• Opinion | The Most Eloquent Speaker at the Climate Summit Is Alaa Abd El Fattah - The New York Times
    https://www.nytimes.com/2022/11/12/opinion/alaa-hunger-strike-egypt-cop.html

    By refusing to even drink water during the climate summit — an event dedicated to thinking about our planet and its future — Alaa is intervening in this global conversation by staking his fragile, incarcerated body as the argument. From his prison cell, he is arguing what environmental activists have long known: Our planet and its future are not separate from us, from how we treat one another’s bodies, from whether we are able to live and think and speak safely and freely.

    A few weeks earlier, Alaa’s sister Mona Seif visited him in prison. Like all his monthly visits, it was 20 minutes long and took place with a glass barrier between them. “I am going to die in here,” he told her. “You have to get over the notion that you’re going to rescue me. Focus on achieving the highest political price for my death.”

    Alaa’s words point to a greater democratic concern beyond his self: that vaunted liberal democracies prioritize maintaining relations with dictatorships to safeguard strategic interests over the lives of their citizens — celebrated or ordinary — incarcerated and pushed to the brink of death by their authoritarian clients. Against these shortsighted politics, Alaa understands that our crises and our fates are interconnected.

    Alaa’s radical decision to stop drinking water as diplomats, journalists, politicians, scholars and activists arrived in Sharm el Sheikh is galvanizing all of this. International government and grass-roots attendees have spoken out for him at the climate summit. Solidarity has poured in from everywhere: People in Egypt, New York, Palestine and around the world are writing, protesting, reading his work and going on hunger strikes in solidarity with him.

    Because of his activism and his prolific writings, and because of how long he has been in prison, Alaa has become a symbol of the 2011 revolution, which Mr. el-Sisi, who came to power following a coup in 2013, has tried very hard to erase and prevent from recurring.

    And yet, it seems that Mr. el-Sisi and his security state cannot stop people from embracing a renewed spirit of solidarity and calls for justice, which are reverberating throughout the climate summit. Alaa is on his sixth day of refusing water, after more than seven months without food. In response to pressure about his case, the Egyptian government has asked people to not get distracted, to focus on climate issues.

    After months of denying that he was on a hunger strike, Egyptian authorities told the family that he is receiving medical intervention to prevent him from dying in prison. Alaa is not on strike because he wants to die; he is on strike because he wants to truly live. Any unwanted bodily intervention will only become a new front in his fight for his life.

    In Sharm el Sheikh, the heads of the German, British and French governments said they raised Alaa’s case in their meetings with Mr. el-Sisi this week.

    Alaa’s hunger strike has exposed the limitations of business-as-usual diplomacy and energized our capacities to create change. That goes for all of us: his loved ones and supporters, and the governments that are supposed to represent and protect him.

    Yasmin El-Rifae is the author of “Radius,” a history of a feminist group that fought mass sexual assaults at Tahrir Square during the Arab Spring protests in Egypt.

    #Alaa_Abd_el_Fattah #Egypte

  • Gli affari dei “campioni italiani” con il regime di #al-Sisi in Egitto

    #Eni, #Snam, #Intesa_Sanpaolo e #Sace hanno stretto in questi anni rapporti proficui con il governo del Cairo, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani. Nemmeno l’omicidio di Giulio Regeni ha segnato un punto di svolta nella fossile “campagna d’Egitto”. Il dettagliato report di ReCommon (https://www.recommon.org) in occasione della Cop27 sul clima.

    Perché Eni ha continuato ad aumentare i propri investimenti in Egitto persino dopo che sono emersi possibili legami tra l’assassinio del ricercatore italiano Giulio Regeni e il regime di Abdel Fattah al-Sisi? Qual è stata la destinazione finale degli ingenti finanziamenti che Intesa Sanpaolo ha concesso al ministero della Difesa e al ministero delle Finanze egiziani? Perché l’assicuratore pubblico Sace non ha avuto alcuna remora nel garantire la raffineria di Assiut, nonostante altri attori finanziari fossero preoccupati per le implicazioni reputazionali derivanti proprio dal “caso Regeni”? E perché Snam non pubblica ancora l’elenco completo degli azionisti dell’East mediterranean gas company?

    Sono solo alcune delle domande che ReCommon ha rivolto alle principali aziende e società italiane che hanno stretto in questi anni rapporti proficui con il governo egiziano, accusato di gravi e ripetute violazioni dei diritti umani (su tutte la detenzione di circa 60mila dissidenti politici) e che si rifiuta di collaborare con gli inquirenti italiani nelle indagini sul rapimento, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni. Gli interrogativi, insieme a un’attenta analisi degli interessi economici delle singole realtà, è contenuta nel dossier “La campagna d’Egitto – Gli affari dei ‘campioni’ italiani con il regime di al-Sisi” pubblicato il 7 novembre 2022, all’indomani dell’apertura della 27esima Conferenza della Nazioni Unite sul clima (Cop27) che si svolge a Sharm el-Sheikh. Un documento preciso e dettagliato da cui emerge, ancora una volta, come il business prevalga sui diritti umani e sui processi democratici.

    L’Egitto è un punto di investimento centrale per Eni, che lì possiede circa il 20% delle proprie riserve di gas con una produzione annuale di 15 miliardi di metri cubi (pari al 30% del totale dell’azienda e al 60% di quella egiziana) per un utile di 5,2 miliardi di euro in cinque anni, che costituisce circa un terzo degli utili complessivi della divisione “Esplorazione e produzione”.

    Uno snodo chiave negli interessi dell’azienda in Egitto è stata la scoperta ad agosto 2015 del giacimento sottomarino “Zohr” che, secondo le esplorazioni di Eni, conterebbe circa 850 miliardi di metri cubi di gas: si tratterebbe quindi di una delle maggiori riserve a livello mondiale e la più grande nel Mediterraneo. Con l’omicidio Regeni, rinvenuto il 2 febbraio 2016, le relazioni diplomatiche tra i due Paesi si sono però complicate. “Abbiamo detto chiaramente che noi siamo per i diritti umani, per questo pretendiamo chiarezza assoluta. La vogliamo come italiani e come Eni”, aveva dichiarato Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’azienda, a Il Messaggero il 6 marzo 2016. Ma solo pochi giorni prima, il 21 febbraio, la sua società aveva ottenuto l’assegnazione proprio dell’appalto per il giacimento “Zohr”.

    Secondo ReCommon al centro dei legami tra Eni e il regime di al-Sisi vi sarebbero i debiti accumulati dalle aziende energetiche egiziane nei confronti delle compagnie fossili straniere che nel 2013, anno della presa del potere da parte del generale, avevano raggiunto quota sei miliardi di euro. In particolare Eni era tra le aziende più esposte, con un ammontare di crediti scaduti pari a un miliardo di euro. Nel 2015 l’azienda italiana è riuscita però ad accordarsi con l’Egitto garantendo cinque miliardi di euro in investimenti in cambio di condizioni contrattuali favorevoli che comprendono anche un raddoppio del prezzo del gas che il Paese acquista dall’azienda. “Di lì a poco la società realizzerà la maxi scoperta di ‘Zohr’ e nel giro di qualche anno i debiti contratti dallo Stato egiziano risulteranno azzerati. Non c’è ombra di dubbio che, dal punto di vista degli affari, Eni abbia vinto la sua scommessa, accettando però di legarsi al regime egiziano con un nodo così stretto da non allentarsi neppure di fronte all’uccisione di un cittadino italiano”, ricorda ReCommon. Inoltre grazie ai progetti realizzati da Eni, il regime di al-Sisi è riuscito a conquistarsi un ruolo di primo piano nello scacchiere energetico regionale ed europeo

    Anche Snam, il più grande operatore d’Europa per quanto riguarda il trasporto del gas e che gestisce una rete di 41mila chilometri e una capacità di stoccaggio di 20 miliardi di metri cubi, partecipata dallo Stato italiano, vanta numerosi affari nel Paese nordafricano. L’azienda ha acquistato a dicembre 2021 il 25% della East mediterranean gas company (Emg), proprietaria del gasdotto Arish-Ashkelon che collega Israele ed Egitto, anche noto come “Gasdotto della pace”. Secondo ReCommon tra gli azionisti di Emg vi sarebbero Emed, una società “partecipata dalla israeliana Delek Drilling e dal gruppo statunitense Chevron” e che controlla il 39% di Emg. Secondo le inchieste di ReCommon e della testata investigativa egiziana Mada Masr, Emed avrebbe legami con i vertici dei servizi segreti egiziani.

    “Tutti questi investimenti infrastrutturali vengono attuati grazie agli istituti di credito e alle istituzioni finanziarie. In prima fila c’è Bank of Alexandria, la sussidiaria locale del primo gruppo bancario italiano, Intesa Sanpaolo”, ricorda ReCommon. L’istituto è la quinta banca d’Egitto e conta 1,5 milioni di clienti su 179 filiali. Nel 2006 il governo di Hosni Mubarak aveva venduto per 1,6 miliardi di dollari l’80% delle azioni della banca a Intesa Sanpaolo. Bank of Alexandria, partecipata anche dal governo egiziano, afferma di essere il canale privilegiato degli investimenti italiani nel Paese nordafricano, tra cui il settore oil&gas e quello degli armamenti.

    A garanzia degli investimenti vi è poi Sace, l’assicuratore pubblico italiano controllato dal ministero dell’Economia, che tra il 2016 e il 2021 ha emesso garanzie a progetti oil&gas per un totale di 13,7 miliardi di euro, ponendosi così al terzo posto per il supporto finanziario all’industria fossile dopo le controparti canadesi e statunitensi. In Egitto, Sace ha emesso garanzie per 3,9 miliardi di euro. Tra le infrastrutture supportate dall’istituto vi sono due raffinerie: la Middle East oil refinery (Midor) e l’Assiut oil refinery (Aor), entrambe in capo all’Egyptian general petroleum corporation (Egpc), l’azienda petrolifera di Stato.

    Per realizzare Midor, Sace ha garantito i prestiti di Bnp Paribas, Crédit agricole e Cassa depositi e prestiti (Cdp) per un ammontare di 1,2 miliardi di euro. Mentre per quanto riguarda la raffineria di Assiut, Sace ha agito in modo simile garantendo a febbraio 2022 un supporto finanziario pari a 1,32 miliardi di euro: l’impianto è la più grande raffineria dell’Egitto meridionale e si tratta di un’infrastruttura strategica per al-Sisi che ha presenziato personalmente l’inaugurazione dei lavori il 22 dicembre 2021. Tuttavia secondo le ricostruzioni dei quotidiani StartMag e Milano Finanza (citate nel report di ReCommon) vi sarebbero state delle resistenze all’interno di Cdp in merito al finanziamento della raffineria dovute alla “scarsa sostenibilità ambientale e a imprecisate ‘considerazioni geopolitiche’”.

    La stima di 3,9 miliardi di euro relativa alle garanzie di Sace comprende però solo il supporto alle operazioni classificate di categoria A e B cioè “quei progetti che possono avere ripercussioni ambientali e sociali che vanno da gravi a irreversibili: raffinerie, oleodotti, gasdotti, centrali termoelettriche, petrolchimici, dighe e altre mega-infrastrutture”. Sace, infatti, non è obbligata a riportare le altre categorie di investimento tra cui possono ricadere armamenti come ad esempio l’acquisto di due fregate militari italiane da parte dell’Egitto da Fincantieri nel 2020 per un totale di 1,2 miliardi di euro. L’esposizione storica di Sace al regime del Generale al-Sisi è quindi molto superiore ai 3,9 miliardi di euro dichiarati.

    https://altreconomia.it/gli-affari-dei-campioni-italiani-con-il-regime-di-al-sisi-in-egitto

    #Italie #Egypte #Regeni #Giulio_Regeni #Assiut #pétrole #raffinerie #East_mediterranean_gas_company (#EMG) #droits_humains #Zohr #gaz #énergie #gazduc #gazduc_Arish-Ashkelon #Emed #Delek_Drilling #Chevron #Bank_of_Alexandria #Middle_East_oil_refinery (#Midor) #Assiut_oil_refinery (#Aor) #Egyptian_general_petroleum_corporation (#Egpc) #Bnp_Paribas #Crédit_agricole #Cassa_depositi_e_prestiti (#Cdp) #Fincantieri

  • COP27 : en grève de la faim, Alaa Abdel Fattah, le plus célèbre détenu d’Égypte, cesse de s’hydrater
    https://www.france24.com/fr/afrique/20221107-cop27-en-gr%C3%A8ve-de-la-faim-alaa-abdel-fattah-le-plus-c%C3%A9l

    Icône de la « révolution » de 2011, le détenu politique britannico-égyptien Alaa Abdel Fattah, en grève de la faim, a cessé de s’hydrater dimanche. Alors que le monde entier a les yeux rivés sur Charm el-Cheikh, où s’est ouvert la COP27, son cas est devenu emblématique des violations des droits de l’Homme en Égypte. Le Premier ministre britannique, Rishi Sunak, a assuré que son gouvernement était « totalement engagé » pour obtenir sa libération.

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    La pression monte sur les autorités égyptiennes : le détenu politique britannico-égyptien Alaa Abdel Fattah, en grève de la faim, a cessé de s’hydrater dimanche 6 novembre, a annoncé sa sœur, le Premier ministre britannique, Rishi Sunak, disant vouloir profiter de la COP27 qui s’ouvre en Égypte pour évoquer son cas.

