• Grano : una guerra globale

    Secondo molti osservatori internazionali, la guerra in corso in Ucraina si esprimerebbe non solo mediante l’uso dell’artiglieria pesante e di milizie ufficiali o clandestine, responsabili di migliaia di morti, stupri e deportazioni. Esisterebbero, infatti, anche altri campi sui quali il conflitto, da tempo, si sarebbe spostato e che ne presuppongono un allargamento a livello globale. Uno di questi ha mandato in fibrillazione gli equilibri mondiali, con effetti diretti sulle economie di numerosi paesi e sulla vita, a volte sulla sopravvivenza, di milioni di persone. Si tratta della cosiddetta “battaglia globale del grano”, i cui effetti sono evidenti, anche in Occidente, con riferimento all’aumento dei prezzi di beni essenziali come il pane, la pasta o la farina, a cui si aggiungono quelli dei carburanti, oli vari, energia elettrica e legno.
    La questione del grano negli Stati Uniti: il pericolo di generare un tifone sociale

    Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del grano tenero, dal 24 febbraio del 2022, ossia dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, al Chicago Mercantile Exchange, uno dei maggiori mercati di riferimento per i contratti cerealicoli mondiali, è passato da 275 euro a tonnellata ai circa 400 euro dell’aprile scorso. Un aumento esponenziale che ha mandato in tensione non solo il sistema produttivo e distributivo globale, ma anche molti governi, legittimamente preoccupati per le conseguenze che tali aumenti potrebbero comportare sulle loro finanze e sulla popolazione. In epoca di globalizzazione, infatti, l’aumento del prezzo del grano tenero negli Stati Uniti potrebbe generare un “tifone sociale”, ad esempio, in Medio Oriente, in Africa, in Asia e anche in Europa. I relativi indici di volatilità, infatti, sono ai massimi storici, rendendo difficili previsioni di sviluppo che si fondano, invece, sulla prevedibilità dei mercati e non sulla loro instabilità. Queste fibrillazioni, peraltro, seguono, in modo pedissequo, le notizie che derivano dal fronte ucraino. Ciò significa che i mercati guardano non solo agli andamenti macroeconomici o agli indici di produzione e stoccaggio, ma anche a quelli derivanti direttamente dal fronte bellico e dalle conseguenze che esso determinerebbe sugli equilibri geopolitici globali.
    I processi inflattivi e la produzione di grano

    Anche secondo la Fao, per via dell’inflazione che ha colpito la produzione di cereali e oli vegetali, l’indice alimentare dei prezzi avrebbe raggiunto il livello più alto dal 1990, ossia dall’anno della sua creazione.

    Le origini della corsa a questo pericoloso rialzo sono molteplici e non tutte direttamente riconducibili, a ben guardare, alla sola crisi di produzione e distribuzione derivante dalla guerra in Ucraina. I mercati non sono strutture lineari, dal pensiero algoritmico neutrale. Al contrario, essi rispondono ad una serie molto ampia di variabili, anche incidentali, alcune delle quali derivano direttamente dalle ambizioni e dalle strategie di profitto di diversi speculatori finanziari. I dati possono chiarire i termini di questa riflessione.

    Il Pianeta, nel corso degli ultimi anni, ha prodotto tra 780 e 800 milioni di tonnellate di grano. Una cifra nettamente superiore rispetto ai 600 milioni di tonnellate prodotte nel 2000. Ciò si deve, in primis, alla crescita demografica mondiale e poi all’entrata di alcuni paesi asiatici e africani nel gotha del capitalismo globale e, conseguentemente, nel sistema produttivistico e consumistico generale. Se questo per un verso ha sollevato gran parte della popolazione di quei paesi dalla fame e dalla miseria, ha nel contempo determinato un impegno produttivo, in alcuni casi monocolturale, che ha avuto conseguenze dirette sul piano ambientale, sociale e politico.
    Il grano e l’Africa

    L’area dell’Africa centrale, ad esempio, ha visto aumentare la produzione agricola in alcuni casi anche del 70%. Eppure, nel contempo, si è registrato un aumento di circa il 30% di malnutrizione nella sua popolazione. Ciò è dovuto ad un’azione produttiva privata, incentivata da fondi finanziari internazionali e governativi, che ha aumentato la produzione senza redistribuzione. Questa produzione d’eccedenza è andata a vantaggio dei fondi speculativi, dell’agrobusiness o è risultata utile per la produzione occidentale, ma non ha sfamato la popolazione locale, in particolare di quella tradizionalmente esposta alla malnutrizione e alla fame. Un esempio emblematico riguarda l’Etiopia e i suoi 5 milioni circa di cittadini malnutriti. Questo paese dipende ormai interamente dagli aiuti alimentari e umanitari. Allo stesso tempo, migliaia di tonnellate di grano e di riso etiope sono esportate ogni anno in Arabia Saudita per via del land grabbing e degli accordi economici e finanziari sottoscritti. In Sudan si registra il medesimo fenomeno. Il locale governo ha infatti ceduto 1,5 milioni di ettari di terra di prima qualità agli Stati del Golfo, all’Egitto e alla Corea del Sud per 99 anni, mentre risulta contemporaneamente il paese al mondo che riceve la maggiore quantità di aiuti alimentari, con 6 milioni di suoi cittadini che dipendono dalla distribuzione di cibo. Basterebbe controllare i piani di volo degli aeroporti di questi paesi per rendersi conto di quanti aerei cargo decollano giornalmente carichi di verdura fresca e rose, con destinazione finale gli alberghi degli Emirati Arabi e i mercati di fiori olandesi. Come ha affermato l’ex direttore dell’ILC (International Land Coalition), Madiodio Niasse: «La mancanza di trasparenza rappresenta un notevole ostacolo all’attuazione di un sistema di controllo e implementazione delle decisioni riguardo alla terra e agli investimenti ad essa inerenti».

    L’Angola ha varato un piano di investimenti così ambizioso da attrarre sei miliardi di dollari esteri nel solo 2013. Prima dello scoppio del conflitto civile, durato trent’anni, questo paese riusciva a nutrire tutti i suoi abitanti ed esportava caffè, banane e zucchero. Oggi, è costretto a comprare all’estero metà del cibo destinato al consumo interno, mentre solo il 10% della sua superficie arabile è utilizzata. Ciò nonostante, ha ritenuto legittimo incentivare l’accaparramento dei propri terreni agricoli da parte di multinazionali dell’agrobusiness e fondi finanziari di investimento. Ragioni analoghe guidano Khartoum a negoziare migliaia di ettari con i paesi del Golfo. Tra il 2004 e il 2009, in soli cinque paesi, Mali, Etiopia, Sudan, Ghana e Madagascar circa due milioni e mezzo di ettari coltivabili sono finiti nel portafoglio finanziario di multinazionali e dei fondi sovrani.
    Non solo Ucraina

    Quanto descritto serve per superare un’ottica monofocale che tende a concentrarsi, per ciò che riguarda il tema della terra e del grano, esclusivamente sull’Ucraina. Nello scacchiere globale della produzione e dell’approvvigionamento rientrano, infatti, numerosi paesi, molti dei quali per anni predati o raggirati mediante accordi capestro e obblighi internazionali che hanno fatto del loro territorio un grande campo coltivato per i bisogni e i consumi occidentali.
    Il ruolo della Russia

    Anche la Russia, in quest’ambito, svolge un ruolo fondamentale. Mosca, infatti, ha deciso di conservare per sé e in parte per i suoi alleati, a fini strategici, la propria produzione cerealicola, contribuendo a generare gravi fibrillazioni sui mercati finanziari di tutto il mondo. Nel 2021, ad esempio, il paese governato da Putin era il primo esportatore di grano a livello mondiale (18%), piazzandosi sopra anche agli Stati Uniti. Questa enorme quantità di grano esportato non risulta vincolata come quello occidentale, ma riconducibile al consumo interno e al bilanciamento dei relativi prezzi per il consumatore russo che in questo modo paga meno il pane o la carne rispetto ad un occidentale. Non è però tutto “rose e fiori”. Sulla Russia incidono due fattori fondamentali. In primis, le sanzioni occidentali che limitano i suoi rapporti commerciali e impediscono a numerose merci e attrezzature di entrare, almeno in modo legale, per chiudere la filiera produttiva e commerciale in modo controllato. Secondo, l’esclusione della Russia dai mercati finanziari comporta gravi conseguenze per il paese con riferimento alla situazione dei pagamenti con una tensione crescente per il sistema finanziario, bancario e del credito. Non a caso recentemente essa è stata dichiarata in default sui circa 100 milioni di dollari di obbligazioni che non è riuscita a pagare. In realtà, il default non avrà un peso straordinario almeno per due ragioni. In primo luogo perché il paese è da molto tempo economicamente, finanziariamente e politicamente emarginato. Secondo poi, il fallimento sarebbe dovuto non alla mancanza di denaro da parte della Russia, ma alla chiusura dei canali di trasferimento da parte dei creditori. A completare il quadro, c’è una strategica limitazione delle esportazioni di grano da parte ancora della Russia nei riguardi dei paesi satelliti, come ad esempio l’Armenia o la Bielorussia. Ciò indica la volontà, da parte di Putin, di rafforzare le scorte per via di un conflitto che si considera di lungo periodo.
    Il grano “bloccato”

    A caratterizzare questa “battaglie globale del grano” ci sono anche altri fattori. Da febbraio 2020, ad esempio, circa 6 milioni di tonnellate di grano ucraino sono bloccati nel porto di Mikolaiv, Odessa e Mariupol. È una quantità di grano enorme che rischia di deperire nonostante lo stato di crisi alimentare in cui versano decine di paesi, soprattutto africani. Sotto questo profilo, i paesi occidentali e vicini all’Ucraina dovrebbero trovare corridoi speciali, militarmente difesi, per consentire l’esportazione del cereale e successivamente la sua trasformazione a tutela della vita di milioni di persone. D’altra parte, sui prezzi intervengo fattori non direttamente riconducibili all’andamento della guerra ma a quelli del mercato. Ad esempio, l’aumento del costo delle derrate cerealicole si deve anche all’aumento esponenziale (20-30%) dei premi assicurativi sulle navi incaricate di trasportarlo, attualmente ferme nei porti ucraini. Su questo aspetto i governi nazionali potrebbero intervenire direttamente, calmierando i premi assicurativi, anche obtorto collo, contribuendo a calmierai i prezzi delle preziose derrate alimentati. Si consideri che molti industriali italiani del grano variamente lavorato stanno cambiando la loro bilancia di riferimento e relativi prezzi, passando ad esempio dal quintale al chilo e aumentando anche del 30-40% il costo per allevatori e trasformatori vari (fornai e catene dell’alimentare italiano).
    Le ricadute di una guerra di lungo periodo

    Una guerra di lungo periodo, come molti analisti internazionali ritengono quella in corso, obbligherà i paesi contendenti e i relativi alleati, a una profonda revisione della produzione di grano. L’Ucraina, ad esempio, avendo a disposizione circa 41,5 milioni di ettari di superficie agricola utile, attualmente in parte occupati dai carri armati russi e da un cannoneggiamento da artiglieria pesante e attività di sabotaggio, vende in genere il 74% della sua produzione cerealicola a livello globale. Non si tratta di una scelta politica occasionale ma strategica e di lungo periodo. L’Ucraina, infatti, ha visto aumentare, nel corso degli ultimi vent’anni, la sua produzione di grano e l’ esportazione. Si consideri che nel 2000, il grano ucraino destinato all’esportazione era il 60% di quello prodotto. La strategia ovviamente non è solo commerciale ma anche politica. Chi dispone del “potere del grano”, infatti, ha una leva fondamentale sulla popolazione dei paesi che importano questo prodotto, sul relativo sistema di trasformazione e commerciale e sull’intera filiera di prodotti derivati, come l’allevamento. Ed è proprio su questa filiera che ora fa leva la Russia, tentando di generare fibrillazioni sui mercati, azioni speculative e tensioni sociali per tentare di allentare il sostegno occidentale o internazionale dato all’Ucraina e la morsa, nel contempo, delle sanzioni.

