• Putting people, environment at center of Covid recovery - Asia Times
    https://asiatimes.com/2020/09/putting-people-environment-at-center-of-covid-recovery

    Economic pundits agree that Covid-19 will cause South Asia to witness its worst economic performance in over four decades.Evidence of this is particularly stark in India, which until recently was one of the fastest-growing economies in the world. Between 2006 and 2016, the country made impressive progress, lifting 271 million people out of multidimensional poverty. The pandemic threatens to reverse these gains as it rips through the informal sector which accounts for more than 85% of the workforce, including tens of millions of migrant workers. Gains on food security, nutrition and education are under severe threat. The human toll, the social and economic cost, and the progress towards or regression away from the Sustainable Development Goals (SDGs), will be determined by policies and investment choices in India, and in countries across the world.
    Like other governments in the region committing vast sums toward socio-economic relief, India has committed US$265 billion, about 10% of its gross domestic product. There is no substitute for traditional grants, cash transfers, development aid and enhanced public spending. But it is not enough.Mobilizing and incentivizing private capital to foster sustainable development is more imperative than ever. Channeling private financing toward the dual purpose of development impact with financial return is a world of blended financing that has opened up, yet not scaled in countries like India. According to Convergence, a global network that gathers data and intelligence on private capital, more than $140 billion in aggregate financing was mobilized in blended finance by 2019. The proportion of new deals targeting Asia comprises a third of that amount

    #Covid-19#migrant#migration#sante#transfert#inde#asie#developpement#ODD

  • De la #conditionnalité_négative de l’#aide_au_développement...

    Post de Sara Prestianni sur FB :

    Italie - #Di_Maio, ministre des Affaires Etrangeres et de la Cooperation, applique la conditionnalité négative migration/développement en gelant les fonds pour le développement a la #Tunisie (6,5M€) si elle ne s’engage pas à geler les départs. Mais ces fonds ne servent-ils pas à atténuer la crise, qui est la cause des départs ?‬

    https://www.facebook.com/isabelle.saintsaens/posts/10222038342372629
    #Italie #développement #asile #migrations #réfugiés #conditionnalité_de_l'aide #fermeture_des_frontières #flux_migratoires

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    ajouté à la métaliste du lien entre migrations et développement et plus précisément sur la conditionnalité de l’aide :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

    ping @_kg_

    • Deputato tunisino: «Prima di minacciare blocco, Di Maio pensi a accordi»

      «Il ministro degli Esteri Di Maio prima di minacciare il blocco dei fondi per la Tunisia dovrebbe pensare ai rapporti storici che ci sono tra l’Italia e la Tunisia e nello stesso tempo dovrebbe prima vedere prima cosa prevedono gli accordi presi in passato tra i due paesi». A parlare, in una intervista esclusiva all’Adnkronos, è Sami Ben Abdelaali, deputato tunisino ma che vive tra Palermo e Tunisi.

      Il deputato tunisino si dice «molto dispiaciuto» per le dichiarazioni rese oggi dal capo della Farnesina che chiede «di sospendere lo stanziamento di 6,5 milioni di euro» per la Tunisia «in attesa di un piano integrato più ampio proposto dalla viceministra del Re» e di «un risvolto nella collaborazione che abbiamo chiesto alle autorità tunisine in materia migratoria». Di Maio ha chiesto al comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo della Farnesina di rimandare la discussione sullo stanziamento di fondi della cooperazione in favore di Tunisi.

      «La collaborazione e la cooperazione tra due paesi è come il matrimonio - dice ancora Sami Ben Abdelaali -nella buona e nella cattiva sorte. Quando ci sono disagi in un paese bisogna intervenire con il dialogo e non minacciando di bloccare i fondi. Non è questa la condizione ottimale per i nostri rapporti». «Io sono davvero dispiaciuto per le parole espresse dal ministro Di Maio che non traducono i rapporti storici di cooperazione tra l’Italia e la Tunisia- dice ancora il politico sposato con una donna italiana- L’Italia ovviamente prima di pretendere che la Tunisia mantenga suoi impegni e i suoi accordi dovrebbe anche mantenere gli impegni presi nel 2011 nell’accordo tra governo italiano e governo tunisino. Perché dal 2017 l’Italia ha bloccato gli aiuti previsti nell’accordo, per l’acquisto di strumenti e tecnologici e per controllare le coste tunisine». «Addirittura ci sono oltre 30 milioni che dovrebbe pagare l’Italia nella tranche 2020-2022 e solo dal 2017 risultano 3 milioni di euro non pagati».

      Perché, come ricorda il deputato tunisino, «per controllare le coste tunisine ci vogliono uomini e mezzi e l’Italia non ha mantenuto i suoi impegni dal 2017. In più le condizioni climatiche ottimali hanno incoraggiato le persone a tornare in Italia, oppure persone rimpatriate o cittadini che hanno perso il lavoro. C’è un disagio sociale che ha fatto sì che la gente cerchi altre soluzioni».

      Il deputato tunisino poi parla della nuova rotta tunisina verso l’Italia. Nei giorni scorsi il Procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio in una intervista all’Adnkronos aveva lanciato l’allarme sui flussi tunisini e aveva parlato di un «serio problema di ordine pubblico». «Il problema - dice Sami Ben Abdelaali -è che oggi c’è un governo ad interim e l’ambasciatore italiano a Tunisi sta facendo grandi sforzi per dialogare con le autorità competenti per affrontare questo flusso migratorio. Voglio anche ricordare che nei giorni scorsi la ministra dell’Interno Lamorgese è volata a Tunisi». «C’è un disagio sociale notevole, dovuto al coronavirus e alla disoccupazione che aumenta giornalmente - spiega ancora il politico - Per noi l’Italia è il nostro primo partner commerciale e non vogliamo perdere i rapporti con questo paese».

      Ma qual è la soluzione? «Rafforzare i controlli, ma prima di arrivare in Italia - dice - oggi controllare dalla Tunisia è complicato, bisogna controllare al confine delle acque internazionali. Bisogna aumentare la sicurezza e superare questa fase finché non nasca il nuovo governo con cui poi avviare delle interlocuzioni. E bisogna anche intervenire con aiuti concreti sui giovani, ad esempio, per bloccare l’immigrazione verso l’Italia, anche attraverso l’aiuto l’Unione europea».

      Sulla convocazione di Di Maio dell’ambasciatore tunisino per accelerare i rimpatri, il deputato dice: «Per il numero dei rimpatri l’accordo già c’è, bisogna intervenire con il governo. Appena intorno al 20 agosto si farà il nuovo governo si può provare a trovare delle soluzioni. Ma nel frattempo bisogna avviare i canali diplomatici». Per ci tiene a sottolineare: «I numeri dei flussi migratori di oggi non sono eccezionali, ricordo che in passato erano molto più alti».

      https://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2020/07/31/deputato-tunisino-prima-minacciare-blocco-maio-pensi-accordi_TVw9cXKeB197

    • Migranti e Tunisia, le Ong danno lezioni a Di Maio e Conte. Ma le capiranno?

      Già nel 2016 le Ong di “Link 2007" dicendo: «“Agli Stati conviene prevenire piuttosto che rincorrere gli eventi e spendere molto di più per cercare di tamponare i conflitti e gli esodi»

      “Agli Stati conviene prevenire, spendendo quanto necessario, piuttosto che rincorrere gli eventi e spendere molto di più intervenendo per cercare di tamponare i conflitti, con le distruzioni, le indicibili sofferenze, i massacri, gli esodi di persone e le insicurezze e destabilizzazioni che essi provocano ovunque. L’Ue, gli Stati membri e le Istituzioni finanziarie e di sviluppo internazionali sono invitate a muoversi, finché si è ancora in tempo, per contenere le periodiche ribellioni in Tunisia, a pochi chilometri dall’Italia, e prevenire una possibile destabilizzazione del paese, sostenendone decisamente l’esemplare ma fragile democrazia, l’unica realizzata con le ‘primavere arabe. La Tunisia, il paese mediterraneo più vicino all’Italia, è oggi in bilico tra il rafforzamento del processo democratico e la destabilizzazione con prevedibili e devastanti conseguenze su migrazioni e terrorismo. Investire sulla Tunisia e i paesi limitrofi, anche sostenendo gli sforzi della società civile, è investire sul nostro futuro di stabilità e di pace. Un tracollo della Tunisia metterebbe infatti a rischio la stessa sicurezza e stabilità in Italia e in Europa, e non sarà a costo zero”.

      Sembrano considerazioni dell’oggi. Ma non è così. Perché questo argomentato grido d’allarme lanciato dalle Ong di “Link 2007” data 16 febbraio 2016. Sono trascorsi quattro anni e mezzo d’allora, si sono succeduti primi ministri, cambiate maggioranze, ma nessuno ha raccolto questi preziosi suggerimenti.

      “La via che le Ong di ‘Link 2007’ propongono è quella della costituzione, in tempi rapidi, di uno specifico Fondo internazionale formato da contributi della Commissione europea, degli Stati membri, di tutti i paesi interessati, delle Istituzioni finanziarie e di sviluppo europee e internazionali, comprese quelle arabe e islamiche, prendendo in considerazione la Tunisia insieme ai due paesi confinanti, Libia e Algeria. Un fondo fiduciario per la realizzazione di un ‘piano Marshall’, di cui l’Italia, data la vicinanza, potrebbe farsi promotrice. Per la sola Tunisia serviranno, secondo le stime di Link 2007 basate sul bilancio dello Stato, almeno 20 miliardi di euro all’anno per i prossimi cinque anni, finalizzati agli investimenti prioritari, con lo scopo di restringere la forbice delle disuguaglianze che pesano in particolare sulle regioni interne e le periferie urbane degradate, di ridurre drasticamente la disoccupazione e di attrarre nuovi capitali e investitori esterni. Senza interventi rapidi e significativi la Tunisia potrebbe vivere una nuova rivoluzione popolare: molto probabilmente distruttiva, questa volta, che metterebbe a rischio tutta l’area euro-mediterranea, a partire dalla vicina Italia”.

      Questa proposta è caduto nel vuoto, e oggi c’è un ministro degli Esteri che fa la voce grossa e decide di “punire” la Tunisia per un presunto lassismo nel contrastare il flusso di migranti verso le coste siciliane, bloccando i finanziamenti destinati alla cooperazione allo sviluppo destinati al Paese nordafricano.

      La situazione è rimasta esplosiva

      Ma torniamo a quel documento, assolutamente “profetico”. Per il presidente del Forum tunisino per i diritti economici e sociali, Abderrahman Hedhili, le proteste erano prevedibili: “Abbiamo segnalato che la situazione sociale sarebbe esplosa; l’esclusione sociale e le disparità regionali sono pesanti ma il governo non è riuscito a definire strategie e programmi per le regioni interne”. Il 15% della popolazione è disoccupata. La percentuale sale al 25% in regioni periferiche come quella di Kasserine e a tassi ben superiori per i giovani. Spesso il lavoro è legato ad intermediazioni corruttive. La situazione è ulteriormente peggiorata a causa degli attacchi terroristici del 2015 contro obiettivi turistici quali il museo del Bardo a Tunisi e il resort di Susa (Sousse): l’industria turistica con i suoi 400 mila lavoratori è stata pesantemente colpita. Le regioni costiere sono le più sviluppate: investimenti pubblici e privati si sono susseguiti nel tempo, anche per favorire il turismo, e in esse è localizzato l’80% delle industrie tunisine. Buono è quindi, in esse, il tasso di occupazione e di reddito medio. Nei governatorati centro meridionali lontani dalla costa, invece, la gente si sente abbandonata per la mancanza di investimenti produttivi e di servizi, dai trasporti ai servizi essenziali come l’acqua, la salute, l’istruzione.