    « Il n’y a plus beaucoup de temps, au mieux soixante-douze heures, pour libérer Alaa Abdel Fattah. Si [les autorités égyptiennes] ne le font pas, cette mort sera dans toutes les discussions à la COP27 », a prévenu dimanche Agnès Callamard, la secrétaire générale d’Amnesty International, au Caire.

    #Alaa_Abd_el_Fattah #Fascisme #Egypte

  • Répression, menaces climatiques. Les impasses de la COP27
    Orient XXI - Laurent Bonnefoy – 7 novembre 2022
    https://orientxxi.info/dossiers-et-series/repression-menaces-climatiques-les-impasses-de-la-cop27,5985

    La tenue de la Conférence des parties dite « COP27 » sur les changements climatiques dans la station balnéaire égyptienne de Charm El-Cheikh permet au président Abdel Fatah Al-Sissi de poursuivre la mise en scène de son fantasme de toute-puissance. Ses outrances répressives et le contrôle policier exercé sur les journalistes et ONG qui feront le déplacement (à travers notamment une application d’accréditation pour smartphone qui impose le traçage) n’empêcheront sans doute pas les gouvernants du monde entier de prétendre, dans un énième forum multilatéral et à coup de promesses, qu’ils répondent à l’urgence écologique. Ils fermeront encore les yeux sur la répression des militantes et militants des droits humains, dont Alaa Abd El-Fatah qui entame en prison une grève de la faim totale le 6 novembre à l’occasion de l’inauguration de la COP. (...)

    #Cop27 #AlaaAbdelFattah #Egypte

  • EU funds border control deal in Egypt with migration via Libya on rise

    The European Union signed an agreement with Egypt on Sunday (30 October) for the first phase of a €80 million border management programme, a statement from the EU delegation in Cairo said, at a time when Egyptian migration to Europe has been rising.

    The project aims to help Egypt’s coast and border guards reduce irregular migration and human trafficking along its border, and provides for the procurement of surveillance equipment such as search and rescue vessels, thermal cameras, and satellite positioning systems, according to an EU Commission document published this month.

    Since late 2016, irregular migration to Europe from the Egypt’s northern coast has slowed sharply. However, migration of Egyptians across Egypt’s long desert border with Libya and from Libya’s Mediterranean coast to Europe has been on the rise, diplomats say.

    From1 January to 28 October this year 16,413 migrants arriving by boat in Italy declared themselves to be Egyptian, making them the second largest group behind Tunisians, according to data published by Italy’s interior ministry.

    In 2021 more than 26,500 Egyptians were stopped at the Libyan border, according to the EU Commission document.

    Egypt is likely to experience “intensified flows” of migrants in the medium to long term due to regional instability, climate change, demographic shifts and lack of economic opportunities, the document says.

    The agreement for the first 23 million-euro phase of the project was signed during a visit to Cairo by the EU’s commissioner for neighbourhood and enlargement, Oliver Varhelyi.

    It will be implemented by the International Organization for Migration (IOM) and CIVIPOL, a French interior ministry agency, and is expected to include the provision of four search and rescue vessels, Laurent de Boeck, head of IOM’s Egypt office, said.

    The EU Commission document says that to date, Egypt has addressed irregular migration “predominantly from a security perspective, sometimes at the expense of other dimensions of migration management, including the rights based protection migrants, refugees and asylum seekers”.

    The programme will seek to develop the capacity of the Egyptian ministry of defence and other government and civil society stakeholders to apply “rights-based, protection oriented and gender sensitive approaches” in their border management, it says.

    https://www.euractiv.com/section/global-europe/news/eu-funds-border-control-deal-in-egypt-with-migration-via-libya-on-rise

    #EU #UE #Union_européenne #migrations #asile #réfugiés #contrôles_frontaliers #frontières #externalisation #Egypte #accord #border_management #aide_financière #gardes-côtes #surveillance #complexe_militaro-industriel #réfugiés_égyptiens #CIVIPOL #IOM #OIM

    • EU funding for the Egyptian Coast Guard (Strengthening a Partnership That Violates Human Rights)

      The Refugees Platform in Egypt (RPE) issues a paper on the European Union’s decision, last June, to fund the Egyptian Coast Guard with 80 million euros, an amount that will be paid in two phases with the aim of “purchasing maritime border control equipment”, but there are no details about what the equipment is and how it is going to be used, and without setting clear indicators to ensure accountability for potential human rights violations and protect the rights of people on the move.

      The paper notes that the EU has previously provided funding to strengthen migration management in Egypt, but in fact, the funds and support of the EU have contributed to tightening restrictions on irregular migration in Egypt, by using law No. 82 of 2016, the law in which among several things, it criminalizes aiding irregular migrants and contradicts with other laws that expand the circle of human rights violations against people on the move. RPE paper also criticizes the EU’s demand to enhance cooperation between Egypt and Libya in the field of migration, especially since the two countries have a long record of violations of the rights of migrants and refugees.

      In the paper, incidents are tracked on the Egyptian side’s sea and land borders, and falsification of official figures related to the sinking of migrant boats, or the announcement of deaths of people who later turned out to be alive and being held in unknown places, and the violations that follow arbitrary arrest from medical negligence and forced deportation, and the paper also adds another monitoring of the refugee situation inside the country.

      Paper contents:

      – Ambiguous and worrying funds
      – EU cooperates with authoritarian regimes to suppress migration movements
      – Egypt’s successive failures in search and rescue operations and in providing the necessary protection to migrants and refugees, both at the borders and within the country
      – More funds without transparency, independent monitoring mechanisms, or prior assessments of their impact on migrants’ rights
      - Recommendations to (the EC, the EU and its Member States, and the Egyptian government)

      https://rpegy.org/en/editions/eu-funding-for-the-egyptian-coast-guard-strengthening-a-partnership-that-viol

  • Alaa Abdel Fattah

    Ahdaf Soueif sur Twitter :
    7:45 PM · 31 oct. 2022
    https://t.co/OXlZkYeX1G" / Twitter
    https://twitter.com/asoueif/status/1587153798895747073

    Alaa’s letter written to his mother today:

    "You know the story, but it’s important that I tell it again. This journey, I’ve walked it while mostly looking behind me, because I could see nothing in front of me except extinction .. the abyss. #FreeAlaa

    Gradually, with each step, each delay, something reached me .. from a visit, from a letter, from a book, an image, from the book, from news of the campaign and news of Khaled. Things changed and I started looking towards the future, a future for us as a family.

    If one wished for death then a hunger strike would not be a struggle. If one were only holding onto life out of instinct then what’s the point of a strike? If you’re postponing death only out of shame at your mother’s tears then you’re decreasing the chances of victory ..

    Today is the last day that I will take a hot drink, or rather, since I’ll count the days from when the lights come on at 10am - tomorrow, Tuesday, just before the lights come on, I will drink my last cup of tea in prison.

    And after 5 days, when the lights come on on Sunday November 6, I shall drink my last glass of water. What will follows is unknown.
    This week passed lightly and the next will pass lightly too. I’ve carried on with my routine as normal because

    I’ve taken a decision to escalate at a time I see as fitting for my struggle for my freedom and the freedom of prisoners of a conflict they’ve no part in, or they’re trying to exit from; for the victims of of a regime that’s unable to handle its crises except with oppression,
    unable to reproduce itself except through incarceration.
    The decision was taken while I am flooded with your love and longing for your company.
    Much love and till we meet soon ..
    Alaa

    #AlaaAbdelFattah #FreeThemAll #Egypte

  • EU to provide €80 million to Egyptian coast guard

    The European Commission has confirmed that €23 million will be allocated in 2022 and €57 million in 2023 to provide equipment and services to Egyptian authorities for “search and rescue and border surveillance at land and sea borders”.

    Following a Parliamentary question (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2022-002428_EN.html) submitted by MEPs Erik Marquardt and Tineke Strike (of the Greens), the Commission stated that while it is “developing an action in support of border management… in close coordination with Egyptian authorities… no overview of equipment or services to be delivered to Egyptian authorities is available at this stage.” (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2022-002428-ASW_EN.html)

    Responding to Marquardt and Strik’s concern over the “dire human rights situation in Egypt,” and the fact that this funding will go towards preventing Egyptians, 3,500 of whom have fled the country to Italy since January last year, from being able to exercise their right to leave their country, the Commission states that it:

    “...stands ready to support Egypt in maintaining its capacity to prevent irregular migration by sea, as well as to strengthen the control of its border with Libya and Sudan. This is of particular importance in light of the six-fold increase of irregular arrivals of Egyptian nationals to the EU in 2021 (9 219), of which over 90% to Italy, mostly via Libya.

    An ex ante risk assessment will be conducted and monitoring will take place throughout the action to ensure that it does not pose any threats to the respect of international human rights standards and the protection of refugees and migrants."

    The two paragraphs would appear to directly contradict one another. No answer was given as to what indicators the Commission will use to ensure compliance with Article 3(5) of the Treaty of the European Union on upholding and promoting human rights.

    Commenting on this response, Erik Marquardt states:

    "The commission wants ’to prevent irregular migration by sea’. Therefore, they are willing to work together with the Egyptian military-regime. The European Union should not cooperate with the Egyptian Coast Guard in order to prevent people from fleeing. We should use the tax payers money to prevent suffering and to support people in need of international protection - not to build a fortress europe

    “The Commission needs to tell us what exactly the €80 million are going to be spend on. We need to know if the funds will be used to buy weapons and see how exactly they plan to prevent people from fleeing. In Libya, we saw how funds were used to arm militias, we cannot let something similar happen again.”

    The €80 million allocation for border control makes up part of a €300 million total in short and long-term EU funding for Egypt.

    Après les #gardes-côtes_libyens... les #gardes-côtes_égyptiens

    #EU #UE #union_européenne #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #Méditerranée #mer_Méditerranée #externalisation #Egypte #financement

    ping @isskein @karine4 @_kg_

  • COP-27 en Egypte, l’Afrique exposée sans moyens aux pires climats.
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article4359

    En raison d’un manque de données et d’expertise, les projets en rapport avec le réchauffement climatique sont moindres en Afrique. Les responsables locaux pointent l’absence de financement pour des exigences universelles. L’alerte est que cette crise pourrait anéantir 15 % du produit intérieur brut du continent d’ici 2030. Ce qui veut dire 100 millions de personnes supplémentaires dans l’extrême pauvreté d’ici la fin de la décennie... Grands événements : Gigantisme de l’inattendu.

    / #Ecologie,_environnement,_nature,_animaux, Afrique, Monde Arabe, islam, Maghreb, Proche-Orient,, #Data_-_Données, #énergie, #calamités_naturelles, Egypte, Morsi, Frères musulmans, islamistes, Printemps (...)

    #Grands_événements_:_Gigantisme_de_l’inattendu. #Afrique,_Monde_Arabe,_islam,_Maghreb,_Proche-Orient, #Egypte,_Morsi,_Frères_musulmans,_islamistes,_Printemps_Arabe
    https://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?page=recherche&recherche=Egypte

  • Opération Sirli en Egypte : l’Etat français visée par une plainte pour complicité de crime contre l’humanité
    https://disclose.ngo/fr/article/operation-sirli-etat-francais-vise-par-une-plainte-pour-complicite-de-crim

    Deux ONG internationales ont porté plainte, lundi 12 septembre, afin que la justice française enquête sur l’exécutions de centaines de civils en Egypte grâce à des renseignements fournis par l’armée française. Une plainte qui fait suite aux révélations de Disclose publiées en novembre dernier. Lire l’article

  • #Harassmap, stop sexual harassement together

    HarassMap is based on the idea that if more people start taking action when sexual harassment happens in their presence, we can end this epidemic together. We support individuals and institutions to stand up to sexual harassment before or when they see it happen. By taking a collective stand against sexual harassment, re-establishing social consequences for harassers – and making role models of people who stand up to them – we believe that harassers can be deterred from harassing again.

    https://harassmap.org
    #cartographie #visualisation #agressions_sexuelles #résistance #Egypte #safe_space #harcèlement_sexuel

    signalé dans le livre de @nepthys et @reka : Cartographie radicale :

    En Égypte, la plateforme HarrassMap.org recueille le signalement de femmes victimes de harcèlement sexuel dans l’espace public et consigne les cas sur une carte interactive. Le « mouvement » se donne les moyens de sa lutte : l’information produite collectivement est mise gratuitement à la disposition de toutes et de tous et, continuellement mise à jour, fait naître de nouveaux projets. Les usages de l’espace sont ainsi revisités, lus autrement. Le mondial est lu à la lumière et au prisme du local. Reconceptualisée, désacralisée, désinstitutionnalisée, décloisonnée, libérée, émancipée, partagée, démocratisée, la carte, dans sa forme et ses usages, n’est plus la même.

    https://www.editionsladecouverte.fr/cartographie_radicale-9782373680539

  • « Les #réfugiés sont les #cobayes des futures mesures de #surveillance »

    Les dangers de l’émigration vers l’Europe vont croissant, déplore Mark Akkerman, qui étudie la #militarisation_des_frontières du continent depuis 2016. Un mouvement largement poussé par le #lobby de l’#industrie_de_l’armement et de la sécurité.