    Esiste qualche alternativa alla morsa russa su campi agricoli ucraini? Il terreno ucraino seminato a grano e risparmiato dalla devastazione militare russa, soprattutto lungo la linea Sud-Ovest del paese, può forse rappresentare una speranza se messo a coltura e presidiato anche militarmente. Tutto questo però deve fare i conti con altri due problemi: la carenza di carburante e la carenza di manodopera necessaria per concludere la coltivazione, mietitura e commercializzazione del grano. Su questo punto molti paesi, Italia compresa, si sono detti pronti ad intervenire fornendo a Zelensky mezzi, camion, aerei cargo e navi ove vi fosse la possibilità di usare alcuni porti. Nel frattempo, il grano sta crescendo e la paura di vederlo marcire nei magazzini o di non poterlo raccogliere nei campi resta alta. Ovviamente queste sono considerazioni fatte anche dai mercati che restano in fibrillazione. Circa il 70% dei carburanti usati in agricoltura in Ucraina, ad esempio, sono importanti da Russia e Bielorussia. Ciò significa che esiste una dipendenza energetica del paese di Zelensky dalla Russia, che deve essere superata quanto prima mediante l’intervento diretto dei paesi alleati a vantaggio dell’Ucraina. Altrimenti il rischio è di avere parte dei campi di grano ucraini pieni del prezioso cereale, ma i trattori e le mietitrici ferme perché prive di carburante, passando così dal danno globale alla beffa e alla catastrofe mondiale.

    Una catastrofe in realtà già prevista.
    Un uragano di fame

    Le Nazioni Unite, attraverso il suo Segretario generale, Antonio Guterres, già il 14 marzo scorso avevano messo in guardia il mondo contro la minaccia di un “uragano di fame” che avrebbe potuto generare conflitti e rivolte in aree già particolarmente delicate. Tra queste ultime, in particolare, il Sudan, l’Eritrea, lo Yemen, e anche il Medio Oriente.

    Gutierres ha parlato addirittura di circa 1,7 miliardi di persone che possono precipitare dalla sopravvivenza alla fame. Si tratta di circa un quinto della popolazione mondiale, con riferimento in particolare a quarantacinque paesi africani, diciotto dei quali dipendono per oltre il 50% dal grano ucraino e russo. Oltre a questi paesi, ve ne sono altri, la cui tenuta è in tensione da molti anni, che dipendono addirittura per il 100% dai due paesi in guerra. Si tratta, ad esempio, dell’Eritrea, della Mauritania, della Somalia, del Benin e della Tanzania.

    In definitiva, gli effetti di una nuova ondata di fame, che andrebbe a sommarsi alle crisi sociali, politiche, ambientali e terroristiche già in corso da molti anni, potrebbero causare il definitivo crollo di molti paesi con effetti umanitari e politici a catena devastanti.
    Il caso dell’Egitto

    Un paese particolarmente sensibile alla crisi in corso è l’Egitto, che è anche il più grande acquirente di grano al mondo con 12 milioni di tonnellate, di cui 6 acquistate direttamente dal governo di Al Si-si per soddisfare il programma di distribuzione del pane. Si tratta di un programma sociale di contenimento delle potenziali agitazioni, tensioni sociali e politiche, scontri, rivolte e migrazioni per fame che potrebbero indurre il Paese in uno stato di crisi permanente. Sarebbe, a ben osservare, un film già visto. Già con le note “Primavere arabe”, infatti, generate dal crollo della capacità di reperimento del grano nei mercati globali a causa dei mutamenti climatici che investirono direttamente le grandi economie del mondo e in particolare la Cina, Argentina, Russia e Australia, scoppiarono rivolte proprio in Egitto (e in Siria), represse nel sangue. L’Egitto, inoltre, dipende per il 61% dalla Russia e per il 23% dall’Ucraina per ciò che riguarda l’importazione del grano. Dunque, questi due soli paesi fanno insieme l’84% del grano importato dal paese dei faraoni. Nel contempo, l’Egitto fonda la sua bilancia dei pagamenti su un prezzo del prezioso cereale concordato a circa 255 dollari a tonnellata. L’aumento del prezzo sui mercati globali ha già obbligato l’Egitto ad annullare due contratti sottoscritti con la Russia, contribuendo a far salire la tensione della sua popolazione, considerando che i due terzi circa dei 103 milioni di egiziani si nutre in via quasi esclusiva di pane (chiamato aish, ossia “vita”). Secondo le dichiarazioni del governo egiziano, le riserve di grano saranno sufficienti per soddisfare i relativi bisogni per tutta l’estate in corso. Resta però una domanda: che cosa accadrà, considerando che la guerra in Ucraina è destinata ad essere ancora lunga, quando le scorte saranno terminate?

    Anche il Libano e vari altri paesi si trovano nella medesima situazione. Il paese dei cedri dipende per il 51% dal grano dalla Russia e dall’Ucraina. La Turchia di Erdogan, invece, dipende per il 100% dal grano dai due paesi coinvolti nel conflitto. Ovviamente tensioni sociali in Turchia potrebbero non solo essere pericolose per il regime di Erdogan, ma per la sua intera area di influenza, ormai allargatasi alla Libia, Siria, al Medio Oriente, ad alcuni paesi africani e soprattutto all’Europa che ha fatto di essa la porta di accesso “sbarrata” dei profughi in fuga dai loro paesi di origine.
    Anche l’Europa coinvolta nella guerra del grano

    Sono numerosi, dunque, i paesi che stanno cercando nuovi produttori di cereali cui fare riferimento. Tra le aree alle quali molti stanno guardando c’è proprio l’Unione europea che, non a caso, il 21 marzo scorso, ha deciso di derogare temporaneamente a una delle disposizioni della Pac (Politica Agricola Comune) che prevedeva di mettere a riposo il 4% dei terreni agricoli. Ovviamente, questa decisione è in funzione produttivistica e inseribile in uno scacchiere geopolitico mondiale di straordinaria delicatezza. Il problema di questa azione di messa a coltura di terreni che dovevano restare a riposo, mette in luce una delle contraddizioni più gravi della stessa Pac. Per anni, infatti, sono stati messi a riposo, o fatti risultare tali, terreni non coltivabili. In questo modo venivano messi a coltura terreni produttivi e fatti risultare a riposo quelli non produttivi. Ora, la deroga a questa azione non può produrre grandi vantaggi, in ragione del fatto che i terreni coltivabili in deroga restano non coltivabili di fatto e dunque poco o per nulla incideranno sull’aumento di produzione del grano. Se il conflitto ucraino dovesse continuare e l’Europa mancare l’obiettivo di aumentare la propria produzione di grano per calmierare i prezzi interni e nel contempo soddisfare parte della domanda a livello mondiale, si potrebbe decidere di diminuire le proprie esportazioni per aumentare le scorte. Le conseguenze sarebbero, in questo caso, dirette su molti paesi che storicamente acquistano grano europeo. Tra questi, in particolare, il Marocco e l’Algeria. Quest’ultimo paese, ad esempio, consuma ogni anno circa 11 milioni di tonnellate di grano, di cui il 60% importato direttamente dalla Francia. A causa delle tensioni politiche che nel corso degli ultimi tre anni si sono sviluppate tra Algeria e Francia, il paese Nord-africano ha cercato altre fonti di approvvigionamento, individuandole nell’Ucraina e nella Russia. Una scelta poco oculata, peraltro effettuata abbassando gli standard di qualità del grano, inferiori rispetto a quello francese.
    L’India può fare la differenza?

    Un nuovo attore mondiale sta però facendo il suo ingresso in modo prepotente. Si tratta dell’India, un paese che da solo produce il 14% circa del grano mondiale, ossia circa 90 milioni di tonnellate di grano. Questi numeri consentono al subcontinente indiano di piazzarsi al secondo posto come produttore mondiale dopo la Cina, che ne produce invece 130 milioni. L’India del Presidente Modhi ha usato gran parte della sua produzione per il mercato interno, anch’esso particolarmente sensibile alle oscillazione dei prezzi del bene essenziale. Nel contempo, grazie a una produzione che, secondo Nuova Delhi e la Fao, è superiore alle attese, sta pensando di vendere grano a prezzi vantaggiosi sul mercato globale. Sotto questo profilo già alcuni paesi hanno mostrato interesse. Tra questi, ad esempio, Iran, Indonesia, Tunisia e Nigeria. Anche l’Egitto ha iniziato ad acquistare grano dall’India, nonostante non sia di eccellente qualità per via dell’uso intensivo di pesticidi. Il protagonismo dell’India in questa direzione, ha fatto alzare la tensione con gli Stati Uniti. I membri del Congresso statunitense, infatti, hanno più volte sollevato interrogativi e critiche rispetto alle pratiche di sostegno economico, lesive, a loro dire, della libera concorrenza internazionale, che Nuova Delhi riconosce da anni ai suoi agricoltori, tanto da aver chiesto l’avvio di una procedura di infrazione presso l’Organizzazione mondiale per il Commercio (Omc). Insomma, le tensioni determinate dal conflitto in corso si intersecano e toccano aspetti e interessi plurimi, e tutti di straordinaria rilevanza per la tenuta degli equilibri politici e sociali globali.

    https://www.leurispes.it/grano-una-guerra-globale

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  • Une partie du bétail suisse pourra de nouveau être nourri de farines animales RTS - ami
    https://www.rts.ch/info/suisse/13135293-une-partie-du-betail-suisse-pourra-de-nouveau-etre-nourri-de-farines-an

    Le Conseil des Etats a suivi lundi le Conseil national en décidant tacitement d’autoriser les farines animales pour nourrir les volailles et les porcs. Ces aliments avaient été bannis à la suite du scandale sanitaire de la vache folle au tournant du millénaire.

    L’idée n’avait déjà pas fait de vagues au Conseil national l’automne dernier. Les motions acceptées émanent du camp UDC et socialiste et relevaient que les farines animales sont à nouveau autorisées au sein de l’Union européenne.


    Les farines animales sont à nouveau autorisées dans l’agriculture et l’élevage / 19h30 / 2 min. / hier à 19:30

    L’interdiction de nourrir les animaux de rente par des protéines animales est un héritage de la crise de la « vache folle » (1986-2001), ou encéphalopathie spongiforme bovine (ESB), dont le variant Creutzfeldt-Jakob, pouvait se transmettre à l’homme. En 2001, le Conseil fédéral avait interdit les farines animales pour toutes les bêtes.

    Bovins pas concernés
    Interrogé dans Forum peu avant la décision du Conseil des Etats, Loïc Bardet, le directeur d’AGORA, l’organisation faîtière de l’agriculture romande, a expliqué que la situation actuelle a évolué depuis la crise de la « vache folle ». A ce moment-là, des bovins avaient été nourris avec des sous-produits carnés issus de leur propre espèce.

    « Ce qui est actuellement débattu au Parlement est limité aux omnivores qui sont monogastriques, les porcs et la volaille », a-t-il indiqué. « Et, surtout, on ne veut pas qu’il y ait de la nourriture interne à l’espèce. L’idée c’est de valoriser de la protéine animale, par exemple des porcs pour nourrir la volaille », a-t-il souligné. Les boeufs ne sont pas concernés par le projet, en raison du risque lié à la « vache folle ».

    Selon Loïc Bardet, l’utilisation de ces farines permettra aussi de se passer d’importations de nourriture de l’étranger, comme du soja ou des compléments alimentaires.

    « Un petit plus »
    « C’est un petit plus, mais ce n’est certainement pas déterminant pour l’ensemble de l’affouragement des porcs en Suisse », tempère dans le 19h30 Pascal Rufer, le responsable de la production animale de Prométerre, l’association vaudoise de promotion des métiers de la terre. « Les 20’000 tonnes de potentiel de ces protéines animales transformées représenteraient moins de 3% », estime-t-il.

