• Aide d’urgence | Le défi des soins aux déboutés de l’asile. Soigner la personne et sa dignité
    https://asile.ch/2019/04/16/aide-durgence-le-defi-des-soins-aux-deboutes-de-lasile-soigner-la-personne-et-

    L’aide psychologique aux personnes migrantes repose à la fois sur la nécessité de soins, mais également de réinscription dans un monde de liens et de sens. La guerre, l’exil, la migration par les pertes et les changements qu’ils occasionnent affectent le bien-être des personnes qui doivent se reconstruire et donner un sens à leur existence. […]

    • #soins #santé #santé_mentale #déboutés #asile #migrations #réfugiés #Suisse #aide_d'urgence

      #Jean-Claude_Métraux, pédopsychiatre et cofondateur d’Appartenances, parle d’un triple deuil à surmonter : deuil de Soi (perte de celui que j’étais, que je voulais devenir), deuil de Toi (perte de mon environnement objets et personnes), deuil de sens (perte de mes appartenances). Si les ressources propres à l’individu et à son entourage sont essentielles à l’accomplissement de cette tâche, l’environnement social l’est également. Ainsi, les durcissements successifs de la loi sur l’asile dont la finalité est de rendre la Suisse moins attractive, de même que le discours ambiant à l’égard des demandeurs d’asile qui en découle, ont un impact énorme sur les possibilités de surmonter ces deuils. Précarité et exclusion sociale deviennent trop souvent les conséquences d’une telle politique. L’équilibre psychique déjà en pleine reconstruction est alors malheureusement très durement touché.

      On pourrait dire, et c’est souvent perçu de cette façon par les personnes qui le vivent, qu’il s’agit d’un modèle qui produit de la désaffiliation sociale. Le fait d’être mis hors du jeu social entraîne le sentiment que le droit d’exister est retiré.

      v. aussi
      Entre asile et renvoi, la femme qui ne tenait plus debout

      Nous sommes de plus en plus confrontés à des situations de #renvoi dans le cadre des accords de #Dublin. Les autorités, parfois l’opinion publique, semblent considérer que ces renvois ne devraient pas poser de problème. Nous constatons qu’ils peuvent répéter un #traumatisme et amener à des symptômes ou #troubles_psychiatriques graves chez des personnes pour qui, la plupart du temps, on ne retrouve pas d’antécédents psychiatriques. A travers une vignette clinique et dans un climat d’urgence et d’injonction à l’agir, nous avons voulu montrer l’importance de préserver une réflexion psychopathologique et d’éviter certains pièges contre-transférentiels. Ces questions, avant tout cliniques mais également éthiques, sont abordées à travers le travail en équipe dans un centre de crise à Genève.

      https://www.cairn.info/revue-psychotherapies-2016-3-page-173.htm?contenu=resume
      #renvois_Dublin

  • #Desmond resta qui

    Il 5 agosto 2018, un giovane uomo annega nelle acque del Ceresio. Era probabilmente originario del Benin, e avrebbe dovuto lasciare la Svizzera a breve, ma chi l’ha conosciuto dice “era uno di qua”. Chi era Desmond? Chi l’ha conosciuto ci mostra i luoghi che ha frequentato nei dieci anni passati nella Svizzera italiana, i legami nati, le tracce che ha lasciato, racconta di come abbia preso in mano il suo destino, malgrado il difficile passato, di come si sia integrato e abbia cercato di costruirsi un futuro. Eppure a volte nemmeno questo sembra bastare.

    https://www.rsi.ch/la1/programmi/cultura/storie/Desmond-resta-qui-11598169.html
    #asile #migrations #réfugiés #Suisse #Tessin #mort #décès #mourir_dans_la_forteresse_europe

    Les mots d’une amie sur Desmond :

    Il s’agit de l’histoire, accompagnée de témoignages de personnes qui l’ont connu, du jeune africain qui s’est noyé, début août de l’an passé dans le #lac_de_Lugano, à #Maroggia.
    Il avait 27 ans et était plein d’espoir.Il avait quitté le Bénin pour un avenir meilleur, portant sur ses épaules de lourds événements vécus dans son pays natal.
    Il avait trouvé un travail dans une entreprise de Lugano où son engagement et sa bonne volonté étaient fort appréciée de ses employeurs..
    Nos autorités, néanmoins, lui refusèrent le droit de rester en Suisse, cela le démolit dans sa santé . Il fut interné dans une clinique psychiatrique.
    Un jour accompagné, d’autres patients, il participa à une sortie à Maroggia. Il disparu dans le lac et on ne pu plus rien faire pour lui.

    #santé_mentale #NEM #Dublin #Dublin_tue #règlement_dublin #suicide (?)

    Desmond repose au #cimetière de #Taverne-Torricella :

    • La storia di Desmond, affogato con il marchio di Nem

      Il giovane africano morto nel Ceresio si era diplomato alla Spai con alti voti e aveva lavorato come asfaltatore. Fino al rigetto della sua richiesta come richiedente l’asilo.

      È una storia d’acqua e d’asfalto quella di Desmond Richard, il ragazzo africano annegato domenica pomeriggio nel Ceresio, a pochi metri da riva, davanti all’ex collegio don Bosco. Una storia di amicizie, integrazione e anche tristezza, perché è ingiusto morire a 27 anni. Integrazione è la parola chiave per capire la sua vita, frettolosamente archiviata come la vicenda di un richiedente l’asilo finito male. Anzi ex richiedente, dopo che la Segreteria di Stato della migrazione lo scorso anno aveva deciso per l’espulsione. Desmond era un “NEM”, l’autorità federale gli aveva chiuso la porta in faccia col sigillo della “non entrata in materia”. Stop, da quel giorno la Svizzera gli ha voltato le spalle.

      Una decisione che fa a pugni col fatto che Desmond era perfettamente integrato. Non opinioni, ma fatti: a partire dal diploma, ottenuto con il cinque e mezzo di media nonostante le difficoltà in italiano, alla Spai di Mendrisio come “costruttore stradale”. Qualificato, perché la formazione triennale gli aveva permesso di ottenere l’attestato federale di capacità.

      Un lavoratore molto capace e apprezzato, come lo ricorda un collega della ditta di asfaltatura, la Cogesa, dove ha lavorato fino al luglio dell’anno scorso. Un lavoro duro, quello dell’asfaltatore, che gli permetteva però di essere autosufficiente. Pagava la sua cassa malati (quanti integrati lo fanno?) e contribuiva col 10 per cento del salario al fondo per la migrazione. Intanto riusciva a mettere da parte anche dei risparmi.

      Desmond aveva un caratteraccio, dicono quelli che gli hanno voluto bene. Poteva mandarti allegramente a quel paese e questi sbalzi, accompagnati da un’aggressività solo verbale, sarebbero stati anche, ma qui avvertiamo il lettore ci siamo fermati, all’origine dei suoi ricoveri all’Osc di Mendrisio. Fino all’ultimo, quello finito tragicamente durante l’uscita a bordo lago a Maroggia con altri pazienti e accompagnatori. Fin qui i fatti, perché il lato più drammatico della vita di Desmond racconta di una madre morta, anzi uccisa, davanti agli occhi di lui bambino, durante l’esodo verso l’Europa. Non amava riaprire quella ferita, e forse molti dei suoi problemi attuali erano riconducibili a quel trauma.

      Persa tragicamente la mamma, mai conosciuto il padre, Desmond era convinto, sino allo scorso anno, di essere originario del Benin.

      Ma qualcosa non quadrava, dal momento che la sua lingua non era il francese (la parlata ufficiale di quel Paese), ma l’inglese. Un mistero che è stato risolto solo lo scorso anno, quando in un consolato africano di Zurigo Desmond ha scoperto le sue radici: Benin sì, ma Benin City, una popolosa città della Nigeria. E la provenienza nigeriana sarebbe diventata uno degli ostacoli per il riconoscimento quale richiedente l’asilo.

      Così, gravato da un decreto di espulsione che lo invitava a lasciare la Svizzera, il giovane aveva ottenuto qualcosa che poteva permettergli di rifarsi un’altra vita altrove. Un passaporto nigeriano. Un pezzo di carta che purtroppo non gli servirà più a niente.

      https://www.tio.ch/ticino/attualita/1313882/la-storia-di-desmond-affogato-con-il-marchio-di-nem?mr=1&ref=

    • La Segreteria dello di Stato della Migrazione uccide ancora

      Lo scorso 5 agosto 2018 – secondo i media – muore a Maroggia un “ex richiedente l’asilo” annegato nelle acque del Ceresio. Un “tragico incidente”, “una fatalità”, “scivolato su una passerella in riva al lago” – dicono – (…)ex richiedente, che la Segreteria di Stato della Migrazione (SEM) lo scorso anno aveva deciso per l’espulsione(…) D. era un “NEM”, l’autorità federale gli aveva chiuso la porta in faccia col sigillo della “Non Entrata in Materia” . Eppure qui qualcosa non quadra, non convince, per l’ennesima volta. Con un trascorso tragico come molti/e migranti, dopo aver conosciuto inferni come la Libia e la traversata del Mar Mediterraneo nel quale ha perso l’unica persona legata a lui ovvero sua madre, (deceduta e gettata in mare come immondizia) e padre mai conosciuto, era da diversi anni in Svizzera, il paese della tanto rinomata ”accoglienza”. Qui ha svolto diversi tirocini e conseguito un diploma da asfaltatore, per diventare solo uno dei tanti sfruttati.

      Se da una parte dopo la sua scomparsa è stato elogiato dai giornali per quanto riguarda la farsa dell’integrazione, dall’altra quest’ultima suona sempre come una dichiarazione di guerra, una sorta di minaccia verso le persone che giungono in un altro paese, un’impresa eroica praticamente irraggiungibile. È ora ben chiaro che nemmeno superarla basta più. Nonostante fosse riuscito ad adeguarsi ai canoni di questa società, diventando un numero fra tanti che si spezza la schiena per alimentare questo accogliente sistema, si è visto ritirare il suo permesso da richiedente l’asilo proveniente dal Benin, poiché, come dicono i giornali: “ (…)qualcosa non quadrava, dal momento che la sua lingua non era il francese (la parlata ufficiale di quel Paese – il Benin ), ma l’inglese. Un mistero che è stato risolto solo lo scorso anno, quando in un consolato africano di Zurigo D. ha scoperto le sue radici: Benin sì, ma Benin City, una popolosa città della Nigeria. E la provenienza nigeriana sarebbe diventata uno degli ostacoli per il riconoscimento quale richiedente l’asilo”. Dunque l’accertamento della sua provenienza ha permesso di sbloccare le pratiche per la sua deportazione. Senza se, senza ma, Richard Desmond poteva quindi essere rimpatriato forzatamente.

      Da qui, con un’espulsione pendente nei suoi confronti verso una terra mai conosciuta e, viste le sue grida di aiuto inascoltate da parte di persone e associazioni, l’unico destino a lui imposto, come accade per molte persone in tali situazioni, è stata quella del ricovero all’ospedale psichiatrico. Bombato di psicofarmaci in modo che non potesse né pensare né reagire a quello che gli stava accadendo. Letteralmente gettato nel dimenticatoio, nel luogo in cui la mente viene annientata dai sedativi e la propria personalità viene calpestata.
      D’altronde si sa, le numerose testimonianze dalle prigioni ai centri di detenzione/espulsione per migranti parlano chiaro: è più facile ottenere ansiolitici o sedativi piuttosto che pastiglie per il mal di testa, per la gioia degli aguzzini e delle case farmaceutiche – come avviene anche nella vita di molte persone bianche occidentali.
      Forse allora non si parla più di “tragico incidente”, o “scivolata dal pontile”, come riportano i media di regime, per quanto ci riguarda si tratta dell’ennesimo omicidio da parte di chi decide delle vite e delle libertà altrui. Ennesimo perché di storie simili ne abbiamo sentite abbastanza, chi si ricorda di Youssouuf Diakité, il ragazzo maliano di 20 anni che il 27 febbraio dello scorso anno rimase folgorato sul tetto di un treno? O del ragazzo marocchino travolto a gennaio da un convoglio – sempre a Balerna – lungo i binari della ferrovia? E del richiedente l’asilo di Brissago morto ammazzato da 3 colpi di pistola (!!) da parte della polizia cantonale ticinese per “legittima difesa”? Per non citare Hervé Mandundu, ucciso il 6 novembre 2016 da tre pallottole sparate da un caporale della polizia del Chablais nel Canton Vaud. O Lamine F. trovato morto in una cella del carcere della Blécherette a Losanna il 24 ottobre 2017 che tre giorni prima, alla stazione di Losanna, era stato fermato per un controllo dalle guardie di confine e trattenuto in carcere perché scambiato per un’altra persona per la quale era stato emanato un decreto di espulsione. O anche Mike, membro del collettivo Jeano Dutoit, morto il 28 febbraio 2018 a Losanna durante un controllo di polizia nel quale viene “immobilizzato” e quante storie ancora di “avventurieri” migranti morti cercando di attraversare i confini di questa maledetta fortezza Europa?
      Tutte persone non vittime di fatalità o incidenti come spesso riportato, ma uccise da questo sistema marcio, dalla Segreteria di Stato della Migrazione, uccise dai confini di Stato, uccise dalla Polizia, uccise dal silenzio di questa società complice… …ma tanto si sa, erano migranti, persone non in regola – senza documenti – dal colore della pelle nera, e le loro vite valgono meno delle vite dei bianchi occidentali, non valgono un cazzo. Ecco l’accoglienza svizzera fatta di razzismo, prigioni, deportazioni e omicidi.
      Il razzismo e le frontiere uccidono, l’indifferenza pure! Per un mondo dove nessuno/a debba morire per una linea tracciata su una cartina o per il fatto di non possedere un pezzo di carta: abbattiamo ogni frontiera!


      https://frecciaspezzata.noblogs.org/post/2018/08/25/la-segreteria-dello-di-stato-della-migrazione-uccide-ancora

  • Le droit d’asile malmené : le Conseil d’État appelé à se prononcer sur le refus des conditions d’accueil aux personnes « dublinées »

    Douze associations et syndicats ont déposé devant le Conseil d’État une requête en annulation, accompagnée d’un référé-suspension, contre le décret du 28 décembre 2018 relatif aux conditions matérielles d’accueil (CMA), versées aux demandeur·e·s durant l’examen de leur dossier. Il s’agit de contester un système inique visant à couper irrévocablement le #droit_à_l’hébergement et à une #allocation aux personnes dublinées prétendues « en fuite ».

    Ce #décret met en application les dispositions de la loi du 10 septembre 2018 qui prévoient la fin des CMA pour plusieurs catégories de personnes en demande de protection, ainsi que la possibilité de les assigner à résidence ou de les placer en rétention dès la notification d’une décision défavorable de l’Ofpra (Office français de protection des réfugiés et apatrides). Le décret prévoit également que l’Ofii (Office français de l’immigration et de l’intégration) peut désormais refuser ou retirer automatiquement le droit à l’hébergement et à l’allocation notamment aux personnes dublinées placées « en fuite » ou à celles qui n’ont pas respecté l’orientation directive vers un hébergement ou une région de résidence.

    Au cours de l’audience, qui s’est déroulée le 28 mars 2019, le juge des référés a pointé plusieurs difficultés dans le dispositif critiqué. Sa décision sur la suspension du décret, et donc de la loi, est attendue dans quelques jours.

    En plus de cette requête, de nombreux contentieux individuels sont également en cours contre cette procédure-piège qui place les personnes dans l’extrême précarité. Depuis plusieurs mois, le nombre de personnes dublinées accueillies dans les permanences associatives, à la suite du retrait ou du refus de leur accorder des CMA au prétexte qu’elles ont été déclarées « en fuite » par les préfectures, ne cesse d’augmenter. Car en cas de « fuite », l’Ofii leur retire mécaniquement les droits sociaux sans leur notifier une décision motivée et individualisée.

    Le 5 avril 2019, le Conseil d’État va examiner la légalité de ces coupes claires de droits pratiquées par l’Ofii dans cinq dossiers individuels en appui desquels nos organisations ont déposé des interventions volontaires. Or l’Ofii a la main de plus en plus lourde : selon ses propres chiffres, plus de 15 417 décisions de suspension des CMA ont été prises en 2018, soit 5 fois plus qu’en 2017.

    Les campements aux portes de Paris ou d’autres grandes métropoles abritent désormais une part importante de ces demandeur·e·s d’asile jeté·e·s à la rue parce que considéré·e·s comme « en fuite », alors que leur demande d’asile est en cours d’instruction devant l’Ofpra ou la CNDA. Sans aucune ressource, ni logement, leur état de santé physique et psychique se dégrade rapidement.

    Nous contestons cette logique manifestement contraire au droit européen. La directive « accueil » oblige en effet les États membres de l’UE à garantir aux demandeur·e·s d’asile « des moyens de subsistance permettant d’assurer la dignité des personnes ».

    L’accueil des demandeur·e·s d’asile par la France est mis à mal depuis des années, la dernière loi « asile et immigration » renforce son caractère dissuasif et punitif, mettant des milliers d’exilé⋅e⋅s dans le dénuement le plus total.

    https://www.gisti.org/spip.php?article6135
    #conditions_d'accueil #Dublin #dublinés #règlement_dublin #France #accueil #hébergement #conditions_matérielles_d'accueil #CMA #assignation_à_résidence

    Quand la France ce met à imiter la #Suisse...
    #modèle_suisse

  • L’agenda européen en matière de migration : l’UE doit poursuivre les progrès accomplis au cours des quatre dernières années

    Dans la perspective du Conseil européen de mars, la Commission dresse aujourd’hui le bilan des progrès accomplis au cours des quatre dernières années et décrit les mesures qui sont encore nécessaires pour relever les défis actuels et futurs en matière de migration.

    Face à la crise des réfugiés la plus grave qu’ait connu le monde depuis la Seconde Guerre mondiale, l’UE est parvenue à susciter un changement radical en matière de gestion des migrations et de protection des frontières. L’UE a offert une protection et un soutien à des millions de personnes, a sauvé des vies, a démantelé des réseaux de passeurs et a permis de réduire le nombre d’arrivées irrégulières en Europe à son niveau le plus bas enregistré en cinq ans. Néanmoins, des efforts supplémentaires sont nécessaires pour assurer la pérennité de la politique migratoire de l’UE, compte tenu d’un contexte géopolitique en constante évolution et de l’augmentation régulière de la pression migratoire à l’échelle mondiale (voir fiche d’information).

