• Roué de coups à Vintimille, un Guinéen de 23 ans se suicide

    #Musa_Balde, un Guinéen de 23 ans, s’est donné la mort dans la nuit de samedi à dimanche dans un centre de rétention pour étrangers à Turin, en Italie. Le jeune homme, retrouvé pendu, avait été violemment roué de coups par trois Italiens à Vintimille, ces derniers jours. A sa sortie de l’hôpital, il avait été transféré dans le #CRA de Turin où il avait été placé à l’isolement.

    Les associations disent avoir tout fait, en vain, pour venir en aide à Musa Balde, un migrant de 23 ans présent jusqu’à récemment dans la région de Vintimille, en Italie. Ce jeune Guinéen, décrit comme une personne instable et régulièrement ivre dans les rues de Vintimille, s’est donné la mort dans la nuit de samedi à dimanche 23 mai dans l’enceinte du Centre de détention et de rapatriement de Turin (CPR, équivalent des centres de rétention administrative en France, antichambre aux expulsions des étrangers). Musa Balde a été retrouvé pendu à l’aide de ses draps.

    Une « terrible nouvelle » selon plusieurs associations, dont Projetto 20k et l’ONG We World, qui dénoncent la responsabilité de l’Etat italien dans le triste sort de ce migrant « vulnérable psychologiquement » présent depuis quatre ans en Italie et dont la demande d’asile avait été rejetée.

    La situation de Musa Balde, sous le coup d’une procédure d’éloignement du territoire depuis mars, s’était rapidement détériorée ces derniers jours. Le 9 mai dernier, il avait été passé à tabac par trois hommes italiens dans les rues de Vintimille, ville italienne proche de la frontière française. Selon la police, qui a exclu tout motif raciste, l’agression avait fait suite à la tentative du migrant de voler le portable d’un de ces trois hommes dans un supermarché.

    L’homme en question et ses deux acolytes avaient par la suite fondu sur Musa Balde à la sortie du magasin et l’avaient roué de coups à l’aide de barres, de bâtons, de tuyaux en plastique, de leurs poings et de leurs pieds.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/32461/roue-de-coups-a-vintimille-un-guineen-de-23-ans-se-suicide
    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #mort #suicide #décès #Alpes #Turin #Vintimille #détention_administrative #rétention #Italie #France

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    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière de Vintimille :
    https://seenthis.net/messages/784767

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Ventimiglia, migrante preso a sprangate dopo lite in un supermarket: identificati i tre responsabili

      Un migrante è stato assalito e preso a sprangate da tre persone in pieno centro a Ventimiglia, all’angolo tra via Roma e via Ruffini, dietro al Comune e alla caserma della polizia di frontiera. L’uomo è stato soccorso dal personale sanitario del 118 e portato in ospedale a Sanremo: ha riportato diverse lesioni, tra cui un forte trauma facciale. Un video diffuso subito dopo l’aggressione sui social mostra tutta la violenza di quanto successo. La polizia alcune ore dopo ha individuato e denunciato i tre responsabili dell’aggressione.

      https://video.repubblica.it/edizione/genova/ventimiglia-migrante-preso-a-sprangate-dopo-una-lite-in-un-supermarket/386781/387506?video&ref=RHTP-BH-I300221689-P1-S2-T1

    • Il peso dell’indifferenza. La storia di #Moussa_Balde

      Il suo nome è ovunque nelle ultime ore, ma di lui non si sa molto. Di Moussa Balde si conosce l’età, appena 22 anni, il paese d’origine, la Guinea, e si può ipotizzare che fosse giunto in Italia con la speranza di migliorare la propria vita. Era arrivato probabilmente all’inizio 2017 e si era stabilito a Imperia, in Liguria. Lì era stato accolto al Centro di solidarietà l’Ancora, dove gli educatori, che cercano di incentivare lo studio come mezzo di integrazione, lo avevano messo in contatto con il Centro provinciale per l’istruzione degli adulti di Imperia, tramite cui aveva deciso volontariamente di iscriversi a scuola. L’insegnante di italiano ci tiene a raccontare come la sua grafia fosse la più bella mai vista in dieci anni di lavoro, segno del suo impegno e della sua scolarizzazione.

      “Ha sempre dimostrato una grandissima voglia di imparare la lingua, per comunicare con le persone, trovare un lavoro, vivere nella società. Era un pensiero costante, che l’ha spinto a fare tutto nei tempi e nei modi giusti”.

      Aveva probabilmente già studiato in Guinea, e anche in una buona scuola. Con “un’invidiabile capacità di apprendimento”, ha intrapreso un corso di prima alfabetizzazione, poi di scuola media e infine si era iscritto al primo anno di superiori, che non ha mai concluso. Nel 2019 aveva, infatti, deciso di andare in Francia, dove vivevano alcuni amici o parenti, come lui francofoni. Dopo qualche mese all’estero, era stato però fermato e rispedito nel comune ligure. Spostatosi a Ventimiglia, dimorava ormai per strada e si sostentava chiedendo l’elemosina e rivolgendosi ai servizi della Caritas diocesana. “Più volte è venuto da noi per chiedere del cibo – racconta Christian Papini, responsabile regionale – ma è tutto quello che abbiamo potuto fare per lui. Non possiamo aiutarli, accoglierli, nemmeno dargli da dormire, hanno solo diritto all’urgenza.”

      Le associazioni del territorio non conoscono davvero la sua storia. Maura Orengo, referente a Imperia di Libera – rete di associazioni che lavora per la tutela dei diritti e la giustizia sociale – spiega che “il ragazzo aveva il foglio di via, quindi era già in situazione di clandestinità e non si poteva rivolgere alle associazioni, che richiedono nome e generalità.” Senza passato e senza futuro, Moussa occupava i margini della società, delle vie e dei supermercati dove faceva l’elemosina.

      Proprio in quella circostanza, il 9 maggio, era stato aggredito da alcuni cittadini di Ventimiglia, che lo avevano violentemente percosso con dei tubi. Alla denuncia, però, non è stata aggiunta l’aggravante razziale. I tre lo avevano accusato di tentato furto di un cellulare, ma a Moussa non era stata data la possibilità di replicare. Condotto all’ospedale di Bordighera per trauma facciale e lesioni, veniva dimesso il giorno successivo con una prognosi di dieci giorni e immediatamente trasportato al Centro di permanenza per il rimpatrio di Torino. Il ragazzo era infatti irregolare sul territorio italiano, anche se, tempo prima, aveva fatto domanda di asilo politico: “Sembra ci sia stato un problema nel momento in cui doveva presentarsi davanti alla commissione, per spiegare i motivi per cui richiedeva l’asilo. – dice il suo avvocato, Gianluca Vitali -. Era andato una prima volta ma, come spesso succede, solo un membro della commissione era disponibile a sentirlo. Lui ha quindi chiesto il rinvio, per essere ascoltato dall’intera composizione collegiale. Poi però ci sono stati dei problemi, non aveva più un posto dove stare e non era c’erano centri di accoglienza per ospitarlo. Probabilmente, quindi, era stato convocato ma è risultato irreperibile”. Così, senza conoscere la sua storia e senza aver ascoltato le ragioni che lo avevano spinto ad arrivare nel paese, la commissione aveva deciso per il rimpatrio. Ma a Moussa, che non frequentava più nessuna associazione ed era praticamente un fantasma, la comunicazione ufficiale è giunta una volta arrivato al Cpr. “Il passaggio dall’ospedale a Torino è avvenuto in brevissimo tempo, – dice Orengo – non c’è stato nemmeno il tempo di avvicinarlo subito dopo l’aggressione. Noi di Libera ci chiedevamo se avremmo potuto fare di più; avrei potuto segnalare a Torino la difficile situazione in cui questo ragazzo versava, ma non sapevo nemmeno che fosse lì.”

      Dopo due settimane di isolamento, con la prospettiva di un prossimo rimpatrio, Moussa Balde si toglie la vita. Altri ragazzi, come lui reclusi all’interno del centro, alla notizia della morte hanno iniziato uno sciopero della fame e innescato diversi incendi nella struttura, per protestare contro le condizioni cui sono costretti.

      Gli ultimi giorni

      Emarginato, picchiato, isolato e respinto ancora una volta, il ragazzo era visibilmente provato. L’avvocato, che aveva conosciuto la sua storia leggendo la notizia dell’aggressione, scopre tramite una faticosa ricerca che la sua destinazione è il Cpr di Torino e lo raggiunge. Sin da subito non ha dubbi che gli addetti del centro fossero consapevoli delle sue difficoltà.

      “Che ci fossero problemi di comportamento, di depressione, di tono dell’umore, quindi qualche problema psichico, – dice Vitali – credo fosse evidente a tutti. La prima volta che sono andato a trovarlo ho fatto il suo nome a un poliziotto e ho chiesto di vederlo. Quello mi ha subito risposto che il ragazzo aveva dei problemi e che non era detto che avrebbe accettato il colloquio.”

      Nonostante le difficoltà, nessuno psicologo è mai andato a fargli visita, ma piuttosto, dopo qualche giorno, Moussa viene spostato nel cosiddetto “ospedaletto” del Cpr, una zona separata dal resto del centro. “Al suo arrivo non era sicuramente in isolamento, e questo conferma che la misura non è stata presa per motivi di sicurezza legati al Covid. Dovrebbe trattarsi di un isolamento sanitario, per tenere l’individuo sotto osservazione o separarlo dagli altri nel caso in cui questo si riveli contagioso. Il problema è che l’isolamento normativamente non esiste. È un’invenzione di alcuni centri. Si sostiene poi che il migrante possa chiedere di essere messo in isolamento, ma tenderei ad escludere che lui possa averlo fatto.”

      Da giorni l’avvocato di Moussa aveva avviato un procedimento per richiedere l’annullamento del rimpatrio, facendo leva sul fatto che il ragazzo fosse la parte lesa di un procedimento penale, quello contro i suoi tre aggressori.

      “Stavamo tentando di fare qualcosa, ma il processo è ovviamente lungo e macchinoso. Tutto il sistema è costruito in modo che il migrante clandestino sia il soggetto meno difendibile al mondo”.

      “Stavo già preparando un ricorso al giudice di pace di Imperia, per chiedere di sentire Moussa come persona offesa ed eventualmente di disporre il rilascio di un permesso per motivi di giustizia, in attesa del procedimento. Tutti tentativi che avrei continuato a fare, ma non c’è stato più tempo.” L’unica cosa che può fare, adesso, è accompagnare i genitori nel lungo procedimento che hanno deciso di intraprendere, per capire cosa sia davvero successo a Imperia e Torino. La salma del ragazzo, intanto, viene preparata per tornare da loro in Guinea.
      Strutture inesistenti

      Arrivato in Italia con speranza, Moussa si è scontrato con alcune delle storture del paese, che la sua morte ha contribuito a mettere ancora una volta in luce. Chi giunge a Ventimiglia non trova, innanzitutto, adeguata assistenza. Le strutture di accoglienza sono poche ed esclusivamente in mano ad associazioni del territorio. E la situazione si complica ulteriormente per i migranti in transito verso la frontiera francese. Da quando lo scorso luglio è stato chiuso il capannone della Croce Rossa, non c’è alcuna struttura che accoglie per la notte le persone in cammino, stremate anche da anni di viaggio.

      Le associazioni che lavorano sul territorio le assistono come possono, ma non sono sufficienti. E quando arriva l’estate – lo sa bene Christian Papini, che se ne occupa da anni – i flussi si moltiplicano e la situazione diventa ancora più ingestibile. “I numeri stanno aumentando in modo importante: da settembre a fine aprile, soltanto dalla Caritas sono passate più di 10mila persone. La scorsa settimana siamo arrivati a 220 persone in una mattina e siamo solo all’inizio, perché la rotta balcanica non è ancora completamente aperta.” E senza un’assistenza sufficiente, gli esiti possono facilmente diventare tragici. Lo testimonia la serie di eventi che riporta ciclicamente Ventimiglia sulle prime pagine, che dal 2015 ha visto la morte di migranti in autostrade, treni o nel passo della morte.

      Per questo Papini parla di “cronaca di una morte annunciata”. Che un campo riapra, però, è quasi una certezza: “Storicamente i campi di transito vengono aperti quando c’è una grossa emergenza, quindi di solito si aspetta che succeda il casino. Quando si rendono conto che le persone non si possono fermare, allora si apre un campo. Almeno chi arriva ha un posto dove può mangiare, lavarsi e poi trovare passaggio per la frontiera; diventa tutto un po’ più semplice.” Ma quando qualcosa si fa, il peso è sempre sulle spalle del terzo settore e dei volontari. Come quelle di Don Rito Alvarez, da anni parroco a Ventimiglia, che nel 2016 insieme alle associazioni del territorio aveva creato il progetto del Confine solidale: “In un periodo di necessità abbiamo aperto la chiesa e fatto un’accoglienza straordinaria. Ci siamo messi in prima linea e in uno spazio non molto grande abbiamo dato da mangiare anche a mille persone al giorno. Le autorità del territorio pensavano non fossimo capaci di gestire la situazione: siamo riusciti talmente bene che alla fine ci hanno spinti a continuare. Adesso non c’è nulla, la situazione è molto triste. Si va avanti cercando di sistemare tutto con palliativi, ma quello che servirebbe è un centro per l’integrazione e per l’accoglienza che sia all’altezza delle necessità. Bisogna essere lungimiranti e coinvolgere anche il governo centrale, altrimenti tra cinque anni siamo di nuovo qui a dirci le stesse cose”.
      Centri di reclusione

      Dalle strade inospitali di Ventimiglia, Moussa è stato spostato poi tra le mura dell’ospedaletto del Cpr di Torino, che il report 2021 del garante nazionale Mauro Palma descrive come: “privo di ambienti comuni: le sistemazioni individuali sono caratterizzate da un piccolo spazio esterno antistante la stanza, coperto da una rete che acuisce il senso di segregazione. Tale area è normalmente utilizzata per ospitare persone da separare dal resto della popolazione trattenuta, per motivi di salute o di incompatibilità ambientale”.

      Le indagini sul centro hanno inoltre rivelato che l’alta concentrazione di soggetti stranieri tossicodipendenti, con problemi psichici o comunque colpiti da forme di disagio sociale, non corrisponde ad un sufficiente coinvolgimento dei servizi sanitari locali. Una mancanza di raccordo con le altre strutture del territorio fa sì, inoltre, che il personale sanitario del centro rimanga completamente all’oscuro delle vicende cliniche delle persone trattenute. Queste possono poi rivolgersi direttamente agli operatori in caso di necessità, ma devono “attendere il passaggio di un operatore, nella speranza di ottenere la sua attenzione ed esprimere da dietro le sbarre del settore detentivo la propria istanza. Il Garante nazionale esprime il proprio fermo disappunto rispetto a una tale impostazione organizzativa, la quale, […] determina un contesto disumanizzante dove l’accesso ai diritti di cui le persone trattenute sono titolari passa attraverso la demarcazione fisica della relazione di potere tra il personale e lo straniero ristretto che versa in una situazione di inferiorità.” Il fatto che si tratti di una struttura chiusa, poi, com’erano i manicomi, fa già capire che “certe cose non le si vogliono far vedere. – dice Papini – Penso che se questo ragazzo avesse ricevuto supporto psicologico, forse, non si sarebbe suicidato, anche perché aveva già rischiato la vita per venire in Italia. E, dopo un’esistenza di stenti, si ritrova in un Cpr, dove gli comunicano che rimarrà rinchiuso fino al giorno del rimpatrio: c’è chiaramente un elevato rischio di suicidio. Si tratta di una delle tante vittime senza nome, di cui non frega niente a nessuno. Infatti lui è finito al Cpr, gli altri sono ancora per strada.”

      Di Moussa, che era in Italia da oltre quattro anni, si sa ancora troppo poco. È una delle tante storie che risvegliano le coscienze per un giorno, poi si torna a dormire.

      https://futura.news/il-peso-dellindifferenza-la-storia-di-moussa-balde

    • Ils agressent un jeune migrant à Vintimille avant qu’il ne se suicide : trois agresseurs jugés ce vendredi au tribunal d’Imperia

      En mai dernier, un jeune migrant se suicidait après avoir été agressé par trois hommes dans le centre de rétention où il se trouvait à Vintimille. Ce vendredi, les trois agresseurs comparaissent au tribunal d’Imperia.