    Également interrogé dans le 19h30, l’agriculteur vaudois Jean-Daniel Roulin est sceptique : « On a pu s’en passer pendant plus de vingt ans. Je ne vois pas pourquoi on reprendrait le risque de remettre ça dans les rations. »

    #prions #farines animales #vache_folle #encéphalopathie_spongiforme bovine #ESB #Creutzfeldt-Jakob #agriculture #élevage #alimentation #quelle_agriculture_pour_demain_ #vaches #viande #agro-industrie #Suisse #ue #union_européenne

  • Quand l’industrie rachète la terre
    Par Lucile Leclair

    https://aoc.media/opinion/2022/05/11/quand-lindustrie-rachete-la-terre

    Les #terres_agricoles recouvrent la moitié du territoire français. Ressources convoitées depuis toujours, elles font l’objet de luttes entre agriculteurs, mais pas seulement : elles sont aujourd’hui menacées par des #industries désireuses de maîtriser les matières agricoles. Avançant à bas bruit, elles posent une nouvelle question pour la campagne : assiste-t-on à un #accaparement qu’on croyait réservé aux pays de l’hémisphère Sud ?

    Depuis le début de la guerre opposant deux gros producteurs de céréales, les cours de l’huile, colza, blé ou maïs ont atteint des taux record. Des droits exceptionnels pourraient être accordés aux agriculteurs français, pour leur permettre d’utiliser les terres obligatoirement au repos. « La Commission va proposer d’adopter une suspension (des règles), afin qu’on puisse utiliser ces #terres pour la production protéinique, car il y a évidemment un manque de nourriture pour les #élevages » a indiqué à l’AFP le commissaire européen à l’agriculture Janusz Wojciechowski.
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    Il faut se représenter la terre comme le réservoir alimentaire du pays. Lorsque les incertitudes politiques se multiplient, le #foncier_agricole apparaît sous une lumière un peu plus crue. La terre, essentielle et stratégique, est gouvernée d’un peu plus près. Mais à qui revient-elle ? Depuis une dizaine d’années, la terre attire les grandes entreprises. Après avoir avalé la transformation des produits agricoles et la #distribution, elles investissent la production agricole elle-même. Enseignes de la grande distribution, leaders de l’#agroalimentaire, du secteur pharmaceutique ou du secteur cosmétique : ils sont de plus en plus nombreux à convoiter le patrimoine agricole.

    Au sud d’Orléans, Fleury Michon possède un élevage où naissent six-mille porcelets par an. À la ferme, des ouvriers font les travaux agricoles. À des centaines de kilomètres, les dirigeants de Fleury Michon surveillent sur leurs écrans les cours des matières premières. Ayant fondé sa croissance à l’origine dans le secteur commercial, cette entreprise fait à présent du contrôle de l’activité agricole un élément clé de sa stratégie.

    Posséder la terre présente trois atouts majeurs. D’abord, l’industriel assure lui-même son approvisionnement sans passer par les producteurs. Ensuite, ce contrôle direct des matières premières apporte plus de flexibilité pour répondre aux attentes changeantes du consommateur. Enfin, l’exploitation directe lui permet de se passer d’intermédiaires coûteux : agriculteurs, coopératives, négociants, etc.

    Mais le modèle de l’#agriculture de firme signifie la disparition du savoir-faire et de l’authenticité du métier agricole. Le paysan se transforme en exécutant au service d’un groupe industriel. En quoi est-ce un problème ? Le sol est un organe vivant, seul un agriculteur connaît sa terre. Une fois gérée à distance, la connaissance de la terre se perd.

    Ainsi, l’agriculture de firme contraint à une standardisation du vivant. Car organiser une ferme en fonction de schémas tout faits oblige à conformer le vivant. L’industrie a besoin de produits tous identiques, sa chaîne de production est conçue pour des poulets ou des cochons d’une taille adéquate, pour du riz ou des pommes de terre d’une variété donnée et d’un calibre unique. Le contraire d’une agriculture de proximité approvisionnant des marchés locaux.

    Déjà, les agriculteurs n’étaient plus entièrement maîtres de leurs décisions. Les industriels étaient souvent accusés de faire la pluie et le beau temps en matière de prix. Mais un autre glissement s’opère, un saut de plus dans l’histoire de l’#industrialisation de l’agriculture. À l’image d’autres secteurs de l’économie – la production de voitures ou l’industrie numérique avec les GAFAM –, il en découle une concentration des sociétés sans précédent. On avait déjà vu le remplacement de la supérette de quartier par une grande chaîne. Les petites et moyennes entreprises (PME) disparaissent, au profit des plus grandes. Ce mouvement gagne à présent l’agriculture.

    Mais pourquoi la terre voit-elle arriver des investisseurs auxquels elle avait échappé jusque-là ? Le monde rural, tout bucolique qu’il semble être, n’est pas simple. Un agriculteur sur cinq vit sous le seuil de pauvreté. À force de travailler soixante heures par semaine pour quelques centaines d’euros, avec des montagnes de crédit dont on ne voit pas le bout, l’amertume des agriculteurs grandit. Dans ce contexte, il n’est pas surprenant que les fortunes de l’industrie soient bienvenues là où l’argent manque.

    Les autorités de leur côté, ont de moins en moins de moyens pour faire garde-fou. Pour le comprendre, il faut se pencher sur les Sociétés d’aménagement foncier et d’établissement rural (Safer). Il en existe une par département. Placées sous tutelle du ministère de l’Agriculture et du ministère de l’Économie et des Finances, les Safer sont des sociétés anonymes sans but lucratif. Leur création en 1960 devait permettre à la puissance publique d’intervenir sur le marché des terres pour exercer une mission d’intérêt général, celle de redistribuer le foncier agricole en faveur des agriculteurs.

    Chaque Safer locale se voit obligatoirement informée lorsqu’une transaction est en vue, notamment quand un agriculteur vend ses terres au moment de partir à la retraite. Le code rural leur confère un pouvoir important avec un droit de préemption, qui leur permet d’acquérir le bien avant tout autre acheteur afin de fixer un nouveau prix et de faire un appel à candidature.

    Mais, en pratique, les exemples d’écarts abondent. Pourquoi les Safer acceptent-elles de vendre des terres à Fleury Michon ? Contacté au sujet de ce type d’opérations, Emmanuel Hyest, le président de la Fédération nationale des Safer, ne souhaite pas s’exprimer. Comment comprendre le dévoiement d’un organe d’État ? Déjà en 2014, la Cour des comptes critiquait une gestion « peu transparente » et recommandait un « meilleur encadrement ». Un écrit fut publié, il s’intitulait : « Les dérives d’un outil de politique d’aménagement agricole et rural ». Dans ce rapport, les magistrats reprochaient aux Safer de perdre de vue leur mission initiale : elles n’installent plus suffisamment de jeunes agriculteurs.

    La baisse drastique des moyens accordés aux Safer y est-elle pour quelque chose ? À leur création, elles étaient financées à 80% par des fonds publics. Mais ces subventions de l’État n’ont cessé de fondre et, depuis 2017, l’État ne finance plus du tout les Safer, sauf en Outre-mer. Le peu d’argent public qui reste – 2 % du budget en moyenne – provient essentiellement des régions. Aujourd’hui, 90 % du budget des Safer viennent des commissions qu’elles touchent sur les ventes. Et les 8 % restants sont issus d’études et de conseils, principalement à destination des collectivités territoriales.

    Quand le prix de la terre atteint de tels sommets, les jeunes agriculteurs ne peuvent pas suivre.

    Ainsi, la plupart de leurs recettes est désormais apportée par les transactions qu’elles réalisent pour vivre. Aujourd’hui sous-équipées, elles peinent à remplir leur mission. Pour maintenir leurs finances en bonne santé, elles ont intérêt à enchaîner les transactions et peuvent parfois mettre de côté leur objectif premier.

    En théorie, il est prévu que les Safer facilitent l’installation des jeunes agriculteurs. Mais lorsqu’un gros industriel se présente, elles ont du mal à dire non. À côté de Grasse, Chanel achète l’hectare à un million d’euros pour cultiver les fleurs qui entrent dans la composition de ses parfums. En proposant de tels prix, la société Chanel était sûre d’emporter le marché. À moins que la Safer locale ne s’y oppose : le code rural lui attribue la faculté d’utiliser son droit de préemption « avec révision de prix ».

    Si le tarif est surévalué, elle peut exiger une baisse. La Safer diffère alors la transaction, le temps de proposer au vendeur de nouvelles conditions conformes au prix local de la terre, fixé chaque année dans un document officiel, « Le Prix des terres ». Mais Chanel ne semble pas soumis aux mêmes lois que tous. La Safer locale autorise la vente. À ce sujet Emmanuel Hyest, le président national des Safer, ne souhaite pas non plus s’exprimer.

    Les perturbations pour le marché foncier sont pourtant réelles. La terre agricole voit s’affronter des prétendants à armes inégales. Quand le prix de la terre atteint de tels sommets, les jeunes agriculteurs ne peuvent pas suivre. Florian Duchemin se dit écœuré par cette « bagarre de l’hectare ». Après avoir recherché pendant quatre ans une parcelle pour s’installer en maraîchage dans la Drôme, il a dû trouver un travail dans l’informatique : « Vu le prix, bientôt il sera plus facile d’acquérir un trois-pièces à Paris qu’un hectare de terre arable. » « La concurrence est déloyale », conclut ce trentenaire en pointant des acheteurs qui viennent du monde industriel.

    Leur arrivée remonte au début des années 2010. Cette évolution survient au mauvais moment : un agriculteur sur quatre a plus de 60 ans. Dans les trois années à venir, 160 000 exploitations devront trouver un successeur. Qui seront les prochains paysans ?

    À l’origine de la création des Safer, le ministre du général de Gaulle puis de François Mitterrand, Edgard Pisani, avait imaginé cet outil comme des « offices fonciers » pour extraire les terres agricoles des logiques de marché : « J’ai longtemps cru que le problème foncier était de nature juridique, technique, économique et qu’une bonne dose d’ingéniosité suffirait à le résoudre. J’ai lentement découvert qu’il était le problème politique le plus significatif qui soit[1]. » Les Safer ne remplissent plus guère leur mission.

    En témoigne une autre transaction emblématique. En avril 2016, le groupe pékinois Reward, spécialisé dans l’agroalimentaire, faisait la « une » des médias. Ses achats mettaient au jour les failles du système français de protection des ressources agricoles. La société du milliardaire Hu Keqin venait d’acquérir 1 700 hectares de terre céréalière dans l’Indre et l’Allier – soit plus de vingt fois la surface moyenne d’une exploitation. À quoi étaient destinées les farines françaises ? À alimenter la chaîne chinoise de boulangeries Chez Blandine.

    Si l’affaire a choqué l’opinion publique, elle n’est pourtant que la partie émergée de l’iceberg. Et les industries acquéreuses de terre agricole sont aussi celles qui nous sont familières. Sur le marché des terres en France, on ne compte que peu d’acheteurs étrangers (2%). La médiatisation des acheteurs chinois masque les vrais enjeux. Il semble facile de regarder ailleurs, quand les entreprises nationales ou régionales jouent les premiers rôles.

    L’opération de la firme Reward a au moins amené une prise de conscience : les Safer manquent aussi de moyens juridiques, il faut les moderniser. Au milieu des années 2010, le monde agricole réclame une grande loi foncière pour adapter l’arbitre du marché foncier aux dernières évolutions. Un combat qui portera finalement ses fruits : le 14 décembre 2021, le Parlement français a adopté une loi « portant mesures d’urgence pour assurer la régulation de l’accès au foncier agricole au travers de structures sociétaires ». Le texte prévoit la mise en place de nouveaux contrôles par les Safer, sous l’autorité du préfet qui devra donner son accord lorsqu’une entreprise (ou un groupe industriel) cherche à acquérir du foncier.

