• N.N. – No Name, No Nation, Not Necessary, No Noise
    https://www.meltingpot.org/2024/03/n-n-no-name-no-nation-not-necessary-no-noise

    di Diego Saccora, Lungo la rotta balcanica APS e Andrea Rizza Goldstein, Arci Bolzano-Bozen É a partire dalla fine del 2017 che il flusso delle persone in movimento per le rotte dei Balcani ha cominciato a interessare in maniera sempre più consistente la Bosnia-Erzegovina. Se all’inizio del 2018 la via di accesso principale passava dal Montenegro e prima ancora dalla Grecia e dall’Albania, già qualche segnale di quella che sarebbe poi diventata la via più utilizzata dal 2019 lo si registrava lungo le rive del fiume Drina, al confine tra Serbia e Bosnia-Erzegovina. Uno degli indicatori di questi attraversamenti, (...)

    #Notizie #Confini_e_frontiere #Redazione

  • Rotta balcanica: i sogni spezzati nella Drina
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Rotta-balcanica-i-sogni-spezzati-nella-Drina-229948

    Nelle acque del fiume Drina, in Bosnia Erzegovina, decine di migranti sono morti nel tentativo di avvicinarsi al sogno di una vita migliore in quell’Europa che li respinge. Volontari del Soccorso alpino di Bijeljina e attivisti sono impegnati nel difficile recupero dei corpi

    • Rotta balcanica : i sogni spezzati nella Drina

      Nelle acque del fiume Drina, in Bosnia Erzegovina, decine di migranti sono morti nel tentativo di avvicinarsi al sogno di una vita migliore in quell’Europa che li respinge. Volontari del Soccorso alpino di Bijeljina e attivisti sono impegnati nel difficile recupero dei corpi.

      “Finora non mi è mai capitato di sognare uno dei corpi ritrovati, non ho mai avuto incubi. Proprio mai. Credo sia una questione di approccio. Soltanto chi non ha la coscienza pulita fa incubi”, afferma Nenad Jovanović, 37 anni, membro della squadra del Soccorso alpino di Bijeljina.

      Negli ultimi sei anni, Jovanović ha partecipato alle operazioni di recupero di oltre cinquanta corpi di migranti nell’area che si estende dal villaggio di Branjevo alla foce del fiume Drina [nella Bosnia orientale], tutti di età inferiore ai quarant’anni, annegati nel tentativo di entrare in Bosnia Erzegovina dalla Serbia, per poi proseguire il loro viaggio verso altri paesi europei, in cerca di un posto sicuro per sé e per i propri familiari.

      “Ogni volta che scoppia un nuovo conflitto in Medio Oriente, in Afghanistan, Iraq o altrove, assistiamo ad un aumento degli arrivi di migranti in cerca di salvezza nei paesi dell’Unione europea. Purtroppo, per alcuni di loro la Drina si rivela un ostacolo insormontabile. Il loro è un destino doloroso che può capitare a chiunque”, spiega Nenad Jovanović.

      Durante le operazioni di recupero dei corpi, Jovanović più volte è stato costretto a gettarsi nel fiume in piena, rischiando la propria vita.

      “Recentemente abbiamo recuperato il corpo di un uomo proveniente dall’Afghanistan. Era in acqua da circa un anno. I pescatori che per primi lo avevano notato non erano nemmeno sicuri che si trattasse di un corpo umano. Potete immaginare lo stato in cui si trovava”, afferma Jovanović.

      Un suo collega, Miroslav Vujanović, si sofferma sull’aspetto umano del lavoro del soccorritore. “A prescindere dallo stato di decomposizione, cerchiamo in tutti in modi possibili di recuperare il corpo nelle condizioni in cui lo troviamo. Nulla deve essere perso, nemmeno i vestiti. Perché siamo tutti esseri umani. Nel momento del recupero di un corpo magari non pensi alla sua identità, cerchi di fare il tuo lavoro in modo professionale e basta. Poi però quando torni a casa e vedi tua moglie e i figli, inizi a chiederti chi fosse quell’uomo e se anche lui avesse una famiglia. È del tutto normale riflettere su queste cose. Sono però pensieri intimi, che tendiamo a tenere dentro”.

      I volontari del Soccorso alpino di Bijeljina hanno partecipato anche alle operazioni di ricerca e assistenza alle popolazioni colpite dal terremoto nella regione di Banovina (in Croazia) nel 2020 e alle vittime del terremoto che l’anno scorso ha devastato la Turchia. In tutte queste operazioni sono stati costretti ad utilizzare le attrezzature prese in prestito o noleggiate, perché le autorità locali non rispettano gli accordi di cooperazione stipulati con altri paesi. Del resto, la Bosnia Erzegovina è il paese delle assurdità. Lo confermano anche i nostri interlocutori, aggiungendo che a volte si sentono incompresi anche dai loro familiari.

      “Mia moglie spesso si chiede come io possa fare questo lavoro. Oppure invito ospiti a casa per la celebrazione del santo della famiglia, e proprio quando stiamo per tagliare il pane tradizionale, mi chiama la polizia dicendo di aver trovato un cadavere nella Drina. Quindi, mi scuso con gli ospiti, chiedo loro di rimanere e vado a fare il mio lavoro. Non è un lavoro facile, ma per me la più grande soddisfazione è sapere che quel corpo recuperato sarà sepolto degnamente e che la famiglia della vittima, straziata dalla sofferenza, finalmente troverà pace”, spiega Nenad Jovanović.

      Recentemente, Jovanović, insieme ai suoi colleghi Miroslav Vujanović e Safet Omerbegić, ha partecipato ad una cerimonia di commemorazione in memoria dei migranti scomparsi e morti ai confini d’Europa. In quell’occasione sono state inaugurate le lapidi delle tombe dei sedici migranti sepolti nel nuovo cimitero di Bijeljina, situato nel quartiere di Hase. Trattandosi di corpi non identificati, ciascuna delle lastre in marmo nero reca incise, a caratteri dorati, la sigla N.N e l’anno della morte.

      Nel cimitero è stato piantato anche un filare di alberi in memoria delle vittime e sono state collocate due targhe commemorative con la scritta: “Non dimenticheremo mai voi e i vostri sogni spezzati nella Drina”. L’iniziativa è stata realizzata grazie al sostegno dell’associazione austriaca «SOS Balkanroute» e di Nihad Suljić, attivista di Tuzla, che da anni fornisce assistenza concreta ai rifugiati e partecipa alle procedure di identificazione e sepoltura dei morti.

      “Per noi è un grande onore e privilegio sostenere simili progetti. Si tratta di un’iniziativa pionieristica che può fungere da modello per l’intera regione. Per quanto possa sembrare paradossale, siamo contenti che queste persone, a differenza di tante altre, abbiano almeno una tomba. Abbiamo voluto che le loro tombe fossero dignitose e che non venissero lasciate al degrado, come accaduto recentemente a Zvornik”, sottolinea Petar Rosandić dell’associazione SOS Balkanroute.

      Rosandić spiega che la sistemazione delle tombe dei migranti nei cimiteri di Bijeljina e Zvornik è frutto di un’iniziativa di cooperazione transfrontaliera a cui hanno partecipato anche le comunità religiose di Vienna. Queste comunità, che durante la Seconda guerra mondiale erano impegnate nel salvataggio degli ebrei, oggi partecipano a diversi progetti a sostegno dei migranti lungo le frontiere esterne dell’UE.

      “Sulle lastre c’è scritto che si tratta di persone non identificate, ma noi sappiano che in ogni tomba giace il corpo di un giovane uomo i cui sogni si sono spezzati nella Drina. Ognuno di loro aveva una famiglia, un passato, i propri desideri e le proprie aspirazioni. Il loro unico peccato, secondo gli standard europei, era quello di avere un passaporto sbagliato, quindi sono stati costretti a intraprendere strade pericolose per raggiungere i luoghi dove speravano di trovare serenità e un futuro migliore”, afferma l’attivista Nihad Suljić.

      Suljić poi spiega che nel prossimo periodo i ricercatori e gli attivisti si impegneranno al massimo per instaurare una collaborazione con diverse istituzioni e organizzazioni. L’obiettivo è quello di identificare le persone sepolte in modo da restituire loro un’identità e permettere alle loro famiglie di avviare un processo di lutto.

      “Questi monumenti neri sono le colonne della vergogna dell’Unione europea – commenta Suljić - non è stata la Drina a uccidere queste persone, bensì la politica delle frontiere chiuse. Se avessero avuto un altro modo per raggiungere un posto sicuro dove costruire una vita migliore, sicuramente non sarebbero andati in cerca di pace attraversando mari, fiumi e fili spinati. Le loro tombe testimonieranno per sempre la vergogna e il regime criminale dell’UE”.

      Suljić ha invitato i cittadini dell’UE che hanno partecipato alla cerimonia di commemorazione a Bijeljina a chiamare i governi dei loro paesi ad assumersi la propria responsabilità.

      “Non abbiamo bisogno di donazioni né di corone di fiori. Vi invito però a inviare un messaggio ai vostri governi, a tutti i responsabili dell’attuazione di queste politiche, per spiegare loro le conseguenze delle frontiere chiuse, frontiere che uccidono gli esseri umani, ma anche i valori europei”.

      Dalla chiusura del corridoio sicuro lungo la rotta balcanica [nel 2015], nell’area di Bijeljina, Zvornik e Bratunac sono stati ritrovati circa sessanta corpi di migranti annegati nel fiume Drina. Stando ai dati raccolti da un gruppo di attivisti e ricercatori, nel periodo compreso tra gennaio 2014 e dicembre 2023 lungo il tratto della rotta balcanica che include sei paesi (Macedonia del Nord, Kosovo, Serbia, Bosnia Erzegovina, Croazia e Slovenia) hanno perso la vita 346 persone in movimento. Trattandosi di dati reperiti da fonti pubbliche, i ricercatori sottolineano che il numero effettivo di vittime con ogni probabilità è molto più alto. In molti casi, la tragica sorte dei migranti è direttamente legata ai respingimenti effettuati dalle autorità locali e dai membri dell’agenzia Frontex.

      “La morte alle frontiere è ormai parte integrante di un regime di controllo che alcuni autori definiscono un crimine in tempo di pace, una forma di violenza amministrativa e istituzionale finalizzata a mantenere in vita un determinato ordine sociale. Molte persone morte ai confini restano invisibili, come sono invisibili anche le persone scomparse. I decessi e le sparizioni spesso non vengono denunciati, e alcuni corpi non vengono mai ritrovati”, spiega Marijana Hameršak, ricercatrice dell’Istituto di etnologia e studi sul folklore di Zagabria, responsabile di un progetto sui meccanismi di gestione dei flussi migratori alle periferie dell’UE.

      In assenza di un database regionale e di iniziative di cooperazione transfrontaliera, sono i volontari e gli attivisti a portare avanti le azioni di ricerca di persone scomparse e i tentativi di identificazione dei corpi. Al termine della cerimonia di commemorazione, a Bijeljina si è tenuta una conferenza per discutere di questo tema.

      “Molte famiglie non sanno a chi rivolgersi, non hanno mai ricevuto indicazioni chiare. Finora le istituzioni non hanno mai voluto impegnarsi su questo fronte. Spero che a breve ognuno si assuma la propria responsabilità e faccia il proprio lavoro, perché non è normale che noi, attivisti e volontari, portiamo avanti questo processo”, denuncia Nihad Suljić.

      A dare un contributo fondamentale è anche Vidak Simić, patologo ed esperto forense di Bijeljina. Dal 2016 Simić ha eseguito l’autopsia e prelevato un campione di DNA di circa quaranta corpi di migranti, per la maggior parte rinvenuti nel fiume Drina.

      “Questa vicenda mi opprime, non mi sento bene perché non riesco a portare a termine il mio lavoro. Credo profondamente nel giuramento di Ippocrate e lo rispetto. Le leggi e altre norme mi obbligano a conservare i campioni per sei mesi, ho deciso però di conservarli per tutto il tempo necessario, in attesa che il sistema venga cambiato. La mia idea è di raccogliere tutti questi campioni, creare profili genetici individuali, pubblicarli su un sito appositamente creato in modo da aiutare le famiglie – in Afghanistan, Pakistan, Algeria, Marocco e in altri paesi – che cercano i loro cari scomparsi.

      Lo auspicano anche il padre, la madre, la sorella e i fratelli di Aziz Alimi, vent’anni, proveniente dall’Afghanistan, che nel settembre dello scorso anno, nel tentativo di raggiungere la Bosnia Erzegovina dalla Serbia, aveva deciso di attraversare la Drina a nuoto con altri tre ragazzi. Poco dopo la sua scomparsa, nello stesso luogo da dove Aziz per l’ultima volta aveva contattato uno dei suoi fratelli, è stato ritrovato un corpo.

      Dal momento che non è stato possibile identificare il corpo per via del pessimo stato in cui si trovava, i familiari di Aziz, che nel frattempo hanno trovato rifugio in Iran, hanno inviato un campione del suo DNA in Bosnia Erzegovina. Ripongono fiducia nelle istituzioni e nei cittadini bosniaco-erzegovesi per garantire ad Aziz almeno una sepoltura dignitosa.

      Ai presenti alla conferenza di Bijeljina si è rivolta anche la sorella di Aziz, Zahra Alimi, intervenuta con un videomessaggio. “Non abbiamo parenti in Europa che possano aiutarci e davvero non sappiamo cosa fare. Per favore aiutateci, nostro padre è affetto da un tumore e nostra madre ha sofferto molto dopo aver appreso la triste notizia [della scomparsa di Aziz]. Possiamo contare solo su di voi”.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Rotta-balcanica-i-sogni-spezzati-nella-Drina-229948
      #route_des_Balkans #Balkans #rivière #Bosnie-Hezégovine #migrations #réfugiés #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Bijeljina #Branjevo #Nenad_Jovanović #Nenad_Jovanovic #Serbie #frontières #commémoration #mémoire #cimetière #tombes #SOS_Balkanroute #Nihad_Suljić #Nihad_Suljic #dignité #monument #responsabilité

  • #Productivisme et destruction de l’#environnement : #FNSEA et #gouvernement marchent sur la tête

    Répondre à la #détresse des #agriculteurs et agricultrices est compatible avec le respect de l’environnement et de la #santé_publique, expliquent, dans cette tribune à « l’Obs », les Scientifiques en rébellion, à condition de rejeter les mesures productivistes et rétrogrades du duo FNSEA-gouvernement.

    La #crise de l’agriculture brasse croyances, savoirs, opinions, émotions. Elle ne peut laisser quiconque insensible tant elle renvoie à l’un de nos #besoins_fondamentaux – se nourrir – et témoigne du #désarroi profond d’une partie de nos concitoyen·nes qui travaillent pour satisfaire ce besoin. Reconnaître la #souffrance et le désarroi du #monde_agricole n’empêche pas d’examiner les faits et de tenter de démêler les #responsabilités dans la situation actuelle. Une partie de son #traitement_médiatique tend à faire croire que les agriculteurs et agricultrices parleraient d’une seule voix, celle du président agro-businessman de la FNSEA #Arnaud_Rousseau. Ce directeur de multinationale, administrateur de holding, partage-t-il vraiment la vie de celles et ceux qui ne parviennent plus à gagner la leur par le travail de la terre ? Est-ce que les agriculteur·ices formeraient un corps uniforme, qui valoriserait le productivisme au mépris des #enjeux_environnementaux qu’ils et elles ne comprendraient soi-disant pas ? Tout cela est difficile à croire.

    Ce que la science documente et analyse invariablement, en complément des savoirs et des observations de nombre d’agriculteur·ices, c’est que le #modèle_agricole industriel et productiviste conduit à une #catastrophe sociale et environnementale. Que ce modèle concurrence dangereusement les #alternatives écologiquement et socialement viables. Que cette agriculture ne s’adaptera pas indéfiniment à un environnement profondément dégradé. Qu’elle ne s’adaptera pas à un #réchauffement_climatique de +4 °C pour la France et une ressource en #eau fortement diminuée, pas plus qu’à une disparition des #insectes_pollinisateurs.

    Actuellement, comme le rappelle le Haut Conseil pour le Climat (HCC), l’agriculture représente le deuxième secteur d’émissions de #gaz_à_effet_de_serre, avec 18 % du total français, derrière les transports. La moitié de ces émissions agricoles (en équivalent CO2) provient de l’#élevage_bovin à cause du #méthane produit par leur digestion, 14 % des #engrais_minéraux qui libèrent du #protoxyde_d’azote et 13 % de l’ensemble des #moteurs, #engins et #chaudières_agricoles. Le HCC rappelle aussi que la France s’est engagée lors de la COP26 à baisser de 30 % ses émissions de méthane d’ici à 2030, pour limiter le réchauffement climatique. L’agriculture, bien que répondant à un besoin fondamental, doit aussi revoir son modèle dominant pour répondre aux enjeux climatiques. De ce point de vue, ce qu’indique la science, c’est que, si l’on souhaite faire notre part dans le respect de l’accord de Paris, la consommation de #viande et de #produits_laitiers doit diminuer en France. Mais la solidarité avec nos agriculteur.ices ainsi que l’objectif légitime de souveraineté et #résilience_alimentaire nous indiquent que ce sont les importations et les élevages intensifs de ruminants qui devraient diminuer en premier.

    Côté #biodiversité, la littérature scientifique montre que l’usage des #pesticides est la deuxième cause de l’effondrement des populations d’#insectes, qui atteint 80 % dans certaines régions françaises. Les #oiseaux sont en déclin global de 25 % en quarante ans, mais ce chiffre bondit à 60 % en milieux agricoles intensifs : le printemps est devenu particulièrement silencieux dans certains champs…

    D’autres voies sont possibles

    Le paradoxe est que ces bouleversements environnementaux menacent particulièrement les agriculteur·ices, pour au moins trois raisons bien identifiées. Tout d’abord environnementale, à cause du manque d’eau, de la dégradation des sols, des événements météorologiques extrêmes (incendies ou grêles), ou du déclin des insectes pollinisateurs, qui se traduisent par une baisse de production. Sanitaires, ensuite : par leur exposition aux #produits_phytosanitaires, ils et elles ont plus de risque de développer des #cancers (myélome multiple, lymphome) et des #maladies_dégénératives. Financière enfin, avec l’interminable fuite en avant du #surendettement, provoqué par la nécessité d’actualiser un équipement toujours plus performant et d’acheter des #intrants pour pallier les baisses de production engendrées par la dégradation environnementale.

    Depuis des décennies, les #traités_de_libre-échange et la compétition intra-européenne ont privé la grande majorité des agriculteur·ices de leur #autonomie, dans un cercle vicieux aux répercussions sociales tragiques pouvant mener au #suicide. Si la FNSEA, les #JA, ou la #Coordination_rurale réclament une forme de #protectionnisme_agricole, d’autres de leurs revendications portent en revanche sur une baisse des #contraintes_environnementales et sanitaires qui font porter le risque de la poursuite d’un modèle délétère sur le long terme. Ce sont justement ces revendications que le gouvernement a satisfaites avec, en particulier, la « suspension » du #plan_Ecophyto, accueilli par un satisfecit de ces trois organisations syndicales rappelant immédiatement « leurs » agriculteurs à la ferme. Seule la #Confédération_paysanne refuse ce compromis construit au détriment de l’#écologie.

    Pourtant, des pratiques et des modèles alternatifs existent, réduisant significativement les émissions de gaz à effet de serre et préservant la biodiversité ; ils sont déjà mis en œuvre par des agriculteur·ices qui prouvent chaque jour que d’autres voies sont possibles. Mais ces alternatives ont besoin d’une réorientation des #politiques_publiques (qui contribuent aujourd’hui pour 80 % au #revenu_agricole). Des propositions cohérentes de politiques publiques répondant à des enjeux clés (#rémunération digne des agriculteur·ices non soumis aux trusts’de la grande distribution, souveraineté alimentaire, considérations climatiques et protection de la biodiversité) existent, comme les propositions relevant de l’#agroécologie, qu’elles émanent du Haut Conseil pour le Climat, de la fédération associative Pour une autre PAC, de l’IDDRI, ou encore de la prospective INRAE de 2023 : baisse de l’#élevage_industriel et du cheptel notamment bovin avec soutien à l’#élevage_extensif à l’herbe, généralisation des pratiques agro-écologiques et biologiques basées sur la valorisation de la biodiversité (cultures associées, #agro-foresterie, restauration des #haies favorisant la maîtrise des bio-agresseurs) et arrêt des #pesticides_chimiques_de_synthèse. Ces changements de pratiques doivent être accompagnés de mesures économiques et politiques permettant d’assurer le #revenu des agriculteur·ices, leur #accès_à_la_terre et leur #formation, en cohérence avec ce que proposent des syndicats, des associations ou des réseaux (Confédération paysanne, Atelier paysan, Terre de liens, Fédérations nationale et régionales d’Agriculture biologique, Réseau salariat, …).

    Nous savons donc que les politiques qui maintiennent le #modèle_agro-industriel sous perfusion ne font qu’empirer les choses et qu’une réorientation complète est nécessaire et possible pour la #survie, la #dignité, la #santé et l’#emploi des agriculteur·ices. Nombre d’enquêtes sociologiques indiquent qu’une bonne partie d’entre elles et eux le savent très bien, et que leur détresse témoigne aussi de ce #conflit_interne entre le modèle productiviste qui les emprisonne et la nécessité de préserver l’environnement.

    Une #convention_citoyenne

    Si le gouvernement convient que « les premières victimes du dérèglement climatique sont les agriculteurs », les mesures prises démontrent que la priorité gouvernementale est de sanctuariser le modèle agro-industriel. La remise en cause du plan Ecophyto, et la reprise en main de l’#Anses notamment, sont en totale contradiction avec l’urgence de s’attaquer à la dégradation environnementale couplée à celle des #conditions_de_vie et de travail des agriculteur·ices. Nous appelons les citoyen·nes et les agriculteur·rices à soutenir les changements de politique qui iraient réellement dans l’intérêt général, du climat, de la biodiversité. Nous rappelons que le sujet de l’agriculture et de l’#alimentation est d’une redoutable complexité, et qu’identifier les mesures les plus pertinentes devrait être réalisé collectivement et démocratiquement. Ces mesures devraient privilégier l’intérêt général et à long-terme, par exemple dans le cadre de conventions citoyennes dont les conclusions seraient réellement traduites dans la législation, a contrario a contrario de la précédente convention citoyenne pour le climat.

    https://www.nouvelobs.com/opinions/20240203.OBS84041/tribune-productivisme-et-destruction-de-l-environnement-fnsea-et-gouverne
    #tribune #scientifiques_en_rébellion #agriculture #souveraineté_alimentaire #industrie_agro-alimentaire

  • Making sense of #sensemaking
    https://redasadki.me/2024/02/02/making-sense-of-sensemaking

    In her article “A Shared Lens for Sensemaking in Learning Analytics”, Sasha Poquet argues that the field of learning analytics lacks a shared conceptual language to describe the process of sensemaking around educational data. She reviews prominent theories of sensemaking, delineating tensions between assumptions in dominant paradigms. Poquet then demonstrates the eclectic use of sensemaking frameworks across empirical learning analytics research. For instance, studies frequently conflate noticing dashboard information with interpreting its significance. To advance systematic inquiry, she calls for revisiting epistemic assumptions to reconcile tensions between cognitive and sociocultural traditions. Adopting a transactional perspective, Poquet suggests activity #Theory, conceptualizations (...)

    #digital_learning #Oleksandra_Poquet #peer_learning

  • XI #Marcha_po_la_Dignidad - #Tarajal | 3.02.2024 | 10 AÑOS EXIGIENDO VERDAD, JUSTICIA Y REPARACIÓN.

    *English version below.
    **Traduction en Français ci-dessous.

    La XI MARCHA POR LA DIGNIDAD es un acto en memoria de las personas a las que arrebataron la vida la mañana del 6 de febrero de 2014 en la playa del Tarajal en Ceuta, pero también es un acto de denuncia por todas las personas a las que les arrebatan la vida por falta de vías legales y seguras para migrar.

    Los colectivos y organizaciones que quieran adherirse a la XI MARCHA POR LA DIGNIDAD deberán completar el siguiente formulario. Ello supondrá el siguiente compromiso:
    – Su inclusión como firmante en el manifiesto al que se dará lectura al finalizar el recorrido de la marcha en la Playa de El Tarajal.
    – Su inclusión en carteles y publicaciones para difusión del acto.
    – Su compromiso en la promoción y difusión de la iniciativa en redes locales, nacionales e internacionales.
    – El acceder a la información y materiales relacionados con la Marcha.
    – La facilitación de la toma de contacto con cualesquiera otros de los miembros incorporados a la red.
    – Asumir las directrices de las personas que conforman la organización de los actos.

    Os esperamos el próximo 3 de febrero en Ceuta.

    Redes de la Organización de la marcha:
    E-mail: marcha.tarajal@gmail.com
    Facebook: @marcha.tarajal
    Instagram: @marcha.tarajal
    Twitter: @marchatarajal
    ____________________________
    «10 YEARS DEMANDING TRUTH, JUSTICE AND REPARATION.»

    The XI MARCH FOR DIGNITY is an act in memory of the people whose lives were taken on the morning of February 6, 2014 on the beach of Tarajal, but it is also an act of denunciation for all the people whose lives are taken away from them due to the lack of legal and safe ways to migrate.

    Collectives and organizations wishing to join the XI MARCH FOR DIGNITY must complete the following form. This will involve the following commitment:

    / Their inclusion as a signatory organization in the manifesto that will be read at the end of the march.
    / Their inclusion in posters and publications for the dissemination of the event.
    / Your commitment in the promotion and dissemination of the initiative in local, national and international networks.
    / Access to information related to the march.
    / Facilitating contact with any other members of the network.
    / Assuming the guidelines of the Associations organizing the events.

    We look forward to seeing you on February 3th.

    Social networks of the March Organisation:
    E-mail: marcha.tarajal@gmail.com
    Facebook: @marcha.tarajal
    Instagram: @marcha.tarajal
    Twitter: @marchatarajal
    ____________________________
    «10 ANS D’EXIGENCE DE VÉRITÉ, DE JUSTICE ET DE RÉPARATION».

    La 11e MARCHE POUR LA DIGNITÉ est un acte en mémoire des personnes dont la vie a été arrachée le matin du 6 février 2014 sur la plage de Tarajal, mais c’est aussi un acte de dénonciation pour toutes les personnes dont la vie leur est enlevée en raison de l’absence de moyens légaux et sûrs de migrer.

    Les collectifs et organisations qui souhaitent se joindre à la 11ème MARCHE POUR LA DIGNITÉ doivent remplir le formulaire suivant. Cela implique l’engagement suivant :

    / Leur inclusion en tant que signataire dans le manifeste qui sera lu à la fin de la marche.
    / Leur inclusion sur les affiches et les publications pour faire connaître l’événement.
    / Votre engagement à promouvoir et à diffuser l’initiative dans les réseaux locaux, nationaux et internationaux.
    / Accès aux informations relatives à la marche.
    / Faciliter le contact avec l’un des autres membres du réseau.
    / Assumer les directives des associations qui organisent les événements.

    Nous vous attendons le 3 février.

    Réseaux sociaux de l’organisation de la mache :
    E-mail: marcha.tarajal@gmail.com
    Facebook: @marcha.tarajal
    Instagram: @marcha.tarajal
    Twitter: @marchatarajal

    #commémoration #commémoraction #asile #migrations #réfugiés #Ceuta #Maroc #Espagne #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #2024 #dignité #justice #vérité #mémoire

    • A 10 anni dalla strage del Tarajal la XI Marcha por la dignidad

      Sono passati 10 anni dalla strage del Tarajal a Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco. Quella tragica mattina del 6 febbraio del 2014 un gruppo molto numeroso di migranti (circa 300) prova ad entrare a Ceuta a nuoto, attraverso la spiaggia di Tarajal. La Guardia Civil cerca di fermarli, sparando pallottole di gomma e fumogeni molto vicino alle persone che si trovano in acqua. Alcuni testimoni affermano che vengono lanciati proprio sulle persone, molte delle quali galleggiano a fatica. Gli agenti sparano anche quasi duecento colpi a salve. Si diffonde il panico in acqua. Muoiono 15 persone e altri rimangono feriti.

      Per ricordare questa strage e la brutalità del regime delle frontiere ogni anno a Ceuta si svolge una manifestazione, la Marcha por la Dignidad, un atto in memoria delle persone che sono state uccise, ma anche di denuncia per tutte le persone che vengono uccise a causa della mancanza di vie legali e sicure per migrare. Quest’anno sarà sabato 3 febbraio.

      «Quanto accaduto il 6 febbraio 2014 è un chiaro esempio di razzismo di Stato. È nostro dovere antirazzista sapere cosa sta accadendo al confine meridionale spagnolo, dare eco e denunciare le flagranti violazioni dei diritti umani che vi si verificano» – scrivono dalle pagine della Marcha – «anno dopo anno, manteniamo viva la fiamma della memoria e continuiamo a denunciare le politiche migratorie europee che causano morte».

      La giornata di mobilitazione, che ha raccolto oltre 220 adesioni, è organizzata in due momenti. Nel pomeriggio dalle 15.15 inizierà la manifestazione che attraverserà le strade di Ceuta da Plaza de Los Reyes per raggiungere la spiaggia della strage. Nella tarda mattinata, alle 11.30 nella Sala delle Assemblee dell’IES ABYLA di Ceuta, la tavola rotonda in cui interverranno Patuca Fernández, Viviane Ogou e Mouctar Bah (l’incontro sarà trasmesso in diretta qui).

      «La logica razziale e coloniale ha determinato le politiche migratorie dell’Europa. I confini di Ceuta e Melilla stabiliscono una divisione tra coloro che sono considerati persone e coloro che non lo sono», spiegava nella tavola rotonda del 2023, Youssef M. Ouled, giornalista specializzato in razzismo istituzionale e sociale.
      «Ricordiamo il Tarajal ma parliamo di altre stragi. Quello che è successo nel 2014 non è qualcosa di aneddotico ma sistematico», ha sottolineato.

      Sono tante, troppe, le date che rappresentano purtroppo i punti più alti del razzismo e della violenza delle frontiere. Fra meno di un mese sarà passato un anno dal 26 febbraio 2023, giorno in cui 94 persone (34 di loro erano bambine/i) sono morte a soli 150 metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro in Calabria: non una fatalità come le istituzioni vogliono far credere, ma un eccidio per omissione di soccorso diventato legge. Anche a Cutro, dopo un anno, si tornerà a manifestare ancora al fianco dei familiari e dei superstiti per non dimenticare e continuare a chiedere verità e giustizia.

      https://www.youtube.com/watch?v=g5fGZLGBVSg


      https://www.meltingpot.org/2024/02/a-10-anni-dalla-strage-del-tarajal-la-xi-marcha-por-la-dignidad

    • En 2023...