    Mark Akkerman étudie depuis 2016 la militarisation des frontières européennes. Chercheur pour l’ONG anti-militariste #Stop_Wapenhandel, il a publié, avec le soutien de The Transnational Institute, plusieurs rapports de référence sur l’industrie des « #Safe_Borders ». Il revient pour Mediapart sur des années de politiques européennes de surveillance aux frontières.

    Mediapart : En 2016, vous publiez un premier rapport, « Borders Wars », qui cartographie la surveillance aux frontières en Europe. Dans quel contexte naît ce travail ?

    Mark Akkerman : Il faut se rappeler que l’Europe a une longue histoire avec la traque des migrants et la sécurisation des frontières, qui remonte, comme l’a montré la journaliste d’investigation néerlandaise Linda Polman, à la Seconde Guerre mondiale et au refus de soutenir et abriter des réfugiés juifs d’Allemagne. Dès la création de l’espace Schengen, au début des années 1990, l’ouverture des frontières à l’intérieur de cet espace était étroitement liée au renforcement du contrôle et de la sécurité aux frontières extérieures. Depuis lors, il s’agit d’un processus continu marqué par plusieurs phases d’accélération.

    Notre premier rapport (https://www.tni.org/en/publication/border-wars) est né durant l’une de ces phases. J’ai commencé ce travail en 2015, au moment où émerge le terme « crise migratoire », que je qualifierais plutôt de tragédie de l’exil. De nombreuses personnes, principalement motivées par la guerre en Syrie, tentent alors de trouver un avenir sûr en Europe. En réponse, l’Union et ses États membres concentrent leurs efforts sur la sécurisation des frontières et le renvoi des personnes exilées en dehors du territoire européen.

    Cela passe pour une part importante par la militarisation des frontières, par le renforcement des pouvoirs de Frontex et de ses financements. Les réfugiés sont dépeints comme une menace pour la sécurité de l’Europe, les migrations comme un « problème de sécurité ». C’est un récit largement poussé par le lobby de l’industrie militaire et de la sécurité, qui a été le principal bénéficiaire de ces politiques, des budgets croissants et des contrats conclus dans ce contexte.

    Cinq ans après votre premier rapport, quel regard portez-vous sur la politique européenne de sécurisation des frontières ? La pandémie a-t-elle influencé cette politique ?

    Depuis 2016, l’Europe est restée sur la même voie. Renforcer, militariser et externaliser la sécurité aux frontières sont les seules réponses aux migrations. Davantage de murs et de clôtures ont été érigés, de nouveaux équipements de surveillance, de détection et de contrôle ont été installés, de nouveaux accords avec des pays tiers ont été conclus, de nouvelles bases de données destinées à traquer les personnes exilées ont été créées. En ce sens, les politiques visibles en 2016 ont été poursuivies, intensifiées et élargies.

    La pandémie de Covid-19 a certainement joué un rôle dans ce processus. De nombreux pays ont introduit de nouvelles mesures de sécurité et de contrôle aux frontières pour contenir le virus. Cela a également servi d’excuse pour cibler à nouveau les réfugiés, les présentant encore une fois comme des menaces, responsables de la propagation du virus.

    Comme toujours, une partie de ces mesures temporaires vont se pérenniser et on constate déjà, par exemple, l’évolution des contrôles aux frontières vers l’utilisation de technologies biométriques sans contact.

    En 2020, l’UE a choisi Idemia et Sopra Steria, deux entreprises françaises, pour construire un fichier de contrôle biométrique destiné à réguler les entrées et sorties de l’espace Schengen. Quel regard portez-vous sur ces bases de données ?

    Il existe de nombreuses bases de données biométriques utilisées pour la sécurité aux frontières. L’Union européenne met depuis plusieurs années l’accent sur leur développement. Plus récemment, elle insiste sur leur nécessaire connexion, leur prétendue interopérabilité. L’objectif est de créer un système global de détection, de surveillance et de suivi des mouvements de réfugiés à l’échelle européenne pour faciliter leur détention et leur expulsion.

    Cela contribue à créer une nouvelle forme d’« apartheid ». Ces fichiers sont destinés certes à accélérer les processus de contrôles aux frontières pour les citoyens nationaux et autres voyageurs acceptables mais, surtout, à arrêter ou expulser les migrantes et migrants indésirables grâce à l’utilisation de systèmes informatiques et biométriques toujours plus sophistiqués.

    Quelles sont les conséquences concrètes de ces politiques de surveillance ?

    Il devient chaque jour plus difficile et dangereux de migrer vers l’Europe. Parce qu’elles sont confrontées à la violence et aux refoulements aux frontières, ces personnes sont obligées de chercher d’autres routes migratoires, souvent plus dangereuses, ce qui crée un vrai marché pour les passeurs. La situation n’est pas meilleure pour les personnes réfugiées qui arrivent à entrer sur le territoire européen. Elles finissent régulièrement en détention, sont expulsées ou sont contraintes de vivre dans des conditions désastreuses en Europe ou dans des pays limitrophes.

    Cette politique n’impacte pas que les personnes réfugiées. Elle présente un risque pour les libertés publiques de l’ensemble des Européens. Outre leur usage dans le cadre d’une politique migratoire raciste, les technologies de surveillance sont aussi « testées » sur des personnes migrantes qui peuvent difficilement faire valoir leurs droits, puis introduites plus tard auprès d’un public plus large. Les réfugiés sont les cobayes des futures mesures de contrôle et de surveillance des pays européens.

    Vous pointez aussi que les industriels qui fournissent en armement les belligérants de conflits extra-européens, souvent à l’origine de mouvements migratoires, sont ceux qui bénéficient du business des frontières.

    C’est ce que fait Thales en France, Leonardo en Italie ou Airbus. Ces entreprises européennes de sécurité et d’armement exportent des armes et des technologies de surveillance partout dans le monde, notamment dans des pays en guerre ou avec des régimes autoritaires. À titre d’exemple, les exportations européennes au Moyen-Orient et en Afrique du Nord des dix dernières années représentent 92 milliards d’euros et concernent des pays aussi controversés que l’Arabie saoudite, l’Égypte ou la Turquie.

    Si elles fuient leur pays, les populations civiles exposées à la guerre dans ces régions du monde se retrouveront très certainement confrontées à des technologies produites par les mêmes industriels lors de leur passage aux frontières. C’est une manière profondément cynique de profiter, deux fois, de la misère d’une même population.

    Quelles entreprises bénéficient le plus de la politique européenne de surveillance aux frontières ? Par quels mécanismes ? Je pense notamment aux programmes de recherches comme Horizon 2020 et Horizon Europe.

    J’identifie deux types d’entreprises qui bénéficient de la militarisation des frontières de l’Europe. D’abord les grandes entreprises européennes d’armement et de sécurité, comme Airbus, Leonardo et Thales, qui disposent toutes d’une importante gamme de technologies militaires et de surveillance. Pour elles, le marché des frontières est un marché parmi d’autres. Ensuite, des entreprises spécialisées, qui travaillent sur des niches, bénéficient aussi directement de cette politique européenne. C’est le cas de l’entreprise espagnole European Security Fencing, qui fabrique des fils barbelés. Elles s’enrichissent en remportant des contrats, à l’échelle européenne, mais aussi nationale, voire locale.

    Une autre source de financement est le programme cadre européen pour la recherche et l’innovation. Il finance des projets sur 7 ans et comprend un volet sécurité aux frontières. Des programmes existent aussi au niveau du Fonds européen de défense.

    Un de vos travaux de recherche, « Expanding the Fortress », s’intéresse aux partenariats entre l’Europe et des pays tiers. Quels sont les pays concernés ? Comment se manifestent ces partenariats ?

    L’UE et ses États membres tentent d’établir une coopération en matière de migrations avec de nombreux pays du monde. L’accent est mis sur les pays identifiés comme des « pays de transit » pour celles et ceux qui aspirent à rejoindre l’Union européenne. L’Europe entretient de nombreux accords avec la Libye, qu’elle équipe notamment en matériel militaire. Il s’agit d’un pays où la torture et la mise à mort des réfugiés ont été largement documentées.

    Des accords existent aussi avec l’Égypte, la Tunisie, le Maroc, la Jordanie, le Liban ou encore l’Ukraine. L’Union a financé la construction de centres de détention dans ces pays, dans lesquels on a constaté, à plusieurs reprises, d’importantes violations en matière de droits humains.

    Ces pays extra-européens sont-ils des zones d’expérimentations pour les entreprises européennes de surveillance ?

    Ce sont plutôt les frontières européennes, comme celle d’Evros, entre la Grèce et la Turquie, qui servent de zone d’expérimentation. Le transfert d’équipements, de technologies et de connaissances pour la sécurité et le contrôle des frontières représente en revanche une partie importante de ces coopérations. Cela veut dire que les États européens dispensent des formations, partagent des renseignements ou fournissent de nouveaux équipements aux forces de sécurité de régimes autoritaires.

    Ces régimes peuvent ainsi renforcer et étendre leurs capacités de répression et de violation des droits humains avec le soutien de l’UE. Les conséquences sont dévastatrices pour la population de ces pays, ce qui sert de moteur pour de nouvelles vagues de migration…

    https://www.mediapart.fr/journal/international/040822/les-refugies-sont-les-cobayes-des-futures-mesures-de-surveillance

    cité dans l’interview, ce rapport :
    #Global_Climate_Wall
    https://www.tni.org/en/publication/global-climate-wall
    déjà signalé ici : https://seenthis.net/messages/934948#message934949

    #asile #migrations #complexe_militaro-industriel #surveillance_des_frontières #Frontex #problème #Covid-19 #coronavirus #biométrie #technologie #Idemia #Sopra_Steria #contrôle_biométrique #base_de_données #interopérabilité #détection #apartheid #informatique #violence #refoulement #libertés_publiques #test #normalisation #généralisation #Thales #Leonardo #Airbus #armes #armements #industrie_de_l'armement #cynisme #Horizon_Europe #Horizon_2020 #marché #business #European_Security_Fencing #barbelés #fils_barbelés #recherche #programmes_de_recherche #Fonds_européen_de_défense #accords #externalisation #externalisation_des_contrôles_frontaliers #Égypte #Libye #Tunisie #Maroc #Jordanie #Liban #Ukraine #rétention #détention_administrative #expérimentation #équipements #connaissance #transfert #coopérations #formations #renseignements #répression

    ping @isskein @karine4 @_kg_

    • Le système électronique d’#Entrée-Sortie en zone #Schengen : la biométrie au service des #frontières_intelligentes

      Avec la pression migratoire et la vague d’attentats subis par l’Europe ces derniers mois, la gestion des frontières devient une priorité pour la Commission.

      Certes, le système d’information sur les #visas (#VIS, #Visa_Information_System) est déployé depuis 2015 dans les consulats des États Membres et sa consultation rendue obligatoire lors de l’accès dans l’#espace_Schengen.

      Mais, depuis février 2013, est apparu le concept de « #frontières_intelligentes », (#Smart_Borders), qui recouvre un panel ambitieux de mesures législatives élaborées en concertation avec le Parlement Européen.

      Le système entrée/sortie, en particulier, va permettre, avec un système informatique unifié, d’enregistrer les données relatives aux #entrées et aux #sorties des ressortissants de pays tiers en court séjour franchissant les frontières extérieures de l’Union européenne.

      Adopté puis signé le 30 Novembre 2017 par le Conseil Européen, il sera mis en application en 2022. Il s’ajoutera au « PNR européen » qui, depuis le 25 mai 2018, recense les informations sur les passagers aériens.

      Partant du principe que la majorité des visiteurs sont « de bonne foi », #EES bouleverse les fondements mêmes du #Code_Schengen avec le double objectif de :

      - rendre les frontières intelligentes, c’est-à-dire automatiser le contrôle des visiteurs fiables tout en renforçant la lutte contre les migrations irrégulières
      - créer un #registre_central des mouvements transfrontaliers.

      La modernisation de la gestion des frontières extérieures est en marche. En améliorant la qualité et l’efficacité des contrôles de l’espace Schengen, EES, avec une base de données commune, doit contribuer à renforcer la sécurité intérieure et la lutte contre le terrorisme ainsi que les formes graves de criminalité.

      L’#identification de façon systématique des personnes qui dépassent la durée de séjour autorisée dans l’espace Schengen en est un des enjeux majeurs.

      Nous verrons pourquoi la reconnaissance faciale en particulier, est la grande gagnante du programme EES. Et plus seulement dans les aéroports comme c’est le cas aujourd’hui.

      Dans ce dossier web, nous traiterons des 6 sujets suivants :

      - ESS : un puissant dispositif de prévention et détection
      - La remise en cause du code « frontières Schengen » de 2006
      - EES : un accès très réglementé
      - La biométrie faciale : fer de lance de l’EES
      - EES et la lutte contre la fraude à l’identité
      - Thales et l’identité : plus de 20 ans d’expertise

      Examinons maintenant ces divers points plus en détail.

      ESS : un puissant dispositif de prévention et détection

      Les activités criminelles telles que la traite d’êtres humains, les filières d’immigration clandestine ou les trafics d’objets sont aujourd’hui la conséquence de franchissements illicites de frontières, largement facilités par l’absence d’enregistrement lors des entrées/ sorties.

      Le scénario de fraude est – hélas – bien rôdé : Contrôle « standard » lors de l’accès à l’espace Schengen, puis destruction des documents d’identité dans la perspective d’activités malveillantes, sachant l’impossibilité d’être authentifié.