    Mais cette loi autorise de nombreuses « dérogations » qui la rendent en partie inefficace. Les Safer devront notamment apprécier également le « développement du territoire » au regard « des emplois créés et des performances économiques, sociales et environnementales ». Présentée comme une « étape », cette loi ne peut remplacer la grande loi foncière que les organisations agricoles appellent de leurs vœux.

    Sans réelle opposition pour les freiner, les firmes avancent dans l’espace rural.

    Première organisation de la profession, la FNSEA (Fédération nationale des syndicats d’exploitants agricoles) indique poursuivre la « réflexion en interne » pour protéger plus durablement les agriculteurs. « Il faut un changement de politique publique pour répartir autrement la terre », affirme la Confédération paysanne. Tandis que le Mouvement de défense des exploitants familiaux (Modef) demande, lui, qu’une loi « encadre les prix des terres agricoles de sorte qu’ils soient en corrélation avec le revenu agricole qui peut être dégagé sur ces terres ».

    La mission d’information parlementaire créée en décembre 2018 avait évoqué la création d’un outil centralisé de régulation du foncier agricole confié à une autorité administrative indépendante. La Commission européenne a d’ores et déjà autorisé des mesures de régulations fortes comme le droit de préemption en faveur des agriculteurs, un plafonnement de la taille des propriétés foncières, voire des mesures contre la spéculation. Il manque encore une volonté plus largement partagée, afin que la terre demeure un « espace politique », comme le définissait le sociologue et philosophe Henri Lefebvre. Autrement dit, un espace façonné́ par les décisions de tous et non de quelques-uns.

    Sans réelle opposition pour les freiner, les firmes avancent dans l’espace rural. Leurs fermes passent souvent inaperçues. À qui appartient la terre ? Il n’y a aucune marque dans le paysage. Toute une cohorte d’entreprises prend du pouvoir à la campagne : elles achètent ou louent les terres, les cultivent et organisent les récoltes à l’insu du plus grand nombre. À l’heure où l’agriculture paysanne a la cote, cette mutation discrète est en cours.

    Il faut contribuer à révéler cette dynamique qui échappe à l’appareil statistique. Sur les 26,7 millions d’hectares que compte la France, les grandes entreprises en possèdent-elles 100 000 ou 1 million ? Personne ne peut le dire aujourd’hui. Il est temps que les décideurs politiques s’emparent du sujet pour que l’on puisse mesurer sa valeur statistique exacte.

    Au fil des mois d’enquête, je me suis souvent confrontée à la difficulté d’accéder à l’information. Lorsque les portes sont fermées, il semble d’autant plus urgent de s’immiscer dans les rouages des transactions foncières. Car les nouveaux propriétaires fonciers font l’agriculture de demain. Qui sont-ils ? Dans quel intérêt investissent-ils ? À qui doivent-ils rendre des comptes ? Nous avons le droit de connaître les ressorts de ce que nous achetons.

    Quand une terre est cultivée par un groupe industriel, où est l’intérêt de la population ? La question devrait pouvoir être posée dans l’instance de la Safer. Problème, les commissions où se déroulent les ventes de terre se déroulent à huis-clos. Ainsi, les instances en charge des affaires foncières ne sont pas ouvertes au public.

    Les Safer ont tous les attributs d’un parlement pour partager le foncier – sauf la transparence. « Nous ne connaissons pas la teneur des échanges, nous n’avons aucun renseignement sur les débats, mais seulement sur la décision prise », explique Thomas, agriculteur en Loire-Atlantique. Pour lui, la démocratie pratiquée à la Safer ne devrait pas se passer à huis clos. « Pourquoi ne peut-on pas s’inscrire pour assister à un comité technique comme on peut le faire dans un conseil municipal ? »

    Dans les années à venir, les hectares qui se vendront vont-ils conforter l’agriculture de firme ou un autre modèle agricole ? C’est le rôle de nos Safer d’en décider. L’arbitrage des autorités sur un acte aussi primordial pour la vie, celui de manger, doit être davantage compris et mis en lumière.

    NDLR : Lucile Leclair a publié en novembre dernier Hold-up sur la terre aux éditions du Seuil.

    • LA VACHE QUI BUVAIT LA MEUSE Claude Semal
      Consomme-t-on vraiment 15.000 litres d’eau pour produire un kilo de viande de bœuf ?
      . . . . . . . .
      Pour le savoir, tentons d’estimer la consommation d’eau totale d’un bovin.
      Commençons par le plus simple : la boisson.

      Un bœuf ou une vache laitière boit 100 litres d’eau par jour (1) et vit en moyenne trois ans, soit à la louche, mille jours (1). Ce qui nous fait 100.000 litres, soit 100 litres d’eau par kilo de viande (100.000 litres : 1000 kg).

      Passons à l’alimentation.

      Un bovin mange en moyenne dix kilos de céréales par jour (1).

      Multiplié par mille jours de rumination, cela fait donc, en trois ans, dix tonnes de céréales dans son écuelle. Un fameux petit dej !

      Or pour faire pousser un kilo de céréales, type mélange maïs/blé, il faut 400 litres d’eau (1) (2).

      Ce qui nous fait 1000 jours x 10 kilos de céréales x 400 litres d’eau divisé par le poids de la bête,… n’essayez pas de suivre, je compte pour vous, abracadabra… !
      Cela fait 4 m3 d’eau par kilo de viande. Ah ! bon quand même ! …Mais est-ce que le compte y est ?

      Par ce biais, on s’en rapproche un peu. 4100 litres d’eau, c’est effectivement beaucoup.

      Mais cela n’en fait toujours pas 15.000.
… Bon sang, mais c’est bien sûr ! J’ai fait mes “calculs” avec le poids d’une bête “sur pied”.

      Or seuls 30 % de l’animal seront effectivement transformés en viande (6).

      Par kilo de viande, cela multiplie par 3,3 notre “consommation” d’eau, soit 13.530 litres. On approche, on approche.

      Qu’est ce que j’ai encore oublié ? OK, le fonctionnement général d’une ferme, et plus encore celui d’un abattoir, divisé par le nombre de vaches, cela doit nécessairement consommer beaucoup de flotte. Le sang, ça tâche, et la bouse aussi. Sans doute assez pour justifier cette différence. OK, je rends les armes. Méluche avait raison.

      On vérifie ? Je fais appel à l’équipe… ou à défaut, à Wikipédia. Bon, finalement, ce sera plutôt decodagri.fr (3).

      Et ici, surprise ! Sur ce site, visiblement inspiré par les éleveurs, on nous explique que depuis 2002, le système Water Footprint Network (WFN) ne calcule pas la vraie consommation d’eau, mais une empreinte virtuelle, comme on calcule par ailleurs l’empreinte carbone de certains produits.
      Dans les chiffres ci-dessus cités, 95 % de “l’estimation” ne concerneraient ainsi ni la vraie consommation d’eau des animaux, nécessaire à ce qu’ils boivent, ni la vraie consommation d’eau des cultures céréalières, nécessaire à ce qu’ils mangent, mais… l’ensemble de l’eau de pluie qui tombe sur la surface des prairies et des champs cultivés, avant de retourner remplir les nappes phréatiques.

      Et qui serait de toutes façons tombée sur le sol, avec ou sans vaches, avec ou sans cultures. Et qu’il semble donc un peu tiré par les cornes de comptabiliser dans le bilan hydrique de nos hamburgers.
      . . . . . . . .
      La suite : https://www.asymptomatique.be/la-vache-qui-buvait-la-meuse

      #Boeuf #vache #viande #eau

      #agriculture #alimentation #élevage #consommation #agroalimentaire #culture #Water_Footprint_Network #WFN #empreinte_carbone

  • Le paysan impossible - Yannick Ogor - Organisation Communiste Libertaire
    https://oclibertaire.lautre.net/spip.php?article3107

    Ce que j’ai vécu en Bretagne, en étant à la fois salarié de la Confédération et, après, en tant que paysan, c’est la manière dont la mise en place de la gestion par les normes sanitaires et environnementales a, en quelques années, éliminé tous les petits paysans, en particulier en production avicole et porcine et, dans des petites structures de moins de 100 truies. A partir des années 80, tous ces éleveurs ont disparu, car ces mises aux normes étaient extrêmement coûteuses ; malgré les subventions, il restait un reliquat que la plupart ont considéré comme inassumable et ils ont donc arrêté. Les seuls qui sont restés se sont partagé le magot des subventions. Aujourd’hui, les élevages de cochons comportent au moins 500 truies et sont tous des usines entièrement subventionnées par l’Etat, si accompagnées d’arguments environnementaux. Ce qui a conduit leurs propriétaires à bénéficier de nouvelles subventions (arrivées depuis les années 2000) à la transition énergétique. Ainsi ces usines-là sont non seulement censées être aux normes environnementales par rapport aux excédents de lisier et d’azote mais encore elles sont à la « pointe de la transition énergétique », ayant à peu près toutes installé des panneaux solaires sur leurs toits, des éoliennes dans leurs champs ou, mieux encore, des méthaniseurs pour faire de l’énergie avec la merde de cochon. Tout cela généreusement accompagné donc de subventions publiques. Des milliards dilapidés pour conforter le modèle industriel.
    Il est affligeant de voir à quel point l’écologisme est le moteur décisif de la modernisation aujourd’hui et comment il n’y a plus de réaction véritable en face.

    #agriculture #écologisme #paysans

  • Une nuit avec des ramasseurs de volailles - KuB
    vidéo 2005, 27 minutes

    https://www.kubweb.media/page/nuit-ramasseurs-volailles-l214-elevage-industriel-rault

    Toutes les nuits, des hommes et des femmes ramassent manuellement des milliers de volailles pour assurer l’approvisionnement des abattoirs. Dès 20h00, ils partent d’élevage en élevage jusqu’au petit matin, parcourant certaines nuits plus de 400 km. Dans chaque poulailler, ils devront mettre en caisses plus de 20 000 poulets. Agenouillés dans les fientes, ils attrapent les volailles par les pattes, puis les mettent en caisses. Celles-ci sont aussitôt acheminées vers l’abattoir. Véritable lien entre les élevages et nos assiettes, ces ouvriers de l’ombre, partent plus de 60 heures par semaine pour un salaire mensuel brut de 970 €. Au-delà de leurs conditions de travail, ils nous racontent leur vie de tous les jours, une vie faite d’espoirs mais surtout de fatalisme face à la place qui leur est accordée dans la société. Au rythme des transports, des ramassages, des pauses, le film retrace leurs vies au travers d’une de ces nuits.

  • #Woluwe-Saint-Lambert CP/PB : Expulsion de l’IMMOC - histoire d’un scandale : Vue sur la scène du crime social Laurent d’Ursel, secrétaire du Syndicat des immenses - DROIT A UN TOIT / RECHT OP EEN DAK
    https://syndicatdesimmenses.be/wp-content/uploads/2022/03/CP-expulsion-IMMOC-du-SDI-1.pdf

    Résumé du scandale : Woluwe-Saint-Lambert
    1° rend insalubres des logements sociaux en les abandonnant pendant 10 ans,

    2° fait tout pour empêcher la signature d’une « convention d’occupation précaire » avec le Syndicat des immenses,

    3° tente d’intimider les occupants chapeautés par le Syndicat des immenses en portant l’affaire devant la Justice de paix, qui donne raison au Syndicat,

    4° refuse d’ouvrir le compteur d’eau de ville et condamne les occupants à vivre un an avec l’eau de pluie,

    5° envoie ses services sociaux constater qu’une occupante réside avec ses deux enfants dans le bâtiment rendu insalubre par la commune, provoquant la séparation temporaire de la mère de ses enfants... tout ça dans des logements parfaitement sains, qui nécessitent seulement une simple rénovation et que la commune va
    détruire-reconstruire avec l’argent du contribuable... et sans aucune sanction pour leur gestion du bien en très mauvais père de famille et pour leur part de responsabilité dans la longueur de la liste des personnes – aujourd’hui au nombre de 51.000 – en attente d’un logement social.

