• Un rapporto sulla frontiera tra Lettonia, Russia e Bielorussia

    Il monitoraggio della ONG “I want to help refugees”

    A ottobre 2023 la ONG lettone Gribu palīdzēt bēgļiem (Voglio aiutare i rifugiati) 2, ha pubblicato un report sulla monitoraggio delle frontiere curato da Anna E. Griķe e Ieva Raubiško 3.

    Questa pubblicazione segue il report sulla visita effettuata in Lettonia dal 10 al 20 maggio del 2022 dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), un dossier a cui il governo lettone ha replicato in modo ambiguo e fuorviante. L’ONG lettone ha così deciso di redigere un proprio report che contesta le affermazione governative.

    Il Rapporto del Comitato europeo, infatti, forniva 21 raccomandazioni in merito alla situazione di detenzione nei confronti delle persone migranti, mentre la risposta del governo lettone considerava 18 di queste come risolte e/o ingiustificate, per cui non dovrebbero essere prese ulteriori misure, e 3 raccomandazioni presentate insieme a una potenziale azione.

    Tra le raccomandazioni, il CPT ha indicato alle autorità lettoni di garantire che le persone migranti che arrivano nella zona di frontiera o che sono presenti nel Paese non siano rimpatriate con la forza in Bielorussia. E’, invece, doveroso effettuare uno screening individuale al fine di identificare le persone bisognose di protezione, valutare tali necessità e prendere le misure appropriate. Inoltre, è essenziale che i cittadini stranieri abbiano accesso a una procedura di asilo, o altra procedura di soggiorno, che preveda una valutazione del rischio di maltrattamento in caso di espulsione della persona interessata verso il Paese di origine o un Paese terzo, sulla base di un’analisi obiettiva e indipendente della situazione dei diritti umani in quegli Stati.

    Per le autorità lettoni, attualmente, la situazione nei territori amministrativi al confine tra Lettonia e Bielorussia è considerata come un’emergenza e «non consente il flusso incontrollato di persone che attraversano il confine di Stato in luoghi non previsti», e allo stesso tempo non limita il diritto delle persone ad accedere alla procedura di asilo, poiché «il diritto di presentare una domanda al valico di frontiera previsto dalla legge sull’asilo non è limitato».

    Tuttavia, le testimonianze delle persone respinte con la forza dal confine lettone verso la Bielorussia indicano che al confine non viene effettuato un esame adeguato (ad esempio, non vengono verificati i documenti d’identità: nazionalità, età e altri dati identificativi sono sconosciuti), in violazione del divieto di espulsione collettiva dei rifugiati sancito dalla Convenzione di Ginevra, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla CEDU (principio di non-refoulement). Ci sono stati casi in cui non solo le famiglie con bambini, ma anche i minori non accompagnati sono stati respinti. Inoltre, perfino il principio dell’unità familiare non sempre è rispettato.

    Altre testimonianze di persone che sono riuscite ad entrare in Lettonia e hanno presentato domanda di asilo per motivi umanitari, mostrano che né le autorità bielorusse né quelle lettoni permettono ai migranti di spostarsi verso i valichi di frontiera ufficiali, respingendo invece in Lettonia o in Bielorussia, nonostante la legislazione vigente preveda che le persone possano presentare domanda di asilo ai valichi di frontiera ufficiali (ce ne sono due a Pāternieki e Silene) e al Centro di detenzione per stranieri di Daugavpils.

    Per dissuadere le persone dall’attraversare la frontiera, le guardie ricorrono all’uso della forza fisica e mezzi speciali, nonché all’uso di cani da guardia. Il 29 agosto 2023, il governo ha ratificato gli emendamenti al “Regolamento sui tipi di mezzi speciali e sulla procedura per il loro utilizzo“, prevedendo oltre ai mezzi speciali già in uso – tra cui manganelli, taser, spray di gas cs, candelotti e granate fumogene, granate a gas, luminose e sonore – anche dispositivi sonori con effetti stordenti.

    L’uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine è illegale e per questo il CPT ha raccomandato che le forze dell’ordine vengano informate a riguardo e ricevano una formazione pratica sull’uso proporzionato della forza per l’arresto di cittadini stranieri alla frontiera.

    Le autorità lettoni ribattono di non aver fatto ricorso alla forza fisica e a mezzi speciali contro le persone migranti in quanto non si sono verificati casi in cui queste non hanno obbedito agli ordini considerati legittimi delle guardie di frontiera: le persone, infatti, vengono informate che l’attraversamento del confine di Stato è illegale e che è prevista una responsabilità penale per il suo attraversamento e vengono invitate a non attraversare il confine di Stato o, di conseguenza, a tornare in Bielorussia. Nonostante sia consentito l’uso dei taser ai funzionari, attualmente non sono utilizzati per la sorveglianza delle frontiere a causa della loro carenza numerica, del loro breve periodo di autonomia e della necessità di utilizzarli per le esigenze di altri servizi dell’SBG 4.

    Tuttavia, la risposta del governo è in contraddizione con diverse testimonianze di persone migranti raccolte da “Voglio aiutare i rifugiati” nel 2022-2023, che hanno subito violenze emotive e fisiche, tra cui insulti e minacce, percosse e folgorazioni, sia durante i respingimenti che durante la permanenza nelle tende/basi dell’SBG in territorio lettone.

    Secondo queste testimonianze, gli abusi sono stati commessi il più delle volte da membri di unità speciali non identificate che indossavano maschere. Nel report si legge che «almeno quattro denunce sull’uso eccessivo della violenza sono state presentate all’Ufficio per la sicurezza interna e uno dei denuncianti si è rivolto alla Corte europea dei diritti umani».

    Per quanto riguarda l’accoglienza dei minori non accompagnati, il Comitato vorrebbe fosse adibita una struttura specifica, mentre il governo lettone afferma che sarebbe impossibile in quanto il numero dei minori è esiguo. Per l’associazione questa risposta è fuorviante: nonostante il basso numero solo alcuni minori non accompagnati vengono accolti in modo adeguato. Nel maggio 2023 Anna E. Griķe ha incontrato una ragazza di 13 anni dell’isola di Comore ospitata nel “centro di accoglienza” per richiedenti asilo “Mucenieki“, che offriva le stesse condizioni di alloggio degli adulti e che quindi non può essere considerato un istituto di assistenza all’infanzia. Tra il 4 e il 7 luglio la minore è scomparsa.

    Oltre a strutture specifiche adeguate per l’età dei richiedenti asilo, il CPT vorrebbe assicurare ai richiedenti asilo trattenuti nei centri di Daugavpils e Mucenieki attività come lezioni di lingua, di computer, percorsi formativi ecc. Il massimo sforzo dovrebbe essere dedicato soprattutto per garantire ai bambini in età scolastica attività educative adeguate.

    Il governo lettone ha risposto che all’SBG non compete la pianificazione delle attività del tempo libero, tuttavia collabora con le ONG lettoni, come l’associazione “Voglio aiutare i rifugiati” e la Croce Rossa che, per quanto possibile, assicurano l’organizzazione di varie attività ricreative, di socializzazione e integrazione, misure di sostegno psicologico e di istruzione.

    Nonostante ciò, il report afferma che da quanto osservato nel 2023 l’unica attività garantita dalla CR è stata fornire indumenti scadenti a entrambi i centri di detenzione e che solo nell’estate del 2023 l’associazione ha organizzato attività settimanali in entrambi i centri di detenzione per bambini e famiglie e a volte per adulti: un’iniziativa basata sulla buona volontà, non una soluzione sistemica.

    In ultima istanza, il report si occupa delle problematiche relative alle cure psichiatriche e all’assistenza psicologica nei centri di detenzione. Il CPT insiste che siano presi provvedimenti a riguardo insieme a un necessario servizio di interpretariato professionale. Le autorità lettoni dichiarano che in base alla proposta avanzata dall’Ong “Medici senza frontiere“, nel periodo compreso tra luglio e il 31 dicembre 2022, i loro rappresentanti hanno visitato regolarmente l’IDC (centro di detenzione per immigrati) di Daugavpils e di Mucenieki, fornendo assistenza psicologica agli stranieri detenuti e ai richiedenti asilo ospitati nell’IDC dell’SBG.

    Da quando Medici Senza Frontiere ha cessato la sua attività in Lettonia, nel dicembre 2022 5, non è più disponibile alcun supporto psicologico per le persone detenute. Inoltre nel 2013, l’SBG e la Croce Rossa Lettone hanno firmato un accordo di cooperazione, in base al quale quest’ultima si è impegnata a fornire per le persone accolte misure di sostegno psicologico ed educativo. Secondo “Voglio aiutare i rifugiati” la Croce Rossa non ha offerto assistenza psicologica presso gli IDC anche a causa della difficoltà di organizzare gli interpreti. Sebbene le ONG possano offrire un valido supporto psicologico ai richiedenti asilo e agli stranieri detenuti nei centri di detenzione, i loro servizi non possono essere considerati una sostituzione del supporto psicologico che lo Stato dovrebbe fornire.

    “Voglio aiutare i rifugiati” ha ripreso lo slogan “Nessuno è illegale” (Neviena persona nav nelegāla!) per cercare di sensibilizzare sulla situazione al confine: «Il termine “migrante irregolare” non solo è indesiderabile (ad esempio, si veda il Glossario sulle migrazioni dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni), ma denigra anche i diritti umani di qualsiasi migrante e non è in linea con i principi delle buone pratiche».

    La maggior parte delle persone giunte in Lettonia dalla Bielorussia sono richiedenti asilo: fino a quando non verrà presa una decisione sul loro status, da un punto di vista giuridico dovrebbero essere chiamati richiedenti asilo, nonostante abbiano attraversato il confine “illegalmente“. Da un punto di vista legale ed etico, un processo o un atto può essere etichettato come irregolare, ma non lo può essere una persona.
    Nessuna persona, infatti, è illegale!

    https://www.meltingpot.org/2024/03/un-rapporto-sulla-frontiera-tra-lettonia-russia-e-bielorussia

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    • BORDER MONITORING REPORT, LATVIA

      Background

      On 11 July 2023 both the “Report to the Latvian Government on the periodic visit to Latvia carried out by the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) from 10 to 20 May 2022” (here and after – Report) and the “Response of the Latvian Government to the report of the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) on its periodic visit to Latvia from 10 to 20 May 2022” (here and after – Response) were published. The Report provides 21 recommendations in terms of Immigration detention; Response considers 18 recommendations as in progress and/or unjustified where no additional steps should be taken, and 3
      recommendations are presented along with a potential action plan.
      Ieva Raubiško has closely followed the situation of irregular migrants at the Latvian-Belarussian border since August 2021. In October 2022, she joined the NGO “I Want to Help Refugees” as an advocacy officer. In February 2023 Anna E. Griķe began to fulfil her duties as both border monitoring expert and coordinator of
      humanitarian aid for asylum seekers. Based on prior reports, observations, and individual cases, the following border monitoring report aims to highlight misleading information within the Response. It does not cover all recommendations/responses because of the insufficient data available regarding issues such as access to
      legal aid or to health care, but it is more focused on the everyday life in detention, especially, in regard to minors. The reference to both documents includes paragraphs and page numbers.

      Key Findings

      [1] Accommodation of unaccompanied minors

      Report, par. 30, p. 17: “The Committee recommends that the Latvian authorities take the necessary measures to ensure that unaccompanied minors are accommodated in an open (or semi-open) specialised establishment for juveniles (for example, a social welfare/educational institution) where they can be provided with appropriate care and activities suitable for their age; the relevant legal provisions should be amended accordingly.”

      Response, p. 12: “There is no open (or semi-open) specialised establishment in Latvia intended specifically for a minor foreigner to be extradited or unaccompanied asylum seeker and it is not planned to create such an establishment, because the number of unaccompanied minors is small and it would not be feasible to open such an establishment. An unaccompanied minor, who is not detained, is accommodated in a child care institution based on the decision of the Orphan’s and Custody Court.”

      Indeed, the number of asylum seekers – unaccompanied minors is low, and there is no specialised establishment for their accommodation. However, the Response is misleading since only some unaccompanied minors are properly taken care of. In May 2023, Anna E. Griķe came across two of them, a 13-years old girl from Comoros island and a 14-years old boy from DRC. They both were accommodated in the Accommodation centre for asylum seekers “Mucenieki” provided the same accommodation conditions as adults (free of charge accommodation and allowance of 3 euros per day). It could be considered a childcare institution in any way, as it requires individuals to have complete autonomy in taking care of themselves on a daily basis. After the girl’s disappearance of between July 4 and 7 and ‘with serious concerns about the lack of action, relevant institutions as Ombudsman or State Police were informed about the situation.

      [2] Access to education and/or leisure activities for minors in IDCs [immigration detention center]

      Response, p. 12: “Minors accompanied by their parents are accommodated in the IDC, based on the parents’ application for accommodating children together with parents, and after evaluating the best interests of a child. Thus, children are not detained, but accommodated together with their parents, who are detained. In turn, detained unaccompanied minors are accommodated in the premises of the IDC premises, in which there is personnel and equipment to take the needs of their age into account. Minors accommodated in the premises of the IDC are provided with opportunities for acquiring education, engaging in leisure time activities, including games and recreational events corresponding to their age.” Even though there is a theoretical possibility for children from IDC to access education, it does not take place due to multiple factors. For instance, it takes one month to get the response from the Ministry of Education to be assigned to an educational institution, and as the detainees do not know the length of their detention and live in hope that it will not be lasting long, there is low interest to submit an application. Apart from a room with a limited number of toys, there are no specific opportunities considered for children/youth who experience the same limited access of movement within the detention centre as adults. For instance, outdoor space is not openly available. In the premises of the IDC, there is no opportunity for acquiring education; also, online learning is not possible due to the limited access to electronic devices which is restricted to just one hour per day. None of IDC’s personnel has the task to meet the education and or/leisure activity needs.

      [3] About access to purposeful activities for detainees

      Report, par. 35, p. 19: “The CPT recommends that the Latvian authorities take steps to ensure that foreign nationals held at Daugavpils and Mucenieki Immigration Detention Centres are offered a range of purposeful activities (for example, language classes, computer courses, crafts, etc.). The longer the period for which foreign nationals are detained, the more developed should be the activities which are offered to them. Further, every effort should be made to provide children of school age with suitable educational activities.”

      Response, p. 14-15: “The SBG ensures the security guarding of persons accommodated in the IDC, but does not get involved in planning their free time activities. Nevertheless, the SBG actively cooperates with Latvian NGOs, such as the association “I want to help refugees”, which, as far as possible, ensures the organisation of various leisure activities in the IDC of the SBG for both children and adults. […] In 2013, the SBG and the association “Latvian Red Cross” (hereinafter – LRC) signed an agreement on cooperation, based on which the LRC, among other things, undertook to organise, as far as possible, for persons accommodated in the IDC, psychological support and educational measures or other measures that would improve living conditions, as well as to provide the services of social work experts and other measures promoting socialisation and integration, including, if necessary, to organise Latvian language classes. Recommendations regarding the provision of purposeful activities (including the Latvian language classes) for foreigners in accommodation centres for asylum seekers, as well as regarding measures to reduce the language barrier between health care personnel and admitted foreign nationals, by providing translation/interpreting services, are to be supported.”

      In summer 2023, “I Want to Help Refugees” organized weekly activities in both detention centres for children and families, and – when possible, for adults, both men and women. It was based on good will, and in no terms could be perceived as a systemic solution. However, these activities created an opportunity to get a better insight of the everyday life in detention and was an attempt to meet individual or collective needs. These included provision of underwear, socks, basic footwear, additional clothing, spices for food, books, toys, and games.
      Prior to summer 2023 no regular activities were provided by any institution, NGOs or Latvian Red Cross (besides two unsuccessful episodes in December 2022 and April 2023 when a team of LRC did not manage establish contact with detainees to provide leisure time activities). From what has been observed during 2023, the sole outcome of the cooperation agreement with LRC is the provision of donated clothes to both IDCs. These are of very poor quality and do not include such basic items as underwear or socks. No psychological support, educational measures or other initiatives that would improve living conditions are being implemented in any of IDCs. Services of social work experts and other measures promoting socialization and integration, including Latvian language classes, are not provided either.

