• La violenza economica che silenziosamente colpisce ancora le donne

    Il tabù della gestione finanziaria esiste ancora nelle relazioni sentimentali, e sono le donne a subire le conseguenze della “dipendenza”. Ma non è il riconoscimento giuridico che manca bensì quello sociale. Ancora oggi alcuni comportamenti di sopraffazione da parte degli uomini nella sfera finanziaria sono considerati normali.

    Lucia non sa quanti soldi ci siano sul conto che condivide con il marito. Non è lei che lo amministra, non ne sarebbe in grado. Mara, invece, un conto non ce l’ha proprio. È il suo uomo che le passa dei contanti per le piccole spese settimanali, le sole che le competono. Del resto, lei non lavora e non conosce l’ammontare dello stipendio di lui. Antonia ha un impiego ma non può disporre come vuole dei suoi guadagni: ogni volta che compra qualcosa, deve mostrare al suo compagno lo scontrino. Quando ha bisogno di acquistare dei medicinali, ha paura che lui non glielo permetta.

    Tutte queste situazioni hanno un denominatore comune: la violenza economica. Questo termine, ancora poco conosciuto, si riferisce ad atti di controllo e di monitoraggio del comportamento di una donna in termini di uso o distribuzione di denaro, con la costante minaccia di negare risorse economiche. Può avvenire anche attraverso l’esposizione a un debito oppure il divieto ad avere un lavoro e un’entrata finanziaria personale, da amministrare secondo la propria volontà.

    “Si fatica ancora a riconoscere e ad affrontare la violenza economica -afferma Manuela Ulivi, avvocata e consigliera nazionale di D.i.Re -Donne in rete contro la violenza, realtà che unisce diverse organizzazioni di donne in tutta la Penisola-. I soldi sono un tabù. Non se ne parla mai, soprattutto nelle relazioni sentimentali. Invece bisognerebbe farlo, avere una propria autonomia finanziaria è fondamentale».

    A mancare è principalmente l’informazione, non il riconoscimento giuridico. “Di questo tipo di maltrattamenti non si parla solo nella Convenzione di Istanbul, ma anche in direttive europee precedenti -continua l’avvocata-. La violenza economica è entrata nell’ordinamento italiano già alla fine degli anni 90”. Ancora oggi, tuttavia, alcuni comportamenti di sopraffazione da parte degli uomini, nella sfera finanziaria, sono considerati normali. “Di solito arriviamo a capire che c’è anche questo tipo di violenza dopo molti incontri -dice Francesca Vecera, responsabile del centro antiviolenza di Foggia, Impegno donna-. Molte persone danno per scontato che la donna sia economicamente dipendente dall’uomo”.

    Di questo ci si può accorgere anche osservando i dati sull’occupazione femminile: secondo quanto riportato dall’Istat, nel 2021 in Italia lavorava solo il 49,4% delle donne, mentre gli uomini che avevano un impiego erano il 17,7% in più. “Ci sono ancora mariti che dicono alle mogli che non avranno più bisogno di lavorare, perché ci saranno loro a pensare alla famiglia. Questo però riduce l’indipendenza e la possibilità di gestire autonomamente la propria vita -continua Vecera-. E non si deve pensare che queste dinamiche accadano solo nei ceti sociali più bassi: sono situazioni trasversali, che si attuano a ogni livello culturale ed economico”.

    Anche quando lavora, la donna, sia da libera professionista sia da dipendente, ha un guadagno nettamente inferiore rispetto a un collega maschio, anche per lavori molto qualificati (secondo dati Istat, le prime hanno una retribuzione oraria media di 15,2 euro, mentre i secondi di 16,2, con un divario più alto tra i dirigenti e i laureati). “Bisogna superare la visione secondo la quale le lavoratrici possono avere uno stipendio minore -chiosa l’avvocata- perché c’è l’uomo che compensa”. Anche questo, infatti, è sintomo di una società in cui la sottomissione e il controllo finanziario all’interno della coppia sono quasi normalizzati.

    La violenza economica può avere anche delle declinazioni più criminose, delle vere e proprie truffe: può capitare infatti che la donna diventi una prestanome per delle società che, effettivamente, non amministra e che si ritrovi, poi, anche ingenti debiti. Oppure succede che la moglie si addossi un mutuo o un prestito di un bene che viene intestato al marito. “Spesso le vittime si vergognano a parlare di quanto gli è successo, perché, come accade anche negli altri tipi di violenza, si colpevolizzano -commenta Ulivi-, pensano di aver fatto la figura delle stupide. Quando invece è proprio la fiducia all’interno della relazione amorosa che ti fa abbassare le difese e fare qualcosa che, magari, con una tua amica non faresti mai”.

    I maltrattamenti, spesso, non terminano con la fine della relazione. “Abbiamo visto addirittura mariti che minacciano di farsi licenziare per non pagare gli alimenti -dice Vecera-, dicendo che se non hanno nulla non possono dare nulla. Anche in situazioni in cui ci sono figli”. Alcuni uomini, quando vedono avvicinarsi la separazione, svuotano addirittura i conti correnti. “Nell’ordinamento giuridico italiano al momento del matrimonio c’è la possibilità di scegliere la comunione o la separazione dei beni -spiega Ulivi-. Oggi la maggior parte delle coppie, circa il 70%, sceglie la seconda opzione. Lo si fa per una questione di praticità, ma c’è poca informazione dietro. Per esempio, non si sa che, se si opta per la comunione, quando si riceve una somma per un’eredità, un risarcimento del danno o una donazione non diventa di proprietà di entrambi; solo il patrimonio che si costruisce durante la durata dell’unione è di tutti e due i coniugi”.

    La separazione dei beni può essere fonte di disparità: se la donna è costretta a lasciare il lavoro, non guadagna. E, al momento della fine del matrimonio, si ritrova senza nulla in mano. “Il mantenimento per le mogli è riconosciuto con una difficoltà enorme -continua l’avvocata-. Perché tendenzialmente i tribunali stabiliscono che non possa essere una rendita vitalizia: la persona con capacità di lavoro deve rendersi autonoma. Se però per 20 anni ti sei dedicata alla famiglia, a 40 o 50 anni rendersi autonoma può essere molto complesso”. A volte per le vittime di violenza serve una vera e propria rieducazione finanziaria, che permetta loro di acquistare un’indipendenza. Molti centri come Impegno donna di Foggia, offrono quindi dei corsi per confrontarsi sulle basi della gestione del denaro, dall’utilizzo di bancomat e dei conti correnti alle scelte di spesa quotidiane. Alcune persone hanno partecipato anche a un percorso di autoimprenditoria proprio per affacciarsi al mondo del lavoro.

    La violenza economica è un fenomeno estremamente pervasivo, con tante forme diverse e, a volte, inimmaginabili. “Ho visto donne regalare la casa per liberarsi del soggetto che le maltrattava”, racconta Ulivi. Per questo motivo, c’è bisogno di aumentare l’informazione e la conoscenza su questi temi – anche tra i giovani e i giovanissimi – in modo da riconoscere i campanelli d’allarme e prendere le necessarie precauzioni. L’informazione, però, soprattutto quando si tratta del campo economico, bisogna darla anche ai professionisti del mondo della finanza.

    Così stanno facendo le organizzazioni che fanno parte di D.i.Re: un progetto, per esempio, riguarda la formazione degli operatori delle banche, perché consiglino le soluzioni migliori per evitare che il conto, o il bancomat, sia gestito in maniera unilaterale dall’uomo. A Genova, invece, nel 2018 i centri antiviolenza hanno stretto un accordo, per la prima volta in Italia, con il Consiglio notarile dei distretti riuniti di Genova e di Chiavari, che prevede, tra le altre cose, consulenze gratuite per le vittime di violenza, svolto da notaie, in modo che la persona possa identificarsi e trovare un sostegno, ma anche, a volte e dove necessario, un inserimento lavorativo all’interno degli studi. “C’è bisogno di fare una vera battaglia culturale e ideale -conclude Ulivi-. La conoscenza e l’informazione sono le armi più potenti che abbiamo: se una donna sa quali sono i comportamenti a cui fare attenzione, si può allertare prima e ha più probabilità di uscire da una situazione di violenza”.

    https://altreconomia.it/la-violenza-economica-che-silenziosamente-colpisce-ancora-le-donne

    #violence #violence_économique #économie #dépendance #femmes #gestion_financière #argent #travail #dettes #genre

  • L’inévitable krach (Les Echos, 8 décembre) #capitalisme #crise

    Surendettement des ménages et des entreprises, déficit abyssal des Etats, #inflation et fin des politiques monétaires accommodantes : tous les ingrédients sont réunis pour un #krach financier et budgétaire de grande ampleur. […]

    Si l’on ne considère que les #dettes explicites, les chiffres, déjà, sont astronomiques. Au niveau mondial, le total de la dette des secteurs privé et public par rapport au PIB est passé de 200 % en 1999 à 350 % en 2021. Ce rapport est désormais de 420 % en moyenne dans les économies avancées et de 330 % en Chine. Aux Etats-Unis, il est de 420 %, plus élevé que durant la Grande Dépression ou après la Seconde Guerre mondiale.

    Certes, la dette peut dynamiser l’activité économique si les emprunteurs investissent dans des équipements (machines, logements, infrastructures publiques) dont les rendements sont plus élevés que le coût de l’emprunt. Mais l’essentiel de l’emprunt ne sert qu’à financer sur le temps long des dépenses de consommation au-dessus des revenus - ce qui est un ingrédient de la #faillite. comme on nomme les projets d’infrastructure grandioses mais inutiles. […]

    Lors de la crise financière mondiale de 2008 et lors de la crise du Covid-19, nombre d’acteurs qui auraient dû faire faillite ont été sauvés par les politiques de taux d’intérêt nuls ou négatifs, par l’assouplissement quantitatif et par des renflouements purs et simples avec les deniers publics.

    Mais aujourd’hui, les banques centrales ayant été contraintes d’augmenter leurs #taux_d'intérêt afin de restaurer la stabilité des prix, ces zombies assistent à une hausse brutale des coûts du service de leur dette. Pour beaucoup, c’est un triple coup dur, car l’inflation ronge aussi le revenu réel des ménages et réduit la valeur de leurs actifs, notamment des logements et des titres détenus. Il en va de même des entreprises, des institutions financières ou des administrations publiques fragiles et surendettées : elles sont confrontées en même temps à la brusque augmentation des coûts de l’emprunt, à la chute des revenus et des recettes et à la dévalorisation de leurs actifs. […]

    Contrairement à la crise financière de 2008 et aux premiers mois de la pandémie de Covid-19, un simple renflouement des acteurs privés et publics par l’assouplissement macroéconomique équivaudrait à jeter de l’huile sur le feu inflationniste. Cela signifie que l’atterrissage sera rude - une récession profonde et prolongée - en plus d’une grave crise financière. A mesure que les #bulles éclateront, que le service de la dette enflera et que les revenus ajustés de l’inflation s’écrouleront, crise économique et #krach_financier se nourriront mutuellement.

