• Fermo Mare Jonio: il Ministro Piantedosi ha mentito al Parlamento
    https://www.meltingpot.org/2024/04/fermo-mare-jonio-il-ministro-piantedosi-ha-mentito-al-parlamento

    Giovedì pomeriggio in Senato, il Ministro dell’interno Piantedosi ha risposto all’interrogazione urgente presentata dal senatore Antonio Nicita in merito all’attacco armato da parte della motovedetta libica 658 “Fezzan”, avvenuto lo scorso 4 aprile in acque internazionali, contro naufraghi in acqua e i soccorritori della nave Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans. Il titolare del Viminale ha affermato che la nave italiana è intervenuta in un “momento successivo, avvicinandosi alla motovedetta Fezzan quando questa aveva già assolto gli obblighi di salvataggio #In_mare”. Secondo Mediterranea, quando detto da Piantedosi, «è clamorosamente falso». Queste affermazioni sono confermate dal nuovo #Video diffuso (...)

    #Notizie #Accordo_Italia_-_Libia #Decreto_Piantedosi #Italia #Libia #Mediterraneo_centrale #Operazioni_SAR #Redazione #Violazioni_e_abusi

  • #Padova. L’appello-denuncia sul centro d’accoglienza temporaneo all’ex aeroporto Allegri
    https://www.meltingpot.org/2023/12/padova-lappello-denuncia-sul-centro-daccoglienza-temporaneo-allex-aeropo

    A settembre scorso la Prefettura di Padova ha allestito un centro temporaneo di prima #Accoglienza di persone migranti, per sopperire alla carenza di posti letto nei CAS locali. Il luogo scelto è l’Aeroporto Allegri, dove le persone sono alloggiate in container da quattro persone ciascuno (6x3x2.8 metri quadri). Inoltre, vi è un modulo separato per la mensa e uno per il bagno. Inizialmente, la Prefettura aveva chiesto alla Croce Rossa la disponibilità ad essere l’ente gestore. In seguito alla risposta negativa della CRI, che si è resa disponibile solo ad effettuare gli screening sanitari, la gestione è attualmente in (...)

    #Comunicati_stampa_e_appelli #Notizie #A_proposito_di_Accoglienza #Decreto_Piantedosi #DL_10_marzo_2023,n._20_Decreto_Cutro #Italia #Minori_e_Minori_Stranieri_Non_Accompagnati #Solidarietà_e_attivismo #Veneto

  • I nuovi DL sull’immigrazione: un incontro online per rispondere ad alcune domande
    https://www.meltingpot.org/2023/11/i-nuovi-dl-sullimmigrazione-un-incontro-online-per-rispondere-ad-alcune-

    Mercoledì 29 novembre 2023 alle 18.30, in diretta sulla pagina facebook del Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose e sul canale YouTube, si terrà un incontro formativo sui nuovi decreti legge sull’immigrazione e le conseguenze alla regolarità di soggiorno e sull’accesso alla procedura. «Dalla richiesta di protezione al #Decreto_flussi, risponderemo ad alcune domande elaborate durante una consultazione tra operatori e avvocati e che riguardano il Decreto Flussi, la nuova Protezione Speciale (rinnovo e conversione), e quali rischi per chi reitera e per chi proviene da un paese terzo cosiddetto “sicuro”», spiegano gli organizzatori. Con la partecipazione di Noris (...)

    #Incontri_informativi_e_formativi #Diritto_di_asilo #DL_10_marzo_2023,n._20_Decreto_Cutro #Domanda_reiterata_di_asilo #Italia #Permesso_di_soggiorno_per_protezione_speciale_art._32,co._3,_del_D.lgs_n.25/2008

  • Ventimiglia: migranti in ostaggio tra confini militarizzati e nuovi cpr

    La Francia si blinda e Ventimiglia rischia di essere al centro di un nuovo scontro europeo sulla gestione dei flussi migratori.

    Sono ormai giorni che, in nome dell’ “emergenza migranti”, le autorità francesi mantengono un massiccio dispiegamento di mezzi antiterrorismo in frontiera, effettuando controlli sempre più stringenti anche in val Roya, nelle zone collinari a cavallo tra Italia e Francia, sulle principali linee ferroviarie e sui sentieri che connettono i due Paesi a sud-est.

    Una situazione sempre più complessa e gravosa per le persone migranti che cercano di lasciare l’Italia e, al momento, bloccate nella cittadina ligure.
    La partita europea sulla gestione dei flussi migratori continua a esser giocata sulla loro pelle e, in questo quadro, difficile prevedere le conseguenze dirette e indiretta della recente bocciatura dei respingimenti eseguiti dalla Francia sulle frontiere interne da parte della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

    A complicare il quadro, l’inizio dei lavori per la realizzazione di un Centro di Identificazione per Migranti sul versante francese della frontiera di #Ponte_San_Ludovico e l’annuncio del Ministro Pientedosi circa la possibile realizzazione, proprio a Ventimiglia, di uno dei nuovi Centri di Permanenza per il Rimpatrio previsti dal #Decreto_Legge_Sud.

    https://www.osservatoriorepressione.info/processano-riace-vogliono-carceri-innocenti

    Interview audio avec Gregorio de #Progetto_20k:
    https://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2023/09/Gregorio-progetto-20k-xxmiglia.mp3


    #CPR #détention_administrative #Centro_di_permanenza_per_rimpatri #centre_d'identification #migrations #asile #réfugiés #frontières #Alpes_Maritimes #Alpes

    voir aussi ce fil de discussion sur la militarisation de la frontière italo-française à #Vintimille (automne 2023):
    https://seenthis.net/messages/1018121

    • Je poste ici des citations tirées de ce texte d’un texte de Fulvio Vassallo Paleologo, en mettant en avant les parties consacrées à la construction de nouveaux centres d’identification (et détention/rétention) dans les zones de frontière prévus dans les nouveaux décrets italiens :

      Oltre le sigle, la detenzione amministrativa si diffonde nelle procedure in frontiera e cancella il diritto di asilo ed i diritti di difesa

      Il governo Meloni con un ennesimo decreto sicurezza, ma se ne attende un’altro per colpire i minori stranieri non accompagnati,” al fine di rendere più veloci i rimpatri”, cerca di raddoppiare i CPR (https://www.openpolis.it/aumentano-i-fondi-per-la-detenzione-dei-migranti) e di creare di nuovi centri di detenzione amministrativa vicino ai luoghi di frontiera (https://pagellapolitica.it/articoli/meloni-errori-centri-rimpatri-blocco-navale), meglio in località isolate, per le procedure accelerate destinate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri”. La legge 50 del 2023 (già definita impropriamente “#Decreto_Cutro”: https://www.a-dif.org/2023/05/06/il-decreto-cutro-in-gazzetta-ufficiale-con-la-firma-del-viminale) prevede che il richiedente asilo, qualora sia proveniente da un Paese di origine sicuro, e sia entrato irregolarmente, possa essere trattenuto per 30 giorni, durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

      (...)

      Di fronte al fallimento delle politiche migratorie del governo Meloni, dopo l’annuncio, da parte dell’ennesimo Commissario all’emergenza, di un piano nazionale per la detenzione amministrativa (https://www.laverita.info/valenti-sbarchi-governo-2663754145.html), al fine di applicare “procedure accelerate in frontiera” in centri chiusi, dei richiedenti asilo, se provengono da paesi di origine definiti “sicuri”. si richiamano una serie di decreti ministeriali (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/03/25/23A01952/sg) che hanno formato una apposita lista che non tiene conto della situazione attuale in gran parte dell’Africa, soprattutto nella fascia subsahariana, dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan e il rovesciamento in Niger del governo sostenuto dai paesi occidentali. Non si hanno ancora notizie certe, invece, dei nuovi centri per i rimpatri (CPR) che si era annunciato sarebbero stati attivati in ogni regione italiana (https://altreconomia.it/ors-ekene-engel-badia-grande-le-regine-dellaffare-milionario-dei-cpr). Le resistenze delle amministrazioni locali, anche di destra, hanno evidentemente rallentato questo progetto dai costi enormi, per l’impianto e la gestione.

      I rimpatri con accompagnamento forzato nei primi sette mesi dell’anno sono stati soltanto 2.561 (+28,05%) rispetto ai 2.000 dello scorso anno. Nulla rispetto ad oltre 100.000 arrivi ed a oltre 70.000 richieste di asilo, conteggiati proprio il 15 agosto, quando il Viminale dà i suoi numeri, esibendo quando conviene le percentuali e lasciando nell’ombra i dati assoluti. Ed oggi i numeri sono ancora più elevati, si tratta non solo di numeri ma di persone, uomini, donne e bambini lasciati allo sbando dopo lo sbarco, che cercano soltanto di lasciare il nostro paese prima possibile. Per questo il primo CPR targato Piantedosi (https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/23_settembre_20/nuovi-cpr-dalla-valle-d-aosta-alla-calabria-dove-saranno-e-chi-dovra-a) che si aprirà a breve potrebbe essere ubicato a Ventimiglia, vicino al confine tra Italia e Francia, mentre Svizzera ed Austria hanno già annunciato un inasprimento dei controlli di frontiera.

      La prima struttura detentiva entrata in attività lo scorso primo settembre (https://www.regione.sicilia.it/istituzioni/servizi-informativi/decreti-e-direttive/ampliamento-hotspot-pozzallo-l-attivazione-centro-incremento-accogli), per dare applicazione, ancora chiamata “sperimentazione”, alle procedure accelerate in frontiera previste dal Decreto “Cutro”, è ubicata nell’area industriale tra i comuni confinanti di Pozzallo e Modica. dove da anni esiste un centro Hotspot, nella zona portuale, che opera spesso in modalità di “centro chiuso”, nel quale già da tempo è stata periodicamente limitata la libertà personale degli “ospiti”. Si tratta di una nuova struttura da 84 posti nella quale vengono rinchiusi per un mese coloro che provengono da paesi di origine definiti “sicuri”, prima del diniego sulla richiesta di protezione che si dà come scontato e del successivo tentativo di rimpatrio con accompagnamento forzato, sempre che i paesi di origine accettino la riammissione dei loro cittadini giunti irregolarmente in Italia. Le informazioni provenienti da fonti ufficiali non dicono molto, ma la natura detentiva della struttura e i suoi costi sono facilmente reperibili on line.

      (...)

      L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera (https://www.questionegiustizia.it/articolo/le-nuove-procedure-accelerate-lo-svilimento-del-diritto-di-asilo_), soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
      In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.

      https://seenthis.net/messages/1018938

      #décret_Cutro #decreto_Sud #rétention #détention_administrative #Italie #France #frontières #pays_d'origine_sure #pays_sûrs #frontière_sud-alpine #procédure_accélérée #procédures_accélérées #tri #catégorisation

    • Le nuove procedure accelerate : lo svilimento del diritto di asilo

      –-> un texte juridique qui date du 3 novembre 2019, mais qui explique différents éléments des procédures à la frontière

      Numerose sono le deroghe alle procedure ordinarie, sia amministrative sia giurisdizionali, applicabili alle domande di protezione internazionale nelle articolate ipotesi introdotte dal dl 113/2018. L’analisi delle nuove disposizioni rivela profili di incompatibilità sia con la cd. direttiva procedure sia con il diritto di asilo costituzionale

      Premessa

      Il dl 113/18 (cd. Decreto Salvini 1, convertito in l. 132/18) ha profondamente inciso nella configurazione del diritto di asilo in Italia, anche tramite la riforma delle procedure accelerate.

      L’istituto è poco conosciuto e la riforma del dl113/18 su questo aspetto decisamente sottovalutata dagli analisti. Eppure, si tratta di un complesso di norme congegnate in modo tale da svuotare di significato il diritto di asilo, mantenendone l’impalcatura ma di fatto rendendo estremamente difficile il suo reale esercizio.

      Il dl113/18 in gran parte utilizza i margini lasciati aperti dal legislatore europeo con la direttiva procedure (direttiva 2013/32/UE)[1], e in parte va oltre, introducendo norme in contrasto con il diritto europeo la cui legittimità dovrà essere valutata in un prossimo futuro dalla Corte di Giustizia UE e dalla Corte costituzionale[2]. Al contempo, per cogliere il significato pratico di questa parte di riforma, è necessario considerare anche la modifica di alcuni altri istituti, quale la detenzione a fini identificativi, anch’essa introdotta dal dl113/18 e la nuova configurazione della domanda reiterata.

      Secondo la direttiva procedure[3] e la normativa italiana, essere sottoposti ad una procedura accelerata significa subire una contrazione significativa del proprio diritto di difesa, e non solo. Come è noto, in caso di diniego a seguito di una procedura accelerata, il termine per l’impugnazione è (quasi sempre) dimezzato e il ricorso perde il suo effetto sospensivo automatico (in differente misura, come si dirà in seguito). Ma non basta. In caso di procedure accelerate, l’esame della domanda di asilo viene svolto in tempi molto rapidi (di norma sette o quattordici giorni prorogabili alle condizioni di cui all’art. 28-bis comma 3 del d.lgs. 25/2008) e in molte circostanze ciò accade al momento dell’arrivo in Italia, ossia nei luoghi di frontiera e in condizioni di trattenimento. Il richiedente asilo, in questa fase, si trova presumibilmente in una situazione di isolamento sociale, non avendo contatti con le organizzazioni e con gli operatori che svolgono attività di informazione e preparazione all’intervista presso la Commissione territoriale. Eccezion fatta per la possibile presenza in zona di frontiera dell’Unhcr, che su incarico del Ministero dell’Interno fornisce informative generali al momento dell’arrivo, che in nessun modo possono considerarsi realmente propedeutiche alla preparazione del richiedente asilo all’intervista in Commissione. Si tratta di una evoluzione del c.d. approccio hotspot, indebitamente introdotto di fatto e non di diritto dal Ministero dell’interno nell’autunno del 2015 su insistenza della Commissione UE, che ne richiese a gran voce il suo utilizzo con l’agenda UE sulle migrazioni del maggio 2015[4]. L’approccio hotspot viene introdotto come una tecnica di fatto per distinguere i richiedenti asilo dai c.d. presunti migranti economici, mantenendo una postazione di garanzia generale affidata alle Nazioni Unite e ad alcune Ong, su incarico e finanziamento ministeriale, che potessero formalmente garantire il diritto ad essere informati, alle forze di polizia di i cittadini stranieri, immediatamente dopo lo sbarco, quali richiedenti asilo o come migranti economici irregolari e sottoponibili a un respingimento differito o ad una espulsione[5]. Il dl113/18 completa il quadro. Introduce per la prima volta le procedure di frontiera, la nozione di paesi di origine sicuri e il trattenimento a fini identificativi in frontiera, amplia le ipotesi di manifesta infondatezza e riporta il tutto nell’ambito delle procedure accelerate.

      1. Il trattenimento a scopo identificativo del richiedente asilo

      In tale direzione, l’art.3 del dl 113/18 anzitutto introduce, per la prima volta in Italia, la figura del trattenimento a scopo identificativo del richiedente asilo (art. 6 comma 3-bis, d.lgs. 142/15), che potrà essere trattenuto in una struttura di cui all’art. 10 ter d.lgs 286/98 (i c.d. hotspot e la prima accoglienza, ossia i cd. hub) fino a 30 giorni e successivamente fino a 180 gg in un Cpr, ogniqualvolta si renda necessario verificarne o determinarne l’identità o la cittadinanza: dicitura pericolosamente ampia che di fatto potrebbe investire la totalità dei nuovi arrivi in Italia[6]. Il richiedente asilo, quindi, al suo arrivo in Italia può essere trattenuto in una struttura di frontiera o di primissima accoglienza per un tempo sufficiente per essere sentito dalla Commissione territoriale e per ricevere la notifica dell’eventuale diniego. Potrà in seguito essere poi trattenuto in un Cpr per un lasso di tempo di altri 5 mesi, che saranno di norma sufficienti ad arrivare ad un diniego con procedura accelerata con eventuale rigetto della richiesta di sospensiva contenuta nel ricorso. Il richiedente quindi resterebbe in una condizione di grande isolamento, dovrebbe preparare la Commissione in tempi strettissimi e senza un reale sostegno. Inoltre, lo stesso richiedente asilo si troverebbe a disposizione delle Forze di polizia in caso di diniego e per un eventuale rimpatrio forzato.

      In ogni caso, il dl113/18 chiarisce che tutti i richiedenti asilo trattenuti anche solo a fini identificativi saranno sottoposti a procedura accelerata (ai sensi dell’art. 28-bis comma 1 che richiama l’art. 28 comma 1 lett. c) e dunque saranno sentiti dalla Commissione entro 7 giorni dall’invio degli atti da parte della Questura (che provvede “immediatamente” dopo la domanda di asilo). I richiedenti asilo trattenuti riceveranno la risposta nei successivi due giorni e in caso di diniego avranno il diritto di restare in Italia per la presentazione del ricorso (entro 15 giorni) e – in caso di richiesta di sospensiva – fino a quando il Tribunale non avrà respinto tale richiesta (in via definitiva, ossia dopo le eventuali repliche del difensore ai sensi dell’art. 35-bis comma 4 d.lgs. 25/08). La decisione del giudice viene adottata inaudita altera parte, sulla base delle motivazioni trasfuse nel ricorso dal difensore, che ha avuto solo 15 giorni per apprestare la difesa con il suo assistito trattenuto (in un c.d. hotspot o in un Cpr) sin dal suo arrivo in Italia, con presumibile carenza di strumenti comunicativi e limitata cognizione degli elementi rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale in Italia.

      Il trattenimento a scopo identificativo appare in chiaro contrasto con gli artt. 13 e 3 della Costituzione italiana, che delineano una disciplina rigorosa della privazione della libertà solo come extrema ratio e in condizioni di parità di trattamento tra cittadini stranieri e italiani. Tuttavia, la Consulta non ha ancora avuto modo di valutarne la legittimità, in quanto, non essendo ancora mai stati adottati decreti di trattenimento a fini identificativi, la questione di legittimità costituzionale non è stata sollevata. Tuttavia, stante le denunce pubbliche e i ricorsi alla Corte EDU[7], appare molto probabile che il Ministero degli Interni stia ancora ricorrendo al trattenimento di fatto sine titulo dei cittadini stranieri appena giunti in Italia, secondo l’ormai noto schema dell’approccio hotspot: la persona straniera viene trattenuta senza alcun provvedimento nell’hotspot per il tempo necessario a sottoporlo al c.d. foglio notizie e al foto-segnalamento. Con il foglio notizie, come ormai di dominio pubblico[8], il cittadino straniero viene guidato ad autodefinirsi o come richiedente o come migrante economico irregolare e in quest’ultimo caso sottoposto a respingimento differito previo eventuale trattenimento in Cpr.

      2. Le procedure di frontiera

      L’art. 9 del dl 113/18 introduce, anche in questo caso per la prima volta in Italia, la procedura di frontiera, aggiungendo due nuovi commi all’art. 28-bis del d.lgs 25/2008, la norma che si occupa delle procedure accelerate. Più esattamente, il comma 1-ter, secondo cui la procedura accelerata – già vista per i casi di domanda di asilo presentata da richiedenti asilo trattenuti – si applica anche al richiedente che “presenti la domanda di protezione internazionale direttamente alla frontiera o nelle zone di transito (…) dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli (…)” e “nei casi di cui all’art. 28, comma 1, lettera c-ter” (ossia nei casi di cittadino proveniente da paese di origine sicuro) . In tali casi la procedura, “può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito”. Mentre, il comma 1-quater specifica che “(…) le zone di frontiera o di transito sono individuate con decreto del Ministro dell’interno. Con il medesimo decreto possono essere istituite fino a cinque ulteriori sezioni delle Commissioni territoriali (…) per l’esame delle domande di cui al medesimo comma 1-ter.”. Quindi, ai sensi della nuova norma, chi presenta la domanda in frontiera o nelle zone di transito viene sottoposto a procedura accelerata (7 gg + 2 gg) ogni qualvolta sia stato fermato per aver eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera oppure provenga da uno Stato dichiarato dall’Italia come paese di origine sicuro (come meglio si dirà nel prosieguo). In entrambi i casi, si tratta di una domanda presentata in frontiera o zone di transito.

      Il ricorso avverso il rigetto della Commissione anche in questo caso non ha effetto sospensivo automatico (art. 35-bis comma 3 lett. d), e può essere presentato entro 30 giorni (e non 15) dalla relativa notifica, stante la nuova formulazione dell’art. 35-bis comma 2.

      Diviene, anzitutto, fondamentale interpretare correttamente la nozione di elusione delle frontiere. Se la si intende come violazione delle norme di ingresso, la quasi totalità dei richiedenti asilo rientrerà nel suo ambito (essendo per lo più privi di passaporto o di visto di ingresso)[9] . Viceversa, si ritiene che debba interpretarsi secondo l’accezione principale del verbo eludere, ossia “Sfuggire, evitare con astuzia o destrezza”[10], limitando quindi l’applicazione della legge ai soli casi in cui il richiedente non si presenti spontaneamente ai controlli di frontiera (o perfino richiedendo il soccorso) ma venga bloccato quando è in atto un tentativo strutturato di superarli furtivamente.

      In secondo luogo, appare decisiva una corretta delimitazione della nozione di frontiera e zona di transito, per evitare una applicazione indebita della nuova forma di procedura accelerata. Per frontiera deve intendersi necessariamente il luogo di prossimità fisica con il confine territoriale con un territorio non europeo. Tipicamente Lampedusa, ma anche altre parti del sud Italia in caso di sbarco diretto dal mare al porto interessato (meno di frequente, ma sono registrati molti casi in Sicilia, Calabria, Puglia, etc.). Per zone di transito, anche più semplicemente, si devono intendere gli aeroporti e i porti internazionali, dove per convenzione esistono dei passaggi dal vettore aereo o marino al territorio italiano che rappresentano di fatto una frontiera virtuale, perché immettono la persona proveniente da paese extra Schengen in territorio italiano. Non possono essere considerate frontiere o zone di transito i confini con i paesi europei e tanto meno i luoghi non immediatamente prossimi, dove le persone soccorse o bloccate vengono condotte per ragioni logistiche. Dovrà, quindi, in gran parte ritenersi illegittimo il decreto ministeriale[11] emanato nelle scorse settimane ai sensi dell’art. 28-bis comma 1-quater che individua le zone di frontiera in numerose città del centro sud che non sono affatto interessate da arrivi diretti (se non eventualmente negli aeroporti) da zone extra Schengen, ma al contrario sono sedi di accoglienze o Cpr in cui vengono condotti i richiedenti asilo giunti in frontiere molto distanti[12]. Il decreto, a titolo esemplificativo, individua come zona di frontiera la città di Messina, che di certo non è interessata da arrivi diretti di cittadini non comunitari, ma al contrario è la sede di un cd. hotspot dove vengono condotti i cittadini stranieri giunti a Lampedusa[13]. L’intenzione del legislatore europeo di intendere in senso proprio le zone di frontiera come quelle che fisicamente confinano con una zona extra Schengen si evince tra l’altro dall’art. 43, par. 3, direttiva 2013/32 UE (Procedure di frontiera) che recita significativamente “Nel caso in cui gli arrivi in cui è coinvolto un gran numero di cittadini di paesi terzi o di apolidi che presentano domande di protezione internazionale alla frontiera o in una zona di transito, rendano all’atto pratico impossibile applicare ivi le disposizioni di cui al paragrafo 1, dette procedure si possono applicare anche nei luoghi e per il periodo in cui i cittadini di paesi terzi o gli apolidi in questione sono normalmente accolti nelle immediate vicinanze della frontiera o della zona di transito”. Il legislatore UE considera, pertanto, eccezionale l’ipotesi di utilizzo, ai fini delle procedure di frontiera, di un luogo diverso da quello dell’arrivo; anche in questo caso (eccezionale afflusso) prevede, comunque, che si tratti di un luogo collocato nelle immediate vicinanze, cosa che non può dirsi, a scopo esemplificativo, per il cd. hotspot di Messina rispetto alle persone che sbarcano a Lampedusa.

      La procedura di frontiera, dunque, consiste in una procedura accelerata che viene applicata da Commissioni ad hoc in zona di frontiera a chi vi è giunto direttamente da un paese extra Schengen con l’intenzione di sottrarsi dolosamente ai controlli di frontiera[14] (o proviene da un paese di origine sicuro). Questa appare l’interpretazione più consona dei commi 1-ter e 1-quater introdotti dal dl 113/2019, che tuttavia anche in questa lettura appaiono contrari alla direttiva 2013/32/UE. Quest’ultima, infatti, nel combinato disposto degli artt. 43 e 31, par. 8, delineano un sistema di procedure accelerate e procedure di frontiera con l’indicazione di una serie di ipotesi tassative non suscettibili di ampliamenti[15]. Il legislatore europeo è ben consapevole che tali procedure contraggono in modo radicale i diritti dei richiedenti asilo e ne evidenza in modo chiaro il carattere eccezionale, non derogabile. Viceversa, il legislatore italiano con il dl 113/18 sancisce che le procedure di frontiera siano applicate ai richiedenti fermati in frontiera che eludono o cercano di eludere i valichi, ossia in un caso non incluso nella lista tassativa delle ipotesi di procedure accelerate e di frontiera di cui all’art. 31, par. 8, direttiva 2013/32/UE. Sarà dunque possibile disapplicare la norma nazionale posto che quest’ultima disposizione della direttiva procedure è suscettibile di produrre effetti diretti. A tal fine è possibile, sebbene non sia necessario, sollevare una questione pregiudiziale all’interno di un procedimento art. 35-bis d.lgs 25/08 e attendere una sentenza interpretativa della Corte di Giustizia.

      3. I Paesi di origine sicuri

      Un’altra novità del dl 113/2018 (introdotta in sede di conversione), con enormi potenzialità, è rappresentata dall’art. 7-bis (trasfuso nell’art. 2-bis al d.lgs 25/08) che introduce per la prima volta il concetto di Paesi di origine sicuri.

      Il 4 ottobre 2019 il Ministro degli Affari Esteri e il Ministro della Giustizia hanno presentato in conferenza stampa il decreto contenente una lista di 13 paesi di origine sicuri.

      Attraverso l’introduzione dell’art. 2-bis al decreto 25/2008 (cd. Decreto procedure), la norma ha previsto infatti la possibilità per il Ministro degli affari esteri, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell’interno, di adottare con decreto interministeriale un elenco di paesi di origine sicuri in base ai criteri stabiliti nei commi successivi del medesimo articolo.

      L’introduzione di tale concetto ha potenzialità rivoluzionarie dell’attuale sistema di tutela, comportando un estremo svilimento dell’asilo che passa attraverso lo slittamento della protezione da un piano individuale a un piano collettivo e attuando, attraverso la previsione – come si vedrà, piuttosto confusa – di una procedura estremamente restrittiva delle garanzie del richiedente protezione, uno svuotamento di fatto della possibilità di accedere alla protezione.

      Per quanto riguarda criteri e modalità di valutazione, si prevede (art. 2-bis cc. 2, 3 e 4) che uno stato possa essere considerato paese di origine sicuro ove sia possibile dimostrare, in via generale e costante, che, sulla base del suo ordinamento, dell’applicazione della legge in un sistema democratico e della situazione politica generale, non sussistano atti di persecuzione, tortura, trattamenti inumani o degradanti, una situazione di violenza indiscriminata. Per effettuare tale valutazione si tiene conto della misura in cui è offerta protezione contro persecuzioni e maltrattamenti mediante le disposizioni legislative e la loro applicazione, il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nei principali strumenti internazionali di tutela dei diritti umani, il rispetto del principio di non-refoulement, e un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni. Gli strumenti di cui si dota l’esecutivo per la valutazione di tali criteri sono le informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, da Easo, Unhcr, Consiglio di Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

      Il decreto recentemente presentato dai Ministri, tuttavia, si limita a riportare una lista di 13 paesi considerati sicuri, attraverso un riferimento a fonti (non pubbliche) del Ministero degli affari esteri e della Commissione nazionale utilizzate per l’individuazione di tali Stati. Alcuna informazione è contenuta nel Decreto relativamente ai criteri sopra elencati. Non viene inoltre utilizzata la possibilità, contenuta all’art. 2-bis, di escludere determinate parti del territorio o determinate categorie di persone dalla valutazione di sicurezza complessiva che viene fatta del paese.

      Gli stati contenuti in tale lista sono: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina.

      È utile rilevare che, trattandosi di una lista determinata da un atto amministrativo (ossia il decreto interministeriale), questa avrà un valore non vincolante per il giudice che in sede di valutazione del ricorso potrà disapplicare il decreto .

      Il paese di origine si considera sicuro per il richiedente che non abbia “invocato gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova” (art. 2-bis). Questa previsione comporta una radicale modifica nel regime probatorio: la sicurezza del paese di origine per il richiedente asilo si presume, e questi è tenuto a invocare i motivi che rendono il paese insicuro per lui, o, secondo quanto stabilito all’articolo 9 c. 2-bis, addirittura, a dimostrare la sussistenza di tali motivi.

      Ciò che qui interessa sono però le conseguenze connesse alla provenienza di un richiedente asilo da un Paese di origine dichiarato sicuro dal sopracitato decreto interministeriale. Il nuovo articolo 28 d.lgs 25/08 lo inserisce fra le ipotesi di esame prioritario (con scarse conseguenze pratiche), ma soprattutto il nuovo art 28-ter, comma 1 lett. b), lo inserisce nell’elenco delle ipotesi in cui la domanda di asilo può essere considerata manifestamente infondata (concetto su cui si tornerà nel prosieguo). A sua volta, l’art. 28-bis d.lgs 25/08 lo annovera tra le ipotesi di procedura accelerata. Più esattamente, il comma 1-bis stabilisce che, in questi casi (richiedente proveniente da Paese di origine sicuro), “la questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che adotta la decisione entro cinque giorni”. Dal tenore letterale, sembrerebbe affermarsi che in queste ipotesi la Commissione operi una valutazione sulla base di quanto dichiarato dal richiedente nella domanda di asilo (modello C3) senza procedere all’audizione.

      Tuttavia, questa interpretazione sarebbe da considerarsi illegittima per chiara contrarietà (tra l’altro) alla direttiva 2013/32/UE, che tassativamente consente di adottare una decisione senza un esame completo della domanda nei soli casi di inammissibilità di cui all’art 33 par. 2, che a sua volta annovera tra le possibilità tassative quella del richiedente proveniente da Paese terzo sicuro di cui all’art. 38, concetto del tutto differente da quello del Paese di origine sicuro di cui agli artt. 36 e 37. Il Paese terzo sicuro è, infatti, una nozione giuridica relativa ai paesi di transito del richiedente asilo e prodromica a un giudizio di ammissibilità che non è stato recepito nel nostro ordinamento. Il concetto di Paese di origine sicuro è, invece, attinente al paese di provenienza del richiedente ed è disciplinato dalla direttiva ai fini di una procedura accelerata, con ordinaria audizione del richiedente.

      Si tratta probabilmente di un errore grossolano del legislatore del dl 113/18, salvo si voglia attribuire un significato compatibile con il diritto UE: quello per cui il nuovo art. 28-bis, comma 1-bis sopra citato, attribuisce alla Commissione – all’interno della procedura accelerata – un termine di 5 giorni invece che di 2 giorni (come al comma 1 sempre dell’art. 28-bis) per adottare la decisione dopo aver effettuato l’audizione del richiedente, che andrebbe convocato presumibilmente nel termine di 7 giorni dalla trasmissione degli atti da parte della questura (come per le ipotesi già analizzata di cui al primo comma dell’art. 28-bis). In definitiva, la specifica procedura accelerata prevista dal comma 1-bis dell’art. 28-bis del dl 25/08 (come modificato dal dl 113/08) o è da considerarsi radicalmente illegittima per contrarietà alla direttiva procedure oppure deve interpretarsi nel senso di prevedere un termine di 7 giorni per la convocazione del richiedente asilo con una nazionalità tra quelle inserite nella lista dei Paesi di origine sicuri e un termine di 5 giorni (invece che 2) per la adozione della decisone da parte della Commissione.

      Inoltre, in caso di diniego della domanda presentata da richiedente che proviene da un Paese di origine sicuro, il termine per la proposizione del ricorso sarà di 15 giorni solo nella ipotesi in cui la domanda di protezione venga dichiarata manifestamente infondata ai sensi dell’art. 28-ter d.lgs 25/08 (che come si dirà più avanti prevede numerose ipotesi, tra cui anche quella del richiedente proveniente da Paese di origine sicuro). Questo poiché l’art. 35-bis, comma 2, nel dimezzare i termini ordinari, non richiama l’art. 28-bis comma 1-bis (quello specifico sui Paesi di origine sicuri) ma il comma 2, che disciplina le ipotesi in cui la Commissione può emanare un diniego con espressa dicitura di manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 28 ter (combinato disposto con l’art. 32 comma 1 lett. b-bis), che tra le ipotesi prevede anche il caso di richiedente proveniente da Paese di origine sicuro (ma si tratta evidentemente di una possibilità e non di un automatismo, in quanto anche in questi la domanda potrebbe considerarsi infondata ma non anche manifestamente infondata)[16].

      In termini identici deve risolversi il dubbio interpretativo relativo all’efficacia sospensiva. L’art. 35-bis, comma 3, stabilisce che non è riconosciuta un’efficacia automaticamente sospensiva nei casi espressamente richiamati, tra cui non annovera direttamente quello del Paese di origine sicuro di cui all’art. 28-bis comma 1-bis. Tuttavia, tra le ipotesi contemplate si rinviene quella del diniego per manifesta infondatezza ai sensi del combinato disposto dell’art. 32, comma 1 lett b-bis), e dell’art. 28-ter. Come per il dimezzamento dei termini, dunque, il ricorso avverso il rigetto di una domanda di asilo presentata da un richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non avrà effetto automaticamente sospensivo nella misura in cui il provvedimento della Commissione espressamente rigetti la domanda per manifesta infondatezza.

      Per i casi di diniego di richiedenti provenienti da paesi di origine sicuri, inoltre, il legislatore del dl 113/18 ha contratto ulteriormente il diritto di difesa, stabilendo che il normale obbligo motivazionale in fatto e in diritto previsto in caso di diniego da parte della Commissione Territoriale, sia sostituito da una motivazione che dà “atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro il Paese designato di origine sicuro in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso”. Sembrerebbe, quindi, vincolare o quanto meno consentire alla Commissione di rigettare una domanda di asilo con una stereotipata motivazione, priva degli ordinari elementi valutativi e giustificativi. Così intesa, appare evidente la contrarietà della norma agli ordinari parametri costituzionali in tema di motivazione e razionalità degli atti della pubblica amministrazione e agli obblighi motivazionali in fatto e in diritto a cui sono tenuti gli Stati membri in caso di rigetto della domanda di asilo ai sensi dell’art. 11, par. 2, della direttiva 2013/32/UE. D’altro canto, difficilmente della è immaginabile una lettura costituzionalmente orientata che modifichi l’obbligo motivazionale della Commissione in modo compatibile con la Costituzione e con la Direttiva procedure.

      Infine, come accennato nel precedente paragrafo, la provenienza da un paese di origine sicuro è rilevante anche in un’altra ipotesi, ossia quando il richiedente presenta la domanda di asilo in frontiera o in una zona di transito. Se la domanda di asilo è presentata in uno di questi due luoghi, da un richiedente che provenga da un paese di origine dichiarato sicuro, la Commissione territoriale potrà applicare una procedura accelerata e potrà (inoltre ma non necessariamente) svolgerla in frontiera. Si tratta del già esaminato comma 1 ter dell’art. 28-bis (procedure accelerate), che recita. “La procedura di cui al comma 1 [7 gg + 2 gg] si applica anche nel caso in cui il richiedente presenti la domanda di protezione internazionale direttamente alla frontiera o nelle zone di transito di cui al comma 1-quater (…) nei casi di cui all’articolo 28, comma 1, lettera c-ter). In tali casi la procedura può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito”. In queste ipotesi, il ricorso avverso l’eventuale diniego non avrà effetti sospensivi automatici (art. 35-bis comma 3 lett. d “La proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che nelle ipotesi in cui il ricorso viene proposto: …avverso il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 28-bis, commi 1-ter …)”[17]. Il termine per l’impugnazione rimarrebbe quello ordinario di 30 giorni. Appare evidente come l’applicazione congiunta delle nuove norme relative alle procedure in frontiera e ai paesi di origine sicuri (tanto più se lasciata a una interpretazione estensiva, come sembra implicare il decreto sulle zone di frontiera o di transito) può condurre a una procedura accelerata svolta in zona di frontiera (in gran fretta e in condizioni di semi-isolamento) di tutti i cittadini che provengono da uno dei paesi dichiarati sicuri (si pensi a tutti i cittadini tunisini che approdano nelle acque siciliane). Con la conseguente massiccia e sistematica contrazione dei diritti di difesa.

      4. La manifesta infondatezza

      Un’altra norma introdotta dal dl 113/18 (art. 7-bis, comma 1 lett. f), in sede di conversione) che potrebbe avere nella pratica un effetto vastissimo è l’art. 28-ter D.lgs 25/08, che prevede una complessa serie di casi di manifesta infondatezza. Precedentemente l’unica ipotesi di manifesta infondatezza era prevista dall’art. 28-bis, tra le ipotesi in cui si poteva applicare una procedura accelerata e di conseguenza giungere ad un eventuale rigetto per manifesta infondatezza. Si trattava dell’ipotesi in cui il richiedente aveva sollevato “esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale”. Era già avvertita come norma insidiosa, tanto è vero che la Commissione Nazionale nella circolare del 30.07.2015[18] aveva precisato come, per giungere a un rigetto per manifesta infondatezza, fosse necessario che la decisione collegiale della Commissione territoriale fosse stata adottata all’unanimità, che non riguardasse categorie vulnerabili (di cui all’art. 17 d.lgs 142/15) e che non fosse stata espletata una valutazione sull’attendibilità del richiedente, in quanto relativa a questioni non attinenti alla protezione internazionale dove non si pone neppure un problema di credibilità.

      Inoltre, la Corte di appello di Napoli,[19] nel sistema previgente la riforma 2018, aveva precisato che poteva giungersi a una decisione di manifesta infondatezza solo nella misura in cui fosse stata espletata (con il rispetto dei termini e delle garanzie) una procedura accelerata, mentre non era possibile nel caso di una decisone adottata a seguito di una procedura ordinaria. Ciò in ragione del fatto che l’art. 32 d.lgs 25/08, comma 1 lett.b-bis), nel disciplinare il caso in cui la Commissione poteva adottare una decisione per manifesta infondatezza, faceva espresso richiamo all’art. 28-bis, comma 2, ossia alla procedura accelerata in caso di possibile manifesta infondatezza. La sentenza della Corte di Appello di Napoli aveva posto fine a un dibattito complesso che aveva coinvolto molti attori. Tuttavia, la l. 132/2018, in sede di conversione, a fronte di un confronto serrato tra istituzioni e società civile, è intervenuta con l’art. 7, comma 1 lett. g), che modifica puntualmente il richiamo effettuato dal sopra menzionato art. 32 d.lgs 25/08. Infatti, quest’ultimo, nel prescrivere che il rigetto della Commissione territoriale può avere come contenuto anche una dichiarazione di manifesta infondatezza, non richiama più l’art. 28-bis, che disciplina le ipotesi di procedura accelerata, ma richiama il nuovo art. 28-ter, che introduce una gamma molto più articolata di ipotesi di manifesta infondatezza. Potrebbe dunque sostenersi che, a seguito della l. 132/2018, la Commissione territoriale possa adottare una decisione di manifesta infondatezza anche nel caso in cui abbia espletato una procedura ordinaria e non solo una procedura accelerata.

      Il nuovo art. 28-ter d.lgs 25/08 introduce, come accennato, nuove e rilevanti ipotesi di manifesta infondatezza che si aggiungono a quella appena sopra illustrata che viene confermata.

      La prima nuova ipotesi è quella del comma 1 lett. b), del richiedente che “(…) proviene da un Paese designato di origine sicuro”. Ipotesi già illustrata.

      Al comma 1 lett. c), viceversa si introduce il caso del richiedente che ha “(…) rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie o palesemente false, che contraddicono informazioni verificate sul Paese di origine”. In questa ipotesi, sarà possibile da parte della Commissione effettuare una valutazione di credibilità, ma il giudizio sarà operato sulla base della evidenza, in quanto si richiede che l’incoerenza e la contraddittorietà del richiedente siano palesi.

      Alla lettera d), la manifesta infondatezza viene sancita per il caso del richiedente che “(…) ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi o omettendo informazioni o documenti riguardanti la sua identità o cittadinanza che avrebbero potuto influenzare la decisione negativamente, ovvero ha dolosamente distrutto o fatto sparire un documento di identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l’identità o la cittadinanza”. Evidentemente, deve trattarsi di comportamenti posti in essere dal richiedente con la specifica intenzione di trarre in inganno la Commissione: non dovranno rilevare, dunque, i comportamenti finalizzati ad entrare nel territorio italiano (come tipicamente la distruzione del passaporto in zona di transito) o dichiarazioni non veritiere rese al momento della compilazione della domanda di asilo e determinati da mancanza di informazioni, possibili fraintendimenti linguistici o iniziali timori del richiedente appena giunto sul territorio.

      La successiva lett. e) introduce l’ipotesi potenzialmente più insidiosa, che potrebbe investire una gamma molto ampia di soggetti, prevedendo la manifesta infondatezza nel caso del richiedente che “(…) è entrato illegalmente nel territorio nazionale, o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno, e senza giustificato motivo non ha presentato la domanda tempestivamente rispetto alle circostanze del suo ingresso”. Moltissimi cittadini stranieri vivono sul territorio italiano privi di un permesso di soggiorno e molto spesso non presentano tempestivamente la domanda di asilo per ragioni non sempre facilmente comprensibili: mancanza di informazioni, timori del tutto infondati, etc. Sarà dunque necessario interpretare la locuzione “senza giustificato motivo” in maniera da tener conto anche della complessità interculturale e della più generale diversità di approccio che possono determinare le scelte dei cittadini stranieri che presentano la domanda di asilo anche molto tempo dopo il loro arrivo in Italia. Ulteriore perplessità suscita l’utilizzo del termine tempestivamente il quale, non essendo riferito ad un arco temporale ben determinato, si presta a dar luogo a numerose e differenziate interpretazioni applicative.

      La lett. f) aggiunge alla lista delle ipotesi quella del richiedente che “(…) ha rifiutato di adempiere all’obbligo del rilievo dattiloscopico a norma del regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013”. Infine, la lettera g) è relativa al richiedente “ (…) che si trova nelle condizioni di cui all’articolo 6, commi 2, lettere a), b) e c), e 3, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142”, ossia in condizioni di trattenimento, salvo che nel caso sia determinato dal mero rischio di fuga.

      Le nuove ipotesi di manifesta infondatezza che sono state introdotte con l’art. 28-ter trovano corrispondenza nella Direttiva procedure, che disciplina l’istituto nel combinato disposto dell’art. 32 e dell’art. 31, par. 8. Rimane la necessità di un’interpretazione rigorosa di alcuni requisiti, soprattutto relativi alla lett. e) per evitare un’applicazione distorta dell’istituto, che costituisce un’ipotesi derogatoria dell’ordinaria procedura e genera una contrazione importante dei diritti del richiedente asilo. Infatti, il richiedente che versa in una di queste condizioni potrà essere soggetto ad una procedura accelerata in forza del richiamo dell’art. 28-bis, comma 2 lett. a), d.lgs 25/08 (14 gg per la convocazione e 4 gg per la decisione) e qualora la Commissione confermi l’esistenza dei requisiti richiesti dalla norma sarà possibile un rigetto per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 32, comma 1 lett. b-bis). In tal caso, il ricorso avverso il diniego soggiace al termine per la sua proposizione di 15 giorni (ai sensi dell’art. 35-bis comma 2 d.lgs 25/08) e non avrà un effetto sospensivo automatico (ai sensi dell’art. 35-bis comma 3 lett. c d.lgs 25/08). La Direttiva procedure, tuttavia, stabilisce espressamente nell’art. 46, par. 6 lett. a) ultimo inciso, che non può escludersi l’effetto automaticamente sospensivo in caso di ricorso avverso un rigetto per manifesta infondatezza, qualora quest’ultima sia stata determinata dall’ingresso o dalla permanenza irregolare del richiedente sul territorio dello Stato membro avendo presentato la domanda di asilo in ritardo senza giustificato motivo[20].

      5. La domanda reiterata

      La riforma dell’istituto della domanda reiterata, operata dall’art. 9 del dl 113/18 che ha modificato gli artt. 7, 28, 29 e 29-bis del d.lgs 25/08, è probabilmente quella che assume un peso maggiore nell’effettivo esercizio del diritto di accedere alla procedura di asilo. Un intervento legislativo molto incisivo, strutturato e in gran parte contrario alla direttiva 2013/32/UE.

      In questa sede non sarà possibile una disamina completa, ma ci si limiterà a quei profili utili a completare il quadro dell’operazione portata a termine con la riforma delle procedure accelerate.

      L’art. 29, comma 1 lett. b), disciplina l’ipotesi preesistente di domanda reiterata, ossia quella del richiedente che, dopo aver ricevuto un rigetto definitivo della sua domanda di asilo, ha presentato una seconda domanda di asilo “identica” (…) , “senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine”. Questa seconda domanda di asilo può essere (come già in precedenza previsto) sottoposta a un giudizio di ammissibilità da parte della Commissione. Ossia un giudizio condotto sulla base del modello C3 e degli altri eventuali documenti prodotti dal richiedente al momento della presentazione della domanda. L’individuazione dei casi da sottoporre al giudizio di ammissibilità è affidata al Presidente della Commissione territoriale (art. 28. comma 1-bis, d.lgs 25/08) mentre la sua valutazione è di competenza della Commissione territoriale in composizione collegiale (art. 29, comma 1, d.lgs 25/08). Il Presidente, dunque, procede a un “esame preliminare” (art. 29, comma 1-bis) senza alcuna audizione del richiedente e la Commissione adotta l’eventuale decisione di inammissibilità. Prima della riforma del dl 113/18, il Presidente aveva l’obbligo di avvisare (ai sensi dell’art. 29 comma 1-bis) il richiedente che si stava svolgendo un esame preliminare ad una dichiarazione di inammissibilità e quest’ultimo, entro 3 giorni, aveva il diritto di inviare una memoria per integrare o meglio illustrare i nuovi elementi posti alla base della sua seconda domanda di asilo. Questa garanzia del richiedente è stata abrogata, in linea con le facoltà concesse a ogni Stato membro dalla Direttiva 2013/32/UE all’art. 42 comma 2 lett. b). Ovviamente, se dall’esame preliminare e cartaceo della domanda di asilo dovesse risultare che “(…) sono emersi o sono stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi che aumentano in modo significativo la probabilità che al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale” il richiedente sarà convocato per una nuova e ordinaria audizione (art. 40, par. 3, direttiva 2013/32/UE). È evidente che ciò che giuridicamente rileva è l’esistenza nella nuova domanda di asilo (in pratica nel modello C3) che siano stati addotti nuovi elementi e non anche che questi appaiano già fondati ad una prima lettura. Al contempo, devono considerarsi nuovi anche gli elementi che precedentemente non erano stati addotti per una qualsiasi ragione[21] dal richiedente asilo. Infine, tali elementi possono essere relativi alla storia personale del richiedente (ed essere anche intesi come elementi probatori) o alla condizione socio-politico del suo paese di origine.

      La procedura prevista per la dichiarazione di inammissibilità è accelerata ai sensi dell’art. 28-bis, comma 1-bis, d.lgs 25/08, secondo cui in questi casi “(…) la questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che adotta la decisione entro cinque giorni”.

      La decisione di inammissibilità è impugnabile innanzi al Tribunale civile entro 30 giorni dalla notifica (l’art. 35-bis, comma 2, che stabilisce i casi di riduzione a 15 gg del termine di impugnazione, infatti, non richiama il comma 1-bis dell’art. 28-bis). Il ricorso avverso la decisione di inammissibilità non ne sospende automaticamente gli effetti, ma sarà necessario come negli altri casi già esaminati presentare apposita istanza cautelare. Tuttavia, il legislatore del dl 113/18 ha apportato un’importante modifica relativa al diritto del richiedente di attendere in Italia la decisione del Tribunale civile in merito alla propria richiesta di sospensiva. Infatti, il nuovo art. 35-bis, comma 5, d.lgs 25/08 stabilisce che, nel caso di questa ipotesi di inammissibilità, il richiedente ha diritto di permanere in Italia fino al deposito del ricorso (o allo spirare del termine), ma non anche di attendere che il giudice adotti una decisione sulla domanda cautelare di sospensione degli effetti che il richiedente ha avanzato con il ricorso medesimo. Questa previsione, tuttavia, è da considerarsi illegittima per contrarietà alla direttiva 2013/32/UE, art. 41, che espressamente indica i casi in cui è possibile derogare al diritto di rimanere sul territorio del Paese membro in attesa della decisione definitiva del Giudice sull’istanza di sospensiva. I casi previsti dall’art. 41 sono solo due: il primo è quello del richiedente che presenta una terza (o quarta, etc.) domanda di asilo (art. 41, lett. b) e il secondo è relativo al richiedente che ha presentato una seconda domanda di asilo “al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione” di un provvedimento che ne comporterebbe “l’imminente” rimpatrio forzato. Sull’esatto significato di queste due ipotesi si ritornerà a breve, per il momento interessa evidenziare che la limitazione del diritto di rimanere in Italia dopo il deposito del ricorso avverso l’inammissibilità e in attesa della decisone del giudice sulla istanza di sospensiva, sancita dal nuovo art. 35-bis, comma 5, d.lgs 25/08, è illegittima, in quanto la Direttiva procedure nell’art. 41 permette una tale limitazione esclusivamente in altri casi, del tutto differenti, che, infatti (come vedremo a breve), hanno una indipendente disciplina anche nell’ordinamento giuridico italiano.

      Più precisamente, l’art. 46 della Direttiva (Diritto a un ricorso effettivo) al par. 5 detta la regola generale per cui il richiedente ha diritto di attendere sul territorio dello stato membro la decisione del giudice sul merito del ricorso presentato[22]. Il paragrafo 6 stabilisce le eccezioni, chiarendo che in alcuni casi, il diritto a rimanere sul territorio dello Stato membro è limitato e sussiste solo fino alla decisione del giudice sulla richiesta di sospensiva[23]. Tra queste eccezioni, è inclusa quella dell’art. 33 par. 2 lett. d): la domanda è una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE. Il paragrafo 8 dell’art. 46 ribadisce il diritto in modo inequivocabile: “Gli Stati membri autorizzano il richiedente a rimanere nel territorio in attesa dell’esito della procedura volta a decidere se questi possa rimanere nel territorio, di cui ai paragrafi 6 e 7”.

      L’art. 35, comma 5, è in definitiva da considerarsi illegittimo e non sembra suscettibile di una lettura costituzionalmente orientata. Si prospetta dunque la disapplicazione da parte del giudice della norma in contrasto con le disposizioni sopra richiamate della direttiva procedure, idonee a produrre effetti diretti, eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

      5.1. La domanda reiterata in fase di esecuzione di un imminente allontanamento

      Esistono viceversa, come accennato, due ipotesi in cui la Direttiva prevede una eccezione al diritto sopra illustrato di attendere la decisone del giudice sulla richiesta di sospensiva. Queste eccezioni sono previste dall’art. 41 della Direttiva procedure[24]. Si tratta dei due casi sopra menzionati, ovverosia quella del richiedente che presenta una terza (o quarta, etc.) domanda di asilo (art. 41 lett. b) e quella del richiedente che ha presentato una seconda domanda di asilo “al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’imminente allontanamento”. I tali casi, l’art. 41 par. 2 lett. c) espressamente attribuisce agli stati membri la facoltà di escludere il paragrafo 8 dell’art. 46 (appena soprariportato), che attribuisce il diritto a rimanere sul territorio dello stato membro fino alla decisione del giudice sulla richiesta di sospensiva. Il legislatore del dl 113/18 ha introdotto per queste due ipotesi una disciplina molto rigida. Il nuovo art. 29-bis (Domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento) recita: “Nel caso in cui lo straniero abbia presentato una prima domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale, la domanda è considerata inammissibile in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento stesso. In tale caso non si procede all’esame della domanda ai sensi dell’articolo 29”. In maniera speculare, il nuovo art. 7 del d.lgs 25/08 (sempre modificato dal dl 113/18), rubricato Diritto di rimanere nel territorio dello Stato durante l’esame della domanda stabilisce che il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio italiano fino alla decisione della Commissione territoriale salvo che: lett. d) [abbia] presentato una prima domanda reiterata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale.

      Bisogna quindi chiedersi, anzitutto, quale sia il significato della locuzione fase di esecuzione di un imminente allontanamento. Ma soprattutto, chi sia designato dalla norma a dichiarare inammissibile la domanda reiterata (ossia una seconda domanda di asilo) in fase di imminente esecuzione e con quale procedura, per valutare così la compatibilità o meno con la Direttive procedure. Si tratta di una operazione ermeneutica complessa, ma che si rende assolutamente necessaria, anche in ragione dell’enorme importanza pratica rivestita da questo istituto. Una importanza, che ancor meglio si può apprezzare dalla lettura della Circolare del Ministero dell’Interno (Commissione Nazionale) del 2 novembre 2019[25] che attribuisce alla Questura il compito di dichiarare inammissibile la domanda di asilo ai sensi dell’art. 29-bis e qualifica tale inammissibilità come automatica (non soggetta a prova contraria): “È stato, inoltre, previsto che nel caso in cui lo straniero presenti una prima domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’allontanamento imminente dal territorio nazionale, la stessa è considerata inammissibile in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento. Opera, dunque, in tale circostanza, iure et de iure, una presunzione di strumentalità correlata alla concomitanza di due condizioni riferite l’una alla preesistenza di una decisione definitiva sulla domanda precedente e l’altra alla circostanza che sia iniziata l’esecuzione del provvedimento espulsivo. La sussistenza di tali presupposti esclude, pertanto, l’esame della domanda. In tali casi, come concordato con il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, la Questura competente comunicherà all’interessato l’inammissibilità della domanda sancita ex lege”. Sulla base di questa circolare, in molte questure italiane, è di fatto precluso l’esercizio del diritto di asilo a chi ha già presentato in passato una prima domanda di asilo. Infatti, molti di questi ultimi hanno già un decreto di espulsione (o di respingimento differito o di un ordine di allontanamento) nel momento i cui si presentano alle forze di polizia per la presentazione della seconda domanda di asilo. La Questura dunque provvede a dichiarare automaticamente la inammissibilità senza sottoporre il caso alla Commissione e senza neppure valutare l’esistenza o meno di nuovi elementi addotti. Dunque, la Questura procede all’esecuzione immediata dell’espulsione. Il cittadino straniero che ha provato a presentare una seconda domanda si ritrova così immediatamente in stato di trattenimento, teso al rimpatrio forzato per una decisione (vincolata) della Questura. Senonché, la direttiva 2013/32/UE stabilisce un principio opposto, secondo cui è sempre necessario che l’autorità accertante (in Italia la Commissione territoriale) proceda all’esame preliminare di una domanda reiterata (anche in fase di esecuzione di un imminente allontanamento), per valutare se sono stati sollevati nuovi elementi al fine di dichiararne la inammissibilità. Secondo la direttiva 2013/32/UE non c’è modo di attribuire in via automatica ad una domanda reiterata la qualifica di domanda inammissibile. La direttiva si limita a prevedere che in casi di imminente allontanamento dal Paese membro possa essere limitato il diritto del cittadino straniero a restare sul territorio dello stato durante la fase giudiziaria di impugnazione della dichiarazione di inammissibilità. La direttiva non ricollega alla imminenza dell’allontanamento alcuna conseguenza in termini di esame preliminare che l’autorità competente (in Italia, la Commissione) deve svolgere per accertarsi che esistano o meno elementi nuovi attinenti alla domanda di asilo.

