• Le barche dei migranti diventano un’orchestra. Alla Scala il primo concerto

    Dal legno delle imbarcazioni arrivate a Lampedusa violini, viole, violoncelli e contrabbassi. Il 12 febbraio suoneranno Bach e Vivaldi a Milano, in uno teatri più prestigiosi del mondo

    E alla fine approdano alla Scala di Milano. Sono violini, viole, violoncelli e contrabbassi costruiti con i legni delle barche dei migranti, arrivate a Lampedusa cariche di vite e di speranze, ma anche di morte e di lamenti. È l’Orchestra del Mare, quella che lunedì 12 febbraio suonerà per la prima volta, e lo farà nel teatro più famoso al mondo, con i suoi strumenti ancora verdi e azzurri e gialli come le assi dei gozzi che erano pochi mesi fa. Legni ben diversi dai pregiati abeti e aceri utilizzati nella liuteria, legni crepati, intrisi di gasolio e di salsedine, eppure casse armoniche in grado di suonare Bach e Vivaldi…

    Così come crepate sono le mani che hanno saputo trasformare le barche in orchestra, mani di uomini detenuti nel penitenziario milanese di Opera – i loro nomi sono Claudio, Nicolae, Andrea, Zurab –, diventati liutai sotto la guida di maestri esperti.

    Non poteva allora che chiamarsi Metamorfosi il progetto che ha dato vita a tutto questo, ideato dalla “Casa dello spirito e delle arti”, la fondazione creata nel 2012 per offrire all’umanità scartata un’opportunità di riscatto attraverso la forza inesauribile della bellezza e i talenti che ciascuno ha, anche in un carcere. «L’idea è nata come nella parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci – sorride Arnoldo Mosca Mondadori, presidente della Fondazione –: nel carcere di Opera da dieci anni funzionava la liuteria, dove il maestro liutaio Enrico Allorto e le persone detenute realizzavano i violini da donare ai ragazzini rom che al Conservatorio di musica non potevano permettersi uno strumento. Ma nel dicembre del 2021 portai nel laboratorio quattro legni delle barche di Lampedusa per fare un presepe e loro invece ne fecero un violino. Rimasi stupefatto, la loro idea si poteva moltiplicare, già mi immaginavo un’intera orchestra, poi – dissi loro – suonerà alla Scala».

    L’unico a credere subito a quella follia è stato Andrea, anni di carcere pesante in Tunisia e poi in Italia, nome d’arte Spaccabarche, perché lui e Claudio smontano i gozzi, Nicolae e Zurab li “rimontano” in violini e violoncelli. «Fu Andrea a darmi l’idea di rivolgermi all’allora ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e chiedere che quegli scafi, fino a quel momento sotto sequestro per essere polverizzati e poi bruciati, venissero invece dati a noi e da “rifiuti speciali” diventassero memoria viva – continua Mosca Mondadori –. I Tir ne hanno trasportate in carcere un centinaio, così com’erano…».

    «Con all’interno scarpe, biberon, vestiti, salvagenti, tutine da neonato – racconta Andrea “Spaccabarche” –, allora ti chiedi chi era quella gente, se si sono salvati, da quale disperazione dovevano scappare, e rifletti su te stesso: c’è qualcuno che sta molto peggio di me e questo ti dà quel po’ di umiltà che nella vita non fa mai male, anche perché è quella che ti consente di continuare a imparare, quindi di cambiare».

    Metamorfosi, appunto. «Si tratta soprattutto di legni di conifere, che usiamo per il fasciame degli strumenti», spiega Enrico Allorto, che con Carlo Chiesa è il maestro liutaio, «mentre per lo scheletro utilizziamo un altro legno più duro di cui non conosco il nome. Sono alberi africani oppure, chissà, di importazione, non sappiamo quelle barche da dove arrivassero. Ovviamente non hanno la resa dei veri legni di liuteria, ma cerco i pezzi più adatti: i più leggeri per simulare l’abete rosso e i più pesanti per imitare l’acero di cui è fatto il fondo. È chiaro che sono legni difficili, hanno addosso la vernice delle barche, le crepe, i buchi: mentre costruiamo gli strumenti ripariamo i danni, ma c’è una sofferenza in questi difetti e il fatto che riescano comunque a suonare scuote emotivamente. Da quei violini esce un Sos, “non lasciateci morire”, anche i musicisti suonando si commuovono».