    • Détails chronologiques du scandale : https://syndicatdesimmenses.be/wp-content/uploads/2022/03/Chronologie-du-scandale.pdf

    #Belgique #logement #logement_social #expulsion #insalubrité provoquée #scandale #crime #sdf #précarité #droit_au_logement #guerre_aux_pauvres

    • Les champs maudits – n°1 (grippe aviaire) robindesbois.org

      La grippe aviaire progresse dans le Grand Ouest. 20 à 30 millions d’animaux contaminés par la grippe aviaire ou susceptibles de l’être ont déjà été tués. La Bretagne est menacée.


      La gestion des cadavres et de la nécromasse déclenche des risques sanitaires et environnementaux sur le long terme. La traçabilité des fosses communes est indispensable mais elle n’est pas codifiée. Comme d’habitude, la faune sauvage est accusée d’être responsable de la calamité. Mais en Vendée, le réseau spécialisé SAGIR (Surveiller pour Agir) n’a constaté aucune mortalité attribuable à la grippe aviaire parmi les oiseaux sauvages tandis que 500 élevages concentrationnaires sont touchés et sacrifiés.

      Robin des Bois, à titre conservatoire et aussi longtemps que le ministère de l’Agriculture et de l’alimentation et les chambres d’agriculture n’auront pas trouvé les moyens de concilier la production et le bien-être des animaux, réclame que les préfets suspendent les demandes d’autorisation de création ou d’extension d’élevages industriels. Le 22 mars 2022, en pleine crise, le préfet de la Vendée a autorisé à Pouzauges un élevage de 309.000 dindes, poulets et cailles.

      Les canards en barbarie
      Hier, à Petosse en Vendée, au bord de l’autoroute A83, Route des Estuaires, sur réquisition des services de l’Etat et après l’avis favorable d’un hydrogéologue agréé, une fosse étanchéifiée dans l’urgence et pourvue de puits de récupération des jus de décomposition a commencé à recevoir des cadavres de canards, faisans, poules, dindes et cailles contaminés par la grippe aviaire ou susceptibles de l’être.

      La capacité de la fosse est de 25.000 tonnes soit 10 millions d’animaux gazés ou électrocutés (voir à ce sujet le communiqué « Pleins feux sur le sacrifice des canards », 12 janvier 2021). Un lugubre concours Lépine est à l’œuvre cette année. Pour donner la mort, il est suggéré (oralement) aux éleveurs de couper la ventilation des hangars d’élevage pendant 48h pour aboutir à l’asphyxie des oiseaux. . . . . . .
      La suite : https://robindesbois.org/les-champs-maudits-n1-grippe-aviaire

       #grippe_aviaire #santé #pandémie #virus #écologie #aviaire #sras #grippe #épidémie #agriculture #élevage #alimentation #poules #poulets #canards #fnsea

    • #Suisse : Julius Bär condamnée en France à 5 millions d’euros d’amende

      La banque Julius Bär a été condamnée mi-mars à Paris à une amende de 5 millions d’euros (à peine plus en francs) pour blanchiment aggravé en 2008, dans le cadre d’une affaire de fraude à la taxe carbone baptisée « Crépuscule »

      Le dossier « Crépuscule » constitue l’une des multiples branches de la gigantesque escroquerie à la TVA sur le marché du CO2, qui au total a coûté 1,6 milliard d’euros au fisc français. La combine était simple : acheter des droits à polluer hors taxe dans un pays européen, les revendre en France à un prix incluant la TVA, puis investir les fonds dans une nouvelle opération sans jamais reverser la TVA à l’État.

      Julius Bär a été condamné pour ne pas avoir réalisé les vérifications nécessaires sur un compte crée en février 2008 au sein de sa branche à Singapour, au nom d’une société immatriculée aux îles vierges britanniques, Montibely Investors, selon la décision consultée par l’AFP.

      Le compte avait été ouvert pour un client franco-israélien, via un apporteur d’affaires de Tel Aviv. Un montage « dénué de réalité économique distincte » qui n’avait « pour objet que de servir à décaisser les opérations de fraude à la TVA », souligne le tribunal. Jusqu’à sa clôture par son bénéficiaire en octobre 2008, ce compte a été crédité puis débité d’environ 1,9 million d’euros.
      La suite : https://www.letemps.ch/economie/julius-bar-condamnee-france-5-millions-deuros-damende

      #escroquerie #Suisse #banque #blanchiment #droit_à_polluer #climat #co2 #collapsologie #pollution #carbone #TVA #paradis_fiscaux

  • #Vomir #Canada : D’ici 2028, les vaches laitières devraient pouvoir mettre bas sans être enchaînées Julie Vaillancourt - Radio Canada
    https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1871152/vaches-laitieres-enchainees-agriculture

    Au Canada, la majorité des vaches laitières sont élevées en stabulation entravée, ce qui implique qu’elles mettent souvent bas, enchaînées, dans des stalles trop petites pour elles. Ça pourrait changer : les experts recommandent maintenant de leur donner plus de liberté de mouvement pour améliorer leur bien-être.


    Il manque d’espace dans les stalles régulières pour que les vaches mettent bas à leur aise. Photo : Radio-Canada

    La scène est désolante aux yeux du profane : une vache, la chaîne au cou, qui met bas dans sa stalle, souvent trop petite pour lui permettre de se mouvoir avec agilité. L’animal tente de se retourner pour voir son veau, mais son carcan métallique l’entrave partiellement ; le producteur laitier doit apporter le nouveau-né en face de sa mangeoire pour que la vache puisse enfin le lécher.

    Une action plus fréquente au Québec qu’ailleurs au Canada, car c’est dans la province qu’on retrouve le plus de fermes en stabulation entravée, un système où chaque vache garde toute sa vie une place fixe dans l’étable, enchaînée à une barre d’attache.


    Un des principes les plus importants, pour le vétérinaire Edwin Quigley, est que les vaches doivent faire le plus possible d’exercice. Photo : Radio-Canada

    Pour le vétérinaire Edwin Quigley, qui pratique dans la région de Chaudière-Appalaches, le fait que 72 % des vaches de la province vivent ainsi (contrairement à la moyenne canadienne de 44 %) est consternant. “Des vaches attachées dans un espace de quatre pieds par six à l’année longue et qui ne changent pas de place, il manque quelque chose.”

    Ce “quelque chose”, c’est la liberté de mouvement, beaucoup plus présente en stabulation libre, une façon d’élever les bovins laitiers dans des espaces à aire ouverte. Avec ce modèle, les vaches disposent de logettes individuelles où elles vont manger ou se reposer à leur guise, sans jamais être immobilisées de force.

    Les chiffres parlent d’eux-mêmes : en stabulation entravée, la prévalence de blessures aux jarrets chez l’animal est de 56 % comparativement à 47 % en stabulation libre, de 43 % pour les blessures aux genoux comparativement à 24 % en stabulation libre.

    Conséquence, entre autres, d’une surface de couchage souvent trop abrasive en comparaison avec la litière de plus de 15 centimètres d’épaisseur qu’on retrouve régulièrement dans les étables en stabulation libre.

    Quant aux 33 % de blessures au cou en stabulation entravée, elles trouvent évidemment leur source dans le port constant de la chaîne.


    Au Canada, les vaches qui passent leur vie dans des stalles entravées ont plus de blessures qu’avec d’autres systèmes d’élevage. Photo : Radio-Canada

    Le “Code de pratique pour le soin et la manipulation des bovins laitiers”, un outil de référence à l’intention des producteurs laitiers canadiens, est actuellement en révision, puisque la dernière mouture date de 2009.

    Nous avons obtenu la version préliminaire du nouveau code, dont l’élaboration sera terminée d’ici la fin de l’année. Elle propose dorénavant de loger les vaches laitières au pâturage ou en stabulation libre afin qu’elles aient la possibilité de se mouvoir davantage. Quant au vêlage, les producteurs devraient obligatoirement permettre aux vaches de mettre bas en stabulation libre d’ici 2028, s’il n’en tient qu’aux experts canadiens qui se penchent présentement sur la question.

    https://fr.scribd.com/document/566235947/Code-de-pratique-pour-le-soin-et-la-manipulation-des-bovins-laitiers#down

    Ce serait la moindre des choses aux yeux d’Edwin Quigley, qui supervise présentement l’agrandissement de l’étable d’un de ses clients, Dave Kelly, un producteur laitier de Saint-Nazaire-de-Dorchester, dans la région de Chaudière-Appalaches.


    Dave Kelly, producteur laitier, veut améliorer le bien-être de ses vaches et collabore avec son vétérinaire pour changer les choses. Photo : Radio-Canada

    M. Kelly tente d’améliorer le bien-être de ses vaches à la mesure de ses moyens. “Il y a des gens qui pensent qu’on utilise les vaches comme des machines, moi, je ne suis pas d’accord avec ça, mais il faut qu’elles soient bien dans ce qu’elles ont à faire, c’est important.”

    Au programme chez lui, des travaux de construction pour bâtir une section où ses vaches pourront mettre bas en stabulation libre : un enclos de groupe où les vaches auront le loisir de bouger à leur guise pendant le vêlage sans être gênées par l’étroitesse de leurs stalles ou, pire encore, leurs chaînes.


    En stabulation, la litière disposée sur le sol rend la surface plus confortable et aide à éviter l’abrasion. Photo : Radio-Canada

    Un virage pris par de plus en plus de producteurs laitiers du Québec qui, massivement, convertissent leurs troupeaux à l’élevage en stabulation libre pour l’ensemble de leurs opérations, et non uniquement le vêlage. “On fait du rattrapage, soutient Daniel Gobeil, président des Producteurs de lait du Québec.”

    “Des vaches attachées toute leur vie, on tend à éliminer ces pratiques-là. On est à la croisée des chemins en termes de bien-être animal”, conclut-il.

    #chaînes #beurk #boycott #alimentation #sirop_d'érable #assiette #malbouffe #agriculture #élevage #élevage #alimentation #vaches #viande #agrobusiness #lait #agro-industrie #quelle_agriculture_pour_demain_ #violence #torture #capitalisme

    • Monsieur trudeau, vous êtes une honte pour la démocratie ! Veuillez nous épargner votre présence Christine Anderson, députée européenne (Allemande) au Parlement européen

      Après parlé avec des parlementaires européens lors de sa visite officielle de deux jours à Bruxelles, la parole a été donnée à la députée allemande Christine Anderson qui a interpellé le Premier ministre canadien, disant qu’il ne devrait pas pouvoir s’exprimer au Parlement européen.

      Anderson a accusé Trudeau d’admirer ouvertement la dictature de base chinoise et a appelé le Premier ministre pour avoir piétiné “les droits fondamentaux en persécutant et en criminalisant ses propres citoyens en tant terroristes simplement parce qu’ils osent s’opposer à son concept pervers de démocratie”.

      le Canada est passé du statut de symbole du monde moderne à celui de « symbole de la violation des droits civils » sous la « chaussure semi-libérale » de Trudeau.

      Elle a terminé son discours en disant à Trudeau qu’il était « une honte pour toute démocratie. Veuillez nous épargner votre présence.
      https://www.youtube.com/watch?v=vtnfcVAZB6I


      Le député croate Mislav Kolakusic a également dénoncé Trudeau pour avoir violé les droits civils des Canadiens qui ont participé aux manifestations du « Freedom Convoy ». Lors de son propre discours cinglant devant ses collègues parlementaires européens, Kolakusic a déclaré à Trudeau que ses actions en promulguant la loi sur les urgences étaient « une dictature de la pire espèce ».
      Trudeau s’est assis et a écouté Kolakusic informer le premier ministre que de nombreux Européens l’ont vu « piétiner des femmes avec des chevaux » et bloquer « les comptes bancaires de parents célibataires ».
      L’eurodéputé roumain Christian Terhes a également refusé d’assister au discours de Trudeau aux autres membres de l’UE.

