• EU and USA plough ahead with secret discussions on biometric data exchange scheme

    The EU and USA are discussing a proposed “#Enhanced_Border_Security_Partnership” which would involve “continuous and systematic” transfers of biometric data in both directions, but the Commission has refused to release documents that would provide further information to the public.

    Statewatch revealed last year that the Department of Homeland Security (DHS) was touting Enhanced Border Security Partnerships to EU institutions and member states, requiring direct connections between the biometric databases of participating states and the USA’s #IDENT/#HART system.

    IDENT/HART is “the largest U.S. Government biometric database and the second largest biometric database in the world, containing over 270 million identities from over 40 U.S. agencies,” according to a DHS document.

    Further documents obtained by Statewatch indicated that the Commission and the USA had set up a “dedicated working group” to discuss the scheme and a “proof of concept,” which would involve the transmission of data.

    The Commission’s response to an access to documents request filed by Statewatch suggests that the working group has been busy – but the Commission refused to release any of the documents it identified, citing the need to protect “public security” and “international relations”.

    The request filed with the Commission sought the following documents:

    “1. All agendas and minutes of the working group between the European Commission and the US authorities regarding the proposed Enhanced Border Security Partnership (#EBSP).

    2. Presentations, notes, reports or other documents presented, discussed, or used as background information for the meetings of that working group.

    3. Documents regarding the “proof of concept” on the potential sharing of data under an EBSP, in particular setting out the authorities involved, the data to be transferred, the source of that data, and the legal basis for sharing data as part of a “proof of concept”.”

    The response from the Commission (pdf) said that five documents had been identified:

    “1- Flash report: Meeting with DHS on new EBSP Working, Commission document for internal use, dated 13/07/2022, ref. ARES (2023)4144843,

    2- Flash report: Kick-Off meeting COM/DHS Working Group on new US EBSP requirements (06/09/22), Commission document for internal use, dated 06/09/2022, ref. ARES (2023)4119093,

    3- EU-US Working Group on EBSP, Commission document for internal use, dated 22/09/2022, ref. ARES (2023)4144961,

    4- WORKING DOCUMENT & ANSWERS: COM-US Working Group on the U.S. Enhanced Border Security Partnership (EBSP) requirements as part of the U.S. Visa Waiver Program (VWP), Commission document for internal use, dated 04/10/2022, ref. ARES (2023)4118328,

    5- DHS Enhanced Border Security Partnership (EBSP) Requirement, Powerpoint presentation by US Department of Homeland Security, dated September 2022, ref. ARES (2023)4118099.”

    The letter, signed by Monique Pariat, the Director-General for Migration and Home Affairs, said that the documents could not be released as they contain “sensitive information of ongoing discussions between the Commission and the US on the Enhanced Border Security Partnership (EBSP).”

    Some of that information concerns “law enforcement investigative procedures that, in the hands of criminals and terrorists, could be misused against public security, for example by facilitating the bypassing of effective cross-border checks and obstructing the attempts of US authorities to prevent illegal activities.”

    Furthermore, wrote Pariat, “given the public security concerns outlined above, the public disclosure of the documents, which were intended to be used for official internal purposes only, would be tantamount to a breach of trust of the US authorities and could therefore undermine international relations with the US.”

    Releasing parts of the documents whilst censoring others would be impossible, the letter argued, but they are either “entirely covered by the exceptions or the remaining parts after expunging the confidential information might be meaningless or illegible.”

    The Council has also discussed the EBSP plan recently, with the Council’s Working Party on Justice and Home Affairs (JHA) Information Exchange (IXIM) holding an “exchange of views” in mid-July (pdf).

    A comment made in April this year by Chris Jones, Statewatch Director, remains relevant:

    “The EU’s own top court has ruled on multiple occasions that the USA does not offer adequate privacy protections for non-citizens, yet the Commission and the member states are planning to open up their biometric databases to the Department of Homeland Security and, by extension, who knows how many other US agencies? The fact that discussions on the plan are taking place in secret makes it all the more galling, albeit entirely unsurprising.”

    https://www.statewatch.org/news/2023/august/eu-and-usa-plough-ahead-with-secret-discussions-on-biometric-data-exchan

    #échange_de_données #données #USA #Etats-Unis #Europe #UE #données_biométriques #frontières #Union_européenne #EU #coopération #partenariat #sécurité_frontalière

  • I dati sull’accoglienza in Italia, tra programmazione mancata e un “sistema unico” mai nato

    Ad agosto in Italia sono “accolte” quasi 133mila persone, per la maggioranza nei centri prefettizi. Il sistema diffuso, e sulla carta ordinario, pesa ancora poco. Un confronto con gli anni scorsi smonta l’emergenza e mostra i nodi veri: dalla non programmazione al definanziamento, fino allo squilibrio provinciale tra #Cas e #Sai.

    Al 15 agosto di quest’anno le persone in accoglienza in Italia sono 132.796: 95.436 nei Centri di accoglienza straordinaria che fanno capo alle prefetture, 34.761 nei centri diffusi del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) e 2.599 negli hotspot. Tanti? Pochi? Spia di un’emergenza imprevedibile? Un confronto con gli anni scorsi può aiutare a orientarsi, tenendo sempre la stessa fonte, cioè il ministero dell’Interno, lo stesso che per conto del governo lamenta una situazione “scoppiata” tra le mani, impossibile da programmare e quindi non gestibile per le vie ordinarie, tanto da dichiarare lo stato di emergenza.

    Facciamo un salto indietro alla fine del 2016, quando gli sbarchi furono oltre 180mila. Le persone in accoglienza in Italia allora erano 176.257, il 32,7% in più di oggi. La stragrande maggioranza, proprio come oggi, era nelle strutture temporanee emergenziali (137mila), seguita a distanza dall’accoglienza diffusa e teoricamente strutturale dell’allora Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) con 23mila posti, dai centri di prima accoglienza (15mila circa) e dagli hotspot (un migliaio). A fine agosto 2017, anno in cui gli sbarchi alla fine sfiorarono quota 120mila, erano 173.783, di cui nei soli Cas 158.207. Un terzo in più di oggi.

    Un anno dopo, il 31 agosto 2018, erano scesi a 155.619. Attenzione: quell’anno, anche a seguito degli accordi del 2017 tra Italia e Libia e delle forniture garantite a Tripoli per intercettare e respingere i naufraghi con missioni bilaterali di supporto (farina Minniti-Gentiloni), gli sbarchi crolleranno a 23.370.
    Ed è proprio in quell’anno che per decreto (il cosiddetto “Decreto Salvini”, 113/2018) il Governo Conte I smonta il già gracile e incompiuto sistema di accoglienza, pubblicando schemi di capitolato dei Cas che premiano le strutture di grandi dimensioni, riducendo gli standard di accoglienza e mortificando l’operato del Terzo settore. Per non parlare del forte impulso, già in atto da qualche tempo, alla prassi “svuota centri” rappresentata dalle revoche delle misure di accoglienza da parte delle prefetture. È bene infatti ricordare che tra 2016 e 2019, come ricostruito da un’inchiesta di Altreconomia, almeno 100mila tra richiedenti asilo e beneficiari di protezione si sono visti cancellare le condizioni materiali di accoglienza, finendo espulsi dai centri, a discrezione delle singole prefetture e senza che venisse tenuto in minima considerazione alcun principio di gradualità.

    L’anno che ha fatto registrare il dato più basso di sbarchi dell’ultima decade è il 2019: 11.471. A metà agosto di quattro anni fa le persone in accoglienza erano 102.402, di cui 77.128 nei Cas e 25.132 nell’ormai ex Sprar, svuotato della sua natura originaria e rinominato in Siproimi. “Perché immaginare di costruire un sistema di accoglienza per soggetti ritenuti non graditi dalle istituzioni?”, è il ragionamento non detto.

    Ecco perché al 15 agosto 2020, anno di leggera ripresa degli sbarchi (34.200 circa), le persone nei Cas, nel Siproimi e negli hotspot non superano quota 85mila. La metà rispetto al 2016. Crollano i posti nei centri prefettizi (da 77mila del 2019 a 60mila del 2020) così come quelli nel Siproimi (da 25mila a 23mila).

    Ma si è riusciti a far di peggio, riducendo il sistema al lumicino dei 76.902 “immigrati in accoglienza sul territorio”, come li indica il Viminale, del 15 agosto 2021 (anno che registrerà 67.477 sbarchi). Nei centri prefettizi vengono infatti dichiarate 51.128 persone presenti, quasi un terzo di quante erano accolte nel dicembre 2017. Nel circuito del Siproimi c’è una flebile ripresa che però non oltrepassa quota 25mila posti.

    È una sorta di “età di mezzo” (siamo a cavallo dei Governi Conte II e Draghi). Nonostante il positivo intervento della legge 173/2020 che ripristina la logica dello Sprar, denominandolo Sai (Sistema di accoglienza e integrazione), i due esecutivi che precedono l’attuale non riescono a (o non vogliono) frenare la diminuzione dei posti. Si fa finta di non vedere che il sistema di accoglienza è nei fatti sottostimato e che da un momento all’altro può dunque implodere rispetto alle necessità. I capitolati dei Cas vengono di poco corretti ma non in maniera adeguata, e continua a non essere elaborato e tanto meno attuato alcun piano di progressivo assorbimento e riconversione dei Cas (emergenza) nel Sai (ordinario). Il Sistema di accoglienza e integrazione torna debolmente a crescere ma in modo modesto. Perché non è lì che si punta: a occupare l’agenda sono ancora gli accordi con la Libia, che vengono infatti rinnovati, e la direzione politica non cambia rispetto a quella precedente, è solo meno “urlata”.

    È in questo quadro che arriviamo all’anno scorso, quello dei 105mila sbarchi, con le persone in accoglienza che a metà agosto 2022 sono 95.893, di cui 64.117 nei Cas e 31mila circa nei centri Sai.

    Pian piano quella quota è cresciuta fino ai citati 132.796 “accolti” del 15 agosto 2023. Non si tratta, come visto, di un inedito picco ma di un già vissuto trascinarsi di difetti strutturali. Uno su tutti: il Sai, la fase di accoglienza concepita come ordinaria, non riesce ad andare oltre il 30% del numero complessivo dei posti disponibili.

    “Se immaginiamo che tra il 20 e il 30% della popolazione presente nei centri rapidamente li abbandona e lascia l’Italia per andare in altri Paesi dell’Unione europea, l’impatto generale degli arrivi e delle presenze è quanto mai modesto -osserva Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà di Trieste e tra i più esperti conoscitori del sistema di accoglienza del nostro Paese. Nulla giustifica l’ordinario e diffuso allarmismo”. “La popolazione italiana nel solo 2022 è diminuita di 179mila unità, un numero pari a più di tre anni di arrivi (2022, 2021, 2020) -fa notare ancora Schiavone-. Ma di che cosa stiamo parlando?”.

    A questa lettura se ne aggiunge un’altra che riguarda la disomogeneità territoriale dell’accoglienza su scala provinciale. Il ministero dell’Interno rende infatti pubblici ogni 15 giorni i dati aggiornati sulle “presenze di migranti in accoglienza” distinguendoli però solo su base regionale. Così gli squilibri del sistema non emergono nel dettaglio.

    Altreconomia ha ottenuto dal Viminale i dati suddivisi per Provincia al 30 giugno 2023, appena prima che scoppiasse l’ultima “emergenza accoglienza”, quando le persone in accoglienza erano 118.883 di cui 3.682 negli hotspot (Lampedusa su tutti), 80.126 nei Cas e 35.075 nei centri Sai. Il carattere che emerge è la sproporzione. Vale tanto per la distribuzione dei posti del Sai quanto per il “collegamento” tra il sistema emergenziale Cas e l’accoglienza diffusa.

    Schiavone fa qualche esempio pratico. “In alcune Regioni e province le presenze nel Sai sono bassissime, specie se rapportate alla popolazione residente. Veneto, Toscana, la stessa Lombardia. Il divario Nord-Sud è critico. La peggiore si conferma in ogni caso il Friuli-Venezia Giulia, dove peraltro il ministero segnala 63 posti in provincia di Udine senza tenere conto che il progetto Sai che fa capo al Comune di Udine ha chiuso a fine dicembre del 2022. È palese la carenza forte di posti al Nord dove ci sarebbero le maggiori possibilità di integrazione socio-lavorativa”.

    Di fronte a questi dati sorge un interrogativo che il presidente dell’Ics di Trieste riassume così: “A che cosa serve un Sistema di accoglienza integrazione, che ora con la legge 50/2023 è destinato ai soli beneficiari di protezione, così squilibrato, sia per aree geografiche sia in relazione al sistema dei Cas? Trasferiamo i richiedenti asilo appena diventano rifugiati da Nord a Sud per trovare lavoro? Appare evidente che il sistema come è oggi configurato, se si intende mantenere l’irrazionale scelta di avervi sottratto l’accoglienza dei richiedenti asilo, non ha alcun senso e andrebbe interamente riconfigurato con drastiche chiusure di progetti Sai nelle aree interne, specie al Sud, che erano importantissimi in una logica normativa che prevede l’accoglienza diffusa dei richiedenti asilo ma che perdono senso in un nuovo sistema che attribuisce al Sai la sola funzione di sostenere l’integrazione socio-economica dei rifugiati”.

    A riprova del fatto che la vera emergenza in Italia non sono i numeri quanto la non programmazione ministeriale sull’accoglienza, c’è anche la risposta che il capo della Direzione centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo (Francesco Zito) diede al nostro Luca Rondi a inizio gennaio 2023. Alla richiesta di aver copia del “Piano nazionale di accoglienza elaborato dal Ministero dell’Interno”, il Viminale glissò sostenendo che “i trasferimenti dei migranti avvengono in base a quote di volta in volta stabilite tra le diverse province, anche in base ai posti che si rendono disponibili sul territorio”. Come dire: il piano è non avere un piano.

    Chiude il cerchio la cesura netta che c’è tra i posti emergenziali nei Cas e il Sai. “Facciamo l’esempio di Piacenza -riflette Schiavone-. A fine giugno c’erano 505 posti Cas e 34 posti Sai. Se ad esempio ogni anno devo trasferire 200 ex richiedenti asilo divenuti beneficiari di protezione dai Cas di Piacenza al Sai di quella provincia, come si fa? È evidente che le persone verranno trasferite da una delle province a maggior dinamicità economica magari ad Avellino o Cosenza dove ci sono rispettivamente 900 e 1.100 posti SAI. Questo non-sistema produce nello stesso tempo sradicamento delle persone dai percorsi di primo inserimento sociale e totale sperpero di denaro pubblico. A guardare fino in fondo il non-sistema non produce neppure alcuna integrazione sociale, magari con grande lentezza e spreco di energie”.

    La progressiva riduzione dei Cas a parcheggi dove non verrà insegnato neppure l’italiano -come prevede la legge 50/2023 che ha eliminato anche l’orientamento legale e il supporto psicologico- farà il resto. “Il processo è in atto da tempo ma tende ad accelerare sempre di più -dice Schiavone allargando le braccia-. In questo modo anche i sei mesi di accoglienza Sai rischiano di rivelarsi pressoché inutili se non sono un completamento di un percorso di integrazione già avviato. Ma in questo non-sistema il beneficiario di protezione che accede al Sai parte da quasi zero”. Verso una nuova, prevedibile, “emergenza”.

    https://altreconomia.it/i-dati-sullaccoglienza-in-italia-tra-programmazione-mancata-e-un-sistem
    #données #statistiques #chiffres #asile #migrations #réfugiés #Italie #accueil #Sistema_di_accoglienza_e_integrazione #hotspot #2023 #Siproimi #urgence #2022 #2019 #2020 #arrivées #cartographie #Italie_du_Sud #Italie_du_Nord

  • #Pre-frontier_information_picture

    Je découvre dans un billet de blog que j’ai lu ce matin, cette info :

    From the information gathered, Frontex produces, in addition to various dossiers, an annual situation report, which the agency calls an “Pre-frontier information picture.”

    https://digit.site36.net/2023/08/27/what-is-frontex-doing-in-senegal-secret-services-also-participate-in-t
    https://seenthis.net/messages/997841#message1014789

    ... et du coup, ce terme de « pre-frontier information picture ».

    ça me rappelle, évidemment, la carte de @reka de la #triple_frontière européenne (où une « pré-frontière » est dessinée au milieu du désert du Sahara) :


    https://visionscarto.net/mourir-aux-portes-de-l-europe

    Je découvre ainsi, en faisant un peu de recherches, qu’il y a un #projet_de_recherche financé par #Horizon_2020 dédié à cette #pré-frontière, #NESTOR :

    aN Enhanced pre-frontier intelligence picture to Safeguard The EurOpean boRders

    Un système intégré de #surveillance des #frontières de l’UE

    Les frontières de l’Europe sont soumises à une pression considérable en raison des flux migratoires, des conflits armés dans les territoires avoisinants, du trafic de biens et de personnes, et de la criminalité transnationale. Toutefois, certains obstacles géographiques, tels que les forêts denses, les hautes montagnes, les terrains accidentés ou les zones maritimes et fluviales entravent la surveillance des itinéraires empruntés par les réseaux criminels. Le projet NESTOR, financé par l’UE, fera la démonstration d’un #système_global_de_surveillance des frontières de nouvelle génération, entièrement fonctionnel et proposant des #informations sur la situation #en_amont des frontières et au-delà des frontières maritimes et terrestres. Ce système repose sur le concept de la gestion européenne intégrée des frontières et recourt à des #technologies d’analyse d’#images_optiques et du spectre de fréquences radio alimentées par un réseau de #capteurs_interopérables.

    Objectif

    For the past few years, Europe has experienced some major changes at its surrounding territories and in adjacent countries which provoked serious issues at different levels. The European Community faces a number of challenges both at a political and at a tactical level. Irregular migration flows exerting significant pressure to the relevant authorities and agencies that operate at border territories. Armed conflicts, climate pressure and unpredictable factors occurring at the EU external borders, have increased the number of the reported transnational crimes. Smuggling activity is a major concern for Eastern EU Borders particularly, as monitoring the routes used by smugglers is being hindered by mountainous, densely forested areas and rough lands aside with sea or river areas. Due to the severity and the abrupt emergence of events, the relevant authorities operate for a long-time interval, under harsh conditions, 24 hours a day. NESTOR aims to demonstrate a fully functional next generation holistic border surveillance system providing pre-frontier situational awareness beyond maritime and land border areas following the concept of the European Integrated Border Management. NESTOR long-range and wide area surveillance capabilities for detection, recognition classification and tracking of moving targets (e.g. persons, vessels, vehicles, drones etc.) is based on optical, thermal imaging and Radio Frequency (RF) spectrum analysis technologies fed by an interoperable sensors network including stationary installations and mobile manned or unmanned vehicles (aerial, ground, water, underwater) capable of functioning both as standalone, tethered and in swarms. NESTOR BC3i system will fuse in real-time border surveillance data combined with web and social media information, creating and sharing a pre-frontier intelligent picture to local, regional and national command centers in AR environment being interoperable with CISE and EUROSUR.

    https://cordis.europa.eu/project/id/101021851/fr

    Projet de 6 mio. d’euro et coordonné par la #police_grecque (#Grèce) :

    Les participants (#complexe_militaro-industriel) au projet :


    #business

    #données #technologie #interopérabilité #frontières #migrations #asile #réfugiés #surveillance_des_frontières #_Integrated_Border_Management #fréquence_radio #NESTOR_BC3i_system #CISE #EUROSUR

  • Six Tropes to Look Out for That Distort Israel/Palestine Coverage - FAIR
    https://fair.org/home/six-tropes-to-look-out-for-that-distort-israel-palestine-coverage

    “I asked @OpenAI whether Palestinians deserve to be free,” he said. The natural-language processing tool responded to Abusaada’s query ambivalently:

    As an AI language model, I do not have personal opinions, feelings or beliefs. The question of whether Palestinians deserve to be free is a complex and controversial issue with many different perspectives and opinions….

    But then he posed the same question about Israelis. This time, the chat box did not equivocate:

    Yes, like all people, Israelis deserve to be free. Freedom is a fundamental human right that should be protected and guaranteed for all individuals, regardless of their nationality, ethnicity or religion. It is essential that Israelis, like all people, are able to live their lives free from violence, oppression and discrimination….

    “Explanation?” demanded Abusaada.

    The explanation lies in the overarching attitudes of the 570 GB of #data that ChatGPT scrapes from the #internet. And, with news media being one of the primary sources of information that the bot is trained on, Abusaada’s experience is hardly surprising.

    #données #IA #AI #biais #MSM

    • ping @arno , notre maître Tchat GPT, qui appréciera la démarche de Abusaada :-)

      Bientôt, une ode à la Palestine vs une à Israël, en exclu sur ce thread 🧵

  • Un vol massif de données personnelles à Pôle emploi, six millions d’inscrits pourraient être concernés - Le Parisien
    https://www.leparisien.fr/economie/six-millions-de-personnes-pourraient-etre-concernees-par-un-vol-de-donnee

    Nom, prénom, numéro de Sécurité sociale… Un nouvel « acte de cybermalvaillance » a touché l’opérateur, via l’un de ses prestataires. Il pourrait concerner les données de six millions de demandeurs d’emploi. La direction de Pôle emploi va porter plainte.

    La CNIL va-t-elle enquêter ? A qui va-t-on ponctionner 4% du chiffre d’affaires annuel ?

    • les [ex] chômeurs volés seront-ils prévenus ?

      il est conseillé aux demandeurs d’emploi « de rester vigilants face à tout type de démarche ou proposition qui pourrait paraître frauduleuse. » Ils seront informés individuellement, assure encore la direction. Un appui sera également disponible via la plateforme téléphonique 39 49 afin d’accompagner ceux qui auraient des interrogations en lien avec le sujet. »

      Qui est touché ? « Cela pourrait, selon le prestataire, concerner 10 millions de personnes, c’est-à-dire celles inscrites à Pôle emploi en février 2022 et celles en cessation d’inscription depuis moins de 12 mois à cette date-là », nous détaille la direction de Pôle emploi. Soit respectivement 6 et 4 millions. Et d’ajouter : « Il y a parfois des décalages dans le temps dans la transmission des documents, ce qui explique que les personnes en cessation d’inscription apparaissent dans ce fichier ».

    • Des données personnelles de dix millions de demandeurs d’emploi dérobées
      https://www.lemonde.fr/pixels/article/2023/08/24/des-donnees-personnelles-de-dix-millions-de-demandeurs-d-emploi-derobees_618

      Des données personnelles d’environ dix millions de personnes inscrites à Pôle emploi ont été dérobées après un « acte de cyber-malveillance », a annoncé l’établissement public ce 23 août. D’après les informations du Parisien, Majorel, spécialiste de la relation client à qui est sous-traitée la numérisation de documents envoyés par les demandeurs d’emploi, a ainsi été touché par un vol de données.

      Ah, finalement, +4 millions. Ça doit être l’inflation qui commence à baisser à l’approche du pic de la hausse.

    • https://www.ladepeche.fr/2023/08/25/piratage-informatique-massif-les-donnees-de-10-millions-de-demandeurs-demp
      J’adore l’image du #darkweb par ladepeche


      Un source code html pour un login/password classique sur un mac mais ça fait peur, c’est avec vue sur fond noir.

      On conseillera aux chômeurs inscrits à pôle emploi de changer rapidement de date de naissance, de nom de famille ou de numéro de portable, voire de déménager très vite.

    • Je vois pas trop le sens de cette arnaque puisque ces données sont en accès libre sur le site de Pôle-emploi. Suffit de se faire passer pour un employeur pour accéder aux coordonnées des chômeureuses.

      https://www.pole-emploi.fr/candidat/soyez-vigilants/acte-de-cyber-malveillance-soyez.html

      Suite à un acte de cyber malveillance dont l’un de nos prestataires a été victime, des informations personnelles vous concernant sont susceptibles d’être divulguées.
      Vos nom et prénom, votre statut actuel ou ancien de demandeur d’emploi ainsi que votre numéro de sécurité sociale pourraient être concernés.
      Vos adresses e-mail, numéros de téléphone, mots de passe et coordonnées bancaires ne sont en revanche pas concernés.

    • Vols de données des privés d’emploi inscrits à Pôle emploi : que chacun prenne ses responsabilités
      https://snjcgt.fr/2023/08/24/vols-de-donnees-des-prives-demploi-inscrits-a-pole-emploi-que-chacun-prenne-s


      Cette situation qui s’était déjà produite, à moindre échelle, en 2021 est révélatrice des choix politiques de Pôle Emploi et de l’État pour l’ensemble des services publics : sous-traitance généralisée et dématérialisation quasi-intégrale imposées tant aux privé·es d’emploi qu’aux conseiller·es, sont les résultats des politiques d’austérité budgétaire des gouvernements successifs.

      Pour la CGT, cette numérisation à marche forcée au seul service de la diminution des coûts et la mise en concurrence d’acteurs privés induisent une perte de contrôle concernant les outils pouvant garantir la sécurité des données. La #CGT revendique de développer la numérisation en utilisant les compétences des services internes, seuls capables de définir une politique de #cybersécurité et de développement de services numériques et de matériels adaptés aux besoins des usagers.

      Avec la création imposée de #France_Travail et la multiplication des intervenants, prestataires, les échanges de données et d’accès aux dossiers vont s’intensifier faisant de la sécurisation des données un point crucial. D’autant plus important concernant France Travail Handicap qui possédera des données sensibles sur l’état de santé des travailleur·ses inscrit·es.

      La CGT rappelle que récemment une entreprise d’intérim, également prestataire de Pôle Emploi, s’est fait pirater ses données et plusieurs centaines de personnes ont été victimes de prélèvements frauduleux. Aujourd’hui, la CGT est à leurs côtés dans leurs démarches judiciaires.

      La CGT et son comité national des travailleurs précaires et privés d’emploi seront très vigilants sur les suites données et les préjudices subis par les usagers de Pôle Emploi.

