• Amélie Oudéa-Castéra : « Les Jeux vont rapporter beaucoup plus à la nation qu’ils ne lui auront coûté »
    https://www.lemonde.fr/sport/article/2024/04/17/amelie-oudea-castera-les-jeux-vont-rapporter-beaucoup-plus-a-la-nation-qu-il

    for the record, #deux_poids_deux_mesures #double_standard

    Que répondez-vous à ceux qui demandent que le principe de neutralité s’applique aux athlètes israéliens ?
    Les deux situations n’ont rien à voir : on ne peut pas comparer la situation d’Israël, victime d’une attaque terroriste d’une gravité exceptionnelle, avec la Russie qui mène unilatéralement une guerre d’agression contre un pays souverain. Les comités olympiques nationaux palestinien et israélien n’ont par ailleurs pas demandé l’exclusion l’un de l’autre.

    • Comme c’est étonnant, ce serait la première fois que les jeux rapportent quelque chose, d’habitude c’est seulement les croupiers qui s’engraissent.

  • Crosse en l’air ?
    https://lundi.am/Crosse-en-l-air

    Que les agriculteurs connaissent une impunité aussi remarquable en regard du nombre de détenus dans les prisons françaises et ne subissent pas, jusqu’à présent, les férocités policières et judiciaires toujours ordinaires mais de plus en plus banalisées depuis une dizaine d’années est chose appréciable.
    C’est ce que subissent les diverses autres masses de manifestants qui relève de l’insupportable.

    #maintien_de_l'ordre #violences_policières #double_standard

  • Ucraina: un nuovo modello d’accoglienza?

    A oltre un anno e mezzo dall’inizio della guerra, un’analisi di come le persone le persone in fuga dall’invasione russa sono state accolte dagli stati europei

    l 24 febbraio 2022, con l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, l’Europa si è trovata a far fronte non solo al conflitto scoppiato alle sue porte, ma anche a uno straordinario afflusso di profughi in fuga. Per la maggior parte donne, anziani e bambini (agli uomini sopra i 18 anni è vietato uscire dall’Ucraina) costretti a scappare verso i confini di Polonia, Romania, Ungheria, Moldavia. Da subito gli stati membri dell’Unione europea hanno trovato un accordo per gestire l’arrivo di milioni di cittadini ucraini alle frontiere, decidendo misure straordinarie di accoglienza e protezione, mettendo a disposizione personale specializzato, stanziando fondi aggiuntivi e cambiando destinazione ad altri. A oltre un anno e mezzo di distanza, è possibile tracciare un bilancio di questo nuovo modello, mai applicato prima, analizzando punti di forza e criticità.
    Quanti rifugiati ucraini sono stati accolti in Italia e in Europa dall’inizio del conflitto?

    Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, il 24 febbraio 2022, il flusso di rifugiati in fuga verso i paesi europei è stato in costante ascesa. Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) al 25 aprile 2023 la stima delle persone che hanno attraversato i confini è di 8.174.779. Tra questi i rifugiati ucraini che hanno chiesto la protezione temporanea in Ue sono 5.047.700. L’Unhcr precisa però che si tratta di una stima, nel conteggio potrebbero essere incluse anche registrazioni multiple della stessa persona in due o più paesi Ue; registrazioni incomplete o registrazioni di rifugiati che si sono trasferiti poi al di fuori dell’Europa.

    Tra i paesi europei che hanno accolto il maggior numero di persone spicca la Polonia con la cifra record di 1.583.000, seguono la Germania (922.657) e la Repubblica Ceca (504.107). In Italia fino ai primi quattro mesi del 2023 sono stati registrati 173.813 rifugiati ucraini. Secondo i dati della Protezione civile italiana nella maggior parte dei casi si tratta di donne (92.413) e minori (49.456). Gli uomini adulti sono31.944.
    Che tipo di protezione hanno ricevuto e perché costituisce un “unicuum”?

    Per i profughi ucraini, per la prima volta, è stata applicata la direttiva 55/2001 (recepita in Italia con il decreto legislativo 7 aprile 2003, n. 85) sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati. Si è trattato di una decisione storica e unica, che segna un precedente importante per la protezione di chi scappa da una zona di conflitto: la direttiva, infatti, era stata elaborata all’indomani della guerra del Kosovo ma negli ultimi vent’anni non era mai entrata in vigore, nonostante fosse stata evocata spesso in passato, per casi come la Siria o l’Afghanistan.

    Nella pratica, ha permesso di dare una protezione immediata e temporanea alle persone in fuga. La procedura eccezionale consente infatti di ovviare alle lungaggini burocratiche del sistema d’asilo. L’obiettivo è alleviare la pressione sui sistemi nazionali di protezione e consentire agli sfollati di godere di diritti armonizzati in tutta l’Ue. Tra questi diritti rientrano il soggiorno, l’accesso al mercato del lavoro e agli alloggi, l’assistenza medica e l’accesso all’istruzione per i minori.

    L’applicazione della direttiva è stata decisa il 4 marzo 2022, quando il Consiglio dell’Ue giustizia affari interni ha approvato, su proposta della Commissione europea, la decisione di esecuzione (UE) 2022/382 che accertava l’esistenza di un afflusso massiccio di sfollati dall’Ucraina. La tutela è stata accordata in tutti gli Stati membri. La decisione ha previsto la possibilità per i cittadini dell’Ucraina e loro familiari in fuga dal Paese di risiedere e muoversi nel territorio dell’Unione europea e di essere accolti.

    Nel concreto, la protezione temporanea è stata applicata alle persone sfollate dall’Ucraina a partire dal 24 febbraio 2022 incluso. E, in particolare, ai cittadini ucraini residenti nel paese prima del 24 febbraio 2022; agli apolidi e cittadini di paesi terzi, che beneficiavano di protezione internazionale o di protezione nazionale equivalente in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 e ai familiari delle predette categorie di persone. Sono stati esclusi gli stranieri temporaneamente residenti nel paese, come per esempio gli studenti universitari o i lavoratori stagionali. La protezione temporanea, inizialmente prevista per un anno, è già stata prorogata fino al marzo 2024 e può essere ulteriormente prorogata fino al 2025.
    Come è stata organizzata l’accoglienza in Italia?

    Per far fronte agli arrivi dall’Ucraina l’Italia ha decretato lo stato di emergenza e deciso di affidare la sua gestione al Dipartimento della Protezione Civile, che ha predisposto un Piano per l’accoglienza e l’assistenza dei profughi. Il sistema prevede diverse forme di supporto tra loro complementari, che integrano quanto ordinariamente previsto per richiedenti asilo e rifugiati. I cittadini ucraini sono stati infatti accolti in parte negli alberghi, nelle strutture Cas (centri di accoglienza straordinaria) gestiti dalle prefetture e nel Sai (Sistema di accoglienza e integrazione), costituito dalla rete degli enti locali con il supporto delle realtà del terzo settore, ulteriormente potenziata, con 8.000 posti aggiuntivi.

    All’accoglienza ordinaria di Cas e Sai è stata affiancata la cosiddetta “accoglienza diffusa”. Con il Decreto-legge n. 21 del 21 marzo 2022 sono state, infatti, individuate ulteriori modalità di accoglienza da realizzare attraverso il supporto dei Comuni, dei soggetti del terzo settore e del privato sociale. L’11 aprile 2022 è stato pubblicato un bando per individuare le strutture idonee a fornire i servizi di assistenza e tra queste è stata prevista per la prima volta anche la coabitazione presso famiglie. L’avviso pubblico prevedeva 15mila posti. Successivamente, il Decreto-legge n. 50 del 17 maggio 2022 ha previsto la possibilità di incrementare le disponibilità di altre forme di accoglienza diffusa per ulteriori 15mila posti. Alla fine hanno avuto esito positivo 29 manifestazioni di interesse, per un totale di 17.012 posti offerti.

    Accanto al potenziamento delle strutture è stato anche pensato un contributo di sostentamento per i profughi che hanno trovato una sistemazione autonomamente, cioè al di fuori del sistema di accoglienza, ospitati da parenti e conoscenti, o prendendo in affitto un’abitazione. La somma prevista è stata di 300 euro mensili, a cui si aggiungono 150 euro nel caso della presenza nel nucleo familiare di un minore.

    Quanto ai numeri effettivi dell’accoglienza in Italia, a fronte di un numero alto di persone che hanno varcato la frontiera con il nostro paese ( oltre 173mila circa) solo il 10 per cento ha chiesto di essere ospitato nelle strutture di accoglienza italiane. Stando ai dati del ministero dell’Interno, a marzo 2023, su 173.456 ucraini in Italia, 11.755 sono ospitati nei Cas e 2.121 nei centri Sai. La maggior parte dei profughi si è appoggiata presso la rete di conoscenti e familiari già presenti nel nostro paese. Alcuni, dopo i primi mesi, hanno fatto ritorno in Ucraina, nelle zone meno colpite dal conflitto. Stabilire quanti siano con precisione però è difficile, dal momento che i cittadini ucraini possono muoversi liberamente.
    Quali fondi sono stati investiti?

    Subito dopo l’inizio del conflitto in Ucraina la Commissione europea ha adottato misure immediate a sostegno degli Stati membri per supportarli nell’accoglienza dei profughi in fuga. Innanzitutto, la Commissione ha stanziato oltre 3,5 miliardi di euro di pagamenti anticipati agli Stati europei per l’assistenza (REACT-EU). In maniera altrettanto repentina il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato modifiche legislative per consentire di reindirizzare le risorse provenienti dai fondi della politica di coesione e dal fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead) per aiutare i rifugiati ucraini.

    Su proposta della Commissione, gli Stati membri hanno avuto, infatti, la possibilità di utilizzare i fondi rimanenti dei fondi di coesione del periodo di programmazione 2014-2020 per fornire il sostegno di emergenza. Il Consiglio ha inoltre adottato una modifica dei fondi per gli affari interni per il periodo 2014-2020 e del Fondo Asilo, migrazione e integrazione per il periodo 2021-2027, per fornire risorse supplementari ai profughi ucraini. In totale l’Unione europea ha fornito finanziamenti aggiuntivi per un totale di 13,6 miliardi di euro nell’ambito dei pacchetti CARE e FAST-CARE, un miliardo di euro è stato riprogrammato nell’ambito dei fondi di coesione e 400 milioni di euro sono stati messi a disposizione nell’ambito dei fondi per gli affari interni.

    All’aiuto finanziario si è affiancato un supporto operativo: 200 membri del personale di Frontex sono stati impiegati nella gestione delle frontiere. Europol ha inoltre inviato personale e agenti distaccati per effettuare controlli di sicurezza secondari in cinque Stati membri e in Moldova.

    Per quanto riguarda l’Italia, secondo una ricostruzione del quotidiano Il Sole 24 ore, dal 24 febbraio 20220 il nostro paese ha speso o ha impegnato 754 milioni di euro per l’accoglienza dei profughi ucraini. «Sono serviti per l’assistenza sanitaria, l’ospitalità negli alberghi, il contributo di sostentamento per chi ha trovato una sistemazione autonoma, le spese dei Comuni per i servizi sociali, i minori non accompagnati, l’accoglienza nei Cas (centri di accoglienza straordinaria) e l’accoglienza diffusa tramite gli enti del Terzo settore» spiega il giornale finanziario.
    Perché si parla di doppio standard rispetto agli altri rifugiati?

    L’applicazione della direttiva 55/2001, per la prima volta nella storia europea, ha determinato un trattamento diverso per i cittadini ucraini in fuga dal conflitto nel paese rispetto ai profughi e richiedenti asilo di nazionalità diverse in cerca di protezione in Europa. Per questo esperti e studiosi non hanno esitato a parlare di un doppio standard di accoglienza e protezione e della creazione di rifugiati di serie A e di serie B.