    Frans Timmermans, premier vice-président, a déclaré : « Au cours des quatre dernières années, l’UE a accompli des progrès considérables et obtenu des résultats tangibles dans l’action menée pour relever le défi de la migration. Dans des circonstances très difficiles, nous avons agi ensemble. L’Europe n’est plus en proie à la crise migratoire que nous avons traversée en 2015, mais des problèmes structurels subsistent. Les États membres ont le devoir de protéger les personnes qu’ils abritent et de veiller à leur bien-être. Continuer à coopérer solidairement dans le cadre d’une approche globale et d’un partage équitable des responsabilités est la seule voie à suivre si l’UE veut être à la hauteur du défi de la migration. »

    Federica Mogherini, haute représentante et vice-présidente, a affirmé : « Notre collaboration avec l’Union africaine et les Nations unies porte ses fruits. Nous portons assistance à des milliers de personnes en détresse, nous en aidons beaucoup à retourner chez elles en toute sécurité pour y démarrer une activité, nous sauvons des vies, nous luttons contre les trafiquants. Les flux ont diminué, mais ceux qui risquent leur vie sont encore trop nombreux et chaque vie perdue est une victime de trop. C’est pourquoi nous continuerons à coopérer avec nos partenaires internationaux et avec les pays concernés pour fournir une protection aux personnes qui en ont le plus besoin, remédier aux causes profondes de la migration, démanteler les réseaux de trafiquants, mettre en place des voies d’accès à une migration sûre, ordonnée et légale. La migration constitue un défi mondial que l’on peut relever, ainsi que nous avons choisi de le faire en tant qu’Union, avec des efforts communs et des partenariats solides. »

    Dimitris Avramopoulos, commissaire pour la migration, les affaires intérieures et la citoyenneté, a déclaré : « Les résultats de notre approche européenne commune en matière de migration parlent d’eux-mêmes : les arrivées irrégulières sont désormais moins nombreuses qu’avant la crise, le corps européen de garde-frontières et de garde-côtes a porté la protection commune des frontières de l’UE à un niveau inédit et, en collaboration avec nos partenaires, nous travaillons à garantir des voies d’entrée légales tout en multipliant les retours. À l’avenir, il est essentiel de poursuivre notre approche commune, mais aussi de mener à bien la réforme en cours du régime d’asile de l’UE. En outre, il convient, à titre prioritaire, de mettre en place des accords temporaires en matière de débarquement. »

    Depuis trois ans, les chiffres des arrivées n’ont cessé de diminuer et les niveaux actuels ne représentent que 10 % du niveau record atteint en 2015. En 2018, environ 150 000 franchissements irréguliers des frontières extérieures de l’UE ont été détectés. Toutefois, le fait que le nombre d’arrivées irrégulières ait diminué ne constitue nullement une garantie pour l’avenir, eu égard à la poursuite probable de la pression migratoire. Il est donc indispensable d’adopter une approche globale de la gestion des migrations et de la protection des frontières.

    Des #mesures immédiates s’imposent

    Les problèmes les plus urgents nécessitant des efforts supplémentaires sont les suivants :

    Route de la #Méditerranée_occidentale : l’aide au #Maroc doit encore être intensifiée, compte tenu de l’augmentation importante des arrivées par la route de la Méditerranée occidentale. Elle doit comprendre la poursuite de la mise en œuvre du programme de 140 millions d’euros visant à soutenir la gestion des frontières ainsi que la reprise des négociations avec le Maroc sur la réadmission et l’assouplissement du régime de délivrance des visas.
    #accords_de_réadmission #visas

    Route de la #Méditerranée_centrale : améliorer les conditions d’accueil déplorables en #Libye : les efforts déployés par l’intermédiaire du groupe de travail trilatéral UA-UE-NU doivent se poursuivre pour contribuer à libérer les migrants se trouvant en #rétention, faciliter le #retour_volontaire (37 000 retours jusqu’à présent) et évacuer les personnes les plus vulnérables (près de 2 500 personnes évacuées).
    #vulnérabilité #évacuation

    Route de la #Méditerranée_orientale : gestion des migrations en #Grèce : alors que la déclaration UE-Turquie a continué à contribuer à la diminution considérable des arrivées sur les #îles grecques, des problèmes majeurs sont toujours en suspens en Grèce en ce qui concerne les retours, le traitement des demandes d’asile et la mise à disposition d’un hébergement adéquat. Afin d’améliorer la gestion des migrations, la Grèce devrait rapidement mettre en place une stratégie nationale efficace comprenant une organisation opérationnelle des tâches.
    #accord_ue-turquie

    Accords temporaires en matière de #débarquement : sur la base de l’expérience acquise au moyen de solutions ad hoc au cours de l’été 2018 et en janvier 2019, des accords temporaires peuvent constituer une approche européenne plus systématique et mieux coordonnée en matière de débarquement­. De tels accords mettraient en pratique la #solidarité et la #responsabilité au niveau de l’UE, en attendant l’achèvement de la réforme du #règlement_de_Dublin.
    #Dublin

    En matière de migration, il est indispensable d’adopter une approche globale, qui comprenne des actions menées avec des partenaires à l’extérieur de l’UE, aux frontières extérieures, et à l’intérieur de l’UE. Il ne suffit pas de se concentrer uniquement sur les problèmes les plus urgents. La situation exige une action constante et déterminée en ce qui concerne l’ensemble des éléments de l’approche globale, pour chacun des quatre piliers de l’agenda européen en matière de migration :

    1. Lutte contre les causes de la migration irrégulière : au cours des quatre dernières années, la migration s’est peu à peu fermement intégrée à tous les domaines des relations extérieures de l’UE :

    Grâce au #fonds_fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique, plus de 5,3 millions de personnes vulnérables bénéficient actuellement d’une aide de première nécessité et plus de 60 000 personnes ont reçu une aide à la réintégration après leur retour dans leur pays d’origine.
    #fonds_fiduciaire_pour_l'Afrique

    La lutte contre les réseaux de passeurs et de trafiquants a encore été renforcée. En 2018, le centre européen chargé de lutter contre le trafic de migrants, établi au sein d’#Europol, a joué un rôle majeur dans plus d’une centaine de cas de trafic prioritaires et des équipes communes d’enquête participent activement à la lutte contre ce trafic dans des pays comme le #Niger.
    Afin d’intensifier les retours et la réadmission, l’UE continue d’œuvrer à la conclusion d’accords et d’arrangements en matière de réadmission avec les pays partenaires, 23 accords et arrangements ayant été conclus jusqu’à présent. Les États membres doivent maintenant tirer pleinement parti des accords existants.
    En outre, le Parlement européen et le Conseil devraient adopter rapidement la proposition de la Commission en matière de retour, qui vise à limiter les abus et la fuite des personnes faisant l’objet d’un retour au sein de l’Union.

    2. Gestion renforcée des frontières : créée en 2016, l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes est aujourd’hui au cœur des efforts déployés par l’UE pour aider les États membres à protéger les frontières extérieures. En septembre 2018, la Commission a proposé de renforcer encore le corps européen de garde-frontières et de garde-côtes et de doter l’Agence d’un corps permanent de 10 000 garde-frontières, afin que les États membres puissent à tout moment bénéficier pleinement du soutien opérationnel de l’UE. La Commission invite le Parlement européen et les États membres à adopter la réforme avant les élections au Parlement européen. Afin d’éviter les lacunes, les États membres doivent également veiller à un déploiement suffisant d’experts et d’équipements auprès de l’Agence.

    3. Protection et asile : l’UE continuera à apporter son soutien aux réfugiés et aux personnes déplacées dans des pays tiers, y compris au Moyen-Orient et en Afrique, ainsi qu’à offrir un refuge aux personnes ayant besoin d’une protection internationale. Plus de 50 000 personnes réinstallées l’ont été dans le cadre de programmes de l’UE depuis 2015. L’un des principaux enseignements de la crise migratoire est la nécessité de réviser les règles de l’UE en matière d’asile et de mettre en place un régime équitable et adapté à l’objectif poursuivi, qui permette de gérer toute augmentation future de la pression migratoire. La Commission a présenté toutes les propositions nécessaires et soutient fermement une approche progressive pour faire avancer chaque proposition. Les propositions qui sont sur le point d’aboutir devraient être adoptées avant les élections au Parlement européen. La Commission continuera de travailler avec le Parlement européen et le Conseil pour progresser vers l’étape finale.

    4. Migration légale et intégration : les voies de migration légale ont un effet dissuasif sur les départs irréguliers et sont un élément important pour qu’une migration ordonnée et fondée sur les besoins devienne la principale voie d’entrée dans l’UE. La Commission présentera sous peu une évaluation complète du cadre de l’UE en matière de migration légale. Parallèlement, les États membres devraient développer le recours à des projets pilotes en matière de migration légale sur une base volontaire. L’intégration réussie des personnes ayant un droit de séjour est essentielle au bon fonctionnement de la migration et plus de 140 millions d’euros ont été investis dans des mesures d’intégration au titre du budget de l’UE au cours de la période 2015-2017.

    http://europa.eu/rapid/press-release_IP-19-1496_fr.htm
    –-> Quoi dire plus si ce n’est que... c’est #déprimant.
    #Business_as_usual #rien_ne_change
    #hypocrisie
    #langue_de_bois
    #à_vomir
    ....

    #UE #EU #politique_migratoire #asile #migrations #réfugiés #frontières

  • #Chronologie des #politiques_migratoires européennes

    En octobre #2013, l’#Italie lance l’opération #Mare_Nostrum suite au naufrage survenu à quelques kilomètres de l’île de Lampedusa en Sicile où 366 personnes ont perdu la vie. Elle débloque alors des moyens matériels (hélicoptères, bateaux, garde-côtes, aide humanitaire) et des fonds considérables (environ 9 millions d’euros par mois) pour éviter de nouveaux naufrages et contrôler les migrants arrivant au sud de l’Italie.

    Au sein de l’Union Européenne, les États votent la résolution #Eurosur qui met en place système européen de surveillance des frontières qui sera assuré par l’agence #Frontex. Frontex est chargée d’assister techniquement les pays pour protéger leurs frontières extérieures et former leurs garde-côtes. En 2018, son siège à Varsovie lui a accordé un budget de 320 millions d’euros. Elle dispose à ce jour (février 2019) de 976 agents, 17 bateaux, 4 avions, 2 hélicoptères, et 59 voitures de patrouille, des moyens qui seront accrus d’ici 2020 avec la formation d’un corps permanent de 10 000 agents et un pouvoir d’exécution renforcé et souhaité par la Commission européenne d’ici 2027.

    Dans le cadre de leur mission de surveillance de la mer, les agents de Frontex interceptent les embarcations d’exilés, contrôlent les rescapés et les remettent aux autorités du pays où ils sont débarqués. Les bateaux Frontex sillonnent ainsi les eaux internationales du Maroc à l’Albanie. Les ONG humanitaires l’accusent de vouloir repousser les migrants dans leurs pays d’origine et de transit comme le prévoient les États de l’Union Européenne.

    Octobre 2014, l’opération Mare Nostrum qui a pourtant permis de sauver 150 000 personnes en un an et d’arrêter 351 passeurs, est stoppée par l’Italie qui investit 9 millions d’euros par mois et ne veut plus porter cette responsabilité seule. L’agence européenne Frontex via l’opération Triton est chargée de reprendre le flambeau avec des pays membres. Mais elle se contente alors de surveiller uniquement les eaux territoriales européennes là où Mare Nostrum allait jusqu’aux côtes libyennes pour effectuer des sauvetages. La recherche et le sauvetage ne sont plus assurés, faisant de ce passage migratoire le plus mortel au monde. L’Italie qui est alors pointée du doigts par des États membres car elle n’assure plus sa mission de sauvetage, de recherche et de prise en charge au large de ses côtes est dans le même temps accusée par les mêmes d’inciter les traversées « sécurisées » en venant en aide aux exilés et de provoquer un appel d’air. Une accusation démentie très rapidement par le nombre de départs qui est resté le même après l’arrêt de l’opération Mare Nostrum.

    L’Italie qui avait déployé un arsenal impressionnant pour le sauvetage durant cette période n’avait pas pour autant assuré la prise en charge et procédé à l’enregistrement des dizaines de milliers d’exilés arrivant sur son sol comme le prévoit l’accord de Dublin (prise empreintes et demande d’asile dans le premier pays d’accueil). Le nombre de demandes d’asile enregistrées fut bien supérieur en France, en Allemagne et en Suède à cette même période.

    #2015 marque un tournant des politiques migratoires européennes. Le corps du petit syrien, #Aylan_Kurdi retrouvé sans vie sur une plage turque le 2 septembre 2015, a ému la communauté européenne seulement quelques semaines, rattrapée ensuite par la peur de ne pas pouvoir gérer une crise humanitaire imminente. « Elle n’a jusqu’ici pas trouvé de réponse politique et collective à l’exil », analysent les chercheurs. Les pays membres de l’Union Européenne ont opté jusqu’à ce jour pour des politiques d’endiguement des populations de migrants dans leurs pays d’origine ou de transit comme en Turquie, en Libye ou au Maroc, plutôt que pour des politiques d’intégration.

    Seule l’#Allemagne en 2015 avait opté pour une politique d’accueil et du traitement des demandes d’asile sans les conditions imposées par l’accord de #Dublin qui oblige les réfugiés à faire une demande dans le premier pays d’accueil. La chancelière allemande avait permis à un million de personnes de venir en Allemagne et d’entamer une demande d’asile. « Elle démontrait qu’on peut être humaniste tout en légalisant le passage de frontières que l’Europe juge généralement indésirables. Elle a aussi montré que c’est un faux-semblant pour les gouvernements de brandir la menace des extrêmes-droites xénophobes et qu’il est bien au contraire possible d’y répondre par des actes d’hospitalité et des paroles », décrit Michel Agier dans son livre “Les migrants et nous”.

    En mars #2016, la #Turquie et l’Union européenne signent un #accord qui prévoit le renvoi des migrants arrivant en Grèce et considérés comme non éligibles à l’asile en Turquie. La Turquie a reçu 3 milliards d’aide afin de garder sur son territoire les candidats pour l’Europe. A ce jour, des réseaux de passeurs entre la Turquie et la #Grèce (5 kms de navigation) sévissent toujours et des milliers de personnes arrivent chaque jour sur les îles grecques où elles sont comme à Lesbos, retenues dans des camps insalubres où l’attente de la demande d’asile est interminable.
    #accord_UE-Turquie

    En #2017, l’OIM (Office international des migrations), remarque une baisse des arrivées de réfugiés sur le continent européen. Cette baisse est liée à plusieurs facteurs qui vont à l’encontre des conventions des droits des réfugiés à savoir le renforcement des contrôles et interceptions en mer par l’agence Frontex, le refus de l’Europe d’accueillir les rescapés secourus en mer et surtout la remise entre les mains des garde-côtes libyens des coordinations de sauvetages et de leur mise en place, encouragés et financés par l’UE afin de ramener les personnes migrantes en #Libye. Cette baisse ne signifie pas qu’il y a moins de personnes migrantes qui quittent leur pays, arrivent en Libye et quittent ensuite la Libye : 13 185 personnes ont été ainsi interceptées par les Libyens en Méditerranée en 2018, des centaines ont été secourues par les ONG et plus de 2 250 seraient mortes, sans compter celles dont les embarcations n’ont pas été repérées et ont disparu en mer.

    En avril #2018, le président Macron suggérait un pacte pour les réfugiés pour réformer le système de #relocalisation des migrants en proposant un programme européen qui soutienne directement financièrement les collectivités locales qui accueillent et intègrent des réfugiés : « nous devons obtenir des résultats tangibles en débloquant le débat empoisonné sur le règlement de Dublin et les relocalisations », déclarait-il. Mais les pourparlers qui suivirent n’ont pas fait caisse de raisonnance et l’Europe accueille au compte goutte.

    La #Pologne et la #Hongrie refuse alors l’idée de répartition obligatoire, le premier ministre hongrois
    Victor #Orban déclare : « Ils forcent ce plan pour faire de l’Europe un continent mixte, seulement nous, nous résistons encore ».

    Le 28 juin 2018, lors d’un sommet, les 28 tentent de s’accorder sur les migrations afin de répartir les personnes réfugiées arrivant en Italie et en Grèce dans les autres pays de l’Union européenne. Mais au terme de ce sommet, de nombreuses questions restent en suspend, les ONG sont consternées. La politique migratoire se durcit.

    Juillet 2018, le ministre italien Matteo #Salvini fraîchement élu annonce, en totale violation du droit maritime, la #fermeture_des_ports italiens où étaient débarquées les personnes rescapées par différentes entités transitant en #Méditerranée dont les #ONG humanitaires comme #SOS_Méditerranée et son bateau l’#Aquarius. Les bateaux de huit ONG se retrouvent sans port d’accueil alors que le droit maritime prévoit que toute personne se trouvant en danger en mer doit être secourue par les bateaux les plus proches et être débarquées dans un port sûr (où assistance, logement, hygiène et sécurité sont assurés). Malgré la condition posée par l’Italie de ré-ouvrir ses ports si les autres États européens prennent en charge une part des migrants arrivant sur son sol, aucun d’entre eux ne s’est manifesté. Ils font aujourd’hui attendre plusieurs jours, voir semaines, les bateaux d’ONG ayant à leur bord seulement des dizaines de rescapés avant de se décider enfin à en accueillir quelques uns.