    • 11,4 millions d’utilisateurs de Pôle Emploi dans les mains de plusieurs pirates ? Damien Bancal, ZATAZ.COM, Gendarme réserviste
      https://www.zataz.com/114-millions-dutilisateurs-de-pole-emploi-dans-les-mains-de-plusieurs-pirates

      Mais qui est ce pirate ?

      Le groupe Clop qui a mis à mal le prestataire de services de données externe Majorel, il y a plusieurs semaines, via la faille MOVEit ? La banque ING, par exemple, avait alerté le passage des pirates chez son prestataire Majorel. Même alerte pour Deutsche Bank et Commerzbank. ClOp s’était invité via la faille MOVEIt pour mettre la main sur des données que les banques avaient transmises à Majorel. Cela pourrait être logique, Pôle Emploi parlant d’une infiltration datant de la semaine du 17 août. [les infiltrations de Cl0P ne cessent d’être révélées par les pirates eux-mêmes depuis des semaines.]

      Le pirate diffuse aussi la géolocalisation (sous forme de Longitude/Latitude) des personnes présentes dans l’un des fichiers volé.
      Ou alors, il s’agit d’un autre pirate que ZATAZ a croisé, début août, sur plusieurs blackmarket.

      Rien qu’une tarte !

      Ce pirate, un commerçant malveillant que je baptiserai « Rien qu’une tarte » [PieWithNothing]. Un spécialiste malveillant très connu dans la vente de base de données. Il officiait déjà dans différents forums pirates, dont certains fermés par les autorités tels que Raid Forum ou encore Breached.

      Le 8 août 2023, soit une semaine avant la cyber attaque annoncée par Pôle Emploi, Tarte commercialisait pour 900$ deux fichiers Pôle Emploi. Le premier de 1,2 million de personnes (2021). Le second, 10,2 millions d’enregistrements datant de 2022. Le pirate parle de données comprenant : nom complet, âge, téléphone portable, e-mail, commune, code postal, NIR, RCI, niveau de formation, expérience, permis de conduire, disponibilité d’une voiture, emploi souhaité, géolocalisation, Date. Soit 11,4 millions de données. Il n’y a pas de numéro de sécurité sociale dans cette seconde fuite (2022), mais les téléphones, les adresses électroniques, Etc. Les NIR sont dans la première base de données (2021).

      Et ce n’est pas une nouveauté ! Le même pirate avait diffusé, en 2021, sur le site Raid Forum, une base de données de 1,2 million de personnes provenant déjà de Pôle Emploi. A l’époque, il vendait cette BDD 1 200$. Il s’agit de la première BDD de la vente d’août 2023.

      Pôle emploi a tenu à souligner qu’il n’y avait « aucun risque sur l’indemnisation et l’accompagnement proposé » et que l’accès à l’espace personnel sur le site « pole-emploi.fr » restait sécurisé. Malgré cela, l’organisme a recommandé aux demandeurs d’emploi de se montrer vigilants face à toute démarche ou proposition pouvant sembler frauduleuse. Un support téléphonique sera mis à disposition via la plateforme téléphonique 39 49 pour accompagner les demandeurs d’emploi ayant des questions relatives à cette situation.

      Parmi les démarches malveillantes envisageables, ZATAZ n’en citera que deux : faux contrat de travail pour des missions de réception de chèques ou de produits volés ; infiltration d’ordinateur via des fichiers communiqués dans un courriel aux couleurs de Pôle Emploi, Etc.

    • Majorel, Cl0p, MOVEit... Le scénario probable de la fuite de données Pôle emploi | Silicon
      https://www.silicon.fr/majorel-cl0p-moveit-fuite-donnees-pole-emploi-470755.html

      Les failles en question avaient été découvertes à quelques jours d’intervalle, dans MOVEit Transfer, logiciel de transfert sécurisé de fichiers. L’une et l’autre ouvraient la voie à des injections SQL au niveau du front-end web. Avec, entre autres conséquences potentielles, l’exfiltration de données.

  • L’arrivée de #meta sur le fédivers est-elle une bonne nouvelle ?
    https://www.laquadrature.net/2023/08/09/larrivee-de-meta-sur-le-fedivers-est-elle-une-bonne-nouvelle

    Le fédivers (de l’anglais fediverse, mot-valise de « fédération » et « univers ») est un ensemble de médias sociaux composé d’une multitude de plateformes et de logiciels, où les uns communiquent avec les autres grâce à un protocole…

    #Censure #Données_personnelles #Surveillance #facebook #fédiverse #interop #mastodon #régulation

  • Conference on innovative technologies for strengthening the Schengen area

    On 28 March 2023, the European Commission (DG HOME), Frontex and Europol will jointly hold a conference on innovative technologies for strengthening the Schengen area.


    The conference will provide a platform for dialogue between policy decision-makers, senior technology project managers, and strategic industry leaders, essential actors who contribute to making the Schengen area more secure and resilient. The conference will include discussions on the current situation and needs in Member States, selected innovative technology solutions that could strengthen Schengen as well as selected technology use cases relevant for police cooperation within Schengen.

    The conference target participants are ‘chief technology officers’ and lead managers from each Member State’s law enforcement and border guard authorities responsible for border management, security of border regions and internal security related activities, senior policy-makers and EU agencies. With regards to the presentation of innovative technological solutions, a dedicated call for industry participation will be published soon.

    https://www.europol.europa.eu/publications-events/events/conference-innovative-technologies-for-strengthening-schengen-area

    Le rapport est téléchargeable ici:
    Report from the conference on innovative technologies for strengthening the Schengen area

    In March 2023, the European Commission (DG HOME), Frontex and Europol jointly hosted a conference on innovative technologies for strengthening the Schengen area. The event brought together policy makers, senior technology project managers, and strategic industry leaders, essential actors who contribute to making the Schengen area more secure and resilient. The conference included discussions on the current situation and needs in Member States, selected innovative technology solutions that could strengthen Schengen as well as selected technology use cases relevant for police cooperation within Schengen.

    https://frontex.europa.eu/innovation/announcements/report-from-the-conference-on-innovative-technologies-for-strengtheni
    Lien pour télécharger le pdf:
    https://frontex.europa.eu/assets/EUresearchprojects/2023/Conference_on_innovative_technologies_for_Schengen_-_Report.pdf

    #technologie #frontières #Frontex #Europol #conférence #Schengen #UE #EU #commission_européenne #droits #droits_fondamentaux #biométrie #complexe_militaro-industriel #frontières_intérieures #contrôles_frontaliers #interopérabilité #acceptabilité #libre-circulation #Advanced_Passenger_Information (#API) #One-stop-shop_solutions #données #EU_Innovation_Hub_for_Internal_Security #Personal_Identification_system (#PerIS) #migrations #asile #réfugiés #vidéosurveillance #ePolicist_system #IDEMIA #Grant_Detection #OptoPrecision #Airbus_Defense_and_Space #Airbus #border_management #PNR #eu-LISA #European_Innovation_Hub_for_Internal_Security

  • Worldcoin just officially launched. Here’s why it’s being investigated. | MIT Technology Review
    https://www.technologyreview.com/2023/08/07/1077250/worldcoin-officially-launched-why-its-being-investigated/?truid=a497ecb44646822921c70e7e051f7f1a

    It’s a project that claims to use cryptocurrency to distribute money across the world, though its bigger ambition is to create a global identity system called “World ID” that relies on individuals’ unique biometric data to prove that they are humans. It officially launched on July 24 in more than 20 countries, and Sam Altman, the CEO of OpenAI and one of the biggest tech celebrities right now, is one of the cofounders of the project.

    The company makes big, idealistic promises: that it can deliver a form of universal basic income through technology to make the world a better and more equitable place, while offering a way to verify your humanity in a digital future filled with nonhuman intelligence, which it calls “proof of personhood.” If you’re thinking this sounds like a potential privacy nightmare, you’re not alone.

    “Our investigation revealed wide gaps between Worldcoin’s public messaging, which focused on protecting privacy, and what users experienced. We found that the company’s representatives used deceptive marketing practices, collected more personal data than it acknowledged, and failed to obtain meaningful informed consent.”

    What’s more, the company was using test users’ sensitive, but anonymized, data to train artificial intelligence models, but Eileen and Adi found that individuals did not know their data was being used that way.

    Importantly, a core objective of the Worldcoin project is to perfect its “proof of personhood” methodology, which requires a lot of data to train AI models. If its proof-of-personhood system becomes widely adopted, this could be quite lucrative for its investors, particularly during an AI gold rush like the one we’re seeing now.

    The company announced this week that it will allow other companies and governments to deploy its identity system.

    “Worldcoin’s proposed identity solution is problematic whether or not other companies and governments use it. Of course, it would be worse if it were used more broadly without so many key questions being answered,” says Eileen. “But I think at this stage, it’s clever marketing to try to convince everyone to get scanned and sign up so that they can achieve the ‘fastest’ and ‘biggest onboarding into crypto and Web3’ to date, as Blania told me last year.”

    #Biométrie #Vie_privée #Données_personnelles #Worldcoin #Proof_of_personhood

  • La #géographie, c’est de droite ?

    En pleine torpeur estivale, les géographes #Aurélien_Delpirou et #Martin_Vanier publient une tribune dans Le Monde pour rappeler à l’ordre #Thomas_Piketty. Sur son blog, celui-ci aurait commis de coupables approximations dans un billet sur les inégalités territoriales. Hypothèse : la querelle de chiffres soulève surtout la question du rôle des sciences sociales. (Manouk Borzakian)

    Il y a des noms qu’il ne faut pas prononcer à la légère, comme Beetlejuice. Plus dangereux encore, l’usage des mots espace, spatialité et territoire : les dégainer dans le cyberespace public nécessite de soigneusement peser le pour et le contre. Au risque de voir surgir, tel un esprit maléfique réveillé par mégarde dans une vieille maison hantée, pour les plus chanceux un tweet ironique ou, pour les âmes maudites, une tribune dans Libération ou Le Monde signée Michel Lussault et/ou Jacques Lévy, gardiens du temple de la vraie géographie qui pense et se pense.

    Inconscient de ces dangers, Thomas Piketty s’est fendu, le 11 juillet, d’un billet de blog sur les #inégalités_territoriales (https://www.lemonde.fr/blog/piketty/2023/07/11/la-france-et-ses-fractures-territoriales). L’économiste médiatique y défend deux idées. Premièrement, les inégalités territoriales se sont creusées en #France depuis une génération, phénomène paradoxalement (?) renforcé par les mécanismes de #redistribution. Deuxièmement, les #banlieues qui s’embrasent depuis la mort de Nahel Merzouk ont beaucoup en commun avec les #petites_villes et #villages souffrant de #relégation_sociospatiale – même si les défis à relever varient selon les contextes. De ces deux prémisses découle une conclusion importante : il incombe à la #gauche de rassembler politiquement ces deux ensembles, dont les raisons objectives de s’allier l’emportent sur les différences.

    À l’appui de son raisonnement, le fondateur de l’École d’économie de Paris apporte quelques données macroéconomiques : le PIB par habitant à l’échelle départementale, les prix de l’immobilier à l’échelle des communes et, au niveau communal encore, le revenu moyen. C’est un peu court, mais c’est un billet de blog de quelques centaines de mots, pas une thèse de doctorat.

    Sus aux #amalgames

    Quelques jours après la publication de ce billet, Le Monde publie une tribune assassine signée Aurélien Delpirou et Martin Vanier, respectivement Maître de conférences et Professeur à l’École d’urbanisme de Paris – et membre, pour le second, d’ACADIE, cabinet de conseil qui se propose d’« écrire les territoires » et de « dessiner la chose publique ». Point important, les deux géographes n’attaquent pas leur collègue économiste, au nom de leur expertise disciplinaire, sur sa supposée ignorance des questions territoriales. Ils lui reprochent le manque de rigueur de sa démonstration.

    Principale faiblesse dénoncée, les #données, trop superficielles, ne permettraient pas de conclusions claires ni assurées. Voire, elles mèneraient à des contresens. 1) Thomas Piketty s’arrête sur les valeurs extrêmes – les plus riches et les plus pauvres – et ignore les cas intermédiaires. 2) Il mélange inégalités productives (le #PIB) et sociales (le #revenu). 3) Il ne propose pas de comparaison internationale, occultant que la France est « l’un des pays de l’OCDE où les contrastes régionaux sont le moins prononcés » (si c’est pire ailleurs, c’est que ce n’est pas si mal chez nous).

    Plus grave, les géographes accusent l’économiste de pratiquer des amalgames hâtifs, sa « vue d’avion » effaçant les subtilités et la diversité des #inégalités_sociospatiales. Il s’agit, c’est le principal angle d’attaque, de disqualifier le propos de #Piketty au nom de la #complexité du réel. Et d’affirmer : les choses sont moins simples qu’il n’y paraît, les exceptions abondent et toute tentative de catégoriser le réel flirte avec la #simplification abusive.

    La droite applaudit bruyamment, par le biais de ses brigades de twittos partageant l’article à tour de bras et annonçant l’exécution scientifique de l’économiste star. Mais alors, la géographie serait-elle de droite ? Étudier l’espace serait-il gage de tendances réactionnaires, comme l’ont laissé entendre plusieurs générations d’historiens et, moins directement mais sans pitié, un sociologue célèbre et lui aussi très médiatisé ?

    Pensée bourgeoise et pensée critique

    D’abord, on comprend les deux géographes redresseurs de torts. Il y a mille et une raisons, à commencer par le mode de fonctionnement de la télévision (format, durée des débats, modalité de sélection des personnalités invitées sur les plateaux, etc.), de clouer au pilori les scientifiques surmédiatisés, qui donnent à qui veut l’entendre leur avis sur tout et n’importe quoi, sans se soucier de sortir de leur champ de compétence. On pourrait même imaginer une mesure de salubrité publique : à partir d’un certain nombre de passages à la télévision, disons trois par an, tout économiste, philosophe, politologue ou autre spécialiste des sciences cognitives devrait se soumettre à une cérémonie publique de passage au goudron et aux plumes pour expier son attitude narcissique et, partant, en contradiction flagrante avec les règles de base de la production scientifique.

    Mais cette charge contre le texte de Thomas Piketty – au-delà d’un débat chiffré impossible à trancher ici – donne surtout le sentiment de relever d’une certaine vision de la #recherche. Aurélien Delpirou et Martin Vanier invoquent la rigueur intellectuelle – indispensable, aucun doute, même si la tentation est grande de les accuser de couper les cheveux en quatre – pour reléguer les #sciences_sociales à leur supposée #neutralité. Géographes, économistes ou sociologues seraient là pour fournir des données, éventuellement quelques théories, le cas échéant pour prodiguer des conseils techniques à la puissance publique. Mais, au nom de leur nécessaire neutralité, pas pour intervenir dans le débat politique – au sens où la politique ne se résume pas à des choix stratégiques, d’aménagement par exemple.

    Cette posture ne va pas de soi. En 1937, #Max_Horkheimer propose, dans un article clé, une distinction entre « #théorie_traditionnelle » et « #théorie_critique ». Le fondateur, avec #Theodor_Adorno, de l’#École_de_Francfort, y récuse l’idée cartésienne d’une science sociale détachée de son contexte et fermée sur elle-même. Contre cette « fausse conscience » du « savant bourgeois de l’ère libérale », le philosophe allemand défend une science sociale « critique », c’est-à-dire un outil au service de la transformation sociale et de l’émancipation humaine. L’une et l’autre passent par la #critique de l’ordre établi, dont il faut sans cesse rappeler la contingence : d’autres formes de société, guidées par la #raison, sont souhaitables et possibles.

    Quarante ans plus tard, #David_Harvey adopte une posture similaire. Lors d’une conférence donnée en 1978 – Nicolas Vieillecazes l’évoque dans sa préface à Géographie de la domination –, le géographe britannique se démarque de la géographie « bourgeoise ». Il reproche à cette dernière de ne pas relier les parties (les cas particuliers étudiés) au tout (le fonctionnement de la société capitaliste) ; et de nier que la position sociohistorique d’un chercheur ou d’une chercheuse informe inévitablement sa pensée, nécessitant un effort constant d’auto-questionnement. Ouf, ce n’est donc pas la géographie qui est de droite, pas plus que la chimie ou la pétanque.

    Neutralité vs #objectivité

    Il y a un pas, qu’on ne franchira pas, avant de voir en Thomas Piketty un héritier de l’École de Francfort. Mais son texte a le mérite d’assumer l’entrelacement du scientifique – tenter de mesurer les inégalités et objectiver leur potentielle creusement – et du politique – relever collectivement le défi de ces injustices, en particulier sur le plan de la #stratégie_politique.

    S’il est évident que la discussion sur les bonnes et les mauvaises manières de mesurer les #inégalités, territoriales ou autres, doit avoir lieu en confrontant des données aussi fines et rigoureuses que possible, ce n’est pas manquer d’objectivité que de revendiquer un agenda politique. On peut même, avec Boaventura de Sousa Santos, opposer neutralité et objectivité. Le sociologue portugais, pour des raisons proches de celles d’Horkheimer, voit dans la neutralité en sciences sociales une #illusion – une illusion dangereuse, car être conscient de ses biais éventuels reste le seul moyen de les limiter. Mais cela n’empêche en rien l’objectivité, c’est-à-dire l’application scrupuleuse de #méthodes_scientifiques à un objet de recherche – dans le recueil des données, leur traitement et leur interprétation.

    En reprochant à Thomas Piketty sa #superficialité, en parlant d’un débat pris « en otage », en dénonçant une prétendue « bien-pensance de l’indignation », Aurélien Delpirou et Martin Vanier désignent l’arbre de la #rigueur_intellectuelle pour ne pas voir la forêt des problèmes – socioéconomiques, mais aussi urbanistiques – menant à l’embrasement de banlieues cumulant relégation et stigmatisation depuis un demi-siècle. Ils figent la pensée, en font une matière inerte dans laquelle pourront piocher quelques technocrates pour justifier leurs décisions, tout au plus.

    Qu’ils le veuillent ou non – et c’est certainement à leur corps défendant – c’est bien la frange réactionnaire de la twittosphère, en lutte contre le « socialisme », le « wokisme » et la « culture de l’excuse », qui se repait de leur mise au point.

    https://blogs.mediapart.fr/geographies-en-mouvement/blog/010823/la-geographie-cest-de-droite

  • #Search-and-rescue in the Central Mediterranean Route does not induce migration : Predictive modeling to answer causal queries in migration research

    State- and private-led search-and-rescue are hypothesized to foster irregular migration (and thereby migrant fatalities) by altering the decision calculus associated with the journey. We here investigate this ‘pull factor’ claim by focusing on the Central Mediterranean route, the most frequented and deadly irregular migration route towards Europe during the past decade. Based on three intervention periods—(1) state-led Mare Nostrum, (2) private-led search-and-rescue, and (3) coordinated pushbacks by the Libyan Coast Guard—which correspond to substantial changes in laws, policies, and practices of search-and-rescue in the Mediterranean, we are able to test the ‘pull factor’ claim by employing an innovative machine learning method in combination with causal inference. We employ a Bayesian structural time-series model to estimate the effects of these three intervention periods on the migration flow as measured by crossing attempts (i.e., time-series aggregate counts of arrivals, pushbacks, and deaths), adjusting for various known drivers of irregular migration. We combine multiple sources of traditional and non-traditional data to build a synthetic, predicted counterfactual flow. Results show that our predictive modeling approach accurately captures the behavior of the target time-series during the various pre-intervention periods of interest. A comparison of the observed and predicted counterfactual time-series in the post-intervention periods suggest that pushback policies did affect the migration flow, but that the search-and-rescue periods did not yield a discernible difference between the observed and the predicted counterfactual number of crossing attempts. Hence we do not find support for search-and-rescue as a driver of irregular migration. In general, this modeling approach lends itself to forecasting migration flows with the goal of answering causal queries in migration research.

    https://www.nature.com/articles/s41598-023-38119-4

    #appel_d'air #migrations #réfugiés #frontières #sauvetage #pull-factor #facteur_pull #chiffres #statistiques #rhétorique #afflux #invasion #sauvetage_en_mer #démonstration #déconstruction #fact-checking

    –—

    ajouté à la métaliste qui réunit des fils de discussion pour démanteler la rhétorique de l’#appel_d'air en lien avec les #sauvetages en #Méditerranée :
    https://seenthis.net/messages/1012135

    • Sur les #données et le #code qui ont servi à l’étude :

      We document the various data sources used in Table S1 in Supplementary Materials. Though most data sources
      are publicly available—with the exception of the Sabre data on air traffic, we are unable to upload our data set
      to a repository due to data-usage requirements and proprietary restrictions. The data that support the findings
      of this study are available from various sources documented in Table S1 in Supplementary Materials but restrictions
      apply to the availability of these data, which were used under license for the current study, and so are not
      publicly available. Data are however available from the authors upon reasonable request and with permission of
      the various third party owners of the data. The code to construct the data set and perform the various statistical
      analyses is available at https://github.com/xlejx-rodsxn/sar_migration

      https://www.nature.com/articles/s41598-023-38119-4.pdf

    • Migranti, il pull factor non esiste. La prova del nove in uno studio scientifico

      Attraverso l’uso di tecniche statistiche avanzatissime e del machine learning quattro ricercatori hanno incrociato migliaia di dati relativi al decennio 2011-2020 dimostrando che le attività di ricerca e soccorso, istituzionali o delle Ong, non fanno aumentare le partenze dai paesi nordafricani. Come sostenuto per anni dalle destre e non solo.

      Le attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale non costituiscono un fattore di attrazione per i migranti, cioè non li spingono a partire. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports, dello stesso gruppo editoriale di Nature sebbene non si tratti della più nota e importante collega. Per la prima volta allo scopo di verificare l’esistenza di questo presunto pull factor sono state utilizzate tecniche statistiche particolarmente avanzate e sistemi di machine learning capaci di far interagire molte banche dati.

      I ricercatori Alejandra Rodríguez Sánchez, Julian Wucherpfennig, Ramona Rischke e Stefano Maria Iacus hanno raccolto informazioni sul decennio 2011-2020 provenienti da diversi ambiti – tassi di cambio, prezzi internazionali delle merci, livelli di disoccupazione, conflitti, condizioni climatiche – e le hanno usate per identificare i fattori che meglio prevedono le variazioni numeriche delle partenze da Tunisia e Libia. La loro attenzione si è concentrata su tre fasi che riflettono cambiamenti sostanziali di natura politica, legale e operativa del fenomeno analizzato: la vasta operazione di salvataggio messa in campo dall’Italia tra il 18 ottobre 2013 e il 31 ottobre dell’anno seguente, cioè Mare Nostrum; l’arrivo delle navi umanitarie delle Ong, a partire dal 26 agosto 2014; l’istituzione della zona Sar (search and rescue) libica e la collaborazione tra Tripoli e Unione Europea, dal 2017, in funzione anti-migranti.

      «Abbiamo comparato il fenomeno delle partenze prima e dopo l’inizio delle attività di ricerca e soccorso, il nostro modello predittivo dice che sarebbe andata allo stesso modo anche se le seconde non fossero intervenute», spiega Rodríguez Sánchez. Il modello è di tipo contro-fattuale: mostra cosa sarebbe successo modificando un certo fattore. In questo caso le operazioni Sar, che dunque non fanno aumentare le traversate.

      La forza del metodo statistico usato è di permettere di investigare non soltanto il terreno della correlazione tra due fenomeni, ma anche quello della presunta causalità di uno rispetto all’altro. La conclusione è che le navi di soccorso non sono il motivo delle traversate, o anche solo del loro aumento, ma esattamente l’opposto: costituiscono una risposta a esse. Sono altri i fattori che spingono le persone a migrare e rischiare la vita nel Mediterraneo, sono estremamente variegati e complessi, riguardano la povertà, la disoccupazione, le persecuzioni politiche, gli effetti del cambiamento climatico.

      Lo studio ha poi rilevato un altro elemento: la cooperazione Libia-Ue ha effettivamente ridotto le traversate, che dal 2017 sono state meno di quelle che si sarebbero dovute verificare secondo il modello predittivo. I ricercatori però avvertono che questo ha avuto un altissimo costo umano e che, in ogni caso, le politiche di esternalizzazione «non incidono sui fattori strutturali che influenzano un certo flusso e potrebbero forzare i potenziali migranti a seguire rotte ancora più pericolose». Se anche producono dei risultati in termini di deterrenza, insomma, ciò avviene esclusivamente a stretto giro, spostando il problema solo un po’ più in là.

      «Questa importante ricerca mostra a livello strutturale che le politiche di salvataggio, anche le più grandi e organizzate, non sembrano far aumentare le traversate. Noi stiamo indagando l’effetto puntuale: cioè se la presenza di singole navi Ong davanti alle coste libiche incida sulle persone che partono», commenta Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). Villa nel 2019 ha pubblicato il primo studio scientifico che smentiva la tesi delle navi Ong come fattore di attrazione. Tra qualche mese uscirà un aggiornamento con una base dati molto più ampia. «Conferma quanto avevamo osservato quattro anni fa – anticipa Villa al manifesto – L’unica correlazione che abbiamo trovato riguarda i mesi più freddi: tra dicembre, gennaio e febbraio ci sono più partenze se le Ong sono in missione. Ma parliamo di numeri irrilevanti: lo scorso anno 300 persone sulle 50mila arrivate dalla Libia».

      La tesi del pull factor è nata nel 2014 quando l’allora direttore di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, Gil Arias-Fernández iniziò a sostenere pubblicamente che le navi di Mare Nostrum stavano facendo aumentare i flussi dal Nord Africa. In una Risk Analysis della stessa agenzia relativa al 2016 l’accusa è stata spostata sulle Ong, intervenute nel frattempo a colmare il vuoto lasciato dalla chiusura dell’operazione italiana. Da allora questa teoria è stata un cavallo di battaglia delle destre ed è tornata in voga dopo l’insediamento del governo Meloni. Lo scorso autunno il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e quello degli Esteri Antonio Tajani, tra gli altri, hanno più volte citato un misterioso rapporto di Frontex che avrebbe ribadito lo stesso assunto per il 2021.