      Tarajal. Il dovere della memoria per tutte le vittime di frontiera

      Fare memoria non riguarda solo il ricordo, ma costituisce un atto politico e uno strumento di lotta per la verità e il riconoscimento delle responsabilità

      A Ceuta, enclave spagnolo situato a nord nel continente africano, centinaia di persone, tra attivistə e giovani migranti, continuano la Marcha por la Dignidad che da nove anni percorre l’intera cittadina lungo la linea che divide la Spagna dal Marocco per raggiungere la spiaggia del Tarajal dove, il 6 febbraio 2014 furono assassinate oltre 15 persone di origine sub-sahariana delle 300 che tentavano di attraversare il confine a nuoto.

      Quella mattina, all’alba di un’ennesima violenza razzista e coloniale, la Guardia Civil spagnola non solo sparò contro di loro proiettili di gomma per impedire che raggiungessero la costa, provocandone l’annegamento, ma eluse ogni tipo di soccorso delle persone in difficoltà e il recupero dei corpi in mare.

      Alla Frontera Sur sono trascorsi nove anni di impunità, nove anni di ingiustizia e violenza perpetrata verso le vittime di quella tragedia e contro tutte coloro che ogni giorno sfidano una delle frontiere più ineguali al mondo. Vigile e repressiva in modo sempre più assiduo sulle persone che da diversi paesi dell’Africa tentano l’attraversamento per mare e per terra della valla di filo spinato che separa i due continenti.

      Se è vero che nel Mediterraneo è iniziata l’Europa, altrettanto certo è che nel Mediterraneo stesso si esaurisce, tra le colonne di un mito che non ha più eroi ma esseri umani in cerca di sogni brutalmente lacerati. Uomini e donne disumanizzate affinché il fardello di colpe e responsabilità trainato da secoli di imperialismo e gerarchie di potere – ben oltre la colonialità storica – alleggerisca il suo peso.

      «Esistono due morti: quella fisica e quella ermeneutica» ha affermato Patuca Fernandez, l’avvocata di Coordinadora de barrios che prese in carico il caso del Tarajal, nel suo intervento sul dovere della memoria delle vittime di frontiera 1

      La prima costituisce quella biologica mentre la seconda riguarda quella inflitta dal processo di normalizzazione e di riduzione o perdita di rilievo del crimine che l’ha provocata. Un criminale non solo uccide la vittima ma impiega ogni sforzo necessario per trovare forme strategiche di ridurre la carica penale che ricadrebbe sui crimini commessi.

      È il modus operandi di una più profonda logica razziale che tende a interiorizzare e disumanizzare le persone migranti per normalizzare la violenza e gli abusi a loro inflitti.

      Ma queste morti non sono occasionali, né tanto meno naturali. Sono sistematiche e strutturali, legittimate da una necropolitica razzista in quanto applicata esclusivamente sulle persone che provengono da territori direttamente o indirettamente vincolati alle (ex)colonie, mediante accordi in materia di sicurezza e criminalizzazione applicata sulla base della propria origine.

      Ad oggi questo crimine resta ancora impunito, sotto la responsabilità di nessuno se non delle vittime stesse, profanate non soltanto in vita ma calpestate nella propria dignità in morte e in quella dei familiari, privati di verità e di giustizia, del diritto al dolore, al lutto, al risarcimento e alla non ripetizione.

      Fare memoria non riguarda solo il ricordo, ma costituisce un atto politico e uno strumento di lotta per la verità e il riconoscimento delle responsabilità.

      Puntare lo sguardo indietro ha un significato estremamente potente per quanto accade nel presente, e dare contenuto a quel passato che continua sistematicamente a ripetersi. Fare memoria vuol dire far conoscere la realtà di quanto accade ed esigere giustizia per ogni vittima di frontiera.

      «Ricordiamo il Tarajal ma parliamo di altre stragi», ha affermato Youssef M.Ouled, giornalista specializzato in razzismo istituzionale e sociale. «Quello che è successo nel 2014 non è qualcosa di aneddotico ma sistematico», ha continuato ricordando quanto accaduto di recente a Melilla2. Se cambiassero il luogo e la data, l’evidenza della violenza delle frontiere, esterne ed interne al Paese, sarebbero esattamente le medesime.

      https://www.youtube.com/watch?v=4HayyEDFaSc

      Tra le vittime più recenti, Moussa Sylla, espulso dal Ceti (Centro di residenza temporanea per migranti) di Ceuta dove era stato accolto al suo arrivo in territorio spagnolo lo scorso dicembre 2022. Moussa ha dovuto lasciare il centro senza però avere un altro luogo dove andare, allontanato come tanti altri minori che arrivano soli e finiscono abbandonati a sé stessi e alla disperazione. Fino allo scorso 26 gennaio era rimasto davanti alla porta dello stabilimento per chiedere di entrare. Sotto pioggia e freddo supplicava ripetutamente di non esser rilegato al margine ancora una volta. Ma non è stato ascoltato. Espulso dallo Stato che difende le frontiere anziché proteggere le persone, Moussa si è impiccato ad un albero dinanzi le porte dello stabilimento.

      Le colonne di Ercole, erette una di fronte all’altra nello stretto di Gibilterra, non sono più elemento di connessione ed unione tra due mondi inesplorati di un Ulisse che dal suo viaggio fa ritorno in patria. Le colonne dello stretto sono una stretta sul popolo in movimento indesiderato, una strategia ulteriore di chiusura all’Altro per cui l’hospes si è risolto in hostis.

      In questo incrocio di acque – Atlantico e Mediterraneo – e di terre, l‘Europa dall‘Africa, sorge l’inquietudine di una frontiera in cui i paesi e gli uomini non solo stanno di fronte ma sul fronte, in prima linea di guerra, per fronteggiarsi ed ispezionarsi.

      E’ al grido di «Basta violenza alle frontiere» che accompagniamo la marcia di commemor-azione che da nove anni si batte contro l’impunità che vige sul caso: l’inchiesta giudiziaria aperta, che stava per mettere al banco per omicidio colposo 16 guardie civili (scampate applicando la ‘dottrina Loot’), è stata definitivamente archiviata dalla Corte Suprema nel giugno dello scorso anno. La Corte Costituzionale sta ancora studiando se accogliere o meno i ricorsi presentati da diverse organizzazioni non governative e per conto delle famiglie delle vittime (a cui non è stato nemmeno permesso di recarsi in Spagna) per violazione dei loro fondamentali diritti alla vita, protezione giudiziaria effettiva e integrità morale, come indicato nelle dichiarazioni dell’avvocata Fernández.

      In memoria di Roger, Yves, Samba, Larios, Daouda, Luc, Youssouf, Armand, Ousmane, Keita, Jeannot, Oumarou, Blasie e le altre persone non identificate, continuiamo ad esigere che si faccia giustizia, che venga riconosciuta la responsabilità dei crimini di frontiera e garantire equi diritti a tutte le persone senza condizione alcuna.

      https://www.meltingpot.org/2023/02/tarajal-il-dovere-della-memoria-per-tutte-le-vittime-di-frontiera

    • La tomba 147 e l’instancabile lotta di giustizia per la strage del Tarajal

      Ceuta, 10 anni dal 6 febbraio 2014

      Nei tranquilli e placidi passaggi del cimitero di Santa Catalina a Ceuta, situato nel cortile di Santa Beatriz de Silva, c’è un corridoio infinito fiancheggiato da due file di lapidi, in cui si può scoprire un enigmatico labirinto di marmo. È adornato da nomi, cognomi e ornamenti che evocano la memoria di coloro che non ci sono più. Oltre questa fila, nel punto più alto, si trovano tombe meticolosamente numerate, sigillate nel freddo abbraccio del cemento. Questi loculi sono privi di nomi o vasi di fiori che ricordano le anime che riposano al loro interno. Guardando dall’altra parte dello stretto, si vedono le tombe dei migranti che sono morti nel tentativo di raggiungere la spiaggia di Tarajal a Ceuta e di altri che hanno subito lo stesso destino. Si tratta di tombe anonime. Qui giacciono cinque delle quindici persone che, il 6 febbraio 2014, hanno cercato di raggiungere a nuoto la spiaggia di Tarajal a Ceuta, situata al confine tra Marocco e Spagna.
      Ostacoli all’identificazione dei corpi delle vittime di Tarajal

      Solo il corpo di Nana Roger Chimie, un giovane camerunense, è stato identificato; gli altri resti sepolti nel sito rimangono non identificati, nonostante gli sforzi delle famiglie e degli avvocati di Samba, Larios e Ussman Hassan per chiarire l’identità dei corpi trovati dopo il ritrovamento di Nana, che giacciono sepolti lì.

      Patricia Fernández Vicent, avvocata della Coordinadora de Barrios, conferma che «Nana è stato identificato perché il suo corpo è stato ritrovato solo due giorni dopo i fatti e grazie agli oggetti personali che portava con sé quando ha cercato di attraversare il mare per raggiungere la Spagna. Inoltre, le sue condizioni hanno permesso di verificare le sue impronte digitali con i database camerunesi. Roger riposa nella tomba numero 147», che si distingue solo per la data e l’iscrizione: “Tarajal 6-2-14“.

      L’identità degli altri rimane un mistero. L’avvocata aggiunge: «Abbiamo chiesto al tribunale il test del DNA, ma è stato rifiutato in quanto non necessario per chiarire i fatti, quindi non è mai stato effettuato». C’è anche un quinto corpo la cui identità rimane sconosciuta, poiché non è stato fatto alcun tentativo formale di identificarlo.

      A distanza di dieci anni, le famiglie delle vittime sono ancora in cerca di giustizia e lottano senza sosta per ottenere il permesso di recarsi a Ceuta per identificare i loro cari. Tuttavia, il governo spagnolo ha ripetutamente negato i visti necessari per verificare se i resti appartengono a qualcuno dei parenti ancora dispersi.

      A tre anni dagli eventi, le famiglie delle vittime del Tarajal erano state ascoltate dal Congresso dei Deputati, in coincidenza con l’anniversario. Una dozzina di padri, madri, fratelli e sorelle di coloro che morirono sulla spiaggia di Ceuta avevano partecipato a un atto commemorativo in videoconferenza. «Vogliamo che sia fatta giustizia, vogliamo che la loro morte non rimanga impunita», aveva esclamato la madre di uno dei giovani morti di Douala, in Camerun, durante il tributo.

      Le famiglie dei giovani deceduti continuano a chiedere di conoscere la verità su quanto accaduto, chiedendo giustizia affinché queste morti non rimangano dimenticate e senza responsabilità. «Stavano solo cercando una vita migliore per le loro famiglie», ha detto un membro della famiglia.
      Dieci anni senza responsabilità

      A dieci anni dalle morti e dopo otto anni di procedimenti giudiziari, il caso non è ancora arrivato al processo, essendo stato archiviato tre volte dal giudice istruttore. La vicenda giudiziaria del caso Tarajal è stata complessa e prolungata. È iniziata nel febbraio 2015 quando il Tribunale di Ceuta ha convocato 16 agenti di polizia, con le Ong CEAR, Coordinadora de Barrios e Observatori DESC che hanno agito come parti civili.

      Nelle prime due istanze di archiviazione, nel 2015 e nel 2018, il giudice ha concluso che erano stati compiuti tutti i passi investigativi possibili, senza trovare prove di attività sanzionabile nei confronti dei 16 agenti della Guardia Civil coinvolti negli eventi di quella mattina del febbraio 2014. Tuttavia, il Tribunale Provinciale di Ceuta ha ribaltato entrambe le decisioni nel 2017 e nel 2018, incaricando il giudice di identificare i cinque deceduti e di raccogliere le dichiarazioni dei sopravvissuti. Nell’ottobre 2017, la Corte europea dei diritti umani ha condannato la Spagna per pratiche simili a Melilla.

      Il caso è stato nuovamente chiuso nel gennaio 2018, ma dopo i ricorsi, nell’agosto 2018, il Tribunale Provinciale di Cadice ha deciso di riaprire il caso, sottolineando le inadeguatezze dell’indagine. Nel settembre 2019, 16 agenti della Guardia Civil sono stati processati, ma il fascicolo è stato chiuso per la terza volta nell’ottobre 2019, provocando ulteriori ricorsi. Il Tribunale Provinciale di Cadice ha respinto i ricorsi nel luglio 2020.

      Le Ong hanno presentato un ricorso in Cassazione alla Corte Suprema, che è stato respinto nel maggio 2022. Nel luglio 2022 è stato presentato un ricorso per amparo alla Corte Costituzionale 1. Infine, nel giugno 2023, la Corte Costituzionale ha ammesso il ricorso per amparo, aprendo la possibilità di stabilire una dottrina costituzionale che protegga i diritti dei migranti alle frontiere.

      Nonostante si tratti di uno dei casi più mediatici degli ultimi anni, né i giudici né i pubblici ministeri si sono pronunciati pubblicamente durante il processo, limitandosi a fare riferimento alle ordinanze e ai documenti inviati alle parti. Una fonte giudiziaria ha spiegato a questo corrispondente che “si trattava di un caso insolito, in quanto era la prima volta che si trovavano di fronte a un gruppo di assalto marittimo“. Inoltre, ha sottolineato che le questioni legali sono complicate, in quanto bisogna stabilire “se c’è una responsabilità condivisa per i crimini sconsiderati e qual è stata la partecipazione specifica di ciascuna guardia civile“. Questo perché le sanzioni non possono essere applicate a gruppi, il che solleva questioni di natura strettamente legale.

      Cosa è successo nelle prime ore del 6 febbraio 2014 sulla spiaggia di Tarajal a Ceuta

      Nelle prime ore del 6 febbraio 2014, circa 400 persone hanno tentato di attraversare la barriera di confine che separa il Marocco dall’Europa. La Guardia Civil, dispiegata lungo l’intero perimetro del confine, ha cercato di impedire al gruppo di entrare a Ceuta utilizzando attrezzature antisommossa, proiettili di gomma, gas lacrimogeni e detonazioni acustiche.

      Almeno 15 persone sono state uccise e molte altre gravemente ferite. Coloro che sono sopravvissuti e sono riusciti a raggiungere il lato spagnolo della spiaggia di Tarajal sono stati immediatamente rispediti in Marocco. La mattina successiva furono ritrovati 14 corpi, 5 in Spagna e 9 in Marocco. Ufficialmente, 23 persone sono state riportate in Marocco e solo una persona è stata dichiarata dispersa.

      Secondo le ONG coinvolte nell’accusa popolare contro le guardie civili, “molte testimonianze di sopravvissuti e testimoni, insieme ai video ufficiali rilasciati dalla Guardia Civil, dimostrano che la delegazione governativa a Ceuta era a conoscenza in ogni momento dell’attivazione del livello massimo di allerta, che prevedeva la mobilitazione di varie unità della Guardia Civil dotate di attrezzature anti-sommossa“. L’allerta è stata attivata per impedire al gruppo di circa 400 persone di entrare in territorio spagnolo. Si trattava di coloro che erano riusciti a eludere i controlli delle forze marocchine nei boschi vicino al confine con Ceuta e a raggiungere la spiaggia, nella zona marocchina, dove si sono gettati in mare. Secondo i testimoni, circa 1.500 persone, per lo più africani subsahariani, hanno cercato di entrare in Europa quella mattina, ma solo 400 sono riusciti ad avvicinarsi.

      La Guardia Civil ha affrontato il gruppo in assetto antisommossa mentre nuotava verso la riva, lanciando candelotti fumogeni e palle di gomma dal frangiflutti. Questa azione non è stata inizialmente riconosciuta dal delegato del governo, Francisco Antonio González, e successivamente dal direttore generale della Guardia Civil, Arsenio Fernández de Mesa, che ha negato l’uso di materiale antisommossa in acqua, attribuendo la responsabilità dei morti alle forze marocchine.
      Le bugie del Ministero degli Interni

      Jorge Fernández Díaz, all’epoca Ministro degli Interni, si presentò una settimana dopo al Congresso ammettendo l’uso di materiale antisommossa come deterrente, ma indicando l’acqua. Queste spiegazioni seguirono la diffusione di immagini che mostravano gli agenti della Guardia Civil utilizzare “145 proiettili di gomma e cinque candelotti fumogeni” per impedire ai migranti di raggiungere la Spagna, sparando verso la posizione in cui stavano nuotando, mentre erano inseguiti da una motovedetta marocchina. Nella stessa occasione, il ministro si è rammaricato per la morte delle 15 persone sulla spiaggia di Tarajal ma, come gli ha chiesto un deputato dell’opposizione, non si è scusato con le famiglie delle vittime in quanto capo della Guardia Civil.

      Il Segretario di Stato per la Sicurezza, Francisco Martínez, al Congresso, ha dichiarato che nessuno dei giovani che hanno raggiunto la riva spagnola è rimasto ferito e che la Guardia Civil ha sparato solo mentre erano ancora in acque marocchine, attenuando l’azione dal frangiflutti. Tuttavia, sono sorte delle domande: “Perché nessuno ha cercato di salvare le persone che stavano annegando? Perché non sono stati allertati i soccorsi marittimi e la Croce Rossa?“.

      Il governo del PP, attraverso il ministro, ha ufficializzato la sua versione dei fatti e ha respinto la richiesta di aprire una commissione d’inchiesta richiesta dall’opposizione, approfittando della maggioranza assoluta di cui godeva nel 2014. Ma le registrazioni e gli audio forniti delle comunicazioni tra gli agenti e il COS mettono in dubbio la versione di Martínez. In una delle comunicazioni, gli agenti hanno avvertito della presenza di migranti che nuotavano e hanno chiesto istruzioni: “Dobbiamo fermarli?“. Dalla centrale operativa hanno risposto con incertezza: “Non sono sicuro, almeno cerchiamo di fermarli dall’avanzare, si stanno dirigendo verso Ceuta“. La risposta è stata: “Non è possibile, hanno attraversato da dietro e l’unica opzione era catturarli o lasciarli proseguire“. Le contraddizioni del delegato del governo a Ceuta e del direttore della Guardia Civil sono venute alla luce, mettendo a nudo la leadership del Ministero degli Interni. Nessuno si è dimesso.

      Persino il presidente del governo della città autonoma, Juan Jesús Vivas, si è spinto a definire “miserabili” sul suo account Facebook le organizzazioni che hanno accusato direttamente le guardie civili di essere responsabili delle morti. L’Ong Caminando Fronteras ha pubblicato un rapporto che includeva i referti delle ferite e le testimonianze dei sopravvissuti, tutti sono concordi nell’affermare che i proiettili di gomma erano diretti contro i migranti. Dopo essere venuto a conoscenza del rapporto, Francisco Antonio González ha consigliato alle guardie civili di sporgere denuncia contro l’organizzazione.
      Il vescovo di Tangeri critica l’azione della Guardia Civil

      L’arcivescovo emerito di Tangeri, Santiago Agrelo, ha criticato le azioni della Guardia Civil durante gli eventi del 6 febbraio 2014 a il Tarajal. “Quel giorno, quei giovani non si sono gettati in acqua contro nessuno: cercavano solo un futuro migliore, al quale sicuramente avevano diritto almeno quanto me“. Ha sottolineato la responsabilità delle forze dell’ordine, affermando che “le forze dell’ordine del Regno di Spagna hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per impedire a quei giovani di raggiungere la spiaggia, un fatto che non solo è stato riconosciuto ma anche rivendicato: hanno fatto ciò che dovevano fare“.

      Nessuno si è assunto la responsabilità e nessuno sa chi abbia dato l’ordine di autorizzare gli agenti spagnoli ad agire sulla spiaggia di Tarajal. A distanza di dieci anni, nessuno a nome dello Stato spagnolo si è scusato con le famiglie delle vittime di quella fatidica mattina del febbraio 2014. La tomba 147 nel cimitero di Ceuta rimarrà in silenzio.

      La mattina di domenica 4 febbraio, la tomba di Roger Nana è stata resa dignitosa. L’associazione ELIN, la Coordinadora de Barrios e alcuni attivisti hanno dedicato un poster che è stato collocato sulla tomba di Nana. Dopo un breve funerale, Javier Baeza, presidente dell’organizzazione di Madrid, ha dedicato alcune parole di omaggio alle vittime. Le altre tombe sono già segnate come “persona non identificata 6 febbraio 2014“.

      https://www.meltingpot.org/2024/02/la-tomba-147-e-linstancabile-lotta-di-giustizia-per-la-strage-del-taraja

      #responsabilité

    • #Ceuta: di tutte le stragi, una Memoria Mediterranea

      A dieci anni dalla strage del Tarajal, in cui furono uccise almeno 14 persone nel tentativo di raggiungere la Spagna a nuoto, Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco, continua a essere tra le frontiere più violente del regime necropolitico europeo: il mare da un lato, la valla di concertina tagliente dall’altro, sistematicamente iper vigilati e militarizzati per impedire il transito delle persone verso l’Europa. Luogo di incessante approccio securitario, Ceuta, come Melilla, in territorio nordafricano, è da anni scenario di morte e negazione della vita umana, non solo delle persone che tentano di sfidarlo ma di tutte coloro che restano dall’altro lato in attesa di verità sui propri familiari.

      Sono trascorsi 10 anni di silenzio sul massacro del Tarajal, quando, all’alba del 6 febbraio 2014, la Guardia Civil spagnola sparava brutalmente centinaia di proiettili di gomma contro un gruppo di oltre 300 persone migranti di origine sub – sahariana provocandone la morte per annegamento e omettendo il loro soccorso e il recupero dei corpi. Decine di persone sono annegate davanti allo sguardo inerme delle guardie che ad oggi continuano impunemente a perpetrare violenza e repressione contro le persone migranti direttamente coinvolte e contro le famiglie a cui viene negato l’accesso per poter raggiungere l’Europa e cercarli.

      Le persone che tentano di varcare il confine al costo della propria vita, vengono sottoposte a ripetute umiliazioni e procedure di controllo, trattenimento e maltrattamento propedeutiche allo smistamento e alla loro espulsione, sorte di cui spesso le famiglie rimangono ignare e lontane dalle possibilità di richiesta per verità e giustizia dai territori di origine.

      Dal massacro, il governo spagnolo ha ripetutamente respinto la richiesta dei visti ai familiari delle persone disperse e il prelievo del DNA dai resti recuperati affinché procedessero con l’eventuale identificazione dei corpi, ignorando di fatto la loro richiesta di giustizia e verità.

      Infatti, il caso del 6 febbraio fu ripetutamente archiviato dalle responsabilità di una ennesima strage di Stato, riaperto successivamente e in corso di risoluzione, solo lo scorso giugno 2023, grazie alla pressione delle stesse persone sopravvissute e delle famiglie, alle avvocate e attiviste solidali che con loro sostengono la rivendicazione contro la negazione politica della vita e della morte.

      In accordo con il Marocco – da Rajoy e i successori fino all’attuale Sanchez – lo Stato spagnolo ribadisce da decenni il proprio compromesso sul controllo bilaterale della frontiera elogiando l’impegno sempre più mirato all’esternalizzazione della frontiera sul territorio marrocchino in un’ottica di governance migratoria, disattendendo i principi democratici e i diritti di libertà e dignità per la vita delle persone migranti, in fuga da altrettante situazioni di violenze ed abuso, spesso dipese dalla onerosa precarizzazione economica.

      In questo senso, la violenza di cui Ceuta si fa testimone, la medesima che interessa Melilla e la rotta canaria in Spagna o i luoghi in cui vige la procedura di frontiera sull’intero suolo europeo – da Lampedusa a Ventimiglia e lungo i Balcani – non è rappresentata da “ assalti” ed “invasioni” illegali come mediaticamente cerca di strumentalizzare la difesa politica, ma insita nella rimozione sistematica del diritto a partire, a circolare ed arrivare liberamente, alla possibilità per tutte e tutti di avere riconosciuta un’identità ante e post mortem, il diritto a sapere e al lutto.

      Accordi con paesi terzi come il Marocco, esattamente come accade tra Italia e Libia e Tunisia, ledono ogni diritto umano, in primis quello alla vita, abusata e fatta prigioniera dietro e dentro le mura di cinta, potenziate nel meccanismo di controllo e respingimento in mare, nei dispositivi detentivi e di sorveglianza dei centri per il rimpatrio (In Spagna C.I.E.), luoghi di trattenimento forzato e punitivo senza alcuna condanna, dove però non si spengono manifestazioni per la libertà e la liberazione dalle persone trattenute e recluse, in protesta anche in questi giorni dai vari centri in Italia a seguito del suicidio di Stato di Ousmane Sylla .

      La strage di Tarajal è l’espressione di quanto accade ogni giorno da anni in cui impunità, ingiustizia e violenza assumono le sembianze della lotta alla criminalità e alla sicurezza nazionale. Massacri senza giustizia, tombe senza nome, corpi senza volto, morti senza corpo, non sono che l’espressione ultima.

      Ma non l’unica.

      Alla Frontera Sur, una ‘Marcha por la Dignidad’, organizzata da centinaia di persone migranti, familiari, attivisti e diverse organizzazioni solidali, tra cui @Caravana Abriendo Fronteras e @CarovaneMigranti, continua da 10 anni a reclamare ed esigere verità e giustizia per tutte le persone morte nel massacro di Ceuta e per tutte coloro che muoiono e scompaiono per mano della indifferente violenza sistemica di un regime politico mortifero che vigila e reprime le persone migranti alle frontiere interne ed esternalizzate.

      Anche quest’anno la Marcha, partita dalla sede della Delegazione del Governo di Ceuta, ha raggiunto la spiaggia del Tarajal, dove la commemorazione diviene strumento di lotta non solo per ricordare il Tarajal ma per parlare di tutte le ennesime stragi che si ripetono. Quanto accaduto nel 2014 non è qualcosa di aneddotico ma rigorosamente sistematico, lo abbiamo visto a Melilla, a Nador, ad Ouija, in Tunisia, in Sicilia, a Cutro. Tante, troppe e ininterrotte stragi, in altrettante date del calendario, si verificano nel silenzio politico di turno.

      Ma la lotta per la Memoria viva è un riscatto mediterraneo che unisce la rabbia per trasformare il dolore in un grido collettivo per ogni Memoria negata e inabissata che vive attraverso chi può raccontare, dalle lotte familiari e collettive.

      A dieci anni dalla strage di Ceuta, per tutte le stragi invisibili di cui non si racconta, per ogni persona coinvolta in un massacro rimosso, continuiamo a tessere un’unica Memoria Mediterranea, quella praticata tutti i giorni come strumento di denuncia e di ricerca di giustizia, custode di dignità e resistenza.

      Non lasceremo il Mediterraneo agli abissi, ce ne impossessiamo senza timore per combattere dove si combatte, per elevare la voce dove si protesta, per piantare dove si cerca di seppellire.

      Tarajal, no olvidamos!

      https://memoriamediterranea.org/ceuta-di-tutte-le-stragi-una-memoria-mediterranea
      #mémoire_méditerranéenne

  • Apple announces changes to iOS, Safari, and the App Store in the European Union - Apple
    https://www.apple.com/newsroom/2024/01/apple-announces-changes-to-ios-safari-and-the-app-store-in-the-european-union

    Apple today announced changes to iOS, Safari, and the App Store impacting developers’ apps in the European Union (EU) to comply with the Digital Markets Act (DMA). The changes include more than 600 new APIs, expanded app analytics, functionality for alternative browser engines, and options for processing app payments and distributing iOS apps. Across every change, Apple is introducing new safeguards that reduce — but don’t eliminate — new risks the DMA poses to EU users. With these steps, Apple will continue to deliver the best, most secure experience possible for EU users.
    The new options for processing payments and downloading apps on iOS open new avenues for malware, fraud and scams, illicit and harmful content, and other privacy and security threats. That’s why Apple is introducing protections — including Notarization for iOS apps, an authorization for marketplace developers, and disclosures on alternative payments — to reduce risks and deliver the best, most secure experience possible for users in the EU. Even with these safeguards in place, many risks remain.

    La réponse du principal challenger d’Apple en matière de distribution d’apps hors App Store :

    Tim Sweeney sur X :
    https://twitter.com/TimSweeneyEpic/status/1750589570880516402

    Apple’s plan to thwart Europe’s new Digital Markets Act law is a devious new instance of Malicious Compliance.

    They are forcing developers to choose between App Store exclusivity and the store terms, which will be illegal under DMA, or accept a new also-illegal anticompetitive scheme rife with new Junk Fees on downloads and new Apple taxes on payments they don’t process.

    Apple proposes that it can choose which stores are allowed to compete with their App Store. They could block Epic from launching the Epic Games Store and distributing Fortnite through it, for example, or block Microsoft, Valve, Good Old Games, or new entrants.

    The Epic Games Store is the #7 software store in the world (behind the 3 console stores, 2 mobile stores, and Steam on PC). We’re determined to launch on iOS and Android and enter the competition to become the #1 multi-platform software store, on the foundation of payment competition, 0%-12% fees, and exclusive games like Fortnite.

    Epic has always supported the notion of Apple notarization and malware scanning for apps, but we strongly reject Apple’s twisting this process to undermine competition and continue imposing Apple taxes on transactions they’re not involved in.

    There’s a lot more hot garbage in Apple’s announcement. It will take more time to parse both the written and unwritten parts of this new horror show, so stay tuned.

    Célébration, cependant, chez Fortnite :
    https://twitter.com/FortniteGame/status/1750616130174234859

    Remember Fortnite on iOS?

    How bout we bring that back.

    Later this year Fortnite will return in Europe on iOS through the @EpicGames Store.
    (shoutout DMA - an important new law in the EU making this possible). @Apple, the world is watching.

    #mobile #jeux_vidéo #jeu_vidéo #business #apple #epic_games #dma #digital_markets_act #ue #union_européenne #ouverture

  • Improving the humanitarian situation of refugees, migrants and asylum seekers in #Calais and #Dunkirk areas

    The report presented by #Stephanie_Krisper (Austria, ALDE) to the Migration Committee, meeting in Paris, highlighted that the basic needs of a high number of refugees, migrants and asylum seekers in the areas of Calais and Dunkirk (France), were not met. It mentions in particular insufficient places of accommodation situated in remote places that are difficult to access, problematic access to food and water with insufficient and overcrowded distribution points, deficient access to non-food items such as blankets or tents, and limited access to healthcare.

    This report follows a fact-finding visit carried out on 25 and 26 October 2023 by a parliamentary delegation chaired by Ms Krisper, whose objective was to examine the situation of asylum seekers and migrants as well as their defenders in the city of Calais and its surroundings.