    Les 28 proposent des #zones_de_débarquement hors Europe, dans des pays comme la Libye, la Turquie, le Maroc, le Niger où seraient mis en place des centres fermés ou ouverts dans lesquels serait établie la différence entre migrants irréguliers à expulser et les demandeurs d’asile légitimes à répartir en Europe, avec le risque que nombre d’entre eux restent en réalité bloqués dans ces pays. Des pays où les droits de l’homme et le droit à la sécurité des migrants en situation de vulnérabilité, droits protégés en principe par les conventions dont les Européens sont signataires, risquent de ne pas d’être respectés. Des représentants du Maroc, de la Tunisie et d’Albanie, pays également évoqués par les Européens ont déjà fait savoir qu’ils ne sont pas favorables à une telle décision.
    #plateformes_de_désembarquement #disembarkation_paltforms #plateformes_de_débarquement #regional_disembarkation_platforms

    Malgré les rapports des ONG, Médecins sans frontières, Oxfam, LDH, Amnesty International et les rappels à l’ordre des Nations Unies sur les conditions de vie inhumaines vécues par les exilés retenus en Grèce, en Libye, au Niger, les pays de l’Union européenne, ne bougent pas d’un millimètre et campent sur la #fermeture_des_frontières, avec des hommes politiques attachés à l’opinion publique qui suit dangereusement le jeu xénophobe de la Hongrie et de la Pologne, chefs de file et principaux instigateurs de la peur de l’étranger.

    Réticences européennes contre mobilisations citoyennes :
    Malgré les positions strictes de l’Europe, les citoyens partout en Europe poursuivent leurs actions, leurs soutiens et solidarités envers les ONG. SOS Méditerranée active en France, Allemagne, Italie, et Suisse est à la recherche d’une nouveau bateau et armateur, les bateaux des ONG Sea Watch et Sea Eye tentent leur retour en mer, des pilotes solidaires originaires de Chamonix proposent un soutien d’observation aérienne, la ligne de l’association Alarm Phone gérée par des bénévoles continue de recevoir des appels de détresse venant de la Méditerranée, ils sont ensuite transmis aux bateaux présents sur zone. Partout en Europe, des citoyens organisent la solidarité et des espaces de sécurité pour les exilés en mal d’humanité.

    https://www.1538mediterranee.com/2019/02/28/politique-migratoire-europeenne-chronologie
    #migrations #asile #réfugiés #EU #UE #frontières

    ping @reka

  • CSDM | Nouvelle décision du Comité contre la Torture contre la Suisse
    https://asile.ch/2019/01/29/csdm-nouvelle-decision-du-comite-contre-la-torture-contre-la-suisse

    Le Comité des Nations Unies contre la torture (CAT) a à nouveau conclu à une violation de la Convention contre la torture par la Suisse dans le cas d’un renvoi d’un ressortissant éthiopien victime de torture vers l’Italie. Cette décision du 6 décembre 2018 a été communiquée le 28 janvier 2019 par le Centre suisse […]

  • Aldo Brina | Accord de Dublin : des milliards d’euros (et de francs suisses) partent en fumée
    https://asile.ch/2019/01/16/aldo-brina-accord-de-dublin-des-milliards-deuros-et-de-francs-suisses-partent-

    La Suisse applique l’Accord de Dublin depuis maintenant dix ans. Censé définir l’Etat européen qui est compétent pour traiter une demande d’asile, ce règlement s’est rendu célèbre par le nombre d’expulsions qu’il a provoqué, séparant des familles, renvoyant des personnes vulnérables vers le néant, et surchargeant les pays situés aux frontières de l’Union européenne. Mais […]

    • #Dublin #Règlement_dublin #coût #Suisse #renvois_dublin #prix #économie #rapport #asile #migrations #réfugiés

      Les auteurs du rapport estiment que le coût global de ce qu’ils appellent la « non-Europe » en matière d’asile – comprendre l’absence ou les défauts de collaboration entre les Etats européens dans ce domaine – atteint les 50,5 milliards d’euros. Par année.

      Les auteurs considèrent qu’un grand nombre de transferts n’a pas d’impact sur la répartition des demandeurs d’asile entre les Etats, puisque pour une large part les pays ont autant de « transferts in » (accueil de demandeurs d’asile d’un autre pays) que de « transferts out » (expulsions). Pourtant, ces transferts ont un coût, notamment parce que pendant une période s’étendant jusqu’à six mois les demandeurs d’asile devant être théoriquement transférés vers un autre Etat ne peuvent ni travailler ni s’intégrer, et doivent être assistés par les services sociaux des différents pays. Cela n’a pas un impact immédiat, puisqu’en général beaucoup de demandeurs d’asile sont assistés au début de leur séjour, mais si l’on prend le parcours de vie du demandeur d’asile dans son pays d’accueil, on voit que ce laps de temps vient prolonger le temps global pendant lequel une assistance est nécessaire. Le rapport arrive à la conclusion que ces transferts inutiles coûtent près de 15,5 millions par année aux différents Etats de l’espace Dublin.

      Dans un certain nombre de cas, les Etats ont fait usage de détention administrative à l’encontre des demandeurs d’asile à transférer. Sur l’ensemble des demandes de transfert, 6,4% des demandeurs d’asile ont fait l’objet d’une détention administrative pour une moyenne de 14 jours. Avec un coût moyen de 34 euros par jours de détention, ces enfermements auront coûté 9,5 millions aux Etats.

      Les auteurs soulignent aussi que les intentions des demandeurs d’asile en termes de destination ne sont que très partiellement prises en compte. Celle-ci favoriserait pourtant leur intégration dans un pays d’accueil et éviterait les migrations secondaires. Prendre en considération la destination visée par les demandeurs d’asile constitue l’une des sept principales recommandations du rapport.

      #rétention #détention_administrative

  • UK sending Syrians back to countries where they were beaten and abused

    Refugees tell of being held in cages and even tortured in European countries including Hungary and Romania

    Britain is using EU rules to send asylum seekers from Syria and other countries back to eastern European states where they were beaten, incarcerated and abused, the Guardian has learned.

    Migrant rights groups and lawyers say the Home Office is using the rules to send people back to “police brutality, detention and beatings” in several European countries.

    The Guardian has spoken to refugees who were subjected to assaults as they travelled through Europe. The men tell of being held in “cages” in Hungary, waterboarded and handcuffed to beds by detention centre guards in Romania and beaten in Bulgaria.
    Britain is one of worst places in western Europe for asylum seekers
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    They now face being returned to those countries as, under the so-called Dublin law, asylum seekers are supposed to apply in their first EU country of entry.

    In 2015 more than 80,000 requests were made by EU countries for another government to take back an asylum seeker. The UK made 3,500 of these requests to countries around Europe, including Bulgaria, Romania, Italy and Hungary.

    The Home Office claims it should be entitled to assume that any EU country will treat asylum seekers properly.

    The charity Migrant Voice has collected testimony from several refugees who are fighting removal from the UK to other European countries. Nazek Ramadan, the director of the charity, said the men had been left traumatised by their journey and their subsequent treatment in the UK.

    “We know there are hundreds of Syrians in the UK who have fingerprints in other European countries,” said Ramadan. “Many no longer report to the Home Office because they are afraid of being detained and deported away from their family in the UK. Those who have been forcibly removed often end up destitute.

    “These are people who were abused in their home country, sometimes jailed by the regime there. Then they were imprisoned again in Europe. They feel that they are still living in a war zone, moving from one arrest and detention to another.”

    The law firm Duncan Lewis recently won a key case preventing forced removals back to Hungary because of the risk that people might be forced from there back to their country of origin.

    The firm is also challenging removals to Bulgaria because of what the UN refugee agency has described as “substandard” conditions there. A test case on whether Bulgaria is a safe country to send people back to is due to be heard by the court of appeal in November.

    The situation could get even more complex as an EU ban on sending asylum seekers back to Greece is due to be lifted on Wednesday after a six-year moratorium.

    Krisha Prathepan, of Duncan Lewis, said: “We intend to challenge any resumption of returns to Greece, as that country’s asylum system remains dysfunctional and the risk of refugees being returned from Greece to the very countries in which they faced persecution remains as high as ever.”

    The Home Office says it has no immediate plans to send refugees back to Greece, but is following European guidelines.

    “We have no current plans to resume Dublin returns to Greece,” a spokesperson said, citing among other reasons “the reception conditions in the country”.

    She added: “In April 2016, the high court ruled that transfer to Bulgaria under the Dublin regulation would not breach the European Convention on Human Rights. If there is evidence that Bulgaria is responsible for an asylum application, we will seek to transfer the application.”

    Mohammad Nadi Ismail, 32, Syrian

    Mohammad Nadi Ismail, a former Syrian navy captain, entered Europe via Bulgaria and Hungary, hoping to join his uncle and brother in Britain.

    In Bulgaria he was detained, beaten and humiliated. “They stripped us and made us stand in a row all naked. We had to bend over in a long line. Then they hit us on our private parts with truncheons.

    “They would wake us at night after they had been playing cards and drinking. Then they would come and hit us or kick us with their boots or truncheons.”

    One day he was released and took his chance to leave, walking for days to reach Hungary.

    But in Hungary he was locked up again. “They took us to a courtyard of a big building where there were five or six cages, about 8ft [2.4 metres] square. Most of the people were African. Some of them had been in there for four or five days. Luckily we Syrians were allowed out after one night and I headed for the UK.”

    In the UK Ismail met up with the family he hadn’t seen for three years and applied for asylum immediately.

    Then a letter came, saying his fingerprints had been found in Bulgaria and he would be returned. After a month in detention he now reports every two weeks, waiting and hoping that the UK will let him stay.

    “I will not go back to Bulgaria. I still have hope that I can stay here legally and rebuild my life with my family who have always supported me,” he said.

    ‘Dawoud’, 34, Iranian

    Dawoud (not his real name) was 28 when he fled Iran after his political activities had made him an enemy of the government. His brother and parents made it to the UK and were given refugee status.

    When he was told by border guards that he was in Romania he had no idea what that meant. “I had never even heard of this country,” he said. He was put in a camp where “water dripped through the electrics – we were electrocuted often. Children and families screamed. We lived in fear of the wild dogs who circled the camp, attacking and biting us. We were given no food; we had to go through bins in the town nearby for scraps.”

    He escaped once, to the Netherlands, but was sent back.

    “I experienced several beatings, on all parts of the body. There were people covered in blood and they were refused medical help. They even waterboarded me. I thought I would die.”

    Finally he managed to reach his mother, father and brother in the UK. For two years he has lived in hiding, too scared to apply for asylum for fear of being sent back to Romania. But a few months ago he finally reported to the Home Office. A letter informed him that a request had been made to Romania to take him back.

    Dawoud shakes as he talks about his fear of removal, saying: “When I hear people speak Romanian in the street it brings back my trauma. I once fell to the ground shaking just hearing someone speak. I will kill myself rather than go back.”

    Wael al-Awadi, 36, Syrian

    Wael travelled by sea to Italy and was detained on arrival in Sicily. “They hit us with their fists and sticks in order to make us give our fingerprints. Then they let us go. They gave us nothing, no accommodation, just told us: ‘Go where you like.’ So many Syrians were sleeping in the streets.”

    When he reached the UK he was detained for two months before friends helped him get bail. A year and a half later, when reporting at the Home Office, he was detained again and booked on to a plane to Italy.

    He refused to go and a solicitor got him out on bail. His appeal is due to be heard later this year. “I left Syria to avoid jail and detention and here I have been locked up twice,” he said. “I can’t understand it. Why can’t they look at me with some humanity? I am mentally so tired. My children call me from Syria but I can’t speak to them any more. It is too painful.”

    https://www.theguardian.com/world/2017/mar/12/the-refugees-uk-wants-to-send-back-to-countries-where-they-were-abused?
    #réfugiés_syriens #UK #Angleterre #Dublin #asile #migrations #réfugiés #Bulgarie #Roumanie #Hongrie #Italie #renvois #expulsions #renvois_Dublin

  • https://www.defenseurdesdroits.fr/fr/communique-de-presse/2018/12/le-defenseur-des-droits-publie-son-rapport-exiles-et-droits

    Le Défenseur des droits publie son rapport « Exilés et droits fondamentaux, trois ans après le rapport Calais »

    À défaut d’une politique nationale assurant un véritable accueil des primo-arrivants, les collectivités locales et les associations caritatives sont contraintes d’agir seules, dans un contexte où se maintient une pénalisation de certains actes de solidarité. Le Défenseur des droits recommande donc d’élargir l’immunité pénale à tous les actes apportés dans un but humanitaire.

    Outre les effets de la politique migratoire de l’Union européenne qui contribuent à réduire de manière drastique les voies légales d’immigration en Europe, l’’externalisation de la frontière britannique en France demeure l’une des principales causes de la reconstitution des campements de fortune à Calais, Grande-Synthe ou Ouistreham, puisqu’elle empêche les exilés qui le souhaitent d’atteindre la Grande-Bretagne. Le Défenseur des droits recommande donc au gouvernement de dénoncer les accords conclus avec la Grande-Bretagne.

    #police #dublin #touquet #noborder #calais #état #raciste

    • Migrants : le Défenseur des droits dénonce une « dégradation » dans les campements depuis 2015

      Le Défenseur des droits Jacques Toubon a dénoncé mercredi une « dégradation » de la situation sanitaire et sociale des migrants vivant sur des campements en France depuis trois ans, avec « des atteintes sans précédents aux droits fondamentaux ».

      Face à une politique « non-accueil », les migrants « se retrouvent dans un état de dénuement extrême, dépourvus de tout abri et ayant comme première préoccupation celle de subvenir à leurs besoins vitaux : boire, se nourrir, se laver », déplore Toubon dans un rapport sur les campements de Calais, Paris, Grande-Synthe (Nord) et Ouistreham (Calvados). « Les difficultés à trouver des solutions durables aggravent le phénomène », estime-il, en déplorant des « stratégies de dissuasion et d’invisibilisation sur le territoire national menées par les pouvoirs publics ».

      En 2015 déjà, Toubon avait dénoncé dans un rapport sévère la situation des migrants dans le bidonville de la « Jungle » à Calais, qui comptait alors plus de 4 000 personnes, et a été démantelé depuis, de même que les grands campements parisiens.

      Mais « la situation s’est en réalité nettement dégradée », note le Défenseur, qui pointe les opérations d’évacuation régulièrement menées par les pouvoirs publics. « Loin d’être conformes aux exigences du droit à un hébergement inconditionnel », ces mises à l’abri « contribuent à la constitution de nouveaux campements » par leur caractère « non durable », assure-t-il dans ce document reprenant divers avis rendus depuis 2015.

      Toubon déplore aussi, pour ces mises à l’abri, le recours à des centres pour étrangers fonctionnant « comme des centres de transit » avec « des critères de tri ». « En lieu et place d’une véritable politique d’accueil, les pouvoirs publics ont préféré mettre en œuvre une politique essentiellement fondée sur la police des étrangers, reflétant une forme de +criminalisation des migrations », assure-t-il dans ce rapport publié au lendemain

      Il s’inquiète particulièrement des méthodes policières, avec des évacuations « pour empêcher tout nouveau point de fixation » et des contrôles d’identité « pour contrôler le droit au séjour ». « Pour servir ces opérations, différentes pratiques ont pu être observées telles que l’usage de gaz lacrymogène », assure-t-il dans ce rapport publié au lendemain de la journée internationale des migrants.

      Faisant état d’« une détérioration sans précédent de la santé des exilés », avec un « développement inquiétant des troubles psychiques », il s’inquiète particulièrement pour les mineurs, « laissés à leur sort » en raison du caractère « largement inadapté et sous-dimensionné des dispositifs » existants.

      Dans ce contexte Toubon souligne le rôle des collectivités locales « contraintes d’agir », et celui des associations qui « se substituent de plus en plus fréquemment aux pouvoirs publics » mais « sont de plus en plus empêchées d’agir ». Le Défenseur déplore enfin des « entraves persistantes à l’entrée dans la procédure d’asile » qui « viennent grossir les rangs des exilés contraints de vivre dans la clandestinité ».

      Mettant en garde contre une « logique d’externalisation de la gestion des flux migratoires », il formule plusieurs propositions, dont la suspension du règlement de Dublin confiant au pays d’enregistrement l’examen de la demande d’asile.

      https://www.liberation.fr/france/2018/12/19/migrants-le-defenseur-des-droits-denonce-une-degradation-dans-les-campeme

    • France: Police harassing, intimidating and even using violence against people helping refugees

      French authorities have harassed, intimidated and even violently assaulted people offering humanitarian aid and other support to migrants, asylum seekers and refugees in northern France in a deliberate attempt to curtail acts of solidarity, a new report by Amnesty International has found.

      Targeting solidarity: Criminalization and harassment of people defending migrant and refugee rights in northern France reveals how people helping refugees and migrants in #Calais and #Grand-Synthe are targeted by the police and the court system.

      “Providing food to the hungry and warmth to the homeless have become increasingly risky activities in northern France, as the authorities regularly target people offering help to migrants and refugees,” said Lisa Maracani, Amnesty International’s Human Rights Defenders Researcher.

      “Migrants and refugees did not simply disappear with the demolition of the ‘Jungle’ camp in 2016 and more than a thousand men, women and children are still living precarious lives in the area. The role of human rights defenders who offer them support is crucial.”

      Two-and-a-half years after the destruction of the so-called ‘Jungle’ camp, more than 1,200 refugees and migrants, including unaccompanied children, are living in tents and informal camps around Calais and Grande-Synthe. They have no regular access to food, water, sanitation, shelter or legal assistance and are subject to evictions, harassment, and violence at the hands of the police.

      One Afghan man told Amnesty International that he was beaten on his back with a baton by police during a forced eviction, and another described how a police officer had urinated on his tent. An Iranian man told Amnesty International: “I left my country looking for safety, but here I face police abuse…The police come every day to take my tent and clothes.”

      The number of camps and tents destroyed in Calais and Grande-Synthe increased last year, with 391 evictions carried out in the first five months of 2019 alone. Once evicted, migrants and refugees are at increased risk of violence and abuse. One local woman who provides migrants with help, told Amnesty International that she witnessed police spray migrants with teargas in the face while they were sleeping in her garden.

      Verbal and physical abuse part of daily routine

      The increased number of evictions is a consequence of France’s “no attachment points” policy, which attempts to deter people from staying in the area by ensuring that camps are not set up. While authorities have put in place an outreach service to enable refugees and migrants access reception centres and asylum offices in France, these centres are a long way from Calais and Grande-Synthe and sometimes there is not enough capacity to accommodate them. In order to alleviate their suffering, human rights defenders have attempted to fill the gap and provide the essential support and services that the French state is failing to offer.

      Instead of recognizing the importance of their work, authorities have obstructed, intimidated, harassed and in some cases started baseless prosecutions and even used violence.