      Più precisamente, la direttiva sopra richiamata afferma al considerando 36 che: “Qualora il richiedente esprima l’intenzione di presentare una domanda reiterata senza addurre prove o argomenti nuovi, sarebbe sproporzionato imporre agli Stati membri l’obbligo di esperire una nuova procedura di esame completa”. Ciò che si ammette che gli Stati membri possano escludere è l’esame completo (ossia la nuova audizione del richiedente asilo) e non quello preliminare, infatti, l’art. 33 recita: “2. Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se: (...) d) la domanda è una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE”. La domanda è inammissibile solo qualora non vi siano nuovi elementi, la cui emersione è possibile solo ad un esame preliminare. Prima di allora la domanda non può essere giudicata inammissibile. L’art. 40, inoltre, ribadisce che: “2. Per decidere dell’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), una domanda di protezione internazionale reiterata è anzitutto sottoposta a esame preliminare per accertare se siano emersi o siano stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi rilevanti per l’esame dell’eventuale qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE […]. 5. Se una domanda reiterata non è sottoposta a ulteriore esame ai sensi del presente articolo, essa è considerata inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d)”. Solo se una domanda reiterata non è sottoposta a ulteriore esame perché, ad un esame preliminare, non siano emersi elementi nuovi, essa può essere giudicata inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d). L’art. 41 stabilisce, inoltre, che: “1. Gli Stati membri possono ammettere una deroga al diritto di rimanere nel territorio qualora una persona: a) abbia presentato una prima domanda reiterata, che non è ulteriormente esaminata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dallo Stato membro in questione”. L’imminente allontanamento rileva dunque ai soli fini di attribuire agli Stati membri la facoltà di circoscrivere il diritto di rimanere in Italia del richiedente asilo che a seguito di un esame preliminare abbia ricevuto una dichiarazione di inammissibilità e decida di avvalersi del diritto di proporre ricorso o riesame avverso tale decisione. L’art. 42 espressamente prevede, altresì, che: “1. Gli Stati membri provvedono affinché i richiedenti la cui domanda è oggetto di un esame preliminare a norma dell’articolo 40 godano delle garanzie di cui all’articolo 12, paragrafo 1. 2. Gli Stati membri possono stabilire nel diritto nazionale norme che disciplinino l’esame preliminare di cui all’articolo 40. Queste disposizioni possono, in particolare: a) obbligare il richiedente a indicare i fatti e a produrre le prove che giustificano una nuova procedura; b) fare in modo che l’esame preliminare si basi unicamente su osservazioni scritte e non comporti alcun colloquio personale, a esclusione dei casi di cui all’articolo 40, paragrafo 6. Queste disposizioni non rendono impossibile l’accesso del richiedente a una nuova procedura, né impediscono di fatto o limitano seriamente tale accesso. 3. Gli Stati membri provvedono affinché il richiedente sia opportunamente informato dell’esito dell’esame preliminare e, ove sia deciso di non esaminare ulteriormente la domanda, dei motivi di tale decisione e delle possibilità di presentare ricorso o chiedere il riesame della decisione”. Lo Stato membro, ai sensi dei paragrafi 1 e 2, può quindi disciplinare ma non eliminare l’esame preliminare (prevedendo una dichiarazione di inammissibilità sancita ex lege). Precisando inoltre al paragrafo 3 che il richiedente deve essere informato dell’esito dell’esame preliminare al fine di apprestare le proprie difese.

      In definitiva, l’art. 29-bis, così come interpretato dal Ministero con la circolare sopra menzionata, sarebbe da considerare sicuramente contrario alla normativa europea e quindi destinato ad essere espunto dall’ordinamento giuridico italiano. Tuttavia, la norma può anche essere interpretata diversamente, in modo da attribuire alla Commissione il compito di analizzare la domanda di asilo anche in questo caso[26], tramite un esame preliminare (identico a quello già visto in relazione alla ordinaria domanda reiterata)[27]. L’art. 29-bis avrebbe dunque il solo effetto di non riconoscere il diritto a un ricorso effettivo. Ma in tal caso bisognerà chiedersi se la sopra illustrata deroga consentita dall’art. 41 all’art. 46 par. 8 (ossia al diritto di attendere una decisione del giudice sull’istanza di sospensiva) possa giustificare anche l’esclusione da tutte le garanzie dell’art. 46 e quindi, in definitiva, consentire il rimpatrio forzato del richiedente asilo immediatamente dopo la notifica della decisione di inammissibilità o se viceversa deve essere conservato il diritto di rimanere in Italia fino alla presentazione del ricorso (che sostanzialmente è la soluzione illegittima che il legislatore del dl 113/18 ha riservato alla domanda reiterata ordinaria).

      In ogni caso, per evitare un uso eccessivamente ampio di questo strumento (come sembra stia accadendo) devono correttamente interpretarsi i concetti di esecuzione/imminente/ allontanamento. Per imminente allontanamento deve intendersi esclusivamente la condizione di chi si trovi nelle ipotesi in cui il processo espulsivo è in stato avanzato, tanto che la Pubblica Amministrazione non solo sia certa di poter coattivamente costringere il cittadino straniero al rimpatrio forzato (quindi che abbia già disposto il suo trattenimento), ma che al contempo abbia già portato a compimento il complesso iter organizzativo necessario in questi casi: fissazione di un appuntamento con l’autorità consolare per il previo riconoscimento e acquisizione del lasciapassare, individuazione certa del vettore e dello specifico volo verso il paese di origine con relativo ordine di spesa ed emanazione dell’ordine di servizio per le forze dell’ordine deputate nel caso specifico ad effettuare l’accompagnamento all’interno del territorio italiano ed eventualmente durante la scorta internazionale. L’art. 29-bis quindi non troverebbe applicazione in presenza di un mero decreto di espulsione a carico del cittadino straniero, ma esclusivamente nei casi di presentazione della domanda reiterata in una fase di reale imminenza del rimpatrio, ossia solo quando questo sia effettivamente in corso, a fronte di una già avvenuta individuazione del volo, del personale coinvolto e della specifica tempistica effettiva di rimpatrio.

      Non può nascondersi, infatti, che molti cittadini stranieri non hanno di fatto la possibilità di esercitare appieno il diritto a richiedere la protezione internazionale, tanto più in presenza di un crescente utilizzo delle procedure accelerate e dell’approccio hotspot. Le prime, di fatto, mettono molti richiedenti nella condizione di affrontare l’audizione in Commissione e successivamente il ricorso avverso il diniego con pochissimi strumenti a causa della tempistica e delle condizioni di isolamento. Allo stesso tempo, l’approccio hotspot conduce moltissimi cittadini stranieri ad auto-dichiararsi al loro arrivo migranti economici, subendo così un decreto di respingimento differito o di espulsione che li conduce in stato di trattenimento e quindi ad affrontare ancora una volta la prima domanda di asilo (sempre che riescano nei Cpr a formalizzarla) in tempi strettissimi e con pochissimi strumenti. Ecco che dunque l’estrema rigidità con cui è stata disciplinata dal legislatore del dl 113/18 la domanda reiterata, oltre che per molti versi illegittima, appare pericolosamente nei fatti appartenere a una più ampia operazione di svuotamento del diritto di asilo.

      Relativamente alla domanda reiterata, infine, sarà necessario nel tempo interpretare correttamente anche l’ipotesi prevista dal nuovo art. 7 comma 2 lett. e) del d.lgs 25/08 come modificato dall’art. 9 del dl 113/08, secondo cui, il richiedente perde il diritto di attendere in Italia la decisione della Commissione territoriale nel caso in cui manifesti “la volontà di presentare un’altra domanda reiterata a seguito di una decisione definitiva che considera inammissibile una prima domanda reiterata ai sensi dell’articolo 29, comma 1, o dopo una decisione definitiva che respinge la prima domanda reiterata ai sensi dell’articolo 32, comma 1, lettere b) e b-bis)”. Si tratta del caso in cui il richiedente manifesti la volontà di presentare una terza (quarta, ecc.) domanda di asilo. In questo caso, conformemente alla Direttiva procedura (come sopra esposto) si disciplina diversamente la condizione del richiedente, che esprime la volontà, ancor prima di formalizzarla. Dal tenore delle norme della Direttiva, si evince chiaramente che in tal caso al richiedente non venga assicurato il diritto ad attendere che la Commissione si esprima, ma rimangono dubbi alcuni profili. In particolare, se deve comunque essergli riconosciuto il diritto di formalizzare la domanda di asilo prima del rimpatrio forzato (e quindi attendere nel proprio paese di asilo una eventuale decisone della Commissione) e se la convalida del suo trattenimento e dell’esecuzione del rimpatrio forzato debba considerarsi di competenza del Tribunale civile (come per tutti i casi di richiedenti asilo) o del giudice di pace (come per i casi dei cittadini stranieri non richiedenti asilo).

      6. Il cd. procedimento immediato di cui all’art. 32 comma 1-bis d.lgs 25/08

      L’art. 10 del dl 113/18 ha, infine, introdotto un nuovo istituto al comma 1.bis dell’art. 32 del d.lgs 25/08, secondo cui: “Quando il richiedente è sottoposto a procedimento penale per uno dei reati di cui agli articoli 12, comma 1, lettera c), e 16, comma 1, lettera d-bis), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e successive modificazioni, e ricorrono le condizioni di cui all’articolo 6, comma 2, lettere a), b) e c), del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, ovvero è stato condannato anche con sentenza non definitiva per uno dei predetti reati, il questore, salvo che la domanda sia già stata rigettata dalla Commissione territoriale competente, ne dà tempestiva comunicazione alla Commissione territoriale competente, che provvede nell’immediatezza all’audizione dell’interessato e adotta contestuale decisione, valutando l’accoglimento della domanda, la sospensione del procedimento o il rigetto della domanda. Salvo quanto previsto dal comma 3, in caso di rigetto della domanda, il richiedente ha in ogni caso l’obbligo di lasciare il territorio nazionale, anche in pendenza di ricorso avverso la decisione della Commissione. A tal fine si provvede ai sensi dell’articolo 13, commi 3, 4 e 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”. In sostanza, nel caso in cui il richiedente asilo sia sottoposto a procedimento penale o sia stato condannato per taluni reati (tra cui alcuni di media gravità) viene sottoposto immediatamente all’audizione della Commissione territoriale, con una sorta di procedura accelerata. In caso di diniego[28] (anche in forza all’art. 35-bis comma 4 d.lgs 25/08) perde il diritto ad attendere in Italia non solo l’esito del ricorso ma anche quello della eventuale domanda cautelare di sospensione degli effetti del diniego stesso. Al pari di quanto sopra illustrato per il caso di inammissibilità della domanda reiterata “ordinaria” ex art. 29 comma 1 lett.b). Avrebbe dunque solo il diritto di rimanere in Italia per il tempo necessario a depositare il ricorso, ossia 30 giorni dalla notifica del diniego. Inoltre, nel caso in cui dovesse già trovarsi (al momento dell’apertura del procedimento penale) in sede di ricorso cesserebbero gli effetti della sospensione automatica, aprendo così la via al rimpatrio forzato immediato.

      Brevemente, si tratta di una disposizione che va evidentemente incontro all’esigenza mediatica, più volte espressa da alcune forze politiche, di procedere in tempi rapidi al rimpatrio forzato di richiedenti asilo che vengono accusati di aver commessi dei reati. Tuttavia, come si evince chiaramente anche dalle norme già analizzate della Direttiva procedure, si tratta di una disposizione del tutto illegittima in quanto totalmente estranea alle ipotesi (tassative) che la Direttiva stessa ha previsto in deroga alla ordinaria procedura di asilo. E’ una norma destinata ad essere espunta dall’ordinamento giuridico italiano, seppur è immaginabile che troverà applicazione fino a quando il complesso iter giurisdizionale non ne decreterà la illegittimità.

      Oltre alle ipotesi di procedura accelerata già analizzate e che sono state introdotte o riformate dal legislatore del dl 113/18, è opportuno ricordare che l’art. 28-bis d.lgs 25/08 ne prevede un’altra che non è stato oggetto di modifiche sostanziali. Questo articolo al comma 2 lett. c) stabilisce una procedura accelerata (14 gg per l’audizione e 4 per la decisione, prorogabili ai sensi del comma 3 dell’art. 28-bis) nei casi in cui il richiedente ha presentato “(…) la domanda dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento”. Ai sensi dell’art. 35-bis comma 2 d.lgs 25/08 il termine per proporre ricorso avverso il diniego della Commissione territoriale è ridotto a 15 giorni e non è previsto l’effetto sospensivo automatico del ricorso stesso (art. 35-bis comma 3). La previsione appare conforme alla Direttiva procedure.

      7. Considerazioni conclusive

      In conclusione, le norme introdotte in tema di procedure accelerate dal decreto 113/18 e dalla relativa legge di conversione destano fortissima preoccupazione per la potenziale capacità di svuotare, di fatto, il diritto di asilo, soprattutto se operate in concomitanza con talune prassi illegittime (come quelle connesse al c.d approccio hotpot) e in presenza di importanti carenze strutturali del sistema italiano (privo in frontiera e nei Cpr di reali servizi di supporto e di vigilanza). La riforma in parte sfrutta al massimo i margini lasciati aperti dalla direttiva procedure 2013/32/UE e in parte sconfina nella aperta illegittimità, anche se può leggersi in quest’ultima una forte propensione ad anticipare con grande zelo le nuove politiche legislative che da anni vengono promosse dalla Commissione Europea, che già a partire dal maggio del 2015 (con la prima agenda sulle immigrazioni) sostiene uno stravolgimento del Ceas (il sistema europeo comune di asilo), non da ultimo anche con le proposte di riforma dell’aprile 2016[29]. Una complessa riforma, bloccata nel 2019 dalla fine del mandato europeo, che immagina un sistema che conservi un’impeccabile impalcatura di principi generali in cui l’Unione Europea riesca a specchiare la propria superiorità giuridica e culturale, ma che allo stesso tempo si munisca di strumenti che possano ridurre drasticamente il numero delle persone che riescono a raggiungere l’Europa per avanzare la domanda di asilo (c.d. esternalizzazione) e riescano ad incanalare questi ultimi in una serie di procedure di eccezione (che di fatto sostituiscono la regola) con cui si riducono drasticamente di fatto le possibilità di ottenere una protezione internazionale, condannando per lo più i cittadini stranieri giunti sul territorio dell’UE ad una condizione di subalterna irregolarità. Un ritorno ad una concezione elitaria del diritto di asilo, dove a fronte di ampie dichiarazioni di principio si aprono canali reali di protezione internazionale solo per pochi altamente scolarizzati o con un ruolo politicamente strategico a cui chiedere un atto di abiura nei confronti del proprio paese di origine.

      [*] Qualifiche: Avv. Salvatore Fachile, socio Asgi Foro di Roma; Avv. Loredana Leo, socia Asgi Foro di Roma; dott.ssa Adelaide Massimi, socia Asgi - progetto “In Limine”.

      [1] Direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione);

      [2] Per una più ampia disamina relativa ai profili di illegittimità costituzionale delle norme introdotte dal dl 113/2018, si veda l’analisi pubblicata da Asgi nell’ottobre del 2018: https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/10/ASGI_DL_113_15102018_manifestioni_illegittimita_costituzione.pdf.

      [3] Si veda la Direttiva 2013/32/UE, in particolare l’articolo 31 par. 8 (che individua le ipotesi in cui possono essere applicate procedure accelerate e/o in frontiera) e il par. 9 che stabilisce che “gli Stati membri stabiliscono termini per l’adozione di una decisione nella procedura di primo grado di cui al par. 8. I termini sono ragionevoli”. Si veda, inoltre, l’art. 46 parr. 6, 7 e 8 circa l’effetto sospensivo della presentazione del ricorso;

      [4] Agenda Europea sulla migrazione, Bruxelles, 13.5.2015 COM(2015) 240 final https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015DC0240&from=EN;

      [5] Per un’analisi più approfondita dell’approccio hotspot si veda: https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/02/2018-Lampedusa_scenari-_di_frontiera_versione-corretta.pdf; e https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2018/04/detention-and

      [6] Non sembra che ad oggi sia mai stata utilizzata questa nuova forma di detenzione, che appare chiaramente in contrasto con l’art. 13 della Costituzione italiana. Nell’ambito del progetto In Limine, Asgi ha chiesto e ottenuto informazioni in tal senso dal Ministero dell’Interno e dalle Prefetture competenti, che, in base alla Circolare ministeriale del 27 dicembre, sono incaricate di individuare gli appositi locali adibiti al trattenimento dei richiedenti asilo. Ad oggi alcuna Prefettura ha infatti individuato gli “appositi locali” in cui eseguire il trattenimento. Si veda: https://inlimine.asgi.it/il-trattenimento-dei-richiedenti-asilo-negli-hotspot-tra-previsioni-le.

      [7] Si veda a tal proposito il lavoro svolto da Asgi, Cild, ActionAid e IndieWatch nell’ambito del progetto In Limine per quanto riguarda i ricorsi presentati alla Corte Edu: http://www.indiewatch.org/wp-content/uploads/2018/11/Lampedusa_web.pdf; il lavoro di monitoraggio e denuncia delle pratiche di trattenimento arbitrario: https://inlimine.asgi.it/il-trattenimento-dei-richiedenti-asilo-negli-hotspot-tra-previsioni-le; https://inlimine.asgi.it/da-un-confinamento-allaltro-il-trattenimento-illegittimo-nellhotspot-d; e il lavoro svolto in relazione alla procedura di supervisione della sentenza Khlaifia in collaborazione con A Buon Diritto: https://inlimine.asgi.it/lattualita-del-caso-khlaifia; https://inlimine.asgi.it/hotspot-litalia-continua-a-violare-il-diritto-alla-liberta-personale-d; https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/07/Khlaifia_-hotspot-Lampedusa_Progetto-In-limine_ITA-giugno-2018.pdf; https://hudoc.exec.coe.int/eng#{%22EXECIdentifier%22:[%22DH-DD(2019)906E%22]}.

      [8]A tal proposito si vedano i numerosi approfondimenti condotti circa l’utilizzo del foglio notizie e le problematiche legate alle modalità di compilazione dello stesso e le denunce presentate dalla società civile: https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2018/04/detention-and; https://www.meltingpot.org/Determinazione-della-condizione-giuridica-in-hotspot.html; https://www.asylumineurope.org/reports/country/italy/asylum-procedure/access-procedure-and-registration/hotspots; http://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/6f1e672a7da965c06482090d4dca4f9c.pdf; https://www.asgi.it/notizie/hotspot-violazioni-denuncia-associazioni-lampedusa-catania.

      [9] Questa lettura era stata già in passato sistematicamente sostenuta dalle Forze di polizia nell’ambito di una norma che richiama l’identica nozione allo scopo di determinare quali categorie di soggetti fossero obbligati ad essere accolti nei cd. CARA. Il Tribunale di Roma con l’ordinanza dd 13.04.2010 aveva già chiarito sul punto che: “le fattispecie per le quali è disposta l’ ‘ospitalità’ presso il centro Cara sono disciplinati per legge e non sono suscettibili di interpretazione estensiva perché di fatto incidono sul diritto alla libera circolazione del richiedente asilo (l’allontanamento dal centro senza giustificato motivo comporta, tra l’altro, che la Commissione territoriale possa decidere senza la previa audizione del richiedente, cfr. art 21 del d.lgs 25/08) e debbono poter essere esaminati e verificati dal giudice in sede di ricorso avverso il provvedimento amministrativo e di preliminare istanza di sospensione del provvedimento impugnato”. V. anche Trib. di Roma sent. n. 733 del 10.12.2012.

      [10] Dal Devoto-Oli, Dizionario della Lingua italiana, Le Monnier, 2011.

      [11] Decreto 5 agosto 2019, Individuazione delle zone di frontiera o di transito ai fini dell’attuazione della procedura accelerata di esame della richiesta di protezione internazionale, pubblicato in CU Serie Generale n. 210 del 07.09.2019.

      [12] A tal proposito si veda inoltre il commento di Asgi al dm del 5 agosto del 2019: https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/10/2019_scheda_ASGI_decreto_zone_frontiera.pdf

      [13] Si veda, sul punto, la nota condivisa di Asgi, ActionAid, Arci, Borderline Sicilia, IndieWatch, MEDU, SeaWatch sulla situazione dei migranti sbarcati dalla Sea Watch 3 in condizione di detenzione arbitraria a Messina, Sa un confinamento all’altro. Il trattenimento illegittimo nell’hotspot di Messina dei migranti sbarcati dalla SeaWatch, 10.07.2019, https://inlimine.asgi.it/da-un-confinamento-allaltro-il-trattenimento-illegittimo-nellhotspot-d.

      [14] Si noti come il modello di procedura di frontiera disegnato dalla “Direttiva procedure” prevede un terzo elemento caratterizzante questa fattispecie, ossia la possibilità di detenere per un tempo massimo di 4 settimane il richiedente asilo in frontiera o zona di transito allo scopo di condurre la procedura di frontiera medesima. Tuttavia, il legislatore italiano ha preferito immaginare una forma di detenzione amministrativa simile ma differente, ossia quella sopra analizzata del trattenimento a scopo identificativo nei cd. hotspot e negli hub. Una procedura che nei fatti potrebbe molto somigliare alla detenzione in frontiera ma che giuridicamente si incardina su altre motivazioni, ossia sull’esigenza di identificazione, che probabilmente è apparsa al legislatore del dl 113/08 più vicina ai canoni costituzionali (rispetto a una detenzione basata esclusivamente sull’arrivo in frontiera).

      [15] Le ipotesi di procedura accelerata previste dall’art. 31 c. 8 della direttiva 2013/32 sono le seguenti:

      “a) nel presentare domanda ed esporre i fatti il richiedente ha sollevato soltanto questioni che non hanno alcuna pertinenza per esaminare se attribuirgli la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE; oppure
      il richiedente proviene da un paese di origine sicuro a norma della presente direttiva; o
      il richiedente ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi od omettendo informazioni pertinenti o documenti relativi alla sua identità e/o alla sua cittadinanza che avrebbero potuto influenzare la decisione negativamente; o
      è probabile che, in mala fede, il richiedente abbia distrutto o comunque fatto sparire un documento d’identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l’identità o la cittadinanza; o
      il richiedente ha rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie, palesemente false o evidentemente improbabili che contraddicono informazioni sufficientemente verificate sul paese di origine, rendendo così chiaramente non convincente la sua asserzione di avere diritto alla qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE; o
      il richiedente ha presentato una domanda reiterata di protezione internazionale inammissibile ai sensi dell’art. 40, paragrafo 5; o
      il richiedente presenta la domanda al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione anteriore o imminente che ne comporterebbe l’allontanamento; o
      il richiedente è entrato illegalmente nel territorio dello Stato membro o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno e, senza un valido motivo, non si è presentato alle autorità o non ha presentato la domanda di protezione internazionale quanto prima possibile rispetto alle circostanze del suo ingresso; oIT l. 180/78 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea;
      il richiedente rifiuta di adempiere all’obbligo del rilievo dattiloscopico a norma del regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che istituisce «Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e sulle richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto ( 1 ); o
      il richiedente può, per gravi ragioni, essere considerato un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico dello Stato membro o il richiedente è stato espulso con efficacia esecutiva per gravi motivi di sicurezza o di ordine pubblico a norma del diritto nazionale.”

      [16] Inoltre, da una attenta lettura dell’art. 35-bis comma 2 (che stabilisce i casi di dimezzamento del termine di impugnazione) si potrebbe dedurre che i termini sono dimezzati solo nel caso in cui la manifesta infondatezza (anche eventualmente per provenienza da paese di origine sicuro) sia dichiarata a seguito di una procedura accelerata e non anche di una procedura ordinaria. Infatti l’art. 35-bis comma 2 richiama l’art. 28-bis, ossia quello delle procedure accelerate (e non invece l’art. 28-ter o l’art. 32 comma 1 b-bis, che disciplinano in generale la manifesta infondatezza derivante sia da procedura ordinaria che accelerata). Sarebbe dunque la natura accelerata della procedura (coniugata con la motivazione di manifesta infondatezza del diniego) a comportare la contrazione del termine per l’impugnazione. Sul punto si dovrà necessariamente ritornare in separata sede, per una lettura più analitica delle norme e degli spunti giurisprudenziali.

      [17] Una corretta lettura dovrebbe portare a ritenere che la mancanza di effetto sospensivo sia esclusivamente ricollegata all’adozione di una procedura accelerata. Nel caso in cui non venga adottata una tale procedura (con il correlativo rispetto della tempistica prevista) si dovrà ritenere che il ricorso avverso il diniego abbia effetto sospensivo automatico (salvo ovviamente che il diniego rechi la dicitura di manifesta infondatezza, che comporterebbe il ricadere in una diversa ipotesi in cui il ricorso viene privato del suo ordinario effetto sospensivo automatico). Il punto non può che essere affrontato con maggiore analiticità in una differente sede.

      [18] Ministero dell’Interno – Commissione nazionale per il diritto di asilo, Circolare prot. 00003718 del 30.07.2015 avente ad oggetto “Ottimizzazione delle procedure relative all’esame delle domande di protezione internazionale. Casi di manifesta infondatezza dell’istanza”.

      [19] Corte d’Appello di Napoli, sent. n. 2963 del 27.06.2017.

      [20] Direttiva procedure art. 46 par. 5. Fatto salvo il par. 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso. Par. 6. Qualora sia stata adottata una decisione: a) di ritenere una domanda manifestamente infondata conformemente all’art. 32, par. 2, o infondata dopo l’esame conformemente all’articolo 31, par. 8, a eccezione dei casi in cui tali decisioni si basano sulle circostanze di cui all’articolo 31, par. 8, lettera h).

      [21] Infatti, il legislatore non si è avvalso della clausola di cui al par. 4 art. 40 Direttiva procedure, secondo cui: “Gli Stati membri possono stabilire che la domanda sia sottoposta a ulteriore esame solo se il richiedente, senza alcuna colpa, non è riuscito a far valere, nel procedimento precedente, la situazione esposta nei parr. 2 e 3 del presente articolo, in particolare esercitando il suo diritto a un ricorso effettivo a norma dell’articolo 46.”

      [22] Par. 5 art. 46 direttiva 2013/32/UE: “Fatto salvo il paragrafo 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso”.

      [23] Par. 6 art. 46 direttiva 2013/32/UE: “Qualora sia stata adottata una decisione: (…) b) di ritenere inammissibile una domanda a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, lettere a), b) o d); (…) un giudice è competente a decidere, su istanza del richiedente o d’ufficio, se autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro, se tale decisione mira a far cessare il diritto del richiedente di rimanere nello Stato membro e, ove il diritto nazionale non preveda in simili casi il diritto di rimanere nello Stato membro in attesa dell’esito del ricorso”.

      [24] “Gli Stati membri possono ammettere una deroga al diritto di rimanere nel territorio qualora una persona: a) abbia presentato una prima domanda reiterata, che non è ulteriormente esaminata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dallo Stato membro in questione; o b) manifesti la volontà di presentare un’altra domanda reiterata nello stesso Stato membro a seguito di una decisione definitiva che considera inammissibile una prima domanda reiterata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, o dopo una decisione definitiva che respinge tale domanda in quanto infondata”.

      [25] Ministero dell’Interno – Commissione Nazionale per il Diritto d’asilo, Circolare prot. n. 0000001 del 02.01.2019 avente ad oggetto Decreto-legge del 4 ottobre 2018, n. 113, recante ‘Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata’, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132;

      [26] Più precisamente, anzitutto bisogna rilevare che la direttiva 2013/32/UE sin dai considerando (in particolare n. 16) prevede che: “È indispensabile che le decisioni in merito a tutte le domande di protezione internazionale siano adottate sulla base dei fatti e, in primo grado, da autorità il cui organico dispone di conoscenze adeguate o ha ricevuto la formazione necessaria in materia di protezione internazionale”. Tale autorità è quella che nel prosieguo della direttiva è definita “autorità accertante”. In Italia, tale ruolo è assolto dalle Commissioni territoriali nominate dal Ministero dell’interno. La direttiva ammette che in luogo dell’autorità accertante alcune specifiche funzioni in materia siano svolte da altra autorità, purché adeguatamente formata. L’art. 4 della Direttiva “Autorità responsabili”, infatti, prevede che: “1. Per tutti i procedimenti gli Stati membri designano un’autorità che sarà competente per l’esame adeguato delle domande a norma della presente direttiva. (…) 2. Gli Stati membri possono prevedere che sia competente un’autorità diversa da quella di cui al paragrafo 1 al fine di: a) trattare i casi a norma del regolamento (UE) n. 604/2013 [c.d. Regolamento Dublino, ndr]; e b) accordare o rifiutare il permesso di ingresso nell’ambito della procedura di cui all’articolo 43, secondo le condizioni di cui a detto articolo e in base al parere motivato dell’autorità accertante [c.d. Procedure di frontiera, ndr].”. Inoltre, ai sensi dell’art. 34 “Norme speciali in ordine al colloquio sull’ammissibilità”: “[…] 2. Gli Stati membri possono disporre che il personale di autorità diverse da quella accertante conduca il colloquio personale sull’ammissibilità della domanda di protezione internazionale. In tal caso gli Stati membri provvedono a che tale personale riceva preliminarmente la necessaria formazione (…)”.

      Le competenze che possono essere attribuite ad autorità diversa da quella accertante possono riguardare, quindi, l’applicazione del cd. Regolamento Dublino e le procedure di frontiera (entrambe estranee al caso in esame), nonché la possibilità di condurre anche nei procedimenti sulle domande reiterate il colloquio del richiedente, ma non anche di assumere la decisione sulla domanda. Si consideri tuttavia che il colloquio con il richiedente costituisce una misura differente rispetto all’esame preliminare teso a valutare l’esistenza di elementi nuovi: si tratta di un eventuale fase del procedimento di inammissibilità a garanzia del richiedente che tuttavia nel caso di domande reiterate può essere escluso dal legislatore di ciascun Paese membro. Così come infatti ha deciso di fare il legislatore italiano che ha semplicemente escluso la fase del colloquio del richiedente nei casi di domanda reiterata. Per cui in Italia non è previsto il colloquio, ossia l’unica fase nel procedimento di valutazione della prima domanda reiterata che poteva essere affidata ad una autorità diversa (ossia alla Questura). Infatti ai sensi dell’art. 34 paragrafo 1 “Prima che l’autorità accertante decida sull’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri consentono al richiedente di esprimersi in ordine all’applicazione dei motivi di cui all’articolo 33 alla sua situazione particolare. A tal fine, gli Stati membri organizzano un colloquio personale sull’ammissibilità della domanda. Gli Stati membri possono derogare soltanto ai sensi dell’articolo 42, in caso di una domanda reiterata”. La Direttiva quindi rende obbligatorio l’esame preliminare (valutazione cartacea sulla base della domanda scritta del richiedente) ma facoltativo il colloquio (unica fase affidabile ad una autorità diversa). In attuazione della Direttiva, l’art. 29 del D.lgs. n. 25/2008 “casi di inammissibilità della domanda” esclude il colloquio in caso di domanda reiterata, prevedendo espressamente che il Presidente delle Commissione Territoriale conduca un esame preliminare sulla domanda. A sua volta, l’art. 29-bis del Dl.lgs. n.25/2008, recita: “Nel caso in cui lo straniero abbia presentato una prima domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale, la domanda è considerata inammissibile in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento stesso. In tale caso non si procede all’esame della domanda ai sensi dell’articolo 29”, nulla aggiungendo in merito alla competenza a giudicare inammissibile la domanda reiterata. Dunque si potrebbe interpretare l’art. 29-bis in modo differente da quanto proposto dal Ministero con la circolare del 2.01.2019 e con il decreto di inammissibilità qui impugnato.

      [27] Il Tribunale di Roma ha avuto modo di esprimersi in differenti occasioni annullando il decreto di inammissibilità emanato dalla Questura per difetto di competenza, ribadendo che si tratta di una prerogativa della Commissione, cfr. Trib. di Roma, decreto dd. 03.04.2019. Si veda, sul punto, G. Savio, Accesso alla procedura di asilo e poteri “di fatto” delle Questure, in Questione Giustizia, www.questionegiustizia.it/articolo/accesso-alla-procedura-di-asilo-e-poteri-di-fatto-delle-questure_29-05-2019.php;

      [28] Si dovrà comunque valutare anche l’esistenza di una necessità di riconoscere ai sensi dell’art. 32 comma 3 una protezione speciale, ossia il ricorrere delle condizioni di non refoulement di cui all’art. 19 comma 1 e 1.1 del D.lgs 286/98.

      [29] Sul punto si veda: Asgi, I nuovi orientamenti politico-normativi dell’Unione Europea – La prospettiva di nuove e radicali chiusure al diritto di asilo, settembre 2017, https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2017/09/2017_9_Articolo_politiche-_UE_ok.pdf;

      https://www.questionegiustizia.it/articolo/le-nuove-procedure-accelerate-lo-svilimento-del-diritto-di-asilo_
      #procédures_de_frontière

    • Nuovi Cpr, Piantedosi: «Pensiamo a un centro per migranti a Ventimiglia»

      Al via il monitoraggio in 12 regioni per individuare le nuove strutture che saranno controllare (all’esterno) dalle forze dell’ordine. Si pensa ad ex caserme e aree industriali, comunque lontane dai centri abitati.

      Entro due mesi il ministero della Difesa dovrà avere la lista dei nuovi Centri di permanenza per i rimpatri decisi dal Consiglio del ministri lo scorso 18 settembre per fare fronte all’emergenza migranti, soprattutto di quelli irregolari. Un’operazione complessa, già iniziata da qualche settimana comunque dopo che il ministro dell’Interno #Matteo_Piantedosi ha espresso l’indicazione di aprire una struttura in ogni regione. Attualmente ci sono nove Cpr attivi, mentre quello di Torino è stato chiuso per i danneggiamenti causati da chi si trovava all’interno e deve essere ristrutturato. Ne mancano quindi 12 all’appello. Il ministro stesso nel pomeriggio ha annunciato in diretta tv (al programma «Cinque Minuti» su Rai 1), durante un’intervista. «Ventimiglia ha sempre sofferto, soffre dei transiti di migranti. Noi stiamo collaborando con la Francia per il controllo di quella frontiera ed è uno di qui luoghi a cui stiamo dedicando attenzione per la realizzazione di una di quelle strutture che abbiamo in animo di dedicare proprio per contenere il fenomeno».
      Chi sarà trattenuto nei Cpr?

      Innanzitutto in queste strutture vengono accompagnati gli stranieri irregolari considerati una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica, quelli condannati, anche con sentenza non definitiva, per gravi reati e i cittadini che provengono da Paesi terzi con i quali risultino vigenti accordi in materia di cooperazione o altre intese in materia di rimpatri. Secondo la direttive il trattenimento in un Cpr è utile per evitare la dispersione sul territorio nazionale di persone che sono irregolari per quanto riguarda il soggiorno in Italia quando non sia possibile eseguirne con immediatezza il rimpatrio (per la necessità di accertarne l’identità, trattandosi spesso di stranieri privi di documenti di riconoscimento, di acquisire il lasciapassare delle autorità consolari del Paese di origine o semplicemente di organizzare le operazioni di allontanamento). Anche coloro che hanno richiesto asilo in Italia possono ritrovarsi in un Cpr ma soltanto se nei guai con la legge oppure se persone considerate pericolose o ancora se bisogna ancora analizzare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale, che non potrebbero essere acquisiti senza il trattenimento e se c’è al tempo stesso il rischio di fuga.

      Dove si trovano i Cpr e dove saranno costruiti gli altri 12?

      Attualmente i Centri sono a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Roma, Torino (chiuso, come detto), Palazzo San Gervasio (Potenza), Trapani, Gorizia, Macomer (Nuoro) e Milano. A oggi ci sono 1.338 posti su una capienza effettiva di 619 posti. Il più grande è quello romano a Ponte Galeria, uno dei primi ex Cie d’Italia con 117 posti utilizzabili. Gli altri dovranno essere costruiti Calabria, Molise, Campania, Marche, Abruzzo, Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta in strutture che saranno individuate dalla Difesa e poi adattate dal Genio militare. Si pensa ad ex caserme ma anche a complessi in aree industriali che rispondono alle esigenze descritte dal governo: lontano da centri abitati, controllabili e perimetrabili. La vigilanza sarà affidata a polizia e carabinieri e comunque non all’Esercito che si limiterà all’organizzazione logistica.

      Quanto tempo i clandestini rimarranno nei Cpr?

      Al massimo 18 mesi, come stabilito nel corso dell’ultimo Cdm, partendo da sei mesi prorogabili ogni tre mesi, come consentito dalla normativa europea per gli stranieri che non hanno fatto domanda di asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei Paesi terzi). Attualmente nei Cpr si rimane per 90 giorni con una proroga fino a 45. E comunque i richiedenti asilo non possono essere trattenuti per più di un anno. Nel caso il migrante irregolare dovesse invece collaborare subito alla sua identificazione certa e dovesse anche accettare il rimpatrio, allora il suo trattenimento sarebbe molto più breve. In ogni circostanza è il questore a disporre l’accompagnamento al Cpr del soggetto e a inviare entro 48 ore la comunicazione al giudice di pace che deve convalidare il provvedimento. Il magistrato è chiamato anche a decidere sulle eventuali proroghe.
      Chi gestisce un Cpr?

      Ogni struttura è di competenza del prefetto, massima autorità provinciale dello Stato, che con i bandi affida a soggetti privati la gestione dei servizi interni al Cpr, sia sul fronte logistico-organizzativo sia su quello dei rapporti con chi è trattenuto. Le forze dell’ordine pattugliano l’esterno e possono entrare solo su richiesta dei gestori in caso di necessità ed emergenza. Ogni straniero trattenuto può invece presentare istanze e reclami al Garante nazionale e a quelli regionali delle persone detenute o private della libertà personale. La prima autorità può peraltro inviare raccomandazioni ai prefetti e ai gestori su specifici aspetti del trattenimento.
      Da quanto tempo esistono i Cpr?

      I Centri di permanenza per i rimpatri sono stati istituiti nel 1998 dalla legge sull’immigrazione Turco-Napolitano (art. 12 della legge 40/1998) per adempiere agli obblighi previsti dalla normativa europea. All’inizio furono chiamati Cpt (Centri di permanenza temporanea), poi Cie (Centri di identificazione ed espulsione) dalla legge Bossi-Fini (L.189/2002). Oggi Cpr con la legge Minniti-Orlando (L. 46/2017).

      https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/23_settembre_20/nuovi-cpr-dalla-valle-d-aosta-alla-calabria-dove-saranno-e-chi-dovra-a

  • Oltre le sigle, la detenzione amministrativa si diffonde nelle procedure in frontiera e cancella il diritto di asilo ed i diritti di difesa

    1.Malgrado le pause indotte dal maltempo, continuano, e continueranno, gli arrivi dalla Tunisia e dalla Libia, e si avvicina il collasso del sistema di accoglienza già minato dai decreti sicurezza di Salvini e dal Decreto “Cutro” (legge n.50/2023). Il governo Meloni con un ennesimo decreto sicurezza, ma se ne attende un’altro per colpire i minori stranieri non accompagnati,” al fine di rendere più veloci i rimpatri”, cerca di raddoppiare i CPR e di creare di nuovi centri di detenzione amministrativa vicino ai luoghi di frontiera, meglio in località isolate, per le procedure accelerate destinate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri”. La legge 50 del 2023 (già definita impropriamente “Decreto Cutro”) prevede che il richiedente asilo, qualora sia proveniente da un Paese di origine sicuro, e sia entrato irregolarmente, possa essere trattenuto per 30 giorni, durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

    Sul concetto di paese terzo “sicuro” non c’è ancora un accordo a livello europeo. Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni proprio su questo punto, ma le previsioni della legge 50/2023, in materia di trattenimento ed espulsioni, non hanno ottenuto quella “copertura europea” che il governo italiano sperava. Per questo motivo sulle “scelte detentive” più recenti del governo Meloni con riferimento ai richiedenti asilo potrebbe intervenire prima la Commissione europea e poi la Corte di giustizia dell’Unione europea. Come sta già avvenendo per la previsione “manifesto”, di dubbia applicabilità, della garanzia finanziaria introdotta dalla legge 50 del 2023 e specificata dal Decreto legge 19 settembre 2023, n. 124, contenente Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonche’ in materia di immigrazione. Una garanzia finanziaria che assieme ad altri requisiti, come la disponibilità di alloggio e documenti validi, potrebbe evitare il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri. Secondo Amnesty International,“Si tratta di un provvedimento illegale. Non è pensabile che persone in fuga dal proprio paese possano disporre in Italia di un alloggio o di un conto in banca e quindi attivare una polizza fideiussoria. Subordinare la libertà delle persone richiedenti asilo a condizioni di fatto impraticabili configura una misura per porre coloro che arrivano in Italia automaticamente in detenzione. La detenzione automatica è arbitraria e vietata dal diritto internazionale”.

    Dunque, ciascun caso dovrà essere esaminato singolarmente, come adesso precisa la Commissione europea sull’ultimo “escamotage propagandistico” inventato dal Governo Meloni, la garanzia finanziaria che dovrebbero prestare (attraverso fideiussione) i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri., Come se riuscissero ad avere immediatamente, subito dopo lo sbarco, la disponibilità finanziaria e i documenti di identità necessari per stipulare il contratto di fideiussione, Una norma manifesto, odiosa ma inapplicabile, dietro la quale si nascondono procedure accelerate che abbattono il diritto di asilo e rendono solo cartacee le garanzie di difesa, anche per il ricorso generalizzato alle videoconferenze, e per le difficoltà per i difensori, che vogliano davvero assolvere al loro ruolo, di ottenere tempestivamente la documentazione relativa al richiedente asilo che devono assistere in sede di convalida o per un ricorso contro la decisione di rigetto della domanda.

    2. Di fronte al fallimento delle politiche migratorie del governo Meloni, dopo l’annuncio, da parte dell’ennesimo Commissario all’emergenza, di un piano nazionale per la detenzione amministrativa, al fine di applicare “procedure accelerate in frontiera” in centri chiusi, dei richiedenti asilo, se provengono da paesi di origine definiti “sicuri”. si richiamano una serie di decreti ministeriali che hanno formato una apposita lista che non tiene conto della situazione attuale in gran parte dell’Africa, soprattutto nella fascia subsahariana, dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan e il rovesciamento in Niger del governo sostenuto dai paesi occidentali. Non si hanno ancora notizie certe, invece, dei nuovi centri per i rimpatri (CPR) che si era annunciato sarebbero stati attivati in ogni regione italiana. Le resistenze delle amministrazioni locali, anche di destra, hanno evidentemente rallentato questo progetto dai costi enormi, per l’impianto e la gestione.

    I rimpatri con accompagnamento forzato nei primi sette mesi dell’anno sono stati soltanto 2.561 (+28,05%) rispetto ai 2.000 dello scorso anno. Nulla rispetto ad oltre 100.000 arrivi ed a oltre 70.000 richieste di asilo, conteggiati proprio il 15 agosto, quando il Viminale dà i suoi numeri, esibendo quando conviene le percentuali e lasciando nell’ombra i dati assoluti. Ed oggi i numeri sono ancora più elevati, si tratta non solo di numeri ma di persone, uomini, donne e bambini lasciati allo sbando dopo lo sbarco, che cercano soltanto di lasciare il nostro paese prima possibile. Per questo il primo CPR targato Piantedosi che si aprirà a breve potrebbe essere ubicato a Ventimiglia, vicino al confine tra Italia e Francia, mentre Svizzera ed Austria hanno già annunciato un inasprimento dei controlli di frontiera.

    La prima struttura detentiva entrata in attività lo scorso primo settembre, per dare applicazione, ancora chiamata “sperimentazione”, alle procedure accelerate in frontiera previste dal Decreto “Cutro”, è ubicata nell’area industriale tra i comuni confinanti di Pozzallo e Modica. dove da anni esiste un centro Hotspot, nella zona portuale, che opera spesso in modalità di “centro chiuso”, nel quale già da tempo è stata periodicamente limitata la libertà personale degli “ospiti”. Si tratta di una nuova struttura da 84 posti nella quale vengono rinchiusi per un mese coloro che provengono da paesi di origine definiti “sicuri”, prima del diniego sulla richiesta di protezione che si dà come scontato e del successivo tentativo di rimpatrio con accompagnamento forzato, sempre che i paesi di origine accettino la riammissione dei loro cittadini giunti irregolarmente in Italia. Le informazioni provenienti da fonti ufficiali non dicono molto, ma la natura detentiva della struttura e i suoi costi sono facilmente reperibili on line.

    In Sicilia si prevede anche l’apertura di “strutture di transito”, già appaltate, come quella che dovrebbe sorgere a Porto Empedocle, dove l’area di transito, che verrà ulteriormente potenziata, resta provvisoria, fino a quando non verrà realizzato l’hotspot a valle di contrada Caos a Porto Empedocle che sarà, come quello di Lampedusa, gestito dalla Croce Rossa. Altre “sezioni chiuse” per richiedenti asilo provenienti da paesi ritenuti “sicuri”, per cui si prevede un rimpatrio “veloce” potrebbero essere attivate nei centri Hotspot di Pozzallo e Lampedusa. Mentre i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri,” in caso di arrivi massicci e di indisponibilità di posti negli Hotspot, potrebbero finire anche nei centri di permanenza per i rimpatri, come i famigerati lager di Pian del Lago (Caltanissetta) e di Trapani (MIlo), da anni spazi di trattamenti disumani, di tentativi di fuga e di abusi sulle persone trattenute. Se non si tratta di annientamento fisico (Vernichtung), ma ci sono stati anche i morti, si può documentare in molti casi l’annientamento psichico degli “ospiti”, che dopo il diniego, in caso di mancato rimpatrio, potrebbero passare mesi su mesi rinchiusi in queste strutture, magari sotto psicofarmaci, come coloro che sono sottoposti al rimpatrio con accompagnamento forzato, tra i richiedenti asilo denegati che non abbiano fatto ricorso con effetto sospensivo o lo abbiano visto respingere.

    La normativa europea impone invece il rilascio delle persone trattenute nei centri di detenzione quando è evidente che non ci sono più prospettive di rimpatrio forzato nel paese di origine (Direttiva rimpatri 2008/115/CE, art.15.4), per la mancata collaborazione degli Stati di origine che non effettuano i riconoscimenti e non forniscono i documenti di viaggio.

    Altri “centri chiusi” potrebbero essere attivati a Messina (probabilmente nei locali del Centro di accoglienza ubicato all’interno della vecchia e fatiscente Caserma Gasparro) fantasiosamente denominato “CIPSI”, Centro di primo soccorso ed identificazione, ed a Catania, dove si sono recentemente sperimentate diverse strutture provvisorie, “tensostrutture”, nelle quali i potenziali richiedenti asilo, che diventano tali con la semplice manifestazione di volontà, anche prima della formalizzazione della domanda da parte delle autorità di polizia, sono stati trattenuti per giorni in condizioni di totale privazione della libertà personale, in assenza di convalida giurisdizionale.

    3. Il fallimento del sistema italiano dei centri di detenzione amministrativa è ormai documentato da anni, e sarà ancora più evidente con l’aumento dei termini di trattenimento fino a 18 mesi (12 per i richiedenti asilo).

    Con riguardo ai nuovi centri di detenzione per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri” non sembra eludibile una rigorosa verifica della legittimità del trattenimento in sede di convalida del giudice ordinario, e non del giudice di pace, come invece sembrerebbe prevedere la legge 50/2023 (ingiustamente definita ancora oggi “Decreto Cutro), trattandosi di richiedenti asilo che chiedono di fare valere un loro diritto fondamentale, e deve essere prevista una completa base legale con la indicazione precisa delle modalità di trattenimento -che ancora manca- conformi alla normativa europea (Direttiva procedure 2013/32/UE e Direttiva Accoglienza 2013/33/UE). Rimane a tale riguardo una grave violazione del principio di legalità in materia di misure detentive, che la Corte Costituzionale non ha ancora rilevato.

    In ogni caso il trattenimento amministrativo non può essere finalizzato esclusivamente al’esame della domanda di protezione, o per accertare il diritto all’ingresso nel territorio, come sembrerebbe affermare la legge 50/2023, perchè proprio nelle circostanze di limitazione della libertà personale che si riscontrano nei centri “chiusi” risulta più difficile avere contatti con organizzazioni che difendono i diritti umani e raccogliere prove per dimostrare la fondatezza della propria richiesta. Dal tenore della legge sembrerebbe che le strutture detentive riservate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri” siano strutture extra-territoriali, come se le persone trattenute non avessero ancora fatto ingresso nel territorio nazionale, circostanza che legittimerebbe l’aggiramento dei principi costituzionali e delle Convenzioni internazionali. Si tratta invece di luoghi che non possono sottrarsi alla giurisdizione italiana, unionale e internazionale dove i diritti e le garanzie non possono essere riconosciuti solo sul piano formale per venire poi negati nelle prassi applicate dalle autorità di polizia. Dunque è il tempo delle denunce e dei ricorsi, mentre l’opinione pubblica sembra ancora rimanere ostaggio delle politiche della paura e dell’odio. Fondamentale l’accesso civico agli atti e la possibilità di ingresso di giornalisti ed operatori umanitari indipendenti, se occorre con gruppi di parlamentari, in tutti i centri in cui si pratica la detenzione amministrativa.

    4. Vanno comunque garantiti diritti di informazione ed accesso alle procedure ordinarie, e quindi nel sistema di centri aperti di accoglienza (CAS, SAI, CPSA) per tutti i richiedenti asilo che adducano a supporto della domanda gravi motivi di carattere personale, pure se provengono da paesi terzi ritenuti sicuri.

    L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
    In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.

    I piani sui rimpatri “veloci” del governo Meloni non sono dunque applicabili su vasta scala, presentano caratteri fortemente discriminatori, ed avranno costi umani ed economici insostenibili. Se si spera negli accordi bilaterali e nel sostegno di Frontex, si dovrà comunque fare i conti con i ricorsi ai Tribunali in Italia ed in Europa, e con un ulteriore aggravamento delle crisi di legittimazione dei governi africani che accettano lo scambio della propria gente con una manciata di denaro.

    Una particolare attenzione dovrà rivolgersi alle persone vulnerabili per età, salute, genere e orientamento sessuale, ma anche per le ferite o per le torture subite durante il transito in Libia o in Tunisia. Una serie di condizioni che potrebbero di per sè legittimare il riconoscimento di uno status di protezione, a prescindere del paese di origine dal quale si è partiti.

    In ogni caso, dopo le decisioni di diniego da parte delle Commissioni territoriali, che potrebbero essere orientate da indirizzi politici, dovranno garantirsi tempi di esecuzione delle misure di allontanamento forzato che non cancellino la portata sostanziale del diritto al ricorso.

    Gli accordi bilaterali, come quelli con l’Egitto e la Tunisia, che prevedono procedure “semplificate”di rimpatrio, magari in aeroporto, senza la compiuta identificazione individuale,e senza un diritto effettivo di ricorso, vanno sospesi.

    Il provvedimento giudiziale che convalida la proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza delle ragioni addotte a sostegno della richiesta (Cass. n. 5200/2023). Non si può continuare oltre con le decisioni di rigetto”fotocopia” o con le espulsioni ed i respingimenti con accompagnamento forzato adottati prima della convalida giurisdizionale. I termini di trattenimento amministrativo in assenza di una convalida giurisdizionale sono inderogabili. Come si rilevava al tempo dei centri di prima accoglienza e soccorso (CPSA) e dei Centri Hotspot, lo stesso vale oggi per i “centri di transito” e per i centri per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri”, nelle more delle procedure accelerate in frontiera.

    Occorre ricordare che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, proprio con riferimento a cittadini tunisini, nel dicembre 2016, nel caso Khlaifia e altri c. Italia, e poi ancora quest’anno, nel caso J.A. c.Italia, ha condannato il nostro Paese per violazione, tra gli altri motivi, dell’articolo 5 della Convenzione per aver trattenuto per un periodo prolungato persone appena arrivate in Italia, senza una base legale e senza la possibilità di ricorso. Con riferimento alle nuove strutture detentive che il governo Meloni si accinge ad aprire, resta da verificare il rispetto dei principi affermati dalla Corte di Strasburgo e dei diritti fondamentali, a partire dal diritto di asilo costituzionale, sanciti dalla Costituzione italiana. Sarà anche l’occasione per verificare la legittimità costituzionale di molte disposizioni del decreto “Cutro” che, fin dalla entrata in vigore del provvedimento, hanno evidenziato sotto questo profilo gravi criticità, prima ancora che riuscissero ad avere concreta applicazione.

    https://www.a-dif.org/2023/09/26/oltre-le-sigle-la-detenzione-amministrativa-si-diffonde-nelle-procedure-in-fr

    #rétention #détention_administrative #frontières #migrations #asile #réfugiés #CPR #Italie #procédures_accélérées #pays_sûrs #pays_d'origine_sûrs #decret_Cutro #decreto_Cutro #garantie_financière #5000_EUR #5000_euros #decreto_Sud #Modica #Sicile #Porto_Empedocle #Messina #centres_fermés

    • Turning the Exception into the Rule

      Assessing Italy’s New Border Procedure

      Having promised its electorate a strong stance towards immigration, in January 2023 Italy’s new government adopted a reform that heavily curtailed immigrant rights to speed up return procedures. However, between September and October, several judgments issued by the Catania Tribunal declared it in violation of EU law (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf). In particular, when requested to review the detention of asylum applicants, the judges found the new Italian asylum border procedure contrary to the Procedures Directive 2013/32 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032) and the Reception Conditions Directive 2013/33 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex%3A32013L0033).

      The judgments led to a backlash, with PM Meloni and other members of the government accusing them of being politically motivated. One minister even published a video on social media showing a judge of the Catania Tribunal taking part in a pro-migrant rights demonstration in 2018, thus accusing her of partiality.

      Such political attacks (https://www.associazionemagistrati.it/doc/4037/lanm-sul-caso-catania.htm) must always be condemned, for they pose a significant threat to judicial independence and thus Italian democracy. Yet, they are particularly unwarranted given that the Catania Tribunal’s judges were correct in finding the new Italian border procedures incompatible with EU law.

      Detention as the Rule for Asylum Seekers

      The 2023 reform (https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2023-03-10&atto.codice) of Italy’s asylum system included the introduction of an accelerated border procedure which allows for the detention (https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-bestia-tentacolare) of asylum seekers „exclusively to determine the applicant’s right to enter the territory“ (Art. 6 bis, Law Decree 142/2015).

      This new procedure is applied when an asylum application is made „at the border or in a transit zone“ by a person who either a) evaded or attempted to evade border controls, or b) hails from a safe country of origin, which were determined by a Ministerial Decree in 2019 (https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2019/10/decreto_paesi_sicuri.pdf), later updated in 2023 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/03/25/23A01952/sg).

      Another Ministerial Decree (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/09/07/19A05525/sg) identified the „border and transit zones“ where the border procedure can be used, without providing a clear definition of these concepts nor explaining the distinction between them. Instead, it lists 16 provinces where the procedure applies (Trieste, Gorizia, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce, Brindisi, Caltanissetta, Ragusa, Syracuse, Catania, Messina, Trapani, Agrigento, Cagliari, and South Sardinia).