      La realtà e le crescenti difficoltà

      “La realtà - proseguiva il report di Link 2007 - è che lo Stato non ha i fondi necessari per potere impegnarsi in un piano di sviluppo per creare lavoro e servizi essenziali. La mancanza di investitori, l’instabilità politica, il terrorismo stanno bloccando il paese costretto a contare, più che mai, sull’aiuto esterno. Come si dirà più avanti,servirebbe un ‘piano Marshall’ da 20 miliardi di euro per alcuni anni: quei fondi cioè che mancano al bilancio dello Stato per lanciare gli investimenti necessari. Un piano coordinato e finalizzato in particolare alle aree più depresse, all’occupazione e alla lotta alla corruzione. L’Europa, per la vicinanza e i legami storici, deve riuscire ad intervenire presto, molto di più rispetto al passato. Impegni limitati a qualche centinaia di milioni, spesso ripartiti su più anni, non corrispondono alla gravità della situazione e dei bisogni. La democrazia tunisina è reale, radicata, la sola ad essere sopravvissuta alle ‘primavere arabe’. Se sparisse o se cadesse sotto l’influenza di paesi spinti da valori lontani da quelli su cui è basata la nostra convivenza o di movimenti terroristici, la responsabilità non sarà solo del governo tunisino. L’esperienza della Tunisia è importante anche perché rappresenta la sintesi tra i valori occidentali e i valori islamici. Non si possono conservare i valori delle rivoluzioni e la democrazia solo con riconoscimenti internazionali, incontri, convegni, parole di amicizia e vicinanza. “La libertà c’è ma manca il pane” si sente ripetere in tutto il paese. Le ‘rivolte del pane’ rischiano di ripetersi ciclicamente, con conseguenze facilmente prevedibili. Occorre investire sulla Tunisia, con una cooperazione duratura, con una visione e una strategia di lungo periodo, con fondi strutturali e ampi investimenti nelle regioni più arretrate, favorendo l’occupazione e l’equità sociale e tra le regioni. Un paese che è riuscito a gestire con successo e in modo democratico la rivoluzione del 2011 doveva essere aiutato subito con ingenti risorse e continuare ad essere sostenuto senza interruzione. Nell’interesse del consolidamento del processo democratico tunisino ma anche nel nostro stesso interesse, italiano ed europeo. Una grave crisi in Tunisia potrebbe avere conseguenze deleterie anche per noi. L’impegno per la Tunisia è un impegno per noi stessi e la nostra stabilità. Investire sulla Tunisia e i paesi limitrofi è investire sul nostro futuro di stabilità e di pace. Non farlo significa danneggiare noi stessi. Limitare gli aiuti o ritardarli potrebbe avere un costo di gran lunga superiore in un futuro ravvicinato, non solo finanziariamente ma anche in conflitti, vite umane, distruzioni, consolidamento e diffusione del terrorismo, come la recente storia insegna. Un tracollo della Tunisia avrebbe anche conseguenze nefaste per la stessa sicurezza e stabilità europea. È dunque nel nostro interesse, italiano ed europeo, intervenire con investimenti adeguati e risoluti di cooperazione con la Tunisia. E occorre farlo subito”.

      Ma così non è stato.

      Quattro anni e mezzo dopo, Nino Sergi, presidente emerito di Intersos e policy advisor di Liink 2007), rivolge questo post al titolare della Farnesina: “Caro ministro Luigi Di Maio, non ci siamo proprio. Mi è difficile anche in questa occasione, chiamarla ministro, e per di più degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dato che con le sue parole intende piuttosto presentarsi come capo-popolo, di quella parte di popolo che lei pensa di riuscire a conquistare. ‘Ci sono delle regole in Italia che vanno rispettate. Anche l’Europa deve rispondere concretamente,. Non c’è tempo da perdere’.

      Sul ‘non c’è tempo da perdere’ le ricordo che nei molti anni di sue responsabilità nel parlamento e nel governo, sul tema delle politiche migratorie lei ha perso tutto il tempo che ha avuto a disposizione. Sull’Europa che deve rispondere concretamente, le ho già scritto un post il 31 luglio: spero che qualcuno del suo staff glielo faccia vedere. Mi soffermo sul ‘ci sono delle regole che in Italia vanno rispettate’. Da chi, signor ministro? Stando al suo diktat, dal governo tunisino? Lei sembra esprimere una concezione delle relazioni internazionali dell’Italia ferma al periodo coloniale, in cui era chiaro chi decideva e chi obbediva. Le relazioni internazionali sono una cosa seria e delicatissima, soprattutto per un paese come il nostro, inserito in un Mediterraneo problematico e carico di tensioni. Occorre ‘fermare i fondi per la cooperazione se non c’è collaborazione con l’Italia, afferma con fermezza. Eh no. Le intese e gli impegni vanno onorati, pur nel dialogo politico per migliorarli. A meno di pensare arrogantemente di potere fare a meno di relazioni divenute preziose e indispensabili per il bene dell’Italia – Cooperazione e collaborazione – rimarca ancora Sergi – non significano più, da tempo, imposizione. Lo dicono le leggi italiane e le normative internazionali dal dopo-guerra in poi. Lo dice lei (lo ricorda’) ogni volta che presiede il Comitato congiunto, il Consiglio nazionale, il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo; e ogni volta che incontra i suoi colleghi ministri dell’area mediterranea. Non imiti altri personaggi politici. Continui a fare il ministro degli esteri: stava imparando e stava dimostrando capacità. Non si distrugga per un po’ di effimero consenso. Sulla Tunisia, la sua situazione sociale e politica, la sua fragilità, le consiglio un breve studio della rete di Ong Link 2007: ‘Aiutare Tunisia per aiutare l’Europa’. E’ del 2016 ma rimane attuale. Se lo vorrà, siamo pronti a discuterne approfonditamente “.

      “Quella che sembrava un’uscita infelice del Ministro degli Esteri, si è invece rivelata essere la linea dell’intero governo, viste le dichiarazioni del Premier Conte e il silenzio degli esponenti PD. Tocca prendere atto che il Governo stia continuando ad appiattarsi su posizioni utili più al prossimo sondaggio che a rafforzare una visione strategica nel mediterraneo e nel Nord Africa – dice a Globalist Paolo Pezzati, Humanitarian Policy Advisor di Oxfam Italia-. La decisione di applicare una #condizionalità_negativa_migrazione-sviluppo con il blocco dei fondi per la cooperazione allo sviluppo qualora la Tunisia non si impegnasse nel blocco delle partenze - potrebbe rivelarsi un autogol di quelli che si ricordano nel tempo. In prima ragione perché la cooperazione ha come obiettivo , qualora negoziata con i partner e la società civile, quello di attaccare proprio le cause alla radice della migrazione che viene chiamata “economica”; e poi perché in un momento di difficoltà – si è dimesso il primo ministro, la crisi economica e sociale è acuta come non mai – e in un contesto geopolitico molto fluido nell’area dove Turchia ed Egitto stanno provando ad allargare la loro egemonia, di solito i partner si sostengono, non si puniscono. La soluzione – prosegue Pezzati - ancora una volta è data dalla combinazione dell’avvio di un nuovo dialogo con Tunisi per un piano strategico condiviso – con un impegno finanziario abbondantemente superiore ai 6,5 milioni - volto a sostenere il paese nord africano e dall’approvare finalmente una legge che superi la Bossi Fini, per istituire nuovi canali di ingresso regolari grazie alla quale finalmente l’Italia si organizzi nel decidere come gestire i flussi migratori invece che preoccuparsi solo come interromperli. Gli ingressi irregolari, gli arrivi con i barconi si contrastano aumentando i canali di ingresso regolari, non alzando muri in terra e in mare. Alla Camera giace la proposta di legge della Campagna ‘Ero Straniero’ che ha proprio questo obiettivo, i partiti della maggioranza cosa stanno aspettando?”.

      Ma discutere non sembra essere oggi nelle intenzioni di chi governa l’Italia. Oggi, per costoro, è tempo di esibire i muscoli (verbali) e di provare a fare la voce grossa con i più debole, il “ruggito del coniglio”. E così, ecco a voi il presidente del Consiglio che ieri, da Cerignola, veste i panni del commander in chief e proclama: «Non possiamo tollerare che si entri in Italia in modo irregolare, tanto più non possiamo tollerare che in questo momento in cui la comunità nazionale intera ha fatto tantissimi sacrifici questi risultati siano vanificati da migranti che tentano di sfuggire alla sorveglianza sanitaria». E ancora: «Non ce lo possiamo permettere, quindi dobbiamo essere duri, inflessibili – dice Conte -. Stiamo collaborando con le autorità tunisine, è quella la strada. Io stesso l’altro giorno ho scritto al presidente tunisino Kais Saied una lettera e sono contento che abbia fatto visita ai porti per rafforzare la sorveglianza costiera. Noi dobbiamo contrastare i traffici e l’incremento degli utili da parte dei gruppi criminali che alimentano questi traffici illeciti. Dobbiamo continuare in questa direzione, dobbiamo intensificare i rimpatri. Abbiamo fatto una riunione con i ministri competenti, Di Maio, Lamorgese, Guerini e De Micheli, stiamo lavorando per evitare che questi traffici continuino. Non si entra in Italia in questo modo e non possiamo permettere che la nostra comunità sia esposta a pericoli».

      Il nemico è stato inquadrato: è il migrante portatore di virus. Ai tempi del Conte I, l’equazione era migrante=criminale, invasore, parassita e, se islamico, terrorista. Col Conte II l’equazione è adattata all’emergenza virale. E questa vergogna la spacciano per “discontinuità”.

      https://www.globalist.it/world/2020/08/04/migranti-e-tunisia-le-ong-danno-lezioni-a-di-maio-e-conte-ma-le-capiranno-

  • Profili critici delle attività delle ONG italiane nei centri di detenzione in Libia con fondi A.I.C.S.


    https://sciabacaoruka.asgi.it/wp-content/uploads/2020/07/Profili-critici-delle-attivita%CC%80-delle-ONG-italiane-nei-centr

    Résumé du rapport en anglais :
    https://sciabacaoruka.asgi.it/wp-content/uploads/2020/07/ENG-executive-summary.pdf

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    Commentaire sur le site de Melting Pot :

    Profili critici delle attività delle ONG italiane nei centri di detenzione in Libia con fondi #AICS. ASGI presenta il rapporto sugli interventi finanziati dall’#Agenzia_Italiana_per_la_Cooperazione_e_lo_Sviluppo nei centri di detenzione libici

    Tra queste troviamo: #Emergenza_Sorrisi, #Helpcode (già #CCS), #CEFA, #CESVI, #Terre_des_Hommes_Italia, #Fondation_Suisse_de_Deminage, #GVC (già #We_World), #Istituto_di_Cooperazione_Universitaria, #Consorzio_Italiano_Rifugiati (#CIR), #Fondazione_Albero_della_Vita.
    I progetti, alcuni dei quali sono ancora in corso di realizzazione, sono stati finanziati con 6 milioni di euro dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (AICS).

    L’iniziativa ha suscitato, sin dall’emanazione del primo bando a novembre 2017 molto scalpore nell’opinione pubblica, sia perché il sistema di detenzione per migranti in Libia è caratterizzato da gravissimi e sistematici abusi (“è troppo compromesso per essere aggiustato”, aveva detto il Commissario ONU per i diritti umani) sia per la vicinanza temporale con gli accordi Italia-Libia del febbraio 2017. I centri di detenzione libici infatti, soprattutto quelli ubicati nei dintorni di Tripoli che sono destinatari della maggior parte degli interventi italiani, sono destinati ad ospitare anche migranti intercettati in mare dalla Guardia Costiera Libica, a cui l’Italia ha fornito e tuttora fornisce un decisivo appoggio economico, politico e operativo.

    Il rapporto si interroga quindi sulle conseguenze giuridiche degli interventi attuati, a spese del contribuente italiano, nei centri di detenzione libici.

    Anzitutto, si mette in discussione la logica stessa dell’intervento ideato dall’AICS, mostrando come in larga misura le condizioni disumane nei centri, che i Bandi mirano in parte a migliorare, dipendano da precise scelte del governo di Tripoli (politiche oltremodo repressive dell’immigrazione clandestina, gestione affidata a milizie, assenza di controlli sugli abusi, ubicazione in strutture fatiscenti, mancata volontà di spesa, ecc.). I Bandi non condizionano l’erogazione delle prestazioni ad alcun impegno da parte del governo libico a rimediare a tali criticità, rendendo così l’intervento italiano inefficace e non sostenibile nel tempo.

    In secondo luogo, il rapporto osserva come nei centri nei pressi di Tripoli le ONG italiane svolgano un’attività strutturale, che si sostituisce in parte alle responsabilità di gestione quotidiana dei centri che spetterebbe al governo libico. Inoltre, alcuni interventi non sono a beneficio dei detenuti ma della struttura detentiva, preservandone la solidità strutturale e la sua capacità di ospitare, anche in futuro, nuovi prigionieri.

    In terzo luogo, alcuni interventi sono volti a mantenere in efficienza infrastrutture anche costrittive, come cancelli e recinzioni, cosicché potrebbe profilarsi un contributo al mantenimento di detenuti nella disponibilità di soggetti notoriamente coinvolti in gravissime violazioni di diritti fondamentali.

    Infine, il rapporto si interroga sulla destinazione effettiva dei beni e dei servizi erogati. L’assenza di personale italiano sul campo e il fatto che i centri siano in gran parte gestiti da milizie indubbiamente ostacolano un controllo effettivo sulla destinazione dei beni acquistati. L’approssimativa rendicontazione da parte di alcune ONG delle spese sostenute sembra avvalorare il quadro di scarso o nullo controllo su quanto effettivamente attuato dagli implementing partner libici sul campo. Non può così escludersi che di almeno parte dei fondi abbiano beneficiato i gestori dei centri, ossia quelle stesse milizie che sono talora anche attori del conflitto armato sul territorio libico nonché autori delle già ricordate sevizie ai danni dei detenuti.