    • a propos de la dette (inévitable), une table ronde qui date d’y a 9 mois, avec O. Vidal (plutôt géologue), G. Giraud et P.Y Longaretti : Risques et enjeux systémiques pour un monde en basculement.

      – 10 min. de Vidal
      – 15 min. de show Giraud
      – 15 min. de Longaretti

      au milieu des 15 minutes de Giraud, ça parle dette, et comment on peut très certainement s’en débarrasser, et comme quoi y a rien de fatal la dedans. Le sujet revient aussi avec Longaretti qui dit que les Allemands ont pas la même notion de la dette que les autres europeens :-)

      https://www.youtube.com/watch?v=guhNz08z_co

    • [...]

      Pour la #BCE, annuler les #dettes des États, qui se négocient actuellement à des taux très bas, voire négatifs, n’est « pas une option », car « les citoyens risqueraient de perdre confiance dans la monnaie », avait déclaré en juin Fabio Panetta, membre italien de son directoire.

      Les signataires estiment à l’opposé que l’institution basée à Francfort pourrait, en annulant ses créances « offrir aux États européens les moyens de leur reconstruction écologique, mais aussi de réparer la casse sociale, économique et culturelle ».

      [...]

  • Bundestag beschließt neue Regeln für Inkassogebühren
    https://www.wiwo.de/finanzen/steuern-recht/verbraucherschutz-bundestag-beschliesst-neue-regeln-fuer-inkassogebuehren/26666534.html

    27. November 2020 - Der Bundestag verabschiedet ein Gesetz, das Schuldner entlastet. Bei Forderungen von bis zu 50 Euro sollen Inkassokosten nicht höher sein als die Forderung selbst.

    Insbesondere Schuldner kleiner Beträge sollen bei den Inkassogebühren entlastet werden. Eine entsprechende Reform beschloss der Bundestag am Freitag in Berlin mit den Stimmen der Koalitionsfraktionen CDU/CSU und SPD. AfD, FDP, Linke und Grüne stimmten dagegen. „Ein Inkassoverfahren darf für die Verbraucherinnen und Verbraucher nicht zur Kostenfalle werden“, erklärte Bundesjustizministerin Christine Lambrecht (SPD).

    Kritik kam sowohl von Verbraucherschützern als auch Inkassounternehmen. Der CDU-Abgeordnete Sebastian Steineke wertete das als Beleg für einen guten Entwurf.

    Inkassounternehmen sorgten dafür, dass jährlich fünf bis zehn Milliarden Euro ihren Weg zurück in den Wirtschaftskreislauf fänden. „Das ist wichtig, und nicht nur für die großen Unternehmen, sondern gerade für die kleinen Unternehmen, die keine eigene Rechtsabteilung haben.“

    Künftig müssen Inkassodienstleister Schuldner künftig schon beim ersten Kontakt in der Regel unter anderem darüber informieren, in wessen Auftrag sie handeln, um welchen Vertrag genau es geht und welche Kosten bei Verzug entstehen könnten.

    Bei kleinen Forderungen von bis zu 50 Euro sollen die Inkassokosten, die Schuldner zusätzlich zahlen müssen, nicht höher ausfallen als die Forderung selbst.

    Gläubiger, die sowohl Rechtsanwälte als auch Inkassounternehmen beauftragen, dürfen Kosten dafür nur bis zu der Höhe zurückverlangen, die allein mit der Beauftragung eines Rechtsanwalts entstanden wäre.

    Sie dürfen also nicht mehr beides abrechnen - vorausgesetzt, der Schuldner hat die Forderung noch bestritten, als bereits ein Inkasso-Dienstleister im Spiel war, und der Anwalt wurde erst dann eingeschaltet.
    Problem des Identitätsdiebstahls ungelöst

    Aus Sicht der Parlamentarier weitgehend ungelöst bleibt vorerst das Problem des Identitätsdiebstahls, bei dem Betroffene sich mit Bestellungen auf ihren Namen und auf ihre Kosten herumschlagen müssen, die sie aber gar nicht aufgegeben haben - hier soll gegebenenfalls mit einem neuen Vorstoß nachgebessert werden.

    Die Aufsicht werde gestärkt, sagte Ministerin Lambrecht. „In Zukunft sollen die Aufsichtsbehörden zum Beispiel auch dann einschreiten, wenn Inkassodienstleister aggressiv oder irreführend auftreten.“ Außerdem könnten bestimmte Verhaltensweisen untersagt und Bußgelder verhängt werden.

    Die Bundesregierung soll auch prüfen, ob die Aufsicht bundesweit zentralisiert werden soll. Das halten Verbraucherschützer für überfällig. „Die Aufsicht über Inkassounternehmen ist aktuell zersplittert und schwach, unter anderem weil sie von einer Vielzahl von Zivilgerichten als Nebentätigkeit miterledigt wird“, erklärte der Verbraucherzentrale Bundesverband (vzbv).

    Insgesamt griffen die Neuerungen jedoch zu kurz. „Die Inkassoreform wird aus Sicht des vzbv daher allenfalls in Extremfällen zu leichten Entlastungen für strauchelnde Verbraucher führen“, erklärte der Verband. Es sei daher gut, dass die Wirkung der Novelle in zwei Jahren noch einmal auf den Prüfstand solle.

    Der Bundesverband Deutscher Inkasso-Unternehmen nannte die Reform fatal für Wirtschaft und Zahlungsmoral. „Es ist nicht nachvollziehbar, dass der Fokus des Gesetzgebers nicht auf der Mehrheit der rechnungstreuen Verbraucher und der Wirtschaft, sondern auf dem obstruktiven Schuldner liegt“, bemängelte Verbandspräsidentin Kirsten Pedd.

    Es sei den Abgeordneten nicht gelungen, zwischen schützenswerten Verbrauchern und bewusst vertragswidrig handelnden Schuldnern zu unterscheiden.

    Auch die verbraucherschutzpolitische Sprecherin der FDP-Fraktion, Katharina Willkomm, warf den Koalitionsfraktionen vor: „Sie beschränken sich darauf, einseitig die Kosten zu drücken. Der Inkasso-Dienstleister soll ausbaden, dass Ihnen nichts einfällt, um finanzschwache Verbraucher vor neuen Schulden zu bewahren.“

    Die Schritte zum Schutz von Verbrauchern gingen nicht weit genug, bemängelten hingegen AfD, Grüne und Linke. Es gebe zwar Schritte in die richtige Richtung, dem „Überfallinkasso“ werde aber kein Riegel vorgeschoben, sagte der AfD-Abgeordnete Jens Maier. Seine Fraktion hätte sich eine weitere Begrenzung der Kosten gewünscht. „Das Geschäft mit der Not, das darf sich nicht mehr lohnen.“
    Ali: Arme Menschen würden alleine gelassen

    Die Linksfraktionsvorsitzende Amira Mohamed Ali sagte, arme Menschen würden alleine gelassen, und ihre Lage verschärfe sich in der Corona-Krise noch. Unlautere Geschäftspraktiken seien bei Inkassounternehmen an der Tagesordnung, weshalb die Aufsicht dringend gestärkt werden müsste.

    Es sei zudem falsch, dass sich die Kosten für Mitarbeiter an der Vergütung von Rechtsanwälten orientierten. „Inkassounternehmen leisten keine seriöse Rechtsberatung“, sagte Mohamed Ali.

    Die verbraucherschutzpolitische Sprecherin der Grünen-Fraktion, Tabea Rößner, äußerte sich ähnlich: Mahnungen würden teils sogar automatisch verschickt. „Ein Schutz vor Abzocke ist das wahrlich nicht“, bilanzierte sie mit Blick auf die Novelle.

    Deutscher Bundestag - Verbraucher­schutz im Inkasso­recht soll besser werden
    https://www.bundestag.de/dokumente/textarchiv/2020/kw27-de-inkassorecht-703662

    Antrag der Linken

    Auch die Linken fordern von der Bundesregierung eine Reform des Inkassorechts (19/20547) und wollen eine klare Festschreibung von Maximalkosten. So solle für alle Forderungen bis 50 Euro ein Maximalbetrag von fünf Euro erhoben werden, heißt es. Maximal 15 respektive 25 Euro sollten in der Folge dann mit der ersten und der zweiten Mahnung berechnet werden dürfen, schreiben die Abgeordneten.

    Neben weiteren Forderungen will die Linksfraktion außerdem durchsetzen lassen, dass es Inkassounternehmen und -rechtsanwälten künftig verboten werde, telefonisch Druck auf Verbraucher auszuüben. Gesetzlich solle zudem ein „Recht auf kostenfreie Schuldnerberatung für Alle“ geschaffen werden, heißt es in dem Antrag (mwo/ste/01.07.2020)

    #Allemagne #économie #dettes #politique

  • Americans Are Dying With an Average of $62K of #Debt | Credit.com
    https://www.credit.com/blog/americans-are-dying-with-an-average-of-62k-of-debt-168045


    Souvenez vous  : le communisme, c’est le mal, parce que vous ne pouvez rien posséder. Le #capitalisme, lui, vous permet d’avoir des possessions négatives, des #dettes  ! Que vous pourrez éventuellement refiler à vos descendants.
    À la fin d’une vie de #travail, votre #valeur est négative.

    You’re probably going to die with some debt to your name. Most people do. In fact, 73% of consumers had outstanding debt when they were reported as dead, according to December 2016 data provided to Credit.com by credit bureau Experian. Those consumers carried an average total balance of $61,554, including mortgage debt. Without home loans, the average balance was $12,875.

    The data is based on Experian’s FileOne database, which includes 220 million consumers. (There are about 242 million adults in the U.S., according to 2015 estimates from the Census Bureau.) To determine the average debt people have when they die, Experian looked at consumers who, as of October 2016, were not deceased, but then showed as deceased as of December 2016. Among the 73% of consumers who had debt when they died, about 68% had credit card balances. The next most common kind of debt was mortgage debt (37%), followed by auto loans (25%), personal loans (12%) and student loans (6%).

    These were the average unpaid balances: credit cards, $4,531; auto loans, $17,111; personal loans, $14,793; and student loans, $25,391.

    That’s a lot of debt, and it doesn’t just disappear when someone dies.