    I rifugiati ucraini sono stati accolti, grazie un modello straordinario di protezione immediata, che ha consentito anche una libertà di movimento all’interno dell’Ue. Per altre persone in fuga, invece, le frontiere dell’Unione Europea sono rimaste sigillate. Per esempio, per i numerosi cittadini afgani in fuga dalle persecuzioni del regime dei talebani. Non solo, nella stessa applicazione della direttiva 55/2001 si è deciso di fare distinzione tra le persone in fuga: sono state ammessi alla protezione temporanea, infatti, solo i cittadini ucraini, gli stranieri che in Ucraina avevano un permesso di soggiorno di lungo periodo e i titolari di protezione internazionale. Sono stati esclusi i cittadini di paesi terzi che avevano un permesso di breve periodo, come i lavoratori stagionali o gli studenti. Un trattamento così selettivo che ha fatto alzare la voce a diverse organizzazioni umanitarie impegnate nella tutela dei diritti delle persone straniere.
    Come viene finanziata l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in Italia?

    Il sistema di accoglienza in Italia è articolato su due livelli. Dopo lo sbarco i migranti vengono dapprima ospitati presso gli hotspot – dove viene effettuata l’identificazione, il fotosegnalamento e vengono effettuati i primissimi interventi di assistenza materiale e sanitaria. Subito dopo, le persone vengono trasferite nelle strutture attivate dalle Prefetture sull’intero territorio nazionale, chiamate Cas (centri per l’accoglienza straordinaria). La seconda accoglienza è invece assicurata nel Sai (Sistema di accoglienza e integrazione, ex Siproimi ed ex Sprar) una rete di strutture attivate mediante progetti realizzati dagli enti locali. I progetti di accoglienza vengono finanziati con le risorse messe a disposizione dal Ministero dell’interno attraverso il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.

    Queste risorse provengono in parte da fondi europei, tra cui quelli del Fondo asilo migrazione e integrazione (Fami), che nel periodo 2021-2027 destina all’Italia oltre mezzo miliardo di euro (512 milioni 623 mila euro). Una parte di queste risorse fanno parte del “Sistema Comune Europeo di Asilo (CEAS)” e hanno tra gli obiettivi quello di garantire la corretta informazione per i migranti dopo la fase di identificazione; il miglioramento della performance della commissione nazionale Asilo (CNA) e delle commissioni territoriali (CCTT); l’incremento della capacità di primissima accoglienza dei fenomeni legati alla tratta di esseri umani, il potenziamento dei servizi a favore dei minori non accompagnati.

    Parte delle risorse è poi dedicata alla “migrazione legale e all’integrazione” e prevede stanziamenti per formazione linguistica, istruzione, prevenzione del lavoro sommerso e progetti di inclusione. Infine, una dotazione dei fondi è destinata alle operazioni di rimpatrio forzato, alla formazione del personale coinvolto nelle attività di frontiera e ad azioni per realizzare misure di rimpatrio volontario assistito.
    Ci sono, a livello europeo ed italiano, elementi dell’accoglienza Ucraina che possono essere replicati o applicati all’intero sistema di accoglienza?

    Secondo diversi esperti quello attivato per la prima volta per i profughi ucraini è un modello di accoglienza nuovo e replicabile per affrontare il fenomeno migratorio. Come sottolinea un dossier del Centro studi e ricerche Idos, in collaborazione con Confronti e l’istituto studi politici S.Pio V, le novità sono state tante: «ai profughi dall’Ucraina è stato riconosciuto fin da subito il diritto di scegliere la città (o il Paese europeo) in cui fermarsi, cercare un lavoro, affittare un alloggio, iscrivere i figli a scuola, accedere al Sistema sanitario nazionale e ricevere cure e vaccinazioni: un passo avanti di grande rilievo nell’accesso ai diritti sociali e che andrebbe esteso a tutti i profughi e richiedenti asilo, nell’interesse non solo loro ma di tutta la società», si legge nel rapporto.

    Non solo, ma per la prima volta l’accoglienza domestica (o in famiglia) è entrata a far parte della programmazione ordinaria. Infine, i profughi ucraini sono stati autorizzati a cercare sistemazioni autonome, ricevendo direttamente un contributo monetario. Tutti elementi che hanno contribuito a non gravare sul sistema ordinario di accoglienza. Per questo le organizzazioni che si occupano di tutela dei diritti dei migranti hanno chiesto più volte di fare tesoro di questa esperienza e provare a replicare il modello per tutti i richiedenti asilo.

    Non sono mancate, però, anche le criticità. In particolare, l’eccessiva burocrazia non ha permesso di attivare in tempi celeri alcuni dei progetti che erano stati approvati. Tra questi anche le accoglienze presso le famiglie italiane. «Per non disperdere le ottime innovazioni introdotte dall’Italia, urge snellire quanto più possibile le procedure di attuazione del piano di accoglienza e mettere a sistema il modello sperimentato con gli ucraini – spiega ancora Idos – estendendo il trattamento finora riservato solo a loro a tutte le persone che arrivano in cerca di protezione da conflitti e pericoli concreti per la loro sopravvivenza».

    https://www.slow-news.com/societa/ucraina-accoglienza-modello-lue

    #réfugiés_ukrainiens #Ukraine #réfugiés #migrations #modèle #asile #accueil #statistiques #Italie #double_standard #Europe #unicuum

    ping @karine4

  • À Paris, les associations bataillent pour ouvrir le centre d’accueil « Ukraine » à tous les exilés | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/231222/paris-les-associations-bataillent-pour-ouvrir-le-centre-d-accueil-ukraine-

    « Les inégalités ne concernent pas que l’hébergement, pointe un autre travailleur du centre, qui compte une centaine de places disponibles chaque soir en moyenne. Il y a aussi la question de l’accessibilité au droit de manière générale, puisque pour les Ukrainiens, tout est à disposition à leur arrivée ici. » Les réfugié·es d’Ukraine obtiendraient, poursuit-il, leur couverture maladie et autres droits « en deux semaines ».

    « On observe une politique de “fast-pass” quand on nous a toujours dit qu’il était impossible de donner un titre de séjour et d’ouvrir les droits à la Sécurité sociale pour tout le monde. »

    L’employé dénonce également des températures très basses sous le chapiteau réservé aux Ukrainiens, qui auraient déjà conduit à réorienter des personnes vers d’autres structures d’hébergement. « On s’échine à chauffer un centre qui est très mal isolé. C’est évidemment mieux que la rue mais certaines nuits, ça reste compliqué à cause du froid. Sans compter les dépenses d’énergie inutiles dans le contexte que l’on connaît. »

    Selon nos informations, du « gaspillage alimentaire » aurait aussi été observé, notamment le week-end, lorsque le centre est géré par l’association Coallia. En semaine, les surplus de nourriture seraient « redistribués » à des associations parisiennes pour éviter de « jeter », ont confirmé plusieurs sources. « De manière générale, tout gâchis alimentaire est dommageable. Ça l’est encore plus quand la structure accueillante est à moitié pleine », déplore l’une d’elles.

  • Ilan Pappé – Quatre leçons de la guerre en Ukraine- Acta
    https://acta.zone/ilan-pappe-quatre-lecons-de-la-guerre-en-ukraine

    Dans cette brève et incisive intervention, l’historien Ilan Pappé analyse l’hypocrisie et le deux poids deux mesures du discours occidental qui s’est révélé au grand jour avec l’offensive russe en Ukraine : du triage raciste des réfugiés à la légitimation des crimes de l’État d’Israël contre le peuple (...) @Mediarezo Actualité / #Mediarezo

  • Guerre en #Ukraine : « On aura une immigration de grande qualité dont on pourra tirer profit »

    Le président de la commission des Affaires étrangères à l’Assemblée nationale, #Jean-Louis_Bourlanges, a évoqué dans « Europe Matin » vendredi la « vague migratoire » qui se prépare en Europe, après l’invasion militaire russe en Ukraine. « Ce sera sans doute une immigration de grande qualité », prévient toutefois le député MoDem.

    C’est l’une des conséquences majeures de l’invasion militaire russe en Ukraine. Des milliers d’Ukrainiens vont fuir leur pays pour échapper aux combats. Jeudi, près de 100.000 d’entre eux avaient déjà quitté leur foyer, selon l’ONU. Invité d’Europe Matin vendredi, le président de la commission des Affaires étrangères à l’Assemblée nationale, Jean-Louis Bourlanges, a dit s’attendre « à des mouvements » de population, sans en connaître l’ampleur. « Il faut prévoir (le flux migratoire). Ce sera sans doute une immigration de grande qualité », a évoqué le député MoDem au micro de Lionel Gougelot.

    Pourquoi Poutine a intérêt à pousser à l’immigration

    Pour Jean-Louis Bourlanges, les Ukrainiens qui s’apprêtent à quitter leur pays seront « des intellectuels, et pas seulement, mais on aura une immigration de grande qualité dont on pourra tirer profit », a-t-il ajouté. En revanche, le député a estimé que cela allait dans le sens du président russe. « Pour des raisons politiques très claires, monsieur Poutine aura intérêt à ce qu’il y ait ces mouvements pour deux raisons », a affirmé Jean-Louis Bourlanges.

    D’abord, « pour se débarrasser d’opposants potentiels dans son pays. S’ils sont à l’extérieur, ils ne le gêneront pas », analyse le président de la commission des Affaires étrangères à l’Assemblée nationale. « Et pour nous embarrasser nous-même », a-t-il ajouté, « exactement comme a fait Loukachenko à la frontière de la Biélorussie et de la Pologne. » "Nos amis polonais s’apprêtent à recevoir des flots massifs", a souligné Jean-Louis Bourlanges.

    https://www.europe1.fr/politique/guerre-en-ukraine-on-aura-une-immigration-de-grande-qualite-dont-on-pourra-t

    #classification #tri #réfugiés #asile #migrations #Urkaine #réfugiés_ukrainiens #bon_réfugié #mauvais_réfugié
    #à_vomir #racisme

    –-

    Les formes de #racisme qui montrent leur visage en lien avec la #guerre en #Ukraine... en 2 fils de discussion sur seenthis :
    https://seenthis.net/messages/951232

    ping @isskein @karine4

    • « Il y a un geste humanitaire évident parce que la nature des réfugiés n’est pas contestable, on voit bien ce qu’ils fuient.
      Ensuite parce que ce sont des européens de culture.
      Et puis nous ne sommes pas face à des migrants qui vont passer dans une logique d’immigration »


      https://twitter.com/caissesdegreve/status/1497579243944878082

      Commentaire de Louis Witter sur twitter :

      Ce genre de waf waf de la casse automobile remonteront au créneau quand on verra ces mêmes exilés à Calais.

      https://twitter.com/LouisWitter/status/1497685913429815299

      #réfugiés_européens #européens_de_culture #culture #vrais_réfugiés

    • For Ukraine’s Refugees, Europe Opens Doors That Were Shut to Others

      Thousands of Ukrainians will end up in countries led by nationalist governments that have been reluctant to welcome refugees in the past.

      Russia’s invasion of Ukraine has pushed tens of thousands of people out of their homes and fleeing across borders to escape violence. But unlike the refugees who have flooded Europe in crises over the past decade, they are being welcomed.