      Several human rights defenders told Amnesty International that acts of intimidation, threats of arrest and abuse have become “part and parcel of their daily work.” One humanitarian worker told Amnesty International that she was violently pushed to the ground and choked by police in June 2018 after she had filmed four officers chasing a foreign national in Calais.

      A report last year by four organisations found that there had been 646 instances of police harassment and abuse against volunteers between November 2017 and June 2018. There have been 72 recorded instances this year, but the real figure is likely to be much higher.

      Eleonore Vigny who took part in the Human Rights Observers project in Calais said that intimidation of volunteers had spiked last summer, with police employing new harassment techniques. “In April and May 2018 there were several body searches, especially of female volunteers, sometimes done by male officers. There was also an escalation in insults, and people have been pushed, sometimes to the ground…Recently we received more threats of legal suits, and threats of arrests.”

      When reporting mistreatment of refugees, migrants, and human rights defenders, complainants say that they are not taken seriously. Charlotte Head, a volunteer who made several complaints about police behaviour to the police’s internal investigatory body, was warned that her complaints were “defamatory in character” and could constitute a “crime”.

      One local human rights organization, Cabane Juridique, filed more than 60 complaints to different authorities and bodies between January 2016 and April 2019. In May 2019, the French Ministry of Justice told Amnesty International that regional courts had received just 11 complaints since 2016, and only one was being investigated by prosecutors.

      Stress, anxiety and the fear of prosecution

      Human rights defenders told Amnesty International that they feel the pressure on them is increasing and having a negative impact on all aspects of their lives. Some have experienced insomnia, stress and anxiety whilst others describe the impact of prosecutions as debilitating.

      Loan Torondel who had been working in Calais told Amnesty International: “I feel that I am caught between the acute needs of people I am trying to help and the intimidation of French authorities who are trying to hamper humanitarian activities and label our activities as crimes. This is not a sustainable working environment for us, and it is the people we help who pay the consequences."

      One human rights defender told Amnesty International: “For the volunteers it’s very difficult. They are scared. We brief them on security and the context and they get scared. We struggle to recruit new volunteers.”

      But despite the harassment, many of those interviewed by Amnesty International are determined to carry on with their vital work. One local volunteer told Amnesty International that she is thankful for the presence of the migrants and refugees: “They have made us more human, they have enriched our lives.”

      “Rather than attempting to make the lives of migrants and refugees as difficult as possible, French authorities should take concrete measures to alleviate their suffering and provide shelter and support to all those living on the streets,” said Lisa Maracani.

      “It is also time to defend the defenders. Rather than treating human rights defenders as the enemy, the authorities should see them as a vital ally, and celebrate acts of solidarity and compassion rather than criminalizing them.”

      BACKGROUND

      Human rights violations faced by human rights defenders must be viewed within the context of the treatment of the people whose rights they defend. It is essential that the rights of refugees and migrants are respected. This means improving the asylum and reception system in France, providing safe and legal routes to the UK and reforming the European asylum system to remove the requirement laid down in the Dublin rules that asylum-seekers seek protection in their first country of entry.

      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2019/06/france-police-harassing-intimidating-and-even-using-violence-against-people
      #France

      Le #rapport:
      https://www.amnesty.org/download/Documents/EUR2103562019FRENCH.PDF

  • ECRE Policy Paper : Bilateral Agreements : Implementing or Bypassing the Dublin Regulation ?

    ECRE has published a Policy Paper analysing the recent bilateral arrangements between EU Member States on responsibility for asylum seekers and urging against attempts to disregard and undermine the standards set out in the Common European Asylum System (CEAS).

    The “administrative arrangements” on asylum seekers have emerged as a German initiative in the course of 2018, predominantly driven by internal tensions within the ruling coalition on how to handle migration in the run-up to the June 2018 European Council meeting. They have been presented by Germany as an interim response to the political deadlock preventing the adoption of the CEAS reform.

    While some agreements such as the German-Portuguese arrangement adhere to and operate within the EU legal framework, others, namely the German-Greek and German-Spanish arrangements, bypass the rules set out in the Dublin system with the aim of quickly carrying out transfers. The effect of the latter arrangements is the neutralisation of crucial safeguards contained in the Dublin Regulation such as the right to a personal interview, the right to appeal, and the prevention of transfers when human rights risks arise.

    From a policy perspective, what both types of arrangements represent is a vision of the CEAS and of the CEAS reform strongly supported in Germany and certain other Member States whereby prevention and punishment of secondary movement is of prime importance, while tackling the underlying reasons for secondary movement receives less attention.

    However, ECRE argues that bypassing legal obligations through opaque informal arrangements with the pretext of a forthcoming political agreement on the reform of the CEAS not only undermines the credibility of the current and any prospective asylum package but also endangers the rule of law. Instead, compliance with the Dublin Regulation in line with fundamental rights should be pursued to ensure that individuals benefit from crucial procedural safeguards and that states allocate responsibility transparently and remain accountable.

    https://www.ecre.org/wp-content/uploads/2018/12/Policy-Papers-05.pdf
    #Dublin #règlement_dublin #asile #migrations #réfugiés

    On parle notamment de l’#accord_bilatéral entre la #Grèce et l’#Allemagne
    #accords_bilatéraux

  • Tale of Swiss-based Syrian torture survivor highlights Dublin flaws

    Jalal last saw his youngest son was when the boy was a baby. Now Hamude is almost five. The asylum seeker from Syria is caught up in a complicated international case based on the Dublin accord, a regulation that Switzerland applies more strictly than any other country in Europe, according to critics.

    Jalal has been living in limbo, unable to plan more than a few months in advance, since 2014.

    “I spent five years in a Syrian prison and now I have spent [almost] another five years in an open prison,” Jalal told swissinfo.ch in November.

    The father leads an isolated life in a tiny studio on the outskirts of Lucerne in central Switzerland.

    Hamude, along with his mother and two siblings, live equally isolated in a rundown caravan camp a couple thousand kilometres away in Greece. Their relationship unfolds largely over Whatsapp. Living with no sense of when or where they will all see each other again has both parents on the edge of a nervous breakdown.

    Despite the efforts of lawyers in both countries, the family has been unable to reunite, victims of a Dublin accord that member states including Switzerland prefer to invoke to expel people rather than evaluate their cases. Under the regulation, Switzerland can automatically deport individuals to the first country of arrival in the Schengen area. As a Kurd, who says he suffered torture and prolonged detention in Syria as well as a dangerous war wound, Jalal’s asylum claim warrants evaluation.

    But Jalal faced a classic problem — one confronting asylum-seekers in Switzerland and across Europe. The only aspect of his journey the Swiss authorities cared about at the time of his arrival was through which country he entered Europe’s open borders Schengen area, not why he was seeking asylum. On that basis, the decision to expel him to Italy was made in early 2015.

    “Switzerland has never lived through a war, so the Swiss are not able to empathize with people who are fleeing a war,” concluded Jalal in a moment of deep uncertainty about his future. “If they had any sense of what we have been through they would not deal with us like this.”

    Switzerland prides itself on its strong humanitarian tradition but policies relating to asylum and migration have hardened in recent years as elsewhere in Europe. The Swiss Secretariat for Migration (SEM) declined to comment, saying it does not provide details on individual cases for “data protection” reasons.

    A Syrian nightmare

    Back in Syria, in 2004, Jalal says he found himself on the wanted list of the Syrian regime for participating in a protest demanding greater rights for the Kurdish minority population. He and his father were targeted in a knife attack by pro-regime thugs three years later, in 2007. Jalal incurred 12 cuts while his father was killed on the spot.

    According to his story, Kurdish rights activism landed him behind bars. He was held in a prison in the northern city of Aleppo where one of the many grisly tasks assigned to him was cleaning the basement room used for executions — punishment for dodging military service. He was still behind bars as a popular revolt against Syrian President Bashar al-Assad gave way to large scale massacres and war.

    He says he eventually managed to escape during a rebel attack on the prison, seized the opportunity to flee to Turkey and had to return to Syria to borrow money to pay smugglers to get his family to Europe. On that journey, he sustained a grenade injury. Neither surgeons at the field clinic that treated him that day nor those later in Switzerland were able to extract all of the fragments.
    Getting to Europe

    Badly wounded, he boarded a naval ship from the Turkish coastal town of Mersin and travelled with hundreds of others to Italy. Time in Italy was brief but long enough for the authorities to take his fingerprints — an act that would underpin the Swiss decision to send him back.

    “The Italian authorities put us on buses and took us straight to the train station in Milan, so we could continue to Europe,” says Jalal, who picked Switzerland over Germany because his two brothers were already living in the Alpine nation. “A return to Italy would mean starting from scratch and god knows how many years until I see my wife and children.”

    In Switzerland, he now gets by on emergency aid and found accommodation — a spartan but clean studio — through the Caritas charity. Every two weeks he must report to the local migration authorities. The one thing he is deeply grateful for is the medical and psychological treatment he has received here.
    Navigating Swiss and international laws

    Gabriella Tau and Boris Wijkström are his lawyers at the Centre suisse pour la défense des droits de migrants (CSDM), an organisation focused on defending the rights of migrants. CSDM took up his case and brought it to the attention the Committee Against Torture (CAT) at the United Nations, which suspended his expulsion pending a ruling on the merits of the case.

    During an October interview in his small office in Geneva, where dozens wait in the stairway in the hope of getting legal assistance, Wijkström said they are “very careful” of which cases they defend. The lawyers only take up a few per year, selecting the ones where they feel there has been a real miscarriage of justice.

    “They are very sensitive to any possible limitations imposed on Dublin expulsions to Italy,” he said about the Swiss position on asylum cases that have reached CAT.

    Switzerland has a reputation for being a highly efficient user of the Dublin system, a “blindly” mechanical efficiency that human rights groups including Amnesty Internationalexternal link say ride roughshod over the most vulnerable of individuals. The Swiss Refugee Councilexternal link wants Switzerland to stop sending vulnerable asylum seekers back to Italy because “adequate reception is not guaranteed there”.

    In 2017, Switzerland made 2,297 transfers invoking The Dublin III Regulation to neighbouring Italy, Germany and France and received 885 transfers from those countries, accordingexternal link to the Council.

    “Switzerland stands out as one of the biggest users of the Dublin system, even though volumes are, for instance, much smaller than those of Germany,” notes Francesco Maiani, an expert on European asylum policy and law. “Switzerland is one of the countries that consistently had more transfers to other countries than transfers from other countries.”

    However, two clauses with the Dublin Regulation III actively encourage a softer approach. One is the sovereignty clause. The other is the humanitarian clause.

    The SEM told swissinfo.ch it applies the “sovereignty clause” when a transfer “would contravene mandatory provisions of international law or in the presence of humanitarian grounds indicating that a transfer is a particularly rigorous measure.”

    It also rejected the notion that it applies the Dublin Regulation “blindly.”

    “The whole ethos of the Dublin system is quite problematic,” said Maiani, a member of the faculty of law at Lausanne University in a phone interview. “It tends to underscore that if you send asylum applicants away you win the game. If you admit them, you lose the game. And this of course introduces a lot of distortions in the process.”

    In an October letter to UN special rapporteur on torture Nils Melzer, CSDM outlined its concerns over “the systematic expulsion of torture victims and other vulnerable asylum seekers under the Dublin Regulation from Switzerland to European Union countries where dysfunctional asylum systems that expose them to a real risk of inhuman and degrading treatment”.

    A SEM spokesperson explained that Switzerland wants to see the Dublin III regulation reformed so that procedures are “faster and more efficient”, secondary migration prevented and responsibility between countries distributed more fairly. “Switzerland regularly takes this position at the European level and in bilateral talks with government representatives of EU member states and EU institutions,” the spokesperson said.
    Not one, but two Dublin proceedings

    For now, Jalal’s best shot at family reunification would be a Swiss decision to grant him asylum. But that risks being a lengthy process. The family got tangled in two Dublin proceedings — one to expel Jalal from Switzerland to Italy, the other a bid by Greece to see the family reunited in Switzerland.

    “Sometimes a Dublin reunification can take up to two or three years although on paper things should move more quickly,” notes Michael Kientzle, who works with the refugee aid group in Greeceexternal link that filed a request for Switzerland to take charge of Jalal’s family. The request was rejected and is now being appealed.

    The rest in limbo just like Jalal.

    When asked about the case, SEM said it takes into account the arguments put forward in decisions made by CAT [which recently ruled in favour of an Eritrean asylum-seeker and torture survivor presenting similar circumstances.] “[If SEM] concludes that a transfer to a Dublin state would endanger a person, it will conduct the asylum procedure in Switzerland,” it said.

    Shortly after being contacted by swissinfo.ch, SEM finally decided to examine his asylum claim. “The facts of his case have not changed,” noted Wijkström. “It’s great news for him but it underscores the arbitrariness of the whole system.”

    Adding to the absurdity of it all, he added, the Lucerne prosecutor has kept open a case against Jalal over illegal entry and illegal stay.

    Arbitrary or not — the decision by authorities to hear him out has filled Jalal with a new sense of purpose and hope for a fresh start in Switzerland.

    On the chilly morning of December 12, he met with a Caritas lawyer who will join him during his asylum hearing. He came prepared with all his documents, including X-rays and family identification booklet.

    “Maybe things finally work out and I get to see my family,” he tells swissinfo.chexternal link, consumed by nerves both about the outcome of his interview and the conditions of his mother and brother struggling to get on in a war-torn pocket of Syria.” All I can do is retell my story. They already have all the evidence.”

    https://www.swissinfo.ch/eng/international-law_tale-of-swiss-based-syrian-torture-survivor-highlights-dublin-flaws/44615866
    #torture #Suisse #Dublin #renvois_Dublin #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_syriens #Italie #expulsions #renvois

    ping @isskein

  • The Cost of Non-Europe in Asylum Policy

    Current structural weaknesses and shortcomings in the design and implementation of the Common European Asylum System (CEAS) have a cost of EUR 50.5 billion per year, including costs due to irregular migration, lack of accountability in external action, inefficiencies in asylum procedures, poor living conditions and health, and dimmer employment prospects leading to lower generation of tax revenue. Seven policy options for the EU to tackle the identified gaps and barriers would bring about many benefits including better compliance with international and EU norms and values, lower levels of irregular migration to the EU and costs of border security and surveillance, increased effectiveness and efficiency of the asylum process, faster socio-economic integration of asylum-seekers, increased employment and tax revenues and reinforced protection of human rights in countries of return. Once, considered the costs, the net benefits of these policy options would be at least EUR 23.5 billion per year.

    http://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document.html?reference=EPRS_STU(2018)627117
    #rapport #externalisation #contrôles_frontaliers #droits_humains #Dublin #Règlement_Dublin

    Ici une estimation des coûts liés à la perte de vies en Méditerranée :

    “To estimate the loss of life, we considered a hypothetical scenario where the asylum-seekers who died managed to survive and subsequently applied for asylum in the EU. A share of these asylum-seekers would receive a positive decision on their asylum application and could remain in the EU. The remainder would receive a negative decision and be ordered to leave the EU. We applied a VSL to each of these two groups drawing from a base value of USD 9.6 million (Viscusi and Masterman, 2017)153. Through this approach we estimated the loss of life to be 15 billion in 2016 and 9 billion in 2017.”

    #mourir_en_mer #coût #estimation #asile #migrations #réfugiés #décès #Méditerranée #économie #politique_migratoire #politiques_restrictives #prix

    En fait, il faudrait le lire dans les détails ce rapport...

    ping @reka @fil

  • #Dublin : un bilan honteux

    Dix ans après l’entrée en vigueur du règlement Dublin en Suisse, le bilan est catastrophique en termes de politique et d’accueil humanitaires. Pour ne pas dire honteux.

    Les associations actives dans la défense des réfugiés tirent la sonnette d’alarme. La Suisse fait en effet partie des « champions » de l’application aveugle de cet accord concernant les renvois. Cela alors même que le territoire helvétique reçoit très peu de demandes en comparaison européenne et qu’il se trouve, par sa situation géographique – et aussi via la fermeture de certaines ambassades –, largement exempté du devoir d’accueil. Ledit règlement permet de renvoyer les requérants vers le premier pays membre où ils ont posé le pied. Faisant ainsi peser le poids de l’accueil sur les pays d’entrée du continent, souvent côtiers. L’accord possède cependant une clause de dérogation. De par sa tradition humanitaire, régulièrement revendiquée, la Suisse aurait pu choisir d’en faire un véritable usage. C’est tout le contraire. Les chiffres sont parlants : la Confédération renvoie 4,5 fois plus de personnes vers d’autres Etats Dublin qu’elle n’en a accueillis, dénoncent les organisations d’aide aux migrants1.

    Ces dernières ne cessent de recenser – et de contester – des cas de renvois dramatiques : des femmes enceintes, des personne malades, fragiles, ayant été victimes de tortures, ou encore des séparations de famille. Sans grand succès. Malgré une importante mobilisation de la société civile – 33 000 personnes et 200 organisations ont signé un Appel en novembre 2017 –, Berne n’a jamais modifié sa ligne. Et difficile d’imaginer un changement de cap de la part de la toute nouvelle cheffe du Département de justice et police, la PLR Karin Keller-Sutter, connue pour sa politique dure en matière d’asile au gouvernement st-gallois.
    La situation le réclame pourtant, notamment de l’autre côté des Alpes, où la Suisse renvoie de très nombreux requérants. Les conditions d’accueil en Italie sont souvent très précaires, depuis de nombreuses années. Mais l’arrivée au pouvoir, cet été, de la coalition entre populistes et extrême droite n’a fait qu’empirer les choses, notamment au travers du décret Salvini, adopté en octobre. A tel point que les Pays-Bas, par exemple, ont stoppé les renvois vers la péninsule.
    Il est urgent que la Suisse change de politique. Qu’elle ne renvoie plus vers l’Italie et qu’elle accueille davantage de demandeurs d’asile vulnérables. Au regard de la réalité européenne et mondiale d’abord. Mais aussi par respect des principes fondamentaux que sont le devoir de solidarité et l’accueil humanitaire.


    https://lecourrier.ch/2018/12/11/dublin-un-bilan-honteux
    #Règlement_Dublin #Suisse #asile #migrations #réfugiés #10_ans #anniversaire

    ping @isskein

    • Die Schweiz muss ihre Dublin-Praxis ändern

      Verletzliche Asylsuchende, die nach dem Dublin-III-Verfahren nach Italien zurückgeschickt werden, sind einem hohen Risiko ausgesetzt – ihre Rechte sind nicht gewährleistet. Das belegt der heute publizierte gemeinsame Monitoring-Bericht des Danish Refugee Council (DRC) und der Schweizerischen Flüchtlingshilfe (SFH). 13 Fälle dokumentieren die miserablen Aufnahmebedingungen für diese Asylsuchenden vor Ort. Die SFH fordert die Schweiz auf, die Dublin-Überstellungen von verletzlichen Personen nach Italien zu stoppen, solange dort keine adäquate Aufnahme gewährleistet ist. 12.12.2018

      Zehn Jahre sind seit dem Beginn der Teilnahme der Schweiz am Dublin-System verstrichen. Das Fazit: Kein anderes Land in Europa wendet die Dublin-Regeln so strikt an wie die Schweiz: Sie schickt Asylsuchende konsequent dorthin zurück, wo diese erstmals europäischen Boden betreten haben – die meisten nach Italien. Ausnahmen gibt es auch bei verletzlichen Personen kaum, obwohl die Dublin-III-Verordnung explizit ein Selbsteintrittsrecht vorsieht.