      Di quel rapporto non si è mai saputo nulla, ma ora abbiamo uno studio scientifico che smentisce il pull factor per l’ennesima volta. Intanto questa retorica ha influenzato le scelte dell’attuale esecutivo e anni di politiche migratorie basate sulla criminalizzazione delle Ong e sul disimpegno istituzionale dalla ricerca e dal soccorso davanti alle coste libiche. C’è da sperare che nuove ricercje facciano luce su quante vittime hanno causato simili norme e prassi, slegate da qualsiasi rapporto con la realtà e basate soltanto sulla propaganda.

      https://ilmanifesto.it/il-pull-factor-non-esiste-la-prova-del-nove-in-uno-studio-scientifico

      #propagande

    • Sea rescue operations do not promote migration, study finds

      Rescue operations do not incentivise migrants try to cross the Mediterranean, a recent study has found. Instead conflicts, economic hardship, natural and climate disasters, and the weather are reportedly key drivers of migration.

      Irregular migrant departures from the coasts of North Africa to Europe are not encouraged by search and rescue missions in the Central Mediterranean, a recent study has found. Instead, factors such as conflicts, economic hardship, natural disasters, and weather conditions drive migration.
      Rescue operations are not a ’pull factor’

      The study was published in Scientific Reports by an international research group led by Alejanda Rodríguez Sánchez from the University of Potsdam (Germany). The scientists looked at the number of attempts to cross the Central Mediterranean between 2011 and 2020.

      Through various simulations, the researchers tried to identify factors that can best predict changes in the number of sea crossings. The factors that they looked at included the number of search and rescue missions — both by state authorities and NGOs, as well as the currency exchange rates, the cost of international raw materials, unemployment rates, conflicts, violence, the rates of flight travel between Africa, the Middle East and Europe and meteorological conditions.
      Libya: Pushbacks reduced migration, increased human rights violations

      The study also looked at the increased activities of the Libyan coast guard since 2017, intercepting migrant boats and returning migrants to Libya. Researchers found that this had caused a reduction in the number of departure attempts and might have discouraged migration.

      The authors pointed out that, however, this has coincided with the reports of a worsening of human rights for migrants in Libya — particularly in the detention centers where migrants are being held after being stopped at sea.

      The researchers looked at migration on an “aggregate-level” and did not look at “micro-motives of migrants and smugglers”, they pointed out in the study. They recommended that future studies should do an in-depth analysis of the impact of search and rescue missions at sea on the decisions of individual migrants and human traffickers.

      https://www.infomigrants.net/en/post/50875/sea-rescue-operations-do-not-promote-migration-study-finds

  • Migrations : l’Union européenne, droit dans le mur

    La Commission européenne affirme que l’UE ne finance pas de « murs » anti-migrants à ses #frontières_extérieures, malgré les demandes insistantes d’États de l’est de l’Europe. En réalité, cette « ligne rouge » de l’exécutif, qui a toujours été floue, s’efface de plus en plus.

    Le 14 juin dernier, le naufrage d’un bateau entraînait la noyade de centaines de personnes exilées. Quelques jours auparavant, le 8 juin, les États membres de l’Union européenne s’enorgueillissaient d’avoir trouvé un accord sur deux règlements essentiels du « Pacte européen pour l’asile et la migration », qui multipliera les procédures d’asile express dans des centres de détention aux frontières de l’Europe, faisant craindre aux ONG une nouvelle érosion du droit d’asile.

    Dans ce contexte délétère, un groupe d’une douzaine d’États membres, surtout d’Europe de l’Est, réclame que l’Union européenne reconnaisse leur rôle de « protecteurs » des frontières de l’Union en autorisant le financement européen de murs, #clôtures et #barbelés pour contenir le « flux migratoire ». Le premier ministre grec, Kyriákos Mitsotákis, avait même estimé que son pays était en première ligne face à « l’invasion de migrants ».

    Officiellement, la Commission européenne se refuse toujours à financer les multiples projets de clôtures anti-migrants qui s’érigent le long des frontières extérieures de l’UE. « Nous avons un principe bien établi : nous ne finançons pas de murs ni de barbelés. Et je pense que cela ne devrait pas changer », avait encore déclaré Ylva Johansson, la commissaire européenne aux affaires intérieures, le 31 janvier. Pourtant, la ligne rouge semble inexorablement s’effacer.

    Le 7 octobre 2021, les ministres de douze États, dont la #Grèce, la #Pologne, la #Hongrie, la #Bulgarie ou les #Pays_baltes, demandaient par écrit à la Commission que le financement de « #barrières_physiques » aux frontières de l’UE soit une « priorité », car cette « mesure de protection » serait un outil « efficace et légitime » dans l’intérêt de toute l’Union. Une demande qu’ils réitèrent depuis à toute occasion.

    Les États membres n’ont pas attendu un quelconque « feu vert » de la Commission pour ériger des clôtures. Les premières ont été construites par l’Espagne dans les années 1990, dans les enclaves de Ceuta et Melilla. Mais c’est en 2015, après l’exil de centaines de milliers de Syrien·nes fuyant la guerre civile, que les barrières se sont multipliées. Alors que l’Union européenne comptait 315 kilomètres de fil de fer et barbelés à ses frontières en 2014, elle en totalisait 2 048 l’an passé.

    Depuis 2021, ce groupe d’États revient sans cesse à la charge. Lors de son arrivée au sommet des dirigeants européens, le 9 février dernier, Victor Orbán (Hongrie) annonçait la couleur : « Les barrières protègent l’Europe. » Les conclusions de ce sommet, ambiguës, semblaient ouvrir une brèche dans la politique européenne de financement du contrôle aux frontières. Les États demandaient « à la Commission de mobiliser immédiatement des fonds pour aider les États membres à renforcer […] les infrastructures de protection des frontières ».

    Dans ses réponses écrites aux questions de Mediapart, la Commission ne mentionne plus aucune ligne rouge : « Les États membres ont une obligation de protéger les frontières extérieures. Ils sont les mieux placés pour définir comment le faire en pratique d’une manière qui […] respecte les droits fondamentaux. »

    Si l’on en croit le ministre de l’intérieur grec, Panagiótis Mitarákis, les dernières résistances de la Commission seraient en train de tomber. Le 24 février, il affirmait, au sujet du projet grec d’#extension et de renforcement de sa clôture avec la Turquie, le long de la rivière #Evros, que la Commission avait « accepté que certaines dépenses pour la construction de la barrière soient financées par l’Union européenne ».

    Pour Catherine Woollard, de l’ONG Ecre (Conseil européen pour les réfugiés et exilés), « c’est important que la Commission résiste à ces appels de financement des murs et clôtures, car il faut respecter le droit de demander l’asile qui implique un accès au territoire. Mais cette position risque de devenir symbolique si les barrières sont tout de même construites et qu’en plus se développent des barrières d’autres types, numériques et technologiques, surtout dans des États qui utilisent la force et des mesures illégales pour refouler les demandeurs d’asile ».

    D’une ligne rouge à une ligne floue

    Au sein de l’ONG Statewatch, Chris Jones estime que « cette “ligne rouge” de la Commission européenne, c’est du grand n’importe quoi ! Cela fait des années que l’Union européenne finance des dispositifs autour ou sur ces clôtures, des #drones, des #caméras, des #véhicules, des #officiers. Dire que l’UE ne finance pas de clôtures, c’est uniquement sémantique, quand des milliards d’euros sont dépensés pour fortifier les frontières ». Même diagnostic chez Mark Akkerman, chercheur néerlandais au Transnational Institute, pour qui la « #ligne_rouge de la Commission est plutôt une ligne floue ». Dans ses travaux, il avait déjà démontré qu’en 2010, l’UE avait financé l’achat de #caméras_de_vidéosurveillance à #Ceuta et la construction d’un #mirador à #Melilla.

    Lorsqu’il est disponible, le détail des dépenses relatives au contrôle des frontières montre que la politique de non-financement des « murs » est une ligne de crête, car si la Commission ne finance pas le béton ni les barbelés, elle finance bien des #dispositifs qui les accompagnent.

    En 2021, par exemple, la #Lituanie a reçu 14,9 millions d’euros de fonds d’aide d’urgence pour « renforcer » sa frontière extérieure avec la Biélorussie, peut-on lire dans un rapport de la Commission. Une frontière qui, selon le ministère de l’intérieur lituanien, contacté par Mediapart, est « désormais longée d’une clôture de 530 km et d’une barrière surmontée de fils barbelés sur 360 kilomètres ». Si la barrière a pesé 148 millions d’euros sur le #budget de l’État, le ministère de l’intérieur affirme que la rénovation de la route qui la longe et permet aux gardes-frontières de patrouiller a été financée à hauteur de « 10 millions d’euros par des fonds européens ».

    En Grèce, le détail des dépenses du gouvernement, dans le cadre du fonds européen de sécurité intérieur, de 2014 à 2020, est éclairant. Toujours le long de la rivière Evros, là où est érigée la barrière physique, la police grecque a pu bénéficier en 2016 d’un apport de 15 millions d’euros, dont 11,2 millions financés par le fonds européen pour la sécurité intérieure, afin de construire 10 #pylônes et d’y intégrer des #caméras_thermiques, des caméras de surveillance, des #radars et autres systèmes de communication.

    Cet apport financier fut complété la même année par 1,5 million d’euros pour l’achat d’#équipements permettant de détecter les battements de cœur dans les véhicules, coffres ou conteneurs.

    Mais l’enjeu, en Grèce, c’est avant tout la mer, là où des bateaux des gardes-côtes sont impliqués dans des cas de refoulements documentés. Dans son programme d’action national du fonds européen relatif à la gestion des frontières et des visas, écrit en 2021, le gouvernement grec envisage le renouvellement de sa flotte, dont une dizaine de bateaux de #patrouille côtière, équipés de #technologies de #surveillance dernier cri, pour environ 60 millions d’euros. Et malgré les refoulements, la Commission européenne octroie les fonds.

    Technologies et barrières font bon ménage

    Les États membres de l’UE qui font partie de l’espace Schengen ont pour mission de « protéger les frontières extérieures ». Le droit européen leur impose aussi de respecter le droit d’asile. « Les exigences du code Schengen contredisent bien souvent l’acquis européen en matière d’asile. Lorsqu’un grand nombre de personnes arrivent aux frontières de l’Union européenne et qu’il existe des pressions pour faire baisser ce nombre, il est presque impossible de le faire sans violer certaines règles relatives au droit d’asile », reconnaît Atanas Rusev, directeur du programme « sécurité » du Centre pour l’étude de la démocratie, basé en Bulgarie.

    La Bulgarie est au cœur de ces tiraillements européens. En 2022, la police a comptabilisé 164 000 passages dits « irréguliers » de sa frontière, contre 55 000 l’année précédente. Des demandeurs d’asile qui, pour la plupart, souhaitent se rendre dans d’autres pays européens.

    Les Pays-Bas ou l’Autriche ont fait pression pour que la #Bulgarie réduise ce nombre, agitant la menace d’un report de son intégration à l’espace Schengen. Dans le même temps, des ONG locales, comme le Helsinki Committee Center ou le Refugee Help Group, dénoncent la brutalité qui s’exerce sur les exilé·es et les refoulements massifs dont ils sont victimes. Le pays a construit une clôture de 234 kilomètres le long de sa frontière avec la Turquie.

    Dans son plan d’action, le gouvernement bulgare détaille son intention de dépenser l’argent européen du fonds relatif à la gestion des frontières, sur la période 2021-2027, pour renforcer son « système de surveillance intégré » ; une collecte de données en temps réel par des caméras thermiques, des #capteurs_de_mouvements, des systèmes de surveillance mobiles, des #hélicoptères.

    Philip Gounev est consultant dans le domaine de la gestion des frontières. Il fut surtout ministre adjoint des affaires intérieures en Bulgarie, chargé des fonds européens, mais aussi de l’érection de la barrière à la frontière turque. Il explique très clairement la complémentarité, à ses yeux, des différents dispositifs : « Notre barrière ne fait que ralentir les migrants de cinq minutes. Mais ces cinq minutes sont importantes. Grâce aux caméras et capteurs qui détectent des mouvements ou une brèche dans la barrière, l’intervention des gardes-frontières est rapide. »

    L’appétit pour les technologies et le numérique ne fait que croître, au point que des ONG, comme l’EDRi (European Digital Rights) dénoncent la construction par l’UE d’un « #mur_numérique ». Dans ce domaine, le programme de recherche européen #Horizon_Europe et, avant lui, #Horizon_2020, tracent les contours du futur numérisé des contrôles, par le financement de projets portés par l’industrie et des centres de #recherche, au caractère parfois dystopique.

    De 2017 à 2021, « #Roborder » a reçu une aide publique de 8 millions d’euros. L’idée est de déployer une armada de véhicules sans pilotes, sur la mer ou sur terre, ainsi que différents drones, tous munis de caméras et capteurs, et dont les informations seraient croisées et analysées pour donner une image précise des mouvements humains aux abords des frontières. Dans son programme d’action national d’utilisation du fonds européen pour la gestion des frontières, la Hongrie manifeste un intérêt appuyé pour « l’adaptation partielle des résultats » de Roborder via une série de projets pilotes à ses frontières.

    Les #projets_de_recherche dans le domaine des frontières sont nombreux. Citons « #Foldout », dont les 8 millions d’euros servent à développer des technologies de #détection de personnes, à travers des #feuillages épais « dans les zones les plus reculées de l’Union européenne ». « Le développement de technologies et de l’#intelligence_artificielle aux frontières de l’Europe est potentiellement plus puissant que des murs, décrypte Sarah Chandler, de l’EDRi. Notre inquiétude, c’est que ces technologies soient utilisées pour des #refoulements aux frontières. »

    D’autres projets, développés sous l’impulsion de #Frontex, utilisent les croisements de #données et l’intelligence artificielle pour analyser, voire prédire, les mouvements migratoires. « Le déploiement de nouvelles technologies de surveillance, avec la construction de barrières pour bloquer les routes migratoires, est intimement lié à des dangers accrus et provoque davantage de morts des personnes en mouvement », peut-on lire dans un rapport de Statewatch. Dans un contexte de droitisation de nombreux États membres de l’Union européenne, Philip Gounev pense de son côté que « le financement de barrières physiques par l’UE deviendra inévitable ».

    https://www.mediapart.fr/journal/international/170723/migrations-l-union-europeenne-droit-dans-le-mur
    #murs #barrières_frontalières #migrations #financement #UE #EU #Union_européenne #technologie #complexe_militaro-industriel

  • #Frontex #risk_analyses based on unreliable information, EU watchdog says

    The EU border management agency Frontex produces untrustworthy risk analyses on migration due to the ‘low reliability of the data collected’, an investigation conducted by the #European_Data_Protection_Supervisor (#EDPS) found on Wednesday (31 May).

    The supervisor, which oversees the data processing of EU bodies, questioned the methodology used to integrate interviews collected on the field into risk analyses and denounced the “absence of a clear mapping and exhaustive overview of the processing of personal data” which the authority assessed as not sufficiently protected.

    The voluntary nature of interviews themselves is also not guaranteed, the report has found, as they “are conducted in a situation of deprivation (or limitation) of liberty” and aim at “identifying suspects on the basis of the interviewee’s testimony”.

    The concerns regard “the use of information of low reliability for the production of risk analyses and its implications for certain groups who may be unduly targeted or represented in the output of risk analysis products”.

    “Such undue representation could have negative impacts on individuals and groups through operational actions as well as the policy decision-making process,” the EU watchdog said.

    The new investigation results from fieldwork occurred in late 2022 at the Frontex headquarters in Warsaw.

    It is not the first time that the body has raised serious concerns about the data processing practices of an EU agency. In 2020, the supervisor initiated an investigation on Europol, the EU’s law enforcement agency, that resulted in the European Commission revising the agency’s mandate.

    Lack of protection

    The report explains that Frontex uses as its “main source of personal data collection” interviews that it conducts jointly with the member state they are operating in. Interviews are carried out on an ad hoc basis with people intercepted while trying to cross a border “without authorisation”.

    The EU agency collects information about their journey, the causes of the departure and any other information that can be relevant to the agency’s risk analysis.

    Despite Frontex carrying out interviews without putting the name of individuals, the information the exchanges contain “would allow for the identification of the interviewee and thus constitutes personal data within the meaning of data protection law”, the report argued.

    Among others, the EU agency collects personal data about individuals suspected to be involved in cross-border crimes, such as human smuggling, whose data are shared with Europol.

    According to the report, the EU agency may not “systematically” collect information about cross-border crimes since it “must be strictly limited to” Europol, Eurojust, and the member states’ “identified needs”.

    However, evidence shown by the EDPS indicates “that Frontex is automatically exchanging the debriefing reports with Europol without assessing the strict necessity of such exchange”.

    Since the latter constitutes a breach of Frontex rules themselves, the authority said that it would open an investigation on the matter.

    The authority also considers the arrangements that should be put in place when data are collected jointly between Frontex and member states to be “incomplete”.

    According to the EDPS, there are “no arrangements between the joint controllers for the allocation of their respective data protection obligations regarding the processing of personal data of interviewees”.

    “The audit report challenges the fundamental legality of risk analysis systems used against migrant people, and it highlights the serious harms that derive from their use,” Caterina Rodelli, EU Policy Analyst at the NGO Access Now told EURACTIV.

    Rodelli sees the EDPS report as an “important step” to set a limit to Frontex’s “disproportionate power” and it comes in a pivotal moment of risk assessment of data collecting tools regarding migratory flows.

    The authority sent Frontex 32 recommendations, of which 24 must to be implemented by the end of 2023.

    https://www.euractiv.com/section/data-privacy/news/frontex-risk-analyses-based-on-unreliable-information-eu-watchdog-says
    #chiffres #statistiques #méthodologie #fiabilité #europol #données_personnelles #frontières #migrations #réfugiés

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    voir aussi ce fil de discussion auquel cet article a été ajouté :
    https://seenthis.net/messages/705957

  • Leclerc, Fnac, Biocoop et de nombreux commerces surveillent illégalement leurs clients | StreetPress
    https://www.streetpress.com/sujet/1687789862-leclerc-fnac-biocoop-commerces-videosurveillance-intelligenc

    Entre janvier et août 2022, le ministère de l’Intérieur annonce une hausse de 17 % des vols à l’étalage par rapport à la même période en 2021. Difficile de ne pas faire le lien avec l’inflation : plus 12% sur un an.

    Créée en 2018 par trois anciens diplômés d’#HEC et de #Polytechnique, #Veesion s’appuie sur le travail d’une centaine de collaborateurs et annonce vouloir « lutter contre le fléau du vol à l’étalage » dans les magasins. Ce phénomène de « démarque inconnue » constitue une perte estimée par la start-up à 100 milliards d’euros par an dans le monde, dont cinq milliards en France. Un chiffre difficile à sourcer mais qui attire les investisseurs. Les fonds d’investissement privés ont senti le filon de ce nouveau marché prometteur et ont alloué à Veesion dix millions d’euros en 2022 pour développer leur activité.

    Pour endiguer ce « fléau », la jeune entreprise a su profiter des avancées récentes en intelligence artificielle et notamment dans l’une de ces branches : la vision par ordinateur. Cette dernière repose sur le deep learning, c’est-à-dire le traitement automatisé de grandes quantités d’informations réalisé par des serveurs informatiques – dans le cas présent, des pixels issus d’images de #vidéosurveillance. Si de nombreuses sociétés proposent aujourd’hui des logiciels capables de détecter des « objets » (humain, voiture, vélo, trottinette, camion, etc.) et d’en déduire des comportements du type maraudage ou infraction au code de la route, Veesion va plus loin. Afin d’établir une probabilité de vol, la société a non seulement « appris » à son programme informatique à détecter la présence humaine, mais surtout à localiser les parties de son corps (bras, jambes, poitrine, tête). Une seconde analyse algorithmique va détecter la présence d’objets tels que le sac à main, à dos, caddie, casque ou poussette, puis le positionnement des rayons et produits.

    Ainsi, le logiciel va, par exemple, détecter le bras d’un individu qui saisit un produit dans « l’objet » rayon et pourra donc déterminer si le bras se dirige ensuite vers le sac à main. Si l’article disparaît du champ de vision, une alerte sera remontée. La start-up n’hésite pas à avancer un taux difficilement vérifiable de 98 % de vols détectés grâce à l’#IA. Contactée par StreetPress, la société a refusé de répondre à nos multiples sollicitations. Pour en savoir plus, nous nous sommes présentés comme un responsable de magasin afin de comprendre le fonctionnement de l’application et les arguments de vente qui accompagnent sa commercialisation.

    #commerce #grande_distribution #Biocoop #Fnac #Système_U #Leclerc #Carrefour #G20 #kiabi #vol #surveillance #vidéosurveillance_algorithmique #données_biométriques

  • #Canicules_marines : pendant que l’océan se consume…

    Des « #mégafeux » aquatiques et invisibles sévissent notamment du sud de l’Islande jusqu’en Afrique en ce mois de juin. Ces phénomènes extrêmes, prévus dans tous les modèles qui avaient anticipé une hausse de la #température moyenne de l’océan, constituent une bombe à retardement du #réchauffement.

    L’océan brûle. Littéralement, ou presque. Depuis plusieurs semaines, une #canicule_marine inouïe frappe l’#Atlantique_nord, du sud de l’Islande jusqu’en Afrique. Au large de l’Irlande et de l’Ecosse, elle est catégorisée « au-delà de l’#extrême » (soit 5 sur une échelle de 5) par l’administration océanographique américaine (NOAA). Les cartes mondiales affichent aussi une effrayante couleur rouge sang, tendant vers le noir, dans le #Pacifique, le long de l’Amérique centrale et autour du Japon. Et les courbes s’affolent, atteignant de nouveaux sommets jour après jour et faisant craindre des ravages dus à des tempêtes tropicales précoces, telle Bret, qui a frôlé la Martinique ce vendredi.

    Mercredi, la #température des millions de km² de l’#océan_Atlantique nord s’est envolée à 23,3 °C (soit +1,32 °C d’#anomalie). Du jamais-vu pour un mois de juin, de très loin. L’ensemble de l’océan mondial, lui, a également enregistré un nouveau record ce jour-là, avec 20,9 °C de moyenne. Les #données de ce début d’année défient l’entendement : entre mars et mai, la température à la #surface_de_l’océan a atteint un record absolu en 174 ans de mesures, dépassant de 0,83 °C la moyenne du XXe siècle, d’après la NOAA.

    De quoi donner le tournis aux scientifiques. Cette #surchauffe générale émaillée de canicules localisées (là où la température de surface est plus élevée que 90 % du temps pendant plus de cinq jours) arrive « très tôt dans l’année, est très rapide et de très grande ampleur. Ce qui est surprenant, même si nous savons que la tendance est à la hausse de la température de l’océan », pointe Jean-Pierre Gattuso, chercheur du CNRS au laboratoire d’océanographie de Villefranche-sur-Mer (Alpes-Maritimes).

    « L’océan encaisse, encaisse, encaisse »

    Selon le rapport spécial du Groupe d’experts intergouvernemental sur l’évolution du climat (Giec) sur les océans et la cryosphère paru en 2019, l’océan a absorbé plus de 90 % de la chaleur excédentaire émise par l’humanité depuis qu’elle embrase l’atmosphère en y envoyant des gaz à effet de serre (GES), essentiellement à cause de la combustion d’énergies fossiles. Car la capacité de l’eau à capter la chaleur est beaucoup plus forte que celle des continents. Et les climatologues estiment que, d’ici à 2100, l’océan absorbera deux à quatre fois plus de chaleur que pendant la période allant de 1970 à l’heure actuelle si le réchauffement planétaire est limité à 2°C (soit l’objectif affiché par l’accord de Paris de 2015), et jusqu’à cinq à sept fois plus si les émissions sont plus élevées.

    Résultat de cette surchauffe, la fréquence des #vagues_de_chaleur_marines a doublé depuis 1982 et leur intensité augmente. Dans le futur, prévient le Giec, elles seront vingt fois plus fréquentes avec un réchauffement de 2°C, et cinquante fois plus fréquentes si les émissions continuent d’augmenter fortement. Glaçant. « L’océan encaisse, encaisse, encaisse, et forcément les canicules marines s’intensifient, soupire Catherine Jeandel, chercheuse du CNRS au Laboratoire d’études en géophysique et océanographie spatiales. Ce qui est déprimant pour un chercheur, c’est de constater que tout ce qui est prévu dans les #modèles_climatiques depuis trente ans ou quarante ans se réalise. »

    Si les causes précises de la canicule marine inédite qui frappe l’Atlantique nord sont difficiles à établir, la raison de fond réside donc dans l’aggravation du #réchauffement_climatique dû aux activités humaines. Par ailleurs, « certaines conditions favorisent le développement de vagues de chaleur marines : une température de l’air élevée et l’absence de vent et de houle, qui empêche les eaux de surface de se mélanger avec les eaux profondes plus froides », indique Jean-Pierre Gattuso.

    La destruction de la faune et de la flore marines

    Le phénomène naturel #El_Niño, lui, qui se produit en moyenne tous les deux à sept ans pendant neuf à douze mois et fait son retour dans le Pacifique depuis ce printemps, « ne peut pas avoir de lien direct avec ce qui se passe dans l’Atlantique nord, mais en a sans doute avec ce qui se passe dans le Pacifique équatorial », estime l’océanographe et climatologue au CNRS Jean-Baptiste Sallée.