      Même si EES vise le visiteur « de bonne foi », le système va constituer à terme un puissant dispositif pour la prévention et la détection d’activités terroristes ou autres infractions pénales graves. En effet les informations stockées dans le nouveau registre pour 5 ans– y compris concernant les personnes refoulées aux frontières – couvrent principalement les noms, numéros de passeport, empreintes digitales et photos. Elles seront accessibles aux autorités frontalières et de délivrance des visas, ainsi qu’à Europol.

      Le système sera à la disposition d’enquêtes en particulier, vu la possibilité de consulter les mouvements transfrontières et historiques de déplacements. Tout cela dans le plus strict respect de la dignité humaine et de l’intégrité des personnes.

      Le dispositif est très clair sur ce point : aucune discrimination fondée sur le sexe, la couleur, les origines ethniques ou sociales, les caractéristiques génétiques, la langue, la religion ou les convictions, les opinions politiques ou toute autre opinion.

      Sont également exclus du champ d’investigation l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance, un handicap, l’âge ou l’orientation sexuelle des visiteurs.​

      La remise en cause du Code frontières Schengen

      Vu la croissance attendue des visiteurs de pays tiers (887 millions en 2025), l’enjeu est maintenant de fluidifier et simplifier les contrôles.

      Une initiative particulièrement ambitieuse dans la mesure où elle remet en cause le fameux Code Schengen qui impose des vérifications approfondies, conduites manuellement par les autorités des Etats Membres aux entrées et sorties, sans possibilité d’automatisation.

      Par ailleurs, le Code Schengen ne prévoit aucun enregistrement des mouvements transfrontaliers. La procédure actuelle exigeant seulement que les passeports soient tamponnés avec mention des dates d’entrée et sortie.

      Seule possibilité pour les gardes-frontières : Calculer un éventuel dépassement de la durée de séjour qui elle-même est une information falsifiable et non consignée dans une base de données.

      Autre contrainte, les visiteurs réguliers comme les frontaliers doivent remplacer leurs passeports tous les 2-3 mois, vue la multitude de tampons ! Un procédé bien archaïque si l’on considère le potentiel des technologies de l’information.

      La proposition de 2013 comprenait donc trois piliers :

      - ​La création d’un système automatisé d’entrée/sortie (Entry/ Exit System ou EES)
      - Un programme d’enregistrement de voyageurs fiables, (RTP, Registered Traveller Program) pour simplifier le passage des visiteurs réguliers, titulaires d’un contrôle de sûreté préalable
      – La modification du Code Schengen

      Abandon de l’initiative RTP

      Trop complexe à mettre en œuvre au niveau des 28 Etats Membres, l’initiative RTP (Registered Travelers Program) a été finalement abandonnée au profit d’un ambitieux programme Entry/ Exit (EES) destiné aux visiteurs de courte durée (moins de 90 jours sur 180 jours).

      Précision importante, sont maintenant concernés les voyageurs non soumis à l’obligation de visa, sachant que les détenteurs de visas sont déjà répertoriés par le VIS.

      La note est beaucoup moins salée que prévue par la Commission en 2013. Au lieu du milliard estimé, mais qui incluait un RTP, la proposition révisée d’un EES unique ne coutera « que » 480 millions d’EUR.

      Cette initiative ambitieuse fait suite à une étude technique menée en 2014, puis une phase de prototypage conduite sous l’égide de l’agence EU-LISA en 2015 avec pour résultat le retrait du projet RTP et un focus particulier sur le programme EES.

      Une architecture centralisée gérée par EU-LISA

      L’acteur clé du dispositif EES, c’est EU-LISA, l’Agence européenne pour la gestion opérationnelle des systèmes d’information à grande échelle dont le siège est à Tallinn, le site opérationnel à Strasbourg et le site de secours à Sankt Johann im Pongau (Autriche). L’Agence sera en charge des 4 aspects suivants :

      - Développement du système central
      - Mise en œuvre d’une interface uniforme nationale (IUN) dans chaque État Membre
      - Communication sécurisée entre les systèmes centraux EES et VIS
      - Infrastructure de communication entre système central et interfaces uniformes nationales.

      Chaque État Membre sera responsable de l’organisation, la gestion, le fonctionnement et de la maintenance de son infrastructure frontalière vis-à-vis d’EES.

      Une gestion optimisée des frontières

      Grâce au nouveau dispositif, tous les ressortissants des pays tiers seront traités de manière égale, qu’ils soient ou non exemptés de visas.

      Le VIS répertorie déjà les visiteurs soumis à visas. Et l’ambition d’EES c’est de constituer une base pour les autres.

      Les États Membres seront donc en mesure d’identifier tout migrant ou visiteur en situation irrégulière ayant franchi illégalement les frontières et faciliter, le cas échéant, son expulsion.

      Dès l’authentification à une borne en libre–service, le visiteur se verra afficher les informations suivantes, sous supervision d’un garde-frontière :

      - ​Date, heure et point de passage, en remplacement des tampons manuels
      - Notification éventuelle d’un refus d’accès.
      - Durée maximale de séjour autorisé.
      - Dépassement éventuelle de la durée de séjour autorisée
      En ce qui concerne les autorités des Etats Membres, c’est une véritable révolution par rapport à l’extrême indigence du système actuel. On anticipe déjà la possibilité de constituer des statistiques puissantes et mieux gérer l’octroi, ou la suppression de visas, en fonction de mouvements transfrontières, notamment grâce à des informations telles que :

      - ​​​Dépassements des durées de séjour par pays
      - Historique des mouvements frontaliers par pays

      EES : un accès très réglementé

      L’accès à EES est très réglementé. Chaque État Membre doit notifier à EU-LISA les autorités répressives habilitées à consulter les données aux fins de prévention ou détection d’infractions terroristes et autres infractions pénales graves, ou des enquêtes en la matière.

      Europol, qui joue un rôle clé dans la prévention de la criminalité, fera partie des autorités répressives autorisées à accéder au système dans le cadre de sa mission.

      Par contre, les données EES ne pourront pas être communiquées à des pays tiers, une organisation internationale ou une quelconque partie privée établie ou non dans l’Union, ni mises à leur disposition. Bien entendu, dans le cas d’enquêtes visant l’identification d’un ressortissant de pays tiers, la prévention ou la détection d’infractions terroristes, des exceptions pourront être envisagées.​

      Proportionnalité et respect de la vie privée

      Dans un contexte législatif qui considère le respect de la vie privée comme une priorité, le volume de données à caractère personnel enregistré dans EES sera considérablement réduit, soit 26 éléments au lieu des 36 prévus en 2013.

      Il s’agit d’un dispositif négocié auprès du Contrôleur Européen pour la Protection des Données (CEPD) et les autorités nationales en charge d’appliquer la nouvelle réglementation.

      Très schématiquement, les données collectées se limiteront à des informations minimales telles que : nom, prénom, références du document de voyage et visa, biométrie du visage et de 4 empreintes digitales.

      A chaque visite, seront relevés la date, l’heure et le lieu de contrôle frontière. Ces données seront conservées pendant cinq années, et non plus 181 jours comme proposé en 2013.

      Un procédé qui permettra aux gardes-frontières et postes consulaires d’analyser l’historique des déplacements, lors de l’octroi de nouveaux visas.
      ESS : privacy by design

      La proposition de la Commission a été rédigée selon le principe de « respect de la vie privée dès la conception », mieux connue sous le label « Privacy By Design ».

      Sous l’angle du droit, elle est bien proportionnée à la protection des données à caractère personnel en ce que la collecte, le stockage et la durée de conservation des données permettent strictement au système de fonctionner et d’atteindre ses objectifs.

      EES sera un système centralisé avec coopération des Etats Membres ; d’où une architecture et des règles de fonctionnement communes.​

      Vu cette contrainte d’uniformisation des modalités régissant vérifications aux frontières et accès au système, seul le règlement en tant que véhicule juridique pouvait convenir, sans possibilité d’adaptation aux législations nationales.

      Un accès internet sécurisé à un service web hébergé par EU-LISA permettra aux visiteurs des pays tiers de vérifier à tout moment leur durée de séjour autorisée.

      Cette fonctionnalité sera également accessible aux transporteurs, comme les compagnies aériennes, pour vérifier si leurs voyageurs sont bien autorisés à pénétrer dans le territoire de l’UE.

      La biométrie faciale, fer de lance du programme EES

      Véritable remise en question du Code Schengen, EES permettra de relever la biométrie de tous les visiteurs des pays tiers, alors que ceux soumis à visa sont déjà enregistrés dans le VIS.

      Pour les identifiants biométriques, l’ancien système envisageait 10 empreintes digitales. Le nouveau combine quatre empreintes et la reconnaissance faciale.

      La technologie, qui a bénéficié de progrès considérables ces dernières années, s’inscrit en support des traditionnelles empreintes digitales.

      Bien que la Commission ne retienne pas le principe d’enregistrement de visiteurs fiables (RTP), c’est tout comme.

      En effet, quatre empreintes seront encore relevées lors du premier contrôle pour vérifier que le demandeur n’est pas déjà répertorié dans EES ou VIS.

      En l’absence d’un signal, l’autorité frontalière créera un dossier en s’assurant que la photographie du passeport ayant une zone de lecture automatique (« Machine Readable Travel Document ») correspond bien à l’image faciale prise en direct du nouveau visiteur.

      Mais pour les passages suivants, c’est le visage qui l’emporte.

      Souriez, vous êtes en Europe ! Les fastidieux (et falsifiables) tampons sur les passeports seront remplacés par un accès à EES.

      La biométrie est donc le grand gagnant du programme EES. Et plus seulement dans les aéroports comme c’est le cas aujourd’hui.

      Certains terminaux maritimes ou postes frontières terrestres particulièrement fréquentés deviendront les premiers clients de ces fameuses eGates réservées aujourd’hui aux seuls voyageurs aériens.

      Frontex, en tant qu’agence aidant les pays de l’UE et les pays associés à Schengen à gérer leurs frontières extérieures, va aider à harmoniser les contrôles aux frontières à travers l’UE.

      EES et la lutte contre la fraude à l’identité

      Le dispositif EES est complexe et ambitieux dans la mesure où il fluidifie les passages tout en relevant le niveau des contrôles. On anticipe dès aujourd’hui des procédures d’accueil en Europe bien meilleures grâce aux eGates et bornes self-service.

      Sous l’angle de nos politiques migratoires et de la prévention des malveillances, on pourra immédiatement repérer les personnes ne rempliss​​ant pas les conditions d’entrée et accéder aux historiques des déplacements.

      Mais rappelons également qu’EES constituera un puissant outil de lutte contre la fraude à l’identité, notamment au sein de l’espace Schengen, tout visiteur ayant été enregistré lors de son arrivée à la frontière.

      Thales et l’identité : plus de 20 ans d’expertise

      Thales est particulièrement attentif à cette initiative EES qui repose massivement sur la biométrie et le contrôle des documents de voyage.

      En effet, l’identification et l’authentification des personnes sont deux expertises majeures de Thales depuis plus de 20 ans. La société contribue d’ailleurs à plus de 200 programmes gouvernementaux dans 80 pays sur ces sujets.

      La société peut répondre aux objectifs du programme EES en particulier pour :

      - Exploiter les dernières technologies pour l’authentification des documents de voyage, l’identification des voyageurs à l’aide de captures et vérifications biométriques, et l’évaluation des risques avec accès aux listes de contrôle, dans tous les points de contrôle aux frontières.
      - Réduire les coûts par l’automatisation et l’optimisation des processus tout en misant sur de nouvelles technologies pour renforcer la sécurité et offrir davantage de confort aux passagers
      - Valoriser des tâches de gardes-frontières qui superviseront ces dispositifs tout en portant leur attention sur des cas pouvant porter à suspicion.
      - Diminuer les temps d’attente après enregistrement dans la base EES. Un facteur non négligeable pour des frontaliers ou visiteurs réguliers qui consacreront plus de temps à des activités productives !

      Des bornes d’enregistrement libre-service comme des frontières automatiques ou semi-automatiques peuvent être déployées dans les prochaines années avec l’objectif de fluidifier les contrôles et rendre plus accueillant l’accès à l’espace Schengen.

      Ces bornes automatiques et biométriques ont d’ailleurs été installées dans les aéroports parisiens d’Orly et de Charles de Gaulle (Nouveau PARAFE : https://www.thalesgroup.com/fr/europe/france/dis/gouvernement/controle-aux-frontieres).

      La reconnaissance faciale a été mise en place en 2018.

      Les nouveaux sas PARAFE à Roissy – Septembre 2017

      Thales dispose aussi d’une expertise reconnue dans la gestion intégrée des frontières et contribue en particulier à deux grand systèmes de gestion des flux migratoires.

      - Les systèmes d’identification biométrique de Thales sont en particulier au cœur du système américain de gestion des données IDENT (anciennement US-VISIT). Cette base de données biographiques et biométriques contient des informations sur plus de 200 millions de personnes qui sont entrées, ont tenté d’entrer et ont quitté les États-Unis d’Amérique.

      - Thales est le fournisseur depuis l’origine du système biométrique Eurodac (European Dactyloscopy System) qui est le plus important système AFIS multi-juridictionnel au monde, avec ses 32 pays affiliés. Le système Eurodac est une base de données comportant les empreintes digitales des demandeurs d’asile pour chacun des états membres ainsi que des personnes appréhendées à l’occasion d’un franchissement irrégulier d’une frontière.