      Welche Folgen diese strikte Praxis für die Betroffenen hat, zeigt das Beispiel einer türkischen Frau, die via Italien in die Schweiz eingereist war und hier um Asyl ersucht hatte. Obwohl sie in Zürich psychiatrisch behandelt werden musste, schickten sie die Schweizer Behörden ohne weitere Abklärungen für eine mögliche Folgebetreuung nach Italien zurück. Dort blieb die suizidgefährdete Frau mit posttraumatischer Belastungsstörung sich selbst überlassen: Während einer Woche musste sie bei Bekannten und später während einer weiteren Woche auf eigene Kosten in einem Hotel unterkommen. Dann brachten sie die italienischen Behörden in einem Camp mit vorwiegend Männern unter. Sie erkrankte dort und wurde erst nach zwei Wochen in ein Spital eingeliefert. Nur dank der Intervention eines Anwaltes aus Varese erhielt sie schliesslich nach Wochen Zugang zu einem Psychologen und konnte in eine Notunterkunft für Frauen umziehen.

      Dieser Fall ist nur die Spitze des Eisberges. Der Monitoring-Bericht der SFH und des DRC dokumentiert eingehend 13 traurige Einzelschicksale von Menschen, die aus der Schweiz, den Niederlanden, Deutschland, Dänemark, Norwegen und Österreich nach Italien überstellt worden sind. Vertreter beider Organisationen haben den Weg dieser Menschen im Zeitraum von März 2017 bis November 2018 beobachtet und sie auch persönlich vor Ort in Italien besucht.

      Der alarmierende Befund unterstreicht, wie berechtigt die Kritik der SFH an der Dublin-Praxis der Schweiz ist. Die Unterbringung, Betreuung und Versorgung von Asylsuchenden in Italien hat sich unter der neuen Regierung seit dem letzten Monitoring-Bericht vom Februar 2017 sogar noch verschlechtert. Italien kommt seinen Verpflichtungen nach europäischem und internationalem Recht in vielen Fällen nicht nach. Die SFH fordert die Schweiz dazu auf, von der Überstellung verletzlicher Personen abzusehen und die Asylgesuche dieser Personen in der Schweiz zu prüfen.

      https://www.fluechtlingshilfe.ch/medien/medienmitteilungen/2018/die-schweiz-muss-ihre-dublin-praxis-aendern.html

  • The Administrative Arrangement between Greece and Germany

    The Administrative Arrangement between Ministry of migration Policy of the Hellenic Republic and the Federal Ministry of Interior of the Republic of Germany has been implemented already to four known cases. It has been the product of bilateral negotiations that occurred after German Chancellor Merkel faced another political crisis at home regarding the handling of the refugee issue.

    The document which has been the product of undisclosed negotiations and has not been made public upon its conclusion is a brief description of the cooperation of Greek and German authorities in cases of refusal of entry to persons seeking protection in the context of temporary checks at the internal German-Austrian border, as defined in its title. It essentially is a fast track implementation of return procedures in cases for which Dublin Regulation already lays down specific rules and procedures. The procedures provided in the ‘Arrangement’ skip all legal safeguards and guarantees of European Legislation.

    RSA and PRO ASYL have decided to publicize the document of the Arrangement for the purpose of serving public interest and transparency. The considerable secrecy that the two member states kept on a document of such importance is a scandal itself. There are two first underlying observations which incur/ result from studying the document. First, the Arrangement has the same institutional (or by institutional) features with the EU-Turkey deal, it is the product of negotiations which intend to regulate EU policy procedures without having been the product of an EU level institutional procedure. It circumvents European law (the Dublin regulation) in order to serve the interests of a group of particular member states. As a result its status within the legal apparatus of the EU and international law is obscure.

    Secondly, the ‘Arrangement’ introduces a grey zone (intentionally if not geographically) where a bilateral deal between two countries gains supremacy over European (Dublin regulation) and international legislation (Geneva convention). It is therefore an important document that should be critically and at length studied by all scholars and experts active in the field of refugee protection as it deprives asylum seekers of their rights and is a clear violation of EU law.

    Last but not least as Article 15-ii of the ‘Arrangement’ notes “This Administrative Arrangement will also discontinue upon entry into force of the revised Common European Asylum System”. Still as everyone in Brussels already admits the CEAS reform has been declared dead. So if nothing occurs to reconstitute the defunct CEAS policy and the arrangement remains as the only channel/form of cooperation between Greece and Germany in order to establish responsibility for asylum seekers arriving in Germany after coming through Greece, then could Greece and Germany, in their irregular bilateral efforts to circumvent the European process, have actually produced one of the first post EU legal arrangements?

    https://rsaegean.org/en/the-administrative-arrangement-between-greece-and-germany

    #accord #Allemagne #Grèce #asile #migrations #réfugiés #Dublin #Règlement_Dublin #renvois #expulsions #accord_bilatéral #regroupement_familial #liaison_officers #officiers_de_liaison #Eurodac #refus_d'entrée #renvois #expulsions #frontières #contrôles_frontaliers #Autriche #réadmission #avion #vol

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    • Germany – Magdeburg Court suspends return of beneficiary of international protection to Greece

      On 13 November 2018, the Administrative Court of Magdeburg granted an interim measure ordering the suspensive effect of the appeal against a deportation order of an international protection beneficiary to Greece.

      The case concerned a Syrian national who applied for international protection in Germany. The Federal Office of Migration and Refugees (BAMF) rejected the application based on the fact that the applicant had already been granted international protection in Greece and ordered his deportation there.

      The Administrative Court held that there were serious doubts regarding the conformity of the BAMF’s conclusion that there were no obstacles to the deportation of the applicant to Greece with national law, which provides that a foreign national cannot be deported if such deportation would be in violation of the European Convention on Human Rights (ECHR). The Court found that there are substantial grounds to believe that the applicant would face a real risk of inhuman and degrading treatment within the meaning of Article 3 ECHR if returned to Greece.

      The Court based this conclusion, inter alia, on the recent reports highlighting that international protection beneficiaries in Greece had no practical access to accommodation, food distribution and sanitary facilities for extended periods of time after arrival. The Court further observed that access of international protection beneficiaries to education, health care, employment, accommodation and social benefits under the same conditions as Greek nationals is provided in domestic law but is not enforced. Consequently, the ensuing living conditions could not be considered adequate for the purposes of Article 3 ECHR.

      Finally, the Court found that the risk of destitution after return could be excluded in cases where individual assurances are given by the receiving authorities, clarifying, however, that any such guarantees should be specific to the individual concerned. In this respect, guarantees given by the Greek authorities that generally refer to the transposition of the Qualification Directive into Greek law, as a proof that recognised refugees enjoy the respective rights, could not be considered sufficient.

      https://mailchi.mp/ecre/elena-weekly-legal-update-08-february-2019#8

    • Germany Rejects 75% of Greek Requests for Family Reunification

      In 2019, the German Federal Office for Asylum and Migration (BAMF) rejected three quarters of requests for family reunification under the Dublin III regulation from Greece. The high rejection rate draws criticism from NGOs and MPs who say the BAMF imposes exceedingly harsh requirements.

      The government’s response to a parliamentary question by the German left party, Die Linke, revealed that from January until May 2019 the BAMF rejected 472 of 626 requests from Greece. Under the Dublin III Regulation, an EU Member State can file a “take-charge request” to ask another EU member state to process an asylum application, if the person concerned has family there. Data from the Greek Asylum Service shows that in 2018 less than 40% of “take-charge requests” were accepted, a stark proportional decrease from 2017, when over 90% of requests were accepted. The German government did not provide any reasons for the high rejection rate.

      Gökay Akbulut, an MP from Die Linke, noted that often family reunification failed because the BAMF imposes exceedingly strict requirements that have no basis in the regulation. At the same time people affected have limited access to legal advice needed to appeal illegitimate rejections of their requests. For people enduring inhuman conditions on Greek Islands family reunifications were often the last resort from misery, Akbulut commented.

      In 2018, 70% of all Dublin requests from Greece to other EU Member states related to family reunification cases. Germany has been the major country of destination for these request. An estimate of over 15,000 live in refugee camps on Greek islands with a capacity of 9000.

      https://www.ecre.org/germany-rejects-75-of-greek-requests-for-family-reunification

  • Dimenticati ai confini d’Europa

    L’obiettivo della ricerca è dare voce alle esperienze dei migranti e dei rifugiati, per rendere chiaro il nesso tra quello che hanno vissuto e le politiche europee che i governi hanno adottato.
    Il report si basa su 117 interviste qualitative realizzate nell’enclave spagnola di Melilla, in Sicilia, a Malta, in Grecia, in Romania, in Croazia e in Serbia. Ciò che emerge chiaramente è che il momento dell’ingresso in Europa, sia che esso avvenga attraverso il mare o attraverso una foresta sul confine terrestre, non è che un frammento di un viaggio molto più lungo ed estremamente traumatico. Le rotte che dall’Africa occidentale e orientale portano fino alla Libia sono notoriamente pericolose, specialmente per le donne, spesso vittime di abusi sessuali o costrette a prostituirsi per pagare i trafficanti.

    Il report mostra che alle frontiere dell’Unione Europea, e talora anche a quelle interne, c’è una vera e propria emergenza dal punto di vista della tutela dei diritti umani. L’assenza di vie legali di accesso per le persone bisognose di protezione le costringe ad affidarsi ai trafficanti su rotte che si fanno sempre più lunghe e pericolose. I tentativi dell’UE e degli Stati Membri di chiudere le principali rotte non proteggono la vita delle persone, come a volte si sostiene, ma nella maggior parte dei casi riescono a far sì che la loro sofferenza abbia sempre meno testimoni.


    http://centroastalli.it/dimenticati-ai-confini-deuropa-2
    #Europe #frontières #asile #migrations #droits_humains #rapport #réfugiés #Sicile #Italie #Malte #Grèce #Roumanie #Croatie #Serbie #UE #EU #femmes #Libye #violence #violences_sexuelles #parcours_migratoires #abus_sexuels #viol #prostitution #voies_légales #invisibilisation #invisibilité #fermeture_des_frontières #refoulement #push-back #violent_borders #Dublin #règlement_dublin #accès_aux_droits #accueil #détention #mouvements_secondaires

    Pour télécharger le rapport :
    https://drive.google.com/file/d/1TT9vefCRv2SEqbfsaEyucSIle5U1dNxh/view

    ping @isskein

    • Migranti, il Centro Astalli: “È emergenza diritti umani alle frontiere d’Europa”

      Assenza di vie di accesso legale ai migranti forzati, respingimenti arbitrari, detenzioni, impossibilità di accedere al diritto d’asilo: è il quadro disegnato da una nuova ricerca della sede italiana del Servizio dei gesuiti per i rifugiati.

      S’intitola “Dimenticati ai confini d’Europa” il report messo a punto dal Centro Astalli, la sede italiana del Servizio dei gesuiti per i rifugiati, che descrive, attraverso le storie dei rifugiati, le sempre più numerose violazioni di diritti fondamentali che si susseguono lungo le frontiere di diversi Paesi europei. La ricerca, presentata oggi a Roma, si basa su 117 interviste qualitative realizzate nell’enclave spagnola di Melilla, in Sicilia, a Malta, in Grecia, in Romania, in Croazia e in Serbia.

      Il report, si spiega nella ricerca, «mostra che alle frontiere dell’Unione europea, e talora anche a quelle interne, c’è una vera e propria emergenza dal punto di vista della tutela dei diritti umani». Secondo padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, la ricerca mette bene in luce come l’incapacità di gestire il fenomeno migratorio solitamente attribuita all’Ue, nasca anche dalla «volontà di tanti singoli Stati che non vogliono assumersi le proprie responsabilità» di fronte all’arrivo di persone bisognose di protezione alle loro frontiere, al contrario è necessario che l’Europa torni ad essere «il continente dei diritti, non dobbiamo perdere il senso della nostra umanità». «Si tratta di una sfida importante - ha detto Ripamonti - anche in vista delle prossime elezioni europee».

      A sua volta, padre Jose Ignacio Garcia, direttore del Jesuit Refugee Service Europa, ha rilevato come «gli Stati membri dell’Ue continuano ad investire le loro energie e risorse nel cercare di impedire a migranti e rifugiati di raggiungere l’Europa o, nel migliore dei casi, vorrebbero confinarli in ‘centri controllati’ ai confini esterni». «La riforma della legislazione comune in materia d’asilo, molto probabilmente – ha aggiunto - non verrà realizzata prima delle prossime elezioni europee. I politici europei sembrano pensare che se impediamo ai rifugiati di raggiungere le nostre coste, non abbiamo bisogno di un sistema comune d’asilo in Europa».

      La fotografia delle frontiere europee che esce dalla ricerca è inquietante: violazioni di ogni sorta, violenze, detenzioni arbitrarie, respingimenti disumani, aggiramento delle leggi dei singoli Paesi e del diritto internazionale. Un quadro fosco che ha pesanti ricadute sulla vita dei rifugiati già provati da difficoltà a soprusi subiti nel lungo viaggio. «Il Greek Council for Refugees – spiega la ricerca - ha denunciato, nel febbraio del 2018, un numero rilevante di casi di respingimenti illegali dalla regione del fiume Evros, al confine terrestre con la Turchia. Secondo questa organizzazione, migranti vulnerabili come donne incinte, famiglie con bambini e vittime di tortura sono stati forzatamente rimandati in Turchia, stipati in sovraffollate barche attraverso il fiume Evros, dopo essere stati arbitrariamente detenuti in stazioni di polizia in condizioni igieniche precarie». Secondo le testimonianze raccolte in Croazia e Serbia, diversi sono stati gli episodi di violenze fisiche contro rifugiati e di respingimenti immediati da parte della polizia di frontiera.

      E in effetti nel nuovo rapporto del Centro Astalli, più dei soli dati numerici e dei carenti quadri normativi ben descritti, a colpire sono i racconti degli intervistati lungo le diverse frontiere d’Europa. Un ragazzo marocchino, in Sicilia, per esempio ha raccontato «di come i trafficanti gli abbiano rubato i soldi e il cellulare e lo abbiamo tenuto prigioniero in un edificio vuoto con altre centinaia di persone per mesi». «Durante il viaggio – è ancora la sua storia – i trafficanti corrompevano gli ufficiali di polizia e trattavano brutalmente i migranti». Nel corso di un tentativo di attraversamento del Mediterraneo ricorda poi di aver sentito un trafficante dire a un altro: «Qualsiasi cosa succeda non mi interessa, li puoi anche lasciar morire».

      Ancora, una ragazza somala di 19 anni, arrivata incinta in Libia, ha raccontato di come il trafficante la minacciasse di toglierle il bambino appena nato e venderlo perché non aveva la cifra richiesta per la traversata. Alla fine il trafficante ha costretto tutti i suoi compagni di viaggio a pagare per lei ma ci sono voluti comunque diversi mesi prima che riuscissero a mettere insieme la somma richiesta. Storie che sembrano provenire da un altro mondo e sono invece cronache quotidiane lungo i confini di diversi Paesi europei.

      Infine, padre Ripamonti, in merito allo sgombero del centro Baobab di Roma che ospitava diverse centinaia di migranti, ha osservato che «la politica degli sgomberi senza alternative è inaccettabile». Il Centro Astalli «esprime inoltre preoccupazione anche per le crescenti difficoltà di accesso alla protezione in Italia: in un momento in cui molti migranti restano intrappolati in Libia in condizioni disumane e il soccorso in mare è meno efficace rispetto al passato, il nostro Paese ha scelto di adottare nuove misure che rendono più difficile la presentazione della domanda di asilo in frontiera, introducono il trattenimento ai fini dell’identificazione, abbassano gli standard dei centri di prima accoglienza».

      https://www.lastampa.it/2018/11/13/vaticaninsider/immigrazione-il-centro-astalli-c-unemergenza-diritti-umani-alle-frontiere-deuropa-v3qbnNIYRSzCCQSfsPFBHM/pagina.html

  • Dubliné·e, vous avez dit Dubliné·e ? Guide pratique et théorique du règlement #Dublin

    https://www.lacimade.org/dubline-vous-avez-dit-dubline

    ombien de personnes sont concernées en France ?

    Selon les statistiques du ministre de l’intérieur, en 2017, 41 500 personnes – mineures comprises – sont des Dublinées pour un total de 121 200 demandes enregistrées par les préfectures (30%). En 2016, leur nombre était d’environ 22 000 et en 2015 de 11 700. Le nombre de transfert s’élève à 2 633 en 2017 (9% des 29 713 accords)

    Pour les sept premiers mois de 2018, 22 506 personnes adultes sont concernées soit 37% du total. Environ 17 000 accords des autres Etats ont été enregistrées et 1 967 personnes ont été transférées (soit 11.6% des accords).

    #migrations #asile #dublin

  • #métaliste sur le #mobilier_urbain #anti-sdf / #anti-réfugiés.
    En commentaire, les différents mobiliers urbains #anti-sdf regroupés par pays.