  • Quand la #banque_centrale donne gratuitement de l’argent aux grandes #banques_commerciales au lieu de financer la #reconstruction_écologique
    https://www.institut-rousseau.fr/quand-la-banque-centrale-donne-gratuitement-de-largent-aux-grandes

    Et toutes ces sommes sont empruntées à taux négatifs, à – 1 % ! Ce qui signifie que la banque centrale donne littéralement de l’argent aux banques privées pour qu’elles daignent venir lui emprunter des liquidités, alors même qu’on refuse toujours de financer directement les États ou d’annuler les #dettes_publiques qu’elle détient. D’ailleurs, les conditions à atteindre pour bénéficier du taux de – 1 % ont été considérablement assouplies. Auparavant, les banques devaient apporter la preuve qu’elles avaient accru leur portefeuille de prêts aux entreprises et aux ménages pour profiter du coût le plus favorable. Dans le cadre de cette nouvelle opération, elles peuvent se contenter de le maintenir à leur niveau d’avant la crise du Covid. Et on rajoute à cela que si jamais des emprunteurs font défaut, il y a désormais de bonnes chances pour que les banques soient remboursées directement par le Gouvernement. Rien que pour la première année de leur emprunt, ce sont donc 13 milliards d’euros qui seront versés gratuitement aux banques par la création monétaire ex nihilo de la banque centrale. Sur trois ans, près de 40 milliards d’euros seront ainsi offerts. N’a-t-on pas mieux à faire avec 40 milliards d’euros, comme lutter contre le #changement_climatique par exemple ?

    Dans le monde des économistes orthodoxes, personne ou presque ne s’inquiète de la « crédibilité » de l’action de la banque centrale, du risque d’#inflation sur les #marchés_financiers (c’est-à-dire de #bulles_financières que ce type d’action ne manquera pas d’engendrer), ou bien de l’impact sur les fonds propres de la banque centrale (qui pour le coup est absolument certain contrairement aux opérations d’annulation de dettes publiques détenues par la banque centrale). En 2008, nous avions été choqués de la socialisation des pertes et la privatisation des profits sans rien faire, sinon des réformes cosmétiques. Nous avons désormais fait mieux en passant dans une phase de couverture intégrale des pertes et de fabrication artificielle des profits grâce à une banque centrale dont l’indépendance farouche vis-à-vis des États n’a d’égale que sa complaisance et sa dépendance à l’égard du système financier privé.

    Si la proposition, portée notamment par l’Institut Rousseau, d’annulation des dettes publiques détenues par la BCE a suscité une levée de boucliers de la part d’un petit groupe d’économistes néolibéraux confortablement installés dans leurs certitudes, leur silence concernant les dérives de ces pratiques est en revanche assourdissant. À croire que l’indignation ne naît que lorsqu’on tente de rétablir la monnaie comme l’instrument d’émancipation sociale et politique qu’elle n’aurait jamais dû cesser d’être, mais pas quand la #création_monétaire de la banque centrale vise à faire des cadeaux perpétuels aux #banques_privées sans aucune contrepartie ou presque.

    C’est pourquoi il importe de rappeler une nouvelle fois que l’indépendance des banques centrales n’a rien de naturel et est foncièrement antidémocratique. Elle ne repose que sur une décision politique funeste, désormais inscrite dans les traités, qui la coupe du pouvoir délibérant de la collectivité et la place sous la coupe des marchés financiers. Cette architecture monétaire et financière relève entièrement d’un choix politique et idéologique qui repose sur l’idée que la monnaie doit être neutre, soustraite aux mains de politiques nécessairement démagogiques et confiée entièrement aux marchés privés qui nous conduiront vers la prospérité grâce aux vertus naturelles de la main invisible et de la libre-concurrence. Il est donc temps de comprendre que le sérieux et la raison ne sont pas du côté de ceux qui, par suivisme ou par intérêt, défendent ce type de pensée magique et nous imposent les sacrifices inutiles qui l’accompagnent, tout en bénéficiant allégrement de la création monétaire qu’ils dénoncent.

  • Gaël Giraud : « Le monde financier sait que ses jours sont comptés » | Public Senat
    https://www.publicsenat.fr/article/politique/gael-giraud-le-monde-financier-sait-que-ses-jours-sont-comptes-183433

    Quelle sera l’ampleur de la crise économique ?

    La crise sera plus grave que celle de 2008. Nous entrons dans une spirale déflationniste extrêmement dangereuse. L’Europe de l’Ouest pourrait connaître une trajectoire à la japonaise. Dans les années 1990, le Japon a connu une grande répétition de la crise des subprimes, avec une gigantesque bulle financière qui a gonflé sur une bulle immobilière. Les deux bulles ont explosé au même moment, et le Japon est entré dans la déflation, c’est-à-dire dans un régime macroéconomique dans lequel il n’y a plus de croissance, plus d’inflation, énormément de dette privée et un chômage de masse. Nous risquons de subir le même sort si nous continuons de pratiquer l’austérité budgétaire.

    Vous êtes très pessimiste, à un moment où les marchés financiers semblent se porter plutôt bien. Comment expliquez-vous cette bonne santé des marchés ?
    Les marchés financiers sont profondément inefficients, irrationnels, traversés par des bulles spéculatives et des mouvements erratiques qui n’ont rien à voir avec l’économie réelle. On ne peut pas demander aux marchés financiers de prédire l’avenir. Ils en sont incapables.

    #Gaël_Giraud, mon #social-démocrate préféré, écolo et tout, sur la #crise_économique à venir. #Cassandre écolo qui comme Cochet et Larrouturou en 2007 doit avoir environ un an, un an et demie d’avance sur les marchés. Ça fait six mois que je les entends dire ça, je me disais que peut-être la crise sanitaire avait atténué la surchauffe mais non... C’est peut-être pour cet automne, avec une deuxième vague par dessus. Et plein de #dettes évidemment.

  • Quand des villes refusent d’être vendues à des multinationales

    Écrasées de #dettes, poussées à la #marchandisation, les villes sont sommées de se vendre aux multinationales. Mais partout dans le monde, des municipalités cherchent à se réapproprier leur #pouvoir_d’agir.

    Comment les élus locaux et les citoyens peuvent-ils s’opposer à la main-mise grandissante des firmes ? C’est tout l’objet d’une publication inédite, parue ce jeudi 27 février, intitulée Villes contre multinationales, éditée par Ritimo. De la privatisation de l’eau à l’essor d’Airbnb en passant par la « smart city » connectée en 5G, « les villes sont devenues un champ de bataille face au poids croissant des grandes entreprises », peut-on lire en introduction.

    La publication réunit une série d’articles rédigés par des journalistes, des militants, des élus et des chercheurs européens, membres d’Enco, un réseau de médias et d’ONG « qui se consacrent à enquêter et informer sur les entreprises multinationales et leur pouvoir ».

    Un travail qui tombe à pic, à deux semaines des élections municipales : « On espère donner des idées aux candidats et futurs élus, casser ce sentiment qu’il n’y a pas d’alternatives, pas de possibilités de s’opposer aux multinationales », explique Olivier Petitjean, membre de l’Observatoire des multinationales, joint par Reporterre. De l’Espagne au Royaume-Uni, en passant par la Tchéquie et la France, de nombreuses municipalités ont en effet cherché à se réapproprier leur pouvoir d’agir.

    Car il s’agit bien d’une reconquête démocratique. Depuis la crise financière de 2008, « la pression économique et politique sur les villes s’est considérablement accrue, soulignent les auteurs. Nombre d’entre elles se sont retrouvées écrasées de dettes, poussées à vendre des biens, privatiser des services publics, réduire leurs dépenses. » Les fonds financiers en quête de nouveaux placements profitables ont investi le secteur du tourisme et de l’immobilier, mais également celui des nouvelles technologies.

    Laia Forné, sociologue espagnole spécialiste des questions d’urbanisme, de démocratie et de communs, évoque ainsi une « marchandisation des villes » :

    La gouvernance urbaine de nos villes a été basée sur une coopération entre les secteurs public et privé qui a mené à la privatisation de biens fondamentaux comme la terre, le logement, l’eau et le patrimoine municipal, tout en créant des structures de gouvernance opaques et antidémocratiques. Le modèle de gouvernance qui a prévalu était celui de la concession public-privé, où le secteur privé engrange les bénéfices de grands projets spéculatifs tandis que le secteur public en assume les risques. »

    L’un des principaux leviers des firmes réside ainsi dans la spéculation immobilière, comme le raconte Max Carbonell, membre de l’Observatoire de la dette dans la globalisation (ODG), et militant espagnol du mouvement pour le logement. Blackstone, une des multinationales qui possèdent le plus de propriétés (ou « actifs financiers ») au monde, a acquis de nombreux bâtiments à Barcelone, notamment un immeuble dans le quartier de Raval, l’un des plus pauvres de la ville.

    « Blackstone n’y voyait qu’un actif financier sur lequel spéculer et se préparait à mettre les familles à la rue pour pouvoir le revendre – ou le relouer – à un prix bien plus élevé, écrit-il. [Pour Blackstone et d’autres sociétés du même type, le] mode opératoire commun se résume à "buy it, fix it, sell it", acheter, réparer, revendre). »

    Aujourd’hui, les villes du monde sont sommées d’entrer en compétition les unes avec les autres sur le marché international pour attirer le maximum de touristes et d’opportunités d’affaires financières et immobilières possibles (avec tous les secteurs d’activité qui leur sont liés). En d’autres termes : on vend des villes, on vend notre ville, à des investisseurs du secteur du tourisme et de l’immobilier.

    À Barcelone, une mobilisation populaire portée par le Syndicat des habitants du Raval (SHR) a finalement contraint Blackstone à négocier : en 2019, l’entreprise a fini par accepter que les familles restent et paient un loyer modéré, en partie financé par la municipalité.

    Ainsi, la publication Villes contre multinationales diffuse des exemples de luttes locales, souvent longues et difficiles, tant la puissance des firmes apparaît illimitée. En Croatie, le journaliste Igor Lasic explique comment la société Razvoj Golf, porteuse d’un projet de golf géant dans la ville touristique de Dubrovnik, a porté plainte en 2017 contre l’État auprès d’un tribunal d’arbitrage dans le cadre d’un accord de libre-échange, réclamant 500 millions d’euros de compensation pour le blocage de ses projets par un mouvement citoyen.