      Pour déjouer les tentatives de fraude documentaire, Thales a mis au point des équipements sophistiqués permettant de vérifier leur authenticité par comparaison avec les modèles en circulation. Leur validité est aussi vérifiée par connexion à des bases de documents volés ou perdus (SLTD de Interpol). Ou a des watch lists nationales.

      Pour le contrôle des frontières, au-delà de ses SAS et de ses kiosks biométriques, Thales propose toute une gamme de lecteurs de passeports d’équipements et de logiciels d’authentification biométriques, grâce à son portefeuille Cogent, l’un des pionniers du secteur.

      Pour en savoir plus, n’hésitez pas à nous contacter.​

      https://www.thalesgroup.com/fr/europe/france/dis/gouvernement/biometrie/systeme-entree-sortie
      #smart_borders #Thales #overstayers #reconnaissance_faciale #prévention #détection #fraude_à_l'identité #Registered_Traveller_Program (#RTP) #EU-LISA #interface_uniforme_nationale (#IUN) #Contrôleur_Européen_pour_la_Protection_des_Données (#CEPD) #Privacy_By_Design #respect_de_la_vie_privée #empreintes_digitales #biométrie #Frontex #bornes #aéroport #PARAFE #IDENT #US-VISIT #Eurodac #Gemalto

  • [C&F] Zeynep Tufekci et les prisonniers politiques en Égypte
    http://0w0pm.mjt.lu/nl3/utMolmSYPAr8qpFWYhyBEw?m=AMAAAMxZtEAAAABF_u4AAAkTGo0AAAAAtBIAAK4dABjAHgBi6

    [C&F] Zeynep Tufekci et les prisonniers politiques en Égypte

    Bonjour,

    Zeynep Tufekci vient de publier dans le New York Times un long article sur l’intellectuel et blogueur égyptien Alaa Abd el-Fattah qui croupit actuellement dans les prisons de la dictature égyptienne de Abdel Fattah el-Sisi, après avoir été emprisonné sous la dictature de Hosni Moubarak et sous la dictature islamiste des Frères musulmans de Mohamed Morsi. Dans son article, elle s’étonne de l’absence de soutien de la part des pays et des médias qui étaient pourtant si avides de le rencontrer pour parler de la « révolution Facebook » et de l’inviter à s’exprimer. Et cela alors même que la dépendance de l’Égypte aux financements occidentaux offre un levier... à la veille de la future COP sur le climat qui devrait se tenir au Caire à l’automne. Et bien entendu que le cas de cet intellectuel humaniste ne saurait cacher le sort des très nombreux prisonniers politiques dans les geôles du Caire, mais au contraire servir d’exemple frappant.

    Je traduis quelques extraits de son article du New York Times à la fin de ce message.

    Zeynep Tufekci était place Tahrir au Caire en 2011 pour observer et accompagner les activistes du grand mouvement populaire qui a réussi à renverser la dictature de Moubarak. Les descriptions précises qu’elle fait dans son livre Twitter & les gaz lacrymogènes sont fascinantes, comme lorsqu’elle raconte comment Twitter a pu servir à construire un hôpital de campagne pour soigner les blessé·es.

    Mais au delà du reportage, Zeynep était sur place comme sociologue, c’est-à-dire pour tirer des leçons généralisables ou comparables de ce qu’elle pouvait observer. Elle continuera ce travail d’observation engagée en 2013 à Istanbul, et à deux reprises à Hong-Kong. De ce travail de terrain elle va tirer des analyses précises et inspirantes qui constituent le cœur de son livre : Quelle est la place réelle des médias sociaux dans les mouvements de protestation ? Quelles sont les forces et les faiblesses des mouvements connectés ?

    Ses analyses sont tellement anticipatrices que Sandrine Samii écrira dans Le Magazine Littéraire : « Publié en 2017 chez Yale University Press, l’essai n’aborde pas l’évolution hong-kongaise, les marches féministes, ou les mouvements français comme Nuit debout et les gilets jaunes. La pertinence de la grille de lecture qu’il développe pour analyser les grands mouvements connectés actuels en est d’autant plus impressionnante. »

    Le New York Times la décrira comme « La sociologue qui a eu raison avant tout le monde ».

    Twitter et les gaz lacrymogènes. Forces et fragilités de la contestation connectée
    Zeynep Tufekci
    Traduit de l’anglais (États-Unis) par Anne Lemoine
    Collection Société numérique, 4
    Version imprimée -,29 € - ISBN 978-2-915825-95-4 - septembre 2019
    Version epub - 12 € - ISBN 978-2-37662-044-0
    Promotion spéciale suite à cette newsletter

    entre le 4 août et le 8 août 2022
    Le livre de Zeynep Tufekci est à 18 € au lieu de 29 €

    La commande peut être passée :
    – sur le site de C&F éditions (https://cfeditions.com/lacrymo)
    – via votre libraire favori (commande avant le 9 au matin)

    Traduction d’extraits de l’article de Zeynep Tufekci dans le New York Times

    J’aimerais tellement pouvoir demander à Alaa Abd el-Fattah ce qu’il pense de la situation du monde

    Zeynep Tufekci
    2 août 2022
    The New York Times
    https://www.nytimes.com/2022/08/02/opinion/egypt-human-rights-alaa.html

    Début 2011, après les manifestations massives de la Place Tahrir au Caire qui ont mis fin aux trois décennies de la dictature d’Hosni Moubarak, nombre d’activistes qui avaient pris la rue se sont retrouvé fort demandés par les médias. Ils étaient invités dans le « Daily Show » et Hillary Clinton, à l’époque Secrétaire d’État, a visité la place Tahrir en insistant sur le côté extraordinaire d’être « sur le lieu même de la révolution » et d’y rencontrer des activistes.

    Alaa Abd el-Fattah, l’intellectuel et blogueur qui était décrit comme « un synonyme de la révolution égyptienne du 25 janvier » savait déjà que l’attention mondiale s’évanouirait bientôt.

    Il vont très vite nous oublier m’a-t-il dit il y a plus de dix ans.

    Il avait raison, évidemment. Alaa a toujours été réaliste, sans jamais devenir cynique. Il avait 29 ans quand il protestait Place Tahrir, mais il a continué ensuite. Charismatique, drôle et possédant un bon anglais, il a délivré des conférences partout dans le monde, mais il est toujours revenu en Égypte, alors même qu’il risquait la prison pour sa liberté de parole.

    La famille d’Alaa connaît bien les cruautés qui accompagnent la vie sous un régime autoritaire. Sa sœur Mona est née alors que son père, qui allait devenir un juriste spécialiste des droits humains, était prisonnier. Le fils d’Alaa est lui-même né alors que son père était emprisonné. En 2020, son autre sœur Sanaa a été attaquée alors qu’elle attendait pour le visiter en prison et condamnée à un an et demi pour avoir colporté des « fausses nouvelles », une situation qu’Amnesty International décrit comme un procès fabriqué.

    Durant sa brève libération en 2014, Alaa expliquait combien il était heureux de pouvoir changer les couches de son bébé... il fut emprisonné peu de temps après. En 2019 il fut de nouveau libéré, si content de pouvoir passer un peu de temps avec son fils. Mais il fut remis en prison quelques mois plus tard et jugé en 2021, écopant de cinq années de prison pour diffusion de « fausses nouvelles ».

    La manière dont Alaa est traité montre le peu de considération que porte le reste du monde aux acteurs et actrices de la révolution égyptienne. Il est connu internationalement, devenu citoyen britannique en 2021, décrit par Amnesty International comme un prisonnier de conscience injustement emprisonné... tout ça pour rien.

    Ce n’est pas être naïf face à la politique internationale que de voir combien ce comportement est dévastateur. De nombreux pays font des déclarations sur la démocratie et les droits humains, ce qui ne les empêche pas de signer des accords avec des régimes brutaux en raison de leur stratégie d’accès aux ressources essentielles. Mais dans le cas présent, l’Égypte est totalement dépendante de l’aide étrangère et du tourisme pour faire fonctionner son économie... il n’y a donc aucune raison pour qu’elle ne libère pas des prisonniers politiques si les pays démocratiques, qui disposent d’un moyen de pression, le demandent. L’absence de pression sur l’Égypte ne peut en aucun cas être considérée comme de la realpolitique.

    En novembre, l’Égypte va accueillir une conférence internationale sur le changement climatique. Environ 120 chefs d’État et de gouvernement se sont rendus à la dernière conférence en Écosse. Ils pourraient au moins obtenir des progrès avant de venir se montrer et faire comme si de rien n’était.

    En 2011, trois jours après sa naissance de son fils Khaled, Alaa a pu le voir en prison pendant une demi-heure et le tenir dix minutes dans ses bras.

    « En une demi-heure, j’ai changé ,et le monde autour de moi également » écrivit Alaa à propos de cette visite. « Maintenant, je sais pourquoi je suis en prison : il veulent me priver de la joie. Et maintenant, je comprends pourquoi je vais continuer à résister : la prison de détruira jamais mon amour. »

    On a volé toutes ces demi-heures à Alaa. Il est nécessaire que les gens au pouvoir fassent savoir au gouvernement égyptien que le monde n’a pas complètement abandonné celles et ceux qu’il a autrefois tant admiré, ces courageuses jeunes personnes qui se battaient pour un meilleur futur. Le moins que l’on puisse demander pour eux, ce sont de nouvelles demi-heures pour marcher et respirer librement, pour tenir leurs enfants dans les bras et continuer à rêver d’un autre monde.
    Alaa avec Khaled, 2019.

    Bonne lecture,

    Hervé Le Crosnier

    #Zeynep_Tufekci #Alaa_Abd_el-Fattah #Egypte

  • Opinion | I Wish I Could Ask Alaa Abd el-Fattah What He Thinks About the World Now - The New York Times
    https://www.nytimes.com/2022/08/02/opinion/egypt-human-rights-alaa.html

    In early 2011, after huge protests in Cairo’s Tahrir Square ended Hosni Mubarak’s three-decade autocracy, many activists who had taken to the streets found themselves in high demand. They were guests on “The Daily Show.” Hillary Clinton, then the U.S. secretary of state, visited the square, remarking it was “extraordinary” to be “where the revolution happened,” and met with some of the activists.

    Alaa Abd el-Fattah, the Egyptian activist, intellectual and blogger described as “synonymous with Egypt’s 25 Jan. Revolution,” knew the world’s attention would soon move on.

    “They’ll soon forget about us,” he told me more than a decade ago.

    He was right, of course. Alaa was always cleareyed and realistic but somehow never became a cynic. He protested in Tahrir Square in 2011, when he was 29, but afterward, too. Charismatic, fluent in English and funny, he gave well-received talks abroad but always returned to Egypt, even when faced with the prospect of imprisonment for his outspokenness. His writings, some smuggled out of jail, were published this year as a book, “You Have Not Been Defeated.”

    After years of imprisonment under appalling conditions — he reports long periods of being deprived of exercise, sunlight, books and newspapers and any access to the written word — Alaa, a British citizen since 2021, started a hunger strike in April to protest being denied a British consular visit.

    Alaa’s family is well acquainted with the cruelties of life under authoritarianism. Alaa’s sister Mona was born while their father, who later became a human rights lawyer, was in prison. Alaa’s son, Khaled, was born when Alaa was in prison. In 2014, both Alaa and his other sister, Sanaa, then only 20, were in prison and were not allowed to visit their dying father. In 2020, while waiting outside Alaa’s prison, Sanaa was attacked and then charged with disseminating false news and imprisoned for another year and a half — a case Amnesty International condemned as a fabrication.

    Alaa has the dubious honor of having been a political prisoner, or charged, under Hosni Mubarak, the Islamist leader Mohamed Morsi and then Abdel Fattah el-Sisi, the general who is now Egypt’s president. During his brief release in 2014, Alaa kept saying how happy he was to finally get to change his son’s diapers; he was imprisoned again just a few months later. In 2019 he was released, again deliriously happy to spend time with his son.

    But he was put in detention without charges just a few months later. In 2021, when he finally got a trial, he received another five-year sentence for spreading “false news.” Alaa said he hadn’t even been told what he was being charged with before being hauled to court.

    But Alaa’s treatment is an indication of how little care there is left in the world. He’s internationally known, a British citizen, described by Amnesty International as a prisoner of conscience who has been unjustly imprisoned. There have been opinion essays and calls from human rights organizations — to no avail.

    One need not be naïve about international politics to understand why this is so devastating. We know that many countries with stated commitments to democracy and human rights routinely cut deals with terrible regimes because of their strategic goals or for access to resources or cooperation.

    But here, though, countries professing to care about human rights are the ones with leverage, as Egypt depends on foreign aid, trade and tourism to keep its economy going, and there’s no reason it can’t release a few political prisoners and improve prison conditions, even if just for appearance’s sake, since it would pose no threat to the regime.

    That Egypt is not pushed harder to do even this little is a moral stain that cannot be justified by realpolitik.

    In November, Egypt will host a global climate change conference. About 120 world leaders, including President Biden, went to the last one, in Scotland. They could, at least, ask for progress before showing up for this one and acting as if all is fine.

    In 2011, three days after he was born, Alaa’s son, Khaled, was allowed to visit him in prison, for half an hour — 10 minutes of which Alaa held him.