      [4] About access to outdoor exercise at the IDCs

      Report. par. 36, p. 20: “The CPT recommends that the Latvian authorities take steps to increase significantly the daily outdoor exercise period for foreign nationals held at Daugavpils Immigration Detention Centre. In the Committee’s view, detained foreign nationals should, as a rule, have ready access to an outdoor area throughout the day.

      Response, p. 15: “According to Clause 21 of Cabinet of Ministers Regulation No. 254 of 16 May 2017, the daily schedule of the accommodation premises shall include daily walk time in fresh air (outdoor exercise) – for at least two hours. In turn, Clause 18 of Cabinet of Ministers Regulation No. 254 of 16 May 2017 provides that if a detained person refuses to exercise any rights (for example, outdoor exercise), an official of the accommodation premises may request to confirm it with a written submission. Given the structure of Daugavpils IDC and Mucenieki IDC, it is not possible to ensure free access of the detained persons to the outdoor area throughout the day.” “I Want to Help Refugees” has received complaints from a number detainees at both Daugavpils and Mucenieki Detention Centres about their restricted access to outdoor areas. While no clear-cut reasons for such restriction have been provided, these complaints also indicate a lack of clear procedure as to how the access to open-air areas should be requested by the detainees and why and how the time limit outdoor activities is determined (for example, why only one hour is granted for outdoor activities, not the two-hour minimum as prescribed in the Cabinet of Ministers Regulation No. 254, Internal Rules of Procedure of Accommodation Premises for Detained Foreigners and Asylum Seekers.) As a result, inhabitants of IDCs lose the possibility to be in fresh air for sufficient time each day or, on some days, are not able to spend time outdoors at all.

      [5] About the alleged ill-treatment of detained foreign nationals (irregular migrants) by Latvian special police forces between August 2021 and March 2022 in the border area.

      Report, par. 33, p. 18: “The CPT recommends that all law enforcement agencies concerned are given a clear and firm message on a regular basis that any use of excessive force is illegal and will be punished accordingly. Further, they should be provided with further practical training relating to the proportionate use of force, including control and restraint techniques, in the context of apprehending foreign nationals at the border. As regards more specifically the use of electrical discharge weapons, reference is made to the principles listed in paragraphs 65 to 84 of the 20th General Report on the CPT’s activities.23“

      Response, p. 13: “It has not been necessary to use physical force and special means against persons, because there have been no cases when they did not obey the lawful orders of the border guards. In order to prevent crossing or attempted crossing of the state border outside official border crossing points and procedures established for legal entry, persons are informed that crossing the state border is illegal and there is criminal liability prescribed for crossing it and are invited not to cross the state border or correspondingly invited to return to Belarus. Furthermore, at that moment persons also visually see armed border guards and national guards, and their preparedness for active response in preventing the possibilities of illegal crossing of the state border. Following such actions and the provision of information, persons, as a rule, do not risk approaching Latvia or, if they have already crossed the border, they return to Belarus. The enumeration of special means of the SBG contains electric shock devices, which the officials, based on Cabinet of Ministers Regulation No.55 of 18 January 2011, are entitled to use for fulfilment of the functions assigned to them. There are no electric shock devices of any kind (including TASER) currently used for border surveillance due to the numerical shortage thereof, expiry of their useful life and the necessity to use them for the needs of other SBG services (immigration control, border inspections).”

      The government’s response contradicts several testimonies of irregular border-crossers recorded by “I Want to Help Refugees” in 2022–2023 on having experienced emotional and physical violence, including cursing and threats, beatings, and electrocution both during the pushbacks and while in tents/ SBG bases in the Latvian territory. According to these testimonies, abuse was most often committed by members of unidentified special units wearing masks. At least four complaints on the excessive use of violence have been submitted to the Internal Security Bureau, and one of the complainants has turned to the European Court of Human Rights.

      [6] About the lack of psychological assistance to the detainees at the IDCs.

      Report, par. 44, p. 57: “The CPT recommends that steps be taken at Daugavpils and Mucenieki Immigration Detention Centres to ensure adequate access to psychiatric care and psychological assistance for foreign nationals, combined with the provision of professional interpretation.”

      Response, p. 18-19: “Based on the proposal made by the international non-governmental organisation “Doctors without Borders”, during the period from July to 31 December 2022, the representatives of the international non-governmental organisation “Doctors without Borders” have been regularly visiting Daugavpils IDC and Mucenieki IDC and providing psychological support to the detained foreigners and asylum seekers accommodated in the IDC of the SBG.

      By means of the funds raised via the project from the Asylum, Migration and Integration Fund, in order to reduce the everyday psychological sufferings or struggles of the target group, it is planned to attract psychologists and cover expenses for psychologist services for the foreigners accommodated in the centres.

      Additionally, as already mentioned herein above, in 2013, the SBG and the LRC signed an agreement on cooperation, based on which the LRC, among other things, undertook to organise, as far as possible, for persons accommodated in the IDC of the SBG, psychological support and educational measures or other measures that would improve living conditions of the referred to persons…”

      While NGOs might offer valuable psychological support to asylum seekers and detained foreigners at the IDCs, their services cannot be considered a viable alternative and substitution of state-provided in-house psychological support. Since December 2022 when “Doctors without Borders” ceased its operation in Latvia, no psychological support has been available to the detainees. LRC has not been able to offer any psychological assistance at the IDCs, citing the difficulty of arranging interpreters as one of the main challenges.

      [7] About the forcible return of irregular migrants from Latvia to Belarus

      Report, par. 48, p. 57: “… the CPT recommends that the Latvian authorities take the necessary measures to ensure that irregular migrants arriving at the border or present in the territory of Latvia are not forcibly returned to Belarus prior to an individualised screening with a view to identifying persons in need of protection, assessing those needs and taking appropriate action. Further, it is essential that foreign nationals have effective access to an asylum procedure (or other residence procedure) which involves an individual assessment of the risk of ill-treatment in case of expulsion of the person concerned to the country of origin or a third country, on the basis of an objective and independent analysis of the human rights situation in the countries concerned.38 The CPT considers that the relevant provisions of the Cabinet of Ministers’ Decree No. 518 on the Declaration of a State of Emergency should be revised accordingly.”

      Response, p. 19: “Currently, the emergency situation in the administrative territories at the Latvia- Belarus border does not allow the uncontrolled flow of people across the state border in places not intended for this, and at the same time does not limit the right of persons to access the asylum procedure, because the right to lodge an application at the border crossing point provided for by the Asylum Law is not restricted. The referred to regulation was based on the internationally recognised right of countries to control the border of their country and to prevent the illegal crossing thereof (see the judgment of the ECHR of 13 February 2020 in the case of ND and NT v. Spain and the judgment of the ECHR of 5 April 2022 in the case A.A. and others v. North Macedonia).”

      Testimonies of irregular migrants forcibly returned from Latvia/ Latvian border to the territory of Belarus indicate that no proper screening of persons is performed at the border. There have been cases when not only families with children, but also unaccompanied minors have been pushed back.
      Testimonies of irregular migrants allowed to enter Latvia on humanitarian grounds and submit their claims for asylum, show that neither the Belarussian nor the Latvian authorities allow the migrants to move to the official border crossing points, instead pushing them back to either Belarus or Latvia.

      Recommendations and Action Points

      Clarify the statements in the Response with authorities in question.
      Create an action plan that identifies the gaps in the treatment of detainees in detention centres and explores for possible solutions.
      Establish an obligation and a clear procedure for a prompt investigation of all claims of violence voiced by irregular migrants and detained asylum seekers.
      Ensure presence of a psychologist/psychotherapist at both IDCs to provide psychological help to the detained when necessary (also, ensure that the regular medical staff is present).
      Ensure the possibility for detainees to spend sufficient time outdoors each day.
      Ensure transparent evaluation of migrants’ individual circumstances upon their arrival at the border; share the assessment guidelines with independent monitoring bodies and NGOs.

      https://gribupalidzetbegliem.lv/en/2023/10/01/border-monitoring-report-latvia

  • L’#Europe et la fabrique de l’étranger

    Les discours sur l’ « #européanité » illustrent la prégnance d’une conception identitaire de la construction de l’Union, de ses #frontières, et de ceux qu’elle entend assimiler ou, au contraire, exclure au nom de la protection de ses #valeurs particulières.

    Longtemps absente de la vie démocratique de l’#Union_européenne (#UE), la question identitaire s’y est durablement installée depuis les années 2000. Si la volonté d’affirmer officiellement ce que « nous, Européens » sommes authentiquement n’est pas nouvelle, elle concernait jusqu’alors surtout – à l’instar de la Déclaration sur l’identité européenne de 1973 – les relations extérieures et la place de la « Communauté européenne » au sein du système international. À présent, elle renvoie à une quête d’« Européanité » (« Europeanness »), c’est-à-dire la recherche et la manifestation des #trait_identitaires (héritages, valeurs, mœurs, etc.) tenus, à tort ou à raison, pour caractéristiques de ce que signifie être « Européens ». Cette quête est largement tournée vers l’intérieur : elle concerne le rapport de « nous, Européens » à « nous-mêmes » ainsi que le rapport de « nous » aux « autres », ces étrangers et étrangères qui viennent et s’installent « chez nous ».

    C’est sous cet aspect identitaire qu’est le plus fréquemment et vivement discuté ce que l’on nomme la « #crise_des_réfugiés » et la « #crise_migratoire »

    L’enjeu qui ferait de l’#accueil des exilés et de l’#intégration des migrants une « #crise » concerne, en effet, l’attitude que les Européens devraient adopter à l’égard de celles et ceux qui leur sont « #étrangers » à double titre : en tant qu’individus ne disposant pas de la #citoyenneté de l’Union, mais également en tant que personnes vues comme les dépositaires d’une #altérité_identitaire les situant à l’extérieur du « #nous » – au moins à leur arrivée.

    D’un point de vue politique, le traitement que l’Union européenne réserve aux étrangères et étrangers se donne à voir dans le vaste ensemble de #discours, #décisions et #dispositifs régissant l’#accès_au_territoire, l’accueil et le #séjour de ces derniers, en particulier les accords communautaires et agences européennes dévolus à « une gestion efficace des flux migratoires » ainsi que les #politiques_publiques en matière d’immigration, d’intégration et de #naturalisation qui restent du ressort de ses États membres.

    Fortement guidées par des considérations identitaires dont la logique est de différencier entre « nous » et « eux », de telles politiques soulèvent une interrogation sur leurs dynamiques d’exclusion des « #autres » ; cependant, elles sont aussi à examiner au regard de l’#homogénéisation induite, en retour, sur le « nous ». C’est ce double questionnement que je propose de mener ici.

    En quête d’« Européanité » : affirmer la frontière entre « nous » et « eux »

    La question de savoir s’il est souhaitable et nécessaire que les contours de l’UE en tant que #communauté_politique soient tracés suivant des #lignes_identitaires donne lieu à une opposition philosophique très tranchée entre les partisans d’une défense sans faille de « l’#identité_européenne » et ceux qui plaident, à l’inverse, pour une « #indéfinition » résolue de l’Europe. Loin d’être purement théorique, cette opposition se rejoue sur le plan politique, sous une forme tout aussi dichotomique, dans le débat sur le traitement des étrangers.

    Les enjeux pratiques soulevés par la volonté de définir et sécuriser « notre » commune « Européanité » ont été au cœur de la controverse publique qu’a suscitée, en septembre 2019, l’annonce faite par #Ursula_von_der_Leyen de la nomination d’un commissaire à la « #Protection_du_mode_de_vie_européen », mission requalifiée – face aux critiques – en « #Promotion_de_notre_mode_de_vie_européen ». Dans ce portefeuille, on trouve plusieurs finalités d’action publique dont l’association même n’a pas manqué de soulever de vives inquiétudes, en dépit de la requalification opérée : à l’affirmation publique d’un « #mode_de_vie » spécifiquement « nôtre », lui-même corrélé à la défense de « l’#État_de_droit », « de l’#égalité, de la #tolérance et de la #justice_sociale », se trouvent conjoints la gestion de « #frontières_solides », de l’asile et la migration ainsi que la #sécurité, le tout placé sous l’objectif explicite de « protéger nos citoyens et nos valeurs ».

    Politiquement, cette « priorité » pour la période 2019-2024 s’inscrit dans la droite ligne des appels déjà anciens à doter l’Union d’un « supplément d’âme
     » ou à lui « donner sa chair » pour qu’elle advienne enfin en tant que « #communauté_de_valeurs ». De tels appels à un surcroît de substance spirituelle et morale à l’appui d’un projet européen qui se devrait d’être à la fois « politique et culturel » visaient et visent encore à répondre à certains problèmes pendants de la construction européenne, depuis le déficit de #légitimité_démocratique de l’UE, si discuté lors de la séquence constitutionnelle de 2005, jusqu’au défaut de stabilité culminant dans la crainte d’une désintégration européenne, rendue tangible en 2020 par le Brexit.

    Précisément, c’est de la #crise_existentielle de l’Europe que s’autorisent les positions intellectuelles qui, poussant la quête d’« Européanité » bien au-delà des objectifs politiques évoqués ci-dessus, la déclinent dans un registre résolument civilisationnel et défensif. Le geste philosophique consiste, en l’espèce, à appliquer à l’UE une approche « communautarienne », c’est-à-dire à faire entièrement reposer l’UE, comme ensemble de règles, de normes et d’institutions juridiques et politiques, sur une « #communauté_morale » façonnée par des visions du bien et du monde spécifiques à un groupe culturel. Une fois complétée par une rhétorique de « l’#enracinement » desdites « #valeurs_européennes » dans un patrimoine historique (et religieux) particulier, la promotion de « notre mode de vie européen » peut dès lors être orientée vers l’éloge de ce qui « nous » singularise à l’égard d’« autres », de « ces mérites qui nous distinguent » et que nous devons être fiers d’avoir diffusés au monde entier.

    À travers l’affirmation de « notre » commune « Européanité », ce n’est pas seulement la reconnaissance de « l’#exception_européenne » qui est recherchée ; à suivre celles et ceux qui portent cette entreprise, le but n’est autre que la survie. Selon #Chantal_Delsol, « il en va de l’existence même de l’Europe qui, si elle n’ose pas s’identifier ni nommer ses caractères, finit par se diluer dans le rien. » Par cette #identification européenne, des frontières sont tracées. Superposant Europe historique et Europe politique, Alain Besançon les énonce ainsi : « l’Europe s’arrête là où elle s’arrêtait au XVIIe siècle, c’est-à-dire quand elle rencontre une autre civilisation, un régime d’une autre nature et une religion qui ne veut pas d’elle. »

    Cette façon de délimiter un « #nous_européen » est à l’exact opposé de la conception de la frontière présente chez les partisans d’une « indéfinition » et d’une « désappropriation » de l’Europe. De ce côté-ci de l’échiquier philosophique, l’enjeu est au contraire de penser « un au-delà de l’identité ou de l’identification de l’Europe », étant entendu que le seul « crédit » que l’on puisse « encore accorder » à l’Europe serait « celui de désigner un espace de circulation symbolique excédant l’ordre de l’identification subjective et, plus encore, celui de la #crispation_identitaire ». Au lieu de chercher à « circonscri[re] l’identité en traçant une frontière stricte entre “ce qui est européen” et “ce qui ne l’est pas, ne peut pas l’être ou ne doit pas l’être” », il s’agit, comme le propose #Marc_Crépon, de valoriser la « #composition » avec les « #altérités » internes et externes. Animé par cette « #multiplicité_d’Europes », le principe, thématisé par #Etienne_Balibar, d’une « Europe comme #Borderland », où les frontières se superposent et se déplacent sans cesse, est d’aller vers ce qui est au-delà d’elle-même, vers ce qui l’excède toujours.

    Tout autre est néanmoins la dynamique impulsée, depuis une vingtaine d’années, par les politiques européennes d’#asile et d’immigration.