      Source :
      https://thecanadian.news/vous-etes-une-honte-un-depute-allemand-interpelle-trudeau-en-face-lors
      https://twitter.com/lemairejeancha2/status/1507033759278940161
      https://vk.com/wall551774088_43985?z=video640533946_456239116%2Fa7ea5429d710b84557%2Fpl_post_55

      NDR Cette députée allemande est de droite, mais la vérité ne fait pas de politique.

       #canada #justin_trudeau #trudeau la #violence #contrôle_social #police #dictature #violences_policières #violence_policière #répression #violence #maintien_de_l'ordre #brutalité_policière #manifestation #violences_policieres

    • Salaire mirobolant et logement de fonction : le train de vie princier du directeur du Fresnoy à Tourcoing Pierre Leibovici
      https://www.mediacites.fr/lu-pour-vous/lille/2022/03/24/salaire-mirobolant-et-logement-de-fonction-le-train-de-vie-princier-du-di

      Les angles morts, Quelques obscurcissements, Prolongations… Le titre de ces romans signés Alain Fleischer était-il prémonitoire ? Il résonne en tout cas avec le rapport publié, vendredi 18 mars, par la Chambre régionale des comptes des Hauts-de-France sur l’association Le Fresnoy — Studio national des arts contemporains, dont il est le directeur.


      Ouvert au public en 1997, l’imposant bâtiment du Fresnoy, situé dans le quartier du Blanc Seau à Tourcoing, abrite une école supérieure d’art ainsi qu’un lieu de représentation et de production (cinéma, danse, photo, arts numériques). L’établissement, imaginé dès 1987 par l’artiste Alain Fleischer à la demande du ministère de la Culture, est aujourd’hui mondialement reconnu. Trente-cinq ans plus tard, et malgré son âge de 78 ans, il n’a toujours pas lâché le bébé.

      Un salaire brut de 91 000 euros
      « Le cinéaste », « l’auteur », « le photographe, le plasticien » : le parcours d’Alain Fleischer est fièrement détaillé sur le site Internet du Fresnoy, qui lui consacre une page entière. « L’ambassadeur du Fresnoy », ajoute la Chambre régionale des comptes dans son rapport : « il en est pilote stratégique, notamment pour l’évolution vers le projet de StudioLab international [un programme de collaboration entre artistes et scientifiques], il initie les grands partenariats et exerce les fonctions de responsable pédagogique ».

      « Le montant de sa rémunération ne s’appuie pas sur son contrat de travail »
      Pour remplir ces missions, Alain Fleischer bénéficie d’un confortable salaire de 91 000 euros bruts par an, soit 7 600 euros bruts par mois. Un montant stable sur la période allant de 2016 à 2019, sur laquelle se sont penchés les magistrats financiers, mais qui interroge : « le montant de sa rémunération ne s’appuie sur aucun élément présent dans son contrat de travail qui date de plus de 30 ans, pas plus que des avenants ultérieurs dont le dernier date, en tout état de cause, de 2002 ». La Chambre demande donc instamment une révision du contrat de travail du directeur et sa validation par le conseil d’administration de l’association.

      Un immeuble pour logement de fonction
      Dans la suite de leur rapport, les magistrats recommandent aussi que le conseil d’administration valide la mise à disposition d’un logement de fonction pour Alain Fleischer. Ou plutôt d’un « immeuble d’habitation », peut-on lire sans plus de précisions. Ce bâtiment, ainsi qu’un autre d’une surface de 11 000 m2, est la propriété de la région Hauts-de-France, principal financeur du Fresnoy.

      Quelle est la valeur de l’avantage en nature consenti à l’association et à son directeur ? Difficile à dire : la dernière évaluation, réalisée en 2002, tablait sur un coût de 455 823 euros par an. Un montant sans doute bien plus élevé vingt ans plus tard, d’autant que la région prend à sa charge les travaux et la majeure partie de l’entretien des bâtiments. « Une réévaluation de la valeur de ces biens immobiliers qui figurent dans les comptes de l’association serait nécessaire », acte la Chambre régionale des comptes.

      Gouvernance à clarifier
      Autre recommandation adressée au studio d’art contemporain : la clarification de la gouvernance de l’association. À l’heure actuelle, un conseil d’administration cohabite avec une assemblée générale. Mais les deux instances, dont les missions diffèrent, sont composées des mêmes membres : 10 membres de droit et 14 personnalités qualifiées. Pour mettre fin à cette « confusion », les magistrats appellent donc l’association à revoir ses statuts.

      Cette dernière recommandation vaut aussi pour la rémunération de certains membres du conseil d’administration. Car, d’après la Chambre régionale des comptes, « des membres du conseil d’administration, du fait de leurs fonctions et qualités professionnelles et artistiques, peuvent être amenés à remplir le rôle de commissaire de certaines expositions du Fresnoy ou à effectuer des missions de représentation, donnant lieu à versement d’émoluments ». Et de conclure, en des termes toujours policés, que l’association devrait réviser ses statuts « par souci de sécurité juridique ».

      Sollicité à l’issue de l’audit des magistrats financiers, le président de l’association, Bruno Racine, s’est engagé à suivre toutes leurs recommandations et à mettre à jour les statuts dans un délai de six mois. « Cette révision permettra de préciser les modalités de recrutement du directeur », a-t-il affirmé. Écrivain et haut-fonctionnaire, aujourd’hui âgé de 70 ans, Bruno Racine a toutes les raisons de prêter attention aux recommandations de la Chambre régionale des comptes : il a un temps été conseiller-maître à la Cour des comptes.

      #Fresnoy #Tourcoing #argent #fric #art #art_press #claude_leveque @legrandmix #art_contemporain pour #bobo #ruissèlement #ruissellement #photographie #guerre_aux_pauvres

    • Énergie : au Royaume-Uni, même les pommes de terre deviennent trop chères LePoint.fr
      https://www.msn.com/fr-fr/finance/other/%C3%A9nergie-au-royaume-uni-m%C3%AAme-les-pommes-de-terre-deviennent-trop-ch%C3%A8res/ar-AAVqibD?ocid=msedgdhp&pc=U531#

      Durant des siècles, les pommes de terre ont été, par excellence, l’aliment de base des populations pauvres. Faciles à cultiver, peu chères à l’achat et nourrissantes, elles étaient l’élément de base ? sinon le seul - de populations entières. À tel point qu’au XIXe siècle, l’apparition du mildiou en Irlande ? une maladie qui anéantit presque totalement la culture de la pomme de terre ? provoqua une famine ? et la mort de près d’un million de personnes.

      Par les temps qui courent, cependant, la pomme de terre semble perdre son avantage auprès des populations dans le besoin. En effet, selon The Guardian, https://www.theguardian.com/business/2022/mar/23/food-bank-users-declining-potatoes-as-cooking-costs-too-high-says-icela de plus en plus de personnes ayant recours aux banques alimentaires refusent les pommes de terre, ne pouvant se permettre la dépense énergétique nécessaire à la longue cuisson de ces dernières.

      Une inflation record en 30 ans
      « C’est incroyablement inquiétant », a expliqué le gérant d’une chaîne de supermarchés low cost sur la BBC. « Nous entendons parler de certains utilisateurs de banques alimentaires qui refusent des produits tels que les pommes de terre et d’autres légumes-racines parce qu’ils n’ont pas les moyens de les faire bouillir », détaille-t-il, parlant de « la crise du coût de la vie » comme du « plus important problème intérieur » au Royaume-Uni.

      Outre-Manche, le coût de la vie continue d’augmenter rapidement, rapporte The Guardian. L’inflation a atteint 6,2 % en février, selon les chiffres de l’Office for National Statistics, une première depuis trente ans. Elle est alimentée par la hausse du coût de l’essence et du diesel et d’un large éventail de produits de nourriture aux jouets et jeux. En 2021, l’inflation spécifique aux produits alimentaires a été de 5,1 % au Royaume-Uni.

      #pauvreté #prix de l’#énergie #spéculation #capitalisme #marché_libre-et_non_faussé #électricité #spéculation #alimentation #banques_alimentaires #pommes_de_terre

  • France : un train de céréales arrêté par des manifestants en Bretagne - RTBF - AFP _
    https://www.rtbf.be/article/france-un-train-de-cereales-arrete-par-des-manifestants-en-bretagne-10958414

    Un train transportant des céréales destinées à la fabrication d’aliments pour bétail a été immobilisé samedi matin près de Pontivy par une cinquantaine de manifestants et une partie de son chargement déversé sur les voies, a constaté un photographe de l’AFP.

    « Le système d’élevage hors-sol va droit dans le mur, nous devons mettre l’agro-industrie à terre », ont affirmé dans un communiqué les manifestants, réunis à l’appel du Collectif « Bretagne contre les fermes usines ».


    Les militants ont édifié un mur en travers des voies ferrées, a observé le photographe, afin de symboliser « un mur en travers des voies de l’agro-industrie », ont-ils expliqué.

    « En déversant ces céréales destinées à l’alimentation d’une partie du cheptel breton, nous symbolisons le lien au sol à recréer dans notre agriculture, le lien à la terre bretonne, cette même terre qui ne peut pas supporter les incidences de l’élevage d’un si grand nombre d’animaux », ont-ils expliqué sur leur page Facebook.

    « La terre ne peut plus se regénérer ; c’est le dépassement de ses limites qui oblige les importations massives de protéines (dont les tourteaux de soja d’Amérique du sud, ndlr) et les exportations d’azote et de phosphore vers des terres moins saturées », ont-ils écrit, en référence au transport, notamment vers d’autres régions de France, de fumier provenant d’élevages bretons, utilisé comme engrais.

    Nous nous battrons pour que disparaisse un système destructeur

    « Nous continuerons d’agir. Ce sont les vies d’agriculteurs et d’agricultrices qui sont en jeu (...) Le dernier rapporte du GIEC indique clairement un manque de volonté politique » de faire évoluer la situation, ont-ils estimé.

    Le Collectif prône « une agriculture paysanne, vivante, agroécologique, territorialisée, créatrice d’emplois et rémunératrice ».

    « Nous nous battrons pour que disparaisse un système destructeur, nous nous battrons pour qu’éclose une véritable agriculture nourricière, joyeuse et vivante », affirme encore le Collectif.

    La cargaison était destinée à Sanders, filiale du groupe Avril, selon les manifestants. Plusieurs filières de l’agriculture bretonne, première région agricole française où domine l’élevage, traversent une crise profonde et induisent des éffets négatifs sur l’environnement, y compris sur la qualité de l’air.

     #agriculture #élevage #alimentation #terres #pesticides #travail #france #eau #santé #quelle_agriculture_pour_demain_ #environnement #ogm #écologie #élevage #agrobusiness #sanders #avril #agriculture_paysanne #agroécologie #agro-industrie

    • Les Français n’ont jamais été aussi heureux depuis 2012 ouest france
      https://www.ouest-france.fr/societe/les-francais-n-ont-jamais-ete-aussi-heureux-depuis-2012-cc82370a-a775-1
      Les plus heureux du monde sont cette année les Finlandais, qui caracolent en tête du classement annuel de World Happiness Report, sponsorisé par les Nations Unies, depuis plusieurs années. Mais les Français n’ont pas dit leur dernier mot. Ils remontent dans le classement : ils n’ont même jamais été aussi heureux depuis 2012.
      . . . . .
      L’Hexagone se classe en effet à la vingtième place du classement des pays où l’indice de bonheur est le plus élevé au monde. Si la France peut sembler assez loin derrière la Finlande, le pays le plus heureux pour la cinquième année consécutive, il faut noter qu’elle a gagné une place par rapport à l’an passé. Et surtout que c’est son meilleur classement depuis que l’étude existe, à savoir depuis 2012.