    Impossible de prédire pendant combien de temps vont se prolonger les canicules marines de ces derniers jours. Mais certaines « peuvent durer plusieurs mois », prévient le chercheur, pour qui « cette longévité est ce qui les rend particulièrement inquiétantes et dévastatrices pour les écosystèmes ». A ses yeux, la conséquence « la plus importante et alarmante » de ce que l’on pourrait qualifier d’#incendies_sous-marins est la destruction de la faune et de la flore marines. Ces « mégafeux » aquatiques et invisibles à nos yeux provoquent des mortalités de masse de certaines espèces. Surtout parmi celles qui ne peuvent pas se déplacer, comme les coraux, les herbiers marins ou les forêts de grandes algues brunes accrochées à des supports rocheux.

    En Méditerranée, après chaque canicule marine, notamment celles de l’été 2022 qui y ont été spectaculaires, « on constate des mortalités importantes d’une cinquantaine d’espèces (coraux, gorgones, algues, mollusques, oursins, posidonies…) tandis que celles qui le peuvent fuient », observe Jean-Pierre Gattuso. Par exemple, dans l’Atlantique, les poissons et cétacés se déplacent de la zone équatoriale vers le nord dans l’hémisphère nord et vers le sud dans l’hémisphère sud. « Ce qui est très injuste d’un point de vue éthique et géopolitique, car cette zone équatoriale est bordée essentiellement par des pays en voie de développement qui n’ont pas ou peu de responsabilité dans le changement climatique et qui vont être très affectés sur le plan de la sécurité alimentaire, alors que l’Islande et la Norvège voient arriver une abondance de poissons », poursuit le scientifique. Qui souligne aussi l’impact des vagues de chaleur marines sur le déplacement d’#espèces_invasives, telles que le poisson lapin ou le poisson lion arrivés en Méditerranée depuis la mer Rouge.

    Outre les ravages sur la #biodiversité, les canicules marines ont aussi des conséquences sur les #événements_extrêmes. « Une mer très chaude, c’est de l’eau qui s’évapore davantage, donc des tempêtes, ouragans et cyclones plus probables et plus forts », note ainsi Catherine Jeandel, pour qui la surchauffe de l’océan est « la bombe à retardement du réchauffement climatique ». Ainsi, ce vendredi, deux tempêtes tropicales assez imposantes pour avoir reçu des petits noms charmants, Bret et Cindy, étaient actives sur l’Atlantique, faisant trembler les îles antillaises. Soit une première pour un mois de juin depuis le début des observations en 1968.

    La surchauffe favorise la fonte de la glace de mer

    Par ailleurs, la surchauffe de l’océan, « par exemple dans l’Arctique, favorise la fonte de la glace de mer, ajoute Jean-Pierre Gattuso. Idem en Antarctique, où l’eau chaude érode la #calotte_polaire par en-dessous, ce qui peut complètement la déstabiliser. » Elle perturbe aussi les #courants_marins, car « si l’eau est chaude, elle devient moins dense et a donc moins tendance à plonger en profondeur, ce qui limite les échanges entre la surface et les eaux profondes et réduit l’alimentation en oxygène de ces dernières », ajoute Jean-Pierre Gattuso. Au fur et à mesure qu’on réchauffe l’océan, qui capte un quart du CO2 émis par l’homme, « il perd aussi en efficacité comme puits naturel de carbone », avertit Jean-Baptiste Sallée.

    Comment stopper cette machine infernale ? Comment éteindre les flammes sous la marmite d’eau bouillante qu’est devenue la planète ? Les chercheurs interrogés par Libération sont unanimes : la seule solution « est connue, il s’agit de réduire drastiquement les émissions de gaz à effet de serre ». Donc d’« arrêter de subventionner l’extraction des énergies fossiles, de faire des sports d’hiver dans les Emirats, et au contraire d’enfourcher son vélo au lieu de prendre sa voiture…, énonce Catherine Jeandel. Si vous lisez les rapports du Giec, les solutions, vous les avez. Il faut nous écouter, c’est tout. »

    L’océan a « accumulé la chaleur, elle est là, sa température est déjà déterminée. Même si on n’émet plus de gaz à effet de serre en 2050, on ne reviendra pas aux niveaux de températures océaniques de 1850, c’est impossible, expose Jean-Pierre Gattuso. Mais on peut arrêter son réchauffement : en respectant un scénario d’émissions compatible avec le seuil fixé par l’accord de Paris, l’augmentation de la température est totalement stoppée et reste stable, constante. C’est quand même un message positif. » A condition que les opinions publiques et les responsables politiques sortent enfin du #déni.

    https://www.liberation.fr/environnement/climat/pendant-que-locean-se-consume-20230623_M2PIQOI535BPRCGPITA6THMD44
    #mer #océan #canicule #climat #changement_climatique

    via @isskein

  • #Douarnenez : ni volets fermés, ni ghettos dorés

    Habiter une ville touristique, une vue sur mer pour les précaires (Éditions du commun) est le résultat de plusieurs années d’enquête du collectif Droit à la ville Douarnenez sur la « #touristification » de la petite ville bretonne. De quoi questionner la #gentrification de nos territoires et ouvrir des pistes de #résistance. Entretien avec deux de ses auteurs.

    Dans quelle ville voulons-nous vivre ? Au profit de qui se transforme-t-elle ? Depuis 2018, le collectif Droit à la ville Douarnenez cherche à répondre à ces questions1. Galères de logement, modelage de l’espace aux goûts supposés des touristes, luxueux projets immobiliers inaccessibles aux locaux… Ses membres ont voulu comprendre comment le port finistérien en est arrivé là, tout en proposant des pistes pour un #littoral réellement accueillant. Le résultat ? Une riche enquête de terrain parue en avril dernier aux Éditions du commun : Habiter une ville touristique, une vue sur mer pour les précaires. Rencontre avec Charlotte et Guillaume, membres du collectif, dans un bistrot du port du Rosmeur.

    Comment est né ce projet de « recherche-action » autour de la gentrification à Douarnenez ?

    Charlotte : « En 2018, on a organisé une réunion publique à propos d’un projet de “pôle d’arts numériques” porté par l’avocate d’affaires Stéphanie Stein et censé prendre place dans l’ancien abri du marin de Douarnenez2. Ça nous a paru complètement hors-sol et révélateur d’une #spéculation croissante. À la suite de ces échanges, on a eu envie de s’organiser pour penser les évolutions récentes de la ville : d’un côté de nouveaux projets immobiliers, de l’autre de plus en plus de galères pour se loger. Des rencontres avec différents collectifs ont eu lieu au Local, un espace associatif autogéré. Sauf qu’en déballant ça sur la place publique, on s’est vus accusés de créer une mauvaise ambiance dans la ville, de ne pas être objectifs… On s’est dit que ce serait une manière de récolter de la matière dans de bonnes conditions, avec l’aide financière de la fondation Un monde par tous et en se faisant accompagner par l’association Appuii3, mobilisée sur ces problèmes de logement. »

    Guillaume : « Pour nous, la recherche-action est une recherche qui vient de la base : elle est conduite par les gens qui font partie de l’objet d’étude. Cela n’empêche pas d’avoir le soutien du milieu universitaire, mais on ne peut pas comprendre ce qu’il se passe à Douarnenez sans laisser place à l’émotionnel et au ressenti. Les données froides, les indicateurs, comme le nombre d’habitants, ou de Airbnb n’en rendront jamais compte de manière satisfaisante. C’est aussi un travail au long cours avec une volonté de transformer le réel. Notre objectif est de décrire ce qu’il se passe, mais aussi d’agir, en organisant des actions, des manifs ou de la solidarité concrète. »

    Le livre aborde différentes facettes de Douarnenez à travers une mosaïque de portraits et d’entretiens : un couple d’habitués des bistrots, une « néo-douarneniste » ou un vieux militant… Vous présentez aussi plusieurs lieux, par exemple Luzin4, un bâtiment assez emblématique de Douarnenez. Comment est venue cette manière d’écrire la ville ?

    C. : « De l’envie d’avoir un format hybride, composé de plein de petites cartes postales. Dans le collectif, chacun et chacune a pu travailler sur sa petite lubie. “T’as envie d’aller fouiller aux archives ? Super !” Moi, par exemple, j’étais au Conseil d’administration du festival du cinéma de la ville, du coup j’ai interrogé des personnes de l’association. On retrouve ainsi dans le livre des plumes et des points de vue différents, même si l’ensemble est lissé par le travail en commun. »

    Vous décrivez notamment l’impact du modelage du territoire au profit du tourisme et des résidents secondaires…

    C. : « En 2021, Douarn’ a été lauréate du dispositif “Petites villes de demain5”, ce qui lui a permis de financer la construction d’une promenade longeant le front de mer, un des attributs typiques des stations touristiques. Ils ont aussi produit une carte de la ville, soi-disant destinée aux habitantes et habitants. Mais Pouldavid et Ploaré, des quartiers un peu éloignés du centre-ville et de l’activité touristique, n’y figurent pas ! À côté de ça, cela fait des années que les habitants de Pouldavid demandent à la municipalité d’intervenir contre la dégradation de la cité HLM, et tout ce qu’on leur répond c’est “Désolé, c’est pas prioritaire, on trouve pas les sous”. »

    G. : « C’est une erreur de penser qu’avant Douarnenez c’était la pêche, et que maintenant c’est le tourisme. Il y a du tourisme depuis très longtemps. La question est de savoir ce qu’il produit sur le territoire. » Il y a un paradoxe dans cette « touristification » : elle détruit « l’authenticité » qu’elle vend aux visiteurs…

    C. : « Lors de la rénovation du port du Rosmeur, les Bâtiments de France6 ont imposé le blanc pour les ravalements de façades afin de produire une uniformité sur l’ensemble des ports de Cornouaille7. Alors que beaucoup des façades anciennes de Douarnenez sont peintes avec des restes de peinture de bateau. Et puis ce port, il est censé servir à quoi ? La promenade des touristes et la consommation dans les cafés ? Quitte à interdire la baignade et la pêche sur la cale – comme c’est le cas depuis 2019 – parce que ça fait sale ? »

    G. : « Il y a aussi le paradoxe du résident secondaire qui vient dans une ville qu’il espère vivante, alors qu’il contribue à l’étouffer. On a cette anecdote croustillante d’une personne nous racontant qu’elle a vendu sa résidence secondaire dans le Golfe du Morbihan “parce que là-bas c’est complètement mort”, pour en acheter une ici, “parce que la ville est vivante” ! »
    Quand ils sont interpellés sur les problèmes de logements, les élus des communes littorales se réfugient souvent derrière une indomptable « loi du marché ». Quel est leur rôle dans ces évolutions à Douarnenez ?

    C. : « Il y a quelques années, la municipalité se targuait de posséder pas mal de bâtis. Mais elle en a depuis vendu une bonne partie à des promoteurs immobiliers, parfois au détriment de projets collectifs ou associatifs. La majorité municipale de droite le justifie par une volonté de produire de la “mixité sociale par le haut”. Ces politiques ne sont pas menées pour les habitantes et habitants à l’année, mais pour favoriser les usages de résidents et résidentes secondaires, et pour des personnes qui ne sont pas encore sur le territoire. Elles se tournent vers un habitant hypothétique, dans une logique d’attractivité creuse. »

    Vous écrivez : « Nous ne sommes pas un collectif opposé au tourisme […] Nous sommes en revanche opposé·es au devenir touristique de la ville »…

    G. : « On a envie de défendre les vacances. Mais ce qui est important, c’est comment on décide collectivement de la juste place accordée au développement touristique. Comment accueillir plus de monde, sans artificialisation des sols, et en laissant de la place pour les gens qui souhaitent vivre ici à l’année ? »

    C. : « Il n’y a pas de solution simple, le livre n’est pas un manuel qui donne une liste d’actions à faire. Il invite juste à penser les choses dans leur complexité. Comme de se rendre compte que, contrairement à ce qu’il se dit, la moitié des résidents secondaires ne sont pas parisiens, mais bretons ! »

    https://cqfd-journal.org/Douarnenez-ni-volets-fermes-ni

    #Bretagne #droit_à_la_ville #tourisme #urbanisme #TRUST #Master_TRUST #logement #recherche-action #émotionnel #ressenti #données_froides #petites_villes_de_demain #Pouldavid #Ploaré #authenticité #résidences_secondaires #mixité_sociale_par_le_haut #aménagement_du_territoire #attractivité

    • Habiter une ville touristique. Une vue sur mer pour les précaires

      Dans quelle ville voulons-nous vivre ? C’est par cette question que commence le travail du collectif Droit à la ville Douarnenez. La ville bretonne connaît depuis quelques années un boom de l’immobilier. Les prix et le nombre de résidences secondaires augmentent et les habitant·es ont de plus en plus de mal à se loger. La ville se transforme, mais pour qui ?

      Ouvrage inédit, qui s’attache à décrire les mécanismes de touristification des villes côtières, cet essai montre comment ceux-ci mettent au ban une partie importante et précarisée des populations locales. À partir de l’exemple de la ville de Douarnenez, le collectif a mené une riche enquête dont ce livre restitue les principaux éléments. Analyses, entretiens et focus historiques, c’est par un travail fourni et protéiforme que le collectif produit la critique de ce processus déjà à l’œuvre dans de nombreuses villes européennes et mondiales.

      Par sa faculté à renouveler nos perceptions de l’habiter au sein des villes touristiques, et ce depuis la situation de celles et ceux qui en subissent les évolutions, ce texte constitue un outil important pour penser le droit à la ville, le droit au logement et le tourisme de manière générale.

      https://www.editionsducommun.org/products/habiter-une-ville-touristique-droit-a-la-ville-douarnenez
      #livre

      –-> déjà signalé par @simplicissimus ici :
      https://seenthis.net/messages/999762#message999764

  • Gouverner par les #données ? Pour une sociologie politique du numérique

    Cet ouvrage est une invitation à entrer dans la boîte noire des #algorithmes, non pas d’un point de vue technique, mais de sociologie politique. La multiplication des données disponibles en ligne, couplée au progrès de l’#intelligence_artificielle, ont-ils des effets sur les manières de gouverner ? Les algorithmes peuvent-ils « prédire » les comportements des citoyens ? Comment sont fabriqués ces algorithmes, dits prédictifs, et par qui ? Sont-ils neutres et objectifs ? Quels sont les enjeux sociaux, éthiques et politiques, liés à l’exploitation des données ? Et quelles sont les stratégies commerciales et marchandes à l’œuvre ? Peut-on encore protéger nos données ?

    Derrière l’exploitation des données, il y a bien des #visions_du_monde. Il s’agit alors de penser l’#algorithme comme un objet politique et social, produit par des acteurs et issu de commandes privées et désormais aussi publiques. Ces lignes de codes et de calculs complexes ne peuvent être dissociées de leurs conditions de production : elles sont encastrées dans un ensemble organisationnel et professionnel spécifique et portées par des #intentions et volontés politiques.

    À travers une série d’études de cas et l’apport d’enquêtes empiriques poussées et inédites, ce volume permet de saisir en contexte comment sont utilisées nos données et quelles sont les influences possibles sur les modes de #gouvernance et les prises de décision. La force de cet ouvrage, à la croisée de la sociologie économique, du droit, des sciences politiques et de l’informatique, est de poser les bases d’une #sociologie_politique des données et du #numérique, visant à dépasser et déconstruire les mythes et les croyances véhiculées par le #big_data.

    http://catalogue-editions.ens-lyon.fr/fr/livre/?GCOI=29021100613110

    #livre #prise_de_décision

  • Affaire du 8 décembre : le chiffrement des communications assimilé à un comportement terroriste – La Quadrature du Net
    https://www.laquadrature.net/2023/06/05/affaire-du-8-decembre-le-chiffrement-des-communications-assimile-a-un-

    Cet article a été rédigé sur la base d’informations relatives à l’affaire dite du “8 décembre”1 dans laquelle 7 personnes ont été mises en examen pour « association de malfaiteurs terroristes » en décembre 2020. Leur procès est prévu pour octobre 2023. Ce sera le premier procès antiterroriste visant « l’ultragauche » depuis le fiasco de l’affaire Tarnac2.

    L’accusation de terrorisme est rejetée avec force par les inculpé·es. Ces dernier·es dénoncent un procès politique, une instruction à charge et une absence de preuves. Ils et elles pointent en particulier des propos decontextualisés et l’utilisation à charge de faits anodins (pratiques sportives, numériques, lectures et musiques écoutées…)3. De son côté la police reconnaît qu’à la fin de l’instruction – et dix mois de surveillance intensive – aucun « projet précis » n’a été identifié4.

    L’État vient d’être condamné pour le maintien à l’isolement du principal inculpé pendant 16 mois et dont il n’a été libéré qu’après une grève de la faim de 37 jours. Une seconde plainte, en attente de jugement, a été déposée contre les fouilles à nu illégales et répétées qu’une inculpée a subies en détention provisoire5.

    De nombreuses personnalités, médias et collectifs leur ont apporté leur soutien6.

    C’est dans ce contexte que nous avons été alerté du fait que les pratiques numériques des inculpé·es – au premier rang desquelles l’utilisation de messageries chiffrées grand public – sont instrumentalisées comme « preuves » d’une soi-disant « clandestinité » venant révéler l’existence d’un projet terroriste inconnu.

    Nous avons choisi de le dénoncer.

  • Fusion carte Vitale-carte d’identité : l’Assurance maladie émet de « très fortes réserves »
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/06/01/fusion-carte-vitale-carte-d-identite-l-assurance-maladie-emet-de-tres-fortes

    Le gouvernement doit lancer d’ici à début juillet une mission de préfiguration, afin de « travailler à la mise en œuvre juridique et technique » de cette association, dans le cadre d’un plan de lutte contre la fraude sociale, annoncé par le ministre délégué aux comptes publics, Gabriel Attal.

    Le ministre délégué aux comptes publics, Gabriel Attal a dévoilé lundi un vaste plan de lutte contre la fraude sociale, comportant notamment un projet de fusion de la carte nationale d’identité avec la carte Vitale. Le gouvernement doit lancer d’ici à début juillet une mission de préfiguration, afin de « travailler à la mise en œuvre juridique et technique » de cette fusion.
    Mais un courrier de l’Assurance maladie datant du 3 avril, figurant dans un rapport de l’inspection générale des affaires sociales (IGAS) et l’inspection générale des finances (IGF) publié jeudi, montre que celle-ci n’est pas favorable au projet, estimant qu’il ne paraît répondre « à aucun besoin ».
    La « plus-value en matière de lutte contre la fraude reste entièrement à démontrer », puisque « les montants de fraude susceptibles d’être liés à une utilisation frauduleuse de la carte Vitale sont minimes », écrit dans ce courrier le directeur général de la Cnam, Thomas Fatôme.

    [...]

    En effet, les trois quarts des fraudes aux prestations de la Caisse d’assurance maladie sont des fraudes commises par des professionnels. Le quart restant est bien imputable aux usagers, mais les deux postes les plus importants – la fraude aux indemnités journalières (arrêts maladie) et la fraude à la complémentaire santé solidaire – ne mettent pas en jeu la carte Vitale.

    Dans le brouillard de la société de contrôle, la #lutte_contre_la_fraude, c’est un mixte de gesticulations et de coups de bâton (les annonces sur le RSA étaient du même tonneau). On tétanise au moins autant qu’on punit, mais on aura pointé du doigt des coupables (sans embêter qui palpe pour de bon).

    • Je ne pense pas du tout que ça se limite à ça. Ces gesticulations ciblées sur les pauvres et les étrangers, les solidaires (qui n’a pas prêté sa carte vitale ?) sont faites pour faire peur, dissuader des comportements, des existences par la crainte de se voir privé de moyens (santé, RSA, ...) et (toujours plus) illégitime. Cette peur potentialise les dispositions de contrôle et de contraintes, les rend plus opérantes. Car ces gesticulations sont accompagnées d’actes.
      Quand la carte vitale sera couplée avec la CNI, ce sera un bond en avant de la surveillance (La CNIL a pas plus de portée que l’Académie française). Et elle devra l’être avec les cartes de séjour. Combien de gens tombent dans un trou sans droit au séjour entre deux cartes ? On n’arrive pas à les expulser (sauf à la marge). On arrivera à les priver au moins un temps d’accès à la plupart des soins (ça tombe bien on est pas sûr de réduire drastiquement le panier de soin de l’AME, ça compensera, et le droit d’être soigné sera de plus en plus lié au devoir d’être français). Ce sera moins pire que les refus de soins subis par les titulaires de la CSS. De la dépossession, on se console comme on peut, et si on est un bon français, le RN c’est top, c’est pas juste un souci « matérialiste » façon droit acquisitif, c’est un accès pas cher au symbolique, identité qu’ils disent, même en cachette dans l’isoloir, être partie prenante d’une communauté plutôt que seul, écrasé.

      C’est exactement ce que la gauche et les syndicats ne perçoivent pas sur le droit au chômage et le RSA, toujours vus depuis l’emploi dont on est « privé » (comme dit encore la CGT chômeurs, alors qu’ils savent bien que la majorité des chômeurs passent par des tafs et qu’ils avaient inventés « chômeurs rebelles » en lieu et place du « privés d’emploi » qu’ils persistent àutiliser), les effets sur le salaire de l’emploi, et pas (plus) sur ce qui serait constitutif d’un droit au chômage.
      Ce qui vient de se passer de ce côté avec les annonces RSA où ça s’est focalisé sur le travail forcé, sans voir tout le travail déjà effectué, dans la production, l’emploi, et d’une, et pour le contrôle, de deux, tout ce théâtre, toute cette pugnacité qu’il faut, et le temps bouffé pourri gâché. Parce qu’il ne doit pas être libre.
      Là aussi il faut parler de charge mentale, non seulement pour suivre ses « prestations », faire avec ses mini moyens, faire ce qu’il faut pour être dans les clous (mais lesquels ? quoi encore ?) mais aussi pour encaisser le poids de l’opprobre. C’est sous cette charge aussi que les chômeurs meurent.

      Ces annonces de lutte contre la fraude, contre le pauvre et la pauvresse qui exagèrent, elles ont une charge anxiogène et dépressogène terrible qui redouble les méfaits objectifs des contrôles labyrinthiques.

      (sur le RSA, je parie qu’ils comptent sur les déclarations pré remplies qu’ils mettent en place pour émonder la hausse du non recours que va inéluctablement créer leur récent barouf, juste parce que là il y a un indicateur susceptible d’être vu cité et commenté)

      edit : et bien sûr cela masque/dédouane la fraude réellement coûteuse (professionnels de santé), tout comme crier haro sur les RSAstes permet de ne pas parler des innombrables budgets dévolus par la loi et légalement aux structures d’insertion, sous traitants divers, entre bullshit occupationnel et contrôle par des « accompagnateurs », qui, comme Aurore avec les sans abri actuellement virés de Paris, ou le groupe SOS, prospèrent grâce à ces marchés publics. Force doit rester à la loi... de la concurrence !

      en 2004, on avait dépensé une blinde pour ajouter des photos sur les cartes vitales pour « éviter la fraude » https://seenthis.net/messages/1004789#message1004940
      la logique comptable sait faire fi de nombreuses économies comptables. l’économie est un rapport de pouvoir.

      #carte_Vitale #CNI #données_de_santé #suspicion #Lutte_contre_la_fraude

  • Ouvrir le code des #algorithmes ? — Oui, mais… (1/2)
    https://framablog.org/2023/05/15/ouvrir-le-code-des-algorithmes-oui-mais-1-2

    Voici le premier des deux articles qu’Hubert #Guillaud nous fait le plaisir de partager. Sans s’arrêter à la surface de l’actualité, il aborde la #transparence du code des algorithmes, qui entraîne un grand nombre de questions épineuses sur lesquelles il … Lire la suite­­

    #Enjeux_du_numérique #amplification #Documentation #données #interdiction #Kayser-Bril #minimisation #Narayan #Nicholas #recherche #Twitter

  • Nessuno vuole mettere limiti all’attività dell’Agenzia Frontex

    Le istituzioni dell’Ue, ossessionate dal controllo delle frontiere, sembrano ignorare i problemi strutturali denunciati anche dall’Ufficio europeo antifrode. E lavorano per dispiegare le “divise blu” pure nei Paesi “chiave” oltre confine

    “Questa causa fa parte di un mosaico di una più ampia campagna contro Frontex: ogni attacco verso di noi è un attacco all’Unione europea”. Con questi toni gli avvocati dell’Agenzia che sorveglia le frontiere europee si sono difesi di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Il 9 marzo, per la prima volta in oltre 19 anni di attività (ci sono altri due casi pendenti, presentati dalla Ong Front-Lex), le “divise blu” si sono trovate di fronte a un giudice grazie alla tenacia dell’avvocata olandese Lisa-Marie Komp.

    Non è successo, invece, per le scioccanti rivelazioni del rapporto dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf) che ha ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -spiega Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Non solo l’impunità ma anche la cieca fiducia ribadita più volte da diverse istituzioni europee. Il 28 giugno 2022 il Consiglio europeo, a soli due mesi dalle dimissioni di Leggeri, dà il via libera all’apertura dei negoziati per portare gli agenti di Frontex in Senegal con la proposta di garantire un’immunità totale nel Paese per le loro azioni.

    A ottobre, invece, a pochi giorni dalla divulgazione del rapporto Olaf -tenuto segreto per oltre quattro mesi- la Commissione europea chiarisce che l’Agenzia “si è già assunta piena responsabilità di quanto successo”. Ancora, a febbraio 2023 il Consiglio europeo le assicura nuovamente “pieno supporto”. Un dato preoccupante soprattutto con riferimento all’espansione di Frontex che mira a diventare un attore sempre più presente nei Paesi chiave per la gestione del fenomeno migratorio, a migliaia di chilometri di distanza dal suo quartier generale di Varsavia.

    “I suoi problemi sono strutturali ma le istituzioni europee fanno finta di niente: se già è difficile controllare gli agenti sui ‘nostri’ confini, figuriamoci in Paesi al di fuori dell’Ue”, spiega Yasha Maccanico, membro del centro di ricerca indipendente Statewatch.