    La gouvernance européenne des étrangers : l’intégration conditionnée par les « valeurs communes »

    La question du traitement public des étrangers connaît, sur le plan des politiques publiques mises en œuvre par les États membres de l’UE, une forme d’européanisation. Celle-ci est discutée dans les recherches en sciences sociales sous le nom de « #tournant_civique ». Le terme de « tournant » renvoie au fait qu’à partir des années 2000, plusieurs pays européens, dont certains étaient considérés comme observant jusque-là une approche plus ou moins multiculturaliste (tels que le Royaume-Uni ou les Pays-Bas), ont développé des politiques de plus en plus « robustes » en ce qui concerne la sélection des personnes autorisées à séjourner durablement sur leur territoire et à intégrer la communauté nationale, notamment par voie de naturalisation. Quant au qualificatif de « civique », il marque le fait que soient ajoutés aux #conditions_matérielles (ressources, logement, etc.) des critères de sélection des « désirables » – et, donc, de détection des « indésirables » – qui étendent les exigences relatives à une « #bonne_citoyenneté » aux conduites et valeurs personnelles. Moyennant son #intervention_morale, voire disciplinaire, l’État se borne à inculquer à l’étranger les traits de caractère propices à la réussite de son intégration, charge à lui de démontrer qu’il conforme ses convictions et comportements, y compris dans sa vie privée, aux « valeurs » de la société d’accueil. Cette approche, centrée sur un critère de #compatibilité_identitaire, fait peser la responsabilité de l’#inclusion (ou de l’#exclusion) sur les personnes étrangères, et non sur les institutions publiques : si elles échouent à leur assimilation « éthique » au terme de leur « #parcours_d’intégration », et a fortiori si elles s’y refusent, alors elles sont considérées comme se plaçant elles-mêmes en situation d’être exclues.

    Les termes de « tournant » comme de « civique » sont à complexifier : le premier car, pour certains pays comme la France, les dispositifs en question manifestent peu de nouveauté, et certainement pas une rupture, par rapport aux politiques antérieures, et le second parce que le caractère « civique » de ces mesures et dispositifs d’intégration est nettement moins évident que leur orientation morale et culturelle, en un mot, identitaire.

    En l’occurrence, c’est bien plutôt la notion d’intégration « éthique », telle que la définit #Jürgen_Habermas, qui s’avère ici pertinente pour qualifier ces politiques : « éthique » est, selon lui, une conception de l’intégration fondée sur la stabilisation d’un consensus d’arrière-plan sur des « valeurs » morales et culturelles ainsi que sur le maintien, sinon la sécurisation, de l’identité et du mode de vie majoritaires qui en sont issus. Cette conception se distingue de l’intégration « politique » qui est fondée sur l’observance par toutes et tous des normes juridico-politiques et des principes constitutionnels de l’État de droit démocratique. Tandis que l’intégration « éthique » requiert des étrangers qu’ils adhèrent aux « valeurs » particulières du groupe majoritaire, l’intégration « politique » leur demande de se conformer aux lois et d’observer les règles de la participation et de la délibération démocratiques.

    Or, les politiques d’immigration, d’intégration et de naturalisation actuellement développées en Europe sont bel et bien sous-tendues par cette conception « éthique » de l’intégration. Elles conditionnent l’accès au « nous » à l’adhésion à un socle de « valeurs » officiellement déclarées comme étant déjà « communes ». Pour reprendre un exemple français, cette approche ressort de la manière dont sont conçus et mis en œuvre les « #contrats_d’intégration » (depuis le #Contrat_d’accueil_et_d’intégration rendu obligatoire en 2006 jusqu’à l’actuel #Contrat_d’intégration_républicaine) qui scellent l’engagement de l’étranger souhaitant s’installer durablement en France à faire siennes les « #valeurs_de_la_République » et à les « respecter » à travers ses agissements. On retrouve la même approche s’agissant de la naturalisation, la « #condition_d’assimilation » propre à cette politique donnant lieu à des pratiques administratives d’enquête et de vérification quant à la profondeur et la sincérité de l’adhésion des étrangers auxdites « valeurs communes », la #laïcité et l’#égalité_femmes-hommes étant les deux « valeurs » systématiquement mises en avant. L’étude de ces pratiques, notamment les « #entretiens_d’assimilation », et de la jurisprudence en la matière montre qu’elles ciblent tout particulièrement les personnes de religion et/ou de culture musulmanes – ou perçues comme telles – en tant qu’elles sont d’emblée associées à des « valeurs » non seulement différentes, mais opposées aux « nôtres ».

    Portées par un discours d’affrontement entre « systèmes de valeurs » qui n’est pas sans rappeler le « #choc_des_civilisations » thématisé par #Samuel_Huntington, ces politiques, censées « intégrer », concourent pourtant à radicaliser l’altérité « éthique » de l’étranger ou de l’étrangère : elles construisent la figure d’un « autre » appartenant – ou suspecté d’appartenir – à un système de « valeurs » qui s’écarterait à tel point du « nôtre » que son inclusion dans le « nous » réclamerait, de notre part, une vigilance spéciale pour préserver notre #identité_collective et, de sa part, une mise en conformité de son #identité_personnelle avec « nos valeurs », telles qu’elles s’incarneraient dans « notre mode de vie ».

    Exclusion des « autres » et homogénéisation du « nous » : les risques d’une « #Europe_des_valeurs »

    Le recours aux « valeurs communes », pour définir les « autres » et les conditions de leur entrée dans le « nous », n’est pas spécifique aux politiques migratoires des États nationaux. L’UE, dont on a vu qu’elle tenait à s’affirmer en tant que « communauté morale », a substitué en 2009 au terme de « #principes » celui de « valeurs ». Dès lors, le respect de la dignité humaine et des droits de l’homme, la liberté, la démocratie, l’égalité, l’État de droit sont érigés en « valeurs » sur lesquelles « l’Union est fondée » (art. 2 du Traité sur l’Union européenne) et revêtent un caractère obligatoire pour tout État souhaitant devenir et rester membre de l’UE (art. 49 sur les conditions d’adhésion et art. 7 sur les sanctions).

    Reste-t-on ici dans le périmètre d’une « intégration politique », au sens où la définit Habermas, ou franchit-on le cap d’une « intégration éthique » qui donnerait au projet de l’UE – celui d’une intégration toujours plus étroite entre les États, les peuples et les citoyens européens, selon la formule des traités – une portée résolument identitaire, en en faisant un instrument pour sauvegarder la « #civilisation_européenne » face à d’« autres » qui la menaceraient ? La seconde hypothèse n’a certes rien de problématique aux yeux des partisans de la quête d’« Européanité », pour qui le projet européen n’a de sens que s’il est tout entier tourné vers la défense de la « substance » identitaire de la « civilisation européenne ».

    En revanche, le passage à une « intégration éthique », tel que le suggère l’exhortation à s’en remettre à une « Europe des valeurs » plutôt que des droits ou de la citoyenneté, comporte des risques importants pour celles et ceux qui souhaitent maintenir l’Union dans le giron d’une « intégration politique », fondée sur le respect prioritaire des principes démocratiques, de l’État de droit et des libertés fondamentales. D’où également les craintes que concourt à attiser l’association explicite des « valeurs de l’Union » à un « mode de vie » à préserver de ses « autres éthiques ». Deux risques principaux semblent, à cet égard, devoir être mentionnés.

    En premier lieu, le risque d’exclusion des « autres » est intensifié par la généralisation de politiques imposant un critère de #compatibilité_identitaire à celles et ceux que leur altérité « éthique », réelle ou supposée, concourt à placer à l’extérieur d’une « communauté de valeurs » enracinée dans des traditions particulières, notamment religieuses. Fondé sur ces bases identitaires, le traitement des étrangers en Europe manifesterait, selon #Etienne_Tassin, l’autocontradiction d’une Union se prévalant « de la raison philosophique, de l’esprit d’universalité, de la culture humaniste, du règne des droits de l’homme, du souci pour le monde dans l’ouverture aux autres », mais échouant lamentablement à son « test cosmopolitique et démocratique ». Loin de représenter un simple « dommage collatéral » des politiques migratoires de l’UE, les processus d’exclusion touchant les étrangers constitueraient, d’après lui, « leur centre ». Même position de la part d’Étienne Balibar qui n’hésite pas à dénoncer le « statut d’#apartheid » affectant « l’immigration “extracommunautaire” », signifiant par là l’« isolement postcolonial des populations “autochtones” et des populations “allogènes” » ainsi que la construction d’une catégorie d’« étrangers plus qu’étrangers » traités comme « radicalement “autres”, dissemblables et inassimilables ».

    Le second risque que fait courir la valorisation d’un « nous » européen désireux de préserver son intégrité « éthique », touche au respect du #pluralisme. Si l’exclusion des « autres » entre assez clairement en tension avec les « valeurs » proclamées par l’Union, les tendances à l’homogénéisation résultant de l’affirmation d’un consensus fort sur des valeurs déclarées comme étant « toujours déjà » communes aux Européens ne sont pas moins susceptibles de contredire le sens – à la fois la signification et l’orientation – du projet européen. Pris au sérieux, le respect du pluralisme implique que soit tolérée et même reconnue une diversité légitime de « valeurs », de visions du bien et du monde, dans les limites fixées par l’égale liberté et les droits fondamentaux. Ce « fait du pluralisme raisonnable », avec les désaccords « éthiques » incontournables qui l’animent, est le « résultat normal » d’un exercice du pouvoir respectant les libertés individuelles. Avec son insistance sur le partage de convictions morales s’incarnant dans un mode de vie culturel, « l’Europe des valeurs » risque de produire une « substantialisation rampante » du « nous » européen, et d’entériner « la prédominance d’une culture majoritaire qui abuse d’un pouvoir de définition historiquement acquis pour définir à elle seule, selon ses propres critères, ce qui doit être considéré comme la culture politique obligatoire de la société pluraliste ».

    Soumis aux attentes de reproduction d’une identité aux frontières « éthiques », le projet européen est, en fin de compte, dévié de sa trajectoire, en ce qui concerne aussi bien l’inclusion des « autres » que la possibilité d’un « nous » qui puisse s’unir « dans la diversité ».

    https://laviedesidees.fr/L-Europe-et-la-fabrique-de-l-etranger
    #identité #altérité #intégration_éthique #intégration_politique #religion #islam

    • Politique de l’exclusion

      Notion aussi usitée que contestée, souvent réduite à sa dimension socio-économique, l’exclusion occupe pourtant une place centrale dans l’histoire de la politique moderne. Les universitaires réunis autour de cette question abordent la dimension constituante de l’exclusion en faisant dialoguer leurs disciplines (droit, histoire, science politique, sociologie). Remontant à la naissance de la citoyenneté moderne, leurs analyses retracent l’invention de l’espace civique, avec ses frontières, ses marges et ses zones d’exclusion, jusqu’à l’élaboration actuelle d’un corpus de valeurs européennes, et l’émergence de nouvelles mobilisations contre les injustices redessinant les frontières du politique.

      Tout en discutant des usages du concept d’exclusion en tenant compte des apports critiques, ce livre explore la manière dont la notion éclaire les dilemmes et les complexités contemporaines du rapport à l’autre. Il entend ainsi dévoiler l’envers de l’ordre civique, en révélant la permanence d’une gouvernementalité par l’exclusion.

      https://www.puf.com/politique-de-lexclusion

      #livre

  • Migrations : l’Union européenne, droit dans le mur

    La Commission européenne affirme que l’UE ne finance pas de « murs » anti-migrants à ses #frontières_extérieures, malgré les demandes insistantes d’États de l’est de l’Europe. En réalité, cette « ligne rouge » de l’exécutif, qui a toujours été floue, s’efface de plus en plus.

    Le 14 juin dernier, le naufrage d’un bateau entraînait la noyade de centaines de personnes exilées. Quelques jours auparavant, le 8 juin, les États membres de l’Union européenne s’enorgueillissaient d’avoir trouvé un accord sur deux règlements essentiels du « Pacte européen pour l’asile et la migration », qui multipliera les procédures d’asile express dans des centres de détention aux frontières de l’Europe, faisant craindre aux ONG une nouvelle érosion du droit d’asile.

    Dans ce contexte délétère, un groupe d’une douzaine d’États membres, surtout d’Europe de l’Est, réclame que l’Union européenne reconnaisse leur rôle de « protecteurs » des frontières de l’Union en autorisant le financement européen de murs, #clôtures et #barbelés pour contenir le « flux migratoire ». Le premier ministre grec, Kyriákos Mitsotákis, avait même estimé que son pays était en première ligne face à « l’invasion de migrants ».

    Officiellement, la Commission européenne se refuse toujours à financer les multiples projets de clôtures anti-migrants qui s’érigent le long des frontières extérieures de l’UE. « Nous avons un principe bien établi : nous ne finançons pas de murs ni de barbelés. Et je pense que cela ne devrait pas changer », avait encore déclaré Ylva Johansson, la commissaire européenne aux affaires intérieures, le 31 janvier. Pourtant, la ligne rouge semble inexorablement s’effacer.

    Le 7 octobre 2021, les ministres de douze États, dont la #Grèce, la #Pologne, la #Hongrie, la #Bulgarie ou les #Pays_baltes, demandaient par écrit à la Commission que le financement de « #barrières_physiques » aux frontières de l’UE soit une « priorité », car cette « mesure de protection » serait un outil « efficace et légitime » dans l’intérêt de toute l’Union. Une demande qu’ils réitèrent depuis à toute occasion.

    Les États membres n’ont pas attendu un quelconque « feu vert » de la Commission pour ériger des clôtures. Les premières ont été construites par l’Espagne dans les années 1990, dans les enclaves de Ceuta et Melilla. Mais c’est en 2015, après l’exil de centaines de milliers de Syrien·nes fuyant la guerre civile, que les barrières se sont multipliées. Alors que l’Union européenne comptait 315 kilomètres de fil de fer et barbelés à ses frontières en 2014, elle en totalisait 2 048 l’an passé.

    Depuis 2021, ce groupe d’États revient sans cesse à la charge. Lors de son arrivée au sommet des dirigeants européens, le 9 février dernier, Victor Orbán (Hongrie) annonçait la couleur : « Les barrières protègent l’Europe. » Les conclusions de ce sommet, ambiguës, semblaient ouvrir une brèche dans la politique européenne de financement du contrôle aux frontières. Les États demandaient « à la Commission de mobiliser immédiatement des fonds pour aider les États membres à renforcer […] les infrastructures de protection des frontières ».

    Dans ses réponses écrites aux questions de Mediapart, la Commission ne mentionne plus aucune ligne rouge : « Les États membres ont une obligation de protéger les frontières extérieures. Ils sont les mieux placés pour définir comment le faire en pratique d’une manière qui […] respecte les droits fondamentaux. »

    Si l’on en croit le ministre de l’intérieur grec, Panagiótis Mitarákis, les dernières résistances de la Commission seraient en train de tomber. Le 24 février, il affirmait, au sujet du projet grec d’#extension et de renforcement de sa clôture avec la Turquie, le long de la rivière #Evros, que la Commission avait « accepté que certaines dépenses pour la construction de la barrière soient financées par l’Union européenne ».

    Pour Catherine Woollard, de l’ONG Ecre (Conseil européen pour les réfugiés et exilés), « c’est important que la Commission résiste à ces appels de financement des murs et clôtures, car il faut respecter le droit de demander l’asile qui implique un accès au territoire. Mais cette position risque de devenir symbolique si les barrières sont tout de même construites et qu’en plus se développent des barrières d’autres types, numériques et technologiques, surtout dans des États qui utilisent la force et des mesures illégales pour refouler les demandeurs d’asile ».