    It underlines that these people are stuck in Calais and Dunkirk areas mainly because they have nowhere to go and generally cannot return to their country of origin, a situation exacerbated by the inadequacy of the formal reception system, the lack of information about asylum seekers’ rights as well as cumbersome and long procedures.

    Faced with “this appalling situation, especially since winter is here”, the parliamentarians recommend urgently increasing humanitarian and health assistance through additional volunteers and resources for the associations acting on spot, especially the non-mandated structures. The dignity and fundamental rights of these people must be preserved, and violations and harassments committed by police forces must end, they added.

    The report also warns of the danger these people face by risking their lives when crossing the Channel to the United Kingdom, at the mercy of criminal smuggling networks.

    Finally, the parliamentarians call for a shared responsibility between all European countries, “in order not to leave the burden to countries on the external border of the EU, where congestions points are observed”.

    In addition to its President, Ms Krisper, the delegation was composed of Jeremy Corbyn (United Kingdom, SOC), Emmanuel Fernandes (France, GUE), Pierre-Alain Fridez (Switzerland, SOC) and Sandra Zampa (Italy, SOC).

    Pour télécharger le rapport:
    https://rm.coe.int/report-of-the-ad-hoc-sub-committee-to-carry-out-a-fact-finding-visit-t/1680adaf30

    https://pace.coe.int/en/news/9317/improving-the-humanitarian-situation-of-refugees-migrants-and-asylum-seeke
    #France #Manche #La_Manche #asile #migrations #réfugiés #rapport #visite_parlementaire #Dunkerque #frontières #hébergement #accès_à_l'eau #besoins_fondamentaux #nourriture #accès_à_la_nourriture #accès_aux_soins #santé #droits_fondamentaux #dignité #violences_policières #harcèlement_policier #harcèlement #traversée #passeurs #trafiquants_d'êtres_humains #conseil_de_l'Europe

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  • Des #fouilles_corporelles « sexualisées » frappent les migrants aux frontières de l’Europe

    Déshabillés, humiliés, maltraités. Des femmes et des hommes venus demander asile racontent avoir subi des fouilles corporelles et génitales brutales, effectuées par des personnes censées garder les frontières de l’UE en Grèce.

    Corfou (Grèce).– Clémentine Ngono* n’a jamais voulu venir en Europe. Cependant, des expériences répétées de violence et d’agression l’ont forcée à fuir. D’abord son pays d’origine, le Cameroun, puis la Turquie. Aux premières heures du 15 septembre 2021, elle est montée à bord d’un canot pneumatique gris, en compagnie de son mari, de son fils de six mois et de 33 autres personnes. Qui savaient que le voyage serait dangereux. Conscientes que les autorités grecques pourraient les refouler, elles ont tout de même tenté leur chance.

    Juste après le lever du soleil, le groupe a atteint l’île grecque de Samos. Très vite, un navire des gardes-côtes les a arrêtées. Un groupe d’hommes encagoulés les a embarquées. Une fois sur le bateau de la patrouille grecque, les personnes ont été mises à genoux puis, une par une, ont reçu l’ordre de se lever et de se déshabiller devant tout le monde. Celles et ceux qui osaient résister ont été menacé·es et battu·es, leurs vêtements arrachés et déchirés. Une fois toutes les personnes nues, l’un des hommes masqués a commencé la fouille au corps, n’hésitant pas à toucher les seins et les parties génitales des femmes.

    « Il nous fouillait partout », se souvient Clémentine Ngono, horrifiée, en pressant deux doigts l’un contre l’autre et en les pointant sur son abdomen. « C’est ainsi qu’il a mis sa main dans mon vagin », dit-elle en faisant une pause avant d’ajouter : « Et dans mon anus. » Les hommes, qui ont utilisé les mêmes gants en plastique pour fouiller tout le groupe, ont pris son téléphone et les 500 euros qu’elle avait sur elle.

    Plus tard, le groupe a été abandonné sur des radeaux de sauvetage en Méditerranée. Aujourd’hui encore, Clémentine Ngono ne peut oublier la honte qu’elle a ressentie. « C’était une telle humiliation », dit-elle lors d’un entretien en juillet 2023 à Corfou, où elle travaille pendant l’été comme femme de chambre. Clémentine Ngono a intenté une action en justice, déclarant que la fouille corporelle et génitale forcée était « extrêmement invasive et offensante ». Son cas pourrait toutefois s’inscrire dans une tendance plus large.

    Début 2023, le Comité contre la torture (CPT) du Conseil de l’Europe a critiqué les nombreux cas de mauvais traitements lors des « refoulements » aux frontières de l’Union européenne (UE). Selon son rapport, les autorités frontalières obligent parfois les demandeurs et demandeuses d’asile à repasser la frontière « entièrement nus ». Le Border Violence Monitoring Network, une coalition d’organisations non gouvernementales, fait état de pratiques similaires.

    De même, dans un rapport publié jeudi 2 novembre, Médecins sans frontières (MSF) a recueilli plusieurs témoignages de réfugié·es racontant des fouilles corporelles et génitales sexualisées par de supposés gardes-frontières. Ces derniers obligeraient les demandeurs et demandeuses d’asile à se déshabiller avant de procéder à des fouilles vaginales et anales en public, parfois sans changer de gants. Les fouilles des femmes seraient effectuées par des hommes, comme dans le cas de Clémentine Ngono.
    « Le but était de nous humilier »

    Mediapart s’est entretenu avec plusieurs victimes, des avocats, des ONG, et a examiné des documents internes de l’agence européenne de gardes-côtes Frontex. L’image qui en ressort est celle d’une pratique normalisée : celle de mises à nu et de fouilles génitales forcées lors des refoulements par les autorités frontalières grecques. Ces pratiques semblent avoir un objectif central : dissuader les personnes de réessayer tout en volant leurs objets de valeur et leur argent.

    Meral Şimşek jette sa cigarette à moitié consumée et acquiesce. Cela fait un an que la poétesse kurde est arrivée à Berlin (Allemagne). Meral Şimşek, critique véhémente du régime d’Erdoğan, a été confrontée toute sa vie à la violence et à la persécution des autorités turques. En 2021, les choses ont empiré, elle a alors décidé de quitter son pays.

    Le 29 juin 2021, elle a traversé le fleuve Évros en compagnie d’une femme syrienne, Dicle. « Nous sommes arrivées sur le sol grec », dit-elle dans une vidéo qu’elle a enregistrée au crépuscule. Après plusieurs heures, les deux femmes ont atteint Feres, une petite ville frontalière grecque. Meral Şimşek voulait demander l’asile, mais la police grecque les a interpellées à l’entrée de la ville.

    Après les avoir détenues et battues, les policiers ont emmené les deux femmes dans la rue. Là, ils ont forcé Meral Şimşek à se déshabiller. Ensuite, une policière a fouillé ses parties génitales, en pleine rue. « Ils ont regardé directement dans mon vagin », raconte-t-elle. Pendant ce temps, les autres policiers regardaient. Şimşek se souvient que certains ont fait des commentaires en grec en regardant son corps. Ils ont ensuite fouillé Dicle avec les mêmes gants en plastique. Puis les deux femmes ont été livrées à un groupe d’hommes masqués et reconduites de force en Turquie. « Le but était de nous humilier », dit-elle.

    Du côté des autorités grecques, ni le ministère de l’intérieur ni le ministère des migrations et de l’asile n’ont commenté ces allégations. Les gardes-côtes grecs ont déclaré que « les pratiques opérationnelles des autorités grecques n’incluent pas de telles méthodes », car elles seraient contraires à l’article 257 du Code de procédure pénale grec.

    Interrogée sur les allégations de fouilles corporelles et génitales forcées, Frontex a déclaré à Mediapart qu’elle « avait connaissance d’une poignée de cas de ce type en Grèce et en Bulgarie ».
    Des témoignages connus de Frontex

    Mediapart a pu avoir accès à plusieurs rapports internes du responsable des droits fondamentaux de Frontex, qui contiennent des allégations et des descriptions de mises à nu forcées, principalement à la frontière de l’Évros. Dans un « rapport d’incident grave » (SIR) portant le numéro 10142/2018, daté du 18 novembre 2018, Frontex indique qu’un groupe de réfugiés aurait été repoussé par les autorités grecques après avoir été agressé physiquement et « obligé à se déshabiller ».

    Le rapport SIR 13400/2022, qui concerne une série de refoulements par les autorités grecques en juillet et août 2022, rapporte que des migrants ont été « forcés de repasser par la rivière après que leurs effets personnels leur ont été confisqués, après avoir été déshabillés et battus ».

    Le rapport SIR 15314/2022 du 30 mai 2023 décrit plusieurs refoulements sur le fleuve Évros. Selon ce rapport, un migrant a été « soumis à des violences physiques, mis à nu de force, ses biens ont été volés ou détruits, avant qu’il reçoive l’ordre de retourner irrégulièrement en Turquie » par les autorités grecques.

    Frontex considère elle-même que les déclarations contenues dans le rapport sont « relativement crédibles ». Si les témoignages sont confirmés, l’agence européenne affirme que cela constituerait « probablement une expulsion collective interdite et un traitement inhumain et dégradant ».

    À Samos, l’avocate Ioanna Begiazi ouvre la porte de son cabinet, dans la vieille ville de Vathi. Elle se souvient du cas de Clémentine Ngono. « Elle est venue nous voir parce qu’elle voulait agir », dit-elle. Et le cas de Clémentine Ngono n’est pas isolé.

    Ioanna Begiazi représente régulièrement des victimes de refoulements illégaux. « Les femmes, en particulier, nous disent que les fouilles génitales sont très fréquentes », explique-t-elle. Mais les hommes sont également concernés, ajoute-t-elle. « Il s’agit d’une forme d’humiliation et de dissuasion », explique Ioanna Begiazi. Une humiliation qualifiée par l’avocate de « sexualisée », et qui aurait pour but de décourager les migrant·es de franchir à nouveau la frontière.

    Ioanna Begiazi explique que les fouilles à nu ne sont en soi pas interdites en Grèce. Mais il faudrait qu’il y ait une raison sérieuse pour une telle intervention, comme des preuves concrètes qu’un acte criminel a été commis. Et même si c’était le cas, il existe de nombreuses réglementations. Les fouilles corporelles doivent notamment être conformes aux règles d’hygiène, les agents qui les pratiquent doivent donc changer de gants pour chaque personne qu’ils fouillent.

    Elles doivent aussi être effectuées dans le respect des droits personnels et de la dignité humaine de l’individu. De plus, les fouilles sont censées se dérouler dans un environnement protégé, en aucun cas devant d’autres personnes, afin de garantir le respect de la vie privée. Enfin, elles doivent être réalisées par des personnes du même sexe sans usage ou menace de violence physique.

    La Cour européenne des droits de l’homme (CEDH) a statué en 2001 que les fouilles corporelles effectuées par les forces de l’ordre peuvent être justifiées dans certains cas. Par exemple, si elles permettent d’empêcher des infractions pénales. Cependant, les déshabillages forcés et les fouilles génitales, qui laissent aux victimes « des sentiments d’angoisse et d’infériorité propres à les humilier et à les avilir », violent l’article 3 de la Convention européenne des droits de l’homme.

    Les témoignages des demandeurs et demandeuses d’asile qui dénoncent des mises à nu et des fouilles génitales forcées conduisent les expert·es des droits humains à penser qu’il pourrait s’agir d’une violation de la Convention européenne des droits de l’homme.

    « C’est l’un des moyens de faire passer le message et de les dissuader », explique l’avocat spécialiste des droits humains Nikola Kovačević. Expert dans le domaine de la migration, le Serbe rapporte avoir également connaissance de cas de déshabillage forcé et de fouilles génitales par les autorités frontalières. Selon lui, elles sont destinées à envoyer un message : « Si vous revenez, cela se reproduira. »

    Kovačević estime que les fouilles corporelles et génitales sexualisées violent l’interdiction de la « torture, des traitements dégradants ou inhumains » ancrée dans la Convention de l’UE sur les droits de l’homme et la Convention des Nations unies contre la torture.

    « Les traitements inhumains et dégradants sont dirigés contre la dignité humaine, explique-t-il. Vous privez une personne de sa dignité, vous la forcez à s’agenouiller, vous lui crachez dessus, vous la déshabillez, vous créez une situation dans laquelle cette personne se sent inférieure. »

    Selon Nikola Kovačević, la frontière entre la torture et les traitements inhumains ou dégradants est parfois floue. Cependant, ces deux délits ont une caractéristique centrale en commun : juridiquement, ils ne permettent aucune exception. « Il n’existe aucune circonstance imaginable qui justifie d’infliger de la douleur et de la souffrance à une personne sans défense », explique l’avocat.

    À Corfou, Clémentine Ngono se lève, essuie la sueur de son front et regarde sa montre. Elle dit être épuisée. Fatiguée par les longues heures de travail à l’hôtel, les factures impayées, le sentiment de culpabilité, par la séparation physique avec son mari, dont la demande d’asile a été rejetée.

    Clémentine Ngono dit qu’elle n’aime pas vraiment parler de ce qu’elle a vécu. Cependant, il est important pour elle que des choses similaires n’arrivent pas à d’autres. « Nous avons besoin de gens qui ont le courage de parler », dit-elle. Sinon, rien ne changera. Pour elle, c’est pénible de parler de ce qui s’est passé mais, dit-elle, « si je peux aider les autres, je le ferai ».

    https://www.mediapart.fr/journal/international/031123/des-fouilles-corporelles-sexualisees-frappent-les-migrants-aux-frontieres-

    #migrations #asile #réfugiés #violence #Grèce #humiliation #mauvais_traitements #organes_génitaux #nudité #fouille_au_corps #honte #fouilles_génitales #gardes-frontières #refoulements #push-backs #vol #Evros #Samos #dissuasion #femmes #humiliation_sexualisée #dignité #déshabillage #dignité_humaine

  • TSE: Ein Fachmann vom Finanzamt klärt auf
    https://www.taxi-times.com/tse-ein-fachmann-vom-finanzamt-klaert-auf

    30.10.2033 vonRemmer Witte - Auf dem Taxi- und Mietwagentag wurde auch der aktuelle Stand zur TSE/Kassensicherungsverordnung diskutiert. Dabei wurde klar, dass die Entscheidung der Finanzbehörden für eine zweijährige Nichtbeanstandungsregelung Vor- und Nachteile für die Taxi-Branche birgt.

    Mit Fabian Wildmoser vom Bayerischen Landesamt für Steuern, Jürgen Weberpals von Heedfeld Taxameter & Semitron-Vertrieb, Martin Leitner von Hale Electronic und Oliver Abl von Fiskaly – cloudbasierte Fiskallösungen war viel Fachkompetenz versammelt und stand nach kurzen Impulsvorträgen den Besuchern gern Rede und Antwort zum Thema TSE. Besonders der Vortrag von Fabian Wildmoser war mit Spannung erwartet worden.

    Wildmoser stellte die Thematik der Aufnahme der Taxameter und Wegstreckenzähler in die Kassensicherungsverordnung, welche ja schon seit Ende 2016 beschlossen war, zunächst noch einmal detailliert vor und konnte so schon viele offene Fragen klären (alle Taxi-Times-Meldungen zur TSE finden Sie hier). Die technische Sicherungseinrichtung (TSE) sei dabei ein kryptographischer Schutzmantel für die Originaldatensätze aus dem Taxameter, die eine nachträgliche Änderung der Daten immer augenfällig werden lasse. Die TSE-Pflicht gelte dabei zwar nur für die so genannten EU-Taxameter gemäß der EU-Richtlinie 2014/32/EU, allerdings gehe er davon aus, dass die heute eingesetzten Taxameter dieser Vorgabe fast vollständig entsprechen.

    Wildmoser klärte dabei eindeutig auf, dass die in der Verordnung formulierte Mitteilungspflicht der Taxler darüber, welches System denn verwendet werde, schon seit 2019 ausgesetzt sei, da die Finanzbehörden selber die dafür notwendige Infrastruktur noch gar nicht geschaffen hätten. Hier erwarte er aber noch für das Jahr 2024 erste Lösungsansätze. Zum Thema der Belegausgabepflicht erklärte er, dass das Kassensicherungs-Paket eigentlich erst mit der Umsetzung dieser Pflicht wirklich abgerundet werde, denn beim Fehlen eines Beleges sei dann auch Laien sofort klar, dass der fragliche Geschäftsvorfall ohne Beleg wohl auch nicht gespeichert worden sei. Da aber in der Mehrzahl der Taxis keine Drucker vorhanden seien, käme die Verpflichtung in der Branche somit leider nicht zum Tragen, da sie nur bei systemeingebundenen Druckern umgesetzt werden müsse.
    Fabian Wildmoser vom Bayerischen Landesamt für Steuern. Foto: Taxi Times

    In der Nichtbeanstandungsregelung ist nun festgelegt worden, dass die Taxler noch bis Ende 2025 Zeit haben, diese in Ihren Unternehmen umzusetzen. Dies gelte auch für Insika-Nutzer, denn die zwischenzeitlich diskutierte Verlängerung dieser Frist bis 2027 sei durch die nicht erfolgte Verabschiedung der zweiten Änderungsverordnung zur Abgabenordnung letztendlich nicht umgesetzt worden.

    Mit vorliegenden TSE-Daten erwartet Wildmoser dann eine Vereinfachung und Beschleunigung von Außenprüfungen, aber auch von unangemeldeten Kassennachschauen mit möglicherweise vorhergehenden anonymen Testfahrten der Prüfer. Für diese Prüfungsoptionen seien die Unternehmen spätestens ab Januar 2026 verpflichtet, ihre Daten im standardisierten DSFinV-TW-Format vorzuhalten, und ein Verstoß gegen diese Verpflichtung sei mit Bußgeldern von bis zu 25.000 Euro bewährt. Des Weiteren könnten fehlende Datensätze in diesem Format selbst für Insika-Nutzer dann zu Hinzuschätzungen führen.

    Wildmoser klärte auch noch einmal eindeutig, dass die TSE Umsätze speichere und nicht nur Bareinnahmen. Umsätze, die nicht über den Taxameter abgerechnet würden (wie beispielsweise Sonderfahrten), seien dann und nur dann TSE-pflichtig, wenn sie mit einem weiteren Gerät gespeichert würden. Hier sei dann ggf. eine zweite TSE zu verwenden. Ähnliches gelte für Festpreise. Sei ein Taxameter nicht fähig, Festpreise zu registrieren, seien auch diese eben nicht TSE-pflichtig. Eine Antwort auf eine Unternehmerfrage, wie denn ein Unternehmen, welches nur 50 Prozent oder noch weniger über den Taxameter abrechne, zukünftig von einem Prüfer gewertet werde musste Wildmoser dann allerdings offen lassen, dies sei wohl abhängig vom Prüfer und der weiteren Datenlage. An dieser Stelle empfahl aber auch er noch einmal, dass sich die Unternehmen trotz der Nichtbeanstandungsregelung tunlichst sputen sollten und sich frühzeitig um eine TSE-konforme Lösung für ihren Betrieb bemühen sollten, denn Aktivitäten auf den allerletzten Drücker könnten da ansonsten schon im Voraus ein paar sehr graue Flecken auf ihrer Prüfungsweste hinterlassen.

    Für die freiwillig im DSVFinV-TW-Datensatz zu speichernden Pausenzeiten erklärte Wildmoser, dass diese wohl als optionale Amtshilfe für Lohnsteueraußenprüfungen gedacht gewesen seien. Deren Eingabe werde in jedem Fall nicht zwingend eingefordert und erscheint aus heutiger Sicht wohl eher als Relikt aus vordigitaler Zeit. Die Unternehmen, die eine exakte digitale Arbeitszeitaufzeichnung inklusive der Pausen in ihrem Betrieb nutzen, haben sich inzwischen wohl schon anders aufgestellt und werden dazu nicht die Taxameter nutzen, und diejenigen, die derzeit pauschal die Pausen von der Arbeitszeit abziehen, werden diese Option wohl ebenfalls nicht nutzen.

    Auf diese geballte Informationsflut folgten die Beiträge der Vertreter der technischen Lösungen, darunter Martin Leitner und Jürgen Weberpals. Leitner trug hier noch einmal den derzeitigen Entwicklungsstand im Hause HALE vor (Taxi Times hatte berichtet) und Weberpals beschränkte sich darauf, seine Kunden pauschal zu informieren, dass für sämtliche Semitron-Produkte zeitnah die notwendige TSE nachgerüstet und zeitnah auch bestellt werden könne.

    Sehr spannend erscheint dagegen das Projekt der Firma Fiskaly, für die Oliver Abl eine cloudbasierte TSE-Lösung präsentierte. Man sei mit solchen Produkten für den Bereich der Gastronomie etc. am Markt und werde in Kürze auch dem Taxigewerbe eine darauf basierende Lösung präsentieren können.

    Die Frage, ob und wann denn auch Wegstreckenzähler TSE-pflichtig würden, deren Antwort viele Teilnehmer mit Spannung erwarteten, blieb in diesem Panel dann leider offen, da es hier ausschließlich um die TSE-Pflicht für das Taxigewerbe gehen sollte.

    #Taxi #Digitalisierung

  • Condamnez-vous le Hamas ? Un Palestinien répond

    « Je condamne ma propre naissance de m’avoir fait naître Palestinien, alors que selon bien des gens la Palestine n’existe pas ». Je souhaite diffuser cet admirable texte d’#Abdel_Fattah_Abu_Srour, en réponse à l’injonction à condamner le #Hamas, après le le 7 octobre.

    –—

    Condamnez-vous le Hamas ? Je me condamne

    Abdel Fattah Abu Srour, directeur du centre Al Rowwad dans le camp de réfugiés d’Aida (près de Bethléem)

    Chers amis,

    J’aimerais remercier tous ceux qui m’ont contacté pour m’assurer de leur solidarité et s’enquérir de moi, de ma famille, de ma communauté et de mon peuple. Je suis infiniment reconnaissant envers ceux qui nous soutiennent dans ces temps si difficiles.

    Les journalistes des medias, les interviewers des télés viennent à nous, pointant le doigt vers nous et nous posant sans cesse la même question : condamnez-vous le terrorisme palestinien ? Condamnez-vous le Hamas ?

    Répondons

    Je me condamne vraiment moi-même, je condamne toute mon existence

    Je condamne ma propre naissance dans un camp de réfugiés dans mon propre pays. Comment est-ce que j’ose être un réfugié et vous charger de remettre en question votre humanité ?

    Je condamne ma propre naissance de m’avoir fait naître Palestinien, alors que selon bien des gens la Palestine n’existe pas

    Je condamne mes parents, qui furent déracinés de leurs villages détruits et me donnèrent naissance dans un camp de réfugiés

    Je condamne toute ma vie, avoir grandi, obtenu une éducation, avoir eu des espoirs et des rêves de devenir un grand biologiste, un grand chercheur qui sauverait des vies…, d’être un peintre extraordinaire, un merveilleux photographe, un écrivain talentueux qui inspirerait le monde entier… Rien de ce que j’ai fait ne m’a fait devenir célèbre

    Je me condamne pour clamer et continuer à clamer que je suis un être humain, que je défend mon humanité et ma dignité ainsi que celles des autres… On dirait que je ne suis qu’un animal humain, ou encore moins… que je suis un extraterrestre imaginant qu’il a une place sur cette terre. Comment est-ce que j’ose même penser que je suis un être humain tout comme vous ?

    Je me condamne pour croire que les valeurs et les droits humains nous incluent, nous les extraterrestres… Comment est-ce que j’ose même penser que nous faisons partie de ces valeurs ?

    Je me condamne pour croire au droit international et aux résolutions de l’ONU et à toutes ces déclarations qui disent que : les peuples sous occupation ont le droit légitime de résister par TOUS LES MOYENS. Comment est-ce que j’ose considérer que nous sommes occupés, même par une entité illégale qui est représentée comme l’unique démocratie du Moyen Orient.

    Je vous demande pardon

    Je me condamne pour parler de cette occupation comme d’une entité. Je lis que ce qui définit un état est d’avoir : une constitution, des frontières définies, et une nationalité. Et puisque ce que vous appelez État d’Israël ne possède pas jusqu’à aujourd’hui de constitution, ni de frontières définies, et bien qu’ ils aient voté la loi de Nationalité c’est un pays uniquement pour les Juifs…

    Mais apparemment vous pouvez vous proclamer État sans aucun de ces critères. Pardonnez s’il vous plaît mon ignorance…

    Que puis-je dire… je suis si ignorant…

    Je croyais qu’une victime de viol avait le droit de se défendre. Mais il semble que je me sois trompé… je n’ai pas compris que l’on doive féliciter le violeur et condamner la victime si ou elle oses résister… que il ou elle prend plaisir au viol et en redemande…

    Je croyais qu’être solidaire avec les opprimés était une attitude juste. Erreur encore car je ne devrais jamais m’identifier aux autres peuples opprimés. Il n’y a qu’une entité opprimée au monde et aucune autre.

    Je devrais féliciter les Israéliens pour opprimer les soi-disant Palestiniens… et leur apprendre qui ils sont et quelle est leur valeur aux yeux de la communauté internationale. Que leurs vies sont égales à zéro.

    Alors

    Monde !

    Je suis vraiment désolé

    Je ne me suis pas rendu compte que j’étais induit en erreur et mal informé

    Devrais-je m’excuser ?

    Je m’excuse profondément

    Monde !

    Toutes mes excuses

    Mes parents m’ont toujours dit que je devais soutenir les opprimés et empêcher les oppresseurs de continuer leur oppression

    Je m’excuse

    On m’a dit que je devais soutenir les méchants Sud-Africains noirs contre le gentil système d’apartheid blanc censé les humaniser

    Je m’excuse

    On m’a dit que je devais soutenir les sauvages Amérindiens contre ces merveilleux colonisateurs blancs arrivés pour les civiliser et les débarrasser du fardeau de leurs terres et de leurs propriétés

    On m’a dit de soutenir les Aborigènes retardés d’Australie contre ces extraordinaires colonisateurs britanniques civilisateurs blancs qui vinrent les instruire

    Je m’excuse

    On m’a dit de soutenir les terroristes vietnamiens contre les très civilisés colonisateurs… Français ou Américains qui savaient comment exploiter les pays colonisés et domestiquer leurs habitants.

    Je m’excuse

    On m’a dit de soutenir les Indiens en Inde, les Irlandais, les Ecossais

    les Sud-Américains

    les Cubains,

    Les Espagnols et les Italiens contre les dictatures et les fascistes

    Les Allemands et les Européens contre les nazis

    Les Arabes contre les colonisations française et britanniques

    Les Palestiniens contre l’occupation britannique et sioniste

    On m’a même dit de soutenir les Ukrainiens contre les Russes

    Mes parents m’ont même parlé des pauvres juifs qui arrivèrent en Palestine dans les années 1900..

    Et dans ce temps-là on avait pitié d’eux et on les aidait avec de la nourriture et plus encore…

    Je m’excuse

    On m’a dit de soutenir la résistance de l’opprimé contre l’oppresseur

    Je ne savais rien du droit international et des droits de l’homme

    Je ne savais pas que tout ceci était faux et que c’est juste un mensonge qui convient à certains et pas à d’autres

    Donc

    Monde,

    Laisse-moi me condamner et m’excuser encore et encore…

    Je me condamne pour être ce que je suis

    Je m’excuse d’être Palestinien… D’être né dans un pays que mes parents appellent Palestine…

    Je m’excuse d’être né dans un camp de réfugiés… Dans mon propre pays. Et de n’avoir pu oublier les villages de mes parents qui furent détruits en octobre 1948

    Je m’excuse de n’avoir ni cheveux blonds ni yeux bleus… Bien que certains de mes cousins aient des cheveux blonds et des yeux bleus ou verts

    Je m’excuse de toujours m’identifier comme Palestinien alors qu’on me dénie cette nationalité

    Je m’excuse d’encore appeler mon pays du nom de Palestine bien qu’il ait été émietté en morceaux disjoints… et je ne peux toujours pas l’oublier

    Je m’excuse de pas pouvoir oublier que je suis encore un réfugié dans mon propre pays

    De ne pas avoir jeté la vieille clé rouillée de la maison de mes parents dans leur village détruit

    Je condamne la revendication obstinée de mon droit à revenir aux villages détruits de mes parents

    Comment est-ce que j’ose faire ça ? Comment tous ces Palestiniens obstinés osent-ils revendiquer leur droit au retour ? Nous sommes si aveugles que nous ne pouvons même pas voir les faits sur le terrain après les 75 années d’existence de la seule démocratie du moyen orient

    Je condamne mes parents qui m’ont élevé selon « Celui qui est consumé par la haine perd son humanité »

    Comment n’ont-ils pas osé m’enseigner la haine ?

    Je condamne tout acte de résistance contre l’injustice et l’oppression, l’occupation. Comment osent les opprimés défier les oppresseurs ?

    Je condamne chaque victime de viol ayant résisté au violeur. Ne peux-tu pas simplement ouvrir les jambes et l’accepter ? Comment oses-tu refuser le plaisir du viol ?

    Je condamne les assassinats de tout système terroriste. Les oppresseurs devraient avoir carte blanche pour continuer leur oppression sans avoir à en rendre compte.

    Je condamne ces Palestiniens et leurs supporters… Pourquoi ne peuvent-ils pas juste se taire et accepter que cette occupation illégale est le seul super pouvoir de la région et que lui résister est un acte raciste.

    Je m’excuse réellement auprès de vous tous de ne pas avoir été capable de coexister avec l’oppression… et de n’avoir pas été capable d’accepter de prendre plaisir à la torture, à l’oppression et à l’humiliation. Certains y prennent plaisir… Pourquoi pas moi ?

    Je m’excuse de ne pas accepter l’exil de mon frère, l’emprisonnement de mes frères, de mes cousins, neveux, voisins, et tant d’autres… Je ne m’étais pas rendu compte que c’était pour leur bien, et qu’ils étaient mieux en prison ou en exil que dehors au soleil…

    Je m’excuse de ma stupidité. Je n’ai pas compris vos droits de l’homme et votre droit international. Je pensais que j’étais comme vous autres, et non pas un animal humain. Je m’excuse de mon ignorance… Je ne comprends même pas comment on peut être un animal humain. Je pensais qu’il y avait des êtres humains, et des animaux, bien que certains de ces animaux soient plus humains que les soi-disant humains…

    je m’excuse, je me suis trompé…

    J’ai vu comment vous souteniez des résistances comme l’Ukraine et acclamiez ces combattants pour la liberté. Et combien héroïques étaient ces enfants entraînés pour résister aux Russes et qui pensaient que c’était normal. Je suis vraiment stupide et je m’excuse de ma stupidité. Je devrais aussi condamner la résistance ukrainienne.

    Je le promets, je fêterais l’apartheid, je célébrerais la violations des valeurs et des droits humains.