      Finally, the law specifies that asylum seekers are to be detained unless they submit a passport (or equivalent document) or provide a financial guarantee of € 4,938.00 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/09/21/23A05308/sg). This amount was allegedly calculated with reference to the cost of suitable accommodation, repatriation, and minimum means of subsistence. The sum can be provided through a bank guarantee or an insurance policy, but solely by the asylum seekers themselves, not by third parties.

      [voir aussi: https://seenthis.net/messages/1018093]

      Following a recent increase in migrant flows from Tunisia, the Italian authorities extensively relied on the new border procedure to detain several Tunisian citizens on the ground that they come from a “safe country of origin” (https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-protezione-dei-cittadini-stranieri-provenienti-da-cd-paesi-sic). However, on September 29 (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf) and October 8 (https://www.questionegiustizia.it/data/doc/3650/2023-tribunale-catania-8-10-2023-non-convalida-oscurato.pdf), the Catania Tribunal issued a series of similar rulings in which it annulled the detention orders because they were in conflict with EU law. In the following sections, we analyze and expand the three main arguments advanced by the Tribunal, showing that they were largely correct in their findings that the new Italian border procedure exceeds what is permissible under EU law.

      The ‘Border’ under EU Law

      The first argument made by the Catania Tribunal regards the correct initiation of a border procedure. According to the judge, the procedure was not applied „at the border“, as understood by EU law (Art. 43 Directive 2013/32). Indeed, the applicants arrived and made their asylum application in Lampedusa (province of Agrigento) but the detention was ordered several days later in Pozzallo (Ragusa province) when the applicants were no longer „at the border.“ Because the border procedure (involving detention) was utilized at a later stage and in a different place, it was not appropriately initiated.

      In support of the Catania Tribunal’s conclusion, we should recall that Article 43 the Procedures Directive requires a spatial and temporal link between the border crossing and the activation of the border procedure (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032). Although the Directive does not define the terms „border“ or „transit zone“, it clearly distinguishes these areas from other „locations in the proximity of the border or transit zone“ (Article 43(3)), where applicants can be exceptionally accommodated but never detained. The distinction between the border and other places in its vicinity suggests that the procedure provided for in Art. 43 can only be applied in narrow and well-defined areas or in pre-identified transit zones (such as the Hungarian transit zones examined by the Court in FMS and Commission v Hungary).

      Other EU law instruments support this narrow interpretation of the “border” concept. Regulation 1931/2006 defines a „border area“ as a delimited space within 30 km from the Member State’s border. In the Affum case, the Court also called for a narrow interpretation of the spatial concept of „border.“ There, the Court clarified that the Return Directive allows Member States to apply a simplified return procedure at their external borders in order to „ensure that third-country nationals do not enter [their] territory“ (a purpose which resonates with that of Art. 8(3)(c) Reception Directive). However, such a procedure can only be applied if there is a „direct temporal and spatial link with the crossing of the border“, i.e. „at the time of the irregular crossing of the border or near that border after it has been crossed“ (par. 72).

      By contrast, under the Italian accelerated procedure, the border has blurred contours. The new procedure, relying on the “#fiction_of_non-entry” (https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2020/654201/EPRS_STU(2020)654201_EN.pdf), can be carried out not only „at“ the border and in transit zones or in areas territorially „close“ to the border, but in entire provinces in southern and northern Italy. This far exceeds the narrow definition of border or border area derived from EU law.

      The Regulation of Detention under EU Law

      The second argument of the Catania Tribunal turned on the lack of motivation for the detention orders. The applicants were detained solely because they were from Tunisia, did not submit a valid passport nor pay the bail. As such, the orders lacked any case-by-case assessment of the applicant’s individual circumstances, and they did not apply the proportionality and necessity principles, as prescribed by EU law under art. 8(2) Directive 2013/33 and art. 52 and 6 of the Charter.

      Indeed, even if a border procedure is correctly initiated, Italy’s new provisions on the detention of asylum seekers do not meet the requirements of Article 8(2) of the Reception Directive. According to the CJEU, this authorizes asylum seekers‘ detention “only where, following an assessment carried out on a case-by-case basis, that is necessary” and where other less coercive measures cannot be applied effectively. (ex multis, FMS, par. 258; VL, par. 102; M.A., par. 82).

      Italy’s norms contain no reference to the principles of necessity and proportionality nor to the need for a case-by-case assessment (Art. 6 bis D. Lgs. 142/2015). In so far as the Italian provisions allow for an automatic application of detention whenever the border procedure is activated, they are incompatible with Art. 8(2) of the Reception Directive. In light of the primacy and direct effect of EU law, Italian public authorities are required to give direct application to the principles of proportionality and necessity and to carry out an individual assessment, even if not directly foreseen by Italian law.
      The Possibility of Bail

      Finally, the Catania Tribunal argued that the financial guarantee to avoid detention is contrary to EU law. The Tribunal observed that the guarantee is not used as an alternative measure to detention, but rather as an ‚administrative requirement‘ that, if not complied with, leads to detention. According to the judge, this renders it incompatible with Articles 8 and 9 of the Reception Directive 2013/33 which “preclude[s] an applicant for international protection being placed in detention on the sole ground that he or she is unable to provide for his or her needs.”(at 256).

      As rightly noted by Savino, EU law does not prohibit the use of financial guarantees; to the contrary, Article 8(4) mentions it as a legitimate alternative to detention. However, both scholars and the European Asylum Agency maintain that the guarantee shall be proportionate to the means of the applicant in order to avoid discriminatory effects. The EUAA Guidelines on asylum seeker detention further specify that:

      “the amount should be tailored to individual circumstances, and therefore be reasonable given the particular situation of asylum seekers, and not so high as to lead to discrimination against persons with limited funds. Any failure to be able to do so resulting in detention (or its continuation), would suggest that the system is arbitrary.”

      It is doubtful whether the financial guarantee in its current legal design can be considered an “effective” alternative to detention (Art.8(4)). Its high amount (€4,938.00) and procedural requirements make it practically impossible for asylum applicants to rely upon it. In particular, they are required to deposit the sum upon arrival, through a bank guarantee or an insurance policy, which are concretely impossible for them to obtain. Moreover, the financial guarantee is the only alternative to detention provided by the new Italian law, while migrants detained under other circumstances can rely upon more alternative measures.

      Taken together, it means that the measure is designed in a discriminatory way and is neither effective nor proportionate.

      Concluding Thoughts

      Several aspects of the new law foresee a system in which the border procedure is systematically applied, rendering detention the rule, instead of the exception. This follows from the geographic expansion of the “borders areas and transit zones”, the automatic (indiscriminate) application of the safe country of origin concept, the lack of a proportionality assessment, and the practical impossibility of applying the only alternative measure foreseen.

      More and more Italian courts are annulling detention orders, on the grounds that the Italian border procedure is in conflict with EU law. While the Italian government considers this an unacceptable form of judicial activism, this blog has shown that the judges’ concerns are well-founded.

      Member States’ courts are “EU law judges”, they must give precedence to EU law and general principles and set aside any incompatible national law. The recent personal attacks against some of the judges show that the government struggles to come to terms with this thick form of judicial review which takes seriously European and human rights standards.

      https://verfassungsblog.de/turning-the-exception-into-the-rule
      #exception #justice #détention #rétention #détention_administrative #décret #procédure_accélérée #garantie_financière #5000_EUR #chantage #caution #decreto_Cutro #décret_Cutro #5000_euros #tribunal_de_Catane #procédure_frontière #directive_procédures #zone_de_transit #proximité #distance #zone_frontalière #directive_retour #frontière_extérieure #fiction_de_non-entrée

      –-

      La partie sur les frontières ajouté à cette métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
      https://seenthis.net/messages/795053

  • Migranti, cinquemila euro per la libertà. È la cifra che verrà chiesta per non finire nei Cpr a chi arriva da Paesi sicuri

    Firmato il decreto delegato per la gestione delle procedure accelerate di frontiera. Chi può pagare non verrà trattenuto in attesa dell’esito della richiesta di asilo.

    Cinquemila euro per non finire in un Cpr. Adesso il governo Meloni si è inventata una sorta di cauzione da pagare per evitare il trattenimento previsto dal decreto Cutro per i migranti che arrivano da Paesi cosiddetti sicuri e dovrebbero essere rinchiusi in speciali centri per il rimpatrio nei luoghi d frontiera in attesa del rapido esame della richiesta di asilo.

    https://www.repubblica.it/cronaca/2023/09/22/news/migranti_cinquemila_euro_liberta_cpr_paesi_sicuri-415419543

    #procédure_accélérée #frontières #Italie #détention_administrative #rétention #CPR #décret #5000_EUR #chantage #caution #decreto_Cutro #décret_Cutro #5000_euros

    • I richiedenti asilo paghino 5mila euro per evitare il Centro per il rimpatrio

      Decreto legge pubblicato in Gazzetta Ufficiale, garanzia finanziaria per chi arriva

      Una garanzia finanziaria di quasi 5mila euro dovrà essere versata dal richiedente asilo che non vuole essere trattenuto in un Centro fino all’esito dell’esame del suo ricorso contro il rigetto della domanda.

      La prevede un decreto del ministero dell’Interno pubblicato oggi in Gazzetta Ufficiale che fissa a 4.938 euro l’importo che deve garantire al migrante, per il periodo massimo di trattenimento (4 settimane), «la disponibilità di un alloggio adeguato sul territorio nazionale; della somma occorrente al rimpatrio e di mezzi di sussistenza minimi».

      La disposizione si applica a chi è nelle condizioni di essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura alla frontiera e proviene da un Paese sicuro. Allo straniero, si legge, «è dato immediato avviso della facoltà, alternativa al trattenimento, di prestazione della garanzia finanziaria».

      La normativa, già in vigore, prevede il trattenimento durante lo svolgimento della procedura in frontiera, «al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato», per i richiedenti asilo in una serie di casi. Il decreto - firmato, oltre che dal ministro Matteo Piantedosi, anche dai titolari di Giustizia (Carlo Nordio) ed Economia (Giancarlo Giorgetti) - richiama inoltre la direttiva del ministro dell’Interno dell’1 marzo 2000, in cui si dispone che «lo straniero, ai fini dell’ingresso sul territorio nazionale, indichi l’esistenza di idoneo alloggio nel territorio nazionale, la disponibilità della somma occorrente per il rimpatrio, nonchè comprovi la disponibilità dei mezzi di sussistenza minimi necessari, a persona».

      La misura della garanzia finanziaria si applica al richiedente asilo direttamente, alla frontiera o nelle zone di transito, che è stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i controlli e a chi proviene da un Paese sicuro «fino alla decisione dell’istanza di sospensione».

      La garanzia deve essere versata «in unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa ed è individuale e non può essere versata da terzi». Dovrà inoltre essere prestata «entro il termine in cui sono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico». Nel caso in cui lo straniero «si allontani indebitamente - prosegue il testo - il prefetto del luogo ove è stata prestata la garanzia finanziaria procede all’escussione della stessa»

      https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2023/09/22/un-richiedente-asilo-paghi-5mila-euro-per-evitare-il-centro-per-il-rimpatrio_25
      #garantie_financière #garantie #pays_sûr

    • Cinquemila euro, il prezzo della libertà per i migranti

      Aprirà a #Pozzallo, in provincia di Ragusa, la prima struttura di detenzione dei richiedenti asilo. Come funzioneranno questi nuovi centri e la cauzione di cinquemila euro per uscirne

      “Nei mesi scorsi abbiamo chiesto di aumentare i posti per la prima accoglienza, così hanno costruito un nuovo hotspot a Pozzallo che può ospitare trecento migranti. Solo ora abbiamo capito che una parte di questo centro diventerà una struttura di reclusione per il rimpatrio accelerato di persone che arrivano da paesi considerati sicuri, in base a quanto previsto dal decreto Cutro”, spiega Roberto Ammatuna, sindaco di Pozzallo.

      Nella cittadina in provincia di Ragusa sarà aperto il primo centro di trattenimento per richiedenti asilo in Italia: ottantaquattro posti riservati a chi proviene da paesi definiti sicuri come la Tunisia. Realizzata in quaranta giorni, la struttura è formata da diversi container e si trova in un’area recintata con inferriate e filo spinato. Avrebbe dovuto aprire il 24 settembre, invece probabilmente sarà pronta il 27 settembre. “Al momento ci sono un centinaio di persone nell’hotspot, ma ancora nessuno nel centro di trattenimento per l’espulsione”, chiarisce Ammatuna.

      “All’inizio ho avuto dei dubbi su questo tipo di strutture”, spiega il sindaco, “specie perché l’hotspot a ridosso dell’area portuale ha 220 posti, ma oggi le persone ospitate sono più di quattrocento. Per me il governo dovrebbe investire sull’accoglienza. Ma ora non possiamo fare altro che collaborare e stare con gli occhi aperti per capire cosa succederà nel nuovo centro di Pozzallo”. Secondo Ammatuna, negli anni le strutture di detenzione hanno creato solo problemi, violando i diritti umani. “Io sono un sindaco di frontiera”, dice Ammatuna. “Vedremo che succede, ma staremo attenti al rispetto della dignità delle persone”.

      Trattenimento all’arrivo

      Il progetto pilota di Pozzallo è stato confermato dal ministro dell’interno Matteo Piantedosi, che il 24 settembre ha detto: “La prima struttura di trattenimento di richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri, come la Tunisia” servirà a “fare in modo che si possano realizzare velocemente, entro un mese, procedure di accertamento per l’esistenza dei presupposti dello status di rifugiato”.

      Ed è a questa struttura – non ai Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) – che si applicherà il decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 21 settembre. Tra le altre cose, il testo prevede che un richiedente asilo possa evitare di essere recluso se è disposto a versare una fideiussione di circa cinquemila euro.

      “La garanzia non riguarda le persone nei Cpr, cioè i cittadini espulsi per irregolarità acclarata nella loro condizione di soggiorno o per pericolosità accertata”, ha chiarito Piantedosi.

      Quella di Pozzallo, ha proseguito il ministro, è “una scommessa” che prevede la possibilità di trattenere le persone, “l’alternativa è la garanzia anche di carattere economico per sottrarsi al trattenimento, se la cosa funzionerà e la porteremo avanti in maniera più estesa risolverà una situazione annosa”.

      Secondo Gianfranco Schiavone, esperto di accoglienza e presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) di Trieste, “al momento c’è una grande confusione, gli annunci del governo sono lontani dalla realtà”.

      “La prima cosa da verificare è che questo trattenimento dei richiedenti asilo che provengono da paesi cosiddetti sicuri sia in linea con quanto previsto dalla legge e che sia autorizzato da un giudice”, spiega Schiavone. Il timore è invece che sia privo di base giuridica, “come ha dimostrato per anni la situazione nell’hotspot di Lampedusa”. Per questo l’Italia è già stata condannata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, ricorda l’esperto.

      “Non basta il fatto di provenire da un paese considerato sicuro per essere trattenuti”, spiega Schiavone. A dirlo è anche la normativa europea, in particolare la direttiva 33 e la direttiva 32: la detenzione “non può essere automatica e generalizzata”. “Il semplice fatto di arrivare da paesi considerati sicuri non è un motivo sufficiente per giustificare la privazione della libertà”, sottolinea l’esperto.

      La cauzione

      Il decreto del 21 settembre introduce una cauzione di 4.938 euro per i richiedenti asilo che provengono da paesi terzi considerati sicuri, e che quindi hanno un’alta probabilità che le loro domande di asilo siano rigettate. Devono versarla se vogliono evitare di essere reclusi all’arrivo, come previsto dal decreto immigrazione del 19 settembre e dal decreto Cutro, approvato dal governo di Giorgia Meloni in seguito al naufragioavvenuto al largo delle coste di Steccato di Cutro, in Calabria, lo scorso febbraio, e convertito in legge a maggio.

      Uno dei punti principali del decreto Cutro era la creazione di centri di detenzione in cui fare un esame “accelerato” delle domande d’asilo, la cosiddetta “procedura di frontiera”. Secondo il testo, se un richiedente asilo arriva da un paese considerato sicuro dal governo sarà trasferito dall’hotspot in un centro di detenzione, in attesa che la sua domanda d’asilo sia esaminata. La procedura “accelerata” dovrebbe portare a una risposta entro 28 giorni. Al momento i paesi considerati sicuri sono quindici, tra cui la Tunisia, la Costa d’Avorio e la Nigeria.

      Fare una fideiussione bancaria di quasi cinquemila euro permetterebbe ai migranti di evitare la detenzione. La cifra è stata calcolata stimando le spese di alloggio per un mese, quelle quotidiane e quelle per il volo di rimpatrio, secondo quanto riportato nel decreto. Ma la misura è stata accusata di essere contraria alla costituzione e alle leggi nazionali e internazionali sul diritto d’asilo.

      Secondo il giurista Fulvio Vassallo Paleologo, si tratta di “una norma manifesto, odiosa, ma inapplicabile, dietro la quale si nascondono procedure accelerate che cancellano il diritto d’asilo e rendono le garanzie della difesa applicabili solo sulla carta, anche a causa dell’uso generalizzato delle videoconferenze, e delle difficoltà per i difensori di ottenere tempestivamente la documentazione relativa al richiedente asilo da assistere in sede di convalida o per un ricorso contro la decisione di rigetto della domanda”.

      Con quest’ultimo atto il governo sembra voler fare concorrenza ai trafficanti

      Secondo Caterina Bove, avvocata ed esperta d’immigrazione dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), prevedere questa fideiussione è contrario ai principi della costituzione italiana sulla libertà personale: “La fideiussione richiesta è talmente alta che difficilmente un richiedente asilo potrà versarla. L’assenza di risorse finanziarie non può comportare il trattenimento, l’accoglienza dev’essere garantita a tutti, non solo a chi può permettersi di pagare. Questo è quello che dicono le direttive europee”.

      Bove dice che la Corte di giustizia dell’Unione europea si è espressa su questo: “In una sentenza del 14 maggio 2020 ha già escluso che un richiedente asilo possa essere trattenuto perché non ha le garanzie finanziarie richieste”.

      “Sfido a trovare una persona che arrivi dalla Libia, dalla Tunisia o dalla rotta balcanica, capace di attivare una fideiussione di quel valore in Italia o in qualsiasi altro paese nel tempo previsto dal decreto”, ha commentato Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci.

      “Con quest’ultimo atto”, conclude Miraglia, “il governo sembra voler fare concorrenza ai trafficanti, e non per proporre vie legali per venire in Italia, cosa che sarebbe auspicabile, ma chiedendo soldi per liberare i migranti dai centri di detenzione, proprio come fanno le milizie in Libia e non solo”.

      Cpr e rimpatri

      Il decreto approvato dal governo il 19 settembre prevede anche l’estensione della durata massima dei tempi di trattenimento degli stranieri nei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr).

      In Italia questi centri sono stati istituiti nel 1998 e nel corso degli anni sono stati gradualmente chiusi a causa di problemi strutturali e per le numerose denunce di violazione dei diritti umani e di trattamenti inumani. Ma dal 2o17 sono stati riaperti e c’è il progetto di espanderli. Il governo Meloni ha promesso di costruirne uno in ogni regione, suscitando polemiche e sconcerto negli amministratori locali, che conoscono i costi e i problemi sanitari e di ordine pubblico legati a queste strutture.

      Andrea Oleandri, direttore di Cild, che ha curato un rapporto sui Cpr definendoli Buchi neri, spiega che i centri sono stati gradualmente chiusi perché sono inefficienti e molto costosi: “L’ultimo bando di gara del ministero dell’interno ci dice che dieci centri per il rimpatrio costano allo stato più di cinquanta milioni di euro. Al momento ne sono attivi nove, perché nel frattempo il Cpr di Torino è stato chiuso. Noi l’abbiamo definito un affare, perché la gestione di questi centri è privata. E la detenzione amministrativa spesso è nelle mani di grandi multinazionali, che tagliano le spese a discapito dei servizi.L’anno scorso sono passate nei centri circa cinquemila persone e solo tremila sono state rimpatriate”.

      Nei Cpr finiscono le persone che sono trovate sul territorio italiano senza avere il permesso di soggiorno in regola. Nelle strutture si dovrebbe procedere alla loro identificazione ed eventuale espulsione. “Sono persone che non hanno commesso reati”, spiega Oleandri. La durata massima del trattenimento è stata più volte modificata, ma gli esperti sostengono che non abbia alcuna influenza sul tasso di rimpatri.

      Come spiega Oleandri: “La questione non è nei tempi, quanto nell’inutilità dei Cpr”. Secondo il rapporto di Cild, solo una persona su due fra quelle trattenute è rimpatriata, perché gli accordi di rimpatrio con i paesi di origine sono pochi, una situazione che prescinde dalla durata del trattenimento.

      “Nel 2014 il tempo massimo che si poteva stare in un Cpr era di diciotto mesi, ma il tasso di rimpatrio delle persone che ci finivano era del 50 per cento, come quando la durata era di novanta giorni. I migranti sono rimpatriati subito, se ci sono degli accordi. Altrimenti non si possono rimpatriare, quindi rimangono nel centro fino allo scadere dei tempi e poi sono rilasciati”, spiega Oleandri. “Trattenere persone che non sono rimpatriabili è inutile e anche illegittimo”, continua.

      “Sembra che il governo abbia ritirato fuori i Cpr in un momento di difficoltà per far vedere che sta facendo qualcosa sul tema dell’immigrazione, che tuttavia è molto più complesso e non c’entra molto con i centri d’espulsione”, conclude Oleandri.

      https://www.internazionale.it/essenziale/notizie/annalisa-camilli/2023/09/26/centri-reclusione-migranti-cinquemila-euro

    • Turning the Exception into the Rule

      Citation:

      Finally, the law specifies that asylum seekers are to be detained unless they submit a passport (or equivalent document) or provide a financial guarantee of € 4,938.00. This amount was allegedly calculated with reference to the cost of suitable accommodation, repatriation, and minimum means of subsistence. The sum can be provided through a bank guarantee or an insurance policy, but solely by the asylum seekers themselves, not by third parties.
      (...)

      Finally, the Catania Tribunal argued that the financial guarantee to avoid detention is contrary to EU law. The Tribunal observed that the guarantee is not used as an alternative measure to detention, but rather as an ‚administrative requirement‘ that, if not complied with, leads to detention. According to the judge, this renders it incompatible with Articles 8 and 9 of the Reception Directive 2013/33 which “preclude[s] an applicant for international protection being placed in detention on the sole ground that he or she is unable to provide for his or her needs.”(at 256).

      As rightly noted by Savino, EU law does not prohibit the use of financial guarantees; to the contrary, Article 8(4) mentions it as a legitimate alternative to detention. However, both scholars and the European Asylum Agency maintain that the guarantee shall be proportionate to the means of the applicant in order to avoid discriminatory effects. The EUAA Guidelines on asylum seeker detention further specify that:

      “the amount should be tailored to individual circumstances, and therefore be reasonable given the particular situation of asylum seekers, and not so high as to lead to discrimination against persons with limited funds. Any failure to be able to do so resulting in detention (or its continuation), would suggest that the system is arbitrary.”

      It is doubtful whether the financial guarantee in its current legal design can be considered an “effective” alternative to detention (Art.8(4)). Its high amount (€4,938.00) and procedural requirements make it practically impossible for asylum applicants to rely upon it. In particular, they are required to deposit the sum upon arrival, through a bank guarantee or an insurance policy, which are concretely impossible for them to obtain. Moreover, the financial guarantee is the only alternative to detention provided by the new Italian law, while migrants detained under other circumstances can rely upon more alternative measures.

      Taken together, it means that the measure is designed in a discriminatory way and is neither effective nor proportionate.

      https://seenthis.net/messages/1018938#message1023987

  • Italie. Le gouvernement Meloni à l’épreuve de pressions socio-politiques contradictoires – A l’encontre
    http://alencontre.org/europe/italie/italie-le-gouvernement-meloni-a-lepreuve-de-pressions-socio-politiques-c

    Comme on le sait, à la fin du mois de juillet, 169 000 familles italiennes ont reçu sur leur téléphone portable un message laconique mais inquiétant de l’Institut national de la sécurité sociale (INPS). Il disait à peu près ceci : « Le #revenu de citoyenneté est suspendu, comme le prévoit le Décret travail (Decreto Lavoro), dans l’attente d’une éventuelle intervention des services sociaux municipaux. » Ces 169 000 familles ne constituent qu’une partie des quelque 436 000 (pour un total d’environ 615 000 personnes) que le Décret travail adopté par le gouvernement Giorgia Meloni le 1er mai voulait priver du Revenu de citoyenneté (RdC), l’allocation située entre 500 et 700 euros mensuels créée par le gouvernement Giuseppe Conte 1 [membre du Mouvement 5 étoiles-M5S] en 2019 pour pallier la pauvreté croissante répandue dans le pays et surtout dans le Sud.

    Un message, celui de l’INPS, qui est d’ailleurs erroné. En effet, aucune des presque 8000 communes italiennes n’avait été prévenue qu’elle devrait faire face à la perte soudaine de revenus de dizaines de milliers de familles en plein été. De plus, les « services sociaux municipaux » ne sont pas du tout dotés de fonds adéquats pour faire face à une urgence sociale aussi importante et imprévue.

    [...]

    L’objectif est donc de contraindre de plus en plus de personnes à accepter un #emploi, quels que soient le #salaire et les modalités d’emploi. C’est ce que demande une grande partie du patronat afin de maintenir les « coûts » de production à un niveau bas et augmenter ainsi les profits.

    Ainsi, cette droite gouvernementale a décidé de faire la #guerre_aux_pauvres en cherchant également à recruter les secteurs les moins conscients de la classe ouvrière dans la configuration cette bataille ignoble.

    Mais il y a aussi un objectif politique : celui de dissiper l’important capital d’adhésion qui a permis au M5S d’occuper, lors des dernières élections, la première place dans toutes les régions du Sud.

    Malgré la parenthèse estivale, les réactions de rue contre la réduction du Revenu de citoyenneté s’organisent. Bien entendu, dans les mobilisations qui se développent surtout dans le Sud (la majorité de ceux qui seront privés du #RdC résident dans les régions méridionales), les initiateurs intègrent aussi dans leur propagande la dénonciation de toute la politique économique du gouvernement Meloni, l’augmentation des dépenses militaires, les amnisties fiscales en faveur des fraudeurs, la réintroduction (en juillet 2023) des rentes viagères [après leur suppression en 2018] pour les parlementaires [quelque 851 sénateurs et sénatrices, dont la rente est de 5522 euros net]…

    Une première mobilisation est prévue le 28 août à Naples, Palerme, Catane et Cosenza, et des initiatives concomitantes sont également prévues dans d’autres villes. L’initiative a été prise par le « Réseau des comités pour la défense et l’extension du Revenu » (Rete dei comitati per la difesa e l’estensione del Reddito), qui rassemble d’importants secteurs populaires d’anciens bénéficiaires du RdC, et organisée par le biais d’un certain nombre de réseaux sociaux et soutenu par des collectifs de #chômeurs et des organisations de gauche.

    #Decreto_Lavoro

  • Segregare e punire: il disegno politico brutale dentro il “decreto Cutro”

    Nonostante la pletora di emendamenti il quadro del provvedimento governativo appare definito: centri informali chiusi, procedure accelerate, smantellamento della protezione speciale, ostacoli alla conversione dei permessi di soggiorno in permessi per attività lavorativa. “Una strategia illegale e sconsiderata”, osserva Michele Rossi

    Per comprendere il testo del decreto legge 10 marzo 2023 (https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=19&id=1375360&part=doc_dc-allegatoa_aa), il cosiddetto “decreto Cutro”, occorre applicare con grande concentrazione le parole d’ordine gramsciane circa il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà (A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Einaudi, 2014). Pessimismo dell’intelligenza perché siamo certamente di fronte al più violento e invasivo tentativo di sovvertimento di alcuni fondamentali istituti costituzionali, democratici e sociali della recente storia repubblicana.

    Non deve in tal senso ingannare il fatto il decreto legge riguardi “solo” migranti e “solo” norme che disciplinano l’immigrazione. È evidente che sottesa a tale disciplina risulta ben visibile un’idea di società e pur producendo un certo accanimento su uno specifico gruppo sociale -i migranti-, l’intento, nemmeno troppo malcelato, è di intervenire sui rapporti tra gruppi sociali: un’operazione di “ortopedia sociale” (M. Focault, Sorvegliare e Punire, Einaudi, 2014) volta a separare, segmentare, disgiungere le comunità, annichilirne la tensione, individuale e collettiva all’integrazione, alla coesione, allo stesso contatto interculturale. Il decreto opera -purtroppo con conseguenze drammatiche- innanzitutto sulle persone migranti, ma colpendo loro, frammenta il corpo sociale intero, con pesanti ripercussioni su tutti. Non si tratta nemmeno più di modelli di accoglienza, addirittura il paradigma securitario credo non basti a interpretarne la ratio e la filosofia di fondo, vedremo, ma di produrre condizioni di tale aleatorietà da rendere ordinario l’arbitrio, la deterrenza sistematica sino all’avveramento della profezia: non è possibile nessuna integrazione, solo marginalità e segregazione.

    Del resto, come proveremo ad argomentare, per immaginare un tale impianto andava raccolto e finalizzato un lungo periodo di semina culturale e nei fatti, la nuova costruzione normativa non poteva che ergersi su fondamenta feroci, una de-soggettivazione del migrante e la criminalizzazione della solidarietà sociale. Nonostante la pletora di emendamenti, frutto di una ben organizzata e accurata strategia, il quadro normativo e anche simbolico e culturale appare definito e spaventoso: centri informali chiusi, procedure accelerate, smantellamento della protezione speciale, ostacoli alla conversione dei permessi di soggiorno in permessi per attività lavorativa. In poche parole: segregare e punire. Una strategia illegale e sconsiderata, che ha chiaramente una pesantissima ricaduta sociale su persone, territori e comunità.

    Impotenza e aggressività
    Il “decreto Cutro” emendato, con le sue novazioni normative, non è infatti preciso ma piuttosto confuso e lo è forse, volutamente. Vuole, questo è chiaro, rendere non più esigibili che quei diritti che non può permettersi di negare apertamente, come (forse) vorrebbe. Per questo sembra più orientato a creare caos, paura e incertezza che a prescrivere e normare un qualsivoglia governo del fenomeno. La lettura consegna abbastanza nitido il tentativo di rendere organico un sistema di deterrenza: non puoi arrivare, se arrivi non puoi stare, se stai verrai recluso, non avrai il permesso di soggiorno e non potrai muoverti, se e quando potrai muoverti non troverai accoglienza, se la troverai avrai pochi servizi e sconterai il tempo che avrai passato ad attendere, non potrai lavorare regolarmente e renderti autonomo, se anche lavori non potrai convertire il permesso in lavoro: preparati ad essere sempre marginale e per te oltre allo sfruttamento, nessuna garanzia e nessun futuro.

    In estrema sintesi, e semplificando (ma nemmeno troppo) questo è il suo contenuto: si rivolge allo straniero e -con l’aggressività dell’impotenza (i promessi blocchi navali non sono stati in effetti realizzati)- promette sofferenza, spaventa, annichilisce il diritto ma anche la speranza. In questo senso la sua banalità non deve ingannare: è tanto più pericoloso quanto studiato frutto di una meticolosa applicazione.

    Dove possiamo colpire siccome non possiamo fermare? Dove possiamo ostacolare siccome non possiamo negare? Stupisce però che il governo abbia applicato la sua logica senza nessuna remora circa le conseguenze, in termini di sofferenza, illegalità, marginalità e quindi del prezzo di un tale impianto sulle vite individuali e sulla società tutta che questa operazione comporterà. Il messaggio sociale, culturale e simbolico è tanto più nascosto nelle pieghe di mille emendamenti quanto più è forte anche in questo senso, e suona come un monito: “Attenzione, siamo disposti a tutto”. Un monito che traduce un senso del potere sulla vita delle persone incondizionato e feroce.

    La “banalità” degli emendamenti
    In tal senso non deve nemmeno ingannare che una ipotesi così invasiva e violenta avvenga attraverso decine e decine di singoli emendamenti, che con il loro aspetto tecnico e procedurale parrebbero offrire una qualche forma di rassicurazione: “Non si può operare un tale sovvertimento attraverso emendamenti”; ossia cancellazioni e aggiunte di commi, frasi, parole. Lo strumento garantisce una operazione meno organica e meno frontale -come fu nel 2018 con i “decreti sicurezza”- e rischia di attenuare l’attenzione pubblica, di distrarla, specie i non addetti ai lavori. È piuttosto da ritenersi che anche questa sia una precisa strategia, già peraltro testata nei mesi scorsi nel processo di conversione del cosiddetto “decreto sbarchi”, in cui una serie di emendamenti che reintroducevano aspetti salienti dei “decreti sicurezza” del 2018 furono presentati in commissione Affari costituzionali dal parlamentare leghista Igor Iezzi, per poi essere dichiarati inammissibili per estraneità di materia e senza i requisiti di necessità e urgenza. Calare attraverso un’azione ordinaria contenuti che ordinari non sono, prevenire una reazione nella società civile, anticiparla sul tempo, farlo senza essere (troppo) visibili, lasciare conseguenze irreparabili.

    Deterrenza e paura reali
    Infine va osservato come il decreto legge che si avvia a essere convertito in legge dello Stato e a sfidarne l’ordinamento, rechi il nome della località dove si è consumata l’ennesima tragedia del mare: Cutro. È sintomatico e paradossale al tempo. Sintomatico perché, riferendosi al luogo di una strage sulla quale il governo ha una responsabilità per l’assenza dei soccorsi, rende manifesta, plastica, l’assenza di ogni limite alla politica di deterrenza imbracciata. In questo senso il nome suona sinistro perché riporta alla mente il mancato soccorso, i morti, lo spostamento delle bare senza interloquire con i familiari, il mancato omaggio della presidente del Consiglio alle vittime, i superstiti lasciati e abbandonati nel Cara di Sant’Anna, piantonati dalle forze dell’ordine. La stessa località è stata però anche -ed in questo senso che il decreto si intitoli Cutro appare invece paradossale- di una grande, continua e spontanea manifestazione di accoglienza dei cutresi e di tante comunità, paesi, amministrazioni della Calabria: dalla veglia delle vittime alla solidarietà ai superstiti, al blocco stradale per impedire il trasferimento coatto delle bare, alla manifestazione nazionale dell’11 marzo e a uno striscione, che, rivolto ai migranti tutti, vittime e superstiti, recitava: “La vostra speranza è la nostra speranza”. Quella speranza che il decreto vuole colpire e che i cittadini di Cutro e della Calabria hanno invece scelto per riconoscere nei migranti ciò che ci unisce. Ed è questo che il decreto, in ultima istanza, vuole intaccare.

    Carichi residuali
    Molto diverse da queste parole, sulla spiaggia di Steccato di Cutro, mentre ancora erano in corso le operazioni di recupero dei corpi delle vittime, quelle del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che non riconosce “speranza” nei migranti ma una mancanza, precisamente di responsabilità. Lui non si rivolge direttamente ai migranti come invece faranno i cutresi, parla in prima persona, ma traccia un distinguo, morale, un solco incolmabile tra chi come lui, il ministro dice,“educato alla responsabilità” non avrebbe messo in mare, nelle mani degli scafisti i figli e chi lo ha fatto. Questa affermazione ben rappresenta a mio parere, lo spirito che informa il decreto che sopra abbiamo provato a interpretare. La strage, si intende, è colpa di chi, irresponsabile e non educato alla responsabilità, ha messo i figli in mare. La frase ha provocato, per la violenza e brutalità che esprime, forti reazioni; ma non è evidentemente un’esternazione sconsiderata. Le parole del ministro “disumanizzano” i migranti, che lo faccia a fronte dei corpi delle vittime, le rende solo più odiose, ma a ben vedere che cosa vuole trasmettere il ministro? Che non c’è società comune possibile senza “educazione”, senza il rispetto dei figli, senza responsabilità, non c’è futuro possibile “con” i rifugiati, essi non sono persone ma una categoria indistinta, non “educata” alla responsabilità, una minaccia quindi che va contenuta con ogni mezzo. Pochi mesi prima si era infatti rivolto a loro definendoli “carico residuale”. Ci siamo “noi”, categoria morale, e “loro” categoria immorale, che non hanno i medesimi attributi di umanità, che hanno la colpa della strage. Altri esponenti del governo avrebbero infatti parlato in quei giorni di mancato “rispetto di sé e della vita”. E come si può costruire una comunità con chi non ha rispetto “per sé e per la vita”, “responsabilità verso i figli” che appaiono essere i presupposti necessari per una convivenza civile?

    Privare
    Forse più queste affermazioni che singoli emendamenti riescono a restituire, perché ne sono coerente espressione, il disegno complessivo del decreto. Ma appunto vi è coerenza e continuità, le esternazioni pubbliche rompono la patina burocratica e banale del lavoro tecnico di scrittura di commi, articoli e rimandi. Tuttavia quegli emendamenti non potrebbero essere stati scritti se non avendo in mente “carichi residuali”, “non-persone” cui attribuire vigliaccamente la colpa della loro stessa morte per mancanze strutturali che li rendono definitivamente e senza appello, “altro” da noi, corpi estranei, da espellere, impossibilitati a vivere in comunità. Sironi, in un importantissimo saggio sulla tortura (Sironi, Françoise, Psychopathologie des violences collectives, Odile Jacob, 2007), scrive “privare i migranti del riconoscimento dei fattori storici e politici in cui prende corpo la migrazione, significa negare ai migranti quelle dimensioni cruciali nelle negoziazioni identitarie e nelle più ampie trasformazioni sociali che li implicheranno in qualità di nuovi cittadini”. È esattamente questo il punto. Esternazioni e decreti concordano invece su questa linea: negare i fattori storici e politici in cui la migrazione prende corpo. Per prima cosa infatti dobbiamo affermare che il decreto del 10 marzo 2023 lascia invariate due premesse: non sono possibili arrivi legali e canali sicuri e il solo modo di regolarizzarsi resta, nei fatti, l’asilo politico. Però non ci sono “veri” rifugiati e le liste dei Paesi sicuri aumentano irragionevolmente. Una scelta che nega la realtà attuale: guerre, persecuzioni, regioni non più abitabili, più di 100 milioni di rifugiati globali, il trionfo delle organizzazioni del traffico che prosperano sulla chiusura dei confini europei, i sanguinosi patti con Libia e Turchia.

    Segregare: l’assalto alla libertà dei richiedenti asilo
    Costretti a una migrazione forzatamente illegale, quindi a manifestarsi come presenza indesiderata e minacciosa dell’equilibrio sociale, economico, finanche “etnico” del Paese di approdo, il migrante è anche costretto a chiedere asilo, costituendo questa l’unica via -per poi dover sottostare a una complessa procedura burocratica di legittimazione della propria presenza e a un esito assai incerto rispetto il riconoscimento di una forma di protezione-.

    Il quadro che si sta delineando appare infatti molto peggiore anche di quello tracciato nel 2018 dai famigerati “decreti sicurezza”, perché entra in gioco oggi -ancor più violentemente- il tema della limitazione della libertà personale dei richiedenti asilo. Se, ad esempio, nel 2018 la riforma sovvertiva il sistema di accoglienza affermando la centralità dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), ridotti a mero parcheggio, senza servizi di integrazione e senza nemmeno il rispetto degli standard minimi europei; essi oggi rischiano di essere “superflui”, perché comunque aperti, ovvero senza limitazione della libertà personale dei richiedenti. Oggi il Governo Meloni preconizza, con la nozione vaga di “punti caldi/punti di crisi” (hotspot), centri di detenzione informale in cui condurre sia le procedure di identificazione sia l’esame, accelerato, delle domande di asilo. Non più quindi luoghi di transito ma di detenzione informale. Come osserva Gianfranco Schiavone va infatti ricordato che “l’ordinamento italiano continua a non prevedere alcun intervento dell’autorità giudiziaria sul presupposto della detenzione negli hotspot e sulla condizione della stessa”. Il governo sceglie la direzione opposta, intendendo sfruttare al massimo questa mancanza di garanzia, gli hotspot divengono da luoghi di identificazione e transito, centri informali di detenzione, utili sia all’identificazione sia all’esame, accelerato, della domanda d’asilo.

    Segregare: l’estensione indebita della frontiera
    È attraverso questa risignificazione dei vaghi e opachi “punti di crisi/punti caldi” che il governo, ignorando il dettato costituzionale sul trasferimento delle funzioni amministrative ai Comuni, si appresta a estendere indebitamente la nozione di “frontiera” sin dentro città e paesi, anche molto lontano da porti e confini terrestri e, in questo spazio sospeso e indefinito, a tracciare il solco e innalzare i muri che separeranno italiani e stranieri, presenze legali e “illegali”, dentro e fuori. Gli emendamenti al “decreto Cutro” prevedono un ampiamento delle casistiche cui applicare la procedura accelerata di esame della domanda di asilo (o procedura “di frontiera”) tale da ricomprendere nei fatti ogni casistica possibile. Il decreto prevede anche la moltiplicazione degli hotspot sul territorio nazionale. Sino ad oggi le procedure di esame accelerato, in frontiere erano limitate a pochissime fattispecie. È un cambio di paradigma: negli hotspot non solo la procedura di identificazione ma anche l’esame della domanda d’asilo, con la possibilità di estenderne -evidentemente- i tempi di permanenza. È la genesi di un nuovo sistema concentrazionario. Infatti ritorna anche, dal testo dei “decreti sicurezza”, l’impossibilità per i richiedenti asilo di accedere al sistema pubblico di accoglienza integrata e diffusa (Sai, già Sprar). Tale sistema ritorna quindi in versione Siproimi, a essere esclusivo per i soli, pochi, cui verrà riconosciuta la protezione internazionale. Tramonta l’idea di costruire la protezione e l’integrazione sin da subito, attraverso la prossimità relazionale del contatto nelle comunità e attraverso la libertà di movimento dei richiedenti asilo.

    Punire: la spietata logica dei grandi centri chiusi
    Una recente e fondamentale inchiesta di Altreconomia, condotta da Luca Rondi e Lorenzo Figoni, ha squarciato il velo sulle condizioni di vita dentro i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). L’articolo s’intitola significativamente “Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani”. I Cpr, pur teatro di un crescente numero di gesti autolesivi, suicidi, violenze e danneggiamento delle strutture, sono stati recentemente oggetto di uno stanziamento economico imponente (quasi 46 milioni di euro) per potenziarne -sempre seguendo la logica della paura e della deterrenza percorsa dal governo- il funzionamento e anche in questo caso, la diffusione sul territorio nazionale. Si intravede un’ipotesi: segregare il migrante sin dal suo arrivo e in caso di diniego passare direttamente da hotspot a Cpr. L’inchiesta di Altreconomia, dati alla mano, mostra l’abuso di psicofarmaci dentro le strutture, utilizzati sistematicamente per disciplinare migranti costretti all’inattività forzata, senza personale cui rivolgersi e nessuna attività da svolgere.

    In un’intervista rilasciata al giornalista Franz Baraggino e pubblicata su ilfattoquotidiano.it, il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, ha commentato: “Avere più Cpr non serve a niente, se non a dare il messaggio simbolico del ‘li teniamo chiusi qui’, nient’altro”. Lo stesso Garante ha aggiunto che “in quei posti le persone cambiano e quando ritornano nelle nostre comunità, come il più delle volte accade, sono peggiorate […] i comportamenti di insofferenza acuta sono il prodotto di uno spazio dove non sei nulla, non fai nulla e nulla avviene, salvo rimuginare sul proprio destino, che è un destino di fallimento, quello del rimpatrio”. Complessivamente nei Cpr transitano circa 10mila persone all’anno, il 2% del totale degli irregolari, e contribuiscono per il solo 50% (circa 3.000) ai complessivi 6.000 rimpatri che avvengono in media ogni anno. Senza accordi bilaterali, il rimpatrio è per molti più una minaccia che una realtà. A fronte dell’inefficacia dello strumento, a fronte dei suoi costi e della sofferenza che genera, il governo invece investe su questa forma di detenzione per le persone “espulse”, per un’irregolarità appositamente creata.

    Sin dagli anni 90 del secolo scorso la letteratura scientifica è concorde sull’individuare nei centri di detenzione amministrativa, siano strutture adibite al rimpatrio come i nostri Cpr o le strutture di confinamento e segregazione dei richiedenti asilo come gli hotspot, luoghi con alta incidenza di problemi psichiatrici psicologici, di perdita della salute organica e delle risorse psico-sociali per affrontare la vita lavorativa e sociale una volta usciti dal centro (Loutan, Louis, et al. “Impact of trauma and torture on asylum-seekers.” The European Journal of Public Health 9.2 (1999): 93-96.). Allora perché farne sistema? La domanda è chiaramente retorica.

    Punire: lo smantellamento della protezione speciale
    Largamente anticipati da un sinistro rumore di fondo che ha ricordato il precedente assalto alla protezione umanitaria (2018), un rumore di fondo sorretto dalla mistificazione che affermava essere la protezione speciale una anomalia solo italiana; gli emendamenti al “decreto Cutro” hanno infine smantellato anche tale protezione. Non potendo privarla dei riferimenti a convenzioni e norme internazionali (Cedu), il governo -altro esempio di logica deliberatamente punitiva- ha scelto di confondere le competenze per il rilascio, ostacolandone l’ottenimento, che rimane sulla carta possibile ma nei fatti arduo. Se sino a oggi il percorso di ottenimento appariva ragionevole e chiaro, ora non lo è più, precipitato nel conflitto di competenze tra questure e commissioni territoriali. Preme sottolineare che questa ennesima e antieconomica previsione colpirà in special modo coloro che per varie ragioni stanno compiendo passi decisivi per un percorso di integrazione sociale e lavorativa, cui ha dato principio nonostante gli ostacoli precedenti.

    Conclusione
    Abbiamo provato a ricostruire il messaggio culturale, simbolico e -almeno per alcune misure- le conseguenze concrete, di quanto previsto dal decreto legge del 10 marzo 2023 e dei suoi numerosissimi emendamenti che ne definiranno la conversione in legge, prevista entro i primi dieci giorni di maggio. Per quanto molti dei suoi contenuti siano di difficile applicazione ed è prevedibile un’imponente mole di controversie legali, abbiamo creduto importante analizzarne gli intenti, cercando di osservarne il disegno per comprendere quale intenzioni ed obiettivi hanno mosso il legislatore in una così radicale sfida all’ordinamento giuridico, ai diritti, a istituti sociali e conquiste culturali.

    Tra queste, certamente colpisce, a 45 anni dalla “Legge Basaglia”, il ritorno a strutture concentrazionarie per segregare un determinato gruppo sociale, oggi i migranti, privati della loro libertà per la colpa di sfidare con determinazione, disperazione o -come riconosciuto dai cutresi- speranza, il divieto imposto dall’Europa e dall’Italia a poter vivere in pace e sicurezza. Per articolare in legge questo che è un discorso politico e culturale “estremo” che nega sia ai migranti il riconoscimento delle cause in cui si è prodotta la migrazione, sia alla società italiana la propria storia e le sue conquiste democratiche e sociali (tra esse ricordiamo solo la chiusura dei manicomi, delle classi speciali), il governo investe su un decisivo salto di qualità in strumenti e pratiche di segregazione, confinamento e marginalizzazione dei migranti, sino al punto di limitare la libertà personale. Un salto di qualità atto a impedire il contatto, la solidarietà e orientato a impedire l’integrazione sociale e lavorativa, la convivenza interculturale basata sui diritti.

    Vincolato da Costituzione, trattati internazionali, norme superiori, il governo propone allora un disegno “banalmente” tecnico nella forma (gli emendamenti) quanto feroce nella sostanza. Tanto più feroce quanto più impotente a fronte dei cambiamenti epocali che stiamo collettivamente attraversando, cercando nella deterrenza e nella minaccia ai gruppi sociali più fragili, la misura della propria forza e assumendo una postura punitiva, inutile se non a produrre evitabili sofferenze individuali, tensioni sociali improduttive e costi economici e sociali per le generazioni future.

    L’iniziale citazione di Antonio Gramsci è stata trattata solo per metà, quella relativa al pessimismo dell’intelligenza. In conclusione è il tempo invece della seconda parte, l’ottimismo della volontà. C’è ragione di credere che un disegno -quello tracciato dal decreto- così povero di futuro e così meschinamente abbarbicato sulla deumanizzazione dei migranti, sia rigettato dalla società, sia reso inapplicabile nella quotidianità, nelle relazioni interpersonali e sociali, prima ancora che nelle aule dei tribunali, iniziando una grande stagione dove italiani e migranti insieme affermino uniti l’inviolabilità dei diritti di tutti e tutte e la libertà di costruire insieme il futuro che ci attende.

    https://altreconomia.it/segregare-e-punire-il-disegno-politico-brutale-dentro-il-decreto-cutro
    #décret #décret_Cutro #decreto_Cutro #Italie #migrations #asile #réfugiés #loi

    • Italy: New law curtails migrants’ rights

      For migrants in Italy getting special protection status can be life-changing. But lawmakers have now approved a law severely restricting access.

      Italy’s parliament recently greenlighted a controversial decree to crack down on irregular migration. Known as the Cutro decree — in reference to the southern town in Calabria where more than 90 people died in a shipwreck last February — the legislation severely limits a special protection status Italian authorities can grant to migrants who do not qualify for asylum.

      Italy has recorded more than 42,000 irregular arrivals since the beginning of 2023, almost four times as many as in the same period last year and the Italian government claims special protection incentivizes migrants to start dangerous trips to the country.

      “Special protection creates attractive conditions for immigration and we will eliminate it,” said Nicola Molteni of the right-wing League party, whose currently serving as the undersecretary at the Interior Ministry.

      Agriculture Minister Francesco Lollobrigida, from Prime Minister Giorgia Meloni’s far-right Brothers of Italy party, recently sparked controversy, warning against the “ethnic replacement” of Italians by migrants, a notion widely regarded as racist.

      Before the decree, people offered special protection status could live in Italy for two years, renew their residence permit and convert it into a working permit. It was granted to asylum seekers who risked being persecuted in their country of origin, those fleeing war and natural disasters, as well as those with family ties or high levels of economic integration in Italy.
      What changes with the new migration rules

      Now, all that has changed. While special protection remains available for those at risk of torture, inhumane treatment or systematic rights violations in their home nation, the new law narrows access by scrapping criteria based on family links or economic integration.

      “If a person is not at terrible risk in their home country, but in the meantime has started a family or had children in Italy, the commission [assessing residence status] will not take this into account,” explains Paolo De Stefani, a professor in international law at the University of Padova.

      People fleeing natural disasters or seeking treatment for severe medical conditions will also see their access to special protection restricted. Most importantly, however, it will not be possible for them to convert it into a work permit.

      Language courses and legal advice will also be scrapped in reception centers.

      Things will change, too, for unaccompanied minors. They are still entitled to special protection permits until they turn 18; they can extend it for one more year, but cannot convert it into a work permit.

      “This means killing the prospects of integration for people arriving in Italy at a very young age,” said De Stefani. “What type of educational path will be imagined for those with such prospects?”

      In contrast with the otherwise restrictive nature of the law, the law offers a new possibility for victims of forced marriage to apply for special protection.

      Migrants fear for their future

      While those who already benefit or who have already requested special protection will not be affected by the new legislation, many agree the climate towards migrants has become more harsh.

      Sarja Kubally, a Gambian national currently under special protection, says Italy has not been the same since a new government headed by the far right came to power.

      “I am thinking of leaving, I am happy here, but now I am afraid of staying with this situation,” he told DW.

      Although Kubally is confident he himself will get a work permit, he fears others will miss out on opportunities he benefited from.

      “Special protection really changes your life. It allows you to work, to study. You can do many things and give back,” Kubally said. “If someone needs help, you need to help them, not make it even harder for them. We should put humanity first.”

      The uncertainty for Ali, who asked not to use his real name for security reasons, is far greater. The Pakistani national, who spent four years in Greece where he maintains local authorities did not accept his asylum claim, has been living in Italy since 2021. He now has a three-year work contract and is learning Italian, but his asylum request was recently rejected. He is now appealing the decision. Should his bid be turned down again, Ali will not be able to apply for special protection under the new rules.

      “I lost four years of my life in Greece, but here in Italy I am well integrated, I have a job, I want to stay here,” Ali told DW. “Well-integrated people should be allowed to stay. I haven’t thought about [what I would do if I couldn’t access special protection]. Going back to Pakistan is unthinkable.”

      Less special protection, more precariousness

      Italy has always provided special protection, except from 2018-2020 when former Interior Minister Matteo Salvini scrapped it temporarily . Though Prime Minister Giorgia Meloni claims otherwise, Italy is not the only country which offers this type of protection. Though different terminology is used, 18 other states in Europe provide similar special protections.

      Critics warn restricting access to special protection will push more migrants into an undocumented life outside the law and rob vulnerable people of fundamental rights — especially as the move follows another decree which limits the work of nonprofit rescue ships operating in the Mediterranean, and Italy last month declaring a six-month state of emergency to curb migration flows.

      Valeria Carlini, a spokesperson for the Italian Council for Refugees, says the law will not only harm people seeking protection but also local societies, where migrants have begun building a life and contributing to the socioeconomic fabric.

      Law professor De Stefani believes the legislation ultimately undermines integration — especially for irregular migrants — and aims to put an emergency band-aid on migration flows. “People will have poorer conditions in Italy and eventually seek better protection and living standards in other European countries,” he said.

      Like many of her predecessor governments, Meloni has been demanding more solidarity and better coordination among EU countries to tackle migration flows.

      “This law might be seen as the latest maneuver to pressure Europe into seriously tackling migration issues, but it is betting with someone else’s life,” said De Stefani.

      https://www.infomigrants.net/en/post/48834/italy-new-law-curtails-migrants-rights

    • La doppia morte dei naufraghi di #Cutro

      1.

      In un documento redatto dall’associazione di magistrati Area sul “#decreto_Cutro” appena prima dell’esame della Camera dei Deputati, si legge questo interrogativo: «cosa spinge il legislatore a credere che blocchi navali o i finanziamenti di regimi autoritari possano fermare persone che hanno attraversato il deserto per fuggire a guerre, violenza insopportabile, distruzione, persecuzione, ripetute discriminazioni e che cercano protezione in quei Paesi che hanno fatto della protezione internazionale e del rispetto della dignità una regola fondamentale e immutabile della loro civiltà?» (https://www.areadg.it/comunicato/non-chiamiamolo-decreto-cutro). Nel frattempo il decreto legge è stato convertito, senza alcuna modifica da parte della Camera ove il Governo ha posto la fiducia, nella legge 5 maggio 2023 n. 50.

      Dopo la tragedia di Cutro (94 morti di cui 36 bambini, ma vi sono altri dispersi) chiunque si sarebbe aspettato che il Governo, seppure dalla sua posizione di chiusura, mettesse mano alla legislazione vigente focalizzandosi su due questioni generali irrisolte: la prima questione riguarda come riformare la normativa in materia di ingressi per lavoro in modo da aprire canali di ingresso regolare, come lo stesso Governo ha più volte annunciato di voler fare; la seconda riguarda la possibilità di introdurre procedure di ingresso protette/sicure, finora non esistenti, per consentire a una parte dei rifugiati che intendono arrivare in Italia di poterlo fare attraverso canali appunto protetti. In entrambi i casi le due diverse auspicate normative, oltre a salvare vite umane, avrebbero avuto il non secondario effetto di sottrarre alla criminalità organizzata delle quote di merce umana. Eppure la legge n. 50/2023 non è intervenuta su nessuna di queste due questioni fondamentali: né sugli ingressi per lavoro, né sugli ingressi per asilo.