      Countries that have for years resisted taking in refugees from wars in Syria, Iraq and Afghanistan are now opening their doors to Ukrainians as Russian forces carry out a nationwide military assault. Perhaps 100,000 Ukrainians already have left their homes, according to United Nations estimates, and at least half of them have crowded onto trains, jammed highways or walked to get across their country’s borders in what officials warn could become the world’s next refugee crisis.

      U.N. and American officials described their concerted diplomatic push for Ukraine’s neighbors and other European nations to respond to the outpouring of need. President Biden “is certainly prepared” to accept refugees from Ukraine, Jen Psaki, the White House press secretary, said on Thursday, but she noted that the majority of them would probably choose to remain in Europe so they could more easily return home once the fighting ended.

      “Heartfelt thanks to the governments and people of countries keeping their borders open and welcoming refugees,” said Filippo Grandi, the head of the U.N. refugee agency. He warned that “many more” Ukrainians were moving toward the borders.

      That means thousands will end up in countries led by nationalist governments that in past crises have been reluctant to welcome refugees or even blocked them.

      In Poland, government officials assisted by American soldiers and diplomats have set up processing centers for Ukrainians. “Anyone fleeing from bombs, from Russian rifles, can count on the support of the Polish state,” the Polish interior minister, Mariusz Kaminski, told reporters on Thursday. His government is spending hundreds of millions of dollars on a border wall, a project it began after refugees and migrants from the Middle East tried to reach the country last year but ended up marooned in neighboring Belarus.

      The military in Hungary is allowing in Ukrainians through sections of the border that had been closed. Hungary’s hard-line prime minister, Viktor Orban, has previously called refugees a threat to his country, and his government has been accused of caging and starving them.

      Farther West, Chancellor Karl Nehammer of Austria said that “of course we will take in refugees if necessary” in light of the crisis in Ukraine. As recently as last fall, when he was serving as interior minister, Mr. Nehammer sought to block some Afghans seeking refuge after the Taliban overthrew the government in Kabul.
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      “It’s different in Ukraine than in countries like Afghanistan,” he was quoted as saying during an interview on a national TV program. “We’re talking about neighborhood help.”

      Mr. Nehammer also said the number of Ukrainians seeking help was expected to be relatively small. At least 1.3 million people — mostly from Syria, Iraq and Afghanistan — applied for asylum in Europe in 2015 during what was widely regarded as the worst refugee crisis since World War II, stretching national budgets and creating a backlash of political nativism in countries across the continent.

      Some estimates project that at least one million refugees will flee Ukraine because of the Russian invasion. Linda Thomas-Greenfield, the U.S. ambassador to the United Nations, said this past week that the fighting could uproot as many as five million people, “putting pressure on Ukraine’s neighbors.”

      Diplomats and experts said European states that are willing to take in Ukrainians might be trying, in part, to highlight Russian aggressions against civilians by offering a humanitarian response. “If you think of causing the refugee crisis as one of Putin’s tools to destabilize the West, then a calm, efficient, orderly response is a really good rebuke to that,” said Serena Parekh, a professor at Northeastern University in Boston and the director of its politics, philosophy and economics program.

      “On the other hand,” said Ms. Parekh, who has written extensively about refugees, “it’s hard not to see that Ukrainians are white, mostly Christian and Europeans. And so in a sense, the xenophobia that’s really arisen in the last 10 years, particularly after 2015, is not at play in this crisis in the way that it has been for refugees coming from the Middle East and from Africa.”

      The Biden administration is also facing calls to take in Ukrainian refugees, much in the way it gave residency or humanitarian parole to more than 75,000 Afghans when the Taliban seized power in August.

      It is unlikely, at the moment at least, that the United States would offer a humanitarian parole program for Ukrainians that goes above what is currently allowed for the total number of refugee admissions for the current fiscal year. That number is capped at 125,000 this year — including 10,000 refugees from Europe and Central Asia. The guidelines set aside another 10,000 slots for refugees from any part of the world, as regional emergencies warrant.

      Ms. Psaki did not comment when asked by a reporter whether the administration would offer temporary residency protections, a program known as T.P.S., to Ukrainian students, workers and others who are in the United States to ensure they are not deported when their legal visas expire.

      “The war in Ukraine is exactly the type of crisis T.P.S. was created for — to allow people to live and work in the United States when they are unable to return home safely,” Senator Bob Menendez, Democrat of New Jersey and the chairman of the Foreign Relations Committee, said on Thursday night.

      Ms. Psaki said the United States had sent an estimated $52 million in humanitarian aid to Ukraine over the last year to help people, mostly in the eastern Donbas region, where the current war began as a slow-burn conflict between Ukraine’s military and Russian-backed separatists in 2014. Nearly 1.5 million people had been forced from their homes by the fighting even before the invasion this past week.

      Additionally, the U.S. Agency for International Development sent a team of disaster experts to Poland in the past week to assess demand for aid to the region — including water, food, shelter, medicine and other supplies — and to coordinate its delivery. Hours after the invasion began, the United Nations announced it would divert $20 million in emergency funds for humanitarian assistance to Ukrainians, mostly to the Donbas region.

      A European diplomat who is closely watching the refugee flow from Ukraine said neighboring nations might also feel the pull of history in welcoming people in danger as a direct result of Russia’s aggressions. A Soviet crackdown on a Hungarian uprising in 1956, for example, resulted in 200,000 refugees, most of whom fled to Austria before they were settled in dozens of countries across Europe. Between 80,000 and 100,000 people — and perhaps even more than that — left what was then Czechoslovakia to escape a Soviet invasion in 1968 that was launched to silence pro-democracy Prague Spring protests.

      In both cases, the United States sent aid to help European countries settle refugees and, in the Hungarian crisis, “in a matter of months, there were no more refugees — they had been found a permanent home,” Ms. Parekh said.

      That was largely the result of the United States working with European states to resettle the Hungarians, she said, calling the effort “an exception, historically.”

      “It was a similar thing — people fleeing our Russian enemy — that motivated us,” she said.

      https://www.nytimes.com/2022/02/26/us/politics/ukraine-europe-refugees.html?smid=tw-share

      #fermeture_des_frontières #ouverture_des_frontières #frontières

    • Deserving and undeserving refugees ...

      On February 24, 2022, Russia invaded Ukraine. Appearing on television from an undisclosed location, Ukraine’s president, Volodymyr Zelenskyy, warned the world that Vladimir Putin was attacking not only his country, but waging “a war against Europe.”

      Following the all-out invasion of Ukraine by land, air and sea, Ukrainians began fleeing their homes in the eastern part of the country. Most were headed to other parts of Ukraine, while others began to trickle across international borders into Poland and other Central European countries. It is hard to predict how many of the 44 million Ukrainians will seek refugee outside the borders of their country.

      When refugees flee, we watch who offers safe haven and assistance.

      Hours after the Russian attack on Ukraine, the Bureau for Foreigners’ Affairs in the Polish Ministry of Interior set up a website, in Polish and in Ukrainian, offering information on available assistance to Ukrainian refugees. The website provides legal information on how to launch an asylum claim and regularize one’s stay in Poland. It also provides scannable QR codes for eight reception centers near crossing points on the 500-kilometer Polish-Ukrainian border. Adam Niedzielski, the Polish Health Minister, said Poland will set up a special medical train to ferry injured people to 120 Polish hospitals. “We think that at this moment it would be possible to accept several thousand patients — wounded in military actions,” he told Politico.

      Poland has even made an exception for Ukrainians evacuating with their pets. The Chief Veterinarian of Poland has eased restrictions on dogs and cats crossing the Polish border.

      Don’t get me wrong, I think Ukrainians (and their pets) should receive as much assistance as they need, but the irony of this immediate offer to help, extended by the Polish government and the rest of the Visegrád 4, is not lost on me.

      The Ukrainian refugees are white, European, and Christian. They are the “deserving refugees.”

      Slovakia’s Prime Minister explicitly stated that everyone fleeing the war deserves help according to international law. The Visegrád group’s position was quite different following the “refugee crisis” of 2015.

      The Polish government led by the nationalist Law and Justice (PiS) party refused to take part in the EU efforts to relocate and resettle asylum seekers arriving in other member countries. Hungary recruited border hunters and erected barbed wire fence along its border with Serbia. On September 16, 2016, the V4 issued a joint statement expressing concern about the decreasing sense of security resulting from the arrival of Muslim refugees from war-torn Syria; vowing to cooperate with third countries to protect borders, and calling for “flexible solidarity.”

      I am glad that Poland, my country of birth, wants to extend a helping hand to Ukrainians fleeing war and accept as many as one million refugees if necessary.

      At the same time, I cannot forget the Afghans and Syrians at the Polish-Belarusian border, dying in the cold winter forest in an attempt to cross into Poland to launch an asylum claim. They are kept at arm’s length. Because they are Muslim, the Polish government sees them as a security threat. Citing danger to Polish citizens living in the borderlands, on September 2, 2021, the President of Poland declared a state of emergency in 15 localities in the Podlasie Province and 68 localities in the Lublin Province.

      These brown and non-Christian asylum seekers are apparently not the deserving ones.

      https://www.elzbietagozdziak.com/post/deserving-and-undeserving-refugees

    • Propositions d’accorder une #protection_temporaire aux réfugiés urkainiens de la part des pays de l’UE :

      While a proposal to activate the 2001 #Temporary_Protection_Directive for Ukrainians fleeing the country was “broadly welcomed” by the ministers during their extraordinary meeting on Sunday (27 February), a formal decision will only be made on Thursday, EU Home Affairs and Migration Commissioner Ylva Johansson said after the talks.
      The exceptional measure, which has never been activated before, is meant to deal with situations where the standard asylum system risks being overburdened due to a mass influx of refugees.

      https://seenthis.net/messages/951046

    • [Thread] Here is a collection of most racist coverage of #Russia's attack on #Ukraine. We are being told who deserves war, missiles, & who looks like a good refugee.
      This only serves to mislead viewers & decontextualise conflicts. Hypocrisy & its randomness..

      https://twitter.com/saracreta/status/1498072483819307011

    • Réfugiés ukrainiens : l’indignité derrière la solidarité

      Pour justifier leur soudain élan d’humanité, certains éditorialistes et responsables politiques n’ont rien trouvé de mieux que de distinguer les bons et les mauvais réfugiés. Ils convoquent leur « ressemblance » avec les Ukrainiens, mais n’expriment rien d’autre que leur racisme.

      Pour justifier leur soudain élan d’humanité, certains éditorialistes et responsables politiques n’ont rien trouvé de mieux que de distinguer les bons et les mauvais réfugiés. Ils convoquent leur « ressemblance » avec les Ukrainiens, mais n’expriment rien d’autre que leur racisme.

      « L’hypocrisie, toujours la même. » Cédric Herrou n’a pas caché son écœurement en découvrant le message posté, samedi dernier, par le maire de Breil-sur-Roya (Alpes-Maritimes) en solidarité avec la population ukrainienne. « Le même maire qui a fait sa campagne électorale contre l’accueil que nous avions fait pour d’autres populations victimes de guerres. Seule différence, ces populations étaient noires », a réagi l’agriculteur, l’un des symboles de l’aide aux migrants, grâce auquel la valeur constitutionnelle du principe de fraternité a été consacrée en 2018.

      Un principe qui se rappelle depuis quelques jours au souvenir de nombreuses personnes qui semblaient l’avoir oublié, trop occupées qu’elles étaient à se faire une place dans un débat public gangréné par le racisme et la xénophobie. Il y a deux semaines, lorsque la guerre russe était un spectre lointain et que la campagne présidentielle s’accrochait aux seules antiennes d’extrême droite, rares étaient celles à souligner que la solidarité n’est pas une insulte et qu’elle ne constitue aucun danger.

