_à_résidence

    Quand la France ce met à imiter la #Suisse...
    #modèle_suisse

  • Decreto sicurezza, entro l’estate 18mila giovani italiani senza lavoro (grazie a Salvini)

    Nella crociata contro quello che Salvini ha definito «un business fuori controllo pagato dal popolo italiano», quello cioè dell’accoglienza degli immigrati, finiscono anche professionisti italiani under 35: quasi tutti medici, infermieri, mediatori culturali, insegnanti, psicologi e avvocati.

    Entro fine anno 18mila italiani resteranno senza lavoro. Tutti laureati e con meno di 35 anni. È l’effetto del “decreto sicurezza” di Matteo Salvini, che ha ridotto la spesa per l’accoglienza degli immigrati da 35 euro lordi a una media di 21 euro lordi pro capite al giorno, cancellando dai centri di accoglienza (o riducendone le ore di lavoro) figure professionali come infermieri, mediatori culturali e insegnanti di italiano. Da Nord a Sud, le vertenze sindacali con le onlus e le cooperative si moltiplicano di giorno in giorno. E con i pochi nuovi bandi già pubblicati dalle Prefetture, in linea con le nuove tabelle governative, si contano già 4.100 esuberi. Da qui all’estate tutti si saranno adeguati. E la stima della Fp Cgil è che si arriverà a un bacino di 16-18mila disoccupati. Per i quali non è stato previsto nemmeno alcun ammortizzatore sociale ad hoc.

    Nella crociata contro quello che Salvini ha definito «un business fuori controllo pagato dal popolo italiano», sparando a zero contro il modello d’accoglienza Sprar di Riace, finiscono così anche molti giovani professionisti italiani. L’impianto del decreto (poi convertito in legge) prevede che chi arriva in Italia e chiede asilo, prima del via libera avrà a disposizione solo i servizi essenziali. Vale a dire cibo, pulizia e vestiti. Solo per chi ha diritto a restare, invece, saranno garantiti poi anche i corsi di italiano e i servizi per l’inserimento e l’integrazione che fino ad oggi spettavano a tutti i migranti che presentavano domanda d’asilo. La spesa per l’accoglienza così passa dai famosi 35 euro a una forbice tra i 19 e i 26 al giorno. La logica del Viminale è: non ha senso offrire servizi in più se poi il soggetto sarà giudicato irregolare da espellere. E con l’abolizione della protezione umanitaria, il numero di chi ha diritto ai servizi scende a picco.

    Quindi niente (o quasi) mediatori culturali, psicologi, assistenti legali e insegnanti di italiano. Che significa meno servizi per gli immigrati, ma anche tagli di posti di lavoro per i tanti italiani occupati nel settore. Che ad oggi, su 131mila ospiti, tra centri di accoglienza straordinari e quel poco che resta degli Sprar, sono circa 40mila. Gran parte sotto i 35 anni di età, molti appena usciti dai corsi di laurea in Mediazione culturale.

    Da Nord a Sud, le vertenze sindacali con le onlus e le cooperative si moltiplicano di giorno in giorno. E con i pochi nuovi bandi già pubblicati dalle Prefetture, si contano già 4.100 esuberi. Entro l’estate si arriverà a 16-18mila

    Per capire quale sarà l’impatto occupazionale dei prossimi bandi in uscita, basta mettere a confronto le nuove tabelle dei servizi offerti dal decreto Salvini con quelle del decreto Minniti. Per fare qualche esempio, gli operatori diurni nelle strutture fino a 50 posti scendono da tre a uno. E nei grandi centri da più di 1.500 ospiti vengono dimezzati da 24 a 12. Anche i direttori dei centri fino a 50 posti si vedranno le ore di lavoro tagliate da 36 a 18. Cancellando del tutto la presenza di almeno un infermiere (come previsto dal decreto Minniti) nei centri fino a 150 posti e dimezzando l’orario dei turni in quelli più grandi. E lo stesso vale per i medici e gli assistenti sociali. La mediazione linguistica passa da 54 a 10 ore a settimana; la consulenza legale da 24 a 3. Gli insegnanti di italiano, invece, nelle nuove tabelle scompaiono del tutto, mentre nei vecchi bandi si partiva da 8 ore a settimana. Il minimo per i migranti per cominciare a comunicare, nell’attesa, spesso lunga, dell’esito delle commissioni territoriali.

    «Gli esuberi in corso, tra licenziamenti e riduzioni d’orario, oggi sono già 4.100», dice Stefano Sabato, responsabile delle Cooperative Sociali della Fp Cgil nazionale. Per l’estate, quando arriveranno tutti i bandi, questi numeri saranno destinati a essere più che quadruplicati. La previsione è che si possa toccare quota 18mila. «E la parte preponderante degli esuberi interesserà le professionalità più alte e qualificate», aggiunge Sabato. «Mentre gli operatori delle mense o dei servizi di pulizia saranno interessati di meno, a essere colpiti di più sono mediatori culturali, infermieri, avvocati, insegnanti, psicologi, medici. Gran parte dei quali giovanissimi e neolaureati».

    Cancellata la presenza di almeno un infermiere nei centri fino a 150 posti; la mediazione linguistica passa da 54 a 10 ore a settimana; la consulenza legale da 24 a 3. Gli insegnanti di italiano, invece, nelle nuove tabelle scompaiono del tutto

    Finora i bandi aggiornati sono stati già stati pubblicati dalle prefetture di Cagliari, Messina, Frosinone e Como. In città come Bologna, invece, il vecchio capitolato è stato prorogato fino a fine marzo per attutire l’impatto delle nuove regole. E lo stesso ha fatto la prefettura di Genova, facendo slittare l’organizzazione attuale fino al 15 aprile, dopo la decisione di alcune cooperative e associazioni di non partecipare ai nuovi bandi in segno di protesta contro il decreto leghista, che avrebbe come effetto quello di mettere alla porta 300 migranti. Intanto, le vertenze sindacali si moltiplicano. Solo in Lombardia, si sono aperte crisi a Milano, Como, Lodi, Varese, Monza Brianza e Mantova. Ed essendo stata l’accoglienza distribuita a livello nazionale, il contagio è destinato a estendersi.

    «L’aspetto grave è che abbiamo le armi spuntate. Non abbiamo cioè ammortizzatori sociali adatti per far fronte a quella che si prospetta come una grande vertenza italiana», spiega Sabato. Il ministero del Lavoro di Luigi Di Maio ha appena pubblicato una circolare in cui autorizza la cassa integrazione straordinaria per le imprese appaltatrici di servizi di pulizia e mensa, ma non per i lavoratori che operano con i migranti. «Dopo l’accordo raggiunto per il contratto di solidarietà al Cara di Castelnuovo di Porto, non è stata prevista né cassa integrazione né ammortizzatori per la ricollocazione di queste persone», conferma Sabato. Lavoratori che forse, a questo punto, si ritroveranno a chiedere il reddito di cittadinanza. O, tutt’al più, a fare i navigator.

    https://www.linkiesta.it/it/article/2019/04/03/decreto-sicurezza-disoccupati-immigrazione/41666
    #décret_Salvini #décret_sécurité #decreto_Salvini #asile #migrations #réfugiés #chômage #travail #jeunes #Italie #chiffres #statistiques #SPRAR #hébergement

  • Tribunale di Firenze: i richiedenti asilo hanno diritto all’iscrizione anagrafica

    Commento a cura dell’avv. Daniela Consoli.

    Il Tribunale di Firenze, con l’ordinanza in commento, fa salvo l’art. 4-bis d.lgs. 142/2015 così come introdotto dall’art. 13 d.l. 113/2018 conv. in l. 132/2018, formulando una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, ed ordinando al Comune convenuto, per l’effetto, l’immediata iscrizione del ricorrente richiedente asilo nel registro anagrafico della popolazione residente.

    La decisione, particolarmente articolata, ha il pregio di trattare, con rigore dogmatico, tutte le problematiche che consentono, all’interprete ed agli operatori del diritto, di procedere all’applicazione della norma senza ledere il diritto alla residenza dei richiedenti la protezione internazionale, nel rispetto della legge.

    Il Tribunale fiorentino, innanzitutto, afferma un principio di generale portata ovvero che la norma una volta emanata “si stacca dall’organo che l’ha prodotta e non viene più in rilievo come una “decisione” legata a ragioni e fini di chi l’ha voluta, ma come un testo legislativo inserito nell’insieme dell’ordinamento giuridico” e dunque doverosamente interpretabile “in modo conforme al canone della coerenza con l’intero sistema normativo, coerenza che andrà evidentemente ricercata anche sul piano costituzionale”

    Ad avvalorare l’assunto il Tribunale tra l’altro menziona Cass. n. 3550/1988, n. 2454/1983 e n. 3276/1979.

    Diversamente ragionando “l’interprete” non potrebbe “procedere alla …… esatta comprensione” della norma “secondo i canoni ermeneutici legali previsti all’art. 12 ss. delle preleggi”.

    Posta la sintetizzata premessa, il Tribunale dà atto del fatto che “ogni richiedente asilo, una volta che abbia presentato la domanda di protezione internazionale, deve intendersi comunque regolarmente soggiornante” sul territorio dello Stato quantomeno per il tempo occorrente ad accertare il diritto alla protezione pretesa e che “la regolarità del soggiorno sul piano documentale” può essere comprovata, oltre che dal permesso di soggiorno, di cui la norma in commento esclude la spendibilità, da ulteriori e diversi documenti quali ad esempio “gli atti inerenti l’avvio del procedimento volto al riconoscimento della fondatezza della pretesa di protezione ed in particolare attraverso il cd. “modello C3”, e/o mediante il documento nel quale la questura attesta che il richiedente ha formalizzato l’istanza di protezione internazionale”

    Il Tribunale inoltre fa rilevare come a conforto della decisione assunta milita un ulteriore argomento: l’art. art. 13, alla lett a) fa divieto di iscrizione anagrafica esibendo il solo permesso di soggiorno per richiesta asilo e la successiva lett c, abroga espressamente, l’istituto della cd convivenza anagrafica (introdotto con decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 conv. in legge 13 aprile 2017, n. 46) che, appunto, consentiva, l’iscrizione del richiedente la protezione internazionale, su comunicazione del responsabile della struttura di accoglienza attraverso l’invio del solo permesso di soggiorno per richiesta asilo.

    Dunque, l’interpretazione coerente delle due disposizioni (lett. a e c dell’art. 13) porta a ritenere che il legislatore abbia sancito “l’abrogazione, non della possibilità di iscriversi al registro della popolazione residente dei titolari di un permesso per richiesta asilo, ma solo della procedura semplificata prevista nel 2017 che introduceva l’istituto della convivenza anagrafica, svincolando l’iscrizione dai controlli previsti per gli altri stranieri regolarmente residenti e per i cittadini italiani. Eliminando questa procedura il legislatore ha in qualche modo ripristinato il sistema di assoluta parità tra diversi tipologie di stranieri regolarmente soggiornanti e cittadini italiani previsto dal T.U.I.”

    https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/tribunale-di-firenze-i-richiedenti-asilo-hanno-diritto-alliscrizione-anagrafica
    #tribunal #Florence #Italie #asile #migrations #réfugiés #justice #Decreto_Salvini #Décret_Salvini #Décret_sécurité #résistance

    • Migranti: #Ancona, sì iscrizione anagrafe

      Il tribunale di Ancona ha disposto l’iscrizione anagrafica di un richiedente asilo e ha contestualmente sollevato questione di legittimità costituzionale. L’ordinanza è firmata dal giudice Martina Marinangeli, che fa esplicito riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione sollevando dubbi di legittimità costituzionale.
      Il caso è stato seguito dall’avvocato Paolo Cognini dell’Asgi (Associazione di Studi Giuridici sull’Immigrazione), che ha promosso il ricorso cautelare dinanzi al Tribunale di Ancona insieme all’associazione ’Ambasciata dei Diritti Marche’.
      «La richiesta di pronunciamento della Corte Costituzionale - scrive l’associazione - può fare chiarezza definitiva sull’incostituzionalità delle disposizioni in materia di iscrizione anagrafica».


      http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2019/07/30/migranti-ancona-si-iscrizione-anagrafe_afccf3e1-0871-47aa-9716-280bf79012b2.htm

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      Il Comune di #Ancona decide di iscrivere i richiedenti asilo all’Anagrafe

      Quello che a prima vista potrebbe sembrare un provvedimento emanato da un Sindaco illuminato, in realtà è il frutto di una lunga battaglia combattuta dal basso usando tutti i metodi possibili, dai ricorsi in tribunale alla occupazione dell’ufficio anagrafe passando per manifestazioni e presidi.
      Infatti la posizione del sindaco Valeria Mancinelli (PD) era inizialmente perfettamente in linea con i decreti Minniti prima e Salvini poi, anteponendo il principio secondo il quale “una legge diventa automaticamente giusta una volta emanata”.

      Lo scorso luglio il Comune di Ancona ha visto crollare questa certezza ed è stato obbligato ad iscrivere un richiedente asilo all’anagrafe a seguito di un ricorso in tribunale seguito dall’Ambasciata dei Diritti (vedi qui la sentenza: https://www.meltingpot.org/Iscrizione-anagrafica-dei-richiedenti-asilo-il-Tribunale.html).

      Il caso è diventato subito di rilievo nazionale non solo per aver messo in discussione il decreto Salvini ma anche perché fu il primo in Italia in cui il giudice richiedeva l’interpretazione da parte della Corte Costituzionale.
      Nonostante il clamore e l’importanza del caso, sia il Sindaco che l’ufficio anagrafe hanno continuato a diniegare i richiedenti asilo che chiedevano l’iscrizione, un comportamento ingiustificabile visto che il municipio avevo perso da poco una causa per lo stesso tipo di richiesta.

      Chiunque si sarebbe aspettato che un sindaco PD cogliesse al volo l’opportunità di combattere sia sul piano politico che pratico una legge profondamente discriminatoria voluta dalla Lega, ma ciò non solo non accadde ma altresì lo stesso ente ha dato vita a tutta una serie di ostacoli per la presentazione dei documenti, espressamente finalizzati all’impedire l’iscrizione anagrafica.

      Col passare del tempo però tutti gli impedimenti messi in piedi dall’amministrazione si sono verificati inutili, tanto che solo l’Ambasciata dei Diritti aveva pronte già altre 80 vertenze, sottoposto a tale pressione il comune a fine gennaio ha deciso di riconoscere l’iscrizione anagrafica.
      Scarica il provvedimento:
      https://www.meltingpot.org/IMG/pdf/prot._15075_iscrizione_anagrafica_in_via_provvisoria_dei_richiedenti_asi

      Pur essendo oggi un provvedimento importante resta il rammarico per il tempo perso, infatti se le iscrizioni fossero state fatte già da ottobre 2019, tanti ragazzi non avrebbero perso occasioni lavorative dato che senza residenza non si può firmare un contratto di lavoro e avrebbero già un medico di base.

      La scelta di concedere solo ora l’iscrizione anagrafica, sembra un gioco elettorale e politico fatto sulla pelle dei richiedenti asilo che vivono e studiano ormai da anni ad Ancona: mancano meno di due mesi all’udienza in Corte Costituzionale e il sindaco con questa mossa prende superficialmente le distanze dalle pratiche salviniane tenute fino ad oggi.

      Le ricadute sulle “vittime” di questo diritto negato sono molto pesanti. L’impossibilità di prendere la patente o il fatto di non poter iniziare ad accumulare gli anni di residenza per ottenere la cittadinanza sono solo due aspetti di una serie di limitazioni e vincoli.

      https://www.meltingpot.org/Il-Comune-di-Ancona-decide-di-iscrivere-i-richiedenti-asilo.html

    • Residenza ai migranti, accordo fra 5 Comuni nel Bolognese

      Le amministrazioni delle #Valli_del_Reno pronti ad accogliere le richieste dei richiedenti asilo. Il sindaco di Casalecchio: «Valuteremo i loro requisiti come per tutti i cittadini che ne hanno diritto»

      Cinque Comuni della provincia di Bologna sono pronti a concedere la residenza anagrafica ai richiedenti asilo che d’ora in poi ne faranno richiesta, senza affrontare cause legali o udienze in tribunale. È la decisione che hanno preso i sindaci di #Casalecchio, #Valsamoggia, #Sasso_Marconi, #Zola_Predosa e #Monte_San_Pietro, che fanno parte dell’#Unione_delle_valli_del_Reno.

      https://bologna.repubblica.it/cronaca/2019/08/15/news/residenza_ai_migranti_accordo_fra_5_comuni_nel_bolognese-23368874

    • "Comune #Bari iscrive all’anagrafe richiedente asilo": la sentenza disapplica il decreto Salvini

      Per il giudice con la mancata iscrizione «verrebbe impedito l’accesso a tutti i servizi ad essa connessi»
      Il Comune di Bari dovrà provvedere alla iscrizione anagrafica di un cittadino originario del Bangladesh, richiedente asilo, residente in Italia dal luglio 2016. Lo ha stabilito il Tribunale di Bari, prima sezione civile (giudice Giuseppe Marseglia) con una ordinanza con la quale ha accolto il ricorso del richiedente asilo, assistito dall’avvocato Felice Patruno. Per il giudice con la mancata iscrizione «verrebbe impedito l’accesso a tutti i servizi ad essa connessi».

      Il provvedimento adottato dal giudice ordina l’iscrizione «disapplicando le norme del decreto Salvini (dl 113/2018) - spiega il legale - di cui si riserva di rimettere la questione alla Corte di Giustizia Ue e alla Corte costituzionale per contrasto con le norme europee e nazionali».

      Il cittadino bengalese si era visto negare l’asilo dalla Commissione territoriale per la protezione internazionale di Bari e la richiesta è attualmente pendente in Cassazione. «Il Comune di Bari ha rigettato la sua istanza di iscrizione nel registro dell’anagrafe comunale, - spiega l’ordinanza - sostenendo che» sulla base del decreto Salvini «il suo permesso di soggiorno per richiesta asilo, in quanto temporaneo, non fosse ’titolo’ valido a legittimare la richiesta».

      Per il giudice, però, «il diritto all’iscrizione richiede due requisiti necessari: uno oggettivo consistente nella permanenza in un certo luogo ed uno soggettivo», e cioè «l’intenzione di abitarvi stabilmente». «E’ ragionevole ritenere che il ricorrente, - motiva il Tribunale - avendo proposto richiesta di asilo ed ancor piu avendo sottoscritto volontariamente un contratto di locazione regolare della durata di due anni per un immobile a Bari, abbia integrato entrambi i requisiti, trovandosi di fatto stabilmente sul territorio italiano ormai dal 2016, circostanza che dimostra il carattere non episodico e di non breve durata».

      Inoltre «la mancata iscrizione nel registro dell’anagrafe rappresenta fonte di pregiudizio non risarcibile per equivalente e dunque irreparabile» perché impedirebbe l’accesso ad una serie di servizi. Infatti, sebbene il decreto Salvini «abbia previsto che anche in caso di mancata iscrizione nei registro anagrafico, - spiega il giudice - il richiedente possa accedere a diversi servizi essenziali quali ad esempio l’assistenza sanitaria, l’istruzione dei minori richiedenti protezione internazionale e dei minori figli di richiedenti protezione internazionale, la possibilita? ’di svolgere l’attivita? lavorativa’, la partecipazione ’ad attivita? di utilita? sociale’, l’iscrizione anagrafica nel registro della popolazione residente resta comunque necessaria per poter accedere ai servizi e alle misure di politica attiva del lavoro, per poter richiedere e ottenere un numero di partita Iva, ai fini della determinazione del valore Isee richiesto per poter accedere alle prestazioni sociali agevolate (ad esempio l’assegno di natalita?), ai fini della decorrenza del termine di 9 anni per ottenere la cittadinanza italiana, per poter ottenere il rilascio del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, ai fini del rilascio della patente di guida».

      «Non puo? dunque dubitarsi - conclude l’ordinanza - che il divieto di iscrizione anagrafica per il richiedente asilo finirebbe per compromettere il godimento di diritti fondamentali di rilevanza costituzionale».

      https://bari.repubblica.it/cronaca/2020/03/04/news/_comune_bari_iscrive_all_anagrafe_richiedente_asilo_la_sentenza_disa

  • #Paese_nostro – il film che avremmo voluto mostrarvi

    Paese Nostro è un film sull’accoglienza diffusa che ZaLab ha realizzato, ma che non può mostrare.

    E’ costituito da 6 cortometraggi e ritrae sei operatori sociali impegnati a diverso titolo e in diverse regioni italiane nei progetti #SPRAR.

    Il lavoro degli operatori sociali coinvolti nell’accoglienza, i loro sacrifici, le loro difficoltà, i loro dubbi, la loro quotidiana sfida per la costruzione di una società più aperta e democratica sono al centro del film.

    Paese Nostro è stato realizzato nel 2016 grazie ad un bando presso il Ministero degli Interni, relativo alla disponibilità di un finanziamento del Fondo Asilo, migrazione e integrazione (FAMI) dell’UE per il racconto delle realtà dei progetti SPRAR.

    Dal gennaio 2017 il film è inspiegabilmente bloccato presso il Ministero degli Interni e non può essere visto dal pubblico.

    Il 19 marzo alla Camera dei Deputati vi faremo vedere il film sull’accoglienza che Minniti e Salvini non hanno voluto farvi vedere.
    Invitiamo anche Minniti, Salvini e i dirigenti del Viminale a venirci a spiegare come mai questo film esiste, ma non si può vedere.
    Invitiamo tutti i Parlamentari a venire a vederlo.
    Dalle 10 alle 14, presso la Sala Nilde Iotti – Piazza del Parlamento 9, Roma. Per partecipare alla presentazione inviare NOME E COGNOME entro il 13 marzo ore 13.00 alla mail: comunicazione@zalab.org con oggetto: PAESE NOSTRO PRESENTAZIONE

    Durante la presentazione mostreremo alcuni estratti del film e ne lanceremo una distribuzione libera e gratuita, chiedendo pubblicamente al Ministero di fornire spiegazioni su questa situazione.

    http://www.zalab.org/paese-nostro-il-film-che-avremmo-voluto-mostrarvi
    #film #censure #Italie #accueil #accueil_diffus #asile #migrations #réfugiés #accoglienza_diffusa
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  • Roma. La buona accoglienza avrà solo 200 posti

    Con il nuovo bando, penalizzato (anche in termini economici) il sistema più virtuoso, quello degli appartamenti e dei piccoli spazi. Il 75% dei posti destinati ai grandi centri collettivi.
    Più grandi centri per immigrati e meno accoglienza diffusa, quella virtuosa. Quasi destinata a sparire. È quello che accadrà a Roma, dopo il nuovo bando della Prefettura della Capitale che applica le nuove indicazioni del Viminale. Eppure lo scorso 31 gennaio il ministro dell’Interno Salvini, in occasione dell’inizio dello sgombero del Cara di Mineo, aveva affermato con orgoglio: «Avevamo promesso la chiusura dei grossi centri e lo stiamo facendo». Ma a Roma i numeri dicono proprio il contrario. La prefettura ha, infatti, messo a bando 3.970 posti di accoglienza. Di questi solo 200, il 5%, saranno in accoglienza diffusa in appartamenti, altri 800, il 20%, sono in centri collettivi fino a 50 posti, mentre la parte del leone la fanno i centri collettivi da 51 a 300 posti che avranno 2.970 posti, pari al 75% del totale. Una scelta che applica alla lettera il decreto ministeriale del 20 novembre riguardante i famosi tagli dei 35 euro al giorno di finanziamento ai centri, riducendo beni e servizi per il loro funzionamento. Un’impostazione che favorisce i centri di grandi dimensioni, anche in termini economici. Così, sempre secondo il bando, i centri ad accoglienza diffusa riceveranno 21,35 euro al giorno a persona, quelli collettivi fino a 50 posti ne avranno 26,35, quelli fino a 300 posti 25,25. Un taglio rispettivamente di 13,65 euro, 8,65 e 9,75. Si penalizzano, dunque, i centri che operano meglio, quelli che fanno davvero integrazione, come dimostrato anche da un recente dossier della Caritas di Roma, e che coinvolgono anche parrocchie e ordini religiosi.

    L’idea, sbagliata, che c’è dietro alle scelte del Viminale, applicate dalla Prefettura romana, è che l’accoglienza diffusa costi di meno. Ad esempio perché le persone cucinano da sole. Ma non tiene in conto che il costo degli affitti e delle utenze è proporzionalmente più alto (più appartamenti invece di un unico grande centro) o che un operatore in una struttura collettiva fa il giro delle stanze in pochi minuti, invece nell’accoglienza diffusa deve fare il giro di dieci appartamenti. Nella logica ministeriale gli immigrati devono stare per conto loro nell’appartamento e ogni tanto andare in un ufficio per risolvere i problemi. Ma in realtà l’accoglienza diffusa è più difficile e più costosa. Invece i grandi centri riceveranno di più e spenderanno di meno, grazie ai tagli dei servizi. Secondo un’analisi degli esperti della cooperativa InMigrazione, nel precedente bando del 2018 le ore giornaliere del personale da garantire per utente accolto, era 0,74 per centri piccoli e medi e 0,67 per quelli grandi. Col nuovo bando si scende a 0,36 per piccoli e medi e a 0,17 per quelli grandi. Un evidente calo della qualità dell’accoglienza, anche se sempre Salvini aveva detto «sono orgoglioso del nostro lavoro per offrire servizi migliori ai veri profughi e per stroncare l’illegalità». Ma l’illegalità, come emerso da moltissime inchieste, da ’mafia capitale’ in poi, riguarda soprattutto le grandi strutture.

    Ma proprio queste perderanno meno delle altre. Infatti col taglio dei servizi, i centri piccoli e medi risparmieranno 4,94 euro al giorno pro capite, mentre quelli grandi 6,50. Alla fine la perdita, rispetto al bando del 2018 a 35 euro, sarà di 8,71 euro per i centri piccoli ad accoglienza diffusa, 3,71 per quelli medi e di 3,25 per quelli grandi. Quest’ultima cifra può essere tranquillamente tamponata dalle economie di scala garantite dai grandi numeri: è evidente che con 300 utenti è possibile ottenere un prezzo vantaggioso da un catering che fornisce pasti rispetto a 20 utenti. A questo punto molti piccoli gestori rinunceranno a partecipare alla gara, soprattutto chi non vuole risparmiare sulla pelle degli immigrati. E si faranno avanti gli affaristi che li metteranno negli appartamenti dicendo «fate quello che vi pare, basta che non date fastidio ai vicini», col rischio che si creino situazioni pericolose.

    Si spiega così, molto probabilmente, la scelta della prefettura di Roma di limitare appena al 5% l’accoglienza diffusa. Devono coprire 4mila posti ma, conoscendo bene la realtà cittadina, sanno che con questi tagli, si corre il rischio di avere poche risposta per l’accoglienza diffusa. Così riduce il numero ad appena 200 posti. E Roma potrebbe fare presto scuola. Con tanti saluti alla buona accoglienza.

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/roma-la-buona-accoglienza-avr-solamente-200-posti
    #Rome #Italie #accueil #hébergement #logement #réfugiés #asile #migrations #décret_salvini #decreto_salvini #decreto_sicurezza #business
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    • Accoglienza: nei nuovi bandi 21 euro a migrante. Via psicologi, trasporti tagliati

      Gianfranco Schiavone, vicepresidente Asgi, commenta i nuovi bandi della Prefettura di Milano per l’accoglienza ai richiedenti asilo. “La filosofia? Non devono muoversi, non hanno bisogno di parlare”. Cosa cambia? “Impossibile l’accoglienza diffusa, è diventato il servizio più economico di tutto il settore socio-assistenziale”

      “Il messaggio politico che si vuole mandare è chiaro: con i migranti non c’è nemmeno bisogno di parlare”. Usa questa sintesi Gianfranco Schiavone, vice presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), per definire i contenuti e le voci economiche dei nuovi bandi di Milano e area metropolitana e di altre città che si sono mosse mettendo a gara i centri per l’accoglienza degli stranieri. La Prefettura milanese è stata fra le prime, tra le grandi città, a pubblicare le gare per gli enti che vogliono gestire centri per richiedenti asilo nel 2019 e 2020: 2.900 posti complessivi, di cui 750 in appartamenti, 500 posti in strutture collettive fino a 50 posti, altri 1.650 per centri collettivi da 51 a 300 posti, a cui si aggiunge il Centro di accoglienza straordinaria “Caserma Mancini” di via Corelli 176. C’è tempo fino a metà marzo per rispondere all’appello della Prefettura, che ha scritto le gare basandosi sul nuovo capitolato della Direzione centrale del ministero dell’Interno. Lo ha fatto tagliando e sforbiciando soldi per le varie voci dell’accoglienza fino a scendere a una media di 21,35 euro per persona – più pocket money da 2,5 euro – per i centri da 50 posti di capienza. La filosofia che ci sta dietro? “Rendere impraticabile l’accoglienza diffusa e impossibile un minimo di qualità”, risponde Schiavone.
      Per il giurista “vengono penalizzate le strutture che non siano di mero parcheggio. Per cui la questione ora diventa che non siamo di fronte a un contenimento, anche drastico ma legittimo dei costi, ma all’impossibilità di fornire un servizio”. E secondo lui per rendersene conto basta “fare confronto con il costo di un qualunque piano freddo comunale per i senza dimora, dove peraltro si tratta di fornire servizi molto più ristretti. L’accoglienza agli stranieri diventerà il servizio più economico di tutto il settore socio-assistenziale, solo perché rivolto agli stranieri”.

      Sciorina numeri Schiavone: “Le basi d’asta non sono congrue, il più clamoroso scarto è su affitti e utenze. Nello schema di capitolato nazionale il ministero fa riferimento alla spesa mediana delle famiglie per affitti e utenze e le stima in 3,93 euro giornalieri per persona. In realtà i dati dall’Istat parlano di 11,91 euro. O è un clamoroso errore oppure una somma buttata lì. Un appartamento che ospita 5 persone secondo queste previsioni dovrebbe costare meno di 580 euro mensili tra affitto ed utenze. È impossibile che sia così a meno che non si tratti di situazioni degradate e geograficamente isolate con costi modesti, e ci sono aree di Italia in cui questo avviene, ma di certo non a Milano. L’associazione che vorrà realizzare accoglienza diffusa con i parametri del vecchio sistema Sprar non lo potrà fare”.

      Capitolo operatori sociali? “Viene stabilito che ce ne sarà 1 ogni 50 persone mentre la media Sprar era di a 1 a 10. Quindi l’operatore che deve gestire 10 appartamenti per 5 persone ciascuno come fa? Potrà seguire ogni ospite per dieci minuti al giorno, comprensivi di raccolta firme, distribuzione di beni, derrate alimentari, pocket money, mediazione linguistica e culturale. Le ore di dialogo sono 10 a settimana ogni 50 persone: significa 1,7 minuti al giorno”. Trasporti? “La logica del capitolato è quella per cui le persone non hanno bisogno di muoversi: 12 viaggi annuali da un massimo di 30 chilometri ciascuno. Significa non poter più frequentare i corsi di italiano gestiti dai Cpia (Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, ndr) che non esistono nei paesini e si aggiunge al fatto che il decreto Salvini impedisce agli enti gestori di fare i corsi di italiano in loco, all’interno i centri. Qualcuno li raggiungerà a piedi ma i meno fortunati delle aree periferiche o hinterland non ce la faranno. L’Italia sarà l’unico Paese dell’Unione europea a non insegnare ai richiedenti asilo la lingua del Paese ospitante, con quella che è una politica del disprezzo per quanto riguarda la partecipazione di queste persone alla vita pubblica”.

      Tra i tanti temi sollevati dal vice presidente di Asgi anche quello delle persone vulnerabili: “Si parla solo di richiedenti asilo, senza nessuna differenza di categoria – spiega Schiavone –: Anziani? Bambini? Donne violentate? Uomini torturati? Nessun servizio specifico”. “Non è prevista nemmeno la figura dello psicologo che curiosamente viene mantenuta solo nel Centro per il rimpatrio, dove ci sono persone che con alta probabilità verranno espulse dall’Italia. Non c’è nessuna previsione di spesa per l’infanzia e le famiglie quelle scolastiche o per l’animazione dei bambini, come se non esistessero. Era indifferenziato anche il capitolato precedente, ma nel momento in cui l’aggancio economico era il parametro Sprar con cifre un po’ al di sotto dei famosi 35 euro, almeno le cooperative e le associazioni mosse da buona fede sopperivano a questa carenze. Erano le stesse prefetture a richiamare gli enti gestori a questi compiti, anche se ovviamente chi voleva fare poco e male non veniva obbligato. Sarebbe positivo se la politica decidesse di dettagliare queste voci. Nei nuovi bandi, incluso quello di Milano, non lo si fa: solo spariscono. Oppure non costano più nulla”.

      Da ultimo quello che Schiavone ipotizza essere un “profilo di violazione della Convenzione europea sui diritti dell’uomo”. “Si parla chiaramente di fornitura di pasti e derrate alimentari – chiude Schiavone – a carico dell’ente gestore. Il punto è: queste persone non sono interdette, non sono in stato d’arresto, hanno anche doveri come il mantenimento della casa e possono uscire come e quando vogliono. Però si scrive che qualcuno gli deve portare la spesa a casa, come se non fossero in grado di farlo da soli, non potessero andare nei supermercati degli italiani per conto proprio”.

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/620425/Accoglienza-nei-nuovi-bandi-21-euro-a-migrante-Via-psicologi-traspo

  • Droit au chômage : « On décidera par décret » - Assurance-chômage : le gouvernement va devoir assumer une réforme minée, Bertrand Bissuel, Le Monde
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2019/02/21/unedic-l-executif-va-devoir-assumer-sa-reforme-de-l-assurance-chomage_542623

    En désaccord sur la question des contrats courts, les partenaires sociaux ont mis fin à leurs négociations.

    Le miracle n’a pas eu lieu. Réunis, mercredi 20 février, pour une dixième séance de négociation sur l’assurance-chômage, les partenaires sociaux ont confirmé leur incapacité à parvenir à un compromis. Plus que prévisible, cette issue est la résultante de profonds désaccords entre les parties en présence pour combattre le recours abusif aux contrats courts. Les syndicats militaient pour un système de bonus-malus, qui augmente les cotisations des entreprises où la main-d’œuvre tourne fréquemment et diminue celles des employeurs dont les effectifs sont stables. Le patronat, hostile jusqu’au bout à un tel mécanisme, suggérait d’autres pistes – jugées insuffisantes par le camp adverse. Chaque protagoniste restant arc-bouté sur ses positions, les discussions ne pouvaient que capoter.

    L’exécutif va, du même coup, reprendre en main un dossier qui s’avère éminemment sensible, puisque l’un des principaux objectifs du processus en cours est de réaliser des économies sur les dépenses d’allocation en faveur des demandeurs d’emploi. Cet épisode risque fort d’accélérer le déclin du paritarisme à l’échelon interprofessionnel.

    Les organisations d’employeurs et de salariés n’ont mis qu’une heure, mercredi, pour sceller le divorce. Pour cette rencontre de la dernière chance, les représentants du Medef, de la Confédération des petites et moyennes entreprises (CPME) et de l’Union des entreprises de proximité (U2P) étaient venus avec une nouvelle proposition : la création d’un fonds pour financer des formations et une indemnisation en faveur des salariés alternant contrats courts et périodes d’inactivité.

    L’idée de ce « pot commun » (alimenté par une contribution spécifique des entreprises sur les #CDD_d’usage) ayant circulé avant les échanges de mercredi, plusieurs responsables syndicaux avaient clairement dit qu’elle n’était pas à la hauteur des enjeux. Dès lors, les conclusions ont vite été tirées : « Nous faisons le constat aujourd’hui que nous ne pouvons trouver suffisamment de points de convergence », a déclaré Hubert Mongon, le chef de file du Medef, à l’issue de la réunion.

    Responsabilité de l’échec

    Comme souvent dans ce type de situation, les acteurs en présence se sont mutuellement renvoyé la responsabilité de l’échec. « Le patronat n’a jamais voulu discuter des moyens de lutter contre la #précarité et d’un système de modulation des #cotisations [s’apparentant au #bonus-malus] », a dénoncé Denis Gravouil (CGT). « Je ne vois pas à quoi ça rime, ce simulacre de négociation », a enchaîné Eric Courpotin (CFTC). L’attitude des organisations de salariés relève du « non-sens », a rétorqué la CPME, dans un communiqué, en soulignant la nécessité de « réagir » face à la #dette « de plus de 30 milliards d’euros » accumulée par l’Unédic, l’association paritaire qui pilote l’assurance-chômage.

    En réalité, la probabilité d’un « deal » était mince, dès le départ, car le gouvernement a placé la barre très haut. Dans la feuille de route transmise fin septembre 2018 aux partenaires sociaux pour cadrer leur réflexion, Matignon a tracé des orientations de nature à mécontenter tout le monde : d’un côté, il y a les économies, de 3 à 3,9 milliards d’euros en trois ans, qui indisposent les syndicats ; de l’autre, la volonté de forger de « nouvelles règles », pour réduire le nombre de précaires constamment réembauchés en CDD ne peut que faire froncer les sourcils des leaders patronaux. Sur ce deuxième volet, le mot « bonus-malus » n’est, certes, pas cité dans le document de cadrage du premier ministre, mais Emmanuel Macron a, lui-même, récemment rappelé qu’il comptait toujours mettre en œuvre cette mesure, inscrite dans son programme de campagne – contribuant, ainsi, à tendre « les positions des uns et des autres », d’après Michel Beaugas (FO).