    “In half an hour I changed, and the universe changed around me,” Alaa wrote about the visit. “Now I understand why I’m in prison: They want to deprive me of joy. Now I understand why I will resist: Prison will not stop my love.”

    Alaa then wrote of his dreams for a future with his son: “What about half an hour for him to tell me about school?” he wondered. “Half an hour for him and I to talk about his dreams?”

    Alaa Abd el-Fattah has been robbed of all those half-hours.

    Someone with power has to let the Egyptian government know that while loftier goals may be abandoned, the world hasn’t completely forgotten how it once admired those courageous young people who dared to dream of a better future. The least we owe them is more half-hours, to walk and breathe freely, to hold their children and perchance to keep dreaming of a better world.

    #Zeynep_Tufekci #Egypte #Alaa_Abd_el-Fattah

  • Grano : una guerra globale

    Secondo molti osservatori internazionali, la guerra in corso in Ucraina si esprimerebbe non solo mediante l’uso dell’artiglieria pesante e di milizie ufficiali o clandestine, responsabili di migliaia di morti, stupri e deportazioni. Esisterebbero, infatti, anche altri campi sui quali il conflitto, da tempo, si sarebbe spostato e che ne presuppongono un allargamento a livello globale. Uno di questi ha mandato in fibrillazione gli equilibri mondiali, con effetti diretti sulle economie di numerosi paesi e sulla vita, a volte sulla sopravvivenza, di milioni di persone. Si tratta della cosiddetta “battaglia globale del grano”, i cui effetti sono evidenti, anche in Occidente, con riferimento all’aumento dei prezzi di beni essenziali come il pane, la pasta o la farina, a cui si aggiungono quelli dei carburanti, oli vari, energia elettrica e legno.
    La questione del grano negli Stati Uniti: il pericolo di generare un tifone sociale

    Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del grano tenero, dal 24 febbraio del 2022, ossia dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, al Chicago Mercantile Exchange, uno dei maggiori mercati di riferimento per i contratti cerealicoli mondiali, è passato da 275 euro a tonnellata ai circa 400 euro dell’aprile scorso. Un aumento esponenziale che ha mandato in tensione non solo il sistema produttivo e distributivo globale, ma anche molti governi, legittimamente preoccupati per le conseguenze che tali aumenti potrebbero comportare sulle loro finanze e sulla popolazione. In epoca di globalizzazione, infatti, l’aumento del prezzo del grano tenero negli Stati Uniti potrebbe generare un “tifone sociale”, ad esempio, in Medio Oriente, in Africa, in Asia e anche in Europa. I relativi indici di volatilità, infatti, sono ai massimi storici, rendendo difficili previsioni di sviluppo che si fondano, invece, sulla prevedibilità dei mercati e non sulla loro instabilità. Queste fibrillazioni, peraltro, seguono, in modo pedissequo, le notizie che derivano dal fronte ucraino. Ciò significa che i mercati guardano non solo agli andamenti macroeconomici o agli indici di produzione e stoccaggio, ma anche a quelli derivanti direttamente dal fronte bellico e dalle conseguenze che esso determinerebbe sugli equilibri geopolitici globali.
    I processi inflattivi e la produzione di grano

    Anche secondo la Fao, per via dell’inflazione che ha colpito la produzione di cereali e oli vegetali, l’indice alimentare dei prezzi avrebbe raggiunto il livello più alto dal 1990, ossia dall’anno della sua creazione.

    Le origini della corsa a questo pericoloso rialzo sono molteplici e non tutte direttamente riconducibili, a ben guardare, alla sola crisi di produzione e distribuzione derivante dalla guerra in Ucraina. I mercati non sono strutture lineari, dal pensiero algoritmico neutrale. Al contrario, essi rispondono ad una serie molto ampia di variabili, anche incidentali, alcune delle quali derivano direttamente dalle ambizioni e dalle strategie di profitto di diversi speculatori finanziari. I dati possono chiarire i termini di questa riflessione.

    Il Pianeta, nel corso degli ultimi anni, ha prodotto tra 780 e 800 milioni di tonnellate di grano. Una cifra nettamente superiore rispetto ai 600 milioni di tonnellate prodotte nel 2000. Ciò si deve, in primis, alla crescita demografica mondiale e poi all’entrata di alcuni paesi asiatici e africani nel gotha del capitalismo globale e, conseguentemente, nel sistema produttivistico e consumistico generale. Se questo per un verso ha sollevato gran parte della popolazione di quei paesi dalla fame e dalla miseria, ha nel contempo determinato un impegno produttivo, in alcuni casi monocolturale, che ha avuto conseguenze dirette sul piano ambientale, sociale e politico.
    Il grano e l’Africa

    L’area dell’Africa centrale, ad esempio, ha visto aumentare la produzione agricola in alcuni casi anche del 70%. Eppure, nel contempo, si è registrato un aumento di circa il 30% di malnutrizione nella sua popolazione. Ciò è dovuto ad un’azione produttiva privata, incentivata da fondi finanziari internazionali e governativi, che ha aumentato la produzione senza redistribuzione. Questa produzione d’eccedenza è andata a vantaggio dei fondi speculativi, dell’agrobusiness o è risultata utile per la produzione occidentale, ma non ha sfamato la popolazione locale, in particolare di quella tradizionalmente esposta alla malnutrizione e alla fame. Un esempio emblematico riguarda l’Etiopia e i suoi 5 milioni circa di cittadini malnutriti. Questo paese dipende ormai interamente dagli aiuti alimentari e umanitari. Allo stesso tempo, migliaia di tonnellate di grano e di riso etiope sono esportate ogni anno in Arabia Saudita per via del land grabbing e degli accordi economici e finanziari sottoscritti. In Sudan si registra il medesimo fenomeno. Il locale governo ha infatti ceduto 1,5 milioni di ettari di terra di prima qualità agli Stati del Golfo, all’Egitto e alla Corea del Sud per 99 anni, mentre risulta contemporaneamente il paese al mondo che riceve la maggiore quantità di aiuti alimentari, con 6 milioni di suoi cittadini che dipendono dalla distribuzione di cibo. Basterebbe controllare i piani di volo degli aeroporti di questi paesi per rendersi conto di quanti aerei cargo decollano giornalmente carichi di verdura fresca e rose, con destinazione finale gli alberghi degli Emirati Arabi e i mercati di fiori olandesi. Come ha affermato l’ex direttore dell’ILC (International Land Coalition), Madiodio Niasse: «La mancanza di trasparenza rappresenta un notevole ostacolo all’attuazione di un sistema di controllo e implementazione delle decisioni riguardo alla terra e agli investimenti ad essa inerenti».

    L’Angola ha varato un piano di investimenti così ambizioso da attrarre sei miliardi di dollari esteri nel solo 2013. Prima dello scoppio del conflitto civile, durato trent’anni, questo paese riusciva a nutrire tutti i suoi abitanti ed esportava caffè, banane e zucchero. Oggi, è costretto a comprare all’estero metà del cibo destinato al consumo interno, mentre solo il 10% della sua superficie arabile è utilizzata. Ciò nonostante, ha ritenuto legittimo incentivare l’accaparramento dei propri terreni agricoli da parte di multinazionali dell’agrobusiness e fondi finanziari di investimento. Ragioni analoghe guidano Khartoum a negoziare migliaia di ettari con i paesi del Golfo. Tra il 2004 e il 2009, in soli cinque paesi, Mali, Etiopia, Sudan, Ghana e Madagascar circa due milioni e mezzo di ettari coltivabili sono finiti nel portafoglio finanziario di multinazionali e dei fondi sovrani.
    Non solo Ucraina

    Quanto descritto serve per superare un’ottica monofocale che tende a concentrarsi, per ciò che riguarda il tema della terra e del grano, esclusivamente sull’Ucraina. Nello scacchiere globale della produzione e dell’approvvigionamento rientrano, infatti, numerosi paesi, molti dei quali per anni predati o raggirati mediante accordi capestro e obblighi internazionali che hanno fatto del loro territorio un grande campo coltivato per i bisogni e i consumi occidentali.
    Il ruolo della Russia

    Anche la Russia, in quest’ambito, svolge un ruolo fondamentale. Mosca, infatti, ha deciso di conservare per sé e in parte per i suoi alleati, a fini strategici, la propria produzione cerealicola, contribuendo a generare gravi fibrillazioni sui mercati finanziari di tutto il mondo. Nel 2021, ad esempio, il paese governato da Putin era il primo esportatore di grano a livello mondiale (18%), piazzandosi sopra anche agli Stati Uniti. Questa enorme quantità di grano esportato non risulta vincolata come quello occidentale, ma riconducibile al consumo interno e al bilanciamento dei relativi prezzi per il consumatore russo che in questo modo paga meno il pane o la carne rispetto ad un occidentale. Non è però tutto “rose e fiori”. Sulla Russia incidono due fattori fondamentali. In primis, le sanzioni occidentali che limitano i suoi rapporti commerciali e impediscono a numerose merci e attrezzature di entrare, almeno in modo legale, per chiudere la filiera produttiva e commerciale in modo controllato. Secondo, l’esclusione della Russia dai mercati finanziari comporta gravi conseguenze per il paese con riferimento alla situazione dei pagamenti con una tensione crescente per il sistema finanziario, bancario e del credito. Non a caso recentemente essa è stata dichiarata in default sui circa 100 milioni di dollari di obbligazioni che non è riuscita a pagare. In realtà, il default non avrà un peso straordinario almeno per due ragioni. In primo luogo perché il paese è da molto tempo economicamente, finanziariamente e politicamente emarginato. Secondo poi, il fallimento sarebbe dovuto non alla mancanza di denaro da parte della Russia, ma alla chiusura dei canali di trasferimento da parte dei creditori. A completare il quadro, c’è una strategica limitazione delle esportazioni di grano da parte ancora della Russia nei riguardi dei paesi satelliti, come ad esempio l’Armenia o la Bielorussia. Ciò indica la volontà, da parte di Putin, di rafforzare le scorte per via di un conflitto che si considera di lungo periodo.
    Il grano “bloccato”

    A caratterizzare questa “battaglie globale del grano” ci sono anche altri fattori. Da febbraio 2020, ad esempio, circa 6 milioni di tonnellate di grano ucraino sono bloccati nel porto di Mikolaiv, Odessa e Mariupol. È una quantità di grano enorme che rischia di deperire nonostante lo stato di crisi alimentare in cui versano decine di paesi, soprattutto africani. Sotto questo profilo, i paesi occidentali e vicini all’Ucraina dovrebbero trovare corridoi speciali, militarmente difesi, per consentire l’esportazione del cereale e successivamente la sua trasformazione a tutela della vita di milioni di persone. D’altra parte, sui prezzi intervengo fattori non direttamente riconducibili all’andamento della guerra ma a quelli del mercato. Ad esempio, l’aumento del costo delle derrate cerealicole si deve anche all’aumento esponenziale (20-30%) dei premi assicurativi sulle navi incaricate di trasportarlo, attualmente ferme nei porti ucraini. Su questo aspetto i governi nazionali potrebbero intervenire direttamente, calmierando i premi assicurativi, anche obtorto collo, contribuendo a calmierai i prezzi delle preziose derrate alimentati. Si consideri che molti industriali italiani del grano variamente lavorato stanno cambiando la loro bilancia di riferimento e relativi prezzi, passando ad esempio dal quintale al chilo e aumentando anche del 30-40% il costo per allevatori e trasformatori vari (fornai e catene dell’alimentare italiano).
    Le ricadute di una guerra di lungo periodo

    Una guerra di lungo periodo, come molti analisti internazionali ritengono quella in corso, obbligherà i paesi contendenti e i relativi alleati, a una profonda revisione della produzione di grano. L’Ucraina, ad esempio, avendo a disposizione circa 41,5 milioni di ettari di superficie agricola utile, attualmente in parte occupati dai carri armati russi e da un cannoneggiamento da artiglieria pesante e attività di sabotaggio, vende in genere il 74% della sua produzione cerealicola a livello globale. Non si tratta di una scelta politica occasionale ma strategica e di lungo periodo. L’Ucraina, infatti, ha visto aumentare, nel corso degli ultimi vent’anni, la sua produzione di grano e l’ esportazione. Si consideri che nel 2000, il grano ucraino destinato all’esportazione era il 60% di quello prodotto. La strategia ovviamente non è solo commerciale ma anche politica. Chi dispone del “potere del grano”, infatti, ha una leva fondamentale sulla popolazione dei paesi che importano questo prodotto, sul relativo sistema di trasformazione e commerciale e sull’intera filiera di prodotti derivati, come l’allevamento. Ed è proprio su questa filiera che ora fa leva la Russia, tentando di generare fibrillazioni sui mercati, azioni speculative e tensioni sociali per tentare di allentare il sostegno occidentale o internazionale dato all’Ucraina e la morsa, nel contempo, delle sanzioni.