      (#paywall)
      https://www.nicematin.com/faits-divers/ils-agressent-un-jeune-migrant-a-vintimille-avant-quil-ne-se-suicide-troi

  • Home Office’s rush to deport asylum seekers before Brexit was ‘inhumane’, watchdog finds

    ‘Unprecedented levels of self-harm and suicidal thoughts’ were recorded at the #Brook_House_Immigration_Removal_Centre in late 2020

    https://www.independent.co.uk/news/uk/home-news/brexit-asylum-seekers-home-office-b1850796.html
    #suicides #santé_mentale #UK #Angleterre #asile #migrations #réfugiés #détention_administrative #rétention #statistiques #chiffres #2020

    #paywall

  • Annual Torture Report 2020

    Torture and pushbacks – an in depth analysis of practices in Greece and Croatia, and states participating in violent chain-pushbacks

    This special report analyses data from 286 first hand testimonies of violent pushbacks carried out by authorities in the Balkans, looking at the way practices of torture have become an established part of contemporary border policing. The report examines six typologies of violence and torture that have been identified during pushbacks from Croatia and Greece, and also during chain-pushbacks initiated by North Macedonia, Slovenia and Italy. Across the report, 30 victim testimonies of torture and inhuman treatment are presented which is further supplemented by a comprehensive legal analysis and overview of the States response to these allegations.

    The violations profiled include:

    - Excessive and disproportionate force
    - Electric discharge weapons
    - Forced undressing
    - Threats or violence with a firearm
    - Inhuman treatment inside a police vehicle
    - Inhuman treatment inside a detention facility

    –-

    Key Findings from Croatia:

    – In 2020, BVMN collected 124 pushback testimonies from Croatia, exposing the treatment of 1827 people
    - 87% of pushbacks carried out by Croatia authorities contained one or more forms of violence and abuse that we assert amounts to torture or inhuman treatment
    - Violent attacks by police officers against people-on-the-move lasting up to six hours
    - Unmuzzled police dogs being encouraged by officers to attack people who have been detained.
    - Food being rubbed into the open wounds of pushback victims
    - Forcing people naked, setting fire to their clothes and then pushing them back across borders in a complete state of undress

    Key Findings from Greece:

    – 89% of pushbacks carried out by Greek authorities contained one or more forms of violence and abuse that we assert amounts to torture or inhuman treatment
    - 52% of pushback groups subjected to torture or inhuman treatment by Greek authorities contained children and minors
    - Groups of up to 80 men, women and children all being forcibly stripped naked and detained within one room
    - People being detained and transported in freezer trucks
    - Brutal attacks by groups of Greek officers including incidents where they pin down and cut open the hands of people on the move or tied them to the bars of their detention cells and beat them.
    - Multiple cases where Greek officers beat and then threw people into the Evros with many incidents leading to people going missing, presumingly having drowned and died.

    https://www.borderviolence.eu/annual-torture-report-2020
    #rapport #2020 #Border_Violence_Monitoring-Network #BVMN
    #asile #migrations #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #frontières #push-backs #refoulements #traitements_inhumains_et_dégradants #détention #centres_de_détention #armes #déshabillage_forcé #armes_à_feu #Croatie #Grèce #Evros #refoulements_en_chaîne #taser

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  • Aux États-Unis, des migrantes dénoncent des opérations gynécologiques non consenties
    https://www.courrierinternational.com/article/video-aux-etats-unis-des-migrantes-denoncent-des-operations-g

    Plus de quarante #migrantes affirment avoir subi, sans leur consentement, des #opérations_gynécologiques inutilement invasives, alors qu’elles étaient retenues dans un centre de #détention pour immigrés aux États-Unis. C’est le cas de Wendy Dowe, qui témoigne devant les caméras de la BBC.

    #paywall

  • Council of Europe’s anti-torture Committee calls on Malta to improve the treatment of detained migrants

    In a report published today on a rapid reaction ad hoc visit to Malta in September 2020, the Council of Europe’s anti-torture committee (CPT) urges the Maltese authorities to change their approach towards immigration detention and to ensure that migrants deprived of their liberty are treated with both dignity and humanity.

    The Council of Europe’s Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) has published today the report on its ad hoc visit to Malta focussing on immigration detention, which took place from 17 to 22 September 2020, together with the response of the Maltese authorities.

    In the report, the CPT acknowledged the significant challenges posed to the Maltese authorities by the arrival of increasing numbers of migrants, exacerbated by the Covid-19 pandemic. Nonetheless, this situation cannot absolve Malta from its human rights obligations and the duty of care owed to all migrants deprived of their liberty by the Maltese authorities.

    Overall, the CPT found an immigration system that was struggling to cope: a system that purely “contained” migrants who had essentially been forgotten, within poor conditions of detention and regimes which verged on institutional mass neglect by the authorities. Indeed, the living conditions, regimes, lack of due process safeguards, treatment of vulnerable groups and some specific Covid-19 measures were found to be so problematic that they may well amount to inhuman and degrading treatment contrary to Article 3 of the European Convention on Human Rights.

    The carceral design of detention centres such as Hermes Block and the Warehouses at Safi Detention Centre remained totally inappropriate: large rooms crammed with beds, no privacy, and communication with staff via locked doors. Migrants were generally locked in their accommodation units with little to no access to daily outdoor exercise and no purposeful activities. Other deficiencies included a lack of maintenance of the buildings (especially the sanitary facilities), insufficient personal hygiene products and cleaning materials and an inability to obtain a change of clothes. Moreover, there was also a systematic lack of information provided to detained persons about their situation, compounded by minimal contact with the outside world or even staff.

    Vulnerable migrants in particular were not getting the care and support they required. Not only were young children and their parents as well as unaccompanied/separated minors being detained, but they were held in very poor conditions, together with unrelated adult men. Clear protection policies and protocols for looking after vulnerable migrants need to be put in place.

    The CPT underlined that there is an urgent need for Malta to revisit its immigration detention policy, towards one better steered by its duty of care to treat all persons deprived of their liberty with dignity.

    The CPT stressed that the problem of migration into Malta was not new and will almost certainly continue given the push factors that exist in those countries from which the vast majority of migrants come. Therefore, Malta together with the support of the European Union and other member states must put in place an immigration detention system which abides by European values and norms.

    In their response, the Maltese authorities provided detailed information on the steps being taken to improve the conditions of detention for detained migrants and outlined the measures taken and currently underway to reduce the pressure on the immigration detention system, including notably the significant reduction in the number of migrants being detained and instead transferred into open centres and the many refurbishment works underway to improve conditions.

    https://www.coe.int/en/web/cpt/-/council-of-europe-s-anti-torture-committee-calls-on-malta-to-improve-the-treatm

    #détention_administrative #rétention #asile #migrations #réfugiés #Malte #rapport #Conseil_de_l'Europe

    ping @isskein @karine4

  • Du refus d’empreinte à la préventive...
    Incarcération d’E. suite à la manif contre Génération identitaire

    Arrêté seul lors d’un contrôle préventif avant toute manif, il est accusé de « groupement en vue de » et port d’un cadenas de vélo. Il a refusé la comparution et a été maintenu en détention dans l’attente du procès malgré toutes les garanties de représentation juste parce qu’il a refusé de donner la signalétique, le juge affirmant qu’il s’agit d’un principe normal : pas d’empreintes = détention provisoire.

    Edit

    La juge Rhiyouri avait la possibilité de placer ce justiciable sous contrôle judiciaire, ce qui l’aurait contraint à donner ses empreintes pour obtenir sa libération. Cela n’a pas été le cas.
    Cette prise d’empreintes devrait intervenir pendant la détention. Comme ce refus de signalétique est le seul motif invoqué pour ordonner l’incarcération, il est probable qu’une demande de mise en liberté soit alors accordée.

    #manifestation #police #justice #prison #détention_provisoire

    • juste pour mon information, le E. avait un vélo à la main - autre arme par destination - quand il a été arrêté avec son cadenas ?

    • Pas que je sache, cela n’a pas été rapporté, et il me semble que le tract aurait mentionné un tel fait :) Ce qui est clair en revanche c’est que c’est le refus de donner ses empreintes et lui seul qui lui vaut d’être détenu alors que comme la défense l’a signalé on ne demande pas à la juge de donner ses empreintes lorsque son identité est vérifiée et qu’il avait non seulement des papiers en règle mais diverses attestations (dont domicile et emploi, combien ne peuvent en produire autant ?) pour faire valoir des « garanties de représentation » qui sont le moyen usuel d’éviter une détention provisoire qui en principe est supposée être l’exception.

    • Suite à la contre manifestation de Génération Identitaire, 22 février 2021
      https://paris-luttes.info/suite-a-la-contre-manifestation-de-14779

      Toutefois, de nombreux·ses camarades ont été interpelé·es (au moins une quinzaine de gardes à vue en cours), contrôlé·es, fouillé·es, et verbalisé·es (plusieurs dizaines d’amendes de 135€) en justifiant qu’ils et elles « ont prévu de rejoindre une manifestation interdite ». Suite à quoi les camarades verbalisé·es ont été menacé·es d’interpellation et arrestation si ils et elles étaient recontrôlé·es dans le rassemblement prétendument interdit.

  • Canaries : désespérés, les migrants entre grèves de la faim et automutilation - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/30157/canaries-desesperes-les-migrants-entre-greves-de-la-faim-et-automutila

    Redoutant une expulsion et subissant des attaques racistes, des migrants bloqués sur l’archipel des Canaries ont ces derniers jours entamé des grèves de la faim pour réclamer leur transfert vers le continent. Au désespoir, d’autres s’automutilent. Automutilation, tentatives de suicide, grèves de la faim… Dans l’archipel des Canaries, le désespoir des migrants arrivés du continent africain pour demander l’asile en Europe se fait de plus en plus concret. Selon le quotidien espagnol El Pais, un jeune Marocain s’est récemment infligé 27 coups de rasoir à la jambe après avoir appris que sa mère devait se faire opérer du foie alors qu’elle n’a pas les moyens de se payer une telle opération. Un autre s’est entaillé le ventre. Un troisième a tenté de sauter du haut d’un bâtiment, avant d’en être empêché.
    Ces actes désespérés n’apparaissent plus si marginaux dans l’archipel, tant la situation est compliquée sur place pour les demandeurs d’asile. En raison du Covid-19, les transferts vers le continent, qui concernent uniquement les personnes considérées comme vulnérables, sont rarissimes. Les migrants, arrivés en nombre écrasant ces derniers mois, n’ont d’autres options que s’entasser dans des hébergements réquisitionnés à la hâte par les autorités : hôtels en mal de touristes, baraques militaires, campements sommaires où la pluie et la boue entrent dans les tentes. Laissés dans l’incertitude, beaucoup craignent une expulsion. « Nous souffrons beaucoup de la pression psychologique ici », a témoigné Aziz Bouabid, un Marocain, à El Pais, comparant sa situation à une détention d’une durée indéterminée. « Un prisonnier sait au moins combien de temps sa peine va durer. Moi, je ne sais pas quand je partirai des Canaries et, pendant ce temps-là, mes enfants attendent que je leur envoie de l’argent. » Dans ce contexte, des manifestations de migrants ont eu lieu la semaine dernière, notamment à Grande Canarie. Réclamant un transfert vers le continent, certains ont brandi des pancartes indiquant « L’Europe ou la mort ». Samedi 6 février, environ 450 Marocains logés dans un campement installé dans une école fermée ont par ailleurs annoncé entamer une grève de la faim. Ils sollicitent l’aide de leurs autorités consulaires pour accélérer les procédures.

    #covid-19#migrant#migration#canaries#UE#sante#santementale#expulsion#demandeurdasile#detention

  • La prolongation des #détentions_provisoires interdite pendant l’#état_d’urgence | Public Senat
    https://www.publicsenat.fr/article/politique/la-prolongation-des-detentions-provisoires-interdite-pendant-l-etat-d-ur

    Presque un an après son entrée en vigueur, les Sages de la rue Montpensier viennent censurer définitivement l’article 15 d’une ordonnance du 25 mars 2020, prise sur le fondement de la loi d’habilitation de l’état d’urgence du 23 mars 2020. Ce texte autorisait la prolongation de toutes les mesures de détention provisoire ou d’#assignation_à_résidence sous surveillance électronique, sans passer par le contrôle d’un #juge.

    […] L’ordonnance du 25 mars prolongeait « de plein droit » de 2 à 6 mois, selon la gravité de l’infraction, l’ensemble des détentions provisoires. En application de l’article 15 de cette même ordonnance les prolongations de détention provisoire décidées pendant la période de l’état d’urgence sanitaire continuaient à s’appliquer malgré la fin de celui-ci.

    Saisi en référé le 3 avril, le #Conseil_d’État, qui n’avait pas pris la peine de tenir audience, avait jugé que l’ordonnance garantissait les droits et libertés des personnes en détention provisoire ».

    […] Avant même la décision du #Conseil_Constitutionnel, les sénateurs pointaient la constitutionnalité « incertaine » de l’ordonnance. « La prolongation de plein droit sans intervention explicite du juge des libertés et de la détention était une atteinte disproportionnée aux libertés, dont les conséquences pratiques semblent heureusement circonscrites » écrivaient-ils. De même, le rapport du Sénat rappelait la position de la chambre criminelle de la #Cour_de_Cassation qui s’appuyait sur l’article 5.3 de la #Convention_européenne_des_droits_de_l’homme, selon lequel toute personne « arrêtée ou détenue [notamment celles placées en détention provisoire] doit être aussitôt traduite devant un juge […] et a le droit d’être jugée dans un délai raisonnable, ou libéré pendant la procédure ». « Une interprétation apparemment inverse de celle du Conseil d’État » relevaient sobrement les élus.

  • ’This is literally an industry’: drone images give rare look at for-profit #Ice detention centers

    Art project combines interviews with ex-detainees on their trauma during Covid-19, and imagery of the growth of private-run detention in the US

    “Imagine how it feels there, locked up, the whole day without catching the air, without … seeing the light, because that is a cave there, in there you go crazy; without being able to see my family, just being able to listen to them on a phone and be able to say, ‘OK, bye,’ because the calls are expensive.”

    That’s how Alejandro, an asylum seeker from Cuba, described his time in an #Immigration_and_Customs_Enforcement (Ice) detention center.

    His account is one of dozens captured in a collection of audio recordings as part of a project aiming to show how the US immigration detention system, the world’s largest, has commodified people as part of a for-profit industry.

    “We’ve commodified human displacement,” said artist David Taylor, who has used drones to take aerial photography and video of 28 privately run Ice detention centers near the US southern border, in California, #Arizona and #Texas.

    While accounts of abuse and exploitation from inside facilities appear in the news media, the detention centers are usually in isolated, underpopulated areas with access to photographers or film crews tightly controlled.

    This new image collection, taken from near the perimeters of the facilities, gives a rare look at just how many of these centers occupy the landscape. “What I want to show through the accumulation of imagery is that this is literally an industry,” Taylor said, “that it’s expansive, that it occupies a significant amount of territory in our national landscape – and I’m only showing a fraction of it.

    “That, to me, is an important realization. The scale is shocking; how it is changing the United States,” said Taylor, a professor of art at the University of Arizona.

    The imagery will ultimately be shown in an exhibition incorporating the stories of some of the people captured inside this system. These audio recordings come from a collaboration with Taylor and a group which provides free legal service to detained migrants in Arizona, the Florence Project, and writer Francisco Cantú.

    When the project is eventually presented in a gallery, it will also include data on the costs, profits and revenue of corporations involved. Late in the the Obama era, the Department of Justice (DoJ) discontinued all use of private prison corporations to house detainees, but the DoJ during the Trump administration reversed this policy.

    Between 2015 and 2018, as the administration began to ramp up its crackdown on immigrants, the targeted average daily population of detained immigrants grew 50%. Corporations won contracts from Ice worth hundreds of millions of dollars.

    Taylor said the project was fraught because he was taking artistic photos and video of sites where traumas have occurred, but hopes the final work will help people understand how those inside are being used to support an industry. The detainees’ vulnerability during the Covid-19 pandemic added to an urgency to spotlight the facilities, he said.

    Excerpts from some of the interviews follow. Each of the interviewees was given a pseudonym because their asylum cases are pending. Alejandro and Alonzo’s interviews were translated from Spanish.