    Je louerai tous les oppresseurs et les dictateurs

    Je devrais louer tous les violeurs pour qu’ils continuent leurs viols

    Je devrais louer tous les menteurs et les manipulateurs pour leur distorsions des faits et de la vérité

    Je suis vraiment désolé d’avoir tant échoué… Vraiment désolé de n’avoir pas su comment coexister avec ces doubles critères. Comment coexister avec l’occupation, l’oppression, la déshumanisation et en être heureux ?

    Avez-vous un entraînement spécial ? J’aimerais vous rejoindre. Ou plutôt vous pourriez me rejoindre, porter ma peau et me montrer comment je peux être le gentil animal que vous pourriez domestiquer ?

    Ou devrais-je simplement dire, non merci …

    Je ne peux jamais accepter vos ordres et votre chantage

    Je ne peux jamais accepter que les opprimés s’habituent à l’oppression et coexistent avec l’oppresseur tant que l’oppression durera

    Nous n’oublierons pas… Nous nous souviendrons

    Nous n’oublierons pas le silence, l’hypocrisie, les ordres et le chantage

    Nous n’oublierons pas ceux qui ont élevé la voix et se sont levés pour ce qui est juste

    Nous n’oublierons rien

    Vous pouvez continuer à nous pousser au désespoir et nous continuerons à faire épanouir l’espoir

    Vous pouvez continuer à promouvoir la mort… Nous continuerons à promouvoir la vie

    Vous continuerez à faire le pire… Nous continuerons à faire le meilleur

    https://blogs.mediapart.fr/dominique-natanson/blog/221023/condamnez-vous-le-hamas-un-palestinien-repond
    #condamnation #réponse #7_octobre_2023 #Palestine #Israël #humanité #dignité #excuses #résistance #réfugiés_palestiniens #torture #oppression #humiliation #droit_international #animal_humain #animaux #viol #coexistence #oppression #silence #hypocrisie #chantage #désespoir #espoir #à_lire

  • What learning science underpins #peer_learning for #Global_health?
    https://redasadki.me/2023/10/19/what-learning-science-underpins-peer-learning-for-global-health

    Most significant learning that contributes to improved performance takes place outside of formal training. It occurs through informal and incidental forms of learning between peers. Effective use of peer learning requires realizing how much we can learn from each other (peer learning), experiencing the power of defying distance to solve problems together (remote learning), and feeling a growing sense of belonging to a community (social learning), emergent across country borders and health system levels (networked learning). At the ASTMH annual meeting Symposium organized by Julie Jacobson, two TGLF Alumnae, María Monzón from Argentina and Ruth Allotey from Ghana, will be sharing their analyses and reflections of how they turned peer learning into action, results, and impact. In his (...)

    #Events #digital_learning #global_health #networked_learning #pedagogy #social_learning #TropMed23

  • Les enjeux de la #chefferie de #projets sont immenses dans un monde traversé par la #digitalisation. Je peux témoigner comme professionnel #ERP que la gestion de #projet est un domaine complexe qui comporte défis et enjeux auxquels il n’est pas simple de faire face, en particulier s’adapter à toutes les situations demande beaucoup de qualités personnelles qui ne sont pas données à tous.
    https://michelcampillo.com/blog/7831.html

  • A la “border force” de Gérald Darmanin, l’écologiste #Damien_Carême oppose une #chaîne_de_solidarité

    Communiqué de presse – 29 septembre 2023

    C’est un appel urgent à la #solidarité envers les exilé·es que lance aujourd’hui l’eurodéputé écologiste Damien Carême. Dans la continuité des Maraudes solidaires qu’il initiait à Montgenèvre en 2021, il invite les parlementaires humanistes français·es et européen·nes à le rejoindre sur le terrain à la frontière franco-italienne, de Briançon à Menton, pour créer une chaîne de solidarité. Ensemble, elles et ils se relaieront aux côtés de juristes, avocat·es, acteur·ices et citoyen·nes engagé·es en faveur d’un #accueil_digne et du #respect_des_droits des exilé·es. A la #frontière, où les effectifs des forces de l’ordre ne cessent d’être renforcés, et où les violations du droit sont légion, les élu·es observeront et rendront publiquement compte des pratiques des autorités françaises. Une #mobilisation indispensable pour rappeler le gouvernement aux fondamentaux : #accueil, #solidarité, #respect_du_droit.

    Damien Carême, député européen écologiste et maire solidaire de Grande-Synthe près de Calais jusqu’en 2019, déclare :

    “Les migrations font depuis toujours partie de l’histoire de l’humanité, il y aura toujours des arrivées de personnes exilées en Europe. Les réponses sécuritaires des gouvernements français et européens en réaction à l’arrivée de quelques milliers d’exilé·es sur l’île de Lampedusa, sont extrêmement préoccupantes. C’en est assez de la politique de non accueil prônée par Gérald Darmanin et sa reprise sans honte de la rhétorique nauséabonde de l’extrême-droite ! Nous, solidaires, rappelons que notre devoir, notre mission d’humanité, c’est d’accueillir dignement et inconditionnellement les exilé.es, et de toujours agir dans le respect du droit. C’est aussi la seule solution pour un #apaisement. Notre présence aux côtés des solidaires est indispensable pour montrer aux exilé·es, déjà fragilisé·es par des parcours de vie douloureux et des événements traumatiques, que de nombreux citoyen·nes et élu·es s’opposent à la froideur de la “#border_force” de Monsieur Darmanin pour défendre une politique humaine et fondée sur le droit. Nos #témoignages, en tant que parlementaires, seront cruciaux. Ils compléteront les #observations des acteur·ices de terrain qui, plus que jamais, ont besoin de #visibilité et de #soutien. Notre place est à leurs côtés. La chaîne de la solidarité est lancée.”

    Depuis Lampedusa en Italie, où quelques milliers de chercheur·euses de refuge ont récemment accosté, les parcours d’exil se poursuivent parfois jusqu’à la frontière franco-italienne. Sur place, les associations s’organisent pour répondre aux besoins croissants d’accueil et de solidarité. À cette même frontière, depuis des années, les forces de l’ordre, françaises comme italiennes, interpellent, enferment et refoulent quotidiennement des exilé·es en violation du droit international, européen et français.

    Le 21 septembre, la Cour de Justice de l’Union européenne (CJUE) a d’ailleurs condamné ces pratiques et rappelé le gouvernement français à ses responsabilités. Malgré ce rappel cinglant au respect et à l’application du droit européen, le ministre de l’intérieur Gérald Darmanin continue de militariser les frontières et d’appeler au “tri” des exilé·es selon leur nationalité, des pratiques manifestement contraires au droit européen et au droit d’asile.

    Face aux besoins urgents d’humanité et d’accueil à la frontière, l’opération lancée par Damien Carême appelle les engagé·es solidaires et défenseur·euses des droits fondamentaux à agir ensemble et sans attendre. Pour faire respecter le droit et s’assurer que la France est à la hauteur de ses engagements et de ses responsabilités. La chaîne de la solidarité est lancée.

    Contact presse : Coralie Guillot coralie.guillot@europarl.europa.eu +32.485.145.485.

    En savoir plus :

    · Ces derniers jours, Damien Carême a sollicité par courriers l’ensemble des parlementaires des forces progressistes du Parlement européen, de l’Assemblée nationale et du Sénat pour les appeler à rejoindre cette lutte pour le respect des droits fondamentaux et de la dignité humaine.

    · Les maraudes solidaires : Organisées en 2021 à l’initiative de Damien Carême à l’appel des solidaires, associations et ONG de Montgenèvre, ces opérations de solidarité visaient à dénoncer les atteintes aux droits fondamentaux des personnes exilées et les pressions exercées envers les bénévoles par les forces de l’ordre à la frontière. Plusieurs élu·es se sont mobilisé·es à ses côtés pour protéger les bénévoles et les exilé·es, faire cesser le harcèlement des forces de l’ordre à leur encontre et empêcher les refoulements illégaux.

    – Une situation de crise pour les associations d’accueil des exilé·es à Briançon qui risque de s’amplifier : depuis plusieurs mois, les Terrasses solidaires, lieu d’accueil pour les exilé·es venu·es d’Italie, tirent la sonnette d’alarme. Le lieu est arrivé à l’extrême limite de ses capacités d’accueil : les associations sont débordées et n’arrivent plus à en assurer la gestion dans de bonnes conditions. Dans ce contexte déjà difficile, l’arrivée annoncée de nouvelles personnes exilées en provenance de Lampedusa inquiète les acteur·ices de la société civile, dont les nombreuses alertes n’ont pas entraîné la mise en place de Dispositif d’Hébergement d’Urgence par l’Etat, comme la loi l’impose pourtant.

    – Dans un arrêt du 21 septembre 2023, la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) a confirmé que les pratiques des autorités françaises de contrôle, d’enfermement et d’éloignement des exilé.es aux frontières intérieures depuis près de dix ans sont illégales, et a rappelé la France à ses obligations de respect du droit de l’UE.

    #militarisation_des_frontières #frontières #frontière #Italie #France #frontière_sud-alpine #tri #dignité_humaine #droits_humains #droits_fondamentaux

    –—

    voir aussi ce fil de discussion :
    EU judges slam France’s migrant pushbacks
    https://seenthis.net/messages/1018096

  • #Lampedusa : ’Operational emergency,’ not ’migration crisis’

    Thousands of migrants have arrived on Lampedusa from Africa this week, with the EU at odds over what to do with them. DW reports from the Italian island, where locals are showing compassion as conditions worsen.

    Long lines of migrants and refugees, wearing caps and towels to protect themselves from the blistering September sun, sit flanked on either side of a narrow, rocky lane leading to Contrada Imbriacola, the main migrant reception center on the Italian island of Lampedusa.

    Among them are 16-year-old Abubakar Sheriff and his 10-year old brother, Farde, who fled their home in Sierra Leone and reached Lampedusa by boat from Tunisia.

    “We’ve been on this island for four days, have been sleeping outside and not consumed much food or water. We’ve been living on a couple of biscuits,” Abubakar told DW. “There were 48 people on the boat we arrived in from Tunisia on September 13. It was a scary journey and I saw some other boats capsizing. But we got lucky.”

    Together with thousands of other migrants outside the reception center, they’re waiting to be put into police vans headed to the Italian island’s port. They will then be transferred to Sicily and other parts of Italy for their asylum claims to be processed, as authorities in Lampedusa say they have reached “a tipping point” in migration management.
    Not a ’migration crisis for Italy,’ but an ’operational emergency’

    More than 7,000 migrants arrived in Lampedusa on flimsy boats from Tunisia earlier this week, leading the island’s mayor, Filippo Mannino, to declare a state of emergency and tell local media that while migrants have always been welcomed, this time Lampedusa “is in crisis.”

    In a statement released on Friday, Italian Prime Minister Giorgia Meloni said her government intends to take “immediate extraordinary measures” to deal with the landings. She said this could include a European mission to stop arrivals, “a naval mission if necessary.” But Lampedusa, with a population of just 6,000 and a reception center that has a capacity for only 400 migrants, has more immediate problems.

    Flavio Di Giacomo, spokesperson for the UN’s International Organization for Migration (IOM), told DW that while the new arrivals have been overwhelming for the island, this is not a “migration crisis for Italy.”

    “This is mainly an operational emergency for Lampedusa, because in 2015-2016, at the height of Europe’s migration crisis, only 8% of migrants arrived in Lampedusa. The others were rescued at sea and transported to Sicily to many ports there,” he said. “This year, over 70% of arrivals have been in Lampedusa, with people departing from Tunisia, which is very close to the island.”

    Di Giacomo said the Italian government had failed to prepare Lampedusa over the past few years. “The Italian government had time to increase the reception center’s capacity after it was set up in 2008,” he said. “Migration is nothing new for the country.”
    Why the sudden increase?

    One of Italy’s Pelagie Islands in the Mediterranean, Lampedusa has been the first point of entry to Europe for people fleeing conflict, poverty and war in North Africa and the Middle East for years, due to its geographical proximity to those regions. But the past week’s mass arrival of migrants caught local authorities off guard.

    “We have never seen anything like what we saw on Wednesday,” said a local police officer near the asylum reception center.

    Showing a cellphone video of several small boats crammed with people arriving at the Lampedusa port, he added, “2011 was the last time Lampedusa saw something like this.” When the civil war in Libya broke out in 2011, many people fled to Europe through Italy. At the time, Rome declared a “North Africa emergency.”

    Roberto Forin, regional coordinator for Europe at the Mixed Migration Centre, a research center, said the recent spike in arrivals likely had one main driving factor. “According to our research with refugees and migrants in Tunisia, the interceptions by Tunisian coast guards of boats leaving toward Italy seems to have decreased since the signing of the Memorandum of Understanding in mid-July between the European Union and Tunisia,” he said. “But the commission has not yet disbursed the €100 million ($106.6 million) included in the deal.”

    The EU-Tunisia deal is meant to prevent irregular migration from North Africa and has been welcomed by EU politicians, including Meloni. But rights groups have questioned whether it will protect migrants. Responding to reporters about the delayed disbursement of funds, the European Commission said on Friday that the disbursement was still a “work in progress.”

    IOM’s Giacomo said deals between the EU and North African countries aren’t the answer. “It is a humanitarian emergency right now because migrants are leaving from Tunisia, because many are victims of racial discrimination, assault, and in Libya as well, their rights are being abused,” he said. "Some coming from Tunisia are also saying they are coming to Italy to get medical care because of the economic crisis there.

    “The solution should be to organize more search-and-rescue at sea, to save people and bring them to safety,” he added. “The focus should be on helping Lampedusa save the migrants.”

    A group of young migrants from Mali who were sitting near the migrant reception center, with pink tags on their hands indicating the date of their arrival, had a similar view.

    “We didn’t feel safe in Tunisia,” they told DW. “So we paid around €750 to a smuggler in Sfax, Tunisia, who then gave us a dinghy and told us to control it and cross the sea toward Europe. We got to Italy but we don’t want to stay here. We want to go to France and play football for that country.”
    Are other EU nations helping?

    At a press briefing in Brussels on Wednesday, the European Commission said that 450 staff from Europol, Frontex and the European Union Agency for Asylum have been deployed to the island to assist Italian authorities, and €40 million ($42.6 million) has been provided for transport and other infrastructure needed for to handle the increase in migrant arrivals.

    But Italian authorities have said they’re alone in dealing with the migrants, with Germany restricting Italy from transferring migrants and France tightening its borders with the country.

    Lampedusa Deputy Mayor Attilio Lucia was uncompromising: “The message that has to get through is that Europe has to wake up because the European Union has been absent for 20 years. Today we give this signal: Lampedusa says ’Enough’, the Lampedusians have been suffering for 20 years and we are psychologically destroyed,” he told DW.

    “I understand that this was done mostly for internal politics, whereby governments in France and Germany are afraid of being attacked by far-right parties and therefore preemptively take restrictive measures,” said Forin. “On the other hand, it is a measure of the failure of the EU to mediate a permanent and sustainable mechanism. When solidarity is left to voluntary mechanisms between states there is always a risk that, when the stakes are high, solidarity vanishes.”

    Local help

    As politicians and rights groups argue over the right response, Lampedusa locals like Antonello di Malta and his mother feel helping people should be the heart of any deal.

    On the night more than 7,000 people arrived on the island, di Malta said his mother called him saying some migrants had come to their house begging for food. “I had to go out but I didn’t feel comfortable hearing about them from my mother. So I came home and we started cooking spaghetti for them. There were 10 of them,” he told DW, adding that he was disappointed with how the government was handling the situation.

    “When I saw them I thought about how I would have felt if they were my sons crying and asking for food,” said Antonello’s mother. “So I started cooking for them. We Italians were migrants too. We used to also travel from north to south. So we can’t get scared of people and we need to help.”

    Mohammad still has faith in the Italian locals helping people like him. “I left horrible conditions in Gambia. It is my first time in Europe and local people here have been nice to me, giving me a cracker or sometimes even spaghetti. I don’t know where I will be taken next, but I have not lost hope,” he told DW.

    “I stay strong thinking that one day I will play football for Italy and eventually, my home country Gambia,” he said. “That sport gives me joy through all this hardship.”

    https://www.dw.com/en/lampedusa-operational-emergency-not-migration-crisis/a-66830589

    #débarquements #asile #migrations #réfugiés #Italie #crise #compassion #transferts #urgence_opérationnelle #crise_migratoire #Europol #Frontex #Agence_de_l'Union_européenne_pour_l'asile (#EUEA #EUAA) #solidarité

    ping @isskein @karine4 @_kg_

    • The dance that give life’
      Upon Lampedusa’s rocky shore they came,
      From Sub-Saharan lands, hearts aflame,
      Chasing dreams, fleeing despair,
      In search of a life that’s fair.

      Hunger gnawed, thirst clawed, bodies beat,
      Brutality’s rhythm, a policeman’s merciless feat,
      Yet within their spirits, a melody stirred,
      A refuge in humour where hope’s not deferred.

      Their laughter echoed ’cross the tiny island,
      In music and dance, they made a home,
      In the face of adversity, they sang their songs,
      In unity and rhythm, they proved their wrongs.

      A flood of souls, on Lampedusa’s strand,
      Ignited debates across the land,
      Politicians’ tongues twisted in spite,
      Racist rhetoric veiled as right.

      Yet, the common people, with curious gaze,
      Snared in the web of fear’s daze,
      Chose not to see the human plight,
      But the brainwash of bigotry’s might.

      Yet still, the survivor’s spirit shines bright,
      In the face of inhumanity, they recite,
      Their music, their dance, their undying humour,
      A testament to resilience, amid the rumour and hate.

      For they are not just numbers on a page,
      But humans, life stories, not a stage,
      Their journey not over, their tale still unspun,
      On the horizon, a new day begun.

      Written by @Yambiodavid

      https://twitter.com/RefugeesinLibya/status/1702595772603138331
      #danse #fête

    • L’imbroglio del governo oltre la propaganda

      Le politiche europee e italiane di esternalizzazione dei controlli di frontiera con il coinvolgimento di paesi terzi, ritenuti a torto “sicuri”, sono definitivamente fallite.

      La tragedia umanitaria in corso a Lampedusa, l’ennesima dalle “primavere arabe” del 2011 ad oggi, dimostra che dopo gli accordi di esternalizzazione, con la cessione di motovedette e con il supporto alle attività di intercettazione in mare, in collaborazione con Frontex, come si è fatto con la Tunisia e con la Libia (o con quello che ne rimane come governo di Tripoli), le partenze non diminuiscono affatto, ed anzi, fino a quando il meteo lo permette, sono in continuo aumento.

      Si sono bloccate con i fermi amministrativi le navi umanitarie più grandi, ma questo ha comportato un aumento degli “arrivi autonomi” e l’impossibilità di assegnare porti di sbarco distribuiti nelle città più grandi della Sicilia e della Calabria, come avveniva fino al 2017, prima del Codice di condotta Minniti e dell’attacco politico-giudiziario contro il soccorso civile.

      La caccia “su scala globale” a trafficanti e scafisti si è rivelata l’ennesimo annuncio propagandistico, anche se si dà molta enfasi alla intensificazione dei controlli di polizia e agli arresti di presunti trafficanti ad opera delle autorità di polizia e di guardia costiera degli Stati con i quali l’Italia ha stipulato accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione “clandestina”. Se Salvini ha le prove di una guerra contro l’Italia, deve esibirle, altrimenti pensi al processo di Palermo sul caso Open Arms, per difendersi sui fatti contestati, senza sfruttare il momento per ulteriori sparate propagandistiche.

      Mentre si riaccende lo scontro nella maggioranza, è inutile incolpare l’Unione europea, dopo che la Meloni e Piantedosi hanno vantato di avere imposto un “cambio di passo” nelle politiche migratorie dell’Unione, mente invece hanno solo rafforzato accordi bilaterali già esistenti.

      Le politiche europee e italiane di esternalizzazione dei controlli di frontiera con il coinvolgimento di paesi terzi, ritenuti a torto “sicuri”, sono definitivamente fallite, gli arrivi delle persone che fuggono da aree geografiche sempre più instabili, per non parlare delle devastazioni ambientali, non sono diminuiti per effetto degli accordi bilaterali o multilaterali con i quali si è cercato di offrire aiuti economici in cambio di una maggiore collaborazione sulle attività di polizia per la sorveglianza delle frontiere. Dove peraltro la corruzione, i controlli mortali, se non gli abusi sulle persone migranti, si sono diffusi in maniera esponenziale, senza che alcuna autorità statale si dimostrasse in grado di fare rispettare i diritti fondamentali e le garanzie che dovrebbe assicurare a qualsiasi persona uno Stato democratico quando negozia con un paese terzo. Ed è per questa ragione che gli aiuti previsti dal Memorandum Tunisia-Ue non sono ancora arrivati e il Piano Mattei per l’Africa, sul quale Meloni e Piantedosi hanno investito tutte le loro energie, appare già fallito.

      Di fronte al fallimento sul piano internazionale è prevedibile una ulteriore stretta repressiva. Si attende un nuovo pacchetto sicurezza, contro i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi “sicuri” per i quali, al termine di un sommario esame delle domande di protezione durante le “procedure accelerate in frontiera”, dovrebbero essere previsti “rimpatri veloci”. Come se non fossero certi i dati sul fallimento delle operazioni di espulsione e di rimpatrio di massa.

      Se si vogliono aiutare i paesi colpiti da terremoti e alluvioni, ma anche quelli dilaniati da guerre civili alimentate dalla caccia alle risorse naturali di cui è ricca l’Africa, occorrono visti umanitari, evacuazione dei richiedenti asilo presenti in Libia e Tunisia, ma anche in Niger, e sospensione immediata di tutti gli accordi stipulati per bloccare i migranti in paesi dove non si garantisce il rispetto dei diritti umani. Occorre una politica estera capace di mediare i conflitti e non di aggravarne gli esiti. Vanno aperti canali legali di ingresso senza delegare a paesi terzi improbabili blocchi navali. Per salvare vite, basta con la propaganda elettorale.

      https://ilmanifesto.it/limbroglio-del-governo-oltre-la-propaganda/r/2aUycOowSerL2VxgLCD9N

    • The fall of the Lampedusa Hotspot, people’s freedom and locals’ solidarity

      https://2196af27df.clvaw-cdnwnd.com/1b76f9dfff36cde79df962be70636288/200000912-464e9464ec/DSC09012.webp?ph=2196af27df

      A few weeks ago, the owner of one of the bars in the old port, was talking about human trafficking and money laundering between institutions and NGOs in relation to what had happened during that day. It was the evening of Thursday 24 August and Lampedusa had been touched by yet another ’exceptional’ event: 64 arrivals in one day. Tonight, in that same bar in the old port, a young Tunisian boy was sitting at a table and together with that same owner, albeit in different languages, exchanging life stories.

      What had been shaken in Lampedusa, in addition to the collapse of the Hotspot , is the collapse of the years long segregation system, which had undermined anypotential encounter with newly arrived people. A segregation that also provided fertile ground for conspiracy theories about migration, reducing people on the move to either victims or perpetrators of an alleged ’migration crisis’.

      Over the past two days, however, without police teams in manhunt mode, Lampedusa streets, public spaces, benches and bars, have been filled with encounters, conversations, pizzas and coffees offered by local inhabitants. Without hotspots and segregation mechanisms, Lampedusa becomes a space for enriching encounters and spontaneus acts of solidarity between locals and newly arrived people. Trays of fish ravioli, arancini, pasta, rice and couscous enter the small room next to the church, where volunteers try to guarantee as many meals as possible to people who, taken to the hotspot after disembarkation, had been unable to access food and water for three days. These scenes were unthinkable only a few days before. Since the beginning of the pandemic, which led to the end of the era of the ’hotspot with a hole’, newly-arrived people could not leave the detention centre, and it became almost impossible to imagine an open hotspot, with people walking freely through the city. Last night, 14 September, on Via Roma, groups of people who would never have met last week danced together with joy and complicity.

      These days, practice precedes all rhetoric, and what is happening shows that Lampedusa can be a beautiful island in the Mediterranean Sea rather than a border, that its streets can be a place of welcoming and encounter without a closed centre that stifles any space for self-managed solidarity.

      The problem is not migration but the mechanism used to manage it.

      The situation for the thousands of people who have arrived in recent days remains worrying and precarious. In Contrada Imbriacola, even tonight, people are sleeping on the ground or on cots next to the buses that will take them to the ships for transfers in the morning. Among the people, besides confusion and misinformation, there is a lot of tiredness and fatigue. There are many teenagers and adolescents and many children and pregnant women. There are no showers or sanitary facilities, and people still complain about the inaccessibility of food and water; the competitiveness during food distributions disheartens many because of the tension involved in queuing. The fights that broke out two days ago are an example of this, and since that event most of the workers of all the associations present in the centre have been prevented from entering for reasons of security and guaranteeing their safety.

      If the Red Cross and the Prefecture do not want to admit their responsibilities, these are blatant before our eyes and it is not only the images of 7000 people that prove this, but the way situations are handled due to an absolute lack of personnel and, above all, confusion at organisational moments.

      https://2196af27df.clvaw-cdnwnd.com/1b76f9dfff36cde79df962be70636288/200000932-250b0250b2/DSC08952-8.webp?ph=2196af27df

      A police commissioner tried unsuccessfully to get only a few people into the bus. The number and determination to leave of the newly arrived people is reformulating the very functioning of the transfers.

      A police commissioner tried unsuccessfully to get only a few people into the bus. The number and determination to leave of the newly arrived people is reformulating the very functioning of the transfers.

      During transfers yesterday morning, the carabinieri charged to move people crowded around a departing bus. The latter, at the cost of moving, performed a manoeuvre that squeezed the crowd against a low wall, creating an extremely dangerous situation ( video). All the people who had been standing in line for hours had to move chaotically, creating a commotion from which a brawl began in which at least one person split his eyebrow. Shortly before, one of the police commissioners had tried something different by creating a human caterpillar - people standing in line with their hands on their shoulders - in order to lead them into a bus, but once the doors were opened, other people pounced into it literally jamming it (photo). In other words, people are trudging along at the cost of others’ psycho-physical health.

      In yesterday evening’s transfer on 14 September (photo series with explanation), 300 people remained at the commercial dock from the morning to enter the Galaxy ship at nine o’clock in the evening. Against these 300 people, just as many arrived from the hotspot to board the ship or at least to try to do so.

      The tension, especially among those in control, was palpable; the marshals who remained on the island - the four patrols of the police force were all engaged for the day’s transfers - ’lined up’ between one group and another with the aim of avoiding any attempt to jump on the ship. In reality, people, including teenagers and families with children, hoped until the end to board the ship. No one told them otherwise until all 300 people passed through the only door left open to access the commercial pier. These people were promised that they would leave the next day. Meanwhile, other people from the hotspot have moved to the commercial pier and are spending the night there.

      People are demanding to leave and move freely. Obstructing rather than supporting this freedom of movement will lead people and territories back to the same impasses they have regularly experienced in recent years. The hotspot has collapsed, but other forms of borders remain that obstruct something as simple as personal self-determination. Forcing is the source of all problems, not freedom.

      Against all forms of borders, for freedom of movement for all.

      https://www.maldusa.org/l/the-fall-of-the-lampedusa-hotspot-people-s-freedom-and-locals-solidarity

      –-
      #Video: Lampedusa on the 14th September

      –-> https://vimeo.com/864806349

      –-

      #Lampedusa #hotspot #soilidarity #Maldusa

    • Lampedusa’s Hotspot System: From Failure to Nonexistence

      After a few days of bad weather, with the return of calm seas, people on the move again started to leave and cross the Mediterranean from Tunisia and Libya.

      During the day of 12 September alone, 110 iron, wooden and rubber boats arrived. 110 small boats, for about 5000 people in twenty-four hours. Well over the ’record’ of 60 that had astonished many a few weeks ago. Numbers not seen for years, and which add up to the approximately 120,000 people who have reached Italy since January 2023 alone: already 15,000 more than the entire year 2022.

      It has been a tense few days at the Favaloro pier, where people have been crowded for dozens of hours under the scorching sun.

      Some, having passed the gates and some rocks, jumped into the water in an attempt to find some coolness, reaching some boats at anchor and asking for water to drink.

      It pains and angers us that the police in riot gear are the only real response that seems to have been given.

      On the other hand, hundreds of people, who have arrived in the last two days on the Lampedusa coast, are walking through the streets of the town, crossing and finally reclaiming public space. The hotspot, which could accommodate 389, in front of 7000 people, has simply blown up. That is, it has opened.

      The square in front of the church was transformed, as it was years ago, into a meeting place where locals organised the distribution of food they had prepared, thanks also to the solidarity of bakers and restaurateurs who provided what they could.

      A strong and fast wave of solidarity: it seems incredible to see people on the move again, sharing space, moments and words with Lampedusians, activists from various organisations and tourists. Of course, there is also no shortage of sad and embarrassing situations, in which some tourists - perhaps secretly eager to meet ’the illegal immigrants’ - took pictures of themselves capturing these normally invisible and segregated chimeras.

      In fact, all these people would normally never meet, kept separate and segregated by the hotspot system.

      But these days a hotspot system seems to no longer exist, or to have completely broken down, in Lampedusa. It has literally been occupied by people on the move, sleeping inside and outside the centre, on the road leading from the entrance gate to the large car park, and in the abandoned huts around, and in every nook and cranny.

      Basic goods, such as water and food, are not enough. Due to the high number of people, there is a structural lack of distribution even of the goods that are present, and tensions seem to mount slowly but steadily.

      The Red Cross and workers from other organisations have been prevented from entering the hotspot centre for ’security reasons’ since yesterday morning. This seems an overwhelming situation for everyone. The pre-identification procedures, of course, are completely blown.

      Breaking out of this stalemate it’s very complex due to the continuous flow of arrivals : for today, as many as 2000 people are expected to be transferred between regular ships and military assets. For tomorrow another 2300 or so. Of course, it remains unpredictable how many people will continue to reach the island at the same time.

      In reaction to all this, we are not surprised, but again disappointed, that the city council is declaring a state of emergency still based on the rhetoric of ’invasion’.

      A day of city mourning has also been declared for the death of a 5-month-old baby, who did not survive the crossing and was found two days ago during a rescue.

      We are comforted, however, that a torchlight procession has been called by Lampedusians for tonight at 8pm. Banners read: ’STOP DEAD AT SEA’, ’LEGAL ENTRANCE CHANNELS NOW’.

      The Red Cross, Questura and Prefecture, on the other hand, oscillate between denying the problem - ’we are handling everything pretty well’ - to shouting at the invasion.

      It is not surprising either, but remains a disgrace, that the French government responds by announcing tighter border controls and that the German government announces in these very days - even though the decision stems from agreements already discussed in August regarding the Dublin Convention - that it will suspend the taking in of any refugee who falls under the so-called ’European solidarity mechanism’.