      Sulla materia degli ingressi per lavoro il decreto legge n. 20/2023, poi convertito in legge, è intervenuto su due aspetti: la programmazione generale degli ingressi e la formazione all’estero. Sul primo punto la nuova disciplina prevede «la predisposizione ogni tre anni – salva la necessità di un termine più breve – del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione» e «la definizione con dPCM annuale delle quote di ingresso, con possibilità di adottare ulteriori decreti in corso d’anno, sulla base dei criteri generali adottati nel documento programmatico». Ciò, peraltro, era già contemplato, con minime differenze, dalla normativa e l’unica modesta innovazione riguarda la modifica all’art. 21 del TU Immigrazione secondo cui «può essere autorizzato l’ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato, anche a carattere stagionale, di stranieri cittadini di Paesi con i quali l’Italia ha sottoscritto intese o accordi in materia di rimpatrio». Nulla viene modificato in relazione al problema di fondo che produce da oltre vent’anni l’irregolarità in Italia, ovvero l’impossibile incontro a distanza tra offerta e domanda di lavoro che costringe i lavoratori stranieri a entrare in Italia irregolarmente, o a entrarvi regolarmente – se provenienti da paesi per i quali non è richiesto il possesso di un visto – e poi rimanere a soggiornare irregolarmente e lavorare in nero in attesa che un provvedimento di emersione o un decreto flussi, come quello emanato dal Governo il 26 gennaio 2023 per 82.705 posti di lavoro (a fronte di 240.000 domande presentate) permetta loro di regolarizzare ex post la loro posizione di soggiorno. Paradossalmente la nuova norma non prevede neppure l’abrogazione della preventiva verifica dell’indisponibilità di lavoratori italiani o stranieri già presenti in Italia prevista quale condizione per il rilascio dei nulla-osta al lavoro richiesti da datori di lavoro per l’assunzione dei persone chiamate a svolgere le prestazioni indicate nel decreto sulle quote: si genera così ancora una volta una palese contraddizione in quanto la programmazione è (o meglio dovrebbe essere) fondata sull’analisi del fabbisogno del mercato del lavoro effettuata dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali previo confronto con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori. È quindi irragionevole che l’assunzione dall’estero per la medesima mansione sia condizionata da un’ulteriore verifica da parte del centro per l’impiego della indisponibilità di altri lavoratori che siano già in Italia. La mancanza di modifiche sostanziali, coperta da modificazioni solo linguistiche, è visibile in modo evidente nell’art. 23 TU immigrazione che prevede la possibilità di realizzare attività di istruzione e di formazione professionale e civico-linguistica nei Paesi di origine finalizzata all’inserimento lavorativo mirato nei settori produttivi italiani. Si tratta anche in questo caso, di una previsione che esisteva già, solo con diversa epigrafe. L’unica modifica significativa riguarda la possibilità che il Ministero del lavoro promuova «la stipula di accordi di collaborazione e intese tecniche con soggetti pubblici e privati operanti nel campo della formazione e dei servizi per il lavoro nei Paesi terzi di interesse per la promozione di percorsi di qualificazione professionale e la selezione dei lavoratori direttamente nei Paesi di origine» (art. 23 comma 4 bis); l’ingresso dei lavoratori che hanno effettuato i corsi avverrebbe in tal caso in deroga ai limiti quantitativi previsti dalla programmazione delle quote di ingresso. Si apre così la possibilità di una selezione delle braccia da parte di grandi agenzie che decideranno di organizzare corsi di formazione per reperire la propria mano d’opera all’estero, ma non la possibilità per i lavoratori stranieri che hanno effettuato con successo dei corsi di formazione all’estero (magari nell’ambito di programmi di cooperazione allo sviluppo, del tutto esclusi) di ottenere un visto di ingresso per ricerca di lavoro in presenza dei requisiti economici, posseduti dagli stessi lavoratori o forniti da terzi, necessari a mantenersi in Italia per un primo periodo. Se così fosse stato la legge avrebbe dato avvio a una pagina nuova che non si è voluto in alcun modo aprire. Il messaggio è chiaro: nessuna riforma del sistema degli ingressi doveva essere effettuata.

      Se sul versante degli ingressi per lavoro il Governo ha finto di aumentare i canali di ingresso regolari, per ciò che riguarda gli ingressi per asilo non ha neppure finto: nulla infatti è stato proposto se non dichiarazioni di elogio all’esperienza dei corridoi umanitari, realizzati però non dal Governo ma da enti umanitari. Le persone morte nella strage di Cutro, come in molte altre tragedie, erano in larga parte stranieri che fuggivano da situazioni di persecuzione e violenze in Afghanistan, Siria, Iraq e altri paesi e che cercavano asilo in Europa. La loro partenza dalla Turchia e la scelta della rotta marittima erano legate alla necessità di evitare, almeno per i soggetti più deboli (quali donne e minori), la via terrestre, ovvero la famigerata rotta balcanica segnata da continue violenze e respingimenti, dalla Grecia fino alla Slovenia. Sotto questo profilo la strage di Cutro rappresenta una tragica sintesi dell’ecatombe in atto lungo le rotte migratorie, sia via mare che via terra. Un decreto legge che nasce quale risposta a quella strage, come detto in premessa, avrebbe dovuto affrontare il nodo di come introdurre procedure e criteri in base ai quali i cittadini stranieri con bisogno di protezione internazionale possano entrare in Italia in modo regolare e protetto, autonomamente o usufruendo di programmi pubblici. Anche su questo versante erano state avanzate diverse interessanti proposte, ma sono state tutte rigettate.

      C’è una terza questione che la legge n. 50/2023 non affronta: la materia dei soccorsi in mare considerata la tardività e inefficacia dimostrata nel caso specifico e, in particolare, la non chiarita ragione per cui, pur informate dei fatti, le autorità competenti sono intervenute agendo attraverso modalità riconducibili a un’operazione di polizia e non a quelle di un operazione di ricerca e soccorso, come richiesto dalla normativa internazionale (https://www.asgi.it/notizie/naufragio-cutro-associazioni-depositano-esposto-collettivo-in-procura). A ben guardare però la materia del soccorso in mare è già regolata da precise norme di diritto internazionale recepite dall’Italia e non c’è bisogno di alcuna nuova disciplina per evitare le tragedie come quella di Cutro, che, semmai, avvengono a causa di prassi e forzature finalizzate e eludere o indebolire gli obblighi di soccorso. Di fronte a una tragedia avvenuta in un’area geografica non presidiata dall’intervento di ONG il Governo italiano non ha potuto coprire le proprie carenze gettando la colpa sulle odiate organizzazioni umanitarie. Alla caccia di qualcosa di roboante da dare in pasto all’opinione pubblica ha scelto, dunque, di introdurre nuove disposizioni penali eccezionalmente severe nel caso di morte o lesioni come conseguenza dei delitti di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. La premier Meloni ha scenograficamente annunciato ai media «la volontà di colpire gli scafisti non solo quando li troviamo sulle barche, ma andandoli a cercare lungo tutto il globo terracqueo» (la Repubblica 10 marzo 2023) dimenticando che coloro che guidano le imbarcazioni spesso hanno poco a che fare con le organizzazioni criminali e che in ogni caso, anche quando vi sono connessi, sono gli ultimi anelli della catena (Dal mare al carcere: la criminalizzazione dei cosiddetti scafisti).

      2.

      Se non interviene né sui nodi scoperti degli ingressi regolari per lavoro, né sugli ingressi protetti, quali sono dunque le materie affrontate dal decreto legge n. 20/2023 e, poi, dalla legge di conversione n. 50/2023?

      Gli aspetti essenziali, la nuova norma interviene sono tre: a) il ridimensionamento della protezione speciale; b) la destrutturazione del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo con smembramento del SAI (sistema di accoglienza ed integrazione), a cui – analogamente a quanto era avvenuto per lo SPRAR con la legge n. 173/2020 – viene sottratta la possibilità di accogliere i richiedenti asilo; c) l’ampliamento delle ipotesi di trattenimento dei richiedenti asilo nei CPR e soprattutto negli hotspot e una parallela estensione delle procedure di frontiera o procedure accelerate, con una generale contrazione delle garanzie procedurali in sede di esame delle domande di asilo.

      Mi limito, per ragioni di spazio, a un breve approfondimento della problematica della protezione speciale. Il ridimensionamento della terza forma di protezione prevista dall’ordinamento, la cosiddetta protezione speciale, introdotta con la legge n. 132/2018 ma novellata in senso estensivo con la legge n. 173/2020, è stato il tema che maggiormente è emerso nel dibattito pubblico. Il testo del decreto legge n. 20/2023 sembrava mirare solo a restringere l’ambito di applicazione della previgente normativa cassando il paragrafo dell’art. 19 comma 1.1 secondo cui «non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine». In sede di conversione in legge al Senato è emersa una volontà della maggioranza ancor più aggressiva finalizzata a cancellare pressoché in toto questo istituto e ad eliminare la possibilità di esaminare la domanda di riconoscimento della protezione speciale attraverso il canale costituito dall’istanza alla questura e dal parere vincolante della commissione senza audizione, ovvero fuori dalla procedura di esame di una domanda di asilo. Alla fine dell’iter parlamentare alcune delle proposte più estreme sono state ritirate (pur se tutto è stato incanalato nella sola procedura di asilo) ed è rimasto l’obbligo per le Commissioni territoriali che esaminano le domande di asilo di riconoscere una protezione speciale qualora «esistano fondati motivi di ritenere che [la persona interessata] rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all’articolo 5, comma 6 [del TU Immigrazione]». Il nuovo articolo prevede che «il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano».

      In questa situazione pochi dubbi possano esserci in relazione all’obbligo per le Commissioni territoriali di valutare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione speciale per rispetto di uno degli obblighi costituzionali o connessi all’ordinamento internazionale cui l’Italia è vincolata. Tra tali obblighi v’è il rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU e da una rilevante giurisprudenza interna. Si è invece diffusa una fallace informazione secondo cui la protezione speciale è stata cancellata. In particolare si è sostenuto che è stato cancellato il riconoscimento di tale protezione per riconoscimento del diritto alla vita privata e famigliare. Persino nella relazione illustrativa del decreto legge alla Camera dei Deputati si possono leggere affermazioni quali la seguente: «l’articolo 7, modificato al Senato, elimina il divieto di respingimento ed espulsione di una persona previsto nel caso vi sia fondato motivo di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare». In tale frase si sostiene che è legittimo espellere colui che… ha il diritto a non essere espulso. Ha dell’incredibile leggere tali corbellerie in un atto parlamentare e ciò illumina il livello di tensione politica che ha avvolto l’intera vicenda e soprattutto svela l’intenzione dell’Esecutivo: il diritto in questione non può essere cancellato, ma non deve potere essere esercitato.

      È agevole prevedere, sulla base di chiare evidenze, che il Governo farà enormi pressioni affinché le Commissioni territoriali per il riconoscimento del diritto d’asilo (che non sono per nulla indipendenti e soggette solamente alla legge e su cui si esercita una pervasiva influenza politica) restringano al massimo l’ambito di applicazione della protezione speciale rigettando il maggior numero possibile di domande anche in presenza dei presupposti per il riconoscimento. Che lo straniero denegato faccia pure ricorso alla magistratura sapendo che essa deciderà sui ricorsi dopo anni a causa della lentezza dei procedimenti, che diverranno ancor più lenti a causa dell’aumento dei contenziosi. Intanto ciò che conta è portare subito a casa il risultato di una diminuzione del numero dei riconoscimenti di protezione, anche se ciò aumenterà l’irregolarità e la precarietà di vita di migliaia di persone la cui vita è ritenuta irrilevante.

      Con il decreto legge n. 20/2023 e la conseguente legge di conversione i morti del naufragio di Cutro sono morti una seconda volta.

      https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/05/16/la-doppia-morte-dei-naufraghi-di-cutro
      #naufrage #mourir_en_mer #décès #Gianfranco_Schiavone #migrations #asile #réfugiés #Méditerranée #Italie

    • Naufragio di Cutro, ritardi e omissioni della Guardia di finanza. Avvisi di garanzia per tre ufficiali

      Il giallo degli audio spariti e le bugie sulla vedetta di salvataggio. Perquisizioni e sequestri di tablet e cellulari. L’ipotesi di reato: omicidio colposo. Alti tre indagati coperti da omissis. Il legale delle vittime
      “Lo Stato ha responsabilità chiare”

      Alle 23.49 del 25 febbraio il capoturno della sala operativa della Guardia costiera di Reggio Calabria era relativamente tranquillo. Da Vibo Valentia, la Guardia di finanza assicurava che una loro motovedetta, la potente “5006” era già uscita alla ricerca di quel caicco, verosimilmente carico di migranti, segnalato un paio d’ore prima da un aereo di Frontex a tutti i comandi operativi europei ed italiani a cominciare da quello della Finanza a Pratica di mare.

      (#paywall)
      https://www.repubblica.it/cronaca/2023/06/01/news/naufragio_cutro_indagati_sequestro-402763465

      #justice

    • The Crotone Cover Up

      Italy lied about their role in a shipwreck that killed 94 people – including 35 children – and the EU border agency Frontex helped cover it up

      During the early hours of February 26, 2023 a wooden pleasure boat crashed close to the shore in Cutro, Italy. On board were nearly 200 people, mostly refugees from Afghanistan. At least 94 of them died, including 35 children. Yet the overloaded boat had been spotted by Europe’s border agency Frontex six hours before the wreck, struggling in bad weather. The deaths, which took place so close to the shore, shocked Italy and Europe. But Frontex and the Italian authorities deflected blame onto each other.

      Frontex said that the boat showed “no signs of distress” and that it was up to Italy to decide whether to launch a rescue operation. Italy’s prime minister claimed that they didn’t know the boat “risked sinking” and didn’t intervene because Frontex didn’t send them an ‘emergency communication’. “Do any of you think that the Italian government could have saved the lives of 60 people, including a child of about three years whose body was just found today, and it didn’t?” Prime Minister Giorgia Meloni said shortly after the tragedy.

      A joint investigation by Lighthouse Reports and its partners reveals that both the Italian authorities and the Frontex leadership were aware that the boat was showing signs of distress when the ship was first spotted six hours before the wreck, but nevertheless decided not to intervene – and later tried to conceal how much they knew.
      METHODS

      When images of boat debris on an Italian beach were broadcast around the world, it was hard to imagine that they came from a vessel carrying 200 people. The Summer Love, a wooden boat approximately 25 metres long, was crammed with women, children and men fleeing wars, hoping for a better life. With little video footage available, we decided to make a 3D model of the vessel to better understand and explain the risks people were prepared to take. Crowded below decks, they had little chance of survival when the boat sank as their only exit was one narrow staircase.

      Over time, our reporters won the trust of some of the survivors by spending time with them in the centres they’re now living in. They shared their stories from departing Turkey to the harrowing losses they suffered in the sea. Some shared videos which revealed additional details about the shipwreck, including a tablet with navigation software which confirmed the vessel’s location and direction of travel.

      Crucially, we obtained leaked confidential Frontex mission reports which revealed that a plane operated by the border agency had reported signs of distress to both the agency and Italian authorities. Hours before the flight, operators warned about “strong winds” in the Ionian Sea. Frontex then detected the vessel by tracking multiple satellite phone calls made throughout the day by people on board. A detailed account of the pilot’s calls show that Frontex knew it was a “possible migrant vessel,” with no visible safety jackets and a “significant thermal response” from below deck. According to Frontex’s press office, this is an indication of the presence of an “unusual” number of people on board.

      Bad weather, a lack of life vests and overcrowding constitute signs of distress under Frontex’s and Italy’s own maritime rules; still the maritime authorities did not launch a search and rescue operation. After the wreck, the European border agency concealed the fact that their pilot had signalled strong winds to their control room during the surveillance flight.
      STORIES

      Assad Almulqi was a child when war broke out in Syria. His family fled their city after it was attacked with poisonous gas in 2013. This year, the 22 year-old paid 8,000 euros for a place on the boat from Turkey. His six-year-old brother Sultan was allowed to travel for free.

      He recalls the moment everything went wrong. “It was dark. The ship leaned to one side and half of it went underwater. It sank in seconds.”

      “I got scared, held my brother in my arms and told my uncle that we needed to go upstairs because something not normal was happening. The waves started hitting the windows and water entered the ship.”

      He jumped out when the water reached his knees, holding his brother tightly.

      Assad tried desperately to keep Sultan above the waves as he attempted to signal to rescuers. “We were drowning ourselves to keep his head above the water, but it wasn’t enough to save him.”

      They clung to pieces of the ship, fighting to stay afloat as people around them drowned.

      Also onboard was 23-year old Nigeena who was travelling with her husband Seyar, following their wedding just four months earlier. She clutched his hand as they fought to stay above water. They were almost ashore when a huge wave swept Seyar away. Their boat broke apart 200 metres off the coast of Italy.

      “The wreck is Italy’s fault because they knew from the start that a boat had arrived,” said Nigeena. “Usually when they see an unfamiliar ship it’s their job to check it out. But they didn’t.”

      Lawyers for some of the families of the victims are planning to take a case to the European Court of Human Rights, arguing Italy should be held responsible for the “irremediable violation of migrants’ right to life.”

      https://www.lighthousereports.com/investigation/the-crotone-cover-up

      –---

      En italien (résumé):
      L’insabbiamento sulla strage di Steccato di Cutro

      Un’inchiesta internazionale di #Lighthouse_Reports dimostra il rimpallo delle responsabilità tra Frontex, guardia di finanza e guardia costiera italiana

      https://www.meltingpot.org/2023/06/linsabbiamento-sulla-strage-di-steccato-di-cutro

    • Omissione di soccorso: la vera storia del naufragio di Cutro

      Un’inchiesta internazionale – a cui Domani ha collaborato insieme a Lighthouse Reports, Süddeutsche Zeitung, Le Monde, El Pais e Sky News – mostra attraverso documenti inediti, fonti confidenziali, immagini satellitari, modelli 3d e decine di testimonianze cosa è accaduto quella sera e il rimpallo delle responsabilità tra le tre autorità coinvolte: Frontex, guardia di finanza e guardia costiera. Intanto l’indagine giudiziaria della procura di Crotone va avanti: il primo giugno le prime perquisizioni hanno riguardato tre ufficiali della guardia di finanza. L’obiettivo è individuare le falle nella catena di comando

      (#paywall)
      https://www.editorialedomani.it/fatti/naufragio-cutro-inchiesta-internazionale-wqa2rkss

  • Migranti, i sindaci delle grandi città contro il governo: «Scelte sbagliate che ledono i diritti: non si cancelli la protezione speciale»

    I sindaci delle maggiori città italiane (di centrosinistra) di nuovo contro il governo Meloni. Oggetto della discussione, ma anche (e soprattutto) di preoccupazione: la gestione dell’immigrazione, in particolare, il sistema di accoglienza e la cancellazione della protezione speciale per i migranti. «Come sindaci, come amministratori, come cittadini che quotidianamente si impegnano nei territori per cercare di garantire le migliori risposte alle criticità che le nostre Comunità esplicitano, siamo molto preoccupati per le proposte in discussione relative alle modifiche all’unico sistema di accoglienza migranti effettivamente pubblico, strutturato, non emergenziale che abbiamo in Italia», si legge in un documento congiunto sul decreto Cutro che porta le firme dei sindaci di #Roma, #Roberto_Gualtieri, di #Milano #Beppe_Sala, di #Napoli #Gaetano_Manfredi, di #Torino #Stefano_Lorusso, di #Bologna, #Matteo_Lepore e di #Firenze, #Dario_Nardella. «La preoccupazione delle città – si legge nel documento – è massima a fronte di emendamenti proposti da alcuni partiti al DL 591 dopo le tante evidenze a cui il nostro ordinamento ha dovuto porre rimedio in questi anni». Secondo il fronte dei sindaci dem, l’esecutivo non deve «ragionare in ottima emergenziale: è sbagliato immaginare l’esclusione dei richiedenti asilo dal Sai, precludendo loro qualunque percorso di integrazione e una reale possibilità di inclusione ed emancipazione nelle nostre comunità».

    «No alla cancellazione della #protezione_speciale»

    Sala, Gualtieri, Manfredi, Lo Russo, Lepore e Nardella non condividono la cancellazione della protezione speciale, confermata anche ieri, sabato 15 aprile, dalla stessa premier Meloni durante il suo viaggio in Etiopia. Per i sindaci delle maggiori città si tratta, infatti, di «una misura presente in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale, mentre circa il 50% dei migranti presenta vulnerabilità ed è in parte significativa costituito da nuclei familiari. Queste scelte, qualora adottate, non potrebbero che procurare infatti una costante lesione dei diritti individuali e innumerevoli difficoltà che le nostre comunità hanno già dovuto affrontare negli anni scorsi, a fronte di un importante aumento di cittadini stranieri condannati appunto all’invisibilità», si legge nel documento congiunto. Tutto questo – scrivono i primi cittadini – «mentre il sistema dei Cas, mai uscito da un assetto emergenziale, è saturo e purtroppo inadeguato ad accogliere già oggi chi proviene dai flussi della rotta mediterranea come da quella balcanica. Insufficiente, sia per numeri sia per le modalità d’accoglienza sia per i servizi di accompagnamento, protezione ed inclusione, assenti. E in questo quadro occorre ripensare anche il sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati cui occorre applicare logiche distributive che evitino la concentrazione nelle sole grandi città», prosegue il documento dei sindaci.

    «Le nostre città sono infatti impegnate già oggi, spesso con sforzi oltre i propri limiti e frequentemente oltre le proprie funzioni e competenze, a porre rimedio con risorse proprie alle manchevolezze di un sistema nazionale adeguato. La soppressione della possibilità di costruire un unico sistema di accoglienza pubblico, trasparente e professionale (come il Sai), garantendo percorsi dignitosi e tutelanti anche per le persone richiedenti protezione internazionale, non può comportare la nascita di nuovi grandi centri di accoglienza o detenzione nei nostri territori. La storia degli ultimi vent’anni di accoglienza in Italia dimostra chiaramente come modelli emergenziali, con standard qualitativi minimi e volti al mero “vitto e alloggio” abbiano procurato ferite enormi nelle nostre comunità e non abbiano garantito diritti esigibili alla popolazione rifugiata. E soprattutto abbiano fallito processi di inclusione efficaci e duraturi», prosegue il documento.

    Le proposte

    Dopo questa lunga premessa, i sindaci dem hanno poi avanzato delle proposte sul tema. «1. Sia rinforzata l’unitarietà del Sistema di Accoglienza italiano, valorizzando l’esperienza virtuosa del Sai, ovvero supportando attivamente la rete dei Comuni che quotidianamente affrontano in prima persona le sfide che i movimenti migratori in ingresso sottopongono ai nostri servizi, ai nostri territori e alle nostre comunità. Con un solo obiettivo: garantire percorsi di effettiva inclusione e tutela compatibili con i territori, evitando grandi centri di accoglienza, senza servizi e senza tutele, per tutti», scrivono. «2. Il Sai rimanga accessibile a richiedenti protezione e rifugiati». I primi cittadini chiedono poi che i Cas, ovvero i centri di accoglienza straordinari, vengano trasformati «in hub di prima accoglienza, dedicati alle procedure di identificazione e di screening sanitario per poi procedere a trasferimenti rapidi nel sistema di seconda accoglienza ed inclusione, appunto il Sai».

    Al punto 4, i sei amministratori chiedono inoltre che «vengano ripristinati i criteri di riparto che il Piano nazionale di accoglienza aveva indicato. In assenza di azioni positive mirate o, peggio, con azioni sbagliate, le ricadute saranno infatti l’irregolarità diffusa o lunghi percorsi di ricorsi giudiziari che paralizzeranno le vite di molte persone inabilitandole e rendendole facili prede del lavoro nero, che invece non manca». Infine, «ci auspichiamo – continuano – che ancora una volta l’Italia non si contraddistingua per una regressione relativa al sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati: da troppi anni questo tema necessita di una riforma importante e strutturale, che miri ad un equilibrio nazionale del sistema di accoglienza imprescindibile dal coinvolgimento dei Comuni e dagli obiettivi di inclusione, protezione e con una diffusione omogenea a livello nazionale. Siamo convinti, insieme ad altre voci autorevoli, che dopo circa vent’anni e anche alla luce di alcuni temi di strutturale cambiamento demografico e sociale non si debba continuare a parlare di emergenza e che proprio in questo momento occorra la lungimiranza di aprire una discussione per scegliere una via legale all’immigrazione e alla regolarizzazione degli immigrati già presenti in Italia, anche attraverso il ricorso allo ius scholae, premessa a comunità solidali, capaci di proporre percorsi di vera emancipazione e autonomia alle persone nel pieno interesse del nostro Paese», concludono i sindaci.

    https://www.open.online/2023/04/16/immigrazione-sindaci-grandi-citta-vs-governo-meloni

    #Italie #villes-refuge #decreto_Cutro #villes #Naples #Turin #Milan #Rome #Florence #Bologne #résistance #protection_spéciale

  • Centri d’Italia : il sistema a un bivio

    1. Dall’errore di sistema al fallimento. I contratti dell’accoglienza

    Dopo un anno dall’entrata in carica del governo Conte II e a 2 anni dall’emanazione del decreto sicurezza, le forze di maggioranza si sono finalmente decise a rimettere mano alle regole dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in Italia. Il nuovo provvedimento è stato approvato anche in questo caso per decreto. Il parlamento avrà quindi due mesi di tempo per convertirlo in legge, apportando se necessario alcune correzioni.

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    Centri d’Italia: il sistema a un bivio

    Nel frattempo la crisi dovuta al coronavirus ha fatto emergere carenze e problemi già esistenti, mettendone in luce tutte le criticità.

    Il decreto sicurezza ed il relativo capitolato di gara per l’assegnazione dei posti in accoglienza già avevano manifestato i loro limiti. Sia per quanto riguarda la difficoltà delle prefetture di assegnare i posti in accoglienza, sia per l’incentivo economico a favorire la prevalenza dei centri più grandi a scapito di quelli piccoli e distribuiti sul territorio.

    I problemi, rilevati nel corso del 2019, erano venuti alla luce solo ad un’analisi approfondita con una metodologia complessa e laboriosa, data la penuria di dati. Il sistema non era sottoposto a stress, dato il ridotto numero degli arrivi, in forza degli accordi con la Libia (con il costo anche umano associato). A febbraio 2017, infatti, l’allora ministro Minniti concluse con la Libia il memorandum of understanding (rinnovato nel febbraio 2020) in tema di “contrasto all’immigrazione irregolare” e di lì a poco varò le prime misure avverse alle azioni di salvataggio in mare e alle Ong.

    Sin dal 2018, con il nostro lavoro Centri d’Italia, abbiamo cercato di “recuperare” l’argomento della trasparenza e dell’accountability e di sottrarlo ai detrattori dell’accoglienza. Abbiamo ottenuto un’importante vittoria al Tar che ha imposto al ministero dell’interno il rilascio di dati che permettano analisi indipendenti sullo stato del sistema di accoglienza. Nonostante i passi avanti, anche nel prosieguo delle analisi abbiamo riscontrato scarsa condivisione delle informazioni e abbiamo dovuto procedere mediante Foia. Nel presente numero ci siamo basati sull’analisi dei soli bandi presenti nel database Anac (con dati aggiornati a luglio 2020) e sui siti delle singole prefetture.

    Nella fase attuale, in concomitanza con la crisi sanitaria e sociale a causa della pandemia in atto, le criticità strutturali del sistema di accoglienza diventano lampanti e determinano anche un’ulteriore contrazione dei diritti, nonché una scarsa tutela della salute dei singoli e di quella pubblica.
    Il sistema ordinario che non c’è e le occasioni perse per strutturarlo

    Tra il 2016 e il 2017 l’Italia si è ritrovata a gestire un numero di arrivi considerevole, nonostante non si potesse neanche allora parlare di emergenza.

    A partire dalla seconda metà del 2017 tuttavia il numero di arrivi si è drasticamente ridotto e con questo le presenze nel nostro sistema di accoglienza. Tra il 2017 e il 2018 infatti queste sono diminuite di oltre il 27,6% e poi ulteriormente del 31,3% nel 2019.

    Le presenze nei centri di accoglienza tra il 2014 e il 2020
    Da anni è ormai in costante calo il numero di richiedenti asilo e rifugiati presenti nei centri di accoglienza.


    Questi anni sarebbero potuti essere utilizzati per ripensare in termini ordinari l’accoglienza. Misure di cui si discute da tempo, come ad esempio l’individuazione di meccanismi premiali per far crescere il sistema a titolarità pubblica gestito dai comuni (Sprar/Siproimi) o l’eliminazione del criterio della volontarietà per l’adesione allo stesso.

    Un’occasione persa prima dal governo Conte I, con l’approvazione del decreto sicurezza, e poi dal governo Conte II, che ha lasciato trascorrere un anno prima di decidersi a rivedere la disciplina dell’accoglienza.

    La strutturazione di un sistema ordinario di accoglienza non era tra gli obiettivi del decreto sicurezza, che infatti è andato nella direzione opposta. L’eliminazione della protezione umanitaria ha fatto sì che i richiedenti asilo, che con la normativa precedente avrebbero avuto accesso a una forma di protezione (e quindi a un permesso di soggiorno, condizione imprescindibile di qualsivoglia percorso di integrazione), siano andati ad ampliare il bacino di persone in condizione di soggiorno irregolare.

    D’altra parte il sistema ordinario, lo Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), è stato trasformato in Siproimi (sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati) escludendo da questa forma di accoglienza i richiedenti asilo e i titolari di protezione umanitaria. Riducendo così ulteriormente il numero delle persone ospitate (dal 2018 diminuiscono progressivamente infatti i posti finanziati e i posti occupati).

    In questo modo i Cas (Centri di accoglienza straordinaria gestiti dalle prefetture), da strutture emergenziali, sono stati trasformati ufficialmente in contenitori in cui i richiedenti asilo attendono l’esito della propria domanda di protezione internazionale. Un periodo di tempo vuoto, che può durare anche un anno o addirittura di più, in cui gli stessi migranti sono esclusi dai percorsi di inclusione sociale e lavorativa.

    Nel corso di questi mesi, sono intervenute alcune modifiche alla normativa prevista dal decreto sicurezza, ma sempre con carattere provvisorio. Attraverso il decreto Cura Italia (art.86 bis) e il decreto Rilancio (art.16), ad esempio, si è reintrodotta la possibilità di ospitare richiedenti asilo all’interno dello Sprar/Siproimi. Ma solo per un tempo limitato legato al permanere dello stato di emergenza (ad oggi peraltro esteso fino al 31 gennaio 2021).

    Inoltre, nonostante le strutture del Siproimi siano predisposte per fornire diversi servizi di integrazione, questi non possono essere utilizzati dai richiedenti asilo. I quali possono, stando a queste norme, usufruire dei soli servizi previsti per la prima accoglienza.
    Il capitolato del dicembre 2018: un’accoglienza che esclude

    La normativa introdotta nel dicembre 2018 si propone sostanzialmente di fornire vitto e alloggio agli ospiti e non di concorrere all’accompagnamento all’autonomia.

    In ogni caso, anche senza considerare aspetti legati ai diritti delle persone accolte e alla qualità del servizio fornito, e dunque la logica volta al controllo sociale più che all’inclusione, il decreto e il capitolato hanno prodotto problemi oggettivi e indiscutibili dal punto di vista pratico e amministrativo. Sia per i soggetti gestori che per le stazioni appaltanti.

    Dal punto di vista amministrativo il capitolato ha previsto diversi tipi di contratto, a seconda che i servizi siano resi in un Cas di grandi dimensioni (da 50 a 300 posti), di medie dimensioni (fino a 50 posti) o in unità abitative.

    Stando alle dichiarazioni ufficiali, più che quelle politiche, l’intenzione era quella di favorire l’accoglienza diffusa o comunque quella più adatta a ciascun territorio, delineando nello specifico i servizi da effettuare in ciascun tipo di centro.

    Muovendo poi dall’analisi dell’accoglienza [...] non più caratterizzata dai soli grandi centri collettivi [... ma anche n.d.r] da singole unità abitative [...] si intende rideterminare i servizi assistenziali e le connesse modalità prestazionali calibrandoli alle diverse tipologie di ospitalità a beneficio di più trasparenti ed appropriate attività gestionali.
    – Direttiva del ministero dell’interno - 23/07/2018

    Tuttavia il capitolato del dicembre 2018 prevede tagli di servizi e costi per tutti i tipi di centro con l’effetto di penalizzare l’accoglienza diffusa, a favore dei grandi centri, dove è possibile effettuare economie di scala. Già lo scorso anno infatti era stato possibile rilevare due importanti effetti del nuovo capitolato.

    Da un lato molti gestori hanno deciso di non rispondere al bando per il sistema di accoglienza prefettizio in virtù di una scelta etica. Per molte realtà del privato sociale infatti, limitarsi a fornire servizi di vitto ed alloggio non giustifica la partecipazione al bando. Dall’altro a essere favoriti sono stati proprio i grandi centri. Di conseguenza, soggetti disposti a gestire strutture ridotte a dormitori, enti con dichiarato scopo di lucro o che non hanno competenze ed esperienze su tutela, promozione dei diritti delle persone e accompagnamento all’autonomia, hanno visto crescere la loro importanza all’interno del sistema a discapito degli attori storicamente impegnati nel settore.

    Un’Italia divisa in due: le intenzioni delle prefetture nell’applicazione del capitolato

    A distanza di 2 anni dall’entrata in vigore del decreto Salvini possiamo vedere in che modo le prefetture italiane hanno inteso utilizzare i tre tipi di appalto previsti dal capitolato.

    Non si tratta in questo caso dei posti effettivamente presenti nel sistema di accoglienza ma degli importi messi a bando in prima battuta dalle prefetture per i diversi tipi di centro. Non è quindi detto che tutti i posti siano stati aggiudicati. Come vedremo infatti alcuni di questi bandi, in particolare quelli per l’accoglienza diffusa, sono andati deserti o annullati e altri sono stati aggiudicati per un numero insufficiente di posti.
    Gli importi messi a bando dalle prefetture per i diversi tipi di Cas dopo il decreto sicurezza
    Nelle diverse aree geografiche gli importi destinati all’accoglienza sono stati distribuiti in modo diverso tra i vari tipi di centri di accoglienza straordinaria.

    Dall’analisi degli importi si rileva che le prefetture del centro nord hanno tentato di mantenere l’assetto diffuso dell’accoglienza dapprima prevalente, destinando inizialmente ad unità abitative la metà dei posti messi a bando. Una tendenza particolarmente rilevante nelle prefetture del nord-est.

    59,2% la quota di importi messi a bando dalle prefetture del nord est per centri composti da singole unità abitative.

    A giudicare dai dati quindi sembra che in questi territori le prefetture abbiano cercato di proseguire un percorso che negli anni aveva individuato l’accoglienza diffusa come modello virtuoso, sia per gli ospiti dei centri, che nel rapporto con la comunità del territorio.

    Nel mezzogiorno, al contrario, il modello dell’accoglienza diffusa resta residuale, a vantaggio dei centri collettivi e con ampio ricorso ai centri di grandi dimensioni. Anche prima del decreto sicurezza nelle regioni meridionali i centri di piccole dimensioni erano meno diffusi rispetto ad altre zone del paese. Una tendenza che quindi risulta confermata e un assetto dell’accoglienza in continuità con quanto da sempre viene descritto come terreno fertile per speculazioni e la crescita di un circuito basato su mega centri e mega gestori.
    Repetita iuvant? La ripetizione dei bandi a livello nazionale

    La normativa vigente prevede che le prefetture mettano a bando accordi quadro per la gestione delle tre diverse tipologie di centro. L’accordo quadro è un documento di tipo programmatico, il cui scopo è quello di definire il numero di posti in accoglienza che potrebbero essere necessari sul territorio nel successivo biennio (o nel successivo anno), e di stabilire una graduatoria di operatori a cui questi posti potranno essere assegnati nel momento in cui se ne presenti la necessità.

    Tuttavia non sempre gli accordi quadro vanno a buon fine. I bandi potrebbero andare deserti, o essere partecipati da un numero insufficiente di operatori per coprire i posti necessari.

    Di fronte alla difficoltà delle prefetture di assegnare tutti i contratti necessari a rispondere al fabbisogno, una delle possibili risposte è quella di riproporre il bando, con l’obiettivo di trovare altri operatori disposti a partecipare. Al di là di quale sarà l’esito delle gare successive la conseguenza immediata è quella di ritardare la stipula dei contratti come previsti dalle nuove regole. Di solito con la necessità di dover prorogare contratti in essere o di crearne di nuovi temporanei tramite affidamento diretto.

    Analizzando i dati della Banca dati dei contratti pubblici (Bdncp) di Anac è possibile rilevare quali prefetture abbiano proposto più di una volta lo stesso tipo di bando e individuare in questo modo le difficoltà degli uffici territoriali del governo ad assegnare i posti in accoglienza.

    Lo scorso anno questa analisi aveva fatto emergere criticità su 11 prefetture. Ad oggi il dato è salito a 34, ovvero circa un terzo delle prefetture italiane. Si tenga presente peraltro che non sempre la ripetizione del bando è la soluzione scelta dalla prefettura.

    34 il numero di prefetture che hanno ripetuto i bandi per l’accoglienza dopo il decreto sicurezza.

    In alternativa questa potrebbe decidere di prendere tempo prorogando i contratti in essere, oppure mettere a bando contratti per una diversa tipologia di centro sperando di ricevere una risposta diversa. È molto probabile quindi, che le prefetture dove si sono riscontrate difficoltà, siano di più di quelle rilevate con l’analisi dei contratti pubblici.

    Le regioni in cui il problema si presenta con maggiore frequenza sono l’Emilia-Romagna (27 ripetizioni), la Toscana (25) e la Lombardia (23). Ma più in generale è tutto il centro nord ad essere interessato dal fenomeno, che invece emerge in rari casi nel mezzogiorno.

    Le tipologie di centro che maggiormente presentano difficoltà nell’assegnazione sono quelle in unità abitative. Su queste infatti si concentrano il 47,2% di tutte le ripetizioni registrate a livello nazionale, mentre solo il 13,9% riguarda centri collettivi.

    47,2% delle gare ripetute riguarda centri composti da unità abitative.

    Le ragioni di queste difficoltà di assegnazione vanno imputate ancora una volta al capitolato che rende economicamente insostenibile l’accoglienza diffusa. Inoltre, come già anticipato, parte del terzo settore si è rifiutato di partecipare alle gare proprio a causa del taglio dei servizi previsto dalle nuove regole. In particolare alcuni gestori con una chiara missione sociale hanno ritenuto che non fosse loro compito prendere parte a un sistema che vede l’accoglienza come un mero servizio di vitto e alloggio.

    Chiaramente per tutti si è trattato di una scelta difficile. Sia perché uscire dal sistema significa fare posto a gestori con una visione diversa, magari di tipo più commerciale, sia perché non partecipare alle gare significa anche perdere posti di lavoro. Un elemento tutt’altro che marginale in particolare nelle zone del paese in cui la questione occupazionale si fa sentire in maniera più stringente.
    Il ministero riconosce il problema, ma tutela solo il mercato

    A febbraio 2020, è stato lo stesso ministero dell’interno a riconoscere il problema dei bandi ripetuti, confermando le tendenze che avevamo denunciato. In quel periodo infatti, tramite una circolare, sono state indicate alle prefetture alcune possibili soluzioni. Queste sono state innanzitutto invitate a ricorrere alle procedure negoziate.

    È necessario evidenziare che di recente si era assistito a un fenomeno positivo, ovvero la sistematizzazione dell’utilizzo delle procedure aperte. La circolare di febbraio tuttavia deroga tale procedura in caso di difficoltà rimandando ad assegnazioni più rapide, venendo meno alle intenzioni iniziali di una maggiore trasparenza.

    Già in precedenza alcune prefetture avevano fatto ricorso alle procedure negoziate. Tuttavia la percentuale di lotti messi a bando in questo modo è passata dal 16% (46 procedure su 289) al 27% dopo la circolare del ministero (13 procedure su 48).

    Quanto al contenuto del bando vengono date tre indicazioni. La prima è quella di riproporre il bando cambiando la tipologia di centro. Dunque se le gare per l’accoglienza in unità abitative sono andate deserte mentre quelle per grandi centri sono state assegnate, si proporranno nuove gare per questa seconda tipologia di centro abbandonando ogni tentativo di accoglienza diffusa, magari ribaltando la precedente programmazione dell’accoglienza sul territorio.

    La seconda è quella di modificare i requisiti di accesso alla gara. In questo modo si permette di partecipare a soggetti che in un primo momento non erano considerati idonei. L’effetto prevedibile è un’ulteriore riduzione delle garanzie di qualità e l’affidabilità dei gestori coinvolti nel sistema di accoglienza. Dunque da un lato i piccoli gestori a vocazione sociale escono dal sistema, a causa dell’impossibilità di realizzare forme di micro accoglienza diffusa che siano sostenibili economicamente e per il rifiuto di assecondare un modello che non fornisce ai richiedenti asilo strumenti di integrazione. Dall’altro il ministero facilita l’ingresso di operatori a vocazione commerciale o comunque privi dell’esperienza necessaria, rispondendo in qualche modo alle necessità del mercato ma senza considerare che parliamo di diritti.

    La terza indicazione infine riguarda la possibilità di modificare gli importi previsti nell’allegato B del capitolato. Si tratta in sostanza dei prezzi medi di riferimento per l’acquisto o l’affitto di beni. Il tema riguarda in particolare il diverso costo degli affitti di immobili nelle diverse zone del paese.

    La questione dei prezzi per gli affitti uniformi su tutto il territorio nazionale era effettivamente problematica per i gestori delle aree in cui gli immobili hanno un costo più elevato. Tuttavia queste modifiche vengono permesse senza fornire uno schema di riferimento sui costi medi nelle diverse zone. Alle prefetture invece viene richiesto prima di prendere una decisione su questo punto, considerando generici studi di settore, e poi di controllare che gli importi concordati siano quelli effettivamente sostenuti dall’operatore.

    La richiesta di una verifica dei costi sembra evidenziare che lo stesso ministero si renda conto dei possibili problemi di cattiva gestione che potrebbero derivare da questa modifica. La soluzione individuata però aggrava ulteriormente il lavoro delle prefetture sia in fase previsionale che di controllo.

    Complessivamente possiamo dire che le indicazioni fornite tentano di risolvere il problema della mancata assegnazione dei posti in accoglienza prodotto dal capitolato, senza però affrontare le questioni di fondo. La conseguenza, con tutta probabilità, è di abbassare ulteriormente la qualità del servizio, senza tenere conto delle ripercussioni sulla vita degli ospiti dei centri, sulla capacità del sistema di fornire strumenti per l’autonomia, ma anche sulle piccole realtà del terzo settore che in questi anni hanno sviluppato competenze e professionalità nella tutela e promozione dei diritti. Competenze non più utili in un sistema che non mette al centro le persone, ma il mero controllo.

    Nonostante il tentativo di revisione in corso d’opera, la circolare del ministero non sembra essere stata sufficiente per risolvere il problema delle mancate assegnazioni, anche al netto di valutazioni di merito. Se si analizzano i dati Anac sull’esito delle gare infatti non si assiste a un miglioramento dopo la pubblicazione della circolare, anzi.

    La quota di gare con esito negativo in effetti risulta leggermente maggiore rispetto al periodo precedente, passando dal 12,1 al 12,2% (6 su 49). Un dato che potrebbe facilmente aumentare nei prossimi mesi. Infatti i contratti messi a bando dopo la circolare sono più recenti e per molti di questi l’esito è ancora incerto o comunque il risultato non è stato ancora aggiornato nel database Anac.
    I grandi centri: terreno fertile per il contagio

    Come abbiamo visto nelle regioni meridionali il ricorso da parte delle prefetture a strutture collettive di medie e grandi dimensioni è stato più frequente rispetto al centro nord.

    Quello del ricorso ai grandi centri è un fenomeno problematico da molti punti di vista. In un momento di emergenza sanitaria però le criticità delle grandi strutture emergono con ancora più evidenza.

    La propaganda sui migranti che portano il virus nel nostro paese risulta del tutto infondata visto che questi vengono tutti sottoposti a controlli, al contrario di quello che è avvenuto nel corso dell’estate per i turisti stranieri. Nel corso della crisi sanitaria che stiamo vivendo invece è proprio la struttura del sistema di accoglienza, basato sui grandi centri, a creare l’emergenza. Ammassare centinaia di persone in uno stesso stabile, espone a rischi maggiori prima di tutto gli ospiti, ma anche gli operatori e da ultimo la comunità accogliente.

    Nei centri con tali soluzioni condivise, il maggior rischio di esposizione e di contagio della popolazione ospitata è relativo principalmente ai nuovi arrivi, ma è anche relativo ai contatti tra gli ospiti e con il personale dei servizi.
    – Indicazioni operative ad interim per la gestione di strutture con persone ad elevata fragilità e marginalità socio-sanitaria nel quadro dell’epidemia di Covid-19

    Rischi che si sarebbero potuti limitare accogliendo i richiedenti asilo in strutture abitative con un numero limitato di posti distribuite in maniera uniforme sul territorio nazionale. Ciononostante anche in questo caso, pensando a quanto accaduto nel sistema a titolarità pubblica, si sarebbe dovuto agire tempestivamente con un piano strutturato e coordinato di intervento, che purtroppo è mancato.

    È mancata, in questi mesi, un’attenzione specifica delle istituzioni sulle strutture di accoglienza e la maggior parte degli enti gestori si è sentita isolata e disinformata. Tutti si sono attivati con buonsenso, e hanno fatto del loro meglio, mettendo in campo soluzioni buone, ma avrebbero gradito una regia da parte delle istituzioni. La risposta non può essere quella delle soluzioni fai da te.
    – Salvatore Geraci su Redattore sociale

    Un tema che ovviamente vale anche per i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) dove in questi mesi si è proseguito con nuovi ingressi, con tutti i rischi connessi, nonostante l’impossibilità di effettuare i rimpatri nel corso della pandemia, le indicazioni della commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa e gli appelli della società civile.

    Eppure il tema delle grandi concentrazioni nel contesto dell’emergenza sanitaria non è stato affrontato dalle frequenti cronache estive. Altrimenti si sarebbe dovuto ammettere un’errata impostazione di partenza e le relative responsabilità istituzionali, a cui difficilmente si poteva porre rimedio nel corso dell’emergenza sanitaria. La maggior parte dei media hanno puntato gli occhi in particolare sui territori di confine.

    In regioni del nord est, come il Friuli Venezia Giulia, o in regioni del mezzogiorno, come la Sicilia, l’accoglienza è stata organizzata in modo molto diverso ed ha affrontato criticità differenti.

    In entrambi i casi tuttavia si tratta di regioni di confine, dove si è fatto ampio ricorso ai centri governativi per ammassare migranti in ingresso senza che la macchina amministrativa dello stato riuscisse a ridistribuirli sul territorio nazionale in tempi ragionevoli. Una situazione che ha prodotto tensioni sociali a livello locale, centri stracolmi e prassi lesive dei diritti delle persone ospitate, in un momento in cui il sistema di accoglienza si trova, a livello nazionale, tutt’altro che sotto pressione, con un’ampia disponibilità di posti liberi.

    https://www.openpolis.it/esercizi/dallerrore-di-sistema-al-fallimento-i-contratti-dellaccoglienza
    #accueil #Italie #hébergement #logement #asile #migrations #réfugiés #statistiques #chiffres #appalti #CAS #SPRAR #Siproimi #decreto_cura_italia #cura_italia #decreto_rilancio #budget

  • Finally, Good News for Asylum Seekers in Italy. New Decree Rolls Back Some of the Worst Aspects of Immigration Policy

    It pledged last year to do so, and now the Italian government has restored some humanity to its immigration and asylum system. This week, the council of ministers adopted a decree that reverses many of the worst policies imposed by the previous interior minister and current leader of the anti-immigrant League Party, Matteo Salvini.

    The decree isn’t perfect, but it’s a step in the right direction.

    The decree, adopted October 5, essentially re-establishes in Italian law the residency permit on humanitarian grounds that Salvini abolished in 2018, now called “special protection.” This two-year permit is for people who don’t qualify for asylum, but who shouldn’t be sent away because they would face a risk of torture or inhuman or degrading treatment. The permit is also for people who have family and social links in Italy, or who suffer from serious physical or mental health issues. By one estimate, more than 37,000 people became undocumented since 2018 because humanitarian permits were abolished.

    Crucially, the decree allows people to convert this and other short-term residency permits into longer-term residency permits based on employment. This will help prevent people falling into undocumented status. The decree reduces detention pending deportation to three months from six.

    While the previous government restricted the nation’s reception system to recognized refugees and unaccompanied children, the new decree opens the doors to asylum seekers awaiting a decision. It also ensures asylum seekers have the right to register with the city hall where they live, since a Constitutional Court ruling this past July found the denial of this right made it “unjustifiably difficult for asylum seekers to access the services to which they are entitled.”

    One large blot on the decree is the failure to take a clear stand against criminalization of humanitarian activities. The government chose to reduce from 1 million to 50,000 euros, rather than eliminate, the noxious fines on ships that perform search-and-rescue at sea. Last year, six United Nations human rights authorities called on Italy to incentivize rather than discourage shipmasters from fulfilling their moral and legal obligation to respond to ships in distress. The current government has delayed disembarkations and impounded rescue vessels on administrative grounds.

    Parliament will have a chance to correct that, and make other improvements, when the decree is submitted for parliamentary oversight.

    https://www.hrw.org/news/2020/10/07/finally-good-news-asylum-seekers-italy

    #nouveau_décret #décret_salvini #Italie #asile #migrations #réfugiés #Italie #130/2020 #decreto_immigrazione #décret #SPRAR #accueil #permis_de_séjour #protection_internationale #travail #protection_spéciale #protection_humanitaire #réfugiés_environnementaux #réfugiés_climatiques #sauvetage #Méditerranée #citoyenneté #naturalisation #SIPROIMI #hébergement

    ping @karine4 @isskein

    • In vigore il nuovo decreto in materia di immigrazione (D.L. n. 130 del 21 ottobre 2020): luci e ombre

      Oggi, 22 ottobre, è entrato in vigore il Decreto-legge n. 130/2020, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 21 ottobre 2020 e recante “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis,391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.

      Atteso da svariati mesi e noto all’opinione pubblica come “decreto immigrazione”, il decreto interviene in svariate materie, modificando anzitutto i c.d. decreti sicurezza del 2018 e 2019, che avevano a loro volta modificato alcune norme contenute nel Testo unico sull’immigrazione (D. Lgs. n. 286/1998), nonché la legge n. 91/1992 in materia di cittadinanza e i D. Lgs. n. 25/2008 e D. Lgs. n. 142/2015 (attuativi della direttiva UE c.d. Procedure e della direttiva UE c.d. Accoglienza del Sistema europeo comune di asilo).

      In altre parole, il c.d. nuovo decreto immigrazione prevede una serie di modifiche, apportate a diverse fonti normative, su tematiche sensibili, che non si limitano alla disciplina in materia d’immigrazione, ma riguardano anche la protezione internazionale e nuove ipotesi di protezione speciale, il soccorso in mare, degli aspetti relativi alla disciplina in materia di cittadinanza e all’accoglienza dei richiedenti asilo.

      In materia di immigrazione, il decreto è intervenuto, anzitutto, sui permessi di soggiorno per motivi di lavoro. Alle categorie di permessi già convertibili, sono state aggiunte le nuove ipotesi permesso per protezione speciale, calamità, residenza elettiva, acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, attività sportiva, lavoro di tipo artistico, motivi religiosi e assistenza ai minori.

      Quanto poi alla protezione internazionale, il nuovo decreto ha stabilito delle modifiche procedurali e sostanziali alla previgente disciplina. Le prime hanno modificato le modalità di svolgimento degli esami prioritari, delle procedure accelerate, nonché della gestione delle domande reiterate in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento. Sul piano sostanziale

      Inoltre, sono estese le categorie di soggetti che possono beneficiare di permessi di soggiorno per protezione speciale, che costituirà una sorta di nuova categoria residuale di protezione rispetto alle due forme di protezione internazionale (lo status di rifugiato e la protezione internazionale), tanto da far parlare, nei primi commenti, di un sostanziale ritorno alla categoria della precedente protezione umanitaria, pur sotto altra veste terminologica.

      Nella specie, la nuova normativa prevede che non possa essere espulso o respinto e piuttosto meriti protezione, per l’appunto speciale, non solo, come già era previsto sino ad oggi, la persona che rischiava di subire torture, ma anche due nuove ipotesi: i) chi rischia di subire trattamenti inumani o degradanti nel paese d’origine e ii) chi rischia la violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare nel territorio nazionale. Inoltre la durata del permesso di soggiorno per protezione speciale è stata ampliata da 1 anno a 2 anni.

      Infine, sempre in materia di protezione complementare, è stata ampliata la nozione del permesso di soggiorno per calamità naturale: attuale presupposto per la concessione del permesso è adesso la semplice esistenza di una situazione di “grave” calamità. In altre parole, non si richiede più che lo stato di calamità sia eccezionale e transitorio come in precedenza, in un probabile tentativo di apertura alla protezione dei c.d. migranti ambientali (normando quanto già preconizzato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione).

      Tra le note positive, viene altresì espressamente prevista l’iscrizione del richiedente protezione internazionale nell’anagrafe della popolazione residente.

      Quanto alla questione del soccorso in mare, in seguito alle pesanti critiche ricevute sul punto dal secondo decreto sicurezza, la nuova disciplina è intervenuta modificando il quadro dei divieti e dei limiti di navigazione per le imbarcazioni delle ONG. In particolare, il Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa e dei trasporti ed informato il Presidente del Consiglio, può ancora limitare o vietare l’ingresso e il transito in acque territoriali a navi non militari o governative non commerciali. Tuttavia, il decreto prevede una deroga a tale divieto o limite di navigazione, nell’ipotesi di navi che abbiano effettuato soccorsi a norma delle convenzioni internazionali, e che abbiano comunicato le operazioni alle autorità competenti nazionali o del loro stato di bandiera.

      Negli altri casi, invece, di “inosservanza del divieto o del limite di navigazione”, è prevista la comminazione di multe che vanno da 10mila a 50mila euro. Si ricorda che, precedentemente al nuovo decreto, in caso di violazione del divieto di cui sopra, era prevista un’ammenda amministrativa, con un limite superiore all’attuale multa (fino a un milione per chi avesse salvato i migranti in mare). Infine, con il nuovo decreto, non è più previsto il sequestro dell’imbarcazione entrata in acque territoriali in maniera irregolare.

      Per quanto riguarda la normativa in materia di cittadinanza, il decreto ha modificato la legge n.91 del 1992, riducendo il tempo di attesa della risposta alla domanda per l’acquisto della cittadinanza italiana da quattro a tre anni, un risultato comunque insoddisfacente alla luce del fatto che la formulazione originaria della legge del 1992 stabiliva una durata di due anni (ed era stato aumentato a quattro anni dal decreto sicurezza del 2018 sopramenzionato). Inoltre non è abrogata la norma che prevede la revoca della cittadinanza per chi l’ha acquisita, in caso di condanna definitiva per reati collegati al terrorismo, creando una discriminazione odiosa rispetto a chi è cittadino italiano iure sanguinis.