    Il rapporto conclude osservando che l’intervento italiano è direttamente funzionale alla strategia di contenimento dei flussi irregolari di migranti attraverso meccanismi per la loro intercettazione, trasferimento in Libia, detenzione e successiva rimozione dal territorio libico attraverso rimpatrio nel paese di origine o resettlement in Paesi terzi.

    Il rapporto, pur ponendo alcuni interrogativi cruciali, non fornisce un quadro esaustivo, in quanto l’AICS ha sempre negato l’accesso ad alcuni documenti-chiave, quali i testi dei progetti, necessari a comprendere appieno la situazione.

    https://www.meltingpot.org/Profili-critici-delle-attivita%CC%80-delle-ONG-italiane-nei.html

    #Libye #asile #migrations #centres_de_détention #détention #ONG #ONG_italiennes #rapport #aide_du_développement #développement #coopération_au_développement #financement

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    Ajouté à la métaliste migrations et développement :
    https://seenthis.net/messages/733358

    • La realtà libica raccontata attraverso un rapporto sugli interventi finanziati da fondi AICS nei centri di detenzione

      Il rapporto presentato da ASGI nell’ambito del progetto Sciabaca e Oruka

      Il 15 luglio nell’ambito del progetto Sciabaca e Oruka è stato pubblicato dall’ASGI un interessante rapporto sugli interventi attuati da alcune ONG italiane nei centri di detenzione per stranieri in Libia.

      Il rapporto «Profili critici delle attività delle ONG italiane nei centri di detenzione in Libia con fondi A.I.C.S.» [1] rappresenta un’analisi critica sull’operato in Libia dei progetti di alcune ONG finanziate dal nostro Paese. Si tratta di un’analisi che evidenzia soprattutto le grandi contraddizioni che si celano dietro tali interventi, le enormi lacune e soprattutto le pesanti violazioni dei diritti umani da parte del governo di Tripoli.

      Si parla di progetti, alcuni dei quali ancora in corso, finanziati con 6 milioni di euro dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (AICS). Progetti che non hanno sicuramente migliorato le condizioni dei tanti migranti detenuti presso i centri libici.

      In particolare, il rapporto osserva come “nei centri nei pressi di Tripoli le ONG italiane svolgano un’attività strutturale, che si sostituisce in parte alle responsabilità di gestione quotidiana dei centri che spetterebbe al governo libico”, ma purtroppo tale attività non serve a superare le mancanze del governo libico e a migliorare la condizione generale dei soggetti detenuti. Infatti, vi sono delle pre-condizioni che non permettono di cambiare lo stato delle cose neppure con gli interventi che arrivano attraverso questi progetti.

      A tale proposito, è significativo il contesto generale in cui si inseriscono i progetti presi in considerazione dal rapporto pubblicato da ASGI. Non va infatti dimenticato che in Libia la detenzione di cittadini stranieri nei centri è disposta da un’autorità amministrativa (il Ministero dell’Interno) e che tale decisione non è soggetta ad alcun vaglio da parte delle autorità giurisdizionali. La detenzione, poi, è disposta per un tempo indeterminato e si accompagna alla pratica dei lavori forzati.
      Ma non solo.

      Le autorità libiche, con la limitata eccezione di alcune nazionalità, non distinguono tra migranti irregolari e richiedenti asilo bisognosi di protezione internazionale e, in ultimo, non sono previsti meccanismi successivi di controllo sulla legalità della detenzione disposta. Un quadro molto chiaro che si pone in netta violazione dei più elementari principi di tutela dei diritti umani e in aperto contrasto con il diritto internazionale.

      In questo quadro generale, si inseriscono gli interventi finanziati dal Governo italiano con i Bandi che vengono specificamente analizzati nel rapporto in commento. E, la descrizione che ne viene data è, a dir poco, drammatica. Una situazione, quella nei centri libici, “non determinata dalla temporanea impossibilità di un governo in difficoltà nel fornire assistenza volta a salvare le vite delle persone più vulnerabili”.

      Infatti, le condizioni in cui sono detenute migliaia di cittadini stranieri in Libia sembrano essere dovute non da circostanze esterne indipendenti dalla volontà del governo libico ma da sue precise scelte in merito alla:
      – mancata erogazione di servizi di base (cibo, medicine, ecc.), a fronte di una non trascurabile capacità di spesa pubblica;
      – detenzione di un numero di persone eccessivo rispetto agli spazi disponibili;
      – ubicazione in strutture intrinsecamente inadeguate allo scopo;
      – detenzione di persone vulnerabili quali donne e bambini anche in assenza di garanzie ed appositi servizi loro dedicati;
      – detenzione di persone in modo arbitrario (per durata indefinita, senza alcuna procedura legale, controllo giurisdizionale, registrazione formale o possibilità di accesso ad un avvocato);
      – gestione solo nominale da parte del Ministero libico di molti centri, di fatto gestiti da milizie;
      – assenza di meccanismi di prevenzione o controllo sugli abusi commessi in tali centri.

      Nello specifico, il rapporto fa emergere una serie di contraddizioni che sono intrinseche alla situazione politica della Libia e rispetto alle quali gli aiuti economici e logistici approvati con gli accordi tra Libia ed Italia del 2017 nulla possono.

      La ragione di questi accordi allora è da rinvenire esclusivamente nella volontà di limitare l’afflusso di migranti verso il continente europeo, senza alcuna considerazione di quelle che sono le condizioni in cui versano coloro che vengono trattenuti nel paese libico.

      Come più volte sottolineato dai più attenti osservatori, assistiamo ad un fenomeno di “esternalizzazione” delle frontiere europee con l’aggravante che in questi nuovi territori ove si esercita il controllo si ha una vera e propria sospensione del diritto internazionale e continue violazioni dei diritti umani. Non interessa se chi viene trattenuto sia un richiedente asilo o possa essere iscritto ad una categoria protetta. Non vi è distinzione tra uomini, donne e bambini. Sono tutti semplicemente migranti destinati a vivere la stessa drammatica situazione di detenzione arbitraria e indefinita, di violenze e di torture.

      In più, dalla lettura del rapporto, viene in evidenza l’esistenza di un problema a monte che concerne le politiche migratorie europee che sono, purtroppo, finalizzare esclusivamente al contenimento dei flussi migratori. Si tratta di una impostazione del discorso da parte dei Paesi europei che influenza pesantemente le scelte legislative che vengono compiute e gli interventi concreti che vengono fatti. Una errata impostazione delle politiche migratorie che si aggiunge ai tanti problemi concreti presenti in Libia. Non possiamo infatti dimenticare che la Libia è un paese politicamente instabile, caratterizzato da un controllo del territorio da parte di milizie armate che estromettono lo Stato e si sostituiscono a questo. Milizie rispetto alle quali è impossibile intervenire da parte delle ONG che non possono neppure effettuare un controllo sull’utilizzo effettivo che viene fatto dei beni acquistati con il denaro pubblico.

      Stando così le cose, non stupisce lo stato dei centri di detenzione libici. Una situazione di grande precarietà, di sovraffollamento, di carenza di cibo, di carenze strutturali degli edifici utilizzati, di mancanza di attenzione alle donne e ai bambini, di assenza di assistenza sanitaria.

      Nelle conclusioni del Rapporto, i ricercatori che si sono dedicati a questa attenta analisi dei progetti delle ONG italiane in Libia evidenziano quanto già abbiamo avuto modo di dire in precedenza. Tali progetti sono uno dei tasselli di cui si compone il complesso mosaico che riguardo i rapporti bilaterali tra Italia e Libia.

      Una stagione di accordi che prende le mosse dal noto memorandum del mese di febbraio 2017 e che mira soprattutto a limitare l’afflusso di migranti privi di visto di ingresso dal territorio libico a quello italiano.

      Un altro tassello è sicuramente costituito dalle missioni (peraltro rifinanziate dal nostro Parlamento pochi giorni fa) di addestramento e sostegno alla Guardia Costiera libica sempre da parte del nostro Stato.

      Lo scopo di questi accordi è quello di bloccare o riportare in Libia i migranti irregolari, detenerli in questo Paese e, poi, eventualmente smistarli verso altri paese terzi come il Niger o il Ruanda (o rimpatriarli nei paesi di origine).

      Tutto quello che accade durante e dopo non interessa. Non interessano gli strumenti che vengono utilizzati per bloccare le partenze, non interessano i metodi che vengono adoperati dalla Guardia costiera per bloccare i migranti, non interessa lo stato di detenzione a cui sono sottoposti. In vista del contenimento dei flussi migratori tutto è consentito alla Libia.

      https://www.meltingpot.org/La-realta-libica-raccontata-attraverso-un-rapporto-sugli.html

  • China’s Health Silk Road paves way to Covid-19 recovery - Asia Times
    https://asiatimes.com/2020/07/chinas-health-silk-road-paves-way-to-covid-19-recovery

    A virtual meeting of the foreign ministers of China, Afghanistan, Pakistan and Nepal on July 27 became the third vector of Beijing’s “Silk Road of Health” diplomacy in Asia. A Xinhua report on the event said China proposed that the four countries should “consolidate consensus of solidarity against Covid-19, carry out joint cooperation mechanisms on Covid-19 response in the region, enhance cooperation in the fight against the pandemic and in [developing a] vaccine, and accelerate economic recovery and development after the pandemic.” The foreign ministers of Pakistan, Afghanistan and Nepal conveyed their willingness “to deepen cooperation with China to fight Covid-19, ensure the flow of trade and transport corridors, facilitate people-to-people and trade connection, build a ‘silk road of health’ and community of a shared future for humanity.”
    The Silk Road of Health was first publicly mentioned by Chinese President Xi Jinping during a 2016 speech in Uzbekistan. Its first stepping stones are coming into view with the articulation of China’s Covid-19 response under the Belt and Road Initiative’s expansive umbrella

    #Covid-19#migrant#migration#chine#afghanistan#pakistan#nepal#routedelasoie#sante#circulation#cooperation#developpement

  • Budget européen pour la migration : plus de contrôles aux frontières, moins de respect pour les droits humains

    Le 17 juillet 2020, le Conseil européen examinera le #cadre_financier_pluriannuel (#CFP) pour la période #2021-2027. À cette occasion, les dirigeants de l’UE discuteront des aspects tant internes qu’externes du budget alloué aux migrations et à l’#asile.

    En l’état actuel, la #Commission_européenne propose une #enveloppe_budgétaire totale de 40,62 milliards d’euros pour les programmes portant sur la migration et l’asile, répartis comme suit : 31,12 milliards d’euros pour la dimension interne et environ 10 milliards d’euros pour la dimension externe. Il s’agit d’une augmentation de 441% en valeur monétaire par rapport à la proposition faite en 2014 pour le budget 2014-2020 et d’une augmentation de 78% par rapport à la révision budgétaire de 2015 pour ce même budget.

    Une réalité déguisée

    Est-ce une bonne nouvelle qui permettra d’assurer dignement le bien-être de milliers de migrant.e.s et de réfugié.e.s actuellement abandonné.e.s à la rue ou bloqué.e.s dans des centres d’accueil surpeuplés de certains pays européens ? En réalité, cette augmentation est principalement destinée à renforcer l’#approche_sécuritaire : dans la proposition actuelle, environ 75% du budget de l’UE consacré à la migration et à l’asile serait alloué aux #retours, à la #gestion_des_frontières et à l’#externalisation des contrôles. Ceci s’effectue au détriment des programmes d’asile et d’#intégration dans les États membres ; programmes qui se voient attribuer 25% du budget global.

    Le budget 2014 ne comprenait pas de dimension extérieure. Cette variable n’a été introduite qu’en 2015 avec la création du #Fonds_fiduciaire_de_l’UE_pour_l’Afrique (4,7 milliards d’euros) et une enveloppe financière destinée à soutenir la mise en œuvre de la #déclaration_UE-Turquie de mars 2016 (6 milliards d’euros), qui a été tant décriée. Ces deux lignes budgétaires s’inscrivent dans la dangereuse logique de #conditionnalité entre migration et #développement : l’#aide_au_développement est liée à l’acceptation, par les pays tiers concernés, de #contrôles_migratoires ou d’autres tâches liées aux migrations. En outre, au moins 10% du budget prévu pour l’Instrument de voisinage, de développement et de coopération internationale (#NDICI) est réservé pour des projets de gestion des migrations dans les pays d’origine et de transit. Ces projets ont rarement un rapport avec les activités de développement.