      We are facing a new level of breaking down the European borders and border regime by people on the move in the central Mediterranean area.

      We stand in full solidarity with them and wish them safe arrival in their destination cities.

      But let us remember: every day they continue to die at sea, which proves to be the deadliest border in the world. And this stems from a political choice, which remains intolerable and unacceptable.

      Freedom of movement must be a right for all!

      https://www.maldusa.org/l/lampedusas-hotspot-system-from-failure-to-nonexistence

    • « L’effet Lampedusa », ou comment se fabriquent des politiques migratoires répressives

      En concentrant les migrants dans des hotspots souvent situés sur de petites îles, les Etats européens installent une gestion inhumaine et inefficace des migrations, contradictoire avec certains de leurs objectifs, soulignent les chercheuses #Marie_Bassi et #Camille_Schmoll.

      Depuis quelques jours, la petite île de Lampedusa en Sicile a vu débarquer sur son territoire plus de migrants que son nombre d’habitants. Et comme à chacun de ces épisodes d’urgence migratoire en Europe, des représentants politiques partent en #croisade : pour accroître leur capital électoral, ils utilisent une #rhétorique_guerrière tandis que les annonces de #fermeture_des_frontières se succèdent. Les #élections_européennes approchent, c’est pour eux l’occasion de doubler par la droite de potentiels concurrents.

      Au-delà du cynisme des #opportunismes_politiques, que nous dit l’épisode Lampedusa ? Une fois de plus, que les #politiques_migratoires mises en place par les Etats européens depuis une trentaine d’années, et de manière accélérée depuis 2015, ont contribué à créer les conditions d’une #tragédie_humanitaire. Nous avons fermé les #voies_légales d’accès au territoire européen, contraignant des millions d’exilés à emprunter la périlleuse route maritime. Nous avons laissé les divers gouvernements italiens criminaliser les ONG qui portent secours aux bateaux en détresse, augmentant le degré de létalité de la traversée maritime. Nous avons collaboré avec des gouvernements irrespectueux des droits des migrants : en premier lieu la Libye, que nous avons armée et financée pour enfermer et violenter les populations migrantes afin de les empêcher de rejoindre l’Europe.

      L’épisode Lampedusa n’est donc pas simplement un drame humain : c’est aussi le symptôme d’une politique migratoire de courte vue, qui ne comprend pas qu’elle contribue à créer les conditions de ce qu’elle souhaite éviter, en renforçant l’instabilité et la violence dans les régions de départ ou de transit, et en enrichissant les réseaux criminels de trafic d’êtres humains qu’elle prétend combattre.

      Crise de l’accueil, et non crise migratoire

      Revenons d’abord sur ce que l’on peut appeler l’effet hotspot. On a assisté ces derniers mois à une augmentation importante des traversées de la Méditerranée centrale vers l’Italie, si bien que l’année 2023 pourrait, si la tendance se confirme, se hisser au niveau des années 2016 et 2017 qui avaient battu des records en termes de traversées dans cette zone. C’est bien entendu cette augmentation des départs qui a provoqué la surcharge actuelle de Lampedusa, et la situation de crise que l’on observe.

      Mais en réalité, les épisodes d’urgence se succèdent à Lampedusa depuis que l’île est devenue, au début des années 2000, le principal lieu de débarquement des migrants dans le canal de Sicile. Leur interception et leur confinement dans le hotspot de cette île exiguë de 20 km² renforce la #visibilité du phénomène, et crée un #effet_d’urgence et d’#invasion qui justifie une gestion inhumaine des arrivées. Ce fut déjà le cas en 2011 au moment des printemps arabes, lorsque plus de 60 000 personnes y avaient débarqué en quelques mois. Le gouvernement italien avait stoppé les transferts vers la Sicile, créant volontairement une situation d’#engorgement et de #crise_humanitaire. Les images du centre surpeuplé, de migrants harassés dormant dans la rue et protestant contre cet accueil indigne avaient largement été diffusées par les médias. Elles avaient permis au gouvernement italien d’instaurer un énième #état_d’urgence et de légitimer de nouvelles #politiques_répressives.

      Si l’on fait le tour des hotspots européens, force est de constater la répétition de ces situations, et donc l’échec de la #concentration dans quelques points stratégiques, le plus souvent des #îles du sud de l’Europe. L’#effet_Lampedusa est le même que l’effet #Chios ou l’effet #Moria#Lesbos) : ces #îles-frontières concentrent à elles seules, parce qu’elles sont exiguës, toutes les caractéristiques d’une gestion inhumaine et inefficace des migrations. Pensée en 2015 au niveau communautaire mais appliquée depuis longtemps dans certains pays, cette politique n’est pas parvenue à une gestion plus rationnelle des flux d’arrivées. Elle a en revanche fait peser sur des espaces périphériques et minuscules une énorme responsabilité humaine et une lourde charge financière. Des personnes traumatisées, des survivants, des enfants de plus en plus jeunes, sont accueillis dans des conditions indignes. Crise de l’accueil et non crise migratoire comme l’ont déjà montré de nombreuses personnes.

      Changer de paradigme

      Autre #myopie européenne : considérer qu’on peut, en collaborant avec les Etats de transit et de départ, endiguer les flux. Cette politique, au-delà de la vulnérabilité qu’elle crée vis-à-vis d’Etats qui peuvent user du chantage migratoire à tout moment – ce dont Kadhafi et Erdogan ne s’étaient pas privés – génère les conditions mêmes du départ des personnes en question. Car l’#externalisation dégrade la situation des migrants dans ces pays, y compris ceux qui voudraient y rester. En renforçant la criminalisation de la migration, l’externalisation renforce leur #désir_de_fuite. Depuis de nombreuses années, migrantes et migrants fuient les prisons et la torture libyennes ; ou depuis quelques mois, la violence d’un pouvoir tunisien en plein tournant autoritaire qui les érige en boucs émissaires. L’accord entre l’UE et la Tunisie, un énième du genre qui conditionne l’aide financière à la lutte contre l’immigration, renforce cette dynamique, avec les épisodes tragiques de cet été, à la frontière tuniso-libyenne.

      Lampedusa nous apprend qu’il est nécessaire de changer de #paradigme, tant les solutions proposées par les Etats européens (externalisation, #dissuasion, #criminalisation_des_migrations et de leurs soutiens) ont révélé au mieux leur #inefficacité, au pire leur caractère létal. Ils contribuent notamment à asseoir des régimes autoritaires et des pratiques violentes vis-à-vis des migrants. Et à transformer des êtres humains en sujets humanitaires.

      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/leffet-lampedusa-ou-comment-se-fabriquent-des-politiques-migratoires-repr

    • Pour remettre les pendules à l’heure :

      Saluti dal Paese del “fenomeno palesemente fuori controllo”.


      https://twitter.com/emmevilla/status/1703458756728610987

      Et aussi :

      « Les interceptions des migrants aux frontières représentent 1 à 3% des personnes autorisées à entrer avec un visa dans l’espace Schengen »

      Source : Babels, « Méditerranée – Des frontières à la dérive », https://www.lepassagerclandestin.fr/catalogue/bibliotheque-des-frontieres/mediterraneedes-frontieres-a-la-derive

      #statistiques #chiffres #étrangers #Italie

    • Arrivées à Lampedusa - #Solidarité et #résistance face à la crise de l’accueil en Europe.

      Suite à l’arrivée d’un nombre record de personnes migrantes à Lampedusa, la société civile exprime sa profonde inquiétude face à la réponse sécuritaire des Etats européens, la crise de l’accueil et réaffirme sa solidarité avec les personnes qui arrivent en Europe.

      Plus de 5 000 personnes et 112 bateaux : c’est le nombre d’arrivées enregistrées sur l’île italienne de Lampedusa le mardi 12 septembre. Les embarcations, dont la plupart sont arrivées de manière autonome, sont parties de Tunisie ou de Libye. Au total, plus de 118 500 personnes ont atteint les côtes italiennes depuis le début de l’année, soit près du double des 64 529 enregistrées à la même période en 2022 [1]. L’accumulation des chiffres ne nous fait pas oublier que, derrière chaque numéro, il y a un être humain, une histoire individuelle et que des personnes perdent encore la vie en essayant de rejoindre l’Europe.

      Si Lampedusa est depuis longtemps une destination pour les bateaux de centaines de personnes cherchant refuge en Europe, les infrastructures d’accueil de l’île font défaut. Mardi, le sauvetage chaotique d’un bateau a causé la mort d’un bébé de 5 mois. Celui-ci est tombé à l’eau et s’est immédiatement noyé, alors que des dizaines de bateaux continuaient d’accoster dans le port commercial. Pendant plusieurs heures, des centaines de personnes sont restées bloquées sur la jetée, sans eau ni nourriture, avant d’être transférées vers le hotspot de Lampedusa.

      Le hotspot, centre de triage où les personnes nouvellement arrivées sont tenues à l’écart de la population locale et pré-identifiées avant d’être transférées sur le continent, avec ses 389 places, n’a absolument pas la capacité d’accueillir dignement les personnes qui arrivent quotidiennement sur l’île. Depuis mardi, le personnel du centre est complètement débordé par la présence de 6 000 personnes. La Croix-Rouge et le personnel d’autres organisations ont été empêchés d’entrer dans le centre pour des « raisons de sécurité ».

      Jeudi matin, de nombreuses personnes ont commencé à s’échapper du hotspot en sautant les clôtures en raison des conditions inhumaines dans lesquelles elles y étaient détenues. Face à l’incapacité des autorités italiennes à offrir un accueil digne, la solidarité locale a pris le relais. De nombreux habitants et habitantes se sont mobilisés pour organiser des distributions de nourriture aux personnes réfugiées dans la ville [2].

      Différentes organisations dénoncent également la crise politique qui sévit en Tunisie et l’urgence humanitaire dans la ville de Sfax, d’où partent la plupart des bateaux pour l’Italie. Actuellement, environ 500 personnes dorment sur la place Beb Jebli et n’ont pratiquement aucun accès à la nourriture ou à une assistance médicale [3]. La plupart d’entre elles ont été contraintes de fuir le Soudan, l’Éthiopie, la Somalie, le Tchad, l’Érythrée ou le Niger. Depuis les déclarations racistes du président tunisien, Kais Saied, de nombreuses personnes migrantes ont été expulsées de leur domicile et ont perdu leur travail [4]. D’autres ont été déportées dans le désert où certaines sont mortes de soif.

      Alors que ces déportations massives se poursuivent et que la situation à Sfax continue de se détériorer, l’UE a conclu un nouvel accord avec le gouvernement tunisien il y a trois mois afin de coopérer « plus efficacement en matière de migration », de gestion des frontières et de « lutte contre la contrebande », au moyen d’une enveloppe de plus de 100 millions d’euros. L’UE a accepté ce nouvel accord en pleine connaissance des atrocités commises par le gouvernement tunisien ainsi que les attaques perpétrées par les garde-côtes tunisiens sur les bateaux de migrants [5].

      Pendant ce temps, nous observons avec inquiétude comment les différents gouvernements européens ferment leurs frontières et continuent de violer le droit d’asile et les droits humains les plus fondamentaux. Alors que le ministre français de l’Intérieur a annoncé son intention de renforcer les contrôles à la frontière italienne, plusieurs autres États membres de l’UE ont également déclaré qu’ils fermeraient leurs portes. En août, les autorités allemandes ont décidé d’arrêter les processus de relocalisation des demandeurs et demandeuses d’asile arrivant en Allemagne depuis l’Italie dans le cadre du « mécanisme de solidarité volontaire » [6].

      Invitée à Lampedusa dimanche par la première ministre Meloni, la Présidente de la Commission européenne Von der Leyen a annoncé la mise en place d’un plan d’action en 10 points qui vient confirmer cette réponse ultra-sécuritaire [7]. Renforcer les contrôles en mer au détriment de l’obligation de sauvetage, augmenter la cadence des expulsions et accroître le processus d’externalisation des frontières… autant de vieilles recettes que l’Union européenne met en place depuis des dizaines années et qui ont prouvé leur échec, ne faisant qu’aggraver la crise de la solidarité et la situation des personnes migrantes.

      Les organisations soussignées appellent à une Europe ouverte et accueillante et exhortent les États membres de l’UE à fournir des voies d’accès sûres et légales ainsi que des conditions d’accueil dignes. Nous demandons que des mesures urgentes soient prises à Lampedusa et que les lois internationales qui protègent le droit d’asile soient respectées. Nous sommes dévastés par les décès continus en mer causés par les politiques frontalières de l’UE et réaffirmons notre solidarité avec les personnes en mouvement.

      https://migreurop.org/article3203.html?lang_article=fr

    • Che cos’è una crisi migratoria?

      Continuare a considerare il fenomeno migratorio come crisi ci allontana sempre più dalla sua comprensione, mantenendoci ancorati a soluzioni emergenziali che non possono che risultare strumentali e pericolose
      Le immagini della fila di piccole imbarcazioni in attesa di fare ingresso nel porto di Lampedusa resteranno impresse nella nostra memoria collettiva. Oltre cinquemila persone in sole ventiquattrore, che si aggiungono alle oltre centomila giunte in Italia nei mesi precedenti (114.256 al 31 agosto 2023). Nel solo mese di agosto sono sbarcate in Italia più di venticinquemila persone, che si aggiungono alle oltre ventitremila di luglio. Era del resto in previsione di una lunga estate di sbarchi che il Governo aveva in aprile dichiarato lo stato di emergenza, in un momento in cui, secondo i dati forniti dal ministro Piantedosi, nella sola Lampedusa erano concentrate più di tremila persone. Stando alle dichiarazioni ufficiali, l’esigenza era quella di dotarsi degli strumenti tecnici per distribuire più efficacemente chi era in arrivo sul territorio italiano, in strutture gestite dalla Protezione civile, aggirando le ordinarie procedure d’appalto per l’apertura di nuove strutture di accoglienza.

      Tra il 2017 e il 2022, in parallelo con la riduzione del numero di sbarchi, il sistema d’accoglienza per richiedenti protezione internazionale era stato progressivamente contratto, perdendo circa il 240% della sua capacità ricettiva. Gli interventi dei primi mesi del 2023 sembravano tuttavia volerne rivoluzionare la fisionomia. Il cosiddetto “Decreto Cutro” escludeva i richiedenti asilo dalla possibilità di accedere alle strutture di accoglienza che fanno capo alla rete Sai (Sistema accoglienza migrazione), che a fine 2022 vantava una capacità di quasi venticinquemila posti, per riservare loro strutture come i grandi Centri di prima accoglienza o di accoglienza straordinaria, in cui sempre meno servizi alla persona sarebbero stati offerti. Per i richiedenti provenienti dai Paesi considerati “sicuri”, invece, la prospettiva era quella del confinamento in strutture situate nei pressi delle zone di frontiera in attesa dell’esito della procedura d’asilo accelerata e, eventualmente, del rimpatrio immediato.

      L’impennata nel numero di arrivi registrata negli ultimi giorni ha infine indotto il presidente del Consiglio ad annunciare con un videomessaggio trasmesso all’ora di cena nuove misure eccezionali. In particolare, sarà affidato all’Esercito il compito di creare e gestire nuove strutture detentive in cui trattenere “chiunque entri illegalmente in Italia per tutto il tempo necessario alla definizione della sue eventuale richiesta d’asilo e per la sua effettiva espulsione nel caso in cui sia irregolare”, da collocarsi “in località a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili”. Parallelamente, anche i termini massimi di detenzione saranno innalzati fino a diciotto mesi.

      Ciò di cui nessuno sembra dubitare è che l’Italia si trovi a fronteggiare l’ennesima crisi migratoria. Ma esattamente, di cosa si parla quando si usa la parola “crisi” in relazione ai fenomeni migratori?

      Certo c’è la realtà empirica dei movimenti attraverso le frontiere. Oltre centomila arrivi in otto mesi giustificano forse il riferimento al concetto di crisi, ma a ben vedere non sono i numeri il fattore determinante. Alcune situazioni sono state definite come critiche anche in presenza di numeri tutto sommato limitati, per ragioni essenzialmente politico-diplomatiche. Si pensi alla crisi al confine greco-turco nel 2020, o ancora alla crisi ai confini di Polonia e Lituania con la Bielorussia nel 2021. In altri casi il movimento delle persone attraverso i confini non è stato tematizzato come una crisi anche a fronte di numeri molto elevati, si pensi all’accoglienza riservata ai profughi ucraini. Sebbene siano stati attivati strumenti di risposta eccezionali, il loro orientamento è stato prevalentemente umanitario e volto all’accoglienza. L’Italia, ad esempio, ha sì decretato uno stato d’emergenza per implementare un piano di accoglienza straordinaria dei profughi provenienti dall’Ucraina, ma ha offerto accoglienza agli oltre centosettantamila ucraini presenti sul nostro territorio senza pretendere di confinarli in centri chiusi, concedendo inoltre loro un sussidio in denaro.

      Ciò che conta è la rappresentazione del fenomeno migratorio e la risposta politica che di conseguenza segue. Le rappresentazioni e le politiche si alimentano reciprocamente. In breve, non tutti i fenomeni migratori sono interpretati come una crisi, né, quando lo sono, determinano la medesima risposta emergenziale. Ad esempio, all’indomani della tragedia di Lampedusa del 2013 prevalse un paradigma interpretativo chiaramente umanitario, che portò all’intensificazione delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Nel 2014 sbarcarono in Italia oltre centosettantamila migranti, centocinquantamila nel 2015 e ben centottantamila nel 2016. Questo tipo di approccio è stato in seguito definito come un pericoloso fattore di attrazione per le migrazioni non autorizzate e l’area operativa delle missioni di sorveglianza dei confini marittimi progressivamente arretrata, creando quel vuoto nelle attività di ricerca e soccorso che le navi delle Ong hanno cercato negli ultimi anni di colmare.

      Gli arrivi a Lampedusa degli ultimi giorni sono in gran parte l’effetto della riduzione dell’attività di sorveglianza oltre le acque territoriali. Intercettare i migranti in acque internazionali implica l’assunzione di obblighi e ricerca e soccorso che l’attuale governo accetta con una certa riluttanza, ma consente anche di far sbarcare i migranti soccorsi in mare anche in altri porti, evitando eccessive concentrazioni in un unico punto di sbarco.

      I migranti che raggiungono le nostre coste sono rappresentati come invasori, che violando i nostri confini minacciano la nostra integrità territoriale. L’appello insistito all’intervento delle forze armate che abbiamo ascoltato negli ultimi giorni si giustifica proprio attraverso il riferimento alla necessità di proteggere i confini e, in ultima analisi, l’integrità territoriale dell’Italia. Per quanto le immagini di migliaia di persone che sbarcano sulle coste italiane possano impressionare l’opinione pubblica, il riferimento alla necessità di proteggere l’integrità territoriale è frutto di un grave equivoco. Il principio di integrità territoriale è infatti codificato nel diritto internazionale come un corollario del divieto di uso della forza. Da ciò discende che l’integrità territoriale di uno Stato può essere minacciata solo da un’azione militare ostile condotta da forze regolari o irregolari. È dubbio che le migrazioni possano essere considerate una minaccia tale da giustificare, ad esempio, un blocco navale.

      Se i migranti non possono di per sé essere considerati come una minaccia alla integrità territoriale dello Stato, potrebbero però essere utilizzati come strumento da parte di attori politici intenzionati a destabilizzare politicamente i Paesi di destinazione. Non è mancato negli ultimi tempi chi ha occasionalmente evocato l’idea della strumentalizzazione delle migrazioni, fino alla recente, plateale dichiarazione del ministro Salvini. D’altra parte, questo è un tema caro ai Paesi dell’Est Europa, che hanno spinto affinché molte delle misure eccezionali adottate da loro in occasione della crisi del 2021 fossero infine incorporate nel diritto della Ue. Una parte del governo italiano sembra tuttavia più cauta, anche perché si continua a vedere nella collaborazione con i Paesi terzi la chiave di volta per la gestione del fenomeno. Accusare esplicitamente la Tunisia di strumentalizzare le migrazioni avrebbe costi politico-diplomatici troppo elevati.

      Cionondimeno, insistendo sull’elemento del rischio di destabilizzazione interna, plasticamente rappresentato dalle immagini delle migliaia di persone ammassate sul molo o nell’hotspot di Lampedusa, il governo propone una risposta politica molto simile all’approccio utilizzato da Polonia e Lituania nel 2021, centrato su respingimenti di massa e detenzione nelle zone di frontiera. L’obiettivo è quello di disincentivare i potenziali futuri migranti, paventando loro lunghi periodi di detenzione e il ritorno nella loro patria di origine.

      Gran parte di questa strategia dipende dalla collaborazione dei Paesi terzi e dalla loro disponibilità a bloccare le partenze prima che i migranti siano intercettati da autorità Italiane, facendo di conseguenza scattare gli obblighi internazionali di ricerca e soccorso o di asilo. Una strategia simile, definita come del controllo senza contatto, è stata seguita a lungo nella cooperazione con la Guardia costiera libica. Tuttavia, è proprio il tentativo di esternalizzare i controlli migratori a rendere i Paesi della Ue sempre più vulnerabili alla spregiudicata diplomazia delle migrazioni dei Paesi terzi. In definitiva, sono i Paesi europei che offrono loro la possibilità di strumentalizzare le migrazioni a scopi politici.

      Sul piano interno, il successo di una simile strategia dipende dalla capacità di rimpatriare rapidamente i migranti giunti sul territorio italiano. Alla fine del 2021 la percentuale di rimpatri che l’Italia riusciva ad eseguire era del 15% dei provvedimenti di allontanamento adottati. Gran parte delle persone rimpatriate sono tuttavia cittadini tunisini, anche perché in assenza di collaborazione con il Paese d’origine è impossibile rimpatriare. I tunisini rappresentano solo l’8% delle persone sbarcate nel 2023, che vengono in prevalenza da Guinea, Costa d’Avorio, Egitto, Bangladesh, Burkina Faso. L’allungamento dei tempi di detenzione non avrà dunque nessuna incidenza sulla efficacia delle politiche di rimpatrio.

      Uno degli argomenti utilizzati per giustificare l’intervento dell’Esercito è quello della necessità di accrescere la capacità del sistema detentivo, giudicata dal Governo non adeguata a gestire l’attuale crisi migratoria. Stando ai dati inclusi nella relazione sul sistema di accoglienza, alla fine del 2021 il sistema contava 744 posti, a fronte di una capacità ufficiale di 1.395. Come suggerisce la medesima relazione, il sistema funziona da sempre a capacità ridotta, anche perché le strutture sono soggette a ripetuti interventi di manutenzione straordinaria a causa delle devastazioni che seguono alle continue rivolte. Si tratta di strutture ai limiti dell’ingestibilità, che possono essere governate solo esercitando una forma sistemica di violenza istituzionale.

      Il sistema detentivo per stranieri sta tuttavia cambiando pelle progressivamente, ibridandosi con il sistema di accoglienza per richiedenti asilo al fine di contenere i migranti appena giunti via mare in attesa del loro più o meno rapido respingimento. Fino ad oggi, tuttavia, la detenzione ha continuato ad essere utilizzata in maniera più o meno selettiva, riservandola a coloro con ragionevoli prospettive di essere rimpatriati in tempi rapidi. Gli altri sono stati instradati verso il sistema di accoglienza, qualora avessero presentato una domanda d’asilo, o abbandonai al loro destino con in mano un ordine di lasciare l’Italia entro sette giorni.

      Le conseguenze di una politica basata sulla detenzione sistematica e a lungo termine di tutti coloro che giungono alla frontiera sono facili da immaginare. Se l’Italia si limitasse a trattenere per una media di sei mesi (si ricordi che l’intenzione espressa in questi giorni dal Governo italiano è di portare a diciotto mesi i termini massimi di detenzione) anche solo il 50% delle persone che sbarcano, significherebbe approntare un sistema detentivo con una capacità di trentottomila posti. Certo, questo calcolo si basa sulla media mensile degli arrivi registrati nel 2023, un anno di “crisi” appunto. Ma anche tenendo conto della media mensile degli arrivi dei due anni precedenti la prospettiva non sarebbe confortante. Il nostro Paese dovrebbe infatti essere in grado di mantenere una infrastruttura detentiva da ventimila posti. Una simile infrastruttura, dato l’andamento oscillatorio degli arrivi via mare, dovrebbe essere poi potenziata al bisogno per far fronte alle necessità delle fasi in cui il numero di sbarchi cresce.

      Lascio al lettore trarre le conseguenze circa l’impatto materiale e umano che una simile approccio alla gestione degli arrivi avrebbe. Mi limito qui solo ad alcune considerazioni finali sulla maniera in cui sono tematizzate le cosiddette crisi migratorie. Tali crisi continuano ad essere viste come il frutto della carenza di controlli e della incapacità dello Stato di esercitare il suo diritto sovrano di controllare le frontiere. La risposta alle crisi migratorie è dunque sempre identica a sé stessa, alla ricerca di una impossibile chiusura dei confini che riproduce sempre nuove crisi, nuovi morti in mare, nuova violenza di Stato lungo le frontiere fortificate o nelle zone di contenimento militarizzate. Guardare alle migrazioni attraverso la lente del concetto di “crisi” induce tuttavia a pensare le migrazioni come a qualcosa di eccezionale, come a un’anomalia causata da instabilità e catastrofi che si verificano in un altrove geografico e politico. Le migrazioni sono così destoricizzate e decontestualizzate dalle loro cause strutturali e i Paesi di destinazione condannati a replicare politiche destinate a fallire poiché appunto promettono risultati irraggiungibili. Più che insistere ossessivamente sulla rappresentazione delle migrazioni come crisi, si dovrebbe dunque forse cominciare a tematizzare la crisi delle politiche migratorie. Una crisi più profonda e strutturale che non può essere ridotta alle polemiche scatenate dai periodici aumenti nel numero di sbarchi.

      https://www.rivistailmulino.it/a/che-cos-una-crisi-migratoria

    • Spiegazione semplice del perché #Lampedusa va in emergenza.

      2015-2017: 150.000 sbarchi l’anno, di cui 14.000 a Lampedusa (9%).

      Ultimi 12 mesi: 157.000 sbarchi, di cui 104.000 a Lampedusa (66%).

      Soluzione: aumentare soccorsi a #migranti, velocizzare i trasferimenti.
      Fine.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1704751278184685635

    • Interview de M. #Gérald_Darmanin, ministre de l’intérieur et des outre-mer, à Europe 1/CNews le 18 septembre 2023, sur la question migratoire et le travail des forces de l’ordre.

      SONIA MABROUK
      Bonjour à vous Gérald DARMANIN.

      GERALD DARMANIN
      Bonjour.

      SONIA MABROUK
      Merci de nous accorder cet entretien, avant votre déplacement cet après-midi à Rome. Lampedusa, Monsieur le Ministre, débordé par l’afflux de milliers de migrants. La présidente de la Commission européenne, Ursula VON DER LEYEN, en visite sur place, a appelé les pays européens à accueillir une partie de ces migrants arrivés en Italie. Est-ce que la France s’apprête à le faire, et si oui, pour combien de migrants ?

      GERALD DARMANIN
      Alors, non, la France ne s’apprête pas à le faire, la France, comme l’a dit le président de la République la Première ministre italienne, va aider l’Italie à tenir sa frontière, pour empêcher les gens d’arriver, et pour ceux qui sont arrivés en Italie, à Lampedusa et dans le reste de l’Italie, nous devons appliquer les règles européennes, que nous avons adoptées voilà quelques mois, qui consistent à faire les demandes d’asile à la frontière. Et donc une fois que l’on fait les demandes d’asile à la frontière, on constate qu’une grande partie de ces demandeurs d’asile ne sont pas éligibles à l’asile et doivent repartir immédiatement dans les pays d’origine. S’il y a des demandeurs d’asile, qui sont éligibles à l’asile, qui sont persécutés pour des raisons évidemment politiques, bien sûr, ce sont des réfugiés, et dans ces cas-là, la France comme d’autres pays, comme elle l’a toujours fait, peut accueillir des personnes. Mais ce serait une erreur d’appréciation que de considérer que les migrants parce qu’ils arrivent en Europe, doivent tout de suite être répartis dans tous les pays d’Europe et dont la France, qui prend déjà largement sa part, et donc ce que nous voulons dire à nos amis italiens, qui je crois sont parfaitement d’accord avec nous, nous devons protéger les frontières extérieures de l’Union européenne, les aider à cela, et surtout tout de suite regarder les demandes d’asile, et quand les gens ne sont pas éligibles à l’asile, tout de suite les renvoyer dans leur pays.

      SONIA MABROUK
      Donc, pour être clair ce matin Gérald DARMANIN, vous dites que la politique de relocalisation immédiate, non la France n’en prendra pas sa part.

      GERALD DARMANIN
      S’il s’agit de personnes qui doivent déposer une demande d’asile parce qu’ils sont persécutés dans leur pays, alors ce sont des réfugiés politiques, oui nous avons toujours relocalisé, on a toujours mis dans nos pays si j’ose dire une partie du fardeau qu’avaient les Italiens ou les Grecs. S’il s’agit de prendre les migrants tels qu’ils sont, 60 % d’entre eux viennent de pays comme la Côte d’Ivoire, comme la Guinée, comme la Gambie, il n’y a aucune raison qu’ils viennent…

      SONIA MABROUK
      Ça a été le cas lors de l’Ocean Viking.

      GERALD DARMANIN
      Il n’y a aucune raison. Pour d’autres raisons, c’est des raisons humanitaires, là il n’y a pas de question humanitaire, sauf qu’à Lampedusa les choses deviennent très difficiles, c’est pour ça qu’il faut que nous aidions nos amis italiens, mais il ne peut pas y avoir comme message donné aux personnes qui viennent sur notre sol, qu’ils sont quoiqu’il arrive dans nos pays accueillis. Ils ne sont accueillis que s’ils respectent les règles de l’asile, s’ils sont persécutés. Mais si c’est une immigration qui est juste irrégulière, non, la France ne peut pas les accueillir, comme d’autres pays. La France est très ferme, vous savez, j’entends souvent que c’est le pays où il y a le plus de demandeurs d’asile, c’est tout à fait faux, nous sommes le 4e pays, derrière l’Allemagne, derrière l’Espagne, derrière l’Autriche, et notre volonté c’est d’accueillir bien sûr ceux qui doivent l’être, les persécutés politiques, mais nous devons absolument renvoyer chez eux, ceux qui n’ont rien à faire en Europe.