      Infine, in materia di accoglienza, è stato creato il nuovo Sistema di accoglienza e integrazione, che sostituisce il SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati), ritornando a un sistema simile ai vecchi SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Tuttavia, le funzioni di prima assistenza o soccorso verranno gestite nei centri governativi ordinari e straordinari istituiti dal Ministro dell’Interno, quindi attraverso i grandi e largamente disfunzionali centri di prima accoglienza che abbiamo imparato a conoscere. La successiva fase di accoglienza, invece, viene affidata agli enti locali e si articolerà in due livelli di servizi, distinti a seconda che si tratti di soggetti richiedenti protezione internazionale (per i quali la normativa torna appunto a prevedere forme di accoglienza in precedenza eliminate dal decreto sicurezza del 2018) ovvero titolari della stessa. Nel primo caso sono previsti servizi di assistenza sanitaria, sociale e psicologica nonché di mediazione linguistico-culturale, nel secondo caso si aggiungono servizi di integrazione del soggetto, tra cui l‘orientamento al lavoro e la formazione professionale. Inoltre, il decreto ha reso potenziali beneficiari dei suddetti servizi anche i titolari di una serie di permessi di soggiorno speciali (protezione speciale, protezione sociale, violenza domestica, calamità, particolare sfruttamento lavorativo, atti di particolare valore civile, casi speciali).

      Il nuovo decreto ha dunque nuovamente inciso sul precedente impianto normativo in materia di immigrazione e asilo riformando e, per lo più, abrogando le modifiche introdotte dai cosiddetti “decreti sicurezza”, pur mantenendone alcuni profili criticabili. I tempi di attesa per l’ottenimento della cittadinanza sopra evidenziati, così come il mantenimento della criminalizzazione del soccorso marittimo sono tra questi. In ogni caso, il contenuto può ritenersi complessivamente soddisfacente e il decreto è indubbiamente un passo verso l’apertura e un trattamento della politica migratoria quale evento strutturale e non meramente emergenziale.

      https://www.unionedirittiumani.it/in-vigore-il-nuovo-decreto-in-materia-di-immigrazione-d-l-n-130-d

  • Arriva la protezione speciale. Si chiude la pagina dei decreti Salvini

    Da molti considerata come il necessario segnale di discontinuità tra i governi Conte e il successivo Conte-bis, la revisione dei decreti sicurezza voluti da Matteo Salvini sembra ormai cosa fatta. Il grosso del lavoro, e cioè l’accordo tra le forze interne alla maggioranza, è archiviato. E il nuovo testo sull’immigrazione, come annunciato dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese in un’intervista col direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio, sarà sulla scrivania del premier entro Ferragosto.

    Riconoscimenti in linea con l’Ue Ma cosa cambierà? Di fatto si reintroduce la ’protezione umanitaria’, cancellata con un colpo di spugna dall’ex titolare del Viminale. Si chiamerà probabilmente ’protezione speciale’, ma la sostanza rimarrà la stessa. Va detto però che la ’protezione umanitaria’ era uno status strutturato nell’arco di una decina di anni, sulla base di una vasta giurisprudenza e a partire da uno spazio limitato garantito dalla legislazione originale. Il decreto annunciato proporrà un testo nuovo. L’obiettivo è quello di tornare a una percentuale di soggetti con riconoscimento di protezione (a vario titolo) in linea con la media europea. Perché il nostro Paese, con i decreti Salvini in vigore, era passato da un 40% circa di riconoscimenti complessivi a meno del 20%. Una circostanza deter- minata dal fatto che in Italia la ’protezione umanitaria’ ricopriva un ruolo decisivo, a differenza di altri Stati che possono contare su diversi istituti di riconoscimento dello status dei migranti. Così facendo, gli effetti nefasti dei provvedimenti voluti dall’allora vicepremier leghista saranno disinnescati.

    Accoglienza e integrazione Il decreto Salvini aveva ampiamente ridimensionato i confini del sistema #Sprar, successivamente ribattezzato come ’#Siproimi', escludendo di fatto dai circuiti dell’accoglienza i richiedenti asilo, che invece con il nuovo testo verranno reintrodotti nel sistema. Ci sarà comunque una differenza tra i servizi che saranno loro garantiti rispetto a quelli offerti ai titolari di protezione, così come stabilito da una delibera della Corte dei Conti nel 2018. Il testo imponeva infatti una differenziazione tra chi non ha ancora maturato il diritto di asilo (e potrebbe anche non maturarlo) e chi invece ha già raggiunto lo status. Ad ogni modo il sistema sarà ripristinato, con lo stop alle strutture di massa per irregolari a favore invece di un’accoglienza diffusa, fatta di piccoli gruppi e in grado di facilitare la convivenza con le comunità locali e l’integrazione. La differenza, piccola in realtà, sarà che i titolari di protezione internazionale avranno anche dei servizi di orientamento e formazione al lavoro. Mediazione culturale, studio della lingua, assistenza sanitaria, supporto psicologico, dovrebbero essere invece garantiti a tutti. Salvini, non per decreto, ma attraverso la redazione di un nuovo capitolato d’appalto per la gestione dei centri di accoglienza, aveva tagliato diverse di queste voci. Nel frattempo, ieri, un’apposita commissione presso il Dipartimento per l’Immigrazione del Viminale ha autorizzato la prosecuzione di 499 progetti Siproimi scaduti, per poter garantire la continuità dei servizi di accoglienza da parte degli enti locali che aderiscono alla rete.

    Obiettivo: decongestionare La gestione dei grandi centri di accoglienza (nazionale), resterà una parte importante del sistema di integrazione immaginato dal governo, ma verrà alleggerita dal ritorno dello Sprar. La sinergia delle due dimensioni, statale e territoriale, dovrebbe aiutare la decongestione degli hotspot, dove tra l’altro si sta pensando di introdurre l’utilizzo di tamponi immediati a ogni arrivo per facilitare i trasferimenti in sicurezza. Misure che eviteranno ulteriori pressioni sociali, limitando i tentativi di fuga. Certo, finché la situazione è a rischio, non si possono escludere interventi straordinari. Come la decisione di ieri di inviare l’Esercito a presidiare l’hotspot di Pozzallo, che ha registrato un aumento dei casi di Covid-19 tra i migranti ospiti nella struttura (sono saliti a 73). Anche a Milano è stato disposto un presidio militare dopo che un migrante è risultato positivo nel Cas di via Quintiliano.

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/migranti-arriva-la-protezione-speciale-si-chiude-la-pagina-dei-decreti-sal
    #fin #décret_salvini #decreto_salvini #asile #migrations #protection_humanitaire #réfugiés #protection_spéciale #accueil_diffus #intégration

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    • Decreto Sicurezza. Lamorgese: entro Ferragosto il decreto sull’immigrazione

      Il processo di revisione dei decreti sicurezza è chiuso, «manca solo il parere dei Comuni, per la loro competenza nella gestione dei centri di accoglienza», annuncia Luciana Lamorgese. «Entro Ferragosto» il testo di quello che chiama «decreto immigrazione » sarà pronto. «Con la maggioranza è stato trovato un testo condiviso. Ovviamente abbiamo preso tutte le osservazioni formulate dalla presidenza della Repubblica e siamo andati oltre, perché abbiamo modificato il sistema di accoglienza prevedendo che anche i richiedenti asilo entrino in un circuito di accoglienza identico a chi è sottoposto a protezione internazionale, ritornando un po’ a com’era prima». La ministra dell’Interno, intervistata dal di- rettore di Avvenire, Marco Tarquinio, interviene nel corso del “Caffeina Festival” che si tiene nella splendida cornice del castello di Santa Severa, posto sull’Aurelia, di fronte al mare. «Adesso aspettiamo il parere dell’Anci – sottolinea – per il sistema di accoglienza che viene un modificato. Parliamo dei centri di accoglienza che dovranno essere gestiti dai Comuni, quelli che erano gli Sprar. Spero di mandarlo a palazzo Chigi prima di Ferragosto, poi vedremo l’iter, se ne parlerà a settembre».

      Sulla gestione del Covid rivendica la bontà della linea del governo, e si rivolge soprattutto ai giovani, per invocare responsabilità. «L’Italia ha fatto bene, altri guardano a noi come modello. Ma stiamo attenti, la curva torna a salire», avverte il ministro dell’Interno. «Ai giovani dico che dobbiamo stare attenti perché la responsabilità che finora ha contraddistinto i nostri comportamenti deve proseguire. Dobbiamo comportarci allo stesso modo anche adesso e non possiamo pensare che siamo in una fase in cui possiamo non mantenere il distanziamento e la mascherina. Dobbiamo essere responsabili anche quando si è fuori al mare a divertirsi: pensare che si possa fare a meno di determinate precauzioni è sbagliato», aggiunge.

      E difende la scelta di estendere l’emergenza a tutto il territorio nazionale: «Oggi col senno di poi è facile parlare. Ma in quel momento era la decisione più idonea, presa ed esempio anche da altri». Si congratula per la convergenza unanime raggiunta sull’assegno unico per i figli: «Finalmente, vuol dire che delle cose insieme si possono fare, bisognerebbe dividersi di meno e andare avanti insieme», auspica. Secca sulla notizia dei cinque parlamentari che hanno chiesto l’assegno per l’emergenza Covid: «Si dovrebbero vergognare», dice. Ancora sull’immigrazione: «Ho preteso che a Lampedusa si facessero i tamponi a tutti. Abbiamo avuto, è vero, 14 mila sbarchi, ma l’aumento si è registrato soprattutto a luglio per la crisi politica ed economica in Tunisia». Molto importante, infine, giudica l’intesa raggiunta sul Recovery Fund, nel Consiglio Europeo: «Ma ora i progetti vanno fatti, per usufruire dei finanziamenti. Noi – annuncia – abbiamo già presentato i nostri. Dalla pubblica sicurezza ai Vigili del Fuoco agli enti locali, abbiamo già inviato le nostre richieste ».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/lamorgese-entro-ferragosto-il-decreto-sullimmigrazione

    • Una riflessione sul rapporto tra migrazione e sicurezza a partire dalla questione della iscrizione anagrafica

      Io sono un uomo invisibile. No, non sono uno spettro, come quelli che ossessionavano Edgar Allan Poe; e non sono neppure uno di quegli ectoplasmi dei film di Hollywood. Sono un uomo che ha consistenza, di carne e di ossa, fibre e umori, e si può persino dire che possegga un cervello. Sono invisibile semplicemente perché la gente si rifiuta di vedermi: capito? (…) Quando gli altri si avvicinano, vedono solo quello che mi sta intorno, o se stessi, o delle invenzioni della loro fantasia, ogni e qualsiasi cosa, insomma, tranne me”.
      (R.W. Ellison, L’uomo invisibile - 1952 - Einaudi Torino 2009, p. 3).
      1.

      In questi ultimi giorni si è tornato a parlare molto dei c.d. Decreti sicurezza e di una loro possibile revisione. A riaprire il dibattito, da ultimo, la pronuncia della Corte costituzionale dello scorso 9 luglio con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 comma 1, lett. a) n. 2 del primo “decreto sicurezza” (Decreto Legge 4 ottobre 2018 n. 113) per violazione dell’art. 3 della Costituzione.

      Prima di dare conto del contenuto della decisione della Corte costituzionale, è opportuno ripercorrere, seppur brevemente, le tappe del percorso che ha portato i giudici della Consulta a intervenire. Per chiarire i termini precisi della discussione che è scaturita in questi anni e il senso della decisione finale assunta il 9 luglio, occorre inquadrare la questione in primo luogo da un punto di vista giuridico.

      Questa importante pronuncia ha riguardato appunto la legittimità costituzionale del primo Decreto Sicurezza approvato nel 2018 che doveva servire a impedire, almeno nelle intenzioni del legislatore, l’iscrizione dei richiedenti asilo, sulla base del titolo di soggiorno provvisorio loro rilasciato, nei registri anagrafici dei Comuni. Una modifica normativa volta a rendere ancor più precario lo status giuridico dei richiedenti asilo presenti nel nostro Paese, negando a costoro anche un legame fittizio con il territorio che avrebbe dovuto accoglierli. Una restrizione dal forte valore simbolico e di carattere tutto politico, frutto dei tempi.

      La nuova previsione normativa introdotta dall’art. 13 cit. ha animato, anche per questo, un forte dibattito e numerose sono state le prese di posizione da parte sia dei commentatori politici che dei tecnici del diritto. Un dibattito che purtroppo si è fermato alle problematiche più strettamente giuridiche sollevate dalla nuova normativa, tralasciando invece la questione della ratio ispiratrice della nuova disciplina. Una ratio che imporrebbe una riflessione più generale sulle problematiche legate ai fenomeni migratori e, nello specifico, sul tema dell’asilo e del rispetto dei diritti umani.

      Il tema della iscrizione anagrafica, infatti, ci consente non solo una riflessione sul contesto normativo che è stato oggetto di modificazione, ma anche sul significato profondo che assume il concetto di “asilo” nel nostro Paese.
      2.

      Negli anni il diritto d’asilo è stato più volte ridefinito generando anche confusione. Un diritto che affonda le sue radici nella storia antica, lo conoscevano bene i greci che riconoscevano al fuggiasco una sorta di inviolabilità per il solo fatto di trovarsi in un determinato luogo. “Veniva chiamata asilia l’inviolabilità a cui quel luogo dava diritto” [1].

      Un diritto che nel corso del tempo ha subito non pochi cambiamenti e che oggi è diventato uno strumento nelle mani dello Stato che ne dispone a proprio piacimento.
      Viene da pensare a quanto scrive la professoressa Donatella Di Cesare proprio a proposito del diritto d’asilo. Nel chiedersi se si tratti di un diritto del singolo che lo chiede o dello Stato che lo concede, la Di Cesare evidenzia come l’asilo sia divenuto “un dispositivo di cui gli Stati si servono per esercitare, anche in concreto, il loro potere sui migranti” [2]. Accade così che si assiste ad una duplice deriva che porta lo Stato a moltiplicare le barriere giuridiche e poliziesche e ad aumentare le restrizioni burocratiche e procedurali, con il fine dichiarato (non celato) di scoraggiare le richieste di asilo politico.

      Questo dibattito, direttamente connesso alla questione della iscrizione anagrafica “negata” ai richiedenti asilo, è stato purtroppo poco presente ed è stato messo in secondo piano rispetto invece alle questioni, non meno importanti, della discriminazione in essere nella normativa introdotta dal Decreto Legge n. 113 del 2018.

      Una precisa “discriminazione” nei confronti di una determinata categoria di soggetti, appunto i richiedenti asilo, rispetto ai quali, secondo i primi commenti, diveniva impossibile procedere all’inserimento nelle liste anagrafiche dei Comuni di residenza.

      Una norma, peraltro che, come osservato da autorevoli commentatori, si poneva in netto contrasto con la logica stessa dell’istituto dell’iscrizione anagrafica e con l’articolo 6 comma 7 del Testo Unico Immigrazione.
      3.

      Le discussioni che sono scaturite e lo scontro tra numerosi Sindaci, da una parte, e il Ministro dell’Interno dell’epoca, dall’altra, con i primi disposti anche a disapplicare la norma sui loro territori, sono state di fatto mitigate dagli interventi dei Tribunali italiani chiamati a decidere sui ricorsi d’urgenza presentati dai richiedenti asilo che si sono visti negato il diritto di procedere all’iscrizione presso i registri suddetti.
      Infatti, nella pratica, la modifica prevista dall’art. 13 del Decreto 113 del 2018 è stata immediatamente disinnescata dagli interventi dei giudici di merito chiamati a pronunciarsi sui ricorsi proposti. Numerose pronunce hanno riconosciuto il diritto del richiedente asilo alla iscrizione anagrafica addivenendo a una interpretazione della norma secondo la quale l’affermazione contenuta nell’art. 13 comma 1 lett. a) n. 2 avrebbe avuto soltanto l’effetto di far venire meno il “regime speciale” introdotto dall’art. 8 D.L. 17.2.17 n. 13 conv. in L. 13.4.17 n. 46 (secondo il quale i richiedenti asilo venivano iscritti all’anagrafe sulla base della dichiarazione del titolare della struttura ospitante) per riportare il richiedente asilo nell’alveo del regime ordinario (quello cioè della verifica della dimora abituale, come previsto anche per il cittadino italiano, al quale lo straniero regolarmente soggiornante è parificato ai sensi dell’art. 6, comma 7 TU immigrazione). Solamente in tre procedimenti i Tribunali di Trento e Torino hanno optato per una interpretazione diversa della norma optando per un divieto di iscrizione.
      4.

      Per rendere più chiara la comprensione dell’operazione compiuta dalla giurisprudenza di merito, proviamo a ricostruire, brevemente, uno dei tanti casi portati all’attenzione dei giudici italiani, nello specifico il caso di un cittadino di nazionalità somala che ha proposto ricorso d’urgenza dinanzi al Tribunale di Firenze contro il diniego all’iscrizione nei registri anagrafici opposto dal Comune di Scandicci. Nel ricorso proposto dal richiedente asilo si evidenziava come il requisito del regolare soggiorno nel territorio dello Stato potesse essere accertato mediante documenti alternativi al permesso di soggiorno rilasciati ai soggetti che hanno presentato domanda di riconoscimento della protezione internazionale, quali, ad esempio, il modello C3 di richiesta asilo presentato in Questura, oppure la ricevuta rilasciata da quest’ultima per attestare il deposito della richiesta di soggiorno o la scheda di identificazione redatta dalla Questura. Il Tribunale di Firenze ha ritenuto di poter accogliere il ricorso esprimendosi in favore del ricorrente.

      Nel motivare la propria decisione, il Tribunale, analizzando il contenuto letterale del nuovo comma 1-bis citato, sottolinea come esso si riferisca al permesso di soggiorno per richiedenti protezione internazionale quale titolo per l’iscrizione anagrafica e che, tuttavia, il sistema normativo di riferimento dalla stessa disposizione richiamato (il DPR n. 223 del 1989 e l’art. 6, comma 7 del T.U.I.), non richieda alcun “titolo” per l’iscrizione anagrafica, ma solo una determinata condizione soggettiva, i.e. quella di essere regolarmente soggiornante nello Stato. Inoltre, riconoscendo che l’iscrizione anagrafica ha natura di attività amministrativa a carattere vincolato, in relazione alla quale il privato ha una posizione di diritto soggettivo, evidenzia come «l’iscrizione anagrafica registra la volontà delle persone che, avendo una dimora, hanno fissato in un determinato comune la residenza oppure, non avendo una dimora, hanno stabilito nello stesso comune il proprio domicilio», sulla base non di titoli, ma delle dichiarazioni egli interessati o degli accertamenti ai sensi degli artt. 13, 15, 18-bis e 19 del citato DPR n. 223/1989. Pertanto, non essendo intervenuta alcuna modificazione dell’art. 6, comma 7, del T.U.I., sulla base del quale «le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione, ritiene il Tribunale che il nuovo comma 1-bis dell’art. 4 D.lgs. n. 142/2015 non possa essere interpretato nel senso di aver introdotto un divieto, neppure implicito, di iscrizione anagrafica per i soggetti che abbiano presentato richiesta di protezione internazionale.

      In conclusione, secondo la giurisprudenza di merito richiamata, se il legislatore avesse voluto introdurre un divieto, avrebbe dovuto modificare il già citato art. 6, comma 7 T.U.I., anche nella parte in cui considera dimora abituale di uno straniero il centro di accoglienza ove sia ospitato da più di tre mesi.
      5.

      Nonostante l’interpretazione prevalente della nuova normativa, la questione è stata portata all’attenzione della Corte costituzionale dai Tribunali di Milano, Ancona e Salerno che hanno comunque ritenuto fondata la questione di illegittimità costituzionale per violazione dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo e per violazione del principio di eguaglianza.

      In data 9 luglio 2020 la Corte costituzionale ha così dato l’ultimo colpo alla normativa di cui all’art. 13 sancendone la illegittimità per violazione dell’art. 3 della Costituzione. In effetti, nel comunicato stampa diramato dalla stessa Consulta, in attesa di leggere le motivazioni complete della decisione, è scritto che “la disposizione censurata non è stata ritenuta dalla Corte in contrasto con l’articolo 77 della Costituzione sui requisiti di necessità e di urgenza dei decreti legge. Tuttavia, la Corte ne ha dichiarato l’incostituzionalità per violazione dell’articolo 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti”.

      I giudici costituzionali sono stati perentori nell’affermare che la norma censurata si pone in contrasto con l’art. 3 della Costituzione sotto molteplici profili e “sostanzialmente perché introdurrebbe una deroga, priva dei requisiti di razionalità e ragionevolezza, alla disciplina dell’art. 6, comma 7, del D.lgs. n. 286 del 1998” [3].

      In particolare il legislatore si troverebbe a contraddire la ratio complessiva del decreto-legge n. 113 del 2018 al cui interno si colloca la disposizione portata all’attenzione della Corte costituzionale. Infatti, “a dispetto del dichiarato obiettivo dell’intervento normativo di aumentare il livello di sicurezza pubblica, la norma in questione, impedendo l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, finisce con il limitare le capacità di controllo e monitoraggio dell’autorità pubblica sulla popolazione effettivamente residente sul suo territorio, escludendo da essa una categoria di persone, gli stranieri richiedenti asilo, regolarmente soggiornanti nel territorio italiano” [4].

      In conclusione, finanche l’obiettivo primario perseguito dal legislatore verrebbe contraddetto dalla disposizione in esame che proprio per questa ragione sarebbe paradossalmente in contrasto persino con le esigenze dichiarate di maggiore controllo e sicurezza del fenomeno migratorio.

      Un vero paradosso se pensiamo che l’esclusione dalla registrazione anagrafica di persone che invece risiedono sul territorio comunale accresce anziché ridurre i problemi connessi al monitoraggio degli stranieri che soggiornano regolarmente nel territorio statale anche per lungo tempo.
      6.

      È sulla base di queste ultime osservazioni che è possibile articolare una breve riflessione complementare sulla giustapposizione ideologica e strumentale di “migrazione” e “sicurezza” e considerare la necessità/possibilità di ripensare, ancora rimandando tra gli altri ai lavori di Di Cesare, le modalità di coabitazione e di residenza in un territorio.

      In effetti oggi l’asilo e la “protezione internazionale” sono divenuti strumenti di gestione statale della migrazione (in senso generale) e dei corpi delle persone migranti (in senso più concreto), in un crescendo di categorizzazioni che hanno progressivamente ridotto il numero degli “aventi diritto”: da una parte attraverso processi di “vulnerabilizzazione” che hanno estremizzato le logiche selettive a detrimento del diritto di altri individui a presentare una richiesta di protezione. Non stiamo dicendo che i vulnerabili non vadano protetti, ma che non è possibile escludere gli altri dalla procedura perché non lo sono abbastanza.

      D’altra parte, attraverso un’evoluzione intimamente legata ai processi di esternalizzazione dei controlli e della gestione della migrazione da parte dell’UE, si sono fatti saltare i “fondamentali” del diritto d’asilo come diritto individuale, riducendo la questione a un’economia geopolitica che seleziona e distingue sempre più esplicitamente su base nazionale, a partire da assunti quali i “paesi terzi sicuri”, come l’Afghanistan, o i porti sicuri, come la Libia.

      Lo smantellamento e la limitazione dell’asilo come diritto fondamentale individuale, e il ridimensionamento delle prerogative e dei diritti dei richiedenti asilo che vanno inevitabilmente a minare le loro condizioni di vita e i loro percorsi di integrazione come nel caso dei decreti Salvini, rappresentano tra l’altro soltanto una parte, molto importante anche per la sua valenza simbolica, ma non preponderante di una degenerazione complessiva delle politiche in materia di migrazione in UE. Perché al peggioramento delle condizioni di vita dei richiedenti asilo corrispondono purtroppo anche un progressivo aumento dei dinieghi, e una sempre maggiore “esclusione” dei potenziali aventi diritto (e chiunque dovrebbe averlo) dalla procedura, a causa di pratiche espeditive di espulsione, a causa dei ritardi di compilazione della documentazione necessaria (C3), ecc. Volendo essere espliciti, chi accede alla procedura d’asilo rappresenta, oggi, alla fine, il “resto”, la rimanenza dell’insieme delle persone in migrazione che il dispositivo di controllo e di gestione globale (IOM, UE, Stati europei e paesi vicini collaborativi) non è riuscito a bloccare, nei paesi di partenza, di transito, nel Mediterraneo, negli hotspot, ecc...

      Rileggendo il deterioramento del sistema di asilo in questi anni, sia in termini di rispetto dei diritti fondamentali che in termini materiali di accoglienza, divenuta sempre meno una politica etica e sempre più un business e un terreno di confronto elettorale, non possiamo che constatare che il dispositivo di asilo (ideologico e pratico) si riduce sempre più, come conferma Di Cesare, ad uno strumento di gestione della migrazione, allo stesso modo che i regolamenti interni di gestione (Dublino), la gestione emergenziale dell’accoglienza, i dispositivi di gestione della frontiera (Frontex, Eunavformed) i processi di esternalizzazione, ecc. In questo senso, il deterioramento del sistema d’asilo rappresenta l’ultimo anello, il livello finale di una progressiva e generale “lotta alla migrazione”, dissimulata dietro retoriche di approcci globali e pratiche di politiche di esternalizzazione sempre più feroci (si veda il riferimento di Di Maio alla condizionalità negativa migrazione/sviluppo come forma istituzionalizzata di ricatto alla Tunisia) : lotta alla migrazione che ha visto estendersi progressivamente le categorie (e il numero) di indesiderabili, ridotti genericamente a “migranti economici” provenienti da paesi “’sicuri” o comunque “bloccati” dal dispositivo di controllo e gestione della mobilità imposto ai paesi terzi. L’erosione del diritto d’asilo va dunque letta anche all’interno di una più generale dinamica generale di riduzione dei diritti alla mobilità e all’installazione nei confronti di una certa tipologia di persone straniere da parte dei paesi dell’UE.
      7.

      Il presupposto problematico è che questi “diritti” destinati a persone straniere vengono sempre definiti e manovrati da coloro i quali sono nelle condizioni di doverli applicare, e le norme internazionali vengono ignorate, trascurate, aggirate invocando situazioni di “urgenza” e di sicurezza, che evidentemente si sono amplificate in questa stagione pandemica, e che si accompagnano all’armamentario ideologico dei nuovi sovranisti. Questo è vero per quanto riguarda le situazioni di frontiera, ontologicamente più fosche e meno trasparenti, all’interno delle quali norme meno restrittive (Cuttitta etc) si associano a pratiche in esplicita violazione dei diritti fondamentali, ma è vero anche per quanto riguarda l’articolazione dei dispositivi di accoglienza e più in generale la gestione della presenza sul territorio di persone straniere con status amministrativi differenti, e condizioni di marginalità (e sfruttamento) differenti. La difesa della patria, il “prima gli italiani” che si declina a livello regionale, provinciale e iperlocale in un ripiegamento identitario in abisso, rappresentano il corrispettivo ideologico delle politiche di esclusione e di “chiusura” che i paesi dell’UE hanno integrato trasversalmente, con qualche sfumatura più o meno xenofoba. E purtroppo la retorica xenofoba, che mixa ignoranza e paura, paura di invasione e di contagio, si abbatte sulla popolazione con la forza di media conniventi e ripetizione ad oltranza di notizie false, fuorvianti, imprecise, volte ad alimentare diffidenza e timore: “insicurezza”.

      In questo senso, sarebbe utile come accennavamo sopra, provvedere ad una genealogia della convergenza di “immigrazione” e “sicurezza”, al di là dell’assunto antropologico “atavico” che il pericolo arrivi da fuori, da ciò che non si conosce: ma è già possibile, attraverso la vicenda dell’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo legata all’applicazione dei decreti salviniani, osservare che la “geografia” di questi decreti immigrazione e sicurezza è a geometria variabile.

      Come ha parzialmente evidenziato la mappa prodotta dalla geografa Cristina del Biaggio e pubblicata su VisionCarto, che ha recensito le reazioni dei vari sindaci e dei differenti comuni alla stretta di Salvini sull’iscrizione anagrafica dei RA, la logica securitaria “sovranista” a livello nazionale, ossessionata dalla difesa delle patrie frontiere, con toni nazionalisti postfascisti e modi - come prova la vicenda di Open Arms - spesso al limite o oltre la legalità, è sfasata rispetto ad una nozione di “sicurezza” ad un livello territoriale più circoscritto, di comunità urbana e di amministrazione locale. Perché inevitabilmente tanti amministratori locali, di fronte ad un’operazione che ha concretamente destabilizzato la gestione locale dell’accoglienza e dell’integrazione buttando letteralmente per strada o comunque esponendo a situazioni di marginalità estrema un numero estremamente rilevante di persone (il rapporto «La sicurezza dell’esclusione - Centri d’Italia 2019» realizzato da ActionAid e Openpolis parlava di 80.000 persone toccate nei primi mesi di applicazione, con stime di 750.000 persone “irregolarizzate” entro gennaio 2021), hanno reagito sottolineando, a diverso titolo e con toni diversi, che gli effetti reali dei decreti sul territorio avrebbero inevitabilmente prodotto insicurezza e difficoltà (correlando più o meno direttamente una situazione amministrativa marginale/irregolare e l’aumento possibile di situazioni di criminalità, extralegalità, sfruttamento, ecc.).

      Dunque possiamo dedurre che la lettura della relazione tra sicurezza ed immigrazione non è la stessa a livello nazionale e a livello locale, dove, in ragione da una parte della ricaduta concreta e dell’applicazione pratica di normative e politiche che regolano la presenza di cittadini stranieri (a diverso titolo) sul territorio (permessi di soggiorno ecc.), e dall’altra dell’evoluzione delle dinamiche quotidiane di accoglienza/convivenza/integrazione, la presenza di persone migranti (richiedenti asilo etc.) rappresenta un elemento reale, contingente, relazionale e non semplicemente una nozione teorica, astratta, amministrativa. In questo senso, tutte le politiche legate alla migrazione, più o meno inclusive o esclusive, più o meno ammantate di un argomentario ideologico nazionalista/identitario, devono poi fare i conti con le condizioni concrete di coabitazione, con le possibilità e gli strumenti di integrazioni in possesso o da fornire alle persone “in arrivo” e con la volontà, la possibilità e la capacità di una comunità locale di interagire con le persone “straniere”, e più in generale “esterne” ad essa, nel modo più vantaggioso e utile, positivo e ragionevole possibile.
      8.

      Se il pericolo arriva da fuori, da cioè che non si conosce, le alterative sono due: chiudersi a riccio e difendersi a priori da qualsiasi cosa venga a perturbare il nostro quotidiano, la nostra “tradizione”, la nostra “identità”, o conoscere quello che c’è fuori, quello che arriva da fuori: accettando che questa dinamica di apertura e di incontro è stato il fondamento dell’evoluzione delle comunità umane.

      Alla presa di posizione dei sindaci, che osteggiano i decreti Salvini nel nome di una prospettiva accogliente o nel nome di un realismo politico e di organizzazione della vita sociale della comunità distinto dall’ottica di “gestione dell’ordine” dell’ex ministro degli interni e di tante prefetture (basta ricordare che Salvini ha invocato, nel marzo 2019 anche la possibilità di attribuire più poteri straordinari ai prefetti riducendo quelli dei sindaci), corrisponde anche una reazione “accogliente” dal basso, una capacità di adattamento della collettività (autonoma, indotta dall’amministrazione o in antitesi a posizioni di chiusura delle municipalità) : al di là dei comuni impegnati in politiche locali di accoglienza attraverso i dispositivi SPRAR, o di reti come RECOSOL, non sono poche le collettività che sono passate dal “rifiuto” e alla reticenza, legati agli spettri mediatici e politici, alle retoriche di invasione o alle presenze imposte in via straordinaria a livello prefetturale senza consultazione dell’amministrazione - e che hanno creato, quasi fosse una finalità connessa una pressione su comunità locali “impreparate” -, a modalità di apertura, graduali, mediate, progressive che si sono risolte spesso (a livello urbano come rurale) constatando che una presenza accettata, accolta, “accompagnata”, tutelata, sostenuta non è affatto “nociva” per la comunità che accoglie, ma anzi rappresenta un valore aggiunto, arricchisce e offre opportunità, in una logica di reciprocità che si affranca dalle pratiche assistenziali che annullano i potenziali di azione e partecipazione delle persone accolte.

      Il diritto internazionale relativo all’asilo, per ovvie ragioni storiche e geopolitiche, si appoggia alle strutture nazionali e “inevitabilmente” si confronta con le dimensioni dell’appartenenza come la cittadinanza e la “nazionalità”; tuttavia, la discussione è focalizzata sempre essenzialmente sul potenziale beneficiario/destinatario di questo diritto, dell’asilo o della “protezione internazionale”, come più in generale, eticamente, dell’accoglienza/ospitalità. Mentre rimane sempre implicita, troppo spesso data per scontata la soggettività collettiva che accorda questo diritto, che lo elargisce, che lo offre.

      Se il diritto internazionale tende ad inquadrarlo, a concederlo/garantirlo è di solito una comunità politica, un paese che concede asilo ad un cittadino straniero proveniente da un altro paese sulla base di principi “universali” e attraverso strumenti come, per l’Italia, la carta costituzionale.

      Ora, se appare evidente che l’accanimento xenofobo di un Salvini sia strumento elettoralista e strumentale che passa per una lettura quantomeno originale della stessa Costituzione, andando a “scegliersi” qualche articolo conveniente (come quelli che invocano la patria) ma snobbando completamente altri che si riferiscono a diritti fondamentali ( e dunque più “ampi” di quelli legati all’appartenenza nazionale), possiamo anche considerare che nel corso degli ultimi anni la questione “asilo” e più generalmente accoglienza in Italia è rimasta questione tecnica di specialisti nella sua dimensione normativa giuridica (avvocati, Commissioni territoriali ecc.), mentre dal punto di vista etico-politico (la questione) è rimasta sempre secondaria rispetto ad un discorso politico e mediatico focalizzato ossessivamente (come del resto avviene in tutta Europa) sulla difesa delle frontiere e sul controllo della migrazione: la presenza di persone straniere sul territorio diventa visibile solo quando appare “deviante” o “problematica”, mentre le “buone prassi” di integrazione e partecipazione rimangono escluse dalla narrazione quotidiana.

      In sostanza il “popolo” italiano, che attraverso la Costituzione garantisce a individui stranieri la possibilità di ricevere sostegno e protezione sul territorio nazionale, viene chiamato in causa e sollecitato (politicamente e mediaticamente) in concreto quasi esclusivamente in quanto corpo sociale minacciato (economicamente, culturalmente, socialmente, ecc.) dalla migrazione, dalla presenza di stranieri, e praticamente mai in quanto attore implicato in percorsi di accoglienza, impegnato in un percorso di evoluzione sociale e culturale che implica obbligatoriamente un confronto con la migrazione, come con tutti gli altri temi essenziali della convivenza politica.

      La “gestione” tecnica dell’accoglienza rimane invece questione tecnica, esposta a mistificazioni e speculazioni, e “astratta” fino a quando non si materializza sul territorio, spesso “precipitata” dall’alto, come è accaduto dal 2011 attraverso la gestione emergenziale, e inscritta come gestione dell’ordine pubblico piuttosto che all’interno delle politiche sociali: da un punti di vista “sovranista” e più in generale di depotenziamento dei livelli di partecipazione e implicazione critica della collettività, la comunità locale rimane “spettatrice” di processi di gestione che sono finalizzati sempre più solo al controllo delle persone e sempre meno alla loro integrazione (e che va di pari passo con una deresponsabilizzazione generale della popolazione a tutti i livelli).

      Ora, se la teoria costituzionale dell’asilo in Italia ha radici storiche determinate, le pratiche di accoglienza sono quasi sempre locali, territorializzate, e implicano l’investimento più o mendo diretto e esplicito della collettività: un investimento che, attraverso l’implicazione delle amministrazioni locali e percorsi partecipativi riporta la questione dell’accoglienza dell’altro, e la sua potenziale integrazione, nell’alveo di una realtà politica concreta, quotidiana, locale; diventa quindi interessante interrogarsi sulla consapevolezza di questa potenzialità da parte delle comunità locali (come in altri ambiti diversi) di autodeterminarsi politicamente, di impattare in modo significativo su una serie di questioni che le riguardano direttamente, puntualmente o sul lungo periodo.

      Se il diritto d’asilo va tutelato a livello internazionale e nazionale, e iscritto in quadri normativi che possano garantire un accesso inalienabili ai diritti fondamentali, diventa importante sottolineare la capacità delle comunità locali di rivendicare il dovere/diritto di andare oltre, e di integrare questo quadro giuridico con pratiche di accoglienza e partecipazione che, concertate collettivamente, possono rappresentare percorsi di evoluzione comuni, non solamente eticamente gratificanti ma anche vantaggiosi tanto per chi è accolto che per chi accoglie.

      Indipendentemente quindi anche dal parere della Corte Costituzionale che ha contestato una serie di elementi del decreti sicurezza tecnicamente difformi dal mandato costituzionale stesso, diventa estremamente rilevante l’espressione pubblica e politica di comunità locali, di andare oltre e di rivendicare il diritto di garantire l’iscrizione anagrafica - e con essa l’accesso ad un insieme di altri diritti in grado di migliorare sensibilmente le condizioni di esistenza delle persone sul territorio e all’interno della comunità, e di favorire dinamiche di interazione e cooperazione indipendenti da distinzioni legate alla provenienza e alla nazionalità.

      È in questo senso che evolve in questi ultimi anni la configurazione politica delle città rifugio (città accoglienti, città dell’asilo, città santuario, …), che si fonda precisamente sulla volontà e la capacità delle amministrazioni e delle comunità locali di pensare forme di accoglienza che superino le forme di gestione/ricezione legate ad una nozione di asilo sempre più sacrificate all’altare della geopolitica internazionale e delle politiche di esternalizzazione della UE.

      Se da un lato dunque occorre difendere il diritto d’asilo, e anzi incentivarlo ed aggiornarlo rispetto ad un orizzonte globalizzato, dall’altra è necessario resistere alla gestione differenziale della mobilità umana da una parte, rivendicando per tutti il diritto di movimento e di installazione, da combinare all’invenzione di nuove forme di coabitazione e accoglienza legate alla residenza e alla presenza sul territorio più che a origini nazionali e rivendicazioni identitarie.

      https://www.meltingpot.org/Una-riflessione-sul-rapporto-tra-migrazione-e-sicurezza-a.html
      #droit_d'asile #asile #justice #Scandicci #Testo_Unico_Immigrazione #jurisprudence #sécurité #prima_i_nostri #frontières #externalisation #peur #accueil #résistance #citoyenneté #nationalité #menace #droits #villes-refuge #liberté_de_mouvement #liberté_de_circulation

  • Il Rapporto annuale 2020 del #Centro_Astalli

    Il Centro Astalli presenta il Rapporto annuale 2020: uno strumento per capire attraverso dati e statistiche quali sono le principali nazionalità degli oltre 20mila rifugiati e richiedenti asilo assistiti, di cui 11mila a Roma; quali le difficoltà che incontrano nel percorso per il riconoscimento della protezione e per l’accesso all’accoglienza o a percorsi di integrazione.

    Il quadro che ne emerge rivela quanto oggi sia alto il prezzo da pagare in termini di sicurezza sociale per non aver investito in protezione, accoglienza e integrazione dei migranti. E mostra come le politiche migratorie, restrittive, di chiusura – se non addirittura discriminatorie – che hanno caratterizzato l’ultimo anno, acuiscono precarietà di vita, esclusione e irregolarità, rendendo l’intera società più vulnerabile.

    Il Rapporto annuale 2020 descrive il Centro Astalli come una realtà che, grazie agli oltre 500 volontari che operano nelle sue 7 sedi territoriali (Roma, Catania, Palermo, Grumo Nevano-NA, Vicenza, Trento, Padova), si adegua e si adatta ai mutamenti sociali e legislativi di un Paese che fa fatica a dare la dovuta assistenza a chi, in fuga da guerre e persecuzioni, cerca di giungere in Italia.

    https://centroastalli.it/il-rapporto-annuale-2020-del-centro-astalli
    #Italie #asile #migrations #réfugiés #statistiques #chiffres #rapport #2019 #précarité #précarisation #protection_humanitaire #décret_salvini #decreto_salvini #accueil #femmes #marginalisation #Libye #externalisation #ceux_qui_n'arrivent_pas #arrivées #torture #santé_mentale #mauvais_traitements #traite_d'êtres_humains #permis_de_séjour #accès_aux_soins #siproimi #sprar #CAS #assistance_sociale #vulnérabilité #services_sociaux #intégration

    Synthèse du rapport :
    #pXXXLIEN36LIENXXX

    Rapport :


    https://centroastalli.it/wp-content/uploads/2020/04/astalli_RAPP_2020-completo-x-web.pdf

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  • Il #business dell’accoglienza? Non è quello che immaginate

    Il business dell’accoglienza non è quel di cui hanno parlato per anni alcuni esponenti politici che oggi fanno parte della maggioranza di governo. Non esattamente. O meglio, con il passare dei mesi scopriamo che fare affari sulla pelle dei migranti, a prescindere da quanto questi siano accolti in maniera dignitosa, potrebbe poi non essere qualcosa di riprovevole per il governo in carica. Partiamo da lontano e poi scopriamo perché.

    Nel 1979, negli Stati Uniti, una legge legalizzò la possibilità di affidare le carceri in appalto a privati. Il primo Stato ad approfittarne fu il Texas nel 1989, gli Stati che avevano approvato una qualche forma di privatizzazione erano trenta e i detenuti rinchiusi in carceri private erano diventati 140mila. Gli ultimi dati disponibili sul sito del Bureau of Justice statistics indicano come nel 2011 le persone rinchiuse in carceri private fossero l’8,2% del totale del quasi milione e seicentomila detenuti negli Stati Uniti contro il 7,9 dell’anno precedente – 6,7% del totale dei carcerati statali e 18% di quelli federali. Negli Usa le carceri private ha significato cosi più alti, condizioni di detenzione peggiori e anche tassi di incarcerazione più alti – per delle ragioni collegate direttamente al sistema degli appalti. Ma fermiamoci qua, che quello degli Stati Uniti è solo un esempio e qui parliamo di Italia ed Europa.

    Cosa c’entra tutto questo con l’Italia, l’immigrazione e il razzismo? Semplice: la nuova concezione del sistema di accoglienza delle persone che chiedono asilo nel nostro Paese, quelle in attesa di sapere che destino avranno, quelle in attesa di essere identificate (e così via) sembra richiamare il sistema di detenzione privato americano, appaltato a soggetti privati. Questo almeno è quanto spiega bene un dossier pubblicato dal periodico Valori nel quale si racconta della potenziale cessione a multinazionali del sistema di accoglienza. Spieghiamo citando Valori:

    Il giro di vite governativo sul sistema di accoglienza di migranti, rifugiati e richiedenti asilo imposto dal Decreto Sicurezza ha già prodotto un sicuro vincitore: il gruppo privato elvetico ORS. La società, controllata dal private equity londinese Equistone Partners, gestisce da anni decine di centri per migranti in Svizzera, Austria e Germania e il 22 agosto scorso ha annunciato ufficialmente il suo arrivo in Italia. Il contesto legale plasmato da Matteo Salvini non potrebbe essere più favorevole. Il drastico ridimensionamento del sistema Sprar in favore dei CAS, gestiti dai privati, rappresenta un’occasione troppo ghiotta. Grandi centri di massa, improntati al risparmio (almeno in apparenza) e orientati al profitto.

    La società lavora in Austria, dove però il governo in carica sta pensando di riassumere in house il sistema di accoglienza per due ragioni: appaltare fa diminuire i costi per persona ma fa crescere quelli complessivi e l’accoglienza è di pessimo livello. I centri gestiti da ORS sono infatti spesso sovraffollati e in un caso questo ha portato a una denuncia da parte di Amnesty International. Nel 2015 a Traiskirchen, centro pensato per 1800 persone, ne dormivano 4500, alcuni all’aperto. In Germania e Norvegia operano invece la Homecare e la Hero Norge AS, che a loro volta hanno visto calare i profitti (per ragioni collegate alla chiusura della rotta balcanica) e che neppure sono nuove a scandali. Ospiti della Homecare sono morti durante risse e altri hanno denunciato maltrattamenti. Trentuno dipendenti sono sotto processo in Renania.

    Il modello, insomma, non è dei migliori. Anzi: non c’è luogo del pianeta dove la privatizzazione del sistema carcerario o di accoglienza abbia generato risparmi o una maggiore qualità del servizio. Di solito, vale negli Stati Uniti come in Austria, succede che queste società abbiano una grande capacità di condizionare le scelte politiche. Negli Stati Uniti investendo pesantemente in lobbying, in Austria offrendo lavoro ad ex politici dei partiti di governo.

    Torniamo all’Italia. Perché Valori avverte del pericolo che sistemi come quello austriaco vengano adottati da noi? In parte abbiamo risposto con la citazione qui sopra: la ORS ha aperto una sede legale nel nostro Paese. E la ragione risiede nella riorganizzazione del sistema di accoglienza voluta dal governo. La chiusura dei CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) come Castelnuovo di Porto e l’abolizione del permesso di protezione umanitaria, che ha generato (e genererà) l’espulsione dalle strutture di accoglienza di migliaia di persone non è frutto della voglia di migliorare i servizi o di colpire quello che viene definito “il business dei rifugiati”. Probabilmente una parte degli ospiti dei CARA che ne hanno titolo verranno inviati negli Sprar che nel frattempo vengono svuotati da chi, grazie al Decreto sicurezza, non ha più le carte in regola per risiedervi.

    Obbiettivo del Decreto sicurezza è quello di avere dei centri grandi, non pensati per l’integrazione e l’accoglienza ma semplicemente come parcheggi di persone che sono in attesa di conoscere il loro destino. Che, nella mente di chi ha concepito le nuove leggi, sono per la maggior parte dei millantatori che dicono di aver diritto allo status di rifugiato pur essendo migranti economici. La conseguenza è che questi non necessitano di servizi volti a facilitare l’inclusione sociale, perché nella maggior parte finiranno con l’essere espulsi. Falso, ma utile a distruggere un sistema di accoglienza diffusa, quello degli Sprar, che stava lentamente cominciando a funzionare. I nuovi centri saranno quindi, leggiamo ancora sul dossier di Valori (e abbiamo scritto varie volte anche noi):

    Più grandi, senza gare pubbliche e con un sistema che, pur avendo costi medi inferiori, farà spendere di più allo Stato. E per i migranti non ci sarà alcun obiettivo di integrazione e un destino certo di emarginazione sociale. Saranno così i centri di “accoglienza” versione Salvini: il ministro degli Interni punta a renderli sempre più simili a strutture di detenzione. Ma il nuovo sistema costerà meno alle casse pubbliche? Basta leggere i numeri ufficiali per dire di no. Nelle strutture del Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e Rifugiati (il cosiddetto SPRAR), mediamente, un migrante costa circa 6.300 euro per i 6 mesi in cui mediamente resta in uno SPRAR. In un Centro di Accoglienza Straordinaria (i cosiddetti CAS) da 10 a 14mila. A rivelarlo sono i documenti ufficiali depositati dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) alla commissione Affari Costituzionali della Camera.

    Con la possibile gestione dell’accoglienza da parte dei grandi privati il business dell’accoglienza è dunque destinato a crescere, non a diminuire. Non solo, gli scandali che in questi anni hanno investito le organizzazioni che gestivano i centri, svelando corruzione e cattivi servizi, sono in buona parte colpa dello Stato. Perché? Perché spesso le assegnazioni sono state fatte ad affidamento diretto, senza gara, e perché le prefetture non facevano controlli. Non solo: i tempi di permanenza dovuti ai tempi lunghi di esame delle domande di asilo, ha reso più lunga la permanenza nei centri dei richiedenti asilo e, di conseguenza, fa crescere i costi. Anche da questo punto di vista, insomma, il Decreto sicurezza non è buono. Non per i migranti e i richiedenti asilo, non per i diritti umani e neppure per le casse pubbliche e la lotta alla corruzione.


    http://www.cronachediordinariorazzismo.org/business-accoglienza-multinazionali
    #accueil #Italie #asile #migrations #réfugiés #business_de_l'accueil #privatisation #ORS #Equistone_Partners #decreto_sicurezza #décret_sécurité #decreto_Salvini #décret_Salvini

    ping @isskein

    • Migranti, gli sciacalli della finanza brindano a Salvini

      Il “decreto-sicurezza” voluto da Lega e 5 Stelle fa gioire società estere e holding specializzate nella gestione di megacentri per migranti. Dietro di loro, fondi di private equity, la finanza londinese, investitori sauditi e svizzeri. Vincitori di una guerra sporca, che farà aumentare disuguaglianze, razzismo, crimine e tensioni sociali.

      https://valori.it/dossier/gennaio2019
      #globalisation #mondialisation

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      Dans le dossier:

      Migranti SpA. Lega e 5 Stelle aprono le porte ai privati che l’Austria caccia via
      https://valori.it/migranti-spa-salvini-apre-le-porte-ai-privati-che-laustria-non-vuole

      Rifugiati for profit: dietro ORS Italia un intreccio globale di politica e finanza
      https://valori.it/ors-finanza-rifugiati-italia

      Benvenuti al Nord. Welfare addio, i rifugiati nelle mani del business privato

      https://valori.it/nord-europa-rifugiati-business-famiglia
      #Hero #Homecare

      L’accoglienza modello-Salvini? Triplicherà i costi. Azzerando i servizi
      https://valori.it/laccoglienza-modello-salvini-triplichera-i-costi-azzerando-i-servizi
      #coût #coûts

      Il deja vù della gestione migranti: il nuovo decreto è una pacchia per i big
      https://valori.it/il-deja-vu-della-gestione-migranti-il-nuovo-decreto-e-una-pacchia-per-i-big
      #mafia_capitale

    • La lunga mano della finanza speculativa sul business dell’accoglienza (favorito dai decreti Sicurezza)

      Un’interrogazione parlamentare vuole fare chiarezza sul business dell’accoglienza, svelato da Valori. Una lunga catena che conduce a un fondo di private equity londinese

      Lo avevamo denunciato per primi nel gennaio 2019, ribadito a luglio 2019, documentato a gennaio 2020. Ora è una certezza, diventata anche oggetto di un’interrogazione parlamentare da parte del deputato Andrea Vallascas (M5S) al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. I decreti Sicurezza voluti dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, più che salvarci «dall’invasione di migranti», hanno favorito il business della finanza speculativa nel campo dell’accoglienza. Un business che in Italia è riconducibile a Ors Italia srl, società interamente controllata dalla casa madre elvetica, Ors Service AG, con sede a Zurigo. A sua volta controllata dal private equity londinese Equistone Partners.

      Appalti per oltre 2 milioni e mezzo di euro e un bilancio in perdita

      Scalzata dal governo austriaco e approdata nel nostro Paese il 22 agosto 2018, la società italo-svizzera con sede a Roma è rimasta inattiva per più di un anno e mezzo. Ma, nel giro di pochi mesi, dal novembre 2019 a oggi, si è aggiudicata almeno tre gare pubbliche, di cui una prorogata in affidamento diretto, per l’accoglienza di migranti. Appalti che valgono più di due milioni e mezzo di euro (€2,671,832.50), tra la Sardegna e il Friuli Venezia Giulia. A fronte di un capitale sociale versato di soli 10 mila euro, 13 dipendenti (un impiegato e 12 operai) e 358 mila euro di perdite in bilancio al 31 dicembre 2019.

      L’ultimo mandato ottenuto riguarda la gestione di Casa Malala, struttura di prima accoglienza in Friuli Venezia Giulia, a pochi passi dalla frontiera, gestita fin dalla sua apertura nel 2016 dal Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) in collaborazione con Caritas. Appalto aggiudicato, invece, a Ors Italia dalla prefettura di Trieste lo scorso 15 settembre con un ribasso del 14% su una base d’asta di 788.832,50 euro. Esempio calzante di quanto documentato anche da Openpolis e Actionaid, nel loro rapporto a febbraio 2020.

      Mentre le realtà più piccole e non profit con forte vocazione sociale sono costrette a uscire dal sistema di accoglienza, chi si fa strada sono le grandi società, incluse le società a scopo di lucro, proprio come Ors.

      A Trieste a rischio Casa Malala, centro di accoglienza modello

      La gara del centro di prima accoglienza friulano è ancora aperta, però. Su essa pende il ricorso al TAR di ICS presentato lo scorso 15 ottobre. Anche sulla scorta di quanto emerso nell’opinione pubblica, nei mesi scorsi, proprio sulla gestione di Ors dei centri rifugiati in Sardegna. Come aveva già espresso a Valori.it Gianfranco Schiavone, attualmente nel direttivo di Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) e presidente di ICS (Consorzio italiano di solidarietà), ogni timore è diventato realtà. «La somma dei tagli ai capitolati di gara voluti dall’ex ministro Matteo Salvini e le gestioni senza scrupolo di chi fa accoglienza per business, possono trasformare i centri di accoglienza in vere e proprie “discariche di esseri umani”. Come sta avvenendo in Sardegna» denuncia Schiavone.

      Tutto ciò potrebbe accadere a Trieste. «Accettare che ci sia un solo operatore, magari non qualificato, ogni 50 ospiti vuol dire limitarsi a fare i guardiani – ha aggiunto Schiavone – Così come la presenza di un mediatore culturale, con a disposizione un solo minuto al giorno per parlare con le persone richiedenti asilo. Questa non è accoglienza».

      Il Cpr di Macomer e il Cas di Monastir e l’inferno per i migranti

      Tutti fattori che, anziché favorire l’integrazione, portano i migranti a condizioni di costrizione disumane, alla base di proteste e a un clima di scontro sociale nei territori. Così è successo nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) di Macomer. Nell’arco di pochissimi mesi dalla sua apertura è stato investito da continue tensioni e rivolte, fino ai tragici e gravissimi atti di autolesionismo degli ospiti. Una gestione che vale per 50 ospiti, 572 mila euro. Appalto anche questo conquistato con un ribasso del 3% nel novembre del 2019. Ma che la società italo-svizzera ha ampiamente recuperato, ottenendo dalla Prefettura di Nuoro altri 66 mila euro, lo scorso 5 maggio per integrare i servizi di assistenza medica e sociali tagliati.

      Solo due mesi prima, il 5 marzo 2020 la prefettura di Cagliari aveva già affidato a Ors Italia con procedura d’urgenza la gestione della struttura di Monastir, per un milione e 245 mila euro. Il servizio di gestione è stato affidato con esecuzione anticipata del contratto per motivi di urgenza e prorogata in affidamento diretto più volte. L’ultima proroga risale a luglio 2020 con scadenza al 30 settembre 2020. Il centro, attivo dal 2017, ha una capienza di 150 posti suddivisi tra il Centro di prima accoglienza, (CAP) e il Centro di accoglienza straordinaria per i richiedenti asilo (CAS). Salito anch’esso in pochissimo tempo alle cronache come «l’inferno di Monastir», per lo stato di degrado e abbandono in cui versano i migranti.
      Per giornalisti e Ong impossibile entrare

      Entrambe strutture sono al centro di inchieste giornalistiche su l’Unione Sarda, La Nuova Sardegna e Il Dubbio. Così come oggetto delle denunce pubbliche di LasciateCIEntrare e Asce. Ma le prefetture e il ministero dell’Interno hanno più volte impedito l’ingresso degli attivisti per i diritti umani a Macomer. A Monastir LasciateCIEntrare è stata autorizzata a entrare, ma solo a febbraio, prima che la gestione venisse affidata a Ors. Come ci riferisce uno dei referenti della campagna, Francesca Mazzuzi, la situazione è precipitata. «Il Cpa di Monastir dovrebbe ospitare le persone sbarcate solo per il periodo necessario all’espletamento dei controlli sanitari e delle operazioni di identificazione e fotosegnalamento. Fino al ricevimento del «foglio di via»

      Invece in questo momento le condizioni dei migranti sono ulteriormente peggiorate. Anche a causa del Covid-19. «Una volta sbarcati sono trattenuti per il periodo della quarantena o per l’isolamento sanitario, se positivi, ma la struttura non è adatta per soggiorni prolungati. Infatti è difficilmente applicabile il distanziamento fisico e la separazione degli spazi. Le persone sono alloggiate in brandine in una ex palestra ed in un’ex autorimessa».