    Au-delà des chiffres, des violations des #droits_humains

    L’augmentation inquiétante de la dimension sécuritaire du budget de l’UE correspond, sur le terrain, à une hausse des violations des #droits_fondamentaux. Par exemple, plus les fonds alloués aux « #gardes-côtes_libyens » sont importants, plus on observe de #refoulements sur la route de la Méditerranée centrale. Depuis 2014, le nombre de refoulements vers la #Libye s’élève à 62 474 personnes, soit plus de 60 000 personnes qui ont tenté d’échapper à des violences bien documentées en Libye et qui ont mis leur vie en danger mais ont été ramenées dans des centres de détention indignes, indirectement financés par l’UE.

    En #Turquie, autre partenaire à long terme de l’UE en matière d’externalisation des contrôles, les autorités n’hésitent pas à jouer avec la vie des migrant.e.s et des réfugié.e.s, en ouvrant et en fermant les frontières, pour négocier le versement de fonds, comme en témoigne l’exemple récent à la frontière gréco-turque.

    Un budget opaque

    « EuroMed Droits s’inquiète de l’#opacité des allocations de fonds dans le budget courant et demande à l’Union européenne de garantir des mécanismes de responsabilité et de transparence sur l’utilisation des fonds, en particulier lorsqu’il s’agit de pays où la corruption est endémique et qui violent régulièrement les droits des personnes migrantes et réfugiées, mais aussi les droits de leurs propres citoyen.ne.s », a déclaré Wadih Al-Asmar, président d’EuroMed Droits.

    « Alors que les dirigeants européens se réunissent à Bruxelles pour discuter du prochain cadre financier pluriannuel, EuroMed Droits demande qu’une approche plus humaine et basée sur les droits soit adoptée envers les migrant.e.s et les réfugié.e.s, afin que les appels à l’empathie et à l’action résolue de la Présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen ne restent pas lettre morte ».

    https://euromedrights.org/fr/publication/budget-europeen-pour-la-migration-plus-de-controles-aux-frontieres-mo


    https://twitter.com/EuroMedRights/status/1283759540740096001

    #budget #migrations #EU #UE #Union_européenne #frontières #Fonds_fiduciaire_pour_l’Afrique #Fonds_fiduciaire #sécurité #réfugiés #accord_UE-Turquie #chiffres #infographie #renvois #expulsions #Neighbourhood_Development_and_International_Cooperation_Instrument

    Ajouté à la métaliste sur la #conditionnalité_de_l'aide_au_développement :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

    Et à la métaliste sur l’externalisation des contrôles frontaliers :
    https://seenthis.net/messages/731749#message765319

    ping @karine4 @rhoumour @reka @_kg_

  • EU: Damning draft report on the implementation of the Return Directive

    Tineke Strik, the Green MEP responsible for overseeing the passage through the European Parliament of the ’recast Return Directive’, which governs certain common procedures regarding the detention and expulsion of non-EU nationals, has prepared a report on the implementation of the original 2008 Return Directive. It criticises the Commission’s emphasis, since 2017, on punitive enforcement measures, at the expense of alternatives that have not been fully explored or implemented by the Commission or the member states, despite the 2008 legislation providing for them.

    See: DRAFT REPORT on the implementation of the Return Directive (2019/2208(INI)): https://www.statewatch.org/media/documents/news/2020/jun/ep-libe-returns-directive-implementation-draft-rep-9-6-20.pdf

    From the explanatory statement:

    “This Report, highlighting several gaps in the implementation of the Return Directive, is not intended to substitute the still overdue fully-fledged implementation assessment of the Commission. It calls on Member States to ensure compliance with the Return Directive and on the Commission to ensure timely and proper monitoring and support for its implementation, and to enforce compliance if necessary.

    (...)

    With a view to the dual objective of the Return Directive, notably promoting effective returns and ensuring that returns comply with fundamental rights and procedural safeguards, this Report shows that the Directive allows for and supports effective returns, but that most factors impeding effective return are absent in the current discourse, as the effectiveness is mainly stressed and understood as return rate.”

    Parliamentary procedure page: Implementation report on the Return Directive (European Parliament, link: https://oeil.secure.europarl.europa.eu/oeil/popups/ficheprocedure.do?reference=2019/2208(INI)&l=en)

    https://www.statewatch.org/news/2020/june/eu-damning-draft-report-on-the-implementation-of-the-return-directive
    #Directive_Retour #EU #Europe #Union_européenne #asile #migrations #réfugiés #renvois #expulsions #rétention #détention_administrative #évaluation #identification #efficacité #2008_Return_Directive #régimes_parallèles #retour_volontaire #déboutés #sans-papiers #permis_de_résidence #régularisation #proportionnalité #principe_de_proportionnalité #AVR_programmes #AVR #interdiction_d'entrée_sur_le_territoire #externalisation #Gambie #Bangladesh #Turquie #Ethiopie #Afghanistan #Guinée #Côte_d'Ivoire #droits_humains #Tineke_Strik #risque_de_fuite #fuite #accord #réadmission

    –—

    Quelques passages intéressants tirés du rapport:

    The study shows that Member States make use of the possibility offered in Article 2(2)(a) not to apply the Directive in “border cases”, by creating parallel regimes, where procedures falling outside the scope of the Directive offer less safeguards compared to the regular return procedure, for instance no voluntary return term, no suspensive effect of an appeal and less restrictions on the length of detention. This lower level of protection gives serious reasons for concern, as the fact that border situations may remain outside the scope of the Directive also enhances the risks of push backs and refoulement. (...) Your Rapporteur considers that it is key to ensure a proper assessment of the risk of refoulement prior to the issuance of a return decision. This already takes place in Sweden and France. Although unaccompanied minors are rarely returned, most Member States do not officially ban their return. Their being subject to a return procedure adds vulnerability to their situation, due to the lack of safeguards and legal certainty.

    (p.4)
    #frontières #zones_frontalières #push-backs #refoulement

    Sur les #statistiques et #chiffres de #Eurostat:

    According to Eurostat, Member States issued over 490.000 return decisions in 2019, of which 85% were issued by the ten Member States under the current study. These figures are less reliable then they seem, due to the divergent practices. In some Member States, migrants are issued with a return decision more than once, children are not issued a decision separately, and refusals at the border are excluded.

    Statistics on the percentage of departure being voluntary show significant varieties between the Member States: from 96% in Poland to 7% in Spain and Italy. Germany and the Netherlands have reported not being able to collect data of non-assisted voluntary returns, which is remarkable in the light of the information provided by other Member States. According to Frontex, almost half of the departures are voluntary.

    (p.5)

    As Article 7(4) is often applied in an automatic way, and as the voluntary departure period is often insufficient to organise the departure, many returnees are automatically subject to an entry ban. Due to the different interpretations of a risk of absconding, the scope of the mandatory imposition of an entry ban may vary considerably between the countries. The legislation and practice in Belgium, Bulgaria, France, the Netherlands and Sweden provides for an automatic entry ban if the term for voluntary departure was not granted or respected by the returnee and in other cases, the imposition is optional. In Germany, Spain, Italy, Poland and Bulgaria however, legislation or practice provides for an automatic imposition of entry bans in all cases, including cases in which the returnee has left during the voluntary departure period. Also in the Netherlands, migrants with a voluntary departure term can be issued with an entry ban before the term is expired. This raises questions on the purpose and effectiveness of imposing an entry ban, as it can have a discouraging effect if imposed at an early stage. Why leave the territory in time on a voluntary basis if that is not rewarded with the possibility to re-enter? This approach is also at odds with the administrative and non-punitive approach taken in the Directive.

    (p.6)

    National legislation transposing the definition of “risk of absconding” significantly differs, and while several Member States have long lists of criteria which justify finding a risk of absconding (Belgium has 11, France 8, Germany 7, The Netherlands 19), other Member States (Bulgaria, Greece, Poland) do not enumerate the criteria in an exhaustive manner. A broad legal basis for detention allows detention to be imposed in a systematic manner, while individual circumstances are marginally assessed. National practices highlighted in this context also confirm previous studies that most returns take place in the first few weeks and that longer detention hardly has an added value.

    (p.6)

    In its 2016 Communication on establishing a new Partnership Framework with third countries under the European Agenda on Migration, the Commission recognised that cooperation with third countries is essential in ensuring effective and sustainable returns. Since the adoption of this Communication, several informal arrangements have been concluded with third countries, including Gambia, Bangladesh, Turkey, Ethiopia, Afghanistan, Guinea and Ivory Coast. The Rapporteur regrets that such informal deals are concluded in the complete absence of duly parliamentary scrutiny and democratic and judicial oversight that according to the Treaties the conclusion of formal readmission agreements would warrant.

    (p.7)

    With the informalisation of cooperation with third countries in the field of migration, including with transit countries, also came an increased emphasis on conditionality in terms of return and readmission. The Rapporteur is concerned that funding earmarked for development cooperation is increasingly being redirected away from development and poverty eradication goals.

    (p.7)
    #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide

    ping @_kg_ @isskein @i_s_ @karine4 @rhoumour

  • Cinq questions à Madame Helen La Lime Meagher, Représentante spéciale du Secrétaire général des Nations unies en Haïti.
    https://www.cetri.be/Cinq-questions-a-Madame-Helen-La

    Madame, le 19 juin 2020, à la séance du Conseil de sécurité consacrée au Bureau intégré des Nations unies en #Haïti (BINUH), à New York, vous avez fait une déclaration sur votre travail et sur la situation en Haïti : https://rezonodwes.com/2020/06/20/new-york-declaration-de-helen-la-lime-au-conseil-de-securite-19-juin-202. 1. Peut-on vous demander quels sont « les gains durement acquis en matière de sécurité et de #Développement au cours des quinze dernières années » en Haïti que vous évoquez ? Des « (...) #Le_regard_du_CETRI

    / #Le_regard_du_CETRI, #Le_Sud_en_mouvement, #Corruption, Haïti, #Néolibéralisme, Développement

  • Emigrés bloqués à Dakar / Le collectif « Diaspora Gno Lank » se rebelle et exige une résolution définitive de sa situation
    https://www.dakaractu.com/Emigres-bloques-a-Dakar-Le-collectif-Diaspora-Gno-Lank-se-rebelle-et-exig

    elon le communiqué toujours, « ces mesures que le secrétaire d’État juge fortes, sont une honte et un manque de respect vis-à-vis des citoyens sénégalais qui vivent à l’étranger et qui sont aujourd’hui bloqués au Sénégal ». Le mouvement a posé une question à laquelle seul l’Etat peut répondre. « Comment l’État peut-il rembourser par l’argent du contribuable des sommes colossales détournées par des privés en complicité avec la compagnie nationale au su et au vu de tous ? » C’est pourquoi le collectif demande plus de clarté dans cet argent. Ainsi souligne le communiqué « nous, (DIASPORA GNO LANK) nous attendions des sanctions, une meilleure organisation des vols de rapatriement, un meilleur encadrement par l’autorité et une baisse des tarifs à 500 euros pour l’aller simple et à 200 euros pour le retour en lieu et place de ces aveux d’État ». Toutefois, conclut le collectif, « en réalité, l’État a désavoué le directeur commercial d’Air Sénégal tout en étant pris lui-même la main dans le sac en protégeant un rabatteur et ses complices ». C’est pourquoi le collectif exige des sanctions ; la réduction du billet d’avion à 500 euros pour tous les émigrés à destination de l’Europe ; le prix du billet d’avion vers Dakar à 200 euros pour tous les sénégalais bloqués en Europe ; plus de vols et un système de vente des billets accessible à tous et dans toutes les agences afin que les émigrés puissent rentrer en paix et dans de meilleures conditions ; une gouvernance démocratique, transparente de l’immigration ; du respect et de la considération de l’émigré acteur de développement et de stabilité sociale, sonne le collectif

    #Covid-19#migrant#migration#diaspora#rapatriement#santementale#roledumigrant#developpement#etat#rapatriment#emigres

  • Pas de communs sans communauté

    Maria Mies

    https://lavoiedujaguar.net/Pas-de-communs-sans-communaute

    L’intérêt actuel pour les nouveaux communaux est bienvenu. Cela montre que de plus en plus de gens comprennent que notre système mondial capitaliste actuel ne peut résoudre aucun des problèmes qu’il a lui-même créés. La plupart des gens qui veulent créer de nouveaux communaux recherchent un nouveau paradigme économique et social. Pourtant, je pense qu’il est nécessaire de porter un regard plus critique sur les principaux concepts et arguments utilisés dans le discours contemporain sur « les biens communs ». Aujourd’hui, les « nouveaux biens communs » font l’objet d’un battage médiatique, notamment le mythe d’Internet comme bien commun et source de nouvelles communautés. Dans cet article, je pose plusieurs questions : Que voulons-nous dire lorsque nous parlons de « nouveaux biens communs » ? Que pouvons-nous apprendre des anciens communaux ? Qu’est-ce qui doit être changé aujourd’hui ? Y a-t-il une perspective réaliste pour les nouveaux biens communs ?