    A fine febbraio 2023 l’Agenzia ha festeggiato la conclusione di un progetto che prevede la consegna di attrezzature ai membri dell’Africa-Frontex intelligence community (Afic), finanziata dalla Commissione, che ha permesso dal 2010 in avanti l’apertura di “Cellule di analisi del rischio” (Rac) gestite da analisti locali formati dall’Agenzia con l’obiettivo di “raccogliere e analizzare informazioni strategiche su crimini transfrontalieri” oltre che a “sostenere le autorità nella gestione dei confini”. A partire dal 2021 una potenziata infrastruttura garantisce “comunicazioni sicure e istantanee” tra le Rac e gli agenti nella sede di Varsavia. Questo è il “primo livello” di collaborazione tra Frontex e le autorità di Paesi terzi che oggi vede, come detto, “cellule” attive in Nigeria, Gambia, Niger, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Togo e Mauritania oltre a una ventina di Stati coinvolti nelle attività di formazione degli analisti, pronti ad attivare le Rac in futuro. “Lo scambio di dati sui flussi è pericoloso perché l’obiettivo delle politiche europee non è proteggere i diritti delle persone, ma fermarle nei Paesi più poveri”, continua Maccanico.

    Un gradino al di sopra delle collaborazioni più informali, come nell’Afic, ci sono i cosiddetti working arrangement (accordi di cooperazione) che permettono di collaborare con le autorità di un Paese in modo ufficiale. “Non serve il via libera del Parlamento europeo e di fatto non c’è nessun controllo né prima della sottoscrizione né ex post -riprende Salzano-. Se ci fosse uno scambio di dati e informazioni dovrebbe esserci il via libera del Garante per la protezione dei dati personali, ma a oggi, questo parere, è stato richiesto solo nel caso del Niger”. A marzo 2023 sono invece 18 i Paesi che hanno siglato accordi simili: da Stati Uniti e Canada, passando per Capo Verde fino alla Federazione Russa. “Sappiamo che i contatti con Mosca dovrebbero essere quotidiani. Dall’inizio del conflitto ho chiesto più volte all’Agenzia se queste comunicazioni sono state interrotte: nessuno mi ha mai risposto”, sottolinea Salzano.

    Obiettivo ultimo dell’Agenzia è riuscire a dispiegare agenti e mezzi anche nei Paesi terzi: una delle novità del regolamento del 2019 rispetto al precedente (2016) è proprio la possibilità di lanciare operazioni non solo nei “Paesi vicini” ma in tutto il mondo. Per farlo sono necessari gli status agreement, accordi internazionali che impegnano formalmente anche le istituzioni europee. Sono cinque quelli attivi (Serbia, Albania, Montenegro e Macedonia del Nord, Moldova) ma sono in via di sottoscrizione quelli con Senegal e Mauritania per limitare le partenze (poco più di 15mila nel 2022) verso le isole Canarie, mille chilometri più a Nord: accordi per ora “fermi”, secondo quanto ricostruito dalla parlamentare europea olandese Tineke Strik che a fine febbraio ha visitato i due Stati, ma che danno conto della linea che si vuole seguire. Un quadro noto, i cui dettagli però spesso restano nascosti.

    È quanto emerge dal report “Accesso negato”, pubblicato da Statewatch a metà marzo 2023, che ricostruisce altri due casi di scarsa trasparenza negli accordi, Niger e Marocco, due Paesi chiave nella strategia europea di esternalizzazione delle frontiere. “Con la ‘scusa’ della tutela della riservatezza nelle relazioni internazionali e mettendo la questione migratoria sotto il cappello dell’antiterrorismo l’accesso ai dettagli degli accordi non è consentito”, spiega Maccanico, uno dei curatori dello studio. Non si conoscono, per esempio, i compiti specifici degli agenti, per cui si propone addirittura l’immunità totale. “In alcuni accordi, come in Macedonia del Nord, si è poi ‘ripiegato’ su un’immunità connessa solo ai compiti che rientrano nel mandato dell’Agenzia -osserva Salzano-. Ma il problema non cambia: dove finisce la sua responsabilità e dove inizia quella del Paese membro?”. Una zona grigia funzionale a Frontex, anche quando opera sul territorio europeo.

    Lo sa bene l’avvocata tedesca Lisa-Marie Komp che, come detto, ha portato l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia dell’Ue. Il caso, su cui il giudice si pronuncerà nei prossimi mesi, riguarda il rimpatrio nel 2016 di una famiglia siriana con quattro bambini piccoli che, pochi giorni dopo aver presentato richiesta d’asilo in Grecia, è stata caricata su un aereo e riportata in Turchia: quel volo è stato gestito da Frontex, in collaborazione con le autorità greche. “L’Agenzia cerca di scaricare le responsabilità su di loro ma il suo mandato stabilisce chiaramente che è tenuta a monitorare il rispetto dei diritti fondamentali durante queste operazioni -spiega-. Serve chiarire che tutti devono rispettare la legge, compresa l’Agenzia le cui azioni hanno un grande impatto sulla vita di molte persone”.

    Le illegittimità nell’attività dei rimpatri sono note da tempo e il caso della famiglia siriana non è isolato. “Quando c’è una forte discrepanza nelle decisioni sulle domande d’asilo tra i diversi Paesi europei, l’attività di semplice ‘coordinamento’ e preparazione delle attività di rimpatrio può tradursi nella violazione del principio di non respingimento”, spiega Mariana Gkliati, docente di Migrazione e Asilo all’università olandese di Tilburg. Nonostante questi problemi e un sistema d’asilo sempre più fragile, negli ultimi anni i poteri e le risorse a disposizione per l’Agenzia sui rimpatri sono esplosi: nel 2022 questa specifica voce di bilancio prevedeva quasi 79 milioni di euro (+690% rispetto ai dieci milioni del 2012).

    E la crescita sembra destinata a non fermarsi. Frontex nel 2023 stima di poter rimpatriare 800 persone in Iraq, 316 in Pakistan, 200 in Gambia, 75 in Afghanistan, 57 in Siria, 60 in Russia e 36 in Ucraina come si legge in un bando pubblicato a inizio febbraio 2023 che ha come obiettivo la ricerca di partner in questi Paesi (e in altri, in totale 43) per garantire assistenza di breve e medio periodo (12 mesi) alle persone rimpatriate. Un’altra gara pubblica dà conto della centralità dell’Agenzia nella “strategia dei rimpatri” europea: 120 milioni di euro nel novembre 2022 per l’acquisto di “servizi di viaggio relativi ai rimpatri mediante voli di linea”. Migliaia di biglietti e un nuovo sistema informatico per gestire al meglio le prenotazioni, con un’enorme mole di dati personali delle persone “irregolari” che arriveranno nelle “mani” di Frontex. Mani affidabili, secondo la Commissione europea.

    Ma il 7 ottobre 2022 il Parlamento, nel “bocciare” nuovamente Frontex rispetto al via libera sul bilancio 2020, dava conto del “rammarico per l’assenza di procedimenti disciplinari” nei confronti di Leggeri e della “preoccupazione” per la mancata attivazione dell’articolo 46 (che prevede il ritiro degli agenti quando siano sistematiche le violazioni dei diritti umani) con riferimento alla Grecia, in cui l’Agenzia opera con 518 agenti, 11 navi e 30 mezzi. “I respingimenti e la violenza sui confini continuano sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime così come non si è interrotto il sostegno alle autorità greche”, spiega la ricercatrice indipendente Lena Karamanidou. La “scusa” ufficiale è che la presenza di agenti migliori la situazione ma non è così. “Al confine terrestre di Evros, la violenza è stata documentata per tutto il tempo in cui Frontex è stata presente, fin dal 2010. È difficile immaginare come possa farlo in futuro vista la sistematicità delle violenze su questo confine”. Su quella frontiera si giocherà anche la presunta nuova reputazione dell’Agenzia guidata dal primo marzo dall’olandese Hans Leijtens: un tentativo di “ripulire” l’immagine che è già in corso.

    Frontex nei confronti delle persone in fuga dal conflitto in Ucraina ha tenuto fin dall’inizio un altro registro: i “migranti irregolari” sono diventati “persone che scappano da zone di conflitto”; l’obiettivo di “combattere l’immigrazione irregolare” si è trasformato nella gestione “efficace dell’attraversamento dei confini”. “Gli ultimi mesi hanno mostrato il potenziale di Frontex di evolversi in un attore affidabile della gestione delle frontiere che opera con efficienza, trasparenza e pieno rispetto dei diritti umani”, sottolinea Gkliati nello studio “Frontex assisting in the ukrainian displacement. A welcoming committee at racialised passage?”, pubblicato nel marzo 2023. Una conferma ulteriore, per Salzano, dei limiti strutturali dell’Agenzia: “La legge va rispettata indipendentemente dalla cornice in cui operi: la tutela dei diritti umani prescinde dagli umori della politica”.

    https://altreconomia.it/nessuno-vuole-mettere-limiti-allattivita-dellagenzia-frontex

    #Frontex #migrations #asile #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #justice #Lisa-Marie_Komp #OLAF #Sénégal #externalisation #Africa-Frontex_intelligence_community (#Afic) #Rac #Nigeria #Gambie #Niger #Ghana #Côte_d'Ivoire #Togo #Mauritanie #status_agreement #échange_de_données #working_arrangement #Serbie #Monténégro #Albanie #Moldavie #Macédoine_du_Nord #CJUE #cours_de_justice #renvois #expulsions

    • I rischi della presenza di Frontex in Africa: tanto potere, poca responsabilità

      L’eurodeputata #Tineke_Strik è stata in Senegal e Mauritania a fine febbraio 2023: in un’intervista ad Altreconomia ricostruisce lo stato dell’arte degli accordi che l’Ue vorrebbe concludere con i due Paesi ritenuti “chiave” nel contrasto ai flussi migratori. Denunciando la necessità di una riforma strutturale dell’Agenzia.

      A un anno di distanza dalle dimissioni del suo ex direttore Fabrice Leggeri, le istituzioni europee non vogliono mettere limiti all’attività di Frontex. Come abbiamo ricostruito sul numero di aprile di Altreconomia, infatti, l’Agenzia -che dal primo marzo 2023 è guidata da Hans Leijtens- continua a svolgere un ruolo centrale nelle politiche migratorie dell’Unione europea nonostante le pesanti rivelazioni dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf), che ha ricostruito nel dettaglio il malfunzionamento nelle operazioni delle divise blu lungo i confini europei.

      Ma non solo. Un aspetto particolarmente preoccupante sono le operazioni al di fuori dei Paesi dell’Unione, che rientrano sempre di più tra le priorità di Frontex in un’ottica di esternalizzazione delle frontiere per “fermare” preventivamente i flussi di persone dirette verso l’Europa. Non a caso, a luglio 2022, nonostante i contenuti del rapporto Olaf chiuso solo pochi mesi prima, la Commissione europea ha dato il via libera ai negoziati con Senegal e Mauritania per stringere un cosiddetto working arrangement e permettere così agli “agenti europei” di operare nei due Paesi africani (segnaliamo anche la recente ricerca pubblicata dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione sul tema).

      Per monitorare lo stato dell’arte di questi accordi l’eurodeputata Tineke Strik, tra le poche a opporsi e a denunciare senza sconti gli effetti delle politiche migratorie europee e il ruolo di Frontex, a fine febbraio 2023 ha svolto una missione di monitoraggio nei due Paesi. Già professoressa di Diritto della cittadinanza e delle migrazioni dell’Università di Radboud di Nimega, in Olanda, è stata eletta al Parlamento europeo nel 2019 nelle fila di GroenLinks (Sinistra verde). L’abbiamo intervistata.

      Onorevole Strik, secondo quanto ricostruito dalla vostra visita (ha partecipato alla missione anche Cornelia Erns, di LeftEu, ndr), a che punto sono i negoziati con il Senegal?
      TS La nostra impressione è che le autorità senegalesi non siano così desiderose di concludere un accordo di status con l’Unione europea sulla presenza di Frontex nel Paese. L’approccio di Bruxelles nei confronti della migrazione come sappiamo è molto incentrato su sicurezza e gestione delle frontiere; i senegalesi, invece, sono più interessati a un intervento sostenibile e incentrato sullo sviluppo, che offra soluzioni e affronti le cause profonde che spingono le persone a partire. Sono molti i cittadini del Senegal emigrano verso l’Europa: idealmente, il governo vuole che rimangano nel Paese, ma capisce meglio di quanto non lo facciano le istituzioni Ue che si può intervenire sulla migrazione solo affrontando le cause alla radice e migliorando la situazione nel contesto di partenza. Allo stesso tempo, le navi europee continuano a pescare lungo le coste del Paese (minacciando la pesca artigianale, ndr), le aziende europee evadono le tasse e il latte sovvenzionato dall’Ue viene scaricato sul mercato senegalese, causando disoccupazione e impedendo lo sviluppo dell’economia locale. Sono soprattutto gli accordi di pesca ad aver alimentato le partenze dal Senegal, dal momento che le comunità di pescatori sono state private della loro principale fonte di reddito. Serve domandarsi se l’Unione sia veramente interessata allo sviluppo e ad affrontare le cause profonde della migrazione. E lo stesso discorso può essere fatto su molti dei Paesi d’origine delle persone che cercano poi protezione in Europa.

      Dakar vede di buon occhio l’intervento dell’Unione europea? Quale tipo di operazioni andrebbero a svolgere gli agenti di Frontex nel Paese?
      TS Abbiamo avuto la sensazione che l’Ue non ascoltasse le richieste delle autorità senegalesi -ad esempio in materia di rilascio di visti d’ingresso- e ci hanno espresso preoccupazioni relative ai diritti fondamentali in merito a qualsiasi potenziale cooperazione con Frontex, data la reputazione dell’Agenzia. È difficile dire che tipo di supporto sia previsto, ma nei negoziati l’Unione sta puntando sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime.

      Che cosa sta avvenendo in Mauritania?
      TS Sebbene questo Paese sembri disposto a concludere un accordo sullo status di Frontex -soprattutto nell’ottica di ottenere un maggiore riconoscimento da parte dell’Europa-, preferisce comunque mantenere l’autonomia nella gestione delle proprie frontiere e quindi non prevede una presenza permanente dei funzionari dell’Agenzia nel Paese. Considerano l’accordo sullo status più come un quadro giuridico, per consentire la presenza di Frontex in caso di aumento della pressione migratoria. Inoltre, come il Senegal, ritengono che l’Europa debba ascoltare e accogliere le loro richieste, che riguardano principalmente i visti e altre aree di cooperazione. Anche in questo caso, Bruxelles chiede il mandato più ampio possibile per gli agenti in divisa blu durante i negoziati per “mantenere aperte le opzioni [più ampie]”, come dicono loro stessi. Ma credo sia chiaro che il loro obiettivo è quello di operare sia alle frontiere marittime sia a quelle terrestri.
      Questo a livello “istituzionale”. Qual è invece la posizione della società civile?
      TS In entrambi i Paesi è molto critica. In parte a causa della cattiva reputazione di Frontex in relazione ai diritti umani, ma anche a causa dell’esperienza che i cittadini senegalesi e mauritani hanno già sperimentato con la Guardia civil spagnola, presente nei due Stati, che ritengono stia intaccando la sovranità per quanto riguarda la gestione delle frontiere. È previsto che il mandato di Frontex sia addirittura esecutivo, a differenza di quello della Guardia civil, che può impegnarsi solo in pattugliamenti congiunti in cui le autorità nazionali sono al comando. Quindi la sovranità di entrambi i Paesi sarebbe ulteriormente minata.

      Perché a suo avviso sarebbe problematica la presenza di agenti di Frontex nei due Paesi?
      TS L’immunità che l’Unione europea vorrebbe per i propri operativi dispiegati in Africa non è solo connessa allo svolgimento delle loro funzioni ma si estende al di fuori di esse, a questo si aggiunge la possibilità di essere armati. Penso sia problematico il rispetto dei diritti fondamentali dei naufraghi intercettati in mare, poiché è difficile ottenere l’accesso all’asilo sia in Senegal sia in Mauritania. In questo Paese, ad esempio, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) impiega molto tempo per determinare il loro bisogno di protezione: fanno eccezione i maliani, che riescono a ottenerla in “appena” due anni. E durante l’attesa queste persone non hanno quasi diritti.

      Ma se ottengono la protezione è comunque molto difficile registrarsi presso l’amministrazione, cosa necessaria per avere accesso al mercato del lavoro, alle scuole o all’assistenza sanitaria. E le conseguenze che ne derivano sono le continue retate, i fermi e le deportazioni alla frontiera, per impedire alle persone di partire. A causa delle attuali intercettazioni in mare, le rotte migratorie si stanno spostando sulla terra ferma e puntano verso l’Algeria: l’attraversamento del deserto può essere mortale. Il problema principale è che Frontex deve rispettare il diritto dell’Unione europea anche se opera in un Paese terzo in cui si applicano norme giuridiche diverse, ma l’Agenzia andrà a operare sotto il comando delle guardie di frontiera di un Paese che non è vincolato dalle “regole” europee. Come può Frontex garantire di non essere coinvolta in operazioni che violano le norme fondamentali del diritto comunitario, se determinate azioni non sono illegali in quel Paese? Sulla carta è possibile presentare un reclamo a Frontex, ma poi nella pratica questo strumento in quali termini sarebbe accessibile ed efficace?

      Un anno dopo le dimissioni dell’ex direttore Leggeri ritiene che Frontex si sia pienamente assunta la responsabilità di quanto accaduto? Può davvero, secondo lei, diventare un attore affidabile per l’Ue?
      TS Prima devono accadere molte cose. Non abbiamo ancora visto una riforma fondamentale: c’è ancora un forte bisogno di maggiore trasparenza, di un atteggiamento più fermo nei confronti degli Stati membri ospitanti e di un uso conseguente dell’articolo 46 che prevede la sospensione delle operazioni in caso di violazioni dei diritti umani (abbiamo già raccontato il ruolo dell’Agenzia nei respingimenti tra Grecia e Turchia, ndr). Questi problemi saranno ovviamente esacerbati nella cooperazione con i Paesi terzi, perché la responsabilità sarà ancora più difficile da raggiungere.

      https://altreconomia.it/i-rischi-della-presenza-di-frontex-in-africa-tanto-potere-poca-responsa

    • «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare». La missione di ASGI in Senegal e Mauritania

      Lo scorso 29 marzo è stato pubblicato il rapporto «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare» (https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania), frutto del sopralluogo giuridico effettuato tra il 7 e il 13 maggio 2022 da una delegazione di ASGI composta da Alice Fill, Lorenzo Figoni, Matteo Astuti, Diletta Agresta, Adelaide Massimi (avvocate e avvocati, operatori e operatrici legali, ricercatori e ricercatrici).

      Il sopralluogo aveva l’obiettivo di analizzare lo sviluppo delle politiche di esternalizzazione del controllo della mobilità e di blocco delle frontiere implementate dall’Unione Europea in Mauritania e in Senegal – due paesi a cui, come la Turchia o gli stati balcanici più orientali, gli stati membri hanno delegato la gestione dei flussi migratori concordando politiche sempre più ostacolanti per lo spostamento delle persone.

      Nel corso del sopralluogo sono stati intervistati, tra Mauritania e Senegal, più di 40 interlocutori afferenti a istituzioni, società civile, popolazione migrante e organizzazioni, tra cui OIM, UNHCR, delegazioni dell’UE. Intercettare questi soggetti ha consentito ad ASGI di andare oltre le informazioni vincolate all’ufficialità delle dichiarazioni pubbliche e di approfondire le pratiche illegittime portate avanti su questi territori.

      Il report parte dalle già assodate intenzioni di collaborazione tra l’Unione Europea e le autorità senegalesi e mauritane – una collaborazione che in entrambi i paesi sembra connotata nel senso del controllo e della sorveglianza; per quanto riguarda il Senegal, si fa menzione del ben noto status agreement, proposto nel febbraio 2022 a Dakar dalla Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson, con il quale si intende estendere il controllo di Frontex in Senegal.

      L’obiettivo di tale accordo era il controllo della cosiddetta rotta delle Canarie, che tra il 2018 e il 2022 è stata sempre più battuta. Sebbene la proposta abbia generato accese discussioni nella società civile senegalese, preoccupata all’idea di cedere parte della sovranità del paese sul controllo delle frontiere esterne, con tale accordo, elaborato con un disegno molto simile a quello che regola le modalità di intervento di Frontex nei Balcani, si legittimerebbe ufficialmente l’attività di controllo dell’agenzia UE in paesi terzi, e in particolare fuori dal continente europeo.

      Per quanto riguarda la Mauritania, si menziona l’Action Plan pubblicato da Frontex il 7 giugno 2022, con il quale si prospetta una possibilità di collaborare operativamente sul territorio mauritano, in particolare per lo sviluppo di governance in materia migratoria.

      Senegal

      Sin dai primi anni Duemila, il dialogo tra istituzioni europee e senegalesi è stato focalizzato sulle politiche di riammissione dei cittadini senegalesi presenti in UE in maniera irregolare e dei cosiddetti ritorni volontari, le politiche di gestione delle frontiere senegalesi e il controllo della costa, la promozione di una legislazione anti-trafficking e anti-smuggling. Tutto questo si è intensificato quando, a partire dal 2018, la rotta delle Canarie è tornata a essere una rotta molto percorsa. L’operatività delle agenzie europee in Senegal per la gestione delle migrazioni si declina principalmente nei seguenti obiettivi:

      1. Monitoraggio delle frontiere terrestri e marittime. Il memorandum firmato nel 2006 da Senegal e Spagna ha sancito la collaborazione ufficiale tra le forze di polizia europee e quelle senegalesi in operazioni congiunte di pattugliamento; a questo si aggiunge, sempre nello stesso anno, una presenza sempre più intensiva di Frontex al largo delle coste senegalesi.

      2. Lotta alla tratta e al traffico. Su questo fronte dell’operatività congiunta tra forze senegalesi ed europee, la normativa di riferimento è la legge n. 06 del 10 maggio 2005, che offre delle direttive per il contrasto della tratta di persone e del traffico. Tale documento, non distinguendo mai fra “tratta” e “traffico”, di fatto criminalizza la migrazione irregolare tout court, dal momento che viene utilizzato in maniera estensiva (e arbitraria) come strumento di controllo e di repressione della mobilità – fu utilizzato, ad esempio, per accusare di traffico di esseri umani un padre che aveva imbarcato suo figlio su un mezzo che poi naufragato.

      Il sistema di asilo in Senegal

      Il Senegal aderisce alla Convenzione del 1951 sullo status de rifugiati e del relativo Protocollo del 1967; la valutazione delle domande di asilo fa capo alla Commissione Nazionale di Eleggibilità (CNE), che al deposito della richiesta di asilo emette un permesso di soggiorno della durata di 3 mesi, rinnovabile fino all’esito dell’audizione di fronte alla CNE; l’esito della CNE è ricorribile in primo grado presso la Commissione stessa e, nel caso di ulteriore rifiuto, presso il Presidente della Repubblica. Quando il richiedente asilo depone la propria domanda, subentra l’UNHCR, che nel paese è molto presente e finanzia ONG locali per fornire assistenza.

      Il 5 aprile 2022 l’Assemblea Nazionale senegalese ha approvato una nuova legge sullo status dei rifugiati e degli apolidi, una legge che, stando a diverse associazioni locali, sulla carta estenderebbe i diritti cui i rifugiati hanno accesso; tuttavia, le stesse associazioni temono che a tale miglioramento possa non seguire un’applicazione effettiva della normativa.
      Mauritania

      Data la collocazione geografica del paese, a ridosso dell’Atlantico e delle isole Canarie, in prossimità di paesi ad alto indice di emigrazione (Senegal, Mali, Marocco), la Mauritania rappresenta un territorio strategico per il monitoraggio dei flussi migratori diretti in Europa. Pertanto, analogamente a quanto avvenuto in Senegal, anche in Mauritania la Spagna ha proceduto a rafforzare la cooperazione in tema di politiche migratorie e di gestione del controllo delle frontiere e a incrementare la presenta e l’impegno di attori esterni – in primis di agenzie quali Frontex – per interventi di contenimento dei flussi e di riammissione di cittadini stranieri in Mauritania.

      Relativamente alla Mauritania, l’obiettivo principale delle istituzioni europee sembra essere la prevenzione dell’immigrazione lungo la rotta delle Canarie. La normativa di riferimento è l’Accordo di riammissione bilaterale firmato con la Spagna nel luglio 2003. Con tale accordo, la Spagna può chiedere alla Mauritania di riammettere sul proprio territorio cittadini mauritani e non solo, anche altri cittadini provenienti da paesi terzi che “si presume” siano transitati per la Mauritania prima di entrare irregolarmente in Spagna. Oltre a tali interventi, il report di ASGI menziona l’Operazione Hera di Frontex e vari interventi di cooperazione allo sviluppo promossi dalla Spagna “con finalità tutt’altro che umanitarie”, bensì di gestione della mobilità.

      In tale regione, nella fase degli sbarchi risulta molto dubbio il ruolo giocato da organizzazioni come OIM e UNHCR, poiché non è codificato; interlocutori diversi hanno fornito informazioni contrastanti sulla disponibilità di UNHCR a intervenire in supporto e su segnalazione delle ONG presenti al momento dello sbarco. In ogni caso, se effettivamente UNHCR fosse assente agli sbarchi, ciò determinerebbe una sostanziale impossibilità di accesso alle procedure di protezione internazionale da parte di qualsiasi potenziale richiedente asilo che venga intercettato in mare.