    À Bruxelles, le chercheur Kenneth Haar relate les manœuvres d’Airbnb auprès de la Commission européenne « pour reprendre la main » face à la contestation croissante des métropoles comme Amsterdam ou Berlin : « La Commission fait depuis lors pression sur les États membres [leur] faisant savoir que les restrictions trop strictes aux activités d’Airbnb et des autres plateformes peuvent contrevenir à la législation européenne ».
    « La "ville intelligente" n’est qu’un nouveau nom pour la ville privatisée »

    Nouveau cheval de Troie des multinationales, le concept de « smart cities » a le vent en poupe. Selon Olivier Petitjean, « la "ville intelligente" n’est qu’un nouveau nom pour la ville privatisée ». Pour les entreprises comme Suez et Veolia, « la "smart city" est surtout promue comme un moyen d’intégrer la gestion des services publics locaux comme l’eau, les déchets, le transport public, le chauffage urbain, l’éclairage, la gestion des équipements, pour rendre le tout plus "efficient" ». Au-delà, ces « smart cities » sont une aubaine pour les géants du numérique et les plateformes comme Google, Uber, Amazon, Airbnb ou Deliveroo car elles permettent non seulement « une collecte massive de données sur les habitudes individuelles et les tendances urbaines, mais aussi de ce fait une capacité d’influencer la fabrique même des villes (par exemple ses flux de trafic, le développement économique de certains quartiers, etc.) sans contrôle par les élus locaux ».

    Le combat des David citadins contre les Goliath multimillionnaires serait-il perdu d’avance ? « La bataille est en cours, dit Olivier Petitjean. Il existe des marges de manœuvre, mais il y a besoin que les villes créent des alliances, échangent leurs idées, fassent contre-poids aux multinationales. » Pour lui, « la transition écologique et sociale est une opportunité pour que les villes sortent de la dépendance aux multinationales. Pour réduire ses déchets, une ville peut décider de s’engager dans une démarche zéro déchet, en impliquant les citoyens, plutôt que de s’en remettre à la construction d’un nouvel incinérateur par une multinationale comme Suez. »

    De fait, les 200 pages de la publication regorgent d’initiatives portées par des villes. Hazel Sheffield, journaliste anglaise, détaille l’histoire de Preston, petite ville de 140.000 habitants dans le nord de l’Angleterre, fortement touchée par la désindustrialisation, qui « a réorienté radicalement ses achats publics pour favoriser le tissu économique et social local, plutôt que les grandes entreprises ». « Les gros contrats, par exemple pour la rénovation du marché de Preston, sont divisés en lots plus petits pour permettre aux PME de répondre aux appels d’offres, et des clauses sociales y sont attachées, comme de garantir aux travailleurs des salaires décents », raconte-t-elle. Bien que les règles européennes, d’inspiration néolibérale, ne soient pas favorables à de telles clauses, « tant que les autorités assurent une procédure équitable, elles peuvent sélectionner les fournisseurs en fonction d’une série de critères dont le prix, mais aussi la qualité, le risque, la valeur sociale et d’autres facteurs », précise la journaliste. Les achats de services, de travaux et de fournitures des villes de l’Union européenne représentent près de 2.000 milliards d’euros par an, soit environ 14 % du PIB de l’Union. « Le potentiel de transformation de ces nouvelles politiques progressistes de marchés publics est donc énorme », note aussi Olivier Hoedeman, co-fondateur du Corporate Europe Observatory.
    L’eau à Grenoble, la gestion des ordures à Naples... Autant d’exemples de remunicipalisation

    Outre les achats publics, la publication met en avant de multiples exemples de (re)municipalisation : l’eau à Paris et Grenoble, les terres agricoles à Mouans-Sartoux ou Vannes, la gestion des ordures à Naples ou la distribution d’électricité dans certaines communes espagnoles.

    Pour la sociologue Laia Forné, cette reconquête n’est possible et durable qu’à travers la mise en place d’un « municipalisme public-citoyens », alliant élus et mouvements sociaux. À Barcelone, le nouveau système qui oblige les grandes développeurs immobiliers à consacrer 30 % de leurs opérations à du logement social, en fournit un bon exemple : « Tandis que la municipalité apportait le savoir-faire technique pour rédiger une législation adaptée, les mouvements sociaux pour le logement ont mobilisé l’opinion publique et exercé une pression politique suffisante pour dépasser les logiques partisanes. » Elle parle également de « co-responsabilité », illustrée par la création du programme barcelonais de « Patrimoine citoyen », dont l’objectif est « de créer des cadres innovants associant citoyens et institutions pour gérer les ressources publiques, y compris les édifices publics, les vergers urbains, l’espace public et certains services sociaux. »

    « Les élus ne peuvent pas tout, les villes sont face à des pouvoirs puissants et riches, conclut Olivier Petitjean. Il est donc essentiel que les municipalités volontaristes soient soutenues par des mouvements sociaux. Il est aussi nécessaire que ces villes se mettent en réseau, s’allient pour peser face aux multinationales. Et surtout, il faut une bonne dose de courage. »

    https://reporterre.net/Quand-des-villes-refusent-d-etre-vendues-a-des-multinationales

    #villes #géographie_urbaine #résistance #multinationales #Barcelone #eau #Grenoble #remunicipalisation #Blackstone #Airbnb #Bruxelles #smart_cities #ville_intelligente #ubérisation #Preston #désindustrialisation #UK #Angleterre #Naples #ordures #Mouans-Sartoux #Vannes #terres #Espagne #municipalisme_public-citoyens #co-responsabilité #patrimoine_citoyen #mouvements_sociaux #réseaux #livre #ressources_pédagogiques #urban_matter

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    Pour @etraces :

    Nouveau cheval de Troie des multinationales, le concept de « smart cities » a le vent en poupe. Selon Olivier Petitjean, « la "ville intelligente" n’est qu’un nouveau nom pour la ville privatisée ». Pour les entreprises comme Suez et Veolia, « la "smart city" est surtout promue comme un moyen d’intégrer la gestion des services publics locaux comme l’eau, les déchets, le transport public, le chauffage urbain, l’éclairage, la gestion des équipements, pour rendre le tout plus "efficient" ». Au-delà, ces « smart cities » sont une aubaine pour les géants du numérique et les plateformes comme Google, Uber, Amazon, Airbnb ou Deliveroo car elles permettent non seulement « une collecte massive de données sur les habitudes individuelles et les tendances urbaines, mais aussi de ce fait une capacité d’influencer la fabrique même des villes (par exemple ses flux de trafic, le développement économique de certains quartiers, etc.) sans contrôle par les élus locaux ».

  • Der kontrollierte Bankrott
    https://www.wiwo.de/politik/europa/tauchsieder-der-kontrollierte-bankrott/25852412.html

    Cet article décrit quelques raisons de la nouvelle politique économique et financiaire des représentants de la classe capitaliste de France et d’Allemagne. Il la compare à la situation à la fin du dix huitième siècle et tire une conclusion banale : la classe capitaliste fera payer quelqu"un d’autre. Enfin, c’est ce qu’on peut lire entre les lignes de l’article.

    23.5.2020 von Dieter Schnaas Textchef und Autor der WirtschaftsWoche

    Unser Wirtschaftssystem floriert auf der Basis des Ruins. Die aufgeschobene Insolvenz ist seine Geschäftsgrundlage. Schulden werden nicht mehr getilgt, sondern mit neuen Schulden ins Unendliche verlängert. Wie lange kann das gutgehen? Ein Blick in die Wirtschaftsgeschichte liefert Antworten.

    Bundeskanzlerin Angela Merkel und Staatspräsident Emmanuel Macron haben in dieser Woche ihre „deutsch-französische Initiative zur wirtschaftlichen Erholung Europas nach der Coronakrise“ vorgestellt. Danach soll die EU, über bereits beschlossene Hilfsmaßnahmen hinaus, einen 500 Milliarden Euro schweren „Wiederaufbaufonds“ einrichten. Das Prinzip: Brüssel leiht sich Geld an den Finanzmärkten – und verteilt es in Form von zweckgebundenen Zuschüssen an besonders betroffene Branchen, Regionen und Länder. Deutschlands Anteil an dem Programm liegt, entsprechend dem deutschen Anteil am EU-Haushalt (27 Prozent), bei 135 Milliarden Euro. Die Rückzahlung der Schulden soll aus dem EU-Haushalt erfolgen und sich über 20 Jahre erstrecken.

    Aber handelte es sich im Fall einer Rückzahlung der Schulden tatsächlich um Zuschüsse? Klar ist: Die Kredite stellen eine gemeinsame Verbindlichkeit aller EU-Länder dar, für deren Günstigkeit und Güte vor allem solvente Länder wie Deutschland bürgen. Das kommt stark verschuldeten Volkswirtschaften, von deren Bonität die privaten Gläubiger nur noch begrenzt überzeugt sind, zu gute. Insofern stellen die niedrigen Zinsen der Anleihen bereits indirekt einen Zuschuss Deutschlands an andere Länder dar.

    Klar ist aber auch: Nur wenn die Hauptempfänger am Ende weniger zurückzahlen als sie erhalten, kommen sie in Genuss von Zuschüssen, nicht Krediten. Es sei denn, die Rückzahlung der Schulden erstreckt sich nicht über 20 Jahre, sondern die Schulden werden beizeiten mit neuen Schulden beglichen, also gleichsam ad infinitum, ins Unendliche verlängert.

    Wahrscheinlich ist das der Kern des Kompromisses zwischen den Regierungszentralen in Deutschland und Frankreich: Merkel kann die Hilfen den Deutschen (mit Mühe) als Kredit verkaufen, Macron den Franzosen (mit Stolz) als Zuschuss – und beiden gemeinsam ist, dass sie vor allem Zeit kaufen, wieder einmal: Die aufgeschobene Insolvenz ist spätestens seit der Finanz- und Eurokrise die Geschäftsgrundlage unseres Wirtschaftssystems, der kontrollierte Bankrott sein konstitutives Element. Neu ist allein, dass es seit der Coronakrise niemanden mehr gibt, der diese Elementartatsache zu bemänteln versucht: Der finanzmarktliberale Staatsschuldenkapitalismus floriert paradoxerweise auf der Basis seines Ruins.

    Der Ökonom Jens Südekum hat sich in einem Beitrag für das Handelsblatt zuletzt glasklar ausgedrückt: Wir müssen die explodierenden „Staatsschulden… einfach hinnehmen“. Und es stimmt ja auch: Ohne Stimuli der Regierungen und Notenbanken würde die Weltwirtschaft jahrelang „in einem deflationären Labyrinth feststecken“. Was es daher brauche, so Südekum weiter, seien Steuersenkungen, öffentliche Investitionen – und Schulden, die „möglichst langfristig finanziert und durch permanentes Überwälzen – also die Ausgabe neuer Anleihen zur Bedienung der alten – immer weiter in die Zukunft geschoben werden“. Südekum glaubt, die Industriestaaten könnten auf diese Weise, vor allem dank strukturell niedriger Zinsen, „aus dem Schuldenproblem der Coronakrise einfach herauswachsen“ – ihre Kreditprobleme im Wege der Geldschöpfung, „offiziell und unbegrenzt“, lösen.