      Les mêmes qui jonglaient avec les fantasmes du « grand remplacement » et agitaient les questions migratoires au rythme des peurs françaises expliquent aujourd’hui que l’accueil des réfugiés ukrainiens en France est un principe qui ne se discute pas. À l’exception d’Éric Zemmour, dont la nature profonde – au sens caverneux du terme – ne fait plus aucun mystère, la plupart des candidat·es à la présidentielle se sont prononcé·es en faveur de cet accueil, à quelques nuances près sur ses conditions.

      Mais parce que le climat politique ne serait pas le même sans ce petit relent nauséabond qui empoisonne toute discussion, des responsables politiques et des éditorialistes se sont fourvoyés dans des explications consternantes, distinguant les réfugiés de l’Est de ceux qui viennent du Sud et du Moyen-Orient. Ceux auxquels ils arrivent à s’identifier et les autres. Ceux qui méritent d’être aidés et les autres. Les bons et les mauvais réfugiés, en somme.

      Ainsi a-t-on entendu un éditorialiste de BFMTV expliquer que cette fois-ci, « il y a un geste humanitaire immédiat, évident [...] parce que ce sont des Européens de culture » et qu’« on est avec une population qui est très proche, très voisine », quand un autre soulignait qu’« on ne parle pas là de Syriens qui fuient les bombardements du régime syrien [mais] d’Européens qui partent dans leurs voitures qui ressemblent à nos voitures, qui prennent la route et qui essaient de sauver leur vie, quoi ! »

      Dès le 25 février, sur Europe 1, le député MoDem Jean-Louis Bourlanges, qui n’occupe rien de moins que la présidence de la commission des affaires étrangères de l’Assemblée nationale, avait quant à lui indiqué qu’il fallait « prévoir un flux migratoire ». Mais attention : « ce sera sans doute une immigration de grande qualité », avait-il pris soin de préciser, évoquant « des intellectuels, et pas seulement ». Bref, « une immigration de grande qualité dont on pourra tirer profit ».

      Ces propos ont suscité de vives réactions que l’éditorialiste de BFMTV et l’élu centriste ont balayées avec la mauvaise foi des faux crédules mais vrais politiciens, le premier les renvoyant à « la gauche “wokiste” » – un désormais classique du genre –, le deuxième à « l’extrême gauche » – plus classique encore, éculé même. « Il faut avoir un esprit particulièrement tordu pour y voir une offense à l’égard de quiconque », a ajouté Jean-Louis Bourlanges, aux confins du « on ne peut plus rien dire ».

      C’est vrai enfin, s’indignerait-on aux « Grandes Gueules », « c’est pas du racisme, c’est la loi de la proximité ». D’ailleurs, le même type de commentaire a fleuri dans des médias étrangers, tels CBS News, Al Jazzeera, la BBC ou The Telegraph, comme autant de « sous-entendus orientalistes et racistes » condamnés par l’Association des journalistes arabes et du Moyen-Orient (Ameja). Preuve, s’il en fallait, que le racisme – pardon, « la loi de proximité » – n’est pas une exception française.

      Suivant la directive d’Emmanuel Macron qui a confirmé que « la France prendra sa part » dans l’accueil des réfugiés ukrainiens, le gouvernement multiplie lui aussi les communications depuis quelques jours, le plus souvent par la voix du ministre de l’intérieur. Ces réfugiés « sont les bienvenus en France » a ainsi déclaré Gérald Darmanin lundi, avant d’appeler « tous les élus […] à mettre en place un dispositif d’accueil » et à « remonter, les associations, les lieux d’hébergement au préfet ».

      Dans le même élan de solidarité, la SNCF a annoncé que les réfugiés ukrainiens pourraient désormais « circuler gratuitement en France à bord des TGV et Intercités ». « Belle initiative de la SNCF mais je rêve d’une solidarité internationale étendue à TOUS les réfugiés, qu’ils fuient la guerre en Ukraine ou des conflits armés en Afrique ou encore au Moyen-Orient. Les réfugiés ont été et sont encore trop souvent refoulés et maltraités », a réagi la présidente d’Amnesty International France, Cécile Coudriou.

      Car au risque de sombrer dans le « wokisme » – ça ne veut rien dire, mais c’est le propre des appellations fourre-tout –, on ne peut s’empêcher de noter que ces initiatives, plus que nécessaires, tranchent singulièrement avec les politiques à l’œuvre depuis des années au détriment des exilé·es : l’absence de dispositif d’accueil digne de ce nom ; le harcèlement quasi quotidien de la part des forces de l’ordre, qui lacèrent des tentes, s’emparent des quelques biens, empêchent les distributions de nourriture ; le renforcement permanent des mesures répressives…

      Or comme l’écrivait récemment la sociologue et écrivaine Kaoutar Harchi, « un accueil digne, une aide sans condition, un accès immédiat à des repas, à des soins, à des logements, un soutien psychologique, devraient être accordés à toute personne qui est en France et qui souffre. Mais c’est sans compter le racisme qui distribue l’humanité et l’inhumanité ». C’est bien lui qui se profile aujourd’hui derrière la solidarité retrouvée de certain·es.

      Le 16 août 2021, alors que les images d’Afghans s’accrochant au fuselage d’avions pour fuir l’avancée des talibans faisaient le tour du monde, Emmanuel Macron déclarait : « L’Afghanistan aura aussi besoin dans les temps qui viennent de ses forces vives et l’Europe ne peut pas à elle seule assumer les conséquences de la situation actuelle. Nous devons anticiper et nous protéger contre les flux migratoires irréguliers importants. » Imagine-t-on cette phrase prononcée dans le contexte actuel ? La réponse est évidemment non. Et son corollaire fait honte.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/010322/refugies-ukrainiens-l-indignite-derriere-la-solidarite

    • They are ‘civilised’ and ‘look like us’: the racist coverage of Ukraine

      Are Ukrainians more deserving of sympathy than Afghans and Iraqis? Many seem to think so

      While on air, CBS News senior foreign correspondent Charlie D’Agata stated last week that Ukraine “isn’t a place, with all due respect, like Iraq or Afghanistan, that has seen conflict raging for decades. This is a relatively civilized, relatively European – I have to choose those words carefully, too – city, one where you wouldn’t expect that, or hope that it’s going to happen”.

      If this is D’Agata choosing his words carefully, I shudder to think about his impromptu utterances. After all, by describing Ukraine as “civilized”, isn’t he really telling us that Ukrainians, unlike Afghans and Iraqis, are more deserving of our sympathy than Iraqis or Afghans?

      Righteous outrage immediately mounted online, as it should have in this case, and the veteran correspondent quickly apologized, but since Russia began its large-scale invasion on 24 February, D’Agata has hardly been the only journalist to see the plight of Ukrainians in decidedly chauvinistic terms.

      The BBC interviewed a former deputy prosecutor general of Ukraine, who told the network: “It’s very emotional for me because I see European people with blue eyes and blond hair … being killed every day.” Rather than question or challenge the comment, the BBC host flatly replied, “I understand and respect the emotion.” On France’s BFM TV, journalist Phillipe Corbé stated this about Ukraine: “We’re not talking here about Syrians fleeing the bombing of the Syrian regime backed by Putin. We’re talking about Europeans leaving in cars that look like ours to save their lives.”

      In other words, not only do Ukrainians look like “us”; even their cars look like “our” cars. And that trite observation is seriously being trotted out as a reason for why we should care about Ukrainians.

      There’s more, unfortunately. An ITV journalist reporting from Poland said: “Now the unthinkable has happened to them. And this is not a developing, third world nation. This is Europe!” As if war is always and forever an ordinary routine limited to developing, third world nations. (By the way, there’s also been a hot war in Ukraine since 2014. Also, the first world war and second world war.) Referring to refugee seekers, an Al Jazeera anchor chimed in with this: “Looking at them, the way they are dressed, these are prosperous … I’m loath to use the expression … middle-class people. These are not obviously refugees looking to get away from areas in the Middle East that are still in a big state of war. These are not people trying to get away from areas in North Africa. They look like any.” Apparently looking “middle class” equals “the European family living next door”.

      And writing in the Telegraph, Daniel Hannan explained: “They seem so like us. That is what makes it so shocking. Ukraine is a European country. Its people watch Netflix and have Instagram accounts, vote in free elections and read uncensored newspapers. War is no longer something visited upon impoverished and remote populations.”

      What all these petty, superficial differences – from owning cars and clothes to having Netflix and Instagram accounts – add up to is not real human solidarity for an oppressed people. In fact, it’s the opposite. It’s tribalism. These comments point to a pernicious racism that permeates today’s war coverage and seeps into its fabric like a stain that won’t go away. The implication is clear: war is a natural state for people of color, while white people naturally gravitate toward peace.

      It’s not just me who found these clips disturbing. The US-based Arab and Middle Eastern Journalists Association was also deeply troubled by the coverage, recently issuing a statement on the matter: “Ameja condemns and categorically rejects orientalist and racist implications that any population or country is ‘uncivilized’ or bears economic factors that make it worthy of conflict,” reads the statement. “This type of commentary reflects the pervasive mentality in western journalism of normalizing tragedy in parts of the world such as the Middle East, Africa, south Asia, and Latin America.” Such coverage, the report correctly noted, “dehumanizes and renders their experience with war as somehow normal and expected”.

      More troubling still is that this kind of slanted and racist media coverage extends beyond our screens and newspapers and easily bleeds and blends into our politics. Consider how Ukraine’s neighbors are now opening their doors to refugee flows, after demonizing and abusing refugees, especially Muslim and African refugees, for years. “Anyone fleeing from bombs, from Russian rifles, can count on the support of the Polish state,” the Polish interior minister, Mariusz Kaminski, recently stated. Meanwhile, however, Nigeria has complained that African students are being obstructed within Ukraine from reaching Polish border crossings; some have also encountered problems on the Polish side of the frontier.

      In Austria, Chancellor Karl Nehammer stated that “of course we will take in refugees, if necessary”. Meanwhile, just last fall and in his then-role as interior minister, Nehammer was known as a hardliner against resettling Afghan refugees in Austria and as a politician who insisted on Austria’s right to forcibly deport rejected Afghan asylum seekers, even if that meant returning them to the Taliban. “It’s different in Ukraine than in countries like Afghanistan,” he told Austrian TV. “We’re talking about neighborhood help.”

      Yes, that makes sense, you might say. Neighbor helping neighbor. But what these journalists and politicians all seem to want to miss is that the very concept of providing refuge is not and should not be based on factors such as physical proximity or skin color, and for a very good reason. If our sympathy is activated only for welcoming people who look like us or pray like us, then we are doomed to replicate the very sort of narrow, ignorant nationalism that war promotes in the first place.

      The idea of granting asylum, of providing someone with a life free from political persecution, must never be founded on anything but helping innocent people who need protection. That’s where the core principle of asylum is located. Today, Ukrainians are living under a credible threat of violence and death coming directly from Russia’s criminal invasion, and we absolutely should be providing Ukrainians with life-saving security wherever and whenever we can. (Though let’s also recognize that it’s always easier to provide asylum to people who are victims of another’s aggression rather than of our own policies.)

      But if we decide to help Ukrainians in their desperate time of need because they happen to look like “us” or dress like “us” or pray like “us,” or if we reserve our help exclusively for them while denying the same help to others, then we have not only chosen the wrong reasons to support another human being. We have also, and I’m choosing these words carefully, shown ourselves as giving up on civilization and opting for barbarism instead.

      https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/mar/02/civilised-european-look-like-us-racist-coverage-ukraine?CMP=Share_iOSAp

    • Guerre en Ukraine : « Nos » réfugiés d’abord ?