    Mercredi soir, devant quelques journalistes, la ministre du travail, Muriel Pénicaud, a regretté l’absence d’accord, en précisant que « le gouvernement prendra ses responsabilités ». Autrement dit, c’est lui qui changera les conditions d’accès à l’assurance-chômage et les modalités d’indemnisation des demandeurs d’emploi. Un événement rarissime depuis la fondation de l’Unédic, au tout début de la Ve République. Il y a trois ans, les négociations s’étaient soldées par un échec – en buttant, déjà à l’époque, sur la question des contrats courts, mais l’exécutif s’était alors contenté de prolonger, par décret, les dispositions en vigueur. En 1982, en revanche, le #gouvernement_Mauroy avait pris des mesures d’une tout autre ampleur, après les discussions infructueuses entre le patronat et les confédérations de salariés : un #décret avait été publié, qui modifiait significativement le « fonctionnement du régime ».

    « On décidera par décret »

    Le pouvoir en place aujourd’hui va-t-il procéder de la même manière ? Les propos de Mme Pénicaud, mercredi, ne laissent guère de place au doute : « On décidera par décret », a-t-elle martelé sur BFM-TV, mais les organisations d’employeurs et de salariés seront consultées au préalable, a-t-elle précisé. Le calendrier de la concertation n’est pas connu, à ce stade.

    Les syndicats craignent que les transformations à venir ne pénalisent durement les demandeurs d’emploi, en particulier ceux qui occupent une activité réduite, avec la possibilité de cumuler leur salaire et une prestation de l’Unédic. L’hypothèse d’un abaissement de l’indemnité maximale plane aussi. Une telle option, si elle était retenue, toucherait fortement les cadres, puisque l’allocation dépend du montant de la rémunération, a mis en garde Jean-François Foucard (CFE-CGC) : « On sera en [position] défensi[ve] pour essayer de limiter les dégâts. » La CGT, pour sa part, a indiqué qu’elle sera attentive au sort des personnes ayant plusieurs employeurs (les #assistantes_maternelles, notamment), puisque les règles applicables à elles sont susceptibles d’être durcies.

    Le patronat fait également grise mine, face à la perspective du bonus-malus. « Le système, tel qu’il est aujourd’hui envisagé, n’a aucun sens pour l’emploi », a répété M. Mongon, mercredi.

    S’il va au bout de ses intentions, l’exécutif se mettra donc à dos l’ensemble des partenaires sociaux et accréditera la thèse selon laquelle il ne tient pas compte des corps intermédiaires, tout en donnant l’impression de s’attaquer aux plus faibles.

    Pas idéal dans le contexte actuel d’ébullition sociale.

    « Une nouvelle ère » est en train de s’ouvrir, a lancé Marylise Léon (CFDT), mercredi. Celle du « paritarisme d’Etat », a complété M. Beaugas. « On implose de l’intérieur », a renchéri Patrick Liébus (U2P). Des formules-chocs pour signifier que les prérogatives dévolues aux organisations de salariés et d’employeurs se réduisent comme peau de chagrin dans la gouvernance de grands dispositifs de protection sociale, les pouvoirs publics exerçant une emprise de plus en plus grande. La fin d’une époque ?

    « Je ne vois pas l’Etat décider seul et signer ainsi l’acte de décès du #paritarisme, nuance Raymond Soubie, président de la société de conseils Alixio et spécialiste du social. Il a intérêt à s’appuyer sur le patronat et les syndicats, surtout dans la période mouvementée que le pays traverse. Mais on entre incontestablement dans une phase de régression des négociations interprofessionnelles. »

    #chômeurs #droit_au_chômage

  • Migranti, ora il business si chiama detenzione e rimpatrio (e a fare i soldi sono i francesi)

    La prefettura di Milano pubblica i bandi di gara per affidare centri e strutture per migranti e mette nero su bianco una realtà: punita economicamente la piccola accoglienza. Spariti i celebri 35 euro. Ma non per tutti: chi si occupa di centri per i rimpatri, detenzione amministrativa e #hotspot vede.

    È ufficiale: i famosi 35 euro per migrante sono stati cancellati. È finita la mangiatoia, direbbe qualcuno. Ma non per tutti. Si sapeva che sarebbe accaduto. A metterlo nero su bianco è ora la Prefettura di Milano. Prima fra le più grandi città italiane (dietro invece a Udine, Gorizia, Chieti, Biella, Catanzaro e Venezia) a pubblicare i bandi per l’accoglienza dei richiedenti asilo nel 2019 e 2020. Lo ha fatto tenendo conto del #decreto_Salvini e sopratutto del nuovo capitolato d’#appalto stilato dal Dipartimento centrale del ministero dell’Interno.

    Le basi d’asta per i 3.200 posti letto complessivi su Milano e area metropolitana, che vengono messi a gara da oggi fino al 15 marzo, racchiudono i timori che negli scorsi mesi hanno invaso la testa di cooperative, onlus, associazioni e i vari attori dediti all’accoglienza degli stranieri. In sintesi: spariscono corsi di lingua, formazione professionale, accompagnamento all’inserimento sociale o lavorativo, avvocati, psicologi. Vengono tagliati i trasporti. Per le strutture da 50 a 300 posti letto sono previsti 21,90 euro per persona al giorno; per le strutture fino a 50 posti 23 euro, mentre per gli appartamenti 18 euro. «Si punisce qualunque struttura che non sia un mero parcheggio – commenta il giurista Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) – Il messaggio politico che si vuole mandare è chiaro: con queste persone non è necessario parlare, non hanno bisogno di muoversi».

    «Penalizzata l’accoglienza diffusa, il contrario di ciò che andava fatto – gli fa eco Alberto Sinigallia, Presidente di Fondazione Progetto Arca, colosso lombardo e nazionale del terzo settore e dell’accoglienza, che annuncia la dismissione di circa metà dei centri/posti letto e il mancato rinnovo del contratto di lavoro a tempo determinato per 30 operatori a partire da fine aprile su Milano, Varese e Lecco. L’unica logica che ci sta dietro è quella della sicurezza: vogliono tenere le persone nelle grandi strutture, non negli appartamenti e nei paesini, per poterle controllare meglio».

    Per gli ex centri di identificazione ed espulsione (Cie) reintrodotti nel 2017 dal ministro Marco Minniti sono stati estesi i tempi di permanenza fino a 180 giorni. Si chiama detenzione amministrativa: il carcere che non è carcere, dove le persone possono essere trattenute paradossalmente senza le tutele giuridiche dei detenuti

    La “punizione” economica, però, è per molti ma non per tutti. Le uniche strutture per cui i soldi rimangono quasi invariati, se non più alti, sono gli hotspot e #Centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio (Cpr). Si tratta degli ex centri di identificazione ed espulsione (Cie) reintrodotti nel 2017 dal ministro Marco Minniti. Qui la maggioranza giallo-verde in Parlamento ha esteso, con il decreto Salvini, i tempi di permanenza fino a 180 giorni. Sei mesi. Si chiama detenzione amministrativa: il carcere che non è carcere, dove le persone possono essere trattenute paradossalmente senza le tutele giuridiche dei detenuti e senza aver commesso reati contro persone o cose ma solo in quanto irregolari.

    A Milano apre il Cpr di via Corelli, estrema periferia orientale della città. Dal primo maggio – scrive la prefettura – saranno disponibili 140 posti. Che non vengono pagati 18 euro ciascuno. Ma 32,15 euro, comprensivi del kit di primo ingresso (cuscini, lenzuola etc.) e in qualche caso scheda telefonica da cinque euro, rilasciati una tantum. Altro paradosso: nel Cpr il gestore deve offrire il “servizio di assistenza psicologica” dal momento dell’ingresso e durante la permanenza nel centro e “il sostegno in considerazione della condizione di privazione della libertà”. Lo psicologo c’è quindi in luoghi dove al 99 per cento delle possibilità le persone recluse vengono poi espulse dall’Italia. Non è previsto invece nei centri di accoglienza con donne vittime di stupri in Libia o malati psichiatrici.

    Nei centri di espulsione infati il costo del personale sale a più del doppio di quello per strutture con all’interno richiedenti asilo. Non è tutto: perché i 32,15 euro non sono comprensivi di spese per sicurezza e vigilanza del centro di detenzione. Queste sono conteggiate a parte. Un’altra fetta di torta che andrà quantificata in futuro. Va ancora meglio a chi dovrà decidere di gestire gli hotspot, cioè dove vengono collocati i migranti appena sbarcati. Non riguarda Milano ma molte aree del sud Italia: si arriva fino a 41,83 euro giornalieri, recitano le tabelle ministeriali, se si ha la fortuna di avere meno di 50 persone all’interno. Le cifre scendono all’aumentare delle presenze, per le economie di scala, fino a 29,63 euro quando si hanno in carico fra 301 e i 600 migranti.

    Chi li prende i Cpr in Italia? Quello di Milano muoverà un giro d’affari da 3,9 milioni di euro, ma questi sono luoghi complicati: molte persone all’interno, arrabbiate, tanto che via Corelli venne chiuso come Cie nel 2014 per le rivolte e gli incendi appiccati dai reclusi in protesta. Avvengono suicidi e atti di autolesionismo. Realtà come Caritas e similari non li gestiscono, e mai si candiderebbero a farlo per ragioni etiche oltre che organizzative. Le piccole cooperative non hanno gli strumenti per prenderli in mano, anche ci fosse la volontà.

    L’unica logica che ci sta dietro è quella della sicurezza: vogliono tenere le persone nelle grandi strutture, non negli appartamenti e nei paesini, per poterle controllare meglio

    I Cpr vengono messi a bando, certo, ma “il business della detenzione amministrativa” nella penisola è stato più simile a un monopolio di fatto. Così a giungere in soccorso dell’Italia è stata in questi anni una società francese. Si chiama #Gepsa, multinazionale del gruppo #Engie – la ex #Gdf_Suez che con le sue società controllate si occupa di energia, gas, rinnovabili, ingegneria, infrastrutture – e che tramite #Gepsa_Oltralpe è specializzata in gestione e logistica di carceri e strutture detentive. Ha in mano 16 prigioni transalpine e presta i suoi servizi in dieci centri di detenzione amministrativa. Suo è anche il Cpr di Corso Brunelleschi a Torino, dopo aver avuto per anni tra le mani quello di Ponte Galeria, a Roma, Brindisi e numerosi altri centri.

    Per il capoluogo piemontese, alla gara d’appalto di settembre 2014, Gepsa si presentò come mandatario in un raggruppamento temporaneo d’impresa con l’associazione culturale Acuarinto come mandante, una realtà del terzo settore di Agrigento che da 26 anni lavora in sei diverse regioni d’Italia. Questi ultimi gestivano la mediazione culturale e quei servizi che devono esserci anche in un carcere che non è carcere. A Gepsa invece va in mano la sicurezza e la logistica. Furono gli unici a partecipare, offrendo il prezzo di 37,86 euro giornalieri più Iva a persona trattenuta, su una base d’asta di 40 euro con procedura al ribasso. Così si è aggiudicata la gestione del centro. E proprio da Torino è arrivato tre mesi fa a Milano il prefetto Renato Saccone, insediatosi in corso Monforte a novembre 2018.

    Potrebbero non avere vita facile a questa tornata i francesi. Perché gli affari dietro rimpatri e espulsioni ora fanno gola a molti. La gara milanese è europea, la concorrenza pure. Un lungo dossier di articoli pubblicato da Valori, testata giornalistica di Fondazione Finanza Etica, prova a raccontare le conseguenze economiche del decreto Salvini e delle politiche migratorie sovraniste. A chi fanno gola i nuovi affari? Ad esempio c’è la svizzera #ORS – ipotizza Valori – con il suo giro di fondi di investimento da tutto il mondo che conducono dritti nel cuore della City di Londra e al mondo dell’alta finanza. Proprio il 25 luglio scorso ORS ha deciso di registrare la propria filiale italiana alla Camera di Commercio di Roma, nelle settimane in cui il governo dell’Austria, dove la società operava da anni con un vasto mercato, annuncia di cambiare rotta per chiudere il sistema degli appalti privati e dare il là a una nuova agenzia pubblica per l’assistenza ai rifugiati. È solo un esempio. Se ne vedranno altri. Perché gli affari, come la natura, detestano il vuoto e non guardano al colore della pelle.

    https://www.linkiesta.it/it/article/2019/02/14/migranti-ora-il-business-si-chiama-detenzione-e-rimpatrio-e-a-fare-i-s/41082
    #business #rétention #détention_administrative #asile #migrations #réfugiés #Italie #renvois #expulsions #CIE #Milan #accueil_diffus #décret_salvini #decreto_sicurezza #privatisation #multinationales

  • Migranti SpA. Lega e 5 Stelle aprono le porte ai privati che l’Austria caccia via

    Il #Decreto_Sicurezza fa felici le holding dell’accoglienza migranti. Vienna intanto internalizza la gestione e abbandona la controversa ORS. Che ora punta sull’Italia

    Il giro di vite governativo sul sistema di accoglienza di migranti, rifugiati e richiedenti asilo imposto dal Decreto Sicurezza ha già prodotto un sicuro vincitore: il gruppo privato elvetico ORS. La società, controllata dal private equity londinese Equistone Partners, gestisce da anni decine di centri per migranti in Svizzera, Austria e Germania e il 22 agosto scorso ha annunciato ufficialmente il suo arrivo in Italia. Il contesto legale plasmato da Matteo Salvini non potrebbe essere più favorevole. Il drastico ridimensionamento del sistema Sprar in favore dei CAS, gestiti dai privati, rappresenta un’occasione troppo ghiotta. Grandi centri di massa, improntati al risparmio (almeno in apparenza) e orientati al profitto.

    Fonte di guadagno per le holding private che da tempo si spartiscono ciò che lo Stato sceglie di delegare. Il fenomeno è noto da qualche anno, Germania e Scandinavia ne hanno già una certa esperienza. Ora, a quanto pare, interessa anche l’Italia. Tanto più che qualcun altro, al contrario, sembra aver imboccato una strada completamente diversa.

    Svolta austriaca sui migranti

    Per capire l’importanza strategica assunta dall’Italia nel business plan di ORS, infatti, occorre guardare, in primo luogo, alle scelte della vicina Austria. L’annuncio è arrivato lo scorso mese di ottobre e non lascia spazio a molte interpretazioni.

    Vienna cambia rotta, chiude di fatto il sistema degli appalti privati e ripristina il controllo governativo sulla gestione dei migranti.

    A chiarirlo il ministro dell’Interno Herbert Kickl prefigurando la nascita di una nuova agenzia pubblica per l’assistenza ai rifugiati (Bundesagentur für Betreuungs und Unterstützungsleistungen – BBU) che dovrebbe farsi carico delle operazioni gestite dalle grandi società private. Tra queste, manco a dirlo, c’è proprio ORS che a conti fatti perderebbe l’incarico di gestione di sette centri nel Paese. Meglio puntare a sud, no?

    Sui migranti interviene la politica

    ORS è caratterizzata da forti legami con il mondo politico. Tra i suoi consiglieri ci sono anche l’ex ministro svizzero della Giustizia, della Polizia e delle Migrazioni (DFGP) Ruth Metzler-Arnold e l’ex vice-cancelliere austriaco, già ministro delle Finanze e degli Esteri, Michael Spindelegger.

    L’idea, insomma, è quella di un interlocutore privilegiato per i governi dei Paesi strategici. La vecchia storia delle porte girevoli, quell’unità di intenti tra pubblico e privato che si traduce in grandi profitti. Solo che, come si diceva, questa armonia si è ormai spezzata. E all’origine delle scelte di Vienna, viene ora da pensare, potrebbe esserci prima di tutto una vicenda pregressa decisamente imbarazzante.

    ORS sotto tiro

    In Austria ORS è stata travolta dalle polemiche nel 2015 per la pessima amministrazione del centro rifugiati di Traiskirchen. Lo stesso che fino al 2010 era stato gestito da un’altra controversa società del settore: la tedesca #Homecare. Progettato per una capienza di 1.800 persone, il campo era arrivato a ospitarne 4.600. 1.500 di loro, ha denunciato Amnesty International, erano costretti a dormire all’aperto. L’Ong ha definito «disumane» le condizioni di vita nel centro puntando il dito, in modo particolare, sulla scarsa cura prestata ai minori non accompagnati. Contattata da Valori, ORS ha risposto per iscritto parlando di «accuse infondate» e spiegando di non essere stata responsabile del sovraffollamento del campo non avendo il potere «né di assegnarsi né di respingere i rifugiati». L’invio dei richiedenti asilo a Traiskirchen, ha precisato la società elvetica, sarebbe stato effettuato «tramite il Ministero dell’Interno austriaco con la collaborazione istituzionale del personale di ORS».

    «Nell’interesse dei contribuenti»

    USA Today ha paragonato la gestione di Traiskirchen alla logica delle carceri private statunitensi, basata sul principio del taglio dei costi e della massimizzazione del profitto.

    Walter Ruscher, referente del ministero per il centro rifugiati, ha ammesso, ripreso dallo stesso quotidiano USA, che il governo aveva optato per l’appalto a ORS «nell’interesse dei contribuenti» per via dei costi particolarmente bassi garantiti dalla stessa società.

    Heinz Patzelt, Segretario Generale di Amnesty Austria ha sintetizzato la questione senza mezzi termini: «Traiskirchen è il sintomo principale del fallimento strutturale della Repubblica Federale austriaca nella gestione dei richiedenti asilo».

    ORS in crisi anche in Svizzera

    Ma quello austriaco non è l’unico mercato in crisi. I guai di ORS sono evidenti anche in patria dove i numeri segnano da tempo un’inversione di tendenza. Secondo le stime dell’Agenzia federale per l’immigrazione (Staatssekretariat für Migration), riprese dal quotidiano di Zurigo Blick, le richieste d’asilo in territorio elvetico dovrebbero attestarsi quest’anno a quota 16.500, meno della metà rispetto al dato registrato nel 2015 (quasi 40mila). Dal 2017, nella sola Svizzera, ORS ha chiuso 19 centri per migranti. A incidere sono il sostanziale blocco della cosiddetta rotta balcanica e il giro di vite sulle domande di asilo attuato dal governo elvetico. Le nuove norme accelerano il processo di valutazione delle richieste. Riducendo di fatto il numero dei migranti da ridistribuire nei centri di accoglienza sparsi per il Paese. Una ragione in più per guardare all’Italia e al suo mercato più promettente.

    https://valori.it/migranti-spa-salvini-apre-le-porte-ai-privati-che-laustria-non-vuole

    #Italie #ORS #privatisation #asile #migrations #réfugiés #business #decreto_Salvini #décret_sécurité

  • In limine

    #In_Limine est un projet ASGI (Association Etudes Juridiques sur l’Immigration) qui affronte les questions et les thématiques relatives aux politiques de gestion des #frontières, de l’accès à la #procédure_d’asile et la stratégie #Hotspot, dans le but de définir et de structurer – à travers de la recherche et la pratique sur le terrain et l’assistance juridique stratégique – les stratégies de dénonce et de contraste des pratiques dommageables aux libertés et aux droits des citoyens étrangers arrivant en #Italie.

    À partir de Janvier 2019, grâce au soutien de Open Society Foundation, le #projet serait actif avec un groupe d’opérateurs légaux et médiateurs interculturels qui seront présents en Sicile, principalement dans les localités de #Pozzallo, #Trapani, #Caltanissetta e #Lampedusa, pour promouvoir les activités suivantes :
    • La collecte et le monitoring d’informations à travers la relation avec les citoyens étrangers et avec les acteurs publics et privés qui travaillent dans le contexte de frontières ;
    • La présentation de causes stratégiques pour protéger les citoyens étrangers et contester la légitimité des nouvelles règles introduites par le décret-loi 113/2018 converti en L.132 / 2018 devant le tribunal civil, la Cour européenne des droits de l’homme, la Cour de justice de l’Union européenne et à la Cour constitutionnelle ;
    • La collaboration avec d’autres entités concernées par ces questions et avec les avocats spécialisés en droit de l’immigration actifs dans la région, afin de créer et/ou soutenir des réseaux et des groupes d’avocats capables d’intervenir rapidement et efficacement pour combattre les violations des droits des citoyens étrangers ;
    • La promotion des actions de protection et d’assistance juridique afin de mieux protéger les droits et de contraster les conséquences concrètes des politiques publiques sur la qualité des droits.

    Le projet vise également à montrer, par une lecture systématique des règles et de leur relation dynamique avec la société, la véritable nature des politiques de #gestion_des_frontières.

    L’équipe travaillera avec l’aide d’un comité d’experts composé d’une vingtaine d’avocats spécialisés et d’un groupe d’avocats (environ 25 personnes) pouvant intervenir à la demande de l’équipe sur place, afin de protéger les citoyens étrangers en intervenant activement sur les violations constatées.

    La loi n ° 132/2018, qui convertit le décret-loi n ° 113/2018 (soi-disant « décret immigration et sécurité »), a introduit de nombreuses innovations alarmantes. Dans ce scénario et dans cette phase historique, afin de mettre en place une réponse adéquate, il est indispensable de structurer ce projet sous forme d’action progressive et ouverte à la participation d’autres organisations et sujets de la société civile. Pour ceci, le projet In Limine vise à faciliter la création de réseaux et de formes de coopérations qui, en connexion et relations scientifiques et opérationnelles étroites, peuvent conduire à la multiplication d’expériences similaires sur le territoire frontalier, pour une action de contraste plus étendue et constante des politiques de criminalisation des ressortissants étrangers entrant sur le territoire italien.

    Le projet In Limine a connu une phase pilote d’expérimentation de méthodes et de pratiques pour lutter contre les violations des droits des citoyens étrangers sur l’île de Lampedusa entre Mars et Septembre 2018, grâce à la coopération entre ASGI, ActionAid, CILD et IndieWatch.

    Pour plus d’informations, voir les documents produits au cours du projet pilote.

    https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/07/Khlaifia_-hotspot-Lampedusa_Progetto-In-limine_ITA-giugno-2018.pdf
    https://cild.eu/wp-content/uploads/2018/07/Documento-SOP_versione-finale.pdf
    https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/04/2018410_Dossier-Lampedusa-per-sito.pdf
    https://www.radioradicale.it/scheda/557123/limpatto-del-decreto-1132018-cd-immigrazione-sicurezza-sul-funzionamen

    Contacts :
    inlimine@asgi.it
    https://inlimine.asgi.it
    inlimineasgi@pec.it

    https://www.facebook.com/progettoinlimine
    #décret_sécurité #decreto_Salvini #decreto_sicurezza #monitoring #monitorage #observatoire

  • L’accoglienza creativa dei Comuni per superare la norma sui migranti

    Superare la legge Salvini sui migranti? Diversi Comuni lo stanno già facendo. A fianco dell’obiezione umanitaria lanciata dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che a inizio anno aveva aperto un fronte di protesta dentro l’Anci solo parzialmente colmato dalla mediazione del premier Conte, si sta facendo strada una «modalità creativa» di recepire gli effetti del provvedimento, senza gesti di disobbedienza. Anzi, partendo proprio dal rispetto delle norme.

    Le piccole città in campo

    Prendete il caso del Consiglio comunale di Jesi, in provincia di Ancona, che nei giorni scorsi si è confrontato sul punto che desta maggiore preoccupazione: l’impossibilità di iscrizione all’anagrafe per i richiedenti asilo con permesso di soggiorno umanitario.

    «La mancata iscrizione comporta la perdita di alcuni diritti fondamentali – ricorda Tommaso Cioncolini, consigliere di maggioranza della lista JesInsieme, che ha lavorato alla proposta – dall’accesso all’assistenza sanitaria ordinaria alla ricerca di un lavoro, fino all’apertura di un semplice conto corrente».

    Il sindaco della città, Massimo Bacci, ha sempre ribadito che non intendeva fare «disobbidienza civile» e che voleva applicare la legge. «Studiando attentamente la questione – prosegue Cioncolini – ci siamo accorti che la legge non stravolge quello che c’è nel Testo unico sull’immigrazione. Quella legge infatti non vieta l’iscrizione, ma non riconosce il permesso di soggiorno come titolo valido per la registrazione.

    In questo senso, il Testo unico sull’immigrazione e l’orientamento giurisprudenziale ammettono che dopo tre mesi di dimora abituale l’ente sia obbligato a riconoscere l’iscrizione. Su questo, per non vanificare lo spirito di accoglienza e le iniziative a sostegno degli ultimi, abbiamo elaborato una risoluzione, che è già stata votata ed è passata. Il Comune si impegna in questa direzione, che può essere una soluzione di sistema, oltre che un esempio pilota per altre città. In quei primi tre mesi il migrante non viene così comunque abbandonato, perché si trova ancora nel progetto di accoglienza. Così si va in aiuto al migrante percorrendo una strada di sistema, garantendo i diritti a chi altrimenti ne verrebbe privato».

    Tra i Comuni che aggireranno gli effetti del decreto sicurezza sulle iscrizioni anagrafiche c’è anche Mugnano di Napoli, centro di 35mila abitanti a nord del capoluogo campano. Il sindaco, Luigi Sarnataro ha firmato una direttiva indirizzata ai dirigenti dell’Ufficio anagrafe, che di fatto sospende gli effetti delle nuove norme varate dal governo e consente ai richiedenti asilo di usufruire di un servizio anagrafico temporaneo.

    In particolare, la direttiva del primo cittadino di Mugnano mira a neutralizzare gli effetti dell’articolo 13 del decreto sicurezza, in virtù del quale il permesso di soggiorno non costituisce più titolo per l’iscrizione anagrafica.
    «La nostra iniziativa non vuole andare contra legem – spiega il primo cittadino di Mugnano –. Semplicemente, seguendo l’esempio del Comune di Napoli, noi sfruttiamo la possibilità offertaci da un altro provvedimento in vigore, che ci consente di iscrivere i richiedenti asilo in un registro temporaneo, almeno fino a quando la legge lo consentirà. Non possiamo infatti lasciare allo sbando, come vuole questa legge promossa dal ministro dell’Interno, gli immigrati presenti su un territorio che comprende ben quattro centro di accoglienza straordinaria e che aderisce al servizio Sprar».

    La battaglia dei territori
    L’azione di «disobbedienza civile» lanciata dal primo cittadino di Palermo, Leoluca Orlando, nei primi giorni del 2019 aveva fatto diversi proseliti tra i sindaci delle grandi città di centrosinistra, ma nello stesso tempo aveva creato alcune divisioni all’interno dell’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni italiani. Per questo, il segnale che giunge adesso dai centri di piccole e medie dimensioni, soprattutto nella provincia italiana, rappresenta una novità, riconducibile alla capacità «creativa» di molti municipi chiamati a fare i conti con progetti di ospitalità che ci sono sempre stati (e persone straniere di cui farsi carico) e insieme con la necessità di rispettare i nuovi vincoli di legge.

    Tra i temi portati all’attenzione del governo dai vertici dell’Anci nell’incontro sul decreto Salvini dello scorso 14 gennaio, ci sono stati, oltre alla questione dell’iscrizione all’anagrafe per i richiedenti asilo, anche la presa in carico dei migranti da parte delle Asl e l’accesso agli Sprar delle persone vulnerabili. D’altra parte, il fronte più determinato dei sindaci si dice convinto che «la Consulta farà a pezzi la norma» come ha dichiarato il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris. In campo ci sono anche diverse Regioni, dalla Toscana all’Umbria, dalle Marche al Piemonte e all’Emilia-Romagna. In molti, anche tra i governatori, pensano che le questioni lasciate aperte dal testo voluto dal ministro Salvini verranno risolte nei prossimi mesi con il pronunciamento della Corte Costituzionale.
    L’articolo 13 contestato

    L’articolo 13 della legge 132/2018 entrata in vigore il 4 dicembre, di conversione del cosiddetto decreto sicurezza e immigrazione stabilisce che il permesso di soggiorno per richiesta asilo non permetterà l’iscrizione anagrafica. Il Testo Unico immigrazione, però, equipara – proprio in materia di iscrizione e variazione anagrafica – ogni straniero regolarmente soggiornante al cittadino italiano. A seguito della legge 132, situazioni simili, con stranieri regolarmente soggiornanti, potranno essere trattate in maniera difforme. La mancata iscrizione anagrafica infatti esclude dalla fruizione di molti diritti garantiti dalla Costituzione. Potrebbe essere impossibile così individuare il medico di base, procedere all’iscrizione alla scuola non dell’obbligo, alle liste per la scuola materna e asili nido, ai centri per l’impiego, aprire una partita Iva.

    https://www.avvenire.it/amp/attualita/pagine/accoglienza-creativa-dei-comuni?__twitter_impression=true
    #accueil_créatif #alternatives #résistance #décret_sécurité #decreto_sicurezza #asile #migrations #réfugiés #decreto_salvini #alternative #Italie

    signalé par @isskein

    ça complète cette métaliste:
    https://seenthis.net/messages/739545

  • JE COMMENCE ICI LA SUITE DU FIL DE DISCUSSION SUR LES MIGRATIONS DANS LE BRIANÇONNAIS :
    https://seenthis.net/messages/733720
    –-> qui elle-même est la suite de celle-ci :
    https://seenthis.net/messages/688734

    Opération antimigrants : des membres de Génération identitaire en #garde_à_vue

    Plusieurs membres du groupuscule d’extrême droite Génération Identitaire ont été placés en garde à vue mardi en lien avec leurs patrouilles antimigrants dans les Alpes au printemps dernier, a-t-on appris de sources concordantes.

    « @RomainEspino, porte-parole de Génération Identitaire vient d’être placé en garde à vue pour sa participation à la mission dans les #Alpes », annonce le groupe sur son compte Twitter.

    Contacté par l’AFP, le président de ce mouvement, Clément Galant indiquait peu avant 11H00 entrer en garde à vue avec Romain Espino à Lyon.

    Le parquet de Gap a confirmé à l’AFP que plusieurs membres du groupuscule ont effectivement été placés en garde à vue en lien avec les opérations menées au col de l’Échelle près de Briançon, sans plus de détail.

    Au printemps dernier, des militants identitaires avaient multiplié les démonstration d’hostilité aux migrants, participant au contrôle de la frontière aux côtés des forces de l’ordre, sous la bannière de « Defend Europe », mouvement qui a déjà fait parler de lui en Méditerranée. Ils s’étaient notamment félicités de la remise de quatre « clandestins » à la police et de l’arrestation de sept migrants « repérés et signalés » par leurs soins.

    Aucune poursuite n’avait jusqu’à maintenant été engagée contre eux, au grand dam des militants promigrants dont sept d’entre eux ont été poursuivis et condamnés pour avoir facilité l’entrée de migrants en France au même moment.

    Une première enquête ouverte le 27 avril 2018 avait été classée sans suite faute d’infraction ou de plainte. Puis le procureur de Gap, Raphaël Balland, avait ouvert une enquête préliminaire plus globale au motif d’’immixtion dans une fonction publique (article 433-12), confiée à la gendarmerie de Briançon.

    Les membres de Génération Identitaire ont toujours assuré que leurs actions étaient protégées par l’article 73 du code pénal qui prévoit que « dans les cas de crime ou délit flagrant puni d’une peine d’emprisonnement, toute personne a qualité pour appréhender l’auteur et le conduire devant l’officier de police judiciaire le plus proche ».

    La préfecture des Hautes-Alpes dénonçait elle « une opération de communication (...) visant à faire croire qu’ils contribuent à la lutte contre l’immigration clandestine ».

    https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/01/29/operation-antimigrants-dans-les-alpes-des-membres-de-generation-identita
    #Briançon #génération_identitaire #justice #extrême_droite #Hautes-Alpes #migrations #frontières #Italie #France #réfugiés #asile #frontière_sud-alpine

    • Des clubs #FSGT dans le Briançonnais solidaires des migrant.e.s et des militant.e.s locaux

      Du 02 au 09 février 2019, des adhérent.e.s de la montagne-escalade, issu.e.s de différents clubs affiliés à la FSGT se retrouvent pour organiser un séjour sports de montagne dans le Briançonnais.

      Ce rassemblement, sportif et convivial est essentiellement basé sur des activités telles que le ski de randonnée ou de piste, les raquettes et randonnée en montagne ; en parallèle il propose aux participant.e.s qui le souhaitent un axe sur la solidarité avec les migrant.e.s et les personnes aidantes, notamment regroupées au sein de « Tous migrants ».

      Il s’inscrit également dans la convergence avec le mouvement associatif et coopératif dans la Haute Durance pour construire des partenariats et des initiatives communes, pouvant dépasser la question migratoire actuelle. Cela pourrait se construire dans le temps, comme dans le cadre du rassemblement fédéral omnisports montagne en juillet à Freissinieres, ou encore là où d’autres adhérent.e.s s’en saisiront.

      La FSGT s’est félicitée à l’unanimité de cette initiative originale qui incarne et porte les valeurs de #solidarité dans le #sport associatif défendues depuis sa création.

      Dans cette perspective, les militant.e.s porteurs de cette action peuvent se réclamer de la FSGT et disposeront du soutien, si nécessaire, en terme juridique, logistique et de communication.

      La FSGT milite pour que tous les pratiquant.e.s puissent devenir des premier.e.s de cordées, mais des premier.e.s de cordés associatifs responsables et solidaires.

      La Direction Fédéral Collégiale de la FSGT


      https://www.fsgt.org/federal/communiqu%C3%A9-de-la-fsgt-des-clubs-fsgt-dans-le-brian%C3%A7onnais-solidaires

    • Reportage | Hautes Alpes : une frontière miroir des politiques européennes

      Grâce, entre autres, aux articles de « Vivre Ensemble », j’ai suivi avec effroi ce qui se passait dans la région des Hautes Alpes entre l’Italie et la France pour les réfugiés ainsi que pour les personnes solidaires. Après avoir lu l’article « Chronique d’une mort annoncée » (VE n°168/juin 2018 : https://asile.ch/2018/08/14/temoignage-chronique-dune-mort-annoncee) qui témoigne de la mort d’une jeune femme sur cette frontière, mon sang n’a fait qu’un tour. Je décide de me rendre sur place. En tant que réalisatrice et citoyenne, il est toujours important pour moi de voir de mes propres yeux les conséquences humaines d’une machine institutionnelle, de rencontrer les personnes concernées et d’accumuler des témoignages pour un futur film qui sait… Je veux également me rendre compte du relief ; les deux cols, les villages que je ne connaissais que de nom. Je veux aussi rencontrer des réfugiés et les bénévoles des refuges solidaires en Italie (avant la traversée) et en France (après la traversée).


      https://asile.ch/2019/01/31/reportage-hautes-alpes-une-frontiere-miroir-des-politiques-europeennes-2-cols-

    • I valdesi volontari al confine Italia-Francia: «Sui migranti le violenze della gendarmerie e i muri del #Decreto_Salvini»

      A #Bardonecchia flussi diminuiti, a #Claviere stabili. «Ma ora è gente che scappa dai centri e, non potendo stare negli Sprar, prova a sconfinare»

      Rincorso dai cani sguinzagliati dalla gendarmerie, ha passato la notte, con le temperature che possono scendere fino a meno dodici gradi, nascosto nella neve. I piedi non gli verranno amputati, ma i medici dicono che per tornare a camminare ci vorrà tempo. Ha quindici anni. Cinque in meno del ventenne che ha raccontato di essere stato inseguito dalla polizia francese in motoslitta, portato in caserma e derubato del denaro. Entrambi migranti che di recente avevano provato a raggiungere la Francia dall’Italia, entrambi respinti. Storie oscurate dall’odissea dei quarantanove a bordo di Sea Watch e Sea Eye.

      «La quotidianità di quello che accade sul confine», ha scritto qualche giorno fa su Facebook, rilanciando le due testimonianze raccolte da volontari francesi di Briançon, #Davide_Rostan, pastore valdese, membro della rete di volontari che in Val di Susa offre assistenza e supporto quotidiani ai migranti che provano a passare la frontiera. Dove, oltre a «episodi di ordinaria violenza arbitraria - così li definisce - da parte della gendarmerie, che continua a respingere anche i minori, in certi casi falsificando le date di nascita», si registrano quelli che secondo il pastore valdese sono «gli effetti del decreto Salvini».

      A Bardonecchia e Clavière. Se a Bardonecchia, dopo il caso, anche diplomatico, esploso a marzo scorso in seguito all’irruzione di agenti della dogana francese in un presidio per migranti, i flussi di quanti tentavano di oltrepassare il confine sono diminuiti, a Clavière, sul limite della frontiera, la situazione è rimasta pressoché stabile. Stime ufficiali ancora non ce ne sono, «ma i numeri sono più o meno quelli di sempre, forse c’è stata una flessione anche per la diminuzione degli sbarchi, ma è minima», scandisce Rostan.

      Le differenze rispetto al passato, però, ci sono. «È cambiata la composizione: per la stragrande maggioranza, non si tratta più, come accadeva fino all’anno passato, di persone arrivate in Italia e parcheggiate negli hotspot, non seguite in un percorso concreto di accoglienza e integrazione. Ora in gran parte è gente che scappa dai centri, magari ancora prima di ricevere il responso della Commissione territoriale o perché l’ha ottenuto ed è negativo o che è già stata in un Cas, ha il permesso di soggiorno per motivi umanitari e, sulla base del dispositivo firmato da Salvini, non può rientrare negli Sprar. Probabilmente se non ci fosse stato il decreto sicurezza non sarebbero andati via tutti coloro che rischiano di ritrovarsi in mezzo alla strada».

      A Ventimiglia. Tentativi di passaggio e respingimenti - in media una cinquantina di persone al giorno vengono rimandati in Italia - da parte della polizia francese continuano anche alla frontiera di Ventimiglia, «anche se - puntualizza Chiara Romagno, referente di Oxfam Italia nella cittadina ligure - il numero dei migranti che restano qui si è molto ridotto. Ora molti arrivano da Genova o da Milano, in bus o in treno, provano a passare e se vengono respinti tornano nei luoghi da cui si sono mossi». Anche Romagno ha notato un cambio nella composizione dei gruppi di migranti intenzionati a oltrepassare il confine. «In gran parte - spiega ad HuffPost - si tratta di persone che stanno da più tempo in Italia. I flussi, comunque, un po’ si sono assottigliati, anche per effetto della riduzione degli sbarchi, conseguenza diretta degli accordi con la Libia stretti da Minniti». Il decreto Salvini non c’entra?