    D’une ligne rouge à une ligne floue

    Au sein de l’ONG Statewatch, Chris Jones estime que « cette “ligne rouge” de la Commission européenne, c’est du grand n’importe quoi ! Cela fait des années que l’Union européenne finance des dispositifs autour ou sur ces clôtures, des #drones, des #caméras, des #véhicules, des #officiers. Dire que l’UE ne finance pas de clôtures, c’est uniquement sémantique, quand des milliards d’euros sont dépensés pour fortifier les frontières ». Même diagnostic chez Mark Akkerman, chercheur néerlandais au Transnational Institute, pour qui la « #ligne_rouge de la Commission est plutôt une ligne floue ». Dans ses travaux, il avait déjà démontré qu’en 2010, l’UE avait financé l’achat de #caméras_de_vidéosurveillance à #Ceuta et la construction d’un #mirador à #Melilla.

    Lorsqu’il est disponible, le détail des dépenses relatives au contrôle des frontières montre que la politique de non-financement des « murs » est une ligne de crête, car si la Commission ne finance pas le béton ni les barbelés, elle finance bien des #dispositifs qui les accompagnent.

    En 2021, par exemple, la #Lituanie a reçu 14,9 millions d’euros de fonds d’aide d’urgence pour « renforcer » sa frontière extérieure avec la Biélorussie, peut-on lire dans un rapport de la Commission. Une frontière qui, selon le ministère de l’intérieur lituanien, contacté par Mediapart, est « désormais longée d’une clôture de 530 km et d’une barrière surmontée de fils barbelés sur 360 kilomètres ». Si la barrière a pesé 148 millions d’euros sur le #budget de l’État, le ministère de l’intérieur affirme que la rénovation de la route qui la longe et permet aux gardes-frontières de patrouiller a été financée à hauteur de « 10 millions d’euros par des fonds européens ».

    En Grèce, le détail des dépenses du gouvernement, dans le cadre du fonds européen de sécurité intérieur, de 2014 à 2020, est éclairant. Toujours le long de la rivière Evros, là où est érigée la barrière physique, la police grecque a pu bénéficier en 2016 d’un apport de 15 millions d’euros, dont 11,2 millions financés par le fonds européen pour la sécurité intérieure, afin de construire 10 #pylônes et d’y intégrer des #caméras_thermiques, des caméras de surveillance, des #radars et autres systèmes de communication.

    Cet apport financier fut complété la même année par 1,5 million d’euros pour l’achat d’#équipements permettant de détecter les battements de cœur dans les véhicules, coffres ou conteneurs.

    Mais l’enjeu, en Grèce, c’est avant tout la mer, là où des bateaux des gardes-côtes sont impliqués dans des cas de refoulements documentés. Dans son programme d’action national du fonds européen relatif à la gestion des frontières et des visas, écrit en 2021, le gouvernement grec envisage le renouvellement de sa flotte, dont une dizaine de bateaux de #patrouille côtière, équipés de #technologies de #surveillance dernier cri, pour environ 60 millions d’euros. Et malgré les refoulements, la Commission européenne octroie les fonds.

    Technologies et barrières font bon ménage

    Les États membres de l’UE qui font partie de l’espace Schengen ont pour mission de « protéger les frontières extérieures ». Le droit européen leur impose aussi de respecter le droit d’asile. « Les exigences du code Schengen contredisent bien souvent l’acquis européen en matière d’asile. Lorsqu’un grand nombre de personnes arrivent aux frontières de l’Union européenne et qu’il existe des pressions pour faire baisser ce nombre, il est presque impossible de le faire sans violer certaines règles relatives au droit d’asile », reconnaît Atanas Rusev, directeur du programme « sécurité » du Centre pour l’étude de la démocratie, basé en Bulgarie.

    La Bulgarie est au cœur de ces tiraillements européens. En 2022, la police a comptabilisé 164 000 passages dits « irréguliers » de sa frontière, contre 55 000 l’année précédente. Des demandeurs d’asile qui, pour la plupart, souhaitent se rendre dans d’autres pays européens.

    Les Pays-Bas ou l’Autriche ont fait pression pour que la #Bulgarie réduise ce nombre, agitant la menace d’un report de son intégration à l’espace Schengen. Dans le même temps, des ONG locales, comme le Helsinki Committee Center ou le Refugee Help Group, dénoncent la brutalité qui s’exerce sur les exilé·es et les refoulements massifs dont ils sont victimes. Le pays a construit une clôture de 234 kilomètres le long de sa frontière avec la Turquie.

    Dans son plan d’action, le gouvernement bulgare détaille son intention de dépenser l’argent européen du fonds relatif à la gestion des frontières, sur la période 2021-2027, pour renforcer son « système de surveillance intégré » ; une collecte de données en temps réel par des caméras thermiques, des #capteurs_de_mouvements, des systèmes de surveillance mobiles, des #hélicoptères.

    Philip Gounev est consultant dans le domaine de la gestion des frontières. Il fut surtout ministre adjoint des affaires intérieures en Bulgarie, chargé des fonds européens, mais aussi de l’érection de la barrière à la frontière turque. Il explique très clairement la complémentarité, à ses yeux, des différents dispositifs : « Notre barrière ne fait que ralentir les migrants de cinq minutes. Mais ces cinq minutes sont importantes. Grâce aux caméras et capteurs qui détectent des mouvements ou une brèche dans la barrière, l’intervention des gardes-frontières est rapide. »

    L’appétit pour les technologies et le numérique ne fait que croître, au point que des ONG, comme l’EDRi (European Digital Rights) dénoncent la construction par l’UE d’un « #mur_numérique ». Dans ce domaine, le programme de recherche européen #Horizon_Europe et, avant lui, #Horizon_2020, tracent les contours du futur numérisé des contrôles, par le financement de projets portés par l’industrie et des centres de #recherche, au caractère parfois dystopique.

    De 2017 à 2021, « #Roborder » a reçu une aide publique de 8 millions d’euros. L’idée est de déployer une armada de véhicules sans pilotes, sur la mer ou sur terre, ainsi que différents drones, tous munis de caméras et capteurs, et dont les informations seraient croisées et analysées pour donner une image précise des mouvements humains aux abords des frontières. Dans son programme d’action national d’utilisation du fonds européen pour la gestion des frontières, la Hongrie manifeste un intérêt appuyé pour « l’adaptation partielle des résultats » de Roborder via une série de projets pilotes à ses frontières.

    Les #projets_de_recherche dans le domaine des frontières sont nombreux. Citons « #Foldout », dont les 8 millions d’euros servent à développer des technologies de #détection de personnes, à travers des #feuillages épais « dans les zones les plus reculées de l’Union européenne ». « Le développement de technologies et de l’#intelligence_artificielle aux frontières de l’Europe est potentiellement plus puissant que des murs, décrypte Sarah Chandler, de l’EDRi. Notre inquiétude, c’est que ces technologies soient utilisées pour des #refoulements aux frontières. »

    D’autres projets, développés sous l’impulsion de #Frontex, utilisent les croisements de #données et l’intelligence artificielle pour analyser, voire prédire, les mouvements migratoires. « Le déploiement de nouvelles technologies de surveillance, avec la construction de barrières pour bloquer les routes migratoires, est intimement lié à des dangers accrus et provoque davantage de morts des personnes en mouvement », peut-on lire dans un rapport de Statewatch. Dans un contexte de droitisation de nombreux États membres de l’Union européenne, Philip Gounev pense de son côté que « le financement de barrières physiques par l’UE deviendra inévitable ».

    https://www.mediapart.fr/journal/international/170723/migrations-l-union-europeenne-droit-dans-le-mur
    #murs #barrières_frontalières #migrations #financement #UE #EU #Union_européenne #technologie #complexe_militaro-industriel

  • Une mesure activée par Trump bloquant les migrants à la frontière américaine maintenue par la Cour suprême
    https://www.lemonde.fr/international/article/2022/12/20/une-mesure-de-trump-bloquant-les-migrants-a-la-frontiere-americaine-maintenu

    Une mesure activée par Trump bloquant les migrants à la frontière américaine maintenue par la Cour suprême
    Ce dispositif très controversé devait prendre fin mercredi 21 décembre. La plus haute juridiction des Etats-Unis a décidé de le maintenir, arguant d’un recours d’urgence déposé ce lundi par une vingtaine d’Etats conservateurs.
    Le Monde avec AFP
    Publié aujourd’hui à 01h02, mis à jour à 07h27

    La Cour suprême a maintenu, lundi 19 décembre, une mesure mise en œuvre en mars 2020 par les autorités américaines au nom de la lutte contre la pandémie de Covid-19, permettant d’expulser les candidats à l’immigration, même les demandeurs d’asile potentiels.
    Une ordonnance signée par le président de la Cour suprême, John Roberts, a suspendu la suppression, prévue mercredi, de cette mesure intitulée « Title 42 ». En mars 2020, le gouvernement de l’ex-président Donald Trump avait activé ce dispositif sanitaire pour pouvoir expulser sans délai les candidats à l’immigration interpellés aux frontières terrestres. Cette mesure était immédiate, ne permettait pas de recours légal et ne prévoyait pas de
    Ce dispositif devait initialement prendre fin le 23 mai, mais un juge de Louisiane avait bloqué sa levée. Le 15 novembre, un juge fédéral de Washington a au contraire exigé du président, Joe Biden, qu’il mette fin aux expulsions prévues par ce dispositif, et la levée du « Title 42 » était prévue lundi avant minuit. Mais une vingtaine d’Etats conservateurs américains ont déposé lundi un recours d’urgence devant la Cour suprême pour lui demander de bloquer la décision du juge fédéral. La plus haute juridiction américaine leur a donné satisfaction en attendant une décision sur le dossier. Cette mesure de santé publique avait été adoptée à l’origine en 1893 pour protéger les Etats-Unis des nombreuses épidémies de choléra et de fièvre jaune qui survenaient à l’époque. Elle n’a été que très rarement mise en œuvre depuis. Selon les militants des droits humains et les experts, le « Title 42 » est une violation des lois internationales. Ils estiment notamment « inhumain » d’empêcher un demandeur d’asile potentiel de formuler sa requête. Pour eux, le dispositif actuel ne fait qu’encourager les migrants à franchir clandestinement la frontière et à prendre des risques toujours croissants pour y parvenir. Au total, 557 morts ont été recensés à la frontière avec le Mexique en 2021, l’année de loin la plus meurtrière depuis le début des statistiques, en 1998.

    #Covid-19#migrant#migration#etatsunis#sante#politiquemigratoire#droitshumains#asile#immigration#dispositifsanitaire#epidemie

  • Artificial intelligence : #Frontex improves its maritime surveillance

    Frontex wants to use a new platform to automatically detect and assess „risks“ on the seas of the European Union. Suspected irregular activities are to be displayed in a constantly updated „threat map“ with the help of self-learning software.

    The EU border agency has renewed a contract with Israeli company Windward for a „maritime analytics“ platform. It will put the application into regular operation. Frontex had initially procured a licence for around 800,000 Euros. For now 2.6 million Euros, the agency will receive access for four workstations. The contract can be extended three times for one year at a time.

    Windward specialises in the digital aggregation and assessment of vessel tracking and maritime surveillance data. Investors in the company, which was founded in 2011, include former US CIA director David Petraeus and former CEO’s of Thomson Reuters and British Petroleum. The former chief of staff of the Israeli military, Gabi Ashkenazi, is considered one of the advisors.

    Signature for each observed ship

    The platform is based on artificial intelligence techniques. For analysis, it uses maritime reporting systems, including position data from the AIS transponders of larger ships and weather data. These are enriched with information about the ship owners and shipping companies as well as the history of previous ship movements. For this purpose, the software queries openly accessible information from the internet.

    In this way, a „fingerprint“ is created for each observed ship, which can be used to identify suspicious activities. If the captain switches off the transponder, for example, the analysis platform can recognise this as a suspicuous event and take over further tracking based on the recorded patterns. It is also possible to integrate satellite images.

    Windward uses the register of the International Maritime Organisation (IMO) as its database, which lists about 70,000 ships. Allegedly, however, it also processes data on a total of 400,000 watercraft, including smaller fishing boats. One of the clients is therefore the UN Security Council, which uses the technology to monitor sanctions.

    Against „bad guys“ at sea

    The company advertises its applications with the slogan „Catch the bad guys at sea“. At Frontex, the application is used to combat and prevent unwanted migration and cross-border crime as well as terrorism. Subsequently, „policy makers“ and law enforcement agencies are to be informed about results. For this purpose, the „risks“ found are visualised in a „threat map“.

    Windward put such a „threat map“ online two years ago. At the time, the software rated the Black Sea as significantly more risky than the Mediterranean. Commercial shipping activity off the Crimea was interpreted as „probable sanction evasions“. Ship owners from the British Guernsey Islands as well as Romania recorded the highest proportion of ships exhibiting „risky“ behaviour. 42 vessels were classified as suspicious for drug smuggling based on their patterns.

    Frontex „early warning“ units

    The information from maritime surveillance is likely to be processed first by the „Risk Analysis Unit“ (RAU) at Frontex. It is supposed to support strategic decisions taken by the headquarters in Warsaw on issues of border control, return, prevention of cross-border crime as well as threats of a „hybrid nature“. Frontex calls the applications used there „intelligence products“ and „integrated data services“. Their results flow together in the „Common Integrated Risk Analysis Model“ (CIRAM).

    For the operational monitoring of the situation at the EU’s external borders, the agency also maintains the „Frontex Situation Centre“ (FSC). The department is supposed to provide a constantly updated picture of migration movements, if possible in real time. From these reports, Frontex produces „early warnings“ and situation reports to the border authorities of the member states as well as to the Commission and the Council in Brussels.

    More surveillance capacity in Warsaw

    According to its own information, Windward’s clients include the Italian Guardia di Finanza, which is responsible for controlling Italian territorial waters. The Ministry of the Interior in Rome is also responsible for numerous EU projects aimed at improving surveillance of the central Mediterranean. For the training and equipment of the Libyan coast guard, Italy receives around 67 million euros from EU funds in three different projects. Italian coast guard authorities are also installing a surveillance system for Tunisia’s external maritime borders.

    Frontex now wants to improve its own surveillance capacities with further tenders. Together with the fisheries agency, The agency is awarding further contracts for manned maritime surveillance. It has been operating such a „Frontex Aerial Surveillance Service“ (FASS) in the central Mediterranean since 2017 and in the Adriatic Sea since 2018. Frontex also wants to station large drones in the Mediterranean. Furthermore, it is testing Aerostats in the eastern Mediterranean for a second time. These are zeppelins attached to a 1,000-metre long line.

    https://digit.site36.net/2021/01/15/artificial-intelligence-frontex-improves-its-maritime-surveillance
    #intelligence_artificielle #surveillance #surveillance_maritime #mer #asile #migrations #réfugiés #frontières #AI #Windward #Israël #complexe_militaro-industriel #militarisation_des_frontières #David_Petraeus #Thomson_Reuters #British_Petroleum #armée_israélienne #Gabi_Ashkenazi #International_Maritime_Organisation (#IMO) #thread_map #Risk_Analysis_Unit (#RAU) #Common_Integrated_Risk_Analysis_Model (#CIRAM) #Frontex_Situation_Centre (#FSC) #Frontex_Aerial_Surveillance_Service (#FASS) #zeppelins

    ping @etraces

    • Data et nouvelles technologies, la face cachée du contrôle des mobilités

      Dans un rapport de juillet 2020, l’Agence européenne pour la gestion opérationnelle des systèmes d’information à grande échelle (#EU-Lisa) présente l’intelligence artificielle (IA) comme l’une des « technologies prioritaires » à développer. Le rapport souligne les avantages de l’IA en matière migratoire et aux frontières, grâce, entre autres, à la technologie de #reconnaissance_faciale.

      L’intelligence artificielle est de plus en plus privilégiée par les acteurs publics, les institutions de l’UE et les acteurs privés, mais aussi par le #HCR et l’#OIM. Les agences de l’UE, comme Frontex ou EU-Lisa, ont été particulièrement actives dans l’#expérimentation des nouvelles technologies, brouillant parfois la distinction entre essais et mise en oeuvre. En plus des outils traditionnels de surveillance, une panoplie de technologies est désormais déployée aux frontières de l’Europe et au-delà, qu’il s’agisse de l’ajout de nouvelles #bases_de_données, de technologies financières innovantes, ou plus simplement de la récupération par les #GAFAM des données laissées volontairement ou pas par les migrant·e·s et réfugié∙e∙s durant le parcours migratoire.