    Tout d’abord, je tiens à souligner qu’aucun bien commun ne peut exister sans une communauté. Les anciens biens communs étaient entretenus par une communauté clairement définie dont les membres s’engageaient à accomplir un travail communautaire pour subvenir à leurs besoins. (...)

    #Maria_Mies #communs #communauté #Allemagne #_enclosures_ #arbre #autonomie #écoféminisme #brevet #technocritique #Internet #Papouasie #Inde #Vandana_Shiva #développement #numérique

  • #EU #Development #Cooperation with #Sub-Saharan #Africa 2013-2018: Policies, funding, results

    How have EU overall development policies and the EU’s overall policies vis-à-vis Sub-Saharan Africa in particular evolved in the period 2013-2018 and what explains the developments that have taken place?2. How has EU development spending in Sub-Saharan Africa developed in the period 2013-2018 and what explains these developments?3.What is known of the results accomplished by EU development aid in Sub-Saharan Africa and what explains these accomplishments?

    This study analyses these questions on the basis of a comprehensive desk review of key EU policy documents, data on EU development cooperation as well as available evaluation material of the EU institutionson EU external assistance. While broad in coverage, the study pays particular attention to EU policies and development spending in specific areas that are priority themes for the Dutch government as communicated to the parliament.

    Authors: Alexei Jones, Niels Keijzer, Ina Friesen and Pauline Veron, study for the evaluation department (IOB) of the Ministry of Foreign Affairs of the Netherlands, May 2020

    = https://ecdpm.org/publications/eu-development-cooperation-sub-saharan-africa-2013-2018-policies-funding-resu

  • Chronique Monde | #Mauritanie. Un partenariat européen au goût amer

    La Mauritanie fait figure d’exception au Sahel pour sa relative stabilité. Contrairement à d’autres États de la région, ce pays grand comme presque deux fois la France, à cheval entre le Maghreb et l’Afrique subsaharienne, n’a pas connu d’attentat terroriste depuis 2011. Dans ce contexte, Nouakchott est devenu un partenaire de choix dans le cadre de la lutte internationale contre le terrorisme et l’immigration irrégulière. Face à de tels impératifs, le respect des droits humains sur place passe largement au second plan.

    Tour d’horizon des droits humains

    Depuis le 1er août 2019, la Mauritanie est dirigée par Mohamed Ould El-Ghazaouani. Même si son élection au premier tour est contestée par l’opposition, elle marque la première transition présidentielle pacifique de l’histoire politique mauritanienne. Lors de son investiture, Amnesty International a qualifié de « déplorable » le bilan en matière de droits humains laissé par son prédécesseur, Mohamed Ould Abdel Aziz, citant notamment l’esclavage, les discriminations raciales ainsi que les atteintes à la liberté d’expression, d’association et de réunion.

    Même si l’esclavage a été officiellement aboli en 1981, criminalisé en 2007 et élevé au rang de crime contre l’humanité en 2012, sa pratique touchait environ 43000 personnes en 2016. Dans le même temps, Haratines et Afro- Mauritanien-ne-s restent largement exclu·e·s des postes de responsabilité et donc moins susceptibles de faire valoir leurs droits économiques et sociaux. Depuis l’indépendance, la quasi-totalité des pouvoirs politiques, militaires et économiques est détenue par les Beydanes, une communauté elle-même extrêmement hiérarchisée.

    Celles et ceux qui s’attaquent à ces questions sensibles s’exposent aux représailles de la part de l’État. L’exemple le plus parlant est celui du blogueur Mohamed Ould Mkhaïtir, condamné à mort en 2014 pour « apostasie » après avoir dénoncé l’usage de la religion pour légitimer les pratiques discriminatoires dont est victime la communauté dite des forgerons. Sa peine a depuis été réduite à deux années de prison et il vit actuellement en exil après avoir été libéré en juillet 2019.

    Une tradition d’hospitalité remise en cause

    La Mauritanie est à la fois un pays de transit pour les réfugié-e-s et les migrant-e-s qui se rendent en Afrique du Nord et en Europe et un pays de destination pour celles et ceux à la recherche d’emplois saisonniers dans les secteurs de la pêche et de l’industrie minière ou d’une protection internationale. Signataire de la Convention relative au statut des réfugiés, la Mauritanie a ouvert ses portes en 2012 à plus de 55000 réfugié-e-s malien-ne-s installé-e-s dans le camp de Mbera situé non loin de la frontière malienne.

    Cette politique d’accueil doit néanmoins être nuancée à la lumière de l’externalisation des frontières européennes. L’#Union_européenne (UE) a fait pression sur la Mauritanie pour qu’elle signe en 2003 un #accord_de_réadmission avec l’Espagne qui l’oblige à reprendre sur son territoire non seulement ses nationaux, mais également les ressortissant-e-s de pays tiers dont il est « vérifié » ou « présumé » qu’ils ou elles auraient transité par le territoire mauritanien. Un #centre_de_rétention avait été mis sur pied à #Nouadhibou avec l’aide de l’#Espagne. Il est aujourd’hui fermé (voir VE 135 / décembre 2011 : https://asile.ch/chronique/mauritanie-nouvelle-frontiere-de-leurope).

    Parallèlement, la Mauritanie a reçu entre 2007 et 2013 huit millions d’euros dans le cadre du #Fonds_européen_de_développement afin d’« appuyer et de renforcer les capacités de gestion, de suivi et de planification des flux migratoires » à travers notamment la révision du dispositif pénal relatif aux migrations.

    Résultat : la politique migratoire s’est durcie durant la présidence Aziz. Les autorités ont multiplié les contrôles aux frontières, placé en détention et renvoyé de force des milliers de personnes et soumis certaines d’entre elles à des tortures et mauvais traitements.

    L’ensemble de ces mesures a contribué à déplacer les routes migratoires vers le désert du #Sahara et la #Méditerranée_centrale. Le nombre d’arrivées dans l’archipel espagnol des #Canaries en provenance des côtes mauritaniennes a chuté de 30 000 à moins d’un millier entre 2006 et 2015.

    Cette dynamique est néanmoins en train de s’inverser à mesure que la #Libye apparaît comme une zone de plus en plus inhospitalière. Cette reconfiguration préfigure une recrudescence des naufrages dans l’#Atlantique faute de voies migratoires sûres. Le 4 décembre 2019, une embarcation de fortune partie de #Gambie a sombré au large de #Nouadhibou provoquant la mort d’une soixantaine de personnes.

    https://asile.ch/2020/04/17/chronique-monde-mauritanie-un-partenariat-europeen-au-gout-amer
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #UE #EU #aide_au_développement #développement #coopération_au_développement #contrôles_frontaliers #routes_migratoires
    via @vivre
    ping @rhoumour @isskein @karine4 @_kg_

    –—

    Ajouté à la métaliste « externalisation » :
    https://seenthis.net/messages/731749#message765327

    Et la métaliste aide au développement et conditionnalité de l’aide :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

  • Qu’aucun dieu ne se souvienne de ton nom

    Yásnaya Elena Aguilar Gil

    https://lavoiedujaguar.net/Qu-aucun-dieu-ne-se-souvienne-de-ton-nom

    Je voudrais commencer par faire une concession : en amont de la mise en œuvre du Train maya, l’un des projets les plus amplement annoncés par le nouveau gouvernement d’Andrés Manuel López Obrador, à la base de sa réalisation, il y a les meilleures intentions. Après des siècles d’abandon au cours desquels le peuple maya a été dépossédé et poussé dans un processus d’appauvrissement indifférent, le nouveau gouvernement prétend enfin mettre en œuvre un projet intégral qui a pour objectif principal de créer « le bien-être social de la population qui habite la zone maya » et « intégrer les territoires d’une grande richesse naturelle et culturelle au développement touristique, environnemental et social de la région », selon les termes de la page officielle du projet.

    Pourquoi devrait-on s’y opposer ? L’inclusion et le développement des peuples mayas de la péninsule sont nécessaires si le nouveau gouvernement veut que les secteurs les plus défavorisés de l’histoire de ce pays aient accès à la justice sociale. Il ne serait pas juste de les laisser en dehors du projet de la Quatrième Transformation. Je fais cette concession pour partir d’un terrain commun qui me permette d’exposer des points qui me paraissent problématiques dans la discussion qui a eu lieu sur le Train maya. (...)

    #Mexique #Mayas #mégaprojet #développement #État #López_Obrador #appauvrissement #progrès

  • Fermeture des vols intérieurs : « Si Aurillac est sur la liste, le Cantal est mort » | Public Senat
    https://www.publicsenat.fr/article/politique/fermeture-des-vols-interieurs-si-aurillac-est-sur-la-liste-le-cantal-est

    #Air_France_KLM va réduire de 40 % ses vols nationaux d’ici à 2021. Les sénateurs dont les territoires sont concernés par ces fermetures de ligne craignent l’#enclavement de leur région mais aussi les conséquences économiques.

    Pour Air France, un plan d’aide peu écolo et non contraignant
    https://reporterre.net/Pour-Air-France-un-plan-d-aide-peu-ecolo-et-non-contraignant

    Pour faire face aux conséquences économiques de la pandémie de Covid-19, le gouvernement va accorder 7 milliards d’euros d’aides à Air France. En échange, la compagnie est censée devenir « plus respectueuse de la planète ». Mais les conditions environnementales posées ne sont ni ambitieuses ni contraignantes

    Liens cités dans l’article de Reporterre :
    Réseau Action Climat, Climat : que vaut le plan du Gouvernement pour l’aérien ?, https://reseauactionclimat.org/publications/climat-que-vaut-le-plan-du-gouvernement-pour-laerien

    The Shift Project, « Crise(s), climat : préparer l’avenir de l’aviation » : les propositions du Shift de contreparties à l’aide publique au secteur aérien, https://theshiftproject.org/article/climat-preparer-avenir-aviation-propositions-shift-contreparties

    #changement_climatique #transport_aérien #aménagement_du_territoire #développement_durable

  • Nos plans pour #PeerTube v3 : collecte perlée, du live pour cet automne
    https://framablog.org/2020/05/26/nos-plans-pour-peertube-v3-collecte-perlee-du-live-pour-cet-automne

    Nous dévoilons aujourd’hui la feuille de route des six prochains mois de développement de PeerTube. Avec votre soutien, nous voulons poursuivre les améliorations sur ce logiciel qui permet aux particuliers, structures et collectifs de s’émanciper de #YouTube et de reprendre … Lire la suite­­

    #Contributopia #ActivityPub #contributopia #Crowdfunding #Degooglisons #Developpement #Donation #financement_participatif #Framasoft #GAFAM #pair_à_pair #Peer2peer #Planet #RezoTIC #Video

  • Our plans for #PeerTube v3 : progressive fundraising, live streaming coming next fall
    https://framablog.org/2020/05/26/our-plans-for-peertube-v3-progressive-fundraising-live-streaming-coming-n

    Today, we are publishing the roadmap for the next six months of PeerTube’s development. With your help, we want to continue improving on this software that allows individuals, structures and collectives to emancipate from #YouTube’s chokehold and regain power over … Lire la suite­­

    #Contributopia #ActivityPub #contributopia #Crowdfunding #Degooglisons #Developpement #Donation #English #financement_participatif #Framasoft #GAFAM #pair_à_pair #Peer2peer #Planet #RezoTIC #Video

  • Ivan Illich et la déscolarisation de la société 1/2
    https://topophile.net/savoir/ivan-illich-et-la-descolarisation-de-la-societe-1-2

    La pensée d’Ivan Illich (1926-2002), figure inclassable et incontournable de la critique de la société industrielle, se révèle toujours aussi stimulante et pertinente. Elle a nourri et continue de nourrir nombre de mouvements écologistes ainsi que cette humble revue. Illich démontre que les institutions passées un certain seuil deviennent contre-productives, c’est-à-dire se retournent contre leur... Voir l’article

  • La #crise, ou la #ville idéale ?
    http://carfree.fr/index.php/2020/05/06/la-crise-ou-la-ville-ideale

    Quelles sont la taille et l’organisation spatiale idéales d’une ville soutenable ? Et donc d’une vie soutenable ? Voici une réflexion sur l’immobilier, la ville, la voiture et l’environnement. L’idéal écologique actuel, Lire la suite...

    #Quartiers_sans_voitures #Ville_sans_voitures #développement_durable #habitat

  • La #désillusion d’une 3start-up de l’#économie_circulaire

    Annonce d’#arrêt_d’activité et bilan - #La_Boucle_Verte

    En ce début février 2020, nous avons fait le choix de cesser définitivement notre activité d’économie circulaire portant sur la collecte innovante d’emballages. Après plus de 3 ans, nous n’avons pas su rendre notre entreprise pérenne et surtout, nous avons perdu beaucoup d’intérêt pour notre projet.