      «Ancora non abbiamo evidenze di correlazione tra i flussi di coloro che provano a raggiungere la Francia da Ventimiglia e gli effetti del decreto sicurezza» risponde Romagno ma racconta che, di recente, ha incontrato un ragazzo richiedente asilo che aveva trovato un datore di lavoro pronto a fargli il contratto. Gli aveva chiesto la carta d’identità, che lui, impossibilitato a iscriversi all’anagrafe sulla base di quanto prevede il decreto sicurezza, non può avere. «Dovrebbe essere sufficiente il permesso di soggiorno - fa notare la referente di Oxfam - ma né i datori di lavoro né i sistemi informatici sono ancora aggiornati sulle nuove procedure».

      Intanto, va avanti Romagno, «la polizia continua a prendere i migranti e trasferirli da Ventimiglia a Taranto. Gruppi molto esigui, dieci dodici persone, caricati su bus che costano migliaia di euro, risorse sprecate» e «anche se non si dice, proseguono gli sbarchi spontanei, come dimostra quanto accaduto a Crotone».

      «No» al decreto Salvini. Visto dalle frontiere, alla luce del decreto Salvini, il futuro non sembra incoraggiante. «Porterà più gente per strada - taglia corto Rostagno - Si pensi a tutte le famiglie che hanno protezione umanitaria e non possono più entrare negli Sprar. E, a causa della riduzione delle risorse erogate per il supporto e l’integrazione dei migranti, i centri potranno offrire meno servizi. Resteranno solo i centri grandi e, certo, con fondi esigui, non potranno essere gestiti al meglio».

      «Il rischio è che la gran parte di coloro che arriveranno in Italia in futuro - ragiona Rostan - verrà parcheggiata in centri grandi, dove seguirli in percorsi reali di integrazione sarà più difficile. Strutture che, con ogni probabilità, saranno in prevalenza al Sud, in posti più vicini ai luoghi di sbarco e dove cibo e riscaldamento costano meno che al Nord».

      Contro il decreto Salvini anche in Val di Susa è scattata la mobilitazione. Le amministrazioni di Oulx e Vaie hanno già adottato una delibera per ufficializzare la loro contrarietà al provvedimento firmato dal ministro dell’Interno, un po’ sulla falsariga di quanto ha fatto a Palermo il sindaco Leoluca Orlando, e il 26 gennaio si terrà una manifestazione che coinvolgerà la valle. «Il decreto sicurezza - ha scritto su Facebook Rostan - serve a far lavorare di più mafia e criminalità e a criminalizzare la solidarietà e chi fa l’accoglienza in modo trasparente e onesto, chi crea integrazione e chi vuole che le persone che arrivano in Italia possano stare in Italia».

      https://www.huffingtonpost.it/2019/01/11/i-valdesi-volontari-al-confine-italia-francia-sui-migranti-le-violenz

    • Migrants : le parquet ouvre une enquête préliminaire sur de possibles infractions de la #police_aux_frontières à #Menton

      Lors de son point presse mensuel, le procureur de la République #Jean-Michel_Prêtre a annoncé qu’il lançait cette procédure. Il s’agit de faire la lumière sur des #infractions qui auraient pu être commises par la police au détriment de mineurs étrangers isolés.

      Les agents de la Police aux Frontières, en poste à Menton, ont-ils commis des faux en écriture pour refouler les mineurs isolés en Italie ?
      Jean-Michel Prêtre, procureur de la République à Nice, a annoncé lors de sa rencontre mensuelle avec la presse, qu’il avait été saisi
      en novembre dernier par la Ligue des droits de l’homme, le syndicat des avocats de France (SAF) et trois élus, l’eurodéputée Michèle Rivasi (EELV), le sénateur Guillaume Gontard (DVG) et la conseillère régionale Myriam Laïdouni-Denis (EELV).

      De possibles infractions selon le procureur

      Dans un document de vingt pages, trois cas de faux en écriture de la part des policiers de manière à pouvoir refouler les mineurs vers l’Italie sont notamment répertoriés par les élus, à l’issue d’une visite d’observation à la frontière franco-italienne au printemps 2018.
      Des cas de « retenues arbitraires » de mineurs, « plusieurs heures, parfois jusqu’à dix ou onze heures » dans les locaux de la police aux frontières (PAF) de Menton, y étaient également dénoncés.

      Une #enquête_préliminaire ouverte

      « Ce n’est pas une plainte mais une transmission à titre de révélation de faits auprès du procureur. Pour certains faits, il y a des noms, des dates, des faits » avait analysé le procureur en décembre, avant de déterminer quel service d’enquête saisir. Depuis mars 2017, le préfet des Alpes-Maritimes Georges-François Leclerc et ses services ont été pris en défaut à plusieurs reprises par la justice administrative pour le renvoi expéditif en Italie de migrants au mépris du droit d’asile.
      « Nous mettons un soin particulier à respecter le droit », assurait pourtant ce dernier il y a un an, en réponse à des questions, notamment sur la possibilité que les forces de l’ordre puissent commettre des entorses à la légalité au vu du flot de procédures et du nombre d’interpellations (une centaine par jour en moyenne depuis 2016 même si les chiffres ont diminué en 2018).

      https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/alpes-maritimes/menton/migrants-parquet-ouvre-enquete-preliminaire-possibles-i
      #PAF #justice

    • Cadavere di un migrante trovato sulla strada del Monginevro: voleva andare in Francia

      Un uomo di 29 anni proveniente dal Togo sepolto dalla neve.

      ll cadavere di un migrante di 29 anni, proveniente dal Togo, è stato ritrovato questa mattina in mezzo alla strada nazionale 94 del colle del Monginevro. Da quanto si apprende da fonti italiane, sul posto è presente la polizia francese. Le abbondanti nevicate degli scorsi giorni e il freddo intenso hanno complicato ulteriormente l’attraversamento della frontiera per i migranti. Si tratta del primo cadavere trovato quest’anno sul confine italo-francese dell’alta Val Susa dopo che l’anno scorso erano stati rinvenuti tre corpi (https://torino.repubblica.it/cronaca/2018/05/25/news/bardonecchia_il_corpo_di_un_migrante_affiora_tra_neve_e_detriti_su).

      https://torino.repubblica.it/cronaca/2019/02/07/news/cadavere_di_un_migrante_trovato_sulla_strada_del_monginevro_voleva
      #décès #mort #mourir_aux_frontières

      –-> il s’agit de #Derman_Tamimou, voir ce fil de discussion:
      https://seenthis.net/messages/1030586

    • Ghiaccioli d’Europa: dove eravamo mentre i migranti alla frontiera della Francia morivano congelati

      Una storia da togliere il respiro. E in effetti di mezzo c’è il cuore e ci sono le vene ghiacciate di Derman Tamimou che, dal Togo, ha attraversato prima il Mediterraneo e poi si è inerpicato sulla strada del Monginevro per riuscire a scavallare in Francia. La polizia l’ha trovato sepolto dalla neve. Ci deve essere scritto da qualche parte che i cadaveri di questo secolo debbano rimanere nascosti, con i polmoni pieni d’acqua o pieni di ghiaccio, il più invisibili possibile per non disturbare nessuno, per non togliere l’appetito all’opinione pubblica e per non disturbare i regnanti. Eppure il cadavere surgelato di Deman se ci pensate è una statua di questo Natale, passato fingendo di non vedere le centinaia di presepi sparsi in Europa che accolgono famiglie in tettoie o ripari di fortuna e che pregano, ognuno nella propria lingua e ognuno il proprio Dio, per chiedergli come sia possibile che esista un inferno più infernale di quello da cui sono scappati.

      Fa sorridere anche che la Procura di Gap abbia aperto un fascicolo per omicidio involontario: viene da chiedersi cosa ci sia di involontario nel militarizzare la zona di Ventimiglia continuando a credere che le armi, i muri, le dogane e i confini possano fermare i disperati, quelli disperati davvero, che scappano dalla fame e dal piombo. “Nessuno può fermare un popolo che scappa dalla fame e dal piombo, voi vi state illudendo” mi disse un giorno un pescatore tunisino. Come hobby seppelliva i corpi dei migranti che gli riportava la risacca. Suona così comico chiamare involontario l’indifferenza e le rumorosa inefficienza e nullafacenza di un’Europa che si è aperta per i flussi finanziari e intanto si chiude a riccio di fronte alle persone. Il ghiacciolo di Deman è la cristallizzazione impermeabile di un’umanità che ormai non tiene nemmeno più le righe sui giornali a disposizione per raccontare i morti.

      Ho pensato che forse sarebbe da andare da quel ghiacciolo, avvicinarsi piano piano, bussargli sulla lastra di vetro che il ghiaccio ha spalmato sulla faccia e chiedergli “sei un migrante economico?”, “sei un migrante climatico?” Oppure “scappi davvero da una guerra?”, “ma siamo davvero sicuri?”, e a che punto è la tua domanda d’asilo?

      Se avvicinate l’orecchio vi parrà di non sentire niente ma basterà che si sciolga un po’ di ghiaccio, poco appena, e Deman vi dirà che è niente. È niente perché non ha niente. È talmente niente che è stato disposto a farsi diventare i polmoni duri come sassi pur di fare capire che militarizzare una via serve solo a costringere i disperati ad aprirne un’altra, che sarà molto probabilmente più fredda, più difficile, più pericolosa. È niente, uno che arriva sulla battigia oppure calpesta un confine che solo gli altri riescono a vedere, come in una Cecità di Saramago ma al contrario, e alza le braccia e dice “sono qui, sono niente, non ho niente da offrire”.

      E sicuramente arriverà il tempo in cui i nostri figli e i figli degli sopravvissuti ci chiederanno dove eravamo noi, cosa abbiamo fatto noi, mentre i migranti alla frontiera della Francia diventavano stalagmiti e noi passavamo i sabati come tutti gli altri sabati, come se Deman, fosse fuori di noi, altra cosa da noi.

      https://www.tpi.it/2019/02/09/migrante-morto-congelato-confine

    • Nevica ancora sulla rotta di montagna

      Nevica ancora, sul passo del Colle della Scala, sulla rotta da Bardonecchia a Briançon, e su quella nuova che si è aperta sulla pista da sci di Claviere. I giovani migranti affrontano il cammino in scarpe da ginnastica tentando di arrivare in Francia. Lorenzo Sassi ed Emanuele Amighetti hanno passato un po’ di tempo con loro - e con gli abitanti del posto che si adoperano per aiutarli in armonia con la legge della montagna.

      Il Colle della Scala, a 1.762 metri di altezza, è il passaggio più basso delle Alpi occidentali. Da lì passa la cosiddetta “nuova rotta dei migranti” che va da Bardonecchia a Briançon. La stampa francese e quella locale italiana avevano già cominciato a parlarne sul finire dell’estate scorsa. Con l’arrivo dell’inverno, e il conseguente aumento dei rischi, l’attenzione si è riaccesa. La tratta di cui si è parlato parte da Melzet, una frazione di Bardonecchia che ospita anche un impianto sciistico, e arriva a Nevache, primo paesino oltre il confine. Tempo di percorrenza stimato: sei ore.

      Finché è rimasto aperto il passaggio di confine a Ventimiglia, che serviva da valvola di sfogo e canale di redistribuzione dei migranti, la tratta di Bardonecchia non ha impensierito nessuno. Il problema è arrivato dopo. Una volta blindata la frontiera a Ventimiglia, i migranti hanno fatto dietrofront fino a Torino. Da lì, una volta saputo di questo passo tra le montagne che conduce in Francia con relativa facilità, sono confluiti in massa verso l’agglomerato urbano che si frappone fra il Colle della Scala, il confine e, ovviamente, la Francia. Le città coinvolte sono cinque: Bardonecchia, che è la città di riferimento per tutti i giovani migranti perché lì si trova il centro di accoglienza gestito da Rainbow4Africa; Oulx, cittadina a circa 15 minuti da Bardonecchia, usata dai migranti come appoggio per evitare i controlli della polizia nelle città cardine; Clavière, cioè l’ultima località italiana prima del confine; Nevache, primo villaggio oltre la dogana; e infine Briançon, l’Eden sognato dai migranti, ovvero la città in cui la paura svanisce. Lì si è già ben lontani dal confine, al sicuro – in teoria.
      Sul versante italiano

      Per via dell’insistente via vai di giornalisti, fotografi e videomaker che ha in parte scombussolato l’ordine urbano di Bardonecchia e dintorni, gli abitanti sono un po’ restii a parlare, almeno all’inizio. A irrigidire gli animi è anche il freddo: le temperature arrivano fino a 10 sottozero e si vive intorno ai 1700 metri di altezza, dove tira un vento che congela anche lo stomaco.

      Colle della Scala è una vecchia mulattiera, quindi un facile passo di montagna che in estate viene battuto da famiglie e amatori, non solo da montanari esperti. A complicare le cose, tuttavia, è il clima. Nei giorni che hanno preceduto il nostro arrivo, una tormenta ha scaricato dai tre ai cinque metri di neve su strade, case e, ovviamente, il sentiero del Colle. L’impresa era già difficile per un migrante che camminasse in scarpe da ginnastica su un sentiero di montagna a gennaio, ma l’arrivo della bufera ha peggiorato le cose.

      A pochi passi dall’inizio del sentiero c’è una baita che offre rifugio a sciatori stanchi, passeggiatori occasionali e abitanti del posto. Il gestore della baita mi racconta che è ormai un anno e mezzo che ogni giorno vede passare davanti alle finestre del locale dieci o venti migranti. Tra di loro anche donne e bambini – “ma finché era estate, sai, non era un problema. La strada è relativamente facile. Il problema si pone ora, con tutta questa neve. È impossibile proseguire oltre i primi 500 metri”. Mi racconta di un ragazzo che, un paio di mesi fa, con delle semplici scarpe da corsa, si è fatto il Colle in solitaria: “è arrivato in Francia, ce l’ha fatta, però una volta arrivato gli hanno amputato i piedi”. L’ispettore capo di Bardonecchia Nigro Fulvio conferma la storia. Il ragazzo oggi vive a Briançon, in una delle case messe a disposizione dall’amministrazione comunale.

      Qui è anche molto difficile tentare un soccorso. Molti migranti tentano comunque il valico senza conoscere la natura volubile della montagna e le sue asperità, e spesso senza un abbigliamento adeguato. I più fortunati arrivano in Francia, altri vengono fermati dalla “gendarmerie” francese; molti, invece, rimangono intrappolati tra i boschi e la neve dopo aver smarrito il sentiero. Per la comunità locale e per il sindaco, Francesco Avato, il timore più grande – che giorno dopo giorno diventa certezza – è che, con l’arrivo della primavera, la neve sciolta riconsegni i corpi dei dispersi.
      Il lavoro dei volontari

      A Bardonecchia vengono accolti tutti i migranti che arrivano da Torino, che provano a passare il Colle e poi vengono rispediti indietro dalla polizia francese. All’inizio incontro soltanto i volontari di Rainbow4Africa che da tempo si occupano insieme alla Croce Rossa di dare aiuto ai migranti: un pasto caldo, assistenza medica (ogni notte un dottore volontario dell’associazione resta a vegliare il dormitorio) e assistenza legale – cioè altri volontari come Maurizio Cossa dell’Associazione Asgi. Il compito di Maurizio – e degli avvocati che, come lui, offrono questo tipo di prestazioni gratuite – non è tanto quello di riuscire a sbloccare procedimenti legali, quanto piuttosto quello di chiarire ai giovani migranti la loro “situazione legale”, perché molti di loro non sanno perché non possono andare in Francia, non sanno perché vogliono andarci e, il più delle volte, non sanno che, andando in Francia di nascosto, rischiano di perdere quei pochi diritti conquistati in Italia. Diritti che, per quanto scarni, restano comunque diritti.

      Il centro di Bardonecchia funziona a pieno regime, ospitando in media una ventina di ragazzi al giorno. Per ordinanza comunale, però, apre soltanto alle 22:30 – così da accogliere i migranti per la notte e rifocillarli – per poi chiudere i battenti all’alba, subito dopo la colazione, intorno alle 7:30. Al centro troviamo Marina Morello, dottoressa in pensione e volontaria di Rainbow4Africa. Mi racconta subito che qui c’è stata una risposta corale da parte di tutta la comunità locale. Tutti vogliono dare una mano e tutti, nei modi più vari, contribuiscono a fare in modo che i migranti si sentano il più possibile a loro agio.

      Al centro i migranti ricevono cibo, acqua e, nel caso in cui comunichino di voler partire per le montagne, viene dato loro l’equipaggiamento appropriato. Tutti i vestiti, gli scarponcini, le sciarpe e i guanti arrivano al centro direttamente dalle case di volontari, per lo più del posto.

      Arriva l’ultimo treno: non scende nessuno. Per stanotte è andata bene, non c’è nessuno da convincere a non fare pazzie.
      Dov’è la Francia?

      Sul versante francese, il contraltare di Bardonecchia e Rainbow4Africa è Briançon, dove si trova il centro d’accoglienza Tous Migrants. Dopo non poca diffidenza davanti all’ennesimo “journaliste italien” che temono sia un poliziotto sotto copertura, mi fanno fare un giro all’interno. La scena è meravigliosa: circa 30 ragazzi che, insieme ai volontari della piccola cittadina francese, cucinano come se fossero in una brigata di un ristorante stellato. Al piano di sopra ci sono i letti, al piano di sotto lo stanzone coi vestiti, la sala da pranzo, una stanza per giocare a dama o Mah Jong, e un ufficio. I volontari di Tous Migrants offrono assistenza, e all’occorrenza spiegano ai ragazzi come raggiungere le città dove sanno di potersi ricongiungere con amici o parenti. Stando a quanto mi dicono i volontari, sembra che da luglio 2017 a fine gennaio 2018 siano arrivati a Briançon più di 2 mila migranti. Il sostegno del sindaco e degli abitanti nei confronti di Tous Migrants è molto forte. Ed è probabilmente per questo che, come mi dice il sindaco di Bardonecchia, “il sindaco di Briançon non è ben visto dal governo centrale”.

      La seconda sera che passo a a Bardonecchia c’è il caos. Si sono riversati alla stazione tutti i migranti che non erano arrivati nei giorni precedenti per via di un grosso blocco della polizia a Torino. Tra questi c’è un gruppetto che soprannominiamo i Big4, che non ha ben chiara in testa la situazione. Per dare un’idea del loro smarrimento, scendono dal treno, si accendono una sigaretta nella stazione e chiosano: dov’è la Francia? Non hanno idea di cosa fare, dove andare, solo un obbiettivo: la Francia. E l’obbiettivo è completamente sfasato rispetto al calcolo dei rischi, delle perdite o delle prospettive.

      Probabilmente dal Colle, qualche tempo fa, passò anche Annibale con i suoi elefanti. Il che rende più facile capire la caparbietà di alcuni dei ragazzi che si trovano al centro di accoglienza di Bardonecchia. Non è soltanto che ormai hanno visto il deserto, l’hanno attraversato e poi si sono fatti traghettare su un gommone nel Mediterraneo da un tizio senza scrupoli che ha pure chiesto loro dei soldi, e quindi pensano, cosa vuoi che sia la neve – che fra l’altro molti di loro vedono per la prima volta. È anche che, alla fine, non hanno più nulla da perdere. Uno dei ragazzi che ho conosciuto ed è riuscito ad arrivare in Francia, stava tentando quella tratta da due anni. Due anni in cui si è consumato spirito e corpo. Qui si finisce con l’impazzire, perché in Italia molti vengono rimpallati tra un ufficio e l’altro della burocrazia e la Francia, d’altra parte, sembra deriderli: per un verso vicinissima, a portata di mano, eppure così distante da sembrare irraggiungibile.
      Le ronde solidali

      Molti giovani vengono dissuasi dall’inerpicarsi sul Colle. Nel frattempo, però, è andata creandosi un’altra tratta. Parte da Claviere, e segue la pista da sci da fondo che attraversa il confine. Qui il problema non è il rischio, visto che la tratta si trova tutta in piano, ma la più alta probabilità di essere avvistati dalla “gendarmerie”.

      Molte persone del luogo, per aiutare i ragazzi, fanno ronde notte e giorno, così da recuperare chi si perde – o chi riesce a passare il confine – prima che lo faccia la polizia. Una di queste ronde si chiama “Briser les Frontières”: un gruppo di volontari italiani e francesi che, oltre a offrire pasti caldi, vestiti e rifugio, hanno creato una fitta rete cooperativa per recuperare i migranti dispersi. La bussola che orienta il loro lavoro è una legge della montagna – così simile a quella del mare – per la quale è necessario aiutare chiunque si trovi in difficoltà. Molto vicini al movimento No Tav, di recente hanno organizzato una marcia che ripercorre la tratta dei migranti, in segno di protesta e rappresentazione. Per loro non esistono confini, e infatti se la prendono con il Ministro dell’Interno Minniti per aver permesso la creazione dei durissimi campi di detenzione in Libia.

      Nel frattempo la “Paf”, la polizia di frontiera – oltre a fermare e poi rimandare indietro chiunque provi a valicare il confine senza i documenti necessari – ha seminato paura pattugliando la zona tra Bardonecchia e Oulx per fermare i migranti ancor prima che raggiungano il confine.

      Dopo vari tentennamenti, anche i Big4 provano a passare. Li incontro il giorno dopo dall’altra parte, al centro Tous Migrants. Sono al settimo cielo. Intanto il sindaco di Bardonecchia ospita una commissione dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. La domanda è cosa succederà adesso.

      https://openmigration.org/analisi/nevica-ancora-sulla-rotta-di-montagna

    • Dans les Alpes, les migrants fuient l’Italie de Salvini

      Alors que des petits groupes passent quasi quotidiennement la frontière, un Togolais de 28 ans est mort au début du mois.

      L’odeur de la pâte à pizza s’échappe par endroits d’un restaurant. Derrière les vitres des commerces de la station de sports d’hiver de Montgenèvre (Hautes-Alpes), ce mardi 19 février, les clameurs des vacanciers se devinent. Quelque part, tout près de ces lieux conviviaux, dans la montagne qui s’élève, immergée dans la nuit, un petit groupe de huit personnes est en train de passer le col, frontière physique entre l’Italie et la France.

      Par endroits, leurs corps plongent jusqu’aux hanches dans la neige. A d’autres, leurs semelles glissent sur un bout de piste damé qu’ils essayent de remonter, pour s’éloigner davantage des lumières de la ville. Sans savoir ce qu’ils trouveront au-delà de la ligne de crête que dessine la pleine lune. « On va où, là ? » , chuchote l’un. « C’est par où, là ? » , s’impatiente un autre. Ils suivent une trace. Se séparent. Se retrouvent presque par hasard un peu plus loin. Avant de s’éloigner de nouveau.

      C’est ainsi tous les jours ou presque, des migrants tentent d’atteindre la France par les cols alpins, en échappant aux contrôles policiers. Après plus de cinq heures de marche dans la vallée de la Durance, ceux-là arriveront à Briançon, 12 kilomètres après la frontière, la plus haute ville de France. Pendant plus d’une heure, ils ont dû porter l’un d’entre eux, mortifié par le froid, qui avait entrepris la marche sans bonnet, sans gants, avec de simples tennis aux pieds.

      " Courage, courage « Au Refuge solidaire de Briançon, ils trouveront un premier abri et de la chaleur, comme plus de 5 200 personnes avant eux en 2018. Ils sont guinéens, ivoiriens, maliens, sénégalais... » Dieu est grand « , s’exclame Demba, un Sénégalais de 22 ans, arrivé sain et sauf. Il avait déjà » tenté sa chance trois fois « ces derniers jours. La première fois, la gendarmerie française l’a arrêté à Briançon. La deuxième, un peu plus haut, à La Vachette. La troisième, dès Montgenèvre. Systématiquement, lui et les deux amis qui l’accompagnent ont été renvoyés en Italie.
       » La police et la gendarmerie sont très gentilles , assure Demba. Ils nous disent « courage, courage » et « la prochaine fois, vous y arriverez », mais ils nous disent aussi que les montagnes sont très dangereuses. « Chef de service des urgences à l’hôpital de Briançon, Yann Fillet n’a pas encore eu à mener d’opération de secours en montagne cet hiver pour venir en aide à des migrants, mais » on a largement plus de cas de gelures graves que l’an dernier « , constate-t-il. Collé contre un radiateur, dans une salle commune du Refuge solidaire, Mohammed présente des oedèmes à presque tous les doigts de la main. Une partie de sa peau est totalement dépigmentée. Et ses ongles tombent les uns après les autres. Il portait pourtant des gants lorsque, il y a un mois, il a entrepris de rejoindre Briançon depuis Clavière, la dernière ville italienne avant la frontière. Mais il lui a fallu marcher douze heures et planter ses poings dans la neige lorsque ses jambes enfoncées tout entières ne lui permettaient plus d’avancer.

      Le 7 février, un Togolais de 28 ans est mort d’hypothermie aux abords de la route nationale, non loin du village de La Vachette. L’an dernier, trois personnes sont décédées au cours de ces traversées. » Deux personnes ont aussi disparu « , ajoute Michel Rousseau, de Tous migrants, une association briançonnaise qui organise des maraudes et vient en aide aux migrants qui, depuis 2016, pour échapper aux nombreux refoulements au passage frontalier de loin le plus emprunté, entre Vintimille et Menton (Alpes-Maritimes), se lancent à l’assaut des Alpes.
       » Il faut l’énergie du désespoir pour y arriver « , croit Michel Rousseau. La population qui tente le passage n’est plus tout à fait la même, depuis l’entrée en vigueur du décret-loi anti-immigration Salvini, du nom du ministre de l’intérieur d’extrême droite italien. Le texte a notamment supprimé les permis de séjour humanitaires, jusque-là octroyés à 25 % des demandeurs d’asile pour deux ans. » Le climat a changé. Avant, les gens qui arrivaient avaient passé six mois tout au plus en Italie. Ceux qui viennent désormais sont ceux qui n’ont pas la possibilité d’obtenir un titre de séjour ou qui n’ont aucune chance de le renouveler « , remarque #Davide_Rostan, pasteur dans le val de Suse et militant » solidaire ". « Depuis qu’il y a Salvini, ils ont peur » , assure Silvia Massara, bénévole qui oeuvre dans un refuge mis à disposition par une congrégation religieuse à Oulx, petite commune italienne et presque frontalière.

      Demba a passé pas loin de deux ans et demi dans un centre de la petite commune de Gagliano del Capo, dans les Pouilles. Il conserve fièrement les preuves de ses efforts, deux diplômes attestant des formations qu’il a suivies en apiculture biologique et en nutrition. Mais sa demande d’asile a été rejetée et il a été mis à la porte du centre il y a deux mois. « J’ai loué une petite chambre chez un agriculteur, pour 150 euros par mois, explique-t-il. J’avais trouvé du travail dans un restaurant à Leuca, de 8 heures à 19 heures, sept jours par semaine, pour 750 euros par mois. » L’ex-périence n’est pas concluante : « Dans le sud de l’Italie, ils n’aiment pas les Noirs, c’est du racisme, assure Demba. La majorité des clients ne mangeaient pas si c’était moi qui servais. Le patron ne voulait pas que je continue. »

      " Chaque camp a sa loi « Fils unique, Demba a quitté la Casamance il y a sept ans déjà. Il est passé par la Libye, la Tunisie, l’Algérie, mais aussi le Maroc, où il a tenté » plus de dix fois « de franchir les grillages qui protègent l’enclave espagnole de Ceuta et » peut-être sept fois « de traverser le détroit de Gibraltar en canot pneumatique. Il a fini par retourner en Libye et par gagner l’Italie par la mer.
       » Quelqu’un qui a traversé le désert, la mer, la neige, il va avoir peur de quoi ? « , fait mine de demander, amer, Ousmane, un Guinéen de 28 ans rencontré au Refuge solidaire de Briançon. Lui aussi a vu sa demande d’asile refusée, après deux ans et trois mois dans un centre pour demandeurs d’asile dans les Pouilles. » J’ai pris deux ans de retard dans ma vie, dit-il. Dans mon camp,on était deux cents. Seulement un Malien a obtenu le titre de séjour de cinq ans. « 
      A ses côtés, un autre Guinéen, âgé de 21 ans, et qui s’appelle Ousmane également. Lui a passé un an et huit mois dans le centre de Mineo, perdu au milieu des champs d’orangers siciliens, tristement célèbre pour avoir été un temps le plus grand centre de migrants d’Europe lorsqu’il accueillait jusqu’à 4 000 personnes, dans des bâtiments conçus à l’origine pour héberger les soldats américains d’une base voisine. En début d’année, Matteo Salvini a annoncé sa fermeture prochaine, après des arrestations sur fond de scandales autour de trafics de drogue et de violences sexuelles organisés par une mafia nigériane à l’intérieur du camp.

      Comme d’autres passés par Mineo, Ousmane décrit un autre business, qui prospère sur le dos des migrants, avec l’assentiment des gestionnaires du lieu : » Au lieu de nous donner les 75 euros par mois d’allocation pour demandeur d’asile, on nous donne des cartes de téléphone et des cigarettes qu’on n’arrive à revendre que 3 euros le paquet. « En Italie, » chaque camp a sa loi « , résume ses compatriotes. Ousmane a quitté Mineo, où il ne faisait » rien que manger et dormir « . Il a vécu un mois dans la rue, à Turin, avant de décider de rejoindre la France. » Je voulais faire un recours contre le rejet de ma demande d’asile. Mais j’ai dû me présenter huit fois au service de l’immigration en Italie. J’ai compris qu’on ne pouvait plus m’aider. « 
      A Briançon, ils reprennent des forces, passent des appels, se renseignent. La plupart repartent au bout de quelques jours. » On réfléchit à ce qu’on va faire « , confie l’un d’eux. Camara est à Briançon depuis un mois déjà. Ce Guinéen de 22 ans a passé trois ans en Italie dans divers centres, avant d’être prié de quitter les lieux. Il s’y est repris à deux fois pour entrer en France. » La première fois, la police nous a arrêtés , dit-il. Ils ont déchiré mon extrait de naissance et le plan des montagnes. « Le lendemain, il a réussi à rallier Briançon. » Je suis là parce qu’on m’a dit que je ne pouvais pas rester en Italie et que je parle un peu français . Mais je ne connais personne ici. "


      https://www.lemonde.fr/societe/article/2019/02/21/dans-les-alpes-les-migrants-fuient-l-italie-de-salvini_5426270_3224.html

    • @sinehebdo, je copie-colle ici le message que tu as signalé, pour ne pas le perdre...
      #merci

      Une politique migratoire aux allures de « chasse à l’homme » à la frontière franco-italienne

      Ce sont 144 pages qui indignent. Elles décrivent la politique migratoire mise en œuvre par la France à la frontière franco-italienne, de Menton à Chamonix : non respect des droits essentiels des personnes, violations de traités signés par la France, indifférence et mépris pour les mineurs isolés et les réfugiés qui ont besoin de soins, militarisation à outrance de la frontière, harcèlement des personnes solidaires... Telles sont les observations réalisées pendant deux ans par l’Anafé, l’association qui publie ce rapport sans concession.

      Des allures de vaste « chasse à l’homme » : c’est ce à quoi ressemble la politique sécuritaire et migratoire mise en œuvre à la frontière franco-italienne. Une « chasse à l’homme » qui cible plusieurs dizaines de milliers de personnes chaque année, dont des enfants, à qui on refuse l’entrée sur le territoire au mépris de leurs droits les plus essentiels. Depuis 2016, l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé) collecte des témoignages, mène des enquêtes de terrain, observe, constate, échange et travaille avec des associations locales, de Menton à Chamonix, en passant par la vallée de la Roya, le col de Montgenèvre ou le tunnel de Fréjus. Le résultat est édifiant : un rapport de 144 pages, intitulé Persona non grata publié ce 21 février, qui documente l’ensemble des violations de droits perpétrées par l’État français à l’encontre des personnes migrantes qui tentent de traverser la frontière [1].
      Emmenés au commissariat à 17h13, expulsés à 17h15

      Les personnes interpellées se voient le plus souvent prononcer un « refus d’entrée » : un formulaire administratif rempli à la va-vite par un CRS ou un gendarme, sur un parking ou un quai de gare, sans même un passage par les locaux de la Police aux frontières (PAF), ni d’interprète pour les personnes ne maîtrisant pas le français, encore moins d’examen approfondi de la situation des réfugiés. Rien que dans les Alpes-Maritimes, 44 433 refus d’entrée ont ainsi été prononcés, souvent de manière expéditive, en 2017 (une même personne peut être concernée par plusieurs refus d’entrée quand elle tente de repasser la frontière), et 7000 en Haute Maurienne, en Savoie !

      « Le 17 mars 2018, cinq personnes, dont une avec une jambe cassée, ont été emmenées par les CRS à 17h13 au poste de la PAF de Menton Pont Saint-Louis. Elles ont attendu à l’extérieur du poste. À 17h15, soit trois minutes après leur arrivée, les cinq personnes ont été refoulées en Italie, munies d’un refus d’entrée qui leur a été donné en-dehors du poste », notent des observateurs lors d’une mission conjointe avec Amnesty international et Médecins du monde. Ces témoignages sont légion.
      Pas d’accès à un médecin, encore moins à un avocat

      Pas question pour ces personnes de pouvoir accéder à un médecin, qu’elles soient blessées, malades ou sur le point d’accoucher. Pas question non plus pour elles d’avoir accès à un conseil (assistance juridique, avocat…) ni de respecter le droit au jour franc, qui permet à une personne qui le demande de ne pas être refoulée avant 24 heures afin de pouvoir exercer les droits prévus par la loi. Ces pratiques « mises en œuvre par la France à la frontière franco-italienne depuis 2015 représentent un non-respect ou des violations des conventions internationales ratifiées, de la Convention européenne de sauvegarde des droits humains et des libertés fondamentales, du code frontières Schengen et des accords de coopération avec l’Italie », rappelle l’Anafé. Quand il s’agit de migrants, les textes signés par la France ne semblent plus valoir grand-chose.

      Pour les enfants, c’est pareil. Ce ne sont pas des personnes mineures à protéger, mais des menteurs à refouler d’urgence : « On est allés au poste. On est rentrés dans les bureaux. On a été fouillés », raconte un adolescent, interpellé à Clavière, près du col de Montgenèvre. « Le policier me bousculait. Ils ont pris mon téléphone mais me l’ont rendu ensuite. Ils ont pris mon empreinte. Le policier a pris ma main de force pour la mettre sur la machine. Ils étaient plusieurs autour de moi. Un policier m’a demandé ma nationalité, mon âge. J’ai dit que j’avais 16 ans. Ils ont dit que je ne suis pas mineur. Ils ont changé ma date de naissance. Le policier a signé le document à ma place parce que je ne veux pas retourner en Italie. J’ai dit : “Je veux rester en France, je veux aller à l’école pour pouvoir me prendre en charge”. Mais ils ne voulaient rien comprendre. »
      Militarisation « impressionnante » de la frontière

      Le rapport de l’Anafé décrit également la militarisation « impressionnante » de la frontière. La présence des force de l’ordre – militaires, compagnies républicaines de sécurité (CRS), gendarmes, police nationale, police aux frontières... –, souvent lourdement armées, équipées de lunettes de vision nocturne ou de détecteurs de mouvement, sature l’espace frontalier, gares, routes ou chemins de randonnées. Ce qui créée une ambiance bien particulière : « Quelques minutes avant l’arrivée du train, dix gendarmes et quatre militaires lourdement armés se présentent sur le quai. Le train s’arrête, certains montent de chaque côté et se rejoignent au centre du train. Une personne sort escortée par les gendarmes », décrivent des observateurs en gare de Breil-sur-Roya, au nord de Menton (Alpes-Maritimes).

      « Pendant ce temps, les forces de l’ordre restées sur le quai observent les passagers qui descendent. Une personne qui semble d’origine africaine descend, un gendarme lui dit « bonjour », la personne répond « bonjour », dans un français parfait. Nous nous interrogeons sur le fait que les forces de l’ordre ont dit bonjour uniquement à cette personne alors qu’elles étaient une dizaine à descendre du train. » Une scène digne du film La Grande Evasion.

      Ce déploiement militaire à la frontière, rien que pour la vallée de la Roya, coûterait 1,8 million d’euros par mois, près de 22 millions par an, selon le chercheur Luca Giliberti [2]. La vallée ne représente pourtant qu’une petite partie de la frontière franco-italienne, qui s’étend sur 515 kilomètres en tout. Cette militarisation, ces pratiques de « chasse à l’homme » permanentes, poussent aussi les personnes migrantes à prendre de plus en plus de risques pour traverser la montagne et tenter d’esquiver les patrouille, pour simplement être en mesure de faire valoir leurs droits bafoués.
      Un jeune Guinéen mort d’hypothermie après avoir été refoulé

      Les corps de jeunes Guinéen et Sénégalais ont déjà été retrouvés, tués après avoir chuté dans un ravin. « Le 25 mai 2018, à Bardonecchia (Italie), un corps est retrouvé dans un état de décomposition avancée. Son identité est retrouvée par la police italienne grâce à un reste de peau et une enquête est ouverte : il s’agit d’un jeune Guinéen souffrant de poliomyélite, refoulé le 26 janvier par les autorités françaises, à 10 kilomètres de Bardonecchia. Il est décédé d’hypothermie », illustre l’Anafé. Deux semaines plus tôt, c’est le corps d’une Nigériane, Blessing Matthew, qui est retrouvée par des agents EDF dans la Durance, qui prend sa source à Montgenèvre. Toujours en mai, entre Montgenèvre et Clavière, un jeune sénégalais est retrouvé mort par des randonneurs. Épuisé, il serait tombé d’une falaise.