      SONIA MABROUK
      On entend ce message ce matin, qui est un peu différent de celui de la ministre des Affaires étrangères, qui semblait parler d’un accueil inconditionnel. Le président de la République a parlé d’un devoir de solidarité. Vous, vous dites : oui, devoir de solidarité, mais nous n’allons pas avoir une politique de répartition des migrants, ce n’est pas le rôle de la France.

      GERALD DARMANIN
      Le rôle de la France, d’abord aider l’Italie.

      SONIA MABROUK
      Comment, concrètement ?

      GERALD DARMANIN
      Eh bien d’abord, nous devons continuer à protéger nos frontières, et ça c’est à l’Europe de le faire.

      SONIA MABROUK
      Ça c’est l’enjeu majeur, les frontières extérieures.

      GERALD DARMANIN
      Exactement. Nous devons déployer davantage Frontex en Méditerranée…

      SONIA MABROUK
      Avec une efficacité, Monsieur le Ministre, très discutable.

      GERALD DARMANIN
      Avec des messages qu’on doit passer à Frontex effectivement, de meilleures actions, pour empêcher les personnes de traverser pour aller à Lampedusa. Il y a eu à Lampedusa, vous l’avez dit, des milliers de personnes, 5000 même en une seule journée, m’a dit le ministre italien, le 12 septembre. Donc il y a manifestement 300, 400 arrivées de bateaux possibles. Nous devons aussi travailler avec la Tunisie, avec peut-être beaucoup plus encore d’actions que nous faisons jusqu’à présent. La Commission européenne vient de négocier un plan, eh bien il faut le mettre en place désormais, il faut arrêter d’en parler, il faut le faire. Vous savez, les bateaux qui sont produits à Sfax pour venir à Lampedusa, ils sont produits en Tunisie. Donc il faut absolument que nous cassons cet écosystème des passeurs, des trafiquants, parce qu’on ne peut pas continuer comme ça.

      GERALD DARMANIN
      Quand vous dites « nous », c’est-à-dire en partenariat avec la Tunisie ? Comment vous expliquez Monsieur le Ministre qu’il y a eu un afflux aussi soudain ? Est-ce que la Tunisie n’a pas pu ou n’a pas voulu contenir ces arrivées ?

      GERALD DARMANIN
      Je ne sais pas. J’imagine que le gouvernement tunisien a fait le maximum…

      SONIA MABROUK
      Vous devez avoir une idée.

      GERALD DARMANIN
      On sait qu’on que tous ces gens sont partis de Sfax, donc d’un endroit extrêmement précis où il y a beaucoup de migrants notamment Africains, Subsahariens qui y sont, donc la Tunisie connaît elle-même une difficulté migratoire très forte. On doit manifestement l’aider, mais on doit aussi très bien coopérer avec elle, je crois que c’est ce que fait en ce moment le gouvernement italien, qui rappelle un certain nombre de choses aux Tunisiens, quoi leur rappelle aussi leurs difficultés. Donc, ce qui est sûr c’est que nous avons désormais beaucoup de plans, on a beaucoup de moyens, on a fait beaucoup de déplacements, maintenant il faut appliquer cela. Vous savez, la France, à la demande du président de la République, c’était d’ailleurs à Tourcoing, a proposé un pacte migratoire, qui consistait très simplement à ce que les demandes d’asile ne se fassent plus dans nos pays, mais à la frontière. Tout le monde l’a adopté, y compris le gouvernement de madame MELONI. C’est extrêmement efficace puisque l’idée c’est qu’on dise que les gens, quand ils rentrent sur le territoire européen, ne sont pas juridiquement sur le territoire européen, que nous regardions leur asile en quelques jours, et nous les renvoyons. Il faut que l’Italie…

      SONIA MABROUK
      Ça c’est le principe.

      GERALD DARMANIN
      Il faut que l’Italie anticipe, anticipe la mise en place de ce dispositif. Et pourquoi il n’a pas encore été mis en place ? Parce que des députés européens, ceux du Rassemblement national, ont voté contre. C’est-à-dire que l’on est dans une situation politique un peu étonnante, où la France trouve une solution, la demande d’asile aux frontières, beaucoup plus efficace. Le gouvernement de madame MELONI, dans lequel participe monsieur SALVINI, est d’accord avec cette proposition, simplement ceux qui bloquent ça au Parlement européen, c’est le Rassemblement national, qui après va en Italie pour dire que l’Europe ne fait rien.

      SONIA MABROUK
      Sauf que, Monsieur le Ministre…

      GERALD DARMANIN
      Donc on voit bien qu’il y a du tourisme électoral de la part de madame LE PEN…

      SONIA MABROUK
      Vous le dénoncez.

      GERALD DARMANIN
      Il faut désormais être ferme, ce que je vous dis, nous n’accueillerons pas les migrants sur le territoire européen…

      SONIA MABROUK
      Mais un migrant, sur le sol européen aujourd’hui, sait qu’il va y rester. La vocation est d’y rester.

      GERALD DARMANIN
      Non, c’est tout à fait faux, nous faisons des retours. Nous avons par exemple dans les demandes d’asile, prévu des Ivoiriens. Bon. Nous avons des personnes qui viennent du Cameroun, nous avons des personnes qui viennent de Gambie. Avec ces pays nous avons d’excellentes relations politiques internationales, et nous renvoyons tous les jours dans ces pays des personnes qui n’ont rien à faire pour demander l’asile en France ou en Europe. Donc c’est tout à fait faux, avec certains pays nous avons plus de difficultés, bien sûr, parce qu’ils sont en guerre, comme la Syrie, comme l’Afghanistan bien sûr, mais avec beaucoup de pays, la Tunisie, la Gambie, la Côte d’Ivoire, le Sénégal, le Cameroun, nous sommes capables d’envoyer très rapidement ces personnes chez elles.

      SONIA MABROUK
      Lorsque le patron du Rassemblement national Jordan BARDELLA, ou encore Eric ZEMMOUR, ou encore Marion MARECHAL sur place, dit : aucun migrant de Lampedusa ne doit arriver en France. Est-ce que vous êtes capable de tenir, si je puis dire cette déclaration ? Vous dites : c’est totalement illusoire.

      GERALD DARMANIN
      Non mais monsieur BARDELLA il fait de la politique politicienne, et malheureusement sur le dos de ses amis italiens, sur le dos de femmes et d’hommes, puisqu’il ne faut jamais oublier que ces personnes évidemment connaissent des difficultés extrêmement fortes. Il y a un bébé qui est mort à Lampedusa voilà quelques heures, et évidemment sur le dos de l’intelligence politique que les Français ont. Le Front national vote systématiquement contre toutes les mesures que nous proposons au niveau européen, chacun voit que c’est un sujet européen, c’est pour ça d’ailleurs qu’il se déplace, j’imagine, en Italie…

      SONIA MABROUK
      Ils ne sont pas d’accord avec votre politique, Monsieur le Ministre, ça ne surprend personne.

      GERALD DARMANIN
      Non mais monsieur SALVINI madame MELONI, avec le gouvernement français, ont adopté un texte commun qui prévoit une révolution : la demande d’asile aux frontières. Monsieur BARDELLA, lui il parle beaucoup, mais au Parlement européen il vote contre. Pourquoi ? Parce qu’il vit des problèmes. La vérité c’est que monsieur BARDELLA, comme madame Marion MARECHAL LE PEN, on a compris qu’il y a une sorte de concurrence dans la démagogie à l’extrême droite, eux, ce qu’ils veulent c’est vivre des problèmes. Quand on leur propose de résoudre les problèmes, l’Europe avec le président de la République a essayé de leur proposer de les résoudre. Nous avons un accord avec madame MELONI, nous faisons la demande d’asile aux frontières, nous considérons qu’il n’y a plus d’asile en Europe, tant qu’on n’a pas étudié aux frontières cet asile. Quand le Rassemblement national vote contre, qu’est-ce qui se passe ? Eh bien ils ne veulent pas résoudre les problèmes, ils veulent pouvoir avoir une sorte de carburant électoral, pour pouvoir dire n’importe quoi, comme ils l’ont fait ce week-end encore.

      SONIA MABROUK
      Ce matin, sur les 5 000, 6 000 qui sont arrivés à Lampedusa, combien seront raccompagnés, combien n’ont pas vocation et ne resteront pas sur le sol européen ?

      GERALD DARMANIN
      Alors, c’est difficile. C’est difficile à savoir, parce que moi je ne suis pas les autorités italiennes, c’est pour ça que à la demande, du président je vais à Rome cet après-midi, mais de notre point de vue, de ce que nous en savons des autorités italiennes, beaucoup doivent être accompagnés, puisqu’encore une fois je comprends que sur à peu près 8 000 ou 9 000 personnes qui sont arrivées, il y a beaucoup de gens qui viennent de pays qui ne connaissent pas de persécution politique, ni au Cameroun, ni en Côte d’Ivoire, ni bien sûr en Gambie, ni en Tunisie, et donc ces personnes, bien sûr, doivent repartir dans leur pays et la France doit les aider à repartir.

      SONIA MABROUK
      On note Gérald DARMANIN que vous avez un discours, en tout cas une tonalité très différente à l’égard de madame MELONI, on se souvient tous qu’il y a eu quasiment une crise diplomatique il y a quelques temps, lorsque vous avez dit qu’elle n’était pas capable de gérer ces questions migratoires sur lesquelles elle a été… elle est arrivée au pouvoir avec un discours très ferme, aujourd’hui vous dites « non, je la soutiens madame MELONI », c’est derrière nous toutes ces déclarations, que vous avez tenues ?

      GERALD DARMANIN
      Je ne suis pas là pour soutenir madame MELONI, non, je dis simplement que lorsqu’on vote pour des gouvernements qui vous promettent tout, c’est le cas aussi de ce qui s’est passé avec le Brexit en Grande-Bretagne, les Français doivent comprendre ça. Lorsqu’on vous dit " pas un migrant ne viendra, on fera un blocus naval, vous allez voir avec nous on rase gratis ", on voit bien que la réalité dépasse largement ces engagements.

      SONIA MABROUK
      Elle a réitéré le blocus naval !

      GERALD DARMANIN
      Le fait est qu’aujourd’hui nous devons gérer une situation où l’Italie est en grande difficulté, et on doit aider l’Italie, parce qu’aider l’Italie, d’abord c’est nos frères et nos soeurs les Italiens, mais en plus c’est la continuité, évidemment, de ce qui va se passer en France, donc moi je suis là pour protéger les Français, je suis là pour protéger les Français parce que le président de la République souhaite que nous le faisions dans un cadre européen, et c’est la seule solution qui vaille, parce que l’Europe doit parler d’une seule voix…

      SONIA MABROUK
      C’est la seule solution qui vaille ?

      GERALD DARMANIN
      Oui, c’est la seule solution qui vaille…

      SONIA MABROUK
      Vous savez que l’Allemagne a changé, enfin elle n’en voulait pas, finalement là, sur les migrants, elle change d’avis, la Hongrie, la Pologne, je n’en parle même pas, la situation devient quand même intenable.

      GERALD DARMANIN
      La France a un rôle moteur dans cette situation de ce week-end, vous avez vu les contacts diplomatiques que nous avons eus, on est heureux d’avoir réussi à faire bouger nos amis Allemands sur cette situation. Les Allemands connaissent aussi une difficulté forte, ils ont 1 million de personnes réfugiées ukrainiens, ils ont une situation compliquée par rapport à la nôtre aussi, mais je constate que l’Allemagne et la France parlent une nouvelle fois d’une seule voix.

      SONIA MABROUK
      Mais l’Europe est en ordre dispersé, ça on peut le dire, c’est un constat lucide.

      GERALD DARMANIN
      L’Europe est dispersée parce que l’Europe, malheureusement, a des intérêts divergents, mais l’Europe a réussi à se mettre d’accord sur la proposition française, encore une fois, une révolution migratoire qui consiste à faire des demandes d’asile à la frontière. Nous nous sommes mis d’accord entre tous les pays européens, y compris madame MELONI, ceux qui bloquent c’est le Rassemblement national, et leurs amis, au Parlement européen, donc plutôt que de faire du tourisme migratoire à Lampedusa comme madame Marion MARECHAL LE PEN, ou raconter n’importe quoi comme monsieur BARDELLA, ils feraient mieux de faire leur travail de députés européens, de soutenir la France, d’être un peu patriotes pour une fois, de ne pas faire la politique du pire…

      SONIA MABROUK
      Vous leur reprochez un défaut de patriotisme à ce sujet-là ?

      GERALD DARMANIN
      Quand on ne soutient pas la politique de son gouvernement, lorsque l’on fait l’inverser…

      SONIA MABROUK
      Ça s’appelle être dans l’opposition parfois Monsieur le Ministre.

      GERALD DARMANIN
      Oui, mais on ne peut pas le faire sur le dos de femmes et d’hommes qui meurent, et moi je vais vous dire, le Rassemblement national aujourd’hui n’est pas dans la responsabilité politique. Qu’il vote ce pacte migratoire très vite, que nous puissions enfin, concrètement, aider nos amis Italiens, c’est sûr qu’il y aura moins d’images dramatiques, du coup il y aura moins de carburant pour le Rassemblement national, mais ils auront fait quelque chose pour leur pays.

      SONIA MABROUK
      Vous les accusez, je vais employer ce mot puisque la ministre Agnès PANNIER-RUNACHER l’a employé elle-même, de « charognards » là, puisque nous parlons de femmes et d’hommes, de difficultés aussi, c’est ce que vous êtes en train de dire ?

      GERALD DARMANIN
      Moi je ne comprends pas pourquoi on passe son temps à faire des conférences de presse en Italie, à Lampedusa, en direct sur les plateaux de télévision, lorsqu’on n’est pas capable, en tant que parlementaires européens, de voter un texte qui permet concrètement de lutter contre les difficultés migratoires. Encore une fois, la révolution que la France a proposée, et qui a été adoptée, avec le soutien des Italiens, c’est ça qui est paradoxal dans cette situation, peut être résolue si nous mettons en place…

      SONIA MABROUK
      Résolue…

      GERALD DARMANIN
      Bien sûr ; si nous mettons en place les demandes d’asile aux frontières, on n’empêchera jamais les gens de traverser la Méditerranée, par contre on peut très rapidement leur dire qu’ils ne peuvent pas rester sur notre sol, qu’ils ne sont pas des persécutés…

      SONIA MABROUK
      Comment vous appelez ce qui s’est passé, Monsieur le Ministre, est-ce que vous dites c’est un afflux soudain et massif, ou est-ce que vous dites que c’est une submersion migratoire, le diagnostic participe quand même de la résolution des défis et des problèmes ?

      GERALD DARMANIN
      Non, mais sur Lampedusa, qui est une île évidemment tout au sud de la Méditerranée, qui est même au sud de Malte, il y a 6000 habitants, lorsqu’il y a entre 6 et 8 000 personnes qui viennent en quelques jours évidemment c’est une difficulté immense, et chacun le comprend, pour les habitants de Lampedusa.

      SONIA MABROUK
      Comment vous qualifiez cela ?

      GERALD DARMANIN
      Mais là manifestement il y a à Sfax une difficulté extrêmement forte, où on a laissé passer des centaines de bateaux, fabriqués d’ailleurs, malheureusement….

      SONIA MABROUK
      Donc vous avez un gros problème avec les pays du Maghreb, en l’occurrence la Tunisie ?

      GERALD DARMANIN
      Je pense qu’il y a un énorme problème migratoire interne à l’Afrique, encore une fois la Tunisie, parfois même l’Algérie, parfois le Maroc, parfois la Libye, ils subissent eux-mêmes une pression migratoire d’Afrique, on voit bien que la plupart du temps ce sont des nationalités du sud du Sahel, donc les difficultés géopolitiques que nous connaissons ne sont pas pour rien dans cette situation, et nous devons absolument aider l’Afrique à absolument aider les Etats du Maghreb. On peut à la fois les aider, et en même temps être très ferme, on peut à la fois aider ces Etats à lutter contre l’immigration interne à l’Afrique, et en même temps expliquer…

      SONIA MABROUK
      Ça n’empêche pas la fermeté.

      GERALD DARMANIN
      Que toute personne qui vient en Europe ne sera pas accueillie chez nous.

      SONIA MABROUK
      Encore une question sur ce sujet. Dans les différents reportages effectués à Lampedusa on a entendu certains migrants mettre en avant le système social français, les aides possibles, est-ce que la France, Gérald DARMANIN, est trop attractive, est-ce que notre modèle social est trop généreux et c’est pour cela qu’il y a ces arrivées aussi ?

      GERALD DARMANIN
      Alors, je ne suis pas sûr qu’on traverse le monde en se disant « chouette, il y a ici une aide sociale particulièrement aidante », mais il se peut…

      SONIA MABROUK
      Mais quand on doit choisir entre différents pays ?

      GERALD DARMANIN
      Mais il se peut qu’une fois arrivées en Europe, effectivement, un certain nombre de personnes, aidées par des passeurs, aidées parfois par des gens qui ont de bonnes intentions, des associations, se disent « allez dans ce pays-là parce qu’il y a plus de chances de », c’est ce pourquoi nous luttons. Quand je suis arrivé au ministère de l’Intérieur nous étions le deuxième pays d’Europe qui accueille le plus de demandeurs d’asile, aujourd’hui on est le quatrième, on doit pouvoir continuer à faire ce travail, nous faisons l’inverse de certains pays autour de nous, par exemple l’Allemagne qui ouvre plutôt plus de critères, nous on a tendance à les réduire, et le président de la République, dans la loi immigration, a proposé beaucoup de discussions pour fermer un certain nombre d’actions d’accueil. Vous avez la droite, LR, qui propose la transformation de l’AME en Aide Médicale d’Urgence, nous sommes favorables à étudier cette proposition des LR, j’ai moi-même proposé un certain nombre de dispositions extrêmement concrètes pour limiter effectivement ce que nous avons en France et qui parfois est différent des pays qui nous entourent et qui peuvent conduire à cela. Et puis enfin je terminerai par dire, c’est très important, il faut lutter contre les passeurs, la loi immigration que je propose passe de délit a crime, avec le garde des Sceaux on a proposé qu’on passe de quelques années de prison à 20 ans de prison pour ceux qui trafiquent des êtres humains, aujourd’hui quand on arrête des passeurs, on en arrête tous les jours grâce à la police française, ils ne sont condamnés qu’à quelques mois de prison, alors que demain, nous l’espérons, ils seront condamnés bien plus.

      SONIA MABROUK
      Bien. Gérald DARMANIN, sur CNews et Europe 1 notre « Grande interview » s’intéresse aussi à un nouveau refus d’obtempérer qui a dégénéré à Stains, je vais raconter en quelques mots ce qui s’est passé pour nos auditeurs et téléspectateurs, des policiers ont pris en chasse un deux-roues, rapidement un véhicule s’est interposé pour venir en aide aux fuyards, un policier a été violemment pris à partie, c’est son collègue qui est venu pour l’aider, qui a dû tirer en l’air pour stopper une scène de grande violence vis-à-vis de ce policier, comment vous réagissez par rapport à cela ?

      GERALD DARMANIN
      D’abord trois choses. Les policiers font leur travail, et partout sur le territoire national, il n’y a pas de territoires perdus de la République, il y a des territoires plus difficiles, mais Stains on sait tous que c’est une ville à la fois populaire et difficile pour la police nationale. La police le samedi soir fait des contrôles, lorsqu’il y a des refus d’obtempérer, je constate que les policiers sont courageux, et effectivement ils ont été violentés, son collègue a été très courageux de venir le secourir, et puis troisièmement force est restée à la loi, il y a eu cinq interpellations, ils sont présentés aujourd’hui…

      SONIA MABROUK
      A quel prix.

      GERALD DARMANIN
      Oui, mais c’est le travail…

      SONIA MABROUK
      A quel prix pour le policier.

      GERALD DARMANIN
      Malheureusement c’est le travail, dans une société très violente…

      SONIA MABROUK
      D’être tabassé ?

      GERALD DARMANIN
      Dans une société très violente les policiers, les gendarmes, savent la mission qu’ils ont, qui est une mission extrêmement difficile, je suis le premier à les défendre partout sur les plateaux de télévision, je veux dire qu’ils ont réussi, à la fin, à faire entendre raison à la loi, les Français doivent savoir ce matin que cinq personnes ont été interpellées, présentées devant le juge.

      SONIA MABROUK
      Pour quel résultat, Monsieur le Ministre ?

      GERALD DARMANIN
      Eh bien moi je fais confiance en la justice.

      SONIA MABROUK
      Parfois on va les trouver à l’extérieur.

      GERALD DARMANIN
      Non non, je fais confiance en la justice, quand on…

      SONIA MABROUK
      Ça c’est le principe. On fait tous, on aimerait tous faire confiance à la justice.

      GERALD DARMANIN
      Non, mais quand on moleste un policier, j’espère que les peines seront les plus dures possible.

      SONIA MABROUK
      On va terminer avec une semaine intense et à risques qui s’annonce, la suite de la Coupe du monde de rugby, la visite du roi Charles III, le pape à Marseille. Vous avez appelé les préfets à une très haute vigilance. C’est un dispositif exceptionnel pour relever ces défis, qui sera mis en oeuvre.

      GERALD DARMANIN
      Oui, donc cette semaine la France est au coeur du monde par ces événements, la Coupe du monde de rugby qui continue, et qui se passe bien. Vous savez, parfois ça nous fait sourire. La sécurité ne fait pas de bruit, l’insécurité en fait, mais depuis le début de cette Coupe du monde, les policiers, des gendarmes, les pompiers réussissent à accueillir le monde en de très très bonnes conditions, tant mieux, il faut que ça continue bien sûr. Le pape qui vient deux jours à Marseille, comme vous l’avez dit, et le roi Charles pendant trois jours. Il y aura jusqu’à 30 000 policiers samedi, et puis après il y a quelques événements comme PSG - OM dimanche prochain, c’est une semaine…

      SONIA MABROUK
      Important aussi.

      GERALD DARMANIN
      C’est une semaine horribilis pour le ministre de l’Intérieur et pour les policiers et les gendarmes, et nous le travaillons avec beaucoup de concentration, le RAID, le GIGN est tout à fait aujourd’hui prévu pour tous ces événements, et nous sommes capables d’accueillir ces grands événements mondiaux en une semaine, c’est l’honneur de la police nationale et de la gendarmerie nationale.

      SONIA MABROUK
      Merci Gérald DARMANIN.

      GÉRALD DARMANIN
      Merci à vous.

      SONIA MABROUK
      Vous serez donc cet après-midi…

      GÉRALD DARMANIN
      A Rome.

      SONIA MABROUK
      …à Rome avec votre homologue évidemment de l’Intérieur. Merci encore de nous avoir accordé cet entretien.

      GERALD DARMANIN
      Merci à vous.

      SONIA MABROUK
      Et bonne journée sur Cnews et Europe 1

      https://www.vie-publique.fr/discours/291092-gerald-darmanin-18092023-immigration

      #Darmanin #demandes_d'asile_à_la_frontière

    • Darmanin: ’La Francia non accoglierà migranti da Lampedusa’

      Ma con Berlino apre alla missione navale. Il ministro dell’Interno francese a Roma. Tajani: ’Fa fede quello che dice Macron’. Marine Le Pen: ’Dobbianmo riprendere il controllo delle nostre frontiere’

      «La Francia non prenderà nessun migrante da Lampedusa». All’indomani della visita di Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni sull’isola a largo della Sicilia, il governo transalpino torna ad alzare la voce sul fronte della solidarietà e lo fa, ancora una volta, con il suo ministro dell’Interno Gerald Darmanin.

      La sortita di Parigi giunge proprio mentre, da Berlino, arriva l’apertura alla richiesta italiana di una missione navale comune per aumentare i controlli nel Mediterraneo, idea sulla quale anche la Francia si dice pronta a collaborare.

      Sullo stesso tenore anche le dichiarazioni Marine Le Pen. «Nessun migrante da Lampedusa deve mettere piede in Francia. Serve assolutamente una moratoria totale sull’immigrazione e dobbiamo riprendere il controllo delle nostre frontiere. Spetta a noi nazioni decidere chi entra e chi resta sul nostro territorio». Lo ha detto questa sera Marine Le Pen, leader dell’estrema destra francese del Rassemblement National, «Quelli che fanno appello all’Unione europea si sbagliano - ha continuato Le Pen - perché è vano e pericoloso. Vano perché l’Unione europea vuole l’immigrazione, pericoloso perché lascia pensare che deleghiamo all’Unione europea la decisione sulla politica di immigrazione che dobbiamo condurre. Spetta al popolo francese decidere e bisogna rispettare la sua decisione».

      La strada per la messa a punto di un’azione Ue, tuttavia, resta tremendamente in salita anche perché è segnata da uno scontro interno alle istituzioni comunitarie sull’intesa con Tunisi: da un lato il Consiglio Ue, per nulla soddisfatto del modus operandi della Commissione, e dall’altro l’esecutivo europeo, che non ha alcuna intenzione di abbandonare la strada tracciata dal Memorandum siglato con Kais Saied. «Sarebbe un errore di giudizio considerare che i migranti, siccome arrivano in Europa, devono essere subito ripartiti in tutta Europa e in Francia, che fa ampiamente la sua parte», sono state le parole con cui Darmamin ha motiva il suo no all’accoglienza. Il ministro lo ha spiegato prima di recarsi a Roma, su richiesta del presidente Emmanuel Macron, per un confronto con il titolare del Viminale Matteo Piantedosi. Ed è proprio a Macron che l’Italia sembra guardare, legando le frasi di Darmanin soprattutto alle vicende politiche interne d’Oltralpe. «Fa fede quello che dice Macron e quello che dice il ministro degli Esteri, mi pare che ci sia voglia di collaborare», ha sottolineato da New York il titolare della Farnesina Antonio Tajani invitando tutti, in Italia e in Ue, a non affrontare il dossier con «slogan da campagna elettorale».

      Eppure la sortita di Darmanin ha innescato l’immediata reazione della maggioranza, soprattutto dalle parti di Matteo Salvini. «Gli italiani si meritano fatti concreti dalla Francia e dall’Europa», ha tuonato la Lega. Nel piano Ue su Lampedusa il punto dell’accoglienza è contenuto nel primo dei dieci punti messi neri su bianco. Ma resta un concetto legato alla volontarietà. Che al di là della Francia, per ora trova anche il no dell’Austria. Il nodo è sempre lo stesso: i Paesi del Nord accusano Roma di non rispettare le regole sui movimenti secondari, mentre l’Italia pretende di non essere l’unico approdo per i migranti in arrivo. Il blocco delle partenze, in questo senso, si presenta come l’unica mediazione politicamente percorribile. Berlino e Parigi si dicono pronte a collaborare su un maggiore controllo aereo e navale delle frontiere esterne. L’Ue sottolinea di essere «disponibile a esplorare l’ipotesi», anche se la «decisione spetta agli Stati».

      Il raggio d’azione di von der Leyen, da qui alle prossime settimane, potrebbe tuttavia restringersi: sull’intesa con Tunisi l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera Josep Borrell, il servizio giuridico del Consiglio Ue e alcuni Paesi membri - Germania e Lussemburgo in primis - hanno mosso riserve di metodo e di merito. L’accusa è duplice: il Memorandum con Saied non solo non garantisce il rispetto dei diritti dei migranti ma è stato firmato dal cosiddetto ’team Europe’ (von der Leyen, Mark Rutte e Meloni) senza l’adeguata partecipazione del Consiglio. Borrell lo ha messo nero su bianco in una missiva indirizzata al commissario Oliver Varhelyi e a von der Leyen. «Gli Stati membri sono stati informati e c’è stato ampio sostegno», è stata la difesa della Commissione. Invero, al Consiglio europeo di giugno l’intesa incassò l’endorsement dei 27 ma il testo non era stato ancora ultimato. E non è arrivato al tavolo dei rappresentanti permanenti se non dopo essere stato firmato a Cartagine. Ma, spiegano a Palazzo Berlaymont, l’urgenza non permetteva rallentamenti. I fondi per Tunisi, tuttavia, attendono ancora di essere esborsati. La questione - assieme a quella del Patto sulla migrazione e al Piano Lampedusa - è destinata a dominare le prossime riunioni europee: quella dei ministri dell’Interno del 28 settembre e, soprattutto, il vertice informale dei leader previsto a Granada a inizio ottobre.

      https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/09/18/darmanin-la-francia-non-accogliera-migranti-da-lampedusa_2f53eae6-e8f7-4b82-9d7

    • Lampedusa : les contrevérités de Gérald Darmanin sur le profil des migrants et leur droit à l’asile

      Le ministre de l’Intérieur persiste à dire, contre la réalité du droit et des chiffres, que la majorité des migrants arrivés en Italie la semaine dernière ne peuvent prétendre à l’asile.

      A en croire Gérald Darmanin, presque aucune des milliers de personnes débarquées sur les rives de l’île italienne de Lampedusa depuis plus d’une semaine ne mériterait d’être accueillie par la France. La raison ? D’un côté, affirme le ministre de l’Intérieur, il y aurait les « réfugiés » fuyant des persécutions politiques ou religieuses, et que la France se ferait un honneur d’accueillir. « Et puis, il y a les migrants », « des personnes irrégulières » qui devraient être renvoyées dans leur pays d’origine le plus rapidement possible, a-t-il distingué, jeudi 22 septembre sur BFMTV.

      « S’il s’agit de prendre les migrants tels qu’ils sont : 60 % d’entre eux viennent de pays tels que la Côte d’Ivoire, comme la Guinée, comme la Gambie, il n’y a aucune raison [qu’ils viennent] », a-t-il en sus tonné sur CNews, lundi 18 septembre. Une affirmation serinée mardi sur TF1 dans des termes semblables : « 60 % des personnes arrivées à Lampedusa sont francophones. Il y a des Ivoiriens et des Sénégalais, qui n’ont pas à demander l’asile en Europe. »
      Contredit par les données statistiques italiennes

      D’après le ministre – qui a expliqué par la suite tenir ses informations de son homologue italien – « l’essentiel » des migrants de Lampedusa sont originaires du Cameroun, du Sénégal, de Côte-d’Ivoire, de Gambie ou de Tunisie. Selon le ministre, leur nationalité les priverait du droit de demander l’asile. « Il n’y aura pas de répartition de manière générale puisque ce ne sont pas des réfugiés », a-t-il prétendu, en confondant par la même occasion les demandeurs d’asiles et les réfugiés, soit les personnes dont la demande d’asile a été acceptée.

      https://twitter.com/BFMTV/status/1704749840133923089

      Interrogé sur le profil des migrants arrivés à Lampedusa, le ministère de l’Intérieur italien renvoie aux statistiques de l’administration du pays. A rebours des propos définitifs de Gérald Darmanin sur la nationalité des personnes débarquées sur les rives italiennes depuis la semaine dernière, on constate, à l’appui de ces données, qu’une grande majorité des migrants n’a pas encore fait l’objet d’une procédure d’identification. Sur les 16 911 personnes arrivées entre le 11 et le 20 septembre, la nationalité n’est précisée que pour 30 % d’entre elles.