    All three were held at facilities operated by CoreCivic, which disputes allegations about conditions and said it was committed to health and safety.
    ‘They are not interested in our lives’

    Alonzo – La Palma correctional center in Eloy, Arizona

    When Covid first struck the detention center, Alonzo said he helped organize strikes to protest the conditions inside which were exposing everyone, including the guards, to the illness.

    The 34-year-old said he was refused access to a Covid test even though he was feeling unwell. A month later, he said he was taken to the hospital because he was having such trouble breathing and his skin was turning black. “The truth is that you need to be dying there so that they can take care of you, what they do with you there is lousy, lousy, lousy. They are not interested in our lives in the least.”

    In a hospital emergency room, a doctor told Alonzo he had blood clots and probably had cancer because they found tumors in his lungs and kidneys.

    “When they give me this news, they tell me that they have to return me to La Palma correctional center and put me in a cell. I spent a day and a half locked up without being able to get out at all. On that day they gave me half an hour to bathe, let my family know what was happening to me, and locked me up again.

    “During this time that I was there, there were many people. We stood up to be treated, there were colleagues who collapsed inside the tank, people who convulsed. We prayed because the nurses who treated us, the nurses came and told us, ‘You have nothing, it’s a simple flu,’ and nothing happens.”

    Alonzo described witnessing many suicide attempts. He said he found strength in his wish to see his daughters again and his belief in God. “I always had something in my mind and in my heart, that God did not save me from Mexico to come to die in a forgotten cell. I knew within myself that I was not going to die there.”

    He said the strikes came about as conditions worsened. “One day we all got organized and got together to talk. ‘You know what, brother? There is no Cuban here, there is no Mexican here, there is no Indian here, there is no Venezuelan here, there is no Nicaraguan here, there is nothing. Here we are all here. Because we are all infected, because we are all dying. This is fighting for our existence, it is no longer fighting for a residence, it is no longer fighting for a parole, it is no longer fighting for bail, it is all fighting to get out of here alive.’”
    ‘They told me I had Covid-19. They never gave me treatment’

    Alejandro – Central Arizona Florence correctional center

    Alejandro approached a border checkpoint to seek asylum after three months of waiting in Mexico, seeking refuge from political persecution in his native Cuba. At the border, his pregnant wife was allowed to stay with a relative in the US, while Alejandro, 19, was detained.

    During his three months in detention, he was told he tested positive for Covid-19, which he was skeptical of because he didn’t have symptoms and was asthmatic. He said he was put in solitary confinement because of the test result, then transferred to a civil jail, where he said conditions were worse.

    The most painful part of all, however, was missing the birth of his son after his wife underwent a difficult pregnancy.
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    “Imagine, it broke my heart, I could hardly speak. Every time I spoke to my wife, or listened to the child, a lump would form in my throat that I could not swallow. It was a thing that does not let you swallow, that makes your chest constrict from so much suffering, from so much pain … If you are a parent, you know what I am telling you … The words did not come out from so much suffering … I spoke a few words and cried. She could hardly speak. Sometimes it was better not to call, because if I called I would feel worse than not calling.”

    Alejandro said he cried every day in detention and was treated by a psychologist in a five-minute “speed date” appointment. “She asked me, ‘Hi, I understand you have a boy, how are you feeling?’ I told her I felt bad, how else was I going to feel? She said, ‘you need to read, to relax,’ just that. Nonsense, something quick. They told me I had Covid-19 and they never gave me any treatment, just water. They told me, ‘Drink water, lots of water.’”
    Responses from #CoreCivic and Ice

    A CoreCivic company spokesman, Ryan Gustin, denied the allegations Alejandro and Alonzo made about conditions in their facilities. “We have responded to this unprecedented situation appropriately, thoroughly and with care for the safety and wellbeing of those entrusted to us and our communities,” Gustin said. “We don’t cut corners on care, staff or training, which meets, and in many cases exceeds, our government partners’ standards.”

    CoreCivic said all detainees were supplied with face masks and denied any allegations that detainees were refused Covid tests. “Initially, detainees were asked to sign an acknowledgment form related to the use of the masks.” The spokesman said detainees were not placed in solitary confinement because of a positive test; he said there were “cohorting procedures … which are intended to prevent the spread of infection” which involve no loss of privileges or activities. CoreCivic denied claims of multiple suicide attempts saying “any such incident would be reported to our government partner”.

    Ice, which oversees the facilities, said the agency was “firmly dedicated to the health and safety of all individuals in our custody”.

    “Since the outbreak of Covid-19, Ice has taken extensive steps to safeguard all detainees, staff and contractors, including: reducing the number of detainees in custody by placing individuals on alternatives to detention programs, suspending social visitation, incorporating social distancing practices with staggered meals and recreation times, and through the use of testing, cohorting and medical isolation.”
    ‘Let me go back home and face my death’

    Mary – in Central Arizona Florence correctional complex one night, then Eloy detention center

    Mary was first detained in Mexico, where she arrived after traveling from her home in Uganda. She was eventually released, sought asylum in the US at a border checkpoint and was detained for five and a half months.

    Detention conditions were similar in the two countries, she said, except Mexican guards occasionally held days where people could socialize with family or friends who were also detained.

    The isolation Mary experienced in the US was intense. She didn’t speak to her young children in Africa the whole time because she couldn’t afford the costs of the calls and relied on a volunteer to relay messages between the mother and her children.

    Also, because she doesn’t speak Spanish, it was more difficult for her to make relationships with immigrants inside from mostly Spanish-speaking countries, and the schedules in the prison made it difficult to develop relationships with others.

    “The Cameroonians were there, but again, everybody used to feel sad, everybody used not to talk. It was like that, since you were sad all the time, you could not communicate, you could not joke.”

    She, like many others, described how many people just wanted to be deported instead of waiting out their time in detention.

    “One day I thought that if the judge denies me, I’ll just tell her or him, ‘Let me go back home and face my death, because I never wanted to stay in detention more. I was thinking about that, but I could not again decide since I was afraid of getting back home.

    https://www.theguardian.com/us-news/2021/jan/29/ice-immigration-detention-centers-drone-photography-rare-look-arizona
    #privatisation #complexe-militaro-industriel #business #asile #migrations #réfugiés #centres #centres_de_détention #détention_administrative #rétention #industrie #photographie #USA #Etats-Unis #enfermement #Californie

    ping @isskein

  • #Frontex suspend ses #opérations en Hongrie

    Frontex, l’agence de surveillance des frontières de l’UE, a annoncé mercredi qu’elle suspendait ses opérations en Hongrie après une décision de la Cour de justice européenne critiquant le système d’asile de ce pays.

    Frontex, l’agence de surveillance des frontières de l’UE, a annoncé mercredi qu’elle suspendait ses opérations en Hongrie après une décision de la #Cour_de_justice_européenne critiquant le système d’asile de ce pays.

    « Frontex a suspendu toutes ses #activités_opérationnelles sur le terrain en Hongrie », a déclaré à l’AFP Chris Borowski, le porte-parole de Frontex, dont le siège est à Varsovie.

    « Nos efforts communs pour protéger les frontières extérieures de l’UE ne peuvent réussir que si nous veillons à ce que notre coopération et nos activités soient pleinement conformes aux lois de l’UE », a-t-il déclaré.

    En décembre, la Cour de justice de l’Union européenne a constaté de nombreuses failles dans les procédures d’asile de la Hongrie, notamment l’#expulsion_illégale de migrants en provenance de #Serbie.

    Elle a également déclaré que les lois interdisant aux demandeurs d’asile de demeurer en Hongrie pendant que leur appel devant la justice était examiné étaient illégales et a critiqué la #détention de migrants dans des « #zones_de_transit ».

    Le Comité Helsinki hongrois (HHC), un organisme de surveillance non gouvernemental, a affirmé mardi que la Hongrie avait expulsé plus de 4.400 migrants depuis la décision de la Cour de justice de l’UE.

    « La décision de Frontex est importante puisque Frontex n’a jamais suspendu ses activités » auparavant, a déclaré Andras Lederer, un membre du HHC.

    M. Lederer a estimé que Frontex avait été forcée de suspendre ses opérations en Hongrie parce qu’elle risquait d’être tenue pour « complice » de la politique migratoire hongroise.

    https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/270121/frontex-suspend-ses-operations-en-hongrie?onglet=full

    #suspension #Hongrie #arrêt #stop #justice #CJUE #illégalité #complicité
    #asile #migrations #réfugiés #frontières #push-backs #refoulements #zones_frontalières

    ping @isskein @_kg_ @rhoumour @karine4

    • Frontex suspend ses activités en Hongrie, quelles conséquences pour la Serbie ?

      Le 27 janvier, l’agence européenne de gestion des frontières a suspendu ses activités en Hongrie, le temps que Budapest mette sa législation vis-à-vis des réfugiés en conformité avec le droit européen. Les associations serbes d’aide aux exilés s’inquiètent d’une décision potentiellement contreproductive.

      (Avec Radio Slobodna Evropa) – « La violence aux frontières et les retours illégaux de personnes en Serbie risquent de s’intensifier. » Voilà ce que craint Radoš Đurović, du Centre pour l’assistance aux demandeurs d’asile, une ONG basée à Belgrade, après la décision de Frontex, l’agence européenne de garde-frontières, de se retirer de Hongrie. Est-il possible, pourtant, d’envisager un scénario pire que la situation actuelle ? « On assiste tous les jours à des expulsions massives et à des scènes de violence », rappelle-t-il. « Les autorités hongroises ne prennent même pas la peine d’avertir leurs collègues serbes. Elles se contentent de pousser les réfugiés par centaines de l’autre côté de l’immense clôture de barbelés. »

      Frontex a suspendu ses activités en Hongrie le 27 janvier en attendant que le gouvernement de Viktor Orban harmonise la législation du pays avec l’arrêt rendu le 17 décembre par la Cour européenne de justice sur les demandes d’asile. Dès le lendemain, la Commission européenne a appelé Budapest à respecter les droits des réfugiés. « Je m’attends à ce que la Hongrie change sa politique et permette aux réfugiés de demander l’asile sur son territoire », a déclaré avec optimisme la commissaire aux Affaires intérieures, Ylva Johansson. « Une agence comme Frontex ne peut pas aider la Hongrie à empêcher des gens d’entrer sur son territoire si la Hongrie elle-même ne respecte pas les droits fondamentaux des migrants et les lois de l’UE. »

      Autrement dit, pour Bruxelles, il serait grand temps que Budapest commence à accepter les demandes d’asile et permette aux réfugiés de rester en Hongrie au moins le temps que leurs demandes soient examinées, et qu’elle mette un terme aux expulsions massives sans laisser la possibilité aux candidats à l’exil de déposer une demande d’asile. Selon Vladimir Petronijević, de Grupa 484, une ONG belgradoise d’aide aux réfugiés, Frontex a émis de sérieuses objections vis-à-vis de cette pratique qui contrevient aux principes de l’UE. « Il a été souligné que la partie hongroise met en œuvre en permanence l’expulsion collective de migrants et de réfugiés vers la Serbie, une pratique qui prévaut depuis plusieurs années. » Or, regrette-t-il, avec ou sans Frontex, ces expulsions risquent bel et bien de se poursuivre. « Je ne vois pas de raisons particulières qui empêcheraient la Hongrie de continuer à faire ce qu’elle a toujours fait depuis 2015. »

      Selon le Comité Helsinki en Hongrie, Budapest aurait expulsé plus de 4000 réfugiés de Hongrie depuis décembre dernier. « Nous continuerons à défendre le peuple hongrois et les frontières du pays et de l’UE », a d’ailleurs affirmé, le 28 janvier, le porte-parole du gouvernement de Viktor Orbán. Du côté de Belgrade, les autorités continuent de pratiquer la politique de l’autruche. « D’après ce que nous observons sur le terrain, la Serbie réagit peu à ces pratiques unilatérales, non seulement le long de la frontière hongroise, mais aussi des frontières croate et roumaine, peut-être parce qu’elle ne veut pas offenser les pays voisins membres de l’UE », estime Radoš Đurović. La Hongrie n’est en effet pas la seule à mettre en œuvre ces mauvaises pratiques : la Croatie lui a depuis longtemps emboîté le pas, de même que la Roumanie ou encore la Macédoine du Nord.

      https://www.courrierdesbalkans.fr/Frontex-Hongrie

  • La crise sanitaire aggrave les troubles psy des jeunes migrants

    Les « migrants » sont une population composite recouvrant des #statuts_administratifs (demandeurs d’asile, réfugiés, primo-arrivants…) et des situations sociales disparates. Certains appartiennent à des milieux sociaux plutôt aisés et éduqués avec des carrières professionnelles déjà bien entamées, d’autres, issus de milieux sociaux défavorisés ou de minorités persécutées, n’ont pas eu accès à l’éducation dans leur pays d’origine.

    Et pourtant, une caractéristique traverse ce groupe : sa #jeunesse.

    Ainsi, selon les chiffres d’Eurostat, au premier janvier 2019, la moitié des personnes migrantes en Europe avait moins de 29 ans ; l’âge médian de cette population se situant à 29,2 ans, contre 43,7 pour l’ensemble de la population européenne. Cette particularité est essentielle pour comprendre l’état de santé de cette population.

    En effet, on constate que, du fait de sa jeunesse, la population migrante en Europe est globalement en #bonne_santé physique et parfois même en meilleure #santé que la population du pays d’accueil. En revanche, sa santé mentale pose souvent problème.

    Des #troubles graves liés aux #parcours_migratoires

    Beaucoup de jeunes migrants – 38 % de la population totale des migrants selon une recherche récente – souffrent de #troubles_psychiques (#psycho-traumatismes, #dépressions, #idées_suicidaires, #perte_de_mémoire, #syndrome_d’Ulysse désignant le #stress de ceux qui vont vivre ailleurs que là où ils sont nés), alors que la #psychiatrie nous apprend que le fait migratoire ne génère pas de #pathologie spécifique.

    Les troubles dont souffrent les jeunes migrants peuvent résulter des #conditions_de_vie dans les pays d’origine (pauvreté, conflits armés, persécution…) ou des #conditions_du_voyage migratoire (durée, insécurité, absence de suivi médical, en particulier pour les migrants illégaux, parfois torture et violences) ; ils peuvent également être liés aux #conditions_d’accueil dans le pays d’arrivée.

    De multiples facteurs peuvent renforcer une situation de santé mentale déjà précaire ou engendrer de nouveaux troubles : les incertitudes liées au #statut_administratif des personnes, les difficultés d’#accès_aux_droits (#logement, #éducation ou #travail), les #violences_institutionnelles (la #répression_policière ou les #discriminations) sont autant d’éléments qui provoquent un important sentiment d’#insécurité et du #stress chez les jeunes migrants.

    Ceci est d’autant plus vrai pour les #jeunes_hommes qui sont jugés comme peu prioritaires, notamment dans leurs démarches d’accès au logement, contrairement aux #familles avec enfants ou aux #jeunes_femmes.

    Il en résulte des périodes d’#errance, de #dénuement, d’#isolement qui détériorent notablement les conditions de santé psychique.

    De nombreuses difficultés de #prise_en_charge

    Or, ainsi que le soulignent Joséphine Vuillard et ses collègues, malgré l’engagement de nombreux professionnels de santé, les difficultés de prise en charge des troubles psychiques des jeunes migrants sont nombreuses et réelles, qu’il s’agisse du secteur hospitalier ou de la médecine ambulatoire.

    Parmi ces dernières on note l’insuffisance des capacités d’accueil dans les #permanences_d’accès_aux_soins_de_santé (#PASS), l’incompréhension des #procédures_administratives, le besoin d’#interprétariat, des syndromes psychotraumatiques auxquels les professionnels de santé n’ont pas toujours été formés.

    Les jeunes migrants sont par ailleurs habituellement très peu informés des possibilités de prise en charge et ne recourent pas aux soins, tandis que les dispositifs alternatifs pour « aller vers eux » (comme les #maraudes) reposent essentiellement sur le #bénévolat.
    https://www.youtube.com/watch?v=Pn29oSxVMxQ&feature=emb_logo

    Dans ce contexte, le secteur associatif (subventionné ou non) tente de répondre spécifiquement aux problèmes de santé mentale des jeunes migrants, souvent dans le cadre d’un accompagnement global : soutien aux démarches administratives, logement solidaire, apprentissage du français, accès à la culture.