      Face à cette situation scandaleuse qui dure depuis trois ans, « l’Anafé ne peut que déplorer la difficulté à entrer en dialogue avec plusieurs autorités françaises tant au niveau local qu’au niveau national. Les droits fondamentaux, la fraternité et la solidarité ont été relégués au second plan, en violation des engagements internationaux, européens et nationaux. » Les seuls qui sauvent l’honneur d’une politique en perdition à la frontière franco-italienne sont les milliers de bénévoles, de militants associatifs qui font vivre « les valeurs d’humanité, de solidarité et de fraternité » en venant en aide aux victimes de cette « chasse à l’homme ». Mais elles aussi sont désormais la cible de harcèlements, de violences, et poursuivis pour « délit de solidarité ». Elles sont devenues des « militants politiques qu’il faut museler ».

      https://www.bastamag.net/Une-politique-migratoire-aux-allures-de-chasse-a-l-homme-a-la-frontiere-fr

    • #Persona_non_grata - Conséquences des politiques sécuritaires et migratoires à la frontière franco-italienne, Rapport d’observations 2017-2018

      Faisant écho à l’actualité particulièrement tragique de ces dernières semaines à la frontière franco-italienne, l’Anafé publie aujourd’hui son rapport d’observations 2017-2018 sur les conséquences des politiques sécuritaires et migratoires à la frontière franco-italienne intitulé Persona non grata. Ce rapport décrit les pratiques illégales, les privations de liberté irrégulières et les violations des droits que subissent les personnes exilées. Il aborde également la question de la solidarité qui, bien que menacée par les autorités publiques, se renforce et fédère des milliers de personnes autour d’un idéal commun de fraternité.

      Le durcissement croissant des politiques européenne et française pour lutter contre un soi-disant afflux massif de personnes en situation irrégulière et la multiplication des lois liberticides au profit d’une rhétorique sécuritaire mettent en danger la société démocratique européenne. Si cette situation n’est pas nouvelle, le rétablissement des contrôles frontaliers à l’intérieur de l’espace Schengen a ajouté des entraves supplémentaires. Les premières victimes sont d’abord les personnes étrangères qui sont bien souvent érigées en indésirables à expulser du territoire, puis les personnes solidaires qu’il faut museler.

      C’est la réalité depuis 2015 à la frontière franco-italienne. Les personnes exilées font ainsi quotidiennement l’objet de pratiques illégales de l’administration française qui ne respecte pas la législation en vigueur, met en œuvre des procédures expéditives et viole les droits humains et les conventions internationales pourtant ratifiées par la France. Les personnes exilées sont pourchassées dans les montagnes ou sur les chemins de randonnée, sont traquées dans les bus et les trains par les forces de l’ordre mais aussi par des groupes d’extrême-droite et peuvent faire l’objet de violences. Bien souvent, les personnes en exil sont privées de liberté irrégulièrement dans des conditions inhumaines et refoulées irrégulièrement. Les personnes souhaitant demander l’asile se voient opposer un refus d’enregistrement systématique avant d’être refoulées. Si certains mineurs ont pu être pris en charge suite aux dénonciations courant 2018 de pratiques illégales, nombre d’entre eux continuent d’en être victimes et une enquête a d’ailleurs été ouverte par le parquet de Nice [1].

      Ces politiques et ces pratiques ont eu pour conséquence la perte de vies humaines des deux côtés de la frontière et ce, encore très récemment près de Briançon [2].

      Face à cette situation, des personnes et des associations travaillent des deux côtés de la frontière franco-italienne pour faire vivre la solidarité et la fraternité et ainsi redonner aux personnes exilées un peu d’espoir et de dignité. Certaines de ces personnes militantes – dont plusieurs membres de l’Anafé – font l’objet de pressions quotidiennes, de poursuites judiciaires et de condamnations. Ce qui leur est reproché ? Leur humanité !

      « Ce rapport est accablant pour les autorités françaises. Nous appelons d’urgence le ministère de l’intérieur et les préfectures concernées à faire respecter le droit et les conventions internationales, afin de protéger et non rejeter les personnes exilées à la frontière franco-italienne » affirme Laure Palun, co-directrice de l’Anafé.

      Depuis 2011, l’Anafé suit de manière attentive les évolutions à la frontière franco-italienne et a entrepris dès 2015 un travail de collecte d’informations et de témoignages. Aux côtés des acteurs associatifs locaux et nationaux, français et italiens, l’Anafé ne cesse, depuis, de dénoncer les violations exercées par les autorités françaises à la frontière franco-italienne.

      http://www.anafe.org/spip.php?article520

      Pour télécharger le #rapport :
      https://drive.google.com/file/d/15HEFqA01_aSkKgw05g_vfrcP1SpmDAtV/view

    • Migrants : une association dénonce les pratiques de la police française à la frontière franco-italienne

      Le parquet de Nice a annoncé l’ouverture d’une #enquête_préliminaire visant de possibles infractions commises par la police aux frontières.

      La frontière franco-italienne est l’une des frontières internes à l’Europe les plus contrôlées. Elle s’étend sur quelque 515 kilomètres du nord au sud. Rendu public jeudi 21 février, un rapport de l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé), intitulé « Persona non grata », dresse le bilan de deux ans d’observation et dénonce des « pratiques illégales de l’administration française » à l’encontre des migrants qui, chaque jour, tentent de franchir la frontière.

      Les procédures de non-admission des migrants en provenance d’Italie par la police française ont déjà été mises à l’index ces dernières années par des associations, des parlementaires ou encore le contrôleur général des lieux de privation de liberté ou la commission consultative des droits de l’homme. « Nous voulons redonner une visibilité à ces violations de droits, car ce sont des mesures expéditives qui rendent invisibles les pratiques de l’administration », défend Emilie Pesselier, de l’Anafé.

      Les contrôles aux frontières ont été rétablis par la France en novembre 2015, et la loi d’octobre 2017, dite « de sécurité intérieure et de lutte contre le terrorisme », a étendu les périmètres de contrôles d’identité dans les zones frontalières. L’ensemble a permis de refuser l’accès au territoire français à plusieurs dizaines de milliers de migrants – 56 000 refus en 2017, selon les derniers chiffres disponibles –, principalement dans le secteur de Menton (Alpes-Maritimes). L’Anafé dénonce dans son rapport des contrôles « au faciès » effectués de façon systématiques dans les trains reliant l’Italie à la France ou lors de contrôles routiers.
      « Sans information sur les droits »

      Surtout, l’association estime que les étrangers en situation irrégulière sont renvoyés de façon illégale. « Les procédures expéditives sont notifiées en quelques minutes seulement », sans qu’il soit procédé à un entretien individuel ou à un examen approfondi de la situation et « sans information sur les droits », comme celui de bénéficier d’un interprète, d’un médecin, de faire avertir un avocat ou de bénéficier d’une assistance consulaire. « Leur irrégularité est donc patente », souligne le rapport, en dépit du fait que « les préfets des Alpes-Maritimes et des Hautes-Alpes ont toujours garanti (…) que les procédures à la frontière se déroulaient dans les règles et le respect du droit ».

      En outre, poursuit l’Anafé, les migrants désireux de déposer une demande d’asile se trouvent dans l’« impossibilité » de le faire. De la même manière, si les migrants se déclarant mineurs non accompagnés sont davantage « pris en charge et mis à l’abri » depuis des condamnations devant les juridictions administratives, des associations continuent d’être alertées de « pratiques de non-prise en compte de la minorité de certains mineurs isolés », qui sont alors victimes de « pratiques de refoulement abusives », alors qu’ils devraient obtenir une protection de la part des autorités.

      Début février, le parquet de Nice a d’ailleurs annoncé l’ouverture d’une enquête préliminaire visant de possibles infractions commises par la police aux frontières au détriment de mineurs isolés étrangers à Menton (Alpes-Maritimes).

      https://www.lemonde.fr/societe/article/2019/02/21/migrants-une-association-denonce-les-pratiques-de-la-police-francaise-a-la-f
      #justice

    • Non, les migrant・e・s ne déferlent pas sur la France, mais restent bloqué・e・s aux frontières

      De graves manquements au droit d’asile et à la sécurité des personnes en exil. Voilà le constat dressé par l’Anafé (association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers) dans son dernier rapport. Elle assure également que les migrant・e・s ne sont pas plus nombreux・euses qu’avant. Leur nombre paraît plus important, gonflés par leurs passages répétés aux frontières. Radio Parleur a rencontré Emilie Pesselier et Loïc Le Dall, contributeur・trice de l’enquête.

      « Persona non grata » frappe fort. Dans son rapport publié jeudi 21 février, l’Anafé (association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers) dénonce les politiques migratoires menées aux frontières françaises, qui tuent et blessent les migrant・e・s. Il comptabilise une trentaine de morts entre 2017 et 2018, une réalité sûrement incomplète. « La question des chiffres est compliquée. Il faut penser qu’il y a des personnes qui ont disparu et sûrement d’autres qui sont mortes dont on n’a pas connaissance » explique Emilie Pesselier, l’une des contributrices du rapport. Vingt-deux personnes ont été retrouvées mortes à la frontière franco-italienne du sud de la France. Le sentier abrupt du « Pas de la mort » au-dessus de Menton porte malheureusement bien son nom. Du côté de la frontière haute, dans les Alpes au niveau de Modane, l’Anafé recense trois décès et une disparition. « Depuis le début d’année, tout ce qu’on dénonce continue encore », dénonce Emilie. Un nouveau corps vient d’ailleurs d’être retrouvé en février.
      Des pratiques illégales

      L’Anafé dénonce une militarisation accrue de la frontière franco-italienne. Les contrôles à bord des trains, la surveillance des sentiers et les barrages de routes obligent les personnes à emprunter des voies de passage toujours plus dangereuses. Le rapport fait état de contrôles au faciès répétitifs ainsi que des violences verbales et physiques. Lorsque les personnes ne sont pas renvoyées directement dans un train vers l’Italie, elles sont retenues dans des préfabriqués pendant la nuit. « Elles n’ont pas accès à leurs droits ni à de la nourriture. Ce lieu n’a pas d’existence légale claire », explique Loïc Le Dall, également contributeur du rapport. Le discours des policiers interrogés par les militant・e・s est confus sur l’usage de ces « conteneurs ». Les gens y sont immobilisées parfois pendant plus de 12 heures, alors qu’un lieu de privation de liberté ne peut retenir une personne plus de 4 heures.
      Pays des droits de l’Homme non respectés

      La violation du droit d’asile et des droits à la frontière sont monnaie courante. Pour l’Anafé, « c’est une réelle chasse aux potentiels migrants sans document d’identité ». Lors de leur arrivée en France, la procédure d’asile prévoit que les personnes migrantes soient conduites au poste frontière devant la PAF (police aux frontières), française et italienne, accompagnées d’interprètes pour être informées de leurs droits (possibilité de faire une demande d’asile, avoir droit au jour franc, avoir droit à une assistance médicale). Pour Loïc Le Dall, ces droits sont loin d’être respectés : « au-delà du mépris et de la violence verbale ou physique, ces personnes n’entrent pas au poste frontière. Des CRS rédigent sur le quai de la gare des refus d’entrée qu’ils n’ont pourtant pas le droit de rédiger eux-mêmes. Les documents ne sont pas réglementaires, ils sont pré-cochés avec la mention « je veux repartir en Italie ». »

      Ces pratiques alarmantes concernent également des mineur・e・s isolé・e・s, dont la protection est de la responsabilité de l’Etat français dès leur entrée sur le territoire. L’Anafé constate que ces derniers sont régulièrement renvoyés dès leur arrivée, sans jour franc (délai de 24h avant le renvoi), sans même passer par la PAF italienne. Loïc Le Dall décrit des pratiques aberrantes : « on a vu des jeunes à Vintimille qui traînent à la gare et qui ont trois refus d’entrée différents avec à chaque fois des dates différentes, voire barrées. C’est assez absurde ». Particulièrement vulnérables, ils et elles se retrouvent exposé・e・s à des violences et aux trafiquants d’êtres humains.
      Une politique déshumanisante

      L’Anafé est catégorique : les choix politiques appliqués aux frontières violent les droits humains et mettent en danger les personnes migrantes. Une politique qui s’attaque aussi à celles et ceux qui leur viennent en aide. Et les militant・e・s de l’Anafé en font souvent les frais : « les pressions prennent plusieurs formes. Certains sont poursuivis par des voitures de police, il y a des contrôles d’identité répétitifs, des menaces de poursuites en justice. Il y a aussi le fameux délit de solidarité qui, rien que dans son expression, montre toute son absurdité. »

      Faire la lumière sur les pratiques dangereuses exercées aux frontières : voilà le but de ce rapport de l’Anafé, envoyé aux institutions telles que le Ministère de l’Intérieur ou les directions de la police aux frontières. Le document est pensé comme un témoignage, ou comme un outil de plaidoyer. « L’idée [de ces politiques] est de déshumaniser ces gens-là, on ne parle plus d’humains mais de chiffres. Pour ça, les politiques sont bons, ils manipulent les chiffres. Il y a des personnes qui essayent de traverser la frontière vingt fois donc quand on nous parle de 50 000 entrées en telle année, ça ne veut rien dire », poursuit Loïc Le Dall. Après avoir rappelé le rôle de l’immigration dans l’histoire de l’humanité, il ajoute : « il n’y a pas plus de gens qui arrivent en Europe, il y a surtout plus de gens qui sont coincés aux frontières et qui sont mis en lumière ».

      https://radioparleur.net/2019/03/01/anafe-crise-frontieres-migrations

      A propos du rapport #Persona_non_grata de l’anafé :
      https://seenthis.net/messages/756096#message761995

    • Dans les Alpes, là où des Européens skient, des Africains meurent

      Du côté de Briançon dans les Hautes-Alpes, c’est le troisième hiver au cours duquel des migrants se lancent dans une périlleuse traversée de la frontière avec l’Italie en haute montagne. Ils tentent d’échapper aux contrôles et aux violences policières, au risque de perdre la vie. Trois d’entre eux ont été retrouvés morts en mai 2018, et un quatrième est décédé début février 2019.

      Le 7 février, Tamimou Derman est mort à l’hôpital de Briançon. Le jeune homme de 28 ans avait été secouru deux heures plus tôt en pleine nuit, par un camionneur italien. Il se trouvait au bord de la RN 94 à trois kilomètres de la sous-préfecture des Hautes-Alpes en direction du col de Montgenèvre. Le parquet de Gap a conclu à « une probable mort par hypothermie ». Tamimou avait perdu ses chaussures dans la neige abondante et continué sa marche depuis la frontière à 10 km de là, en chaussettes, ont témoigné ses compagnons de route.

      « Persona non grata »
      Pour sept associations qui se préoccupent des droits humains, ce drame est le résultat de la politique de contrôle de la frontière, faite de « renvois systématiques en Italie au mépris du droit, courses-poursuites, refus de prise en charge y compris des plus vulnérables ». Résultat, « ces pratiques poussent les personnes migrantes à prendre toujours plus de risques, comme celui de traverser par des sentiers enneigés, de nuit, en altitude, par des températures négatives, sans matériel adéquat ». Les actions des forces de police et de gendarmerie sont émaillées d’actes illégaux, de violences et d’humiliations. Comme l’a notamment rapportée l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé) dans un rapport d’observations publié le 21 février et intitulé « #Persona_non_grata ».


      http://umap.openstreetmap.fr/fr/map/hautes-alpes-frontiere-de-tous-les-dangers-pour-le_260402#11/44.9803/6.8335
      #cartographie #visualisation #dangers

      Parce que la frontière s’est durcie plus au sud, dans les Alpes-Maritimes, voilà le troisième hiver que des migrants tentent la traversée par les Hautes-Alpes pour quitter l’Italie. Ce sont principalement de jeunes hommes originaires d’Afrique francophone. Ils prennent le train à Turin pour descendre dans l’une des deux dernières gares avant la frontière : Oulx ou Bardonnecchia. D’Oulx, ils prennent un bus et s’arrêtent la plupart du temps à Clavière, le dernier village italien avant le poste de la police aux frontières (PAF) de Montgenèvre, à 1850 m d’altitude. De Clavière, ils tentent la traversée sur les chemins de montagne. L’hiver dans la neige, sur les pistes de ski. L’été sur les chemins de randonnées.

      « Dans les années 1950, ce sont les italiens qui faisaient peur »
      De Bardonnecchia, les exilés empruntent à pied le col de l’Échelle (1 762 m) pour tenter de rallier le village de Névache, 13 kilomètres plus loin. Et parfois, parce qu’ils se sont égarés ou parce qu’ils tentent de s’éloigner encore davantage de la police ou de la gendarmerie, ils empruntent des cols dépourvus de route pouvant s’élever à plus de 2 500 mètres d’altitude.

      Les Européens quant à eux, skis aux pieds ou volant en main, peuvent aller librement de l’Italie à la France et de la France à l’Italie. La région est très touristique. Le domaine skiable transfrontalier de la Voie Lactée est l’un des plus vaste d’Europe. Montgenèvre, qui en fait partie, se revendique comme « doyenne des stations de ski françaises ». Depuis l’antiquité, son col du même nom est un important lieu de passage. Les migrations qui y transitent sont anciennes. Au XIXe siècle et jusqu’à la première moitié du XXe siècle, les Italiens ont franchi ces montagnes, fuyant la famine, les mauvaises conditions économiques ou la dictature de leur pays. Ils étaient les indésirables de cette époque.

      « Dans les années 1950, les Italiens faisaient peur dans les villages ici, notamment parce que les femmes étaient vêtues tout de noir et voilées », se souvient Gérard Fromm, le maire et le président de la communauté de communes (DVG) de Briançon qui était enfant à l’époque. Aujourd’hui, il est « fier de la solidarité des Briançonnais » qui sont environ 250 à s’investir pour le secours et l’accueil des exilés. D’autres personnes viennent de loin, sur leurs temps libre ou leurs congés, pour participer à des maraudes en montagne ou s’investir au Refuge Solidaire, le lieu de premier accueil mis à disposition par la communauté de commune.

      Des peines de prison pour les solidaires
      Quasiment toutes les nuits, des maraudeurs se relaient à Montgenèvre pour porter secours aux migrants et les descendre dans leurs voitures au Refuge de Briançon. Pour cette action, ils ont été convoqués plus d’une cinquantaine de fois à la PAF ou à la gendarmerie pour expliquer leurs agissements. Et la mesure dissuasive fait parfois l’objet de poursuites pénales et de condamnations. Ainsi, le 10 janvier, le tribunal de Gap a condamné deux maraudeurs, Pierre et Kevin, respectivement à 3 mois de prison avec sursis et 4 mois de prison avec sursis, pour « aide à l’entrée irrégulière d’un étranger en France ». La peine de Kevin est plus importante car il était poursuivi également pour « refus d’obtempérer ».

      Un autre procès a davantage attiré l’attention. Celui de ceux qui ont été surnommés les « 7 de Briançon ». Le 22 avril, ils avaient participé à une manifestation transfrontalière, de Clavière à Briançon, pour dénoncer la présence des militants d’extrême droite du groupe Génération Identitaire qui avaient commencé une opération anti-migrants la veille au col de l’Échelle. Une vingtaine de migrants étaient entrés en France avec la manifestation des 150 militants solidaires. Les « 7 », deux jeune suisses ; Théo et Bastien, une étudiante italienne ; Eleonora et quatre Briançonnais ; Lisa, Benoît, Mathieu et Juan* ont été condamnés à Gap le 13 décembre pour « aide à l’entrée irrégulière d’étrangers ». Benoit, Lisa, Théo, Bastien et Eleonora ont écopé de 6 mois de prison avec sursis. Mathieu et Juan*, qui étaient également poursuivis respectivement pour « rébellion » et « participation à un attroupement », ont quant à eux été condamnés à 12 mois de prison dont 4 fermes. L’ensemble des personnes condamnées le 13 décembre 2018 et le 10 janvier 2019 ont fait appel des décisions. Leurs condamnations sont suspendues en attendant qu’elles soient jugées par la cour d’appel de Grenoble.

      La fraternité n’embrasse pas tout le Briançonnais. La droite et l’extrême droite critiquent l’action des personnes solidaires et la prise de position municipale, en théorisant sur une « majorité silencieuse des Briançonnais » qui y serait défavorable et inquiète de l’arrivée des migrants. A Névache, ils sont une trentaine d’habitants accueillants, soient 10% de la population. Un engagement dont se félicite le maire Jean-Louis Chevalier qui ne veut « aucun mort sur [sa] commune parce qu’une vie humaine, c’est une vie humaine. Il n’est pas question de laisser mourir dans nos montagnes ». Mais en dépit des alertes récurrentes de l’association locale Tous Migrants « pour que [leurs] montagnes ne deviennent pas un cimetière », trois dépouilles ont été retrouvées au mois de mai 2018.

      Le 9 mai, le corps d’une jeune africaine a été retrouvé découvert au barrage de Prelles. Blessing Matthew, une nigériane de 20 ans serait tombée dans la Durance et se serait noyée après une course poursuite nocturne engagée par les forces de police deux jours plus tôt, au niveau du hameau de La Vachette. Là où est également mort Tamimou Derman. Puis « Alpha », comme l’ont baptisé celles et ceux qui sont venus rendre hommage à ce « migrant inconnu », a été retrouvé sur un chemin de randonnée le 19 mai. Il s’est éteint, vraisemblablement d’épuisement, dans un bois en amont du hameau des Alberts sur la commune de Montgenèvre, après avoir passé plusieurs jours en montagne. Côté italien, le corps de Mohamed Fofana, un Guinéen de 28 ans, a été retrouvé le 25 mai dans un vallon de la commune de Bardonnecchia après avoir passé une partie de l’hiver sous la neige. A la fin de cet hiver, d’autres cadavres apparaîtront-ils à la fonte des neiges ? Cette question hante les montagnards solidaires.

      *Juan est un pseudo

      Pierre Isnard-Dupuy (Collectif Presse-Papiers)

      https://www.1538mediterranee.com/2019/02/28/dans-les-alpes-la-ou-des-europeens-skient-des-africains-meurent

    • Frontière franco-italienne : Grande #maraude solidaire

      Dans le cadre d’une grande mobilisation en soutien aux citoyens solidaires
      des personnes réfugiées et migrantes,
      nos associations vous convient à une maraude solidaire

      Le 15 mars 2019 à partir de 18h au col de Montgenèvre
      (Au départ de la marche près de l’Espace Prarial, Route Italie, 05100 Montgenèvre)

      En présence des représentant·e·s des associations nationales
      et de Tous Migrants disponibles pour répondre à des interviews

      Alors que les politiques migratoires des États européens ne cessent de se durcir et que les contrôles aux frontières sont de plus en plus répressifs, les personnes migrantes sont amenées à prendre davantage de risques en montagne comme celui de traverser la frontière par des sentiers enneigés, de nuit, en altitude, par des températures négatives, sans matériel adéquat. Dans le même temps, les citoyens solidaires qui cherchent à leur venir en aide, les « maraudeurs » des vallées alpines, sont de plus en plus inquiétés, inculpés et même condamnés en justice.

      Malgré les alertes des associations lancées aux autorités, malgré les blessures, les gelures et les morts (le dernier décès d’un jeune exilé près de Briançon date du 6 février), la situation n’a cessé de s’aggraver dans la région de Briançon
      (Hautes-Alpes).

      Face à cette situation qui confine à la mise en danger délibérée, le mouvement citoyen Tous Migrants soutenu par les associations Amnesty International France, La Cimade, Médecins du monde, Médecins sans frontières et le Secours Catholique organise une grande maraude solidaire avec plusieurs acteurs locaux, le vendredi 15 mars 2019 à partir de 18h à la frontière franco-italienne, à Montgenèvre. L’objectif est de mobiliser plusieurs centaines de participants.

      Cette action inédite a pour but d’exprimer la solidarité envers les personnes engagées dans des maraudes et qui portent assistance aux personnes exilées qui franchissent la frontière dans des conditions particulièrement dangereuses. En 2018, plusieurs dizaines de personnes solidaires ont été entendues par la police et pour certaines, poursuivies en justice et jugées.

      Programme de la soirée
      18h00 : Rassemblement, prises de paroles des associations, des maraudeurs et témoignages.
      19h00 : Maraudes en groupe avec des responsables expérimentés.
      20h00 : Dénonciation des violences policières.
      20h30 : Témoignages d’exilés et de maraudeurs
      21h15 : Marche animée dans Montgenèvre et descente solidaire aux flambeaux.

      CONTACTS PRESSE
      Amnesty International France
      Véronique Tardivel
      06 76 94 37 05
      vtardivel@amnesty.fr
      La CimadeI Vincent Brossel
      01 44 18 60 56 - 06 42 15 77 14
      vincent.brossel@lacimade.org
      Médecins du Monde I
      Fanny Mantaux
      06 09 17 35 59
      fanny.mantaux@medecinsdumonde.net
      Médecins Sans Frontières France
      Charlotte Nouette-Delorme
      06 76 61 97 80
      charlotte.nouette-delorme@paris.msf.org
      Secours Catholique Caritas FranceI
      Djamila Aribi
      01 45 49 75 24
      djamila.aribi@secours-catholique.org
      Tous Migrants
      Marie Dorléans 06 64 72 95 60
      tousmigrants@gmail.com

      Informations pratiques

      Pour venir en transport en commun à Montgenèvre depuis Paris, le plus simple est de prendre le TGV direct jusqu’à Oulx (4h30), puis navette immédiate qui dessert Montgenèvre (en 30 min) et Briançon.
      Pensez à vous couvrir, les températures pourront être négatives à Montgenèvre (1 800 m d’altitude).

      La maraude et la descente aux flambeaux pourront faire
      l’objet de photos et vidéos.

    • Montgenèvre : de longues recherches de nuit pour retrouver un groupe de migrants

      Ce dimanche 10 mars, de 4 h 30 à 8 h 30, le PGHM de Briançon a entrepris des recherches pour retrouver trois migrants aux abords de la station de Montgenèvre. Le petit groupe, qui a entrepris le franchissement de la frontière franco-italienne dans la nuit, avait alerté les secours italiens. Ils ont été retrouvés sains et sauf au petit matin.

      Vers 4 h 30, ce dimanche 10 mars, trois migrants qui tentaient la traversée à pied de la frontière franco-italienne par le col de Montgenèvre, ont alerté par téléphone les secours italiens déclarant souffrir du froid.

      Des recherches pour retrouver le petit groupe de migrants ont été entreprises du côté italien, dans le secteur de Clavière, et du côté français par le PGHM aux alentours de la station de Montgenèvre.
      Quatre heures de recherches

      En caravane terrestre, les militaires du peloton de gendarmerie de haute montagne, ont recherché quatre heures durant les trois requérants. Ceux-ci s’étaient, à priori, réfugiés dans un sous-bois non loin du village de Montgenèvre, pour y allumer un feu.

      Vers 8 h 30 ce dimanche matin, les trois migrants commençaient à repartir lorsqu’ils ont été localisés par les gendarmes du #PGHM.


      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/03/10/immigration-hautes-alpes-montgenevre-de-longues-recherches-de-nuit-pour-

    • TRIBUNE. Sauver des vies n’est pas un délit, dans les montagnes comme ailleurs

      Six organisations humanitaires dénoncent dans cette tribune la criminalisation par les autorités françaises de l’assistance apportée aux exilés.

      "Aujourd’hui, dans certaines régions françaises, des citoyens qui viennent en aide à des personnes en détresse sont considérés comme des délinquants par les autorités françaises. C’est le cas dans plusieurs vallées alpines où celles-ci surveillent, interpellent et poursuivent en justice des hommes et des femmes qui apportent un soutien humanitaire aux personnes exilées qui, malgré le froid, la neige et le manque d’équipement, traversent la frontière franco-italienne au péril de leur vie.

      Pourtant, ces citoyens solidaires, « maraudeurs » et « maraudeuses », portent comme ailleurs en France assistance par des gestes simples à ceux et celles qui en ont besoin : donner une couverture de survie, des gants, des chaussures de montagne, une boisson chaude ; conduire une personne à l’hôpital ou dans un refuge. Une assistance essentielle qui a le pouvoir de sauver des vies. Ces « maraudes humanitaires » dans les régions alpines ne sont pourtant pas différentes de celles menées dans nos villes où ces dernières sont soutenues par la société civile et les pouvoirs publics. Comment comprendre que ces personnes qui font preuve d’humanité dans la région de Briançon puissent être inquiétées, et leurs actes criminalisés, alors que leurs actions ont pour objectif d’éviter les blessés et les morts dans nos montagnes ?

      Les autorités françaises portent atteinte aux droits fondamentaux des personnes exilées et les mettent en danger

      Le récent décès de Tamimou Derman, un Togolais mort à 28 ans à la descente du col de Montgenèvre, en France, le 7 février dernier, est l’illustration tragique de ce que nos associations dénoncent depuis plus de deux ans. En poursuivant les personnes migrantes et réfugiées dans les montagnes, en les renvoyant systématiquement en Italie au mépris du droit, en refusant de les prendre en charge, y compris les plus vulnérables et les demandeurs d’asile, les autorités françaises portent atteinte aux droits fondamentaux des personnes exilées et les mettent en danger.

      Les habitants des vallées se mobilisent pour venir en aide à ces personnes. Elus locaux, citoyens, personnels hospitaliers s’unissent pour faire du territoire briançonnais une terre d‘accueil. Ce mouvement de solidarité se heurte pourtant à la réaction des pouvoirs publics : refus de dialogue, intimidation, poursuites judiciaires allant jusqu’à des peines de prison, etc.

      Le 15 mars prochain, à Montgenèvre, près de Briançon, ce sont des centaines de citoyens qui se mobiliseront lors d’une « grande maraude solidaire ». Nos organisations prendront part à cette action symbolique en faveur de la protection de ceux et celles qui œuvrent à la défense des droits des personnes exilées dans les montagnes."

      https://www.lejdd.fr/Societe/tribune-sauver-des-vies-nest-pas-un-delit-dans-les-montagnes-comme-ailleurs-38

    • Dans les Alpes, des élus maraudent au secours des migrants et s’invitent à la PAF

      À la veille d’une maraude géante le 15 mars, des élus écologistes se sont invités dans les Hautes-Alpes pour « patrouiller » de nuit au secours des migrants. Et contrôler par surprise les pratiques de la police aux frontières.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/140319/dans-les-alpes-des-elus-maraudent-au-secours-des-migrants-et-sinvitent-la-

    • Hautes-Alpes : une maraude pour soutenir les migrants

      Une maraude géante a été organisée au col du Montgenèvre, entre les Hautes-Alpes et l’Italie. Ce vendredi, 300 personnes environ ont marché sur les pas des migrants pour dénoncer la façon dont ils sont traités.

      Leur action peut s’appeler « une grande maraude solidaire ». 300 militants environ, issues d’associations d’aide aux migrants, se sont retrouvés au col de Montgenèvre, entre la France et l’Italie. Ils témoignaient ainsi de leur solidarité et dénonçaient la répression contre les militants.
      Sur les pas des migrants
      Les sentiers des Hautes-Alpes sont parcourus par les migrants depuis que le passage par la Vallée de la Roya, dans les Alpes-Maritimes, a été freiné. Le Briançonnais est devenu un haut-lieu de la solidarité avec les migrants. Ce vendredi, en début de soirée, les militants, venus de France, Italie et Suisse, ont commencé à gravir dans un froid glacial les sentiers enneigés, encadrés par des pros de la montagne. Ils ont atteint 1.800 mètres d’altitude, à la frontière franco-italienne. Sur leurs banderoles ils avaient inscrit « Nos montagnes ne sont pas des cimetières » ou encore « Solidarité = Délit ».

      Cette maraude symbolique doit se terminer par une soupe chaude suivie d’une descente aux flambeaux. Parmi les marcheurs, on retrouve le mouvement citoyen Tous migrants, soutenu par Amnesty International France, Médecins du Monde, Médecins sans frontières, le Secours catholique et la Cimade.

      Avant leur départ, beaucoup avaient déjà témoigné des conditions particulièrement dangereuses dans lesquelles les migrants franchissent la frontière. La nuit, dans le froid et la neige, sans équipement adéquat. Il en résulte des blessures, des gelures graves et même des morts. Le dernier date du 6 février.
      Une piqûre de rappel de solidarité
      Selon les associations, « la situation n’a cessé de s’aggraver dans la région, avec la répression et les contrôles des forces de l’ordre qui se multiplient ».

      « Nous voulons rappeler, en écho au rapport du Défenseur des droits publié ce mardi, que l’assistance aux migrants n’est pas illégale et que les réfugiés ont le droit de demander l’asile », explique à l’AFP Marie Dorléans, de Tous Migrants.

      En juillet, le Conseil constitutionnel a estimé qu’au nom du « principe de fraternité », une aide désintéressée au « séjour » irrégulier ne saurait être passible de poursuites, l’aide à « l’entrée » sur le territoire restant illégale.


      https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/hautes-alpes/hautes-alpes-maraude-soutenir-migrants-1639466.html

    • "C’est de la bienveillance, comme il y en a chez les #marins" : une « grande maraude solidaire » d’aide aux migrants a réuni 300 personnes dans les Hautes-Alpes

      L’événement était organisé par des associations d’aide aux migrants pour soutenir les personnes qui viennent en aide aux centaines d’exilés qui franchissent la frontière entre l’Italie et la France.

      Une « grande marause solidaire » s’est déroulée vendredi 15 mars, à Montgenèvre, dans les Hautes-Alpes, près de Briançon, en soutien aux migrants. L’événement était organisé par des associations d’aide aux migrants dans le but de soutenir les personnes qui aident les centaines d’exilés qui franchissent la frontière entre l’Italie et la France. Les bénévoles dénoncent notamment la répression dont ils estiment être les victimes après plusieurs condamnations prononcées en justice. Par petits groupes, les maraudeurs - français, suisses et italiens - ont donc gravi dans le froid les sentiers enneigés de la station, à 1 800 mètres d’altitude.

      Sur le front de neige de Montgenèvre, à l’heure des dameuses, le petit groupe de maraudeurs est guidé par Pierre, qui vient en aide aux migrants depuis trois ans : « Il faut essayer d’être un peu vigilant, regarder autour de nous », confie Pierre. « Il faut se rendre compte que tout ce que vous avez autour de vous, le moindre petit recoin, c’est aussi une cachette où les gens se mettent à l’abri parce qu’ils n’ont pas envie de vous voir », explique-t-il.

      On essaie d’être discret parce que les personnes que l’on rencontre sont plutôt apeurées. Elles ne savent pas de quel côté on est.Pierre, bénévoleà franceinfo

      Les migrants se cachent parfois dans des cabanes, sous des abribus, dans des toilettes publiques ou des abris poubelles. La plupart du temps, quand les maraudeurs les retrouvent, ils ne sont vêtus que d’un jean et d’une paire de basket. Corinne Torre, responsable au niveau national de Médecins sans frontières déplore : « Il y a eu des morts. On défie quiconque de pouvoir rester dans des conditions comme ça, à -15 degrés l’hiver. C’est extrêmement dangereux. »

      Ils se font pourchasser par la police et se blessent. Ils peuvent tomber, ils peuvent mourir.Corinne Torre, de Médecins sans frontièresà franceinfo

      Trois migrants ont perdu la vie, deux autres ont disparu l’année dernière, en tentant de franchir la dizaine de kilomètres qui séparent Clavière, en Italie, de Briançon. Côté français, ils sont 200 bénévoles à venir régulièrement secourir les migrants. Même si certains ont été condamnés après des actions parfois houleuses, cela ne dissuade pas Gaspard, guide de haute montagne. « C’est de la bienveillance, comme il y en a chez les marins. Cela me semble être tout à fait logique », estime-t-il. Quand on voit les montagnes ici, illuminées et pleines de touristes... Pour eux, ce n’est pas la magie de Noël, la féerie de la neige."

      C’est parfois aussi dur que de traverser la Méditerranée. Ils l’appréhendent avec la même peur, la même crainte.Gaspard, guide de haute montagneà franceinfo

      Vendredi soir, aucun migrant n’a été secouru sur les pentes glacées de Montgenèvre, mais depuis le début de l’année, plus de 4 000 exilés, en provenance d’Italie, sont parvenus jusqu’à Briançon.

      https://mobile.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/hautes-alpes-une-grande-maraude-solidaire-a-montgenevre-pour-sou
      #pêcheurs

    • Maraude solidaire : ils étaient des dizaines…

      Hier soir (vendredi 15 mars 2019), 18h sonne au clocher de l’église de Montgenèvre, 400 personnes se retrouvent sous une banderole « Solidarité=Délit », devant les caisses des remontées mécaniques, bien couvertes et pleines de motivations.

      A l’appel de l’association Tous Migrants, la grande Maraude solidaire commence ce vendredi 15 mars en début de soirée. Les objectifs, annoncés au micro par Tous Migrants, sont multiples mais convergent tous vers un seul mot, humanité : faire découvrir la maraude et devenir tous maraudeur, être solidaires avec les maraudeurs inquiétés par la justice, faire prendre conscience de ce que vivent les exilés en ces lieux, dénoncer les violences policières, et rappeler les droits des demandeurs d’asile.