      En tout, 12 223 personnes, soit 72 % des personnes arrivées à Lampedusa, apparaissent dans la catégorie « autres » nationalités, qui mélange des ressortissants de pays peu représentés et des migrants dont l’identification est en cours. A titre de comparaison, au 11 septembre, seulement 30 % des personnes étaient classées dans cette catégorie. Même si la part exacte de migrants non identifiés n’est pas précisée, cette catégorie apparaît être un bon indicateur de l’avancée du travail des autorités italiennes.

      Parmi les nationalités relevées entre le 11 et 20 septembre, le ministère de l’Intérieur italien compte effectivement une grande partie de personnes qui pourraient être francophones : 1 600 Tunisiens, 858 Guinéens, 618 Ivoiriens, 372 Burkinabés, presque autant de Maliens, 253 Camerounais, mais aussi des ressortissants moins susceptibles de connaître la langue (222 Syriens, environ 200 Egyptiens, 128 Bangladais et 74 Pakistanais).

      A noter que selon ces statistiques italiennes partielles, il n’est pas fait état de ressortissants sénégalais et gambiens évoqués par Gérald Darmanin. Les données ne disent rien, par ailleurs, du genre ou de l’âge de ces arrivants. « La plupart sont des hommes mais aussi on a aussi vu arriver des familles, des mères seules ou des pères seuls avec des enfants et beaucoup de mineurs non accompagnés, des adolescents de 16 ou 17 ans », décrivait à CheckNews la responsable des migrations de la Croix-Rouge italienne, Francesca Basile, la semaine dernière.

      Légalement, toutes les personnes arrivées à Lampedusa peuvent déposer une demande d’asile, s’ils courent un danger dans leur pays d’origine. « Il ne s’agit pas seulement d’un principe théorique. En vertu du droit communautaire et international, toute personne – quelle que soit sa nationalité – peut demander une protection internationale, et les États membres de l’UE ont l’obligation de procéder à une évaluation individuelle de chaque demande », a ainsi rappelé à CheckNews l’agence de l’union européenne pour l’asile. L’affirmation de Gérald Darmanin selon laquelle des migrants ne seraient pas éligibles à l’asile en raison de leur nationalité est donc fausse.

      Par ailleurs, selon le règlement de Dublin III, la demande d’asile doit être instruite dans le premier pays où la personne est arrivée au sein de l’Union européenne (à l’exception du Danemark), de la Suisse, de la Norvège, de l’Islande et du Liechtenstein. Ce sont donc aux autorités italiennes d’enregistrer et de traiter les demandes des personnes arrivées à Lampedusa. Dans certains cas, des transferts peuvent être opérés vers un pays signataires de l’accord de Dublin III, ainsi du rapprochement familial. Si les demandes d’asile vont être instruites en Italie, les chiffes de l’asile en France montrent tout de même que des ressortissants des pays cités par Gérald Darmanin obtiennent chaque année une protection dans l’Hexagone.

      Pour rappel, il existe deux formes de protections : le statut de réfugié et la protection subsidiaire. Cette dernière peut être accordée à un demandeur qui, aux yeux de l’administration, ne remplit pas les conditions pour être considéré comme un réfugié, mais qui s’expose à des risques grave dans son pays, tels que la torture, des traitements inhumains ou dégradants, ainsi que des « menaces grave et individuelle contre sa vie ou sa personne en raison d’une violence qui peut s’étendre à des personnes sans considération de leur situation personnelle et résultant d’une situation de conflit armé interne ou international », liste sur son site internet la Cour nationale du droit d’asile (CNDA), qui statue en appel sur les demandes de protection.
      Contredit aussi par la réalité des chiffres en France

      Gérald Darmanin cite à plusieurs reprises le cas des migrants originaires de Côte-d’Ivoire comme exemple de personnes n’ayant selon lui « rien à faire » en France. La jurisprudence de la CNDA montre pourtant des ressortissants ivoiriens dont la demande de protection a été acceptée. En 2021, la Cour a ainsi accordé une protection subsidiaire à une femme qui fuyait un mariage forcé décidé par son oncle, qui l’exploitait depuis des années. La Cour avait estimé que les autorités ivoiriennes étaient défaillantes en ce qui concerne la protection des victimes de mariages forcés, malgré de récentes évolutions législatives plus répressives.

      D’après l’Office de protection des réfugiés et apatrides (Ofrpa), qui rend des décisions en première instance, les demandes d’asile de ressortissants ivoiriens (environ 6 000 en 2022) s’appuient très souvent sur des « problématiques d’ordre sociétal […], en particulier les craintes liées à un risque de mariage forcé ou encore l’exposition des jeunes filles à des mutilations sexuelles ». En 2022, le taux de demandes d’Ivoiriens acceptées par l’Ofrpa (avant recours éventuel devant la CNCDA) était de 27,3 % sur 6 727 décisions contre un taux moyen d’admission de 26,4 % pour le continent africain et de 29,2 % tous pays confondus. Les femmes représentaient la majorité des protections accordées aux ressortissants de Côte-d’Ivoire.

      Pour les personnes originaires de Guinée, citées plusieurs fois par Gérald Darmanin, les demandes sont variées. Certaines sont déposées par des militants politiques. « Les demandeurs se réfèrent à leur parcours personnel et à leur participation à des manifestations contre le pouvoir, qu’il s’agisse du gouvernement d’Alpha Condé ou de la junte militaire », décrit l’Ofpra. D’autre part des femmes qui fuient l’excision et le mariage forcé. En 2022, le taux d’admission par l’Ofpra était de 33,4 % pour 5 554 décisions.
      Jurisprudence abondante

      S’il est vrai que ces nationalités (Guinée et Côte-d’Ivoire) ne figurent pas parmi les taux de protections les plus élevées, elles figurent « parmi les principales nationalités des bénéficiaires de la protection internationale » en 2022, aux côtés des personnes venues d’Afghanistan ou de Syrie, selon l’Ofpra. Les ressortissants tunisiens, qui déposent peu de demandes (439 en 2022), présentent un taux d’admission de seulement 10 %.

      La jurisprudence abondante produite par la CNDA montre que, dans certains cas, le demandeur peut obtenir une protection sur la base de son origine géographique, jugée dangereuse pour sa sécurité voire sa vie. C’est le cas notamment du Mali. En février 2023, la Cour avait ainsi accordé la protection subsidiaire à un Malien originaire de Gao, dans le nord du pays. La Cour avait estimé qu’il s’exposait, « en cas de retour dans sa région d’origine du seul fait de sa présence en tant que civil, [à] un risque réel de subir une menace grave contre sa vie ou sa personne sans être en mesure d’obtenir la protection effective des autorités de son pays ».

      « Cette menace est la conséquence d’une situation de violence, résultant d’un conflit armé interne, susceptible de s’étendre indistinctement aux civils », avait-elle expliqué dans un communiqué. Au mois de juin, à la suite des déclarations d’un demandeur possédant la double nationalité malienne et nigérienne, la Cour avait jugé que les régions de Ménaka au Mali et de Tillaberi au Niger étaient en situation de violence aveugle et d’intensité exceptionnelle, « justifiant l’octroi de la protection subsidiaire prévue par le droit européen ».

      D’après le rapport 2023 de l’agence de l’Union européenne pour l’asile, le taux de reconnaissance en première instance pour les demandeurs guinéens avoisinait les 30 %, et un peu plus de 20 % pour ressortissants ivoiriens à l’échelle de l’UE, avec un octroi en majorité, pour les personnes protégées, du statut de réfugié. Concernant le Mali, le taux de reconnaissance dépassait les 60 %, principalement pour de la protection subsidiaire. Ces données européennes qui confirment qu’il est infondé d’affirmer, comme le suggère le ministre de l’Intérieur, que les nationalités qu’il cite ne sont pas éligibles à l’asile.

      En revanche, dans le cadre du mécanisme « de solidarité », qui prévoit que les pays européens prennent en charge une partie des demandeurs, les Etats « restent souverains dans le choix du nombre et de la nationalité des demandeurs accueillis ». « Comme il s’agit d’un mécanisme volontaire, le choix des personnes à transférer est laissé à l’entière discrétion de l’État membre qui effectue le transfert », explique l’agence de l’union européenne pour l’asile, qui précise que les Etats « tendent souvent à donner la priorité aux nationalités qui ont le plus de chances de bénéficier d’un statut de protection », sans plus de précisions sur l’avancée des négociations en cours.

      https://www.liberation.fr/checknews/lampedusa-les-contreverites-de-gerald-darmanin-sur-le-profil-des-migrants

      #fact-checking

    • #Fanélie_Carrey-Conte sur X :

      Comme une tragédie grecque, l’impression de connaître à l’avance la conclusion d’une histoire qui finit mal.
      A chaque fois que l’actualité remet en lumière les drames migratoires, la même mécanique se met en place. D’abord on parle d’"#appel_d'air", de « #submersion », au mépris de la réalité des chiffres, et du fait que derrière les statistiques, il y a des vies, des personnes.
      Puis l’#extrême_droite monte au créneau, de nombreux responsables politiques lui emboîtent le pas. Alors les institutions européennes mettent en scène des « #plans_d'urgence, » des pactes, censés être « solidaires mais fermes », toujours basés en réalité sur la même logique:chercher au maximum à empêcher en Europe les migrations des « indésirables », augmenter la #sécurisation_des_frontières, prétendre que la focalisation sur les #passeurs se fait dans l’intérêt des personnes migrantes, externaliser de plus en plus les politiques migratoires en faisant fi des droits humains.
      Résultat : les migrations, dont on ne cherche d’ailleurs même plus à comprendre les raisons ni les mécanismes qui les sous-tendent, ne diminuent évidemment pas, au contraire ; les drames et les morts augmentent ; l’extrême -droite a toujours autant de leviers pour déployer ses idées nauséabondes et ses récupérations politiques abjectes.
      Et la spirale mortifère continue ... Ce n’est pas juste absurde, c’est avant tout terriblement dramatique. Pourtant ce n’est pas une fatalité : des politiques migratoires réellement fondées sur l’#accueil et l’#hospitalité, le respect des droits et de la #dignité de tout.e.s, cela peut exister, si tant est que l’on en ait la #volonté_politique, que l’on porte cette orientation dans le débat public national et européen, que l’on se mobilise pour faire advenir cet autre possible. A rebours malheureusement de la voie choisie aujourd’hui par l’Europe comme par la France à travers les pactes et projets de loi immigration en cours...

      https://twitter.com/FCarreyConte/status/1703650891268596111

    • Migranti, Oim: “Soluzione non è chiudere le frontiere”

      Il portavoce per l’Italia, Flavio di Giacomo, a LaPresse: «Organizzare diversamente salvataggi per aiutare Lampedusa»

      Per risolvere l’emergenza migranti, secondo l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), la soluzione non è chiudere le frontiere. Lo ha dichiarato a LaPresse il portavoce per l’Italia dell’organizzazione, Flavio di Giacomo. La visita della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen a Lampedusa insieme alla premier Giorgia Meloni, ha detto, “è un segnale importante, ma non bisogna scambiare un’emergenza di tipo operativo con ‘bisogna chiudere’, perché non c’è nessuna invasione e la soluzione non è quella di creare deterrenti come trattenere i migranti per 18 mesi. In passato non ha ottenuto nessun effetto pratico e comporta tante spese allo Stato”. Von der Leyen ha proposto un piano d’azione in 10 punti che prevede tra le altre cose di intensificare la cooperazione con l’Unhcr e l’Oim per i rimpatri volontari. “È una cosa che in realtà già facciamo ed è importante che venga implementata ulteriormente“, ha sottolineato Di Giacomo.
      “Organizzare diversamente salvataggi per aiutare Lampedusa”

      “Quest’anno i migranti arrivati in Italia sono circa 127mila rispetto ai 115mila dello stesso periodo del 2015-2016, ma niente di paragonabile agli oltre 850mila giunti in Grecia nel 2015. La differenza rispetto ad allora, quando gli arrivi a Lampedusa erano l’8% mentre quest’anno sono oltre il 70%, è che in questo momento i salvataggi ci sono ma sono fatti con piccole motovedette della Guardia costiera che portano i migranti a Lampedusa, mentre servirebbe un tipo diverso di azione con navi più grandi che vengano distribuite negli altri porti. Per questo l’isola è in difficoltà”, spiega Di Giacomo. “Inoltre, con le partenze in prevalenza dalla Tunisia piuttosto che dalla Libia, i barchini puntano tutti direttamente su Lampedusa”.
      “Priorità stabilizzare situazione in Maghreb”

      Per risolvere la questione, ha aggiunto Di Giacomo, “occorre lavorare per la stabilizzazione e il miglioramento delle condizioni nell’area del Maghreb“. E ha precisato: “La stragrande maggioranza dei flussi migratori africani è interno, ovvero dalla zona sub-sahariana a quella del Maghreb, persone che andavano a vivere in Tunisia e che ora decidono di lasciare il Paese perché vittima di furti, vessazioni e discriminazioni razziali. Questo le porta a imbarcarsi a Sfax con qualsiasi mezzo di fortuna per fare rotta verso Lampedusa”.

      https://www.lapresse.it/cronaca/2023/09/18/migranti-oim-soluzione-non-e-chiudere-le-frontiere

    • Da inizio 2023 in Italia sono sbarcati 133.170 migranti.

      La Ong Humanity1, finanziata anche dal Governo tedesco, ne ha sbarcati 753 (lo 0,6% del totale).
      In totale, Ong battenti bandiera tedesca ne hanno sbarcati 2.720 (il 2% del totale).

      Ma di cosa stiamo parlando?

      https://twitter.com/emmevilla/status/1708121850847309960
      #débarquement #arrivées #ONG #sauvetage

  • Comment l’Europe sous-traite à l’#Afrique le contrôle des #migrations (1/4) : « #Frontex menace la #dignité_humaine et l’#identité_africaine »

    Pour freiner l’immigration, l’Union européenne étend ses pouvoirs aux pays d’origine des migrants à travers des partenariats avec des pays africains, parfois au mépris des droits humains. Exemple au Sénégal, où le journaliste Andrei Popoviciu a enquêté.

    Cette enquête en quatre épisodes, publiée initialement en anglais dans le magazine américain In These Times (https://inthesetimes.com/article/europe-militarize-africa-senegal-borders-anti-migration-surveillance), a été soutenue par une bourse du Leonard C. Goodman Center for Investigative Reporting.

    Par une brûlante journée de février, Cornelia Ernst et sa délégation arrivent au poste-frontière de Rosso. Autour, le marché d’artisanat bouillonne de vie, une épaisse fumée s’élève depuis les camions qui attendent pour passer en Mauritanie, des pirogues hautes en couleur dansent sur le fleuve Sénégal. Mais l’attention se focalise sur une fine mallette noire posée sur une table, face au chef du poste-frontière. Celui-ci l’ouvre fièrement, dévoilant des dizaines de câbles méticuleusement rangés à côté d’une tablette tactile. La délégation en a le souffle coupé.

    Le « Universal Forensics Extraction Device » (UFED) est un outil d’extraction de données capable de récupérer les historiques d’appels, photos, positions GPS et messages WhatsApp de n’importe quel téléphone portable. Fabriqué par la société israélienne Cellebrite, dont il a fait la réputation, l’UFED est commercialisé auprès des services de police du monde entier, notamment du FBI, pour lutter contre le terrorisme et le trafic de drogues. Néanmoins, ces dernières années, le Nigeria et le Bahreïn s’en sont servis pour voler les données de dissidents politiques, de militants des droits humains et de journalistes, suscitant un tollé.

    Toujours est-il qu’aujourd’hui, une de ces machines se trouve au poste-frontière entre Rosso-Sénégal et Rosso-Mauritanie, deux villes du même nom construites de part et d’autre du fleuve qui sépare les deux pays. Rosso est une étape clé sur la route migratoire qui mène jusqu’en Afrique du Nord. Ici, cependant, cette technologie ne sert pas à arrêter les trafiquants de drogue ou les terroristes, mais à suivre les Ouest-Africains qui veulent migrer vers l’Europe. Et cet UFED n’est qu’un outil parmi d’autres du troublant arsenal de technologies de pointe déployé pour contrôler les déplacements dans la région – un arsenal qui est arrivé là, Cornelia Ernst le sait, grâce aux technocrates de l’Union européenne (UE) avec qui elle travaille.

    Cette eurodéputée allemande se trouve ici, avec son homologue néerlandaise Tineke Strik et une équipe d’assistants, pour mener une mission d’enquête en Afrique de l’Ouest. Respectivement membres du Groupe de la gauche (GUE/NGL) et du Groupe des Verts (Verts/ALE) au Parlement européen, les deux femmes font partie d’une petite minorité de députés à s’inquiéter des conséquences de la politique migratoire européenne sur les valeurs fondamentales de l’UE – à savoir les droits humains –, tant à l’intérieur qu’à l’extérieur de l’Europe.

    Le poste-frontière de Rosso fait partie intégrante de la politique migratoire européenne. Il accueille en effet une nouvelle antenne de la Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT), fruit d’un « partenariat opérationnel conjoint » entre le Sénégal et l’UE visant à former et équiper la police des frontières sénégalaise et à dissuader les migrants de gagner l’Europe avant même qu’ils ne s’en approchent. Grâce à l’argent des contribuables européens, le Sénégal a construit depuis 2018 au moins neuf postes-frontières et quatre antennes régionales de la DNLT. Ces sites sont équipés d’un luxe de technologies de surveillance intrusive : outre la petite mallette noire, ce sont des logiciels d’identification biométrique des empreintes digitales et de reconnaissance faciale, des drones, des serveurs numériques, des lunettes de vision nocturne et bien d’autres choses encore…

    Dans un communiqué, un porte-parole de la Commission européenne affirme pourtant que les antennes régionales de la DNLT ont été créées par le Sénégal et que l’UE se borne à financer les équipements et les formations.

    « Frontex militarise la Méditerranée »

    Cornelia Ernst redoute que ces outils ne portent atteinte aux droits fondamentaux des personnes en déplacement. Les responsables sénégalais, note-t-elle, semblent « très enthousiasmés par les équipements qu’ils reçoivent et par leur utilité pour suivre les personnes ». Cornelia Ernst et Tineke Strik s’inquiètent également de la nouvelle politique, controversée, que mène la Commission européenne depuis l’été 2022 : l’Europe a entamé des négociations avec le Sénégal et la Mauritanie pour qu’ils l’autorisent à envoyer du personnel de l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes, Frontex, patrouiller aux frontières terrestres et maritimes des deux pays. Objectif avoué : freiner l’immigration africaine.

    Avec un budget de 754 millions d’euros, Frontex est l’agence la mieux dotée financièrement de toute l’UE. Ces cinq dernières années, un certain nombre d’enquêtes – de l’UE, des Nations unies, de journalistes et d’organisations à but non lucratif – ont montré que Frontex a violé les droits et la sécurité des migrants qui traversent la Méditerranée, notamment en aidant les garde-côtes libyens, financés par l’UE, à renvoyer des centaines de milliers de migrants en Libye, un pays dans lequel certains sont détenus, torturés ou exploités comme esclaves sexuels. En 2022, le directeur de l’agence, Fabrice Leggeri, a même été contraint de démissionner à la suite d’une cascade de scandales. Il lui a notamment été reproché d’avoir dissimulé des « pushbacks » : des refoulements illégaux de migrants avant même qu’ils ne puissent déposer une demande d’asile.

    Cela fait longtemps que Frontex est présente de façon informelle au Sénégal, en Mauritanie et dans six autres pays d’Afrique de l’Ouest, contribuant au transfert de données migratoires de ces pays vers l’UE. Mais jamais auparavant l’agence n’avait déployé de gardes permanents à l’extérieur de l’UE. Or à présent, Bruxelles compte bien étendre les activités de Frontex au-delà de son territoire, sur le sol de pays africains souverains, anciennes colonies européennes qui plus est, et ce en l’absence de tout mécanisme de surveillance. Pour couronner le tout, initialement, l’UE avait même envisagé d’accorder l’immunité au personnel de Frontex posté en Afrique de l’Ouest.

    D’évidence, les programmes européens ne sont pas sans poser problème. La veille de leur arrivée à Rosso, Cornelia Ernst et Tineke Strik séjournent à Dakar, où plusieurs groupes de la société civile les mettent en garde. « Frontex menace la dignité humaine et l’identité africaine », martèle Fatou Faye, de la Fondation Rosa Luxemburg, une ONG allemande. « Frontex militarise la Méditerranée », renchérit Saliou Diouf, fondateur de l’association de défense des migrants Boza Fii. Si Frontex poste ses gardes aux frontières africaines, ajoute-t-il, « c’est la fin ».

    Ces programmes s’inscrivent dans une vaste stratégie d’« externalisation des frontières », selon le jargon européen en vigueur. L’idée ? Sous-traiter de plus en plus le contrôle des frontières européennes en créant des partenariats avec des gouvernements africains – autrement dit, étendre les pouvoirs de l’UE aux pays d’origine des migrants. Concrètement, cette stratégie aux multiples facettes consiste à distribuer des équipements de surveillance de pointe, à former les forces de police et à mettre en place des programmes de développement qui prétendent s’attaquer à la racine des migrations.

    Des cobayes pour l’Europe

    En 2016, l’UE a désigné le Sénégal, qui est à la fois un pays d’origine et de transit des migrants, comme l’un de ses cinq principaux pays partenaires pour gérer les migrations africaines. Mais au total, ce sont pas moins de 26 pays africains qui reçoivent de l’argent des contribuables européens pour endiguer les vagues de migration, dans le cadre de 400 projets distincts. Entre 2015 et 2021, l’UE a investi 5 milliards d’euros dans ces projets, 80 % des fonds étant puisés dans les budgets d’aide humanitaire et au développement. Selon des données de la Fondation Heinrich Böll, rien qu’au Sénégal, l’Europe a investi au moins 200 milliards de francs CFA (environ 305 millions d’euros) depuis 2005.

    Ces investissements présentent des risques considérables. Il s’avère que la Commission européenne omet parfois de procéder à des études d’évaluation d’impact sur les droits humains avant de distribuer ses fonds. Or, comme le souligne Tineke Strik, les pays qu’elle finance manquent souvent de garde-fous pour protéger la démocratie et garantir que les technologies et les stratégies de maintien de l’ordre ne seront pas utilisées à mauvais escient. En réalité, avec ces mesures, l’UE mène de dangereuses expériences technico-politiques : elle équipe des gouvernements autoritaires d’outils répressifs qui peuvent être utilisés contre les migrants, mais contre bien d’autres personnes aussi.

    « Si la police dispose de ces technologies pour tracer les migrants, rien ne garantit qu’elle ne s’en servira pas contre d’autres individus, comme des membres de la société civile et des acteurs politiques », explique Ousmane Diallo, chercheur au bureau d’Afrique de l’Ouest d’Amnesty International.

    En 2022, j’ai voulu mesurer l’impact au Sénégal des investissements réalisés par l’UE dans le cadre de sa politique migratoire. Je me suis rendu dans plusieurs villes frontalières, j’ai discuté avec des dizaines de personnes et j’ai consulté des centaines de documents publics ou qui avaient fuité. Cette enquête a mis au jour un complexe réseau d’initiatives qui ne s’attaquent guère aux problèmes qui poussent les gens à émigrer. En revanche, elles portent un rude coup aux droits fondamentaux, à la souveraineté nationale du Sénégal et d’autres pays d’Afrique, ainsi qu’aux économies locales de ces pays, qui sont devenus des cobayes pour l’Europe.

    Des politiques « copiées-collées »

    Depuis la « crise migratoire » de 2015, l’UE déploie une énergie frénétique pour lutter contre l’immigration. A l’époque, plus d’un million de demandeurs d’asile originaires du Moyen-Orient et d’Afrique – fuyant les conflits, la violence et la pauvreté – ont débarqué sur les côtes européennes. Cette « crise migratoire » a provoqué une droitisation de l’Europe. Les leaders populistes surfant sur la peur des populations et présentant l’immigration comme une menace sécuritaire et identitaire, les partis nationalistes et xénophobes en ont fait leurs choux gras.

    Reste que le pic d’immigration en provenance d’Afrique de l’Ouest s’est produit bien avant 2015 : en 2006, plus de 31 700 migrants sont arrivés par bateau aux îles Canaries, un territoire espagnol situé à une centaine de kilomètres du Maroc. Cette vague a pris au dépourvu le gouvernement espagnol, qui s’est lancé dans une opération conjointe avec Frontex, baptisée « Hera », pour patrouiller le long des côtes africaines et intercepter les bateaux en direction de l’Europe.

    Cette opération « Hera », que l’ONG britannique de défense des libertés Statewatch qualifie d’« opaque », marque le premier déploiement de Frontex à l’extérieur du territoire européen. C’est aussi le premier signe d’externalisation des frontières européennes en Afrique depuis la fin du colonialisme au XXe siècle. En 2018, Frontex a quitté le Sénégal, mais la Guardia Civil espagnole y est restée jusqu’à ce jour : pour lutter contre l’immigration illégale, elle patrouille le long des côtes et effectue même des contrôles de passeports dans les aéroports.

    En 2015, en pleine « crise », les fonctionnaires de Bruxelles ont musclé leur stratégie : ils ont décidé de dédier des fonds à la lutte contre l’immigration à la source. Ils ont alors créé le Fonds fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique (EUTF). Officiellement, il s’agit de favoriser la stabilité et de remédier aux causes des migrations et des déplacements irréguliers des populations en Afrique.

    Malgré son nom prometteur, c’est la faute de l’EUTF si la mallette noire se trouve à présent au poste-frontière de Rosso – sans oublier les drones et les lunettes de vision nocturne. Outre ce matériel, le fonds d’urgence sert à envoyer des fonctionnaires et des consultants européens en Afrique, pour convaincre les gouvernements de mettre en place de nouvelles politiques migratoires – des politiques qui, comme me le confie un consultant anonyme de l’EUTF, sont souvent « copiées-collées d’un pays à l’autre », sans considération aucune des particularités nationales de chaque pays. « L’UE force le Sénégal à adopter des politiques qui n’ont rien à voir avec nous », explique la chercheuse sénégalaise Fatou Faye à Cornelia Ernst et Tineke Strik.

    Une mobilité régionale stigmatisée

    Les aides européennes constituent un puissant levier, note Leonie Jegen, chercheuse à l’université d’Amsterdam et spécialiste de l’influence de l’UE sur la politique migratoire sénégalaise. Ces aides, souligne-t-elle, ont poussé le Sénégal à réformer ses institutions et son cadre législatif en suivant des principes européens et en reproduisant des « catégories politiques eurocentrées » qui stigmatisent, voire criminalisent la mobilité régionale. Et ces réformes sont sous-tendues par l’idée que « le progrès et la modernité » sont des choses « apportées de l’extérieur » – idée qui n’est pas sans faire écho au passé colonial.

    Il y a des siècles, pour se partager l’Afrique et mieux piller ses ressources, les empires européens ont dessiné ces mêmes frontières que l’UE est aujourd’hui en train de fortifier. L’Allemagne a alors jeté son dévolu sur de grandes parties de l’Afrique de l’Ouest et de l’Afrique de l’Est ; les Pays-Bas ont mis la main sur l’Afrique du Sud ; les Britanniques ont décroché une grande bande de terre s’étendant du nord au sud de la partie orientale du continent ; la France a raflé des territoires allant du Maroc au Congo-Brazzaville, notamment l’actuel Sénégal, qui n’est indépendant que depuis soixante-trois ans.

    L’externalisation actuelle des frontières européennes n’est pas un cas totalement unique. Les trois derniers gouvernements américains ont abreuvé le Mexique de millions de dollars pour empêcher les réfugiés d’Amérique centrale et d’Amérique du Sud d’atteindre la frontière américaine, et l’administration Biden a annoncé l’ouverture en Amérique latine de centres régionaux où il sera possible de déposer une demande d’asile, étendant ainsi de facto le contrôle de ses frontières à des milliers de kilomètres au-delà de son territoire.

    Cela dit, au chapitre externalisation des frontières, la politique européenne en Afrique est de loin la plus ambitieuse et la mieux financée au monde.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/06/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-1-4-fron

    #réfugiés #asile #contrôles_frontaliers #frontières #Sénégal #Rosso #fleuve_Sénégal #Mauritanie #Universal_Forensics_Extraction_Device (#UFED) #données #technologie #Cellebrite #complexe_militaro-industriel #Division_nationale_de_lutte_contre_le_trafic_de_migrants (#DNLT) #politique_migratoire_européenne #UE #EU #Union_européenne #partenariat_opérationnel_conjoint #dissuasion #postes-frontières #surveillance #technologie_de_surveillance #biométrie #identification_biométrie #reconnaissance_faciale #empreintes_digitales #drones #droits_fondamentaux #militarisation_des_frontières #Boza_Fii #externalisation #expériences_technico-politiques #Hera #opération_Hera #mobilité_régionale

    • Comment l’Europe sous-traite à l’Afrique le contrôle des migrations (2/4) : « Nous avons besoin d’aide, pas d’outils sécuritaires »

      Au Sénégal, la création et l’équipement de postes-frontières constituent des éléments clés du partenariat avec l’Union européenne. Une stratégie pas toujours efficace, tandis que les services destinés aux migrants manquent cruellement de financements.

      Par une étouffante journée de mars, j’arrive au poste de contrôle poussiéreux du village sénégalais de #Moussala, à la frontière avec le #Mali. Des dizaines de camions et de motos attendent, en ligne, de traverser ce point de transit majeur. Après avoir demandé pendant des mois, en vain, la permission au gouvernement d’accéder au poste-frontière, j’espère que le chef du poste m’expliquera dans quelle mesure les financements européens influencent leurs opérations. Refusant d’entrer dans les détails, il me confirme que son équipe a récemment reçu de l’Union européenne (UE) des formations et des équipements dont elle se sert régulièrement. Pour preuve, un petit diplôme et un trophée, tous deux estampillés du drapeau européen, trônent sur son bureau.

      La création et l’équipement de postes-frontières comme celui de Moussala constituent des éléments clés du partenariat entre l’UE et l’#Organisation_internationale_pour_les_migrations (#OIM). Outre les technologies de surveillance fournies aux antennes de la Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT, fruit d’un partenariat entre le Sénégal et l’UE), chaque poste-frontière est équipé de systèmes d’analyse des données migratoires et de systèmes biométriques de reconnaissance faciale et des empreintes digitales.