    Organisateurs de solidarités, les acteurs associatifs apportent un peu de #stabilité et luttent contre l’isolement des personnes, sans nécessairement avoir pour mission institutionnelle la prise en charge de leur santé mentale.

    Ces #associations s’organisent parfois en collectifs inter-associatifs pour bénéficier des expertises réciproques. Malgré leur implantation inégale dans les territoires, ces initiatives pallient pour partie les insuffisances de la prise en charge institutionnelle.

    Des situations dramatiques dans les #CRA

    Dans un contexte aussi fragile, la #crise_sanitaire liée à la #Covid-19 a révélé au grand jour les carences du système : si, à la suite de la fermeture de nombreux #squats et #foyers, beaucoup de jeunes migrants ont été logés dans des #hôtels ou des #auberges_de_jeunesse à l’occasion des #confinements, nombreux sont ceux qui ont été livrés à eux-mêmes.

    Leur prise en charge sociale et sanitaire n’a pas été pensée dans ces lieux d’accueil précaires et beaucoup ont vu leur situation de santé mentale se détériorer encore depuis mars 2020.

    Les situations les plus critiques en matière de santé mentale sont sans doute dans les #Centres_de_rétention_administrative (CRA). Selon le rapport 2019 de l’ONG Terre d’Asile, sont enfermés dans ces lieux de confinement, en vue d’une #expulsion du sol national, des dizaines de milliers de migrants (54 000 en 2019, dont 29 000 en outremer), y compris de nombreux jeunes non reconnus comme mineurs, parfois en cours de #scolarisation.

    La difficulté d’accès aux soins, notamment psychiatriques, dans les CRA a été dénoncée avec véhémence dans un rapport du Contrôleur général des lieux de privation de liberté (CGLPL) en février 2019, suivi, à quelques mois d’écart, d’un rapport tout aussi alarmant du Défenseur des droits.

    La #rupture de la #continuité des #soins au cours de leur rétention administrative est particulièrement délétère pour les jeunes migrants souffrant de pathologies mentales graves. Pour les autres, non seulement la prise en charge médicale est quasi-inexistante mais la pratique de l’isolement à des fins répressives aggrave souvent un état déjà à risque.

    La déclaration d’#état_d’urgence n’a pas amélioré le sort des jeunes migrants en rétention. En effet, les CRA ont été maintenus ouverts pendant les périodes de #confinement et sont devenus de facto le lieu de placement d’un grand nombre d’étrangers en situation irrégulière sortant de prison, alors que la fermeture des frontières rendait improbables la reconduite et les expulsions.

    Un tel choix a eu pour conséquence l’augmentation de la pression démographique (+23 % en un an) sur ces lieux qui ne n’ont pas été conçus pour accueillir des personnes psychologiquement aussi vulnérables et pour des périodes aussi prolongées.

    Des espaces anxiogènes

    De par leur nature de lieu de #privation_de_liberté et leur vocation de transition vers la reconduction aux frontières, les CRA sont de toute évidence des #espaces_anxiogènes où il n’est pas simple de distinguer les logiques de #soins de celles de #contrôle et de #répression, et où la consultation psychiatrique revêt bien d’autres enjeux que des enjeux thérapeutiques. Car le médecin qui apporte un soin et prend en charge psychologiquement peut aussi, en rédigeant un #certificat_médical circonstancié, contribuer à engager une levée de rétention, en cas de #péril_imminent.

    Les placements en CRA de personnes atteintes de pathologies psychologiques et/ou psychiatriques sont en constante hausse, tout comme les actes de #détresse (#automutilations et tentatives de #suicide) qui ont conduit, depuis 2017, cinq personnes à la mort en rétention.

    La prise en charge effective de la santé mentale des jeunes migrants se heurte aujourd’hui en France aux contradictions internes au système. Si les dispositifs sanitaires existent et sont en théorie ouverts à tous, sans condition de nationalité ni de régularité administrative, l’état d’incertitude et de #précarité des jeunes migrants, en situation irrégulière ou non, en fait un population spécialement vulnérable et exposée.

    Sans doute une plus forte articulation entre la stratégie nationale de prévention et lutte contre la pauvreté et des actions ciblées visant à favoriser l’intégration et la stabilité via le logement, l’éducation et l’emploi serait-elle à même de créer les conditions pour une véritable prévention des risques psychologiques et une meilleure santé mentale.

    https://theconversation.com/la-crise-sanitaire-aggrave-les-troubles-psy-des-jeunes-migrants-152

    #crise_sanitaire #asile #migrations #réfugiés #jeunes_migrants #santé_mentale #troubles_psychologiques #genre #vulnérabilité #bénévolat #rétention #détention_administrative #sans-papiers

    ping @isskein @karine4

  • La santé mentale est un enjeu crucial des migrations contemporaines

    Si la migration est source d’espoirs liés à la découverte de nouveaux horizons, de nouveaux contextes sociaux et de nouvelles perspectives économiques, elle est également à des degrés divers un moment de rupture sociale et identitaire qui n’est pas sans conséquence sur la santé mentale.

    #Abdelmalek_Sayad, l’un des sociologues des migrations les plus influents de ces dernières décennies, a défini la condition du migrant comme étant suspendu entre deux mondes parallèles. #Sayad nous dit que le migrant est doublement absent, à son lieu d’origine et son lieu d’arrivée.

    Il est, en tant qu’émigrant, projeté dans une condition faite de perspectives et, très souvent, d’illusions qui l’éloignent de son lieu d’origine. Mais le migrant est tout aussi absent dans sa #condition ^_d’immigré, dans les processus d’#adaptation à un contexte nouveau et souvent hostile, source de nombreuses #souffrances.

    Quelles sont les conséquences de cette #double_absence et plus largement de cette transition de vie dans la santé mentale des migrants ?

    Migrer implique une perte de #capital_social

    Migrer, c’est quitter un #univers_social pour un autre. Les #contacts, les #échanges et les #relations_interpersonnelles qui soutiennent chacun de nous sont perturbés, fragmentés ou même rompus durant cette transition.

    Si pour certains la migration implique un renforcement du capital social (ou économique), dans la plupart des cas elle mène à une perte de capital social. Dans un entretien mené en 2015, un demandeur d’asile afghan souligne cette #rupture_sociale et la difficulté de maintenir des liens avec son pays d’origine :

    « C’est très difficile de quitter son pays parce que ce n’est pas seulement ta terre que tu quittes, mais toute ta vie, ta famille. J’ai des contacts avec ma famille de temps en temps, mais c’est difficile parce que les talibans détruisent souvent les lignes de téléphone, et donc, c’est difficile de les joindre. »

    Pour contrer ou éviter cette perte de capital social, de nombreux #réseaux_transnationaux et organisations d’immigrants dans les pays d’accueil sont créés et jouent dans la vie des migrants un rôle primordial.

    À titre d’exemple, la migration italienne d’après-guerre s’est caractérisée par une forte structuration en #communautés. Ils ont créé d’importants organisations et réseaux, notamment des organisations politiques et syndicales, des centres catholiques et culturels, dont certains sont encore actifs dans les pays de la #diaspora italienne.

    L’#environnement_social et la manière dont les sociétés d’arrivée vont accueillir et inclure les migrants, vont être donc des éléments clés dans la #résilience de ces populations face aux défis posés par leur trajectoire de vie et par leur #parcours_migratoire. Les migrants peuvent en effet rencontrer des situations qui mettent en danger leur #santé physique et mentale dans leur lieu d’origine, pendant leur transit et à leur destination finale.

    Cela est particulièrement vrai pour les migrants forcés qui sont souvent confrontés à des expériences de #détention, de #violence et d’#exploitation susceptibles de provoquer des #troubles_post-traumatiques, dépressifs et anxieux. C’est le cas des centaines de milliers de réfugiés qui fuient les #conflits_armés depuis 2015, principalement dans les régions de la Syrie et de l’Afrique subsaharienne.

    Ces migrants subissent des #violences tout au long de leur parcours, y compris la violence des lois de l’asile dans nos sociétés.

    L’environnement social est une des clés de la santé mentale

    Dans son document d’orientation « Mental health promotion and mental health care in refugees and migrants », l’Organisation mondiale de la santé (OMS) indique l’#intégration_sociale comme l’un des domaines d’intervention les plus importants pour combattre les problèmes de santé mentale dans les populations migrantes.

    Pour l’OMS, la lutte contre l’#isolement et la promotion de l’#intégration sont des facteurs clés, tout comme les interventions visant à faciliter le relations entre les migrants et les services de soins, et à améliorer les pratiques et les traitements cliniques.

    Cependant, l’appartenance à des réseaux dans un environnement social donné est une condition essentielle pour le bien-être mental de l’individu, mais elle n’est pas suffisante.

    Le philosophe allemand #Axel_Honneth souligne notamment que la #confiance_en_soi, l’#estime_de_soi et la capacité à s’ouvrir à la société trouvent leurs origines dans le concept de #reconnaissance. Chaque individu est mu par le besoin que son environnement social et la société, dans laquelle il ou elle vit, valorisent ses #identités et lui accordent une place comme #sujet_de_droit.

    Les identités des migrants doivent être reconnues par la société

    À cet égard, se construire de nouvelles identités sociales et maintenir une #continuité_identitaire entre l’avant et l’après-migration permet aux migrants de diminuer les risques de #détresse_psychologique.

    https://www.youtube.com/watch?v=oNC4C4OqomI&feature=emb_logo

    Être discriminé, exclu ou ostracisé du fait de ses appartenances et son identité affecte profondément la santé mentale. En réaction à ce sentiment d’#exclusion ou de #discrimination, maintenir une estime de soi positive et un #équilibre_psychosocial passe souvent parla prise de distance par rapport à la société discriminante et le #repli vers d’autres groupes plus soutenants.

    La #reconnaissance_juridique, un élément central

    Or ce principe de reconnaissance s’articule tant au niveau de la sphère sociale qu’au niveau juridique. Dans les sociétés d’accueil, les migrants doivent être reconnus comme porteurs de droits civils, sociaux et politiques.

    Au-delà des enjeux pragmatiques liés à l’accès à des services, à une protection ou au #marché_de_l’emploi, l’obtention de droits et d’un #statut_juridique permet de retrouver une forme de contrôle sur la poursuite de sa vie.

    Certaines catégories de migrants vivant soit en procédure pour faire reconnaître leurs droits, comme les demandeurs d’asile, soit en situation irrégulière, comme les « #sans-papiers », doivent souvent faire face à des situations psychologiquement compliquées.

    À cet égard, les sans-papiers sont presque totalement exclus, privés de leurs #droits_fondamentaux et criminalisés par la justice. Les demandeurs d’asile sont quant à eux souvent pris dans la #bureaucratie du système d’accueil durant des périodes déraisonnablement longues, vivant dans des conditions psychologiques difficiles et parfois dans un profond #isolement_social. Cela est bien exprimé par un jeune migrant kenyan que nous avions interviewé en 2018 dans une structure d’accueil belge :

    « Je suis arrivé quand ils ont ouvert le [centre d’accueil], et je suis toujours là ! Cela fait presque trois ans maintenant ! Ma première demande a été rejetée et maintenant, si c’est un “non”, je vais devoir quitter le territoire. […] Tous ces jours, les mois d’attente, pour quoi faire ? Pour rien avoir ? Pour devenir un sans-papiers ? Je vais devenir fou, je préfère me tuer. »

    Être dans l’#attente d’une décision sur son statut ou être dénié de droits plonge l’individu dans l’#insécurité et dans une situation où toute #projection est rendue compliquée, voire impossible.

    Nous avons souligné ailleurs que la lourdeur des procédures et le sentiment de #déshumanisation dans l’examen des demandes d’asile causent d’importantes #frustrations chez les migrants, et peuvent avoir un impact sur leur #bien-être et leur santé mentale.

    La migration est un moment de nombreuses #ruptures sociales et identitaires face auxquelles les individus vont (ré)agir et mobiliser les ressources disponibles dans leur environnement. Donner, alimenter et construire ces ressources autour et avec les migrants les plus vulnérables constitue dès lors un enjeu de #santé_publique.

    https://theconversation.com/la-sante-mentale-est-un-enjeu-crucial-des-migrations-contemporaines

    #santé_mentale #asile #migrations #réfugiés

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  • Rapport thématique – Durcissements à l’encontre des Érythréen·ne·s : actualisation 2020

    Deux ans après une première publication sur la question (https://odae-romand.ch/rapport/rapport-thematique-durcissements-a-lencontre-des-erythreen%c2%b7ne%c2%b7), l’ODAE romand sort un second rapport. Celui-ci offre une synthèse des constats présentés en 2018, accompagnée d’une actualisation de la situation.

    Depuis 2018, l’ODAE romand suit de près la situation des requérant·e·s d’asile érythréen∙ne∙s en Suisse. Beaucoup de ces personnes se retrouvent avec une décision de renvoi, après que le #Tribunal_administratif_fédéral (#TAF) a confirmé la pratique du #Secrétariat_d’État_aux_Migrations (#SEM) amorcée en 2016, et que les autorités ont annoncé, en 2018, le réexamen des #admissions_provisoires de quelque 3’200 personnes.

    En 2020, le SEM et le TAF continuent à appliquer un #durcissement, alors que la situation des droits humains en #Érythrée ne s’est pas améliorée. Depuis près de quatre ans, les décisions de renvoi tombent. De 2016 à à la fin octobre 2020, 3’355 Érythréen·ne·s avaient reçu une décision de renvoi suite à leur demande d’asile.

    Un grand nombre de requérant·e·s d’asile se retrouvent ainsi débouté·e·s.

    Beaucoup des personnes concernées, souvent jeunes, restent durablement en Suisse, parce que très peu retournent en Érythrée sur une base volontaire, de peur d’y être persécutées, et qu’il n’y a pas d’accord de réadmission avec l’Érythrée. Au moment de la décision fatidique, elles perdent leur droit d’exercer leur métier ou de se former et se retrouvent à l’#aide_d’urgence. C’est donc à la constitution d’un groupe toujours plus important de jeunes personnes, exclues mais non renvoyables, que l’on assiste.

    C’est surtout en cédant aux pressions politiques appelant à durcir la pratique – des pressions renforcées par un gonflement des statistiques du nombre de demandes d’asile – que la Suisse a appréhendé toujours plus strictement la situation juridique des requérant∙e∙s d’asile provenant d’Érythrée. Sur le terrain, l’ODAE romand constate que ces durcissements se traduisent également par une appréciation extrêmement restrictive des motifs d’asile invoqués par les personnes. D’autres obstacles limitent aussi l’accès à un examen de fond sur les motifs d’asile. Au-delà de la question érythréenne, l’ODAE romand s’inquiète pour le droit d’asile au sens large. L’exemple de ce groupe montre en effet que l’application de ce droit est extrêmement perméable aux incitations venues du monde politique et peut être remaniée sans raison manifeste.

    https://odae-romand.ch/rapport/rapport-thematique-durcissements-a-lencontre-des-erythreen%c2%b7ne%c2%b7

    Pour télécharger le rapport :
    https://odae-romand.ch/wp/wp-content/uploads/2020/12/RT_erythree_2020-web.pdf

    #rapport #ODAE_romand #Erythrée #Suisse #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_érythréens #droit_d'asile #protection #déboutés #permis_F #COI #crimes_contre_l'humanité #service_militaire #travail_forcé #torture #viol #détention_arbitraire #violences_sexuelles #accord_de_réadmission #réadmission #déboutés #jurisprudence #désertion #Lex_Eritrea #sortie_illégale #TAF #justice #audition #vraisemblance #interprètes #stress_post-traumatique #traumatisme #trauma #suspicion #méfiance #procédure_d'asile #arbitraire #preuve #fardeau_de_la_preuve #admission_provisoire #permis_F #réexamen #santé_mentale #aide_d'urgence #sans-papiers #clandestinisation #violence_généralisée

    ping @isskein @karine4

  • Refugees detained in #Melbourne hotel ’devastated’ as they await move to another site

    About 60 men are to be relocated from the #Mantra in #Preston, the site of protest rallies
    Refugees and asylum seekers detained at a Melbourne hotel for more than a year are said to be “devastated” and “confused” as they await their relocation to another as-yet undisclosed site.

    About 60 men, who are detained at the #Mantra_hotel in Preston in Melbourne’s north, were told by the Australian border force on Monday they would soon be moved because the contract with the hotel was expiring. They received no further details.