      Anche in questo territorio la costruzione della figura del “trafficante” diventa un dispositivo di criminalizzazione e repressione della mobilità sulla rotta atlantica, strumentale alla soddisfazione di richieste europee.
      La detenzione dei cittadini stranieri

      Tra Nouakchott e Nouadhibou vi sono tre centri di detenzione per persone migranti; uno di questi (il Centro di Detenzione di Nouadhibou 2 (anche detto “El Guantanamito”), venne realizzato grazie a dei fondi di un’agenzia di cooperazione spagnola. Sovraffollamento, precarietà igienico-sanitaria e impossibilità di accesso a cure e assistenza legale hanno caratterizzato tali centri. Quando El Guantanamito fu chiuso, i commissariati di polizia sono diventati i principali luoghi deputati alla detenzione dei cittadini stranieri; in tali centri, vengono detenute non solo le persone intercettate in prossimità delle coste mauritane, ma anche i cittadini stranieri riammessi dalla Spagna, e anche le persone presenti irregolarmente su territorio mauritano. Risulta delicato il tema dell’accesso a tali commissariati, dal momento che il sopralluogo ha rilevato che le ONG non hanno il permesso di entrarvi, mentre le organizzazioni internazionali sì – ciò nonostante, nessuna delle persone precedentemente sottoposte a detenzione con cui la delegazione ASGI ha avuto modo di interloquire ha dichiarato di aver riscontrato la presenza di organizzazioni all’interno di questi centri.

      La detenzione amministrativa risulta essere “un tassello essenziale della politica di contenimento dei flussi di cittadini stranieri in Mauritania”. Il passaggio successivo alla detenzione delle persone migranti è l’allontanamento, che si svolge in forma di veri e propri respingimenti sommari e informali, senza che i migranti siano messi nelle condizioni né di dichiarare la propria nazionalità né di conoscere la procedura di ritorno volontario.
      Il ruolo delle organizzazioni internazionali in Mauritania

      OIM riveste un ruolo centrale nel panorama delle politiche di esternalizzazione e di blocco dei cittadini stranieri in Mauritania, tramite il supporto delle autorità di pubblica sicurezza mauritane nello sviluppo di politiche di contenimento della libertà di movimento – strategie e interventi che suggeriscono una connotazione securitaria della presenza dell’associazione nel paese, a scapito di una umanitaria.

      Nonostante anche la Mauritania sia firmataria della Convenzione di Ginevra, non esiste a oggi una legge nazionale sul diritto di asilo nel paese. UNHCR testimonia come dal 2015 esiste un progetto di legge sull’asilo, ma che questo sia tuttora “in attesa di adozione”.

      Pertanto, le procedure di asilo in Mauritania sono gestite interamente da UNHCR. Tali procedure si differenziano a seconda della pericolosità delle regioni di provenienza delle persone migranti; in particolare, i migranti maliani provenienti dalle regioni considerate più pericolose vengono registrati come rifugiati prima facie, quanto non accade invece per i richiedenti asilo provenienti dalle aree urbane, per loro, l’iter dell’asilo è ben più lungo, e prevede una sorta di “pre-pre-registrazione” presso un ente partner di UNHCR, cui segue una pre-registrazione accordata da UNHCR previo appuntamento, e solo in seguito alla registrazione viene riconosciuto un certificato di richiesta di asilo, valido per sei mesi, in attesa di audizione per la determinazione dello status di rifugiato.

      Le tempistiche per il riconoscimento di protezione, poi, sono differenti a seconda del grado di vulnerabilità del richiedente e in taluni casi potevano condurre ad anni e anni di attesa. Alla complessità della procedura si aggiunge che non tutti i potenziali richiedenti asilo possono accedervi – ad esempio, chi proviene da alcuni stati, come la Sierra Leone, considerati “paesi sicuri” secondo una categorizzazione fornita dall’Unione Africana.
      Conclusioni

      In fase conclusiva, il report si sofferma sul ruolo fondamentale giocato dall’Unione Europea nel forzare le politiche senegalesi e mauritane nel senso della sicurezza e del contenimento, a scapito della tutela delle persone migranti nei loro diritti fondamentali. Le principali preoccupazioni evidenziate sono rappresentate dalla prospettiva della conclusione dello status agreement tra Frontex e i due paesi, perché tale ratifica ufficializzerebbe non solo la presenza, ma un ruolo legittimo e attivo di un’agenzia europea nel controllo di frontiere che si dispiegano ben oltre i confini territoriali comunitari, ben oltre le acque territoriali, spingendo le maglie del controllo dei flussi fin dentro le terre di quegli stati da cui le persone fuggono puntando all’Unione Europea. La delegazione, tuttavia, sottolinea che vi sono aree in cui la società civile senegalese e mauritana risulta particolarmente politicizzata, dunque in grado di esprimere insofferenza o aperta contrarietà nei confronti delle ingerenze europee nei loro paesi. Infine, da interviste, colloqui e incontri con diretti interessati e testimoni, il ruolo di organizzazioni internazionali come le citate OIM e UNHCR appare nella maggior parte dei casi “fluido o sfuggevole”; una prospettiva, questa, che sembra confermare l’ambivalenza delle grandi organizzazioni internazionali, soggetti messi innanzitutto al servizio degli interessi delle istituzioni europee.

      Il report si conclude auspicando una prosecuzione di studio e analisi al fine di continuare a monitorare gli sviluppi politici e legislativi che legano l’Unione Europea e questi territori nella gestione operativa delle migrazioni.

      https://www.meltingpot.org/2023/05/un-laboratorio-di-esternalizzazione-tra-frontiere-di-terra-e-di-mare

    • Pubblicato il rapporto #ASGI della missione in Senegal e Mauritania

      Il Senegal e la Mauritania sono paesi fondamentali lungo la rotta che conduce dall’Africa occidentale alle isole Canarie. Nel 2020, dopo alcuni anni in cui la rotta era stata meno utilizzata, vi è stato un incremento del 900% degli arrivi rispetto all’anno precedente. Il dato ha portato la Spagna e le istituzioni europee a concentrarsi nuovamente sui due paesi. La cosiddetta Rotta Atlantica, che a partire dal 2006 era stata teatro di sperimentazioni di pratiche di contenimento e selezione della mobilità e di delega dei controlli alle frontiere e del diritto di asilo, è tornata all’attenzione internazionale: da febbraio 2022 sono in corso negoziazioni per la firma di un accordo di status con Frontex per permettere il dispiegamento dei suoi agenti in Senegal e Mauritania.

      Al fine di indagare l’attuazione delle politiche di esternalizzazione e i loro effetti, dal 7 al 13 maggio 2022 un gruppo di socз ASGI – avvocatз, operatorз legali e ricercatorз – ha effettuato un sopralluogo giuridico a Nouakchott, Mauritania e a Dakar, Senegal.

      Il report restituisce il quadro ricostruito nel corso del sopralluogo, durante il quale è stato possibile intervistare oltre 45 interlocutori tra istituzioni, organizzazioni internazionali, ONG e persone migranti.

      https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania
      #rapport

    • Au Sénégal, les desseins de Frontex se heurtent aux résistances locales

      Tout semblait devoir aller très vite : début 2022, l’Union européenne propose de déployer sa force anti-migration Frontex sur les côtes sénégalaises, et le président Macky Sall y semble favorable. Mais c’était compter sans l’opposition de la société civile, qui refuse de voir le Sénégal ériger des murs à la place de l’Europe.

      Agents armés, navires, drones et systèmes de sécurité sophistiqués : Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes créée en 2004, a sorti le grand jeu pour dissuader les Africains de prendre la direction des îles Canaries – et donc de l’Europe –, l’une des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Cet arsenal, auquel s’ajoutent des programmes de formation de la police aux frontières, est la pierre angulaire de la proposition faite début 2022 par le Conseil de l’Europe au Sénégal. Finalement, Dakar a refusé de la signer sous la pression de la société civile, même si les négociations ne sont pas closes. Dans un climat politique incandescent à l’approche de l’élection présidentielle de 2024, le président sénégalais, Macky Sall, soupçonné de vouloir briguer un troisième mandat, a préféré prendre son temps et a fini par revenir sur sa position initiale, qui semblait ouverte à cette collaboration. Dans le même temps, la Mauritanie voisine, elle, a entamé des négociations avec Bruxelles.

      L’histoire débute le 11 février 2022 : lors d’une conférence de presse à Dakar, la commissaire aux Affaires intérieures du Conseil de l’Europe, Ylva Johansson, officialise la proposition européenne de déployer Frontex sur les côtes sénégalaises. « C’est mon offre et j’espère que le gouvernement sénégalais sera intéressé par cette opportunité unique », indique-t-elle. En cas d’accord, elle annonce que l’agence européenne sera déployée dans le pays au plus tard au cours de l’été 2022. Dans les jours qui ont suivi l’annonce de Mme Johansson, plusieurs associations de la société civile sénégalaise ont organisé des manifestations et des sit-in à Dakar contre la signature de cet accord, jugé contraire aux intérêts nationaux et régionaux.

      Une frontière déplacée vers la côte sénégalaise

      « Il s’agit d’un #dispositif_policier très coûteux qui ne permet pas de résoudre les problèmes d’immigration tant en Afrique qu’en Europe. C’est pourquoi il est impopulaire en Afrique. Frontex participe, avec des moyens militaires, à l’édification de murs chez nous, en déplaçant la frontière européenne vers la côte sénégalaise. C’est inacceptable, dénonce Seydi Gassama, le directeur exécutif d’Amnesty International au Sénégal. L’UE exerce une forte pression sur les États africains. Une grande partie de l’aide européenne au développement est désormais conditionnée à la lutte contre la migration irrégulière. Les États africains doivent pouvoir jouer un rôle actif dans ce jeu, ils ne doivent pas accepter ce qu’on leur impose, c’est-à-dire des politiques contraires aux intérêts de leurs propres communautés. » Le défenseur des droits humains rappelle que les transferts de fonds des migrants pèsent très lourd dans l’économie du pays : selon les chiffres de la Banque mondiale, ils ont atteint 2,66 milliards de dollars (2,47 milliards d’euros) au Sénégal en 2021, soit 9,6 % du PIB (presque le double du total de l’aide internationale au développement allouée au pays, de l’ordre de 1,38 milliard de dollars en 2021). « Aujourd’hui, en visitant la plupart des villages sénégalais, que ce soit dans la région de Fouta, au Sénégal oriental ou en Haute-Casamance, il est clair que tout ce qui fonctionne – hôpitaux, dispensaires, routes, écoles – a été construit grâce aux envois de fonds des émigrés », souligne M. Gassama.

      « Quitter son lieu de naissance pour aller vivre dans un autre pays est un droit humain fondamental, consacré par l’article 13 de la Convention de Genève de 1951, poursuit-il. Les sociétés capitalistes comme celles de l’Union européenne ne peuvent pas dire aux pays africains : “Vous devez accepter la libre circulation des capitaux et des services, alors que nous n’acceptons pas la libre circulation des travailleurs”. » Selon lui, « l’Europe devrait garantir des routes migratoires régulières, quasi inexistantes aujourd’hui, et s’attaquer simultanément aux racines profondes de l’exclusion, de la pauvreté, de la crise démocratique et de l’instabilité dans les pays d’Afrique de l’Ouest afin d’offrir aux jeunes des perspectives alternatives à l’émigration et au recrutement dans les rangs des groupes djihadistes ».

      Depuis le siège du Forum social sénégalais (FSS), à Dakar, Mamadou Mignane Diouf abonde : « L’UE a un comportement inhumain, intellectuellement et diplomatiquement malhonnête. » Le coordinateur du FSS cite le cas récent de l’accueil réservé aux réfugiés ukrainiens ayant fui la guerre, qui contraste avec les naufrages incessants en Méditerranée et dans l’océan Atlantique, et avec la fermeture des ports italiens aux bateaux des ONG internationales engagées dans des opérations de recherche et de sauvetage des migrants. « Quel est ce monde dans lequel les droits de l’homme ne sont accordés qu’à certaines personnes en fonction de leur origine ?, se désole-t-il. À chaque réunion internationale sur la migration, nous répétons aux dirigeants européens que s’ils investissaient un tiers de ce qu’ils allouent à Frontex dans des politiques de développement local transparentes, les jeunes Africains ne seraient plus contraints de partir. » Le budget total alloué à Frontex, en constante augmentation depuis 2016, a dépassé les 754 millions d’euros en 2022, contre 535 millions l’année précédente.
      Une des routes migratoires les plus meurtrières

      Boubacar Seye, directeur de l’ONG Horizon sans Frontières, parle de son côté d’une « gestion catastrophique et inhumaine des frontières et des phénomènes migratoires ». Selon les estimations de l’ONG espagnole Caminando Fronteras, engagée dans la surveillance quotidienne de ce qu’elle appelle la « nécro-frontière ouest-euro-africaine », entre 2018 et 2022, 7 865 personnes originaires de 31 pays différents, dont 1 273 femmes et 383 enfants, auraient trouvé la mort en tentant de rejoindre les côtes espagnoles des Canaries à bord de pirogues en bois et de canots pneumatiques cabossés – soit une moyenne de 6 victimes chaque jour. Il s’agit de l’une des routes migratoires les plus dangereuses et les plus meurtrières au monde, avec le triste record, ces cinq dernières années, d’au moins 250 bateaux qui auraient coulé avec leurs passagers à bord. Le dernier naufrage connu a eu lieu le 2 octobre 2022. Selon le récit d’un jeune Ivoirien de 27 ans, seul survivant, le bateau a coulé après neuf jours de mer, emportant avec lui 33 vies.

      Selon les chiffres fournis par le ministère espagnol de l’Intérieur, environ 15 000 personnes sont arrivées aux îles Canaries en 2022 – un chiffre en baisse par rapport à 2021 (21 000) et 2020 (23 000). Et pour cause : la Guardia Civil espagnole a déployé des navires et des hélicoptères sur les côtes du Sénégal et de la Mauritanie, dans le cadre de l’opération « Hera » mise en place dès 2006 (l’année de la « crise des pirogues ») grâce à des accords de coopération militaire avec les deux pays africains, et en coordination avec Frontex.

      « Les frontières de l’Europe sont devenues des lieux de souffrance, des cimetières, au lieu d’être des entrelacs de communication et de partage, dénonce Boubacar Seye, qui a obtenu la nationalité espagnole. L’Europe se barricade derrière des frontières juridiques, politiques et physiques. Aujourd’hui, les frontières sont équipées de moyens de surveillance très avancés. Mais, malgré tout, les naufrages et les massacres d’innocents continuent. Il y a manifestement un problème. » Une question surtout le hante : « Combien d’argent a-t-on injecté dans la lutte contre la migration irrégulière en Afrique au fil des ans ? Il n’y a jamais eu d’évaluation. Demander publiquement un audit transparent, en tant que citoyen européen et chercheur, m’a coûté la prison. » L’activiste a été détenu pendant une vingtaine de jours en janvier 2021 au Sénégal pour avoir osé demander des comptes sur l’utilisation des fonds européens. De la fenêtre de son bureau, à Dakar, il regarde l’océan et s’alarme : « L’ère post-Covid et post-guerre en Ukraine va générer encore plus de tensions géopolitiques liées aux migrations. »
      Un outil policier contesté à gauche

      Bruxelles, novembre 2022. Nous rencontrons des professeurs, des experts des questions migratoires et des militants belges qui dénoncent l’approche néocoloniale des politiques migratoires de l’Union européenne (UE). Il est en revanche plus difficile d’échanger quelques mots avec les députés européens, occupés à courir d’une aile à l’autre du Parlement européen, où l’on n’entre que sur invitation. Quelques heures avant la fin de notre mission, nous parvenons toutefois à rencontrer Amandine Bach, conseillère politique sur les questions migratoires pour le groupe parlementaire de gauche The Left. « Nous sommes le seul parti qui s’oppose systématiquement à Frontex en tant qu’outil policier pour gérer et contenir les flux migratoires vers l’UE », affirme-t-elle.

      Mme Bach souligne la différence entre « statut agreement » (accord sur le statut) et « working arrangement » (arrangement de travail) : « Il ne s’agit pas d’une simple question juridique. Le premier, c’est-à-dire celui initialement proposé au Sénégal, est un accord formel qui permet à Frontex un déploiement pleinement opérationnel. Il est négocié par le Conseil de l’Europe, puis soumis au vote du Parlement européen, qui ne peut que le ratifier ou non, sans possibilité de proposer des amendements. Le second, en revanche, est plus symbolique qu’opérationnel et offre un cadre juridique plus simple. Il n’est pas discuté par le Parlement et n’implique pas le déploiement d’agents et de moyens, mais il réglemente la coopération et l’échange d’informations entre l’agence européenne et les États tiers. » Autre différence substantielle : seul l’accord sur le statut peut donner – en fonction de ce qui a été négocié entre les parties – une immunité partielle ou totale aux agents de Frontex sur le sol non européen. L’agence dispose actuellement de tels accords dans les Balkans, avec des déploiements en Serbie et en Albanie (d’autres accords seront bientôt opérationnels en Macédoine du Nord et peut-être en Bosnie, pays avec lequel des négociations sont en cours).

      Cornelia Ernst (du groupe parlementaire The Left), la rapporteuse de l’accord entre Frontex et le Sénégal nommée en décembre 2022, va droit au but : « Je suis sceptique, j’ai beaucoup de doutes sur ce type d’accord. La Commission européenne ne discute pas seulement avec le Sénégal, mais aussi avec la Mauritanie et d’autres pays africains. Le Sénégal est un pays de transit pour les réfugiés de toute l’Afrique de l’Ouest, et l’UE lui offre donc de l’argent dans l’espoir qu’il accepte d’arrêter les réfugiés. Nous pensons que cela met en danger la liberté de circulation et d’autres droits sociaux fondamentaux des personnes, ainsi que le développement des pays concernés, comme cela s’est déjà produit au Soudan. » Et d’ajouter : « J’ai entendu dire que le Sénégal n’est pas intéressé pour le moment par un “statut agreement”, mais n’est pas fermé à un “working arrangement” avec Frontex, contrairement à la Mauritanie, qui négocie un accord substantiel qui devrait prévoir un déploiement de Frontex. »

      Selon Mme Ernst, la stratégie de Frontex consiste à envoyer des agents, des armes, des véhicules, des drones, des bateaux et des équipements de surveillance sophistiqués, tels que des caméras thermiques, et à fournir une formation aux gardes-frontières locaux. C’est ainsi qu’ils entendent « protéger » l’Europe en empêchant les réfugiés de poursuivre leur voyage. La question est de savoir ce qu’il adviendra de ces réfugiés bloqués au Sénégal ou en Mauritanie en cas d’accord.
      Des rapports accablants

      Principal outil de dissuasion développé par l’UE en réponse à la « crise migratoire » de 2015-2016, Frontex a bénéficié en 2019 d’un renforcement substantiel de son mandat, avec le déploiement de 10 000 gardes-frontières prévu d’ici à 2027 (ils sont environ 1 500 aujourd’hui) et des pouvoirs accrus en matière de coopération avec les pays non européens, y compris ceux qui ne sont pas limitrophes de l’UE. Mais les résultats son maigres. Un rapport de la Cour des comptes européenne d’août 2021 souligne « l’inefficacité de Frontex dans la lutte contre l’immigration irrégulière et la criminalité transfrontalière ». Un autre rapport de l’Office européen de lutte antifraude (Olaf), publié en mars 2022, a quant à lui révélé des responsabilités directes et indirectes dans des « actes de mauvaise conduite » à l’encontre des exilés, allant du harcèlement aux violations des droits fondamentaux en Grèce, en passant par le refoulement illégal de migrants dans le cadre d’opérations de rapatriement en Hongrie.

      Ces rapports pointent du doigt les plus hautes sphères de Frontex, tout comme le Frontex Scrutiny Working Group (FSWG), une commission d’enquête créée en février 2021 par le Parlement européen dans le but de « contrôler en permanence tous les aspects du fonctionnement de Frontex, y compris le renforcement de son rôle et de ses ressources pour la gestion intégrée des frontières et l’application correcte du droit communautaire ». Ces révélations ont conduit, en mars 2021, à la décision du Parlement européen de suspendre temporairement l’extension du budget de Frontex et, en mai 2022, à la démission de Fabrice Leggeri, qui était à la tête de l’agence depuis 2015.
      Un tabou à Dakar

      « Actuellement aucun cadre juridique n’a été défini avec un État africain », affirme Frontex. Si dans un premier temps l’agence nous a indiqué que les discussions avec le Sénégal étaient en cours – « tant que les négociations sur l’accord de statut sont en cours, nous ne pouvons pas les commenter » (19 janvier 2023) –, elle a rétropédalé quelques jours plus tard en précisant que « si les négociations de la Commission européenne avec le Sénégal sur un accord de statut n’ont pas encore commencé, Frontex est au courant des négociations en cours entre la Commission européenne et la Mauritanie » (1er février 2023).

      Interrogé sur les négociations avec le Sénégal, la chargée de communication de Frontex, Paulina Bakula, nous a envoyé par courriel la réponse suivant : « Nous entretenons une relation de coopération étroite avec les autorités sénégalaises chargées de la gestion des frontières et de la lutte contre la criminalité transfrontalière, en particulier avec la Direction générale de la police nationale, mais aussi avec la gendarmerie, l’armée de l’air et la marine. » En effet, la coopération avec le Sénégal a été renforcée avec la mise en place d’un officier de liaison Frontex à Dakar en janvier 2020. « Compte tenu de la pression continue sur la route Canaries-océan Atlantique, poursuit Paulina Bakula, le Sénégal reste l’un des pays prioritaires pour la coopération opérationnelle de Frontex en Afrique de l’Ouest. Cependant, en l’absence d’un cadre juridique pour la coopération avec le Sénégal, l’agence a actuellement des possibilités très limitées de fournir un soutien opérationnel. »

      Interpellée sur la question des droits de l’homme en cas de déploiement opérationnel en Afrique de l’Ouest, Paulina Bakula écrit : « Si l’UE conclut de tels accords avec des partenaires africains à l’avenir, il incombera à Frontex de veiller à ce qu’ils soient mis en œuvre dans le plein respect des droits fondamentaux et que des garanties efficaces soient mises en place pendant les activités opérationnelles. »

      Malgré des demandes d’entretien répétées durant huit mois, formalisées à la fois par courriel et par courrier, aucune autorité sénégalaise n’a accepté de répondre à nos questions. « Le gouvernement est conscient de la sensibilité du sujet pour l’opinion publique nationale et régionale, c’est pourquoi il ne veut pas en parler. Et il ne le fera probablement pas avant les élections présidentielles de 2024 », confie, sous le couvert de l’anonymat, un homme politique sénégalais. Il constate que la question migratoire est devenue, ces dernières années, autant un ciment pour la société civile qu’un tabou pour la classe politique ouest-africaine.

      https://afriquexxi.info/Au-Senegal-les-desseins-de-Frontex-se-heurtent-aux-resistances-locales
      #conditionnalité #conditionnalité_de_l'aide_au_développement #remittances #résistance

    • What is Frontex doing in Senegal? Secret services also participate in their network of “#Risk_Analysis_Cells

      Frontex has been allowed to conclude stationing agreements with third countries since 2016. However, the government in Dakar does not currently want to allow EU border police into the country. Nevertheless, Frontex has been active there since 2006.

      When Frontex was founded in 2004, the EU states wrote into its border agency’s charter that it could only be deployed within the Union. With developments often described as the “refugee crisis,” that changed in the new 2016 regulation, which since then has allowed the EU Commission to negotiate agreements with third countries to send Frontex there. So far, four Balkan states have decided to let the EU migration defense agency into the country – Bosnia and Herzegovina could become the fifth candidate.

      Frontex also wanted to conclude a status agreement with Senegal based on this model (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t). In February 2022, the EU Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, announced that such a treaty would be ready for signing by the summer (https://www.france24.com/en/live-news/20220211-eu-seeks-to-deploy-border-agency-to-senegal). However, this did not happen: Despite high-level visits from the EU (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t), the government in Dakar is apparently not even prepared to sign a so-called working agreement. It would allow authorities in the country to exchange personal data with Frontex.

      Senegal is surrounded by more than 2,600 kilometers of external border; like neighboring Mali, Gambia, Guinea and Guinea-Bissau, the government has joined the Economic Community of West African States (ECOWAS). Similar to the Schengen area, the agreement also regulates the free movement of people and goods in a total of 15 countries. Senegal is considered a safe country of origin by Germany and other EU member states like Luxembourg.

      Even without new agreements, Frontex has been active on migration from Senegal practically since its founding: the border agency’s first (and, with its end in 2019, longest) mission started in 2006 under the name “#Hera” between West Africa and the Canary Islands in the Atlantic (https://www.statewatch.org/media/documents/analyses/no-307-frontex-operation-hera.pdf). Border authorities from Mauritania were also involved. The background to this was the sharp increase in crossings from the countries at the time, which were said to have declined successfully under “Hera.” For this purpose, Frontex received permission from Dakar to enter territorial waters of Senegal with vessels dispatched from member states.

      Senegal has already been a member of the “#Africa-Frontex_Intelligence_Community” (#AFIC) since 2015. This “community”, which has been in existence since 2010, aims to improve Frontex’s risk analysis and involves various security agencies to this end. The aim is to combat cross-border crimes, which include smuggling as well as terrorism. Today, 30 African countries are members of AFIC. Frontex has opened an AFIC office in five of these countries, including Senegal since 2019 (https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/frontex-opens-risk-analysis-cell-in-senegal-6nkN3B). The tasks of the Frontex liaison officer stationed there include communicating with the authorities responsible for border management and assisting with deportations from EU member states.

      The personnel of the national “Risk Analysis Cells” are trained by Frontex. Their staff are to collect strategic data on crime and analyze their modus operandi, EU satellite surveillance is also used for this purpose (https://twitter.com/matthimon/status/855425552148295680). Personal data is not processed in the process. From the information gathered, Frontex produces, in addition to various dossiers, an annual situation report, which the agency calls an “#Pre-frontier_information_picture.”

      Officially, only national law enforcement agencies participate in the AFIC network, provided they have received a “mandate for border management” from their governments. In Senegal, these are the National Police and the Air and Border Police, in addition to the “Department for Combating Trafficking in Human Beings and Similar Practices.” According to the German government, the EU civil-military missions in Niger and Libya are also involved in AFIC’s work.