      Centri che, nel giro di pochi mesi, hanno preso sempre più l’aspetto di vere e proprie carceri, con tanto di vigilanza delle forze di polizia. Dove persino gli avvocati fanno fatica a dialogare con i richiedenti asilo, come ha denunciato l’avvocata Rosaria Manconi, presidente della Camera penale di Oristano. Situazione che ha richiesto l’intervento del Garante dei detenuti sardo e l’istituzione, da parte della stessa prefettura di Nuoro, di un organismo di monitoraggio sulle condizioni dei migranti.
      Il caso Ors oggetto di un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno

      Situazione più che «anomala» diventata anche oggetto di un’interrogazione parlamentare, lo scorso 15 ottobre, da parte del deputato Andrea Vallascas (M5S), all’attuale ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. «Ors, dopo aver trasformato la solidarietà in business, si sta progressivamente espandendo verso Paesi e regioni del Mediterraneo, tra cui la Sardegna. Alla ricerca di mercati più redditizi e con modalità aggressive. Attraverso forti ribassi d’asta, servizi scadenti e scarso rispetto per la sicurezza pubblica e per i diritti umani», ha affermato il deputato.

      «Per questo chiediamo al ministro Lamorgese che faccia chiarezza su quanto sta accadendo in Italia e in Sardegna. Per evitare che nel settore organismi privati possano liberamente lucrare a discapito della qualità dei servizi e delle norme. E chiediamo di attivarsi anche con delle ispezioni per verificare le modalità di assegnazione dell’appalto di alcuni centri, tra cui quello di Monastir».
      Le accuse di Amnesty International e delle Ong in Austria e Svizzera

      Tutto un dejà vù, come avevamo raccontato a Valori. La holding svizzera Ors Service Ag, specializzata nella pluriennale «attività imprenditoriale a supporto dell’accoglienza dei cittadini stranieri» non è nuova a simili dinamiche. Era già stata accusata di aver gestito in modo discutibile, negli ultimi 5 anni, diversi dei centri per migranti in Svizzera e Austria. È quello che emerge dalle denunce di violazione dei diritti umani fatte da Amnesty International su centro di Traiskirchen, dell’Ong Droit de Rester a Friburgo e del giornale svizzaro Bazon Online sul centro asilo di Basilea, chiuso nel 2016.
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      La riforma Lamorgese arriva troppo tardi?

      In questo contesto si innesta la riforma dei decreti Sicurezza, voluta dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e varata con il decreto 130 del 21 ottobre 2020. «L’entrata in vigore del decreto è quanto mai urgente. Perché è ormai evidente come la situazione dei centri di accoglienza straordinaria sia totalmente degenerata in questi due anni», ribadisce ancora una volta Gianfranco Schiavone.

      «La ri-definizione degli standard dei servizi nei centri di accoglienza, come l’assistenza psicologica, l’insegnamento della lingua italiana e attività di integrazione sociale sono assolutamente indispensabili. Ma arrivano in ritardo, dopo un anno», sottolinea il responsabile di Asgi. «Così come non occorreva una nuova legge per cambiare i capitolati di gara. Erano misure che potevano essere prese anche prima della riforma, in forma amministrativa».

      Asgi chiede modifiche al decreto: ci sono ancora misure anticostituzionali

      Non a caso l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’immigrazione ha presentato ulteriori richieste di modifiche al decreto. Pur riaprendo al sistema di accoglienza diffusa, contiene ancora, secondo i giuristi, elementi di continuità con i precedenti decreti. Se la nuova legge stabilisce la riduzione della durata complessiva massima del trattenimento nei Cpr, infatti, dall’altra prevede ancora norme incostituzionali.

      Come il fermo a tempo imprecisato degli stranieri arrivati in frontiera che possono essere trattenuti a lungo in un Cpr. «Periodo durante il quale la loro domanda d’asilo è esaminata con una procedura velocissima, senza garanzie». Ribadiscono da Asgi: «I richiedenti sono isolati e non hanno la possibilità concreta di essere assistiti da un avvocato o dalle organizzazioni umanitarie».

      https://valori.it/business-accoglienza-ors

  • Ventimiglia : sempre più caro e pericoloso il viaggio dei migranti al confine Italia-Francia

    Confine Francia-Italia: migranti fermati, bloccati, respinti

    I respingimenti sono stati monitorati uno ad uno dagli attivisti francesi del collettivo della Val Roja “#Kesha_Niya” (“No problem” in lingua curda) e dagli italiani dell’associazione Iris, auto organizzati e che si danno il cambio in staffette da quattro anni a Ventimiglia per denunciare gli abusi.

    Dalle 9 del mattino alle 20 di sera si piazzano lungo la frontiera alta di #Ponte_San_Luigi, con beni alimentari e vestiti destinati alle persone che hanno tentato di attraversare il confine in treno o a piedi. Migranti che sono stati bloccati, hanno passato la notte in un container di 15 metri quadrati e infine abbandonati al mattino lungo la strada di 10 km, i primi in salita, che porta all’ultima città della Liguria.

    Una pratica, quella dei container, che le ong e associazioni Medecins du Monde, Anafé, Oxfam, WeWorld e Iris hanno denunciato al procuratore della Repubblica di Nizza con un dossier il 16 luglio. Perché le persone sono trattenute fino a 15 ore senza alcuna contestazione di reato, in un Paese – la Francia – dove il Consiglio di Stato ha stabilito come “ragionevole” la durata di quattro ore per il fermo amministrativo e la privazione della libertà senza contestazioni. Dall’inizio dell’anno i casi sono 18 mila, scrive il Fatto Quotidiano che cita dati del Viminale rilasciati dopo la richiesta di accesso civico fatta dall’avvocata Alessandra Ballerini.

    Quando sia nato Sami – faccia da ragazzino sveglio – è poco importante. Più importante è che il suo primo permesso di soggiorno in Europa lo ha avuto a metà anni Duemila. All’età di 10 anni. Lo mostra. È un documento sloveno. A quasi 20 anni di distanza è ancora ostaggio di quei meccanismi.

    A un certo punto è stato riportato in Algeria – o ci è tornato autonomamente – e da lì ha ottenuto un visto per la Turchia e poi la rotta balcanica a piedi. Per provare a tornare nel cuore del Vecchio Continente. Sami prende un foglio e disegna le tappe che ha attraversato lungo la ex Jugoslavia. Lui è un inguaribile ottimista. Ci riproverà la sera stessa convinto di farcela.

    Altri sono in preda all’ansia di non riuscire. Come Sylvester, nigeriano dell’Edo State, vestito a puntino nel tentativo di farsi passare da turista sui treni delle Sncf – le ferrovie francesi. È regolare in Italia. Ha il permesso di soggiorno per motivi umanitari, oggi abolito da Salvini e non più rinnovabile.

    «Devo arrivare in Germania perché mi aspetta un lavoro come operaio. Ma devo essere lì entro ottobre. Ho già provato dal Brennero. Come faccio a passare?», chiede insistentemente.

    Ventimiglia: le nuove rotte della migrazione

    Il flusso a Ventimiglia è cambiato. Rispetto ai tunisini del 2011, ai sudanesi del 2015, ma anche rispetto all’estate del 2018. Nessuno, o quasi, arriva dagli sbarchi salvo sporadici casi, mostrando plasticamente una volta di più come la cosiddetta crisi migratoria in Europa può cambiare attori ma non la trama. Oggi sono tre i canali principali: rotta balcanica; fuoriusciti dai centri di accoglienza in Italia in seguito alle leggi del governo Conte e ai tagli da 35 a 18-21 euro nei bandi di gare delle Prefetture; persone con la protezione umanitaria in scadenza che non lavorano e non possono convertire il permesso di soggiorno. Questa la situazione in uscita.

    In entrata dalla Francia si assiste al corto circuito del confine. Parigi non si fida dell’Italia, pensa che non vengano prese le impronte digitali secondo Dublino e inserite nel sistema #Eurodac. Perciò respinge tutti senza badare ai dettagli, almeno via treno. Incluse persone con i documenti che devono andare nelle ambasciate francesi del loro Paese perché sono le uniche autorizzate a rilasciare i passaporti.

    Irregolari di lungo periodo bloccati in Italia

    In mezzo ci finiscono anche irregolari di lungo periodo Oltralpe che vengono “rastrellati” a Lione o Marsiglia e fatti passare per nuovi arrivi. Nel calderone finisce anche Jamal: nigeriano con una splendida voce da cantante, da nove mesi in Francia con un permesso di soggiorno come richiedente asilo e in attesa di essere sentito dalla commissione. Lo hanno fermato gli agenti a Breil, paesotto di 2 mila anime di confine, nella valle della Roja sulle Alpi Marittime. Hanno detto che i documenti non bastavano e lo hanno espulso.

    Da settimane gli attivisti italiani fanno il diavolo a quattro con gli avvocati francesi per farlo rientrare. Ogni giorno spunta un cavillo diverso: dichiarazioni di ospitalità, pec da inviare contemporaneamente alle prefetture competenti delle due nazioni. Spesso non servono i muri, basta la burocrazia.

    Italia-Francia: passaggi più difficili e costosi per i migranti

    Come è scontato che sia, il “proibizionismo” in frontiera non ha bloccato i passaggi. Li ha solo resi più difficili e costosi, con una sorta di selezione darwiniana su base economica. In stazione a Ventimiglia bastano due ore di osservazione da un tavolino nel bar all’angolo della piazza per comprendere alcune superficiali dinamiche di tratta delle donne e passeurs. Che a pagamento portano chiunque in Francia in automobile. 300 euro a viaggio.

    Ci sono strutture organizzate e altri che sono “scafisti di terra” improvvisati, magari per arrotondare. Come è sempre stato in questa enclave calabrese nel nord Italia, cuore dei traffici illeciti già negli anni Settanta con gli “spalloni” di sigarette.

    Sono i numeri in città a dire che i migranti transitato, anche se pagando. Nel campo Roja gestito dalla Croce Rossa su mandato della Prefettura d’Imperia – l’unico rimasto dopo gli sgomberi di tutti gli accampamenti informali – da gennaio ci sono stabilmente tra le 180 e le 220 persone. Turn over quasi quotidiano in città di 20 che escono e 20 che entrano, di cui un minore.

    Le poche ong che hanno progetti aperti sul territorio frontaliero sono Save The Children, WeWorld e Diaconia Valdese (Oxfam ha lasciato due settimane fa), oltre allo sportello Caritas locale per orientamento legale e lavorativo. 78 minori non accompagnati da Pakistan, Bangladesh e Somalia sono stati trasferiti nel Siproimi, il nuovo sistema Sprar. Il 6 e il 12 luglio, all’una del pomeriggio, sono partiti due pullman con a bordo 15 e 10 migranti rispettivamente in direzione dell’hotspot di Taranto. È stato trasferito per errore anche un richiedente asilo a cui la polizia ha pagato il biglietto di ritorno, secondo fonti locali.

    Questi viaggi sono organizzati da Riviera Trasporti, l’azienda del trasporto pubblico locale di Imperia e Sanremo da anni stabilmente con i conti in rosso e che tampona le perdite anche grazie al servizio taxi per il ministero dell’Interno: 5 mila euro a viaggio in direzione dei centri di identificazione voluti dall’agenda Europa nel 2015 per differenziare i richiedenti asilo dai cosiddetti “migranti economici”.
    A Ventimiglia vietato parlare d’immigrazione oggi

    A fine maggio ha vinto le elezioni comunali Gaetano Scullino per la coalizione di centrodestra, subentrando all’uscente Pd Enrico Ioculano, oggi consigliere di opposizione. Nel 2012, quando già Scullino era sindaco, il Comune era stato sciolto per mafia per l’inchiesta “La Svolta” in cui il primo cittadino era accusato di concorso esterno. Lui era stato assolto in via definitiva e a sorpresa riuscì a riconquistare il Comune.

    La nuova giunta non vuole parlare di immigrazione. A Ventimiglia vige un’ideologia. Quella del decoro e dei grandi lavori pubblici sulla costa. C’è da completare il 20% del porto di “Cala del Forte”, quasi pronto per accogliere i natanti.

    «Sono 178 i posti barca per yacht da 6,5 a oltre 70 metri di lunghezza – scrive la stampa del Ponente ligure – Un piccolo gioiello, firmato Monaco Ports, che trasformerà la baia di Ventimiglia in un’oasi di lusso e ricchezza. E se gli ormeggi sono già andati a ruba, in vendita nelle agenzie immobiliari c’è il complesso residenziale di lusso che si affaccerà sull’approdo turistico. Quarantaquattro appartamenti con vista sul mare che sorgeranno vicino a un centro commerciale con boutique, ristoranti, bar e un hotel». Sui migranti si dice pubblicamente soltanto che nessun info point per le persone in transito è necessario perché «sono pochi e non serve».

    Contemporaneamente abbondano le prese di posizione politiche della nuova amministrazione locale per istituire il Daspo urbano, modificando il regolamento di polizia locale per adeguarsi ai due decreti sicurezza voluti dal ministro Salvini. Un Daspo selettivo, solo per alcune aree della città. Facile immaginare quali. Tolleranza zero – si legge – contro accattonaggio, improperi, bivacchi e attività di commercio abusivo. Escluso – forse – quello stesso commercio abusivo in mano ai passeurs che libera la città dai migranti.

    https://www.osservatoriodiritti.it/2019/07/24/ventimiglia-migranti-oggi-bloccati-respinti-francia-situazione/amp
    #coût #prix #frontières #asile #migrations #Vintimille #réfugiés #fermeture_des_frontières #France #Italie #danger #dangerosité #frontière_sud-alpine #push-back #refoulement #Roya #Vallée_de_la_Roya

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    Quelques commentaires :

    Les « flux » en sortie de l’Italie, qui entrent en France :

    Oggi sono tre i canali principali: rotta balcanica; fuoriusciti dai centri di accoglienza in Italia in seguito alle leggi del governo Conte e ai tagli da 35 a 18-21 euro nei bandi di gare delle Prefetture; persone con la protezione umanitaria in scadenza che non lavorano e non possono convertire il permesso di soggiorno. Questa la situazione in uscita.

    #route_des_Balkans et le #Decrét_Salvini #Decreto_Salvini #decreto_sicurezza

    Pour les personnes qui arrivent à la frontière depuis la France (vers l’Italie) :

    In entrata dalla Francia si assiste al corto circuito del confine. Parigi non si fida dell’Italia, pensa che non vengano prese le impronte digitali secondo Dublino e inserite nel sistema Eurodac. Perciò respinge tutti senza badare ai dettagli, almeno via treno. Incluse persone con i documenti che devono andare nelle ambasciate francesi del loro Paese perché sono le uniche autorizzate a rilasciare i passaporti.
    (...)
    In mezzo ci finiscono anche irregolari di lungo periodo Oltralpe che vengono “rastrellati” a Lione o Marsiglia e fatti passare per nuovi arrivi.

    #empreintes_digitales #Eurodac #renvois #expulsions #push-back #refoulement
    Et des personnes qui sont arrêtées via des #rafles à #Marseille ou #Lyon —> et qu’on fait passer dans les #statistiques comme des nouveaux arrivants...
    #chiffres

    Coût du passage en voiture maintenant via des #passeurs : 300 EUR.

    Et le #business des renvois de Vintimille au #hotspot de #Taranto :

    Il 6 e il 12 luglio, all’una del pomeriggio, sono partiti due pullman con a bordo 15 e 10 migranti rispettivamente in direzione dell’hotspot di Taranto. È stato trasferito per errore anche un richiedente asilo a cui la polizia ha pagato il biglietto di ritorno, secondo fonti locali.

    Questi viaggi sono organizzati da #Riviera_Trasporti, l’azienda del trasporto pubblico locale di Imperia e Sanremo da anni stabilmente con i conti in rosso e che tampona le perdite anche grazie al servizio taxi per il ministero dell’Interno: 5 mila euro a viaggio in direzione dei centri di identificazione voluti dall’agenda Europa nel 2015 per differenziare i richiedenti asilo dai cosiddetti “migranti economici”.

    –-> l’entreprise de transport reçoit du ministère de l’intérieur 5000 EUR à voyage...

  • Richiedenti asilo ed esiti in Italia 2019, dati aggiornati dopo quattro mesi di interruzione. Gennaio-giugno: ipertrofia dinieghi, umanitaria all’1,6%

    Nel primo semestre di quest’anno sono stati registrati nel nostro Paese 18.047 richiedenti asilo, poco più della metà rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Quanto agli esiti nelle Commissioni territoriali, confermata la semi-estinzione della protezione umanitaria (1,6% di tutte le domande di protezione esaminate) e l’ipertrofia dei dinieghi (81%). Intanto, secondo una stima il decreto immigrazione e sicurezza ha già “prodotto” 11 mila nuovi irregolari solo fino ad aprile.

    Dopo un’inspiegabile interruzione di quattro mesi, il Dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno ha ripreso a pubblicare i dati mensili nazionali su richieste d’asilo ed esiti.

    Nei primi sei mesi di quest’anno sono state presentate nel nostro Paese 18.047 richieste di protezione: poco più della metà di quelle presentate nello stesso periodo dell’anno scorso, 33.931.

    Sempre nel primo semestre ’19 le Commissioni territoriali hanno esaminato circa 48.900 richieste (come sempre il dato si riferisce alle domande di protezione esaminate nel periodo, indipendentemente dalla data di presentazione).

    Rispetto al 2018 si confermano, come già registrato nei mesi scorsi, sia la quasi-sparizione della protezione-umanitaria (1,6% di tutte le domande d’asilo esaminate contro il 21% di tutto il ’18: il dato ha toccato il minimo storico dell’1% lo scorso maggio e lo scorso giugno) sia l’ipertrofia di dinieghi (addirittura l’81% contando i casi di “irreperibilità” contro il 67% del ’18).

    Uniche note “positive”, il lieve aumento in percentuale delle concessioni dello status di rifugiato (11% circa delle domande d’asilo esaminate nei primi sei mesi di quest’anno contro il 7% del 2018) e l’ancor più lieve aumento delle protezioni sussidiarie (6% circa in questo 2019 contro 5% nel ’18).

    A margine ricordiamo che, secondo le stime sugli stranieri in situazione di irregolarità nel nostro Paese aggiornate dal ricercatore dell’ISPI Matteo Villa, fra giugno 2018 e aprile 2019 in Italia sono caduti nell’irregolarità circa 51 mila immigrati: «Di questi, circa 11 mila sono la conseguenza diretta del “decreto sicurezza”, oggi legge».

    http://viedifuga.org/richiedenti-asilo-ed-esiti-in-italia-2019-dati-aggiornati-dopo-quattro-me
    #protection_humanitaire #asile #migrations #réfugiés #statistiques #chiffres #Italie #clandestinisation #decreto_salvini #decrét_salvini #decreto_sicurezza

    v. métaliste sur le décret:
    https://seenthis.net/messages/739545

    Et plus précisément sur les conséquences du décret:
    https://seenthis.net/messages/739545#message766818

  • La ribellione silenziosa e composta della Guardia Costiera italiana contro Salvini

    Dio strabenedica la “#Gregoretti”. Dio strabenedica l’ammiraglio #Pettorino. Dio strabenedica i suoi alti ufficiali, in divisa bianca. E i suoi uomini, servitori dello Stato, che si fanno soldati della Costituzione e della legge del mare salvando 141 vite e finendo “sequestrati” solo per questo gesto.

    C’è qualcosa di scandaloso, nell’atto persecutorio che per la terza volta colpisce la #Guardia_Costiera, e c’è qualcosa di eroico nella fermezza silenziosa e composta con cui gli uomini di Pettorino reagiscono: senza fare polemica, ma senza deflettere di un millimetro dalla loro missione.

    I fatti sono noti: il Viminale nega lo sbarco a Lampedusa alla “Gregoretti” (questa onomastica sarebbe piaciuta all’omonimo Ugo), lo nega anche alla nave della Guardia costiera italiana che ha accolto a bordo i migranti soccorsi giovedì 25 luglio dal peschereccio «#Accursio_Giarratano» a cinquanta miglia da Malta.

    E ovviamente il capitano (di latta) Matteo Salvini ha parlato: «Ho dato disposizione – dice il ministro dell’Interno aprendo così un nuovo caso Diciotti – che non le venga assegnato nessun porto prima che ci sia sulla carta una redistribuzione in tutta Europa dei migranti a bordo».

    Quindi gli uomini della Guardia Costiera sono di nuovo sotto ricatto, di nuovo bloccati e inibiti a sbarcare. Solo che questa volta non ci sono alibi, veri o fittizi: non si tratta dei “pirati ai caraibi”, o delle fantomatiche “Ong criminali”, dei mostruosi “taxi del mare”, ma di un corpo dello Stato, una nave della Marina che batte bandiera italiana e risponde agli ordini di un ministro del governo. Salvini – quindi – il nuovo “caso Diciotti” non lo sta evitando, lo sta creando.

    Adesso – dunque – la contesa sul diritto al salvataggio in mare e sull’individuazione dell’approdo nel porto più sicuro coinvolge anche le imbarcazioni della nostra Guardia costiera, in questo caso la «Gregoretti», bloccata al largo coi migranti salvati a bordo.

    Il comandante del peschereccio di Sciacca, in provincia di Agrigento, ci ha raccontato una storia semplice e terribile: lui che raccoglie i naufraghi, Malta che non risponde all’sos (vergogna). E lui, per salvare quelle vite, chiede il soccorso del suo paese, come era ovvio e inevitabile. Una nave italiana, secondo la legge, è già Italia.

    Sulla strada del ritorno verso Lampedusa, dopo il diktat di Salvini, lo scenario diventa surreale: da una parte il Viminale, dall’altra i nostri militari.

    Fonti del Ministero dicono che della vicenda è stata investita la Commissione europea, con l’obiettivo di allargare e condividere il ricollocamento (cosa giusta) ma questo non può essere un alibi. Una nave di un corpo dello Stato non può essere sequestrata da un altro corpo dello Stato. Gli uomini dell’Ammiraglio Pettorino non sono lì per divertirsi, o anche per una lodevole missione umanitaria. Sono lì perché eseguono ordini: pensare di poterli mettere in quarantena è una vergogna.

    Dice ancora Salvini: «Nessuno sbarcherà finché non ci sarà nome, cognome e indirizzo dei Paesi che ospiteranno i migranti: fidarsi è bene, ma io faccio come San Tommaso».

    Solo che adesso una voce deve levarsi. La vicenda riguarda anche il ministro dei Trasporti M5S #Danilo_Toninelli, che formalmente guida ed è responsabile della Guardia Costiera. È lui che deve tutelare gli uomini di chi ha la responsabilità. Il M5s non può pensare di recuperare un voto finché alcuni dei suoi ministri, che occupano posti di responsabilità cruciale, latitano o tacciono quando vengono chiamato in causa. Toninelli deve capire che se non vuole sembrare un ministro “commissariato” deve far sentire la sua voce. Oppure certificare con questo silenzio sulla Gregoretti la sua non responsabilità. E quindi dimettersi.

    https://www.tpi.it/2019/07/27/migranti-guardia-costiera-salvini-gregoretti
    #gardes-côtes #Italie #résistance #Salvini #décret_Salvini #Decreto_Salvini #sauvetage #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés

    Ajouté à cette métaliste:
    https://seenthis.net/messages/739545#message766817

    • Italy’s Salvini faces new trial risk for holding migrants on ship

      A special tribunal has recommended that former Italian interior minister and far-right League party leader Matteo Salvini face trial for holding scores of migrants on board a coastguard ship docked in a port in Sicily in July.

      In a court document seen by Reuters, Sicilian magistrates ask parliament for authorisation to continue their investigation into Salvini for alleged kidnapping, saying he abused his powers and “deprived 131 migrants of personal liberty”.

      In July Salvini, then interior minister, ordered the migrants, including children, remain on board the Italian coastguard ship Gregoretti until other European countries agreed to take most of them in.

      “Investigated because I defended the security, the borders and the dignity of my country, unbelievable,” the anti-migrant leader said in a statement. He called the investigation “shameful”.

      During his 14 months at the interior ministry, Salvini staked his credibility on a pledge to halt migrant flows, blocking Italian ports to rescue ships and threatening the charities operating them with fines.

      The investigation echoes another case earlier this year.

      In February, when the League was in government with the anti-establishment 5-Star Movement, parliament rejected a magistrates’ request to pursue a kidnapping probe into Salvini for refusing permission to disembark for some 150 migrants on a coastguard ship stranded off Sicily.

      On that occasion the 5-Star, which had always criticized the practice of halting judicial proceedings against lawmakers, rescued Salvini and blocked the investigation after weeks of tension within the government.

      But things have now changed. The League walked out of government in August and 5-Star have formed a new coalition with the centre-left Democratic Party (PD), which strongly opposes Salvini’s hard line against migrants.

      The PD and other minor government parties are expected to vote to grant the authorisation, and on Wednesday 5-Star leader Luigi Di Maio appeared to suggest his party will do the same.

      He told state television network RAI that in the case of the Gregoretti ship Salvini had acted on his own initiative, rather than on behalf of the whole government, and said: “I hope Salvini can prove his innocence.”

      The case will be examined by a 23-member upper house Senate committee. The timetable for its hearings has not yet been set.

      https://uk.reuters.com/article/uk-italy-salvini-migrants-court/italys-salvini-faces-new-trial-risk-for-holding-migrants-on-ship-idUKKBN

    • Le Sénat italien autorise le renvoi de Matteo Salvini devant la justice pour « séquestration » de migrants

      Un #tribunal de Catane accuse l’ex-ministre de l’intérieur d’« #abus_de_pouvoir » et de « #séquestration_de_personnes » pour avoir bloqué des migrants, l’été dernier, à bord d’un navire des gardes-côtes.

      Le Sénat italien a tranché, mercredi 12 février. L’actuel chef de l’extrême droite italienne, Matteo Salvini, devrait être renvoyé en justice pour avoir bloqué un bateau de migrants quand il était ministre de l’intérieur.

      Le résultat officiel du vote sera communiqué à 19 heures (heure de Paris), mais le tableau électronique des votes vu par plusieurs journalistes de l’Agence France-Presse (AFP) indiquant pendant quelques secondes le résultat du scrutin a permis d’établir clairement son #renvoi_en_justice, confirmé par tous les médias italiens.

      La Constitution italienne permet en effet au Parlement de bloquer des #poursuites contre un ministre si les élus considèrent qu’il a agi dans le cadre de ses fonctions et dans l’#intérêt_supérieur_de_l’Etat. Ce feu vert du Sénat ouvre la voie à un #procès. L’ancien ministre encourt quinze ans de réclusion.

      Décision collective contre décision personnelle

      Devant les sénateurs mercredi, le leadeur du parti populiste de la Ligue a revendiqué sa décision. « Je n’irai pas dans cette salle de tribunal pour me défendre, j’irai pour revendiquer avec orgueil ce que j’ai fait », a-t-il lancé aux sénateurs, réitérant que c’était son « devoir » de défendre les frontières du pays quand il était ministre de l’intérieur.

      Concrètement, il est accusé par un tribunal de Catane, en Sicile, « d’abus de pouvoir et de séquestration de personnes » pour avoir bloqué l’été dernier, durant plusieurs jours, 116 migrants à bord d’un navire des gardes-côtes italiens, le #Gregoretti. Quelques dizaines de migrants avaient pu être évacués pour raisons médicales, mais les autres étaient restés sur le navire près d’une semaine, faute d’autorisation de débarquer. M. Salvini était alors ministre de l’intérieur d’un gouvernement formé par la Ligue (son parti) et les anti-establishment du Mouvement 5 étoiles (M5S).

      A ce stade, la stratégie de M. Salvini est de tenter d’impliquer le premier ministre d’alors, Giuseppe Conte, en affirmant que le blocage du navire en juillet 2019 était une décision collective du gouvernement. M. Conte, reconduit en septembre à la tête d’un exécutif formé cette fois du M5S et du Parti démocrate, principal parti de gauche, conteste cette version des faits. Selon le chef du gouvernement, Salvini a, avant l’épisode Gregoretti, « fait approuver un nouveau décret-loi qui renforçait ses compétences, il a revendiqué le choix de faire ou non débarquer les personnes à bord du Gregoretti, et aussi sur le moment de le faire ». En juin 2019, M. Salvini a effectivement fait adopter une loi renforçant ses pouvoirs et prévoyant que « le ministre de l’intérieur peut limiter et interdire l’entrée, le transit ou l’arrêt des navires dans les eaux territoriales pour des motifs d’ordre et de sécurité publics ».

      Pour sa défense, M. Salvini invoque un cas similaire au Gregoretti, remontant à août 2018, lorsque 177 migrants se trouvant à bord du navire des gardes-côtes italiens Diciotti avaient été empêchés de débarquer pendant plusieurs jours. A l’époque, le gouvernement avait défendu l’idée d’une décision collégiale, et le Sénat avait bloqué une demande de renvoi en justice contre M. Salvini.

      Blocage de l’Open Arms

      Les soucis de Salvini ne s’arrêtent pas à l’affaire du Gregoretti. Une commission du Sénat devra statuer, le 27 février, sur une autre demande de renvoi en justice concernant, cette fois, le navire humanitaire Open Arms, bloqué mi-août 2019 pendant plusieurs jours devant l’île de Lampedusa, sur ordre de M. Salvini.

      Même après son probable renvoi devant le tribunal des ministres, une juridiction spéciale composée de trois magistrats expérimentés de Catane, M. Salvini devra probablement attendre des années pour être fixé sur son sort, compte tenu de la lenteur de la justice italienne et des possibilités de recours. En cas de condamnation définitive, c’est-à-dire en dernière instance par la Cour de cassation, le patron de la Ligue encourt aussi une peine d’inéligibilité de six à huit ans.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2020/02/12/matteo-salvini-renvoye-en-justice-par-le-senat-pour-sequestration-de-migrant
      #justice

  • Decreto sicurezza-bis. Antigone scrive a Conte: «preoccupati per l’ulteriore compressione dei diritti. Il Premier lo blocchi»

    «Il sistema giuridico e i diritti, per loro intrinseca natura, non possono essere continuamente intaccati sulla base di presunte ed indimostrate emergenze criminali e sociali». E’ quanto si legge nella lettera che l’associazione Antigone ha indirizzato al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, per richiamare l’attenzione sull’ulteriore compressione dei diritti e delle garanzie che il decreto sicurezza-bis, che domani sarà discusso in Consiglio dei Ministri, potrebbe produrre nell’ordinamento italiano.

    Diversi sono i motivi di preoccupazione che Antigone ha riscontrato nel testo del decreto. Innanzitutto riguardo al ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza. «Più volte - sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - abbiamo sentito il ministro degli Interni vantarsi pubblicamente della riduzione del numero di flussi di migranti o del calo degli indici di delittuosità. Questo fa cadere la straordinarietà ed urgenza che giustifichi l’adozione di un decreto-legge che va ad intervenire su quei terreni».

    Ad essere evidenziato inoltre è come il decreto difetti di omogeneità, un criterio che la Corte Costituzionale ha ritenuto necessario per affermare la legittimità della decretazione di urgenza. Nel decreto in esame si giustappongono norme contrarie al senso di umanità in materia di immigrazione, norme in materia penale che criminalizzano il dissenso, norme che cambiano l’organizzazione interna allo Stato, norme che sottraggono competenze ai ministeri della Giustizia e dei Trasporti per affidarle pretestuosamente e pericolosamente al ministero dell’Interno, norme che riguardano le prossime Universiadi. Disomogeneità che mettono a rischio la costituzionalità del decreto, anche alla luce dei precedenti giurisprudenziali, ed in particolare della sentenza n.32 del 2014.

    «La norma che modifica il Testo Unico sull’immigrazione introducendo l’illecito amministrativo del trasporto irregolare di migranti in acque internazionali, introducendo una multa elevata per ogni vita salvata, evoca momenti bui della storia novecentesca - scrive il Presidente di Antigone nella lettera indirizzata al Premier. L’attribuzione di competenze al ministero dell’Interno, anziché al Ministero delle Infrastrutture e trasporti, del potere di limitare o vietare il transito o la sosta di imbarcazioni determina una degenerazione di tutto ciò che accade nello spazio marittimo in questione di ordine pubblico. La criminalizzazione della solidarietà, che fino a oggi ha visto naufragare qualsiasi inchiesta penale, non avrà adesso bisogno di indagini ma sarà agibile senza alcun controllo giurisdizionale».

    «Le norme in materia di manifestazioni pubbliche - si legge ancora nella lettera - che prevedono aumenti di pena o nuove circostanze aggravanti, andando addirittura a irrigidire il testo unico di Polizia del 1931 di epoca fascista, costituiscono una forma di criminalizzazione del dissenso che non è giustificabile con la necessità di garantire manifestazioni pacifiche. Prevedere che l’organizzatore di una riunione, seppur non autorizzata, risponda di danneggiamenti o saccheggi operati da altri, contraddice il principio costituzionale della responsabilità penale personale».

    A preoccupare molto Antigone è infine l’istituzione di un Commissario governativo che si sostituisca alla magistratura nel potere di decidere l’ordine da attribuire alla esecuzione di sentenze penali. «Questa disposizione - si sottolinea ancora nella lettera - significa minare alla radice quella separazione dei poteri che è alla base di ogni ordinamento democratico. È pericolosissimo prevedere che possa essere l’autorità governativa a poter operare una selezione nei reati da perseguire effettivamente».
    «In una recente pubblicazione in onore di Guido Alpa, il Premier Conte ha scritto come il criterio ultimo e determinante di ogni ricerca giuridica, e dunque della stessa produzione normativa, non può non essere ‘la centralità della persona’. Un rispetto dell’altro che il decreto in questione mette fortemente in discussione e che per questo ci auguriamo il Presidente del Consiglio bloccherà» conclude Patrizio Gonnella.

    http://www.antigone.it/news/antigone-news/3220-decreto-sicurezza-bis-antigone-scrive-conte-compressione-diritti-premi
    #decreto_sicurezza_bis #Italie #décret_sécurité_bis #asile #droits #démantèlement #migrations

    • Cosa prevede il decreto sicurezza bis, approvato dal Consiglio dei ministri

      Tra le misure, contrasto ai trafficanti di esseri umani, stretta sugli episodi di violenza durante le pubbliche manifestazioni e inasprimento di pene per chi aggredisce gli operatori di polizia.

      E’ stato approvato dal Consiglio dei ministri il decreto sicurezza bis. L’approvazione è stata resa nota da fonti governative leghiste al termine della riunione durata circa un’ora.

      «Nel contrasto ai trafficanti di esseri umani potranno essere usati agenti sotto copertura, anche ricorendo allo strumento delle intercettazioni». Lo ha detto il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, nella conferenza stampa seguita al Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto sicurezza bis.

      «Sia sul primo che sul secondo decreto sulla sicurezza siamo tranquilli», ha continuato Salvini, ribadendo che non ci sono profili di incostituzionalità riguardo i decreti sulla sicurezza varati dal governo.
      «Questi decreti sono rispettosi di qualunque norma vigente in Italia e all’estero», ha spiegato il ministro dell’Interno.

      «Gli episodi di violenze durante pubbliche manifestazioni debbono prevedere un concreto pericolo per le persone. La libertà di pensiero degli italiani» non viene messa in discussione, osserva il ministro.

      «Il decreto sicurezza bis prevede, tra l’altro, la confisca della nave per coloro che ripetutamente non ottemperano ai divieti di ingresso nelle acque territoriali e una multa da 10 a 50 mila euro per comandante, proprietario e armatore». «Un altro capitolo del decreto - ha aggiunto - prevede l’inasprimento di pene per chi aggredisce gli operatori di polizia nel corso di manifestazioni. Un altro passaggio (la cosiddetta norma spazza-clan, ndr) è quella che prevede l’assunzione di 800 unita’ di personale amministrativo per la notifica delle sentenze a carico di condannati ancora liberi: solo a Napoli sono 12 mila».

      https://www.agi.it/politica/decreto_sicurezza_bis-5638245/news/2019-06-11

    • Tutte le critiche al decreto sicurezza bis

      Nell’ultima settimana il governo ha discusso diverse bozze di un decreto sicurezza bis su immigrazione e sicurezza pubblica proposto dal ministro dell’interno Matteo Salvini a pochi giorni dalle elezioni europee del 26 maggio. La misura, che prevede un’ulteriore criminalizzazione del soccorso in mare, la riforma del codice penale, maggiori finanziamenti per i rimpatri e l’estensione dei poteri delle forze di polizia, ha diviso i due alleati di governo: Movimento 5 stelle e Lega.

      Il consiglio dei ministri del 21 maggio ha portato a un nulla di fatto, e il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha detto che il Quirinale aveva sollevato dubbi di costituzionalità in particolare sulla prima parte del decreto, quella sul soccorso in mare. Il 22 maggio il presidente della repubblica Sergio Mattarella ha incontrato sia Conte sia il ministro dell’interno Salvini, e in seguito agli incontri si è deciso di rinviare l’esame del decreto a dopo il voto. Nel frattempo la misura – articolata in 18 punti – è stata criticata da organizzazioni e associazioni. Ecco cosa prevede in linea di principio (stiamo parlando di bozze) e quali critiche sono emerse durante la discussione.

      Il soccorso in mare
      La prima bozza del decreto sicurezza bis prevedeva multe da 3.500 a 5.500 euro per ogni straniero soccorso e trasportato in Italia da navi di soccorso e addirittura la revoca o la sospensione della licenza per navi che battono bandiera italiana; il trasferimento della competenza a limitare o vietare il transito e la sosta nel mare territoriale italiano dal ministero delle infrastrutture al ministero dell’interno; l’affidamento alle procure distrettuali anche delle ipotesi non aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; l’estensione dell’uso delle intercettazioni per questo tipo di reati; lo stanziamento di tre milioni di euro per il finanziamento di poliziotti di origine straniera per indagini sotto copertura.

      Questa prima bozza è stata modificata diverse volte, essendo una delle parti più controverse e giudicate in contrasto con diverse normative nazionali e internazionali. Nell’ultima bozza sparisce il riferimento alle multe, ma rimane una sanzione da diecimila e cinquantamila euro per chi trasgredisce il divieto di oltrepassare le acque territoriali italiane, con il rischio accessorio di confisca della nave. Ma secondo i giuristi la parte che rimane in ogni caso problematica è quella che prevede che sia lo stesso ministro dell’interno a “limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza”. Per i giuristi, al di là del fatto che questo articolo è in contrasto con le norme che regolano il soccorso in mare, si registra il tentativo di portare sul piano amministrativo quello che è un problema di ordine penale e che quindi è di competenza della magistratura.

      Per Gianfranco Schiavone dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) “il problema è che il ministro dice di poter vietare l’ingresso in acque italiane quando c’è una violazione delle leggi sull’immigrazione ed evidentemente si riferisce al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che però è un reato penale e per essere accertato deve essere oggetto d’indagine da parte di una procura. Su che base un prefetto deciderà che c’è stata una violazione di una norma nazionale sull’immigrazione?”. A questo si aggiunge che, nel caso di soccorso in mare, il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è difficilmente imputabile a una nave umanitaria che ha soccorso in mare persone che erano in uno stato di necessità. “Lo scopo è quello di aggirare le procure, procedere per via amministrativa bloccando le navi e i soccorsi. Il ministero sa benissimo che queste sono misure che vanno contro la legge e non possono durare a lungo”, conclude Schiavone.

      Riforma del codice penale e norme sulla sicurezza
      Una seconda parte del decreto riguarda la gestione della pubblica sicurezza e la riforma del codice penale e prevede per esempio l’inasprimento delle sanzioni in seguito ai reati di devastazione, saccheggio e danneggiamento commessi nel corso di riunioni pubbliche; maggiori tutele per le forze dell’ordine attraverso l’introduzione di nuove fattispecie di reato per colpire più severamente coloro che si oppongono ai pubblici ufficiali; modifiche al codice penale che prevedono sanzioni per i reati di oltraggio a pubblico ufficiale e il reato di violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale; più militari per le Universiadi di Napoli del 2019. Tre norme sono particolarmente gravi e illegittime, secondo i giuristi.

      “Al di là degli aumenti di pena per alcune tipologie di reato, che ormai sono diventati la norma, una delle novità che mi sembra più grave è quella che prevede che ci sia una responsabilità penale per chi organizza una manifestazione non autorizzata nella quale qualcun altro compie un qualsiasi reato di danneggiamento. In questo caso chi ha organizzato una manifestazione non autorizzata deve rispondere per il saccheggio e il danneggiamento compiuto da altri, venendo meno al principio secondo cui la responsabilità penale è personale. La stessa cosa vale per l’articolo che prevede un ulteriore aumento di pena per reati che accadono durante le manifestazioni pubbliche, irrigidendo il testo unico di polizia che risale agli anni trenta, di epoca mussoliniana. Non certo un testo lassista”, afferma Patrizio Gonnella dell’Associazione Antigone.

      Queste modifiche avrebbero l’obiettivo di scoraggiare la partecipazione delle persone alle manifestazioni pubbliche. L’ultima questione, secondo Antigone, è l’eccesso di protezione che è costruito intorno a chi ha un ruolo di polizia: “Abbiamo per tre-quattro volte depenalizzato l’oltraggio e poi lo abbiamo reintrodotto a seconda delle circostanze politiche. L’idea che chi oltraggia le forze dell’ordine rischia una pena più alta rompe con il principio dell’uguaglianza”.

      La costituzionalità del decreto
      Per Gonnella il decreto non ha i requisiti di urgenza e necessità che sarebbero previsti per emanare una misura di questo tipo, e inoltre si occupa di materie troppo disomogenee tra loro per essere affrontate con un unico decreto. “La corte costituzionale già nel 2014 ha specificato che sin dal titolo e poi nell’articolazione del decreto ci deve essere una omogeneità nel contenuto, non si possono mettere insieme cose che hanno poco a fare l’una con l’altra. In questo caso ci sono norme che hanno a che fare con l’immigrazione, norme che hanno a che fare con la riforma del codice penale e poi ci sono norme sulla sicurezza alle Universiadi di Napoli. Stiamo costruendo un decreto legge scriteriato, disomogeneo e quindi per vizi formali illegittimo”, afferma Gonnella. Tra l’altro, secondo Antigone, anche il primo decreto immigrazione e sicurezza presentava un problema simile.

      Le direttive per la chiusura dei porti
      Oltre alla discussione sul decreto sicurezza bis, nelle ultime settimane si è tornato a parlare delle due direttive emanate dal ministero dell’interno per impedire l’attracco in Italia delle navi umanitarie che hanno soccorso migranti.

      Il 19 maggio in diretta tv il ministro dell’interno Matteo Salvini ha scoperto che i 47 migranti a bordo della nave SeaWatch 3, bloccati da giorni al largo delle coste italiane, stavano arrivando a Lampedusa a bordo di un mezzo della guardia di finanza dopo che il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio aveva disposto un sequestro probatorio per la nave, aprendo un’indagine per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Salvini, sempre in diretta, ha minacciato di denunciare il procuratore.

      Secondo il parere dei giuristi, i porti non sono affatto chiusi e le direttive emanate dal Viminale negli ultimi mesi sul soccorso in mare sono in contrasto con la normativa internazionale sul diritto del mare. La pensa così anche l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani che con una lettera di dodici pagine il 18 maggio ha chiesto all’Italia di ritirare le direttive di marzo e aprile sul soccorso in mare.

      “La direttiva di marzo è una seria minaccia ai diritti dei migranti, inclusi i richiedenti asilo e le persone vittime di tortura, sequestri, detenzioni illegali. Ci sono ragionevoli elementi per ritenere che sia stata emanata per colpire direttamente la Mare Jonio (la nave dell’Ong Mediterranea), vietandole l’accesso alle acque e ai porti italiani”, è scritto nella lettera. “Nella direttiva del 15 aprile la si accusa esplicitamente di favorire l’immigrazione clandestina. Siamo profondamente preoccupati per queste direttive, che non sono basate su alcuna sentenza della competente autorità giuridica”.

      Contrarie al diritto
      L’esperta di diritto del mare dell’università Sacro Cuore di Milano, Francesca de Vittor, spiega che i porti non sono mai stati chiusi: “Se ci atteniamo ai documenti che abbiamo in mano i porti sono aperti, ci sono delle procedure anomale di sbarco ultimamente, ma un atto ufficiale di chiusura dei porti non esiste”. Per l’esperta, se la nave si trova particolarmente vicina alle coste italiane, oppure quando la centrale operativa che ha coordinato i soccorsi è l’Italia, allora non è strano che sia l’Italia a predisporre un porto di sbarco: “Dopodiché non è escluso che anche altri stati cooperino nelle operazioni di sbarco e di redistribuzione delle persone: l’obbligo dei soccorsi è di tutti gli stati non solo dell’Italia. Ma questa cooperazione invece non può riguardare la Libia che non è un paese sicuro”, chiarisce.

      Secondo De Vittor le due direttive ministeriali di marzo e aprile contro le navi umanitarie che compiono soccorsi in mare sono contrarie al diritto internazionale del mare: “Entrambe le direttive obbligano le navi umanitarie ad attenersi alle indicazioni date dalla guardia costiera libica, tuttavia questo punto è in contrasto con la Convenzione Sar che invece attribuisce al capitano la responsabilità di valutare nella situazione in cui si trova quale sia la scelta migliore per garantire la sicurezza e la salvaguardia della vita umana in mare. Se le indicazioni chiedono di portare le persone in un porto non sicuro come la Libia, il capitano ha tutte le ragioni di rifiutarsi”.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/05/24/decreto-sicurezza-bis-critiche

    • L’Italie adopte un décret antimigrants, avec des amendes records pour ceux qui leur viennent en aide

      Le texte prévoit des amendes de 150 000 euros à 1 million d’euros pour les bateaux de sauvetage d’ONG en Méditérranée, et jusqu’à dix ans de prison en cas de résistance.

      C’est une victoire symbolique et politique supplémentaire pour Matteo Salvini sur son allié au gouvernement italien, le Mouvement 5 étoiles (M5S). Les sénateurs du parti fondé par Beppe Grillo se sont en effet pliés aux consignes de vote et ont accordé, lundi 5 août au soir, leur confiance au gouvernement, donnant force de loi au très contesté nouveau décret sécurité porté par le ministre de l’intérieur d’extrême droite. Il y avait néanmoins peu de risque que la coalition au pouvoir chute en plein mois d’août, malgré les tensions quotidiennes de ces dernières semaines.

      Avec 160 voix pour et seulement 57 contre, le texte a été adopté à une large majorité des sénateurs présents, aidés par l’abstention des partisans de Silvio Berlusconi et de la formation d’extrême droite Fratelli d’Italia. Le triomphe est total pour Matteo Salvini : déjà affaiblis, ses alliés de gouvernement sont taxés de lâcheté. Sur les réseaux sociaux, quelques minutes après le vote de confiance, l’un des hashtags les plus populaires a très vite été « Grillini [surnom des partisans de Beppe Grillo] sans gloire », lancé à l’adresse des élus du parti populiste.

      Quelques minutes avant le vote, certaines voix s’étaient pourtant élevées pour demander aux sénateurs 5 étoiles de ne pas donner leur blanc-seing à un texte jugé liberticide. La plus forte a été celle de Gregorio De Falco, ancien officier de marine, qui a dénoncé dans le blocage des navires de secours de migrants une « règle criminogène » qui n’aura pour conséquence que de faire mourir plus de personnes dans la Méditerranée. Cette voix dissidente du M5S, invitant à « voter pour une fois en conscience », n’aura pas été entendue. Le chef du Parti démocrate, Nicola Zingaretti, a, pour sa part, raillé les « esclaves » du Mouvement 5 étoiles.
      Jusqu’à dix ans de prison

      Sur le fond, ce texte, taillé sur mesure par Matteo Salvini, accroît encore ses pouvoirs en matière migratoire. Si le décret détaille de nouvelles mesures renforçant les peines pour les actes de défiance envers les forces de police, dans les stades ou lors des manifestations, c’est bien envers les migrants et ceux qui leur viennent en aide que ce texte est dirigé. Ainsi, alors que de nouveaux navires de secours ont repris la mer ces dernières semaines pour aller sauver des migrants de la noyade, le texte donne la possibilité d’intercepter préventivement une embarcation de sauvetage et d’infliger jusqu’à dix ans de prison en cas de résistance. Une réponse à l’affront subi après l’invalidation de l’arrestation de la capitaine du Sea-Watch 3 Carola Rackete, au mois de juin.

      L’arsenal répressif se traduit également par des amendes records : selon ce nouveau décret, les organisations humanitaires de sauvetage sont désormais passibles de 150 000 euros à 1 million d’euros de pénalité et leurs bateaux pourront être placés sous séquestre. Après avoir assisté au vote des sénateurs, Matteo Salvini a remercié les Italiens et la Vierge Marie, se félicitant que les forces de l’ordre aient désormais des pouvoirs élargis pour « plus de contrôles aux frontières et plus d’hommes pour arrêter les mafieux ». Il n’est pourtant que peu question de lutte contre la mafia dans le décret.

      Don Luigi Ciotti, le président de Libera, l’une des principales associations italiennes de lutte contre la mafia, a d’ailleurs dénoncé « un choix politique indigne », déplorant que le « degré d’humanité » de l’Italie se soit autant dégradé. Le président Mattarella, qui a un mois pour signer le décret, pourrait l’accompagner d’une lettre, comme il l’avait fait au mois d’octobre 2018 lors du premier décret sécurité de Salvini. Dans cette missive, le chef de l’Etat, garant de la Constitution, rappelait l’importance du fait que l’Italie se conforme à ses engagements internationaux. Les articles 1 et 2 du nouveau décret, portant sur l’interdiction d’entrer dans les eaux italiennes pour les navires de secours, pourraient, selon certains juristes de la péninsule, constituer une violation de la Constitution.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/08/06/l-italie-adopte-le-decret-anti-migrants-de-salvini_5497095_3210.html

    • Tutte le leggi che potrebbe violare il “decreto sicurezza bis”

      La convenzione di Ginevra, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, forse anche la Costituzione: e sono nodi che a un certo punto verranno al pettine.

      Martedì il Senato ha approvato in via definitiva il cosiddetto “decreto sicurezza bis“, una misura voluta e promossa dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che prevede regole molto stringenti per la gestione dei migranti che arrivano via mare. Da mesi il decreto viene criticato sia dalle ong che si occupano di salvataggi in mare, sia più genericamente dagli attivisti per i diritti umani, che temono una ulteriore stretta sui diritti e le condizioni dei migranti dopo il primo decreto sicurezza, approvato in autunno.

      Ma le critiche al decreto non sono arrivate soltanto dalle associazioni che in qualche modo hanno a che fare col soccorso in mare e l’accoglienza. Come ha notato la giornalista Annalisa Camilli di Internazionale, «durante l’esame della norma in commissione Affari costituzionali e giustizia della Camera sono stati interpellati diversi esperti, professori universitari e autorità che hanno fatto emergere i diversi problemi del provvedimento».

      I punti sollevati dagli esperti in commissione Affari costituzionali sono diversi e si aggiungono alle critiche che già erano arrivate al governo da parte dell’ONU per un provvedimento contro la ong Mediterranea che già prevedeva un simile approccio. Era da tempo che una legge promossa dal governo italiano non era così problematica per le convenzioni e i trattati firmati dall’Italia.

      I nuovi poteri del ministro dell’Interno
      La norma più controversa del decreto è l’articolo 1, secondo cui il ministro dell’Interno «può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica», quando si realizzano le condizioni dell’articolo 19, comma 2, lettera g) della Convenzione ONU sui diritti del mare firmata a Montego Bay nel 1982 (PDF). Il paragrafo in questione della convenzione tratta i casi di «carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato».

      In pratica, il decreto sicurezza consente al ministro dell’Interno di vietare l’ingresso – ma persino la sosta o il transito – nel mare territoriale italiano di navi che violano le leggi italiane in materia di immigrazione. Salvini ha già usato i poteri che gli sono stati conferiti dal decreto per emettere i divieti di ingresso nei confronti delle navi delle ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo.

      Il soccorso in mare in caso di pericolo e il diritto di asilo sono però regolati da numerose convenzioni che non possono essere superate con una legge nazionale.

      Un primo problema è stato individuato dal Servizio Studi della Camera, secondo cui «andrebbe chiarito come trovi applicazione la disposizione in caso di mancata individuazione in termini univoci del “porto sicuro” di sbarco». Quello di “porto sicuro” è un concetto molto diffuso nelle norme internazionali: esiste nella cosiddetta convenzione di Amburgo del 1979 e in altre altre norme sul soccorso marittimo, che prevedono che gli sbarchi di persone soccorse in mare debbano avvenire nel primo “porto sicuro” sia per prossimità geografica a dove è avvenuto il salvataggio sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani.

      Per quasi tutte le navi che soccorrono migranti nel Mediterraneo centrale, cioè nei pressi della Libia, il primo porto sicuro è sicuramente l’Italia: nessuno degli altri paesi dell’area è sufficientemente attrezzato per permettere uno sbarco che non metta a rischio le persone soccorse.

      Il “decreto sicurezza bis” ignora completamente questo aspetto, concentrandosi sulla condizione di irregolarità dei migranti che entrano nelle acque italiane a bordo delle navi delle ong. Qui subentra un altro punto problematico del decreto: dato che tutte le persone soccorse intendono chiedere asilo in Italia – legittimamente, dato che il diritto internazionale prevede che chiunque possa farlo – non vanno trattati come migranti qualsiasi ma come richiedenti asilo.

      Il respingimento dei richiedenti asilo è vietato da numerose norme del diritto internazionale: su tutte la convenzione di Ginevra del 1951, all’articolo 33, e dall’articolo 4 del Protocollo 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (“Le espulsioni collettive di stranieri sono vietate”). Ciascuna richiesta d’asilo va esaminata singolarmente e da un’autorità giudiziaria: per questa ragione allontanare una nave piena di richiedenti asilo equivarrebbe a un respingimento illegale.

      Nei mesi scorsi Salvini ha più volte “chiuso” i porti italiani nei confronti delle navi delle ong o delle navi militari italiane che trasportavano richiedenti asilo, grazie ad alcuni espedienti: su tutti, il fatto che la decisione di non rendere disponibili i porti fosse comunicata in maniera informale, senza alcun documento scritto, cosa che rendeva praticamente impossibile impugnarla davanti a un tribunale. L’unica volta che Salvini è stato costretto a rendere conto pubblicamente del suo approccio, cioè quando ha chiesto al Movimento 5 Stelle di votare contro l’avvio di un processo nei suoi confronti sul caso della nave Diciotti, si è difeso sostenendo che chiudere i porti fosse un “atto politico” e perciò non punibile secondo l’articolo 7 del codice del processo amministrativo.

      Ricapitolando: fino all’entrata in vigore del decreto, Salvini poteva chiudere i porti soltanto in maniera informale. Oggi può farlo sulla base del “decreto sicurezza bis”. Alcuni ritengono che la nuova legge abbia “normalizzato” i respingimenti. Altri, paradossalmente, considerano le misure del decreto «una buona notizia», perché costringeranno Salvini a mettere per iscritto le ragioni di ciascun divieto di ingresso. Lo ha spiegato bene il giudice Andrea Natale del tribunale di Torino sulla rivista Questione Giustizia.