      Il faut également noter que c’est une évolution positive quasi unique en Europe. En effet, de nombreux pays voisins ont perdu des places au palmarès du bonheur plutôt que l’inverse. C’est le cas de l’Allemagne qui perd un rang et se place à la 14e place. Le Royaume-Uni stagne quant à lui : il conserve sa 17e place de l’an passé.

      Pour arriver à ces résultats, la World Hapinness Report se base principalement sur des sondages Gallup demandant aux habitants leur propre niveau de bonheur, croisé avec le Produit intérieur brut (PIB) et des évaluations concernant le niveau de solidarité, de liberté individuelle et de corruption, pour aboutir à une note globale.

      Les pays qui surfent avec le haut du classement, juste derrière la Finlande sont le Danemark, l’Islande, la Suisse et les Pays-Bas. Quant aux trois plus fortes progressions, elles ont été enregistrées par la Serbie, la Bulgarie et la Roumanie.
      . . . . .
      #sondages #bonheur #france #EnMarche

    • Je dirais même depuis Clovis …

      Quand je pense qu’il suffisait d’une bonne pandémie et 5 ans de déconnade avec Macron pour être heureux … !

      On est vraiment cons de pas y avoir pensé plus tôt !

  • L’élevage entre deux feux - Mon blog sur l’écologie politique
    https://blog.ecologie-politique.eu/post/L-elevage-entre-deux-feux

    La viande est en passe de devenir le énième emblème identitaire, marqueur de francité ou de progrès social. La droite rance réagit au quart de tour quand il est question de végétarisme. L’annonce de menus végétariens sans possibilité de choix dans les écoles lyonnaises avait déclenché une véritable panique morale, quand bien même la mesure avait été mise en place par la mairie de droite avant la victoire d’EELV, pour fluidifier la circulation dans les cantines par temps de Covid. À les entendre, c’est Mozart qu’on assassine, les enfants pauvres qu’on prive de subsistance, les éleveurs qu’on condamne à un suicide certain.

    Cette droite est désormais suivie par le candidat communiste pour qui la tradition française et la qualité de la nourriture se confondent en une devise ternaire : « Viande, fromage, vin (avec modération). » Exit les patates du gratin dauphinois, les haricots du cassoulet, les pommes de la tarte Tatin, le populo veut de la barbaque et du frometon, la gauche va leur en donner !

    […]

    Et en face d’un gloubi-boulga identitaire qui nous éloigne des vraies questions sur notre alimentation (comment produire sans pourrir le milieu, produire pour répondre aux besoins de tout le monde), la cause animale avance sous divers faux nez, incarnant la rectitude morale. Entendons-nous bien, je ne remets pas en question les choix éthiques des animalistes et je les trouve très vertueux. Mais les justifications écologiques et politiques sont à la peine.

    […]

    En deux lignes : les prairies sur lesquelles paissent les herbivores ont beaucoup d’avantages en matière de biodiversité (qui peut être plus riche que dans la forêt tempérée) et de climat car leurs rotations avec les cultures permettent de se passer d’engrais de synthèse, produits à base de pétrole et qui rejettent un gaz à effet de serre hyper puissant, le protoxyde d’azote. Réunir de nouveau élevage et polyculture, ça implique aussi une baisse de moitié de la consommation de produits d’origine animale, donc plein de bons plats végétariens et végétaux.

    #Aude_Vidal #alimentation #agriculture #élevage #viande #animaliste #écologie #biodiversité #polyculture

  • Le projet d’#abattoir mobile dans le #Luberon

    Dans le Luberon, des éleveur.se.s sont engagés dans la conception d’un abattoir mobile. Leur démarche répond à l’absence d’#abattoirs_de_proximité et à leur désir de disposer d’alternatives au système d’abattage industriel. Une recherche-action a été menée sur ce projet. Cette #vidéo en restitue les principaux résultats.

    https://www.youtube.com/watch?v=cBzHwsajqdM


    #élevage #abattoir_mobile #France #recherche-action #RAP

  • Roussel manifestant avec la police, c’était le Printemps républicain. Hier soir, le PCF organisait un hommage à Charlie. Parmi les invités à la tribune, place du Colonel Fabien : Fourest, Gorce et Aram.
    Source, Elsa Faucillon, Députée des Hauts-de-Seine (Gennevilliers, Colombes, Villeneuve), PCF
    .https://twitter.com/ElsaFaucillon/status/1479160731350319108

    Le Colonel Fabien était un résistant de la première heure, dès 1939, peu après la signature du pacte germano soviétique.

    #PCF #Printemps_républicain #honte

  • L’essentiel du Bio en Grande et Moyenne Surface Olivier Dauvers
    https://www.olivierdauvers.fr/2021/12/16/nouvelle-publication-lessentiel-du-bio-en-gms

    Gueule de bois pour le bio… Après des années de croissance parfois insolente, les produits bio marquent le pas. Et c’est… normal. Le bio devait être l’eldorado des rayons. Années après années, le niveau de croissance affolait les compteurs.

    A présent, la réalité a rattrapé les idéalistes : non, le bio n’est pas promis à un marché de masse.
    Le surcoût de production et de distribution (rendements plus bas et moindre économies d’échelle) se répercute logiquement en rayon : + 57 % pour les marques nationales à + 73 % pour les MDD selon Iri. Ce qui, mécaniquement, resserre la cible…

    L’ESSENTIEL DU BIO EN GMS se propose en 20 insights et 50 pages de vous aider à mieux comprendre le marché bio en grande distribution à l’heure où celui-ci connaît un essoufflement historique. Autant de données à intégrer pour se remettre en cause et trouver les solutions qui permettront au bio de retourner dans le vert !

    => http://a-p-c-t.fr/dauvers/fichiers/20211216_61bb4b19db26d.pdf

    #Bio #agriculture #alimentation #écologie #agriculture_biologique #santé #france #environnement #quelle_agriculture_pour_demain #élevage #ogm #permaculture #économie

    • Comment croire sur parole un « journaliste » qui écrit « la réalité a rattrapé les idéalistes » ? Plus clairement, comment adhérer à un discours orienté ?
      En allant lire Wikipedia ?
      "Présentateur sur la chaîne de télévision locale ViàAngers, Olivier Dauvers est épinglé pour ses nombreux placements de personnalités, également appelé « ménages ». En collaboration avec l’agence Bradford1, il anime de nombreuses conférences chaque année pour de grands groupes de la disribution et est fréquemment convié sur les antennes de France Inter, BFM TV et France 2 en qualité d’expert de la grande distribution"

  • #Le_festin

    Comment être jeune paysan.ne au Sénégal, au temps où les autorités et entreprises s’accaparent les terres agricoles, se les partagent comme un festin et transforment les paysan.ne.s en ouvriers agricoles ?

    Ce film part à la rencontre des paysan.ne.s sénégalais.es qui se battent contre des superstructures législatives et économiques. De la #pêche à l’#élevage, du Nord au Sud du pays, le schéma apparaît tristement similaire. « On demande aux #jeunes de rester et de travailler ici, mais tout ça ce sont de beaux slogans. Où est le socle pour tout ça ? Si on veut que les jeunes restent, il faut leur laisser la ressource » nous confie un jeune pêcheur sénégalais à Dakar.

    https://zintv.org/video/le-festin-tong-tong

    https://www.youtube.com/watch?v=_vYaspnAzOI

    #film #film_documentaire #Sénégal #terres #documentaire #accaparement_de_terres #résistance

    ping @odilon

  • #ue #union_européenne : Des paysans bios à poil à cause de la nouvelle PAC ? « À peu près 80% des aides attribuées au bio vont disparaître »
    https://www.rtbf.be/info/monde/europe/detail_des-paysans-bios-a-poil-a-cause-de-la-nouvelle-pac-a-peu-pres-80-des-aid

    . . . . .
    Petit rappel : la PAC, c’est la Politique agricole commune. Le Parlement européen, le pouvoir législatif de l’Union (celui qui vote les règles), s’apprête à voter sa nouvelle mouture mardi prochain. Il va donc tracer les grandes lignes du modèle agricole européen pour les prochaines années, de 2023 à 2027. La PAC, c’est un budget de 387 milliards d’euros, avec des aides pour les agriculteurs cette fois, qui décident de verdir leurs exploitations. On pourrait croire que c’est une bonne nouvelle pour un paysan bio député vert. Mais en fait non.

    « C’est absolument l’inverse, répond Benoît Biteau. Elle est même pire que celle de la génération d’avant qui était déjà défaillante sur l’atténuation du changement climatique, sur la préservation de la biodiversité mais aussi sur le revenu même des paysans et sur la possibilité de renouveler les générations d’agriculteurs qui sont en train de vieillir et pour lesquelles on a besoin d’installer des nouveaux. »

    En contradiction avec le Green deal européen
    La Commission européenne, qui est le pouvoir exécutif de l’Europe (celui qui applique les règles), a pourtant un agenda vert assez ambitieux, assez précis : c’est le fameux Green deal, le Pacte vert, qui engage des milliards et des milliards d’euros afin d’atteindre des objectifs précis. La PAC irait donc à l’encontre de ce pacte vert de la Commission européenne ?

    C’est exactement ce que pense le député Vert. « On est dans une forme de schizophrénie où il y a des belles ambitions autour du pacte vert, et notamment autour des déclinaisons comme la stratégie de la ferme à la fourchette, la stratégie pour la biodiversité qui prône la réduction de 50% de l’usage des pesticides, qui prônent la réduction de 20% de l’usage des engrais de synthèse, qui prônent la certification en agriculture biologique sur 25% des surfaces agricoles. »

    La PAC, au contraire, soutient une agriculture « qui utilise massivement des pesticides, des engrais de synthèse ou de la mécanisation » et qui « n’est pas forcément celle qui nous conduit vers la souveraineté alimentaire », selon le député européen. « Quand on simule les effets de cette nouvelle PAC, on se rend compte qu’à peu près 80% des volumes d’aides qui sont aujourd’hui attribués à l’agriculture biologique vont disparaître pour cette agriculture-là », celle qui utilise des pesticides.
    . . . . . . . .

     #agriculture #bio #alimentation #écologie #agriculture_biologique #santé #pesticides #environnement #quelle_agriculture_pour_demain_ #élevage #ogm #permaculture #politique #économie #PAC #néolibéralisme

  • Penser l’élevage à l’heure de l’anthropocene
    https://laviedesidees.fr/Penser-l-elevage-a-l-heure-de-l-anthropocene.html

    Au XXe siècle, la mécanisation de l’agriculture a conduit à découpler culture et élevage, afin de maximiser les rendements. Il est urgent d’inventer les moyens de les réconcilier.

    #Société #agriculture #animaux #anthropocène #élevage_industriel
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/202111_elevage_modele.docx

  • Le #Royaume-Uni va accorder 10.500 #visas post-Brexit face aux pénuries de #main-d'oeuvre

    Le Royaume-Uni va accorder jusqu’à 10.500 visas de travail provisoires en réponse à des pénuries de main-d’oeuvre, un virage inattendu en matière d’immigration après le Brexit, pris samedi par le gouvernement.

    Ces permis de trois mois, d’octobre à décembre, doivent pallier un manque criant de #chauffeurs routiers mais aussi de personnel dans des secteurs clés de l’#économie britannique, comme les #élevages de volailles.

    Ces derniers jours et malgré des appels du gouvernement à ne pas paniquer, les #stations-service ont été prises d’assaut en raison de ruptures de stocks qui touchent aussi les rayons de produits agroalimentaires.

    Pour l’instant, le gouvernement n’a pas donné suite aux appels l’exhortant à déployer des soldats pour aider à la distribution du #carburant.