      La pandémie #Covid-19 est arrivée à point nommé pour dynamiser les orientations déjà prises, en permettant de tester ou de généraliser des technologies utilisées pour le contrôle des mobilités sans que l’ensemble des droits des exilé·e·s ne soit pris en considération. L’OIM, par exemple, a mis à disposition des Etats sa #Matrice_de_suivi_des_déplacements (#DTM) durant cette période afin de contrôler les « flux migratoires ». De nouvelles technologies au service de vieilles obsessions…

      http://www.migreurop.org/article3021.html

      Pour télécharger le rapport :
      www.migreurop.org/IMG/pdf/note_12_fr.pdf

      ping @karine4 @rhoumour @_kg_ @i_s_

    • La #technopolice aux frontières

      Comment le #business de la #sécurité et de la #surveillance au sein de l’#Union_européenne, en plus de bafouer des #droits_fondamentaux, utilise les personnes exilées comme #laboratoire de recherche, et ce sur des #fonds_publics européens.

      On a beaucoup parlé ici ces derniers mois de surveillance des manifestations ou de surveillance de l’espace public dans nos villes, mais la technopolice est avant tout déployée aux #frontières – et notamment chez nous, aux frontières de la « forteresse Europe ». Ces #dispositifs_technopoliciers sont financés, soutenus et expérimentés par l’Union européenne pour les frontières de l’UE d’abord, et ensuite vendus. Cette surveillance des frontières représente un #marché colossal et profite grandement de l’échelle communautaire et de ses programmes de #recherche_et_développement (#R&D) comme #Horizon_2020.

      #Roborder – des essaims de #drones_autonomes aux frontières

      C’est le cas du projet Roborder – un « jeu de mots » entre robot et border, frontière en anglais. Débuté en 2017, il prévoit de surveiller les frontières par des essaims de #drones autonomes, fonctionnant et patrouillant ensemble. L’#intelligence_artificielle de ces drones leur permettrait de reconnaître les humains et de distinguer si ces derniers commettent des infractions (comme celui de passer une frontière ?) et leur dangerosité pour ensuite prévenir la #police_aux_frontières. Ces drones peuvent se mouvoir dans les airs, sous l’eau, sur l’eau et dans des engins au sol. Dotés de multiples capteurs, en plus de la détection d’activités criminelles, ces drones seraient destinés à repérer des “#radio-fréquences non fiables”, c’est-à-dire à écouter les #communications et également à mesurer la #pollution_marine.
      Pour l’instant, ces essaims de drones autonomes ne seraient pas pourvus d’armes. Roborder est actuellement expérimenté en #Grèce, au #Portugal et en #Hongrie.

      Un #financement européen pour des usages « civils »

      Ce projet est financé à hauteur de 8 millions d’euros par le programme Horizon 2020 (subventionné lui-même par la #Cordis, organe de R&D de la Commission européenne). Horizon 2020 représente 50% du financement public total pour la recherche en sécurité de l’UE. Roborder est coordonné par le centre de recherches et technologie de #Hellas (le #CERTH), en Grèce et comme le montre l’association #Homo_Digitalis le nombre de projets Horizon 2020 ne fait qu’augmenter en Grèce. En plus du CERTH grec s’ajoutent environ 25 participants venus de tous les pays de l’UE (où on retrouve les services de police d’#Irlande_du_Nord, le ministère de la défense grecque, ou encore des entreprises de drones allemandes, etc.).

      L’une des conditions pour le financement de projets de ce genre par Horizon 2020 est que les technologies développées restent dans l’utilisation civile, et ne puissent pas servir à des fins militaires. Cette affirmation pourrait ressembler à un garde-fou, mais en réalité la distinction entre usage civil et militaire est loin d’être clairement établie. Comme le montre Stephen Graham, très souvent les #technologies, à la base militaires, sont réinjectées dans la sécurité, particulièrement aux frontières où la migration est criminalisée. Et cette porosité entre la sécurité et le #militaire est induite par la nécessité de trouver des débouchés pour rentabiliser la #recherche_militaire. C’est ce qu’on peut observer avec les drones ou bien le gaz lacrymogène. Ici, il est plutôt question d’une logique inverse : potentiellement le passage d’un usage dit “civil” de la #sécurité_intérieure à une application militaire, à travers des ventes futures de ces dispositifs. Mais on peut aussi considérer la surveillance, la détection de personnes et la #répression_aux_frontières comme une matérialisation de la #militarisation de l’Europe à ses frontières. Dans ce cas-là, Roborder serait un projet à fins militaires.

      De plus, dans les faits, comme le montre The Intercept (https://theintercept.com/2019/05/11/drones-artificial-intelligence-europe-roborder), une fois le projet terminé celui-ci est vendu. Sans qu’on sache trop à qui. Et, toujours selon le journal, beaucoup sont déjà intéressés par Roborder.

      #IborderCtrl – détection d’#émotions aux frontières

      Si les essaims de drones sont impressionnants, il existe d’autres projets dans la même veine. On peut citer notamment le projet qui a pour nom IborderCtrl, testé en Grèce, Hongrie et #Lettonie.

      Il consiste notamment en de l’#analyse_d’émotions (à côté d’autres projets de #reconnaissances_biométriques) : les personnes désirant passer une frontière doivent se soumettre à des questions et voient leur #visage passer au crible d’un #algorithme qui déterminera si elles mentent ou non. Le projet prétend « accélérer le #contrôle_aux_frontières » : si le #détecteur_de_mensonges estime qu’une personne dit la vérité, un code lui est donné pour passer le contrôle facilement ; si l’algorithme considère qu’une personne ment, elle est envoyée dans une seconde file, vers des gardes-frontières qui lui feront passer un #interrogatoire. L’analyse d’émotions prétend reposer sur un examen de « 38 #micro-mouvements du visage » comme l’angle de la tête ou le mouvement des yeux. Un spectacle de gadgets pseudoscientifiques qui permet surtout de donner l’apparence de la #neutralité_technologique à des politiques d’#exclusion et de #déshumanisation.

      Ce projet a également été financé par Horizon 2020 à hauteur de 4,5 millions d’euros. S’il semble aujourd’hui avoir été arrêté, l’eurodéputé allemand Patrick Breyer a saisi la Cour de justice de l’Union Européenne pour obtenir plus d’informations sur ce projet, ce qui lui a été refusé pour… atteinte au #secret_commercial. Ici encore, on voit que le champ “civil” et non “militaire” du projet est loin de représenter un garde-fou.

      Conclusion

      Ainsi, l’Union européenne participe activement au puissant marché de la surveillance et de la répression. Ici, les frontières et les personnes exilées sont utilisées comme des ressources de laboratoire. Dans une optique de militarisation toujours plus forte des frontières de la forteresse Europe et d’une recherche de profit et de développement des entreprises et centres de recherche européens. Les frontières constituent un nouveau marché et une nouvelle manne financière de la technopolice.

      Les chiffres montrent par ailleurs l’explosion du budget de l’agence européenne #Frontex (de 137 millions d’euros en 2015 à 322 millions d’euros en 2020, chiffres de la Cour des comptes européenne) et une automatisation toujours plus grande de la surveillance des frontières. Et parallèlement, le ratio entre le nombre de personnes qui tentent de franchir la Méditerranée et le nombre de celles qui y laissent la vie ne fait qu’augmenter. Cette automatisation de la surveillance aux frontières n’est donc qu’une nouvelle façon pour les autorités européennes d’accentuer le drame qui continue de se jouer en Méditerranée, pour une “efficacité” qui finalement ne profite qu’aux industries de la surveillance.

      Dans nos rues comme à nos frontières nous devons refuser la Technopolice et la combattre pied à pied !

      https://technopolice.fr/blog/la-technopolice-aux-frontieres

    • Artificial Intelligence - based capabilities for European Border and Coast Guard

      In 2019, Frontex, the European Border and Coast Guard Agency, commissioned #RAND Europe to carry out an Artificial intelligence (AI) research study.

      The purpose of the study was to provide an overview of the main opportunities, challenges and requirements for the adoption of AI-based capabilities in border managament. Frontex’s intent was also to find synergies with ongoing AI studies and initiatives in the EU and contribute to a Europe-wide AI landscape by adding the border security dimension.

      Some of the analysed technologies included automated border control, object recognition to detect suspicious vehicles or cargo and the use of geospatial data analytics for operational awareness and threat detection.

      As part of the study, RAND provided Frontex in 2020 with a comprehensive report and an executive summary with conclusions and recommendations.

      The findings will support Frontex in shaping the future landscape of AI-based capabilities for Integrated Border Management, including AI-related research and innovation projects which could be initiated by Frontex (e.g. under #EU_Innovation_Hub) or recommended to be conducted under the EU Research and Innovation Programme (#Horizon_Europe).

      https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/artificial-intelligence-based-capabilities-for-european-border-and-co

    • Pour les réfugiés, la #biométrie tout au long du chemin

      Par-delà les murs qui poussent aux frontières du monde depuis les années 1990, les réfugiés, migrants et demandeurs d’asile sont de plus en plus confrontés à l’extension des bases de #données_biométriques. Un « #mur_virtuel » s’étend ainsi à l’extérieur, aux frontières et à l’intérieur de l’espace Schengen, construit autour de programmes et de #bases_de_données.

      Des réfugiés qui paient avec leurs #iris, des migrants identifiés par leurs #empreintes_digitales, des capteurs de #reconnaissance_faciale, mais aussi d’#émotions… Réunis sous la bannière de la « #frontière_intelligente », ces #dispositifs_technologiques, reposant sur l’#anticipation, l’#identification et l’#automatisation du franchissement de la #frontière grâce aux bases de données biométriques, ont pour but de trier les voyageurs, facilitant le parcours des uns et bloquant celui des autres.

      L’Union européenne dispose ainsi d’une batterie de bases de données qui viennent compléter les contrôles aux frontières. Depuis 2011, une agence dédiée, l’#Agence_européenne_pour_la_gestion_opérationnelle_des_systèmes_d’information_à_grande_échelle, l’#EU-Lisa, a pour but d’élaborer et de développer, en lien avec des entreprises privées, le suivi des demandeurs d’asile.

      Elle gère ainsi plusieurs bases compilant des #données_biométriques. L’une d’elles, le « #Entry_and_Exit_System » (#EES), sera déployée en 2022, pour un coût évalué à 480 millions d’euros. L’EES a pour mission de collecter jusqu’à 400 millions de données sur les personnes non européennes franchissant les frontières de l’espace Schengen, afin de contrôler en temps réel les dépassements de durée légale de #visa. En cas de séjour prolongé devenu illégal, l’alerte sera donnée à l’ensemble des polices européennes.

      Se brûler les doigts pour ne pas être enregistré

      L’EU-Lisa gère également le fichier #Eurodac, qui consigne les empreintes digitales de chacun des demandeurs d’asile de l’Union européenne. Utilisé pour appliquer le #règlement_Dublin III, selon lequel la demande d’asile est déposée et traitée dans le pays européen où le migrant a été enregistré la première fois, il entraîne des stratégies de #résistance.

      « On a vu des migrants refuser de donner leurs empreintes à leur arrivée en Grèce, ou même se brûler les doigts pour ne pas être enregistrés dans Eurodac, rappelle Damien Simonneau, chercheur à l’Institut Convergences Migrations du Collège de France. Ils savent que s’ils ont, par exemple, de la famille en Allemagne, mais qu’ils ont été enregistrés en Grèce, ils seront renvoyés en Grèce pour que leur demande y soit traitée, ce qui a des conséquences énormes sur leur vie. » La procédure d’instruction dure en effet de 12 à 18 mois en moyenne.

      La collecte de données biométriques jalonne ainsi les parcours migratoires, des pays de départs jusqu’aux déplacements au sein de l’Union européenne, dans un but de limitation et de #contrôle. Pour lutter contre « la criminalité transfrontalière » et « l’immigration clandestine », le système de surveillance des zones frontières #Eurosur permet, via un partage d’informations en temps réel, d’intercepter avant leur arrivée les personnes tentant d’atteindre l’Union européenne.

      Des contrôles dans les pays de départ

      Pour le Transnational Institute, auteur avec le think tank Stop Wapenhandel et le Centre Delàs de plusieurs études sur les frontières, l’utilisation de ces bases de données témoigne d’une stratégie claire de la part de l’Union européenne. « Un des objectifs de l’expansion des #frontières_virtuelles, écrivent-ils ainsi dans le rapport Building Walls (https://www.tni.org/files/publication-downloads/building_walls_-_full_report_-_english.pdf), paru en 2018, est d’intercepter les réfugiés et les migrants avant même qu’ils n’atteignent les frontières européennes, pour ne pas avoir à traiter avec eux. »

      Si ces techniques permettent de pré-trier les demandes pour fluidifier le passage des frontières, en accélérant les déplacements autorisés, elles peuvent également, selon Damien Simonneau, avoir des effets pervers. « L’utilisation de ces mécanismes repose sur l’idée que la #technologie est un facilitateur, et il est vrai que l’#autonomisation de certaines démarches peut faciliter les déplacements de personnes autorisées à franchir les frontières, expose-t-il. Mais les technologies sont faillibles, et peuvent produire des #discriminations. »

      Ces #techniques_virtuelles, aux conséquences bien réelles, bouleversent ainsi le rapport à la frontière et les parcours migratoires. « Le migrant est confronté à de multiples points "frontière", disséminés un peu partout, analyse Damien Simonneau. Cela crée des #obstacles supplémentaires aux parcours migratoires : le contrôle n’est quasiment plus lié au franchissement d’une frontière nationale, il est déterritorialisé et peut se produire n’importe où, en amont comme en aval de la frontière de l’État. »

      Ainsi, la « politique d’#externalisation de l’Union européenne » permet au contrôle migratoire de s’exercer dans les pays de départ. Le programme européen « #SIV » collecte par exemple dès leur formulation dans les #consulats les données biométriques liées aux #demandes_de_visas.

      Plus encore, l’Union européenne délègue une partie de la gestion de ses frontières à d’autres pays : « Dans certains États du Sahel, explique Damien Simonneau, l’aide humanitaire et de développement est conditionnée à l’amélioration des contrôles aux frontières. »

      Un programme de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), le programme #MIDAS, financé par l’Union européenne, est ainsi employé par 23 pays, majoritairement en Afrique, mais aussi en Asie et en Amérique. Son but est de « collecter, traiter, stocker et analyser les informations [biométriques et biographiques] des voyageurs en temps réel » pour aider les polices locales à contrôler leurs frontières. Mais selon le réseau Migreurop, ces données peuvent également être transmises aux agences policières européennes. L’UE exerce ainsi un droit de regard, via Frontex, sur le système d’information et d’analyse de données sur la migration, installé à Makalondi au Niger.

      Des réfugiés qui paient avec leurs yeux

      Un mélange des genres, entre organisations humanitaires et États, entre protection, logistique et surveillance, qui se retrouve également dans les #camps_de_réfugiés. Dans les camps jordaniens de #Zaatari et d’#Azarq, par exemple, près de la frontière syrienne, les réfugiés paient depuis 2016 leurs aliments avec leurs iris.

      L’#aide_humanitaire_alimentaire distribuée par le Programme alimentaire mondial (PAM) leur est en effet versée sur un compte relié à leurs données biométriques. Il leur suffit de passer leurs yeux dans un scanner pour régler leurs achats. Une pratique qui facilite grandement la gestion #logistique du camp par le #HCR et le PAM, en permettant la #traçabilité des échanges et en évitant les fraudes et les vols.