    Sur le #design_défensif , des articles sur le fond :
    https://seenthis.net/messages/666521
    https://seenthis.net/messages/445966
    –-> Avec exemple #Londres, #UK #Angleterre

    « L’ architecture du mépris a des effets sur nous tous »
    https://seenthis.net/messages/814817

    #Livre : Reprendre place. Contre l’#architecture_du_mépris
    https://seenthis.net/messages/826234

    Et ici des initiatives de #résistance/#dénonciation :
    https://seenthis.net/messages/732278#message769645

    #urban_matter #villes #architecture_défensive #SDF #sans-abri #anti-SDF #architecture_du_mépris #architecture_hostile

    J’ai peut-être oublié des liens, mais ça fait déjà une longue liste de #cruauté_humaine...

    #urbanisme_défensif

    • Thousands sign petition asking Justice Minister to stop deportation of student facing threat of torture

      OVER 13,000 PEOPLE have signed an online petition calling for a halt to the deportation of a Dublin City University student facing the threat of torture if he returns home.

      Zimbabwean national Shepherd Machaya could be deported within days after his permission to remain in Ireland expired on 21 October.

      The former pastor fled his homeland after members of ZANU-PF, the party co-founded by Robert Mugabe, tortured and threatened to kill him in an attempt to force him to join the party.

      After he left Zimbabwe, Machaya’s sister told him that one of his best friends died after suffering catastrophic injuries when he was tortured by the party’s members.

      Machaya, a second year Management of Information Technology and Information Systems student at DCU, has been living in Direct Provision in Laois for the last nine years.

      He completed a Level 5 course in Software Development in Portlaoise College in 2017, before being admitted to DCU under the University of Sanctuary scholarship scheme, which allows refugees to study there.

      However, after his bid for asylum failed earlier this year, Machaya was told by the Department of Justice to leave Ireland by 21 October.

      “From this moment onwards, he could be deported,” DCU Students’ Union President Vito Moloney Burke tells TheJournal.ie.

      “I think we have a few days, but that’s about it.”

      Campaigners say that although his family remains in Zimbabwe, Machaya has made friends in Ireland, which he calls his “second home”, and that he has contributed to the country.

      Burke added that despite contacting Charlie Flanagan and the Department of Justice on multiple occasions, he has received no response.

      “We’ve had growing support on a national level. The most heartening thing is that members of the public are getting involved and signing the petition.

      “Hopefully more attention is brought to Shepherd’s case and this is discussed in the Dáil tomorrow.”

      http://www.thejournal.ie/shepherd-machaya-dcu-student-deportation-petition-4299636-Oct2018
      #Irlande #Dublin_City_University

    • The #Sanctuary_Students_Solidarity_and_Support (#S4) Collective

      The Sanctuary Students Solidarity and Support (S4) Collective is excited to announce our official launch! Please join us for an evening of community building and celebration. This event honours the work and aspirations of a group of precarious migrant students and allies toward increased and more equitable access to secondary and post-secondary education in #Ontario.

      https://img.evbuc.com/https%3A%2F%2Fcdn.evbuc.com%2Fimages%2F73683467%2F336402306013%2F1%2Forig

      https://www.eventbrite.ca/e/launch-of-the-sanctuary-students-solidarity-and-support-collective-ticket
      #Canada

  • La logique de « #Dublin » appliquée aux mineurs

    En prévoyant la collecte par les autorités départementales de la photographie et des empreintes des #mineurs_isolés_étrangers sollicitant une protection au titre de l’#Aide_sociale_à_l’enfance, la #loi_sur_l’asile_et_l’immigration du 10 septembre 2018, dite « #loi_Collomb », vise à ce que soit désigné de facto un #département – et un seul – responsable de la demande de protection. Un enfant considéré comme majeur par un département ne pourra plus solliciter la protection d’un autre département. Le parallèle avec le règlement « Dublin » qui interdit aux demandeurs d’asile de choisir l’État dans lequel ils souhaitent trouver refuge est frappant : le #fichage des mineurs a le même objectif que le fichage des demandeurs d’asile dans #Eurodac ; il s’agit de piéger sur un territoire donné la personne en demande de protection. À défaut de pouvoir obliger les départements à harmoniser leurs pratiques en matière d’évaluation de la minorité et de l’isolement, de la même manière que les institutions européennes ont échoué à harmoniser les procédures d’asile en Europe, le gouvernement a ainsi trouvé le moyen d’empêcher les mineurs d’aller chercher ailleurs la protection qu’on leur dénie ici.

    À l’annonce de cette mesure, plusieurs organisations, parmi lesquelles le Gisti, ont dénoncé « une mesure disproportionnée » dont elles ont demandé le retrait [1]. Cette mesure revient à créer une présomption de fraude à l’encontre des « ressortissants étrangers se déclarant mineurs privés temporairement ou définitivement de la protection de leur famille » et entre en contradiction avec les principes constitutionnels d’égalité devant la loi et de non-discrimination dans l’accès à un droit. On sait bien, pourtant, que le caractère aléatoire des évaluations de minorité conduit à ce qu’une personne déclarée mineure dans un département soit déclarée majeure dans un autre, preuve de l’absence de fiabilité de la procédure d’évaluation et de la disparité des pratiques [2].

    À l’occasion de la saisine du Conseil constitutionnel par les parlementaires, le Gisti et la Ligue des droits de l’Homme ont essayé d’attirer son attention sur cette question [3]. Dans sa décision du 6 septembre, le Conseil constitutionnel a toutefois choisi de ne pas se prononcer, de sorte que la question de la constitutionnalité de cette mesure reste entière.

    Votée à l’occasion d’une réforme du code des étrangers, la création de ce fichier confirme que les pouvoirs publics considèrent les mineurs isolés avant tout comme des migrants dont il faut se défier plutôt que comme des enfants qu’il faut protéger. Elle s’inscrit, parallèlement, dans une tendance au fichage généralisé de la population dont la population étrangère est la cible prioritaire.

    Pour disqualifier le maximum de demandes de protection émanant de mineurs isolés, les départements reprennent la même recette que celle utilisée par l’État contre les demandeurs d’asile. Par la magie du verbe, l’immense majorité des réfugiés deviennent des « migrants économiques » et les enfants, des adultes. La même recette et parfois les mêmes méthodes, consistant, par exemple, à déléguer à des associations gestionnaires le « sale boulot » : ici, créer des files d’attente interminables pour distribuer au compte-gouttes des rendez-vous aux demandeurs d’asile ; là, gérer des cellules d’évaluation remettant en cause quasi systématiquement l’âge déclaré par les mineurs isolés.

    Fichage et suspicion, deux moyens qui ont largement fait leur preuve pour discréditer la plupart des demandeurs d’asile et qui trouvent maintenant à s’appliquer aux mineurs isolés considérés, comme d’autres avant eux, comme des étrangers « indésirables ». À qui le tour ?

    http://www.gisti.org/spip.php?article6001
    #règlement_dublin #asile #migrations #réfugiés #mineurs #enfants #enfance #MNA #empreintes_digitales #France #piège #piège_territorial

  • L’Italie fermera ses #aéroports aux migrants

    Le ministre italien de l’Intérieur s’est opposé, dimanche, à tout renvoi de migrants de l’Allemagne vers son pays, sans accord préalable.

    L’Italie va fermer ses aéroports aux avions de ligne non autorisés transportant des migrants en provenance d’Allemagne, a annoncé dimanche le ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini. Une décision qui accentue les tensions entre Rome et Berlin.

    L’Allemagne et l’Italie travaillent à un #accord aux termes duquel des migrants résidant en Allemagne pourraient être renvoyés en Italie, pays où ils ont déposé une demande d’asile. L’accord n’a pas été signé pour le moment.

    Le quotidien La Repubblica rapportait samedi que l’office allemand pour les réfugiés avait adressé « des dizaines de lettres » à des migrants les informant d’un possible transfert vers l’Italie via des #vols_charters. Le premier vol est prévu mardi prochain.

    « Pas d’aéroports disponibles »

    « Si des gens pensent, à Berlin ou à Bruxelles, qu’ils vont pouvoir balancer des dizaines de migrants en Italie par des vols charter non autorisés, ils doivent savoir qu’il n’y a pas et n’y aura pas d’aéroports disponibles », a dit M. Salvini dans un communiqué. « Nous fermerons les aéroports comme nous avons fermé les #ports », a-t-il dit.

    Le ministre allemand de l’Intérieur Horst Seehofer affirmait en septembre qu’un accord avait été trouvé avec l’Italie et qu’il devait être signé prochainement. Matteo Salvini avait démenti le lendemain, exigeant de nouvelles concessions de la part de l’Allemagne. Le ministre italien avait alors expliqué qu’il avait reçu des assurances de la part de l’Allemagne que pour chaque migrant renvoyé en Italie les autorités allemandes accepteraient un demandeur d’asile en Italie. Matteo Salvini exigeait deux autres concessions - une révision du traité de Dublin sur la gestion des demandes d’asile dans le pays d’arrivée et la fin de la mission navale européenne Sophia qui porte secours aux migrants en Méditerranée.

    Sortir de l’impasse

    Horst Seehofer a appelé la chancelière allemande Angela Merkel et le président du Conseil italien Giuseppe Conte à intervenir pour sortir de l’impasse. « L’accord a été négocié et suit les mêmes principes que celui avec la Grèce »« , a dit M. Seehofer au Welt am Sonntag. »Nous renvoyons des réfugiés en Italie mais nous acceptons un même nombre de personnes sauvées en mer« .

     »Mais Salvini dit maintenant : je ne signerai que si l’Allemagne soutient la position de l’Italie sur le droit d’asile dans l’Union européenne". Rome demande une réforme du traité de Dublin afin que soit organisée une répartition des nouveaux arrivants dans l’ensemble de l’UE et non plus l’obligation de rester dans le pays où ils sont arrivés en Europe.

    https://www.tdg.ch/monde/L-Italie-fermera-ses-aeroports-aux-migrants/story/27268662

    Commentaire sur twitter :

    Charter deportation from Germany to Italy planned for Tuesday, but Salvini now saying that Italy is going to “close the airports” to “non-authorised charters”

    https://twitter.com/twentyone_miles/status/1049015499219263489

    Et comme dit Philippe sur twitter, l’Italie devient une #île :


    #péninsule

    #Italie #Salvini #fermeture #fermeture_des_aéroports #Dublin #renvois_Dublin #asile #migrations #réfugiés #Allemagne

    cc @isskein @reka

    • Quelques questions, car ce n’est pas du tout clair pour moi les termes de ce fantomatique accord :

      On peut lire :

      « Le ministre italien avait alors expliqué qu’il avait reçu des assurances de la part de l’Allemagne que pour chaque migrant renvoyé en Italie les autorités allemandes accepteraient un demandeur d’asile en Italie. »

      « L’accord a été négocié et suit les mêmes principes que celui avec la Grèce »« , a dit M. Seehofer au Welt am Sonntag. »Nous renvoyons des réfugiés en Italie mais nous acceptons un même nombre de personnes sauvées en mer« .

      --> Mais qui sont ces « migrants renvoyés en Italie », si ce n’est des dublinés ? Et qui sont ces « réfugiés renvoyés en Italie » ? Si c’est des réfugiés, donc des personnes avec un statut reconnu, ils ne peuvent pas être renvoyés en Italie, j’imagine...
      --> Et les « personnes sauvées en mer » ? Il s’agit d’un nombre de personne déterminé, qui n’ont pas déjà été catégorisés en « migrants » ou « demandeurs d’asile » ?

      Et puis :

      « L’Allemagne et l’Italie travaillent à un #accord aux termes duquel des migrants résidant en Allemagne pourraient être renvoyés en Italie, pays où ils ont déposé une demande d’asile. L’accord n’a pas été signé pour le moment. »

      --> ce n’est pas déjà Dublin, ça ? C’est quoi si ce n’est pas Dublin ?

      #accord_UE-Turquie (bis)

      ping @i_s_

    • v. aussi le fil de discussion sur twitter de Matteo Villa :

      Sui voli #charter dalla Germania all’Italia non bisogna fare confusione, né cedere alla disinformazione.
      (1) Si tratta di “dublinati”, persone che hanno fatto primo ingresso in ?? dall’Italia, non migranti fermati alla frontiera tedesca e rispediti in Italia in modi spicci. Finché non cambiamo Dublino, gli accordi sono questi.
      2) Non è certo qualcosa di eccezionale. Tra 2014 e 2017, la Germania ha fatto più di 50.000 richieste di trasferimento verso l’Italia applicando le regole Dublino.
      (3) Non è neanche mistero che il sistema Dublino non funzioni. Sulle oltre 50.000 richieste da parte tedesca dal 2014, l’Italia ha effettuato solo circa 12.000 trasferimenti. Meno di 1 su 4 alla fine torna in ??.
      (4) una volta effettuato il trasferimento verso l’Italia, il richiedente asilo non è detenuto. Può quindi tentare di spostarsi di nuovo verso il Paese che lo ha riportato indietro.
      (5) Utilizzare voli charter rispetto a voli di linea è uno strappo diplomatico? Dipende. Tecnicamente, senza il consenso dell’Italia l’aereo non potrebbe neppure partire.
      (6) Vogliamo fare tutto questo casino per 40/100 persone? Davvero?

      https://twitter.com/emmevilla/status/1048951274677460993

    • Migranti, la Germania riporta 40 profughi a Roma con volo charter

      L’arrivo del primo #charter dalla Germania, con a bordo 40 migranti cosiddetti «secondari» respinti dal governo tedesco, è previsto all’aeroporto di Fiumicino giovedì prossimo, l’11 ottobre. Nonostante le smentite ufficiali del Viminale, un’intesa è stata dunque raggiunta. Adesso che la notizia è pubblica, però, bisognerà vedere cosa succederà nelle prossime ore. «Non farò favori elettorali alla Merkel», aveva detto il mese scorso Matteo Salvini all’ultimo vertice europeo sull’immigrazione.

      Così, anche se formalmente il ministero dell’Interno non può opporsi, potrebbe essere la polizia di frontiera italiana, per motivi legati al piano di volo, a non autorizzare l’atterraggio o lo sbarco dei passeggeri. È la prima volta, infatti, che la Germania si serve di un charter per riportare in Italia i «dublinanti», cioè quei migranti che sbarcano e chiedono asilo da noi, ma poi se ne vanno da uomini liberi nel resto d’Europa. In base al Trattato di Dublino, però, quando vengono rintracciati possono essere rimandati indietro, perché le norme dell’accordo prevedono appunto che sia il Paese di primo approdo a valutarne la domanda d’asilo e quindi a farsi carico dello straniero fino all’esito della procedura.

      Finora, però, il rientro dei «dublinanti» in Italia si svolgeva con viaggi di singoli migranti su aerei di linea. Dalla Francia, per esempio, ne arrivano così una ventina ogni mese. E dalla Germania, fino a oggi, una media di 25: tutti selezionati dopo una lunga istruttoria, quindi accompagnati a bordo dalla polizia tedesca fino all’atterraggio in Italia, qui infine presi in consegna dalle nostre forze dell’ordine e portati in un centro d’accoglienza.

      Ma il governo tedesco ora ha deciso di accelerare le operazioni: l’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati ha già inviato decine di lettere ai migranti arrivati in Germania passando per l’Italia, avvisandoli che saranno riportati presto nel primo Paese d’ingresso in Europa.

      Un giro di vite deciso a prescindere dal patto sui migranti fra Italia e Germania da tempo in discussione e che il nostro ministro dell’Interno, Matteo Salvini, continua ad escludere di aver mai firmato. Da Berlino, però, lo danno già per stipulato e a condizioni precise: la Germania può rimandare in Italia i migranti che attraversano il confine, garantendo in cambio la sua disponibilità a rivedere i termini dei ricollocamenti. Nei giorni scorsi, però, lo stesso Salvini era stato chiaro, parlando di «accordo a saldo zero»: in cambio cioè del ritorno in Italia dei «dublinanti» il nostro Paese invierà a Berlino un analogo numero di profughi da accogliere. «Firmerò l’accordo quando sarà chiaro che non ci sarà un solo immigrato in più a nostro carico», aveva detto. E dal Viminale, infatti, continuano a dire che la firma del ministro non c’è.

      Ma ora l’intesa apparentemente trovata sul charter in arrivo l’11 ottobre infittisce il giallo. E l’opposizione attacca: «Biglietti già fatti — ha twittato il deputato del Pd Filippo Sensi — nei prossimi giorni la Germania riporterà in Italia molti profughi, quanti? Matteo Salvini aveva tuonato che l’accordo con il suo amico Seehofer non c’era. Chi mente?». E Alessia Morani, Pd, commenta su Fb: «L’amico tedesco di Salvini, il sovranista Seehofer, vuole rimandare in Italia i profughi coi voli charter. Queste sono le conseguenze dell’accordo di giugno del premier Conte e della politica isolazionista di Salvini: si apparenta con chi alza i muri contro di noi, invece che fare accordi per la redistribuzione dei richiedenti asilo in Europa. La ricetta sovranista sta complicando la gestione dei migranti. Stanno creando il caos e questa incapacità la pagheranno gli italiani».

      https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/18_ottobre_06/primo-volo-charter-profughi-dublino-merkel-salvini-6c4cd2a8-c9a4-11e8-

      Quelques explications de plus dans cet article :

      È la prima volta, infatti, che la Germania si serve di un charter per riportare in Italia i «dublinanti» (...) Finora, però, il rientro dei «dublinanti» in Italia si svolgeva con viaggi di singoli migranti su aerei di linea.

      –-> donc, ce qui est nouveau c’est le fait que l’Allemagne renvoie les « dublinés » via charter, alors qu’avant ces renvois étaient effectués sur des vols de ligne.

      Le fameux accord, qui ressemble à celui entre la Turquie et l’UE, devrait prévoir ceci :

      la Germania può rimandare in Italia i migranti che attraversano il confine, garantendo in cambio la sua disponibilità a rivedere i termini dei ricollocamenti.