      Il est humainement inacceptable que l’Europe et la Belgique fassent une distinction entre des réfugiés qui fuient la guerre depuis un pays du continent européen et les autres.

      Bonne nouvelle : le secrétaire d’Etat à l’Asile et à la Migration Sammy Mahdi met tout en œuvre pour accueillir dans notre pays le plus grand nombre possible de personnes fuyant l’Ukraine. Elles peuvent compter sur une protection automatique d’un an, extensible à trois ans si nécessaire. Cet accord (européen) inconditionnel, sans procédure d’asile, est unique et sans précédent. Mais sur quoi se base-t-il ?

      « Nous avons le devoir moral d’aider et de faire preuve de solidarité », a déclaré le secrétaire d’État dans De Zevende Dag. « Nous ne devons pas tarder à mettre à disposition un refuge sûr. »

      Un demi-million d’Ukrainiens ont déjà fui le pays vers l’Europe, et six à sept millions d’autres pourraient suivre. Une telle réponse humaine et directe aux personnes qui fuient la guerre doit être saluée. Les personnes dont la vie est menacée par la guerre méritent un refuge sûr ailleurs, un statut légal et une aide de base pour survivre. En cela, l’hospitalité de Mahdi suit l’esprit de la Convention des Nations unies sur les réfugiés de 1951 et du Protocole de New York de 1967. C’est un geste logique et humain.
      Frontières sacrées

      Toutefois, le contraste est troublant avec la réaction européenne envers tant d’autres personnes démunies qui ont dû quitter des zones de conflit turbulentes et qui sont « accueillies » à nos frontières extérieures par de hauts murs, des barbelés et une surveillance numérique dans laquelle l’UE investit des milliards. Les mêmes ministres européens de la Migration qui accueillent aujourd’hui les Ukrainiens/nes à bras ouverts se tenaient à la frontière entre la Lituanie et la Biélorussie en janvier dernier, en contemplant le nouveau parapet de la forteresse Europe.

      Un mur similaire est actuellement en cours de construction entre la Pologne et la Biélorussie, pour un coût de 350 millions d’euros : 5,5 m de haut, 186 km de long. Sur Facebook, le Premier ministre polonais a posté : « La frontière polonaise n’est pas seulement une ligne sur une carte. La frontière est sainte – le sang polonais a été versé pour elle ! »

      C’est précisément sur cette frontière sacrée qu’au moins 19 personnes ont été retrouvées mortes (gelées) depuis le début des travaux : des personnes originaires du Yémen, d’Irak et du Nigeria.

      Apparemment, la souffrance est mesurable sur une échelle. Apparemment, comme l’écrit la philosophe Judith Butler, certaines vies méritent d’être pleurées tandis que d’autres peuvent être traquées, illégalisées, exploitées sur le marché du travail et laissées à la merci de la politique belge d’asile et de migration. Comme si un habitant de Kaboul avait moins de raisons humaines de fuir qu’un habitant de Kiev ? Comme si notre « devoir moral d’aider » était aussi un interrupteur que l’on peut allumer et éteindre à volonté ? Alors que sous l’ancien secrétaire d’État Theo Francken, un projet de loi autorisait la police à faire une simple descente chez tous ceux qui accueillent des personnes déplacées, le hashtag #PlekVrij (#EspaceLibre) appelle désormais les citoyens/nes à libérer des chambres pour les familles ukrainiennes. Il n’y a pas plus schizophrène que cela dans l’État belge.

      Trouvez les dix différences

      Une mère réfugiée avec son enfant et une mère réfugiée avec son enfant : cherchez les dix différences. La principale différence est claire : si la mère porte un foulard ou si l’enfant est moins blanc, on aurait moins envie de les laisser entrer. Plusieurs Ukrainiens/n.s et résidents/es en Ukraine noirs témoignent aujourd’hui sur les médias sociaux de la façon dont ils ont été arrêtés/es à la frontière polonaise, volés/es et abandonnés/es à leur sort. La conclusion évidente va à l’encontre de toute convention internationale : notre politique d’asile européenne et belge est discriminatoire sur la base de la couleur et de la religion. Nos réfugiés à nous passent avant tout le monde.

      La décision véhémente de Mahdi rappelle presque l’« opération de sauvetage » controversée et très sélective de 1.500 chrétiens syriens menée par Francken en 2015. En même temps, les Afghans/nes n’ont pas pu compter sur la solidarité de Mahdi sur Twitter lors de la prise du pouvoir par les talibans l’année dernière. À l’époque, il avait écrit, avec cinq collègues de l’UE, une autre lettre à la Commission européenne pour demander que les rapatriements forcés vers l’Afghanistan ne cessent pas : « L’arrêt des retours forcés envoie un mauvais signal et incite probablement encore plus de citoyens/nes afghans/nes à quitter leur foyer. »

      Ceux qui insinuent que fuir la guerre en Ukraine est en effet « quelque chose de différent » que de fuir un conflit armé en Afghanistan, doivent enfin invoquer le type de solidarité populaire historique que beaucoup méprisent aujourd’hui chez Poutine. Il s’agit d’une distinction peu différente de l’aryanisme latent dont un procureur ukrainien s’est fait l’écho sur la BBC : « Cette guerre est très émotionnelle pour moi parce que je vois maintenant des Européens aux yeux bleus et aux cheveux blonds se faire tuer. » (1) Dans l’Europe de 2022, même dans la mort, tout le monde n’est pas égal.

      Pensez aux 23.000 personnes qui sont mortes en Méditerranée depuis 2014 à cause du régime frontalier européen. Le nationalisme de la Russie et le continentisme de l’UE ont peut-être des visages différents, mais des conséquences mortelles similaires.
      #InMyName

      Par conséquent, la préoccupation actuelle pour l’Ukraine ne devrait pas être une exception, mais devrait devenir la norme pour tous ceux qui sont contraints de quitter leur patrie. Tant que cette égalité n’est pas atteinte, le régime d’accueil spécial de l’Europe n’indique pas l’hospitalité, mais la suprématie blanche. Une fois de plus, ce statut spécial pour les Ukrainiens/nes confirme ce que 160 avocats/es belges spécialisés/es dans le droit de l’immigration ont dénoncé dans une lettre ouverte parue dans La Libre en décembre : notre politique de régularisation n’est que du vent.

      Devrons-nous donc espérer qu’à chaque crise, le secrétaire d’État se comporte en héros : « tel ou tel groupe a désormais droit à notre accueil temporaire et exceptionnel » ?

      Non, nous avons besoin de cadres juridiques équitables pour le long terme. Ce que l’État belge offre aujourd’hui, à juste titre, aux citoyens/nes ukrainiens/nes devrait s’appliquer à tout le monde : attention, confiance fondamentale, action rapide, absence d’ambiguïté. Si nous pouvons prendre en charge des millions de victimes de Poutine, nous devrions également être en mesure de garantir un avenir à quelques dizaines de milliers de concitoyens/nes sans papiers en Belgique. On dirait qu’il y a un #EspaceLibre.

      https://www.lesoir.be/427956/article/2022-03-04/guerre-en-ukraine-nos-refugies-dabord
      #Belgique

    • Le vrai ou faux : les réfugiés ukrainiens sont-ils mieux accueillis que d’autres ?

      En plus d’une exemption de procédure, les réfugiés venant d’Ukraine bénéficient d’un effort d’accueil en décalage par rapport aux standards européens.
      Depuis des semaines, la Belgique laisse chaque jour une partie des demandeurs d’asile sur le carreau, sans prise en charge, renvoyant les déçus vers les réseaux d’accueil de sans-abrisme, voire les squats et la rue. L’Etat est en faute, il a été condamné pour cela. Mais le secrétaire d’Etat et son administration n’ont cessé d’assurer faire leur possible pour aménager de nouvelles places, ne pouvant cependant couvrir les besoins. Avec le déclenchement de la guerre en Ukraine et le mouvement de solidarité face aux déjà deux millions de réfugiés boutés hors du pays, 24.000 places d’accueil ont été mises à disposition en quelques jours par les communes et les particuliers pour accueillir les réfugiés en Belgique. Le système est encore boiteux, mais la mobilisation est là. Les élus tonnent au Parlement et sur les réseaux sociaux : il n’est pas question de laisser un Ukrainien sans toit. Et Theo Francken (N-VA) de surenchérir : un toit ne suffit pas, il faut penser à l’accompagnement psychologique des personnes traumatisées par la guerre. Voilà des années pourtant que les associations alertent sur l’indigence de la prise en charge psychologique des réfugiés, sans trouver d’écho.

      L’Union européenne est-elle en train de formaliser un double standard pour les réfugiés, avec des Ukrainiens bénéficiant d’un statut automatique et des Erythréens, Syriens, Afghans soumis à une procédure d’asile longue et souvent douloureuse ? Oui. Y a-t-il lieu de s’en offusquer ? Tout dépend de ce dont on parle.

      L’activation de la protection temporaire qui octroie automatiquement une série de droits aux ressortissants ukrainiens ayant quitté le pays depuis le début du conflit a été unanimement saluée, tout comme l’élan de solidarité qui l’accompagne dans les pays européens. La question qui se pose depuis est plutôt de savoir pourquoi elle n’avait jamais été appliquée jusqu’à maintenant ? Qu’il s’agisse des déplacements de populations provoqués par les printemps arabes (en Tunisie, en Libye) ou la guerre en Syrie, les occasions n’ont pas manqué depuis sa création en 2001.

      Meltem Ineli Ciger a passé près de sept ans de sa vie à étudier la question. Pour sa thèse, à l’université de Bristol, puis à l’occasion de diverses publications jusqu’en 2018. De quoi construire une solide analyse expliquant pourquoi la directive est de facto inapplicable : maladresse dans la définition des termes et conditions, mécanisme d’activation trop complexe, défaut de solidarité structurel… Il n’aura fallu que quelques jours pour envoyer son travail à la poubelle (ou pas loin). « Comme j’ai pu avoir tort », relève non sans humour et amertume la juriste turque dans une note de blog du réseau Odysseus, spécialisé dans le droit européen de la migration. « Les événements de ces deux dernières semaines montrent une chose : les raisons que j’avais identifiées au fil des ans se réduisent à une réflexion : la directive protection temporaire n’a pas été implémentée avant 2022 parce que la Commission et le Conseil n’avaient simplement pas la volonté politique de le faire. »

      Un flux massif et inédit

      La chercheuse, aujourd’hui professeur assistante à l’université Suleyman Demirel, en Turquie, a donc revu sa copie, dressant des constats que rejoignent les différents experts contactés.

      D’abord, le caractère massif et inédit des flux de réfugiés ukrainiens. Même si les grands mouvements d’asile de 2015-2016 ont amené plus de 2 millions de personnes dans l’Union européenne, les flux se sont répartis sur deux ans. Et les Syriens, qui auraient pu prétendre à une protection automatique, ne représentaient qu’un gros quart des demandeurs. Une pression jugée absorbable par le système classique d’asile. Ici, deux millions de personnes ont traversé les frontières en 12 jours. Impossible de mener des évaluations individuelles détaillées sans provoquer des engorgements dramatiques, que ce soit à la frontière ou dans les pays d’arrivée où le système d’asile est parfois déjà en état de saturation (comme en Belgique). Surtout qu’il n’y a pas de débat quant à savoir les personnes déplacées ont besoin de protection.