      Cinq ONG qui soutiennent ce rassemblement sont présentes et prennent la parole. Le secours catholique apporte un franc soutient aux bénévoles. La CIMADE dénonce les atteintes aux droits des personnes exilés et demandeurs d’asiles rappelant que l’Etat en est responsable, et que ces atteintes ne sont pas isolées mais générales sur tout le territoire. Médecins Sans Frontières compare les pressions policières et juridiques faites aux maraudeurs, aux identiques que l’ONG vit avec l’Aquarius en méditerranée. Amnesty international est présente en tant que défenseuses et défenseurs des droits de l’Homme qui sont bien oubliés sur nos frontières. Enfin Médecin Du Monde qui travaille en collaboration avec les solidaires briançonnais depuis 3 ans, rappelle que le gouvernement est en totale illégalité aux frontières, que d’accéder aux soins est fondamental, et que le combat doit continuer.

      Le refuge solidaire de Briançon annonce des chiffres renversants, 5205 personnes sont passés au refuge en 2018, 410 personnes aux mois, pourtant froid de janvier et février 2019, soit une moyenne de 7 passages par jour, 53000 repas ont été servi au refuge depuis sa création en 2017, 6 maraudeurs parcourent tous les jours dans les montagnes, 3 jours de périple pour les exiles en moyenne entre Clavière et Briançon, 4 décès connus et 3 disparitions, et des blessés… Toutes les remontées mécaniques sont maintenant fermées.

      Il est temps pour les maraudeurs en masse, qui sont venus parfois de loin pour comprendre ce qui se passent ici au fin fond des Hautes-Alpes, de partir en marche dans la nature. Des petits groupes se forment autour de maraudeurs plus habitués, et partent dans toutes les directions dans la neige à la nuit tombante.

      Les manifestants comprendront qu’à l’écoute des réponses, « il n’y a pas de règles il n’y a pas de plans » « juste, on marche, ou on ski et on regarde si on voit une personne en difficulté pour lui porter secours, sans jamais passer la frontière franco-italienne comme seule règle » « juste éviter des drames, aider simplement » « les exilés passent parfois très hauts et se perdent, se retrouvant dans une autre vallée » « on apporte des boissons chaudes, des couvertures de survies »… Cela semble si simple et pourtant tellement compliqué dans ce lieu exigeant par son relief, son climat, devenu une prison à ciel ouvert avec des policiers munis de projecteurs, de caméra infrarouge, de moto-neiges…scrutant les pistes.

      Les dameuses commencent à lisser le front de neige…

      Il est 20h30, rendez-vous, pour les maintenant 500 solidaires, devant la PAF. Sous les airs de musique de la fanfare, à la lumière des lampions, en cette journée du 15 mars internationale de luttes contre les violences policières, les témoignages des exilés lors de leur passage entre les mains de la police, sont écrits sur des pancartes et lus. Les automobilistes bloqués de part et d’autre du poste de frontière ont éteint leur moteur et écoutent. Les pancartes font faces aux cortèges de policiers, crs… ils ne peuvent faire autrement que de lire, d’entendre… Amnesty International leur rappelle qu’ils ont droits de refuser d’obéir si les ordres sont contraires à la loi, si un ose dire beaucoup d’autres suivront… et pourtant rien ne bouge. Ce face à face ravive les souvenirs des solidaires qui sont bien trop nombreux en ce même lieu. Le cortège repart au centre de la station en musique. La dameuse travaille la neige au milieu de la pente…

      Il est 22h la soupe est servie, on se réchauffe, un S.O.S apparaît dans la montagne, et au même moment une chasse à l’homme commence à la frontière… la foule se disperse, des petits groupes partent en maraude, un gros cortège retourne à la PAF vers la frontière. C’est à ce moment que la police déploie ses forces humaines pour traquer les migrants qui tentent de passer devant les yeux, les caméras des manifestants… On a peine à y croire et pourtant cela n’est pas un film, un migrant est attrapé sous les huées de la foule, des rangées de CRS se suivent pour remonter aux postes après avoir contenu la foule, la chasse continue tout autour. La station n’a jamais vu autant de personnes circuler dans tous les sens, partout à pied à cette heure-ci, il est 23h30. La dameuse est tout en haut de la piste…

      La grande maraude continuera bien longtemps dans la nuit. Les voitures des forces de l’ordre diminuent au fur et à mesure. Une dizaine de migrants sont arrivés au refuge cette nuit, quelques-uns sont restés bloqués à la PAF, un migrant a chuté et a été transporté par les pompiers. Les maraudeurs sont rentrés se reposer pour demain soir. La piste est damée, les skieurs vont se régaler….


      https://alpternatives.org/2019/03/17/maraude-solidaire-ils-etaient-des-dizaines

    • Du coup, @sinehebdo : #Voies_libres_Drôme #Drôme #Vercheny

      Voies Libres Drôme a un double objet : organiser, informer et promouvoir l’#accueil ; informer et sensibiliser sur la réalité des la situation des exilé.e.s, sur les politiques migratoires.

      Et cette #chanson :
      #Hermann - Ton visage est sur le mien
      https://www.youtube.com/watch?v=V90-TlrM98o


      #clip #vidéo #musique

    • Un arrêt de La #cjue qui met par terre tout le système mis en place en France depuis trois ans aux #frontières_terrestres.
      La cour estime que l’on peut pas considérer une #frontière_interne comme une #frontière_extérieure et que la #directive_retour avec ses droits (départ volontaire recours urgent contre les mesures et rétention) s’applique.
      En gros la cjue dit que l’on doit appliquer le #droit_commun soit des obligations de quitter soit des réadmissions Schengen même si on contrôle systématiquement. Or en France la paf notifie des refus d’entrée comme à Menton ou à montgenevre.
      Et on doit appliquer Dublin si demande d’asile dans un état membre. Cela veut dire recours suspensif possible.

      https://twitter.com/SadikGerard/status/1110226044538310657

      Arrêt de la cjue :

      « Renvoi préjudiciel – Espace de liberté, de sécurité et de justice – Contrôle aux frontières, asile et immigration – Règlement (UE) 2016/399 – Article 32 – Réintroduction temporaire par un État membre du contrôle à ses frontières intérieures – Entrée irrégulière d’un ressortissant d’un pays tiers – Assimilation des frontières intérieures aux frontières extérieures – Directive 2008/115/CE – Champ d’application – Article 2, paragraphe 2, sous a) »

      http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=A3D538BB2F6BB87A3A1145B398F89039?text=&docid=21

    • Remise du #prix suisse des droits humains #Alpes_ouvertes 2019 aux « #7_de_Briançon »

      En présence des personnalités internationales

      Le prix suisse des droits humains "Alpes ouvertes" 2019 du Cercle d’Amis Cornelius Koch (l’abbé suisse des réfugié·es, 1940-2001) est remis aux "7 de Briançon" en signe de reconnaissance et de remerciement pour leur engagement courageux dans le sauvetage de réfugié·es en montagne et dans la dénonciation des actes racistes et xénophobes. Le prix se monte à 12.000 CHF.

      Date : Mardi, 23 avril 2019

      Heures et lieux :

      9.30 h rassemblement à l’Obélisque Napoléon au Col de Montgenèvre, cérémonie de la remise du prix, prises de parole, acte symbolique à la frontière franco-italienne.

      12h - 14.30 h : A Briançon dans la salle communale du Vieux Colombier, Ch. de Ronde, Cité Vauban : buffet, musique et éloges. Ensuite visite des lieux d’accueil pour les réfugié·es.

      Prises de parole de personnalités internationales :

      Pinar Selek, écrivaine et sociologue (F, Turquie)

      Dick Marty, anc. procureur du canton du Tessin, anc. membre de l’Assemblée Parlementaire du Conseil d’Europe, (CH)

      Don Giusto de la Valle, prêtre et lauréat Alpes ouvertes 2017, Progetto Accoglienza Rebbio (I)

      Mussie Zerai, prêtre et co-fondateur du « Watch the Med Alarmphone » (I, Érythrée)

      Communiqué

      Le prix suisse des droits humains "Alpes ouvertes" 2019 est remis aux "7 de Briançon" en signe de reconnaissance et de remerciement pour leur engagement courageux dans le sauvetage de réfugié·es en montagne et dans la dénonciation des actes racistes et xénophobes. Nous avons décidé de décerner ce prix aux citoyens suisses Théo Buckmaster, Bastien Stauffer et à la citoyenne italienne Eleonora Laterza, dénommé·es les "trois de Briançon", et à quatre habitant·es des Alpes françaises – Mathieu Burellier, Benoît Ducos, Jean-Luc Jalmain et Lisa Malapert – dénommé·es les "quatre de Briançon". Nous souhaitons ainsi épauler ces personnes engagées, tout en interpellant l’opinion publique sur le sort intenable des réfugié·es qui traversent les Alpes franco-italiennes. Historiquement, les Alpes ont souvent été un lieu de refuge pour les persécuté·es et les résistant·es. Aujourd’hui elles sont le dernier verrou de l’Europe Forteresse, de Vintimille (Italie) au Montgenèvre (France), au col du Brenner (Autriche), en passant par Chiasso (Suisse). Ouvrons les Alpes pour un accueil humain !

      Delémont, 3 avril 2019

      Claude Braun et Michael Rössler

      Pour l’Association "Cercle d’Amis Cornelius Koch" et le Forum Civique Européen

      L’histoire du Prix Alpes ouvertes

      Le prix suisse des droits humains "Alpes ouvertes", instauré par Cornelius Koch, l’abbé suisse des réfugié·es (1940-2001), est décerné à des personnes et à des groupes engagés activement pour les droits des réfugié·es, des migrant·es, des personnes socialement défavorisées et des minorités menacées en Europe. Le prix se monte à 12.000 CHF. Les précédent·es lauréat·es : Don Renzo Beretta, Ponte Chiasso (I), en 1997 ; le syndicat ACLI, Côme (I), en 1998 ; Edition Drava, Klagenfurt (A), et "Mujeres Progresistas", El Ejido (Espagne), en 2000, en présence de Monseigneur Jacques Gaillot (F) ; Comité d’aide médicale en Transcarpatie (CAMZ), Oujgorod, Ukraine, 2012, en présence de Dick Marty (CH) ; l’Association "Firdaus" de Lisa Bosia Mirra (CH) et le "Progetto Accoglienza Rebbio" de Don Giusto della Valle, Côme (I), en 2017, en présence de Monseigneur Jacques Gaillot (F).

      Claude Braun & Michael Rössler : Un chrétien subversif – Cornelius Koch, l’abbé des réfugiés, Editions d’en bas, Lausanne, 2013.

    • Briançon : ville refuge à l’heure de la criminalisation de la solidarité

      Depuis 2015, la région de Briançon (Hautes-Alpes) est devenue un espace de tension migratoire, ce qui a valu à cette cité Vauban de 12 000 habitants d’être largement médiatisée à l’échelle nationale comme internationale. L’arrivée d’un nombre grandissant d’exilés depuis l’Italie à mesure que la frontière sud était militarisée a engendré un élan de solidarité parmi les citoyens briançonnais, dont certains ont récemment été jugés coupables « d’aide à l’entrée de personnes en situation irrégulière ». Les deux procès qui ont eu lieu à leur encontre au tribunal de Gap le 8 novembre 2018 et le 10 janvier 2019 témoignent de cette tension : les neuf accusés ont écopé de peines de prison avec sursis et de condamnations de plusieurs mois de prison ferme (cf. les communiqués de presse de l’Anafé et de La Cimade).

      ’étude menée par Aude Vinck-Keters en 2018 s’intéresse à l’accueil des exilés dans cette ville frontalière et cherche à identifier l’ensemble des acteurs briançonnais de cette solidarité envers les primo-arrivants ayant traversé la frontière franco-italienne par la montagne, mais également des demandeurs d’asile ayant souhaité s’installer dans la plus haute ville d’Europe. Si « la ville qui grimpe » a vu transiter par sa commune, et a accueilli en une année (juillet 2017 – juillet 2018) plus de 4 361personnes arrivant d’Italie, Briançon peut être considérée comme une ville-refuge au sens du refuge en montagne, c’est-à-dire un abri, un lieu-étape de repos et de transit pour continuer la course – et en l’occurrence ici, le parcours migratoire ; mais aussi un lieu d’accueil plus pérenne, un refuge au sens où des individus s’y installent sur un temps plus long, s’y mettent en sûreté pour échapper à une menace et y recherchent une protection internationale. Ainsi au sein de la région de Briançon, aux côtés des quelques dispositifs d’accueil établis par les autorités, s’est mise en place, avec plus ou moins de difficultés,une formidable mobilisation citoyenne soutenue par le pouvoir public local et notamment une municipalité qui s’est positionnée, sans hésitations, en faveur de l’accueil des exilés.

      Néanmoins, dans un contexte politique national et européen marqué par la volonté d’exclure les exilés de nos territoires et de nos frontières, par des politiques sécuritaires, de gestion de flux et de contrôle, celles et ceux que l’on appelle les « migrants » se voient criminalisés et ont bien souvent leurs droits bafoués, notamment en raison du choix pernicieux des autorités de chercher à distinguer les « bons réfugiés » des « mauvais migrants économiques ». Si les exilés sont criminalisés(car parfois assimilés à des « terroristes », des « profiteurs », des « envahisseurs », des « indésirables »), les personnes leur apportant un soutien le sont également. En effet, en Briançonnais, les personnes solidaires n’échappent pas aux contrôles, aux auditions, aux gardes-à-vue et aux poursuites en justice – l’exemple le plus probant étant le procès desdits « Sept de Briançon », suivi de celui de deux maraudeurs. Aussi s’agit-il ici de questionner l’accueil et la solidarité en Briançonnais à l’heure de la criminalisation des solidarités ; une criminalisation qui prend différentes formes et qui répond à une stratégie d’intimidation et de répression– en dépit de la décision du Conseil constitutionnel du 6 juillet 2018 consacrant le principe de fraternité –, en réponse à la théorie de « l’appel d’air » souvent défendue par certains responsables politiques.

      https://migrinter.hypotheses.org/category/retour-de-mission

    • Alpes du Sud : « #refus_d’entrée » pour les migrants, vers une évolution de la loi

      Le député (LREM) des Hautes-Alpes, Joël Giraud, a déposé deux amendements afin de répondre à des questions de droit difficilement applicables sereinement sur des territoires frontaliers en faveur des migrants mais aussi des forces de l’ordre.

      – Alpes du Sud -

      Actuellement discuté en commission, le texte sur la #loi_asile_et_immigration pourrait évoluer sur un point : le refus d’entrée en France. Dans un contexte du rétablissement des contrôles aux frontières intérieures, les #non-admissions ou #refus_d’entrée_d’étrangers ont fortement augmenté. En 2017, 85.408 personnes se sont vues notifier un refus d’entrer, soit une hausse de 34 %. Une pratique surtout mise en œuvre à la frontière franco-italienne, qu’a fait amender le député (LREM) des Hautes-Alpes Joël Giraud.

      « Les trous dans la raquette du droit sont aussi dangereux pour les personnes en détresse que sont les migrants, que pour les agents en charge de la sécurité publique », J.Giraud.

      Qu’est-ce que le refus d’entrée ?

      Lorsqu’un étranger arrive en France sans visa ou autorisation, il s’expose à un refus d’entrée sur le territoire français et pourra être placé en zone d’attente le temps pour l’administration d’organiser son retour vers son pays d’origine ou le pays d’où il provient. Une décision susceptible de recours du Tribunal administratif pour les étrangers qui ont fui leur pays pour demander l’asile en France. Ce dispositif mis en place en 2015, prévu essentiellement pour les aéroports et plus marginalement les gares internationales, a été entendu aux #frontières_terrestres.

      Mais le bât blesse dans des territoires, qui contrairement aux aéroports, n’ont pas de zones de rétention. « Cette imprécision juridique pouvait conduire à des interpellations très loin de la frontière. Là où considérer qu’une personne n’était entrée sur le territoire était parfois surréaliste », constate Joël Giraud.

      Dans un amendement, l’élu a proposé « une zone limitée aux communes limitrophes ou une bande de 10 kms par rapport à la frontière. » Le gouvernement en a accepté le principe, mais « le délimitera de manière précise par décret pour coller à la réalité du terrain. »

      Une attention particulière pour les personnes vulnérables

      Un deuxième amendement déposé par Joël Giraud fait écho aux situations dramatiques qui ont défrayé la chronique avec des personnes enceintes ou malades, à l’image de la jeune Nigériane ramenée en gare de Bardonecchia, enceinte et atteinte d’un lymphome, décédée peu de temps après à l’hôpital de Turin. Celui-ci prévoit « une attention particulière pour les personnes vulnérables, en insistant sur la situation des mineurs y compris accompagnés. »

      Joël Giraud rappelle que la vulnérabilité est définie par une directive de l’Union Européenne, transposée en 2015 en droit français qui dresse la liste exhaustive des personnes vulnérables (telles que les mineurs non accompagnés, les personnes handicapées, les personnes âgées, les femmes enceintes, les parents isolés accompagnés d’enfants mineurs, les victimes de la traite des êtres humains…) Preuve par l’exemple pour le député haut-alpin : « la précision sur les mineurs y compris accompagnés est utile devant, par exemple, les atermoiements, qui avaient conduit dans un premier temps à séparer à la suite d’un contrôle près de Briançon une femme en train d’accoucher, de son mari et de ses deux enfants mineurs, avant que les autorités nationales ne se ravisent. »

      Pour Joël Giraud, ces amendements seront « à la fois protecteurs de droits humains et des forces de l’ordre car les trous dans la raquette du droit sont aussi dangereux pour les personnes en détresse que sont les migrants, que pour les agents en charge de la sécurité publique, dont les missions doivent être définies non pas oralement, mais par des textes juridiques précis. »

      http://alpesdusud.alpes1.com/news/locales/67705/alpes-du-sud-refus-d-entree-pour-les-migrants-vers-une-evolution-
      #frontière_mobile #frontières_mobiles #10_km #zone_frontalière #bande_frontalière

    • Sulla rotta alpina con i migranti che cercano di entrare in Francia

      “Stiamo lasciando l’Italia, siamo quasi in Francia, ma sulle montagne in mezzo alla neve soffriamo il freddo. Abbiamo già passato la parte più dura delle frontiere, che è la Libia”, dice nel video Ousmane Touré, migrante ivoriano.

      Nel 2018 circa cinquemila persone hanno attraversato la frontiera tra Italia e Francia passando da Bardonecchia e dal Colle della Scala. Almeno tre persone sono morte lungo la traversata per ipotermia o perché si sono perse o sono cadute in un crepaccio. Nei primi mesi del 2019 ogni notte tra i dieci e i quindici migranti sono soccorsi sui sentieri che collegano Claviere, in Italia, al valico del Monginevro, in Francia. Nella maggior parte dei casi la gendarmeria francese li ferma e li riporta indietro sul versante italiano, operando di fatto dei respingimenti illegali di gruppo e non valutando le loro domande di asilo. Ma dopo qualche giorno i ragazzi riprovano ad attraversare la frontiera.

      https://www.internazionale.it/video/2019/04/12/rotta-alpina-migranti-francia-italia
      #vidéo

    • Angeli sotto accusa : quando la solidarietà diventa un crimine

      Chi lavora a contatto con i migranti è esposto a crescenti rischi di criminalizzazione. La denuncia arriva dalle Nazioni Unite, nell’ultimo rapporto sullo stato dei diritti umani l’ONU parla di un fenomeno globale che investe gli operatori della solidarietà in molte regioni del mondo ed è correlato alla chiusura delle frontiere. La preoccupazione è forte in tutta Europa, dove il tema dei migranti è terreno di scontro politico tra opposti estremismi.

      http://www.rainews.it/dl/rainews/media/angeli-sotto-accusa-1b555f32-1679-4b77-8820-13d564896233.html
      #Martine_Landry #solidarité #délit_de_solidarité

      Avec interview d’une représentante de Tous Migrants.

      Riccardo Noury parle de la naissance de la criminalisation des ONG (à partir de la minute 3’20) :

      "La criminalizzazione delle ONG è iniziata, per rimanere in questo decennio e per rimanere in Europa, in Russia con delle leggi contro le associazioni, sempre accusate di essere spie o agenti stranieri per il fatto di ricevere dei finanziamenti dall’estero. Poi questa legge è stata fotocopiata in Ungheria. Poi questa legge è stata promossa in Polonia. E oltre alle leggi che colpiscono tanto la libertà di associazione quanto singoli comportamenti di assistenza, c’è una deligittimazione fatta di titoli di giornale, fatta di dichiarazioni politiche. Io ricordo sempre quel giorno di aprile 2017 in cui gli ’angeli del mare’ diventarono coloro che, da un giorno all’altro, non salvavano più persone ma erano in commutta (?) con i trafficanti. E lì questa narrazioni è esplosa anche in Italia.

    • Les 7 des Briançon recevront le prix suisse « Alpes Ouvertes »

      Le prix suisse des droits humains « Alpes ouvertes » 2019 est remis aux « 7 de Briançon » en signe de reconnaissance et de remerciement pour leur engagement courageux dans le sauvetage de réfugié·es en montagne et dans la dénonciation des actes racistes et xénophobes. Nous avons décidé de décerner ce prix aux citoyens suisses Théo Buckmaster, Bastien Stauffer et à la citoyenne italienne Eleonora Laterza, dénommé·es les « trois de Briançon », et à quatre habitant·es des Alpes françaises – Mathieu Burellier, Benoît Ducos, Jean-Luc Jalmain et Lisa Malapert – dénommé·es les « quatre de Briançon ». Nous souhaitons ainsi épauler ces personnes engagées, tout en interpellant l’opinion publique sur le sort intenable des réfugié·es qui traversent les Alpes franco-italiennes. Historiquement, les Alpes ont souvent été un lieu de refuge pour les persécuté·es et les résistant·es. Aujourd’hui elles sont le dernier verrou de l’Europe Forteresse, de Vintimille (Italie) au Montgenèvre (France), au col du Brenner (Autriche), en passant par Chiasso (Suisse). Ouvrons les Alpes pour un accueil humain !


      https://alpternatives.org/2019/04/03/les-7-des-briancon-recevront-le-prix-suisse-alpes-ouvertes

    • Revue de presse de la #Grande_Maraude_Solidaire du 15 mars 2019

      https://gallery.mailchimp.com/f35dd1350edd04425c785ace6/files/b9a3f7fc-9d26-4124-81e6-b19136ec9331/Revue_de_presse.pdf

      #maraude_solidaire #Briançonnais #Briançon #migrations #solidarité #asile #réfugiés #frontière_sud-alpine #frontières

      Et deux vidéos :

      La Grande Maraude Solidaire - 15 mars 2019
      https://www.youtube.com/watch?v=plsJ1K9NNfc

      Transcription de quelques extraits :

      #Marie_Dorléans, Tous Migrants :

      « Pour nous il y avait 3 raisons professionnelles [d’organiser cette maraude solidaire] :
      – démontrer que notre solidarité est toujours intacte vis-à-vis des exilés quelque soit la forme d’intimidations qui peuvent essayer de décourager la solidarité et la fraternité, qui a été consacrée comme un principe constitutionnel récemment
      – on voulait soutenir pleinement l’action au quotidien, dans l’ombre des maraudeurs solidaires. Vous savez qu’il y a un certain nombre de maraudeurs qui sont intimidé, inquiétés, incriminés et condamnés (il y a eu des condamnations fermes, de la prison ferme, des amendes, du sursit, il y a 9 personnes qui sont dans ce cas-là actuellement, il pourrait y en avoir beaucoup plus). Chaque soir il y a 6 personnes qui partent en maraude. Ce sont des personnes qui, en plus d’aller sauver des vies, doivent se confronter très souvent à des contrôles, à des amendes.
      – qu’on se rappelle bien tous et qu’on martèle que nous sommes, non pas hors la loi, mais que nous sommes exactement dans la loi.

      Il y a certaines personnes qui mettent jusqu’à 3 jours pour traverser les 17 km qui séparent Clavière, du côté italien, à Briançon. 3 jours ça fait pas une grosse moyenne à l’heure en marchant. Il y a la neige, mais il n’y a pas que ça. Il y a le fait d’être terrorisé, de devoir se cacher, de devoir échappé aux traques policières. Et il y en a beaucoup qui sont refoulés 1 fois, 2 fois, 3 fois et qui finissent par passer. Ce qui signifie aussi qu’on pourra mettre toutes les frontières qu’on veut, quand des personnes sont désespérées, ce ne sont pas les frontières ou les dangers qui les arrêtent. Certaines ont évité de justesse la mort et les amputation grâce à l’intervention des secours en montagne ou des pompiers mais beaucoup d’entre elles garderont des séquelles physiques ou psychologiques évidemment.

      Au-delà de ces personnes qui ont survécu et échappé au pire, on voulait absolument rappeler aussi aujourd’hui celles qui n’ont pas eu cette chance et notamment parce qu’il faut pas s’habituer, parce qu’il ne faut pas que ces gens tombent dans l’anonymat. Le 7 février 2019, Tamimou, un jeune togolais de 28 ans, est mort d’épuisement et de froid au bord de la route nationale que la plupart d’entre vous viennent de monter. »

      #Joël_Pruvot, Refuge solidaire :

      "Notre mission c’est de proposer un temps de repos, une pause de quelques jours dans le long et dangereux voyage qui mène les exilés d’Afrique en Europe. Nous offrons le gîte et le couvert en lieu et place de l’Etat dont c’est pourtant la responsabilité pleine et entière. Le premier accueil c’est ce qu’on appelle une compétence régalienne. Nous assurons aussi le suivi médical des arrivants. Et là nous sommes de plus en plus inquiets. En effet, nous constatons une augmentation continue des personnes épuisées, en état de fatigue extrême, d’hypothermie, qui présentent des gelures et des blessures graves, que nous sommes obligés d’amener à l’hôpital.

      #Juliette_Delaplace, secours catholique :

      "Nous ce qu’on souhaiterait c’est que derrière le terme ’management des migrations’, ’gestion des flux’, ’sécurisation des frontières’ on se hisse à la hauteur d’hommes et de femmes qui sont en fait des géants et qu’on s’approche d’eux comme humains de manière fraternelle.

      #Pâquerette_Forest, SOS Alpes solidaires :

      « Ils marchent quelques fois avec google maps sur le portable, si le portable fonctionne, parce que si il fait trop froid ils n’ont plus de batterie, et au bout d’un moment ça marche plus. Après il y a un peu des traces de gens qui se promènent et du passage quand il y a des gens qui passent tous les jours, donc ça peut aussi les aider. Après ils se repèrent aux lumières des villages. #Tamimou qui est décédé, il a perdu ses bottes au-dessus de La Vachette. Ils ont coupé, et on a bien compris qu’au début ils étaient sur une espèce de piste et puis à un moment ils ont coupé la piste et ils avaient de la neige jusque là [elle montre la hauteur de la neige avec ses mains sur les jambes, on ne voit pas sur la vidéo]. Lui il a perdu ses bottes, après ils ont essayé de le porter, et puis il était épuisé et puis il est mort »

      Un maraudeur :

      « On trouve des personnes qui ne sont pas toujours en bonne santé : le froid, l’eau, ils n’ont pas forcément mangé depuis un petit moment. En général on a du thé et de quoi les faire manger un petit peu. Il n’y a pas de règles. C’est-à-dire que si vous savez... En général il y a des décisions qui se prennent vers minuit-une heure du matin, mais si vous savez qu’il y a encore du monde dans la montagne, vous ne rentrez pas forcément facilement »

      Une maraudeuse :


      « Si on ne veut pas se faire repérer, avec les lumières qu’il y a, c’est quand même extrêmement compliqué. »

      Autre maraudeur sur la présence policière et la difficulté à la fois du passage pour les exilés et d’apporter de l’aide par les maraudeurs :

      « Là-bas il y a un phare qui éclaire sur je ne sais pas combien... ils ont les motoneiges... Si nous on le fait à pied, il nous faut un quart d’heure ou 20 minutes... eux... ça veut dire que quand bien même vous pensez avoir potentiellement recueilli des personnes... tac... ça débarque ici et... voilà »

      Une participante à la maraude solidaire qui dit, en s’adressant à un policier :

      « Et on sait qu’il y a des gens qui sont très très bien et qui respectent les migrants aussi. On a de beaux témoignages aussi »

      Mauraudeuse :

      "Il y en a qui se cachent dans la neige pour échapper aux flics et qui restent parfois plus d’une heure. Tu imagines, dans un trou, recouvert de neige ? Et du coup il y a le stress de pouvoir aider les exilés, parce que clairement ils prennent de gros risques. Tu sais qu’il y en a 10 qui sont descendus du bus à Claviere. Tu essaies de trouver les 10. Il faut les trouver. Et tu restes jusqu’au bout tant que tu n’as pas trouvé tout le monde. Un soir il y en a 53 qui sont partis et il fallait être surs que les 53 arrivent à Briançon sains et saufs. Des fois tu passes toute la nuit là-haut. Tu rentres chez toi à 3 heures du matin. Et si il y en a un que tu n’as pas pu aider, tu penses à celui-là et tu ne dors pas.

      –---------
      MARAUDE TOUS MIGRANTS - Mars19
      https://www.youtube.com/watch?v=UF0MfYBTlRI

    • Vidéo sur Facebook :
      AU COL DE MONTGENÈVRE LORS DE LA REMISE DU PRIX ALPES OUVERTES UN DES SEPT DE BRIANÇON INTERPELLE LES FORCES D’UN ORDRE ARBITRAIRE

      Ici la transcription d’une partie du discours, la partie qui a été enregistrée sur cette vidéo :

      Est-ce un jeu de contribuer au gaspillage de dizaines de milliers d’euro chaque jour pour contrôler cette frontière lorsqu’on sait pertinemment que cela ne sert à rien ? Est-ce un jeu de poursuivre cette politique absurde qui perpétue la souffrance et ne peut conduire qu’au pire ? Est-ce un jeu de n’être qu’un pion dans la mise en scène du risque d’invasion, pour s’employer à convaincre que la migration est une menace et qu’on y fait face ? Est-ce un jeu de continuer à rester sourd aux dangers et souffrances que la politique que vous appliquez engendre ? Et de répondre ainsi aux injonctions de quelques nantis dont la préoccupation consiste seulement à préserver la sécurité de leur fortune personnelle, la permanence de leurs privilèges, à nourrir leurs appétits de puissance et de dividendes, à poursuivre le pillage de la planète et l’appropriation de tous les biens communs ? Est-ce un jeu de n’avoir à proposer en guise de réponse que la violence, l’intimidation, la criminalisation, le rejet, le découragement, ou est-ce un aveu de faiblesse ? Non, ce n’est pas un jeu, il ne tient qu’à vous d’avoir le courage de l’arrête. Ce qui se passe est sérieux ici. Ce n’est pas un jeu d’avoir à ce cacher de la police comme on se cacherait d’une milice alors qu’on est juste là pour sauver des vies. Ce n’est pas un jeu de dénoncer ce système dont cette frontière est l’avant-goût parce que c’est la réalité. Un système qui a juste décidé de dégoûter des gens de venir en France en leur rendant la vie invivable. Un système qui vise juste à créer, jusqu’en France, des conditions encore pire que dans les pays d’origine de ces exilés. Un système qui sans cesse détruit le moindre abri, remet les personnes à terre et organise leur découragement. Ce n’est pas un jeu non plus de dénoncer la répartition géographique entre des lieux de misère et des lieux d’abondance, entre des ayants-droit et des sans-droits. Parce que cette misère est le résultat de la construction de systèmes de production inéquitables, de rapports de domination parfaitement intentionnels."

      https://www.facebook.com/alex.robin.7505/videos/10216193363258819

      Le texte complet

      Remise du Prix Alpes Ouvertes : « Ce n’est pas un jeu ! » la déclaration de #Benoit_Ducos

      Un prix décerné à 7 personnes condamnées en France, par le tribunal de Gap, pour leur engagement courageux dans le sauvetage des refugiés et la dénonciation d’actes racistes et xénophobes, remise par une organisation suisse, sur le territoire français. On croit rêver. Dans ce pays qui arbore pourtant si fièrement les mots Liberté, Egalité, Fraternité et République Française, les Autorités ne récompensent pas ce genre d’action, mais la condamne. Par contre, le chef de l’Etat se permet de donner des leçons de droits de l’homme au monde entier :

      « Nous avons des valeurs, chaque fois que nous les avons trahies nous avons créé le pire. C’est le respect des droits de l’homme, de l’individu, des autres Etats et de leur intégrité qui nous lie. »

      « Pour les persécutés et les combattants de la liberté, je serais intraitable. Ils doivent être accueillis sur notre territoire. Les laisser errer de frontière en frontière ce n’est pas la France. »

      Ces mots révèlent la façon dont l’Etat français s’accommode avantageusement de valeurs qu’en réalité il piétine.

      Il en est de même de la foule de textes et de pactes internationaux, de directives européennes que la France se vante d’avoir signé, qui fondent une éthique de la solidarité et de l’humanité, mais qui ne sont plus que des mots vidés de leur sens parce qu’elle les invoque juste pour faire oublier qu’elle ne les respecte pas.

      Nous sommes là parce que la politique migratoire de ce pays, prétendument des plus avancés et respectueux des droits de l’homme, voire mythifié comme terre d’asile, touche en réalité un véritable seuil de barbarie consciente et déterminée.

      « Plus que des mots, des valeurs qui font la France. » nous dit-on encore : et bien, oui, nous sommes parfaitement conscients et fiers de la faire la France, en allant à la rencontre de personnes qui franchissent nos montagnes au péril de leur vie pour venir chercher un peu de paix, en leur donnant à manger et à boire, en leur donnant des vêtements chauds, en leur proposant de retrouver un peu de dignité, en défendant leurs droits, en dénonçant des actes racistes et xénophobes, en nous offusquant de la violence dont elles sont victimes, en les secourant lorsqu’elles sont en difficulté, en leur offrant un abri lorsqu’elles sont mises en danger, en ne les laissant pas au bord de la route, comme nous le ferions ou le faisons pour n’importe qui d’autre.

      Depuis son rétablissement en 2015, cette frontière broie de l’humain, pousse les corps et les esprits à bout, dit non à la vie qui vient.

      Les personnes migrantes y voient leurs droits bafoués, se font dépouiller de leur argent, subissent des pressions psychologiques qui visent à les décourager, sont délaissées sur la voie publique alors que leur état nécessiterait des soins voire une hospitalisation, sont traquées et prises en chasse comme du gibier, sont accueillies, à coup de matraques, à coup de pied, à coup de poings, à coup de menaces, d’insultes, de guets apens, sont mises en danger, voire poussées vers des parcours mortels.

      Répondre à leurs SOS est un devoir, cela s’appelle de l’assistance à personnes en danger.

      Nous l’avons entendu cet hiver de la part de policiers et gendarmes en service en train de nous traquer, sans doute bien briefés par leurs supérieurs :

      « De toute façon, on va finir par tous vous avoir. »

      « Ici c’est grillé, il va falloir trouver un autre endroit. Quand vous l’aurez, nous le trouverons aussi et il faudra de nouveau changer. C’est le jeu. »

      Mais est-ce un jeu que cette répétition systématique d’actes de violence, d’humiliations, de vols, de graves atteintes aux droits, de chasse à l’homme, de menaces envers des personnes qui ont la peau noire ou bien est ce que cela porte un nom ?

      Est-ce un jeu que de contrarier les opérations de secours et de mise à l’abri de personnes vulnérables, de jouer avec des vies au risque de les mettre en danger comme on joue avec des pions ?

      Est-ce un jeu de prendre l’aspect de randonneurs afin que les exilés s’enfuient lorsque des solidaires sont là pour leur porter assistance ?

      Est-ce un jeu lorsque dans le froid de la nuit du 6 au 7 février 2019 Tamimou s’efface ?

      Est-ce un jeu que de réprimer et décourager les solidarités, et les idéaux de fraternité et d’humanité, de nous intimider, de nous harceler, de nourrir l’ambition de nous avoir tous ?

      Est-ce un jeu de croire que se feront avoir ceux qui défendent des valeurs d’égalité et non pas ceux qui décident et se rendent complices de l’hécatombe quotidienne en Méditerrannée et en Libye, ceux qui décident et se rendent complices de la mise en œuvre de politiques inhumaines et de rejets, ceux qui l’auront pour toujours sur la conscience, tandis que l’histoire révélera à leurs enfants ces pratiques criminelles d’élimination ?

      Est-ce un jeu que d’être les instruments d’un laboratoire du recul des droits fondamentaux qui progressivement nous touche toutes et tous, faisant vaciller l’Etat de droits et agoniser la démocratie ?

      Est-ce un jeu que d’être les serviteurs d’un véritable dispositif de guerre disproportionné face à des personnes totalement désarmées à tous les sens du terme ou bien est ce juste inhumain et honteux ?

      Est-ce un jeu de contribuer au gaspillage de dizaines de milliers d’euros chaque jour pour contrôler cette frontière lorsqu’on sait pertinement que cela ne sert à rien ?

      Est-ce un jeu de poursuivre cette politique absurde qui perpétue la souffrance et ne peut conduire qu’au pire ?

      Est-ce un jeu que de n’être qu’un pion dans la mise en scène du risque d’invasion pour s’employer à convaincre que l’immigration est une menace et qu’on y répond ?

      Est-ce un jeu que de continuer à rester sourds aux dangers et souffrances que la politique que vous appliquez engendre et de répondre ainsi aux injonctions de quelques nantis dont la préoccupation consiste seulement à vouloir préserver la sécurité de leurs fortunes personnelles et la permanence de leur bien être, à vouloir nourrir leurs appétits de puissance et de dividendes, à poursuivre leur pillage de la planète et leur appropriation de tous les biens communs.

      Est-ce un jeu que de n’avoir à proposer en guise de réponse que la violence, l’intimidation, la criminalisation, le rejet, le découragement, ou est ce un aveu de faiblesse ?

      Ce qui se passe ici est sérieux.

      Ce n’est pas un jeu d’avoir à se cacher de la Police comme on se cacherait d’une milice alors qu’on est là juste pour sauver des vies.