      Mais selon Léa Macias, anthropologue à l’EHESS, cela a aussi des inconvénients. « Si ce paiement avec les yeux peut rassurer certains réfugiés, dans la mesure où cela les protège contre les vols, développe-t-elle, le procédé est également perçu comme une #violence. Les réfugiés ont bien conscience que personne d’autre au monde, dans une situation normale, ne paie ainsi avec son #corps. »

      Le danger de la fuite de données

      La chercheuse s’inquiète également du devenir des données ainsi collectées, et se pose la question de l’intérêt des réfugiés dans ce processus. « Les humanitaires sont poussés à utiliser ces nouvelles technologies, expose-t-elle, qui sont vues comme un gage de fiabilité par les bailleurs de fonds. Mais la #technologisation n’est pas toujours dans l’intérêt des réfugiés. En cas de fuite ou de hackage des bases de données, cela les expose même à des dangers. »

      Un rapport de Human Rights Watch (HRW) (https://www.hrw.org/news/2021/06/15/un-shared-rohingya-data-without-informed-consent), publié mardi 15 juin, alerte ainsi sur des #transferts_de_données biométriques appartenant à des #Rohingyas réfugiés au Bangladesh. Ces données, collectées par le Haut-commissariat aux réfugiés (HCR) de l’ONU, ont été transmises par le gouvernement du Bangladesh à l’État birman. Si le HCR a réagi (https://www.unhcr.org/en-us/news/press/2021/6/60c85a7b4/news-comment-statement-refugee-registration-data-collection-bangladesh.html) en affirmant que les personnes concernées avaient donné leur accord à ce #transfert_de_données pour préparer un éventuel retour en Birmanie, rien ne permet cependant de garantir qu’ils seront bien reçus si leur nom « bipe » au moment de passer la frontière.

      https://www.rfi.fr/fr/technologies/20210620-pour-les-r%C3%A9fugi%C3%A9s-la-biom%C3%A9trie-tout-au-long-du-chemin

      #smart_borders #tri #catégorisation #déterritorialisation #réfugiés_rohingyas

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      Sur les doigts brûlés pour ne pas se faire identifier par les empreintes digitales, voir la scène du film Qu’ils reposent en paix de Sylvain George, dont j’ai fait une brève recension :

      Instant tragique : ce qu’un migrant appelle la « prière ». Ce moment collectif où les migrants tentent de faire disparaître leurs empreintes digitales. Étape symbolique où ils se défont de leur propre identité.

      https://visionscarto.net/a-calais-l-etat-ne-peut-dissoudre

  • Relire #Dark_Knight_Returns de #Frank_Miller, ou le rêve d’une société sécuritaire sous surveillance (1)
    https://labojrsd.hypotheses.org/2862

    J’ai relu Dark Knight Returns, dans une édition en noir et blanc qui confère à la violence du plus mythique des héros DC #Comics une coloration sensiblement différente. Moins frappante mais non moins graphique,...

    #Billets #Batman #BD_étatsunienne #DC_Comics #dispositifs_sécuritaires #Etats-Unis #Gotham #Harvey_Dent #Joker #Super-Héros

  • HCR - L’Ouganda accueille des réfugiés de la RDC malgré les mesures de prévention liées au Covid-19
    https://www.unhcr.org/fr/news/press/2020/7/5efd8bd4a/louganda-accueille-refugies-rdc-malgre-mesures-prevention-liees-covid-19.html

    « Je remercie le gouvernement ougandais et les communautés locales pour cette importante manifestation de solidarité avec les personnes qui fuient le conflit », a déclaré Joel Boutroue, le Représentant du HCR en Ouganda. « Cela prouve que même au cœur d’une crise mondiale comme celle du Covid-19, il est possible de mettre en place des mesures aux frontières qui respectent les normes internationales en matière de droits de l’homme et de protection des réfugiés. » L’Ouganda a mis en place des restrictions aux frontières en mars pour contenir la propagation du Covid-19, interrompant l’admission de nouveaux demandeurs d’asile dans le pays. Pour des raisons humanitaires, le Président de l’Ouganda a ordonné à son gouvernement de rouvrir temporairement la frontière de Zombo afin de permettre la fourniture d’une aide d’urgence et de garantir la protection du groupe de réfugiés. Le gouvernement a indiqué que les contrôles aux frontières devraient être réintroduits vendredi, une fois l’opération humanitaire terminée.Le HCR et ses partenaires, en coordination avec le Bureau du Premier Ministre, le Ministère de la Santé et le gouvernement local du district, ont œuvré 24 heures sur 24 à Zombo pour renforcer les capacités d’accueil à la frontière, y compris les infrastructures de quarantaine, et pour assurer un approvisionnement suffisant en d’aide d’urgence.
    Tous les nouveaux arrivants seront soumis à un contrôle de sécurité et à un examen médical à la frontière. Les personnes vulnérables seront identifiées, feront l’objet d’une procédure accélérée et recevront de l’aide de façon prioritaire.Dans un premier temps, le groupe sera mis en quarantaine au Zewdu Farm Institute, près du poste frontière, qui peut accueillir actuellement quelque 6000 personnes. Le HCR et ses partenaires y ont installé des tentes, des zones de dépistage sanitaire, des toilettes, des dispositifs pour se laver les mains et des réservoirs d’eau.
    Après la période de quarantaine obligatoire de 14 jours, conformément aux directives et protocoles nationaux, les demandeurs d’asile seront transférés dans les sites de réfugiés existants.

    #Covid-19#migrantmigration#ouganda#RDC#sante#humanitaire#HCR#dispositifsanitaire#urgence#refugie

  • #Villes et alimentation en période de #pandémie : expériences françaises

    La #crise_sanitaire a durement touché le monde entier, notamment la France, et a conduit à adapter les modes de #consommation, de #production et d’#approvisionnement pour faire face à cette situation inédite. Fermeture des marchés, des commerces, des restaurants et des cantines, pénurie de main d’œuvre dans la production agricole… Les acteurs du secteur ont dû s’adapter à un contexte évolutif pour garantir la #sécurité_alimentaire du pays. Malgré toutes ces difficultés, le système alimentaire français a tenu.

    Comment garantir la #sécurité et la #qualité de l’#approvisionnement_alimentaire pour tous en période de crise sanitaire ? Quels dispositifs ont été mis en place dans les villes françaises pour répondre à une situation inédite d’urgence ? Quels enseignements retenir de ces deux mois de confinement ? Quelle place les villes ont-elles vocation à occuper dans la redéfinition des #stratégies_alimentaires_territoriales en cours ?

    France urbaine, en partenariat avec les associations RESOLIS et Terres en villes, a mené une vaste #enquête intitulée « Villes et alimentation en période de pandémie : expériences françaises », dont résulte le #recensement des #dispositifs mis en place dans 30 grandes villes et agglomérations, permettant l’analyse des nombreux rôles joués par les villes, en partenariat avec les acteurs locaux, lors des deux mois de confinement.

    L’enquête et son analyse sont construites autour de quatre grands thèmes (#circuits_courts, distribution, #solidarité, #communication), dont voici les quatre principaux enseignements :

    - L’action menée dans l’#urgence ne doit pas contredire les besoins durables de #transition et de #résilience du système alimentaire ;
    – La réussite d’une action urbaine dans le domaine alimentaire nécessite un mouvement et une #organisation_collective, à savoir une « Alliance des territoires » et une synergie entre acteurs du système alimentaire ;
    – Des évolutions majeures sont en cours dans les modes agro-écologiques de #production_agricole, dans des mutations liées au numériques et dans les #comportements_alimentaires ;
    – La #mobilisation_citoyenne est nécessaire aux grandes #transformations du système alimentaire pour que celles-ci soient réussies et démocratiques.

    Qu’il s’agisse de réagir dans l’urgence ou d’agir dans la durée pour rendre les systèmes alimentaires plus résilients, plus solidaire et accélérer la #transition_alimentaire, les villes souhaitent collaborer ensemble, avec les différents acteurs du système alimentaire, d’autres territoires et apporter leurs contributions aux agendas nationaux et européens, à l’instar des stratégies « De la ferme à la fourchette » et « Biodiversité 2030 » de la Commission européenne, dévoilées le 20 mai dernier.

    https://franceurbaine.org/publications/villes-et-alimentation-en-periode-de-pandemie-experiences-francaises
    #rapport #France #alimentation #covid-19 #coronavirus #système_alimentaire #confinement #résilience #urban_matter

    Pour télécharger le rapport :
    https://franceurbaine.org/sites/franceurbaine.org/files/documents/franceurbaine_org/villes_alimentation_pandemie_26mai.pdf

  • Les personnels et étudiant·e·s de l’Université de Strasbourgs ont-ils mis sous #surveillance ?
    (Communiqué de presse du 20 février 2020)

    Les départements de sûreté intérieure se multiplient dans les #universités, les sociétés de sécurité privées s’établissent sur les #campus, la #surveillance_vidéo se généralise, alors que les franchises universitaires sont régulièrement bafouées par la présence de la #police dans les établissements. L’Université de #Strasbourg, qui s’est singularisée ces dernières années par une anticipation et une application zélée de toutes les réformes, se veut probablement à la pointe des #dispositifs_de_surveillance et d’anticipation des mouvements sociaux. Face à plusieurs dérives qui pourraient remettre en cause nos #libertés_fondamentales, les organisations signataires estiment qu’il est aujourd’hui de leur #responsabilité d’alerter les personnels sur les informations dont elles disposent et sur les démarches qu’elles ont engagées. Dans un courrier du 4 février dernier (à lire et télécharger ICI : https://drive.google.com/file/d/1oLOje91aiU_T1p7VDBMIXSk5oaV4w2eL/view), nos organisations ont interrogé le Président de l’université et le Directeur général des services sur des faits dûment constatés ou méritant d’être vérifiés. Tout d’abord sur des pratiques de la société de #sécurité_privée prestataire de notre établissement. Notre inquiétude portait notamment sur une possible pratique de #fichage d’étudiant·e·s et de #personnels. Nous avons demandé la mise en place de mesures permettant, soit de lever ces suspicions, soit de les confirmer. Nous précisons que si le prestataire de sécurité privée a très récemment changé, les salariés restent, pour beaucoup, les mêmes. Or des comportements similaires ou tout aussi graves, ont été constatés. A titre d’exemple, le jeudi 6 février, plusieurs témoins ont fait état de la présence d’au moins un salarié de la société de sécurité privée aux abords de la manifestation intersyndicale au niveau de la Place de la République. Des étudiant·e·s sont allés à sa rencontre pour savoir s’il était en service, ce qu’il a reconnu avant de justifier sa présence en dehors du campus en disant qu’il avait des ordres. De qui émanaient ces ordres ? Notre courrier s’interrogeait ensuite sur les missions du fonctionnaire-adjoint de sécurité et de défense de notre université, sur la nature des rapports qu’il rédige suite à ses tâches de surveillance des AG ainsi que sur les destinataires de ses rapports. Enfin nous demandions que toute la lumière soit faite sur les décisions et les ordres éventuels qui ont pu mener à de telles dérives, mais aussi sur l’utilisation et le devenir des #données_personnelles collectées par les sociétés de sécurité privées et par le fonctionnaire-adjoint de sécurité et de défense. Le mercredi 12 février, nos organisations ont été destinataires d’un courrier émanant du Directeur Général des Services qui apportait, au nom du président et en son nom propre, des éléments de réponse à nos questions et demandes. Ces réponses, que nous publions avec l’accord des auteurs (à lire ICI : https://drive.google.com/file/d/1TDoB-ln6BX3B8Qm2e1CzcdkK0EnS4ya_/view), nous semblent lacunaires. Nous invitons donc le Président #Michel_Deneken à prendre nos questions avec plus de sérieux et à y répondre publiquement avec précision, afin de rassurer notre communauté de recherche et d’enseignement sur la préservation de nos libertés fondamentales.

    L’intersyndicale de l’Université de Strasbourg,CNT-STP67, DICENSUS, FO-ESR, SNCS-FSU, SNASUB-FSU, SNESUP-FSU, Solidaires Étudiant•e•s Alsace, Sud Éducation Alsace.

    https://fsusupalsace.files.wordpress.com/2020/02/communiquec2b4-intersyndical-sur-la-sec2b4curitec2b4-a
    #vidéosurveillance

    ping @etraces
    #Deneken

  • Pierre par Pierre, le site
    https://nantes.indymedia.org/articles/44988

    Pierre par pierre veut être un outil pour tou-te-s celleux qui luttent contre les répressions.

    #Répression #contrôle #social #/ #prisons #centres #de #rétention #police #procès #loi #renseignement #anti-repression #dispositifs #| #vidéosurveillances #anti-carcéral #partout #Répression,contrôle,social,/,prisons,centres,de,rétention,police,procès,loi,renseignement,anti-repression,dispositifs,|,vidéosurveillances,anti-carcéral

  • Hostile architecture: an uncomfortable urban art – in pictures | Cities | The Guardian

    https://www.theguardian.com/cities/gallery/2018/aug/21/hostile-architecture-an-uncomfortable-urban-art-in-pictures

    Hostile architecture: an uncomfortable urban art – in pictures
    Bollards in a covered corner next to the entrance of a Carrefour supermarket in Paris. Photograph: Julius-Christian Schreiner
    Cities is supported by
    Rockefeller Foundation
    About this content

    Julius-Christian Schreiner’s Silent Agents series, shot in London, Paris, Innsbruck and Hamburg, depicts examples of ‘hostile architecture’: subtle interventions in urban spaces designed to hinder people’s use of them

    #urban_matter #aménagments_urbains #dispositifs_anti_sdf #architecture

  • Même pas l’#eau...

    Fermeture des #fontaines_à_boire près du square Daviais #Nantes où dorment une trentaine de personnes #migrants dans des conditions indignes et en pleine chaleur. Nous demandons à @NantesMetropole @Johanna_Rolland @bassalaicha de remédier immédiatement à cette situation.

    https://twitter.com/cimadenantes/status/1011991250759770112

    #Nantes #France #asile #migrations #réfugiés #fixation #dispositifs_anti-fixation

    v. aussi, pour #Calais :
    Calais : la France doit fournir de l’eau potable et des services d’assainissement aux migrants (experts de l’ONU)
    https://news.un.org/fr/story/2017/10/366202-calais-la-france-doit-fournir-de-leau-potable-et-des-services-dassai

  • Comment construire des lieux de #travail où les gens sont heureux ?
    http://www.internetactu.net/2016/06/10/comment-construire-des-lieux-de-travail-ou-les-gens-sont-heureux

    Selon nombre d’études, 60 à 80% des employés se sentent “désengagés”. C’est le triste constat que dressait par exemple le spécialiste en #management Isaac Getz à #usi, il y a 2 ans (vidéo) ou Henry Stewart sur la scène de Lift France en 2014. C’est le même que pointe le développeur Richard Sheridan à son tour sur la scène de…

    #confiance #coopération #créativité #dispositifs_créatifs #open_innovation #Participation #psychologie

  • Cultures & Conflits | Entre faits et fiction : l’instruction de la demande d’asile en Allemagne et en France
    http://asile.ch/2016/01/19/cultures-conflits-entre-faits-et-fiction-linstruction-de-la-demande-dasile-en-

    Depuis les années 1980-90, le nombre d’accords de statuts de protection internationale a radicalement baissé proportionnellement au nombre de demandes d’asile introduites dans les pays européens. L’évolution des dispositifs d’asile étatiques et de leurs pratiques décisionnelles sont bien entendu déterminées par les politiques nationales et européennes. Comprendre pleinement cette évolution suppose cependant une prise en […]

  • L’invisibilité sociale : une construction institutionnelle ? - Localtis.info - Caisse des Dépôts
    http://www.localtis.info/cs/ContentServer?pagename=Localtis/LOCActu/ArticleActualite

    L’Observatoire national de la pauvreté et de l’exclusion sociale (#Onpes) a publié une étude intitulée « La construction institutionnelle de l’invisibilité sociale : compte-rendu et analyse de 14 entretiens avec des décideurs politiques ». Si on peut contester la taille réduite de l’échantillon, l’originalité de ce travail - mené par le cabinet Apex à la demande de l’Onpes -, réside précisément dans la prise en compte des perceptions et de la parole des élus. Il s’agit en l’occurrence de trois élus nationaux (un député et deux sénateurs), de quatre élus de conseils départementaux (dont la nature du mandat n’est pas précisée) et de sept maires et adjoints au maire. Sans prétendre à une représentativité statistique, l’échantillon répond à une réelle diversité géographique et socioéconomique pour les territoires représentés et couvre l’essentiel du champ politique.