    The announcement dashed hopes that the men might be released into the community, after five asylum seekers were granted visas last week. The five, like the men at the Mantra hotel, were brought to Australia from Manus Island under the now-defunct medevac legislation.

    As part of the Lives in Limbo series, Guardian Australia reported on Tuesday that the vast majority of the 192 refugees and asylum seekers who were evacuated to Australia for medical treatment are still being detained.

    Alison Battisson, a lawyer who represents four of the men at the Mantra, said it was still unclear when the men would be moved, though she expected the relocation to take place on Tuesday or Wednesday.

    In the meantime, advocates have formed a picket line outside the hotel, where they are expected to stay until the men are moved.

    Battisson said her clients were “devastated” and “very disappointed” by the Border Force announcement on Monday, especially given some of their friends had been released last week.

    Noeline Harendran, of Sydney West Legal, which also represents some people detained at the Mantra, said her clients were “anxious and really confused”.

    “They haven’t been able to have fresh air, sunlight, since the beginning of the year,” she said. “They can’t go for walks outside, things that people have taken for granted, they haven’t been able to do.”

    The five people released last week, who were represented by Sydney West Legal, were granted visas days before the federal government was required to make submissions in their cases to the federal court.

    Harendran said she was still hopeful the men at the Mantra would also be released into the community.

    One refugee there, Mostafa “Moz” Azimitabar, said Border Force officials had provided few details on Monday. “They didn’t talk about [a] visa, they said there’s no visa or any other information,” he said.

    “I said, ‘Where is the location?’ And they said they didn’t know. I said, ‘Is it Christmas Island?’ And they said no.”

    On Monday the Department of Home Affairs said the men would be relocated to another site in Melbourne. It added that no one who had been under the regional processing regime would be settled in Australia.

    Azimitabar said he and his fellow detainees were thankful to dozens of protesters who had rallied outside the hotel until 4am on Tuesday.

    “They give us hope, always,” he said. “We are all sad, we are all depressed, upset. But when we see people protesting for us, we are hopeful. It helps us not to give up.”

    Omar Hassan, from the Campaign Against Racism and Fascism, said some of the detainees had been communicating with the protesters from their windows on Monday night.

    “We were doing call-and-response chants … they were doing the classic symbol of resistance [crossing their arms above their heads],” Hassan said. “They keep shouting, ‘Thank you, thank you.’”

    Dozens of protesters including refugee advocates and trade unionistswere again gathering at the site on Tuesday evening.

    Another of the detainees, Ismail Hussein, 29, from Somalia, told Guardian Australia on Monday the conditions were “more difficult than what we experienced in Manus Island”.

    “Maybe one hour of gym – that’s the only time that I am not in my room,” he said. “The rest of the day, I’m lying on my bed or sitting on the chair.”

    The Department of Home Affairs was contacted for further comment.

    https://www.theguardian.com/australia-news/2020/dec/15/refugees-detained-in-melbourne-hotel-devastated-as-they-await-move-to-a

    #hotel #tourisme #asile #migrations #réfugiés #détention_administrative #rétention #Australie

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    ajouté à la métaliste migrations et tourisme:
    https://seenthis.net/messages/770799

  • LOCKED UP AND EXCLUDED. Informal and illegal detention in Spain, Greece, Italy and Germany

    The report of Migreurop “Locked up and excluded" : Informal and illegal detention in Spain, Greece, Italy and Germany” looks back at how four EU member states practiced the administrative detention of non- nationals in 2019. The report shows how, in both first arrival countries such as Italy, Greece and Spain and in a presumed destination country, Germany, the detention of non-nationals is evolving, taking new forms and based on new grounds. In particular, this report argues that, in 2019, administrative detention was increasingly happening outside or at the margins of existing legal frameworks. We consider that locking migrants up without respecting or by bending existing legislations amounted to a generalization of ad hoc and informal detention and that it led to the further precarisation and deterioration of detention conditions.

    The recent release of the New Pact on Migration and Asylum has triggered debates about whether this proposal by the European Commission will improve the situation of migrants and asylum seekers and the way migration is governed in the EU. This report shows that many of the practices proposed in the Pact are in fact already been taking place in member states and that they are harmful for migrants and asylum seekers.

    The way detention is evolving in different member states is not homogenous across EU territory. The form, modalities and grounds taken by administrative detention depend on national contexts and on the geographic position of each member state in the EU border regime. The Migreurop network has long argued that the EU has developed a regime of migration and border governance that is premised on an unequal sharing of control duties within and outside the EU territory, with peripheral member states tasked to filter unwanted mobilities on behalf of their northern and western counterparts. Within this system, the twin practices of detention and deportation have been playing a key role.


    http://www.migreurop.org/article3010.html

    Pour télécharger le rapport :
    http://www.migreurop.org/IMG/pdf/gue_migreurop.pdf

    #rapport #Migreurop #enfermement #détention #rétention #détention_administrative #Espagne #Italie #Grèce #Allemagne #cartographie #visualisation #détention_illégale #enfermement #asile #migrations #réfugiés #rapport #hotspots #hotspot

    ping @_kg_ @karine4

    • EXILÉ·E·S ENFERMÉ·E·S ET EXCLU·E·S. #Détention_informelle et illégale en #Espagne, en #Grèce, en #Italie et en #Allemagne

      Le rapport de #Migreurop « Exilé·e·s enfermé·e·s et exclu·e·s - Détention informelle et illégale en Espagne, en Grèce, en Italie et en Allemagne » examine, dans quatre États membres de l’Union européenne (UE) en 2019, le recours à la #détention_administrative des étranger·e·s. Il démontre comment, tant dans les pays de première arrivée comme l’Italie, la Grèce et l’Espagne que dans un pays de destination présumé comme l’Allemagne, la détention des étranger·e·s évolue, en prenant de nouvelles formes et sur la base de nouveaux motifs. En particulier, ce rapport dénonce qu’en 2019 les autorités eurent davantage recours à la détention administrative en dehors ou en marge des cadres juridiques existants. Le réseau Migreurop considère que le fait d’enfermer les exilé·e·s sans respecter ou en détournant les législations afférentes équivaut à une généralisation de la détention ad hoc et informelle, et qu’elle conduit à une précarisation et une détérioration supplémentaires des #conditions_de_détention.

      La récente présentation du nouveau #Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile a suscité des débats quant à savoir si cette proposition de la Commission européenne améliorerait la situation des exilé·e·s et la manière dont les migrations sont régies au sein de l’UE. Ce rapport montre que nombre des mesures proposées dans le #Pacte sont en réalité des pratiques déjà mises en oeuvre par les États membres et qu’elles sont préjudiciables aux exilé·e·s.

      L’évolution de la détention dans les différents États membres n’est pas homogène sur le territoire de l’UE. La forme, les modalités et les motifs de la détention administrative dépendent des contextes nationaux et de la position géographique de chaque État membre dans le régime frontalier de l’UE. Migreurop soutient depuis longtemps que l’UE a développé un régime de migration et de gouvernance des frontières qui repose sur un partage inégal des tâches de contrôle à l’intérieur et à l’extérieur du territoire de l’UE, les États membres en périphérie étant chargés de filtrer les mobilités jugées « indésirables » pour le compte de leurs homologues du Nord et de l’Ouest. Dans ce système, la double pratique de la détention et de l’#expulsion joue un rôle clé.

      http://www.migreurop.org/article3020.html

    • Migration : des Etats européens recourent de plus en plus à des détentions illégales

      Conduite par Migreurop, un réseau d’associations et de chercheurs, une étude examine comment quatre Etats – Espagne, Grèce, Italie et aussi Allemagne – recourent à une politique de détention arbitraire des étrangers.

      Accaparée par la pandémie, les questions budgétaires ou l’accord sur les investissements avec la Chine, la présidence allemande de l’Union ne l’aura pas fait progresser lors du second semestre 2020. Le débat sur un éventuel « pacte européen sur la migration » est, en tout cas, loin d’être achevé, avec des divergences persistantes entre les Etats membres et une discussion qui s’annonce tendue au Parlement. La Commission garde toutefois l’espoir de forger un consensus autour du texte qu’elle a déposé en septembre et qui vise à mieux gérer les frontières extérieures, à instaurer une solidarité obligée entre les pays et, aussi, à accélérer les contrôles à l’entrée dans l’Union, ainsi que les retours des personnes. Pour prévenir les refoulements abusifs, un mécanisme de contrôle serait confié à l’Agence européenne des droits fondamentaux, une institution basée à Vienne.

      Depuis, les révélations sur les renvois illégaux de migrants et les questions sur le rôle de l’agence Frontex – censée participer plus activement à la gestion des retours – se sont multipliées. De quoi susciter de nouvelles inquiétudes au Parlement, où de nombreux eurodéputés ne croient guère en la promesse d’un texte censé mêler harmonieusement les notions de solidarité, de respect de droits humains et de contrôles renforcés. Selon plusieurs groupes politiques, les Etats tenteront, au contraire, de renforcer l’aspect sécuritaire du « pacte ».

      Une nouvelle étude va renforcer la conviction de ces parlementaires. Conduite par Migreurop, un réseau d’associations et de chercheurs issus d’une vingtaine de pays, et intitulée Exilé-e-s, enfermé-e-s et exclu-e-s, elle examine en détail comment quatre Etats confrontés à la pression migratoire ont eu de plus en plus fréquemment recours, en 2019 et par la suite, à une politique de détention arbitraire des étrangers. L’enquête évoque la situation dans trois pays de première arrivée (Espagne, Grèce et Italie) mais aussi en Allemagne. Un autre volet, concernant notamment les Balkans, sera publié en 2021.
      « Hot spots » saturés

      On savait qu’un peu partout, les refus d’admission et les expulsions d’étrangers étaient plus nombreux, conformément à la volonté générale d’une politique plus ferme. On savait moins qu’elle s’accompagnait d’un recours fréquent à la détention, avec des pratiques qui se situent en marge, ou en dehors des lois. Le tout dans un contexte où les tâches restent très inégalement réparties entre les Vingt-Sept.

      Les pays de première arrivée sont contraints de filtrer et de trier les demandeurs et, également, de refouler massivement (493 000 personnes en Espagne, par exemple, pour la seule année 2019). Ils doivent aussi prévoir des procédures de rétention aux frontières, le temps de l’examen des dossiers. C’est dans ce but que les bases juridiques ont été « adaptées » et que des migrants sont désormais enfermés dans des lieux informels, des zones frontalières, des postes de police ou de douane, où leurs droits à l’information ou à l’assistance d’un avocat sont inexistants. Des centres prévus, en principe, pour l’accueil ou une rétention temporaire sont également devenus des sortes de prison.

      Quant aux « hot spots », créés à l’origine pour une identification rapide des exilés, ils ont, eux aussi, été saturés : celui de Lampedusa, en Italie, était prévu pour 96 personnes et en a abrité 300 ; ceux établis en Grèce ont eu jusqu’à 38 000 occupants, pour 6 000 places prévues.
      Tâches déléguées au secteur privé

      Les migrants et demandeurs d’asile qui parviennent à se frayer un chemin vers d’autres pays, de l’ouest ou de nord, seront eux aussi confrontés à des mécanismes de détention. Soit, parce qu’en vertu du règlement de Dublin – toujours en vigueur –, ils doivent être renvoyés vers le pays européen de première arrivée, soit parce que des accords de réadmission conclus avec la Turquie, l’Afghanistan ou des pays africains prévoient leur expulsion. L’Allemagne, par exemple, qui a refusé d’admettre 6 730 personnes en 2019 et en a expulsé 22 000, a adapté sa législation afin de permettre le placement de déboutés en prison, en contravention avec la loi européenne.

      La Grèce a, quant à elle, placé 195 mineurs en détention, tandis qu’en Espagne, les CATEs, centres d’assistance temporaire, ont été créés en dehors du cadre légal et sont en fait des institutions fermées soumises au contrôle direct de la police.

      Migreurop s’inquiète désormais que le « Pacte » élaboré par la Commission généralise les pratiques de détention illégale, avec son système de contrôle préalable à l’entrée sur le territoire. Le secteur privé, en revanche, pourrait se frotter les mains : débordés, des Etats confient à de grandes sociétés des tâches administratives et de surveillance. En Allemagne, rappelle l’ONG, une société de conseil a décroché un contrat de 29 millions d’euros pour aider l’office de la migration à examiner les demandes d’asile – ce qui a entraîné une forte hausse des expulsions et des détentions.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2021/01/04/migration-des-etats-europeens-recourent-de-plus-en-plus-a-des-detentions-ill

  • New policy brief : Not all returns can result in sustainable reintegration


    https://cris.unu.edu/sites/cris.unu.edu/files/PB20.3%20-%20Jill%20Alpes%20and%20Izabella%20Majcher.pdf

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    Commentaire de Jill Alpes via la mailing-list Migreurop :

    Returns can both exacerbate existing, as well as create new vulnerabilities. #IzabellaMajcher and #Jill_Alpes published a policy brief with UNU-CRIS, entitled “Who can be sustainably reintegrated after return? Using post-return monitoring for rights-based return policies.” (https://cris.unu.edu/sites/cris.unu.edu/files/PB20.3%20-%20Jill%20Alpes%20and%20Izabella%20Majcher.pdf) In the brief, they argue that rights-based return policies need more robust vulnerability assessments and more extensive monitoring of people’s access to rights and well-being after return.

    - For a video presentation of the police brief, please feel free to check out this recorded webinar organised by Statewatch (starting at 54 minutes: https://www.statewatch.org/publications/events/deportation-union-revamped-return-policies-and-reckless-forced-removals).
    – Thanks to a collaboration with PICUM and a series of artists, we also have an illustrated booklet of selected testimonies. “Removed Stories: Stories of hardship and resilience in facing deportation and its aftermath” (https://picum.org/wp-content/uploads/2020/09/Removed-stories.pdf) highlights the impact of EU return policies on people’s lives and dreams.
    - For a short summary in French of some of the key lessons we can learn from post-return interviews for rights-based return policies, please feel free to explore either the Summary of Workshop - “Au dela du retours” (https://www.vluchtelingenwerk.be/system/tdf/fr_au-dela_du_retour.pdf?file=1&type=document) -organized by a collective of Belgian NGOs (p. 29 - 31) - or this intervention (https://vimeo.com/389291559

    ) at an event organized by the Cimade (starting 14 minutes).

    Few selected tweets by the United Nations University - CRIS:
    UNU - CRIS Tweets:

    - “Returns can create new vulnerabilities for certain profiles of migrants in particular. For example, people might not be vulnerable in Europe but will become so upon deportation to their country of nationality if they do not have families or social networks there, have not spent a significant number of years in their country of nationality (and might thus lack the necessary language skills for basic survival), or had been internally displaced beforehand. Deporting countries should take these specific returnee profiles into consideration when both issuing removal orders and deciding whether and how these removal orders are to be implemented.”
    - “The weakness or strength of people’s social networks in countries of nationality should be part of vulnerability assessments prior to return. Deporting countries should also consider not just existing social policies in countries of nationality, but also real impediments to services and entitlements that returnees will likely face upon return. Such barriers are typically stronger for those who are returned after long periods abroad and for those who have other pre-existing vulnerabilities.”
    - “States need to implement rights-based post-return monitoring. People who suffer from exacerbated or new vulnerabilities are less likely to be able to build up new life projects necessary for their “sustainable reintegration” in countries of nationality. Financial investments into reintegration assistance would thus not be able to achieve declared policy objectives.”

    https://cris.unu.edu/sites/cris.unu.edu/files/PB20.3%20-%20Jill%20Alpes%20and%20Izabella%20Majcher.pdf

    #réintégration #asile #migrations #réfugiés #renvois #expulsions #après-expulsion

    ping @_kg_ @rhoumour @karine4

  • Malta: Court condemns arbitrary detention of asylum seekers as ‘abusive and farcical’

    A Court has condemned the arbitrary detention of four asylum seekers and has ordered their immediate release.

    The four men who arrived in Malta on 7 June 2020, were detained for 166 days at Ħal Safi and Ħal Far.

    Aditus Foundation director and lawyer Dr Neil Falzon filed an application of habeas corpus on behalf of the four asylum seekers before the court of magistrates maintaining that their continued detention is unlawful. Falzon also asked for their immediate release.

    In their application, the four asylum seekers said that they were not given any reasons for their continued detention which is in breach of their fundamental human rights. Furthermore, they had applied for asylum and their presence in Malta thus was regulated through such an application.