      Ce n’est pas un jeu de dénoncer le système dont cette frontière est l’avant goût parce que c’est la réalité. Un système qui a juste décidé de dégoûter des gens de rester en France en leur rendant la vie invivable, qui vise juste à créer, jusqu’en France, des conditions encore pire que les pays d’origine des exilés, un système qui sans cesse détruit le moindre abri, remet les personnes à terre, organise le découragement, le fait qu’elles n’arrivent jamais, qu’il leur faudra sans cesse recommencer.

      Ce n’est pas un jeu de dénoncer la partition géographique entre des lieux de misère et des lieux d’abondance, entre des ayant droits et des sans droits.

      Parce que cette misère est le résultat de la construction de système de production inéquitables, de rapports de domination parfaitement intentionnels, institués et entretenus.

      Parce que les exemples sont sans fin de cette construction de la misère du fait de la destruction du tissu économique et social et des écosystèmes par les anciennes puissances coloniales qui deviennent les pays de destination d’éxilés dont elles ont participé à rendre invivable le territoire d’origine et qui mettent en œuvre, chez elles, une politique visant à rendre à ces mêmes exilés la vie invivable sur leurs sols.

      Parce que les situations que fuient ces exilés, ce sont bien les nations riches qui les ont créées et qui continuent à les entretenir en négociant des accords de vente d’armes avec les dictateurs de la plupart des anciennes colonies françaises, en négociant et en imposant des accords de partenariats qui ne visent qu’à créer les conditions économiques les plus favorables possibles aux entreprises françaises, en mettant en place une aide au développement qui a pour but de conquérir des marchés plutôt que d’offrir des perspectives d’avenir aux jeunes de ces pays juste parce que ces pays ont toutes les ressources dont la France peut rêver.

      Parce que jamais la richesse ne s’est autant concentrée aux mains de quelques uns mais hors d’atteinte de presque tous alors qu’elle est faîte par tous.

      Parce que dans un monde où tout le monde voit tout le monde, ne cesse de se comparer à l’autre, nul pourra se voir interdire de penser que sa situation pourait être plus enviable ailleurs et de tenter sa chance.

      Ce n’est pas un jeu que de rappeler qu’une autre politique est possible, une politique qui avance des réponses de justice, de solidarité et d’égalité et non des réactions de rejet et d’indifférence qui font de l’Europe la destination du monde la plus meurtrière pour ceux qui cherchent un peu de liberté et de bonheur.

      Ce n’est pas un jeu de rappeler que nous partageons tous une seule et même planète et de prendre conscience que les migrations ne sont que l’une des manifestations de la vie sur cette planète et des menaces qui peuvent l’assaillir.

      Ce n’est pas un jeu de dénoncer que nombre de ces menaces révèlent l’impasse d’un système industriel et financier ultralibéral qui pille et pollue la planète, affaiblit les peuples et les dispositifs sociaux et accroît les inégalités.

      Ce n’est pas un jeu de penser que tout celà appelle à l’invention d’un devenir radicalement autre dans lequel une politique du soin porté aux individus permettra à chacun de se construire une personne, des personnes qui justement prendront soin à leur tour des biens communs à commencer par cette planète.

      Ce n’est pas un jeu de dire que nous pensons qu’il est possible de faire place, de faire vraiment entrer des vies dans notre espace, d’en faire cas parce qu’elles ont quelque chose à nous dire de ce monde, de qu’elles sont et de ce qu’elles souhaitent. De penser qu’il est possible que le vivre ensemble l’emporte sur la peur de se faire remplacer, que la responsabilité et le partage l’emportent sur l’autorité et l’ordre.

      Ce n’est pas un jeu de dire notre vision d’un monde que nous voudrions plus juste ,moins abîmé, d’ invoquer un principe de commune humanité, de vouloir organiser le défi d’un monde partagé et d’accompagner dans la recherche d’un sol durable des gens qui viennent à nous,

      Non ce n’est pas un jeu que de penser le monde de demain, c’est juste faire preuve de responsabilité.

      Pour toutes ces raisons , nous voilà récompensés, en 2018 du Prix Méditerranée de la Paix puis du Prix Suisse des Droits Humains aujourd’hui, ici au pied du Mont Janus et du massif du Chenaillet qui, du haut de leurs 2600 m, ont comme un message à nous envoyer…

      Le Dieu romain Janus est un dieu assimilé au passage, le Dieu ouvreur des portes, des voies, le Dieu des départs et des retours, de tous les possibles.

      Janus est représenté portant une clé pour ouvrir les portes et un bâton pour indiquer le chemin au voyageur.

      Indiquer le chemin au voyageur ! Voilà qui pourrait être source d’inspiration à la fois dans cete station qui communique pour attirer les vacanciers sur le thème ‘Montgenèvre, lieu de passage depuis l’antiquité’ et pour les forces de Police affectées ici aussi car les refoulements et les délivrances immédiates de refus d’entrée sont illégaux.

      Indiquer le chemin reste donc la seule solution pour ne pas contrevenir à la loi.

      Janus est également représenté sous la forme d’un personnage à deux visages opposés. L’un qui regarde derrière lui, vers le passé, l’autre qui regarde devant lui, vers l’avenir. Car, oui, pour bien savoir où l’on va, il faut se souvenir d’où l’on vient et notamment qu’il y a seulement 6000 ans tous nos ancêtres avaient encore la peau foncée, que nous sommes donc bien tous migrants.

      Le massif du Chenaillet est connu des géologues du monde entier pour être un fossile de l’Océan Alpin. On trouve sur ses pentes des basaltes en coussin, les mêmes que ceux qui se forment encore au fond des océans : ces endroits où le basalte remonte à la surface et se fige au contact de l’eau sont reconnus comme des lieux ayant joué un rôle essentiel dans l’apparition de la vie sur terre.

      Tout ça pour dire que la vie ne tient qu’à un fil, à un peu de roche fondue qui remonte des profondeurs et que cela devrait inciter à en prendre, ici comme ailleurs, le plus grand soin.

      Pour terminer, je ne peux m’empêcher de penser au courage dont font preuve aussi sur ce territoire, les habitants solidaires, solidaires d’autres personnes qui ont du quitter leur pays et qui cherchent un coin de terre où elles pourront enfin vivre en paix..

      Au courage dont font preuve toutes les personnes qui les secourent, les transportent, les accueillent, les aident, leur cuisinent un repas, les hébergent, lavent leur linge, les soignent, les aident à trouver des formations.

      Au courage dont font preuve les associations Tous Migrants, Marcel Sans Frontières, Refuge Solidaire, le Secours Catholique, le Secours Populaire, mais aussi Emmaûs, l’ANAFE, la CIMADE, Médecins du Monde, Amnesty International et toutes les autres qui nous soutiennent.

      Au courage dont font preuve nos amis italiens qui les accueillent à Oulx.

      Au courage de certains élus locaux, trop rares, à celui des secouristes, des professionnels de santé, des commerçants, des artisans qui apportent leur contribution en protégeant, en secourant, en soignant, en apportant de la nourriture, en dépannant un équipement.

      Au courage de ceux qui sont devenus bénévoles dans nos lieux d’accueil et qui s’occupent de leurs frères lorsqu’ils arrivent et ont besoin de prendre un peu de repos.

      Au courage de ceux qui, ayant continué leur chemin, se heurtent à des murs.

      Au courage de tous ceux qui depuis des mois arrivent de toute la France et parfois même de l’étranger pour nous aider. Je pense tout particulièrement à la FSGT, à la Fanfare Invisible, au réseau Semences Paysannes, aux Syndicats, à nos amis de la Montagne Limousine, du Trièves, de la région stéphanoise, marseillaise, bordelaise, de Hollande, d’Espagne…

      Au courage de tous ceux qui sont tout autant méritant que nous 7.

      C’est un prix pour nous tous, pour nous encourager tous sur ce chemin de résistance, continuer à être nous mêmes et ne pas devenir les serviteurs dociles d’un Etat qui bafoue les droits fondamentaux et devient de plus en plus répressif..

      Tant qu’il y aura des frontières policières, administratives, économiques qui tuent, des procureurs, des juges, des préfets et des ministres irresponsables, il y aura toujours des délinquants solidaires en bande organisée pour enrayer la machine à broyer de l’humain, pour incarner des oasis de résistance dans un désert d’humanité.

      Benoit Ducos (l’un des 7 de Briançon)

      https://alpternatives.org/2019/04/24/remise-du-prix-alpes-ouvertes-ce-nest-pas-un-jeu-la-declaration-de-be

    • A Montgenèvre, maraude aux confins de la République pour venir en aide aux migrants

      Ce col des Hautes-Alpes est un des tout derniers points de passage vers la France pour les exilés – majoritairement originaires d’Afrique de l’Ouest – qui quittent l’Italie du populiste Matteo Salvini.

      Au crépuscule, la frontière offre au regard de Mila* un paysage incertain avec ses taches d’ombres, de brume et de neige. Cachée sous un rocher moussu, elle peut voir, derrière un col encore enneigé, percer les lumières de Clavière, premier village italien. C’est de là que doivent arriver dans la nuit trois hommes originaires d’Afrique de l’Ouest qui souhaitent rejoindre la France. Cette nuit, Mila, 37 ans, est de maraude.

      Arrivée récemment dans la région, elle a rejoint un collectif informel et changeant, sans liste de membres ni chef, qui, de nuit en nuit, dans la vallée de la Durée, veille pour indiquer le chemin aux migrants perdus, faire en sorte qu’ils atteignent leur destination, la ville voisine de Briançon. Si ces derniers sont interceptés par les gendarmes armés de fusils d’assaut et de lunettes thermiques, déployés aux alentours, ils seront renvoyés de l’autre côté, sans avoir pu demander l’asile.


      https://www.lemonde.fr/societe/article/2019/05/05/a-montgenevre-maraude-aux-confins-de-la-republique-pour-venir-en-aide-aux-mi
      #paywall

    • #Blessing, migrante noyée dans la Durance : des mois de silence et un dossier en souffrance

      Il y a un an, le corps de #Blessing_Matthew était retrouvé contre un barrage des Hautes-Alpes. La Nigériane, qui venait de franchir la frontière, fuyait une patrouille de gendarmes. Le parquet a écarté lundi leur responsabilité, ce que contestent sa sœur et l’association Tous migrants.

      C’était il y a un an. Le 7 mai 2018, Blessing Matthew s’est noyée dans la Durance à La Vachette (Hautes-Alpes), un lieu-dit de Val-des-Prés situé sur la route de Briançon. Cette Nigériane de 20 ans venait juste de passer la frontière franco-italienne, de nuit, en groupe et par les sentiers, dans le secteur du col de Montgenèvre. Selon ses compagnons de traversée, la dernière fois qu’elle a été vue, peu avant l’aube, elle était poursuivie par les forces de l’ordre, boitillante, épuisée et terrifiée, sur les berges du torrent en crue printanière. Le 9 mai, son corps est retrouvé à dix kilomètres en aval, flottant contre un barrage EDF du village de Prelles. La jeune femme ne porte plus que sa culotte, un anneau d’argent et un collier avec une pierre bleue. C’est le premier cadavre retrouvé depuis le début de l’afflux de migrants à la frontière des Hautes-Alpes, en 2016. Depuis, les corps de trois autres Africains ont été découverts dans la montagne. L’histoire de Blessing est pourtant une tragédie à part. Parce que c’était une femme, alors qu’elles sont ultra-minoritaires sur la frontière, parce que c’était la première victime, et parce que les conditions de sa mort restent troubles.

      Le 25 septembre 2018, sa sœur aînée, Christina, qui vit en Italie, pays dont elle a la nationalité, porte plainte « contre X, pouvant être les représentants de l’autorité publique » pour « homicide involontaire, mise en danger de la vie d’autrui et non-assistance à personne en danger ». Depuis, le parquet de Gap, à l’exception d’une demande d’identité de témoins cités dans la plainte, ne s’était plus manifesté. Sept longs mois de silence donc. Jusqu’au classement sans suite, lundi soir, par le procureur de la République de Gap, Raphaël Balland, de l’enquête « pour recherche des causes de la mort » ouverte à la découverte du corps.

      Confiée aux gendarmes de Briançon et à ceux de Marseille pour la partie « tentative d’interpellation » de Blessing, l’enquête a conclu « à l’absence d’infraction » de la part des gendarmes mobiles. La plainte de Christina, reçue « en phase de clôture de l’enquête » n’a pas changé sa nature, ni donné lieu à la saisine de l’Inspection générale de la gendarmerie, détaille le procureur : « Les gendarmes n’ont distingué que trois silhouettes dans la nuit, sans déceler qu’il y avait une femme » et « n’ont pas entamé de course-poursuite mais ont mis en œuvre un dispositif de recherche des trois migrants dans la zone de fuite. »

      Trop tard et trop peu pour Christina et l’association briançonnaise Tous migrants : elles se sont constituées partie civile auprès du doyen des juges d’instruction du tribunal de Gap, comme le permet la loi lorsque le parquet ne donne pas suite à une plainte dans un délai de trois mois. Maeva Binimelis, du barreau de Nice, signe la nouvelle plainte au nom des trois avocats de Christina et de Tous migrants.

      L’ouverture d’une instruction, désormais incontournable, permettra aux parties civiles d’avoir accès à l’enquête : « J’ai des doutes sur sa qualité. Le parquet a-t-il fait tout ce qui était en son pouvoir ? » interroge l’avocate. Christina, « terriblement choquée », veut « éclaircir les zones d’ombre. Que s’est-il passé cette nuit-là ? Est-ce un accident ? Quel rôle ont joué les forces de l’ordre ? »
      Lampes torches

      La nouvelle plainte s’appuie sur une version différente de celle des enquêteurs, établie par le travail des militants de Tous migrants, mobilisés dès la découverte du corps. Ils retrouvent Roland, l’un des compagnons de Blessing, Nigérian lui aussi, au principal lieu d’accueil de Briançon, celui de l’association Refuges solidaires qui a accueilli 8 550 migrants depuis juillet 2017. Roland leur raconte que Blessing, épuisée, Hervé (un troisième Nigérian) et lui-même ont été surpris par cinq « policiers » vers 5 heures du matin après avoir marché toute la nuit. Lampes torches allumées près d’eux, ils crient « police ! » Les trois Nigérians détalent vers La Vachette, en contrebas. Roland se cache à l’entrée du hameau, voit les autres s’enfuir et les forces de l’ordre patrouiller longuement avant de partir. Si Roland n’a pas été arrêté, Hervé a été interpellé ce matin-là puis reconduit à la frontière, selon le monde opératoire classique dans les Hautes-Alpes : 1 899 « non-admissions » en 2017, 3 409 en 2018, et 736 déjà en 2019 selon la préfecture, en application de la règle européenne prévoyant que les demandes d’asile doivent être faites dans le premier pays d’arrivée.

      Tous migrants localise Hervé dans un camp de Turin et son témoignage, recueilli par l’avocat italien de Christina, confirme et précise celui de Roland. Les « policiers » qui « leur courent après » ont leurs armes à la main et menacent de tirer, assure-t-il. Caché en contrebas de l’église, au-dessus de la Durance, il aperçoit Blessing sur l’autre rive, accroupie dans un pré, des lampes torches allumées non loin d’elle. Repéré, il s’enfonce dans des taillis et ne la voit plus, mais il l’entend crier et appeler à l’aide pendant plusieurs minutes. Puis plus rien. Les « policiers » continuent à chercher sur la rive.

      Un troisième témoin rencontré par Tous migrants, J., séjournant dans un gîte à proximité, a été réveillé au petit matin par un « déploiement impressionnant » : des ordres sont criés, trois utilitaires de la gendarmerie sont stationnés dans la rue, une dizaine de gendarmes fouillent les jardins, les abords de la rivière. Michel Rousseau, pilier de Tous migrants, détaille ce recueil de témoignages, mission habituelle de l’association : « Ces témoins, choqués mais clairs dans leurs propos, nous ont parlé en toute connaissance de cause. Nous avons vérifié leurs récits sur les lieux. Tout se tient. » Dès le 14 mai 2018, l’association alerte le procureur, par signalement. Ses militants, puis Roland, sont ensuite entendus par les gendarmes. L’association, en parallèle, dénonce publiquement « les pratiques policières révoltantes reposant sur des guets-apens et des courses poursuites ». Ce signalement auprès du procureur avait été le premier. Depuis, Tous migrants, sous l’égide de Me Binimelis, en a déposé huit autres, reprochant aux forces de l’ordre violences, délaissements de personnes vulnérables, faux en écriture publique, destructions de documents, vols, injures à caractère racial… Deux victimes ont même porté plainte pour « violences aggravées » et « vol aggravé ».

      L’avocate explique que le parquet ne lui a fait part d’aucune prise en compte de ces signalements et plaintes. « Il y a pour moi deux poids et deux mesures : pour les militants solidaires, la machine pénale va jusqu’au bout, mais lorsqu’on suspecte des représentants de la force publique, aucune suite ne semble être donnée. » Depuis un an, 10 militants solidaires ou maraudeurs ont été condamnés à Gap pour « aide à l’entrée d’étrangers en situation irrégulière sur le territoire », dont deux, à de la prison ferme.
      « Mise en danger »

      Contacté par Libé , le procureur de Gap assure que « la totalité des signalements et plaintes a été traitée », donnant lieu soit « à des vérifications auprès des services potentiellement concernés », soit « à l’ouverture d’enquêtes préliminaires », dont il ne précise pas la nature, soit à leur ajout« à d’autres procédures en cours ». Il déplore la « posture » de Tous migrants qui consiste à lui fournir des « éléments quasi inexploitables : des témoignages anonymes, ne permettant pas d’identifier les forces de l’ordre visées ».

      Hervé, le témoin clé concernant Blessing, n’a ainsi pas été entendu, explique le procureur qui regrette que Tous migrants ne lui ait pas communiqué « les éléments du témoignage » de cet homme et son identité complète. Les enquêteurs l’avaient joint par téléphone au début de l’enquête mais il avait « refusé de revenir en France pour témoigner », dit le procureur…

      Sur la même période, les témoignages d’infractions commises par les forces de l’ordre, en particulier de par la police aux frontières, se sont multipliés. Les chasses à l’homme - ou « chasses au Noir », comme le lâche Maeva Binimelis - n’ont par ailleurs jamais cessé. « C’est tous les jours, à pied, en quad ou à motoneige, avec des jumelles infrarouges et même des chiens parfois », détaille un maraudeur briançonnais. La Commission nationale consultative des droits de l’homme, institution officielle venue en inspection à Briançon, a invité l’Etat, en juillet, à « prendre immédiatement les mesures qui s’imposent à la frontière franco-italienne pour mettre fin aux violations des droits fondamentaux et aux pratiques inhumaines », à « sortir du déni » et à « modifier radicalement sa politique responsable de la mise en danger d’êtres humains ». La préfecture des Hautes-Alpes indique que « ce rapport à portée nationale n’appelait pas de réponse locale, même si certains faits, appréciations et interprétations pourraient être discutés ».

      Treize ONG, menées par Amnesty et l’Anafé, ont lors d’une mission en octobre récolté « de nombreux témoignages de violation des droits […] et de menaces proférées par les policiers » et déposé 11 référés-liberté, dont 8 pour des mineurs isolés refoulés. La préfecture fustige ce rapport « outrancier et erroné », assurant que les forces de l’ordre « exercent leurs missions dans le strict respect de la loi » et ont « pour consigne constante de considérer en toutes circonstances l’état de vulnérabilité des personnes ». Elle ajoute que signalements et plaintes sont du ressort de la justice et qu’elle n’en a « pas été destinataire ». Michel Rousseau gronde : « Ce qui se passe ici révèle la violence directe, brutale et barbare de notre système. »

      Dans un recoin du cimetière de Prelles, à l’écart, Blessing repose sous un tumulus de terre. Il y a toujours des fleurs fraîches sur sa tombe.

      https://www.liberation.fr/france/2019/05/07/blessing-migrante-noyee-dans-la-durance-des-mois-de-silence-et-un-dossier

    • Cet article qui date de juin 2018 (signalé par @reka), bizarrement pas recensé sur seenthis (car le petit triangle ne devient pas plein quand je mets l’URL) :

      Dans les Alpes, la fonte des neiges révèle les corps de migrants morts en tentant de passer en France

      Des riverains et l’association Tous migrants se battent pour comprendre le parcours des victimes, retrouver leur identité et pouvoir leur offrir une sépulture.


      https://www.lemonde.fr/societe/article/2018/06/07/dans-les-alpes-la-fonte-des-neiges-revele-les-corps-de-migrants-morts-en-ten

      #paywall

    • Austrian far-right leader searched on suspicion of forming terrorist group with #Christchurch shooter

      Investigation widens to include #Martin_Sellner ’s fiancee #Brittany_Pettibone following her contact with Australian far-right figure #Blair_Cottrell

      https://www.theguardian.com/world/2019/jun/26/austrian-far-right-leader-searched-on-suspicion-of-forming-terrorist-gr

      Pourquoi j’ajoute cette nouvelle à ce fil de discussion ?

      Car...

      Ils étaient ts les 2 presents pour bloquer le Col de l’échelle en avril 2018,a l’époque le procureur avait classé l’affaire en 2h


      https://twitter.com/nos_pas/status/1144210049331552259?s=19

    • Nos associations saisissent des instances au niveau national et international pour que cessent les atteintes aux droits à la frontière franco-italienne

      Malgré les nombreuses alertes de nos associations, les violations des droits fondamentaux des personnes en migration se poursuivent à la frontière franco-italienne, de Menton à Briançon. Afin que cessent ces atteintes inacceptables, nos associations font aujourd’hui appel au procureur de la République de Nice ainsi qu’au rapporteur spécial des Nations unies sur les droits de l’homme des migrants.

      Privation illégale de liberté

      Fin juin 2019, treize signalements ont été déposés auprès du procureur de Nice par l’Anafé, Oxfam, WeWorld et Iris. Ces signalements concernent la privation illégale de liberté dont font l’objet des personnes avant leur refoulement en Italie. En effet, chaque soir, des personnes sont enfermées toute la nuit, dans des Algeco attenant au poste de la police aux frontières de Menton. Ces Algeco sont des containers de 15 m2 dépourvus de mobilier pour s’allonger, où des dizaines de personnes peuvent être maintenues en même temps, privées de nourriture, pendant des durées dépassant largement les quatre heures « raisonnables » de privation de liberté admises par le Conseil d’État.

      C’est le cas d’Alpha*, ressortissant nigérian âgé de 17 ans, qui a témoigné auprès des associations avoir été enfermé dans la nuit du 27 au 28 mai 2019 dans un Algeco, pendant plus de dix heures avec une dizaine d’adultes, dans des conditions exécrables avec des toilettes inutilisables. Il aurait pourtant déclaré sa minorité et exprimé son souhait de demander l’asile en France, sans que cela ne soit pris en compte par les forces de l’ordre.

      Les mineurs sont ainsi régulièrement enfermés avec des adultes, et les femmes ne sont pas toujours séparées des hommes. Marie*, ressortissante ivoirienne, a expliqué avoir été enfermée dans la nuit du 6 au 7 juin 2019 pendant près de onze heures et demie, avec une autre femme et deux hommes qu’elle ne connaissait pas, sans savoir pourquoi elle était détenue et jusqu’à quand elle le serait.

      Adama*, ressortissant sénégalais, a témoigné avoir été enfermé dans ces mêmes Algeco pendant plus de neuf heures, dans la nuit du 16 au 17 juin 2019. Il aurait demandé plusieurs fois à voir un médecin en raison de la blessure qu’il avait aux doigts suite à son interpellation, mais il n’a pas pu avoir accès à des soins avant d’être refoulé en Italie.

      Ces témoignages ont été portés à la connaissance du procureur de la République de Nice qui avait annoncé, fin 2018, l’ouverture d’une enquête suite à un signalement déposé le 20 novembre 2018 par des associations et des élus, à propos des pratiques de la police française à l’encontre des personnes en migration, en particulier des mineur.e.s isolé.e.s, lors des refoulements en Italie.

      Ces treize nouveaux signalements doivent être pris en compte dans le cadre de cette enquête, qui n’a pour le moment débouché sur aucun changement des procédures administratives et policières.

      La détention arbitraire est l’une des atteintes aux droits fondamentaux des personnes pour laquelle nos associations, Amnesty International France, l’Anafé, La Cimade, Médecins du Monde, Médecins sans Frontières, le Secours Catholique Caritas France, ainsi que de nombreuses organisations intervenant à la frontière franco-italienne saisissent aujourd’hui le rapporteur spécial des Nations unies sur les droits de l’homme.

      À cette privation de liberté s’ajoutent de multiples violations des droits, telles que l’impossibilité de demander l’asile, que ce soit au poste de la police aux frontières de Montgenèvre ou à celui de Menton. Nos associations dénoncent également la non-protection des mineur.e.s isolé.e.s et le non-respect des garanties légales lors des refoulements vers l’Italie.

      Nos organisations ont invité le rapporteur spécial des Nations unies, Felipe Gonzalez Morales, à venir sur le terrain constater ces graves atteintes aux droits des personnes exilées commises par les autorités françaises et ainsi formuler les recommandations adéquates qui, nous l’espérons, feront enfin respecter les droits à la frontière franco-italienne.

      Cette saisine a également été transmise au défenseur des droits, au contrôleur général des lieux de privation de liberté et à la Commission nationale consultative des droits de l’homme.

      https://www.amnesty.fr/presse/nos-associations-saisissent-des-instances-au-niveau

    • « Patrouilles » anti-migrants : six mois ferme requis à l’encontre de trois militants identitaires

      #Clément_Gandelin, #Romain_Espino et #Damien_Lefèvre ont comparu jeudi 11 juillet pour « confusion avec l’exercice d’une fonction publique » au cours de leur opération anti-migrants du printemps 2018 dans les Alpes françaises. 75 000 euros d’#amende ont été requis à l’encontre de leur association d’#ultra-droite. Le jugement a été mis en délibéré jusqu’au 29 août.

      Il n’a prononcé que quelques mots au début de l’audience, ne souhaitant pas prendre la parole « étant donné que ce procès n’est rien d’autre que politique et que jamais nous [Génération identitaire – ndlr] n’avons dit que nous prenions la place de la police », a-t-il estimé. « Tant pis pour vous, quand les gens parlent c’est pour exprimer leur défense », lui a rétorqué ferme la présidente du tribunal de Gap (Hautes-Alpes), Isabelle Defarge. Mais Clément Gandelin, 24 ans, s’est muré dans son silence le reste de l’audience.

      Impassible, le président de l’association d’ultra-droite Génération identitaire, raide dans sa chemise blanche, était le seul à la barre ce 11 juillet. Les deux autres prévenus, absents, Romain Espino, 26 ans, porte-parole et Damien Lefèvre 29 ans, ex-cadre du mouvement et aujourd’hui attaché parlementaire du député Gilbert Collard (RN), étaient représentés par leur avocat Me Pierre-Vincent Lambert.

      Les trois militants extrémistes étaient poursuivis pour « activités exercées dans des conditions de nature à créer dans l’esprit du public une confusion avec l’exercice d’une fonction publique » (article 433-13), lors de leur opération médiatique anti-migrants « #Mission_Alpes » dont ils se sont autoproclamés investis entre le 21 avril et le 29 juin 2018 dans les Alpes françaises, à six kilomètres de la frontière italienne.

      Une centaine de membres de Génération identitaire reconnaissables à leurs doudounes bleu flashy avaient alors investi le temps d’une journée le col de l’Échelle, qui culmine à 1 760 mètres d’altitude, entre les versants donnant sur le village français de Névache d’un côté et la gare italienne de Bardonecchia de l’autre. Une dizaine de militants identitaires, dont les prévenus, étaient ensuite restés pour « patrouiller », se targuaient-ils, plusieurs semaines dans le Briançonnais. Leur but : bloquer ce chemin périlleux emprunté par les exilés, alors souvent des mineurs venus d’Afrique de l’Ouest.

      Pour leur opération, le procureur de la République de Gap, Raphaël Balland, a requis six mois d’emprisonnement ferme à l’encontre des trois hommes, ainsi que 75 000 euros d’amende à l’encontre du groupe Génération identitaire, également poursuivi en tant que personne morale. Des réquisitions prenant en compte « le casier judiciaire », a-t-il justifié, deux d’entre eux n’étant pas « éligibles à du sursis simple », en raison de leurs précédentes condamnations.

      La délicate notion de « confusion » dans l’exercice d’une fonction publique, un délit « pas simple à manier » en raison du « très peu de jurisprudences », a insisté Raphaël Balland, figurait au cœur de son réquisitoire. Génération identitaire a voulu créer la « confusion avec l’exercice d’une fonction publique ou d’une activité réservée aux officiers publics ou ministériels », a t-il détaillé lors de son accusation. Un développement oral qui lui semblait cher. Lui si souvent accusé de « deux poids deux mesures », dans ses poursuites desdits « pro » et « anti-migrants » dans ce département montagneux devenu le théâtre d’une tension autour de l’accueil des exilés.

      Dans la salle, une poignée de militants identitaires sont restés discrets à l’écoute des réquisitions fermes. À la sortie du tribunal, peu de soutiens visibles, juste deux représentants du mouvement, chemise ou polo proprets, coiffure soignée, incarnation voulue des universitaires bourgeois ou de la classe moyenne qui composent majoritairement ce mouvement de jeunesse des identitaires, selon les politologues experts de l’extrême droite.

      Face à la presse, Clément Gandelin a lâché quelques déclarations qui se voulaient très mesurées, ignorant les huées d’une dizaine d’antifascistes présents devant le palais de justice. « Ce sont des réquisitions assez fortes pour des faits grandement tirés par les cheveux. Si nous sommes condamnés, nous ferons appel (...). Ce n’est pas une condamnation qui nous arrêtera. »

      Une stratégie de communication sobre, peu habituelle pour le groupe identitaire qui mise d’ordinaire sur les sorties spectaculaires pour faire entendre son idéologie anti-islamiste et nationaliste. Sur Twitter, les réactions étaient moins réservées. « Que ce soit clair : je ne regrette rien et si c’était à refaire, je le referais ! » a exprimé l’un des absents Romain Espino, pendant que le militant Clément Martin, parlait de « peine délirante ».

      Plusieurs fois au cours de l’audience, le slogan des antifascistes, « Clément, Clément, on t’attend », a résonné entre les murs de la haute salle d’audience. Remontés dehors sur le parvis, ils voulaient dénoncer ces « racistes » et leur expédition « abjecte ». Elle remonte au 21 avril 2018, comme l’a rappelé la présidente Isabelle Defarge, tout aussi souriante qu’elle a pu être piquante, à l’énoncé des faits.

      Celle-ci les résume comme l’expédition d’« un groupe important de soi-disant randonneurs habillés comme des Schtroumpfs qui ont chaussé les raquettes et sont montés au col » pour barrer la route aux migrants à l’aide d’un filet orange. Certains des policiers auditionnés dans le dossier « confirment la similitude des doudounes bleues et des vestes de dotation de la police aux frontières », rappelle la présidente.

      Doté d’un arsenal volontairement tape-à-l’œil de pick-up, de deux hélicoptères, d’un avion, le groupe communique de façon boulimique sur son action à grand renfort de selfies, vidéos, comme il l’avait fait l’année précédente, pour son opération spectacle anti-migrants à bord du navire C-Star, qui avait croisé dans les eaux internationales entre la Libye et l’Italie.

      Tant de photos, de tweets diffusés sur la Toile, précise Isabelle Defarge, qui ont été portés au dossier. L’opération médiatique du 21 avril fut éphémère, souligne pour sa part le procureur Balland, puisque l’hélicoptère, loué sur un mensonge – au nom d’une prétendue mission écologique –, ne le fut que « le temps d’un aller-retour pour quelques clichés », moque-t-il.

      « Le vrai problème, c’est le droit des migrants à cette frontière »

      Mais leur prétendue « mission » se poursuit avec une dizaine de membres, ils se targuent de « patrouiller », « d’enquêter sur les réseaux de passeurs », de « ramener des clandestins au poste (de police) », égrène la présidente utilisant les propres termes des militants, diffusés sur la Toile entre le 21 avril et le 28 juin 2018.

      Parmi la poignée d’identitaires qui restent actifs entre ces dates, selon l’accusation : Romain Espino, Damien Lefèvre, surnommé dans le milieu « #Damien_Rieu », Clément Gaudelin, alias « #Galant », qui « semblent avoir des problèmes avec leurs identités », ironise la présidente face au prévenu au regard vide.

      Lui est déjà connu de la justice pour sa condamnation en 2015 pour violences sur personne dépositaire de l’autorité publique. Son co-accusé, l’actuel attaché parlementaire du Rassemblement national Damien Lefèvre, l’a également été – entre autres – en 2017. Pour l’occupation de la mosquée de Poitiers en 2012, il a écopé d’un an de prison avec sursis et d’une mise à l’épreuve de deux ans. Cette action avait mis en lumière ce mouvement – alors nouvellement créé – de jeunesse des identitaires. Un nouveau procès devrait avoir lieu en appel.

      Face à l’ampleur de leur « mission » de com’ identitaire, qui a cristallisé les tensions dans les Alpes, une première enquête est ouverte le 25 avril 2018 par Raphaël Balland pour des faits « qui pourraient s’apparenter à des violences » commises par ces militants sur des exilés. Elle est classée sans suite, sous la sidération des bénévoles qui viennent en aide aux migrants.

      Le procureur attend le 11 mai et la publication d’une circulaire du ministère de la justice – révélée par Mediapart – pour déclarer avoir « confié au groupement de gendarmerie des Hautes-Alpes, une enquête préliminaire plus globale ouverte du chef d’immixtion dans une fonction publique ».

      Au terme d’un an d’enquête, il décide finalement de poursuivre les trois militants et leur association pour « activités » exercées « de nature à créer dans l’esprit du public une confusion avec l’exercice d’une fonction publique ». Cette dite « confusion » est sanctionnée jusqu’à un an de prison et 15 000 euros d’amende, une peine plus légère que les trois ans de prison et 45 000 euros d’amende encourus pour immixtion.

      « Le délit d’immixtion ne tenait pas », justifie le procureur optant pour le délit de confusion « dont la défense fera son miel, prévient-il, car très peu usité et il y a très peu de jurisprudences ». Raphaël Balland tente à plusieurs reprises d’interpeller le prévenu mutique.

      « De quel droit ? » lance-t-il, regard braqué sur le militant identitaire à l’allure passive. Son avocat maître Pierre-Vincent Lambert répond à sa place : « Tout cela est totalement artificiel. » Et de plaider la relaxe : « Le délit [de confusion] n’est pas constitué. »

      Assis au premier rang, Agnès Antoine et Michel Rousseau sont restés concentrés, prenant des notes au premier rang. Ces membres de l’association humanitaire Tous migrants s’indignent d’un « deux poids, deux mesures au regard des chefs d’accusation des sept de Briançon », résume Michel Rousseau à l’issue de l’audience de plus de quatre heures.

      Dans ce même tribunal, ceux que l’on connaît dans la vallée sous l’appellation des « 3+4 de Briançon » avaient été condamnés à douze mois de prison pour deux d’entre eux, et six mois avec sursis pour les autres, pour avoir « facilité l’entrée » à la frontière d’une vingtaine de migrants lors d’une marche organisée en réponse à l’opération de Génération identitaire, le 22 avril 2018.

      Agnès Antoine et Michel Rousseau avaient assisté, depuis le public, à ce premier procès. De retour pour suivre cette fois le procès des identitaires, Agnès Antoine et Michel Rousseau ont voulu s’y impliquer ce 11 juillet en demandant à se constituer partie civile au nom de leur association. Leur but, disent-ils, est de rappeler que « ce procès mascarade est un dérivatif du vrai problème », à savoir « le droit des migrants à cette frontière », s’indigne Michel à la sortie de l’audience.

      Ils avaient remis au dossier un recueil de témoignages de quatre exilés anonymes. Les premiers concernés et grands absents de ces affaires judiciaires, tant il leur est « difficile de témoigner contre l’action d’un État auprès duquel ils demandent la protection », résument les bénévoles.

      Les paroles ont été portées au dossier, a rappelé leur avocate Maéva Binimelis dans sa plaidoirie, mais rapidement écartées comme non recevables par la présidente. « Nous n’avons pas de noms des témoins », a t-elle tranché. Malgré les réquisitions « mesurées », admet leur avocate, les bénévoles n’y croient pas. « Ils ne prendront jamais autant », prédit Michel Rousseau.

      Le jugement a été mis en délibéré au 29 août. Durant ce long temps judiciaire, estime Agnès Antoine, les drames « sont quotidiens à la frontière, nous sommes comme des urgentistes, peu nombreux et sans moyens ». Et de rappeler, touchée, la mort récente d’un jeune Togolais dans les reliefs frontaliers. Son corps inanimé avait été découvert en février entre Briançon et Montgenèvre.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/120719/patrouilles-anti-migrants-six-mois-ferme-requis-l-encontre-de-trois-milita

    • A Far-Right Group’s Leaders Face Jail For A Stunt That Blocked A Border

      It’s the first case against the French branch of Generation Identity since reports emerged that it had accepted a donation from the suspected #Christchurch shooter.

      A French prosecutor called for prison sentences on Thursday for three leaders of a far-right group that took money from the Christchurch shooter.

      The defendants, Clément Gandelin, Romain Espino, and Damien Lefèvre, are leaders of the French branch of Generation Identity, or Génération Identitaire, an anti-immigrant group best known outside Europe for a stunt in summer 2017 to disrupt rescues of immigrants in the Mediterranean. Later that year, it accepted a 2,200-euro donation from the Christchurch shooting suspect.

      The French prosecutor’s proposed sentence — 6 month’s jail time for the three leaders as well as the maximum possible fine of 75,000 for the organization as a whole — is the first time Generation Identity has had charges against it brought before a judge since its connection to the Christchurch shooter was first reported. A judgment is expected on Aug. 29.