    Doch was, wenn die Zinsen nicht niedrig blieben? Wenn die Notenbanken aufhörten, unaufhörlich Geld zu schöpfen, den Preis des Geldes künstlich niedrig zu halten? Nun – dann kollabierte das Geldsystem. Daran haben die Akteure an den Finanzmärkten ersichtlich kein Interesse. Sie müssten dasselbe Geldsystem beargwöhnen, das vor allem sie prämiert: ein Geldsystem, das ihre Vermögen schützt und von allen Erschütterungen des realwirtschaftlichen Lebens abschirmt. Die „Stabilität“ der Indizes weltweit beweist es: Die Aufgabe der Finanzmärkte besteht nicht mehr wie ehedem darin, der Wirtschaft als ihr Seismograf über sich selbst Auskunft zu verleihen, sondern darin, dass das Geld der Vermögenden sich in ihnen möglichst unbegrenzt vermehren kann. „Die Börse“ ist in diesem System kein Markt der Märkte mehr, in denen die Wirtschaft sich selbst den Puls fühlt, sondern eine Geldmaschine, die darauf programmiert ist, alle Verbindungsreste zur schwach wachsenden Realwirtschaft zu kappen. Das „interessierte Geld“ institutioneller Anleger sammelt sich als „Marktkapitalisierung“ zusehends in den wenigen wachstumsstarken The-Winner-takes-it-all-Unternehmen des spätmodernen Plattformkapitalismus und forciert damit seinerseits die Konzentration der Wirtschaft und Vermögen – auf Kosten des Wettbewerbs und der Nicht-Besitzenden: Amazon ist heute mehr wert als alle 30 Dax-Titel zusammen – und hält viele seiner Mitarbeiter gern besonders kurz.

    Und die nominell unabhängigen Notenbanken? Die sind in diesem Spiel längst zu Durchführungsagenturen einer in Washington, Berlin und Brüssel abgemischten Rettungspolitik verkommen – dazu verdonnert, immer neues Fiatgeld in das zu pumpen, wofür früher einmal das Wort vom „gesunden Wirtschaftskreislauf“ zur Verfügung stand. Der Kulturwissenschaftler Joseph Vogl spricht zu Recht von „Souveränitätsreservaten eigener Ordnung“, in denen Staaten, Notenbanken und Finanzmärkte informell miteinander verflochten sind und operieren: von einer „exekutiven Macht“ ohne Mandat, die sich im Rahmen „einer allgemeinen Notstandsmentalität“ formiert hat. Sie wirkt als „vierte Gewalt“, in der „Stabilitätsmechanismen“ und „Hilfsfonds“ unklare Interessen von Bürgern, Anlegern und Steuerzahlern vertreten, Finanzmärkte als Agenturen überschuldeter Steuerstaaten auftreten und Notenbanken beliebig Billiggeld verteilen, damit klamme Staaten für klamme Banken geradestehen, die für klamme Staaten geradestehen.

    Wie lange kann das gutgehen? Und: (Wie) kommen wir aus dieser Nummer jemals wieder raus? Die gute Nachricht ist: Es kann lange gutgehen. Die Schlechte: Es wird schmerzvoll. Das zeigt ein kleiner, unbedingt lohnender Ausflug in die Wirtschaftsgeschichte.

    Lernen vom England des 18. Jahrhunderts

    Am 26. Februar 1797 wird die Bank of England per Kabinettsorder und Parlamentsbeschluss von der Verpflichtung befreit, Banknoten in Münzgeld zu wechseln und damit eine Deckung des umlaufenden Papiergelds zu garantieren. Es ist ein Schock. Die Geldreserven der Bank sind nach dem Krieg zwischen England und Frankreich erschöpft; einem Barvermögen von 1,27 Millionen Pfund steht ein Notenumlauf von 8,64 Millionen Pfund gegenüber – die Bank ist zahlungsunfähig. Statt jedoch Konkurs anzumelden, weil sie die (potenziellen) Forderungen ihrer Gläubiger nicht mehr (alle zugleich) bedienen kann, ruft die Bank kurzerhand eine bank-restriction aus, ein Konversionsverbot für Banknoten. Und siehe da: In den nächsten Tagen und Wochen zeigt sich, dass der pure Glaube an das neue Schein-Geld Berge versetzen kann. Die faktische Insolvenz bleibt folgenlos. Die Banknoten zirkulieren munter weiter – im bloßen Vertrauen darauf, dass das Papiergeld bis zum erhofften Widerruf der Bankeinschränkung seinen Wert behält und die Bank zwischenzeitlich genügend Kapital aufbaut, um die Notenausgabe künftig wieder auf den Betrag des Bankkapitals beschränken zu können.

    Das Geld, zweieinhalbtausend Jahre lang gesetzlich beglaubigter Träger seines Wertes (Münz-Geld), verliert damals buchstäblich seinen (Ge-)Halt – und wird Geld allein dadurch, dass die Bank für es bürgt – ein ungeheuerlicher Vorgang, der bereits von den Zeitgenossen als Weltbegebenheit gefeiert und zugleich als zutiefst beängstigendes Ereignis wahrgenommen wird, als alle Stabilität, Dauerhaftigkeit und Sicherheit buchstäblich erschütternder Epochenbruch, allenfalls vergleichbar mit dem Erdbeben von Lissabon (1755).

    Der Skandal der britischen Geldrevolution besteht aber nicht nur in der Entmaterialisierung des Geldes, sondern vor allem in seiner künstlichen „Verlängerung“ als Vorschuss, Kredit und Schuld, in seiner „Verdopplung“ als Bargeld und Obligation: Die neue Banknote ist Geld und Anti-Geld zugleich. Bisher war Papiergeld als Zahlungsmittel ja überhaupt nicht in Umlauf. Als Zahlungsversprechen (Wechsel) entsprach es einem Schuldschein – und das Vertrauen in diese „Quittungen“, „Noten“, „Billets“ und „Zettel“, die als goldsmith notes bei Goldschmieden, später dann bei Banken, eingelöst wurden, beruhte eben darauf, dass sie jederzeit durch Kurantmünzen und Edelmetallbarren abgesichert waren – und dass der Souverän für ihre Annahmepflicht bürgte. Mit dem Referenzverlust des Papiergeldes stellt sich nun die bange Frage, ob die Weigerung der Bank, das Metallgeld auszuzahlen, nicht das gleiche bedeutet wie die Weigerung der Bank, überhaupt (jemals) zu zahlen – und das Wunder der bank-restriction besteht darin, dass der Anspruch auf Einlösung eines Schuldtitels ohne Bedeutung ist, sofern man sich einig ist, den Anspruch (vorerst) aufzugeben – und das Zahlungsversprechen einfach weiter reicht. Es ist ziemlich exakt das, worum es in der Forderung nach einer „Verewigung von Schulden“ auch in diesen Wochen geht: um eine Ausweitung der Geldschöpfung, die das Band wechselseitiger Abhängigkeit stärkt.

    Zu den problematischen Folgen dieser monetären Umformatierung damals gehört, dass sich Schuld und Schulden nicht mehr eindeutig zurückverfolgen lassen, dass sich Zahlungsketten fiktionalisieren. Bereits Adam Smith weiß von Schuldnern zu erzählen, die ihre Schulden durch immer neue Schulden bezahlen – was bei Fälligkeit und Präsentation der Wechsel zwangsläufig zu einer Serie von Bankrotten führen müsse – irgendwann. Denn einerseits sind die Zahlungen „völlig fiktiv“ so Smith, weil „der Strom, den die umlaufenden Wechsel aus den Tresoren der Banken fließen ließen, niemals durch einen anderen ersetzt [wurde], der tatsächlich wieder dorthin zurücklief“. Andererseits gilt: „Selbst wenn alle zahlungsunfähig werden…, was durchaus wahrscheinlich ist, wäre es doch reiner Zufall, falls sie es innerhalb kurzer Zeit würden.“ Hellsichtig erkennt Smith, dass sich mit dem neuen Papiergeld eine neue Pumpwirtschaft und mit der neuen Pumpwirtschaft eine neue Mentalität der Sorglosigkeit ausbreitet: „Das Haus ist zwar baufällig und wird nicht mehr lange stehen, sagt sich ein müder Reisender, aber es wäre schierer Zufall, wenn es gerade heute Nacht einstürzte; ich will es daher wagen, darin zu übernachten.“

    Schöner kann man es auch heute nicht ausdrücken. Denn das ist der Kern: Die Genialität der Bank of England besteht nicht etwa darin, die eklatante Deckungslücke des neuen Papiergeldes zu verheimlichen, sondern darin, sie zur offiziellen Geschäftsgrundlage zu erklären: in der offiziellen Verzeitlichung der Einlösepflicht – in dem frechen Versprechen, eine Kompensation der umlaufenden Schulden nicht etwa anzustreben, sondern vorerst auszuschließen. Nur weil es als Schein-Haftes zirkuliert, als Geld und Schuld zugleich, steigt es zum schuldenfrisierten Hybridmotor der Wirtschaft auf. Nur weil alles Gold und Silber der Welt nicht ausreicht, die Ansprüche aller zu befriedigen, die dieses Gold und Silber auf einmal begehren, ist es zugleich Ausgleich und dauernder Anspruch, Bargeld und ständige Forderung, Zahlungsmittel und ewiges Versprechen – zugleich money and claim, ein monetärer Verschnitt seiner Geld- und Krediteigenschaften, ein zur Einheit aus Bonität und Zahlungsunfähigkeit verdichteter Widerspruch, der seinen Nutzern einen unendlichen Aufschub einräumt: Jede Zahlung eröffnet die Aussicht auf eine anschließende Zahlung; und jedes Zahlungsversprechen hat immer weitere, also prinzipiell unabschließbar viele Zahlungsversprechen zur Folge…

    Eine Kompensation der umlaufenden Schulden ist in diesem Geldsystem explizit nicht mehr gewünscht – und seine Stabilität besteht einzig und allein darin, dass jeder in ihm auf den anderen verwiesen ist, weil er weiß, dass das, was er (nicht) besitzt, immer auch von allen anderen (nicht) besessen wird. Der kontrollierte Bankrott wird dadurch gleichsam mitlaufend zur Institution der neuen Scheinwirtschaft, die aufgeschobene Insolvenz zu ihrem konstitutiven Faktor, die systematische Verschuldung zu ihrem mitlaufenden Credo. Ganz so wie heute.

    Und – wie geht die Geschichte aus? Damals gut. Die bank-restriction endet vor exakt 200 Jahren mit der sogenannten Peel’s Bill, der sukzessiven Rückkehr Großbritanniens zum Goldstandard, der Rettung des werthaltigen Geldes. Der konservative Staatsmann und spätere Premier Sir Robert Peel setzte die Reform damals durch – gegen den Widerstand von Finanziers, Industriellen und Spekulanten, die, damals wie heute, zu den größten Profiteuren der Geldexpansion zähl(t)en.