      L’autre facteur, c’est la crainte de l’appel d’air, qui a jusque-là systématiquement retenu les Etats membres. « L’enjeu, c’est l’hinterland », souligne Jean-Louis De Brouwer (Institut Egmont), qui a participé à la création de la directive. « Quand il y a la crise en Syrie ou en Afghanistan, les réfugiés vont traverser de vastes territoires qui peuvent être des pays de premier accueil. La réaction systématique et immédiate de l’Union européenne, c’est de dire : on va aider les pays limitrophes. La crainte étant qu’en activant un statut perçu comme potentiellement trop généreux tout le monde veuille venir en Europe. » Une forme de solidarité a minima qui s’accompagne d’un travail de sécurisation de la frontière via des accords avec des pays tiers d’accueil ou de transit (comme la Turquie, le Niger ou la Libye), des entraves (barbelés, murs), voire des opérations de refoulement illégales. « Ici, il n’est pas question d’appel d’air : quand les réfugiés franchissent la frontière, ils sont sur le territoire européen. »
      Une empathie sélective

      Enfin, les Ukrainiens sont européens (eux). Les médias n’ont pas tardé à rapporter les dérapages d’hommes politiques ou journalistes qualifiant cette population réfugiée d’inhabituelle car « éduquée » et issue de régions « civilisées », signes d’une empathie sélective reposant parfois sur des biais douteux. Sans parler des discriminations des étudiants étrangers, notamment nigérians, bloqués à la frontière polonaise.

      Une des rares modifications apportée par les Etats membres à la proposition de la Commission pour activer la directive a été d’exclure du mécanisme les ressortissants de pays tiers sans résidence permanente (les étudiants et les demandeurs d’asile par exemple). Et parce que les Ukrainiens sont européens, les Etats membres ont totalement renversé les paradigmes cadrant normalement les questions d’asile : les réfugiés sont ici invités à s’installer dans le pays de leur choix. La solidarité européenne se construira à partir de cette répartition spontanée et non en vertu de règles définissant des pays (frontaliers) responsables. Si cette approche résulte d’un certain pragmatisme (les Ukrainiens n’ont pas d’obligation de visa et peuvent se déplacer librement pendant 90 jours), elle est encouragée et présentée très positivement par la Commission. A 180 degrés des discours portés ces dernières années concernant les demandeurs d’asile, bloqués par le carcan d’une procédure Dublin (*) que tout le monde reconnaît pourtant comme inefficace et coûteuse.

      A vrai dire, l’enjeu du double standard devrait peser surtout dans les mois qui viennent, à supposer que le conflit en Ukraine se poursuive. La protection temporaire et le statut de réfugié ouvrent des droits assez similaires (séjour, accès au marché du travail, aux droits sociaux…). Il s’agira donc de voir si les dispositifs déployer pour aider et accueillir les Ukrainiens – pour l’accès au logement, au travail, à l’apprentissage de la langue – sans laisser sur la touche les autres réfugiés, voire les populations européennes précarisées

      https://www.lesoir.be/428815/article/2022-03-08/le-vrai-ou-faux-les-refugies-ukrainiens-sont-ils-mieux-accueillis-que-dautres

      #double_standard #empathie_sélective

    • #Grèce : Πραγματική προσφυγική πολιτική μόνο για Ουκρανούς
      –->

      Une véritable politique des réfugiés uniquement pour les Ukrainiens

      Πολλοί από τους χιλιάδες Ουκρανούς πρόσφυγες που έφτασαν στην Ελλάδα δεν έχουν χαρτιά, αλλά κανείς δεν διανοήθηκε να τους πει « παράνομους » ή « λαθραίους », να τους χαρακτηρίσει « υγειονομική απειλή » λόγω της πανδημίας, να μιλήσει για απειλή στην εδαφική ακεραιότητα, να υπαινιχθεί αλλοίωση του εθνικού μας πολιτισμού, να επισημάνει ανυπέρβλητες γλωσσικές και πολιτισμικές διαφορές που εμποδίζουν την ένταξή τους στην ελληνική κοινωνία, να εκφράσει φόβο για αύξηση της εγκληματικότητας ή να υπαινιχθεί ότι θα μας πάρουν τις δουλειές.

      Μέσα σε μια νύχτα τα κλειστά σύνορα άνοιξαν και δημιουργήθηκε ασφαλής και νόμιμη διαδρομή μέσω του Προμαχώνα, όπου οι πρόσφυγες υποβάλλουν αίτημα για ταξιδιωτικά έγγραφα. Το υπουργείο Μετανάστευσης και Ασύλου διαθέτει άμεσα χώρο στέγασης και σίτιση και ο κ. Μηταράκης, που μέχρι πρόσφατα ανακοίνωνε κλείσιμο δομών και εξώσεις, τώρα επιθεωρεί δομές της βόρειας Ελλάδας που ξαναγεμίζουν. Η υπηρεσία Ασύλου, κλειστή από τον Νοέμβριο για χιλιάδες νεοεισερχόμενους πρόσφυγες της ενδοχώρας που δεν μπορούν να ζητήσουν άσυλο, ανοίγει ξαφνικά για να δεχτεί τα αιτήματα των Ουκρανών για προσωρινή προστασία.

      Οι αρχές προαναγγέλλουν άμεση έκδοση ΑΜΚΑ και ΑΦΜ και γρήγορη πρόσβαση στην αγορά εργασίας, ενώ το υπουργείο Παιδείας απλοποιεί την εγγραφή των Ουκρανών προσφυγόπουλων στα σχολεία, που έχει ήδη αρχίσει. Μέσα σε λίγες μέρες το κράτος μοιάζει ξαφνικά με καλολαδωμένη μηχανή που λύνει προβλήματα αντί να βάζει εμπόδια. Η νέα κανονικότητα που δημιουργεί στο προσφυγικό η ρωσική εισβολή στην Ουκρανία είναι επιθυμητή και καλοδεχούμενη. Αναδεικνύει όμως τη βαθιά υποκρισία της ευρωπαϊκής και ελληνικής αντιπροσφυγικής πολιτικής των τελευταίων χρόνων, που εξακολουθεί να θεωρείται κανονικότητα για τους πρόσφυγες της Μέσης Ανατολής, της Ασίας και της Αφρικής, είναι όμως πια απογυμνωμένη από προφάσεις, ψέματα και φαιδρά επιχειρήματα και φαίνεται καθαρά το αποκρουστικό πρόσωπο του ρατσισμού.

      https://www.efsyn.gr/stiles/ano-kato/335992_pragmatiki-prosfygiki-politiki-mono-gia-oykranoys

      commentaire de Vicky Skoumbi via la mailing-list de Migreurop :

      Miracle : L’accueil digne des réfugiés devient possible, même en Grèce, dans un laps de temps record ! Pourvu que ceux-ci sont blonds aux yeux bleus et qu’ils ne menacent pas le « mode de vie européen »...Quant aux autres, qu’ils crèvent frigorifiés sur un îlot d’Evros ou sous les flots

    • #Emmanuel_Macron :

      « Quand on a peur des phénomènes migratoires, je pense qu’il faut là aussi défendre notre ADN, c’est-à-dire notre devoir d’accueillir celles et ceux qui fuient un pays en guerre comme les Ukrainiennes et les Ukrainiens aujourd’hui, mais en même temps de savoir lutter contre l’immigration clandestine [ie non européenne - NdR]. C’est par cette clarté et cette exigence que, je pense, on peut répondre aux peurs et en même temps tenir une réponse républicaine »

      https://seenthis.net/messages/955991

    • Gli studenti ucraini arrivati in Italia dopo l’invasione potranno essere ammessi alle classi successive anche in mancanza dei requisiti necessari ed essere esonerati dagli esami di Stato

      Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ha firmato un’ordinanza che prevede che gli studenti ucraini arrivati in Italia a seguito dell’invasione dell’Ucraina potranno essere ammessi alle classi successive anche in mancanza dei requisiti necessari e, se necessario, esonerati dagli esami di Stato. L’ordinanza riguarda i soli studenti ucraini iscritti alle scuole elementari, medie e superiori italiane a partire dallo scorso 24 febbraio, data d’inizio dell’invasione ucraina.

      Per gli studenti iscritti alle scuole superiori l’ordinanza prevede che, in mancanza dei requisiti necessari, si potrà essere ammessi all’anno successivo ma dovrà essere redatto un piano didattico individuale per raggiungere i livelli di apprendimento richiesti. Il piano dovrà essere predisposto tenendo conto dell’impatto psicologico della guerra e delle difficoltà che comporta l’apprendimento in un paese straniero.

      Per quanto riguarda gli esami di Stato, invece, l’ordinanza prevede la possibilità di esonero per gli studenti che si trovino nelle classi «terminali» (cioè terza media e quinta superiore) e non abbiano raggiunto i livelli linguistici e le competenze disciplinari necessarie a sostenerli: in questo caso, il consiglio di classe rilascerà un attestato di credito formativo, che nel caso degli studenti di terza media sarà sufficiente per iscriversi alle superiori, e nel caso degli studenti di quinta superiore per frequentare nuovamente la quinta.

      https://www.ilpost.it/2022/06/07/studenti-ucraini-ordinanza-ministero-istruzione

      #étudiants #étudiants_ukrainiens #Italie

  • « Des millions de personnes vivant dans la précarité subissent une double peine face au virus »
    « Le travail et ses dangers sont rendus invisibles »
    https://alencontre.org/societe/travail-et-sante/le-travail-et-ses-dangers-sont-rendus-invisibles.html

    Entretien avec Annie Thébaud-Mony conduit par Guy Zurkinden

    Gestion néolibérale de la pandémie, mépris des soignants, invisibilisation des cancers professionnels… Sociologue de la santé et du travail, directrice de recherche honoraire à l’Institut national de la recherche médicale, en France, militante infatigable, Annie Thébaud-Mony dénonce la mise en danger généralisée des salariés [1]. Et pointe les terrains de lutte.
    A la lumière de votre expérience de lutte contre des maladies infectieuses, vous critiquez la gestion de la pandémie Covid-19 pratiquée dans de nombreux pays, dont la France. Pourquoi ?

    Annie Thébaud-Mony – En Algérie, dans les années 1970, j’ai participé à des programmes sanitaires de lutte contre la tuberculose, une maladie infectieuse se transmettant de manière similaire au Covid-19. J’y ai appris que, pour arrêter les chaînes de contamination et organiser une prise en charge conséquente des malades, il faut des structures sanitaires au plus proche de la population – et d’abord, de la population la plus vulnérable.

    Plus on développe des soins de première ligne afin de répondre aux besoins de santé de base, plus on traite tôt la maladie, moins elle prendra des formes graves. Cela permet aussi de cerner et d’isoler les clusters, ainsi que de diminuer la pression sur les hôpitaux.

    Certains pays – la Nouvelle-Zélande, l’Australie, l’Islande et certains pays asiatiques – ont fait cet effort de prise en charge au plus près de la population. Ils ont eu beaucoup moins de cas graves et de morts.

    En revanche, de nombreux gouvernements, notamment en Europe, ont totalement ignoré cette expérience.

    En France, j’ai été estomaquée de voir que la gestion du Covid-19 ne s’appuyait pas sur les médecins généralistes et les centres de santé, qui sont pourtant un maillon central de la chaîne des soins pour les personnes en situation précaire.

    Tout le monde n’est pas égal face au virus ?
    Face au Covid-19 comme face à toutes les maladies infectieuses, les inégalités sont flagrantes.

    En Seine Saint-Denis, le taux de mortalité dû au Covid-19 est le plus haut de France, en particulier parmi les quartiers défavorisés. C’est lié à plusieurs facteurs : les mauvaises conditions de logement ; le fait qu’y résident de nombreux travailleurs, souvent précaires, œuvrant dans des secteurs « essentiels » et donc fortement exposés au virus ; et les conditions de santé moins bonnes des classes défavorisées. Souvent, les personnes très exposées sont aussi celles qui résident le plus loin de lieux de soins susceptibles de les prendre en charge de manière précoce.