      When the link between the Christchurch suspect and the Generation Identity chapter in Austria emerged in March, Austrian officials immediately ordered raids on the branch’s leader, popular white nationalist YouTuber Martin Sellner. Germany has followed suit, stepping up its domestic surveillance on Generation Identity. France has, until now, taken no direct action against the group, despite repeated calls by anti-racism NGOs for its dissolution.

      “It’s a first step in dealing with this group,” Justine Bourasseau, a legal expert working with French NGO SOS Racisme, which has sought four times since 2017 to have the group banned under a French law that prohibits “incitement to racial hatred.”

      “They needed to be condemned to show them that, in fact, they do not have the right to do whatever they want,” Bourasseau continued.

      The men were tried in Gap, a small city near France’s Italian border. The charges relate to an incident in 2018, when more than 100 members blocked the road to people trying to enter France from Italy.

      They used an expensive array of means to do so — drones, a fleet of 4x4s, and even two helicopters and a light aircraft rented for the occasion — funded by donations that got a boost from the Twitter network of ex–Ku Klux Klan leader David Duke in the United States. Generation Identity declined to provide a comment to BuzzFeed News.

      The French arm of Generation Identity was founded in 2012 by former members of Unité Radicale, a far-right group that was banned following a plot to assassinate then-president Jacques Chirac. Its ties to the alleged Christchurch shooter should have been a major wake-up call to security officials, said Dominique Sopo, the president of SOS Racisme, in an interview with BuzzFeed News in March. The group also has close ties to France’s second-largest party, Marine Le Pen’s National Rally. An Al Jazeera documentary released last year showed that figures high up in the party, such as Nicolas Crochet and Frédéric Chatillon, who are known to be Le Pen’s “men in the shadows,” have supported the French group. And one of the three convicted activists, Damien Lefèvre, is a parliamentary assistant for National Rally MP Gilbert Collard.

      Despite this, French officials advise caution before completely banning the French branch of Generation Identity: “When we engage this procedure of dissolution, we have to be sure that everything is well done, and go right to the end of the procedure,” Frédéric Potier, director of the French antidiscrimination agency known as DILCRAH, said in a phone interview with BuzzFeed News. “There is nothing worse than [a request for dissolution] being refused by the justice system: It reinforces and legitimates [the French extension of the organization].”

      Up until this instance, the French government had not taken any legal action against Generation Identity as a movement, relying instead on its new anti–hate speech law to trigger suspensions of members’ Facebook accounts on a case-by-case basis.

      “We think it’s totally inadmissible. ... The government is not doing enough,” Bourasseau said.

      https://www.buzzfeednews.com/amphtml/zorromaplestone/generation-identity-six-months-jail-stunt-france?__twitter_impression=

    • #Témoignage d’une nuit à la frontière franco-italienne : la #solidarité face à la #déshumanisation des exilé.e.s

      Ce 15 mars 2019, nous rejoignons #Montgenèvre (Hautes-Alpes) à l’appel de l’association briançonnaise Tous Migrants, soutenu par cinq associations nationales, afin de participer à une grande maraude solidaire [1]. Suite au rétablissement des contrôles aux frontières intérieures en 2015, cette station de ski perchée à 1860 mètres d’altitude s’est progressivement transformée en théâtre du rejet et des violences institutionnelles envers les exilé.e.s. Certain.e.s y perdent la vie. Face à l’ignominie de cette réalité est né un monde de solidarité, que les maraudes organisées par des citoyens de la vallée symbolisent au mieux. C’est animé.e.s du désir de montrer notre soutien à ces solidaires que nous avons pris la route, mais aussi l’idée qu’il devient nécessaire de témoigner de ce qui se passe au quotidien dans nos montagnes. Cependant, nous ne pensions pas être confronté.e.s à une réalité si brutale. Nous ne pensions pas qu’il serait difficile de verbaliser ce que nous avons vu cette nuit-là, d’exprimer ce que nous avons ressenti ; pourtant il faut nous efforcer de tenter d’en rendre compte.

      Dès notre arrivée à Montgenèvre, le paradoxe de cette frontière nous saute aux yeux. Une frontière à la fois invisible et floue ; étendue et poreuse. Invisible et floue car on ne sait jamais exactement où l’on se trouve par rapport à elle. Là, sommes-nous en France ? Et ici, en Italie ? Les glisseurs de la station slaloment avec la frontière, évoluant entre les arbres sans se soucier de savoir si celui-ci est un sapin italien et celui-là un pin français, s’ils foulent la poudreuse de Clavière, premier village italien après la frontière, ou de Montgenèvre, dernier village français avant la frontière. Etendue et poreuse car les contrôles dits « frontières » peuvent s’étendre sur des dizaines de kilomètres et prennent différentes formes. Ces contrôles se matérialisent par le local de la police aux frontières (PAF), une présence massive des forces de l’ordre et des vrombissements de motoneiges. Ils donnent lieu à des violations quotidiennes des droits, à des humiliations, des violences verbales et physiques. Et cela, depuis près de trois ans.

      - En décembre 2017, un jeune homme refoulé évoquait déjà les violences, les humiliations et les privations de liberté subies à la frontière lors de son refoulement. Interpellé au niveau du col de l’Echelle dans la nuit, il témoigne de coups de pieds que la police lui aurait donné lors de l’interpellation. Amené au poste de la PAF de Montgenèvre, il n’a reçu aucune information, seul un document qu’il n’a pas compris lui a été remis et il a été enfermé dans une petite salle, au fond du poste, seul, sans bagages, sans nourriture, pendant plusieurs heures. A 6h du matin, période de la journée la plus froide, il a été déposé par la PAF à l’entrée du village de Clavière, dans la neige. Il souhaitait faire une demande d’asile en France. [3]

      Cherchant à échapper à ces contrôles, les personnes prennent des risques de plus en plus importants, au péril de leur vie. Elles sont souvent retrouvées exténuées, en hypothermie, déshydratées et effrayées, parfois blessées. Les militants et maraudeurs évoquent avec nous la dureté de cet hiver, où les températures tombent très bas et les nombreux cas de gelures graves qu’ils constatent chez les personnes qui arrivent à Briançon.

      Cette situation a déjà conduit à des évènements dramatiques à plusieurs reprises. Depuis 2017, au moins quatre personnes ont ainsi perdu la vie à cette frontière.

      L’une d’elles est Tamimou : un mois avant cette grande maraude à laquelle nous venons participer, le 6 février 2018, ce jeune Togolais de 28 ans a été retrouvé en état d’hypothermie sur la route entre Montgenèvre et Briançon. Il est décédé avant d’être arrivé à l’hôpital. Il avait perdu ses chaussures en marchant dans les sentiers enneigés, de nuit. [4]

      Une frontière paradoxale donc, aux bords de laquelle l’insouciance des loisirs se mêle à une réalité innommable qui demeure impunie.

      La soirée du 15 mars nous l’a faite entrevoir. Guidé.e.s par des habitant.e.s de la vallée, nous partons d’abord en petits groupes pour comprendre ce qu’est une « maraude solidaire ». Nous suivons alors Dimitri*, qui nous explique qu’il « maraude » presque tous les soirs dans la montagne afin de porter assistance aux personnes en détresse en montagne. Mais c’est surtout la solidarité qu’il incarne que nous retenons des échanges avec lui, quand il évoque l’intensité des moments de partage et la participation croissante des gens de tous horizons à ces maraudes nocturnes.

      Nous rejoignons les autres. Personne ne sait combien nous sommes exactement, mais il semble que nous soyons « 400 ou 500 ». Tou.te.s ensemble, au rythme de la fanfare joyeuse qui joue Bella Ciao, nous partons en direction du poste de la PAF, dernier chalet avant la frontière, situé à dix minutes à pied du centre de Montgenèvre. Nous nous y arrêtons, dans un face-à-face avec les forces de l’ordre qui nous y attendent, lourdement armées. Des témoignages d’exilé.e.s qui ont été interpellées par les forces de l’ordre sont lus par différent.e.s maraudeu.r.se.s et solidaires. Des témoignages de violences, de vols, de menaces, de traques, de douleurs, résonnent dans le micro. La police reste impassible. L’intensité du moment nous monte à la tête.

      Nous retournons ensuite au lieu de rendez-vous initial, au pied des remontées mécaniques. Les associations et citoyen.ne.s prennent tour à tour la parole pour sensibiliser les passants. Une soupe est partagée. Des expériences et idées sont échangées, la soirée de maraude solidaire touche à sa fin.

      Puis, d’un coup, l’alerte.

      Une vingtaine de personnes seraient pourchassées par la police juste en contrebas, devant le poste de la PAF, et « ça se passe mal ». Besoin de renfort, de témoins. Par petits groupes, nous repartons vers la PAF. Les forces de l’ordre se font menaçantes. Vêtues de leurs uniformes « blindés », elles partent en masse, au pas de course, vers la montagne. Dans les paysages devenus d’immenses étendues de nuances d’ombres, des projecteurs balaient les reliefs de leurs larges faisceaux. Quelque chose d’anxiogène se glisse sur les pistes. Des motoneiges. Au loin, des lampes torches s’agitent entre les arbres. La chasse à l’Humain est ouverte.

      Divers sentiments nous traversent : la peur, mais aussi l’urgence et le devoir de solidarité qui nous poussent à continuer d’avancer. Le silence et l’obscurité deviennent pesants. D’un coup se détachent des ombres sur le côté droit. Elles courent et certaines crient « Help ! », « Help ! », des fonctionnaires armés à leurs trousses. La course poursuite dans la neige commence. Traques, chutes, cris, affolement, épuisement, interceptions, blocages. Nous assistons à des scènes d’une violence inouïe avec, sous nos yeux, des personnes qui sont trainées dans la neige par les forces de l’ordre. De nouveau, un face à face pétrifiant s’instaure entre ces forces de l’ordre et les solidaires qui sont là pour témoigner que des personnes sont en train d’être refoulées au mépris de leurs droits et sans considération pour leur vie. Les témoignages lus quelques minutes auparavant devant le poste de la PAF deviennent réalité. Aux aguets, nous perdons la notion du temps. Sous nos yeux embués, défilent ainsi des images qui nous évoquent des scènes de guerre.

      L’allégresse de la journée, celle des vacanciers aux terrasses des restaurants et sur les pistes, tout cela a disparu. La nuit a laissé entrevoir une autre réalité : celle de la frontière qui blesse, de sa militarisation et de la théâtralisation du pouvoir policier. Nous observons les forces de l’ordre remonter vers le poste de la PAF. D’elles émane le visage du travail accompli, de la force et du pouvoir. Les voir évoluer dans la neige, empêtrés dans leurs équipements massifs, rend la situation d’autant plus insoutenable. C’est aussi l’absurdité d’une réalité qui ne devrait pas être qui nous atteint de plein fouet et nous secoue. La déshumanisation est à l’œuvre, sinon comment comprendre que des êtres humains se comportent ainsi vis-à-vis d’autres êtres humains ?

      Le lendemain matin, quelques heures plus tard à peine, le soleil irradie de nouveau la station de ski de Montgenèvre. Les skieurs, sans conscience des événements de la nuit, slaloment de nouveau entre les arbres, balayant ainsi les dernières traces des scènes nocturnes laissées dans la neige. Tout cela a-t-il vraiment eu lieu ? Ces scènes étaient-elles réelles ? Oui. Elles sont même quotidiennes. Pourtant, elles sont insoutenables, presque impossible à raconter et ne peuvent être rationnalisées. Aucun mot, aucune métaphore n’a le pouvoir de retranscrire ce que nous avons vu et ressenti, mais il nous faut tout de même témoigner, même si les mots nous semblent pauvres face à l’horreur des scènes auxquelles nous avons assistées. Il nous faut laisser une trace qui ne sera pas effacée dans la neige. Il nous faut contribuer à dénoncer cette réalité invisibilise qui met à l’écart, déshumanise, criminalise. Il nous faut exprimer notre sentiment de responsabilité face à de tels faits. Il nous paraît aussi essentiel de rendre hommage à la beauté, à la force, à la détermination et au courage de ces citoyen.ne.s, qui, chaque nuit, luttent contre cette inhumanité de la frontière et lui redonnent des visages de solidarité, d’accueil, de partage et de rencontres.

      Ebranlé.e.s par ce à quoi nous avons assisté cette nuit du 15 au 16 mars 2019, nos questionnements se succèdent. Dans cette réalité indigne qui se joue quotidiennement à nos frontières, notre responsabilité à tout.e.s est clairement engagée. Alors, ensemble, que faisons-nous ?

      https://www.humanite.fr/temoignage-dune-nuit-la-frontiere-franco-italienne-la-solidarite-face-la-de

      #humiliations #violence #frontière #motoneiges #PAF #refoulement #push-back #coups_de_pieds #maraude_solidaire #vols #menaces

    • Génération identitaire : condamnés à six mois ferme pour avoir tenté de bloquer la frontière

      Ce jeudi 29 août, le tribunal correctionnel de Gap a prononcé des peines de prison ferme, après l’opération menée au col de l’Échelle (Névache) en avril 2018. Le groupuscule d’ultra-droite et trois de ses membres étaient poursuivis.

      Le tribunal a rendu sa décision : ce sera six mois de prison ferme pour trois prévenus du groupuscule d’ultra-droite Génération identitaire. Ils étaient poursuivis pour avoir « exercé des activités dans des conditions de nature à créer dans l’esprit du public une confusion avec l’exercice d’une fonction publique ». Ils écopent également de 2000 € d’amende et de privation des droits civils, civiques et familiaux pendant cinq ans. Enfin, l’association Génération identitaire est condamnée à 75 000 € d’amende.

      Dans le viseur de la justice, ce procès était celui de l’opération menée le 21 avril 2018, lorsque les membre du groupuscule d’ultra-droite Génération identitaire – une centaine – avaient surveillé la frontière pour empêcher des migrants de passer. A grands coups de tweets, vidéos et le recours à un hélicoptère pour une opération baptisée “Defend Europe”.
      Six mois d’emprisonnement ferme avaient été requis

      Lors de l’audience au tribunal correctionnel haut-alpin, le 11 juillet dernier, le procureur de la République de Gap, Raphaël Balland, avait requis six mois d’emprisonnement ferme et l’interdiction d’exercer les droits civiques pendant un an pour les trois prévenus (Clément Gandelin, Romain Espino et Damien Lefèvre) ainsi que 75 000 € contre l’association Génération identitaire.

      Le seul prévenu présent au procès, le président du mouvement Clément Gandelin, avait gardé le silence. L’avocat de la défense avait plaidé pour la relaxe. Le tribunal a finalement suivi les réquisitions du procureur.

      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/08/29/generation-identitaire-les-trois-prevenus-condamnes-a-six-mois-de-prison

      #condamnation #justice

    • Trois identitaires condamnés à six mois ferme pour des patrouilles anti-migrants

      Deux responsables de Génération identitaire ainsi qu’un ex-cadre ont été condamné jeudi à six mois de prison ferme pour avoir « exercé des activités dans des conditions de nature à créer dans l’esprit du public une confusion avec l’exercice d’une fonction publique ». Le groupe Génération identitaire a écopé d’une #amende de 75 000 euros.

      Six mois de #prison_ferme, 2 000 euros d’amende et des privations de droits civiques, civils et familiaux pendant cinq ans. #Clément_Gandelin, 24 ans, le président de l’association d’ultra-droite Génération identitaire, #Romain_Espino, 26 ans, porte-parole, et #Damien_Lefèvre, 29 ans, ex-cadre du mouvement, ont tous les trois été condamnés ce jeudi 29 août par le tribunal de Gap pour leur opération anti-migrants effectuée dans les Alpes au printemps 2018.

      Les trois militants extrémistes étaient plus précisément poursuivis pour « activités exercées dans des conditions de nature à créer dans l’esprit du public une confusion avec l’exercice d’une fonction publique » (article 433-13), lors de cette action médiatique qui avait pour but affiché de bloquer un point de passage frontalier emprunté par les exilés passés par l’Italie, à l’époque souvent des mineurs venus d’Afrique de l’Ouest.

      Le groupe Génération identitaire, également poursuivi en tant que personne morale, a, lui, écopé d’une amende de 75 000 euros.

      Le tribunal a estimé jeudi que la prison ferme s’imposait à l’encontre des accusés, « compte tenu de la nature extrêmement grave des faits, de l’importance du trouble à l’ordre public occasionné non seulement pendant leur période de commission mais de manière durable dans le département, de l’importance des valeurs protégées par les infractions reprochées et du passé pénal des prévenus », d’après la motivation du jugement consultée par l’AFP.

      Ladite « Mission Alpes » dont ils s’étaient proclamés investis s’était tenue entre le 21 avril et le 29 juin 2018 dans les Alpes françaises, à six kilomètres de la frontière italienne.

      Une centaine de membres de Génération identitaire reconnaissables à leur doudoune bleue avaient d’abord investi le temps d’une journée le col de l’Échelle, qui culmine à 1 760 mètres d’altitude, entre les versants donnant sur le village français de Névache d’un côté et la gare italienne de Bardonecchia de l’autre. Une dizaine de militants identitaires, dont les trois prévenus, étaient ensuite restés pour « patrouiller », se vantaient-ils, pendant plusieurs semaines dans le Briançonnais.

      Doté d’une flotte tape-à-l’œil de pick-up, de deux hélicoptères et d’un avion, le groupe avait alors communiqué de façon boulimique sur son action, à grand renfort de selfies, de vidéos, comme il l’avait fait l’année précédente, pour son opération spectacle anti-migrants à bord du navire C-Star, qui avait croisé dans les eaux internationales entre la Libye et l’Italie.

      La peine correspond aux réquisitions du procureur de la République de Gap, Raphaël Balland, prononcées le 11 juillet, lors de la première convocation des trois prévenus. Elles prenaient en compte « le casier judiciaire », avait-il alors justifié, deux d’entre eux n’étant pas « éligibles à du sursis simple », en raison de leurs précédentes condamnations. L’avocat des trois prévenus, Me Pierre-Vincent Lambert, qui réclamait quant à lui la relaxe, a annoncé que ses clients feraient appel de la décision, selon l’AFP.

      Au cœur de son réquisitoire, le procureur a placé la délicate notion de « confusion » dans l’exercice d’une fonction publique, un délit « pas simple à manier », selon lui, en raison du « très peu de jurisprudences ». Raphaël Balland précise que Génération identitaire a voulu créer la « confusion avec l’exercice d’une fonction publique ou d’une activité réservée aux officiers publics ou ministériels » au cours de cette mission.

      Il a parfois été reproché au procureur son « deux poids deux mesures » dans ses poursuites desdits « pro- » et « anti-migrants » dans ce département montagneux devenu le théâtre de fortes tensions autour de l’accueil des exilés.

      Ce même tribunal de Gap avait en effet condamné ceux que l’on connaît dans la vallée sous l’appellation des « 3+4 de Briançon » à 12 mois de prison pour deux d’entre eux et à six mois avec sursis pour les autres, pour avoir « facilité l’entrée » à la frontière d’une vingtaine de migrants lors d’une marche organisée en réponse à l’opération de Génération identitaire, le 22 avril 2018.

      Certains bénévoles ont regretté par ailleurs que le procureur n’ait pas poursuivi les trois militants d’extrême droite au « chef d’immixtion dans une fonction publique », plus sévère, sanctionné de trois ans de prison et de 45 000 euros d’amende. « Le délit d’immixtion ne tient pas », leur a rétorqué le procureur, lui préférant le délit de confusion.

      Le 11 juillet, seul Clément Gandelin, alias Clément « Galant », s’était présenté à la barre. Il n’avait pas souhaité s’exprimer, restant silencieux tout au long de l’audience de quatre heures. Il avait simplement déclaré à la fin que « ce procès n’[était] rien d’autre que politique et que jamais [le groupe Génération identitaire] n’av[ait] dit qu[’il prendrait] la place de la police ».

      Clément Gandelin avait été condamné en 2015 pour violences sur personne dépositaire de l’autorité publique. Son coaccusé, Damien Lefèvre, l’avait également été – entre autres – en 2017. Pour l’occupation de la mosquée de Poitiers en 2012, il avait écopé d’un an de prison avec sursis et d’une mise à l’épreuve de deux ans. Cette action avait mis en lumière ce mouvement de jeunesse – alors nouvellement créé – des identitaires. Un nouveau procès doit avoir lieu en appel.

      L’association locale d’entraide Tous migrants avait demandé à se constituer partie civile au nom de leur collectif. Leur but, expliquaient deux de ses responsables, était de rappeler que « ce procès mascarade est un dérivatif du vrai problème », à savoir « le droit des migrants à cette frontière ».

      Le collectif qui vient en aide aux migrants à Briançon a joint au dossier un recueil de témoignages de quatre exilés anonymes. Les premiers concernés sont aussi les grands absents de ces affaires judiciaires, tant il leur est « difficile de témoigner contre l’action d’un État auprès duquel ils demandent la protection », ont insisté les bénévoles. Portée au dossier, la parole de ces exilés inconnus a rapidement été écartée, jugée non recevable par la présidente du tribunal.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/290819/trois-identitaires-condamnes-six-mois-ferme-pour-des-patrouilles-anti-migr

    • Communiqué de presse, Mercredi 2 octobre à 14h

      Procès d’un citoyen solidaire du Briançonnais. Mobilisation à Grenoble

      Le mercredi 2 octobre à 14h, un solidaire briançonnais (#Kévin) comparaîtra devant la cour d’appel de Grenoble (38) pour délit de solidarité. Il est accusé d’aide à l’entrée de personnes en situation irrégulière sur le territoire français et de délit de fuite, alors qu’il portait secours à des personnes en danger en montagne, en hiver dans les Hautes-Alpes. Le tribunal de grande instance de Gap (05) l’a condamné le 10 janvier 2019 à une peine de 4 mois de prison avec sursis. Ce jugement faisait suite à celui des « 3+4 de Briançon » en décembre 2018, condamnés pour des faits similaires. Une mobilisation citoyenne aura lieu à Grenoble devant la cour d’appel.

      Au-delà d’un soutien face à la répression, au harcèlement et aux intimidations, tous les solidaires veulent - à l’occasion de ce procès en appel d’un citoyen épris de solidarité - dénoncer le durcissement des politiques migratoires françaises et européennes.

      En particulier :

      – Les pratiques illégales et les violences commises contre les personnes exilées aux frontières : traques mortelles et arrestations violentes dans la montagne, refoulements de personnes vers l’Italie sans examen individuel de leur situation ni possibilité d’exercer leur droit à déposer une demande d’asile, non-prise en compte de la minorité de jeunes qui se sont déclarés tels auprès des forces de l’ordre.

      – La situation scandaleuse dans les Centres de Rétention Administrative (CRA), qui procède d’une volonté d’expulser encore plus de personnes réfugiées et migrantes. Notamment les 892 Afghans qu’un projet d’accord européen envisage de renvoyer plus facilement dans de pays dit « sûr ».

      – L’hébergement insuffisant qui laisse à la rue des milliers de personnes sans logements.

      – La volonté française de durcir le règlement Dublin.

      – La diminution et les restrictions de l’Allocation pour Demandeur d’Asile (ADA) et le durcissement de l’accès à l’Aide Médicale d’État (AME).

      – La coopération entre le 115 (hébergement d’urgence) et l’Office Français de l’Immigration et de l’Intégration (OFII) visant à ficher les étrangers, refusée par les travailleurs sociaux.

      – Le manque de moyens consacrés par l’État et les Conseils départementaux pour la prise en charge des Mineurs non Accompagnés (MNA), les logiques arbitraires et les obstacles à la reconnaissance de minorité des jeunes étrangers.

      – La poursuite mortifère du scandale des frontières de l’Europe : en Méditerranée (seulement 80% de rescapés !), en Libye et au Niger, aux abords de Melilla..., scandale lié au refoulement des migrants tentant la traversée par l’opération navale européenne "Sophia", et à la délégation de la gestion des flux migratoires à des États comme la Turquie et la Libye.

      Pour toutes ces raisons ce procès en appel est le symbole d’un délit d’inhumanité commis par des responsables politiques de notre pays. Nous donnons rendez-vous aux citoyen.ne.s le mercredi 2 octobre à 13h30 devant le palais de justice de Grenoble, pour soutenir les solidaires et lutter contre l’aggravation des politiques migratoires.

      Le comité de soutien des 3+4+2+…. de Briançon.

      Autour de ces procès v. aussi :
      https://seenthis.net/messages/734863

    • Samedi 5 octobre 2019 à la Halle de Dieulefit : Les murs ne servent à rien 3
      https://www.facebook.com/events/2556499527734427

      PROGRAMME détaillé :

      Dès 14h De l’autre côté, parcours sonore et photo de T. Fortunato et S. Chatton, 2019.
      De l’autre côté est une invitation à observer et écouter les fruits d’une rencontre : entre de jeunes européens qui voyagent en quête d’autres manières de vivre ou de militer et ceux qui, dans le chemin inverse, tentent leur chance en Europe... Un parcours qui mêle objets, photos, articles, paysages sonores et interviews réalisés sur des lieux d’accueil et de soutien aux migrants, de Briançon à Athènes en passant par l’Italie et les Balkans. Un voyage à découvrir à plusieurs pour se rencontrer, se questionner et réfléchir à notre rapport au monde et à ses frontières. (avant-première)

      16h Passer la porte, reportage radiophonique au refuge solidaire de Briançon, réalisé par Chloé Peytermann et Pauline Lemaire-Démaret, pour RadioLà, 2019.
      Nous avons passé du temps, avec ou sans micro, au refuge solidaire de Briançon. Migrant ou bénévole, comment passe-t-on la porte de ce lieu d’accueil juste en bas de la montagne ? Comment la désorganisation du monde rend-elle possible et indispensable un accueil d’urgence qui vit chaque jour l’obligation de se pérenniser ? D’un côté les chants et musiques des migrants de passage qui ne souhaitent plus raconter leurs histoires aux médias, ne voyant pas de changement dans leurs conditions d’accueil. De l’autre une équipe bénévole à l’écoute, qui se demande toujours, deux ans après l’urgence, comment et pourquoi ils sont encore là. (écoute publique en avant-première)

      16h45 Au pied du mur, film documentaire de P. Bruguière et J. Keogh, 2018
      À plus de 1700 mètres d’altitude, les cols de l’Échelle et de Montgenèvre dans les Hautes-Alpes sont les nouveaux points de passage pour les migrants arrivés en Europe par la mer Méditerranée. Des personnes risquent leur vie dans cette périlleuse traversée de la montagne. Un réseau de citoyens bénévoles s’est créé, organisant des maraudes, où les citoyens apportent des vêtements et repas chauds à ceux qui s’apprêtent à grimper la montagne ; ils soignent et réchauffent ceux qui en descendent. Le film « Au pied du mur » croise ces destins d’exilés et d’habitants engagés. (Lauréat du Prix « Autrement Vu » FIGRA 2019)

      17h45 Lecture d’extraits - Le prince à la petite tasse de E. de Turckheim, par Virginie Komaniecki
      Pendant neuf mois, Émilie, Fabrice et leurs deux enfants ont accueilli dans leur appartement parisien Reza, un jeune Afghan qui a fui son pays en guerre à l’âge de douze ans. Ce journal lumineux retrace la formidable aventure de ces mois passés à se découvrir et à retrouver ce qu’on avait égaré en chemin : l’espoir et la fraternité.

      18h Coeur de pierre, film documentaire de C. Billet et O. Jobard, 2018
      Ghorban a voyagé seul, en clandestin, pendant deux ans pour rejoindre la France depuis son Afghanistan natal. Enfant migrant, il entame en 2010 un long parcours d’intégration. Ses éducateurs le confient à un psychologue pour l’aider à apprivoiser les cauchemars d’un passé fait d’abandons et de pauvreté, auxquels se mêlent ses questionnements d’adolescent. Petit à petit, l’enfant au vécu d’adulte va définir son identité, entre l’Afghanistan et la France... Les réalisateurs l’ont filmé sur 8 ans, jusqu’à son entrée dans l’âge adulte lorsqu’il décide de retrouver sa famille restée en Afghanistan. (Prix du Meilleur Film 2019, Festival One World, Prague. Compétition internationale 2019, Festival Millenium, Bruxelles. Les Découvertes du Saint-André des Arts, Paris.)

      21h Lecture d’extraits – Sidérer, considérer de M. Macé, par Nadine Despert
      Que faire du mélange de colère et de mélancolie que suscite en nous le traitement réservé aux personnes migrantes, cette humanité précarisée, avec tout ce qu’il peut y avoir de paralysant, de sidérant ? S’appuyant sur diverses expériences et sur une analyse nourrie de ses lectures, Marielle Macé tente d’opérer un retournement. Elle oppose à la sidération la considération, qui n’exclut pas la compassion, ni la lutte.

      21h10 Paris Stalingrad, film documentaire de H. Meddeb et T. Naccache, 2019
      Ce film est un portrait de Paris vu par Souleymane, 18 ans, venu du Darfour. Arrivé en France après un périple traumatisant, la « ville lumière » dont il avait rêvé, lui inflige de nouvelles épreuves. A la dureté des situations, répond sa poésie douce-amère. En suivant Souleymane, le film retrace le parcours des exilés dans Paris : les campements de rue, les interminables files d’attente devant les administrations, les descentes de police et la mobilisation des habitants du quartier pour venir en aide aux réfugiés. La caméra témoigne d’une métamorphose d’une ville et nous montre l’émergence de nouvelles frontières intérieures. (Sélection officielle TIFF Docs, Festival international du film de Toronto 2019, sélection officielle Compétition française, Cinéma du réel 2019.)

      22h40 Lecture d’extraits - La loi de la mer de D. Enia, par Chloé Peytermann
      Un père et un fils regardent l’Histoire se dérouler sous leurs yeux, dans l’immensité de la Méditerranée, à Lampedusa. La loi de la mer est le récit de la fragilité de la vie et des choses, où l’expérience de la douleur collective rencontre celle, intime, du rapprochement entre deux êtres. Pendant plus de trois ans, sur cette île entre Afrique et Europe, l’écrivain Davide Enia a rencontré habitants, secouristes, exilés, survivants. En se mesurant à l’urgence de la réalité, il donne aux témoignages recueillis la forme d’un récit inédit, littéraire et poétique.

      22H50 Un jour ça ira, film documentaire de E. et D. Zambeaux, 2017
      Djibi et Ange, deux adolescents à la rue, arrivent à l’Archipel, un centre d’hébergement d’urgence au cœur de Paris. Ils y affrontent des vents mauvais, des vents contraires, mais ils cherchent sans relâche le souffle d’air qui les emmènera ailleurs. Et c’est avec l’écriture et le chant qu’ils le trouvent… et nous emportent. Une plongée au coeur de l’Archipel, un centre qui propose une façon innovante d’accueillir les familles à la rue.

    • Hautes-Alpes : devenez adjoint de sécurité au sein de la PAF à Montgenèvre

      Devenez adjoint de sécurité au sein de la Police aux Frontières à Montgenèvre. Ils assureront les missions de patrouilles, contrôles et interpellations en assistant le personnel de la PAF. Les candidatures sont à renvoyer avant le 12 novembre inclus. Il n’y a pas de condition de diplôme, les candidats doivent être âgés entre 18 et 30 ans et ne pas avoir été adjoints de sécurité pendant plus de trois ans. Des tests de résistance musculaire et d’endurance cardio-respiratoire seront à réaliser lors des épreuves de sélection. Le contrat est d’une durée de trois ans, renouvelable une seule fois, avec des mesures d’insertion professionnelle pendant toute la durée du contrat et l’accès à un concours spécifique pour devenir gardien de la paix. La rémunération est fixée à 1.289 € net par mois. Le dossier de candidature, ainsi que la liste des pièces à fournir, est à retrouver sur le portail Internet des services de l’État : www.hautes-alpes.gouv.fr, rubrique « recrutements et concours ». L’ensemble du dossier est à transmettre au Secrétariat général pour l’administration du Ministère de l’Intérieur (SGAMI SUD) dont l’adresse figure dans le dossier de candidature.

      http://alpesdusud.alpes1.com/news/hautes-alpes/79728/hautes-alpes-devenez-adjoint-de-securite-au-sein-de-la-paf-a-mont

    • Hautes-Alpes : migrants, « il n’y a pas eu d’harcèlement de la police aux frontières »

      Septembre : un rapport de l’ONG Human Rights Watch mettait en cause la gestion des Hautes-Alpes quant au drame migratoire, avec des renvois sommaires de migrants se présentant comme mineurs à la frontière, des intimidations des bénévoles ou des militants pro-migrants de la part des autorités. Face à ces accusations, la préfète est claire : « les autorités italiennes n’ont jamais accepté de reprendre en charge des personnes se déclarant MNA. Il n’y a pas eu d’harcèlement de la part des services de la Police Aux Frontières ».

      http://alpesdusud.alpes1.com/news/hautes-alpes/79866/hautes-alpes-migrants-il-n-y-a-pas-eu-d-harcelement-de-la-police-

    • Une cinquantaine de gendarmes déployés pour rechercher d’éventuels migrants en difficulté

      C’est un gros dispositif de recherches qui a été déployé ce mardi 29 octobre, au matin, du côté de Montgenèvre.

      Le tout après qu’un jeune Ivoirien a été découvert en légère hypothermie sur un des ronds-points de Montgenèvre vers 6 h 30. Le migrant de 28 ans indique alors aux forces de l’ordre que des compagnons de fortune se trouveraient encore dans la montagne et l’un d’eux serait en souffrance.

      Une cinquantaine de gendarmes de la compagnie de Briançon, des agents de la Police aux frontières et des secouristes du Peloton de gendarmerie de haute montagne de Briançon, appuyés par l’hélicoptère du détachement aérien de la gendarmerie, sont alors déployés.

      Ils ratissent la montagne, en vain. Les minutieuses recherches ont fini par être abandonnées en fin de matinée avec la supposition que le groupe a pu rebrousser chemin ou atteindre le Briançonnais.

      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/10/29/une-cinquantaine-de-gendarmes-deployes-pour-rechercher-d-eventuels-migra

    • Migranti in fuga sulla rotta alpina: un racconto senza distacco

      Tra Claviere e Briançon in due anni sono transitate tra le 7 e le 10mila persone. Considerando i valichi nel cuneese e a Nord di Ventimiglia, 30-40mila. Un’“espulsione oscura” seguita e restituita dal giornalista #Maurizio_Pagliassotti.

      “Frequento da giornalista e da volontario gli ultimi 12 chilometri della rotta alpina, quelli tra Claviere (TO), in Alta Val Susa, e Briançon, in Francia. Entrando nel ‘rifugio’ che accoglie coloro che hanno attraversato la frontiera, mi sono reso conto che lì i migranti parlano tra loro diffusamente in italiano. Non usano l’inglese, né il francese, e nemmeno lingue locali: quella a cui stiamo assistendo è una fuga dal nostro Paese. Oggi dall’Italia un africano scappa, perché ha paura, perché è perseguitato, perché viene aggredito. Questo è un aspetto ancora taciuto, che rimanda a tempi oscuri del nostro passato, e ho sentito l’esigenza di raccontarlo”.

      Maurizio Pagliassotti spiega così la genesi di “Ancora dodici chilometri” (https://www.bollatiboringhieri.it/libri/maurizio-pagliassotti-ancora-dodici-chilometri-9788833933030), uscito per Bollati Boringhieri: il libro non è (solo) un reportage, ma è capace di offrire al lettore le immagini vive di un contesto alpino remoto e ai più sconosciuto, di un esodo che l’autore -giornalista, collaboratore del quotidiano il manifesto– definisce “espulsione oscura”. L’obiettivo del racconto, scrive Pagliassotti, è “creare un sentimento che porti alla resa incondizionata rispetto alla speranza che questa armata possa essere fermata”.

      Perché?
      MP Stiamo parlando di un esercito in rotta, di uomini che si muovono verso Ovest, sempre avanti, e per questo richiamo l’epica dell’esercito italiano nella campagna di Russia durante la Seconda guerra mondiale, le tragedie descritte da Mario Rigoni Stern (“Il sergente nella neve”), Nuto Revelli (“La strada del Davai”) ma soprattutto Giulio Bedeschi (“Centomila gavette di ghiaccio”). Sono numeri importanti quelli della rotta alpina: tra Claviere e Briançon in due anni sono passate 7-10mila persone. Se prendiamo anche i valichi a Sud, nel cuneese e a Nord di Ventimiglia, stiamo parlando di 30-40mila esseri umani: sono migrazioni di massa che avvengono in contesti alpini, gelidi, oscuri. Di persone che camminano affondando nella neve per due metri, che si devono muovere nel buio assoluto, perché altrimenti vengono fermati dalla Gendarmerie nationale, in aree dove sono presenti animali selvatici come i lupi. È dato questo contesto che mi sono permesso di chiamare in causa dei giganti della letteratura epica della nostra storia nazionale, per dare una forza narrativa a una vicenda così invisibile. Credo che queste storie debbano essere raccontate con un forte impatto retorico, abbandonando lo status della comunicazione razionale, sobria, ed entrando in un campo più militante, che si rivolge a un pubblico che ha bisogno di un forte impatto emotivo. Penso che la comunicazione necessiti di una forte spinta emotiva: ho avuto modo di sperimentare, nelle lunghe soste nei bar di questa nostra Italia ai margini, veri e propri spazi che svolgono un ruolo di servizio sociale, dove le classi più povere sono soggiogate dalla retorica salviniana. Con queste persone oggi non c’è dialogo, numeri e dati non ne modificano il pensiero. Necessitiamo così di nostre forme di retorica, di un arte di narrare, di creare emozioni, di far sentire le persone partecipi di questo mondo.