    Und heute? Heute sind Staatschefs und Finanzmarktakteure so stark aufeinander angewiesen, dass eine Lösung unmöglich scheint, weil jede weitere Krise weitere Notfallmaßnahmen erfordert – und das Schuldenproblem dadurch zugleich verzeitlicht und verschärft wird. Geschichte wiederholt sich nicht, klar. Aber ihre Episoden enden ganz sicher – irgendwann. Auch die Episode der „ewigen Schulden“.

    #capitalisme #crise #histoire #spéculation #dettes #fiat_money #amazon #gafam #platform_capitalism #Europe

  • Vers des jours heureux... | Le Club de Mediapart

    https://blogs.mediapart.fr/edition/les-invites-de-mediapart/article/280420/vers-des-jours-heureux

    Un virus inconnu circule autour de la planète depuis le début de l’année. Péril mortel et invisible, nous obligeant à nous écarter les uns des autres comme si nous étions dangereux les uns pour les autres, il a retourné les tréfonds des sociétés comme on retourne un gant et il a mis au grand jour ce que l’on tentait jusqu’ici de masquer. Sans doute provoque-t-il un nombre important de morts et met-il sous une lumière crue les limites des systèmes de santé des pays développés, y compris les plus riches d’entre eux. Sans doute, ailleurs, expose-t-il les populations de pays plus pauvres à un extrême danger, les contraignant pour se protéger à accomplir une obligation impossible, le confinement. Mais ceci n’est que la surface des choses.

    Le gant retourné donne à voir la voie périlleuse dans laquelle le monde se trouve engagé depuis des décennies. En mettant les services hospitaliers sous contrainte budgétaire, là où ils étaient développés, et en les négligeant là où ils sont insuffisants, les responsables politiques affolés se sont trouvés pris de court devant l’arrivée de la pandémie. En France, l’impréparation criante à ce type d’évènements, la liquidation coupable de la réserve de masques, la délocalisation de l’industrie pharmaceutique avec pour seule raison la recherche de profits plus grands, la faiblesse des moyens de la recherche scientifique, mettent le gouvernement en situation d’improvisation. En prenant le chemin du confinement dont il ne sait comment sortir, il s’est engagé dans la voie d’une mise en cause radicale des libertés publiques. S’étant privé des autres moyens de protection de la population, il bénéficie d’un acquiescement forcé de cette dernière. Pour le cas où cet acquiescement manquerait, un discours moralisateur et culpabilisant se déploie. Et pourtant, partout, d’innombrables initiatives contredisent l’individualisme entretenu par le modèle économique et social et témoignent de la permanence de la fraternité entre les humains.

    Mais le gant retourné fait apparaître aussi, au moins aux yeux les plus lucides, que la réponse aux enjeux auxquels l’humanité dans son ensemble est en ce moment confrontée, ne saurait être une addition de politiques nationales, encore moins si ces politiques tentent de se mener en vase clos. Il y manquera toujours une part, celle de la communauté des humains qui ne peut refuser plus longtemps de se voir pour ce qu’elle est : une communauté de destin, ce qu’Hannah Arendt nommait une association politique d’hommes libres.

    Ainsi, derrière la crise sanitaire qui est au premier plan, avec la crise économique qui s’amorce et la catastrophe écologique en cours, c’est une crise de civilisation qui émerge enfin. Le monde entièrement dominé par le système capitaliste qui ne cesse de creuser les inégalités et de détruire la nature, est aujourd’hui un bateau ivre qui n’a d’autre horizon que son naufrage à travers des violences insoupçonnées.

    S’il est encore temps de reprendre les commandes, alors ce séisme inédit est l’occasion que le monde doit saisir pour rompre enfin avec sa destruction largement amorcée et inventer une société entièrement différente. Ainsi, ayant conjuré la terreur de l’inconnu, les peuples danseront de joie sur les décombres du vieux monde qui menaçait de les emporter.

    Pour cela, il faut :

    – ne pas tricher avec les constats qu’il y a lieu de faire ;
    – mesurer les risques d’une sortie de crise orientée à un retour à la situation antérieure ou à d’autres dérives ;
    – saisir cette opportunité pour poser les fondements radicalement différents d’une société mondiale juste et viable.

    #covid-19 #le_monde_d_après

  • Dans les #vignobles sud-africains, les ouvriers agricoles noirs vivent l’enfer
    https://reporterre.net/Dans-les-vignobles-sud-africains-les-ouvriers-agricoles-noirs-vivent-l-e

    L’#Afrique_du_Sud est le neuvième producteur de #vin mondial et le tourisme viticole génère des milliards de rands — la monnaie locale — chaque année. Les chenin blanc et les syrah sud-africains sont notamment appréciés parce qu’ils sont bon marché. Et pour cause : à 18,68 rands (1,15 euro) par heure, le salaire minimum des travailleurs agricoles est l’un des plus bas du pays. 25 ans après la fin de l’#apartheid, alors que 73 % des terres agricoles appartiennent toujours à des fermiers blancs — une proportion sans doute encore plus élevée dans la province du Cap-Occidental —, les conditions de vie des quelque 100.000 Noirs et « Coloured » (les Métis) qui travaillent dans les vignobles de la région n’ont pas beaucoup changé.

    #viticulture #esclavage #pesticides #santé_au_travail #inégalités #alcoolisme #alcoolisation_fœtale #logement_insalubre #exploitation #dettes #expulsions #précarisation #injustices

  • Polémique sur des listes noires de mauvais payeurs incluant des enfants Tristan Hertig, Noémie Guignard - 29 Octobre 2019 - RTS
    https://www.rts.ch/info/regions/autres-cantons/10821859-polemique-sur-des-listes-noires-de-mauvais-payeurs-incluant-des-enfants

    Les listes noires de mauvais payeurs de primes d’assurances maladie tenues par certains cantons sont controversées. Cet automne, c’est le canton de Thurgovie qui est montré du doigt à Berne car il est le seul à inclure les mineurs dans sa liste.
    Depuis maintenant plus de 10 ans, Thurgovie fait figure d’exception dans le paysage politique suisse, parce qu’il inclut les enfants dans sa liste noire de mauvais payeurs d’assurances maladie. Par conséquent, certains traitements peuvent être refusés, à l’exception des cas d’urgences médicales.

    Au cabinet Schlossberg, il n’y a encore jamais eu de refus, mais les situations sont parfois délicates : « Evidemment, pour les urgences, on ne se pose aucune question. Pour certains médicaments, on doit discuter avec les parents. Pour les vaccins par exemple, ils doivent régler la facture sur place ou alors on leur fait une ordonnance pour la pharmacie. Mais les grands examens ne peuvent être entrepris si les parents ne peuvent pas payer et si les caisses maladie refusent la prise en charge », explique Carsten Peters, pédiatre et fondateur du cabinet.

    A l’encontre des droits de l’enfant, selon la Confédération
    A Berne, la conseillère nationale socialiste thurgovienne Edith Graf-Litscher fait partie de ceux qui dénoncent ce système : « Les enfants sont sanctionnés pour quelque chose dont ils ne sont pas responsables. C’est pour cela qu’il est central d’interdire ces listes noires car les enfants ne doivent pas payer pour la négligence de leurs parents. »

    A sa demande, la Confédération a estimé que cette pratique enfreignait la Convention relative aux droits de l’enfant de l’ONU. Mais le gouvernement thurgovien réfute en rappelant que l’accès aux soins d’urgence, au sens large du terme, est garanti. Le canton rappelle aussi qu’outre les réductions de primes, il a aussi pris des mesures d’accompagnement pour chaque cas jugé problématique.

    Pour Rebecca Ruiz (PS/VD), interrogée dans le 19h30, cette situation est tout simplement « intolérable ». La cheffe du Département vaudois de la santé et de l’action sociale juge qu’au coeur de la Lamal, existe le principe de « solidarité » et que l’accès aux soins est « garanti par notre Constitution ».

    Et d’ajouter : « S’il y a bien une catégorie de la population qui n’est pas responsable du fait qu’on ne paie pas ses primes, ce sont les enfants. On imagine bien que les parents qui ne paient pas les primes de leurs enfants ne le font pas de gaieté de coeur. S’ils n’y arrivent pas, c’est en raison du coût très élevé de ces primes ».

    Quid des dettes reportées à l’âge adulte ?
    Jakob Stark, conseiller d’Etat UDC en Thurgovie, estime le chemin à parcourir encore long : « Nous devons être créatifs. C’est pour cela que les communes conseillent ces personnes pour s’assurer que les parents paient les primes de leurs enfants (...) c’est leur responsabilité. Selon la loi actuelle, toutes les dettes contractées par les parents pour leurs enfants seront reportées ensuite sur ces mêmes enfants et ce, dès leur majorité. Ce n’est pas tolérable ! »

    Actuellement, plus de 500 enfants sont concernés par cette liste noire.

    #assurances_maladie #assurances #assureurs #Sécurité_Sociale Suisse #dettes #Thurgovie #listes_noires #enfants #solidarité #économie a #vomir #filles #garçons

    • Cent millions de francs de primes maladie ont servi au marketing
      https://www.rts.ch/info/suisse/10826052-cent-millions-de-francs-de-primes-maladie-ont-servi-au-marketing.html

      La LAMal interdit aux assureurs de faire des bénéfices. Pourtant, les caisses maladie ont dépensé près de 102 millions de francs issus de nos primes d’assurance obligatoire pour financer la publicité et le courtage.
      Sur ces 102 millions, 58 millions ont été dépensés en publicité, et 44 millions en commissions pour les courtiers. Ces chiffres sont extraits des comptes d’exploitation de chaque caisse publiés depuis deux ans par l’Office fédéral de la santé publique pour des raisons de transparence voulue par la loi sur la surveillance de l’assurance maladie (LSAMal).

      La LSAMal dit pourtant que les assureurs doivent contenir les coûts des intermédiaires, à savoir les courtiers, et les dépenses publicitaires, mais elle ne fixe pas de limite. Le Parlement a en effet préféré laisser la liberté aux caisses de s’autoréguler.

      20 francs par assuré
      Les premiers chiffres publiés montrent une augmentation des dépenses marketing pour la seule assurance de base. En 2016, les caisses ont dépensé 74,4 millions de francs, un chiffre en hausse de 36% deux ans plus tard.

      Avec 22,7 millions de francs de primes maladie utilisés en publicité et en démarchage en 2018, le Groupe Helsana (Helsana et Progrès) est le plus dépensier. Cela correspond à une vingtaine de francs par assuré consacrés au marketing. En comparaison, la CSS dépense environ 3 francs par assuré.