      –-> l’Allemagne peut renvoyer en Italie les migrants qui traversent la frontière, en garantissant, en échange, sa disponibilité à revoir les termes des #relocalisation

      Salvini sur ce point :

      Salvini era stato chiaro, parlando di «accordo a saldo zero»: in cambio cioè del ritorno in Italia dei «dublinanti» il nostro Paese invierà a Berlino un analogo numero di profughi da accogliere

      –-> Salvini demande un « accord avec un solde zéro » : en échange du retour des dublinés en Italie, l’Italie enverra à Berlin un nombre analogue de réfugiés à accueillir.

      Le journal rapporte les mots de Salvini qui dit ne pas avoir signé d’accord avec l’Allemagne :

      dal Viminale, infatti, continuano a dire che la firma del ministro non c’è.

      ... mais vu qu’il y a un charter qui devrait arriver à Rome le 11 octobre... et donc on se demande si cet accord a été signé...
      Du coup, c’est la polémique : qui ment ? Seehofer ou Salvini ?

      –------------------

      Nouveau terme, @sinehebdo :

      40 migranti cosiddetti «secondari»

      –-> « #migrants_secondaires », ça doit faire référence aux #mouvements_secondaires... que l’UE cherche par tout les moyens de combattre, mais qui, en réalité, avec ses politiques, les créent... les associations et quelques chercheurs/ses utilisent plutôt le terme #Migrerrants (#migrerrance)
      #terminologie #vocabulaire #mots

    • Berlin dément avoir le projet de renvoyer des migrants en Italie

      Les autorités allemandes ont démenti dimanche avoir le projet de renvoyer en Italie des migrants résidant en Allemagne comme le rapportait un quotidien italien, information qui avait provoqué un regain de tension entre Berlin et Rome.

      Le quotidien La Repubblica rapportait samedi que l’office allemand pour les réfugiés avait adressé « des dizaines de lettres » à des migrants les informant d’un possible transfert vers l’Italie via des vols charters. Le premier vol est prévu mardi prochain.

      Cette information a provoqué une vive réaction de la part du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini qui a menacé de fermer tous les aéroports de son pays aux avions de ligne non autorisés transportant des migrants en provenance d’Allemagne.

      « Aucun vol de transfert n’est prévu vers l’Italie dans les prochains jours », a déclaré un porte-parole du ministère allemand de l’Intérieur dans un courrier électronique.

      L’Allemagne et l’Italie travaillent à un accord aux termes duquel des migrants résidant en Allemagne pourraient être renvoyés en Italie, pays où ils ont déposé une demande d’asile. L’accord n’a pas été signé pour le moment.

      « Si des gens pensent, à Berlin ou à Bruxelles, qu’ils vont pouvoir balancer des dizaines de migrants en Italie par des vols charters non autorisés, ils doivent savoir qu’il n’y a pas et n’y aura pas d’aéroports disponibles », a dit Salvini dans un communiqué.

      « Nous fermerons les aéroports comme nous avons fermé les ports », a-t-il dit.

      Le ministre allemand de l’Intérieur Horst Seehofer affirmait en septembre qu’un accord avait été trouvé avec l’Italie et qu’il devait être signé prochainement. Salvini avait démenti le lendemain, exigeant de nouvelles concessions de la part de l’Allemagne.

      Le ministre italien avait alors expliqué qu’il avait reçu des assurances de la part de l’Allemagne que pour chaque migrant renvoyé en Italie les autorités allemandes accepteraient un demandeur d’asile en Italie.

      Matteo Salvini exigeait deux autres concessions - une révision du traité de Dublin sur la gestion des demandes d’asile dans le pays d’arrivée et la fin de la mission navale européenne #Sophia qui porte secours aux migrants en Méditerranée.

      Seehofer a appelé la chancelière allemande Angela Merkel et le président du Conseil italien Giuseppe Conte à intervenir pour sortir de l’#impasse.

      « L’accord a été négocié et suit les mêmes principes que celui avec la Grèce », a dit Seehofer au Welt am Sonntag. « Nous renvoyons des réfugiés en Italie mais nous acceptons un même nombre de personnes sauvées en mer ».

      « Mais Salvini dit maintenant : je ne signerai que si l’Allemagne soutient la position de l’Italie sur le droit d’asile dans l’Union européenne », poursuit Seehofer.

      Rome demande une réforme du traité de Dublin afin que soit organisée une répartition des nouveaux arrivants dans l’ensemble de l’UE et non plus l’obligation de rester dans le pays où ils sont arrivés en Europe

      https://www.mediapart.fr/journal/international/071018/berlin-dement-avoir-le-projet-de-renvoyer-des-migrants-en-italie
      #opération_Sophia

  • Arrêté dans les locaux du Service de la population, #Yossief végète en prison

    Le jeune Érythréen a une fiancée qui bénéficie d’un permis B. Des citoyennes dénoncent un acharnement.

    Elle pourrait faire autre chose de ses lundis après-midi, Valérie Manera Damone. Mais la voici, comme toutes ces dernières semaines, sur le parking devant les barbelés, empêtrée dans une bise têtue qui semble avoir définitivement balayé l’été. Derrière elle se dresse la prison genevoise de #Champ-Dollon, et juste après, celle, beaucoup plus modeste, de #Favra, qui abrite notamment des étrangers en détention administrative. L’établissement soigne son entrée : juste derrière la grille automatique trônent quelques nains de jardin sur des carrés de verdure léchés.

    C’est à Favra que dort Yossief Berhe depuis le 16 juillet, date de son arrestation dans les locaux du Service vaudois de la population, où le jeune Érythréen s’était pourtant rendu pour régulariser sa situation sur demande du Secrétariat d’État aux migrations. Une « trahison », pour Valérie et l’entourage de Yossief. En vertu du règlement #Dublin, le requérant frappé de #non_entrée_en_matière par les autorités fédérales est condamné à être renvoyé vers l’#Italie, le premier pays européen dont il a foulé le sol.

    Renvoyé deux fois en Italie

    De son coffre, la visiteuse sort un énorme sac de courses, d’où dépassent des bananes et du coca : le jeune homme, qu’elle a rencontré il y a deux ans à Échallens alors qu’elle donnait des cours de français comme bénévole, ne mange presque rien en prison, s’inquiète-t-elle. Mais la Challensoise n’est pas qu’une amie en souci : elle est aussi une citoyenne nouvellement révoltée qui découvre les pratiques de la Suisse en matière d’asile sous leur jour le plus absurde. « Nous craignons que les autorités veuillent faire de lui un exemple. Il y a un acharnement dramatique. »

    D’un naturel solide et optimiste, Yossief se fragilise jour après jour en détention, explique-t-elle. Si le jeune homme de 34 ans dort en prison, c’est parce qu’il refuse de partir en Italie : il a en Suisse une fiancée, qu’il a connue en Érythrée, et qui vit en Valais avec un permis B. Elle vient de terminer un stage de huit mois dans un établissement médico-social et s’apprête à commencer un cours de la Croix-Rouge.

    Depuis son arrivée en 2016, Yossief a été renvoyé deux fois par avion vers l’aéroport de Rome, et deux fois il est revenu. Dans le jargon, on appelle les gens comme lui des « satellites ». Tout, plutôt que de laisser une nouvelle fois sa vie derrière soi. Pourquoi ne pas simplement disparaître, rejoindre la cohorte des rejetés de l’asile qui sombrent dans la clandestinité ? Au parloir de Favra, Yossief explique qu’il veut « vivre dignement, sans se cacher ». Il se tourne vers Valérie : « Échallens, c’est mon paradis. » Ça la fait sourire doucement. En prison, le jeune homme qui maîtrise bien l’anglais continue ses exercices de français. À Échallens, il s’est beaucoup impliqué pour aider à l’intégration des membres de sa communauté, explique son entourage.

    Partir ? De toute façon, l’Italie ne semble pas vouloir de lui : par deux fois, elle a prononcé son expulsion. Le 22 juin 2018, après son second renvoi, le préfet de police de Rome lui a ainsi laissé sept jours pour quitter le territoire italien, sous peine d’une amende allant de 10 000 à 20 000 euros. Dans un récent courriel, le Secrétariat d’État aux migrations (SEM) assure pourtant que l’Italie a accepté depuis de reprendre le jeune homme.

    Se battre au risque de s’épuiser

    Face à l’absurde, Valérie Manera Damone a choisi le combat, au risque de s’épuiser. Lorsqu’elle appuie sur la sonnette devant la grille de la prison, d’où Yossief l’appelle tous les jours, un vertige la saisit. Il y a quelques années encore, elle n’aurait jamais imaginé cela : rendre visite à un détenu, contacter une journaliste, écrire aux autorités…

    « J’ai commencé à donner des cours de français parce que je ne voulais pas laisser ma fille de 16 ans y aller toute seule. J’avais peur pour elle. Depuis, j’ai changé de point de vue sur mon propre pays. J’avais confiance en nos autorités, j’étais sûre que les droits de l’homme étaient respectés. » Également proche de Yossief, Carole Zimmermann a assisté à l’arrestation de ce dernier dans les locaux du Service de la population : « Le Secrétariat d’État aux migrations lui avait demandé par écrit de venir s’enregistrer pour la reprise de son séjour. On y est allé en toute confiance et on s’est fait avoir », précise celle qui a écrit au conseiller d’État Philippe Leuba, sans succès, en tant que « citoyenne incrédule ».

    Contacté, le Service de la population précise que la loi vaudoise permet d’arrêter une personne dans ses locaux si cette dernière est revenue dans le pays malgré une interdiction d’entrée en Suisse (ndlr : c’était le cas de Yossief). « Par ailleurs, une nouvelle demande d’asile n’empêche pas le Canton d’entamer les préparatifs d’un transfert, notamment quand les décisions de renvoi précédentes n’ont pas été respectées », stipule son porte-parole, Frédéric Rouyard. Julie Maillard, du Collectif R, évoque une « tromperie sur le motif » potentiellement contraire à la Convention européenne des droits de l’homme. Selon elle, « l’acharnement aveugle » des autorités sur Yossief Berhe n’est « de loin pas un cas à part ».

    Ce lundi 1er octobre, le jeune Érythréen a été transféré à la prison de Frambois, dans le même canton. « Si l’on cumule le salaire des policiers, les séjours en prison, les démarches administratives, etc., vous imaginez les coûts ? » s’insurge Valérie. Et de préciser encore une fois : « On ne lâche rien. » (24 heures)


    https://www.24heures.ch/vaud-regions/Arrete-dans-les-locaux-du-Service-de-la-population-Yossief-vegete-en-prison/story/21715829

    #Suisse #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_érythréens #renvois #expulsions #renvois_dublin #rétention #détention_administrative

  • Le Comité de l’ONU contre la torture s’oppose à un transfert Dublin vers l’Italie

    En vertu des accords de Dublin, la Suisse souhaitait renvoyer vers l’Italie un requérant d’asile érythréen victime de tortures dans son pays d’origine. Dans une décision récente le Comité des Nations unies contre la torture a demandé à la Suisse de ne pas renvoyer l’intéressé en Italie invoquant le respect de la Convention contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants (1984).
    A.N. victime de torture en Erythrée est venu en Suisse où vit son frère

    A.N. requérant d’asile érythréen, a fui son pays où il a été détenu durant cinq et régulièrement torturé. En 2015, il dépose une demande d’asile en Suisse où il reçoit rapidement des soins auprès de la Consultation pour victimes de torture et de guerre (HUG). Plusieurs rapports médicaux détaillés concernant les tortures subies sont soumises aux autorités suisses – Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM) et Tribunal administratif fédéral (TAF). Mais elles le déboutent et il est transféré en Italie en octobre 2016. Là-bas il ne trouve aucun logement, rien pour se nourire, aucune aide. Après deux jours il décide de revenir en Suisse où il dépose une seconde demande d’asile. En Suisse il est accueilli par son frère et reçoit des soins médicaux réguliers. Les autorités d’asile le déboutent à nouveau et ordonnent son renvoi vers l’Italie ignorant complètement la situation médicale de l’intéressé et l’importance des soins dont il a besoin.

    Un renvoi vers l’Italie pourrait être fatal

    En avril 2016, A.N., le Centre suisse pour la défense des droits des migrants (CSDM) soumet une requête au Comité des Nations unies contre la torture (CAT) invoquant une violation des articles 3, 14 et 16 de la Convention contre la torture.

    En bref que disent ces dispositions ?

    L’article 3 stipule qu’ “aucun Etat partie n’expulsera, ne refoulera, ni n’extradera une personne vers un autre Etat où il y a des motifs sérieux de croire qu’elle risque d’être soumise à la torture”,
    l’article 14 stipule que “tout Etat partie garantit, dans son système juridique, à la victime d’un acte de torture, le droit d’obtenir réparation et d’être indemnisée équitablement et de manière adéquate, y compris les moyens nécessaires à sa réadaptation la plus complète possible” et
    l’article 16 stipule que “tout Etat partie s’engage à interdire dans tout territoire sous sa juridiction d’autres actes constitutifs de peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants qui ne sont pas des actes de torture telle qu’elle est définie à l’article premier lorsque de tels actes sont commis par un agent de la fonction publique ou toute autre personne agissant à titre officiel, ou à son instigation ou avec son consentement exprès ou tacite.”

    Contre l’avis des autorités suisses, le #Comité_contre_la_torture a rappelé que l’interdiction de refoulement doit être respectée aussi lorsqu’il existe des craintes avérées de peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants dans le pays de destination. En outre l’obligation de fournir réparation aux victimes de torture et des moyens de réadaptation, s’impose même lorsque les actes de tortures ont été commis dans un autre pays.

    Le Comité des Nations unies s’est rallié à la cause du requérant érythréen sur toute la ligne notant en passant qu’à aucun moment les autorités suisses n’ont vérifier avec leurs correspondants italiens si des soins seraient accessibles en Italie. Le Comité a tenu compte des nombreux rapports sur les structures d’accueils défaillantes en Italie et le manque d’accès aux soins médicaux spécialisés et psychiatriques pour les victimes de torture. En renvoyant de force l’intéressé vers l’Italie, la Suisse violerait son devoir de réhabilitation. Le Comité a souligné que dans le cas précis, les mauvais traitements auxquels l’intéressé serait exposé en Italie, conjugué avec l’absence d’un environnement social stable, entraînerait un risque sérieux de détérioration de son état dépressif pouvant mener au suicide. Dans ces circonstances, les mauvais traitements subis en Italie mèneraient à un niveau de souffrance grave, équivalent à de la torture.
    Une grande nouvelle

    Pour Boris Wijkstroem, Directeur du CSDM, cette nouvelle est particulièrement réjouissante car elle “ apporte des lignes directrices aux autorités étatiques sur la manière d’appliquer le règlement Dublin en conformité avec les droits fondamentaux des personnes concernée.” Dans son communiqué de presse, le CSDM demande au Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM) de “veiller à ce que toutes les décisions prononcées en application du Règlement Dublin relatives à des procédures pendantes ou futures concernant des demandeurs d’asile vulnérables, soient prononcées en conformité avec cette nouvelle jurisprudence”.

    Cette décision est une avancée dans la protection des droits fondamentaux des requérants d’asile, injustement bafoués par le système Dublin. Désormais les autorités suisses devront garantir aux victimes de torture leur droit individuel à la réadaptation conformément à l’article 14 de la Convention.

    Pour A.N. c’est une immense bonne nouvelle. Sa demande d’asile sera désormais traitée en Suisse.

    https://blogs.letemps.ch/jasmine-caye/2018/09/10/le-comite-de-lonu-contre-la-torture-soppose-a-un-transfert-dublin-vers
    #Dublin #renvoi_Dublin #asile #migrations #réfugiés #Suisse #Italie #torture

    Communiqué de presse du CSDM :
    https://blogs.letemps.ch/jasmine-caye/wp-content/uploads/sites/66/2018/09/Communique%CC%81-de-Presse-CSDM-10.09.2018-Franc%CC%A7ais.pdf

    cc @isskein

    • L’ONU bloque le renvoi d’une victime de torture vers l’Italie

      À l’avenir, en expulsant une victime de torture vers l’Italie, la Suisse violerait la Convention des Nations unies contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants. Amnesty International se réjouit de la décision du Comité des Nations unies contre la torture (#CAT) de fixer enfin des limites claires au rapatriement, sur la base du Règlement de Dublin, des demandeurs d’asile particulièrement vulnérables.

      « Le règlement de Dublin doit être appliqué conformément aux obligations de la Suisse en matière de droits humains. C’est ce qu’indique clairement cette décision du Comité contre la torture de l’ONU », a déclaré Muriel Trummer, experte en droit d’asile de la Section suisse d’Amnesty International. « Si, par exemple, une personne demandant l’asile est en mauvaise santé, a subi un grave traumatisme ou est très âgée, son expulsion en vertu du règlement de Dublin peut constituer un traitement inhumain et est donc interdite en droit international ».

      « À ce jour, les autorités suisses en matière d’asile n’ont pas pris les mesures nécessaires pour que le règlement de Dublin soit appliqué dans le respect des droits humains. Amnesty International connait de nombreux cas dramatiques, dans lesquels des expulsions ont été ordonnées, qui ont causé d’immenses souffrances » a déclaré Muriel Trummer.

      Expulsé malgré un grave traumatisme

      Le Comité contre la torture a rendu une décision de principe dans l’affaire d’un Érythréen qui avait demandé l’asile en Suisse (A.N. c. Suisse, communication no 742/2016). L’homme a été emprisonné chez lui pendant cinq ans - dont plusieurs années à l’isolement - pour des raisons politiques. Il a été torturé et maltraité de manière répétée. Après sa libération, il a été recruté de force dans le corps des gardes-frontières jusqu’à ce qu’il réussisse à fuir le pays.

      Lorsqu’il a demandé l’asile en Suisse en septembre 2015, il était gravement traumatisé et avait besoin d’un traitement médical urgent. Plusieurs rapports médicaux ont décrit en détail les lourdes conséquences physiques et psychiques des tortures subies et l’ont identifié sans doute possible comme victime de la torture. Les autorités suisses compétentes en matière d’asile ont malgré tout ordonné à plusieurs reprises son expulsion vers l’Italie sur la base du règlement de Dublin.