    L’objet de cet article est de vous faire part des raisons de notre échec mais aussi de nos désillusions. Par ce retour d’expérience critique, nous souhaitons expliquer en quoi nous nous sommes trompés et éviter à de jeunes porteurs de projets de reproduire les mêmes erreurs que nous, tant sur le plan entrepreneurial qu’environnemental. Nous souhaitons également faire part au grand public des conclusions que nous avons tirées quant à la durabilité de notre modèle de société, notamment en ce qui concerne le recyclage et l’idée de croissance verte. Enfin, nous vous donnerons notre vision actualisée de ce que devrait être un avenir souhaitable et du changement de mentalité que cela implique pour y parvenir de bon cœur.
    1) La naissance du projet, son développement, sa mort

    L’aventure La Boucle Verte débute en Octobre 2016 à Toulouse. Tout juste diplômés d’une école de commerce, sensibilisés à l’entrepreneuriat et un peu rêveurs, nous voulions créer notre entreprise. Notre idée de départ pouvait se résumer ainsi :

    La croissance et la consommation sont les moteurs de notre économie. Cependant, les ressources de la planète sont limitées. « Et si on créait une entreprise capable de collecter tout objet, reste ou résidu pour le recycler, pour transformer tout déchet en une matière première qui a de la valeur. Une entreprise capable de réconcilier croissance économique et développement durable. »

    Ça y est, nous sommes gonflés à bloc, il nous reste maintenant à savoir par quel bout commencer. Un seul problème, nous n’avons ni argent, ni expérience, ni réseau, ni crédibilité. Il fallait commencer par quelque chose de très simple et cette bonne vieille canette métallique nous a séduit ! Soi-disant composée à 100% de métal et recyclable à l’infini, nous pensions pouvoir créer une logistique bien rodée afin de les collecter dans les fast-foods pour les revendre à des grossistes en métaux et qu’elles soient recyclées. Après avoir ruiné le coffre de la Seat Ibiza et s’être attiré les foudres des voisins pour avoir stocké les canettes dégoulinantes dans la cave de notre immeuble, il était temps d’apporter notre butin chez le ferrailleur grâce à la camionnette d’un ami. Une fois arrivés sur cette étrange planète boueuse et peuplée de centaines de carcasses de bagnoles, les canettes alu et acier préalablement triées sont pesées. Après s’être fait enregistrés, nous dégotons notre premier chèque. Et quel choc ! Il n’y avait pas d’erreur de zéro, nous avions bel et bien gagné 38€, même pas de quoi payer l’essence de ce mois de collecte et tout juste de quoi rentabiliser les sacs poubelles. A ce moment-là nous avons fait un grand pas dans notre compréhension du secteur du recyclage : la majorité des déchets ne valent pas le prix de l’effort qu’il faut faire pour les collecter, et, sans obligation réglementaire ou volonté de leur propriétaire de les trier, ces derniers n’ont aucune chance d’être recyclés.

    Pas question pour autant de baisser les bras, en tant que dignes start-upers very smart and very agile, nous devions simplement pivoter pour trouver notre business model et notre value proposition en disruptant le marché. OKAYYY !! Sinon en Français, il fallait trouver une nouvelle idée pour rentabiliser la collecte. Près de 5 mois s’écoulèrent pendant lesquels nous expérimentions tous types de solutions jusqu’à ce que le Can’ivor voie le jour : un collecteur de canettes mis gratuitement à disposition des fast-foods et qui sert de support publicitaire. Plus besoin de gagner des sous avec la vente des canettes, il suffisait de vendre de la pub sur le collecteur pour financer le service de collecte et dégager une marge. Une idée à première vue géniale que nous avons rapidement concrétisée en bricolant des bidons d’huile dans notre garage.

    Mais, après 6 mois de démarchage commercial à gogo, pas le moindre client pour nous acheter nos espaces publicitaires ! Sans doute n’étions-nous pas assez sexy pour les annonceurs, il fallait que ça ait plus de gueule et qu’on transforme l’image de la poubelle pour que le tri sélectif devienne un truc stylé et que la pub devienne responsable ! Notre ami Steve Jobs nous a enseigné que le design et le marketing étaient la clé pour pousser un nouveau produit sur un nouveau marché… Après avoir changé le look du Can’ivor, de logo, de slogan, de site internet, de plaquette commerciale, gagné quelques concours, chopé quelques articles, s’être payé les services de super graphistes, avoir créé toute une série de mots nouveaux, s’être familiarisés avec le jargon de la pub, avoir lancé la mode du « cool recycling », et réalisé une vidéo cumulant 3,3 millions de vues sur Facebook, nous commencions à peser dans le start-up game ! Et… les emplacements publicitaires se vendaient ! On parlait de nous dans les médias, nous passions sur BFM business, la success story voyait enfin le jour. Plus motivés que jamais, nous rêvions d’inonder la France avec nos collecteurs et faisions du repérage à Paris et Bordeaux…

    https://www.youtube.com/watch?v=n306emV4JSU&feature=emb_logo

    Le problème, c’est que nos clients étaient en réalité plus intéressés par le fait de nous filer un coup de pouce et de s’associer à notre image écolo que par notre service d’affichage en lui-même. Une fois le buzz terminé, les ventes s’essoufflèrent… Après s’être débattus pendant plus d’un an à tout repenser, il fallait se rendre à l’évidence, il n’y avait pas de marché pour notre service. Et nous avons pris en pleine poire la seule leçon importante qu’il fallait retenir en cours d’entrepreneuriat : se focaliser sur le besoin client. A vouloir absolument trouver un modèle économique pour collecter nos canettes, nous avons complètement oublié que pour vendre quelque chose il faut répondre au besoin propre à un individu ou une entreprise et qu’un besoin « sociétal » comme l’écologie ne suffit pas.

    Fin 2019, nous avons fait le choix de retirer l’intégralité de nos collecteurs munis d’emplacements publicitaires pour jouer notre dernière carte, celle du service de collecte payant. En l’espace de 3 ans, les mentalités avaient bien changé, nous étions reconnus à Toulouse et avions l’espoir que ce modèle plus simple fonctionne. Nous nous sommes alors mis à proposer des services de collecte multi déchets à tous types de clients en centre-ville. Malheureusement, après 4 mois d’essai, nous en sommes revenus à l’un de nos premiers constats qui était que la majorité des structures étaient prêtes à payer pour un service de collecte que si elles en étaient contraintes par un marché réglementaire. Après tant de tentatives, nous étions à bout de force, démotivés et à cours de trésorerie. Mais surtout, nous avions perdu foi en ce que nous faisions, nous ne nous retrouvions plus dans nos envies de départ. Même si nous sommes parvenus à collecter des centaines de milliers de canettes, nous étions principalement devenus des vendeurs de publicité. Et ces deux mondes sont tellement antinomiques, que nous avons perdu intérêt dans le projet. Et le pire (ou le mieux) dans tout ça, c’est que nous avons également perdu confiance dans le secteur tout entier du recyclage et dans cette idée de croissance « verte ». La Boucle Verte mourut.
    2) Les réalités de la filière emballages et du recyclage

    Lorsque nous nous sommes lancés dans le projet, notre premier réflexe a été de nous renseigner sur les emballages de notre quotidien pour en apprendre plus sur leur prix, leur recyclabilité, leur taux de recyclage et l’accessibilité des filières de valorisation. A l’issue de cela, la canette nous paraissait être un emballage idéal. De nombreux sites internet lui attribuaient le mérite d’être l’emballage le plus léger qui soit entièrement recyclable et à l’infini. On pouvait lire qu’une canette triée redonnait naissance à une canette neuve en 60 jours et que cet emballage était bien recyclé en France (60% d’entre elles). Persuadés de participer à une œuvre écologique et de pouvoir encore améliorer ce taux de recyclage, nous avons foncé tête baissée pour collecter nos canettes ! Mais, la suite de nos aventures et notre longue immersion dans les coulisses du secteur nous a montré une vérité tout autre. Nous ne parlerons pas de mensonges organisés, mais disons que bon nombre d’informations que l’on trouve sur internet sont très superficielles, enjolivées et se passent d’explications approfondies concernant le devenir des déchets. La manière dont sont rédigés ces documents nous laisse penser que la filière est très aboutie et s’inscrit dans une logique parfaite d’économie circulaire mais en réalité, les auteurs de ces documents semblent se complaire dans l’atteinte d’objectifs écologiques médiocres. Et pour cause, ces documents sont en majorité rédigés par les acteurs économiques du secteur ou les géants du soda eux-mêmes qui n’ont pour autre but que de défendre leurs intérêts en faisant la promotion des emballages. La filière boisson préfère vendre son soda dans des emballages jetables (c’est bien plus rentable), la filière canette promeut son emballage comme étant le meilleur et la filière en charge de la collecte ne peut gagner sa croûte que si des emballages sont mis sur le marché : principe de l’éco-contribution. Il est cependant un peu facile de leur dresser un procès quand nous sommes nous-mêmes consommateurs de ces boissons, mais il est grand temps de réformer ce modèle qui ne peut pas conduire à une réduction de la production d’emballages.

    Pour revenir aux fameux documents, on peut lire qu’en France, « 60% des canettes aluminium sont recyclées ». L’idée qui vient à l’esprit de toute personne lisant ceci, est que ces 60% proviennent de la collecte sélective, mais en réalité pas du tout. Seulement 20% des canettes sont captées par le tri sélectif à la source, le reste se retrouve avec le « tout venant » et est enfoui ou incinéré. Les 40% recyclés restant ne proviennent donc pas des centres de tri mais des résidus de combustion des incinérateurs (les mâchefers) qui contiennent également des dizaines d’éléments différents mélangés et carbonisés dont des métaux lourds. De cette part ci, 45% de l’aluminium (qui a grandement perdu en qualité) est extrait et parvient à rejoindre la filière classique (les fonderies) tandis que les 55% restants sont irrécupérables et utilisés avec les autres résidus dans le BTP comme sous couche pour les routes. Par ruissellement, les particules polluantes de ces déchets se retrouvent ainsi dans les nappes phréatiques…

    En bref, voici grossièrement ce qui devrait être écrit sur ces documents : « En France, 38% des canettes sont recyclées comme matière première secondaire, 22% sont valorisées en sous-couche routière, et 40% sont directement enfouies en décharge ». C’est tout de suite moins sexy.

    D’autre part, quiconque a déjà visité un centre de tri (ce pourrait être intéressant à l’école), est en mesure de comprendre qu’il est impossible de séparer parfaitement les milliers de modèles d’emballages différents, de toutes tailles, qui sont souvent des assemblages (carton + plastique), qui sont souillés et qui défilent à toute vitesse sur les tapis roulants. Et puis il y’a les erreurs de tri, qui sont en réalité la norme car même après avoir baigné 3 ans dans le milieu, nous-mêmes avons parfois des doutes pour certains emballages peu courants… C’est dingue, mais absolument personne ne sait faire le tri parfaitement et ce sont souvent les gens les plus soucieux de l’environnement qui ont tendance à trop en mettre dans leur bac ! Sur 5 camions qui arrivent au centre de tri, 2 repartent en direction de l’incinérateur : il y’a 40% d’erreurs ! Et cette infime part de nos déchets, qui parvient à sortir en vie des centres de tri devient alors une précieuse ressource comme le voudrait l’économie circulaire ! Mais non, même pas. Lorsque ces emballages ne trouvent pas de repreneurs (notamment quand les asiatiques ne veulent plus de nos déchets), certains matériaux comme le carton voient leur valeur devenir négative ! Oui, il faut payer pour s’en débarrasser… Et ce n’est pas fini, après la collecte et le tri, il faut passer au recyclage !