    In court it emerged that their detention is the result of a policy adopted by the administration to the effect that when there is no place at the Open Centres, asylum seekers are taking to the detention centres against their will. This arises from the fact that there is no alternative accommodation made available.

    The court ordered the release of the four men and condemned the abuse and the authorities’ “farcical” behaviour for depriving them of their liberty in an arbitrary manner without any legal justification.

    The request for their immediate release was upheld since their continued detention is not based on any disposition of any law.

    Since the government did not offer any accommodation, the court also took note that the the four men will be hosted in a property made available to Aditus Foundation until adequate accommodation is found for the plaintiffs.
    Abusive and farcical indeed – aditus Foundation

    Aditus Foundation has welcomed the strong condemnation of the government’s action by the court, adding that the use of ‘abusive and farcical’ describes the human rights mess created by the government.

    “Malta refuses much-needed support from the European Union to create more space for refugees, and then locks up people because of this very lack of space. Abusive and farcical indeed,” director and lawyer Neil Falzon noted after the court ruled on the case.

    “It is a great comfort for us and for our clients to confirm that justice is indeed possible through our Courts of Law. We will bring case after case until the Government decides to engage in dialogue with us to seek a humane solution to the current crisis.”

    https://newsbook.com.mt/en/court-condemns-arbitrary-detention-of-asylum-seekers-as-abusive-and-far
    #détention #rétention #asile #migrations #réfugiés #justice #Malte #condamnation #Malte

  • Refus d’assistance médicale et juridique aux personnes exilées enfermées à la frontière franco-italienne : les tribunaux administratifs saisis

    Communiqué commun dont l’Anafé et l’OEE, dont la LDH est membre, sont signataires

    Suite à un refus d’accès d’associations juridiques et médicales dans les lieux privatifs de liberté aux postes de la police aux frontières (PAF) de Menton pont Saint-Louis et de Montgenèvre par l’administration, nos associations lancent une campagne de contentieux pour faire sanctionner l’enfermement illégal et l’absence de respect des droits des personnes exilées à la frontière franco-italienne.

    Les 18 et 21 novembre dernier, nos associations ont saisi les juges des tribunaux administratifs de Nice et de Marseille afin qu’ils se prononcent sur le droit d’accès des associations dans les lieux privatifs de liberté aux postes de la PAF de Menton pont Saint-Louis et de Montgenèvre. Le tribunal administratif de Nice devra se prononcer en premier sur la question, une date d’audience ayant été annoncée pour le 26 novembre prochain.

    Depuis juin 2015, nos associations constatent et dénoncent des pratiques illégales d’enfermement de personnes exilées par l’administration française à la frontière franco-italienne. Chaque jour, à la suite de contrôles discriminatoires et de procédures expéditives de refus d’entrée, des dizaines de personnes sont enfermées dans des constructions modulaires attenantes aux postes de la PAF de Menton et de Montgenèvre, pendant plusieurs heures quand ce n’est pas toute la nuit voire plus et ce, dans des conditions indignes : constructions de quelques mètres carrés sans isolation, pas de couverture, pas de possibilité de s’allonger, pas ou peu de nourriture ni d’eau, conditions d’hygiène déplorables, promiscuité forte entre toutes les personnes (familles, adultes, enfants, hommes et femmes).

    En 2017, le Conseil d’Etat avait refusé de sanctionner ces pratiques, estimant qu’elles pouvaient être justifiées tant que la durée de privation de liberté ne dépassait pas une durée dite « raisonnable » de moins de 4 heures.

    Pourtant, le constat de nos associations demeure le même : la privation de liberté quotidienne de dizaines de personnes, pour des durées régulièrement supérieures à 4 heures et dans des conditions indignes.

    En dehors de tout cadre légal, cette privation de liberté échappe donc au contrôle juridictionnel et se déroule toujours dans la plus totale opacité. Depuis fin 2019, plusieurs élus se sont vu refuser l’accès à ces locaux (alors qu’ils pouvaient y accéder jusqu’alors) au motif que ceux-ci ne seraient pas des locaux de privation de liberté mais, au contraire, de « mise à l’abri » pour la « sécurité » des personnes exilées.

    En septembre et octobre 2020, des représentantes de l’Anafé et de Médecins du Monde se sont donc présentées aux locaux de la PAF de Menton et de Montgenèvre afin d’apporter assistance juridique et médicale aux personnes y étant « mises à l’abri ». Or, au motif même de la « mise à l’abri » de ces personnes, l’accès leur a été refusé.

    Nos associations demandent aux tribunaux de sanctionner ces pratiques de l’administration française visant à empêcher les associations de défense des droits et de la santé des personnes exilées de leur porter assistance au cours de leur enfermement dans les locaux de la police aux frontières de Menton et de Montgenèvre.

    Complément d’information

    Vous avez dit « mise à l’abri » ?

    La réalité des personnes étant passées par ces locaux et ayant témoigné auprès de nos associations de ce qu’elles ont subi apparaît clairement très éloignée de ce que supposerait l’idée d’un « abri ».

    Le 8 octobre 2020, Maya*, ressortissante ivoirienne, témoignait de sa privation de liberté de plus de 14h avec ses deux enfants âgés de 3 et 5 ans au niveau du poste de la PAF de Menton. Privée de liberté avec plus de 17 autres personnes, hommes et femmes confondus, dans un petit espace, sans aucun respect des normes de protection sanitaire possible, elle n’a, de plus, reçu aucune nourriture et a témoigné de l’état déplorable des sanitaires.

    En 2019, Alpha*, ressortissant nigérian âgé de 17 ans, témoignait avoir été enfermé dans la nuit du 27 au 28 mai 2019 dans les constructions modulaires attenantes à la PAF de Menton, pendant plus de dix heures. Une dizaine d’adultes étaient enfermés en même temps que lui, dans des conditions exécrables avec des toilettes inutilisables. Il aurait pourtant déclaré sa minorité et exprimé son souhait de demander l’asile en France, sans que cela ne soit pris en compte par les forces de l’ordre.

    En 2018, Omar*, ressortissant ivoirien, âgé de 20 ans, témoignait de sa privation de liberté dans les locaux de la PAF de Montgenèvre de 18h à 7h du matin, dans la nuit du 3 au 4 septembre, sans nourriture ni eau.

    Ce ne sont que quelques exemples parmi des centaines…

    Pour suivre la campagne contentieuse : #DetentionArbitraire

    *Afin de veiller à la confidentialité et l’anonymat des personnes, les prénoms ont été modifiés.

    https://www.ldh-france.org/refus-dassistance-medicale-et-juridique-aux-personnes-exilees-enfermees-

    #assistance_médicale #assistance_juridique #PAF #Menton #asile #migrations #réfugiés #frontières #enfermement #justice #Italie #France #frontière_sud-alpine

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    • Refus d’assistance médicale et juridique aux personnes exilées enfermées à la frontière franco-italienne : le #tribunal_administratif de Nice sanctionne l’Etat
      Communiqué commun, dont l’Anafé et l’OEE, dont la LDH est membre

      Le 30 novembre 2020, le tribunal administratif de Nice a sanctionné le refus opposé à nos associations de porter une assistance médicale et juridique aux personnes exilées enfermées dans les locaux attenants au poste de la police aux frontières (PAF) de Menton pont Saint-Louis. Le juge des référés considère que cette décision porte une atteinte grave au principe de fraternité consacré par le Conseil constitutionnel et laisse entendre qu’il existe un doute sérieux sur la légalité des privations de liberté infligées aux personnes exilées à la frontière italienne, que nos associations ne cessent de dénoncer.

      Le 15 septembre 2020, des représentantes de l’Anafé et de Médecins du Monde se sont présentées aux locaux de la PAF de Menton afin d’apporter assistance juridique et médicale aux personnes y étant enfermées. Au prétexte d’une « mise à l’abri » de ces personnes, l’accès leur a été refusé par la PAF de Menton puis par la préfecture des Alpes-Maritimes.

      Saisi de ce refus d’accès, le tribunal administratif de Nice s’est prononcé sur cette pratique de privation de liberté à la frontière franco-italienne, organisée par l’Etat français.

      Reconnaissant que « quotidiennement, de nombreuses personnes sont retenues dans ces locaux munis de système de fermeture et de surveillance vidéo, dans des conditions précaires, pour de nombreuses heures, notamment la nuit lorsque le poste de police italien est fermé, qu’elles sont mises dans l’impossibilité de partir librement de ces locaux et d’obtenir au cours de la période de « maintien » une assistance médicale, juridique ou administrative d’associations », la juge des référés ordonne la suspension du refus d’accès opposés aux associations et enjoint la préfecture des Alpes-Maritimes à l’examiner de nouveau, dans un délai 30 jours.

      Le tribunal administratif de Nice vient ainsi ouvrir une nouvelle voie à la condamnation et à la sanction des pratiques illégales de l’administration française à la frontière franco-italienne.

      Cette décision s’inscrit dans la lignée de celle rendue par le Conseil d’Etat le 27 novembre dernier, qui a annulé les dispositions qui permettent à l’administration de notifier des refus d’entrée aux personnes interpellées aux frontières intérieures terrestres, et dans une borne de 10 km en deçà, dans un contexte de rétablissement des contrôles aux frontières intérieures. En reprenant la jurisprudence de la Cour de justice de l’Union européenne, cette décision confirme l’illégalité des pratiques de l’administration française aux frontières intérieures, que nos associations dénoncent depuis 5 ans.

      Déjà, en juillet dernier, le Conseil d’Etat avait reconnu les violations quotidiennes au droit d’asile à la frontière franco-italienne.

      Illégalité des refus d’entrée, violation du droit d’asile, détention arbitraire à la frontière franco-italienne : nos associations appellent désormais le tribunal administratif de Marseille, saisi du refus d’assistance médicale et juridique et des pratiques d’enfermement au poste de la PAF de Montgenèvre, à se prononcer dans le même sens que celui de Nice.

      Il faut que cessent enfin les violations des droits à la frontière franco-italienne.

      Complément d’information

      Depuis juin 2015, nos associations constatent et dénoncent des pratiques illégales d’enfermement de personnes exilées par l’administration française à la frontière franco-italienne. Chaque jour, à la suite de contrôles discriminatoires et de procédures expéditives de refus d’entrée, des dizaines de personnes sont enfermées dans des constructions modulaires attenantes aux postes de la PAF de Menton et de Montgenèvre, pendant plusieurs heures quand ce n’est pas toute la nuit voire plus et ce, dans des conditions indignes : constructions de quelques mètres carrés sans isolation, pas de couverture, pas de possibilité de s’allonger, pas ou peu de nourriture ni d’eau, conditions d’hygiène déplorables, promiscuité forte entre toutes les personnes (familles, adultes, enfants, hommes et femmes).

      En 2017, le Conseil d’Etat avait refusé de sanctionner ces pratiques, estimant qu’elles pouvaient être justifiées tant que la durée de privation de liberté ne dépassait pas une durée dite « raisonnable » de moins de 4 heures.

      Pourtant, le constat de nos associations demeure le même : la privation de liberté quotidienne de dizaines de personnes, pour des durées régulièrement supérieures à 4 heures et dans des conditions indignes.

      En dehors de tout cadre légal, cette privation de liberté échappe donc au contrôle juridictionnel et se déroule toujours dans la plus totale opacité. Depuis fin 2019, plusieurs élus se sont vu refuser l’accès à ces locaux (alors qu’ils pouvaient y accéder jusqu’alors) au motif que ceux-ci ne seraient pas des locaux de privation de liberté mais, au contraire, de « mise à l’abri » pour la « sécurité » des personnes exilées.

      En septembre et octobre 2020, des représentantes de l’Anafé et de Médecins du Monde se sont donc présentées aux locaux de la PAF de Menton et de Montgenèvre afin d’apporter assistance juridique et médicale aux personnes y étant « mises à l’abri ». Or, au motif même de la « mise à l’abri » de ces personnes, l’accès leur a été refusé.

      Les 18 et 21 novembre dernier, nos associations ont donc saisi les juges des tribunaux administratifs de Nice et de Marseille afin qu’ils se prononcent sur le droit d’accès des associations dans les lieux privatifs de liberté aux postes de la PAF de Menton pont Saint-Louis et de Montgenèvre.

      Vous avez dit « mise à l’abri » ?

      La réalité des personnes étant passées par ces locaux et ayant témoigné auprès de nos associations de ce qu’elles ont subi apparaît clairement très éloignée de ce que supposerait l’idée d’un « abri ».

      Le 8 octobre 2020, Maya*, ressortissante ivoirienne, témoignait de sa privation de liberté de plus de 14h avec ses deux enfants âgés de 3 et 5 ans au niveau du poste de la PAF de Menton. Privée de liberté avec plus de 17 autres personnes, hommes et femmes confondus, dans un petit espace, sans aucun respect des normes de protection sanitaire possible, elle n’a, de plus, reçu aucune nourriture et a témoigné de l’état déplorable des sanitaires.

      En 2019, Alpha*, ressortissant nigérian âgé de 17 ans, témoignait avoir été enfermé dans la nuit du 27 au 28 mai 2019 dans les constructions modulaires attenantes à la PAF de Menton, pendant plus de dix heures. Une dizaine d’adultes étaient enfermés en même temps que lui, dans des conditions exécrables avec des toilettes inutilisables. Il aurait pourtant déclaré sa minorité et exprimé son souhait de demander l’asile en France, sans que cela ne soit pris en compte par les forces de l’ordre.

      En 2018, Omar*, ressortissant ivoirien, âgé de 20 ans, témoignait de sa privation de liberté dans les locaux de la PAF de Montgenèvre de 18h à 7h du matin, dans la nuit du 3 au 4 septembre, sans nourriture ni eau.

      Ce ne sont que quelques exemples parmi des centaines…

      Pour suivre la campagne contentieuse : #DetentionArbitraire

      *Afin de veiller à la confidentialité et l’anonymat des personnes, les prénoms ont été modifiés.

      Associations signataires :

      Anafé – Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers

      Médecins du Monde

      Organisations membres de l’Observatoire de l’enfermement des étrangers : ACAT-France, Avocats pour la défense des droits des étrangers (ADDE), Anafé, Comede, Droits d’urgence, Fasti, Genepi, Gisti, La Cimade, Le Paria, Ligue des droits de l’homme, MRAP, Observatoire Citoyen du CRA de Palaiseau, Observatoire du CRA de Oissel, Syndicat des avocats de France (SAF), Syndicat de la magistrature (SM)

      Alliance-DEDF (Alliance des avocats et praticiens du droit des étrangers pour la défense des droits fondamentaux)

      Roya citoyenne

      Tous Migrants

      Associations co-signataires :

      AdN (Association pour la démocratie à Nice)

      ASGI

      Emmaüs France

      Emmaüs Roya

      Kesha Niya Kitchen

      We world

      https://www.ldh-france.org/refus-dassistance-medicale-et-juridique-aux-personnes-exilees-enfermees-

    • Refus d’assistance médicale et juridique aux personnes exilées enfermées à la frontière franco-italienne : le tribunal administratif de Marseille sanctionne à son tour l’administration

      ALERTE PRESSE
      16 décembre 2020

      Le 10 décembre 2020, le tribunal administratif de Marseille a sanctionné le refus opposé à nos associations de porter une assistance médicale et juridique aux personnes exilées enfermées illégalement dans le local attenant au poste de la police aux frontières (PAF) de Montgenèvre. Considérant que cet espace ne peut constituer un local de « mise à l’abri », le juge des référés vient s’inscrire dans la lignée de la décision du 30 novembre dernier du tribunal administratif de Nice.

      Le 16 octobre 2020, des représentantes de l’Anafé et de Médecins du Monde se sont présentées aux locaux de la PAF de Montgenèvre afin d’apporter assistances juridique et médicale aux personnes y étant enfermées. Au prétexte d’une « mise à l’abri » de ces personnes, l’accès leur a été refusé par la PAF de Montgenèvre puis par la préfecture des Hautes-Alpes.

      Saisi de ce refus, le tribunal administratif de Marseille a demandé à l’administration de réexaminer la demande d’accès des associations dans ces locaux où les personnes sont placées sous la contrainte de la police aux frontières. Il s’est en outre prononcé sur cette pratique de privation de liberté à la frontière franco-italienne, organisée par l’Etat français.