    Esiste qualche alternativa alla morsa russa su campi agricoli ucraini? Il terreno ucraino seminato a grano e risparmiato dalla devastazione militare russa, soprattutto lungo la linea Sud-Ovest del paese, può forse rappresentare una speranza se messo a coltura e presidiato anche militarmente. Tutto questo però deve fare i conti con altri due problemi: la carenza di carburante e la carenza di manodopera necessaria per concludere la coltivazione, mietitura e commercializzazione del grano. Su questo punto molti paesi, Italia compresa, si sono detti pronti ad intervenire fornendo a Zelensky mezzi, camion, aerei cargo e navi ove vi fosse la possibilità di usare alcuni porti. Nel frattempo, il grano sta crescendo e la paura di vederlo marcire nei magazzini o di non poterlo raccogliere nei campi resta alta. Ovviamente queste sono considerazioni fatte anche dai mercati che restano in fibrillazione. Circa il 70% dei carburanti usati in agricoltura in Ucraina, ad esempio, sono importanti da Russia e Bielorussia. Ciò significa che esiste una dipendenza energetica del paese di Zelensky dalla Russia, che deve essere superata quanto prima mediante l’intervento diretto dei paesi alleati a vantaggio dell’Ucraina. Altrimenti il rischio è di avere parte dei campi di grano ucraini pieni del prezioso cereale, ma i trattori e le mietitrici ferme perché prive di carburante, passando così dal danno globale alla beffa e alla catastrofe mondiale.

    Una catastrofe in realtà già prevista.
    Un uragano di fame

    Le Nazioni Unite, attraverso il suo Segretario generale, Antonio Guterres, già il 14 marzo scorso avevano messo in guardia il mondo contro la minaccia di un “uragano di fame” che avrebbe potuto generare conflitti e rivolte in aree già particolarmente delicate. Tra queste ultime, in particolare, il Sudan, l’Eritrea, lo Yemen, e anche il Medio Oriente.

    Gutierres ha parlato addirittura di circa 1,7 miliardi di persone che possono precipitare dalla sopravvivenza alla fame. Si tratta di circa un quinto della popolazione mondiale, con riferimento in particolare a quarantacinque paesi africani, diciotto dei quali dipendono per oltre il 50% dal grano ucraino e russo. Oltre a questi paesi, ve ne sono altri, la cui tenuta è in tensione da molti anni, che dipendono addirittura per il 100% dai due paesi in guerra. Si tratta, ad esempio, dell’Eritrea, della Mauritania, della Somalia, del Benin e della Tanzania.

    In definitiva, gli effetti di una nuova ondata di fame, che andrebbe a sommarsi alle crisi sociali, politiche, ambientali e terroristiche già in corso da molti anni, potrebbero causare il definitivo crollo di molti paesi con effetti umanitari e politici a catena devastanti.
    Il caso dell’Egitto

    Un paese particolarmente sensibile alla crisi in corso è l’Egitto, che è anche il più grande acquirente di grano al mondo con 12 milioni di tonnellate, di cui 6 acquistate direttamente dal governo di Al Si-si per soddisfare il programma di distribuzione del pane. Si tratta di un programma sociale di contenimento delle potenziali agitazioni, tensioni sociali e politiche, scontri, rivolte e migrazioni per fame che potrebbero indurre il Paese in uno stato di crisi permanente. Sarebbe, a ben osservare, un film già visto. Già con le note “Primavere arabe”, infatti, generate dal crollo della capacità di reperimento del grano nei mercati globali a causa dei mutamenti climatici che investirono direttamente le grandi economie del mondo e in particolare la Cina, Argentina, Russia e Australia, scoppiarono rivolte proprio in Egitto (e in Siria), represse nel sangue. L’Egitto, inoltre, dipende per il 61% dalla Russia e per il 23% dall’Ucraina per ciò che riguarda l’importazione del grano. Dunque, questi due soli paesi fanno insieme l’84% del grano importato dal paese dei faraoni. Nel contempo, l’Egitto fonda la sua bilancia dei pagamenti su un prezzo del prezioso cereale concordato a circa 255 dollari a tonnellata. L’aumento del prezzo sui mercati globali ha già obbligato l’Egitto ad annullare due contratti sottoscritti con la Russia, contribuendo a far salire la tensione della sua popolazione, considerando che i due terzi circa dei 103 milioni di egiziani si nutre in via quasi esclusiva di pane (chiamato aish, ossia “vita”). Secondo le dichiarazioni del governo egiziano, le riserve di grano saranno sufficienti per soddisfare i relativi bisogni per tutta l’estate in corso. Resta però una domanda: che cosa accadrà, considerando che la guerra in Ucraina è destinata ad essere ancora lunga, quando le scorte saranno terminate?

    Anche il Libano e vari altri paesi si trovano nella medesima situazione. Il paese dei cedri dipende per il 51% dal grano dalla Russia e dall’Ucraina. La Turchia di Erdogan, invece, dipende per il 100% dal grano dai due paesi coinvolti nel conflitto. Ovviamente tensioni sociali in Turchia potrebbero non solo essere pericolose per il regime di Erdogan, ma per la sua intera area di influenza, ormai allargatasi alla Libia, Siria, al Medio Oriente, ad alcuni paesi africani e soprattutto all’Europa che ha fatto di essa la porta di accesso “sbarrata” dei profughi in fuga dai loro paesi di origine.
    Anche l’Europa coinvolta nella guerra del grano

    Sono numerosi, dunque, i paesi che stanno cercando nuovi produttori di cereali cui fare riferimento. Tra le aree alle quali molti stanno guardando c’è proprio l’Unione europea che, non a caso, il 21 marzo scorso, ha deciso di derogare temporaneamente a una delle disposizioni della Pac (Politica Agricola Comune) che prevedeva di mettere a riposo il 4% dei terreni agricoli. Ovviamente, questa decisione è in funzione produttivistica e inseribile in uno scacchiere geopolitico mondiale di straordinaria delicatezza. Il problema di questa azione di messa a coltura di terreni che dovevano restare a riposo, mette in luce una delle contraddizioni più gravi della stessa Pac. Per anni, infatti, sono stati messi a riposo, o fatti risultare tali, terreni non coltivabili. In questo modo venivano messi a coltura terreni produttivi e fatti risultare a riposo quelli non produttivi. Ora, la deroga a questa azione non può produrre grandi vantaggi, in ragione del fatto che i terreni coltivabili in deroga restano non coltivabili di fatto e dunque poco o per nulla incideranno sull’aumento di produzione del grano. Se il conflitto ucraino dovesse continuare e l’Europa mancare l’obiettivo di aumentare la propria produzione di grano per calmierare i prezzi interni e nel contempo soddisfare parte della domanda a livello mondiale, si potrebbe decidere di diminuire le proprie esportazioni per aumentare le scorte. Le conseguenze sarebbero, in questo caso, dirette su molti paesi che storicamente acquistano grano europeo. Tra questi, in particolare, il Marocco e l’Algeria. Quest’ultimo paese, ad esempio, consuma ogni anno circa 11 milioni di tonnellate di grano, di cui il 60% importato direttamente dalla Francia. A causa delle tensioni politiche che nel corso degli ultimi tre anni si sono sviluppate tra Algeria e Francia, il paese Nord-africano ha cercato altre fonti di approvvigionamento, individuandole nell’Ucraina e nella Russia. Una scelta poco oculata, peraltro effettuata abbassando gli standard di qualità del grano, inferiori rispetto a quello francese.
    L’India può fare la differenza?

    Un nuovo attore mondiale sta però facendo il suo ingresso in modo prepotente. Si tratta dell’India, un paese che da solo produce il 14% circa del grano mondiale, ossia circa 90 milioni di tonnellate di grano. Questi numeri consentono al subcontinente indiano di piazzarsi al secondo posto come produttore mondiale dopo la Cina, che ne produce invece 130 milioni. L’India del Presidente Modhi ha usato gran parte della sua produzione per il mercato interno, anch’esso particolarmente sensibile alle oscillazione dei prezzi del bene essenziale. Nel contempo, grazie a una produzione che, secondo Nuova Delhi e la Fao, è superiore alle attese, sta pensando di vendere grano a prezzi vantaggiosi sul mercato globale. Sotto questo profilo già alcuni paesi hanno mostrato interesse. Tra questi, ad esempio, Iran, Indonesia, Tunisia e Nigeria. Anche l’Egitto ha iniziato ad acquistare grano dall’India, nonostante non sia di eccellente qualità per via dell’uso intensivo di pesticidi. Il protagonismo dell’India in questa direzione, ha fatto alzare la tensione con gli Stati Uniti. I membri del Congresso statunitense, infatti, hanno più volte sollevato interrogativi e critiche rispetto alle pratiche di sostegno economico, lesive, a loro dire, della libera concorrenza internazionale, che Nuova Delhi riconosce da anni ai suoi agricoltori, tanto da aver chiesto l’avvio di una procedura di infrazione presso l’Organizzazione mondiale per il Commercio (Omc). Insomma, le tensioni determinate dal conflitto in corso si intersecano e toccano aspetti e interessi plurimi, e tutti di straordinaria rilevanza per la tenuta degli equilibri politici e sociali globali.

    https://www.leurispes.it/grano-una-guerra-globale

    #blé #prix #Ukraine #Russie #guerre_en_Ukraine #guerre_globale_du_blé #produits_essentiels #ressources_pédagogiques #Etats-Unis #USA #Inde #instabilité #marché #inflation #céréales #indice_alimentaire #spéculation #globalisation #mondialisation #production #Afrique #production_agricole #malnutrition #excédent #industrie_agro-alimentaire #agrobusiness #faim #famine #Ethiopie #Arabie_Saoudite #land_grabbing #accaparemment_des_terres #Soudan #Egypte #Corée_du_Sud #exportation #aide_alimentaire #Angola #alimentation #multinationales #pays_du_Golfe #Mali #Madagascar #Ghana #fonds_souverains #sanctions #marchés_financiers #ports #Odessa #Mikolaiv #Mariupol #assurance #élevage #sanctions #dépendance_énergétique #énergie #ouragan_de_faim #dépendance #Turquie #Liban #pac #politique_agricole_commune #EU #UE #Europe #France #Maroc #Algérie

  • Déclaration conjointe de la société civile sur la proposition d’un protocole d’accord de l’UE avec la République arabe d’Égypte et l’État d’Israël

    L’Union Européenne (UE) tâche activement de sortir du gaz russe pour cesser de financer l’invasion illégale de l’Ukraine par la Russie. Ceci a abouti à la stratégie RePowerEU et à la prise de contact avec d’anciens et nouveaux fournisseurs de gaz afin d’accroître le flux de gaz venant d’autres pays vers les États membres.
    Parmi une longue liste de fournisseurs potentiels de gaz, l’UE a annoncé son intention de signer un Protocole d’Accord (MoU) avec la République arabe d’Égypte et l’État d’Israël.

    Nous dénonçons résolument l’hypocrisie de l’UE qui passe du soutien d’un régime répressif à un autre. Renoncer à acheter du gaz russe ne devrait jamais conduire à renforcer la violence, l’apartheid et la répression politique ailleurs.
    Nous condamnons avec force la proposition de l’UE d’un Protocole d’Accord avec l’Égypte et Israël.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2022/06/30/declaration-conjointe-de-la-societe-civile-sur

    #international #europe #israel #egypte

  • #Egypte : l’âpre combat de Sanaa Seif pour son frère Alaa Abdel Fattah
    Par Baudouin Loos - Publié le 28/06/2022 - Le Soir
    https://www.lesoir.be/451210/article/2022-06-28/egypte-lapre-combat-de-sanaa-seif-pour-son-frere-alaa-abdel-fattah

    Sanaa Seif est en mission. Avec sa sœur Mona, elle se bat pour la libération de l’aîné de la famille, Alaa Abdel Fattah, 40 ans, en prison en Egypte et qui observe une grève de la faim depuis… 88 jours. Toute la famille est d’ailleurs mobilisée puisque leur mère, Laila, professeur de mathématiques, déploie depuis Le Caire tous les efforts possibles dans le même but.

    Invitée à Bruxelles par Human Rights Watch, Sanaa, monteuse et productrice de films, a déjà payé de sa personne. Au total, à 28 ans à peine, elle a déjà passé environ trois ans en prison. Sa dernière libération a eu lieu en décembre dernier après 18 mois d’incarcération. (...)

  • Femmes et révolution égyptienne – interview de Samaher Alqadi, réalisatrice de « As I Want »

    Samaher Alqadi, réalisatrice palestinienne, assiste au Caire aux violences infligées aux manifestantes de la révolution égyptienne de 2013. Alors qu’une de ses amies subit un viol collectif lors d’une manifestation, elle décide de filmer ses confrontations avec les hommes, et son combat pour les femmes. Elle délivre une lettre d’amour et de courage, à la fois violente et douce. « Si quelque chose a changé pendant la révolution égyptienne, c’est ceci : nous avons commencé à prendre conscience de notre force et de notre pouvoir. »

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2022/05/22/femmes-et-revolution-egyptienne-interview-de-s

    #féminisme #cinema #egypte

  • The Imprisoned Egyptian Activist Who Never Stopped Campaigning for His Country’s Future - The Atlantic
    https://www.theatlantic.com/books/archive/2022/05/egyptian-revolution-alaa-abd-el-fattah-review/629862

    Alaa Abd el-Fattah’s writings reveal where the revolution lost steam, and how to rebuild its momentum.