    Ces inégalités sociales jouent aussi un rôle face à la vaccination : les personnes les plus éloignées des systèmes informatiques, sans connexion internet ou téléphone portable, peu informées, ont été le plus souvent écartées des circuits de la vaccination.

    Des millions de personnes vivant dans la précarité subissent ainsi une double peine face au virus. Alors qu’elles devraient être les premières cibles de la politique sanitaire.

    La pandémie révèle-t-elle aussi les limites de nos systèmes de santé ?
    Pour répondre à une pandémie, les droits à l’accès aux soins doivent prendre le pas sur la raison économique.
    Or dans l’ensemble des pays européens, tout comme aux Etats-Unis, les gouvernements essaient de gérer la crise sanitaire sans rien changer à la logique de diminution des dépenses de santé publique – qui accompagne la privatisation en marche depuis trente ans.

    En France, on continue à fermer des hôpitaux et à supprimer des lits, en pleine pandémie. A Paris, la fusion prévue des hôpitaux Bichat et Beaujon aboutira par exemple à la suppression de 300 lits en Seine Saint-Denis, le département le plus touché par la pandémie !

    En refusant de remettre en cause la marchandisation de la santé, les gouvernements laissent l’épidémie se répandre et faire toujours plus de victimes.

    Les effets de cette politique vont bien au-delà du Covid-19. En France, les cancers sont devenus la première cause de mortalité, avec 157 000 décès par an. Or lors de la première vague, les autorités ont obligé les services de cancérologie à déprogrammer les soins, faute de lits et de personnel suffisants. Conséquence : en 2020, un quart des cas de cancer n’ont pas bénéficié de diagnostic dès les premiers symptômes. Cela représente environ 100 000 malades sur les 400 000 nouveaux cas de cancer survenant chaque année en France. Or le diagnostic précoce est un facteur déterminant pour éviter le décès en raison du cancer !

    Cela fait pourtant des années que les soignants demandent plus de moyens…
    En France, la pandémie est arrivée dans un moment de forte résistance des soignants contre le démantèlement du système de santé publique.

    Au début, le pouvoir a fait l’éloge des professionnels, les a fait applaudir. Mais il ne s’est jamais intéressé à l’activité réelle des soignants et à leurs conditions de travail. Au contraire, il a fait sauter leurs congés et les a obligés à travailler dans des conditions inadmissibles.

    La première vague passée, le gouvernement Macron a ignoré les revendications du personnel. Plutôt que d’améliorer les conditions de travail, de retisser un véritable réseau de soins de santé de base gratuits dans les villages, les quartiers, il a choisi la politique la pire qui soit : « surveiller et punir », soi-disant au nom de la santé. Les salarié·e·s pourront même être licenciés s’ils n’ont pas de pass sanitaire ! C’est le contraire d’une stratégie de santé publique, qui doit être à la fois démocratique et bienveillante. La santé publique ne se fait pas contre les gens, mais avec eux.

    Vous dénoncez aussi la mise en danger de certaines catégories de travailleurs…
    Dès le début de la pandémie, nous avons subi une politique de « double standard » : pendant qu’une partie de la population était confinée au nom de la santé publique, l’autre était contrainte de se rendre au boulot dans des conditions sanitaires parfois déplorables.

    En tant que simple citoyenne je pouvais me faire verbaliser si je sortais sans mon attestation. En revanche, un employeur qui ne protégeait pas ses salariés n’encourait aucune sanction. Des inspecteurs du travail ont même été sanctionnés pour avoir voulu renforcer les mesures de prévention sur les lieux de travail !

    Comment expliquer ce refus de prendre en compte les risques liés au travail ?
    Tout travailleur devrait avoir le droit de ne pas être mis en danger sur son lieu de travail. Or ce droit est aujourd’hui largement bafoué – pour le Covid-19, mais aussi bien au-delà.

    Cette situation est le fruit des rapports de domination qui traversent notre société. En France, dès la fin des années 1970, les entreprises ont pu licencier à leur guise. Cela a entraîné une augmentation spectaculaire du chômage. Cette situation a été instrumentalisée afin d’escamoter le contenu du travail réel : les conditions de travail, les risques qu’elles peuvent représenter pour la santé des salariés, voire pour leur vie, tout cela a été effacé devant l’impératif de l’emploi, la peur que des places de travail soient supprimées.

    Le travail vivant est ainsi devenu invisible… et les travailleurs qui l’effectuent aussi, à commencer par les moins qualifiés – la plupart des gens ne connaissent pas, par exemple, le nom de la personne qui nettoie leur palier, leur escalier ou leur bureau !

    Cette invisibilisation du travail a été intériorisée par les salariés eux-mêmes : dans beaucoup d’entreprises, des enquêtes révèlent un niveau d’exposition affolant à des produits toxiques. Mais si on en discute avec les salariés, ils répondent qu’ils doivent d’abord nourrir leur famille. Au sein des syndicats, la question de la santé au travail est aussi un parent pauvre, par peur pour « l’emploi ».

    On retrouve ce biais dans le corps médical : les médecins ne s’intéressent presque jamais au travail des malades. Pour déterminer l’origine d’une maladie, ils se contentent souvent de questions sur les comportements individuels.

    La santé au travail et les maladies professionnelles sont ainsi totalement invisibilisées. C’est le fruit d’une volonté politique.

    Quel est le coût de cette invisibilisation ?
    Nous menons deux enquêtes auprès de patients atteints de cancer – une dans le Vaucluse (depuis 2017), l’autre en Seine-Saint-Denis (dès 2002). Les résultats sont effrayants. L’étude réalisée en Seine-Saint-Denis a montré que, sur plus de 1200 patients suivis, 85% ont été lourdement exposés à une multiplicité de substances cancérogènes. La raison : dans une série de métiers exposés comme la construction, le travail des métaux, la réparation automobile et la maintenance industrielle, le nettoyage et la gestion des déchets, il n’existe aucune mesure de protection de la santé digne de ce nom. La réglementation concernant l’exposition aux cancérogènes n’est pas mise en application par les employeurs et ces derniers ne sont jamais sanctionnés pour de telles infractions.

    Ce n’est pas tout. Dans nos deux enquêtes, aucune victime de cancer ne s’est appuyée sur le dispositif de suivi médical destiné aux personnes exposées à des cancérogènes au travail. Or si ces suivis existaient, on pourrait prévenir les risques à la source. En leur absence, on perd la mémoire des lieux de travail exposés.

    Les conséquences de cette négligence sont graves : non seulement les salariés continuent à tomber malades et/ou à mourir en raison de leurs conditions de travail, mais de nombreuses friches industrielles exposent ensuite les habitants de quartiers entiers à des produits cancérogènes.

    On retrouve une situation semblable pour ce qui est du recours aux pesticides en milieu agricole.

    Comment affronter cette réalité ?
    Nous vivons une situation très dure sur le plan de la précarisation du travail et de l’emploi. Néanmoins, il est possible de faire bouger les lignes, y compris au niveau syndical, et de poser le problème de la santé avec les salariés eux-mêmes, à partir de situations très concrètes.

    On pourrait citer de nombreux exemples. L’usine Eternit à Albi, au sud de la France, a produit des fibres d’amiante de 1973 en 1997. Confrontés à la mort de leurs collègues, atteints de cancers, les salariés se sont organisés et ont œuvré au sein des syndicats pour faire prendre conscience des dangers de l’amiante et formuler des revendications. Ils ont exigé, d’une part, que les cancers dus à ce matériau soient reconnus comme maladie professionnelle. De l’autre, ils ont insisté sur la nécessité d’arrêter la production d’amiante, en raison de ses dangers pour la santé. En 2005, des salariés et l’association des familles des victimes ont déposé ensemble une plainte pénale contre l’entreprise pour homicide involontaire.

    En avril 2019, l’incendie de la cathédrale de Notre-Dame a causé une pollution au plomb très importante. Le gouvernement n’a pas traité ce problème sérieusement, car il voulait reconstruire au pas de charge, dans la perspective des JO de 2024. Les travailleurs chargés de la manutention et du nettoyage du site et de ses environs n’ont pas été informés du danger, ni protégés. Face à ce scandale sanitaire, un collectif s’est constitué. Depuis deux ans, il unit des associations de défense de la santé, des syndicats d’enseignants, de fonctionnaires de la Mairie, des transports, de la préfecture de police, ainsi que le collectif nettoyage de l’Union départementale de Paris. Leur lutte a permis d’avoir accès aux informations concernant le niveau de plomb sur certains lieux de travail, d’y faire de la décontamination, etc. En juillet, l’association Henri Pézerat [1928-2009, directeur de recherche du CNRS, chimiste, toxicologue et lanceur d’alerte] de défense de la santé, du travail et de l’environnement, au sein de laquelle je milite, le syndicat CGT et deux familles de riverains ont déposé une plainte pénale pour mise en danger de la vie d’autrui. Cette plainte fait le lien entre pollution professionnelle et environnementale.

    Le monde du travail garde-t-il son potentiel transformateur ?
    Les vrais changements sociaux ne peuvent venir que du bas – de l’action de travailleurs et travailleuses militants, alliés parfois avec des scientifiques qui décident aussi d’agir.

    Durant la pandémie, j’ai été, par exemple, impressionnée par la manière dont certains enseignant·e·s ont réussi à repenser et poursuivre leur mission pédagogique auprès des élèves, en situation de pandémie. Dans le secteur agricole, il est aussi frappant de voir les réseaux qui se construisent à l’occasion de la transition, avec des circuits de distribution différents, des liens entre producteurs.

    Je pense aussi aux syndicalistes du secteur pétrochimique qui, après l’explosion de l’usine d’engrais AZF à Toulouse, en 2001, ont dénoncé le rôle délétère pour l’environnement joué par les multinationales – des questions qui reviennent aujourd’hui sur le devant de la scène avec le mouvement pour le climat.

    Ces luttes et ces expériences – avec bien d’autres – sont le fruit de prises de conscience, dans des milieux populaires, de de la nécessité de changer une société insoutenable. Elles passent par une reprise en main du travail et de son organisation par les travailleurs eux-mêmes, non seulement en tant que travailleurs mais aussi comme citoyens.

    C’est une voie difficile, à l’heure où le droit du travail a été fortement affaibli. Mais elle est incontournable.
    (Entretien publié dans le journal du SSP Services publics, n° 13, 3 septembre 2021, Lausanne)

    #covid-19 #sante #santé #en_vedette #coronavirus #sars-cov-2 #variant #covid #pandémie #contamination #vaccin #vaccins #vaccination #travail #france #santé #capitalisme #économie #surveillance #conditions_de_travail #racisme #politique #inégalités #AZF #éternit #amiante #multinationales #double_standard #pass_sanitaire

  • Des #cigarettes plus nocives pour l’#Afrique : comment les industriels suisses rendent le continent accro

    Une enquête publiée par l’ONG Public Eye pointe du doigt les pratiques des industriels du tabac suisse : les cigarettes qu’ils produisent pour l’Afrique sont plus chargées en substances nocives et addictives que celles pour l’Europe. Avec une population qui fume de plus en plus, l’enjeu économique est gigantesque.

    https://www.franceinter.fr/monde/des-cigarettes-plus-nocives-pour-l-afrique-comment-les-industriels-suiss
    #Suisse #industrie_du_tabac

  • GISTI - Des femmes immigrées face à la contraception
    http://www.gisti.org/doc/plein-droit/14/contraception.html

    Dès 1983, le Gisti a soulevé le problème de l’utilisation du contraceptif injectable en France. À l’origine de la démarche, des travailleurs sociaux avaient été informés par des associations de femmes immigrées, de l’existence de pratiques abusives de cette méthode auprès de femmes étrangères avec lesquelles la communication était difficile voire impossible, sans réelle information. L’initiative conjuguée du Comité médico-social pour la santé des migrants, du Gisti et de l’organisation internationale de coopération pour la santé Médicus Mundi, cherchant à en savoir plus sur l’usage de cette méthode et ses conditions de prescription, a constitué le point de départ d’une enquête menée en région parisienne.