    L’invisibilité sociale se loge dans les représentations des décideurs
    L’objectif affiché est de comprendre « les mécanismes qui contribuent à construire ’l’#invisibilité_sociale' et de mieux identifier les réalités que ce phénomène recouvre ». Pour cela, la démarche part d’un postulat : « L’une des dimensions fondamentales de l’invisibilité sociale est cognitive : elle se loge dans les #représentations des décideurs quant aux publics les plus concernés par l’#aide_sociale, aux problématiques les plus prioritaires, aux moyens d’action légitimes et efficaces dans la perspective d’améliorer la situation ».
    Il résulte de ces entretiens semi-directifs que l’invisibilité sociale est une notion « au contenu hétérogène », les élus interrogés en proposant des définitions très diverses. Se dégage toutefois une approche avant tout individuelle de l’invisibilité : les invisibles sont « ceux qui ne viennent pas », autrement dit se tiennent à l’écart de l’offre sociale et des services qui la portent. Une perception qui renvoie aux thématiques de l’#isolement et du #non_recours aux droits. De ce fait, l’invisibilité apparaît comme le résultat d’une attitude personnelle.
    Dans le même esprit, les élus se disent conscients du #stigmate de « l’assisté social » - qui rend difficile de frapper à une porte - et, à l’inverse, de la fierté « à se débrouiller seul » (notamment chez les non salariés ou chez certains retraités). Le manque d’information ou la complexité des #dispositifs ne viennent que bien après dans les explications de l’invisibilité sociale.

    Invisibles perçus et invisibles non perçus

    L’étude s’efforce également d’identifier les principaux publics « invisibles » dans le discours des élus. Il en ressort la perception de deux catégories : celle d’un « invisible perçu » et celle d’un « invisible non perçu ». Au titre de la première figurent notamment - dans l’ordre de prégnance dans le discours des élus - les jeunes de 18 à 25 ans en situation de précarité, les personnes âgées pauvres, les familles monoparentales, les travailleurs pauvres et les étrangers en instance de décision ou en séjour illégal.
    A l’inverse, les « invisibles non perçus » - autrement dit qui n’apparaissent pas dans le discours des élus - sont le plus souvent des sous-catégories des « invisibles perçus » : par exemple, les jeunes en errance, les anciens immigrés retraités (les chibanis), les travailleurs indépendants pauvres... S’y ajoutent des catégories spécifiques, mais assez peu nombreuses : les sortants de prison, les familles d’enfants placés...
    La dernière partie - plus classique dans son approche - recense, dans le discours des élus, des initiatives locales « d’aller vers », tout particulièrement dans les petites communes. Cette dernière partie, davantage orientée vers les réponses au phénomène de l’invisibilité sociale, met notamment en avant la question du « détectage », mais aussi celles de la domiciliation (qualifiée de « prérequis indispensable »), de la refonte du travail social, de la prévention, ou encore de l’harmonisation de la circulation des informations confidentielles. Elle s’interroge aussi sur le fait de savoir si « s’occuper des ’invisibles’ est porteur politiquement »...

    La construction institutionnelle de l’invisibilité sociale : Compte-rendu et analyse de 14 entretiens avec des décideurs politiques, Onpes
    http://www.onpes.gouv.fr/IMG/pdf/Rapport_final_APEX_ONPES_01102015_VFD.pdf

  • C’est quand même assez incroyable... un texte sur les images et les visions du monde sans aucune image pour illustrer le propos...

    Images, textes et visions du monde : les dispositifs à l’œuvre dans les magazines grand-public de géographie

    Cet article analyse les #dispositifs_iconologiques et textuels mis en œuvre dans les publications grand public de géographie telles que Geo ou National Geographic magazine. Nous proposons d’identifier les figures du discours et les postures retenues par les magazines pour présenter l’information au public, en les différenciant suivant la distance accordée aux lecteurs pour raisonner sur l’espace et les sociétés. En nous inspirant de l’iconologie, du structuralisme littéraire et des recherches sur la vulgarisation, notre ambition est de montrer comment le traitement des espaces, la mise en scène de l’information et l’utilisation des images définissent des logiques spécifiques de communication et développent une vision du monde entre exotisme, idéalisation, rejet ou désenchantement.

    http://cybergeo.revues.org/26982
    #imaginaire_géographique

  • Pourquoi l’apprentissage assisté par la technologie ne parviendra pas, à lui seul, à résoudre la crise de l’éducation ?
    http://www.internetactu.net/2015/05/19/pourquoi-lapprentissage-assiste-par-la-technologie-ne-parviendra-pas-a

    La journaliste américaine spécialisée dans les questions d’éducation, Peg Tyre (@pegtyre) auteur notamment de La bonne école, revient dans un long article pour Medium sur l’usage de l’informatique à l’école. La révolution de l’apprentissage personnalisé assisté par la technologie promet un enseignement adapté, permettant aux algorithmes de recalibrer en continu les apprentissages pour répondre aux besoins des élèves. Faut-il croire…

    #éducation #créativité #dispositifs_créatifs

  • Le rouge et le tricolore | par Alain Badiou
    http://www.lemonde.fr/idees/article/2015/01/27/le-rouge-et-le-tricolore_4564083_3232.html

    Il y a eu en France, depuis bien longtemps, deux types de manifestation : celle sous drapeau rouge, et celles sous drapeau tricolore. Croyez-moi : y compris pour réduire à rien les petites bandes fascistes identitaires et meurtrières, qu’elles se réclament des formes sectaires de la religion musulmane, de l’identité nationale française ou de la supériorité de l’Occident, ce ne sont pas les tricolores, commandées et utilisées par nos maîtres, qui sont efficaces. Ce sont les autres, les rouges, qu’il faut faire revenir.

    • Le Rouge et la Marseillaise, par Bernard Chartreux, dramaturge
      http://www.lemonde.fr/idees/article/2015/02/10/le-rouge-et-la-marseillaise_4573404_3232.html

      Ne pas signaler, comme le fait Badiou , ce versant religieux des crimes fascistes, c’est fermer volontairement les yeux devant ce qui est sans doute l’événement marquant –en concomitance il va sans dire avec la chute du communisme– de la fin du XXe et du début du XXIe siècle, savoir le retour en force (et inattendu ?) tant sur le plan individuel qu’au niveau géo-stratégique, de la religion. C’est ne pas vouloir voir son caractère impérialiste, dominateur, conquérant, propre à toutes les dérives sectaires et criminelles. C’est s’imaginer que l’on peut l’utiliser (la religion) à des fins politiques toutes différentes de sa finalité propre –un ordre moral coercitif ici bas et la récompense céleste post mortem– alors qu’en réalité c’est elle qui, en dernière instance, va manipuler les apprentis manipulateurs (cf. par exemple les Etats Unis et le fondamentaliste afghan) .

      Avec la classique simplification aberrante sur l’"#opium_du_peuple" qui ne fait aucun cas de ce qui précède l’expression, à propos de la #religion comme « âme d’un monde sans coeur, esprit de conditions sociales d’où l’esprit est exclu ».