      La décision du Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM) a été confirmée à deux reprises par le Tribunal administratif fédéral. En avril 2016, l’organisation non gouvernementale CSDM (Centre Suisse pour la Défense des Droits des Migrants) a déposé une plainte auprès du CAT. L’un des motifs invoqués était qu’il se verrait refuser l’accès à un traitement médical adéquat en Italie, ce qui constituerait une violation du droit à la réhabilitation prévu à l’article 14 de la Convention.

      Dans sa décision, le CAT a noté que la Suisse n’avait pas suffisamment investigué la situation individuelle du demandeur d’asile en tant que victime de torture et n’avait pas clarifié les conséquences possibles d’un transfert forcé en Italie. De l’avis du CAT, il aurait dû être clair que le risque était important que le requérant d’asile n’ait pas accès au traitement médical nécessaire et soit contraint à vivre dans la rue, ce qui constitue une violation de l’article 14 de la Convention. L’expulsion signifierait, en plus, la séparation d’avec son frère vivant en Suisse et donc la perte d’un environnement stabilisateur.

      L’expulsion de cette personne gravement traumatisée vers l’Italie constitue un traitement inhumain et violerait les articles 3 et 16 de la Convention (violation du principe de non-refoulement), a déclaré le CAT. La demande d’asile de l’homme doit maintenant être examinée en Suisse.

      Amnesty International demande au SEM de changer sa manière de penser

      « À la lumière de cette nouvelle jurisprudence, Amnesty International demande au Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM) d’élaborer de nouvelles directives pour l’évaluation des demandeurs d’asile particulièrement vulnérables et, dans l’attente de leur mise en œuvre, de demander aux cantons de ne pas éliminer les cas définitifs ». « En outre, Amnesty International demande au SEM et au Tribunal administratif fédéral de statuer sur toutes les affaires pendantes et à venir concernant des demandeurs d’asile particulièrement vulnérables, en prenant en compte les considérations du CAT », a déclaré Muriel Trummer.

      En novembre 2017, Amnesty International, avec 200 autres organisations et 33 000 personnes, a soumis au Conseil fédéral un appel national muni de 33’000 signatures contre l’application trop stricte du règlement de Dublin. Elle appelle à une application plus humaine de ce règlement pour les personnes particulièrement vulnérables.

      https://www.amnesty.ch/fr/pays/europe-asie-centrale/suisse/docs/2018/onu-bloque-le-renvoi-dune-victime-de-torture

  • Statistiques 2017 : ce que disent les chiffres de l’expulsion des personnes exilées

    Les dispositifs d’expulsion des personnes exilées sont vus par les pouvoirs publics comme l’alpha et l’oméga des politiques migratoires. L’objectif est double : empêcher les personnes d’entrer sur le territoire et exercer un contrôle des personnes présentes pour faciliter leur expulsion. Derrière ces chiffres, une violence institutionnelle et un coût humain sans précédent.

    REFOULEMENTS DES L’ARRIVÉE DES PERSONNES AUX FRONTIÈRES DE LA FRANCE

    86000 refoulements dont 17 000 jeunes mineures
    (source DCPAF et Eurostat)

    Chiffre sans précédent qui est la conséquence directe du rétablissement des contrôles aux frontières. Jusqu’en 2015, la moyenne annuelle se situait autour d’un maximum de 15 000 refus d’entrées. Un peu moins de 10 000 ont été pris à une frontière aérienne, 728 dans un port et 75 000 aux frontières terrestres. 3/4 des refus d’entrées terrestre ont lieu dans les Alpes-Maritimes. La France est championne d’Europe dans cette discipline puisqu’elle effectue à elle seule 43 % des refus d’entrées terrestres de l’Europe, soit deux fois plus que la Pologne. La première nationalité des personnes victimes de ces refus est le Soudan (plus de 10 000) suivi de la Guinée (6 800), et du Maroc (5 450). A noter qu’un nombre important de personnes est comptabilisé plusieurs fois dans la mesure où une personne peut se voir notifier plusieurs refus d’entrées à l’occasion de différentes tentatives de passage.

    EXPULSIONS DU TERRITOIRE NATIONAL

    Le chiffre total des expulsions effectives en métropole est à peu près le même depuis ces 5 dernières années.

    Il est intéressant de souligner que moins de la moitié des expulsions le sont vers des pays tiers à l’Union européenne.

    Les principales nationalités de personnes expulsées vers les pays tiers sont selon Eurostat :
    l’Albanie (2 605), l’Algérie (1 235), le Maroc (940), la Tunisie (740). Le chiffre global des expulsions vers les pays tiers est de 6 903.

    Près d’un quart des expulsions concernent les personnes européennes ( soit 3 367 personnes) : il s’agit principalement du renvoi des personnes roumaines et bulgares souvent d’origine rom, cibles privilégiées d’une politique discriminante en direction des européen·ne·s pauvres. Depuis 2011, les personnes roumaines oscillent entre la 4ème et la 5ème nationalité la plus enfermée en centre de rétention et est de très loin la première parmi les citoyens et citoyennes de l’Union.

    18% des expulsions (soit 2 633) concernent des décisions de transfert vers un autre pays européen du fait de l’application du règlement Dublin. Ce règlement prévoit que le premier pays par lequel la personne a transité, qu’elle y ait ou non demandé l’asile, est le pays qui doit examiner la demande de protection de la personne. 41 500 personnes (mineures compris) été placées sous le coup de procédure Dublin en 2017. Ce chiffre est en hausse de 62% par rapport à 2016 (25 693) et de 256% par rapport à 2015 (11 657) et représentent 36% des demandes d’asile en 2017.

    Les expulsions Schengen correspondent aux personnes renvoyées vers un autre pays européens conformément à la convention de Schengen : il s’agit de personnes en situation régulière dans un autre pays européen ou de personnes ayant transité par un autre Etat membre. Les renvois se font principalement via le placement dans un centre de rétention frontalier.

    Il est enfin à souligner que selon Eurostat la France (85 268) est avec l’Allemagne (97 165) championne d’Europe dans la délivrance d’obligations à quitter le territoire (OQTF) loin devant le Royaume-Uni (54 910) alors même qu’elle accueille un nombre de personnes beaucoup plus restreint. A titre illustratif en 2015, l’Allemagne a accueilli 1 543 800 personnes exilées et la Grande-Bretagne 631 500 alors que la France n’a reçu que 363 900 personnes.

    22 541 expulsions en outre-mer

    En outre-mer, le chiffre des expulsions est supérieur à celui de la métropole. 16 648 ont lieu de Mayotte et 5 268 de Guyane. Par dérogation au régime applicable en métropole, le recours engagé par une personne étrangère contre la mesure d’éloignement ne suspend pas l’exécution de l’expulsion. En pratique les personnes sont donc souvent expulsées alors même que leur recours n’a pas encore été examiné par un·e juge.
    LIEUX D’OÙ SONT EXPULSÉES DE FORCE LES PERSONNES

    Depuis 2012, on observe une augmentation des expulsions « hors les murs » qui viennent s’ajouter aux expulsions des centres de rétention administratives (CRA).

    Les personnes sont alors directement embarquées de leur domicile (domicile personnel ou lieu d’hébergement collectif) d’un commissariat ou du guichet de la préfecture.

    Les expulsions des centres de rétention restent très majoritaires : 71% (soit 10 114). Pour des précisions approfondies sur ces expulsions : cf le rapport 2017 sur les centres et locaux de rétention .

    Il est cependant à souligner l’émergence des expulsions via les centres « DPAR » (dispositif de préparation au retour) avec un taux de 8% (soit 1 165 personnes). Pourtant, il n’existe pas de cadre légal à ces centres qui ne sont pas réglementés et n’apparaissent que dans une circulaire de juillet 2015 à titre expérimental. La loi de finances 2017 prévoit leur généralisation dans toutes les régions en 2018. Ces centres sont inspirés d’un modèle belge de centres dédiés au « retour » : ils ont pour objectif de conditionner l’hébergement des personnes à leur acceptation du retour. L’OFII y intervient pour promouvoir et mettre en œuvre les dispositifs d’aide au retour volontaire (ARV). Le caractère « volontaire » du retour glisse cependant très rapidement vers le retour forcé : l’ensemble des personnes dans ces centres est assigné à résidence et est donc sous le contrôle de l’administration. La durée de cet hébergement est d’ailleurs calée sur celle de l’assignation à résidence, soit 90 jours (45 jours renouvelable une fois). A ce jour, aucune liste officielle ne recense ces centres mais La Cimade en a répertorié 8 en février 2018, ce qui qui représentent 607 places.

    Il s’agit de cumuler la carotte (l’aide financière), la restriction de liberté (l’assignation à résidence) et la coercition via le chantage soit à la rue (fin de l’hébergement) soit à l’enfermement (expulsion forcée) en cas de manque de “collaboration” des personnes. Une des grandes efficacités de ces centres en développement est leur opacité et l’absence totale d’accompagnement juridique et d’accès aux droits.

    Il est mentionné dans l’étude d’impact du projet de loi que 76 % des personnes placées dans ces centres « retournent » effectivement dans leur pays, ce qui est une moyenne bien plus élevée qu’en centre de rétention (40%). Pour autant, il n’est apporté aucun élément statistique sur le nombre de personnes qui n’ont pas accepté de se rendre dans ces dispositifs ou qui l’ont quitté en cours de route…

    On peut déduire que les 21% (4 229 personnes) d’expulsions hors CRA et centres DPAR résultent pour partie des personnes expulsées de force suite à des interpellations soit à leur domicile (personnel ou lieux d’hébergements collectif), soit au commissariat soit au guichet en préfecture. Ces expulsions en dehors des centres de rétention sont à rapprocher du développement exponentiel des assignations à résidence. Elles vont également de pair avec le développement de missions de surveillance administrative à l’intérieur des lieux d’hébergements collectifs des personnes exilées et de l’hébergement d’urgence. L’autre partie provient des expulsions des personnes en sortie de détention même si aucun élément statistique ne semble exister là-dessus.

    DISPOSITIFS DE CONTRÔLE : L’ASSIGNATION A RÉSIDENCE

    Créées par loi de juin 2011, les assignations à résidence de 45 jours (renouvelables une fois) sont des mesures de contrôle restrictives de la liberté d’aller et venir des personnes en vue de l’expulsion. Ces dernières sont contraintes de rester dans un périmètre donné et doivent pointer régulièrement, jusqu’à une fois par jour, au commissariat ou en gendarmerie.

    Ces « assignations-expulsions » constituent un nouvel outil qui vient compléter et renforcer les outils plus anciens de la rétention et des retours dits « volontaires » en vue de renforcer la politique d’expulsion. Il n’est pas rare que des personnes se voient soumises d’abord au régime de l’assignation puis à la rétention administrative, sans justification de ce basculement.

    Ces mesures connaissent depuis 2011 une augmentation exponentielle : de 373 mesures en 2011, elles sont passées à 2998 en 2014, puis 4687 en 2016 pour atteindre un niveau de 8 791 en 2017.

    Les personnes, assignées à leur domicile ou dans les centres d’hébergement souvent isolés des centres villes, n’ont pas accès aux droits et à la justice. L’opacité et l’invisibilité de ces lieux sont bien souvent le terreau de pratiques illégales, notamment en matière d’interpellations à domicile. Au regard d’une étude menée de janvier à juin 2018 dans les centres de rétention du Mesnil-Amelot et de Rennes ou intervient La Cimade, sur 13% d’interpellations à domicile ayant conduit des personnes assignées en centre de rétention, seules 3% d’entre elles avait été autorisé par un·e juge.

    Elles incarnent également le glissement d’une partie de l’hébergement d’urgence dédié aux personnes exilées et de l’hébergement d’urgence comme outil de contrôle des politiques migratoires avec une présence policière parfois à l’intérieur même des centres pour pointer les personnes présentes assignées à résidence (cas notamment dans certains PRAHDA (programme régional d’accueil des demandeurs d’asile) et l’émergence de centres d’assignation à résidence dédiés comme les centres DPAR (susmentionnés).

    A côté de ces assignations en vue de l’expulsion des personnes, il faut souligner deux autres types d’assignations à résidence :

    l’assignation à résidence de 6 mois qui concernent les personnes que l’administration ne peut pas renvoyer immédiatement et prévue à l’article L 561-1 du Code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile (CESEDA). Il s’agit en pratique par exemple des personnes avec une décision de suspension de la mesure d’expulsion par un·e juge national·e ou européen·ne ou encore de personnes étrangères malades. Elles représentent 9 % des mesures d’assignation et cachent parfois des situations que l’administration pourrait régulariser : c’est notamment le cas des personnes étrangères souffrant de grave pathologie.
    l’assignation à résidence « protection » d’une durée de six mois pour les personnes sous le coup de mesures de double peine qui sont très marginales (1%, soit 46 mesures de ce type délivrées en 2017 selon l’étude d’impact du projet de loi immigration 2018). Ces mesures illustrent la très grande précarité administrative de ces personnes soit parce qu’elles n’obtiennent pas ces mesures malgré des situations personnelles et familiales rendant impossible un retour dans leur pays d’origine (pathologie grave, arrivée en France dès le plus jeune page, …) soit parce qu’une fois qu’elles sont sous le coup de ces mesures, elles ne parviennent jamais à faire régulariser leur situation. L’exigence d’une motivation pour la prolongation de telles mesures au-delà d’une certaine durée par le Conseil constitutionnel n’empêche pas la prolongation de ces mesures à vie.

    AIDES AU RETOUR DITES « VOLONTAIRES » (ARV)

    5 776 adultes et 1 338 enfants, soit 7 114 personnes selon les chiffres publiés par l’OFII . Cela représente une augmentation de 49% par rapport à 2016 (3958). Les 5 principaux pays sont l’Albanie (21,9%), l’Afghanistan (13,6%), la Moldavie (5,9%), la Chine (5,2%) et Haïti (4,1%).

    Les aides au retour pour les ressortissant·e·s européen·ne·s diminuent (90 personnes).

    Il est important de souligner que la promotion et le développement de ces dispositifs vont historiquement de pair avec l’expansion des politiques migratoires d’expulsion. la dimension choisie du retour volontaire laisse ainsi place à une part de plus en plus importante à la contrainte et masque bien souvent des expulsions forcées.

    Cette augmentation des retours volontaires relève probablement de différents facteurs dont :

    Les pressions au retour exercées de plus en plus tôt dans la procédure, y compris dès l’arrivée des personnes : « bonjour et bienvenue vous voulez rentrer ? » ! Par exemple, l’OFII délivre une information sur le droit au retour dès le début de la procédure de demande d’asile, dans les campements et opérations d’évacuation ou encore dans les lieux d’hébergement dédiés aux personnes demandeuses d’asile ;
    La « crise » de l’accueil avec un certain nombre de personnes à la rue, épuisées par leur précarisation, découragées et soumises au chantage de l’expulsion et de l’enfermement, finissent par accepter contre leur gré cette option qui comprend un faible soutien financier (cas des albanais·e·s par exemple). L’arrêté du 17 avril 2015 est une bonne illustration puisqu’il permet dans le cadre d’opérations ponctuelles (comprendre : opérations d’évacuation de campements par exemple) de majorer l’aide au retour volontaire de 350 euros ;
    La création de centres d’assignations à résidence dédiés au retour (DPAR) ;
    Le soutien financier des politiques européennes sur ces dispositifs en lieu et place de soutien à des politiques d’accueil : par exemple, la mise en œuvre du programme européen « européen reintegration network-ERIN » dont le budget est de 9,7 millions d’euros selon le rapport de l’OFII 2017. Tel est le cas également pour les accords informels de l’Union Européenne comme celui passé avec l’Afghanistan pour faciliter les renvois ou bien encore la coopération franco-allemande via la signature d’un accord de partenariat effectif depuis mars 2016 pour faciliter et renforcer les retours volontaires des ressortissants kosovars.

    La mise en œuvre de ces dispositifs qui présentent le risque de réduire le champ des possibles à la seule option du « retour » se fait la plupart du temps en dehors de tout regard de la société civile et ne garantit pas un accès aux droits et au séjour effectifs. Par exemple, être débouté·e du droit d’asile ne signifie pas forcément que le droit au séjour est épuisé.

    Par ailleurs, ces aides pour la plupart réduites à une prise en charge minimale (frais de transport et des bagages) ne répondent aucunement aux défis d’un retour réussi. D’autant plus que ce choix intervient bien souvent dans la précipitation et sous la pression d’une perte d’un hébergement et/ou d’ chantage à l’enfermement.
    BANNISSEMENT

    Créées en 2016, les interdictions de retour du territoire français (IRTF) ont connu en 2017 une augmentation de 1 097% par rapport à 2016 : elles passent de 1 859 à 19 901 sur un total de 85 268 obligations à quitter le territoire délivrées (OQTF). 23% des OQTF ont été assorties d’une interdiction de retour en 2017. Ces mesures représentent une monstrueuse épée de Damoclès utilisée pour dissuader, précariser et contrôler.

    Ces mesures impactent gravement le parcours des personnes en France :

    Interdiction de se maintenir et de retourner en France pendant toute sa durée ;
    Interdiction de se voir délivrer une carte de séjour, y compris en cas d’élément nouveau susceptible de permettre en principe la régularisation de la personne ;
    Possibilité d’enfermement, de contrôle et d’expulsion pendant toute sa durée.

    La durée de l’interdiction du territoire (de 1 à 5 ans) ne commence désormais qu’à compter de la sortie effective de la personne du territoire européen. Cela signifie que la personne, restée en France ou en Europe malgré cette mesure, sera bloquée ad vitam æternam dans ses démarches de régularisation. Ces mesures multiplient les situations de grande précarité administrative, d’atteintes aux droits fondamentaux comme le droit de vivre en Famille, et constituent un obstacle important à l’intégration des personnes en France privées de tout accès aux droits en France. Ces conséquences sont aggravées par le fait que :

    la seule protection prévue, en dehors des situations spécifiques liées à la traite, est prévue à travers la notion floue de « circonstances humanitaires ». Cela laisse un large pouvoir discrétionnaire d’appréciation par les préfectures et un contrôle restreint des juges ;
    il n’existe aucune procédure d’abrogation de droit de cette mesure pour tenir compte d’éventuelles évolutions de la situation personnelle.

    https://www.lacimade.org/statistiques-ce-que-disent-les-chiffres-de-lexpulsion-des-personnes-exilee
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