      Reconnaissant qu’il ne peut être soutenu que le local en question soit un local de « mise à l’abri » dans le cadre de procédures de refus d’entrée par la préfecture des Hautes-Alpes, le juge des référés suspend le refus d’accès opposé à nos associations. Mais il va au-delà : reprenant la décision du Conseil d’Etat du 27 novembre dernier, il rappelle que « un refus d’entrée ne peut être opposé à un étranger qui a pénétré sur le territoire en franchissant une frontière intérieure terrestre ». En confirmant l’illégalité des pratiques de l’administration à la frontière franco-italienne, que nos associations ne cessent de dénoncer, cette décision pose les bases d’une reconnaissance de l’illégalité de la privation de liberté des personnes exilées à cette frontière.

      Au lendemain de cette décision, une délégation d’élus et d’associations a assisté à l’interpellation, dans la neige, d’environ 25 personnes exilées, dont 2 femmes enceintes, 3 enfants en bas âge, 3 mineurs isolés, des familles, des personnes en détresse respiratoire… L’ensemble de ces personnes ont fait l’objet de procédures de refus d’entrée. Si 19 d’entre elles ont pu être prises en charge par les sapeurs-pompiers et conduites à l’hôpital de Briançon, 5 autres ont été refoulées vers l’Italie, après plusieurs heures d’enfermement au poste de la police aux frontières de Montgenèvre. Parmi elles, trois personnes avaient déclaré souhaiter demander l’asile en France, en présence de deux élus qui se trouvaient à l’intérieur du poste. Après leur refoulement en Italie (en violation du principe de non-refoulement et de la jurisprudence du Conseil d’Etat du 8 juillet 2020), ces trois personnes ont de nouveau tenté d’entrer en France pour y demander l’asile, empruntant, cette fois-ci, un passage plus risqué. Elles ont été secourues par les secours en montagne samedi 12 décembre, en soirée, avant d’être transférées à l’hôpital où elles ont passé la nuit.

      Si les récentes décisions du Conseil d’Etat et des tribunaux administratifs de Nice et de Marseille permettent d’ouvrir une nouvelle voie à la reconnaissance et à la sanction des violations quotidiennes des droits des personnes exilées à la frontière franco-italienne, nos associations appellent désormais à ce qu’elles se traduisent dans les faits. Il faut que cessent, enfin, ces pratiques qui violent les droits et mettent en danger la vie de nombreuses personnes, chaque jour, aux frontières françaises.

      Complément d’information

      Depuis juin 2015, nos associations constatent et dénoncent des pratiques illégales d’enfermement de personnes exilées par l’administration française à la frontière franco-italienne. Chaque jour, à la suite de contrôles discriminatoires et de procédures expéditives de refus d’entrée, des dizaines de personnes sont enfermées dans des constructions modulaires attenantes aux postes de la PAF de Menton et de Montgenèvre, pendant plusieurs heures quand ce n’est pas toute la nuit voire plus et ce, dans des conditions indignes : constructions de quelques mètres carrés sans isolation, pas de couverture, pas de possibilité de s’allonger, pas ou peu de nourriture ni d’eau, conditions d’hygiène déplorables, promiscuité forte entre toutes les personnes (familles, adultes, enfants, hommes et femmes).

      En 2017, le Conseil d’Etat avait refusé de sanctionner ces pratiques, estimant qu’elles pouvaient être justifiées tant que la durée de privation de liberté ne dépassait pas une durée dite « raisonnable » de moins de 4 heures.

      Pourtant, le constat de nos associations demeure le même : la privation de liberté quotidienne de dizaines de personnes, pour des durées régulièrement supérieures à 4 heures et dans des conditions indignes.

      En dehors de tout cadre légal, cette privation de liberté échappe donc au contrôle juridictionnel et se déroule toujours dans la plus totale opacité. Depuis fin 2019, plusieurs élus se sont vu refuser l’accès à ces locaux (alors qu’ils pouvaient y accéder jusqu’alors) au motif que ceux-ci ne seraient pas des locaux de privation de liberté mais, au contraire, de « mise à l’abri » pour la « sécurité » des personnes exilées.

      En septembre et octobre 2020, des représentantes de l’Anafé et de Médecins du Monde se sont donc présentées aux locaux de la PAF de Menton et de Montgenèvre afin d’apporter assistance juridique et médicale aux personnes y étant « mises à l’abri ». Or, au motif même de la « mise à l’abri » de ces personnes, l’accès leur a été refusé.

      Les 18 et 21 novembre dernier, nos associations ont donc saisi les juges des tribunaux administratifs de Nice et de Marseille afin qu’ils se prononcent sur le droit d’accès des associations dans les lieux privatifs de liberté aux postes de la PAF de Menton pont Saint-Louis et de Montgenèvre.

      Vous avez dit « mise à l’abri » ?

      La réalité vécue par des personnes étant passées par ces locaux et ayant témoigné auprès de nos associations de ce qu’elles ont subi apparaît clairement très éloignée de ce que supposerait l’idée d’un « abri ».

      Le 8 octobre 2020, Maya*, ressortissante ivoirienne, témoignait de sa privation de liberté de plus de 14h avec ses deux enfants âgés de 3 et 5 ans au niveau du poste de la PAF de Menton. Privée de liberté avec plus de 17 autres personnes, hommes et femmes confondus, dans un petit espace, sans aucun respect des normes de protection sanitaire possible, elle n’a, de plus, reçu aucune nourriture et a témoigné de l’état déplorable des sanitaires.

      En 2019, Alpha*, ressortissant nigérian âgé de 17 ans, témoignait avoir été enfermé dans la nuit du 27 au 28 mai 2019 dans les constructions modulaires attenantes à la PAF de Menton, pendant plus de dix heures. Une dizaine d’adultes étaient enfermés en même temps que lui, dans des conditions exécrables avec des toilettes inutilisables. Il aurait pourtant déclaré sa minorité et exprimé son souhait de demander l’asile en France, sans que cela ne soit pris en compte par les forces de l’ordre.

      En 2018, Omar*, ressortissant ivoirien, âgé de 20 ans, témoignait de sa privation de liberté dans les locaux de la PAF de Montgenèvre de 18h à 7h du matin, dans la nuit du 3 au 4 septembre, sans nourriture ni eau.

      Ce ne sont que quelques exemples parmi des centaines…

      Pour suivre la campagne contentieuse : #DetentionArbitraire

      *Afin de veiller à la confidentialité et l’anonymat des personnes, les prénoms ont été modifiés.

      Associations signataires :

      Anafé – Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers

      Organisations membres de l’Observatoire de l’enfermement des étrangers : ACAT-France, Avocats pour la défense des droits des étrangers (ADDE), Anafé, Comede, Droits d’urgence, Fasti, Genepi, Gisti, La Cimade, Le Paria, Ligue des droits de l’Homme, MRAP, Observatoire Citoyen du CRA de Palaiseau, Observatoire du CRA de Oissel, Syndicat des avocats de France (SAF), Syndicat de la magistrature (SM)

      Alliance-DEDF (Alliance des avocats et praticiens du droit des étrangers pour la défense des droits fondamentaux)

      Roya citoyenne

      Tous Migrants

      Associations co-signataires :

      AdN (Association pour la démocratie à Nice)

      ASGI

      Emmaüs France

      Emmaüs Roya

      Kesha Niya Kitchen

      We world

      Reçu via la mailing-list Migreurop, le 16.12.2020

  • Geneva Human Rights Talks

    Les Geneva Human Rights Talks (GHRT) ouvriront la Semaine des droits humains en portant le regard sur différents aspects du respect de la dignité humaine : les données personnelles, le racisme institutionnel, la discrimination ethnique, et la question des prisonniers politiques.

    Les récits et témoignages des quatre personnalités invitées lors de cet événement interactif illustreront différents combats qui nécessitent encore et toujours un engagement sans faille.

    #Protection_des_données personnelles, un combat inégal et perdu d’avance ? (En français)
    Intervenant dans le documentaire The Great Hack de Netflix, #Paul_Olivier_Dehaye s’est distingué par son enquête sur la firme d’analyse de données #Cambridge_Analytica. Aujourd’hui, il est le fondateur de l’association #PersonalData.IO, œuvrant à rendre les #droits_à_la_protection_des_données effectifs et collectivement utiles.
    –-> il parle notamment de #algocratie

    Le #racisme_institutionnel, défis de nos sociétés ? (En français), à partir de 1:22:15


    #Rokhaya_Diallo est une journaliste française, autrice et réalisatrice reconnue pour son travail contre la discrimination raciale, de genre et religieuse. Elle a animé et co-écrit des émissions télévisées et a réalisé plusieurs documentaires. Elle est aussi active dans le domaine littéraire, s’exprimant à travers différentes créations. Elle est selon le New York Times « une des activistes anti-racistes les plus importantes en France ».

    Violation des droits de l’homme ou prévention du #séparatisme ? (In english)
    #Jewher_Ilham est la fille d’#Ilham_Tohti, un professeur qui s’est investi dans la lutte contre les discriminations et violations commises envers les #ouïghours, minorité ethnique en #Chine. Jewher Ilham témoignera de l’arrestation de son père, de ses efforts constants pour le libérer et de son engagement à faire en sorte que les minorités voient leurs droits préservés en Chine. Elle parlera également des #camps_de_rééducation du #Xinjiang et de ses suggestions pour prévenir les violations des droits humains qui s’y déroulent.

    #Prisonniers_politiques, criminels ou témoins de violations cachées des #droits_humains ? (En français)
    #Lakhdar_Boumediene était responsable humanitaire pour le Croissant-Rouge quand il a été emprisonné en 2002 à #Guantanamo pour des raisons politiques. En 2008, suite à sa demande, la Cour Suprême des États-Unis a reconnu le droit des détenus de Guantanamo de contester judiciairement la légalité de leur détention, indépendamment de leur nationalité. Il a ainsi été déclaré innocent et libéré en 2009. Depuis, il vit en France avec sa famille et il dénonce les traitements injustes et inhumains subis durant sa #détention ainsi que le phénomène des prisonniers politiques.

    https://www.unige.ch/cite/evenements/semaine-des-droits-humains/sdh2020/geneva-humain-rights-talk

    #vidéo

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  • Numéro spécial de la #revue Society and Space autour des #hotspots
    "Governing Hotspots"

    Articles in this issue:

    Governing mobility in times of crisis: Practicing the border and embodying resistance in and beyond the hotspot infrastructure

    Five years into its implementation, those arriving and caught up in the hotspot system are still being warehoused where they are not wanted, pushed back to where they came from and constantly moved around at will. With the introduction of fast track asylum procedures and geographical movement restrictions on the islands, hotspots have become spaces where exceptional rules apply and where mobility is explicitly targeted.

    By Antonis Vradis, Evie Papada, Anna Papoutsi, Joe Painter

    #mobilité #frontière #résistance #îles

    –---

    Hotspots and the geographies of humanitarianism

    This article focuses on the humanitarian geographies of the hotspots. It argues that hotspots are humanitarian in both idea and practice by raising two fundamental questions that form the basis for the article: what is humanitarianism, and who is it for?

    By Polly Pallister-Wilkins

    #humanitarisme

    –—

    Containment beyond detention: The hotspot system and disrupted migration movements across Europe

    This article deals with the ways in which migrants are controlled, contained and selected after landing in Italy and in Greece, drawing attention to strategies of containment aimed at disciplining mobility and showing how they are not narrowed to detention infrastructures.

    By Martina Tazzioli, Glenda Garelli

    #Italie #containment #détention

    –----

    Pop-up governance: Transforming the management of migrant populations through humanitarian and security practices in #Lesbos, Greece, 2015–2017

    This paper intervenes in recent debates on humanitarianism and security in migration by introducing the notion of ‘pop-up governance’. It reflects on our two year-long fieldwork on Lesbos, Greece at the peak of Europe’s migrant reception crisis (2015–2017).

    By Evie Papada, Anna Papoutsi, Joe Painter, Antonis Vradis

    #sécurité

    –---

    Hotspot geopolitics versus geosocial solidarity: Contending constructions of safe space for migrants in Europe

    This article examines how contending constructions of safe space for migrants reflect the geopoliticization of humanitarianism and its geosocial discontents. It documents the ways in which Hotspots have made migrants unsafe, even as they have been simultaneously justified in humanitarian terms as making both Europe and refugees safer.

    By Katharyne Mitchell, Matthew Sparke

    #solidarité #safe_space

    –---

    Hotspots of resistance in a bordered reality

    Drawing on ethnographic research and discourse analysis, conducted in Lesvos, Samos, and Athens (from March to September 2016), we examine how resistance to a bordered reality took place, as islands in the north Aegean, as well as Greek and European territories, were being remapped according to the logic of the hotspot.

    By Aila Spathopoulou, Anna Carastathis

    #Samos #Athènes

    –---

    To oblivion and beyond: Imagining infrastructure after collapse

    Following Lauren Berlant and Dominic Boyer, we take the current moment as an opportunity to reconsider infrastructure and to work toward a perspective that would see it as a resource from which to construct more creative and equitable futures.

    By Daniel Carter, Amelia Acker

    https://www.societyandspace.org/journal-issues/volume-38-issue-6

  • “Même des animaux, ils peuvent pas vivre là” : #vidéo et #témoignage de l’#enfermement dans le CRA de #Vincennes

    Dans le CRA de Vincennes comme dans toutes les autres prisons pour sans-papiers, les conditions de retention sont pourries et les humiliations et les violences sont quotidiennes. Si tous les témoignages des prisonniers-ères racontent ça, il est rare de voir des images de l’intérieur : les portables avec caméras sont interdits, pour isoler encore plus les retenu.e.s, et pour cacher toute la merde qui se passe dans ces taules.

    Malgré ça, des prisonniers sont arrivés à faire sortir une vidéo, qu’on publie ici : https://www.youtube.com/watch?v=RUwWvAwMbAU&feature=emb_logo

    Après la vidéo, on publie le témoignage d’un autre prisonnier du meme CRA, qui raconte son histoire : comment il s’est retrouvé sans-papiers après des années passées en France, l’enfermement et les violences quotidiennes des keufs.

    A Vincennes, à Mesnil et dans tous les CRA, les prisonniers et les prisonnières sont poussé.e.s au bout, mais comme le dit D., « les gens vont essayer tout pour leur liberté ».

    Ne laissons pas les retenu.e.s isolé.e.s, soutenons leur luttes !

    –---

    « Je m’appelle D., je suis là depuis 2000. J’ai fait demande d’asile et tout ça, ils m’ont rien donné, j’ai attendu jusqu’à avoir des preuves de dix ans (de séjour), j’ai déposé mon dossier en 2014, mais par contre ils m’ont donné la carte de séjour en 2016 comme ça. Du coup je travaille depuis 2017, jusqu’à 2020. c’est la que mon patron m’a dit : la carte est périmée, arrête de travailler, je ne veux pas prendre de risques… c’est ça qui m’a empeché de renouveler, les grèves SNCF, les grèves, c’est ça qui m’a empeché. Tous les jours je regarde sur internet pour prendre rendez-vous, mais j’y arrive pas, c’est bloqué. Là ils m’ont bloqué, ils m’ont empeché mes droits, ils m’ont jugé comme une personne qui vient d’arriver.

    Mais le fait est qu’on est là. On est traités pas bien, on est traités comme des animaux. T’as pas droit de parler, tu dois avoir peur d’eux. Moi une fois, ils m’ont tabassé, OK ? Pourquoi ils m’ont tapé ? Parce que j’ai crié. Ils m’ont mis dans l’isolement et j’ai crié : je suis rentré là-bas et ils ont essayé de me menotter avec la force, je me suis refusé, ils ont forcé forcé, après ils m’ont menotté et c’est passé. Le lendemain, on doit déménager (D. est transféré d’un bâtiment à l’autre du CRA), ils ont pas annoncé, ils ont dit ça à la fin de la cantine, Allez les gars, déménagez-vous. Moi j’ai dit ‘Attends, on a beaucoup d’affaires. Ils ont pas donné le temps. Là aussi, ils ont poussé, ils m’ont donné un coup de pied. J’ai rien dit. Ça c’est la deuxième fois qu’ils me tapent. La troisième fois c’était aujourd’hui.

    Aujourd’hui, on était en train de ranger, (le flic) il m’a étranglé devant tout le monde. Il a mis toute sa force, il pèse 80 kilos, il m’a ramené entre la vie et la mort ! Là je te parle et j’ai mal au cou, à la gorge. Ils ont même pas soigné, ils s’en foutent. Tu vois tout ça ? Ça fait mail.