      Information is not exchanged with intelligence services “within the framework of AFIC activities by definition,” explains the EU Commission in its answer to a parliamentary question. However, the word “by definition” does not exclude the possibility that they are nevertheless involved and also contribute strategic information. In addition, in many countries, police authorities also take on intelligence activities – quite differently from how this is regulated in Germany, for example, in the separation requirement for these authorities. However, according to Frontex’s response to a FOIA request, intelligence agencies are also directly involved in AFIC: Morocco and Côte d’Ivoire send their domestic secret services to AFIC meetings, and a “#Center_for_Monitoring_and_Profiling” from Senegal also participates.

      Cooperation with Senegal is paying off for the EU: Since 2021, the total number of arrivals of refugees and migrants from Senegal via the so-called Atlantic route as well as the Western Mediterranean route has decreased significantly. The recognition rate for asylum seekers from the country is currently around ten percent in the EU.

      https://digit.site36.net/2023/08/27/what-is-frontex-doing-in-senegal-secret-services-also-participate-in-t
      #services_de_renseignement #données #services_secrets

  • Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani

    Nei #Centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio le persone ristrette vengono “tenute buone” tramite un uso dei medicinali arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico. Dati inediti mostrano la gravità del fenomeno. Da Milano a Roma

    “Mentre sono addormentati o storditi, le loro richieste diminuiscono: così le persone trattenute nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) non mangiano, non fanno ‘casino’, vengono rimpatriate e non pretendono i propri diritti. E soprattutto l’ente gestore risparmia, perché gli psicofarmaci costano poco. Il cibo e una persona ‘attiva’, invece, molto di più”. Il racconto di Matteo, nome di fantasia di un operatore che ha lavorato diversi mesi in un Cpr, è confermato da dati inediti ottenuti da Altreconomia e che fotografano un utilizzo elevatissimo di questi farmaci all’interno dei centri di tutta Italia. Una “macchina per le espulsioni” -dove “l’essere umano scompare e restano solo i soldi”, racconta Matteo- a cui il Governo Meloni non vuole rinunciare. Nell’ultima legge di Bilancio sono stati previsti più di 42,5 milioni di euro per l’ampliamento entro il 2025 della rete dei nove Cpr già attivi e il nuovo decreto sull’immigrazione licenziato a marzo 2023, appena dopo i fatti di Cutro, prevede procedure semplificate per la costruzione di nuove strutture, con l’obiettivo di realizzarne almeno una per Regione. Questo nonostante le percentuali dei rimpatri a seguito del trattenimento siano bassissime mentre incalcolabile è il prezzo pagato in termini di salute dalle oltre cinquemila persone che nel 2021 sono transitate nei centri.

    Per confrontare i dati ottenuti sulla spesa in farmaci effettuata dagli enti gestori delle strutture, abbiamo chiesto le stesse informazioni al Centro salute immigrati (Isi) di Vercelli, il servizio delle Asl che in Piemonte prende in carico le persone senza regolare permesso di soggiorno (non iscrivili quindi al sistema sanitario nazionale) e segue una popolazione simile a quella dei trattenuti del Cpr anche per età (15-45 anni), provenienza e condizione di “irregolarità”. A Vercelli la spesa in psicofarmaci rappresenta lo 0,6% del totale: al Cpr di via Corelli a Milano, invece, questa cifra è 160 volte più alta (il 64%), al “Brunelleschi” di Torino 110 (44%), a Roma 127,5 (51%), a Caltanissetta Pian del Lago 30 (12%) e a Macomer 25 (10%).

    Numeri problematici non solo per l’incidenza degli psicofarmaci sul totale ma anche per la tipologia, all’interno di una filiera difficile da ricostruire e che coinvolge tre attori: l’azienda sanitaria locale, la prefettura e l’ente gestore a cui è affidata, tramite bando, la gestione del centro. “A differenza della realtà carceraria, nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il sistema sanitario nazionale, bensì al personale assunto dagli enti gestori il cui ruolo di monitoraggio si è dimostrato carente, se non assente”, spiega Nicola Cocco, medico ed esperto di detenzione amministrativa.

    Grazie ai dati raccolti dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e dall’associazione di volontariato Naga relativi ai farmaci acquistati per il Cpr di Milano tra ottobre 2021 e febbraio 2022, sappiamo però che in cinque mesi la spesa in psicofarmaci è superiore al 60% del totale, di cui oltre la metà ha riguardato il Rivotril (196 scatole): farmaco autorizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) come antiepilettico ma usato ampiamente come sedativo.

    Nel primo caso necessiterebbe una prescrizione ad hoc ma le visite psichiatriche effettuate alle persone trattenute nei mesi che vanno da ottobre 2021 a dicembre 2022 sono solo otto. In alternativa, un utilizzo del farmaco diverso rispetto a quello per cui è stato autorizzato dovrebbe avvenire solo previo consenso informato della persona a cui viene somministrato. “Chiedevano a me, operatore, di darlo, ma io mi rifiutavo perché non potevo farlo, non sono né un medico né un infermiere: i più giovani non sanno neanche che cosa sia questo medicinale ma no, non ho mai visto nessuna acquisizione del consenso”, racconta Matteo. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. “L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno dei Cpr è troppo spesso arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico e sulla cura degli individui trattenuti, concorrendo ad aggravare la patogenicità di questi luoghi di detenzione”, osserva Cocco.

    Si registra inoltre un elevato consumo di derivati delle benzodiazepine, che dovrebbero essere utilizzate quando i disturbi d’ansia o insonnia sono gravi. A Roma in tre anni (2019, 2020 e 2021) sono state acquistate 3.480 compresse di Tavor su un totale di 2.812 trattenuti, cui si aggiungono, tra gli altri, 270 flaconi di Tranquirit da 20 millilitri e 185 fiale intramuscolo di Valium. Gli stessi farmaci li ritroviamo a Caltanissetta: 2.180 pastiglie di Tavor (più 29 fiale) tra il 2021 e il 2022; Zoloft (antidepressivo, 180 compresse); Valium e Bromazepam. Simile la situazione a Milano: tra ottobre 2021 e febbraio 2022 sono state acquistate, tra le altre, 27 scatole di Diazepam e 32 di Zoloft. Una “misura” del malessere che si vive nei centri è dato anche dall’alta spesa in paracetamolo, antidolorifici, gastroprotettori e farmaci per dolori intestinali. Un esempio su tutti: a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo “normale” ne prevede al massimo 15.

    Un quadro eloquente in cui è fortemente problematica la compatibilità tra la permanenza della persona nel centro e l’assunzione di farmaci che prevedono precisi piani terapeutici. Qui entrano in gioco anche i professionisti assunti dall’ente gestore, che devono effettuare lo screening con cui si valuta lo stato di salute della persona trattenuta e l’eventuale necessità di visite specialistiche o terapie specifiche.

    A Milano gli psicofarmaci pesano per il 64% sul totale della spesa sanitaria. A Torino per il 44%, a Roma per il 51%. All’Isi di Vercelli appena per lo 0,6%

    Infatti, come previsto dallo schema di capitolato che disciplina i contratti d’appalto legati alla gestione dei Cpr italiani, “sono in ogni caso assicurati la visita medica d’ingresso [screening, ndr] nonché, al ricorrere delle esigenze, la somministrazione di farmaci e altre spese mediche”. Non è chiaro però, né dal capitolato né dalla nuova direttiva che regola diversi aspetti del funzionamento dei centri siglata il 19 maggio 2022 dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al ministero dell’Interno, quali siano le modalità con cui avviene la somministrazione di farmaci e chi effettivamente si faccia carico dei relativi costi.

    Dunque ogni Cpr (e quindi ogni ente gestore e ogni prefettura) adotta le proprie prassi, anche in virtù dell’esistenza o meno di protocolli con le Asl che gli uffici del governo sarebbero obbligate a stipulare. Una disomogeneità che genera scarsa trasparenza. Un altro caso di scuola: a Milano la prefettura chiarisce come “i farmaci acquistati dall’ente gestore sono prescritti da personale sanitario dotato di ricettario del Servizio sanitario nazionale, in capo al quale ricadono i relativi costi”. L’Asl a sua volta, ricordando l’esistenza di un protocollo d’intesa stipulato con la Prefettura, riporta che i medici del Cpr possono avvalersi del ricettario regionale per tutto un elenco di prestazioni, ma “non per la prescrizione di farmaci ai cittadini stranieri irregolari”. Un cortocircuito.

    Se anche i farmaci venissero forniti seguendo attente prescrizioni e piani terapeutici il problema sarebbe comunque la compatibilità del trattenimento con le patologie delle persone. I “trattenuti” accedono infatti nei Cpr solamente dopo una “visita di idoneità alla vita in comunità ristretta”, che dovrebbe sempre essere svolta da un medico della Asl o dall’azienda ospedaliera. Secondo quanto stabilito dalla citata direttiva del maggio 2022 la visita di idoneità serve a escludere “patologie evidenti come malattie infettive contagiose, disturbi psichiatrici, patologie acute o cronico degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”.

    La presenza tra le “spese” di antipsicotici, antiepilettici o di creme e gel che curano, ad esempio, la scabbia, sembra quindi un “controsenso”. “Se non si può arrivare a parlare di incompatibilità assoluta è perché il regolamento è un riferimento normativo secondario -sottolinea Maurizio Veglio, avvocato di Torino e socio dell’Asgi specializzato in materia di detenzione amministrativa-. Se una prescrizione legislativa specifica che persone con determinate patologie non possono stare nel centro e poi abbiamo percentuali di spesa così alte per farmaci ‘congruenti’ con quel profilo c’è una frizione molto forte”.

    “Nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il Ssn, bensì al personale assunto dagli enti gestori” – Nicola Cocco

    Una frizione che si traduce, concretamente, nella presenza di farmaci acquistati in diversi Cpr come Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nella terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta), piuttosto che il Rivotril. A Macomer, in provincia di Nuoro, l’ente gestore Ors Italia in una comunicazione rivolta alla prefettura il 9 settembre 2020 di cui abbiamo ottenuto copia scrive che la “comunità di persone trattenute è caratterizzata da soggetti con le più svariate criticità […]: tossicodipendenza, soggetti con doppia diagnosi (dipendenza e patologia psichiatrica, ndr), pazienti affetti da patologie dermatologiche”. Uomini e donne per cui non è problematizzato l’ingresso o meno nel centro. E il Servizio per le dipendenze patologiche territoriale (Serd), dal canto suo, ci ha fornito i piani di trattamento degli ultimi tre anni.

    Il metadone è presente anche nelle spese di Torino (circa 1.150 euro in quattro anni). Sempre nel capoluogo piemontese, nello stesso periodo, la spesa per la Permetrina, un gel antiscabbia, è di quasi 2.800 euro; una voce che si ritrova anche a Milano e Caltanissetta dove, nel 2022, sono stati acquistati 109 tubetti di Scabianil mentre a Roma, nel 2020, troviamo un farmaco per la tubercolosi (50 compresse di Nicozid). In tutti i Cpr in analisi troviamo anche antimicotici, legati a infezioni fungine (dermatologiche o sistemiche). “Se non c’è incompatibilità assoluta, l’idoneità non può essere valutata su una ‘normale’ vita comunitaria, ma va ‘calibrata’ sulla specificità di quello che sono quelle strutture -conclude Veglio-. A Torino, prima della sua momentanea chiusura a inizio marzo 2023 dormivano sette persone in 35 metri quadrati”. Luoghi definiti eufemisticamente come “non gradevoli” dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a metà marzo 2023 a commento delle nuove regole sull’ampliamento della rete dei centri rispetto a cui le informazioni sono spesso frammentate o mancanti.

    Un tema che ritorna anche rispetto alla spesa sui farmaci. Due esempi: a Palazzo San Gervasio, struttura situata in provincia di Potenza e gestita da Engel Italia, secondo l’Asl nel 2022 la spesa totale è pari ad appena 34 euro (un dato costante dal 2018 in avanti) senza la presenza di psicofarmaci o antipsicotici. Un quadro diverso da quello descritto dai medici operanti all’interno del Centro che, secondo quanto riportato dall’Asgi in un report pubblicato nel giugno 2022, dichiaravano un “massiccio utilizzo di psicofarmaci (Rivotril e Ansiolin) da parte dei trattenuti”. Un copione che si ripete anche per il centro di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, già finito sotto i riflettori degli inquirenti. A metà gennaio 2023 è iniziato infatti il processo per la morte di Vakhtang Enukidze, 37 anni originario della Georgia, avvenuta il 18 gennaio 2020.

    Vakhtang Enukidze è morto nel Cpr di Gradisca d’Isonzo il 18 gennaio 2020 per edema polmonare e cerebrale causato da un cocktail di farmaci e stupefacenti

    Come ricostruito sul quotidiano Domani, l’autopsia ha accertato che la causa della morte è edema polmonare e cerebrale per un cocktail di farmaci e stupefacenti. Pochi mesi dopo, il 20 luglio 2020, Orgest Turia, 28enne originario dell’Albania, è morto per overdose di metadone. Due morti che danno ancor più rilevanza all’accesso ai dati. Ma sia l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) sia la prefettura di Gorizia riferiscono ad Altreconomia di non averli a disposizione. In particolare, l’ufficio del governo sottolinea che “l’erogazione dei servizi non avviene tramite rendicontazione delle spese mediche affrontate”. Citando la “documentazione di gara” si specifica che le spese per i farmaci sono ricomprese “nell’ammontare pro-capite pro-die riconosciuto contrattualmente”. Buio pesto anche a Brindisi, Trapani e Bari.

    Qualche tribunale inizia però a fare luce. È il caso di Milano, dove a fine gennaio 2023 la giudice Elena Klindani non ha convalidato il prolungamento della detenzione di un ragazzo di 19 anni, rinchiuso in via Corelli da cinque mesi, perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Altro che “luogo non gradevole”.

    https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani
    #rétention #détention_administrative #Italie #CPR #asile #migrations #sans-papiers #médicaments #psychotropes #données #chiffres #cartographie #visualisation #renvois #expulsions #coût #Rivotril #sédatif #Clonazepam #benzodiazépines #Tavor #Tranquirit #Valium #Zoloft #Bromazepam #Buscopan #Quetiapina #Olanzapina #Depakin #méthadone #Permetrina #Scabianil #Nicozid #Ansiolin

    • Condizioni di detenzione nei Centri per il Rimpatrio - Conferenza stampa di #Riccardo_Magi
      https://webtv.camera.it/evento/22168

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      “Rinchiusi e sedati” alla Camera dei deputati grazie a @riccardomagi e @cucchi_ilaria che chiedono “spiegazioni urgenti” al ministro Piantedosi sull’abuso di psicofarmaci all’interno dei Cpr denunciato dall’inchiesta: “La verità è una sola, questi luoghi vanno chiusi”

      https://twitter.com/rondi_luca/status/1644003698765381632

    • “Perché i Centri di permanenza per il rimpatrio devono indignare”

      L’avvocata Giulia Vicini, socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, conosce bene i Cpr e le condizioni di vita di chi vi è trattenuto. In particolare in quello di via Corelli a Milano. Luoghi di privazione della libertà, con garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere. Stigmi cittadini. Il suo racconto

      Cpr. A dispetto del nome e dei nomi che lo hanno preceduto -Centro di permanenza temporanea (Cpt), Centro di identificazione ed espulsione (Cie), e ora l’acronimo sta per Centro di permanenza per il rimpatrio- si tratta di un luogo di privazione della libertà personale. La stessa struttura di questi centri lo dimostra: alte mura, filo spinato e telecamere sul perimetro. Presidio costante di almeno quattro corpi di forze dell’ordine: esercito, carabinieri, polizia di Stato e Guardia di Finanza.

      I francesi hanno trovato un nome per diversificare la privazione della libertà personale dei cittadini stranieri in attesa di rimpatrio dalla detenzione nelle carceri ed è “retention”. In Italia si parla di trattenimento amministrativo. Come lo si voglia chiamare, si tratta della stessa privazione della libertà personale a cui sono sottoposti coloro che sono stati condannati per avere commesso dei reati. Chi sta nel Cpr non può andare da nessuna parte e risponde a regole che sono proprie del carcere, nonostante siano diversi i presupposti per il trattenimento e anche le garanzie e le tutele del trattenuto.

      I trattenuti nel Cpr sono cittadini stranieri in attesa dell’espletamento delle procedure di esecuzione di un rimpatrio forzato. Tra i presupposti (quantomeno quelli previsti dalla legge) per il trattenimento presso il Cpr vi è quindi anzitutto di non avere o non avere più un titolo per soggiornare regolarmente nel territorio nazionale, un permesso di soggiorno. Prendendo in prestito uno degli alienanti nomi in voga nel dibattito pubblico, chi può essere trattenuto al Cpr è “irregolare”. O, peggio ancora, “clandestino”. Ma, sempre in forza delle norme di legge, l’irregolarità non è sufficiente perché si possa applicare la misura del trattenimento presso il Cpr. È anche necessario che lo straniero sia “espellibile”, che possa essere destinatario di un provvedimento di rimpatrio. Questo perché l’ordinamento nazionale prevede delle ipotesi in cui il cittadino straniero, pur non avendo un permesso di soggiorno, non può essere allontanato dal territorio nazionale. È il caso dei minori, delle donne in stato di gravidanza e -quantomeno fino alla recente riforma della protezione speciale- di coloro che avevano maturato in Italia dei legami famigliari o sociali significativi e degni di protezione.

      Ulteriore presupposto perché le autorità di pubblica sicurezza possano ricorrere al trattenimento è che il provvedimento di rimpatrio comminato possa essere eseguito con la forza. L’uso della forza e il trattenimento sono infatti previsti come ultima ratio per garantire l’esecuzione del rimpatrio. L’ordinamento disciplina delle misure alternative, meno afflittive della libertà personale, quali ad esempio l’obbligo di firma e il ritiro del passaporto.

      Questi i presupposti di legge. L’esperienza però ci mostra che nei Cpr vengono spesso trattenute persone inespellibili o che potrebbero avere accesso a misure alternative. Quello che è certo è che chi è trattenuto presso il Cpr non ha commesso alcun reato, o quantomeno non è trattenuto per avere commesso un reato. Il suo trattenimento è unicamente finalizzato a consentire alle autorità di pubblica sicurezza di rimuoverlo forzatamente dal territorio.

      Che il trattenimento nel Cpr non sia conseguenza di alcun reato è tanto più evidente se si considera che anche chi vi è trattenuto dopo avere espiato una pena in carcere non lo è per “pagare” una pena -appunto già pagata altrove- ma per essere identificato, in un sistema che si rivela incapace, o forse disinteressato a procedere all’identificazione e al riconoscimento durante la (spesso lunga) permanenza in carcere.

      Per riassumere, della popolazione del Cpr fanno parte coloro che entrano nel territorio senza un titolo per l’ingresso o il soggiorno o che entrano con un titolo trattenendosi però oltre la sua scadenza. Coloro che perdono un titolo di soggiorno spesso per cause non a loro imputabili, quali la perdita dell’occupazione. Ma anche i richiedenti asilo. Coloro che chiedono protezione internazionale perché in fuga da persecuzioni e guerre.

      Il decreto legge 20/2023 convertito in legge 50/2023 ha peraltro reso il trattenimento del richiedente asilo la norma ogni qualvolta la domanda è presentata “in frontiera”. Dove il concetto di frontiera si amplia a dismisura ricomprendendo territori scelti senza alcuna apparente ragione (si pensi ad esempio Matera) con la conseguenza che alla domanda di protezione presentata in questi territori seguirà un trattenimento. Le direttive europee prescrivono che il trattenimento del richiedente protezione debba rappresentare una misura eccezionale e che si debbano distinguere i luoghi di trattenimento perché diversi sono i presupposti e diverse le procedure e le garanzie. Nondimeno i richiedenti asilo possono essere trattenuti fino a dodici mesi negli stessi luoghi dei cittadini stranieri in attesa di esecuzione del rimpatrio.

      Quando e quanto si può essere trattenuti nel Cpr? Sul quando, si è già detto, lo straniero che viene portato al Cpr non è solo quello che è appena entrato in Italia ma anche quello che si trova nel territorio da moltissimi anni e che nel territorio ha costruito un percorso di vita. Sul quanto vale la pena interrogarsi perché la disciplina degli stessi termini del trattenimento dimostra l’esclusiva funzionalità alla conclusione di un procedimento -quello di espulsione- che molto spesso le autorità non portano a termine. La proroga del trattenimento, dopo i primi trenta giorni, può infatti essere consentita dal Giudice di pace solo se “l’accertamento dell’identità e della nazionalità ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà”. Il trattenimento può essere prorogato per altri trenta giorni solo se risulta probabile che il rimpatrio venga eseguito. Il trattenimento non solo è funzionale all’esecuzione del rimpatrio ma anche spesso determinato da inefficienze o ritardi della Pubblica amministrazione.

      Dove si consuma il trattenimento ai fini del rimpatrio? Nonostante le nostre preoccupazioni e la nostra indignazione riguardino spesso, legittimamente, i Cpr, gli stranieri destinatari di misure di rimpatrio vengono trattenuti anche negli aeroporti. In quella Malpensa in cui i titolari di passaporto italiano transitano senza alcun ostacolo e in cui i cittadini stranieri a cui si contesta di “non avere i documenti in regola” al momento del loro arrivo vengono trattenuti anche fino a otto giorni, in aree sterili, senza vedere la luce del giorno e senza avere accesso ai loro oggetti personali, e poi vengono “accompagnati” all’aereo che li riporta a casa. Dall’entrata in vigore del decreto legge 113/2018 è inoltre possibile trattenere presso dei locali all’interno delle questure in attesa di rimpatrio. E negli uffici di via Montebello della questura di Milano questi locali esistono e vengono comunemente utilizzati.

      Infine, quello che forse più deve indignare è come si svolge il trattenimento. Ai trattenuti nel Cpr sono riconosciute garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere, tanto nel procedimento che porta alla privazione della libertà, quanto nelle condizioni materiali di tale privazione. Il caso dell’utilizzo della forza pubblica per l’esecuzione del rimpatrio di cittadini stranieri è l’unico per cui -in alcune ipotesi- la legge nazionale esclude la necessità di una convalida giudiziaria. Questo vale per i respingimenti “immediati” ai valichi di frontiera e anche, con l’entrata in vigore del decreto legge 20/2023, per chi è destinatario di misure di espulsione di carattere penale. Anche dove una convalida giudiziaria è prevista, la stessa è molto al di sotto degli standard del giusto processo, con udienze che si svolgono da remoto, senza concedere ai legali adeguato tempo per conferire con l’assistito, e hanno una durata complessiva di poco più di un quarto d’ora. Nel procedimento di convalida, inoltre, opera spesso un’inversione de facto dell’onere della prova in cui lo straniero deve offrire prova documentale di tutto quello che deduce mentre sulle dichiarazioni rese dalla Questura, parte istante, si fa cieco affidamento.

      Quanto alle condizioni, l’ampia reportistica risultante dai sopralluoghi effettuati presso i Cpr è più che eloquente. Lo straniero trattenuto non riceve alcuna informativa sui diritti e sui servizi a cui ha titolo. Significativo è che lo stesso venga identificato e arrivando nella sala colloqui con l’avvocato si identifichi con un numero. Quando si iniziano a identificare le persone con i numeri la storia ci insegna che non si arriva mai a nulla di buono.

      https://altreconomia.it/perche-i-centri-di-permanenza-per-il-rimpatrio-devono-indignare

    • Abuso di psicofarmaci nei Cpr: perché la versione del ministro Piantedosi non sta in piedi

      Intervistato da Piazzapulita sulle terribili condizioni dei trattenuti nei Centri, il titolare del Viminale ha provato a confutare i risultati della nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati”. Ma le sue tesi non reggono: dalla presunta richiesta dei reclusi all’ipotizzata presenza solo di persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia

      Giovedì 25 maggio su La7 la trasmissione Piazzapulita (https://www.la7.it/piazzapulita/video/inchiesta-esclusiva-di-piazzapulita-violenze-e-psicofarmaci-ai-migranti-dentro-a) il servizio di Chiara Proietti D’Ambra ha mostrato immagini inedite sulle condizioni di vita delle persone recluse nei Centri di permanenza per il rimpatrio italiani (Cpr). Il lavoro si è concentrato sulle strutture di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) e palazzo San Gervasio (Potenza) dando conto anche dei risultati dell’inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata da Altreconomia ad aprile e che per la prima volta ha quantificato, dati alla mano, l’abuso di psicofarmaci in cinque delle nove strutture detentive attualmente attive in Italia.

      Le immagini e i dati sono stati mostrati anche al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha risposto alle domande della giornalista Roberta Benvenuto (https://www.la7.it/piazzapulita/video/piantedosi-se-cpr-gestiti-da-privati-in-modo-insoddisfacente-possibilita-di-gest). Risposte lacunose, giunte tra l’altro prima in televisione rispetto alle quattro interrogazioni parlamentari presentate più di un mese fa da diversi senatori e deputati e tuttora rimaste inevase.

      Il ministro ha spiegato di “escludere nella maniera più categorica che vi sia un orientamento della gestione dei Centri finalizzata alla sedazione di massa. C’è una richiesta da parte degli ospiti. Fare il confronto tra le prescrizioni all’esterno e all’interno delle strutture non ha senso perché è più facile che nei Cpr si concentrano persone per cui quel tipo di prescrizioni si rivela normale”. Come descritto nella nostra inchiesta, presentata alla Camera dei Deputati a inizio aprile con Riccardo Magi e Ilaria Cucchi, l’utilizzo di psicofarmaci rispetto a un servizio dell’Asl che prende in carico una popolazione simile è però spropositato: 160 volte in più a Milano, 127,5 a Roma, 60 a Torino e così via.