      Per «chiudere i porti» serve un provvedimento, non basta un tweet. Sembra un dettaglio, ma i ripetuti casi di “chiusura dei porti” via Twitter – e nel modo più emblematico, il cd. caso Diciotti – mettono in luce quanto sia utile e preziosa questa disposizione: la necessaria esistenza di un provvedimento renderà più trasparente la catena decisionale, più agevolmente individuabili le responsabilità politiche e quelle giuridiche e, sebbene con angusti (e probabilmente non tempestivi) spazi di intervento, renderà quei provvedimenti giustiziabili dalla giurisdizione amministrativa (dovendosi probabilmente escludere che si tratti di “atti politici”, sottratti alla sfera di controllo del giudice amministrativo).

      Il ragionamento di Natale è che dall’entrata in vigore del decreto sarà più facile contestare al governo eventuali abusi, anche in sede internazionale. In passato, peraltro, l’Italia è stata condannata più volte per alcuni respingimenti collettivi di migranti verso la Libia, l’ultima volta nel 2012.

      Le multe alle ong
      Un altro punto considerato problematico è l’articolo 2 del decreto, che prevede ingenti multe per i comandanti delle navi che ignorano il divieto di ingresso previsto dall’articolo 1. La violazione del divieto comporta una multa compresa fra i 150mila e il milione di euro e la confisca della nave. Dato che i destinatari della norma sono esplicitamente le navi delle ong che trasportano migranti, gli esperti di migrazione e diritti umani ritengono che l’intento del governo sia rendere economicamente proibitivo, e quindi scoraggiare, qualsiasi intervento di soccorso in mare.

      L’agenzia ONU per i rifugiati ha commentato l’introduzione delle multe in un duro comunicato stampa, in cui sostiene che «l’imposizione di sanzioni pecuniarie e di altro tipo ai comandanti delle navi potrebbe ostacolare o impedire le attività di soccorso in mare da parte delle navi private in un momento in cui gli Stati europei hanno significativamente ritirato il proprio sostegno alle operazioni di soccorso nel Mediterraneo Centrale». Anche il giudice Andrea Natale la considera «una norma che manifesta in modo esplicito l’intendimento di fare “terra bruciata” intorno al migrante, disincentivando – quanto più possibile – ogni forma di aiuto e soccorso in suo favore».

      Particolarmente fuori scala sembra la multa in relazione dell’illecito, cioè la violazione di un divieto di ingresso: un milione di euro sono tantissimi soldi, se si pensa che ad esempio l’abuso edilizio viene punito con una multa che può arrivare a un massimo di 20mila euro.

      Secondo Sky Tg24, la norma sulle multe alle ong sarebbe quella su cui si stanno concentrando le attenzioni del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Finora Mattarella non ha mai respinto alcuna legge promossa dal governo di Giuseppe Conte, ma aveva accompagnato la promulgazione del primo “decreto sicurezza” con una lettera in cui chiedeva al governo di rispettare «gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo, e, in particolare, quanto direttamente disposto dall’articolo 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia».

      L’articolo 10 della Costituzione impone che lo Stato italiano debba rispettare «le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute», e i trattati internazionali sulla «condizione giuridica dello straniero». Essendo molto generico, non è ancora chiaro se possa comportare l’incostituzionalità del decreto, anche se come abbiamo visto esistono le basi per ritenere che la nuova legge violi diverse norme internazionali.

      Repubblica fa notare che per arrivare davanti alla Corte Costituzionale ci vuole l’intervento di un giudice o di una regione, e che da quel momento dovranno comunque passare circa sei mesi prima che la Corte emetta una sentenza. Significa che nella migliore delle ipotesi il “decreto sicurezza bis” rimarrà in vigore almeno per tutto il 2019. Il primo “decreto sicurezza” era stato contestato da alcune regioni ma soltanto riguardo a un eventuale conflitto di competenze fra stato e regione: la Corte aveva dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando però che non aveva esaminato il contenuto del decreto.

      Infine
      Il “decreto sicurezza bis” contiene diverse altre norme molto controverse che non c’entrano nulla con l’immigrazione. L’articolo 7, per esempio, introduce un’aggravante per i reati di violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale quando il presunto reato avviene durante una manifestazione pubblica: secondo Amnesty International «ha il chiaro scopo di limitare gli spazi di libertà di chi vuole rivendicare i propri diritti e quelli della collettività», per esempio durante un corteo di protesta.

      Infine, il decreto legge mancava con ogni probabilità del criterio di urgenza che dovrebbe giustificare l’uso di questo strumento: nei primi sei mesi del 2019 gli sbarchi sono diminuiti dell’84,3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2018, in continuità con quanto accade da qualche anno, mentre i migranti portati in Italia dalle navi delle ong sono appena l’8 per cento del totale.

      https://www.ilpost.it/2019/08/07/violazione-leggi-decreto-sicurezza-bis

  • JE VAIS COMMENCER ICI UN NOUVEAU FIL DE DISCUSSION, SUR LES SAUVETAGES ET LES NAUFRAGES EN MEDITERRANEE.

    CE FIL DE DISCUSSION COMPLÈTE CELUI COMMENCÉ ICI :
    https://seenthis.net/messages/768421

    Ici la métaliste complète:
    https://seenthis.net/messages/706177

    ping @isskein

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    Ecco il decreto sicurezza-bis: multe per ogni migrante trasportato e per chi non rispetta le norme Sar

    Salvini si attribuisce la competenza a vietare il transito delle navi ritenute pericolose e prevede che a indagare possano essere solo le Dda. Pene più pesanti per chi aggredisce le forze dell’ordine. Il M5S: «Il ministro dell’Interno copre così il fallimento sui rimpatri».

    È un vero e proprio blitz quello con il quale il ministro dell’Interno Matteo Salvini vara un #decreto_sicurezza_bis che prevede sanzioni pecuniarie pesantissime contro chi soccorrse i migranti in violazione delle norme #Sar ma soprattutto con cui attribuisce al Viminale e alle Direzione distrettuali antimafia competenze che erano del ministero dei Trasporti e delle Procure ordinarie.

    Il provvedimento consta di dodici articoli, la maggior parte dei quali dedicato ancora al contrasto dell’immigrazione clandestina. Con norme clamorose destinate a spaccare il consiglio dei ministri.
    La prima prevede sanzioni a chi «nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetta gli obblighi previste dalle Convenzioni internazionali», dunque i comportamenti che Salvini attribuisce alle navi umanitarie. Le sanzioni previste sono di due tipi: da 3.500 a 5.500 euro per ogni straniero trasportato e, nei casi reiterati, se la nave è battente bandiera italiana la sospensione o la revoca della licenza da 1 a 12 mesi.

    L’articolo numero 2 va a modificare il #Codice_della_navigazione. Salvini attribuisce al Viminale quelle che sono al momento competenze del ministero dei Trasporti, in particolare la limitazione o il divieto di transito nelle acque territoriali di navi qualora sussistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico. E, come già scritto nelle direttive fin qui emanate, Salvini ritiene che tutte le navi che trasportino migranti siano una minaccia per la sicurezza nazionale.

    Il decreto modifica anche il codice di procedura penale estendendo anche alle ipotesi non aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina la competenza delle Direzioni distrettuali antimafia e la disciplina delle intercettazioni preventive. Di fatto togliendo alle Procure ordinarie la possibilità ad indagare.

    Tre milioni di euro vengono stanziati per l’impiego di poliziotti stranieri in operazioni sotto copertura contro le organizzazioni di trafficanti di uomini.

    Un altro pacchetto di norme inasprisce le sanzioni per chi devasta o danneggia nel corso di riunioni in luoghi pubblici e al contempo trasforma da sanzioni in delitti, con il conseguente inasprimento delle pene, le azioni di chi si oppone a pubblici ufficiali con qualsiasi mezzo di resistenza attiva o passiva, dagli scudi alle mazze e ai bastoni. Modifiche al codice penale aggravano il reato e dunque le sanzioni per violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale soprattutto se commessi durante manifestazioni in luogo pubblico. Soppressa la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

    L’articolo 7 è la norma già annunciata come «#spazzaclan» e prevede l’istituzione di un commissario straordinario con il compito di realizzare un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretrato delle sentenze di condanna da eseguire nei confronti di imputati liberi. Previste le assunzioni a tempo determinato di durata annuale di 800 unità .

    L’ultimo articolo infine prevede l’impiego di altri 500 militari a Napoli in occasione delle #Universiadi.

    Fonti del M5s hanno commentato: «Salvini copre così il fallimento sui rimpatri». Secondo altre fonti «c’è fortissima preoccupazione che il ministro dell’Interno si spinga sempre più su temi estremisti».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/10/news/ecco_il_decreto_sicurezza-bis_pene_piu_pesanti_per_i_trafficanti_di_uomin
    #decreto_sicurezza #décret #Italie #Salvini #migrations #réfugiés #Méditerranée #amende #sauvetage #mourir_en_mer #ONG #eaux_territoriales #eaux_internationales #frontières #militarisation_des_frontières

    • Message d’@isskein via la mailing-list Migreurop.
      Chronique 9-10 mai 2019 en Méditerranée :

      9 mai Le Mare Jonio (Mediterranea Saving Humains, RescueMed) sauve 29 passagers (1 enfant de 1 an, 3 femmes dont une enceinte) d’un bateau pneumatique endommagé dans les eaux internationales, à 40 miles des côtes libyennes. Ils demandent un port sûr au centre de coordination italien, le ministère de l’Intérieur leur enjoint de contacter les gardes-côtes libyens...

      10 mai Le Mare Ionio accoste à Lampedusa, les 29 rescapés débarquent. 20h45, la « saisie préventive » du MareJonio, réclamée depuis le matin par l’Intérieur, a été notifiée. Le capitaine Pietro Marrone et Luca Casarini, chef de mission du #Mare_Jonio, font l’objet d’une enquête pour facilitation de l’immigration clandestine

      10 mai le navire militaire italien #Cigala_Fulgosi débarque dans le port d’Augusta (Sicile) 36 migrants secourus sur une embarcation à la dérive

      10 mai Au moins 70 personnes disparues dans un naufrage au large des côtes tunisiennes

      Il n’y a aujourd’hui plus aucun navire d’ONG en Méditerranée centrale.

      Sur le #naufrage au large de la #Tunisie, v. plus ici :
      https://seenthis.net/messages/780298

    • Dl sicurezza bis, cosa prevede il decreto che introduce multe da 5.500 euro a chi salva i migranti

      Il Ministero dell’Interno nella serata del 10 maggio 2019 ha messo a punto il “decreto sicurezza bis”, che prevede multe per chi soccorre i migranti, ma non solo.

      Il decreto si compone di 12 articoli.

      Il nucleo centrale prevede l’inasprimento delle misure contro i trafficanti di esseri umani e il potenziamento delle operazioni sotto copertura per contrastare l’immigrazione clandestina.

      Qui abbiamo spiegato cosa prevede il decreto sicurezza bis, punto per punto:
      Multe per chi soccorre i migranti

      L’articolo 1 del decreto sicurezza bis prevede che chi, nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetta gli obblighi previsti dalle Convenzioni internazionali – con particolare riferimento alle istruzioni operative delle autorità SAR competenti o di quelle dello Stato di bandiera può incorrere in una “sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 3.500 a 5.500 euro per ciascuno degli stranieri trasportati”.

      Nei casi “più gravi o reiterati è disposta la sospensione da 1 a 12 mesi, ovvero la revoca della licenza, autorizzazione o concessione rilasciata dall’autorità amministrativa italiana inerente all’attività svolta e al mezzo di trasporto utilizzato”.
      Modifiche al codice della navigazione

      L’articolo 2 del decreto sicurezza bis prevede alcune modifiche al codice della navigazione, e nello specifico viene attribuito al ministro dell’Interno il potere di “limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili o unità da diporto o di pesca nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica e comunque in caso di violazione” di alcune delle disposizioni della Convenzione di Montego Bay.
      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

      All’articolo 3 il decreto sicurezza bis vuole contrastare a monte l’organizzazione dei trasporti di migranti irregolari. I reati associstende ai
      Finanziamento da 3 milioni per le forze dell’ordine

      Il decreto sicurezza bis all’articolo 4 prevede lo stanziamento di 3 milioni di euro nel triennio 2019-2021 per il finanziamento degli “oneri conseguenti al concorso di operatori di polizia di Stati con i quali siano stati stipulati appositi accordi” per lo svolgimento di operazioni sotto copertura “anche con riferimento alle attività di contrasto del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
      Universiadi

      Tra le novità del decreto sicurezza bis c’è l’arrivo di 500 militari in più a Napoli in vista delle Universiadi 2019.
      Inasprimento delle sanzioni per i reati di devastazione

      L’articolo 5 del decreto sicurezza bis interviene sul Tulps, il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, inasprendo le sanzioni conseguenti ai reati di devastazione, saccheggio e danneggiamento, commessi nel corso di riunioni effettuate in luogo pubblico o aperto al pubblico.

      Inoltre, prevede espressamente l’obbligo di comunicazione immediata, non oltre le 24 ore, all’autorità di pubblica sicurezza delle generalità delle persone ospitate in alberghi o in altre strutture ricettive.

      Tutela degli operatori delle forze dell’0rdine

      L’articolo 6 del decreto sicurezza bis prevede maggiori tutele per gli operatori delle forze dell’ordine impiegati in servizio di ordine pubblico, attraverso l’introduzione di nuove fattispecie delittuose. Il decreto inoltre trasforma quelle che attualmente sono contravvenzioni in delitti e prevede inoltre l’inasprimento delle sanzioni.

      Ad esempio, “chiunque nel corso di manifestazioni.. per opporsi a pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio.. utilizza scudi o altri oggetti di protezione passiva ovvero materiali imbrattanti o inquinanti è punito con la reclusione da 1 a 3 anni”.

      Ovvero, “chiunque lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile… ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti è punito con la reclusione da 1 a 4 anni”.
      Commissario straordinario e assunzione di 800 persone

      L’articolo 8 del decreto sicurezza bis prevede l’istituzione di un commissario straordinario e l’assunzione di 800 persone con impegno di spesa per oltre 25 milioni di euro: permetterà di notificare sentenze ai condannati attualmente in libertà e garantire così l’effettività della pena. Inasprite anche le misure per chi aggredisce operatori delle forze dell’ordine.

      Il commissario straordinario, nominato dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Interno, ha il compito di realizzare un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretrato relativo ai procedimenti di esecuzione delle sentenze di condanna divenute definitive da eseguire nei confronti di imputati liberi.

      https://www.tpi.it/2019/05/10/decreto-sicurezza-bis-cosa-prevede

    • Decreto sicurezza bis, ennesima proposta in contrasto con i principi fondamentali

      Nelle stesse ore in cui apprendevamo dell’ennesima strage avvenuta nel Mare Mediterraneo a causa delle politiche di chiusura ed esternalizzazione dell’Italia e dell’Unione europea, i mass media hanno anticipato i contenuti di un possibile nuovo decreto d’urgenza proposto dal Ministero dell’Interno che dovrebbe andare nuovamente a modificare alcune delle norme sulla disciplina dell’immigrazione in Italia.

      Il testo appare essere l’ennesimo stravolgimento dei fondamentali principi di diritto internazionale e un ulteriore contributo alla politica posta in essere da questo Governo, così come da quello precedente, finalizzata a colpire coloro, specialmente organizzazioni non governative di chiara fama, che non vollero ubbidire alla regolamentazione della salvaguardia del diritto alla vita.

      Tra esse la previsione di nuove sanzioni (ed addirittura la sospensione o la revoca della licenza alla navigazione) a carico di chi a certe condizioni ponga in essere “azioni di soccorso di mezzi adibiti alla navigazione ed utilizzati per il trasporto irregolare di migranti, anche mediante il recupero delle persone”. Ovvero sanzioni per chi, nell’adempimento di un dovere etico, giuridico e sociale, salva vite umane altrimenti destinate alla morte.

      Nonostante i gravi dissidi istituzionali determinati dall’ultimo Governo Conte e dalle politiche dell’attuale Ministro dell’Interno, con l’attuale ipotesi di decreto legge (a cui sono evidenti a tutti la mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza), si persegue pervicacemente nella strada intrapresa e, addirittura, si decide di portare la guerra agli esseri umani anche in acque internazionali sbeffeggiando le convenzioni internazionali in materia di ricerca e soccorso in mare.

      Riservandoci una compiuta analisi normativa se e quando (malauguratamente) quel testo dovesse prendere formalmente vita, riteniamo doveroso evidenziare che :

      sino ad oggi la magistratura italiana ha ritenuto che le operazioni di salvataggio in mare da parte di navi private sono state svolte per adempiere a precisi obblighi internazionali e per rispondere ad evidenti condizioni di necessità

      La situazione generatasi in Libia nel corso degli ultimi anni è degenerata ulteriormente nelle ultime settimane impone di intervenire per salvare la vita dei civili e dei migranti presenti nel Paese e di interrompere le politiche di sostegno alla Libia relative alle operazioni della Guardia costiera libica

      Salvare vite in mare è un dovere che risponde a precisi obblighi umanitari e non può e non dovrà mai essere considerato un crimine.

      Prendere posizione contro questo ennesimo attacco al rispetto della vita umana, ai diritti e alle libertà fondamentali è un dovere a cui non è più possibile sottrarsi.

      https://www.asgi.it/primo-piano/decreto-sicurezza-bis-ennesima-proposta-in-contrasto-con-i-principi-fondamental

    • Il teorema #Zuccaro sulle ong è fallito

      Il giudice per le indagini preliminari (gip) di Catania, #Nunzio_Sarpietro, ha accolto la richiesta di archiviazione della procura di Catania per l’inchiesta a carico del comandante della nave umanitaria Open Arms Marc Reig e della capomissione Anabel Montes Mier, accusati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in seguito al salvataggio di più di duecento persone, il 15 marzo 2018, al largo della Libia. Durante l’operazione la nave umanitaria si era trovata a dover affrontare momenti di tensione con una motovedetta libica, che rivendicava il coordinamento delle operazioni.

      In quell’occasione gli spagnoli si erano rifiutati di consegnare ai guardacoste libici i migranti appena soccorsi e per questo, dopo essere approdati nel porto di Pozzallo, erano stati accusati di diversi reati e la loro nave era stata sequestrata. Con l’archiviazione di questa inchiesta, cade uno degli ultimi pilastri del cosiddetto “teorema Zuccaro”, la tesi sostenuta dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro secondo cui ci sarebbero stati dei contatti tra le navi delle ong e i trafficanti di esseri umani. Resta aperta, invece, l’inchiesta della procura di Ragusa contro Reig e Montes Mier accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata per lo stesso caso. Rimane aperta anche l’inchiesta della procura di Trapani contro la nave Iuventa dell’ong Jugend Rettet, sequestrata nell’agosto del 2017. Il gip dovrebbe decidere l’eventuale rinvio a giudizio nelle prossime settimane.

      “Siamo felici di apprendere che un ulteriore passo verso la verità è stato fatto”, ha commentato l’organizzazione spagnola Proactiva Open Arms in un comunicato. “Ribadiamo di aver sempre operato nel rispetto delle convenzioni internazionali e del diritto del mare e che continueremo a farlo mossi da un unico obiettivo: difendere la vita e i diritti delle persone più vulnerabili”. L’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro chiarisce di non aver ancora preso visione delle motivazioni che hanno spinto la stessa procura di Catania a chiedere l’archiviazione. “Dal 3 maggio 2019 sapevamo però che il gip aveva archiviato questa indagine”, conferma Lo Faro.

      Già nel marzo del 2018 lo stesso gip Sarpietro aveva confermato il sequestro della nave, ma aveva escluso il reato di associazione a delinquere contro il capitano Marc Reig e la coordinatrice dei soccorsi Anabel Montes Mier, lasciando in piedi invece l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Questo elemento aveva fatto decadere la competenza territoriale del tribunale di Catania che ha una specifica autorità per i reati associativi e aveva fatto intervenire il tribunale di Ragusa, che deve ancora esprimersi in merito all’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata.

      In questo caso giudiziario è stata particolarmente importate la decisione del gip di Ragusa nell’aprile del 2018 di dissequestrare la nave, ferma nel porto di Pozzallo per un mese dopo il salvataggio. Nel decreto di dissequestro infatti il gip di Ragusa Giovanni Giampiccolo aveva riconosciuto lo stato di necessità nel quale era avvenuto il salvataggio e aveva inoltre stabilito che la Libia non è un posto sicuro in cui portare le persone soccorse in mare. Il giudice Giampiccolo ha riconosciuto che la Libia è “un luogo in cui avvengono gravi violazioni dei diritti umani (con persone trattenute in strutture di detenzione in condizioni di sovraffollamento, senza accesso a cure mediche e a un’adeguata alimentazione, e sottoposte a maltrattamenti e stupri e lavori forzati)”.

      “Quella decisione ha fatto scuola”, sottolinea l’avvocata Lo Faro. Da quel momento infatti non sono stati più disposti sequestri preventivi, ma solo sequestri probatori.

      Le indagini della procura di Catania
      Una figura centrale in questa vicenda è stato il procuratore generale di Catania Carmelo Zuccaro, alla guida della procura della città siciliana dal 2016. Dopo aver annunciato l’apertura di un fascicolo d’indagine conoscitivo sull’attività di queste organizzazioni, nella primavera del 2017 aveva rilasciato numerose interviste ai mezzi d’informazione italiani e stranieri. Il 22 marzo 2017 il pm era anche intervenuto in un’audizione al comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen dichiarando di aver aperto delle indagini sui profitti delle ong e affermando di ritenere sospetto il “proliferare così intenso di queste unità navali”.

      “Noi riteniamo ci si debba porre il problema di capire da dove provenga il denaro che alimenta, che finanzia questi costi elevati. Da questo punto di vista, la successiva fase della nostra indagine conoscitiva sarà quella di capire quali siano i canali di finanziamento”. In quell’occasione aggiungeva di trovare “anomalo” che le navi non approdassero nel porto più vicino, bensì nei porti italiani, e sosteneva che ci fosse un rapporto tra la presenza delle navi umanitarie e l’aumento del numero dei morti. L’altra questione che il procuratore sollevava era quella della necessità della presenza a bordo delle navi di poliziotti e autorità giudiziarie impegnate nel contrasto al traffico di esseri umani. Questo è stato un tema caro ai magistrati, perché il materiale raccolto dalla polizia giudiziaria nel periodo della missione umanitaria Mare nostrum aveva aiutato le procure a condurre diverse indagini contro i trafficanti.

      La stessa preoccupazione ha ispirato anche uno dei punti del codice di condotta voluto dal ministro dell’interno Marco Minniti. Dal 2013 la procura di Catania si era trasformata nell’epicentro delle indagini sul traffico di esseri umani nel Mediterraneo, grazie proprio alla missione Mare nostrum. Prima i barconi con i migranti si spingevano sotto costa e arrivavano a Lampedusa, l’isola italiana più vicina alla Tunisia, oppure sulla parte occidentale della Sicilia, nella provincia di Trapani, che in linea d’aria è più raggiungibile dalle spiagge nordafricane. Ma in quello stesso periodo la marina militare e la guardia costiera italiana avevano cominciato a effettuare soccorsi in alto mare, nel canale di Sicilia, e poi nelle acque internazionali davanti alle coste libiche, quindi diversi porti siciliani, soprattutto quelli orientali come Catania, erano stati coinvolti negli sbarchi.

      Anche per questo Zuccaro si diceva preoccupato del grado di collaborazione tra le ong e la polizia giudiziaria: “Vogliamo cercare di capire se da parte di queste ong vi è comunque quella doverosa collaborazione che si deve prestare alle autorità di polizia e alle autorità giudiziarie al momento in cui si pongono in contatto con l’autorità giudiziaria italiana”. In questa prima audizione per il procuratore di Catania risultano sospetti soprattutto i finanziamenti che le ong ricevono, mentre in diverse interviste successive si concentra sui presunti contatti tra i trafficanti e le navi.

      Circa un mese dopo, durante la trasmissione Agorà su Rai 3, il pm si spinge oltre, affermando che l’obiettivo delle navi umanitarie potrebbe essere quello di destabilizzare l’economia: “A mio avviso alcune ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti, sono a conoscenza di contatti. Forse la cosa potrebbe essere ancora più inquietante. Si perseguono da parte di alcune ong finalità diverse: destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”.

      Accuse a cui il governo, tramite i ministri dell’interno Marco Minniti e quello della giustizia Andrea Orlando, reagiva con fermezza, chiedendo le prove. Zuccaro rispondeva di “avere denunciato un fenomeno e non singole persone”, perché se “si aspetta troppo tempo si rischia di produrre elementi deleteri non più controllabili”. Parlava di “deroga” al riserbo, ma anche di “un dovere per chi deve fare rispettare la legalità”. In un’intervista con la Repubblica del 28 aprile 2017, il procuratore afferma però una cosa nuova: finalmente ha “la certezza” dei contatti tra le ong e i trafficanti, ma si tratta di materiale non utilizzabile in sede giudiziaria. Si parla di tabulati telefonici e conversazioni nelle mani dell’intelligence. Zuccaro si dice certo di un rapporto di complicità tra le ong e gli scafisti.

      Per due mesi nella primavera del 2017 il procuratore è molto presente sui mezzi d’informazione nazionali e internazionali con dichiarazioni di questo tenore, in tanti lo accusano di violare il segreto istruttorio e di produrre affermazioni che hanno un valore più politico che giudiziario. Mentre Zuccaro concede le sue interviste è aperta un’indagine conoscitiva sulle ong della Commissione difesa del senato, guidata dal senatore Nicola La Torre. Interpellato dalla commissione parlamentare, il generale Stefano Screpanti, capo del III Reparto operazioni del comando generale della guardia di finanza, smentisce le affermazioni del procuratore capo di Catania: “Allo stato attuale delle nostre conoscenze, non ci sono evidenze investigative tali da far emergere collegamenti tra ong e organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti”.

      Dopo due anni d’indagini, il 13 agosto 2018 l’inchiesta “madre” di Zuccaro (che intanto aveva ipotizzato anche il reato di associazione a delinquere) è avviata all’archiviazione, nel caso Open Arms viene archiviata l’accusa di “associazione a delinquere”, ma ormai la campagna di discredito ai danni delle ong ha fatto il suo corso e le dichiarazioni del pm hanno influenzato in maniera irreversibile l’opinione pubblica italiana, che considera “accertati” i contatti tra ong e scafisti, in barba a qualsiasi garantismo.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/05/15/amp/open-arms-zuccaro-ong?__twitter_impression=true

    • Des migrants débarqués à Lampedusa, Salvini furieux

      Quarante-sept migrants ont été débarqués dimanche soir à Lampedusa, une île au sud de la Sicile, après la saisie sur ordre de justice de leur bateau de sauvetage, provoquant la colère du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini.

      Le navire affrété par l’ONG allemande Sea-Watch battant pavillon néerlandais, qui stationnait dans les eaux italiennes tout près de l’île de #Lampedusa, a été saisi dans la journée par la police financière italienne sur ordre d’un procureur de Sicile.

      Puis, les migrants à bord ont été transférés par moto-vedettes vers la terre ferme en fin de soirée. Une décision que M. Salvini —également vice-Premier ministre et chef de la Ligue (extrême-droite)— a semblé découvrir en temps réel à la télévision, l’amenant à demander qui au gouvernement avait pu prendre une telle décision contre son avis formel.

      Déjà à couteaux tirés avec lui, son partenaire gouvernemental du Mouvement 5 étoiles, Luigi Di Maio, a rétorqué qu’il n’acceptait pas ses insinuations, rappelant qu’il était obligatoire de faire débarquer les passagers d’un bateau saisi par la justice.

      Parallèlement à ce nouveau couac gouvernemental en pleine campagne pour les élections européennes, des échauffourées ont eu lieu dimanche soir à Florence (centre) entre forces de l’ordre et 2.000 personnes venues protester contre la présence de M. Salvini qui tenait un meeting politique dans la ville.

      Dimanche, le chef de Ligue avait jugé risibles les critiques du Haut-Commissariat aux droits de l’Homme (HCDH) de l’ONU contre un projet visant à durcir la législation anti-migratoire en Italie.

      L’ONU, « un organisme international qui coûte des milliards d’euros aux contribuables, qui a comme membres la Corée du Nord et la Turquie, et qui vient faire la morale sur les droits de l’Homme à l’Italie ? (...) Cela prête à rire », a commenté M. Salvini.

      Un projet de décret-loi, qui pourrait être soumis lundi au conseil des ministres, propose de donner au ministre de l’Intérieur le pouvoir d’interdire les eaux territoriales italiennes à un navire pour des raisons d’ordre public.

      Le texte prévoit aussi une amende de 3.500 à 5.500 euros par migrant arrivé en Italie pour tout navire de secours n’ayant pas respecté les consignes des garde-côtes compétents dans la zone où il serait intervenu.

      Dans sa lettre envoyée au ministère italien des Affaires étrangères, le HCDH demande à l’Italie de ne pas approuver ce nouveau décret-loi.

      https://www.courrierinternational.com/depeche/des-migrants-debarques-lampedusa-salvini-furieux.afp.com.2019

    • Sea Watch, sbarcati i migranti. Salvini accusa i M5s: «Chi ha dato l’ordine?». Di Maio: «Non dia la colpa a noi»

      Sequestrata la nave Ong. Il ministero dell’Interno: i migranti non scenderanno. Ma il pm ordina che vengano portati sull’isola. E scoppia lo scontro tra i partner di governo. I primi a scendere una donna incinta e suo marito.
      La prima è una donna incinta, sorretta dal marito. A piedi nudi. Poi via via, tutti gli altri. Sorrisi, abbracci e saluti. Sono scesi tutti. Nonostante Salvini. “Fino a quando sono ministro io quella nave in un porto italiano non entra e non sbarca nessuno”, aveva garantito il ministro dell’Interno quando la Sea Watch 3 aveva ignorato la sua diffida e si era presentata davanti al porto di Lampedusa ottenendo l’autorizzazione all’ancoraggio alla fonda.

      Ventiquattro ore dopo, i 47 migranti rimasti a bordo della nave della Ong tedesca sono scesi a terra. Sequestro della nave d’iniziativa della Guardia di finanza, perquisizione e contestuale sbarco di tutti i migranti. Lo stesso “modello” già seguito per due volte per sbloccare i precedenti soccorsi della Mare Jonio, rimasta sequestrata per alcuni giorni e poi sempre liberata dai pm di Agrigento. Che questa volta si sono mossi di concerto con la Guardia di finanza forzando la mano ad un inferocito Salvini, incredulo di essere smentito proprio alla vigilia di quel consiglio dei ministri in cui intende portare all’approvazione il suo contestatissimo decreto sicurezza-bis.

      Un braccio di ferro senza precedenti quello tra la Procura di Agrigento e la Guardia di finanza da una parte e il Viminale dall’altro, conclusosi alle otto di sera quando due motovedette, dopo aver notificato al comandante della Sea Watch i decreti di sequestro e perquisizione firmati dal procuratore aggiunto Salvatore Vella che per tutto il weekend ha seguito personalmente sull’isola l’evolversi della vicenda, hanno scortato in porto la nave umanitaria.

      L’accelerazione nel primo pomeriggio quando il comandante Arturo Centore fa sapere alla Guardia costiera che la situazione a bordo è di assoluta emergenza. Alcuni migranti hanno indossato il giubbotto di salvataggio e minacciano di buttarsi a mare. “Se entro le nove di sera la situazione non si sblocca, levo l’ancora ed entro direttamente in porto”, annuncia il comandante della Sea Watch.

      A quel punto Guardia di finanza, guardia costiera e Procura decidono di notificare i sequestri e far sbarcare tutti. Anche contro il volere del Viminale.

      Salvini, che già poche ore prima, in un comizio a Sassuolo aveva attaccato a testa bassa “una procura e un giudice che invece di indagare gli scafisti indaga me”, incassa malissimo il colpo e ancor prima che la Sea Watch attracchi al molo di Lampedusa mette le mani avanti e sottolinea che lo sbarco avviene contro la sua volontà. “La magistratura faccia come crede ma il Viminale continua e continuerà a negare lo sbarco da quella nave fuorilegge. Il ministro dell’Interno si aspetta provvedimenti nei confronti del comandante della nave dal quale è lecito attendersi indicazioni precise sui presunti scafisti presenti a bordo”.

      Alle otto di sera, quando i 47 migranti toccano terra e vengono portati nell’hotspot di contrada Imbriacola, una nota firmata dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio (il pm del caso Diciotti che per primo ha contestato a Salvini il sequestro di persona) spiega la “ratio” della scelta degli inquirenti: “Il sequestro probatorio è stato eseguito per violazione dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione ponendo la nave a disposizione di questa procura che ne ha disposto, previo sbarco dei migranti, il trasferimento sotto scorta nel porto di Licata. Le indagini proseguiranno sia per l’individuazione degli eventuali trafficanti di esseri umani coinvolti sia per la valutazione della condotta della Ong”. Come sempre. A sbarco avvenuto, quando anche l’ultimo migrante era già sceso a terra, Salvini ricara: «Per me possono stare lì fino a ferragosto. Gli porto da mangiare e da bere ma stanno lì». E al procuratore di Agrigento: «E’ quello che mi ha indagato per sequestro di persona. Se li farà sbarcare, ne prenderò atto e valuteremo nei suoi confronti il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».
      Salvini attacca i 5s: «Chi ha dato l’ordine?»
      Matteo Salvini ha assistito in diretta tv allo sbarco dei migranti dalla nave Sea Watch 3, ospite in studio su La7. «Qualcuno l’ordine lo avrà dato. Questo qualcuno ne dovrà rispondere», si irrita il ministro. Il M5s fa sapere a stretto giro che non sono stati i suoi ministri. Ma Salvini insiste: «Chi è che li ha autorizzati a
      sbarcare? Io no, non ho autorizzato niente, deve essere qualcun altro. Io sorrido ma è grave. Perché siamo un Paese sovrano con leggi, regole, una storia e nessuna associazione privata se ne può disinteressare. Qualcuno quell’ordine lo avrà dato. Questo qualcuno ne deve rispondere».

      Il vicepremier Luigi Di Maio prende le distanze parlando A che tempo che fa: «Il sequestro lo esegue la magistratura quindi non credo sia un espediente» per far sbarcare i migranti a bordo «perché la magistratura è indipendente dal governo. Quando arrivano qui contattiamo i Paesi Ue e chiediamo la redistribuzione. Io credo che la politica delle redistribuzioni è l’unica strada che abbiamo per fronteggiare il fenomeno. Poi c’è il tema dei rimpatri che si devono fare. La Chiesa Valdese stamattina ha lanciato una disponibilità, lavoriamo nel senso della redistribuzione» e «non scontriamoci con la magistratura, tutte queste tensioni non fanno bene al Paese».

      E dopo le accusa di Salvini replica: «Non accetto che il ministro dell’Interno dice che se stanno sbarcando dalla Sea Watch è perché i ministri 5 Stelle hanno aperto i porti. La nave è stata sequestrata dalla magistratura e, quando c’è un sequestro, si fanno sbarcare obbligatoriamente le persone a bordo».

      Duro anche il ministro Danilo Toninelli: «Salvini, se ha qualcosa da dirmi, me la dica in faccia. Non parli a sproposito del sottoscritto in tv. È evidente che l’epilogo della vicenda è legato al sequestro della nave da parte della magistratura, non serve un esperto per capirlo. Magari il ministro dell’Interno si informi prima di parlare. E trovi soluzioni vere sui rimpatri, non ancora avviati da quando è il responsabile della sicurezza nazionale».
      Lo sbarco per Salvini è una sconfitta politica
      Comunque la si guardi, la conclusione del braccio di ferro per Salvini è una sonora sconfitta che il ministro dell’Interno cerca di capitalizzare puntando tutte le sue carte su quel decreto sicurezza-bis che l’Onu chiede di ritirare ritenendolo una “violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali”.

      Dopo aver irriso la lettera dell’alto Commissariato dell’Onu invitandolo ad occuparsi “dell’emergenza umanitaria in Venezuela anziché fare campagna elettorale in Italia”, Salvini ribadisce: "Resta un tema fondamentale: la difesa dei confini nazionali e l’ingresso in Italia di un gruppo di sconosciuti dev’essere una decisione della politica (espressione della volontà popolare) o di magistrati e Ong straniere? La vicenda Sea Watch 3 conferma una volta di più l’urgenza di approvare il decreto sicurezza bis già nel Consiglio dei ministri di domani per rafforzare gli strumenti del governo per combattere i trafficanti di uomini e chi fa affari con loro”.

      I 47 migranti sbarcati aspettano adesso di conoscere il loro destino. Le chiese evangeliche hanno dato la loro piena disponibilità ad accoglierli tutti nelle loro comunità in Italia ma anche all’estero.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/19/news/via_libera_per_la_sea_watch_puo_attraccare_a_lampedusa-226674239

    • Italy: UN experts condemn bill to fine migrant rescuers

      UN human rights experts* have condemned a proposed draft decree by Italy’s interior minister, Matteo Salvini, to fine those who rescue migrants and refugees at sea, and urged the Government to halt its approval.

      “The right to life and the principle of non-refoulement should always prevail over national legislation or other measures purportedly adopted in the name of national security,” said the independent experts, who conveyed their concerns about the decree in a formal letter to the Italian Government.

      “We urge authorities to stop endangering the lives of migrants, including asylum seekers and victims of trafficking in persons, by invoking the fight against traffickers. This approach is misleading and is not in line with both general international law and international human rights law. Instead, restrictive migration policies contribute to exacerbating migrants’ vulnerabilities and only serve to increase trafficking in persons.”

      Earlier this month, Mr. Salvini announced a proposal to issue a decree that would fine vessels for every person rescued at sea and taken to Italian territory. NGO and other boats that rescued migrants could also have their licences revoked or suspended.

      The UN experts said that, should the decree – yet to be approved by the government – enter into force, it would seriously undermine the human rights of migrants, including asylum seekers, as well as victims of torture, of trafficking in persons and of other serious human rights abuses.

      They also asked for the withdrawal of two previous Directives banning NGO vessels rescuing migrants off Libya’s coasts from accessing Italian ports. In particular, the second Directive singled out the Italian ship Mare Jonio for helping those at sea.

      Declaring that Libyan ports were “able to provide migrants with adequate logistical and medical assistance” was particularly alarming, the experts said, especially given reports that Libyan coastguards had committed multiple human rights violations, including collusion with traffickers’ networks and deliberately sinking boats.

      The experts said any measure against humanitarian actors should be halted. “We are deeply concerned about the accusations brought against the Mare Jonio vessel, which have not been confirmed by any competent judicial authority. We believe that this represents yet another political attempt to criminalise humanitarian actors delivering life-saving services that are indispensable to protect humans’ lives and dignity.”

      The UN experts said Italian authorities had failed to properly consider several international norms, such as article 98 of the UN Convention on the Law of the Sea, on the duty to help any person in danger at sea. “Article 98 is considered customary law. It applies to all maritime zones and to all persons in distress, without discrimination, as well as to all ships, including private and NGO vessels under a State flag,” they said.

      The Directives stigmatize migrants as “possible terrorists, traffickers and smugglers”, without providing evidence, the experts said. “We are concerned that this type of rhetoric will further increase the climate of hatred and xenophobia, as previously highlighted in another letter to which the Italian Government is also yet to reply.”

      The experts have contacted the Government about their concerns and await a reply. A copy of the letter has also been shared with Libya and the European Union.

      https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=24628&LangID=E

    • Des ONG accusent la marine italienne de ne pas avoir porté assistance à des migrants en détresse

      L’ONG allemande Sea-Watch et le collectif Mediterranea accusent un navire de la marine italienne d’être resté à distance d’une embarcation de migrants en détresse au large des côtes libyennes, alors qu’il ne se trouvait qu’à plusieurs dizaines de kilomètres. Les 80 personnes en difficulté ont finalement été interceptées par les garde-côtes libyens et renvoyées en Libye.

      « Le navire P492 Bettica de la marine italienne est à proximité d’un canot pneumatique en détresse avec environ 80 personnes à son bord mais il n’intervient pas ». Ce message a été posté sur Twitter jeudi 23 mai en début d’après-midi par l’ONG Sea-Watch qui alerte sur la présence d’une embarcation dans les eaux internationales, au large de la Libye. C’est son avion de secours, le Moonbird, qui a repéré le canot en difficulté. « Notre avion a envoyé un message de détresse et a confirmé que des personnes sont accrochées à l’embarcation qui est en train de se dégonfler », continue l’ONG allemande.
      https://twitter.com/SeaWatchItaly/status/1131652854006067200?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

      Un peu plus tôt, Alarm Phone, la plateforme téléphonique qui vient en aide aux migrants en mer, avait donné l’alerte sur les réseaux sociaux. « Depuis 12h40, nous sommes en contact avec un bateau en détresse en Méditerranée centrale […]. L’eau entre dans le bateau. Nous avons transmis leur position au MRCC de Rome. Nous demandons une opération de sauvetage rapide ».

      Selon les ONG, la marine italienne n’est pas loin de l’embarcation. Elle ne serait pas intervenue.

      Un tweet de la marine italienne confirme, en effet, sa présence dans la zone, à 80 km du canot en difficulté. « Nous envoyons notre propre hélicoptère pour soutenir le Colibri [également sur zone, ndlr] », écrit la marine italienne sur le réseau social. « Avec un hélicoptère de la région, nous avons vérifié que les migrants ont été récupérés par un bateau de la patrouille libyenne ».

      « Le gouvernement sera responsable de ses actes »

      Seulement voilà, les ONG accusent ainsi les Italiens d’être « restés à distance » sciemment, pour laisser « le champ libre » aux garde-côtes libyens. « Encore un refoulement par procuration en Méditerranée centrale » a réagi Alarm Phone. « L’UE continue de violer le droit international, d’ignorer les bateaux en détresse et de repousser les gens en zone de guerre ».

      https://twitter.com/alarm_phone/status/1131612656341852161?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

      Des accusations qui inquiètent plusieurs personnalités politiques en Italie. « Si c’est vrai, ce serait très grave car il est absolument impensable que des hommes, des femmes et des enfants soient renvoyés dans cet enfer qu’est la Libye », a déclaré le sénateur du mouvement 5 étoiles (M5S) Gregorio De Falco, également officier de la marine.

      Même son de cloche chez Massimiliano Smeriglio, candidat du Parti démocrate aux élections européennes. « Nous ne pouvons pas croire qu’’un navire de notre marine, qui a accompli tant de missions de secours international, peut apporter son aide sans intervenir dans une tragédie. Intervenez sans délai sans quoi le gouvernement sera responsable de ses actes », a-t-il insisté.
      Début mai, un navire militaire italien avait subi les foudres du ministre de l’Intérieur après avoir secouru des migrants en mer sans avoir attendu les garde-côtes. Matteo Salvini refuse systématiquement le débarquement des migrants sur le sol italien.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17114/des-ong-accusent-la-marine-italienne-de-ne-pas-avoir-porte-assistance-

    • Dl sicurezza bis, I pescatori continueranno a salvare i migranti

      Michele e Salvatore Casciaro, padre e figlio, sono pescatori di Novaglie, Salento. Salvatore assiste alla tragedia dei migranti nel canale d’Otranto sin dal grande esodo degli albanesi negli anni Novanta. E da allora partecipa con la propria imbarcazione alle operazioni di soccorso e salvataggio dei naufraghi. Oggi i flussi principali provengono dal nord africa. Nell’ultimo salvataggio ha salvato con il figlio Michele una somala che altrimenti sarebbe annegata. Ma con il decreto sicurezza bis, continueranno a salvare i naufraghi o si volteranno dall’altra parte? (M. Tota)

      http://www.la7.it/tagada/video/dl-sicurezza-bis-i-pescatori-continueranno-a-salvare-i-migranti-21-05-2019-27242
      #pêcheurs

    • Il cambio di rotta di un Paese che perde l’onore
      Finora la Marina militare aveva sempre risposto alle chiamate di

      naufraghi in difficoltà.

      OGGI le cose in Italia non sono facili e quindi è proprio oggi che dobbiamo amare il nostro Paese, rispettarlo, dobbiamo dialogare, confrontarci, litigare sapendo che il suolo che calpestiamo ci restituirà solo ciò che avremo seminato e curato. Ogni parola è un seme, ogni ragionamento è un seme e noi italiani restiamo quello che siamo sempre stati: persone fatte di terra e mare. Conosciamo il mare, gabbia e occasione, limite e infinito, siamo uomini e donne di mare. Ecco perché, quando già l’Europa trattava l’immigrazione come un problema, l’Italia continuava a salvare vite in mare. E le salvava perché un uomo, una donna, un bambino che dall’Africa prendono il mare per venire in Italia, se in pericolo, non sono migranti, ma naufraghi. È la legge eterna del mare: ogni naufrago va tratto in salvo. Sempre.

      Qualcuno mi dira’, non possiamo salvarli tutti noi. Se nessun altro li salva, vi rispondo, allora li salveremo noi! Esistono le Zone Sar (Search and Rescue, ovvero “ricerca e salvataggio”) di competenza dei diversi paesi, perché dovremmo farci carico di recuperare i naufraghi anche laddove non sarebbe di nostra competenza? Perché per prima cosa dobbiamo rispettare la vita umana, è una regola universale alla quale se ci sottraiamo iniziamo a modificarci. Lasciare che una persona anneghi significa perdere qualsiasi cosa abbiamo raggiunto. Empatia, leggi, diritti, morale, convivenza. Perdiamo tutto. Non è sentimentalismo, è misura di ciò che sta accadendo. Non possiamo sottrarci dal salvare le persone in mare perché ogni vita perduta, quando poteva essere salvata, è sofferenza che si moltiplica, è odio. E l’odio diventa rancore, e il rancore vendetta.

      Ma non possiamo accoglierli tutti, mi direte. Manca il lavoro per noi, come possiamo farci carico di centinaia di migliaia di persone in cerca di un futuro migliore? Ma noi non dobbiamo accoglierli tutti: noi dobbiamo salvarli tutti, è nostro dovere farlo. Non facciamoci fregare dalla propaganda: salvare e accogliere sono due cose diverse, due momenti diversi che possono e devono essere gestiti in maniera diversa. Il salvataggio risponde a una necessità immediata, non c’è tempo per la strategia. L’accoglienza viene dopo e su quella si può discutere e cambiare passo, ma senza mettere in dubbio la necessità di salvare. Anzi, direi, senza mettere in discussione il diritto che noi italiani abbiamo, il privilegio che viviamo nel salvare vite umane. Salvare vite è come donare vita, come è accaduto che lo abbiamo dimenticato? Qualcuno oggi pensa di poter girare la faccia davanti a queste storie, pensa che tutto sommato la quotidianità sia già così difficile che non serve complicarsi la vita con questo strazio; non invidio queste persone perché per loro il risveglio sarà ancora più duro. E non le invidio perché non sanno quanto l’Italia abbia fatto la differenza, perché non sanno che l’Italia non ha mai girato le spalle a chi, in pericolo, chiedeva aiuto.

      Mi sono sentito orgoglioso di essere italiano quando ho visto il lavoro titanico che la Marina militare italiana ha sempre fatto, prima da sola, poi con l’Europa ma da capofila, poi insieme alle Ong, poi di nuovo da sola. Sono orgoglioso dei pescatori italiani che, nonostante andassero incontro a sanzioni gravose e al sequestro delle loro imbarcazioni che sono per loro sopravvivenza stessa, hanno sempre obbedito alla legge del mare, quella legge che impone di prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo tra le onde, a qualunque costo e senza pensare alle conseguenze. “Noi gente in mare non l’abbiamo lassata mai!”: questo era il principio dei pescatori lampedusani e a questo principio non si sono sottratti; se l’avessero fatto, avrebbero negato ogni singola parte della loro vita.

      Ma le cose sono cambiate ora, dirà qualcuno tra voi. Oggi la Marina sta agendo diversamente, direte. Sappiamo che il 23 maggio scorso, e lo sappiamo dagli unici testimoni rimasti nel Mediterraneo a darci queste informazioni, ovvero le Ong, un uomo è morto durante un’operazione di salvataggio, anzi, prima ancora che l’operazione iniziasse. Nel video girato da un velivolo della Sea-Watch si vede un gommone in avaria che sta imbarcando velocemente acqua. La Sea-Watch contatta prima la Guardia costiera libica che non risponde e poi la nave della Marina militare italiana Bettica, che si trova a meno di trenta miglia dal gommone.

      Improvvisamente e per quasi un’ora le comunicazioni tra la Marina militare italiana e la Sea-Watch si interrompono, quando riprendono la Bettica avverte che la Guardia costiera libica si sta recando sul posto. È prassi che la Guardia costiera libica non risponda alle richieste di soccorso. È prassi che i salvataggi siano fatti all’unico scopo di riportare i migranti nei campi di prigionia libici dove ricomincia il loro calvario, dove vengono torturati e dove viene estorto loro denaro: ogni migrante preso dalla Guardia costiera libica è guadagno doppio per i trafficanti (che, detto per inciso, non sono le Ong ma la guardia costiera libica finanziata dall’Italia e dall’Europa) che li lasceranno tornare nel loro paese solo in cambio di denaro.

      È ormai appurato che la Libia non è un porto sicuro. E allora perché la nave della Marina militare italiana Bettica non è intervenuta? Perché si infanga l’onore (che bella parola quando porta con sé il rispetto per la vita umana) dei militari della Marina che hanno sempre, secondo coscienza, risposto prima ancora che alle convenzioni internazionali, che pure stabiliscono il dovere di salvare vite, alla superiore e universale legge del mare? Oggi possiamo dividerci su tutto, ma non sulla necessità e sul dovere di salvare vite. Quando un uomo, una donna o un bambino sono in pericolo in mare, noi abbiamo il dovere di salvarli e se l’alternativa è la Libia, dobbiamo essere consapevoli che li stiamo condannando all’inferno. Per sfuggire a questo ragionamento, la propaganda inventa scorciatoie ridicole ma funzionanti: parole da buonista, parli bene dall’attico a Manhattan; si bersaglia chi racconta, non il racconto, perché quello è oggettivo e non può essere messo in discussione. Ma quell’uomo che annega è vita reale, non la finzione spacciata per realtà sui social.

      Facile dire la solita balla buonista parli tu dall’attico a Manhattan… no, parlo da meridionale, nato e cresciuto nelle terre più martoriate d’Italia, più saccheggiate, terre dimenticate da Dio e dagli uomini, ma non dai politici avvoltoi e sciacalli. Quelli, di noi meridionali, non si dimenticano mai. Promettono acqua agli assetati e intanto condannano le nostre anime per l’eternità. Parlo da uomo che non può accettare che il confine tra la vita e la morte sia una linea convenzionale e invisibile tracciata nel mare. Ciò che resta, alla fine di tutto, è l’onore. L’onore riscattato dal significato abusivo che ne danno le mafie per indicare nell’uomo d’onore l’affiliato. Onore inteso come rispetto dei nostri principi umani più profondi al di là delle conseguenze, nonostante le conseguenze.

      Onore è ciò che permette ancora di guardarci l’un l’altro e di sapere che io mi posso fidare di te perché tu ti puoi fidare di me, qualunque sia la tua condizione sociale, qualunque sia il luogo da cui provieni, il tuo quartiere, la tua religione e il colore della tua pelle, la tua condizione sociale, il tuo lavoro, il tuo conto in banca, la scuola che frequenta tuo figlio, il lavoro che fai. È facile: se mentre tu soffri e muori io giro lo sguardo dall’altra parte, se io soffrirò e rischierò di morire mi ripagherai con la stessa moneta. Salvare per essere salvati. Salvare per salvarsi: nel nostro mare, se smettiamo di salvare, finiremo annegati noi.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/06/01/news/il_cambio_di_rotta_di_un_paese_che_perde_l_onore-227596448

    • Appel au secours d’un capitaine, coincé en mer avec 75 migrants malades

      Le capitaine d’un bateau égyptien ayant recueilli vendredi 75 migrants dans les eaux internationales, a lancé un appel aux autorités tunisiennes pour qu’elles le laissent accoster, alors que les vivres commencent à manquer et que des migrants sont malades.

      Le remorqueur égyptien #Maridive_601, qui dessert des plateformes pétrolières entre la Tunisie et l’Italie, est arrivé vendredi soir au port de Zarzis, dans le sud de la Tunisie, après avoir récupéré dans la matinée les migrants à la dérive.

      « Je demande aux autorités tunisiennes de nous permettre d’urgence d’entrer dans le port de Zarzis », a déclaré à l’AFP le capitaine #Faouz_Samir, ajoutant que « l’état de santé des migrants est mauvais, beaucoup sont atteints de la gale ».

      Un médecin a pu monter à bord, a indiqué la branche locale du Croissant-Rouge. « Quatre personnes sont dans un état qui nécessite une intervention médicale », et la plupart d’entre eux sont atteints de la gale infectieuse", a déclaré à l’AFP Mongi Slim, responsable du Croissant-Rouge dans le sud de la Tunisie.

      Selon l’organisation internationale pour les migrations (OIM), les migrants, 64 Bangladais, 9 Egyptiens, un Marocain et un Soudanais, dont au moins 32 enfants et mineurs non accompagnés, « ont besoin d’urgence d’eau, de nourriture, de vêtements, de couvertures et surtout d’assistance médicale ».

      L’agence de l’ONU a indiqué être prête à aider la Tunisie pour accueillir ces candidats à l’exil, partis de Libye dans l’espoir d’atteindre l’Europe.

      « Nous comprenons les difficultés et l’ampleur des défis que les flux migratoires peuvent poser et nous travaillons à appuyer les capacités de secours et d’assistance », a souligné Lorena Lando, chef de mission de l’OIM en Tunisie.

      « Nous restons toutefois préoccupés par les politiques de plus en plus restrictives adoptées par plusieurs pays du nord de la Méditerranée », ajoute Mme Lando.

      Le gouvernement et les autorités locales tunisiennes, sollicitées par l’AFP, n’ont pas souhaité s’exprimer.

      En août dernier, un autre bateau commercial, le Sarost 5, était resté bloqué plus de deux semaines en mer avec les 40 immigrés clandestins qu’il avait secourus. Soucieuses de ne pas créer un précédent, les autorités tunisiennes avaient souligné qu’elles acceptaient ces migrants exceptionnellement et pour raisons « humanitaires ».

      Le 10 mai, 16 migrants originaires en majorité du Bangladesh avaient été sauvés par des pêcheurs tunisiens, après le naufrage de leur embarcation qui avait fait une soixantaine de morts.

      La majorité des bâtiments de la marine qui ont patrouillé au large de la Libye ces dernières années se sont retirés tandis que les navires humanitaires font face à des blocages judiciaires et administratifs.

      https://www.voaafrique.com/a/appel-au-secours-d-un-capitaine-coinc%C3%A9-en-mer-avec-75-migrants-malades/4943716.html

    • Tugboat carrying 75 migrants stranded off Tunisia for 10 days

      The #Maridive_601, an Egyptian tugboat that rescued 75 migrants in international waters over one week ago, is still stranded off the Tunisian coast as Tunisian authorities refuse to let it dock.

      The Egyptian tugboat Maridive 601 rescued the migrants off the southern Tunisian coast on May 31 after they embarked from Libya.

      Sixty-four of the 75 migrants are Bangladeshi and at least 32 of those on board are minors and unaccompanied children, according to the International Organization for Migration.