      Due temi che attraversano il libro sono decoro (con l’esempio di Ventimiglia) e guerra tra poveri. Che legame c’è?
      MP Il decoro è una delle tante forze che agisce per spingere i migranti, i poveri verso l’esterno. Accade a Ventimiglia, con la parrocchia accogliente, e a Torino, dove vivo e in nome del decoro è stato chiuso e sgomberato un mercatino secolare, al Balon, per allontanare i poveri. Il bar degli ultimi, invece, è quel luogo dove la rabbia dilaga, insieme alla noia, dove ci sono dei sacerdoti, che sono presentatori televisivi di talk show politici, e che in particolare nelle ore mattutine martellano e infondono odio in queste classi totalmente smarrite, prive di appartenenza, prive anche di strumenti per capire la manipolazione. I due mondi intersecano nel momento in cui i penultimi attaccano gli ultimi. Sempre a Torino, il quartiere Aurora -che racconto nel libro- crea conflitti sociali che si riproducono su loro stessi, lasciando tranquilli i responsabili della situazione, che non sono solo i politici.

      La costruzione di una narrazione in cui sfuma anche il confine tra buoni e cattivi.
      MP Considero i militari che presidiano il confine tra Italia e Francia delle vittime. Uomini che sono stati esposti per un inverno a temperature di meno 25 gradi per fare il gioco del ministro dell’Interno. Caduto Matteo Salvini, la pattuglia è stata tolta. Era solo propaganda, perché in quel momento si doveva far la guerra alla Francia. Ho anche incontrato un esponente delle forze armate che, spontaneamente, senza sapere che io fossi un giornalista, all’interno del camper di un’associazione che fa sostegno ai migranti, Rainbow for Africa, ci ha raccontato dei suoi incredibili dopocena, quando esce con gli scarponi alla ricerca dei migranti persi nelle Alpi, muovendosi alla cieca in posti dove io da alpinista non andrei. La sua figura rende molto complessa la realtà, perché fa saltare la divisione tra buoni e cattivi: coloro che in linea teorica dovrebbero perseguitare, sono gli stessi che aiutano, che fingono di non vedere passaggi o i rifugi, di non sapere che dentro gli ospedali (in Francia) ci sono degenti abusivi, illegali che sono passati a piedi e hanno gli arti congelati.

      Sono così sfumati, i contorni, che a volte uno si chiede che senso abbia tutta questa storia: perché la realtà è molto diversa della retorica politica, e alla fine passano tutti, il 100 per cento di chi ci prova. A chi serve tutto questo? Credo esista una grande responsabilità politica della destra italiana, che racconta come emergenza un flusso migratorio che potrebbe essere gestito in altro modo.

      Le vicende descritte nel tuo libro si svolgono in Val di Susa. C’è un legame tra il movimento No Tav e la solidarietà alla frontiera.
      MP Credo che chiusa la vicenda dell’opposizione al treno ad alta velocità, il mondo No Tav abbia mosso verso l’aiuto dei migranti e degli ultimi. Ciò crea una sorta di paradosso: coloro che sono considerati degli eroi in questa storia, la maggior parte di quelli che vanno a “cavare” gli assiderati dalla neve, che salvano di fatto la vita degli esseri umani che cercano di attraversare le Alpi in inverno, sono le stesse persone che lo Stato porta sotto processo e accusa di reati gravissimi (tra loro anche la settantenne Nicoletta Dosio, ndr). Coloro che portavano i bidoni di tè ai presidi No Tav, oggi portano lo stesso tè nei rifugi alpini dei migranti.
      C’è bisogno di una riflessione su questa comunità: come li valutiamo? Penso che le due vicende siano legate, che siano parte di un unicum, legato alla giustizia sociale, al rispetto dell’uomo, dell’ambiente e dei diritti umani. Bloccare il Tav e permettere ai migranti di attraversare i confini sono due forme di resistenza all’ultracapitalismo.

      https://altreconomia.it/migranti-in-fuga-sulla-rotta-alpina

    • #The_Milky_Way

      Le Alpi occidentali tra Italia e Francia sono state nel corso dei secoli una frontiera naturale, così come un luogo di passaggio e incontro. I suoi colli costituiscono terra di connessione, mediazione tra popoli e culture differenti. La storia più recente ci racconta come negli ultimi 200 anni siano stati gli italiani ad attraversare clandestinamente il confine per andare a cercare lavoro in Francia, mentre oggi è diventata una rotta utilizzata anche dai migranti di origine africana.

      Le recenti politiche di chiusura dei confini interni europei hanno spinto le persone migranti alla ricerca di strade meno battute per lasciare l’Italia e proseguire il viaggio oltre il confine con la Francia, spingendoli a passare tra i sentieri di alta montagna come quelli che costeggiano gli impianti del comprensorio sciistico “La via lattea”, proprio sul confine tra Claviere (IT) e Monginevro (FR). Durante il giorno le piste da sci sono luogo di divertimento, sport e svago; di notte, si trasformano in un teatro di paura, pericolo e violazione dei diritti umani: i migranti, poco preparati e mal equipaggiati, imboccano i sentieri sfidando il buio, il freddo e i controlli delle autorità francesi, rischiando la vita.

      The #Milky_Way è un film corale che, attraverso il racconto di attivisti, degli abitanti delle montagne, la ricostruzione storica in graphic novel animata dell’emigrazione italiana degli anni ’50, le storie dei migranti messi al sicuro dai solidali sui due lati del confine, getta luce sull’umanità che riaffiora quando il pericolo imminente riattiva la solidarietà, con la convinzione che nessuno si possa lasciare indietro, nessuno si salva da solo.

      https://www.milkywaydoc.com
      #film #film_documentaire #Luigi_D’Alife

      Trailer :
      https://www.youtube.com/watch?v=NlZE8Yl77A8&feature=emb_logo

    • #The_Milky_Way. Nessuno si salva da solo

      Le Alpi occidentali tra Italia e Francia sono state nel corso dei secoli una frontiera naturale, così come un luogo di passaggio e incontro. I suoi colli costituiscono terra di connessione, mediazione tra popoli e culture differenti. La storia più recente ci racconta come negli ultimi 200 anni siano stati gli italiani ad attraversare clandestinamente il confine per andare a cercare lavoro in Francia, mentre oggi è diventata una rotta utilizzata anche dai migranti di origine africana.

      Le recenti politiche di chiusura dei confini interni europei hanno spinto le persone migranti alla ricerca di strade meno battute per lasciare l’Italia e proseguire il viaggio oltre il confine con la Francia, spingendoli a passare tra i sentieri di alta montagna come quelli che costeggiano gli impianti del comprensorio sciistico “La via lattea”, proprio sul confine tra Claviere (IT) e Monginevro (FR). Durante il giorno le piste da sci sono luogo di divertimento, sport e svago; di notte, si trasformano in un teatro di paura, pericolo e violazione dei diritti umani: i migranti, poco preparati e mal equipaggiati, imboccano i sentieri sfidando il buio, il freddo e i controlli delle autorità francesi, rischiando la vita.

      The #Milky_Way è un film corale che, attraverso il racconto di attivisti, degli abitanti delle montagne, la ricostruzione storica in graphic novel animata dell’emigrazione italiana degli anni ’50, le storie dei migranti messi al sicuro dai solidali sui due lati del confine, getta luce sull’umanità che riaffiora quando il pericolo imminente riattiva la solidarietà, con la convinzione che nessuno si possa lasciare indietro, nessuno si salva da solo.

      https://www.milkywaydoc.com
      #film #film_documentaire #Luigi_D’Alife

      Trailer:
      https://www.youtube.com/watch?v=NlZE8Yl77A8&feature=emb_logo

    • Dans les Alpes, maraude aux confins du pays des droits de l’Homme

      Depuis quatre ans, les maraudeurs et maraudeuses de l’association Tous migrants parcourent les Alpes à la recherche des migrant·es qui viennent de passer la frontière franco-italienne. Dissimulé·es dans les bois ou dans les recoins des stations, ils et elles tentent d’échapper à la police. Nous les avons suivi·es pendant la Grande maraude organisée à Montgenèvre le 7 mars dernier.

      « J’ai commencé à faire des maraudes parce que j’aime la montagne et j’ai pas envie qu’il y ait des gens qui meurent en montagne. » Didier a les yeux fixés sur la piste de ski, chaudement habillé avec son bonnet enfoncé sur la tête. Maître d’école de cinquante ans, il fait partie de ces bénévoles qui, de nuit, guettent les ombres fragiles des migrant·es dans les sommets enneigés des Alpes pour leur venir en aide.

      Samedi 7 mars au soir, Didier guide les personnes venues participer à la grande maraude organisée par Tous migrants et Amnesty International sur les pistes de la station de Montgenèvre, dans les Hautes-Alpes. Tout en marchant, il raconte les longues soirées passées à scruter les recoins et les pistes, et l’angoisse d’apprendre la mort d’une personne. « Il y en a plein qui passent sans que personne ne les aide, et on est trop contents qu’ils n’aient pas de pépin. » Son regard se perd dans la montagne. « Mais on ne sait jamais combien ont des pépins, quand ils peuvent passer, à quelle heure … C’est trop grand. Et quand on rentre chez nous, on se demande toujours si on n’a pas laissé quelqu’un dans la panade. »
      Dans les Alpes, protéger les migrants

      « Ralentissez ! » Des voix pressantes se font entendre à l’arrière. Didier s’interrompt brutalement, tourne la tête. Au centre du groupe, une dizaine de nouveaux venus ont fait leur apparition. Recouverts de combinaisons de ski, on les confondrait presque avec le reste des maraudeurs s’ils n’étaient devenus le centre de l’attention. Ce sont des migrant·es qui viennent de passer la frontière. Trouvé·es par des bénévoles, ils et elles rejoignent la masse des maraudeurs et maraudeuses. Les bénévoles se rassemblent autour du groupe pour les accompagner jusqu’aux voitures de Médecins du monde, qui les attendent à la sortie des pistes. Dans le silence tendu, on n’entend que les pas pressés du cortège dans la neige. Au milieu, un homme porte une silhouette enfantine sur ses épaules. Les bénévoles aguerris jettent des coups d’œil anxieux vers la route, où patrouillent des policiers.

      Soudain, un signal. Sur la route, les voitures s’arrêtent une à une. « J’en prends trois ! », crie une voix d’homme. Une portière s’ouvre, une femme et deux enfants s’engouffrent rapidement à l’intérieur. La portière claque. « Ils sont tous rentrés ? », entendons-nous quelques instants plus tard. Tous les bénévoles sont incités à accompagner la voiture en convoi, explique Yves, un bénévole d’Emmaüs Chambéry. Sur le bord de la route, sans mot dire, des policiers regardent défiler les voitures.
      Dans les Alpes, « on assiste à une nouvelle errance », pour le porte-parole de Tous migrants

      Le lendemain matin, assis sur un muret ensoleillé devant le refuge de Briançon, Michel Rousseau, porte-parole de l’association Tous Migrants, enchaîne les coups de fil. Avec les médecins, il tente de savoir si une des accueillies, qui a de la fièvre, est atteinte du coronavirus. Par mesure de précaution, la famille secourue la veille est confinée dans une des chambres du refuge. Ce lieu tenu par des bénévoles, a accueilli 9 553 personnes depuis 2017. « Au début, on voyait arriver des jeunes hommes venus d’Afrique francophone qui voulaient demander l’asile en France », se souvient Michel Rousseau.

      Les arrivées se poursuivent depuis 2018. « Cette année-là, le refuge a accueilli 5 202 personnes, et on a vu arriver les exilés de l’Italie de Salvini, poursuit-il. Ils avaient été rejetés d’Italie et cherchaient un nouveau pays d’accueil. » L’association a reçu 1 968 personnes en 2019, soit deux fois moins que l’année précédente. Il analyse : « Aujourd’hui, on assiste à une nouvelle errance : on accueille beaucoup de personnes qui viennent d’Afghanistan et qui ont été chassées d’autres pays européens. » Il désigne du doigt la porte du refuge. « Regardez cette famille qui vient d’arriver. Quatre ans d’exil sur les routes… » Il soupire. « Quelle vie on inflige à ces gens-là ? »

      https://radioparleur.net/2020/03/26/alpes-maraude-migrants

    • 19 juin 2020 à 20h Amnesty International sur internet, diffusion suivie d’un débat, du #documentaire :
      https://seenthis.net/messages/860536

      Demain est si loin
      Muriel Cravatte (2019, France, 88 min, Couleur)
      https://www.amnesty.fr/cine-debat-demain-est-si-loin
      https://www.facebook.com/events/1165149137184372

      2018, frontière franco-italienne. Chaque jour, des exilés tentent de rejoindre la France à pied, en empruntant des itinéraires de montagne dangereux, pour échapper aux traques policières.

      Le film sera suivi par un temps d’échange en direct depuis Paris et Briançon avec Muriel Cravatte elle-même et des personnes engagées dans l’accueil des réfugiés et migrants à Briançon.

      Dans les Alpes, la fraternité prise pour cible
      Amnesty International, le 3 mars 2020
      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/dans-les-alpes-la-fraternite-prise-pour-cible

      Et une pétition à signer :

      Protégeons les défenseurs des droits des migrants
      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/petitions/protegeons-les-defenseurs-des-droits-des-migrants

    • Cet été, Tous Migrants vous propose des rencontres en montagne, à la frontière, en fraternité avec les exilés : grands bivouacs festifs, randonnées commentées, veillées bavardes au coin du feu.
      Soyons présents et nombreux tout l’été à la frontière pour que la montagne ne devienne pas une zone militarisée ni un cimetière. Pour que la montagne reste synonyme de beauté, sérénité et de solidarité.

      Un été solidaire dans nos montagnes
      Tous Migrants, le 23 juin 2020
      https://tousmigrants.weebly.com/sinformer/un-ete-solidaire-dans-nos-montagnes
      https://tousmigrants.weebly.com/uploads/7/3/4/6/73468541/de%CC%81pliant_exil.pdf

    • Dans les Alpes, #maraude aux confins du pays des droits de l’Homme

      Depuis quatre ans, les #maraudeurs et maraudeuses de l’association Tous migrants parcourent les Alpes pour porter secours aux migrant·es qui viennent de passer la frontière franco-italienne. Dissimulé·es dans les bois ou dans les recoins des stations, ils et elles tentent d’échapper à la police. Nous les avons suivi·es pendant la Grande maraude organisée à Montgenèvre le 7 mars dernier.

      « J’ai commencé à faire des maraudes parce que j’aime la montagne et j’ai pas envie qu’il y ait des gens qui meurent en montagne. » Didier a les yeux fixés sur la piste de ski, chaudement habillé avec son bonnet enfoncé sur la tête. Maître d’école de cinquante ans, il fait partie de ces bénévoles qui, de nuit, guettent les ombres fragiles des migrant·es dans les sommets enneigés des Alpes pour leur venir en aide.

      Samedi 7 mars au soir, Didier guide les personnes venues participer à la grande maraude organisée par Tous migrants et Amnesty International sur les pistes de la station de Montgenèvre, dans les Hautes-Alpes. Tout en marchant, il raconte les longues soirées passées à scruter les recoins et les pistes, et l’angoisse d’apprendre la mort d’une personne. « Il y en a plein qui passent sans que personne ne les aide, et on est trop contents qu’ils n’aient pas de pépin. » Son regard se perd dans la montagne. « Mais on ne sait jamais combien ont des pépins, quand ils peuvent passer, à quelle heure … C’est trop grand. Et quand on rentre chez nous, on se demande toujours si on n’a pas laissé quelqu’un dans la panade. »
      Dans les Alpes, protéger les migrants

      « Ralentissez ! » Des voix pressantes se font entendre à l’arrière. Didier s’interrompt brutalement, tourne la tête. Au centre du groupe, une dizaine de nouveaux venus ont fait leur apparition. Recouverts de combinaisons de ski, on les confondrait presque avec le reste des maraudeurs s’ils n’étaient devenus le centre de l’attention. Ce sont des migrant·es qui viennent de passer la frontière. Trouvé·es par des bénévoles, ils et elles rejoignent la masse des maraudeurs et maraudeuses. Les bénévoles se rassemblent autour du groupe pour les accompagner jusqu’aux voitures de Médecins du monde, qui les attendent à la sortie des pistes. Dans le silence tendu, on n’entend que les pas pressés du cortège dans la neige. Au milieu, un homme porte une silhouette enfantine sur ses épaules. Les bénévoles aguerris jettent des coups d’œil anxieux vers la route, où patrouillent des policiers.

      Soudain, un signal. Sur la route, les voitures s’arrêtent une à une. « J’en prends trois ! », crie une voix d’homme. Une portière s’ouvre, une femme et deux enfants s’engouffrent rapidement à l’intérieur. La portière claque. « Ils sont tous rentrés ? », entendons-nous quelques instants plus tard. Tous les bénévoles sont incités à accompagner la voiture en convoi, explique Yves, un bénévole d’Emmaüs Chambéry. Sur le bord de la route, sans mot dire, des policiers regardent défiler les voitures.
      Dans les Alpes, « on assiste à une nouvelle errance », pour le porte-parole de Tous migrants

      Le lendemain matin, assis sur un muret ensoleillé devant le refuge de Briançon, Michel Rousseau, porte-parole de l’association Tous Migrants, enchaîne les coups de fil. Avec les médecins, il tente de savoir si une des accueillies, qui a de la fièvre, est atteinte du coronavirus. Par mesure de précaution, la famille secourue la veille est confinée dans une des chambres du refuge. Ce lieu tenu par des bénévoles, a accueilli 9 553 personnes depuis 2017. « Au début, on voyait arriver des jeunes hommes venus d’Afrique francophone qui voulaient demander l’asile en France », se souvient Michel Rousseau.

      Sur le même thème : « Je ne savais pas que la neige pouvait brûler »

      Les arrivées se poursuivent en 2018. « Cette année-là, le refuge a accueilli 5 202 personnes, et on a vu arriver les exilés de l’Italie de Salvini, poursuit-il. Ils avaient été rejetés d’Italie et cherchaient un nouveau pays d’accueil. » L’association a reçu 1 968 personnes en 2019, soit deux fois moins que l’année précédente. Il analyse : « Aujourd’hui, on assiste à une nouvelle errance : on accueille beaucoup de personnes qui viennent d’Afghanistan et qui ont été chassées d’autres pays européens. » Il désigne du doigt la porte du refuge. « Regardez cette famille qui vient d’arriver. Quatre ans d’exil sur les routes… » Il soupire. « Quelle vie on inflige à ces gens-là ? »

      https://radioparleur.net/2020/03/26/alpes-maraude-migrants

  • Renforcement par décret de la loi obligeant aux 11 vaccins

    25 janvier 2019

    https://www.legifrance.gouv.fr/affichCodeArticle.do;jsessionid=DC5344014AF6BA1D3DB27376C6EDDAAE.tpl

    Oh, ce ne sont que trois mots qui ont été rajoutés par décret ce 25 janvier, trois petits mots qui pourraient passer inaperçus : « . le . cas . échéant »
    Mais en fait, ce « cas échéant », ça veut simplement dire que la batterie de tests biologiques qui était obligatoire et coutait un bras à la sécu pour s’assurer que l’enfant ne soit pas malade des vaccins qui lui seraient (ou pas) inoculés est tout simplement abrogé.

    Modification de l’ Article D3111-7

    Avant

    2° Examens médicaux et tests biologiques effectués préalablement à la vaccination ;

    Après

    2° Examens médicaux et, le cas échéant, tests biologiques effectués préalablement à la vaccination ;

    #bigpharma #vaccinations #scandale_sanitaire #decret #empoisonnement #enfants #jargon_juridique

  • « Cela va vraiment être très violent » : des agents de Pôle emploi réagissent aux sanctions contre les chômeurs
    https://www.bastamag.net/Cela-va-vraiment-etre-tres-violent-des-agents-de-Pole-emploi-reagissent-au

    La loi sur « la liberté du choix de son avenir professionnel » (sic), votée en septembre dernier, avait prévenu : les contrôles sur les chômeurs allaient se durcir. Mais personne ne s’attendait à ce que les sanctions prévues contre les demandeurs d’emplois soient si rudes, y compris les agents de Pôle emploi. Annoncées fin décembre par un décret publié au journal officiel, ces sanctions prévoient de rogner, voire de supprimer les indemnités chômage pour des rendez-vous manqués, des offres d’emploi refusées, (...)

    #Résister

    / #Transformer_le_travail, #Protections_sociales, #Inégalités, #Ma_vie_au_travail, Quel avenir pour nos protections sociales ?, A la (...)

    #Quel_avenir_pour_nos_protections_sociales_ ?

  • I valdesi volontari al confine Italia-Francia: «Sui migranti le violenze della gendarmerie e i muri del Decreto Salvini»

    A #Bardonecchia flussi diminuiti, a #Claviere stabili. «Ma ora è gente che scappa dai centri e, non potendo stare negli Sprar, prova a sconfinare».

    Rincorso dai cani sguinzagliati dalla gendarmerie, ha passato la notte, con le temperature che possono scendere fino a meno dodici gradi, nascosto nella neve. I piedi non gli verranno amputati, ma i medici dicono che per tornare a camminare ci vorrà tempo. Ha quindici anni. Cinque in meno del ventenne che ha raccontato di essere stato inseguito dalla polizia francese in motoslitta, portato in caserma e derubato del denaro. Entrambi migranti che di recente avevano provato a raggiungere la Francia dall’Italia, entrambi respinti. Storie oscurate dall’odissea dei quarantanove a bordo di Sea Watch e Sea Eye.

    «La quotidianità di quello che accade sul confine», ha scritto qualche giorno fa su Facebook, rilanciando le due testimonianze raccolte da volontari francesi di Briançon, Davide Rostan, pastore valdese, membro della rete di volontari che in Val di Susa offre assistenza e supporto quotidiani ai migranti che provano a passare la frontiera. Dove, oltre a «episodi di ordinaria violenza arbitraria - così li definisce - da parte della gendarmerie, che continua a respingere anche i minori, in certi casi falsificando le date di nascita», si registrano quelli che secondo il pastore valdese sono «gli effetti del decreto Salvini».

    A Bardonecchia e Clavière. Se a Bardonecchia, dopo il caso, anche diplomatico, esploso a marzo scorso in seguito all’irruzione di agenti della dogana francese in un presidio per migranti, i flussi di quanti tentavano di oltrepassare il confine sono diminuiti, a Clavière, sul limite della frontiera, la situazione è rimasta pressoché stabile. Stime ufficiali ancora non ce ne sono, «ma i numeri sono più o meno quelli di sempre, forse c’è stata una flessione anche per la diminuzione degli sbarchi, ma è minima», scandisce Rostan.

    Le differenze rispetto al passato, però, ci sono. «È cambiata la composizione: per la stragrande maggioranza, non si tratta più, come accadeva fino all’anno passato, di persone arrivate in Italia e parcheggiate negli hotspot, non seguite in un percorso concreto di accoglienza e integrazione. Ora in gran parte è gente che scappa dai centri, magari ancora prima di ricevere il responso della Commissione territoriale o perché l’ha ottenuto ed è negativo o che è già stata in un Cas, ha il permesso di soggiorno per motivi umanitari e, sulla base del dispositivo firmato da Salvini, non può rientrare negli Sprar. Probabilmente se non ci fosse stato il decreto sicurezza non sarebbero andati via tutti coloro che rischiano di ritrovarsi in mezzo alla strada».

    A Ventimiglia. Tentativi di passaggio e respingimenti - in media una cinquantina di persone al giorno vengono rimandati in Italia - da parte della polizia francese continuano anche alla frontiera di Ventimiglia, «anche se - puntualizza Chiara Romagno, referente di Oxfam Italia nella cittadina ligure - il numero dei migranti che restano qui si è molto ridotto. Ora molti arrivano da Genova o da Milano, in bus o in treno, provano a passare e se vengono respinti tornano nei luoghi da cui si sono mossi». Anche Romagno ha notato un cambio nella composizione dei gruppi di migranti intenzionati a oltrepassare il confine. «In gran parte - spiega ad HuffPost - si tratta di persone che stanno da più tempo in Italia. I flussi, comunque, un po’ si sono assottigliati, anche per effetto della riduzione degli sbarchi, conseguenza diretta degli accordi con la Libia stretti da Minniti». Il decreto Salvini non c’entra?

    «Ancora non abbiamo evidenze di correlazione tra i flussi di coloro che provano a raggiungere la Francia da Ventimiglia e gli effetti del decreto sicurezza» risponde Romagno ma racconta che, di recente, ha incontrato un ragazzo richiedente asilo che aveva trovato un datore di lavoro pronto a fargli il contratto. Gli aveva chiesto la carta d’identità, che lui, impossibilitato a iscriversi all’anagrafe sulla base di quanto prevede il decreto sicurezza, non può avere. «Dovrebbe essere sufficiente il permesso di soggiorno - fa notare la referente di Oxfam - ma né i datori di lavoro né i sistemi informatici sono ancora aggiornati sulle nuove procedure».

    Intanto, va avanti Romagno, «la polizia continua a prendere i migranti e trasferirli da Ventimiglia a Taranto. Gruppi molto esigui, dieci dodici persone, caricati su bus che costano migliaia di euro, risorse sprecate» e «anche se non si dice, proseguono gli sbarchi spontanei, come dimostra quanto accaduto a Crotone».

    «No» al decreto Salvini. Visto dalle frontiere, alla luce del decreto Salvini, il futuro non sembra incoraggiante. «Porterà più gente per strada - taglia corto Rostagno - Si pensi a tutte le famiglie che hanno protezione umanitaria e non possono più entrare negli Sprar. E, a causa della riduzione delle risorse erogate per il supporto e l’integrazione dei migranti, i centri potranno offrire meno servizi. Resteranno solo i centri grandi e, certo, con fondi esigui, non potranno essere gestiti al meglio».

    «Il rischio è che la gran parte di coloro che arriveranno in Italia in futuro - ragiona Rostan - verrà parcheggiata in centri grandi, dove seguirli in percorsi reali di integrazione sarà più difficile. Strutture che, con ogni probabilità, saranno in prevalenza al Sud, in posti più vicini ai luoghi di sbarco e dove cibo e riscaldamento costano meno che al Nord».

    Contro il decreto Salvini anche in Val di Susa è scattata la mobilitazione. Le amministrazioni di Oulx e Vaie hanno già adottato una delibera per ufficializzare la loro contrarietà al provvedimento firmato dal ministro dell’Interno, un po’ sulla falsariga di quanto ha fatto a Palermo il sindaco Leoluca Orlando, e il 26 gennaio si terrà una manifestazione che coinvolgerà la valle. «Il decreto sicurezza - ha scritto su Facebook Rostan - serve a far lavorare di più mafia e criminalità e a criminalizzare la solidarietà e chi fa l’accoglienza in modo trasparente e onesto, chi crea integrazione e chi vuole che le persone che arrivano in Italia possano stare in Italia».

    https://www.huffingtonpost.it/2019/01/11/i-valdesi-volontari-al-confine-italia-francia-sui-migranti-le-violenze-della-gendarmerie-e-i-muri-del-decreto-salvini_a_23640429/?ncid=other_facebook_eucluwzme5k
    #decreto_salvini #asile #migrations #réfugiés #Italie #France #frontières #frontière_sud-alpine #Hautes-Alpes #migrerrance

    • Ventimiglia, al campo Caritas aumentano migranti espulsi da accoglienza: “Dopo decreto Salvini persone esasperate”

      A pochi mesi dall’approvazione del decreto sicurezza di Matteo Salvini, la frontiera di Ventimiglia si dimostra ancora una volta perfetta cartina tornasole dei risultati delle politiche sull’immigrazione in Italia. Dopo il blocco degli sbarchi operato con gli accordi in Libia di Minniti, da quasi due anni, nella città di frontiera con la Francia si era registrato un deciso calo del numero degli arrivi e un cambiamento dei paesi di provenienza, ora il numero di persone bloccate sul territorio di frontiera oscilla tra le 150 e le 200 persone, con una cinquantina di arrivi al giorno, ma si tratta in buona parte persone con regolare permesso umanitario, che in questi anni avevano trovato lavoro, e che ora con il decreto sicurezza si trovano impossibilitati a rinnovare il permesso per ragioni di lavoro e sono stati espulsi dalle strutture di accoglienza dove erano ospitati. “I numeri sono più bassi di qualche anno fa – sottolinea Christian Papini, responsabile del centro d’ascolto della Caritas, che vede giorno per giorno la situazione dalla prima linea – ma lo stato d’animo di chi arriva è molto cambiato, riscontriamo molto più di frequente persone esasperate che si sentono rifiutate nonostante gli anni di impegno per la propria integrazione in Italia”.
      C’è sempre qualche migrante arrivato da poco nel nostro Paese e intenzionato solamente a passare, ora anche proveniente dalla rotta balcanica, “ma tantissimi si trovano qui solo perché si sono trovati improvvisamente in mezzo una strada, costretti a interrompere percorsi di inclusione avviati a causa del cambio delle regole sull’accoglienza”. Chiusa da tempo l’unica esperienza ‘autogestita’ di ospitalità riservata a donne e bambini sul territorio, quella offerta per mesi dalla Caritas alla chiesa delle ‘Gianchette’ di don Rito Alvarez (trasferito nel comune di San Biagio della Cima), il Centro della Croce Rossa resta il solo ‘rifugio’ dove i migranti (uomini, donne, nuclei familiari e minori accompagnati tutti nello stesso campo) possono trovare una brandina e supporto medico e legale, per orientarsi sul proprio futuro relazionandosi con gli operatori o provare a passare in Francia.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/18/ventimiglia-al-campo-caritas-aumentano-migranti-espulsi-da-accoglienza-dopo-decreto-salvini-persone-esasperate/5118847/amp
      #décret_salvini

    • Migranti, a Ventimiglia i primi effetti della “strategia Minniti”: “Sono cambiate le rotte. In aumento arrivi dal Maghreb”

      Ventimiglia è un luogo di osservazione privilegiato per comprendere i mutamenti nei flussi e nelle rotte dei migranti in viaggio verso l’Europa. Così negli ultimi 15 giorni, ad arrivare nella città di frontiera, insieme ai tanti richiedenti asilo e rifugiati usciti senza speranza dalle maglie dei circuiti di accoglienza italiani, ci sono le persone arrivate con gli sbarchi, tornati numerosi come gli scorsi anni. A cambiare però è il volto di chi arriva, non più persone provenienti da Sudan, Eritrea, Etiopia e altri paesi dell’Africa subsahariana, che rappresentavano il numero maggiore alla frontiera con la Francia fino allo scorso anno, ma algerini, tunisini e giovani provenienti dall’area del Maghreb. Sono i primi effetti della “strategia Minniti”, che secondo diversi addetti ai lavori corrisponderebbero al tentativo da parte dei paesi vicini alla Libia di battere cassa all’Europa per tornare a bloccare i flussi, come recentemente stabilito dall’accordo tra Italia e Libia.

      Se gli accordi con Tripoli sembrano aver retto, bloccando in Niger, Ciad e Libia la rotta dei migranti tra luglio e settembre, ora a donne, bambini e giovani in fuga da fame e conflitti si stanno sostituendo altri migranti, provenienti da paesi rispetto ai quali è più difficile chiedere e ottenere protezione umanitaria. “Ma se cambiano i volti e verifichiamo che chi arriva dagli ultimi sbarchi proviene da altre aree geografiche, questo non significa che i problemi nei paesi di origine si siano risolti – sottolinea Daniela Zitarosa, operatrice legale di Intersos a Ventimiglia – anzi, i racconti che ci arrivano confermano le peggiori aspettative sulle modalità con cui i libici stiano bloccando i flussi: detenzione, stupri, ricatti e torture”.

      Racconti e testimonianze dal confine che confermano quanto denunciato il 17 ottobre dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che stima la presenza di oltre 14.500 migranti e rifugiati prigionieri nei centri di detenzione gestiti dai trafficanti nei pressi di Sabratha “Gli accordi non fermano gli arrivi, che qui a Ventimiglia sono tornati a crescere – aggiunge Serena Regazzoni della Caritas Intemelia – e chi arriva dalla Libia ora rischia ancora di più di restare vittima dei rimbalzi tra centri di detenzione e respingimenti in mare, al costo della propria vita”

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10/22/migranti-a-ventimiglia-i-primi-effetti-della-strategia-minniti-sono-cambiate-le-rotte-in-aumento-arrivi-dal-maghreb/3924112
      #Vintimille

  • En Italie, des maires s’opposent à la fermeture des États-nations, par Cristina Del Biaggio (@cdb_77)
    https://visionscarto.net/italie-resistances-municipales

    un groupe de municipalités « désobéissantes » qui grossit jour après jour : de Reggio Calabria à Padoue, en passant par Florence, des maires s’opposent au diktat du pouvoir central. Pour une partie des élu·es opposé·es au décret, la contestation passe par la « désobéissance civile » en n’appliquant pas la loi alors que d’autres préfèrent lutter contre par voie législative et judiciaire.

    La carte proposée ci-dessous fait résonner leurs voix, les notes d’une musique qui prône l’accueil, la justice et l’ouverture. Une mélodie qui, espérons-le, suscitera le courage d’autres maires et les incitera à s’unir au chœur.

    #villes #résistance #désobéissance_civile #décret_Salvini #migrations
    #cartographie #umap (merci @ybon !)

  • #Decreto_salvini, liste de villes dans lesquelles les #associations et les #citoyens descendent en masse pour dire NON au decrét. Mais aussi résistance des institutions ecclésiastiques et judiciaires, etc. :

    #Lecce
    #Oulx
    – Lucca (les paroisses)

    #résistance #associations #citoyens #asile #migrations #réfugiés #Italie

    Et une #carte, que je vais essayer de mettre à jour régulièrement :


    http://u.osmfr.org/m/279671
    En rouge : les maires qui disent NON
    En orange : des oppositions citoyennes et de la société civile
    #cartographie #visualisation

    A voir aussi, la métaliste :
    https://seenthis.net/messages/739545

  • Ecco la #delibera con cui i sindaci potranno “disobbedire” al decreto Salvini

    Ecco la delibera contro il decreto Salvini per iscrivere all’anagrafe i richiedenti asilo. A metterla nero su bianco è stata l’associazione #Alterego – Fabbrica dei diritti (www.fabbricadeidiritti.it). Destinatari: tutti quei Comuni, e quei sindaci, che hanno intenzione di schierarsi “in difesa della Costituzione e dell’articolo 26 della Convenzione di Ginevra”.

    Il 2019 è infatti iniziato con numerosi sindaci che hanno manifestato la loro volontà di disobbedire al decreto legge “immigrazione e sicurezza” di Salvini.

    Tra tutti, Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, che con una nota inviata al Capo Area dei Servizi al Cittadino ha conferito mandato per indagare i profili giuridici anagrafici derivanti dall’applicazione della legge n.132/2018 e ha impartito di sospendere qualsiasi procedura “che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare, ma non esclusivo, riferimento alla procedura di iscrizione della residenza anagrafica”.

    Di fatto quello del primo cittadino di Palermo è il primo, vero atto che tenta di opporsi alle previsioni contenute dal cosiddetto “Decreto Salvini” dopo la sua conversione in legge. Precedentemente, infatti, alcuni Comuni avevano dichiarato di sospendere gli effetti del decreto ma solo fino alla sua approvazione definitiva.

    “Per questo” spiegano dall’associazione Alterego, “abbiamo pensato di elaborare un primo modello di delibera che smonti un pezzetto della legge n.113/2018” proprio nella parte in cui, prevedendo l’impossibilità per il richiedente, titolare di un permesso di soggiorno per richiesta asilo, di iscriversi all’anagrafe, “si pone in piena violazione dell’articolo 26 della Convenzione di Ginevra e comporta una grave limitazione al godimento di quei diritti che la nostra Carta Costituzionale individua come diritti fondamentali”.

    Quello che potete leggere qui (https://www.tpi.it/app/uploads/2019/01/DELIBERA-ISCRIZIONE-ANAGRAFE-RICHIEDENTI-ASILO.pdf) è un modello di delibera “che mettiamo nelle mani dei Comuni solidali che realmente vogliono contrastare gli effetti di questo decreto. Un modello di delibera che mettiamo nelle mani degli attivisti e degli abitanti delle nostre città, piccole o grandi che siano, per fare pressione sui loro governanti e sfidarli ad istituire l’albo per l’iscrizione dei richiedenti asilo”.

    L’iscrizione all’anagrafe, infatti, rimane lo strumento tramite il quale si consente ai poteri pubblici di pianificare i servizi da erogare alla popolazione; inoltre “essa è da sempre presupposto per l’accesso ad altri diritti sociali e civili, come l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale; l’accesso all’assistenza sociale e concessione di eventuali sussidi previsti dagli enti locali”.

    Nel modello di delibera si richiama la competenza comunale in materia di istituzione di un albo anagrafico (art. 14 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267), i casi in cui i Comuni hanno già esercitato tale potere istitutivo (si vedano i registri per le unioni civili); la Convezione di Ginevra; gli articoli della nostra Costituzione che tutelano l’iscrizione anagrafica e la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto un diritto alla residenza qualificato come “diritto soggettivo”.

    “Il tutto” spiegano da Alterego “per dire una sola cosa alle istituzioni locali: se volete, avete tutto il potere di istituire quest’albo e garantire ai richiedenti asilo l’iscrizione anagrafica. Avete dalla vostra, la forza della ragione e la forza del Diritto”.

    Il messaggio agli amministratori è chiaro: “Decidano da che parte stare: se dalla parte della cieca obbedienza a delle leggi disumane, che condannano migliaia di persone alla marginalità rendendole carne da cannone per le Mafie, oppure dalla parte della sicurezza dei diritti”.

    https://www.tpi.it/2019/01/04/delibera-contro-decreto-salvini-sicurezza
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