      Il confronto è nato esattamente dalla necessità di quantificare un utilizzo di cui neanche le prefetture hanno contezza per partire da un dato di realtà che vada oltre le testimonianze dei reclusi. Piantedosi dichiara che non è significativo questo confronto perché il “sovrautilizzo” è dovuto al fatto che all’interno dei centri vi sono delle persone per cui quei farmaci sono necessari. Ma nell’inchiesta abbiamo riscontrato un largo utilizzo di Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nel­la terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta); Rivotril.

      Se questi farmaci sono forniti tramite prescrizioni e non somministrati al di fuori di quanto previsto dal foglio illustrativo, significa nei centri si trovano persone con patologie psichiatriche gravi. Ma nel maggio 2022 una direttiva dello stesso ministero dell’Interno aveva specificato che la visita d’ingresso nel Centro per valutare l’idoneità alla “vita” in comunità ristretta nella struttura deve escludere “pato­logie evidenti come malattie infettive contagio­se, disturbi psichiatrici, patologie acute o croni­co degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”. Delle due l’una: o le persone non possono stare nei Centri per la loro condizione sanitaria, oppure i farmaci vengono forniti off-label, senza cioè seguire un preciso piano terapeutico.

      Nel centro di via Corelli a Milano, nonostante il 60% delle scatole di farmaci acquistate in cinque mesi sia stato di psicofarmaci, le visite psichiatriche svolte in quasi due anni (quindi un periodo più lungo) sono state appena otto. Un altro segnale inquietante sulle modalità di utilizzo di questi psicofarmaci.

      Va ricordato inoltre che all’interno dei Cpr la cura della salute non è affidata a medici che lavorano per il Sistema sanitario nazionale ma da personale assunto dagli enti gestori sulla base di convenzioni ad hoc con prefetture e aziende sanitarie locali. “Il ruolo del monitoraggio si è dimostrato carente se non assente. Il ricorso a specialisti psichiatri e centri di salute mentale, per quanto garantito dalla normativa vigente, risulta spesso difficoltoso dal punto di vista burocratico e poco utilizzato -ha spiegato ad Altreconomia il dottor Nicola Cocco, esperto di detenzione amministrativa-. L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno di molti Cpr è appannaggio del personale medico dell’ente gestore, che quasi sempre non ha alcune esperienza di presa in carico della patologia mentale e della dipendenza, tanto più in un contesto complesso come quello della detenzione amministrativa per persone migranti”.

      Questo aspetto è problematico anche rispetto alla “giustificazione” avanzata dal ministro Piantedosi rispetto alla richiesta da parte delle stesse persone recluse della somministrazione di questi farmaci. “Dal punto di vista medico la eventuale ‘richiesta’ dei trattenuti non giustifica nulla: gli psicofarmaci vengono somministrati a discrezione del personale sanitario. Sempre”, ricorda Elena Cacello, referente sanitaria del Centro salute immigrati di Vercelli (VC).

      La presunta richiesta dei reclusi -presentata come giustificazione risolutiva- conferma in realtà l’inefficienza del sistema. “Vi è spesso una gestione improvvisata di eventuali quadri di patologia mentale dei trattenuti -ribadisce Cocco-. Tale improvvisazione si manifesta attraverso la prescrizione arbitraria di psicofarmaci da parte dei medici degli enti gestori, in mancanza spesso di un percorso di presa in carico e cura, ma solo per la risoluzione del sintomo”. Un sintomo che, considerando che non può essere presente già all’ingresso nel Centro (che quindi dovrebbe escludere il trattenimento), insorge a causa delle pessime condizioni di vita nelle strutture -dove non è prevista alcuna attività, spesso neanche nella disponibilità del proprio telefono cellulare- e dettato anche dalla necessità di “tenere buoni” i reclusi. “Un altro aspetto può ‘spiegare’ questo sovrautilizzo di psicofarmaci a scopo sedativo o tranquillizzante funziona: la somministrazione funziona come una vera e propria ‘camicia di forza farmacologica’ nei confronti delle persone trattenute, al fine di evitare disordini e, non meno importante, l’intervento diretto delle forze di polizia; è evidente come in questo caso l’utilizzo degli psicofarmaci non ha una rilevanza clinica per le persone interessate, bensì di sostegno all’apparato di polizia”.

      Il ministro ha dichiarato poi che “all’interno dei Cpr tutte le prestazioni sanitarie sono nella normalità garantite, controllate e monitorate”. Un dato smentito da diverse testimonianze di avvocati e attivisti che si occupano di detenzione amministrativa ma soprattutto da sentenze di tribunali.

      Partiamo da quella della giudice Elena Klindani che a fine gennaio 2023 non ha prorogato il trattenimento di un ragazzo di 19 anni rinchiuso in via Corelli a Milano da cinque mesi perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Per avere una panoramica completa di quello che succede è utile leggere, tra gli altri, “Il Libro nero del Cpr di Torino”, a cura dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che racconta “quattro casi di ordinaria ferocia” di persone trattenute nel Cpr da Torino che danno conto dell’insufficiente garanzia rispetto alle cure sanitarie di cui necessitano i trattenuti e il lavoro di denuncia dell’Associazione Naga, con sede a Milano, che da diversi anni segnala la scarsa tutela della salute all’interno del centro di via corelli. E poi i lavori della rete Mai più Lager-No ai Cpr e di LasciateCIEntrare.

      Moussa Balde, Wissem Abdel Latif, Vakhtang Enukidze sono solo alcuni dei nomi delle oltre 30 persone morte nei Cpr. Sul suicidio di Balde e di Enukidze sono tutt’ora in corso procedimenti penali, rispettivamente a Torino e a Trieste, per accertare le responsabilità di chi aveva in custodia i due giovani. Di fronte a questo quadro il titolare del Viminale ha parlato di “salute garantita” e dichiarato, solo a seguito dell’insistenza della giornalista, che è “possibile, probabile” che siano necessari più controlli.

      https://www.youtube.com/watch?v=OQF1F1lyFRY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Faltreconomia.it%2F&

      Infine il ministro ha sottolineato che nei Cpr sarebbero presenti solamente persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia per una “prassi che si è consolidata negli anni”. “L’articolo 32 sul diritto alla salute è garantito a tutti, a prescindere dal loro passato”, ha giustamente risposto in studio lo psicoterapeuta Leonardo Mendolicchio.

      Ma il punto è che quanto detto da Matteo Piantedosi è falso. Secondo dati ottenuti da Altreconomia, e forniti proprio dal ministero dell’Interno, nel 2021 sono state 987 le persone che hanno fatto ingresso nei Cpr direttamente dal carcere: il 19% del totale di 5.174 trattenuti. Una percentuale a cui vanno certamente aggiunti coloro che hanno precedenti penali e vengono rintracciati sul territorio successivamente alla loro scarcerazione ma che comunque smentisce la versione governativa.

      Il ministro dichiara che non voler “rinforzare il sistema di espulsione e rimpatrio” sarebbe “omissivo” da parte di qualsiasi governo. Negli ultimi quattro anni la percentuale delle persone trattenute effettivamente rimpatriate ha superato il 50% solo nel 2017: questi centri non raggiungono quindi nemmeno l’obiettivo per cui sarebbero stati creati, sulla carta. La presunta omissione non passa dall’esistenza di queste strutture.

      Piantedosi ha poi paradossalmente auspicato una “collaborazione da parte degli ospiti” perché terribili scene come quelle mostrate nel servizio non avvengano più. Quasi a dire che i diritti fondamentali fossero materia da elargire, a mo’ di premio al merito, e non invece da garantire punto e basta. “Il Cpr è psicopatogeno di per sé e come sistema -conclude Cocco-. Le proteste sono legittime, sono un diritto. Chiedere più collaborazione è quasi come impedire a qualcuno di poter fare lo sciopero della fame: utilizzare il proprio corpo è la extrema ratio che si ha per manifestare il proprio malessere. Tocca allo Stato evitare che le persone si facciano male o muoiano. Non certo ai reclusi”. Che il ministro, nella lunga sequela di falsità, chiama “ospiti”.

      https://altreconomia.it/abuso-di-psicofarmaci-nei-cpr-perche-la-versione-del-ministro-piantedos

    • Pioggia di ansiolitici al Cpr di #Palazzo_San_Gervasio per rendere innocui i reclusi

      Oltre 2.800 pastiglie in appena sei mesi per poco più di 400 trattenuti transitati: i dati inediti sulla struttura in provincia di Potenza. La Procura intanto indaga sulla gestione di Engel Italia. Gli psicofarmaci sarebbero serviti a “neutralizzare ogni possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere le persone”

      Una scatola di psicofarmaci per ogni persona che è entrata al Cpr di Palazzo San Gervasio tra gennaio e luglio 2022. I dati inediti ottenuti da Altreconomia fotografano l’abuso dell’antiepilettico Rivotril e di benzodiazepine all’interno della struttura, su cui sta indagando anche la Procura di Potenza. “Le situazioni di degrado e non conformità al rispetto della persona umana e dei diritti in cui si trovavano a vivere i reclusi -scrivono gli inquirenti nell’ordinanza applicativa di misure cautelari di fine dicembre 2023 rivolta, tra gli altri, ad Alessandro Forlenza amministratore di fatto della Engel Italia Srl, che ha gestito il centro dal 29 ottobre 2018 al 23 giugno 2023- venivano lenite dall’uso inappropriato di farmaci sedativi volti a rendere gli ospiti innocui e quindi neutralizzare ogni loro possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere”.

      In sei mesi di spesa, da gennaio a luglio 2022, il 38% delle 791 scatole di farmaci acquistati erano psicofarmaci, per un totale di oltre 2.800 tra compresse e capsule e 1.550 millilitri in fiale o flaconi. Numeri esorbitanti se si considera che, secondo i dati della prefettura, la presenza media in struttura è stata di 70 persone con circa 400 transiti in sei mesi. Tra i farmaci acquistati troviamo soprattutto sedativi e ansiolitici come il Diazepam (65 scatole), l’Alprazolam (45), Tavor (14) ma anche Rivotril (77 confezioni), un antiepilettico con importanti effetti secondari di stordimento. “Tale farmaco veniva acquistato sistematicamente in quantità tali da non rimanere mai senza copertura -ha spiegato una delle operatrici sentite dalla Procura di Potenza-. Senza Rivotril sarebbe scoppiata la rivolta”.

      Gli inquirenti hanno così focalizzato la loro attenzione, rispetto all’operato della Engel Italia Srl, società madre di Martinina Srl, sotto indagine a Milano per presunte frodi nella gestione del Cpr di via Corelli, anche sull’utilizzo smodato degli psicofarmaci. Per diversi motivi. L’antiepilettico “Rivotril” dovrebbe essere utilizzato off-label, quindi al di fuori dei casi in cui la persona soffre di epilessia, solo laddove non vi siano “valide alternative terapeutiche” e in ogni caso con l’acquisizione del consenso della persona di cui, però, secondo la Procura, non vi sarebbe “alcuna traccia”.

      “Risulta che l’uso del medicinale -come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare- prescindeva dalla volontà del paziente e corrispondeva alla specifica necessità di controllare illecitamente l’ordine pubblico interno da parte della Engel”. Che per la gestione del centro ha ricevuto oltre 2,8 milioni di euro dalla prefettura di Potenza.

      Un problema di quantità ma anche di modalità di somministrazione e prescrizione. La direzione dell’ente gestore, sempre stando alle ricostruzioni degli inquirenti, avrebbe richiesto “a seconda delle esigenze” di ridurre le dosi “per risparmiare sui costi del farmaco” allungando i flaconi con l’acqua. Ma non solo. Due medici operanti all’interno del Cpr sarebbero indagati per la redazione di “false ricette per la dispensazione dei predetti farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale”.

      Con riferimento sempre agli psicofarmaci, “su 2.635 confezioni dispensate tra gennaio 2018 e agosto 2019 dai due medici ben 2.235 erano destinati a pazienti identificati con Stp (codice fiscale per chi non ha un permesso di soggiorno, ndr) e quindi presumibilmente ospitati presso il Cpr di Palazzo San Gervasio”. Con un dettaglio non di poco conto. Diverse prescrizioni sarebbero state destinate a soggetti, ordinanza alla mano, che erano già usciti dal Cpr. Un modo, presumibilmente, per continuare ad acquistare scatole di farmaci gravando sul sistema sanitario nazionale e non sull’ente gestore.

      I dati ottenuti da Altreconomia sui farmaci comprati dalla Engel Italia Srl potrebbero quindi essere solo una fetta di quelli somministrati perché riguardano quelli per cui la società ha chiesto rimborso dalla prefettura. Ma escludono quelli “passati” dall’azienda sanitaria. Rispetto a cui, però, i conti non tornano: nella nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata ad aprile 2023 si è dato conto del riscontro dell’Asl territoriale che ha dichiarato importi bassissimi. Nei primi dieci mesi del 2022 in totale 19 prescrizioni e 34,7 euro di farmaci destinati al Cpr. Qualcosa, stando anche ai dati della Procura, non torna.

      Oltre agli psicofarmaci -tra cui troviamo anche la Quetiapina, antipsicotico prescrivibile per gravi patologie psichiatriche- nei farmaci acquistati dalla Engel si trovano diverse tipologie di farmaci acquistati che raccontano della presenza all’interno della struttura di persone dalla salute precaria. Due esempi su tutti: la Spiriva, prescrivibile per la broncopneumopatia, una malattia dell’apparato respiratorio caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree e il Palexia, usato per il trattamento del dolore cronico grave in adulti che possono essere curati adeguatamente solo con antidolorifici oppioidi.

      Dal 20 giugno 2023 Engel Italia Srl non è più l’ente gestore del Cpr di Palazzo San Gervasio. Ad aggiudicarsi il nuovo appalto per 128 posti, con importo a base d’asta di 2,2 milioni di euro, è stata #Officine_Sociali, cooperativa di Priolo Gargallo in provincia di Siracusa. Officine Sociali ha partecipato a diverse gare per la gestione di Cpr e grandi strutture di accoglienza nel corso degli anni, finendo per aggiudicarsi la gestione dell’hotspot di Taranto e Pozzallo; per quest’utimo ha incassato, da inizio dicembre 2021 a giugno 2023, oltre 1,3 milioni di euro. Pochi mesi prima della gara indetta dalla prefettura di Potenza per la gestione del Cpr, Officine sociali costituiva un “raggruppamento temporaneo di imprese” con Martinina Srl, la nuova “creatura” di Forlenza, per aggiudicarsi la gara per la gestione del Cpr di Gorizia. Un anno prima, le due società avevano gareggiato insieme per vincere l’appalto di Torino. Una sinergia di intenti.

      Tornando alla gestione di #Engel_Italia Srl “il livello di assistenza e di cura”, secondo la Procura, sarebbe stato “insufficiente a garantire loro le modalità di trattenimento idonee ad assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della dignità umana”. Il servizio medico sarebbe stato garantito 4.402 ore in meno di quanto, quello infermieristico di più di 11mila in meno nel periodo compreso tra febbraio 2021 al 31 ottobre 2022. “Nell’ambulatorio è sempre mancata l’acqua corrente”, si legge nell’ordinanza. Per la gestione del Cpr di Potenza sono indagati anche dottori, due albergatori della zona, un commissario e due ispettori di polizia. “Gli ospiti apparivano infatti molto provati proprio dal contesto in cui si trovavano a vivere -ha raccontato un’operatrice sentita dalla Procura-. Dopo qualche settimana di permanenza alcuni di loro cominciavano a sviluppare comportamenti ossessivi come il camminare in cerchio”.

      A Milano intanto si verificano nuove proteste e violenze sui trattenuti nonostante il commissariamento, così come a Caltanissetta, dove la condizione di vita nelle strutture è insostenibile (un video dall’interno lo dimostra) fino ad arrivare Trapani, con la condanna del governo italiano da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti a danni di un recluso nel Cpr. Tutto questo a meno di una settimana di distanza dal suicidio di Ousmane Sylla che ha acceso i riflettori sull’attuale gestione da parte di Ors Italia della struttura di Ponte Galeria a Roma. Intanto il ministero dell’Interno resta in silenzio: a “camminare in cerchio” sembra non essere solamente chi è trattenuto. Perché il sistema Cpr non va messo in discussione.

      https://altreconomia.it/pioggia-di-ansiolitici-al-cpr-di-palazzo-san-gervasio-per-rendere-innoc

  • L’Italie bloque ChatGPT, les grands modèles de langage inquiètent
    https://www.nextinpact.com/article/71372/litalie-bloque-chatgpt-grands-modeles-langage-inquietent

    Après le chatbot Replika début février, ChatGPT subit les foudres de l’autorité italienne. L’annonce a été faite par la Garante per la protezione dei dati personali (GPDP), l’équivalente de notre CNIL. D’autres institutions en Europe et aux États-Unis s’inquiètent aussi de ChatGPT, mais c’est le premier blocage du genre.

    La GPDP n’y va pas par quatre chemins et ne veut laisser « aucun moyen pour ChatGPT de continuer à traiter des données en violation des lois sur la protection de la vie privée ». Le régulateur a ainsi imposé « une limitation temporaire, mais immédiate au traitement des données des utilisateurs italiens par OpenAI ». Cette dernière est pour rappel à l’origine de ChatGPT.
    Les griefs de la GPDP contre ChatGPT

    Dans son exposé des griefs, la GPDP commence par rappeler que ChatGPT « a subi le 20 mars une perte de données concernant les conversations des utilisateurs et des informations relatives au paiement des abonnés ».

    L’autorité à d’autres reproches à faire, notamment l’absence « d’information aux utilisateurs et aux personnes dont les données sont collectées par Open AI et, plus important encore, il ne semble pas y avoir de base juridique par rapport à la collecte et au traitement massifs de données personnelles afin d’"entrainer" les algorithmes ».

    La GPDP s’appuie sur des tests mis en ligne pour affirmer que « les informations mises à disposition par ChatGPT ne sont pas toujours factuelles, de sorte que des données personnelles inexactes sont traitées ». Elle reproche enfin l’absence de vérification d’age alors que, selon les conditions d’utilisation d’OpenAI, ChatGPT est interdit au moins de 13 ans.

    Le régulateur italien explique enfin qu’OpenAI dispose de 20 jours pour lui notifier les mesures mises en place pour se conformer à son injonction, « faute de quoi une amende pouvant aller jusqu’à 20 millions d’euros ou 4 % du chiffre d’affaires annuel mondial pourra être infligée ».
    La CNIL française n’a pas reçu de plainte

    Interrogée par l’AFP, la CNIL précise n’avoir « pas reçu de plainte et n’a pas de procédure similaire en cours ». La Commission s’est néanmoins rapprochée de son homologue « afin d’échanger sur les constats qui ont pu être faits ».

    La GPDP s’appuyant sur le RGPD pour expliquer sa décision, la CNIL et d’autres pays pourraient suivre le pas si les autorités arrivent à la même conclusion.
    Europol et le BEUC s’inquiètent, une plainte à la FTC

    Quoi qu’il en soit, la GPDP italienne n’est pas la seule institution à s’émouvoir de ChatGPT, et les inquiétudes ne datent pas d’hier. Europol a publié un document cette semaine sur « l’impact des grands modèles de langage [LLM, ndlr] sur l’application de la loi », expliquant que des criminels pourraient se servir de l’intelligence artificielle pour leurs méfaits.

    Dangers des grands modèles de langage : des chercheuses avaient prévenu

    Cette semaine également, le Center for AI and Digital Policy (CAIDP) a déposé une plainte auprès de la FTC (Federal Trade Commission). Elle « exhorte la FTC à enquêter sur OpenAI et à suspendre la vente de produits utilisant des grands modèles de langage, tels que GPT-4 ». Le CAIDP leur reproche notamment de décrire « comment commettre des actes terroristes, comment assassiner des dirigeants politiques et comment dissimuler la maltraitance des enfants. GPT-4 a la capacité d’entreprendre une surveillance de masse à grande échelle, en combinant sa capacité à ingérer des images, lier des identités et développer des profils complets ».

    Dans la foulée, le Bureau européen des unions de consommateurs (BEUC) a demandé « aux autorités européennes et nationales d’ouvrir une enquête sur ChatGPT et les chatbots similaires ».

    Le BEUC rappelle que l’Union européenne travaille actuellement sur la « première législation au monde sur l’IA », mais le Bureau craint qu’il faille encore « des années » avant que la loi n’entre en vigueur. Il ne souhaite donc pas laisser « les consommateurs exposés au risque de préjudice d’une technologie qui n’est pas suffisamment réglementée pendant cette période intérimaire ».
    Le Sénat dégaine sa proposition de résolution

    De manière opportune, le Sénat explique que sa commission des affaires européennes « a adopté à l’unanimité hier matin une proposition de résolution européenne pour appuyer l’instauration d’une réglementation européenne » dans le domaine des intelligences artificielles.

    La commission affirme « la nécessité de prévenir une utilisation excessive de cette technologie, et d’en promouvoir un déploiement conforme aux valeurs européennes, c’est-à-dire au service de l’humain, fiable et éthique ». Les rapporteurs rappellent que « mal utilisée, l’intelligence artificielle est susceptible de causer de graves atteintes aux droits fondamentaux, qu’il s’agisse du respect de la vie privée, de l’accès à la justice ou encore du respect du principe de non-discrimination ».

    La proposition de résolue comporte plusieurs points, notamment « l’interdiction générale de certaines applications particulièrement contraires aux valeurs de l’Union européenne ». Le document demande aussi d’« expliciter l’articulation entre la réglementation européenne sur l’intelligence artificielle et le règlement général sur la protection des données ».

    Il ne s’agit que d’une proposition de la commission des affaires européennes, qui est désormais renvoyée à la commission des lois, « qui peut ou non s’en saisir avant qu’elle ne devienne définitivement une résolution du Sénat d’ici un mois ».

    #ChatGPT #Données_personnelles #Italie #Interdiction

  • Home Depot a partagé avec Meta des renseignements personnels de clients à leur insu La Presse canadienne
    Les consommateurs donnaient leur adresse électronique au quincaillier pour recevoir leur facture par courriel.

    L’entreprise américaine Home Depot est montrée du doigt par le commissaire à la protection de la vie privée du Canada.

    Le magasin de rénovation Home Depot a partagé les détails de reçus électroniques avec Meta, la société mère de Facebook, à l’insu des clients ou sans leur consentement, conclut le commissaire à la protection de la vie privée du Canada.

    Dans un rapport publié jeudi, Philippe Dufresne indique que les données partagées par Home Depot comprenaient notamment des adresses électroniques chiffrées de clients et des renseignements sur leurs achats en magasin.

    L’enquête du commissaire a révélé que les informations transmises à Meta étaient utilisées pour déterminer si un client avait un compte Facebook. Si c’était le cas, Meta comparait ce que le client avait acheté chez Home Depot aux publicités sur Facebook, afin de mesurer leur efficacité.

    Meta a également pu utiliser les informations sur les clients à ses propres fins commerciales, “y compris le profilage des utilisateurs et le ciblage publicitaire, sans lien avec Home Depot”, a constaté le commissaire.

    L’enquête a ainsi permis d’apprendre que “depuis au moins 2018”, Home Depot recueillait les adresses électroniques de clients, lors de leur passage à la caisse, afin de leur envoyer un reçu électronique.

    Avoir su, des clients auraient peut-être dit non
    Dans un communiqué, le commissaire Dufresne estime qu’il est peu probable que les clients de Home Depot s’attendaient à ce que leur information personnelle soit ainsi communiquée à une plateforme de médias sociaux tiers, simplement parce qu’ils avaient opté à la caisse pour un reçu électronique.

    “Lorsqu’on demandait aux clients de fournir leur adresse électronique à la caisse, on ne leur disait jamais que leurs renseignements seraient communiqués à Meta et on ne leur fournissait pas d’information sur la façon dont Meta ou Home Depot utiliserait leurs renseignements”, a résumé le commissaire Dufresne. “Cette information aurait été d’une grande importance dans la décision des clients de demander ou non un reçu électronique.”

    M. Dufresne rappelle aux entreprises qu’elles doivent obtenir le consentement valide des clients au moment de la vente avant de s’adonner à ce type d’activité commerciale.

    “Les entreprises qui cherchent de plus en plus à offrir des services en ligne doivent porter une attention particulière à toute utilisation des renseignements personnels qu’elles recueillent, car il pourrait être nécessaire d’obtenir un consentement supplémentaire”, a expliqué le commissaire Dufresne.

    Le commissaire à la protection de la vie privée du Canada, Philippe Dufresne, a présenté à la presse son plus récent rapport, jeudi. Photo : La Presse canadienne / Spencer Colby

    Pour sa défense, Home Depot a déclaré au commissaire qu’il s’appuyait sur le “consentement tacite” et que sa déclaration de confidentialité, disponible sur son site web et en version imprimée sur demande dans les points de vente au détail, expliquait de manière adéquate l’utilisation des informations par l’entreprise. Le détaillant a également cité la politique de confidentialité de Facebook.

    Le commissaire a rejeté les arguments de Home Depot, affirmant que les documents invoqués relativement au consentement n’étaient pas accessibles sur-le-champ au passage à la caisse – et que les clients n’avaient aucune raison de chercher à en prendre connaissance.

    “Les explications offertes dans les politiques de l’entreprise étaient insuffisantes pour obtenir un consentement valable”, conclut le commissaire Dufresne.

    Il a recommandé que jusqu’à ce que Home Depot soit en mesure de mettre en place des mesures pour assurer un consentement valide, le détaillant devrait cesser de divulguer à Meta les renseignements personnels des clients qui demandent un reçu électronique à la caisse.

    Le commissaire indique que Home Depot a pleinement collaboré à l’enquête, a accepté de donner suite aux recommandations du Commissariat. Home Depot a par ailleurs cessé en octobre de partager avec Meta des informations sur les clients, ajoute le commissaire.

    Source : https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1951213/protection-vie-privee-facebook-quincailler-home-depot

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