      The Maridive 601, which services oil platforms between Tunisia and Italy, picked up the migrants who were drifting in international waters near the Tunisian coast, and headed to the closest port of Zarzis in southern Tunisia.

      “I request that the Tunisian authorities allow us to make an emergency entry to Zarzis port,” appealed Faouz Samir, captain of the Maridive 601 shortly after the rescue.

      Since then, the crew has not received entry permission. An official from the Tunisian interior ministry was quoted as saying Monday that „the migrants want to be taken in by a European country." The official did not want to be quoted by name.

      Cases of infectious scabies

      Earlier last week, a Red Crescent team based in the southern Tunisian city of Zarzis delivered aid and medical care to the migrants, some of whom were ill, according to the Red Crescent.

      They “urgently need water, food, clothes, blankets and above all medical assistance,” the IOM added. According to AFP reports, the IOM added it was ready to help Tunisia provide for the migrants.

      Mongi Slim, a Red Crescent official in southern Tunisia, told InfoMigrant last Thursday that cases of scabies were on the rise and that there were around thirty people affected. The second captain of the Maridive 601 added that the Red Crescent was not allowed to board the ship to provide scabies medication. Instead, the crew had to contact its chartering company, Shell Tunisia, which in turn delivered medication in addition to food, water, mattresses and blankets. “We’re in telephone contact with the Red Crescent and they give us instructions on how to treat the migrants,” the captain informed InfoMigrants.

      Video footage

      Photos published online by the Tunisian Forum for Economic and Social Rights, an NGO, showed migrants lying on the deck of the boat, while sailors attempted to feed them. A video by the same NGO shows migrants shouting: “We don’t need food, we don’t want to stay here, we want to go to Europe.”

      https://www.facebook.com/ftdes/videos/189765251957864

      Tunisia’s central government and local authorities did not wish to comment to media requests.

      “We understand the difficulties and the scale of the challenges that migration flows pose and we are working to support relief and assistance capacities,” said Lorena Lando, the IOM’s head of mission in Tunisia. “But we are worried by the increasingly restrictive policies adopted by several countries,” Lando told AFP.

      Last month, around 60 migrants, most from Bangladesh, drowned off the coast of Tunisia after leaving Libya on a boat bound for Europe.

      https://www.infomigrants.net/en/post/17413/tugboat-carrying-75-migrants-stranded-off-tunisia-for-10-days?ref=tw
      #Tunisie
      ping @_kg_

    • Méditerranée : le navire #Sea_Watch_3 de retour dans la zone de détresse

      Après avoir été bloqué par la justice italienne pendant près d’un mois, le navire humanitaire Sea Watch 3 est de retour dans la zone de détresse (SAR zone) au large de la Libye. Il est actuellement le seul bateau de sauvetage en mer.

      Le navire humanitaire de l’ONG allemande Sea Watch, le Sea Watch 3, est de retour dans la zone de sauvetage au large de la Libye, la SAR zone.

      Le Sea Watch 3 était bloqué depuis le 20 mai par la justice italienne dans le cadre de poursuites pour aide à l’immigration illégale. Il a reçu samedi 8 juin l’autorisation de repartir en mer, a annoncé l’association.

      "Le Sea Watch 3 est libre ! Nous avons reçu une notification formelle sur la libération du navire saisi et son retour aux opérations" en mer, s’est félicitée l’organisation humanitaire sur Twitter.

      Malgré la politique de "fermeture des ports" du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini (extrême droite), le Sea Watch 3 avait pu débarquer les 65 migrants qu’il avait secourus à la mi-mai ; ils ont été autorisés à débarquer sur l’île de Lampedusa.

      Cette opération de secours avait provoqué la fureur de Matteo Salvini, qui a semblé la découvrir en temps réel à la télévision. “Je suis le ministère des règles et des ports fermés. Si un ministre du mouvement 5 étoiles a autorisé le débarquement, il devra répondre de ses actes devant les Italiens”, avait-il notamment lâché.

      Matteo Salvini estime que les migrants qui partent en mer à partir de la Libye doivent être remis aux garde-côtes libyens, conformément à un accord conclu entre l’Union européenne et Tripoli, mais les organisations humanitaires qui portent au secours des migrants refusent de s’y conformer.

      Hormis le Sea Watch 3, à la date du 10 juin, aucun autre navire humanitaire n’est présent au large des côtes libyennes.

      Les navires humanitaires qui sont bloqués dans des ports européens :

      – Depuis un débarquement en juin 2018 à Malte, le Lifeline de l’ONG allemande eponyme est bloqué au port de La Valette, à Malte, où les autorités contestent sa situation administrative.

      – Depuis le mois de janvier 2019, l’Open Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms est bloqué à Barcelone par les autorités espagnoles. Au printemps 2018, ce navire avait été placé un mois sous séquestre en Italie avant d’être autorisé à repartir.

      – Début août 2017, la justice italienne a saisi le Juventa de l’ONG allemande Jugend Rettet, accusée de complicité avec les passeurs libyens mais qui clame depuis son innocence.

      –Le Mare Jonio, un navire battant pavillon italien qui entend avant tout témoigner de la situation en mer, est actuellement bloqué en Sicile par les autorités.

      Les ONG qui résistent :

      –Dans les airs, les petits avions Colibri de l’ONG française Pilotes volontaires et Moonbird de Sea-Watch mènent régulièrement des patrouilles pour tenter de repérer les embarcations en difficulté.

      –L’Astral, le voilier de l’ONG Open Arms, est actuellement à Barcelone.

      Les navires humanitaires qui ont renoncé :

      Des ONG engagées au large des côtes libyennes ont suspendu leurs activités, face à la chute des départs de Libye et face à une intensification des menaces des garde-côtes libyens, qui considèrent les ONG comme complices des passeurs.

      – Suite aux pressions politiques, privé de pavillon, l’Aquarius de l’ONG SOS Méditerranée – qui a secouru près de 20 000 personnes en deux ans et demi - a mis fin à ses missions en décembre 2018. L’ONG espère toutefois trouver un nouveau bateau pour repartir rapidement en mer au printemps 2019.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17410/mediterranee-le-navire-sea-watch-3-de-retour-dans-la-zone-de-detresse

    • Italy to fine NGOs who rescue migrants at sea

      The Italian government has decided to impose stiff fines on rescuers who bring migrants into port without authorization. It also gave the interior ministry, led by Matteo Salvini, power to demand the payment.

      A decree adopted by the Italian government on Tuesday would force non-governmental organizations to pay between €10,000 and €50,000 ($11,327 – $56,638) for transporting rescued migrants to Italian ports.

      Rescuers who repeatedly dock without authorization risk having their vessel permanently impounded. The fines would be payable by the captain, the operator and the owner of the rescue ship.

      The Italian government is composed of the anti-establishment 5-Star Movement and right-wing populist League Party. The League leader Matteo Salvini, who also serves as the interior minister, has been spearheading an effort to clamp down on illegal immigration.

      Delayed decree

      The adoption of the decree has been delayed due to criticism from the United Nations and the office of the Italian president. Following the cabinet session on Tuesday, however, Salvini praised it as a “step forward the security of this country.” The populist leader also said he was “absolutely sure about the fact that it is compliant” with all national and international laws.

      The decree allows police to investigate possible migrant trafficking operations by going undercover. It also makes it easier to eavesdrop electronically on suspected people smugglers. Other sections of the decree impose stricter punishments on rioters and violent football fans.

      Read more: Italian court rules Salvini can be charged with kidnapping

      Additionally, the decree gives Salvini’s ministry the power to order the NGOs to pay the fines, this was previously the area of the transport and infrastructure ministries.

      Salvini has pushed through several anti-migrant decrees since becoming interior minister a year ago, including one in December which ended humanitarian protection for migrants who do not qualify for refugee status. Earlier this week, Salvini blasted three judges who opposed his hardline policies.

      Risking life at sea

      Since 2014, more than 600,000 people have made the dangerous journey across the central Mediterranean to reach Italy, fleeing war and poverty in Africa, Asia, and the Middle East. More than 14,000 have been recorded killed or missing when attempting the trip.

      Without a legal way to reach Europe, they pay people smugglers for passage in unseaworthy boats. The UNHCR and IOM recently said that 1,940 people have reached Italy from north Africa since the beginning of 2019, and almost 350 have died en route — putting the death rate for those crossing at more than 15%. The number of new arrivals has dropped off in recent years, but Rome is still faced with hundreds of thousands of people who migrated illegally. Pending asylum claims as of May 31 this year were 135,337.

      With official search-and-rescue missions canceled, the burden of assisting the shipwrecked migrants falls on rescue NGOs. The Italian coastguard estimates NGOs have brought in some 30,000 people per year since 2014.

      https://www.dw.com/en/italy-to-fine-ngos-who-rescue-migrants-at-sea/a-49143481

    • L’UNHCR chiede all’Italia di riconsiderare un decreto che penalizzerebbe i salvataggi in mare nel Mediterraneo centrale

      L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, esprime preoccupazione per l’approvazione da parte del governo italiano di un nuovo decreto contenente anche diverse disposizioni che potrebbero penalizzare i salvataggi in mare di rifugiati e migranti nel Mediterraneo centrale, compresa l’introduzione di sanzioni finanziarie per le navi delle Ong ed altre navi private impegnate nel soccorso in mare.

      Salvare vite umane costituisce un imperativo umanitario consolidato ed è anche un obbligo derivante dal diritto internazionale. Nessuna nave o nessun comandante dovrebbe essere esposto a sanzioni per aver soccorso imbarcazioni in difficoltà e laddove esista il rischio imminente di perdita di vite umane.

      “In una fase in cui gli Stati europei si sono per lo più ritirati dalle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale, le navi delle Ong sono più cruciali che mai,” ha dichiarato Roland Schilling, Rappresentante regionale a.i. per il Sud Europa. “Senza di loro, altre vite saranno inevitabilmente perse”.

      L’UNHCR è inoltre preoccupata per il fatto che il decreto possa avere l’effetto di penalizzare i comandanti che rifiutano di far sbarcare le persone soccorse in Libia.

      Alla luce della situazione di sicurezza estremamente volatile, delle numerose segnalazioni di violazioni di diritti umani e dell’uso generalizzato della detenzione nei confronti delle persone soccorse o intercettate in mare, nessuno dovrebbe essere riportato in Libia.

      L’UNHCR ha ribadito più volte che il rafforzamento delle capacità di ricerca e soccorso, in particolare nel Mediterraneo centrale, deve essere accompagnato da un meccanismo regionale volto ad assicurare procedure di sbarco rapide, coordinate, ordinate e sicure. La responsabilità per i rifugiati e i migranti soccorsi in mare deve essere condivisa tra tutti gli stati che li accolgono, invece di ricadere su uno o due.

      L’UNHCR chiede al governo italiano di rivedere il decreto e al parlamento di modificarlo, mettendo al centro la protezione dei rifugiati ed il salvataggio di vite umane.

      https://www.unhcr.it/news/lunhcr-chiede-allitalia-riconsiderare-un-decreto-penalizzerebbe-salvataggi-mar

    • Migrants bloqués au large de la Tunisie : les Bangladais refusent le rapatriement

      Quinze jours après avoir été secourus, 75 migrants - dont la moitié de mineurs - sont toujours coincés à bord d’un navire commercial égyptien près des côtes tunisiennes. La Tunisie refuse de les laisser débarquer et souhaite les faire « rentrer chez eux ». Seuls les migrants africains ont accepté d’être rapatriés. La majorité des rescapés, des Bangladais, s’opposent à toute expulsion.

      Les 75 naufragés secourus il y a quinze jours par le bateau commercial égyptien Maridive 601 sont toujours bloqués au large de Zarzis, sur la côte tunisienne. Quelque 32 mineurs se trouvent à bord du navire.

      Les autorités tunisiennes refusent de les laisser débarquer depuis le vendredi 31 mai, jour du sauvetage. « Le gouverneur de Médenine insiste pour qu’ils rentrent chez eux », explique Mongi Slim du Croissant rouge tunisien, joint par InfoMigrants vendredi 14 juin.

      Informés de cette décision par le Croissant rouge, seuls les Égyptiens, les Marocains et les Soudanais présents à bord ont accepté un rapatriement dans leurs pays.

      La Tunisie demande l’aide du Bangladesh

      Les 64 autres naufragés, des Bangladais dont de nombreux mineurs, ont refusé cette offre. « Ils demandent de rejoindre l’Italie ou de pouvoir rester en Tunisie avec une permission de travail », raconte Mongi Slim.

      « Les autorités ont sollicité l’aide de l’ambassade du Bangladesh. Elle va intervenir pour résoudre le problème », ajoute-t-il.

      « Rien pour se mettre à l’abri du soleil »

      En attendant, à bord, la situation psychologique des naufragés se dégrade. « Il fait très chaud en cette période de l’année dans le sud de la Tunisie, et sur le bateau les migrants n’ont rien pour se mettre à l’abri du soleil. Ils risquent la déshydratation. Ils sont emprisonnés en mer », déplore Ben Amor Romdhane, du Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES) également contacté par InfoMigrants. Le militant s’inquiète aussi des cas de gale signalés à bord.

      Pour la première fois depuis 15 jours, jeudi, une équipe médicale du Croissant rouge tunisien a pu monter sur le Maridive 601 avec des médicaments et des vivres. Jusqu’ici, le navire était ravitaillé en eau, en nourriture et en médicament anti-gale par la compagnie Shell Tunisie qui affrète le bateau. Le Croissant rouge était néanmoins parvenu à faire acheminer un stock de médicaments. Les premiers soins avaient été prodigués par l’équipage, guidé au téléphone par le Croissant rouge.

      Le médecin du Croissant rouge, qui a pu examiner les 75 migrants jeudi, a déclaré qu’il n’y avait pas de maladie grave ou d’urgences, seulement des cas de diabète, selon Mongi Slim.

      D’après le représentant du navire égyptien, joint par InfoMigrant, la situation reste pourtant « très tendue ». « La seule solution est de laisser ces migrants entrer en Tunisie », estime-t-il.

      Cet incident rappelle celui qu’avait connu le Sarost 5 l’an dernier. Le navire commercial, qui avait secouru 40 migrants en mer Méditerranée, avait dû attendre 17 jours l’autorisation de débarquer à Zarzis. Les autorités avaient finalement cédé titre exceptionnel « pour des raisons humanitaires ».

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17533/migrants-bloques-au-large-de-la-tunisie-les-bangladais-refusent-le-rap

    • Migrants stranded at sea for three weeks now risk deportation, aid groups warn

      Group of 75 people survive prolonged ordeal but could now be made to leave Tunisia.

      https://i.guim.co.uk/img/media/235b366ca8ef3c06feec045df894e482906510c0/0_0_1280_768/master/1280.jpg?width=620&quality=85&auto=format&fit=max&s=35a960601e803a971255f0

      A group of migrants who spent nearly three weeks trapped onboard a merchant ship in torrid conditions face possible deportation to their home countries after they were finally allowed to disembark in Tunisia, aid groups have warned.

      The 75 migrants, about half of whom are minors or unaccompanied children, were rescued on 31 May by the Maridive 601 only to spend the next 20 days at sea as European authorities refused to let them land.

      “The migrant boat was ignored by Italian and Maltese authorities, though they were in distress in international waters”, said a spokesperson for Alarm Phone, a hotline service for migrants in distress at sea that was alerted to the ship’s plight by crew members. “This is a violation of international law and maritime conventions”.

      Heat and humidity onboard the Maridive 501, an Egyptian tugboat that services offshore oil platforms, were insufferable, said aid groups. Food and water were scarce, scabies broke out and spread, and several people suffered fractures and other injuries during the rescue operation.

      Witnesses said the psychological strain was immense for migrants and crew members alike.

      The brother of one Bangladeshi man said on 3 June: “Today is Eid [the festival marking the end of Ramadan]. But the day is not for me. My brother is on the ship. I can’t take it any more. How is he? How can I explain my feelings to you? When I get good news, this will be my Eid gift and that day will be my Eid day.”

      Six days later, he said: “How many days will they stay there? Who can take care of him? I am depressed, every day my mother is crying.”

      The ship’s captain, Faouz Samir, asked repeatedly to be allowed to land at the nearest port, in Zarzis, but was initially refused permission. Regional authorities said migrant centres in Medenine were too overcrowded.

      On 6 June, the migrants staged an onboard protest, asking to be sent to Europe. Video of the protest was published by the Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux.

      The closure of Italian and Maltese ports to rescue ships has seemingly had a ripple effect, with Tunisia closing its own harbours to rescued people in order to avoid an overwhelming influx of migrants.

      On Tuesday evening, however, the Tunisian authorities relented. The migrants, who are mainly from Bangladeshi but also include Egyptians, Moroccans and Sudanese, will now be transferred to a detention centre.

      Aid groups, however, who had been demanding an immediate disembarkation in view of the medical emergency onboard, are concerned people may be sent back to Libya or even deported to their home countries after landing in the port of Zarzis. The governor of Medenine had previously said the boat would be allowed to dock only if all the migrants were immediately deported.

      “We are happy for the survivors. They are exhausted, some are traumatised, but we will accompany them so that we can finally find respite and reflect on the different alternatives available to them,” said Wajdi Ben Mhamed, head of the International Organisation for Migration’s Zarzis office.

      The IOM said its protection team would assist the survivors with “their protection needs and provide, for those who have requested it, assistance for voluntary return to their country of origin’’.

      Relatives claim some of the Bangladeshi survivors were told that food, water and medical treatment would be withheld if they did not accept deportation.

      One man who spoke to his brother on 18 June said fears of imminent deportation had been exacerbated by the visit of a Bangladeshi envoy to the boat. The envoy’s visit followed a meeting five days earlier with the Tunisian minister of the interior.

      Another relative said of a Bangladeshi migrant aboard the tugboat: “In Bangladesh there are people who want to kill him. He paid all the money and went to Libya to get away from the problems in Bangladesh. Then he escaped from Libya because of the problems there. He wants to go to Europe.”

      Médecins Sans Frontières warned that Tunisia could not be defined a safe haven for migrants and refugees, given that it had no functioning asylum system in place. “The nearest places of safety for rescues in the central Mediterranean are Italy or Malta,” said a spokesperson.

      A dangerous precedent would be set if an agreement was found to deport those rescued to their countries of origin quickly after disembarkation in Tunisia. Aid groups warn that boats like the Maridive would turn into migrant holding facilities until deportations were arranged. Many more boats could thus turn from places of rescue to prison islands, floating along north African shores.
      More than 70 million people now fleeing conflict and oppression worldwide
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      Giorgia Linardi, of SeaWatch in Italy said: “After this episode we should reflect on whether Tunisia qualifies as a place of safety, as our sources suggested that the migrants could be immediately repatriated or expelled from the country. The situation aboard the Maridive is very much confronted with the situation faced right now by the SeaWatch vessel with 53 migrants on board which is still floating in front of Italian territorial waters. As of now, the attitude of the Italian authorities is no different from the attitude of the Tunisian authorities towards the Maridive despite the two states having a different framework in terms of protection of human rights and in terms of asylum system in place.”

      With sea conditions currently favourable, thousands are preparing to leave Libya, where war and political instability have been aggravated by floods caused by heavy rain.

      Without rescue boats, however, the number of shipwrecks is likely to rise further. Only two of the 10 NGO rescue boats that were active in the Mediterranean are still present.

      According to data from the UN and the IOM, about 3,200 people have reached Italy and Malta from North Africa since the beginning of 2019, and almost 350 have died en route – putting the death rate for those crossing at about 11% along the central Mediterranean route.

      https://www.theguardian.com/global-development/2019/jun/19/migrants-stranded-at-sea-for-three-weeks-now-face-deportation-aid-group

    • Italy’s redefinition of sea rescue as a crime draws on EU policy for inspiration

      https://www.statewatch.org/analyses/no-341-italy-salvini-boats-directive.pdf

      –-> analyse de #Yasha_Maccanico sur la première directive de Salvini contre la #Mare_Jonio et la façon dans laquelle il essaye (avec part de raison) justifier la criminalisation systématique des secours en mer en base aux instructions issues de la Commission dans le contexte de l’Agenda Européenne, plus des problèmes de base dans les représentations contenues dans la directive.

    • Maridive : les 75 migrants bloqués depuis 18 jours au large de Zarzis ont pu débarquer en Tunisie

      Après 18 jours d’hésitation, les autorités tunisiennes ont finalement laissé les 75 migrants du #Maridive débarquer au port de Zarzis, ce mercredi. Ils ont toutefois imposé leurs conditions : les migrants ont tous accepté préalablement de rentrer dans leur pays.

      « C’est enfin fini, c’est un soulagement ». Mongi Slim, membre du Croissant-rouge tunisien, s’est réjoui, mardi 18 juin, du débarquement des 75 migrants bloqués depuis le 31 mai au large de Zarzis. Les autorités tunisiennes refusaient en effet de laisser débarquer en Tunisie ces personnes secourues par un navire commercial égyptien, le Maridive 601, au large de la Libye.

      Après 18 jours de blocage, ils ont enfin pu toucher la terre ferme. « Nous sommes heureux pour les survivants. Ils sont épuisés, certains sont traumatisés mais nous les accompagnerons pour pouvoir enfin trouver du répit », a déclaré Wajdi Ben Mhamed, chef de bureau de l’agence de l’Organisation internationale des migrations (OIM), dans un communiqué.

      Un premier vol vers le Bangladesh jeudi

      Cependant, ce débarquement s’est fait sous conditions après de longues négociations entre les ONG, les organisations internationales et les autorités. Tunis a finalement autorisé leur débarquement à condition que les migrants acceptent tous d‘être renvoyés dans leur pays d’origine. Parmi les 75 migrants secourus, 64 sont de nationalité bangladaise, neuf égyptienne, un est originaire du Maroc et un autre du Soudan.


      https://www.facebook.com/iomtunis/posts/354908018559713

      Samedi 15 juin, des représentants de l’ambassade du Bangladesh sont montés à bord du Maridive et ont convaincu les Bangladais de retourner chez eux. Selon Mongi Slim, du Croissant rouge tunisien, un premier groupe de 20 Bangladais devrait être renvoyé dès jeudi 20 juin.

      Aucune demande d’asile déposée

      Une information que ne confirme par l’OIM, qui est chargée d’organiser les retours volontaires de ces naufragés. « Nous avons effectivement dit aux autorités qu’un vol commercial avec une vingtaine de places partaient de Tunisie demain vers le Bangladesh. Mais nous n’organisons pas de retours forcés », précise à InfoMigrants Lorena Lando, chef de mission de l’OIM en Tunisie. « Mais, nous attendons de faire un point avec les migrants et savoir qui veut profiter d’un retour volontaire », insiste-t-elle.

      Malgré l’accord, l’OIM rappelle que les migrants qui veulent demander l’asile seront redirigés vers le Haut-commissariat des Nations unies aux réfugiés (HCR). Mais pour l’heure, selon l’agence onusienne, aucun des migrants du Maridive ne souhaite déposer une demande d’asile en Tunisie.
      Le 10 mai dernier, 16 migrants, majoritairement du Bangladesh, avaient été sauvés par des pêcheurs tunisiens, après le naufrage de leur embarcation ayant fait une soixantaine de morts. Deux d’entre eux avaient décidé de rentrer dans leur pays.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17614/maridive-les-75-migrants-bloques-depuis-18-jours-au-large-de-zarzis-on

    • Working Paper: Guidelines on temporary arrangements for #disembarkation

      Given the voluntary nature of participation in the mechanism, determination of persons to be relocated will be based on the indications by the Member States of relocation of the profiles that these Member States are willing to accept (variable geometry)."

      “Member States that relocate voluntarily (a lump sum of 6000 EUR per applicant).”

      The Council of the European Union has produced a new “Working Paper” on: Guidelines on temporary arrangements for disembarkation (LIMITE doc no: WK 7219-19):

      “The Guidelines are based on best practices used in previous disembarkation cases, and rely on a coordinating role of the Commission and support by relevant agencies. The framework is of a temporary nature and the participation of the Member States is on a voluntary basis. This document has a non-binding nature.” [emphasis added]

      The circumstances for “triggering” Temporary Arrangements (TA) are:

      “type of arrivals covered

      – a search and rescue operation; and/or

      – other sea arrivals where there is a humanitarian ground at stake.”

      On the face of it the idea would appear to refer to just about every rescue. However the idea relies on the state of first disembarkation - for example, in the Med: Spain, France, Italy and Greece - allowing a safe port of arrival. These states then make a “relocation” request to other Member States. This is entirely based on voluntary participation.

      “Workflow in the Member State of disembarkation

      The following procedural steps should be undertaken in the Member State of disembarkation, where appropriate with the assistance from EU agencies, and where relevant with the involvement of the Member State of relocation, in agreement with the benefitting Member State:

      (...) Initial identification, registration, fingerprinting and swift security screening: Registration and fingerprinting of all arriving migrants as category 2 in Eurodac system; check against national and EU information systems (such as Eurodac, SIS, VIS, Europol and Interpol databases) to ensure that none of the persons arriving to the EU is a threat to public policy, internal security or public health.

      Assessment regarding possible use of alternatives to detention or detention, on a case by case basis, pending further processing (in the context of border procedure, where possible, or otherwise)”

      Member states will be allowed to set conditions on acceptable refugees to relocate:

      “Given the voluntary nature of participation in the mechanism, determination of persons to be relocated will be based on the indications by the Member States of relocation of the profiles that these Member States are willing to accept (variable geometry).”

      The European Border and Coast Guard Agency (EBCGA) will:

      “provide assistance in screening, debriefing, identification and fingerprinting;

      – deploy Return Teams (composed of escort, forced return monitor and/or return specialists);”

      Financial support

      "Under the AMIF Regulation, funds are to be made available for:

      – Member States that relocate voluntarily (a lump sum of 6000 EUR per applicant, applying the amended Article 18 of the AMIF Regulation 516/2014);

      – support to return operations;

      – Member States under pressure, as appropriate, including the possibility of a lump sum per relocation to cover transfer costs.

      – When MS make full use of the lump sums available under the national programmes, additional financial support could be provided.

      http://www.statewatch.org/news/2019/jun/eu-council-disembark.htm

    • La #marine_italienne sur le banc des accusés

      En octobre 2013, un bateau de pêche chargé de réfugiés syriens fait naufrage près de Lampedusa, île italienne proche de la Sicile. Si 212 personnes ont pu être sauvées, 26 corps ont été repêchés et environ 240 sont restées portés disparus dont une soixantaine d’enfants. Ce drame ne restera pas impuni.
      Un procès se tiendra en 2018 avec, sur le banc des accusés pour homicide involontaire et non-assistance à personnes en danger, des officiers de la marine italienne. C’est la première fois qu’un procès de ce type est lancé. Ce jour-là, un médecin syrien qui se trouvait à bord avec ses deux enfants -tous deux morts noyés- a appelé plusieurs fois au secours les garde-côtes italiens. Ceux-ci retransmettaient le relais à leurs confrères maltais et peu après lançaient un message signalant la situation aux navires se trouvant dans la zone. C’était le cas du navire Libra de la marine italienne, à moins d’une heure de navigation mais qui, au lieu de se précipiter, s’est éloigné en laissant intervenir les Maltais, ce qui prenait beaucoup plus de temps. Le bateau des migrants a fini par chavirer à 17h07. Les secours dont, le Libra, sont arrivés vers 18h00. Trop tard.

      https://www.arte.tv/fr/videos/080337-000-A/la-marine-italienne-sur-le-banc-des-accuses

    • Bangladeshi migrants in Tunisia forced to return home, aid groups claim

      Relatives say more than 30 people stuck at sea told to go home or lose food and water.

      More than 30 migrants from Bangladesh who were trapped on a merchant ship off Tunisia for three weeks have been sent back to their home country against their will, according to relatives.

      They were among 75 migrants rescued on 31 May by the Maridive 601, an Egyptian tugboat that services offshore oil platforms, only to spend the next 20 days at sea near the Tunisian coast.

      The International Organization for Migration, an intergovernmental organisation linked to the United Nations, said the Bangladeshis “wished to return home”.

      But relatives and aid groups claimed that when a Bangladeshi envoy visited the boat the migrants were forced to accept their repatriation under the threat of having food, water and medical treatment being taken away.

      One relative told the Guardian: “When all the people were on the boat, they were told by the Bangladeshi embassy that if they didn’t agree to sign, they would not get any food or water any more. The people were afraid to die on the boat. The Bangladeshi embassy forced them to sign.”

      On 18 June, the 75 migrants, who included Egyptian, Moroccan and Sudanese people, were taken off the Maridive 601 and transferred to a Tunisian detention centre.

      The IOM confirmed that a few days later the first 17 individuals were returned to Bangladesh, and on 24 June, another 15 migrants were sent back.

      It said “more migrants will be travelling in the coming days, according to their decision”.

      The Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux (FTDES), an independent organisation that aims to defend economic and social rights, said: “We doubt that the decisions to return were made voluntarily by the migrants.

      “We have tried to visit the migrants in the reception centre in order to inquire about their wellbeing but despite making repeated inquiries and requests, the whereabouts of the detained migrants was not revealed.”

      Another relative said: “I spoke with my brother this morning in the centre. He is scared to be returned to Bangladesh, like all the people there. Nobody wants to return to Bangladesh; everyone who is returned is forced.”

      The IOM’s head of mission in Tunisia, Lorena Lando, rejected the accusations. “None of the migrants has been deported; [they] wished to return,” she said. “IOM does not do deportation, nor force anyone to return.”

      Lando said the IOM “did not have access” to the migrants until 19 June, after the Tunisian authorities allowed their disembarkation.

      She added: “Remaining at sea was not a solution either. It is up to the person to also apply for asylum if they fear persecution … or seek help to return home or take time to decide.”

      A spokesperson for Alarm Phone, a hotline service for migrants in distress at sea that was alerted to the ship’s plight by crew members, said: “The IOM refers to such deportations as voluntary returns but what is voluntary about telling survivors that they can leave their prison merely if they agree to be returned?

      “Do we really believe that these Bangladeshi people risked their lives to move to Libya and then to try to cross the Mediterranean, only to then be ‘voluntarily’ returned to Bangladesh?”

      https://www.theguardian.com/world/2019/jun/25/bangladeshi-migrants-in-tunisia-forced-to-return-home-aid-groups-claim

  • #Campania. Con i nuovi bandi, l’esodo è forzato. Chiudono le
    esperienze positive e si aprono spazi alla mala accoglienza

    Anche in Campania, le novità sono arrivate con i nuovi bandi. Nuovi bandi che, va sottolineato, sono stati emanati dalle Prefetture prima che entrasse in vigore il decreto Salvini, ma che non si sono comunque fatti scrupolo di anticipare le modalità e le logiche annunciate dal ministro dell’Interno. “Si sono allineate prima ancora che ce ne fosse bisogno” commenta amaramente Gennaro Avallone, attivista della campagna LasciateCIEntrare. Anche in Campania, quindi, una parte dei piccoli #Cas è stata chiusa e gli ospiti dirottati su strutture più grandi, anche a 50 o 60 chilometri di distanza. “In provincia di #Salerno, ad esempio, i migranti che risiedevano nei centri dell’#Agro_Nocerino-Sarnese sono stati spostati verso la #Piana_del_Sele con un preavviso non superiore alle 24 o al massimo 36 ore. Ho visitato personalmente un centro a Pagani, piccolo Comune dell’Agro Nocerino e ho conosciuto persone che erano in quel comune da oltre due anni e che già lavoravano e cominciavano a intascare un piccolo reddito, sia pure inferiore a quanto richiesto per rimanere in accoglienza. Come faranno a raggiungere il posto di lavoro ora? Un amico pakistano di nome Mohamed frequentava l’università a Napoli. Dall’Agro Nocerino-Sarnese arrivava in città col treno, ma adesso ha grandi difficoltà per farlo. Ma anche senza citare questi casi, sappiamo tutti che la vita quotidiana è fatta di relazioni e anche di piccole cose. C’è chi, molto più banalmente, aveva investito in una scuola guida e ora non può più seguire le lezioni”.

    Qualcuno è riuscito a rimanere o a ritornare nei luoghi in cui viveva grazie all’aiuto di amici o della rete di attivisti. Ma per i più è stato un esodo forzato.

    “Proprio in previsione di questa situazione, il 26 gennaio, abbiamo organizzato una manifestazione a Salerno che ha visto la partecipazione di circa un migliaio di cittadini e di migranti. Il primo punto delle richieste manifestate, quello che in maniera più semplice si sarebbe potuto affrontare, era proprio il mantenimento delle piccole strutture dislocate nel territorio ma la Prefettura non ci ha voluto ascoltare. Eppure l’esperienza dei Cas e degli sprar della provincia di Salerno non è stata così totalmente negativa, pure se ha presentato situazioni pessime sotto diversi punti di vista ed altre che si sarebbero potute migliorare – continua Gennaro. In particolare, stava dando buoni frutti il Cas per nuclei familiari nel comune di Piaggine che dava assistenza a 22 persone migranti, chiuso recentemente”.

    Capitolo a parte per #Caserta dove si è costituita un’originale alleanza sociale, che comprende, ad esempio, la collaborazione tra le suore Orsoline e le attiviste e gli attivisti del Centro sociale Ex Canapificio legati al locale movimento Rifugiati e migranti. “Questa alleanza si è tradotta nella gestione dello Sprar, in cui la rete costituita attorno al centro sociale ha fatto da punto di riferimento a centinaia di richiedenti asilo, con l’organizzazione di un’accoglienza diffusa che ha evitato grandi strutture concentrate ma si è organizzata attraverso piccoli appartamenti dislocati in tutta la città. Questa esperienza diffusa ha aiutato a combattere anche su fronti difficili come lo sfruttamento della prostituzione e quello lavorativo, specialmente agricolo. Come già avvenuto per Riace, anche in questa situazione è arrivata puntuale una inchiesta della magistratura che il 7 febbraio ha accusato alcune persone dell’Ex Canapificio di associazione a delinquere finalizzata a truffa aggravata. Il 12 marzo, poi, come sappiamo, anche il centro sociale è stato sgomberato dalle forze dell’ordine”. Tuttavia, lo sprar di Caserta comunque continua a funzionare, sebbene il bando scadrà quest’anno “e non abbiamo ancora idea di cosa farà l’amministrazione comunale”.

    In una regione che ha conosciuto la vergogna della pessima accoglienza, come abbiamo ricostruito anche nel libro Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienze, resistenze, segregazione, del quale con l’editore Orthotes stiamo per pubblicare la seconda edizione aggiornata con gli effetti del Decreto Salvini, non ci possiamo permettere una gestione che continua a subordinare i bisogni e i percorsi di inclusione sociale delle persone richiedenti asilo alle necessità della propaganda o della cieca burocrazia”, conclude Gennaro Avallone, evidenziando la necessità, in ogni caso, di pensare ad un superamento radicale di questo sistema, assumendo la necessità di far ripartire in Italia una politica universalistica per la casa.

    https://www.lasciatecientrare.it/campania-con-i-nuovi-bandi-lesodo-e-forzato-chiudono-le-esperienze
    #décret_salvini #decreto_salvini #decreto_sicurezza #Italie #fermeture #conséquences #asile #migrations #réfugiés #hébergement #SPRAR #accueil

  • Italie | Le droit d’asile à la botte de Matteo Salvini
    https://asile.ch/2019/04/16/italie-le-droit-dasile-a-la-botte-de-matteo-salvini

    https://asile.ch/wp/wp-content/uploads/2019/04/salvini.jpeg

    Giuseppe Conte a beau être officiellement le Président du Conseil des ministres depuis le 1er juin 2018, c’est son ministre de l’intérieur d’extrême droite, Matteo Salvini, qui fixe le tempo de la politique gouvernementale en matière migratoire. À peine investi, celui-ci déclare : « [L]e bon temps pour les clandestins est fini : préparez-vous à faire vos […]

  • Decreto sicurezza, entro l’estate 18mila giovani italiani senza lavoro (grazie a Salvini)

    Nella crociata contro quello che Salvini ha definito «un business fuori controllo pagato dal popolo italiano», quello cioè dell’accoglienza degli immigrati, finiscono anche professionisti italiani under 35: quasi tutti medici, infermieri, mediatori culturali, insegnanti, psicologi e avvocati.

    Entro fine anno 18mila italiani resteranno senza lavoro. Tutti laureati e con meno di 35 anni. È l’effetto del “decreto sicurezza” di Matteo Salvini, che ha ridotto la spesa per l’accoglienza degli immigrati da 35 euro lordi a una media di 21 euro lordi pro capite al giorno, cancellando dai centri di accoglienza (o riducendone le ore di lavoro) figure professionali come infermieri, mediatori culturali e insegnanti di italiano. Da Nord a Sud, le vertenze sindacali con le onlus e le cooperative si moltiplicano di giorno in giorno. E con i pochi nuovi bandi già pubblicati dalle Prefetture, in linea con le nuove tabelle governative, si contano già 4.100 esuberi. Da qui all’estate tutti si saranno adeguati. E la stima della Fp Cgil è che si arriverà a un bacino di 16-18mila disoccupati. Per i quali non è stato previsto nemmeno alcun ammortizzatore sociale ad hoc.

    Nella crociata contro quello che Salvini ha definito «un business fuori controllo pagato dal popolo italiano», sparando a zero contro il modello d’accoglienza Sprar di Riace, finiscono così anche molti giovani professionisti italiani. L’impianto del decreto (poi convertito in legge) prevede che chi arriva in Italia e chiede asilo, prima del via libera avrà a disposizione solo i servizi essenziali. Vale a dire cibo, pulizia e vestiti. Solo per chi ha diritto a restare, invece, saranno garantiti poi anche i corsi di italiano e i servizi per l’inserimento e l’integrazione che fino ad oggi spettavano a tutti i migranti che presentavano domanda d’asilo. La spesa per l’accoglienza così passa dai famosi 35 euro a una forbice tra i 19 e i 26 al giorno. La logica del Viminale è: non ha senso offrire servizi in più se poi il soggetto sarà giudicato irregolare da espellere. E con l’abolizione della protezione umanitaria, il numero di chi ha diritto ai servizi scende a picco.

    Quindi niente (o quasi) mediatori culturali, psicologi, assistenti legali e insegnanti di italiano. Che significa meno servizi per gli immigrati, ma anche tagli di posti di lavoro per i tanti italiani occupati nel settore. Che ad oggi, su 131mila ospiti, tra centri di accoglienza straordinari e quel poco che resta degli Sprar, sono circa 40mila. Gran parte sotto i 35 anni di età, molti appena usciti dai corsi di laurea in Mediazione culturale.

    Da Nord a Sud, le vertenze sindacali con le onlus e le cooperative si moltiplicano di giorno in giorno. E con i pochi nuovi bandi già pubblicati dalle Prefetture, si contano già 4.100 esuberi. Entro l’estate si arriverà a 16-18mila

    Per capire quale sarà l’impatto occupazionale dei prossimi bandi in uscita, basta mettere a confronto le nuove tabelle dei servizi offerti dal decreto Salvini con quelle del decreto Minniti. Per fare qualche esempio, gli operatori diurni nelle strutture fino a 50 posti scendono da tre a uno. E nei grandi centri da più di 1.500 ospiti vengono dimezzati da 24 a 12. Anche i direttori dei centri fino a 50 posti si vedranno le ore di lavoro tagliate da 36 a 18. Cancellando del tutto la presenza di almeno un infermiere (come previsto dal decreto Minniti) nei centri fino a 150 posti e dimezzando l’orario dei turni in quelli più grandi. E lo stesso vale per i medici e gli assistenti sociali. La mediazione linguistica passa da 54 a 10 ore a settimana; la consulenza legale da 24 a 3. Gli insegnanti di italiano, invece, nelle nuove tabelle scompaiono del tutto, mentre nei vecchi bandi si partiva da 8 ore a settimana. Il minimo per i migranti per cominciare a comunicare, nell’attesa, spesso lunga, dell’esito delle commissioni territoriali.

    «Gli esuberi in corso, tra licenziamenti e riduzioni d’orario, oggi sono già 4.100», dice Stefano Sabato, responsabile delle Cooperative Sociali della Fp Cgil nazionale. Per l’estate, quando arriveranno tutti i bandi, questi numeri saranno destinati a essere più che quadruplicati. La previsione è che si possa toccare quota 18mila. «E la parte preponderante degli esuberi interesserà le professionalità più alte e qualificate», aggiunge Sabato. «Mentre gli operatori delle mense o dei servizi di pulizia saranno interessati di meno, a essere colpiti di più sono mediatori culturali, infermieri, avvocati, insegnanti, psicologi, medici. Gran parte dei quali giovanissimi e neolaureati».

    Cancellata la presenza di almeno un infermiere nei centri fino a 150 posti; la mediazione linguistica passa da 54 a 10 ore a settimana; la consulenza legale da 24 a 3. Gli insegnanti di italiano, invece, nelle nuove tabelle scompaiono del tutto

    Finora i bandi aggiornati sono stati già stati pubblicati dalle prefetture di Cagliari, Messina, Frosinone e Como. In città come Bologna, invece, il vecchio capitolato è stato prorogato fino a fine marzo per attutire l’impatto delle nuove regole. E lo stesso ha fatto la prefettura di Genova, facendo slittare l’organizzazione attuale fino al 15 aprile, dopo la decisione di alcune cooperative e associazioni di non partecipare ai nuovi bandi in segno di protesta contro il decreto leghista, che avrebbe come effetto quello di mettere alla porta 300 migranti. Intanto, le vertenze sindacali si moltiplicano. Solo in Lombardia, si sono aperte crisi a Milano, Como, Lodi, Varese, Monza Brianza e Mantova. Ed essendo stata l’accoglienza distribuita a livello nazionale, il contagio è destinato a estendersi.

    «L’aspetto grave è che abbiamo le armi spuntate. Non abbiamo cioè ammortizzatori sociali adatti per far fronte a quella che si prospetta come una grande vertenza italiana», spiega Sabato. Il ministero del Lavoro di Luigi Di Maio ha appena pubblicato una circolare in cui autorizza la cassa integrazione straordinaria per le imprese appaltatrici di servizi di pulizia e mensa, ma non per i lavoratori che operano con i migranti. «Dopo l’accordo raggiunto per il contratto di solidarietà al Cara di Castelnuovo di Porto, non è stata prevista né cassa integrazione né ammortizzatori per la ricollocazione di queste persone», conferma Sabato. Lavoratori che forse, a questo punto, si ritroveranno a chiedere il reddito di cittadinanza. O, tutt’al più, a fare i navigator.

    https://www.linkiesta.it/it/article/2019/04/03/decreto-sicurezza-disoccupati-immigrazione/41666
    #décret_Salvini #décret_sécurité #decreto_Salvini #asile #migrations #réfugiés #chômage #travail #jeunes #Italie #chiffres #statistiques #SPRAR #hébergement

  • Tribunale di Firenze: i richiedenti asilo hanno diritto all’iscrizione anagrafica

    Commento a cura dell’avv. Daniela Consoli.

    Il Tribunale di Firenze, con l’ordinanza in commento, fa salvo l’art. 4-bis d.lgs. 142/2015 così come introdotto dall’art. 13 d.l. 113/2018 conv. in l. 132/2018, formulando una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, ed ordinando al Comune convenuto, per l’effetto, l’immediata iscrizione del ricorrente richiedente asilo nel registro anagrafico della popolazione residente.

    La decisione, particolarmente articolata, ha il pregio di trattare, con rigore dogmatico, tutte le problematiche che consentono, all’interprete ed agli operatori del diritto, di procedere all’applicazione della norma senza ledere il diritto alla residenza dei richiedenti la protezione internazionale, nel rispetto della legge.

    Il Tribunale fiorentino, innanzitutto, afferma un principio di generale portata ovvero che la norma una volta emanata “si stacca dall’organo che l’ha prodotta e non viene più in rilievo come una “decisione” legata a ragioni e fini di chi l’ha voluta, ma come un testo legislativo inserito nell’insieme dell’ordinamento giuridico” e dunque doverosamente interpretabile “in modo conforme al canone della coerenza con l’intero sistema normativo, coerenza che andrà evidentemente ricercata anche sul piano costituzionale”

    Ad avvalorare l’assunto il Tribunale tra l’altro menziona Cass. n. 3550/1988, n. 2454/1983 e n. 3276/1979.

    Diversamente ragionando “l’interprete” non potrebbe “procedere alla …… esatta comprensione” della norma “secondo i canoni ermeneutici legali previsti all’art. 12 ss. delle preleggi”.

    Posta la sintetizzata premessa, il Tribunale dà atto del fatto che “ogni richiedente asilo, una volta che abbia presentato la domanda di protezione internazionale, deve intendersi comunque regolarmente soggiornante” sul territorio dello Stato quantomeno per il tempo occorrente ad accertare il diritto alla protezione pretesa e che “la regolarità del soggiorno sul piano documentale” può essere comprovata, oltre che dal permesso di soggiorno, di cui la norma in commento esclude la spendibilità, da ulteriori e diversi documenti quali ad esempio “gli atti inerenti l’avvio del procedimento volto al riconoscimento della fondatezza della pretesa di protezione ed in particolare attraverso il cd. “modello C3”, e/o mediante il documento nel quale la questura attesta che il richiedente ha formalizzato l’istanza di protezione internazionale”

    Il Tribunale inoltre fa rilevare come a conforto della decisione assunta milita un ulteriore argomento: l’art. art. 13, alla lett a) fa divieto di iscrizione anagrafica esibendo il solo permesso di soggiorno per richiesta asilo e la successiva lett c, abroga espressamente, l’istituto della cd convivenza anagrafica (introdotto con decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 conv. in legge 13 aprile 2017, n. 46) che, appunto, consentiva, l’iscrizione del richiedente la protezione internazionale, su comunicazione del responsabile della struttura di accoglienza attraverso l’invio del solo permesso di soggiorno per richiesta asilo.

    Dunque, l’interpretazione coerente delle due disposizioni (lett. a e c dell’art. 13) porta a ritenere che il legislatore abbia sancito “l’abrogazione, non della possibilità di iscriversi al registro della popolazione residente dei titolari di un permesso per richiesta asilo, ma solo della procedura semplificata prevista nel 2017 che introduceva l’istituto della convivenza anagrafica, svincolando l’iscrizione dai controlli previsti per gli altri stranieri regolarmente residenti e per i cittadini italiani. Eliminando questa procedura il legislatore ha in qualche modo ripristinato il sistema di assoluta parità tra diversi tipologie di stranieri regolarmente soggiornanti e cittadini italiani previsto dal T.U.I.”

    https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/tribunale-di-firenze-i-richiedenti-asilo-hanno-diritto-alliscrizione-anagrafica
    #tribunal #Florence #Italie #asile #migrations #réfugiés #justice #Decreto_Salvini #Décret_Salvini #Décret_sécurité #résistance

    • Migranti: #Ancona, sì iscrizione anagrafe

      Il tribunale di Ancona ha disposto l’iscrizione anagrafica di un richiedente asilo e ha contestualmente sollevato questione di legittimità costituzionale. L’ordinanza è firmata dal giudice Martina Marinangeli, che fa esplicito riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione sollevando dubbi di legittimità costituzionale.
      Il caso è stato seguito dall’avvocato Paolo Cognini dell’Asgi (Associazione di Studi Giuridici sull’Immigrazione), che ha promosso il ricorso cautelare dinanzi al Tribunale di Ancona insieme all’associazione ’Ambasciata dei Diritti Marche’.
      «La richiesta di pronunciamento della Corte Costituzionale - scrive l’associazione - può fare chiarezza definitiva sull’incostituzionalità delle disposizioni in materia di iscrizione anagrafica».


      http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2019/07/30/migranti-ancona-si-iscrizione-anagrafe_afccf3e1-0871-47aa-9716-280bf79012b2.htm

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      Il Comune di #Ancona decide di iscrivere i richiedenti asilo all’Anagrafe

      Quello che a prima vista potrebbe sembrare un provvedimento emanato da un Sindaco illuminato, in realtà è il frutto di una lunga battaglia combattuta dal basso usando tutti i metodi possibili, dai ricorsi in tribunale alla occupazione dell’ufficio anagrafe passando per manifestazioni e presidi.
      Infatti la posizione del sindaco Valeria Mancinelli (PD) era inizialmente perfettamente in linea con i decreti Minniti prima e Salvini poi, anteponendo il principio secondo il quale “una legge diventa automaticamente giusta una volta emanata”.

      Lo scorso luglio il Comune di Ancona ha visto crollare questa certezza ed è stato obbligato ad iscrivere un richiedente asilo all’anagrafe a seguito di un ricorso in tribunale seguito dall’Ambasciata dei Diritti (vedi qui la sentenza: https://www.meltingpot.org/Iscrizione-anagrafica-dei-richiedenti-asilo-il-Tribunale.html).

      Il caso è diventato subito di rilievo nazionale non solo per aver messo in discussione il decreto Salvini ma anche perché fu il primo in Italia in cui il giudice richiedeva l’interpretazione da parte della Corte Costituzionale.
      Nonostante il clamore e l’importanza del caso, sia il Sindaco che l’ufficio anagrafe hanno continuato a diniegare i richiedenti asilo che chiedevano l’iscrizione, un comportamento ingiustificabile visto che il municipio avevo perso da poco una causa per lo stesso tipo di richiesta.

      Chiunque si sarebbe aspettato che un sindaco PD cogliesse al volo l’opportunità di combattere sia sul piano politico che pratico una legge profondamente discriminatoria voluta dalla Lega, ma ciò non solo non accadde ma altresì lo stesso ente ha dato vita a tutta una serie di ostacoli per la presentazione dei documenti, espressamente finalizzati all’impedire l’iscrizione anagrafica.

      Col passare del tempo però tutti gli impedimenti messi in piedi dall’amministrazione si sono verificati inutili, tanto che solo l’Ambasciata dei Diritti aveva pronte già altre 80 vertenze, sottoposto a tale pressione il comune a fine gennaio ha deciso di riconoscere l’iscrizione anagrafica.
      Scarica il provvedimento:
      https://www.meltingpot.org/IMG/pdf/prot._15075_iscrizione_anagrafica_in_via_provvisoria_dei_richiedenti_asi

      Pur essendo oggi un provvedimento importante resta il rammarico per il tempo perso, infatti se le iscrizioni fossero state fatte già da ottobre 2019, tanti ragazzi non avrebbero perso occasioni lavorative dato che senza residenza non si può firmare un contratto di lavoro e avrebbero già un medico di base.

      La scelta di concedere solo ora l’iscrizione anagrafica, sembra un gioco elettorale e politico fatto sulla pelle dei richiedenti asilo che vivono e studiano ormai da anni ad Ancona: mancano meno di due mesi all’udienza in Corte Costituzionale e il sindaco con questa mossa prende superficialmente le distanze dalle pratiche salviniane tenute fino ad oggi.

      Le ricadute sulle “vittime” di questo diritto negato sono molto pesanti. L’impossibilità di prendere la patente o il fatto di non poter iniziare ad accumulare gli anni di residenza per ottenere la cittadinanza sono solo due aspetti di una serie di limitazioni e vincoli.

      https://www.meltingpot.org/Il-Comune-di-Ancona-decide-di-iscrivere-i-richiedenti-asilo.html

    • Residenza ai migranti, accordo fra 5 Comuni nel Bolognese

      Le amministrazioni delle #Valli_del_Reno pronti ad accogliere le richieste dei richiedenti asilo. Il sindaco di Casalecchio: «Valuteremo i loro requisiti come per tutti i cittadini che ne hanno diritto»

      Cinque Comuni della provincia di Bologna sono pronti a concedere la residenza anagrafica ai richiedenti asilo che d’ora in poi ne faranno richiesta, senza affrontare cause legali o udienze in tribunale. È la decisione che hanno preso i sindaci di #Casalecchio, #Valsamoggia, #Sasso_Marconi, #Zola_Predosa e #Monte_San_Pietro, che fanno parte dell’#Unione_delle_valli_del_Reno.

      https://bologna.repubblica.it/cronaca/2019/08/15/news/residenza_ai_migranti_accordo_fra_5_comuni_nel_bolognese-23368874

    • "Comune #Bari iscrive all’anagrafe richiedente asilo": la sentenza disapplica il decreto Salvini

      Per il giudice con la mancata iscrizione «verrebbe impedito l’accesso a tutti i servizi ad essa connessi»
      Il Comune di Bari dovrà provvedere alla iscrizione anagrafica di un cittadino originario del Bangladesh, richiedente asilo, residente in Italia dal luglio 2016. Lo ha stabilito il Tribunale di Bari, prima sezione civile (giudice Giuseppe Marseglia) con una ordinanza con la quale ha accolto il ricorso del richiedente asilo, assistito dall’avvocato Felice Patruno. Per il giudice con la mancata iscrizione «verrebbe impedito l’accesso a tutti i servizi ad essa connessi».

      Il provvedimento adottato dal giudice ordina l’iscrizione «disapplicando le norme del decreto Salvini (dl 113/2018) - spiega il legale - di cui si riserva di rimettere la questione alla Corte di Giustizia Ue e alla Corte costituzionale per contrasto con le norme europee e nazionali».

      Il cittadino bengalese si era visto negare l’asilo dalla Commissione territoriale per la protezione internazionale di Bari e la richiesta è attualmente pendente in Cassazione. «Il Comune di Bari ha rigettato la sua istanza di iscrizione nel registro dell’anagrafe comunale, - spiega l’ordinanza - sostenendo che» sulla base del decreto Salvini «il suo permesso di soggiorno per richiesta asilo, in quanto temporaneo, non fosse ’titolo’ valido a legittimare la richiesta».

      Per il giudice, però, «il diritto all’iscrizione richiede due requisiti necessari: uno oggettivo consistente nella permanenza in un certo luogo ed uno soggettivo», e cioè «l’intenzione di abitarvi stabilmente». «E’ ragionevole ritenere che il ricorrente, - motiva il Tribunale - avendo proposto richiesta di asilo ed ancor piu avendo sottoscritto volontariamente un contratto di locazione regolare della durata di due anni per un immobile a Bari, abbia integrato entrambi i requisiti, trovandosi di fatto stabilmente sul territorio italiano ormai dal 2016, circostanza che dimostra il carattere non episodico e di non breve durata».

      Inoltre «la mancata iscrizione nel registro dell’anagrafe rappresenta fonte di pregiudizio non risarcibile per equivalente e dunque irreparabile» perché impedirebbe l’accesso ad una serie di servizi. Infatti, sebbene il decreto Salvini «abbia previsto che anche in caso di mancata iscrizione nei registro anagrafico, - spiega il giudice - il richiedente possa accedere a diversi servizi essenziali quali ad esempio l’assistenza sanitaria, l’istruzione dei minori richiedenti protezione internazionale e dei minori figli di richiedenti protezione internazionale, la possibilita? ’di svolgere l’attivita? lavorativa’, la partecipazione ’ad attivita? di utilita? sociale’, l’iscrizione anagrafica nel registro della popolazione residente resta comunque necessaria per poter accedere ai servizi e alle misure di politica attiva del lavoro, per poter richiedere e ottenere un numero di partita Iva, ai fini della determinazione del valore Isee richiesto per poter accedere alle prestazioni sociali agevolate (ad esempio l’assegno di natalita?), ai fini della decorrenza del termine di 9 anni per ottenere la cittadinanza italiana, per poter ottenere il rilascio del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, ai fini del rilascio della patente di guida».

      «Non puo? dunque dubitarsi - conclude l’ordinanza - che il divieto di iscrizione anagrafica per il richiedente asilo finirebbe per compromettere il godimento di diritti fondamentali di rilevanza costituzionale».

      https://bari.repubblica.it/cronaca/2020/03/04/news/_comune_bari_iscrive_all_anagrafe_richiedente_asilo_la_sentenza_disa