      #marketing #publicité #gaspillage #santé

  • #INFOGRAPHIES:Combien les #banques gagnent des #dettes de l’État ?
    https://french.alahednews.com.lb/essaydetails.php?eid=33120&cid=297

    La dette gouvernementale libanaise, qui a atteint 79.5 milliards de dollars en 2017, se distribue sur cinq parties principales : Les banques commerciales (40%), la Banque du #Liban (35%), les institutions publiques (9%), les créanciers étrangers et les créanciers officieux étrangers (16%). Cependant, les banques commerciales locales possèdent la part du lion de ces revenus très élevés, sans aucun risque.

    Selon le quotidien libanais #AlAkhbar, les banques commerciales sont au nombre de 50. Néanmoins, 10 parmi elles seulement contrôlent 82% de la totalité des actifs et des emplois du secteur bancaire. Ces banques emploient 31.9 milliards de dollars dans la dette gouvernementale, distribués entre 18.4 milliards de dollars en livre libanaise (bons du trésor) et 13.5 milliards de dollars en monnaie étrangère (Eurobonds).

  • POLITIQUE MONÉTAIRE
    Alerte rouge sur le marché monétaire
    18 SEPTEMBRE 2019 PAR MARTINE ORANGE

    Pour la première fois depuis 2009, la #Réserve_fédérale a dû intervenir en urgence sur le marché monétaire, en y injectant 130 milliards de dollars. Les responsables tentent de rassurer en expliquant qu’il s’agit d’un mauvais concours de circonstances. Les raisons semblent beaucoup plus profondes : le système financier croule sous trop de #dettes à court terme.

    Tous y pensent. Forcément. L’intervention en urgence de la #Réserve fédérale américaine mardi 17 septembre sur le marché monétaire a ravivé de mauvais souvenirs. « Cela ressemble au scénario d’août 2007, quand les #banques n’arrivaient plus à trouver d’argent sur les marchés », relève l’économiste spécialiste du monde financier, Laurence Scialom, professeur à l’université Paris Ouest.

    Spontanément, l’ancien banquier Jean-Michel Naulot fait lui aussi le rapprochement avec août 2007, considéré désormais comme le début de la #crise financière. « Jean-Claude Trichet [alors président de la #BCE – ndlr] s’était félicité par la suite des interventions spectaculaires mises en œuvre pour enrayer la crise de liquidité. Il avait débloqué alors 90 milliards d’euros », se rappelle-t-il.

    La FED a décidé d’agir de façon encore plus spectaculaire mardi. En une seule journée, elle a débloqué 53 milliards de dollars pour assurer les financements sur le marché monétaire. Dans la soirée, elle a annoncé qu’elle allait remettre 75 milliards de dollars mercredi pour stabiliser le marché.

    C’est la première fois depuis l’automne 2009 que la #banque centrale américaine est obligée de s’engager sur le marché monétaire pour ramener les #taux d’intérêts à des niveaux plus supportables sur le marché du « #repo » (repurchase agreement). Ce marché permet aux intervenants financiers (banques, #fonds, #hedge_funds) de trouver l’argent dont ils ont besoin le temps d’une nuit. En échange des fonds prêtés, ils déposent des titres en garantie, le plus souvent des bons du Trésor ou des obligations d’État. Considérés comme très peu risqués car à très court terme et garantis, ces prêts sur le marché du « repo » évoluent à des taux avoisinants ceux de la FED, autour de 2-2,25 %.

    Sauf que mardi, tout s’est déréglé. Dès l’ouverture, les signaux rouges ont commencé à clignoter : les taux étaient à plus de 4 % et ont continué à s’envoler pour aller jusqu’à 10 %. Jusqu’à ce que la Fed annonce en catastrophe qu’elle apportait les liquidités nécessaires pour assurer les opérations de refinancement et prévenir une contagion qui commençait à gagner d’autres marchés, notamment celui des créances commerciales.

    L’effet de son intervention n’a tenu que quelques heures. À la clôture, les taux sur le « repo » étaient à nouveau à plus de 4 %, obligeant la Réserve fédérale à faire une nouvelle annonce d’apport de 75 milliards de dollars de liquidités supplémentaires pour mercredi.

    Une intervention d’une banque centrale sur les marchés, et encore plus quand il s’agit de la FED, est porteuse de doutes et d’inquiétudes. Les premiers messages envoyés se sont donc voulus très rassurants. Ce qui s’était passé mardi n’était lié qu’à une addition de facteurs techniques, un malheureux concours de circonstances, à en croire certains analystes.

    Le 15 septembre, les entreprises américaines devaient payer leurs impôts, ce qui a réduit le volume des financements disponibles sur le marché, expliquent-ils. Dans le même temps, le Trésor américain a lancé de nouvelles émissions correspondant à 78 milliards de dollars, qui devaient être payées en début de semaine, ce qui a participé au siphonnage des liquidités existantes. De plus, le même Trésor américain aurait souhaité augmenter ses réserves, jugées trop basses, auprès de la Fed, ce qui aurait contribué à encore diminuer l’argent. Enfin, les attaques contre les infrastructures saoudiennes auraient provoqué un choc en retour sur les marchés.

    L’ennui de toutes ces explications circonstanciées est qu’elles résistent mal aux faits : les tensions sur le marché monétaire n’ont pas commencé mardi ni même lundi. Depuis août, des observateurs commencent à s’inquiéter des problèmes de liquidités sur les marchés. Dès la semaine dernière – c’est-à-dire avant la date d’échéance des impôts pour les sociétés, les enchères du Trésor américain, ou les attaques contre l’Arabie saoudite –, des alertes clignotaient ici et là, des traders parlaient des difficultés rencontrées pour trouver des refinancements.

    Les responsables politiques et nombre d’observateurs n’ont pas pris conscience de ce qui se joue actuellement. Pour eux, le critère de la bonne santé économique et financière se limite aux marchés actions. Or, ceux-ci volent de record en record, affichant « la plus grande déconnexion avec l’économie réelle depuis 2007 », comme le souligne Saxobank dans son dernier rapport trimestriel. Mais sur les autres marchés – monétaires, obligataires, des changes… – des frictions se nouent, loin du regard du public, et commencent à émerger, se traduisant par des volatilités accrues.

    « Il semble qu’il y a quelque chose de sous-jacent dont on ne sait rien encore », confie Scott Skyrm, trader sur les marchés des « repos » au Wall Street Journal. « Les crises de liquidités, compte tenu de leur effet déflagrateur, se gèrent dans le plus secret. Ce n’est qu’après que l’on apprend ce qui s’est passé. Mais je pense que la Réserve fédérale, qui s’était engagée dans un resserrement monétaire, a eu des signaux de tensions dès décembre. D’où sa volte-face sur sa politique monétaire en janvier », poursuit Jean-Michel Naulot.

    Alors que les banques centrales ont déversé plus de 6 000 milliards de dollars dans le système financier, que les marchés croulent littéralement sous l’argent, comment est-il possible que la liquidité vienne à manquer ? « Le problème, ce n’est pas un manque de liquidités, mais la question de sa circulation, de son affectation. Trop d’argent a été alloué à de mauvais endroits », relève Laurence Scialom.

    Ce sont les raisons profondes des soubresauts actuels : la création monétaire laissée à la disposition du monde financier, totalement en roue libre, a conduit à un système basé sur la dette. Une dette, notamment privée, qui a pris des proportions encore plus astronomiques depuis la crise financière. Dans tous les secteurs, sur tous les marchés, des positions de plus en plus risquées ont été prises, en s’appuyant sur des effets de levier gigantesques. « Et c’est de la dette à très court terme », relève Laurence Scialom. C’est ce que traduisent aussi les difficultés sur le marché du « repo » : il s’agit de positions financières prises à très court terme, pouvant se déboucler très rapidement, et qui sont refinancées au jour le jour sur le marché, pas d’investissements « durs » dans l’économie réelle.
    « L’augmentation des “repos” et des autres taux à court terme est révélatrice de la réduction du montant du bilan que les intermédiaires financiers souhaitent ou sont capables de fournir à ceux qui recherchent un financement à court terme », avertit Tony Crescenzi de la société de gestion Pacific Investment Management. D’autant qu’au même moment, ajoute Jean-Michel Naulot, « l’accroissement du #déficit budgétaire américain, qui risque de dépasser les 1 000 milliards de dollars, crée des besoins de financement extraordinaires ».

    Alors que les incertitudes sur l’économie mondiale grandissent, le choix des intermédiaires financiers qui ont de l’argent à placer est vite fait : ils achètent des bons du trésor et autres titres souverains américains, considérés comme le meilleur placement sans risque dans les temps compliqués. Ce qui participe à raréfier les possibilités de refinancement.

    Ces convulsions sur le marché monétaire tombent au pire moment pour la FED. Mercredi et jeudi, les membres de la Réserve fédérale se réunissent pour définir la politique monétaire dans les mois à venir. Mis sous pression par Donald Trump depuis des mois, le président de la FED, Jerome Powell, avait déjà évoqué la possibilité de renouer avec une politique monétaire plus accommodante, et d’abaisser les taux afin de soutenir l’économie américaine dans ces temps incertains. Mais il va peut-être être condamné à faire plus, beaucoup plus. 

    Car l’intervention de la #FED pour calmer la fièvre sur le #marché monétaire a jeté le doute et le trouble dans les esprits. Inévitablement, la question de la confiance va se poser sur les #marchés. Les #investisseurs risquent de recommencer à traquer les actifs les plus risqués, les acteurs ou les sociétés jugées les faibles, au risque de provoquer une crise qu’ils redoutent.

    Pour rétablir la confiance, la FED va devoir mettre tout son crédit dans la balance. Déjà certains prédisent le retour prochain – avant la fin de l’année, disent-ils – et inévitable du #quantitative_easing (programme de rachats de titres), seul moyen, selon eux, d’assurer la #liquidité nécessaire pour refinancer les risques fous pris depuis des années et de préserver la stabilité du système financier. Mais il n’est pas sûr cette fois que cela suffise.

    https://www.mediapart.fr/journal/economie/180919/alerte-rouge-sur-le-marche-monetaire

    #finance #argent #monnaie #2008

  • All in the Family Debt | Boston Review
    http://bostonreview.net/class-inequality/melinda-cooper-all-family-debt

    The poor laws went on to see several iterations both in England and America. The early American colonies imported them virtually word for word and later incorporated them into state legal systems. But despite the many policy tweaks and changes that have occurred since, one element of the original poor laws has remained stubbornly in place: the foundational role of familial responsibility. Indeed, save for a brief respite in the 1960s, American social welfare policy and ideology has maintained a persistent—and damaging—attachment to that framework. Some ramifications are obvious—such as when legal relationships of spousal support and paternity are enforced without consent from either party—but some are more nuanced. The current crises of tuition costs and college debt, for instance, are the downstream effects of limiting a free public good and reinstating “familial responsibility.”

