• La “geografia” della speculazione che fa il prezzo dei beni agricoli

    La guerra tra Ucraina e Russia non incide sul prezzo dei cereali, che dipende piuttosto dalla strategia dei grandi fondi che possiedono le aziende produttrici, controllano le Borse merci di tutto e scommettono sui rialzi

    Il prezzo dei cereali e in generale dei beni agricoli non dipende certo dal blocco del Mar Nero, come molto spesso si racconta, e neppure da altre circostanze troppo specifiche. La produzione mondiale di cereali, secondo le stime dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), si avvicina ai tremila milioni di tonnellate, di cui i cereali ucraini rappresentano poco più del 2%. Un’inezia rispetto al totale. Inoltre il grano ucraino si dirige in gran parte verso i Paesi limitrofi che hanno a più riprese minacciato e adottato misure protezionistiche, per evitare la concorrenza nei confronti dei propri grani. Alla luce di ciò i cereali del Mar Nero non sono certo in grado di determinare la fame in Africa né l’aumento dei prezzi.

    Considerazioni analoghe sono possibili per la produzione di patate e legumi che è, in media, vicina ai 500 milioni di tonnellate annue; considerata una popolazione mondiale di quasi otto miliardi, ciò significherebbe una disponibilità di 150 grammi per persona al giorno. Aggiungendo ai cereali, alle patate e ai legumi la produzione di tutto ciò che serve per realizzare pasti completi, tra cui sale, zucchero e semi oleaginosi, si arriva a una dotazione alimentare pro-capite di 1,5 chilogrammi al giorno. Appare chiaro allora che i prezzi non salgono perché esiste una condizione di carenza di offerta alimentare globale.

    Le difficoltà di approvvigionamento di vaste parti della popolazione del Pianeta dipendono invece da altro: dalla distribuzione profondamente diseguale delle produzioni complessive, dalla natura delle diete adottate, rispetto alle quali la carne sottrae un’enorme quantità di risorse, dalle dinamiche del commercio internazionale e soprattutto dalle modalità di determinazione dei prezzi.

    A tale riguardo occorre porsi una domanda ineludibile: da che cosa dipendono le periodiche impennate di prezzo dei generi agricoli che causano poi drammatiche crisi alimentari? Per rispondere a un simile quesito, bisogna in sintesi descrivere proprio come si formano tali prezzi. La loro determinazione avviene nelle grandi Borse merci del Pianeta, in particolare in quelle di Chicago, Parigi e Mumbai. Un primo elemento da tenere ben presente è a chi appartengono queste Borse; non si tratta infatti -a partire dal Chicago mercantile exchange (Cme)- di istituzioni “pubbliche”, ma di realtà private i cui principali azionisti sono i più grandi fondi finanziari globali. Nel caso di Chicago, i pacchetti più rilevanti sono in mano a Vanguard, BlackRock, JP Morgan, State Street Corporation e Capital International Investors.

    A questo dato se ne aggiunge un altro fondamentale. Soprattutto nelle Borse di Chicago e di Parigi la stragrande maggioranza degli operatori non è costituita da soggetti che producono e comprano realmente il grano, ma da grandi fondi finanziari e da quelli specializzati nel settore agricolo che, senza aver alcun contratto di compravendita dei beni, scommettono sull’andamento dei prezzi. In altre parole: per ogni contratto reale nelle Borse merci, i fondi finanziari operano centinaia di migliaia di scommesse che sono in grado di determinare poi i prezzi reali. Se le aspettative sono orientate all’aumento dei prezzi, scommettono al rialzo e trascinano così i prezzi a livelli insostenibili per intere popolazioni.

    All’origine dell’inflazione alimentare e della fame, si pongono quindi gli strumenti finanziari che sono prodotti dai fondi. Se prendiamo in esame chi sono questi “scommettitori”, troviamo di nuovo gli stessi soggetti (a partire da Vanguard e BlackRock) che sono, come appena ricordato, i “proprietari” delle Borse stesse. In estrema sintesi: pochissimi fondi sono azionisti del luogo dello scambio e sono i principali player di prezzo, pur non avendo nulla a che fare con la produzione e il commercio reali dei beni agricoli scambiati. Tuttavia, la finanziarizzazione di tali, vitali, processi di determinazione dei prezzi di beni essenziali per la sopravvivenza di intere comunità presenta un ulteriore elemento sconcertante.

    Come detto, nelle Borse, a fronte di tanti fondi finanziari, ci sono pochi produttori. Ma chi sono questi ultimi? Nel caso dei cereali si tratta di quattro grandi società: Archer-Daniels Midland, Bunge, Cargill e Dreyfus. Le prime due in particolare sono possedute dai grandi fondi, Vanguard, BlackRock e State Street, che sono, appunto, i medesimi operatori finanziari nelle Borse merci di Parigi e Chicago. L’intera dinamica della formazione dei prezzi agricoli, su cui incidono molto poco le retribuzioni del lavoro contadino, strutturalmente molto basse, risulta pertanto nelle mani di colossi finanziari che controllano Borse, scommesse e produzione: un gigantesco monopolio mondiale rispetto al quale ogni altra variabile, persino quella dell’offerta complessiva di beni agricoli, appare decisamente secondaria.

    È superfluo dire che con l’inflazione “impazzita” le sole società di produzione dei beni agricoli hanno distribuito oltre 30 miliardi di dollari di dividendi in meno di due anni, destinati in larga parte ai fondi finanziari che le possiedono e che hanno sommato quei miliardi ai profitti giganteschi maturati dalla finanza delle scommesse. La narrazione costruita sulle chiusure del Mar Nero c’entra davvero poco mentre sarebbe utile ricordare quanto sostenuto a più riprese dalla Fao, secondo cui per ogni punto percentuale di aumento dei prezzi dei beni agricoli si generano dieci milioni di nuovi affamati.

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    ★ Bernard Lazare, « orthodoxe en rien »...

    " Le seul mérite que revendiqua Bernard Lazare (1865-1903) fut celui d’avoir été le « premier » des dreyfusards, et corollairement le premier à avoir compris que l’Affaire ne relevait pas de l’erreur judiciaire, mais d’une machination ourdie contre un « juif » parce qu’il avait pour seul tort de l’être (...) Bernard Lazare fut un anarchiste malcommode, c’est sûr, « un anarchiste loin des autres, indépendant, jaloux de sa personnalité et prêt à sacrifier le dogme si les événements le réclamaient » (...) "

    https://www.socialisme-libertaire.fr/2022/11/bernard-lazare-orthodoxe-en-rien.html

    Bernard Lazare (1865-1903) ★ Bernard Lazare, « orthodoxe en rien », in À contretemps, n° 18, octobre 2004. Suite au livre de Philippe Oriol : " BERNARD LAZARE " Paris, Stock, 2003, 458 p. « Le seul mérite que revendiqua Bernard Lazare (1865-1903) fut...