    Cette décision de rouvrir les vannes de l’#immigration_professionnelle va à l’encontre de la ligne défendue par le Premier ministre Boris Johnson, dont le gouvernement ne cesse d’insister pour que le Royaume-Uni ne dépende plus de la #main-d'oeuvre_étrangère.

    Pendant des mois, le gouvernement a essayé d’éviter d’en arriver là, malgré les avertissements de nombreux secteurs économiques et le manque estimé de 100.000 #chauffeurs_routiers.

    Outre ces #visas_de_travail, d’autres mesures exceptionnelles doivent permettre d’assurer l’approvisionnement avant les fêtes de #Noël, a mis en avant le secrétaire aux Transports, Grant Shapps.

    Les examinateurs du ministère de la Défense seront mobilisés pour faire passer des milliers de #permis_poids-lourds dans les semaines qui viennent.

    – « Insuffisant » -

    Le ministère de l’Education et ses agences partenaires vont débloquer des millions de livres sterling pour former 4.000 #camionneurs en mettant sur pied des camps de formation afin d’accélérer le rythme.

    M. Shapps a aussi appelé les employeurs à jouer le jeu « en continuant d’améliorer les #conditions_de_travail et les #salaires pour retenir de nouveaux chauffeurs ».

    Sous pression, le gouvernement va battre le rappel de tous les détenteurs du permis #poids-lourds : un million de lettres doivent partir pour demander à ceux qui ne conduisent pas de retourner au travail.

    Toutefois, la présidente de la Chambre de commerce britannique Ruby McGregor-Smith a estimé que le nombre de visas était « insuffisant » et « pas assez pour régler un problème d’une telle ampleur ».

    « Cette annonce équivaut à vouloir éteindre un feu de camp avec un verre d’eau », a-t-elle déclaré.

    Boris Johnson faisait face à une pression croissante. La crise du Covid-19 et les conséquences du Brexit ont accentué les #pénuries, qui se conjuguent à une envolée des #prix de l’énergie.

    Des usines, des restaurants, des supermarchés sont affectés par le manque de chauffeurs routiers depuis des semaines, voire des mois.

    Le groupe de produits surgelés Iceland et la compagnie de vente au détail Tesco ont mis en garde contre des pénuries à l’approche de Noël.

    La chaîne de restauration rapide McDonald’s s’est trouvée en rupture de milkshakes et de boissons le mois dernier. Son concurrent KFC a été contraint de retirer des articles de son menu, tandis que la chaîne Nando’s a fermé provisoirement des douzaines de restaurants faute de poulets.

    https://www.courrierinternational.com/depeche/le-royaume-uni-va-accorder-10500-visas-post-brexit-face-aux-p
    #post-brexit #Brexit #travail #pénurie_de_main-d'oeuvre #travailleurs_étrangers #UK #Angleterre #transport_routier

    ping @karine4

    • Hauliers and poultry workers to get temporary visas

      Up to 10,500 lorry drivers and poultry workers can receive temporary UK visas as the government seeks to limit disruption in the run-up to Christmas.

      The government confirmed that 5,000 fuel tanker and food lorry drivers will be eligible to work in the UK for three months, until Christmas Eve.

      The scheme is also being extended to 5,500 poultry workers.

      The transport secretary said he did not want to “undercut” British workers but could not stand by while queues formed.

      But the British Chambers of Commerce said the measures were the equivalent of “throwing a thimble of water on a bonfire”.

      And the Road Haulage Association said the announcement “barely scratches the surface”, adding that only offering visas until Christmas Eve “will not be enough for companies or the drivers themselves to be attractive”.

      Marc Fels, director of the HGV Recruitment Centre, said visas for lorry drivers were “too little” and “too late”.

      However, the news was welcomed by freight industry group Logistics UK, which called the policy “a huge step forward in solving the disruption to supply chains”.

      A shortage of lorry drivers has caused problems for a range of industries in recent months, from supermarkets to fast food chains.

      In recent days, some fuel deliveries have been affected, leading to lengthy queues at petrol stations - despite ministers insisting the UK has plenty of fuel.

      There are reports of dozens of cars queuing in London by 07:00 BST on Sunday morning, while many filling stations had signs up saying they had no fuel.

      Transport Secretary Grant Shapps told the BBC’s Andrew Marr that there was enough fuel in the country and that if people were “sensible” and only filled up when they needed to there would not be shortages.

      As well as allowing more foreign workers, other measures include using Ministry of Defence examiners to increase HGV (heavy goods vehicle) testing capacity, and sending nearly one million letters to drivers who hold an HGV licence, encouraging them back into the industry.

      Officials said the loan of MoD examiners would help put on “thousands of extra tests” over the next 12 weeks.

      Recruitment for additional short-term HGV drivers and poultry workers will begin in October.

      Mr Shapps said: “We are acting now, but the industries must also play their part with working conditions continuing to improve and the deserved salary increases continuing to be maintained in order for companies to retain new drivers.”
      Survey findings about why there are driver shortages

      Logistics UK estimates that the UK is in need of about 90,000 HGV drivers - with existing shortages made worse by the pandemic, tax changes, Brexit, an ageing workforce, and low wages and poor working conditions.

      The British Poultry Council has previously warned it may not have the workforce to process as many turkeys as normal this Christmas because it has historically relied on EU labour - but after Brexit it is now more difficult and expensive to use non-UK workers.

      The Department for Transport said it recognised that importing foreign labour “will not be the long-term solution” to the problem and that it wanted to see employers invest to build a “high-wage, high-skill economy”.

      It said up to 4,000 people would soon be able to take advantage of training courses to become HGV drivers.

      This includes free, short, intensive courses, funded by the Department for Education, to train up to 3,000 new HGV drivers.

      These new “skills bootcamps” will train drivers to be road ready and gain a Cat C or Cat C&E license, helping to tackle the current HGV driver shortage.

      The remaining 1,000 drivers will be trained through courses accessed locally and funded by the government’s adult education budget, the DfT said.

      Fuel tanker drivers need additional safety qualifications and the government said it was working with the industry to ensure drivers can access these as quickly as possible.

      Mr Fels said many young people were “desperate” to get into the industry but couldn’t afford the thousands of pounds it costs to get a HGV license.

      He called for the government to recognise the industry as a “vocation” and offer student loans to help fund training.

      Sue Terpilowski, from the Chartered Institute of Logistics and Transport, said conditions for drivers also needed to improve, pointing out that facilities such as overnight lorry parks were much better on the continent.

      Richard Walker, managing director at supermarket Iceland, said it was “about time” ministers relaxed immigration rules in a bid to solve the HGV driver shortage and called for key workers, including food retail workers, to be prioritised at the pumps.

      On Saturday the BBC spoke to a number of drivers who had queued or struggled to get fuel.

      Jennifer Ward, a student paramedic of three years for Medicare EMS, which provides 999 frontline support to the East of England Ambulance Service, said she had to travel to five stations to get diesel for her ambulance.

      Matt McDonnell, chief executive of Medicare EMS, said a member of staff cancelled their shift because they had been unable to get fuel and said he was waiting to see if the government would introduce measures to prioritise key workers, like they had for shopping during the pandemic.
      ’Thimble of water on a bonfire’

      Industry groups the Food and Drink Federation and Logistics UK both welcomed the visa changes, with federation chief Ian Wright calling the measures “pragmatic”.

      But the British Retail Consortium said the number of visas being offered would “do little to alleviate the current shortfall”.

      It said supermarkets alone needed an additional 15,000 HGV drivers to operate at full capacity ahead of Christmas.

      Labour’s shadow foreign secretary Lisa Nandy said the changes were needed but described them as “a sticking plaster at the eleventh hour”.

      “Once again the government has been caught asleep at the wheel when they should have been planning for months for this scenario,” she told the BBC.

      https://www.bbc.com/news/business-58694004

  • Filière avicole : « Il y avait tous les piliers d’un cas de traite des êtres humains » – Libération
    https://www.liberation.fr/societe/filiere-avicole-il-y-avait-tous-les-piliers-dun-cas-de-traite-des-etres-humains-20210811_YEAZQE3CO5HXVMVNUYF6FBB2TM/?redirected=1

    Maillon méconnu de la filière avicole, le ramassage de volaille est un travail harassant, souvent effectué par des travailleurs étrangers, voire sans papiers. En Bretagne, plusieurs entreprises sont dans le viseur de l’inspection du travail, et l’une d’elles fait l’objet de poursuites pour « traite des êtres humains ».

    #paywall

  • Haute Maurienne : un parc contesté par ses habitants

    https://www.franceculture.fr/emissions/lsd-la-serie-documentaire/vanoise-un-parc-national-pour-qui-34-haute-maurienne-un-parc-conteste-


    Pour écouter, voir l’autre mp3 si pbm

    Dans la haute vallée de la Maurienne, les villages ont voté massivement contre la charte du parc national de la Vanoise. Pourquoi un tel rejet ?

    Dans la haute vallée, la commune nouvelle de Val Cenis a plus de 80 % de son territoire dans le parc. Juste au dessus des villages, c’est le royaume des bouquetins, des marmottes, du gypaète barbu, et des loups… c’est aussi un territoire immense à brouter pour les nombreux troupeaux l’été, territoire qui fait la renommée de ces fromages. 
    https://media.radiofrance-podcast.net/podcast09/10177-02.08.2021-ITEMA_22702021-2021C26362E0198.mp3


    Un espace exceptionnel à préserver, mais pour qui ? Pour les animaux sauvages ? Pour les touristes (et puis quels touristes ?) ? Ou pour les habitants ? Tentatives de compréhension d’un conflit qui dure et qui cherche la porte de sortie, avec des habitants de Termignon, Sollières-Sardières, et Lanslevillard. 

    Pour Gilbert André, un des concepteurs du parc de la Vanoise, le parc devait appartenir aux habitants qui y vivent et non à des énarques parisiens. Y. Berneron

    Il faut une écologie raisonnée, qui ne tienne pas compte que de la nature mais aussi des gens qui vivent dans les montagnes. C. Jacquemmoz

    Il nous faut le parc pour vivre, pour vendre nos Beauforts, c’est grâce à l’image du parc et aux interdictions de pesticides qui en font un produit de qualité. C. Jacquemmoz 

    • Charlène Jacquemmoz, éleveuse de vaches laitières à Termignon
    • Célia Jacquemmoz, gérante de l’Auberge de Bellecombe à Termignon
    • Yves Berneron, habitant de Lanslevillard, conteur, forestier, moniteur de ski, co-créateur de la station de Val-Cenis et fondateur de l’école de ski, 
    • Raphaël Bantin, éleveur de vaches laitières à Termignon
    • Rozenn Hars, présidente de conseil d’administration du parc national de la Vanoise et habitante de Termignon
    • Joël Blanchemain, garde-technicien du parc national de la Vanoise, secteur Haute Maurienne et habitant de Termignon
    • Bernard Dinez, éleveur de brebis laitières à Sollières-Sardières
    • Eva Aliacar, directrice du parc national de la Vanoise 

    Merci à Rémi Zanatta et Anouchka Bianchi et à André Micoud pour m’avoir accompagnée dans mes questions et réflexions. Merci aussi à Séverine et David de l’hôtel La Turra.

    Un documentaire de Myriam Prévost réalisée par Annabelle Brouard 

     #montagne #agriculture #terres #france #environnement #écologie #biodiversité #élevage #vaches #moutons #escrologistes

  • [IMPACT] Huit mois après les révélations de Disclose sur #Lactalis et la pollution des cours d’eau par la multinationale du lait, l’Etat vient de lancer une procédure de « vigilance renforcée » contre 5 usines du groupe. Motif : des « non-conformités récurrentes ».
    L’ogre du lait : Lactalis, pollution en bande organisée - Enquête de Disclose https://lactalistoxique.disclose.ngo/fr/chapter/pollution-en-bande-organisee
    #Elevage #Lactalis