    Après, il y a un monsieur, ça fait quelques moments qu’il était là. Après, il est sorti (du CRA), ils lui ont donné un adresse pour qu’il ramène son passeport là-bas, il va là-bas tous les jours tous les jours, (pour pointer) à la Préfecture. Hier, il vient avec son passeport, ils l’ont pris avec son passeport et ils le ramènent ici. J’ai discuté avec le monsieur, il était perdu. Aujourd’hui il s’est suicidé […] Les pompiers sont arrivés pour le réanimer (le prisonnier a survécu à la tentative de suicide : après être parti à l’hôpital, il est actuellement retourné à Vincennes).

    Il y plein de gens qui se sont suicidés ici, plein de gens qui se coupent, ils se coupent et ils se coupent encore, ça finit pas. Les gens vont essayer tout pour leur liberté. Ils ont rien fait du tout, c’est juste qu’ils ont pas les papiers. Il y en a qui ont pas les papiers, il y en a qui ont les papiers, soit Espagne soit… on doit pas être enfermés comme ça, c’est des prisonniers. En plus la bouffe, je ne sais pas, on est combien dans le salon ? On est plus de vingt trente personnes par table, et ils disent coronavirus. Tous les jours il y a un nouveau, ils vont ramener dix minimum…

    Parce que là ils ont rempli le bâtiment non ?

    Ouai oaui, ils ont rempli, tous les jours il y en a un nouveau. Là, on est mal barré, très très mal barré. On sait même pas quoi faire. […] L’infirmier, il travaille avec eux. L’Assfam, elle travaille avec eux. C’est tous pareil. Imagine, ma plainte, ça fait six jours, il y a pas de réponse.

    T’as déposé plainte à l’Assfam pour les violences ?

    Il y a six jours ! jusqu’à aujourd’hui, il y a pas de réponse, la Préfecture répond jamais. C’est quoit ce délire ? c’est pas normal !

    Et les médecins aussi c’est pareil ?

    Voilà. Tout le monde dit que c’est la préfecture, mais la préfecture n’a rien à voir avec tout ça, ça c’est leur camp, leur camp fermé qui entraîne toutes conneries là, ils traitent les gens comme des esclaves. Ce qu’ils font, c’est pas bien. Il en a qui sont prêts à mourir plutôt que rentrer au pays. Moi non, mais il y en a qui sont prêts.”

    https://abaslescra.noblogs.org/meme-des-animaux-ils-peuvent-pas-vivre-la-video-et-temoignage-de

    #CRA #rétention #détention_administrative #asile #migrations #réfugiés #France

  • En #Géorgie, la #frontière avec l’#Azerbaïdjan au cœur de l’« affaire des cartographes »

    A la veille des élections législatives du 31 octobre, ce scandale impliquant le parti d’opposition pourrait peser sur le scrutin.

    Il y a encore un an et demi, Zviad Naniachvili grimpait chaque matin sur la crête qui sépare la Géorgie de l’Azerbaïdjan pour voir le soleil se lever sur les montagnes. Ce guide géorgien de 37 ans a grandi là, au pied du #monastère orthodoxe de #David_Garedja, un complexe spectaculaire d’églises et de cellules troglodytes fondé au VIe siècle. Le site, creusé dans la roche, s’étire sur plusieurs hectares de part et d’autre de la frontière, dans un paysage désertique. Jusqu’ici, tout le monde pouvait s’y promener librement. C’est désormais impossible.

    Depuis la visite, en avril 2019, de la présidente géorgienne, Salomé Zourabichvili, proche du parti au pouvoir, Rêve géorgien, des #gardes-frontières azerbaïdjanais ont fait leur apparition sur la crête, empêchant touristes et pèlerins de visiter la partie du monastère située de l’autre côté de la frontière. « C’est comme si quelqu’un vivait chez moi », déplore Zviad Naniachvili, en levant les yeux vers la cime.

    La chef de l’Etat, flanquée de deux hommes en armes, avait appelé à régler « de toute urgence » la question de la #délimitation des frontières, ravivant les tensions autour de ce sujet sensible : les Géorgiens affirment que ce site historique, culturel et religieux leur appartient, ce que contestent les Azerbaïdjanais, pour lesquels ces hauteurs ont une importance stratégique.

    Devant la porte en bois gravée de la grotte où vécut David Garedja, l’un des pères assyriens venus évangéliser la Géorgie, trois jeunes filles en jupe plissée entonnent un chant sacré face aux #montagnes. « Dieu va tout arranger », veut croire l’une.

    A l’approche des élections législatives du samedi 31 octobre, le #monastère est désormais au cœur d’un scandale susceptible de peser sur le scrutin. L’histoire, aux ramifications complexes, cristallise les crispations qui traversent la société géorgienne, plus polarisée que jamais, sur fond de « fake news » et de tensions régionales avec le conflit au #Haut-Karabakh, enclave séparatiste en Azerbaïdjan.

    Deux cartographes arrêtés

    L’affaire a éclaté trois semaines avant le premier tour. Le 7 octobre, deux #cartographes, anciens membres de la commission gouvernementale chargée de négocier la démarcation de la frontière, ont été arrêtés et placés en #détention provisoire – une mesure exceptionnellement sévère.

    #Iveri_Melachvili et #Natalia_Ilicheva sont accusés par le procureur général de Géorgie d’avoir voulu céder des terres à l’Azerbaïdjan entre 2005 et 2007, lorsque l’ex-président Mikheïl Saakachvili était au pouvoir. Ils auraient caché la bonne carte, datée de 1938, pour en utiliser une autre à la place, défavorable à la Géorgie, lui faisant perdre 3 500 hectares. Les deux cartographes, qui clament leur innocence, encourent dix à quinze ans de prison.

    Ces #arrestations surprises, survenues en pleine campagne électorale, électrisent le débat à quelques jours du scrutin. Qualifié de « #traître », le parti de l’opposition, emmené par Mikheïl Saakachvili, le Mouvement national uni, dénonce une « manipulation politique » du parti au pouvoir – dirigé par le milliardaire Bidzina Ivanichvili – visant à le discréditer avant le scrutin.

    La nature politique de cette affaire ne fait aucun doute non plus pour les ONG. Quinze d’entre elles, dont Transparency International et Open Society Foundation, ont ainsi conjointement dénoncé, le 9 octobre, une « enquête à motivation politique ». Elles pointent le « timing de l’enquête », en période préélectorale, les commentaires du parti au pouvoir, qui « violent la présomption d’innocence », et « l’approche sélective » des investigations, certains témoins majeurs n’étant pas auditionnés. Ces ONG exhortent ainsi les autorités à « cesser de manipuler des sujets sensibles pour la population avant les élections ».

    « Cette affaire est une tragédie personnelle pour les deux cartographes, mais, au-delà, c’est l’indépendance de la justice, inexistante, qui est en question, souligne Ivane Chitachvili, avocat à Transparency International. Tant que notre système restera un instrument politique aux mains du gouvernement, cela continuera. »

    « Attiser le sentiment nationaliste et religieux »

    Des membres du gouvernement, dont le ministre de la défense, Irakli Garibachvili, et des représentants de l’Eglise orthodoxe, proche de la Russie, accusent même les deux cartographes d’avoir tenté de vendre le monastère de David Garedja lui-même. Le site religieux n’est pourtant mentionné nulle part dans les 1 500 pages du dossier judiciaire. « Ils parlent du monastère pour embrouiller les gens et les prendre par l’émotion, en attisant leur sentiment nationaliste ou religieux, analyse Ivane Chitachvili.

    La stratégie fonctionne auprès d’une partie de la population, qui compte 84 % d’orthodoxes. Tamuna Biszinachvili, une vigneronne de 32 ans venue en famille visiter le monastère, en est convaincue : « Notre ancien gouvernement a fait une énorme connerie. » Ce qu’elle a lu sur Facebook et ses échanges avec un moine l’ont persuadée que cette histoire était vraie. C’est même pour cela qu’elle a tenu à venir avec ses enfants aujourd’hui : « Je veux leur montrer le monastère avant que les Azerbaïdjanais prennent cette terre. Notre terre. »

    Sur les hauteurs du monastère, Goram, un réserviste de 24 ans venu déposer quelques bougies, n’accorde au contraire aucun crédit à ces accusations. « Qui peut croire à cette histoire ? Aucune terre n’a pu être cédée, puisqu’il n’y a même pas d’accord sur la frontière ! », rappelle-t-il.

    De fait, voilà près de trente ans, depuis la chute de l’URSS, que la Géorgie et l’Azerbaïdjan négocient leur frontière, centimètre par centimètre, en exhumant de vieilles cartes. Les deux tiers ont fini par faire l’objet d’un #accord technique, un tiers est toujours en discussion, mais rien n’a encore jamais été ratifié.

    Rôle trouble de la #Russie

    Assis derrière la table à manger de sa cellule troglodyte, un moine orthodoxe en robe noire et à la longue barbe brune se prend la tête à deux mains, affligé par l’affaire des cartographes. Derrière lui, une guirlande « happy birthday » pendille entre deux icônes. Quelques morceaux de pain et un bidon en plastique rempli de vin traînent encore sur la table après les agapes.

    Persuadé d’être surveillé, le père redoute de parler, mais accepte, sous le couvert de l’anonymat, de livrer son point de vue, en rupture avec celui de ses supérieurs. « C’est la visite de la présidente qui a déclenché tout ça », se lamente-t-il. Sans oser le nommer, il soupçonne également « un grand pays » d’avoir « intérêt à créer un #conflit » dans la région. L’affaire des cartographes lui « rappelle les purges soviétiques, quand 60 % des prisonniers étaient des détenus politiques ». La comparaison revient souvent dans ce dossier.

    Plus divisés que jamais, les Géorgiens oscillent entre colère et consternation. « Ceux qui n’ont pas subi un lavage de cerveau savent bien que cette histoire est absurde, soupire Chota Gvineria, chercheur au Centre de recherche sur la politique économique (EPCR), basé à Tbilissi. Le bureau du procureur est directement subordonné au gouvernement, qui utilise deux innocentes victimes pour manipuler l’opinion avant les élections. »

    Cet ancien diplomate pointe également le rôle trouble de la Russie, où la #carte prétendument « dissimulée » par les cartographes a soudain été retrouvée par un homme d’affaire, #David_Khidacheli, ancien vice-président du conglomérat russe #Sistema, qui l’a transférée à la Géorgie. A travers cette affaire, « Moscou veut déstabiliser la région et créer un conflit entre la Géorgie et l’Azerbaïdjan pour renforcer son influence », analyse le chercheur. Malgré ce #différend_frontalier, Bakou garde de bonnes relations avec Tbilissi, son partenaire stratégique.

    Pour Guiorgui Mchvenieradze, directeur de l’ONG Georgian Democracy Initiative et avocat du cartographe Iveri Melachvili, « cette affaire est inacceptable au XXIe siècle ». Devenu à son tour la cible d’une campagne de dénigrement, il affirme qu’il est « clair et net que les activistes et trolls sont extrêmement mobilisés, notamment sur Facebook, pour diffuser des “fake news” » sur ce dossier, et le faire passer lui aussi pour un « traître qui veut vendre le monastère ». Le procès des cartographes doit s’ouvrir le 4 décembre.

    https://www.lemonde.fr/international/article/2020/10/29/en-georgie-la-frontiere-avec-l-azerbaidjan-au-c-ur-de-l-affaire-des-cartogra
    #cartographie #frontières #cartographe #nationalisme

    via @fil

  • Au procès des attentats de janvier 2015 : quand la vidéo de décapitation était en fait un film de Dupontel
    https://www.franceinter.fr/justice/au-proces-des-attentats-de-janvier-2015-quand-la-video-de-decapitation-e

    (...) À l’époque, il ignore qu’il s’agit du futur terroriste de Charlie Hebdo. Il ne le reconnaît qu’après la médiatisation de sa photo. Et en parle spontanément aux enquêteurs “parce que je veux faire preuve de bonne foi, que je pense que ça peut être utile à l’enquête". Et puis, il faut appeler un chat un chat, je suis barbu. Et on me posait 15 000 questions”. 

    D’ailleurs, Miguel Martinez n’attend qu’une chose : pouvoir démentir les soupçons de radicalisation dont il est l’objet. "Vous n’avez pas de question à me poser sur ma radicalisation ?” demande-t-il ainsi à l’avocate générale. “Ça fait 4 ans qu’on dit que je suis radicalisé. Et vous ne me posez pas de question ?” Alors, il raconte tout seul : “quand je suis arrivé dans le bureau de la juge d’instruction. Elle m’a dit : “ah ben ça tombe bien, j’avais pas encore de barbu dans ce dossier”. Vous pouvez demander à mon avocate, elle était témoin. Le premier assesseur chargé de l’interroger évoque "la dizaine de livres ayant trait à l’Islam" retrouvés en perquisition. “On peut en parler, explique tranquillement Miguel Martinez, mais ils ont pris que ces livres-là en photo. On dirait que je n’ai qu’une dizaine de livres, mais j’ai plein d’autres bouquins”. “Les perquisitions, tente de modérer le premier assesseur, c’est comme les trains qui arrivent en retard. On ne parle jamais de ceux qui arrivent à l’heure”. Autrement dit, les éléments à décharge. 

    Mais plus que la bibliothèque de Miguel Martinez, ce qui a intéressé les enquêteurs antiterroristes, c’est cette vidéo. Une vidéo de décapitation devant laquelle son beau-père l’aurait surpris en train de rigoler. À la barre, le beau-père en question apparaît très éprouvé, il chuchote à peine. Très vite, on comprend que Miguel Martinez n’est pas exactement l’incarnation du gendre dont il rêvait pour sa fille. (...)

    Jusqu’à donc cette “vidéo horrible : une violence incroyable, une femme décapitée avec une pelle”. Invité à préciser le contenu de cette vidéo, il détaille : “il y avait deux hommes dans une voiture avec une pelle sur la glissière d’autoroute, puis il frappaient une femme avec une pelle”. Dans la salle, la scène résonne familièrement pour beaucoup… et pas vraiment pour ses connotations djihadistes. “Il semblerait que ce soit le film Bernie, d’Albert Dupontel”, décrypte Me Margot Pugliese, avocate de Miguel Martinez. "Evidemment si c’est Dupontel c’est pas une vidéo djihadiste", renchérit le premier assesseur. “Peut-être que le mot décapitation était un peu fort”, concède du bout des lèvres le beau-père de l’accusé. Mais l’avocate de la défense ne tient pas : “depuis cinq ans qu’il est en détention, souligne Me Margot Pugliese en désignant son client dans le box, à chaque audience de demande de remise en liberté, on lui a opposé cette vidéo de décapitation. Donc je ne sais pas quel était votre objectif, monsieur, mais si c’était qu’il reste en prison, en tous cas, ça a marché.

    #prison #justice #témoignage #racisme #détention_provisoire

    • "...il a supervisé le voyage de Michel Catino à Paris pour y récupérer un sac d’armes auprès d’Ali Riza Polat. Parce qu’il a, il le reconnaît aussi, ensuite pris ce sac en charge, jusque dans le camion d’Abdelaziz Abbad d’abord, puis dans une planque : “ça m’embêtait que ce soit moi qui les ai ramenées parce que c’était pas mes affaires. Mais au moins, je m’en débarrassais”. Et il retourne à son garage, cet établissement dont il dit sa fierté. “On vendait des pneus d’occasion. Je faisais des prix défiant toute concurrence. Il y avait des gens qui venaient de loin”. On en vient à un autre élément du dossier : la venue de Saïd Kouachi - “un rebeu avec le teint mat, les yeux clairs, le nez épaté et une grosse bouche comme il avait, c’est pas commun” - dans son garage. “Il est venu une fois, il m’avait posé une question de taille de pneus.”

      De quoi, malgré tout, caractériser une accusation d’"association de malfaiteurs à visée terroriste" et « détention d’armes ». Hors d’un tel contexte de massacre, un comparse aurait été condamné à un ou deux ans (enfin avec « visée terroriste », faute d’antécédents assez nombreux, on ne sait pas trop le tarif, forcément élevé) et serait sorti bien avant les 5 ans de préventive. Toutes les demandes de mise en liberté on été refusées en raison du témoignage faussement incriminant du beau-père (jamais mis en doute par la police).