      Officiellement, l’objectif est de créer ce que les fonctionnaires européens appellent un système africain d’#IBM, à savoir « #Integrated_Border_Management » (en français, « gestion intégrée des frontières »). Dans un communiqué de 2017, le coordinateur du projet de l’OIM au Sénégal déclarait : « La gestion intégrée des frontières est plus qu’un simple concept, c’est une culture. » Il avait semble-t-il en tête un changement idéologique de toute l’Afrique, qui ne manquerait pas selon lui d’embrasser la vision européenne des migrations.

      Technologies de surveillance

      Concrètement, ce système IBM consiste à fusionner les #bases_de_données sénégalaises (qui contiennent des données biométriques sensibles) avec les données d’agences de police internationales (comme #Interpol et #Europol). Le but : permettre aux gouvernements de savoir qui franchit quelle frontière et quand. Un tel système, avertissent les experts, peut vite faciliter les expulsions illégales et autres abus.

      Le risque est tout sauf hypothétique. En 2022, un ancien agent des services espagnols de renseignement déclarait au journal El Confidencial que les autorités de plusieurs pays d’Afrique « utilisent les technologies fournies par l’Espagne pour persécuter et réprimer des groupes d’opposition, des militants et des citoyens critiques envers le pouvoir ». Et d’ajouter que le gouvernement espagnol en avait parfaitement conscience.

      D’après un porte-parole de la Commission européenne, « tous les projets qui touchent à la sécurité et sont financés par l’UE comportent un volet de formation et de renforcement des capacités en matière de droits humains ». Selon cette même personne, l’UE effectue des études d’impact sur les droits humains avant et pendant la mise en œuvre de ces projets. Mais lorsque, il y a quelques mois, l’eurodéputée néerlandaise Tineke Strik a demandé à voir ces études d’impact, trois différents services de la Commission lui ont envoyé des réponses officielles disant qu’ils ne les avaient pas. En outre, selon un de ces services, « il n’existe pas d’obligation réglementaire d’en faire ».

      Au Sénégal, les libertés civiles sont de plus en plus menacées et ces technologies de surveillance risquent d’autant plus d’être utilisées à mauvais escient. Rappelons qu’en 2021, les forces de sécurité sénégalaises ont tué quatorze personnes qui manifestaient contre le gouvernement ; au cours des deux dernières années, plusieurs figures de l’opposition et journalistes sénégalais ont été emprisonnés pour avoir critiqué le gouvernement, abordé des questions politiques sensibles ou avoir « diffusé des fausses nouvelles ». En juin, après qu’Ousmane Sonko, principal opposant au président Macky Sall, a été condamné à deux ans d’emprisonnement pour « corruption de la jeunesse », de vives protestations ont fait 23 morts.

      « Si je n’étais pas policier, je partirais aussi »

      Alors que j’allais renoncer à discuter avec la police locale, à Tambacounda, autre grand point de transit non loin des frontières avec le Mali et la Guinée, un policier de l’immigration en civil a accepté de me parler sous couvert d’anonymat. C’est de la région de #Tambacounda, qui compte parmi les plus pauvres du Sénégal, que proviennent la plupart des candidats à l’immigration. Là-bas, tout le monde, y compris le policier, connaît au moins une personne qui a tenté de mettre les voiles pour l’Europe.

      « Si je n’étais pas policier, je partirais aussi », me confie-t-il par l’entremise d’un interprète, après s’être éloigné à la hâte du poste-frontière. Les investissements de l’UE « n’ont rien changé du tout », poursuit-il, notant qu’il voit régulièrement des personnes en provenance de Guinée passer par le Sénégal et entrer au Mali dans le but de gagner l’Europe.

      Depuis son indépendance en 1960, le Sénégal est salué comme un modèle de démocratie et de stabilité, tandis que nombre de ses voisins sont en proie aux dissensions politiques et aux coups d’Etat. Quoi qu’il en soit, plus d’un tiers de la population vit sous le seuil de pauvreté et l’absence de perspectives pousse la population à migrer, notamment vers la France et l’Espagne. Aujourd’hui, les envois de fonds de la diaspora représentent près de 10 % du PIB sénégalais. A noter par ailleurs que, le Sénégal étant le pays le plus à l’ouest de l’Afrique, de nombreux Ouest-Africains s’y retrouvent lorsqu’ils fuient les problèmes économiques et les violences des ramifications régionales d’Al-Qaida et de l’Etat islamique (EI), qui ont jusqu’à présent contraint près de 4 millions de personnes à partir de chez elles.

      « L’UE ne peut pas résoudre les problèmes en construisant des murs et en distribuant de l’argent, me dit le policier. Elle pourra financer tout ce qu’elle veut, ce n’est pas comme ça qu’elle mettra fin à l’immigration. » Les sommes qu’elle dépense pour renforcer la police et les frontières, dit-il, ne servent guère plus qu’à acheter des voitures climatisées aux policiers des villes frontalières.

      Pendant ce temps, les services destinés aux personnes expulsées – comme les centres de protection et d’accueil – manquent cruellement de financements. Au poste-frontière de Rosso, des centaines de personnes sont expulsées chaque semaine de Mauritanie. Mbaye Diop travaille avec une poignée de bénévoles du centre que la Croix-Rouge a installé du côté sénégalais pour accueillir ces personnes expulsées : des hommes, des femmes et des enfants qui présentent parfois des blessures aux poignets, causées par des menottes, et ailleurs sur le corps, laissées par les coups de la police mauritanienne. Mais Mbaye Diop n’a pas de ressources pour les aider. L’approche n’est pas du tout la bonne, souffle-t-il : « Nous avons besoin d’aide humanitaire, pas d’outils sécuritaires. »

      La méthode de la carotte

      Pour freiner l’immigration, l’UE teste également la méthode de la carotte : elle propose des subventions aux entreprises locales et des formations professionnelles à ceux qui restent ou rentrent chez eux. La route qui mène à Tambacounda est ponctuée de dizaines et de dizaines de panneaux publicitaires vantant les projets européens.

      Dans la réalité, les offres ne sont pas aussi belles que l’annonce l’UE. Binta Ly, 40 ans, en sait quelque chose. A Tambacounda, elle tient une petite boutique de jus de fruits locaux et d’articles de toilette. Elle a fait une année de droit à l’université, mais le coût de la vie à Dakar l’a contrainte à abandonner ses études et à partir chercher du travail au Maroc. Après avoir vécu sept ans à Casablanca et Marrakech, elle est rentrée au Sénégal, où elle a récemment inauguré son magasin.

      En 2022, Binta Ly a déposé une demande de subvention au Bureau d’accueil, d’orientation et de suivi (BAOS) qui avait ouvert la même année à Tambacounda, au sein de l’antenne locale de l’Agence régionale de développement (ARD). Financés par l’UE, les BAOS proposent des subventions aux petites entreprises sénégalaises dans le but de dissuader la population d’émigrer. Binta Ly ambitionnait d’ouvrir un service d’impression, de copie et de plastification dans sa boutique, idéalement située à côté d’une école primaire. Elle a obtenu une subvention de 500 000 francs CFA (762 euros) – soit un quart du budget qu’elle avait demandé –, mais peu importe, elle était très enthousiaste. Sauf qu’un an plus tard, elle n’avait toujours pas touché un seul franc.

      Dans l’ensemble du Sénégal, les BAOS ont obtenu une enveloppe totale de 1 milliard de francs CFA (1,5 million d’euros) de l’UE pour financer ces subventions. Mais l’antenne de Tambacounda n’a perçu que 60 millions de francs CFA (91 470 euros), explique Abdoul Aziz Tandia, directeur du bureau local de l’ARD. A peine de quoi financer 84 entreprises dans une région de plus d’un demi-million d’habitants. Selon un porte-parole de la Commission européenne, la distribution des subventions a effectivement commencé en avril. Le fait est que Binta Ly a reçu une imprimante et une plastifieuse, mais pas d’ordinateur pour aller avec. « Je suis contente d’avoir ces aides, dit-elle. Le problème, c’est qu’elles mettent très longtemps à venir et que ces retards chamboulent tout mon business plan. »

      Retour « volontaire »

      Abdoul Aziz Tandia admet que les BAOS ne répondent pas à la demande. C’est en partie la faute de la bureaucratie, poursuit-il : Dakar doit approuver l’ensemble des projets et les intermédiaires sont des ONG et des agences étrangères, ce qui signifie que les autorités locales et les bénéficiaires n’exercent aucun contrôle sur ces fonds, alors qu’ils sont les mieux placés pour savoir comment les utiliser. Par ailleurs, reconnaît-il, de nombreuses régions du pays n’ayant accès ni à l’eau propre, ni à l’électricité ni aux soins médicaux, ces microsubventions ne suffisent pas à empêcher les populations d’émigrer. « Sur le moyen et le long termes, ces investissements n’ont pas de sens », juge Abdoul Aziz Tandia.

      Autre exemple : aujourd’hui âgé de 30 ans, Omar Diaw a passé au moins cinq années de sa vie à tenter de rejoindre l’Europe. Traversant les impitoyables déserts du Mali et du Niger, il est parvenu jusqu’en Algérie. Là, à son arrivée, il s’est aussitôt fait expulser vers le Niger, où il n’existe aucun service d’accueil. Il est alors resté coincé des semaines entières dans le désert. Finalement, l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) l’a renvoyé en avion au Sénégal, qualifiant son retour de « volontaire ».

      Lorsqu’il est rentré chez lui, à Tambacounda, l’OIM l’a inscrit à une formation de marketing numérique qui devait durer plusieurs semaines et s’accompagner d’une allocation de 30 000 francs CFA (46 euros). Mais il n’a jamais touché l’allocation et la formation qu’il a suivie est quasiment inutile dans sa situation : à Tambacounda, la demande en marketing numérique n’est pas au rendez-vous. Résultat : il a recommencé à mettre de l’argent de côté pour tenter de nouveau de gagner l’Europe.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/07/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-2-4-nous
      #OIM #retour_volontaire

    • Comment l’Europe sous-traite à l’Afrique le contrôle des migrations (3/4) : « Il est presque impossible de comprendre à quoi sert l’argent »

      A coups de centaines de millions d’euros, l’UE finance des projets dans des pays africains pour réduire les migrations. Mais leur impact est difficile à mesurer et leurs effets pervers rarement pris en considération.

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      Au chapitre migrations, rares sont les projets de l’Union européenne (UE) qui semblent adaptés aux réalités africaines. Mais il n’est pas sans risques de le dire tout haut. C’est ce que Boubacar Sèye, chercheur dans le domaine, a appris à ses dépens.

      Né au Sénégal, il vit aujourd’hui en Espagne. Ce migrant a quitté la Côte d’Ivoire, où il travaillait comme professeur de mathématiques, quand les violences ont ravagé le pays au lendemain de l’élection présidentielle de 2000. Après de brefs séjours en France et en Italie, Boubacar Sèye s’est établi en Espagne, où il a fini par obtenir la citoyenneté et fondé une famille avec son épouse espagnole. Choqué par le bilan de la vague de migration aux Canaries en 2006, il a créé l’ONG Horizons sans frontières pour aider les migrants africains en Espagne. Aujourd’hui, il mène des recherches et défend les droits des personnes en déplacement, notamment celles en provenance d’Afrique et plus particulièrement du Sénégal.

      En 2019, Boubacar Sèye s’est procuré un document détaillant comment les fonds des politiques migratoires de l’UE sont dépensés au Sénégal. Il a été sidéré par le montant vertigineux des sommes investies pour juguler l’immigration, alors que des milliers de candidats à l’asile se noient chaque année sur certaines des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Lors d’entretiens publiés dans la presse et d’événements publics, il a ouvertement demandé aux autorités sénégalaises d’être plus transparentes sur ce qu’elles avaient fait des centaines de millions d’euros de l’Europe, qualifiant ces projets de véritable échec.

      Puis, au début de l’année 2021, il a été arrêté à l’aéroport de Dakar pour « diffusion de fausses informations ». Il a ensuite passé deux semaines en prison. Sa santé se dégradant rapidement sous l’effet du stress, il a fait une crise cardiaque. « Ce séjour en prison était inhumain, humiliant, et il m’a causé des problèmes de santé qui durent jusqu’à aujourd’hui, s’indigne le chercheur. J’ai juste posé une question : “Où est passé l’argent ?” »

      Ses intuitions n’étaient pas mauvaises. Les financements de la politique anti-immigration de l’UE sont notoirement opaques et difficiles à tracer. Les demandes déposées dans le cadre de la liberté d’information mettent des mois, voire des années à être traitées, alors que la délégation de l’UE au Sénégal, la Commission européenne et les autorités sénégalaises ignorent ou déclinent les demandes d’interviews.

      La Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT, fruit d’un partenariat entre le Sénégal et l’UE), la police des frontières, le ministère de l’intérieur et le ministère des affaires étrangères – lesquels ont tous bénéficié des fonds migratoires européens – n’ont pas répondu aux demandes répétées d’entretien pour réaliser cette enquête.
      « Nos rapports doivent être positifs »

      Les rapports d’évaluation de l’UE ne donnent pas de vision complète de l’impact des programmes. A dessein ? Plusieurs consultants qui ont travaillé sur des rapports d’évaluation d’impact non publiés de projets du #Fonds_fiduciaire_d’urgence_de_l’UE_pour_l’Afrique (#EUTF), et qui s’expriment anonymement en raison de leur obligation de confidentialité, tirent la sonnette d’alarme : les effets pervers de plusieurs projets du fonds sont peu pris en considération.

      Au #Niger, par exemple, l’UE a contribué à élaborer une loi qui criminalise presque tous les déplacements, rendant de fait illégale la mobilité dans la région. Alors que le nombre de migrants irréguliers qui empruntent certaines routes migratoires a reculé, les politiques européennes rendent les routes plus dangereuses, augmentent les prix qu’exigent les trafiquants et criminalisent les chauffeurs de bus et les sociétés de transport locales. Conséquence : de nombreuses personnes ont perdu leur travail du jour au lendemain.

      La difficulté à évaluer l’impact de ces projets tient notamment à des problèmes de méthode et à un manque de ressources, mais aussi au simple fait que l’UE ne semble guère s’intéresser à la question. Un consultant d’une société de contrôle et d’évaluation financée par l’UE confie : « Quel est l’impact de ces projets ? Leurs effets pervers ? Nous n’avons pas les moyens de répondre à ces questions. Nous évaluons les projets uniquement à partir des informations fournies par des organisations chargées de leur mise en œuvre. Notre cabinet de conseil ne réalise pas d’évaluation véritablement indépendante. »

      Selon un document interne que j’ai pu me procurer, « rares sont les projets qui nous ont fourni les données nécessaires pour évaluer les progrès accomplis en direction des objectifs généraux de l’EUTF (promouvoir la stabilité et limiter les déplacements forcés et les migrations illégales) ». Selon un autre consultant, seuls les rapports positifs semblent les bienvenus : « Il est implicite que nos rapports doivent être positifs si nous voulons à l’avenir obtenir d’autres projets. »

      En 2018, la Cour des comptes européenne, institution indépendante, a émis des critiques sur l’EUTF : ses procédures de sélection de projets manquent de cohérence et de clarté. De même, une étude commanditée par le Parlement européen qualifie ses procédures d’« opaques ». « Le contrôle du Parlement est malheureusement très limité, ce qui constitue un problème majeur pour contraindre la Commission à rendre des comptes, regrette l’eurodéputée allemande Cornelia Ernst. Même pour une personne très au fait des politiques de l’UE, il est presque impossible de comprendre où va l’argent et à quoi il sert. »

      Le #fonds_d’urgence pour l’Afrique a notamment financé la création d’unités de police des frontières d’élite dans six pays d’Afrique de l’Ouest, et ce dans le but de lutter contre les groupes de djihadistes et les trafics en tous genres. Or ce projet, qui aurait permis de détourner au moins 12 millions d’euros, fait actuellement l’objet d’une enquête pour fraude.
      Aucune étude d’impact sur les droits humains

      En 2020, deux projets de modernisation des #registres_civils du Sénégal et de la Côte d’Ivoire ont suscité de vives inquiétudes des populations. Selon certaines sources, ces projets financés par l’EUTF auraient en effet eu pour objectif de créer des bases de #données_biométriques nationales. Les défenseurs des libertés redoutaient qu’on collecte et stocke les empreintes digitales et images faciales des citoyens des deux pays.

      Quand Ilia Siatitsa, de l’ONG britannique Privacy International, a demandé à la Commission européenne de lui fournir des documents sur ces projets, elle a découvert que celle-ci n’avait réalisé aucune étude d’impact sur les droits humains. En Europe, aucun pays ne possède de base de données comprenant autant d’informations biométriques.

      D’après un porte-parole de la Commission, jamais le fonds d’urgence n’a financé de registre biométrique, et ces deux projets consistent exclusivement à numériser des documents et prévenir les fraudes. Or la dimension biométrique des registres apparaît clairement dans les documents de l’EUTF qu’Ilia Siatitsa s’est procurés : il y est écrit noir sur blanc que le but est de créer « une base de données d’identification biométrique pour la population, connectée à un système d’état civil fiable ».

      Ilia Siatitsa en a déduit que le véritable objectif des deux projets était vraisemblablement de faciliter l’expulsion des migrants africains d’Europe. D’ailleurs, certains documents indiquent explicitement que la base de données ivoirienne doit servir à identifier et expulser les Ivoiriens qui résident illégalement sur le sol européen. L’un d’eux explique même que l’objectif du projet est de « faciliter l’identification des personnes qui sont véritablement de nationalité ivoirienne et l’organisation de leur retour ».

      Quand Cheikh Fall, militant sénégalais pour le droit à la vie privée, a appris l’existence de cette base de données, il s’est tourné vers la Commission de protection des données personnelles (CDP), qui, légalement, aurait dû donner son aval à un tel projet. Mais l’institution sénégalaise n’a été informée de l’existence du projet qu’après que le gouvernement l’a approuvé.

      En novembre 2021, Ilia Siatitsa a déposé une plainte auprès du médiateur de l’UE. En décembre 2022, après une enquête indépendante, le médiateur a rendu ses conclusions : la Commission n’a pas pris en considération l’impact sur la vie privée des populations africaines de ce projet et d’autres projets que finance l’UE dans le cadre de sa politique migratoire.

      Selon plusieurs sources avec lesquelles j’ai discuté, ainsi que la présentation interne du comité de direction du projet – que j’ai pu me procurer –, il apparaît que depuis, le projet a perdu sa composante biométrique. Cela dit, selon Ilia Siatitsa, cette affaire illustre bien le fait que l’UE effectue en Afrique des expériences sur des technologies interdites chez elle.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/08/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-3-4-il-e

  • @MartinSonneborn über Lügen der @vonderleyen
    https://twitter.com/MartinSonneborn/status/1695115224259469768?ref_src=twsrc%5Etfw

    #Digital_Services_Act #Europe #lol #wtf

    25.8.2023 In ihrem heutigen Post stellt Frau vonderLeyen die Behauptung auf, die Kommission bringe mit dem gerade in Kraft getretenen Digital Services Act „europäische Werte“ in die „digitale Welt“.

    Nach dem gerade in Kraft getretenen Digital Services Act melden wir diesen Fake-Inhalt hiermit den zuständigen Regulierungs- und Kontrollbehörden der EU, denn die inkriminierte Behauptung enthält eine den Leser bewusst irreführende „Desinformation“, die seinen Hass auf die EU in massgeblicher Weise schürt und damit geeignet ist, den asozialen Frieden in Europa zu gefährden.

    Bei Durchsicht aller 54 Artikel der Grundrechte der Europäischen Union, niedergelegt in der gleichnamigen Charta, ist uns kaum ein Artikel begegnet, der von der Kommission vonderLeyen noch nicht verletzt worden wäre.

    Nach einer vierjährigen Feldstudie ihres Amtsgebarens kommen dem Betrachter Dinge in den Sinn, die in stinknormaler Auslegung der EU-Charta als eindeutige Grundrechtsverstöße zu werten sind - insbesondere im Hinblick auf Artikel 41 „Recht auf eine gute Verwaltung“ (Lol!) sowie Artikel 42 „Recht auf Zugang zu Dokumenten“ - und zwar „unabhängig von der Form der für diese Dokumente verwendeten Träger“, was den intimen Kurznachrichtenverkehr mit Pharmabossen per SMS natürlich ausdrücklich einschließt.

    Mit der von der Kommission vonderLeyen betriebenen Einführung des DSA stehen nun darüber hinaus neben einer Reihe sekundär in Mitleidenschaft gezogener Grundrechte vor allem die folgenden in Frage:

    Art. 11 (1): Jede Person hat das Recht auf freie Meinungsäußerung. Dieses Recht schließt die Meinungsfreiheit und die Freiheit ein, Informationen und Ideen ohne behördliche Eingriffe und ohne Rücksicht auf Staatsgrenzen zu empfangen und weiterzugeben.

    Art. 11 (2): Die Freiheit der Medien und ihre Pluralität werden geachtet.

    Art. 10 (1): Jede Person hat das Recht auf Gedanken-, Gewissens- und Religionsfreiheit.

    Art. 6: Jeder Mensch hat das Recht auf Freiheit und Sicherheit.

    Art. 7: Jede Person hat das Recht auf Achtung ihres Privat- und Familienlebens, ihrer Wohnung sowie ihrer Kommunikation.

    Art. 8 (1): Jede Person hat das Recht auf Schutz der sie betreffenden personenbezogenen Daten.

    Wir weisen darauf hin, dass mit dem DSA diese verbrieften „europäischen Werte“ im Internet nicht ein-, sondern ausziehen, denn sie sind - vom Recht auf Gedanken- und Gewissensfreiheit über das Recht auf freie Meinungsäußerung bis hin zur Freiheit und Pluralität der Medien, in der anlasslosen Massenkriminalisierung der Ausübung grundrechtlich geschützter Freiheiten nicht nur ebensowenig enthalten wie in der (geplanten) anlasslosen Massenüberwachung (durch Chatkontrolle), sondern werden hier im Gegenteil sogar mit der allerfiesesten Zielgerichtetheit zerschlagen.

    Wir verbitten es uns daher, dass ausgerechnet Frau vonderLeyen, die von ihr selbst im Amt bis zur Unkenntlichkeit entstellten „europäischen Werte“ überhaupt in den Mund nimmt, sei es auch nur als inhaltsentleerte Propaganda-Floskel. Und erst recht verbitten wir uns deren Verkettung mit einer unter offensichtlicher Verletzung von Grundrechten erfolgten EU-Regulierung, die nachweislich nicht im Geringsten „europäischen Werten“ entspricht.

    Europäischen Werten entspräche es stattdessen, wenn Frau vonderLeyen nicht nur endlich einmal für die Verletzung von Art. 41 & 42 (s.o.), sondern schließlich auch dafür zur Rechenschaft gezogen würde, dass ihr Amtshandeln (sowohl exemplarisch im DSA als auch summarisch) den Tatbestand des Artikel 54 der EU-Charta „Verbot des Missbrauchs der Rechte“ erfüllt, in dem es heißt: „Keine Bestimmung dieser Charta ist so auszulegen, als begründe sie das Recht, eine Tätigkeit auszuüben oder eine Handlung vorzunehmen, die darauf abzielt, die in der Charta anerkannten Rechte und Freiheiten abzuschaffen oder sie stärker einzuschränken, als dies in der Charta vorgesehen ist.“

    Die Löschung der o.g. Behauptung vonderLeyens dürfte ja wohl das Mindeste sein, was wir zum Schutz der EU-Bürger durch von inhaltlich irreführenden Fakes zu „europäischen Werten“ ausgelöstem & daher anhaltend gerechtem Hass auf EU-Institutionen im Sinne des DSA erwarten dürfen.

    https://twitter.com/vonderleyen/status/1694979875034058876?ref_src=twsrc%5Etfw

  • "Avec cette cagnotte, les gens soutiennent un policier quand il tue un Arabe. Quand un policier tue, il est millionaire".

    Les amis de Nahel, les habitants de Nanterre sont toujours très en colère sur le traitement réservé aux quartiers après la mort de l’ado. Notre reportage.

    https://twitter.com/booska_p/status/1677271489043742721
    #Nahel #Nanterre #amis #témoignage #jeunes #colère #tristesse #dignité #quartiers_populaires #banlieues #jeunesse

  • Bulgaria and Romania speed up asylum and deportation procedures with EU support

    #Pilot_projects” intended to beef up border controls, accelerate asylum and deportation proceedings, and reinforce the role of EU agencies in Bulgaria and Romania have just begun - yet EU legislation intended to do the same is yet to be approved.

    Pilot projects

    In February the European Council confirmed its support for Commission-funded “border management pilot projects,” and two such projects have been launched in recent months, in Bulgaria (€45 million) and Romania (€10.8 million).

    As revealed by Statewatch in March, “the key border between Bulgaria and Turkiye,” was to be the first target of €600 million being made available to reinforce border controls and speed up removals.

    Of that funding, the Commission recently announced that it will make €140 million available “for the development of electronic surveillance systems at land external borders” and €120 million to “support reception and asylum systems,” in particular for the reception of unaccompanied minors and “reception capacity at the border”.

    Both Bulgaria and Romania have recently circulated notes within the Council to update other member states on the projects, and the Commission also trumpeted the “progress made” in a press release.

    Bulgaria

    According to the Bulgarian note, (pdf) the project “foresees the implementation by Bulgaria of targeted tools for border management and screening of third country nationals, conduct of an accelerated asylum and return procedure and cooperation in the fight against migrant smuggling.”

    The project is being implemented “with the operational and technical support of the relevant JHA agencies (EUAA, Europol and Frontex). It builds on Bulgaria’s good practices and experience, including its excellent cooperation with its neighboring countries and the EU agencies present in Bulgaria. The duration of the pilot is 6 months.”

    The country is “improving the digitalization of the asylum and return systems,” while:

    “Work is ongoing on legislative amendments for issuing of a return decision at the same time with a negative decision for international protection. Bulgaria is also working on drawing up a list with designated safe countries of origin in line with the Asylum Procedure Directive. Negotiations are ongoing with EUAA on an updated Operational plan in the field of asylum.”

    A “Roadmap for strengthened cooperation” with Frontex is “pending finalization”, which will allow for “provision of technical equipment and increased deployment of personnel.”

    However, Frontex presence in the country has already been stepped up, according to the Commission’s press release, with the agency providing “additional support to Bulgaria through return counsellors and interpreters.”

    The note also states an intention to a sign a Joint Action Plan on Return “in the margins of JHA Council,” presumably the meeting on 8 and 9 June, but the Council’s press release makes no mention of this.

    Romania

    While the Bulgarian note is not particularly detailed, it offers more information than the one circulated by Romania (pdf).

    The Romanian note states that agreement with the European Commission on launching the pilot project was reached on 17 March, and that it aims to implement “key operational actions in the area of border protection, asylum and return. One of the targeted operational actions foresees setting up pilot projects in interested Member States for fast asylum and return procedures.”

    While the Bulgarian note mentions the need for legal reforms to accelerate asylum and removal proceedings, the Romanian note says that this “showcase” of “Romania’s best practices in the areas of asylum, return, border management and international cooperation.. is based on EU and applicable Romanian legislation, as well as on Romania’s very good cooperation with neighbouring countries and EU agencies.”

    According to the Commission, however, Romania has changed national law in two respects: “to allow for the participation of EUAA [EU Asylum Agency] experts in the registration and assessment of asylum applications,” and - as in Bulgaria - “to allow for the issuing of a negative decision on international protection together with a return decision.”

    The country has also been cooperating with Frontex on align its national IT systems for deportations with the agency’s own, and “Romanian authorities will host and use the first Frontex Mobile Surveillance Vehicles at Romanian - Serbian border section of the Terra 2023 operational area.”

    Terra 2023 is presumably a continuation of the Frontex operation Terra 2022.

    Documentation

    - European Commission press release: Migration management: Update on progress made on the Pilot Projects for asylum and return procedures and new financial support for Bulgaria and Romania: https://www.statewatch.org/media/3932/eu-com-pilot-projects-bulgaria-romania-pr-7-6-23.pdf
    - Bulgarian delegation: Pilot project at the Bulgarian-Turkish border. Council doc. 9992/23, LIMITE, 5 June 2023, pdf: https://www.statewatch.org/media/3930/eu-council-bulgaria-pilot-project-migration-asylum-9992-23.pdf
    - Romanian delegation: Pilot project in the area of asylum, returns, border management and international cooperation, Council doc. 9991/23, LIMITE, 5 June 2023: https://www.statewatch.org/media/3931/eu-council-romania-pilot-project-migration-asylum-09991-23.pdf

    https://www.statewatch.org/news/2023/june/bulgaria-and-romania-speed-up-asylum-and-deportation-procedures-with-eu-
    #Bulgarie #Roumanie #renvois #expulsions #contrôles_frontaliers #financement #EU #UE #aide_financière #JHA #Europol #Frontex #EUAA #externalisation #externalisation_des_contrôles_frontaliers #digitalisation #directive_procédure #pays_sûrs #militarisation_des_frontières #Joint_Action_Plan_on_Return #Frontex_Mobile_Surveillance_Vehicles #Mobile_Surveillance_Vehicles #Terra_2023 #frontières

  • [en] Internet cartography focusing on rare earth materials by Coding Rights
    https://codingrights.org/docs/MapInternetTerritories_EN.pdf
    (text unfortunately not selectable) #internet #mapping
    https://pouet.chapril.org/@ulrike/110384226345199662

    L’image en espagnol :

    La source de l’info :

    Technological Cartographies: Digital Colonialism in the Internet’s Territories - Coding Rights
    https://codingrights.org/en/library-item/technological-cartographies-digital-colonialism-in-the-internets-terri

    Technological Cartographies: Digital Colonialism in the Internet’s Territories
    #algorithm #Big Tech monopolies #blogpost #climate change #Digital Colonialism #environment #labour rights #racism #smart cities #social environmental justice #surveillance
    12.22.2022

    by Joana Varon

    Text originally published at Digital Futures.

    The Internet is nothing like a cloud. It is a physical structure, geolocated and marked by power relations. Cables, satellites, antennas, servers, computers, cell phones, minerals, toxic waste, energy consumption – enormous amounts of material, labour and decisions are needed to make it all work. The magical narrative of ‘the cloud’ feeds an imaginary that exists in the absence of a place or territory, and envisions the Internet as something immaterial, abstract, timeless and apolitical. Something very different to reality.

    As we materialise the cloud, by developing a technological cartography that reveals and illustrates the physical and geopolitical dimensions of the Internet, we also expose the power relations that permeate its functioning, from the physical infrastructure layer to the sphere of algorithmic decision-making. Extractive relations, the practices of digital colonialism, and the establishment of monopolies become evident. We see that where we are, where we come from and who we are – across all dimensions of gender, sexuality, race, class, ethnicity, culture and nationality – matter in our relationship with this technology.