      #incarnation

    • Le texte de Badiou dans sa version non tronquée par Le Monde

      Le Rouge et le Tricolore
      Alain Badiou

      1. Arrière-plan : la situation mondiale.
      Aujourd’hui, le monde est investi en totalité par la figure du capitalisme global, soumis à l’oligarchie internationale qui le régente, et asservi à l’abstraction monétaire comme seule figure reconnue de l’universalité. Nous vivons un pénible intervalle : celui qui sépare la fin de la deuxième étape historique de l’Idée communiste (la construction intenable, terroriste, d’un « communisme d’Etat ») de sa troisième étape (le communisme réalisant la politique, adéquate au réel, d’une « émancipation de l’humanité tout entière »). Dans ce contexte, s’est établi un conformisme intellectuel médiocre, une sorte de résignation à la fois plaintive et satisfaite, qui accompagne l’absence de tout futur autre que la répétition déployée de ce qu’il y a.
      Nous voyons alors apparaître, contre-partie à la fois logique et horrifiante, désespérée et fatale, mélange de capitalisme corrompu et de gangstérisme meurtrier, un repli maniaque, manœuvré subjectivement par la pulsion de mort, vers les identités les plus diverses. Ce repli suscite à son tour des contre-identités identitaires arrogantes. Sur la trame générale de « l’Occident », patrie du capitalisme dominant et civilisé, contre « l’Islamisme », référent du terrorisme sanguinaire, apparaissent, d’un côté, des bandes armées meurtrières ou des individus surarmés, brandissant pour se faire obéir le cadavre de quelques dieux ; de l’autre, au nom des droits de l’homme et de la démocratie, des expéditions militaires internationales sauvages, détruisant des Etats entiers (Yougoslavie, Irak, Libye, Afghanistan, Soudan, Congo, Mali, Centrafrique…) et faisant des milliers de victimes, sans parvenir à rien qu’à négocier avec les bandits les plus corruptibles une paix précaire autour des puits, des mines, des ressources vivrières et des enclaves où prospèrent les grandes compagnies.
      Il en ira ainsi tant que l’universalisme vrai, le prise en main du destin de l’humanité par l’humanité elle-même, et donc la nouvelle et décisive incarnation historico-politique de l’Idée communiste, n’aura pas déployé sa neuve puissance à l’échelle mondiale, annulant au passage l’asservissement des Etats à l’oligarchie des propriétaires et de leurs serviteurs, l’abstraction monétaire, et finalement les identités et contre-identités qui ravagent les esprits et en appellent à la mort.
      La situation mondiale, c’est que tarde à venir, mais viendra – si nous parvenons à le vouloir à grande échelle – le temps où toute identité (car il y aura toujours des identités, y compris différentes, y compris formellement contradictoires) sera intégrée égalitairement et pacifiquement dans le destin de l’humanité générique.
      2. Détails français : Charlie-Hebdo et la « République ».
      Né du gauchisme révolté des années soixante-dix, Charlie-Hebdo est devenu, comme nombre d’intellectuels, de politiciens, de « nouveaux philosophes », d’économistes impuissants et d’amuseurs divers, un défenseur à la fois ironique et fiévreux de la Démocratie, de la République, de la Laïcité, de la Liberté d’opinion, de la Libre entreprise, du Libre sexe, de l’Etat libre, bref, de l’ordre politique et moral établi. Ce genre de renégation, qui est comme le vieillissement des esprits au fil des circonstances, pullule, et n’a en soi-même guère d’intérêt.
      Plus nouvelle semble la construction patiente, entamée en France dès les années quatre-vingt du dernier siècle, d’un ennemi intérieur de type nouveau : le musulman. Cela s’est fait dans la foulée de diverses lois scélérates poussant la « liberté d’expression » jusqu’au contrôle tatillon des vêtements, de nouveaux interdits concernant le récit historique et de nouvelles franchises policières. Cela s’est fait aussi dans une sorte de rivalité « de gauche » avec l’irrésistible ascension du Front national, lequel pratiquait depuis la guerre d’Algérie un racisme colonial franc et ouvert. Quelles que soit la diversité des causes, le fait est que le musulman, de Mahomet à nos jours, est devenu le mauvais objet du désir de Charlie-Hebdo. Accabler de sarcasmes le musulman et faire rire de ses façons est devenu le fonds de commerce de ce crépusculaire magazine « humoristique », un peu comme il y a un petit siècle on se moquait, sous le nom de « Bécassine », des paysannes pauvres (et chrétiennes, à l’époque…) venues de Bretagne pour torcher les enfants des bourgeoises de Paris.
      Tout cela, au fond, n’est pas si nouveau. L’ordre établi parlementaire français – au moins depuis son acte fondateur, à savoir le massacre, en 1871, par les Thiers, Jules Ferry, Jules Favre et autres vedettes de la gauche « républicaine », de vingt mille ouvriers dans les rues de Paris – ce « pacte républicain » auquel se sont ralliés tant d’ex-gauchistes, a toujours soupçonné que se tramaient des choses effrayantes dans les faubourgs, les usines de la périphérie, les sombres bistrots banlieusards. Il a toujours envoyé de fortes brigades policières dans ces endroits, et peuplé les prisons, sous d’innombrables prétextes, des louches jeunes hommes mal éduqués qui y vivaient. Il a introduit dans les « bandes de jeunes » des délateurs corrompus. Elle a aussi, la République, multiplié les massacres et formes neuves d’esclavage requis par le maintien de l’ordre dans l’Empire colonial. Cet Empire sanguinaire, où l’on torturait avec constance les « suspects » dans le moindre commissariat de la moindre bourgade africaine ou asiatique, avait trouvé sa charte dans les déclarations du même Jules Ferry, – décidément un activiste du pacte républicain – lesquelles exaltaient la « mission civilisatrice » de la France.
      Or, voyez-vous, un nombre considérables des jeunes qui peuplent nos banlieues, outre leurs louches activités et leur manque flagrant d’éducation (étrangement, la fameuse Ecole républicaine n’a rien pu, semble-t-il, en tirer, mais n’arrive pas à se convaincre que c’est de sa faute, et non de la faute des élèves), ont des parents prolétaires d’origine africaine, ou sont eux-mêmes venus d’Afrique pour survivre, et, par voie de conséquence, sont souvent de religion musulmane. A la fois prolétaires et colonisés, en somme. Deux raisons de s’en méfier et de prendre les concernant de sérieuses mesures répressives. La police, heureusement, sous la direction éclairée de nos gouvernements, tant de droite extrême que de gauche résolue, fait ce qu’il convient. Supposons que vous soyez un jeune noir ou un jeune à l’allure arabe, ou encore une jeune femme qui a décidé, par sens de la libre révolte, puisque c’est interdit, de se couvrir les cheveux. Eh bien, vous avez alors neuf ou dix fois plus de chances d’être interpellé dans la rue par notre police démocratique et très souvent retenu dans un commissariat, que si vous avez la mine d’un « Français », ce qui veut dire, uniquement, le faciès de quelqu’un qui n’est probablement ni prolétaire, ni ex-colonisé. Ni musulman. Charlie-Hebdo, en un sens, ne fait qu’aboyer avec ces mœurs policières.
      On prétend de ci de là que ce n’est pas le fait d’être musulman en soi, comme indice négatif, que visent les caricatures de Charlie-Hebdo, mais l’activisme terroriste des intégristes. C’est objectivement faux. Prenez une caricature typique : on y voit une paire de fesses nues, c’est tout, et la légende dit « Et le cul de Mahomet, on peut s’en servir ? ». Le Prophète des croyants, cible permanente de ces stupidités, serait-il un terroriste contemporain ? Non, cela n’a rien à voir avec quelque politique que ce soit. Rien à voir avec le drapeau solennel de la « liberté d’expression ». C’est une ridicule et provocatrice obscénité visant l’Islam comme tel, c’est tout. Et ce n’est rien d’autre qu’un racisme culturel de bas étage, une « blague » pour faire péter de rire le lepéniste aviné du coin. Une complaisante provocation « occidentale », pleine de la satisfaction du nanti, envers, non seulement d’immenses masses populaires africaines, moyen-orientales ou asiatiques qui vivent dans des conditions dramatiques, mais envers une très large fraction du peuple laborieux ici même, celui qui vide nos poubelles, nettoie la vaisselle, s’éreinte au marteau piqueur, fait à cadence accélérée les chambres des hôtels de luxe ou nettoie à quatre heures du matin les vitres des grandes banques. Bref, cette part du peuple qui, par son travail seul, mais aussi par sa vie complexe, ses voyages risqués, sa connaissance de plusieurs langues, sa sagesse existentielle et sa capacité à reconnaître ce que c’est qu’une vraie politique d’émancipation, mérite au moins qu’on la considère, et même, oui, qu’on l’admire, toute question religieuse mise de côté.
      Autrefois déjà, dès le XVIIIe siècle, toutes ces blagues sexuelles, antireligieuses en apparence, antipopulaires en réalité, avaient donné un « humour » de caserne ou de salle de garde. Voyez les obscénités de Voltaire à propos de Jeanne d’Arc : son La Pucelle d’Orléans est tout à fait digne de Charlie-Hebdo. A lui seul, ce poème cochon dirigé contre une héroïne sublimement chrétienne autorise à dire que les vraies et fortes lumières de la pensée critique ne sont certes pas illustrées par ce Voltaire de bas étage. Il éclaire la sagesse de Robespierre quand il condamne tous ceux qui font des violences antireligieuses le cœur de la Révolution, et n’obtiennent ainsi que désertion populaire et guerre civile. Il nous invite à considérer que ce qui divise l’opinion démocratique française est d’être, le sachant ou non, soit du côté constamment progressiste et réellement démocrate de Rousseau, soit du côté de l’affairiste coquin, du riche spéculateur sceptique et jouisseur, qui était comme le mauvais génie logé dans ce Voltaire par ailleurs capable, parfois, d’authentiques combats.
      Mais aujourd’hui, tout cela pue la mentalité coloniale – comme du reste la loi contre le foulard « islamique » rappelait, en bien plus violent, hélas, les moqueries contre la coiffe bretonne de Bécassine : tous points où le racisme culturel racoleur fusionne avec l’hostilité sourde, l’ignorance crasse et la peur qu’inspire au petit bourgeois de nos contrées, très content de lui-même, l’énorme masse, banlieusarde ou africaine, des damnés de la terre.
      3. Ce qui est arrivé, 1 : Le crime de type fasciste.
      Et les trois jeunes Français que la police a rapidement tués ?
      Remarquons en passant que c’était faire, à la satisfaction générale, l’économie d’un procès où il aurait fallu discuter de la situation et de la réelle provenance des coupables. C’était aussi un trait tiré sur l’abolition de la peine de mort, le retour à la pure vengeance publique, dans le style des westerns.
      S’il faut les caractériser, disons qu’ils ont commis ce qu’il faut appeler un crime de type fasciste.
      J’appelle crime de type fasciste un crime qui a trois caractéristiques. D’abord, il est ciblé, et non pas aveugle, parce que sa motivation est idéologique, de caractère fascisant, ce qui veut dire : stupidement identitaire, nationale, raciale, communautaire, coutumière, religieuse... En la circonstance, les assassins avaient visiblement comme cibles trois identités souvent visées par le fascisme classique : les publicistes considérés comme du bord opposé, les policiers défendant l’ordre parlementaire haï, et les Juifs. Il s’agit de la religion dans le premier cas, d’une Etat national dans le second, d’une prétendue race dans le troisième. Ensuite, il est d’une violence extrême, assumée, spectaculaire, parce qu’il vise à imposer l’idée d’une détermination froide et absolue, qui du reste inclut de façon suicidaire la probabilité de la mort des meurtriers. C’est l’aspect « Viva la muerte ! », l’allure nihiliste, de ces actions. Troisièmement, le crime vise, par son énormité, son effet de surprise, son côté hors norme, à créer un effet de terreur et à alimenter, de ce fait même, du côté de l’Etat et de l’opinion, des réactions incontrôlées, lesquelles, aux yeux des criminels et de leurs patrons, vont justifier après coup, par symétrie, l’attentat sanglant.
      Ce genre de crime demande des tueurs que ceux qui les manipulent peuvent abandonner à leur sort dès que l’acte a eu lieu. Ce ne sont pas de grands professionnels, des gens des services secrets, des assassins chevronnés. Ce sont des jeunes du peuple, tirés de leur vie, qu’ils prévoient sans issue, ni sens, par la fascination de l’acte pur mêlé à quelques ingrédients identitaires sauvages, et qui accèdent aussi, ce faisant, aux armes sophistiquées, aux voyages, à la vie en bande, à des formes de pouvoir, de jouissance, et à un peu d’argent. En France même, on a vu, à une autre époque, des recrues de groupes fascisants capables de devenir des meurtriers et des tortionnaires pour des raisons du même genre. Ce fut notamment le cas, pendant l’occupation de la France par les nazis, de bien des miliciens embauchés par Vichy sous le drapeau de la « Révolution nationale ».
      Si l’on veut réduire le risque des crimes fascistes, c’est de ce portrait qu’il faut s’inspirer. Les facteurs décisifs autorisant l’apparition de ces crimes sont clairs. Il y a l’image négative que la société se fait des jeunes venus de la misère mondiale, la façon dont elle les traite. Il y a le maniement inconsidéré des questions identitaires, l’existence non combattue, voire encouragée, de déterminations racialistes et coloniales, les lois scélérates de ségrégation et de stigmatisation. Il y a surtout sans doute, non pas l’inexistence – on trouve dans notre pays des militants pleins d’idées et liés au peuple réel –, mais la faiblesse désastreuse, à échelle internationale, des propositions politiques hors consensus, de nature révolutionnaire et universelle, susceptibles d’organiser ces jeunes dans la solidité agissante d’une conviction politique rationnelle. Ce n’est que sur le fond d’une action persistante pour modifier tous ces facteurs négatifs, d’un appel à changer de fond en comble la logique politique dominante, qu’on aurait pu raisonnablement faire prendre à l’opinion la vraie mesure de ce qui se passait, et subordonner l’action policière, toujours dangereuse quand elle est livrée à elle-même, à une conscience publique éclairée et capable.
      Or la réaction gouvernementale et médiatique a fait exactement tout le contraire.
      4. Ce qui est arrivé, 2 : L’Etat et l’Opinion.
      Dès le début, l’Etat s’est engagé dans une utilisation démesurée et extrêmement dangereuse du crime fasciste. Au crime à motivations identitaires, il a opposé dans les faits une motivation identitaire symétrique. Au « musulman fanatique » on a opposé sans vergogne le bon Français démocrate. Le scandaleux thème de « l’union nationale », voire de « l’union sacrée », qui n’a servi en France qu’à envoyer les jeunes gens se faire massacrer pour rien dans les tranchées, est ressorti de ses placards naphtalinés. Que du reste ce thème soit identitaire et guerrier, on l’a bien vu lorsque nos dirigeants, les Hollande et les Valls, suivis par tous les organes médiatiques, ont entonné l’air, inventé par Bush à propos de la sinistre invasion de l’Irak – dont on connaît aujourd’hui les effets dévastateurs et absurdes –, de la « guerre contre le terrorisme ». C’est tout juste si, à l’occasion d’un crime isolé de type fasciste, on n’a pas exhorté les gens soit à se terrer chez eux, soit à revêtir leur uniforme de réserviste et à partir au son du clairon en Syrie.
      La confusion a été à son comble quand on a vu que l’Etat appelait, de façon parfaitement autoritaire, à venir manifester. Ici, au pays de la « liberté d’expression », une manifestation sur ordre de l’Etat ! On avait de bonnes raisons de se demander si Valls n’envisageait pas d’emprisonner les absents. On a puni, de ci de là, ceux qui étaient rétifs à la minute de silence. Nous aurons vraiment tout vu. C’est ainsi qu’au plus bas de leur popularité, nos dirigeants ont pu, grâce à trois fascistes dévoyés qui ne pouvaient imaginer un tel triomphe, défiler devant un million et quelques de personnes, à la fois terrorisées par les « musulmans » et nourries aux vitamines de la démocratie, du pacte républicain et de la grandeur superbe de la France. Il a même été possible que le criminel de guerre coloniale Netanyahou figure au premier rang des manifestants, supposés venir là célébrer la liberté d’opinion et la paix civile.
      La « liberté d’expression », parlons-en ! La manifestation affirmait au contraire, à grand renfort de drapeaux tricolores, qu’être français c’est d’abord avoir tous, sous la houlette de l’Etat, la même opinion. Il était pratiquement impossible, tous ces jours -ci, d’exprimer sur ce qui se passait une autre avis que celui qui consiste à s’enchanter de nos libertés, de notre République, à maudire la corruption de notre identité par les jeunes prolétaires musulmans et les filles horriblement voilées, et à se préparer virilement à la « guerre contre le terrorisme ». On a même entendu le cri suivant, admirable dans sa liberté expressive : « nous sommes tous des policiers ».
      Comment du reste ose-t-on aujourd’hui parler de « liberté d’expression » dans un pays où, à de très pauvres exceptions près, la totalité des organes de presse et de télévision sont aux mains de grands groupes privés industriels et/ou financiers ? Faut-il que notre « pacte républicain » soit souple et accommodant pour qu’on s’imagine que ces grands groupes, que Bouygues, que Lagardère, que Niel, et tous les autres, sont prêts à sacrifier leurs intérêts privés sur l’autel de la démocratie et de la liberté d’expression !
      Il est très naturel en réalité que la loi de notre pays soit celle de la pensée unique et de la soumission peureuse. La liberté en général, y compris celle de la pensée, de l’expression, de l’action, de la vie même, consiste-t-elle aujourd’hui à devenir unanimement des auxiliaires de police pour la traque de quelques dizaines d’embrigadés fascistes, la délation universelle des suspects barbus ou voilés, et la suspicion continue concernant les sombres « cités de banlieues », héritières des « faubourgs » où l’on fit autrefois un carnage des Communards ? Ou bien la tâche centrale de l’émancipation, de la liberté publique, est-elle bien plutôt d’agir en commun avec le plus possible de jeunes prolétaires de ces banlieues, le plus possible de jeunes filles, voilées ou non, cela n’importe pas, dans le cadre d’une politique neuve, qui ne se réfère à aucune identité (« les prolétaires n’ont pas de patrie ») et prépare la figure égalitaire d’une humanité s’emparant enfin de son propre destin ? Une politique qui envisage rationnellement que nos vrais maîtres impitoyables, les riches régents de notre destin, soient enfin congédiés ?
      Il y a eu en France, depuis bien longtemps, deux types de manifestations : celles sous drapeau rouge, et celles sous drapeau tricolore. Croyez-moi : y compris pour réduire à rien les petites bandes fascistes identitaires et meurtrières, qu’elles se réclament des formes sectaires de la religion musulmane, de l’identité nationale française ou de la supériorité de l’Occident, ce ne sont pas les tricolores, commandées et utilisées par nos maîtres, qui sont efficaces. Ce sont les autres, les rouges, qu’il faut faire revenir.

    • Le #philosophe et le #djihadiste, Jacob Rogozinski
      http://www.lemonde.fr/idees/article/2015/02/20/le-philosophe-et-le-djihadiste_4580674_3232.html

      Dans une récente tribune (Le Monde, 28 janvier), Alain Badiou qualifie de « crime #fasciste » l’assassinat des journalistes de Charlie Hebdo et des Juifs de l’hypermarché casher. Peu importe que les tueurs se soient réclamé Al-Qaida et de Daech, peu importe qu’ils aient donné à leur acte une signification religieuse (« nous avons vengé le Prophète ! ») : comme si rien n’avait changé depuis les années 1930, notre philosophe n’y voit que du « fascisme ». Il s’obstine en effet à ressusciter le vieux nom sanglant de « communisme » et à désigner comme « fasciste » ce qui lui fait obstacle. Obstination qui le rend sourd et aveugle à ce qu’il y a de nouveau, de singulier dans la situation présente. (...)

      Foucault ne s’est pas assez interrogé sur ce qui incite les individus à adhérer aux dispositifs de pouvoir. Pour qu’un homme accepte de se soumettre à un dispositif, il faut que celui-ci soit parvenu à capter certains de ses affects, de ses désirs, de ses fantasmes, à les intensifier ou les modifier, à les infléchir en les orientant vers certaines cibles. Les affects qui animent un grand nombre de jeunes, victimes du chômage, du racisme, de leur relégation dans des quartiers déshérités, sont des sentiments de révolte contre l’injustice : l’indignation, la colère. Il arrive toutefois qu’une juste colère se transforme en un autre affect qui ne tient plus aucun compte du juste et de l’injuste, mais vise uniquement à détruire son objet.
      Cet affect mortifère est la haine. En captant la révolte, l’indignation, la colère, les dispositifs de terreur les exacerbent, les font virer à la haine et donnent à cette haine des cibles contre lesquelles se déchaîner. Comment empêcher le djihadisme d’exploiter une rébellion légitime ? En luttant concrètement contre l’injustice qui l’engendre, contre toutes les formes d’oppression et de ségrégation ; mais aussi en travaillant collectivement, patiemment, à re-fonder un projet d’émancipation qui aura tiré la leçon des désastres du XX° siècle. Seule une politique d’#émancipation qui saurait « tirer sa poésie de l’avenir et non du passé » pourra parvenir à briser la logique de la haine.

      Encore une alternative piégée, #mao_stal et/ou #anticommuniste.

      #dispositifs_de_terreur

  • Pourquoi certaines équipes sont-elles plus intelligentes que les autres ?
    http://www.internetactu.net/2015/01/23/pourquoi-certaines-equipes-sont-elles-plus-intelligentes-que-les-autre

    Anita Wooley, spécialiste de l’étude des comportements de groupes, Thomas Malone, directeur du Centre pour l’intelligence collective du MIT et le psychologue Christopher Chabris, nous expliquent dans une tribune pour le New York Times ce qui fait la qualité d’un groupe sur un autre. Pour cela, ils convoquent une étude de 2010 menée par Alex Pentland du MIT (cf. “Big…

    #économie_comportementale #bodyware #communauté #coopération #corps #digiwork #dispositifs_créatifs #genre #intelligence_collective #management #Participation #psychologie #travail

    • les équipes avec plus de femmes ont surclassé les équipes avec plus d’hommes. Ce n’est pas la diversité (un nombre égal d’hommes et de femmes) qui comptait, mais le fait qu’il y ait plus de femmes

      #empathie #femmes #parité

      Les ingrédients les plus importants (l’équité de parole, l’empathie, la sur-représentation féminine) sont demeurés les facteurs décisifs (sur tous les autres) indépendamment du mode d’interaction employé. Les meilleures équipes étaient celles qui communiquaient beaucoup, d’une manière équitable et qui possédaient de bonnes compétences en compréhension des émotions des autres. Ce dernier constat a été plutôt une surprise, soulignent les chercheurs. La capacité à comprendre les émotions des autres était aussi importante pour ceux qui devaient lire entre les lignes que pour ceux qui devaient travailler en face à face. “Ce qui rend les équipes plus intelligentes est non seulement la capacité à lire les expressions faciales, qu’une capacité plus générale, connue comme la “théorie de l’esprit”, de savoir examiner et garder trace de ce que les autres pensent, connaissent, croient…”

  • Pourquoi je n’aime pas les #hackathons - infotrope.net
    http://alireailleurs.tumblr.com/post/104830897805

    Alex Bayley est développeuse. Elle a 39 ans. Elle n’est pas le premier développeur a critiquer les hackathons (elle en référence d’autres d’ailleurs à la fin de son billet), mais sa critique est suffisamment complète et synthétique pour pointer la limite de ces #dispositifs_créatifs (une critique que nous avions également esquissé dans un dossier dédié). Pour elle, les hackathons demandent trop d’engagement. Ils sont intenses et épuisants dans leur forme (un week-end de 48h le plus souvent). Ils excluent de fait un certain nombre de participants et cette exclusion n’est pas uniforme (elle défavorise ceux qui ont des enfants et plus généralement les femmes - « connaissez-vous des hackathons qui organisent des modes de garde pour les enfants ? » - ainsi que les gens les plus âgés). Ils ne sont pas très sains (...)

  • La créativité à l’heure des machines
    http://www.internetactu.net/2014/10/15/la-creativite-a-lheure-des-machines

    Anna North (@annanothtweets), rédactrice des pages opinion du New York Times a testé Yossarian, un moteur de recherche qui souhaite booster la créativité en s’appuyant sur les relations métaphoriques. Un moteur de recherche pour stimuler la créativité ! Selon son créateur, Paul Neekey, “Google est un outil puissant et incroyable, si vous savez ce que vous cherchez. Mais il est…

    #apprenti_sorcier #économie_de_l'attention #cognition #créativité #dispositifs_créatifs #imaginaire #psychologie