    Fin mai 2019, nous avons été invités par la filière aluminium à une réunion de travail et une visite du plus grand site de recyclage français de Constellium dans le Haut-Rhin. Alors que nous étions persuadés que nos bonnes vieilles canettes redonneraient un jour vie à de nouvelles canettes, nous avons eu la stupéfaction d’apprendre par les ingénieurs qui y travaillaient que les balles d’aluminium provenant des centres de tri français étaient inexploitables. Leur qualité était médiocre et il était par conséquent impossible de les utiliser comme matière première car la fabrication de canettes utilise des technologies très pointues et ne peut s’opérer qu’à partir de métaux d’une grande pureté… C’était le comble ! Depuis le début, aucune de nos canettes n’avait redonné vie à d’autres canettes. Quand on sait que les emballages métalliques sont considérés parmi les plus durables et facilement recyclables, on n’ose même pas imaginer le devenir de nos bouteilles plastiques et encore moins de tous ces nouveaux emballages qui font désormais partie de « l’extension de la consigne de tri ». Et même dans un monde idéal, très connecté et intelligent comme le voudraient certains, une canette ne pourrait être recyclable à 100% puisqu’elle n’est pas 100% métallique. En effet, sa paroi extérieure est recouverte de vernis et sa paroi intérieure est couverte d’une fine couche de plastique qui évite que le liquide ne soit en contact avec le métal. De plus, à chaque fois qu’un métal est fondu, une portion de celui-ci disparaît, on appelle cela « la perte au feu ». Quelque que soit donc la performance de notre système de collecte et de tri, il sera impossible de continuer d’en produire pour les siècles des siècles sans continuer d’extraire de la bauxite en Amérique Latine. Vous l’avez compris, le recyclage ce n’est pas la panacée ! Il devrait n’intervenir qu’en dernier recours et non pour récupérer la matière d’objets n’ayant servis que quelques minutes.

    La conclusion que nous avons tiré de cette histoire est que ce secteur, en très lente évolution, ne répondra pas aux enjeux de la crise écologique et qu’il promeut malgré lui la production d’objets peu durables et donc le gaspillage de ressources. Comme se plaisent à le répéter bon nombre d’associations « le meilleur déchet est celui qu’on ne produit pas » et dans un monde idéal, le seul déchet que nous devrions produire est celui d’origine naturelle, celui qui peut retourner à la terre n’importe où pour l’enrichir. La vision de La Boucle Verte était de créer des modèles d’économie circulaire qui fonctionnent comme la nature, mais quelle arrogance ! Lorsqu’une feuille tombe d’un arbre, elle ne part pas en camion au centre de tri. Et lorsqu’un animal meurt dans un bois, il n’est pas incinéré. La vraie économie circulaire, ce n’est pas celle qui tente d’imiter la nature, c’est celle qui tente d’en faire partie.
    3) L’illusion de la croissance verte

    Mais ne soyons pas trop durs avec le secteur du tri et du recyclage à qui l’on demande l’impossible. Nos problèmes sont bien plus profonds, ils émanent principalement de notre culture et sont accentués par un système économique globalisé et débridé. Avançant peu à peu dans ce monde de start-ups à la recherche de croissance rapide, nous avons fini par ouvrir les yeux sur plusieurs points.

    Tout d’abord sur l’innovation, innovation au sens du progrès technique et des nouvelles technologies. Cette formidable capacité humaine à innover a trouvé son lieu de prédilection en entreprise là où tout « jeune cadre dynamique » ne jure que par elle. Cette innovation permet de trouver des solutions aux problèmes que l’entreprise essaye de résoudre, tout en permettant de gagner un avantage compétitif. Globalement, ce que cette recherche constante d’innovation a apporté, c’est une complexification extrême de notre société, rendant au passage le travail de nos dirigeants infernal. Et dans un même temps, ces innovations technologiques successives ont eu un autre effet néfaste, nous pousser à consommer.

    Par exemple, internet était censé nous emmener vers une économie dématérialisée, nous pensions réduire drastiquement notre consommation de papier en nous orientant vers le numérique. Pourtant, entre 2000 et 2020, notre consommation de papier est restée quasiment la même et à côté de cela, l’ère du numérique a créé une infinité de nouveaux besoins et de nouvelles pratiques générant des consommations faramineuses d’énergie, la création de milliards de terminaux composés de métaux rares, et la fabrication d’infrastructures climatisées pour héberger des serveurs. Et bien qu’à première vue immatériel, envoyer un email émet autant de CO2 que de laisser une ampoule allumée pendant 1h… De plus, bon nombre d’innovations parfaitement inutiles voire nuisibles ont vu le jour. C’est le cas du Bit Coin dont la consommation électrique annuelle dépasse celle de la Suisse. Ces innovations participent de plus en plus à aggraver les inégalités et quand on sait qu’un avatar de jeu vidéo consomme plus d’électricité qu’un Ethiopien, il n’y pas de quoi se réjouir. Bien sûr, tout n’est pas à jeter à la poubelle (sans faire le tri) et nous sommes tous contents d’aller chez le médecin du 21ème siècle.

    Ces constats nous amènent tout droit à l’idée de croissance et plus particulièrement de croissance verte, en laquelle nous avions cru, et qui est actuellement plébiscitée par la majorité des pays qui voudraient que l’innovation technologique soit un remède aux problèmes écologiques (eux même engendrés par l’innovation technologique). Bon nombre d’entreprises et de start-ups s’attaquent alors aux grands défis à base de Green Tech, de Green Finance et de Green Energy… Le problème, c’est que la logique fondamentale reste inchangée : complexifier le système, corriger inlassablement les dégâts causés par les innovations précédentes et se trouver une excuse pour continuer de consommer autant qu’avant voire plus ! Pire encore, ces initiatives ont même un effet inverse délétère dans la mesure où elles ralentissent la transition en laissant penser aux gens qu’un avenir durable sans concessions et sans modification de nos comportements est possible grâce à l’innovation. Et cela nous l’avons vécu ! Au cours de notre aventure, nous avons été très surpris de constater à quel point une partie de la population pouvait avoir confiance en notre projet. Nous savions que notre impact environnemental positif n’était que limité à côté du désastre en cours, mais quelques personnes nous considéraient comme la génération de « sauveurs » ou alors déculpabilisaient d’acheter une canette, puisqu’après tout elle serait parfaitement recyclée.

    Et puis allez, soyons fous, gardons espoir dans la croissance. De la même manière que certains déclarent la guerre pour rétablir la paix, nous pourrions accélérer, croître encore plus vite pour passer un cap technologique et rétablir le climat ? Qu’en est-il vraiment ?

    A en croire les chiffres et les études de nombreux scientifiques, depuis 50 ans, la croissance du PIB a été parfaitement couplée à la consommation d’énergie (notamment fossile).

    Cela peut se comprendre de manière assez simple : plus nous produisons d’énergie, plus nos industries et nos machines tournent, plus nous produisons de nouveaux produits, plus nous croissons. Si l’on en croit ce couplage et cette logique simple, quoi que nous fassions, nous serons contraints pour continuer à croitre, de consommer toujours plus d’énergie !

    Faisons un petit calcul : Nous sommes en 2020 et nous partons du principe que nous consommons 100 unités d’énergie et que la consommation d’énergie continue d’être parfaitement couplée à la croissance du PIB. Si nous voulons 2% de croissance par an, quelle sera notre consommation d’énergie dans 50 ans ? Et dans 1000 ans ?

    Dans 50 ans : 100 x 1,02^50 = 269 unités

    Dans 1000 ans : 100 x 1,02^1000 = 39 826 465 165 unités

    Aussi incroyable que cela puisse paraitre, en 50 ans, on multiplierait notre consommation d’énergie par 2,69 et en 1000 ans par presque 400 millions ! Le problème de la croissance en math, c’est qu’elle suit une courbe exponentielle. Que nous fassions donc que 0,5% de croissance par an, que ce couplage finisse par se découpler un peu ou pas, que nous soyons 1 milliard sur terre ou 10 milliards, la croissance perpétuelle restera toujours insoutenable à long terme, alors pourquoi la continuer un an de plus ?

    Et là certains nous dirons : « C’est faux, on peut croitre sans consommer grâce à l’économie de la connaissance » ; « On peut produire de l’énergie qui ne pollue pas grâce aux énergie renouvelables ». Mais en fait non ! Nous sommes en 2020, et malgré une économie tertiarisée depuis longtemps, nous n’avons toujours pas perçu de découplage entre croissance du PIB et consommation d’énergie. Comme nous l’avons décrit à propos de l’ère du numérique, un service en apparence immatériel cache toujours une consommation d’une ressource matérielle. L’économie de la connaissance aura forcément besoin de supports physiques (ordinateurs, serveurs etc…) et nous serons toujours incapable de recycler tout parfaitement et sans pertes s’il ne s’agit pas de matière organique.

    Et pour ce qui est des énergies renouvelables, aucune à ce jour, n’est complètement satisfaisante sur le plan environnemental. Les éoliennes sont des monstres d’acier, sont composées de terres rares et produisent de l’énergies seulement quand il y’a du vent. Stocker l’énergie de ces épisodes venteux pour la restituer plus tard n’est pas viable à grande échelle ou pas performant (batteries au Lithium, barrages réversibles). Les panneaux photovoltaïques ont un mauvais bilan environnemental (faible recyclabilité et durée de vie). Il n’y a pas de région montagneuse partout sur la planète pour fabriquer des barrages hydroélectriques et ces derniers perturbent la faune aquatique et la circulation des sédiments… Cette incapacité à produire et stocker de l’énergie proprement rend donc notre fameuse voiture électrique aussi nuisible que la voiture thermique. Sa seule différence est qu’elle pollue de manière délocalisée : là où est produite l’électricité qui la fait rouler. Que cela soit clair, dans un monde limité où PIB et consommations de ressources sont liées, nous devrons décroître, de gré ou de force.

    Et même si cela était possible, et que nous devenions des humains augmentés, bourrés d’intelligence artificielle, capables de créer une sorte de nouvel écosystème technologique stable permettant d’assouvir notre besoin insatiable de croissance en colonisant d’autres planètes… Ne rigolez pas, pour certains ce n’est pas de la science-fiction ! Le milliardaire Elon Musk, véritable gourou des Startups, se penche déjà sur la question… Mais avons-nous vraiment envie de cela ?

    Alors après tout, est-ce que la croissance est indispensable ? Dans le modèle économique que nous avons créé, il semblerait… que oui ! (Sinon, le chômage augmente et on perd en qualité de vie). Et pourtant dans la vraie vie, quand une population est stable, il ne devrait pas y avoir besoin de voir ses revenus augmenter en permanence pour continuer de vivre de la même manière et que chacun ait sa place dans la société. En fait, il ne s’agit que d’un modèle économique, d’une convention humaine et en aucun cas de quelque chose d’immuable. Jusqu’à présent, on ne s’en plaignait pas parce qu’il y avait probablement plus d’avantages que d’inconvénients à croître, mais maintenant nous avons atteint les limites alors il faut changer de modèle, c’est aussi simple que ça ! Nous ne devrions pas pleurer comme un enfant qui apprend qu’il va déménager, le changement ça ne fait que du bien et quand on repense au passé on se dit parfois : comment ai-je pu accepter cela !?

    4) Une décroissance choisie et non subie

    Bon, on ne va non plus cracher sur l’ancien monde et revenir au Moyen Age. Cette croissance a permis des trucs plutôt cools il faut le dire : globalement il y’a plus d’obèses mais nous vivons en meilleure santé, il y’a moins d’esclaves et plus d’égalité homme femme, il y’a moins d’analphabètes et plus d’accès à la culture… Mais les faits sont là et comme le préconise le GIEC, nous devons en gros diviser par 3 notre consommation d’ici 2050. Du coup ça reviendrait à peu près au même que d’avoir le train de vie qu’avaient nos grands-parents quand ils étaient jeunes.

    Mais après tout, ne pourrait-on pas garder certaines bonnes choses et supprimer les moins bonnes. Et comment définir les bonnes et les moins bonnes ? Au lieu de faire notre sélection sur des critères économiques, on pourrait privilégier des axes assez simples comme l’intérêt pour la société et l’impact sur l’environnement.

    Alalala vous le sentez venir le débat infernal ! Déjà que les choses ne bougent pas vite mais alors là, avec un système où on doit débattre de tout ce qu’il faut garder et supprimer on n’est pas sortis de l’auberge ! Il y’aura toujours une bonne raison de justifier un produit polluant par sa dimension sociale ou culturelle et d’ici qu’on se soit mis d’accord, Français fous que nous sommes, il sera trop tard.