    #famille #dettes

  • Allemagne : Le chien d’une famille saisi par les huissiers pour recouvrer ses #dettes
    https://www.20minutes.fr/insolite/2462703-20190301-allemagne-chien-famille-saisi-huissiers-recouvrer-dettes

    Le chien d’une famille de la ville d’Ah­len en Alle­magne, a été saisi par les huissiers de justice en novembre dernier. Le canidé a ensuite été vendu sur eBay. La nouvelle propriétaire réclame des indemnités à la ville car depuis l’acquisition, le chien a eu de multiples problèmes de santé, rapporte BBC News.

  • La Charente fait saisir un avion Ryanair à Bordeaux Mary Sohier - 9 Novembre 2018 - France3 Régions
    https://france3-regions.francetvinfo.fr/nouvelle-aquitaine/charente-saisit-avion-ryanair-1571890.html

    Le conseil départemental de Charente a fait saisir un avion de Ryanair sur l’aéroport de Bordeaux pour obtenir le remboursement de 525 000 euros d’aides illégales. Explications.

    Le ton monte entre la Charente et Ryanair. Ce jeudi 8 novembre, un huissier, mandaté par la direction générale de l’aviation civile (DGAC), pour le compte du département de la Charente a fait saisir un avion de Ryanair sur le tarmac de l’aéroport de Bordeaux-Mérignac. Une première en France. Depuis 2014, la compagnie low-cost doit 525 000 euros au Conseil départemental, conséquence de sa condamnation à rembourser des aides illégales perçues entre 2008 et 2010.

    Quant aux 149 passagers qui devaient embarquer, ils ont été réacheminés vers leur destination par un autre vol avec 5 heures de retard.

    Ryanair et la Charente : l’histoire d’un divorce
    En 2008, Ryanair ouvre une ligne commerciale entre Londres et l’aéroport d’Angoulême-Cognac. En contrepartie, le département de la Charente s’engage à verser à la société irlandaise 965 000 euros d’aides. Mais en 2010, la compagnie Ryanair décide de quitter l’aéroport de Brie-Champniers (16) car le département refuse de lui accorder une nouvelle aide financière de 175 000 euros. Une somme non prévue dans le contrat qui liait la compagnie low-cost et la Charente.

    Depuis, suite à une décision de la commission européenne de juillet 2014, Ryanair a été condamné à reverser ces aides jugées illégales, soit près d’un million d’euros. Problème : Ryanair n’a remboursé que 512 000 euros, et a gardé le reste au titre de dommages intérêts pour rupture abusive de contrat.

    Lasse de ne rien voir venir, la collectivité vient donc d’employer les grands moyens : l’avion assurant la liaison pour Londres Stansted est donc cloué au sol.

    « Aujourd’hui, Ryanair va s’acquitter de sa dette. On ne peut que se féliciter de l’issue de ce long contentieux », a réagit François Bonneau, président du conseil départemental de la Charente.

    #ryanair #dettes #charente #subvention #pognon_de_dingue

    • Ryanair a pu récupérer son avion Le figaro.fr avec AFP - 9 Novembre 2018
      http://www.lefigaro.fr/flash-eco/2018/11/09/97002-20181109FILWWW00172-ryanair-a-pu-recuperer-son-avion.php

      Ryanair a versé vendredi les 525.000 euros qui lui étaient réclamés en remboursement de subventions jugées illégales et a pu récupérer son avion saisi la veille, a-t-on appris auprès de la Direction générale de l’Aviation civile. "La saisie a été levée à 12h30" ce qui signifie que la somme réclamée à Ryanair « a été versée et que la compagnie a récupéré son avion », un Boeing 737 saisi jeudi à l’aéroport de Bordeaux-Mérignac, pour la contraindre au remboursement d’aides du syndicat mixte des aéroports de Charente, a indiqué un porte-parole de la DGAC à l’AFP.

      L’avion, dont la valeur au prix catalogue est de 98 millions de dollars, a été immobilisé pour contraindre la compagnie aérienne à rembourser des aides versées dans le cadre de l’activité de la compagnie sur l’aéroport d’Angoulême de 2008 à 2009. Ces aides avaient été jugées illégales par la Commission européenne en juillet 2014. 

      Le président du syndicat mixte des aéroports de Charente, Didier Villat, a confirmé le paiement. « Ils ont payé, on est contents. Ils ont tenté de négocier. Ils nous devaient 525.585,05 euros, ils ont payé 524.907,80, somme arrêtée le 15 septembre 2018 » qui ne prenait donc pas en compte les intérêts courant depuis, a-t-il expliqué à l’AFP. « Quelle mesquinerie, mais on ne fera pas appel », a-t-il ajouté en souriant. « Je suis content », a-t-il affirmé, « content d’être dans la peau du petit qui fait valoir le droit ». 

      Ryanair avait au départ remboursé la moitié des subventions (plus de 900.000 euros en tout) mais avait refusé de payer les 525.000 euros restants en invoquant une « rupture de contrat » en 2010, un deuxième contentieux qui fait l’objet d’une action parallèle en justice entre les deux parties, selon Didier Villat.

  • Le FMI de retour en Argentine : « À l’horizon, une crise économique et sociale encore plus aiguë que la crise actuelle »
    http://www.cadtm.org/Le-FMI-de-retour-en-Argentine-A-l-horizon-une-crise-economique-et-sociale

    Après plus d’une décennie de « distanciation » officielle entre l’Argentine et le Fonds monétaire international (FMI), le gouvernement de Mauricio Macri vient de frapper à nouveau aux portes du gendarme financier de la planète. Le crédit de 50 milliards de dollars accordé par l’organisation au cours de la première semaine de juin constitue un record international et aura un impact direct sur la situation économique et sociale de ce pays d’Amérique du Sud. C’est ce que souligne l’historien et économiste belge Eric Toussaint, spécialiste reconnu dans ce domaine et porte-parole du Comité pour l’Abolition des #Dettes_Illégitimes (CADTM), basé à Bruxelles. Entretien.

    #Argentine #FMI

  • Les marchés financiers au bord de la panique
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/050218/les-marches-financiers-au-bord-de-la-panique

    Trader à #Wall_Street, le 5 février 2018. © Reuters Après un début d’année euphorique, la baisse brutale entamée vendredi à Wall Street s’est propagée sur les marchés, tous passés en mode vendeur. Les tensions se concentrent sur les #marchés_obligataires. Les investisseurs redoutent de voir la fin des politiques monétaires ultra-accommodantes menées par les banques centrales depuis dix ans.

    #Economie #banque_centrale #dettes #Fed #inflation #politique_monétaire

    • Global markets plunge as Dow records biggest ever one-day point fall - World Socialist Web Site
      https://www.wsws.org/en/articles/2018/02/06/stoc-f06.html

      Global markets plunge as Dow records biggest ever one-day point fall
      By Nick Beams
      6 February 2018

      Wall Street stocks plunged yesterday amid a global market sell-off. At the end of the day, the Dow was down by 1,175 points, its biggest one-day point fall in history, after a day of violent moves.

      Including the fall last Friday, the Dow has dropped by more than 1,800 points in two days, erasing all the gains it had made this year.

      One of the most significant features of yesterday’s decline was its speed. In the space of about 11 minutes just after 3 pm, the Dow went from minus 700 points to 1,600 points down, in what was described as an “avalanche” of selling, before recovering somewhat. However, selling resumed and the index finished 4.6 percent lower for the day.

    • Vive les krachs boursiers !

      Dans le jargon, on parle de correction du marché. Et pour le coup, il s’agit d’une bonne correction. Le marché efface en deux séances les gains euphoriques de ce début d’année, encaissant son plus gros recul depuis plus de six ans.

      Et de bonne « correction », il n’y a pas que le marché qui en avait besoin. Le 31 janvier, Donald Trump s’appuyait sur le niveau du Dow Jones pour vanter le résultat de son action dans un discours extrêmement inquiétant. Signe du discernement du milliardaire, il liait sa présidence aux fluctuations de la bourse. De ce point de vue, on ne peut qu’espérer que la « correction » se prolonge, et que le marché cède entre 10 et 20% de sa valeur comme le prédise certains analystes.

      Chez nous, le jeune banquier d’affaires devenu président a également lié le sort de son mandat à celui du marché, plus subtilement. En instaurant des baisses d’impôts massives sur les plus riches, en sortant les fameux capitaux financiers du calcul de l’ISF pour inciter à l’investissement, en jouant des pieds et des mains pour récupérer les miettes de la City Londonienne post-brexit, en enterrant la taxe européenne sur les transactions financières, en organisant le #oneplanetsummit, en recevant les 140 PDG à Versailles... vous voyez le tableau ?

      Alors forcément, une correction du marché, si elle se poursuit, pourrait avoir des propriétés politiques intéressantes. Que le candidat de la modernité et du « nouveau monde » préside une crise financière qu’il aurait été le seul à ne pas voir venir, et on regarderait d’un autre œil son « génie » et son « talent ».

      Summum de l’ironie, la correction attendue depuis longtemps par les milieux financiers aurait été déclenchée par le renvoi de la directrice de la FED par Donald Trump et l’annonce de la hausse des salaires aux USA. En clair, les marchés redoutent la fin du crédit facile et le retour d’un rapport de force moins préjudiciable au salariat. Puisque les USA sont en plein emploi, d’où va venir la croissance si la FED n’arrose plus les banques d’argent gratuit ?

      On en est loin, mais rien n’interdit d’espérer que la « correction » se transforme en véritable crise. Et que cette fois, ce soit tout le système à bout de souffle qui s’effondre avec la prochaine Lehman Brother. Il serait alors temps d’inventer autre chose, pour résoudre les problèmes du chômage et du réchauffement climatique.

      Comme dirait Frédéric Lordon, une occasion qu’il s’agira de ne pas manquer.

      https://blogs.mediapart.fr/lonesome-cowboy/blog/060218/vive-les-krachs-boursiers
      #krach_boursier

  • Les marchés financiers s’inquiètent de la fin de l’argent facile
    https://www.mediapart.fr/journal/international/050218/les-marches-financiers-sinquietent-de-la-fin-de-largent-facile

    Trader à #Wall_Street, le 5 février 2018. © Reuters Après un début d’année euphorique, les marchés financiers passent tous en mode vendeur. Les tensions se concentrent sur les #marchés_obligataires. Les investisseurs redoutent de voir la fin des politiques monétaires ultra-accommodantes menées par les banques centrales depuis dix ans.

    #International #Economie #banque_centrale #dettes #Fed #inflation #politique_monétaire