    Ce travail se situe donc à l’articulation d’une demande sociale associative, et de l’expérience d’une équipe de recherche qui a mis au point des outils d’observation et d’analyse d’une situation de prescription et d’utilisation de cette technique de contraception.

    En France, deux contraceptifs injectables, le Dépo-provera et le Noristérat sont accessibles.

    L’enjeu est d’autant plus important que leur utilisation, notamment celle du Dépo-provera, a occasionné une intense polémique à la fin des années 1970. Celle-ci a démarré avec le refus d’autorisation de mise sur le marché du Dépo-provera par la Food and Drugs Administration aux États-Unis et son utilisation parallèle comme méthode de limitation des naissance dans les sociétés en voie de développement.

    Le débat international a porté sur deux points :

    la toxicité du produit
    la question du « double standard » — produit considéré comme dangereux pour les unes mais utilisé auprès des autres — et qui pose le problème du choix des femmes et des couples en ce qui concerne la planification des naissances et les méthodes utilisées.

    Les campagnes de planning familial menées dans les sociétés du tiers-monde relèvent de logiques de contrôle démographique qui laissent peu de place à ce choix. Les contraceptifs injectables ont été et sont un outil de ces campagnes.

    En France, la prescription de cette méthode est marginale par rapport aux autres (pilule et stérilet) et concerne essentiellement les femmes de faible niveau socio-économique et/ou d’origine étrangère en situation de précarité.

    #femmes #contraception #immigration #double_standard

  • Media Are Blamed as US Bombing of Afghan Hospital Is Covered Up — FAIR
    http://fair.org/home/media-are-blamed-as-us-bombing-of-afghan-hospital-is-covered-up

    The New York Times completely rewrote and changed the title of its report on the bombing seven times. Early on October 3, the Times published an article headlined “Airstrike Hits Hospital in Afghanistan, Killing at Least 9.” Minutes later, it changed the headline to “Airstrike Hits Doctors Without Borders Hospital in Afghanistan.” Two hours after, it became “Afghan Hospital Hit by Airstrike, Pentagon Says.” Then “US Investigates After Bombs Hit Afghan Hospital,” before finalizing as “US Is Blamed After Bombs Hit Afghan Hospital.”

    The over 20 versions of the article published in the Times‘ website can be seen at the website NewsDiffs, which monitors edits to pieces published in large new outlets. Because the Times changed the web URL for the article when changing the headlines, there are three separate entries on NewsDiffs.

    Not one of the five New York Times headlines indicated that the US was responsible for the bombing. The final title, “US Is Blamed After Bombs Hit Afghan Hospital,” which was published in print, fails to acknowledge that it was the US who dropped those bombs, which explains why it is blamed.

    The New York Times‘ other story (10/4/15), “Doctors Without Borders Says It Is Leaving Kunduz After Strike on Hospital,” was also substantially edited and rewritten numerous times. It’s likewise full of weasel words and quotes from the US government.
    The Washington Post (10/4/15) also changed headlines and URLs for its reporting, making it difficult to track. It did choose a title acknowledging the US role in the attack, but attributed it to MSF, writing, “Doctors Without Borders Says US Airstrike Hit Hospital in Afghanistan; at Least 19 Dead.”

    #MSM #manipulation #malhonnêteté #Etats-Unis

  • Sur un photo, dix présentateurs ultra-connus en costume posent, des verres à la main, l’air goguenard, devant l’objectif. Il n’y a pas plus cliché de l’entre-soi masculin, comme le décrit Les Nouvelles News. On dirait presque une réunion de club de mecs, où les femmes sont parfois encore exclues aux États-Unis. Le problème ? Le journaliste, auteur du dossier qui fait polémique, ne remarque que tardivement l’absence de femmes à leurs côtés. Un article dénoncé et moqué sur les réseaux sociaux. Mais ce sont les déclarations du successeur de Jon Stewart à la tête du Daily Show, Trevor Noah, qui ont suscité le plus de commentaires. Rappelons que ce dernier s’était déjà illustré par des tweets jugés sexistes et antisémites. Aujourd’hui, il s’est de nouveau exprimé et considère en effet que les femmes « ont plus de pouvoir » dans le domaine de la comédie, citant Amy Schumer, Melissa McCarthy, Tina Fey, Amy Poehler.

    En France, dans le milieu de la culture par exemple, on croit, comme Trevor Noah, que les femmes sont nombreuses. Or, le rapport de Reine Prat de 2009 prouve qu’on est très, très, très loin d’une quelconque parité. Selon le dernier rapport de la SACD, les chiffres sont toujours très éloquents. Pour n’en citer que quelques-uns : aucune femme ne dirige de Théâtres Nationaux. Seulement 15% des Maisons d’opéra sont dirigées par des femmes et à peine 4% des concerts et opéras sont dirigés par des femmes. Bref, un constat effrayant. Pour y remédier, la SACD propose de mettre en place des quotas pour que la part des femmes progresse de 5% par secteur et par an, et ce pendant les trois prochaines années. Car les femmes restent trop souvent invisibles. Et ça ne dérange personne, surtout pas les hommes déjà en place.

    https://martiennes.wordpress.com/2015/09/16/les-femmes-dominent-elles-la-comedie-us/#more-4636

    #non-mixité #androcentrisme

  • Indonésie : l’UE, la France et l’Australie appellent à ne pas procéder aux exécutions, Asie - Pacifique
    http://www.lesechos.fr/monde/asie-pacifique/02136074051-indonesie-lue-la-france-et-laustralie-appellent-a-ne-pas-proced

    Mais en dépit de l’intensification des pressions diplomatiques, l’Indonésie continue de se montrer inflexible, à l’image des propos du ministère des Affaires étrangères qui a indiqué dimanche que les déclarations du secrétaire général des Nations unies n’allaient rien changer au projet d’exécution des condamnés. « Nous avons pris note des déclarations de l’ONU, mais nous observons aussi qu’il n’y a eu aucune déclaration similaire lorsque deux Indonésiennes ont été exécutées récemment » , a déclaré à l’AFP un porte-parole du ministère indonésien des Affaires étrangères, Arrmanatha Nasir, en référence aux deux domestiques indonésiennes décapitées en Arabie Saoudite.

    #double_standard

  • Aider Kiev ? « Parfois, il faut des armes pour arrêter les armes »

    Le débat devient chaud sur la possibilité d’armer les forces ukrainiennes contre la détermination des pro-russes. Les Etats-Unis ayant levé le tabou, la logique d’impunité commence à sérieusement faiblir


    http://www.letemps.ch/Page/Uuid/4425d10e-ab7f-11e4-8a14-18075d406251/Aider_Kiev_Parfois_il_faut_des_armes_pour_arr%C3%AAter_les_armes
    #Ukraine

  • People Who Kill Children

    Palestinian children are subject to brutal violence far more frequently and on a far wider scale than are young Israelis.

    http://www.jacobinmag.com/2014/07/people-who-kill-children

    Palestinian children are subject to brutal violence far more frequently and on a far wider scale than are young Israelis. Such violence is official state policy. And the governments of Canada and the United States either tacitly or overtly back it. Over a thousand Palestinian children have been killed by Israeli soldiers or settlers since 2000, according to Defense for Children International-Palestine Section (DCI), a group with consultative status with the United Nations Economic and Social Council, UNICEF, UNESCO, and the Council of Europe. Yet the much larger volume of violence endured by Palestinian children receives far less media attention than did the disappearance of the young Israeli teens.

    Take as a case study the New York Times. The paper ran thirty-three articles on the captured teens from the time they went missing until July 2, the day after news that their bodies were found became public. But recent documentations of extreme violence against Palestinian children go virtually unnoticed.

    The Times ran no articles on an August 2012 booklet that the Israeli veterans’ group Breaking the Silence published about Israeli treatment of Palestinian youth. In the anthology, Israeli soldiers testify that “physical violence is often exerted against children, whether in response to accusations of stone-throwing or, more often, arbitrarily.” The book describes “cruel and indifferent treatment of children in custody,” “the wounding and killing of children in the West Bank and Gaza, whether by ignoring them at the scene of events, or by targeted shooting,” and the use of children as human shields.

    A February 2013 publication from UNICEF did warrant mention in one Times article: a ninety-nine word wire report that appeared on page A11. That report describes a process in which Palestinian children held in Israeli military detention are systematically denied legal rights and subject to physical and psychological violence:

    In the past 10 years, an estimated 7,000 children have been detained, interrogated, prosecuted and/or imprisoned within the Israeli military justice system — an average of two children each day. The analysis of the cases monitored by UNICEF identified examples of practices that amount to cruel, inhuman, or degrading treatment or punishment according to the Convention on the Rights of the Child and the Convention against Torture.

    #Palestine #Israël #enfance #violence #double_standard #médias

  • Devastating dossier on ’abuse’ by UK forces in Iraq goes to International Criminal Court
    http://www.independent.co.uk/news/uk/politics/exclusive-devastating-dossier-on-abuse-by-uk-forces-in-iraq-goes-to-i

    A devastating 250-page dossier, detailing allegations of beatings, electrocution, mock executions and sexual assault, has been presented to the International Criminal Court, and could result in some of Britain’s leading defence figures facing prosecution for “systematic” war crimes.

    (...)

    The damning dossier draws on cases of more than 400 Iraqis, representing “thousands of allegations of mistreatment amounting to war crimes of torture or cruel, inhuman or degrading treatment”.

    (...)

    The formal complaint to the ICC, lodged yesterday, is the cumulation of several years’ work by Public Interest Lawyers (PIL) and the European Centre for Constitutional and Human Rights (ECCHR). It calls for an investigation into the alleged war crimes, under Article 15 of the Rome Statute.

    (...)

    The report will be publicly released at the Law Society, London, on Tuesday. It comes as the ICC is under mounting pressure to demonstrate a willingness to act against war crimes committed by Western countries – and not solely focus on African nations. Last October, the ICC was criticised by the Ethiopian foreign minister, Tedros Adhanom, who accused it of being “a political instrument targeting Africa and Africans”.

    Professor William Schabas, a renowned expert on human rights law, based at Middlesex University, said: "What this application does is throw down the challenge to the court to show there are no #double_standards.

    #crimes #impunité #cour_pénale_internationale #Irak #Occident

  • ’Flatten All Of Gaza’ - The ’Benghazi Moment’ That Didn’t Matter
    http://www.medialens.org/index.php?option=com_content&view=article&id=708:flatten-all-of-gaza-the-

    the fevered atmosphere generated every time state-corporate propaganda targets a ‘New Hitler’ for destruction (Gaddafi, Milosevic, Saddam Hussein, Assad, et al). Two or three weeks of sustained moral outrage from Washington, London and Paris, echoed across the media, are more than sufficient to generate the required hysteria. Almost anything can then be claimed, with even rational questioning denounced as ’apologetics for tyranny’.

    #médias #propagande #double_standards #libye #syrie #gaza