    A vrai dire, pour parvenir à nos objectifs dans la joie et la bonne humeur, tout se résume en quelques mots : il faut simplement changer de culture, changer d’idéal de vie, réaliser qu’acheter un nouvel Iphone ou des écouteurs sans fils n’est absolument pas nécessaire pour être heureux, se convaincre que la valeur d’une personne n’est pas définie par son salaire ou son job. En gros il faut tuer l’américain qui sommeille en nous et réveiller le poète. Et le mieux dans tout ça, c’est qu’on finit par y prendre gout. On se désintoxique de ce monde consumériste et on apprend à créer de nouveaux plaisirs, de nouvelles tendances ! La mode c’est vraiment quelque chose de rigolo, il suffit que des gens connus s’y mettent pour qu’on veuille tous s’y mettre comme des moutons. Si tous les chanteurs et joueurs de foot se trimbalaient avec des fringues de chez Emaus et des Nokia 3310, on vous garantit qu’on ferait cette transition écologique en moonwalk (mais en marche avant) ! D’accord, là on s’emballe un peu mais c’est pourtant bien la réalité. Une des seules craintes de l’être humain est de ne pas être accepté par la communauté. C’est encore difficile pour la majorité d’entre nous de s’imaginer vivre comme des « partisans de la décroissance » mais plus de gens s’y mettront, plus les autres suivront. Et pour ça, il suffit de changer de disque ! Certaines personnes arrivent à changer de religion, il y’a 400 ans, les rois portaient des perruques sur la tête et encore aujourd’hui sur cette planète, il y’a des tribus de gens avec des plumes plantées dans le derrière qui chassent à la sarbacane. Est-ce si absurde que ça de décroître ? Nous les Homos Sapiens (Hommes Sages parait-il) sommes très malins mais aussi très bêtes, parfois rationnel, parfois pas du tout. Nous sommes capables de nous empêtrer dans une situation pendant des siècles pour finalement en changer brusquement. Alors, dans cette dernière partie, on ne va pas vous bassiner avec des conseils éco-responsables bidons du type : « pensez à débrancher votre frigo quand vous partez en vacances pour économiser 10% d’énergie ». En fait, si la transition écologique doit se passer comme ça, elle va être chiante à mourir et en plus de ça on va échouer ! Alors oui, il faut drastiquement réduire notre consommation et aller acheter des carottes bio en vélo le samedi matin ne suffira pas. Il faut arrêter de prendre la voiture tous les jours, ne plus prendre l’avion et arrêter d’acheter des engins téléguidés au petit Mathéo pour son anniversaire. Mais honnêtement, est-ce vraiment grave !? La transition écologique ne doit pas être une punition mais une fête, elle doit être une volonté commune de changer de vie, un départ en vacances prolongé et bien mérité. Nous ne sommes pas des machines ! Il faut que la génération du « burn out » se transforme en génération du « go out ». Il faut qu’on arrête de bosser toute la semaine en ne pensant qu’au shopping qu’on va faire le weekend, il faut qu’on arrête de vouloir gagner la super cagnotte de 130 millions d’€ du vendredi 13, il faut qu’on arrête de s’entasser dans des métros tous les matins pour finalement avoir besoin de partir faire un break en Thaïlande pour déconnecter. Nous ne prenons même pas le temps d’apprécier la beauté de la nature au pied de notre porte alors pourquoi irions-nous faire un safari en Afrique ? Mais d’ailleurs, apprécions-nous réellement ces voyages quand nous passons les ¾ de notre temps derrière l’écran de notre appareil photo, que nous sommes regroupés avec d’autres occidentaux aussi inintéressants que nous et que nous continuons d’acheter du CocaCola à l’autre bout du monde ? Pour une fois, peut être que regarder un reportage animalier depuis notre canapé nous aurait fait plus rêver que de voir ces lions domestiqués se gratter contre la roue de notre 4x4 !

    Alors pour commencer, répartissons-nous sur le territoire, retournons vivre dans les villages au lieu de s’agglutiner en ville et redevenons des paysans, ce sera bien plus dépaysant ! Ces changements, ils sont déjà en train de se produire et tout va aller de plus en plus vite ! Il y’a 6 ans, pleins de potes de l’école rêvaient de devenir trader, parce que c’était un métier stylé où on gagne plein d’oseille. Mais aujourd’hui c’est devenu carrément la honte et les gens stylés sont des artisans, des artistes ou des agriculteurs. Et ça tombe bien parce que ce nouveau monde sera nécessairement un monde agricole. Pas avec des grosses moissonneuses batteuses, mais avec des milliers de petites mains qui travaillent la terre, qui produisent de la vraie nourriture, qui comprennent la nature, qui vivent de petites récoltes mieux valorisées et en circuits courts.

    Les entreprises aussi auront un rôle à jouer, mais en innovant pour simplifier la société et non pour la complexifier, en relocalisant les productions au plus près de consommateurs moins voraces, en préférant les produits durables à l’obsolescence programmée, en favorisant le réemploi plutôt que le recyclage, et en préférant les bonnes vieilles astuces de grand-mères aux artifices technologiques.

    Alors bien sûr, on se trouvera toujours des excuses pour passer à l’acte : « Je vais d’abord travailler dans le marketing à Paris histoire de mettre un peu d’argent de côté et que mes parents ne m’aient pas payé cette école pour rien », « Avec mon mari, on va attendre que la petite Lucie passe en CM2, il ne faudrait pas que ça la perturbe ». « Mais ! Comment vais-je trouver un travail à la campagne, je n’ai pas la formation qu’il faut ? ». Des excuses on s’en trouvera toujours et nous les premiers avons eu vraiment du mal à s’avouer vaincus et à lâcher La Boucle Verte. C’est difficile de construire quelque chose pendant longtemps, de dépenser beaucoup d’énergie pour finalement devoir repartir à zéro. Et pourtant c’est bel et bien ce que nous devons faire collectivement et dès maintenant. Bien que tragique, cette crise du Coronavirus est une chance inouïe, c’est une aubaine. Elle aura cassé notre lente routine destructrice, elle nous aura libéré de la consommation excessive, nous aura fait ralentir et vivre une récession. Alors saisissons cette chance et ne reprenons pas tout comme avant le 11 mai.

    Un grand merci à tous ceux qui nous ont soutenu et ont participé à l’aventure La Boucle Verte. Nous souhaitons beaucoup de succès à nos compères toulousains Les Alchimistes Occiterra et En boîte le plat qui de par leurs projets sont respectivement dans une logique de valorisation naturelle des biodéchets et de réduction des emballages à la source. Pour ce qui nous concerne, nous allons profiter de cette période pour prendre un peu de repos à la campagne. Et quand nous reviendrons, il est fort probable que ce soit à base de low tech ou d’agriculture. On essaiera de vous donner des nouvelles sur les réseaux sociaux La Boucle Verte et de vous partager des articles qui nous inspirent !

    Bonne santé et bon courage à tous pour affronter cette crise.

    L’équipe La Boucle Verte

    https://www.linkedin.com/pulse/la-d%C3%A9sillusion-dune-start-up-de-l%C3%A9conomie-circulaire-charles-dau
    #économie #croissance_verte #emballages #recyclage #entrepreneuriat #start-up_nation #développement_durable #croissance_économique #canettes #aluminium #alu #ferrailleur #déchets #publicité #marketing #cool_recycling #buzz #besoin #écologie #tri #Constellium #perte_au_feu

  • Vers la fin du #développement_durable comme outil de justification du projet ? Un éclairage par les concours de #projet_urbain

    Cet article analyse les logiques d’intégration du développement durable1, comme contenant et comme porteur de contenus dans le processus de conception urbaine au sein des agences privées d’#architecture, d’urbanisme et de paysage, en France. S’appuyant et prolongeant les résultats d’une enquête par immersion (entre 2010 et 2013) au sein d’une agence parisienne, nous analysons trois situations de concours de #projets_urbains, moments d’observation privilégiés (et singuliers) pour éclairer conjointement 1) la diversité des logiques d’appropriation du développement durable dans ces agences (tant dans les modalités de mise en récit que dans les contenus mobilisés et les collaborations envisagées) ; 2) la diversité des logiques d’action (convergentes ou divergentes) au sein de telles organisations. Finalement, nous faisons l’hypothèse de la fin d’une période de justification du projet urbain par le développement durable.

    http://www.riurba.review/Revue/vers-la-fin-du-developpement-durable-comme-outil-de-justification-du-proj
    #urbanisme

  • La #mythologie #CAME (#Compétitivité, #Attractivité, #Métropolisation, #Excellence) : comment s’en désintoxiquer ?

    La période récente se caractérise par l’émergence d’une mythologie séduisante dans le champ du #développement_économique : l’approfondissement de la #mondialisation plongerait l’ensemble des #territoires face à un impératif de compétitivité, seules quelques métropoles pouvant rivaliser pour attirer les talents et les leaders de demain, métropoles qu’il conviendrait donc de soutenir en concentrant les efforts sur l’excellence. Nous la résumons par l’acronyme CAME pour Compétitivité, Attractivité, Métropolisation et Excellence. Une analyse attentive des différents composants de la CAME montre cependant qu’aussi séduisante —voire addictive—qu’elle soit, elle ne résiste pas à l’épreuve des faits. Malgré cela, portée de manière plus ou moins marquée par certains chercheurs et organismes privés ou publics d’analyse et de conseil, elle sous-tend tout un ensemble de #politiques_publiques ; elle a même structuré une partie des débats autour des résultats des élections dans différents pays. Non seulement la CAME ne produit pas les effets attendus, mais elle provoque des #effets_indésirables. Les #ressources_publiques étant limitées, les dédier fortement à quelques acteurs (#startups, chercheurs jugés « excellents »...) ou à quelques lieux (métropoles) conduit à renforcer les #inégalités_socio-spatiales. Quelques éléments de réflexion sur des #alternatives envisageables, qui nous semblent plus saines, seront présentés afin d’aider à s’en désintoxiquer.

    https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-01724699v2/document

  • #Danakali done first phase of Eritrea potash project

    Australia’s Danakali (ASX, LON:DNK) has finished the first phase of development of its world-class Colluli potash project in Eritrea, Africa, which takes the company a step closer to the construction phase and then onto production in 2022.

    The Perth-based miner is now moving to Phase 2, which includes finalizing geotechnical work, buying critical equipment such as a reverse osmosis plant and looking into optimization opportunities.

    Colluli, a 50:50 joint venture between Danakali and the Eritrean National Mining Corporation (ENAMCO), has been called “a game changer” for Eritrea’s economy, as is expected to become one of the world’s most significant and lowest-cost sources of sulphate of potash (SOP), a premium grade fertilizer.

    “The government will benefit from the longer-term development of the project, and the expected significant boost to royalties, taxation and exports, and from jobs and skills and economic development of the region,” chief executive Niels Wage told MINING.COM last year.

    The development of the Colluli potash projects coincides with the move towards diplomatic relations between the once feuding countries of Eritrea and Ethiopia, which officially declared peace in July 2018.
    Welcome boost

    A United Nations report published last year suggested that Colluli could significantly boost the economy of Eritrea, a country that, until 2018, was on the UN’s sanctions list.

    The document estimated that Colluli would contribute 3% of the country’s GDP by 2021 and 50% of the nation’s exports by 2030, while providing 10,000 direct and indirect local jobs.

    The report also identified how the mine could help Eritrea advance its sustainable development agenda, which are 13 priority Sustainable Development Goals (SDGs). These include: No poverty, zero hunger, quality education, gender equality, clean water and sanitation, sustainable economic growth and decent work, industry, innovation and infrastructure, reduced inequalities, climate action, peace, justice and strong institutions and partnerships for the SDGs.

    In the initial phase of operation, Wage said, Colluli would produce more than 472,000 tonnes a year of Sulphate of Potash. Annual output could rise to almost 944,000 tonnes if Danakali decides to go ahead with a second phase of development, as the project has a possible 200-year plus mine-life.

    The asset has the potential to produce other fertilizer products, such as Sulphate of Potash Magnesium (SOP-M), muriate of potash (MOP) and gypsum, along with rock salt. There is also potential for kieserite and mag chloride to be commercialized with minimal further processing required.

    https://www.mining.com/danakalis-first-phase-of-eritrean-potash-project-done
    #extractivisme #Erythrée #mines #Colluli_potash_project #Eritrean_National_Mining_Corporation (#ENAMCO) #Sulfate #fertilisants #industrie_agro-alimentaire #Sulfate_de_potassium

    La belle rhétorique du #développement... (sic), voire des #SDGs (#sustainable_development_goals)

    –-> ATTENTION : site de propagande commerciale... donc pas du tout mais pas du tout critique vis-à-vis de ce projet...

    ping @daphne @albertocampiphoto @reka

  • La Tropicalisation du monde - Mon blog sur l’écologie politique
    http://blog.ecologie-politique.eu/post/La-Tropicalisation-du-monde

    Et si le monde occidental, celui des pays riches et peuplés de Blanc·hes, faisait aujourd’hui l’objet d’un processus de « #tropicalisation » ? Lanata, anthropologue et économiste du développement, fait l’hypothèse que nous sommes à un point où le monstre #capitaliste, créé et nourri dans les pays du nord, est devenu tellement avide que le Sud ne lui suffit plus.


    #livre

  • Tristes campagnes municipales
    http://www.laviedesidees.fr/Tristes-campagnes-municipales.html

    Alors que la représentation démocratique connaît une grave crise de confiance au niveau national et que se développe l’intercommunalité qui prive les maires d’une partie de leur pouvoir, la #démocratie locale pâtit des lois de décentralisation.

    #Politique #élections #développement_local #intercommunalité
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20200310_democratielocale.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20200310_democratielocale.pdf