    #prisonniers_politiques #Égypte #nos_alliés

  • 5 questions à Roland Riachi. Comprendre la #dépendance_alimentaire du #monde_arabe

    Économiste et géographe, Roland Riachi s’est spécialisé dans l’économie politique, et plus particulièrement dans le domaine de l’écologie politique. Dans cet entretien, il décrypte pour nous la crise alimentaire qui touche le monde arabe en la posant comme une crise éminemment politique. Il nous invite à regarder au-delà de l’aspect agricole pour cerner les choix politiques et économiques qui sont à son origine.

    https://www.carep-paris.org/5-questions-a/5-questions-a-roland-riachi
    #agriculture #alimentation #colonialisme #céréales #autosuffisance_alimentaire #nationalisation #néolibéralisme #Egypte #Soudan #Liban #Syrie #exportation #Maghreb #crise #post-colonialisme #souveraineté_nationale #panarabisme #militarisme #paysannerie #subventions #cash_crop #devises #capitalisme #blé #valeur_ajoutée #avocats #mangues #mondialisation #globalisation #néolibéralisme_autoritaire #révolution_verte #ouverture_du_marché #programmes_d'ajustement_structurels #intensification #machinisation #exode_rural #monopole #intrants #industrie_agro-alimentaire #biotechnologie #phosphates #extractivisme #agriculture_intensive #paysans #propriété_foncière #foncier #terres #morcellement_foncier #pauvreté #marginalisation #monoculture #goût #goûts #blé_tendre #pain #couscous #aide_humanitaire #blé_dur #durum #libre-échange #nourriture #diète_néolibérale #diète_méditerranéenne #bléification #importation #santé_publique #diabète #obésité #surpoids #accaparement_des_terres #eau #MENA #FMI #banque_mondiale #projets_hydrauliques #crise_alimentaire #foreign_direct_investment #emploi #Russie #Ukraine #sécurité_alimentaire #souveraineté_alimentaire

    #ressources_pédagogiques

    ping @odilon

  • À l’épreuve des #murs. Sécurisation et pratiques politiques dans le centre-ville du #Caire postrévolutionnaire (2014-2015)

    La révolution égyptienne de 2011 s’est caractérisée par une lutte pour l’appropriation de l’#espace_public. Elle a été analysée comme une démocratie en actes où les révolutionnaires se sont réappropriés par leurs pratiques et leurs stratégies un espace trop longtemps sécurisé par le gouvernement de Moubarak. Cet article vise à étudier en contre-point les stratégies territoriales de l’État pour le contrôle des espaces publics depuis 2011 et en particulier depuis 2013 avec le renforcement de la #répression envers les #Frères_musulmans et l’arrivée au pouvoir des militaires. Ces stratégies sont mises en évidence dans le cas du #centre-ville, épicentre de la #révolution mais aussi de la représentation et de l’exercice du pouvoir politique. Elles se caractérisent par des pratiques de #cantonnement des #manifestations et par l’instauration de #barrières et de #checkpoints dans le centre-ville du Caire, constituant un véritable dispositif territorialisé et planifié de contrôle des rassemblements publics et des revendications politiques. Cet article vise donc également à analyser les conséquences de ce #contrôle sur les pratiques politiques des opposants au régime à l’échelle locale du centre-ville du Caire à travers la restitution d’observations et d’entretiens menés entre 2014 et 2015.


    https://journals.openedition.org/ema/3705#quotation

    #murs_intra-urbains #Egypte #Le_Caire #urban_matter #villes

  • Food crisis looms as Ukrainian wheat shipments grind to halt
    Prices soar as Black Sea ports at virtual standstill amid Russian assault.

    At this time of year, Kees Huizinga is normally busy planting wheat, barley and corn on his farm in central Ukraine. But, having lost workers to the frontline, the Dutch national left his grain silos to sound the alarm about the impact of the Russian invasion on global wheat supply.

    Russia and Ukraine supply almost a third of the world’s wheat exports and since the Russian assault on its neighbour, ports on the Black Sea have come to a virtual standstill. As a result, wheat prices have soared to record highs, overtaking levels seen during the food crisis of 2007-08.

    “If farmers in Ukraine don’t start planting any time soon there will be huge crisis to food security. If Ukraine’s food production falls in the coming season the wheat price could double or triple,” said the Dutch national, who has been farming for two decades in Cherkasy, 200km south of Kyiv. He is part of a farming union, whose 1,100 members cover just under 10 per cent of the country’s farmland.

    While well stored wheat, such as that on Huizinga’s farm, can last several months, agricultural experts and policymakers have warned of the impact of delayed shipments on countries reliant on the region for wheat, grain, sunflower oil and barley.

    “They’re going to have to find different suppliers and all that means higher prices,” said Joseph Glauber, the former chief economist at the US Department of Agriculture and a senior fellow at agricultural policy think-tank IFPRI.

    The surge in prices will fuel soaring food inflation — already at a seven-year high of 7.8 per cent in January — and the biggest impact will be on the food security of poorer grain importers, warned analysts and food aid organisations.

    Ukraine accounts for 90 per cent of Lebanon’s wheat imports and is a leading supplier for countries including Somalia, Syria and Libya. Lebanon is “really struggling with an already high import bill and this is only going to make things worse,” said James Swanston, emerging market economist at Capital Economics.

    Russia also provides its Black Sea neighbour Turkey with more than 70 per cent of its wheat imports, according to the International Trade Centre. Even before the Russian invasion of Ukraine, inflation in Turkey had had hit a 20-year high of 54.4 per cent in February. “The war is only going to exacerbate the cost of food,” said Ismail Kemaloglu, the former head of the state Turkish Grain Board and now the director of the consultancy IK Tarimussu.

    “What’s critical here is that the Black Sea offers a logistical and price advantage . . . Costs will rise significantly when [Turkey] buys from the US or Australia,” he said. “Even if the war ends tomorrow, Ukraine’s planting season has already been disrupted and it will impact the 2022 harvest regardless.”

    The UN World Food Programme, which procures grains and food to distribute to poorer countries, bought just under 1.4m tonnes of wheat last year of which 70 per cent came from Ukraine and Russia.

    Prior to the invasion it was already facing a 30 per cent increase in the cost of wheat, because of poor harvests in Canada, the US and Argentina. The latest surge in grain prices would further curtail its ability to provide aid, it said.
    “This is an unnecessary shock of mega proportions,” said Arif Husain, chief economist at the WFP.

    High prices could trigger unrest, analysts said.

    The last time wheat prices spiked to these levels in 2007 and 2008 because of severe production declines in leading producing countries such as Australia and Russia, protests spread through nearly 40 countries from Haiti to the Ivory Coast, while a jump in grain prices in 2009-10 is regarded as one of the triggers of the Arab Spring uprisings in the Middle East.

    Russia accounts for two-thirds of Egypt’s wheat imports. Egyptian authorities say their wheat inventories will last until mid June and the Egyptian local harvest should start coming in by mid April. Any rise in subsidised bread prices and further increase in food inflation in Egypt “increases the threat of social unrest,” said Swanston.

    It is also unclear how long the crisis will last, said analysts, a fact that is boosting prices. “The market is worried that this is not a problem that’s going to be solved any time soon,” said Tim Worledge at Agricensus, the agricultural data and pricing agency.

    Wheat inventories are tight everywhere and as Chinese and South Korean buyers of Ukrainian corn, used to feed livestock, sought sellers elsewhere, EU agricultural ministers on Wednesday discussed allowing farmers to boost production using the 10 per cent of land they usually leave fallow in response to the war in Ukraine.

    In the short term, Ukrainian farmers contending with a war may struggle to spread fertilisers and pesticides and plant seeds for the spring crop. The next crop is due in the European summer. That harvest will depend on how long the Russian invasion lasts and for how long exports via the ports will be blocked.

    Sitting in his friend’s house in Siret close to the Romania-Ukraine border, Huizinga said the main question raised during a call with 75 fellow Ukrainian farmers was whether to plant or not to plant. They may struggle to get fertiliser and crop protection and it is unclear whether they could actually harvest and ship the crop. “The supply chain is broken,” he said.

    Some of the 400 staff on his 15,000 hectare farm have gone to fight and Huizinga has posted videos on social media of fellow farmers in the bomb shelters and villagers slaughtering pigs to deliver food to those in Kyiv and in the army. The difficulty, he said, could soon extend way beyond Ukraine. “We can face a huge problem, especially the poor people, who will have difficulty getting bread.”

    https://www.ft.com/content/457ba29e-f29b-4677-b69e-a6e5b973cad6

    #crise_alimentaire #blé #Ukraine #guerre #prix #Russie #Liban #Somalie #Syrie #Libye #Turquie #impact #Mer_Noire #mondialisation #globalisation #Egypte #inflation #pain

  • Egypt Papers : le gouvernement étouffe le débat démocratique
    https://disclose.ngo/fr/article/egypt-papers-gouvernement-etouffe-debat-democratique

    Depuis les révélations de Disclose sur les dérives de l’opération Sirli, en Egypte, le gouvernement refuse de rendre des comptes. Retour sur une stratégie de paralysie du débat démocratique, au nom du secret de la défense nationale. Lire l’article

  • Arnabeet B’bashamel (gratin de #Chou-fleur)
    https://www.cuisine-libre.org/arnabeet-b-bashamel-gratin-de-chou-fleur

    Gratin de chou-fleur et #Viande_hachée à la béchamel. Porter 3 tasses d’eau à ébullition dans une casserole, ajouter le cumin et le chou-fleur et faire bouillir pendant 2 minutes, jusqu’à ce que le chou-fleur soit tendre. Égoutter et réserver. Faire revenir la viande hachée, l’oignon, le sel, le poivre et le piment jusqu’à ce que la viande soit dorée. Ajouter la sauce tomate et cuire à feu doux pendant 10 minutes. Mettre de côté. Pour préparer la sauce béchamel, faites fondre le beurre dans une casserole de… Chou-fleur, #Gratins, #Égypte, Viande hachée

  • Assaisonnement dukkah
    https://www.cuisine-libre.org/assaisonnement-dukkah

    Faire griller les noisettes dans une poêle sèche sans les faire brûler. Faire griller le sésame sans le faire brûler. Faire griller les graines de #Tournesol, de coriandre, de #Cumin. Retirer du feu quand on sent le parfum des épices. Hacher grossièrement les noisettes au couteau. Piler au mortier le sésame, les graines de tournesol, de coriandre et de cumin, avec le sel et le poivre. Attention : concasser, ne pas écraser. Mélanger les graines et les noisettes avec le… Tournesol, Cumin, Coriandre (en graines), #Mélanges_d'épices, #Noisette_décortiquée, #Graines_de sésame, #Égypte / #Végétarien, #Sans viande, #Sans œuf, #Sans lactose, Végétalien (vegan), Sans (...)

    #Coriandre_en graines_ #Végétalien_vegan_ #Sans gluten

  • Starkdeutsch - Matthias Koeppel liest das Gedicht vom Nilkrokodil
    https://www.youtube.com/watch?v=prwTYGQ23FE

    Le peintre et poète Matthias Koeppel a inventé pour ses amis buveurs de bière une parodie de la langue allemande appellée #Starkdeutsch ou #Starckdeutsch

    Dans cette vidéo il récite le poème sur l’histoire abominable du crocodile du Nil. Ce poème est le produit d’une croisière sur le Nil en 2010 ce qui explique pourquoi il se termine par un appel aux crocodiles de compter sur la destitution du dictateur Moubarak qui finira dans leurs ventres comme les touristes coupables du délit de profanation de sépulture dans la vallée des Rois.

    La transcription est un test pour le traducteur automatique dont les connaissances en Starckdeutsch sont évidemment limitées.

    Matthias Koeppel: Nun zum Abschluß das aktuelle Gedicht, das du im Internet entdeckt hast, das über das Nilkrokodil. das ich schon angekündigt habe. Wie gesagt haben wir eine Kreuzfahrt gemacht, und die Enttäuschung, daß im Nil keine Krokodile mehr schwimmen, war doch für mich sehr beträchtlich. Gleichzeitig haben wir das volle touristische Programm mitgemacht, im Tal der Köige, was ja im Grunde ein Großfriedhof der Pharaonen ist, wo die TUI-Neckermann-Touristen die Grabesruhe mißachten und da gewaltig zugange sind. Dieses alles als Empfehlung an die Nilkrokodile, doch mal Ordnung zu schaffen, und da ist folgendes Gedicht entstanden.

    Das Nilkrokodil, im Starckdeutschen

    Intraduisible

    Das Nionulkriaukidul

    Nionulkriaukidul
    deine Heumat war der Nul
    und die hat man Dür genommen
    Krautsfahtschöffe sind gekummen
    Wu bist Du jetzt hingeschwummen ?

    Kömmt zurück Ihr Kraukidulen
    könnt Euch die Turasten hulen.
    Krauchut narlz in die Karbulen
    wo se zwischenzeitlich wuhnen
    schnaubt se Euch und schlockt se rontur
    und dann daucht Ihr wieder ontur

    Harbt Ihr denn nix mehr zu frassen
    mösst Ihr kurz den Nul verlassen
    kraucht ins Tal der Keunigen
    krauch holt in die steunigen
    Sarkuphargen Katakumben
    frasst die korzbehusten Tumben

    Grabbesruhes Auchtenden
    und erschrucken flauchtenden
    TUI Nakurman Turasten
    Darnach mösst Ihr erstmal fasten
    Und Ihr wartet noch den Dag
    dann kümmt auch der Mubarak.

    Pour les buveurs pratiquants Matthias Koeppel propose une boisson particulière pour chaque mois. Le but du jeux linguistique est d’identifier les noms des mois et boissons.

    Starckdeutsch - »Die zwölf Monate« 
    https://www.youtube.com/watch?v=Ml7bi0qQiLw

    #auf_deutsch #poésie #lol #Égypte