    E a suonarli alla Scala saranno alcuni tra i più grandi al mondo: i violoncellisti Mario Brunello e Giovanni Sollima e il violinista francese Gills Apap “dialogheranno” con i tredici strumentisti dell’Accademia dell’Annunciata diretti da Riccardo Doni, mentre l’installazione scenografica sarà un dono di Mimmo Paladino, artista di fama internazionale. «Il suono di questi strumenti viene da lontano: lontano al di là del Mediterraneo, e lontano nel tempo, forse di secoli», commenta Mario Brunello, solista abituato ad esibirsi con le orchestre più prestigiose con il suo prezioso violoncello “Maggini” dei primi del ‘600. «Quel legno che ha attraversato il mare ora suona il Terzo Concerto Brandeburghese di Bach e L’Inverno di Vivaldi, poi una pagina di virtuosismo violinistico come il celebre Preludio di Kreisler o l’affascinante White Man Sleeps di Kevin Volans, compositore sudafricano. Chiude il programma Violoncellos Vibrez di Giovanni Sollima», violoncellista che nei teatri si esibisce con il suo “Francesco Ruggeri” del XVII secolo ed è il compositore italiano contemporaneo più eseguito nel mondo.

    In ouverture lo scrittore Paolo Rumiz, triestino che ha nel sangue la poetica della frontiera e del viaggio, leggerà “La memoria del legno”, testo crudo e tagliente in cui l’albero racconta in prima persona le sue metamorfosi, dalla crescita in Africa come patriarca venerabile abitato dalle anime dei trapassati, a quando viene abbattuto da una scure senz’anima e attraverso il deserto arriva al mare. Lì trova mani delicate che lo trasformano in barca per pescatori. Dimenticato sulla spiaggia, è poi violentato da mani di trafficanti e in mare aperto ode le voci del suo carico umano. All’approdo finale è marchiato a fuoco come corpo del reato e verrebbe bruciato se altre mani delicate non lo trasformassero invece in violini. «L’ho scritto in metrica rigorosamente dispari, endecasillabi e settenari – spiega Rumiz – perché il ritmo pari è quello usato per far marciare gli eserciti». “Voi non mi riconoscerete – comincia l’albero – perché quando sono arrivato puzzavo di vomito e salsedine, ma ora vi racconto la mia storia…”.

    Tutti gli artisti prestano gratuitamente i loro talenti per il progetto Metamorfosi: «L’articolo 27 porta il Vangelo nella Costituzione, dice che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato – ricorda Mosca Mondadori – e niente come un lavoro ricostruisce la dignità delle persone». Tra le carceri di Opera a Milano), Secondigliano a Napoli, Monza e Rebibbia a Roma «diamo lavoro a venti persone con contratti a tempo indeterminato. Le persone cambiano per davvero, ne ho viste passare tante e tutte ce l’hanno fatta grazie al lavoro, sia in carcere che dopo: la misericordia supera i tempi della giustizia». Sembrano sogni, ma sono realtà imprenditoriali che richiedono grande concretezza, «i conti a fine anno devono tornare e ogni mese abbiamo stipendi da pagare, ci sostengono Intesa Sanpaolo e Confcommercio insieme a generose Fondazioni (Cariplo, Peppino Vismara, Santo Versace, Alberto e Franca Riva, Comunità di Monza e Brianza): non sono idee astratte, sono persone, e tu le vedi rinascere».

    Ne sa qualcosa Nicolae, il liutaio che “rimonta” le barche in viole e contrabbassi: «In liuteria mi dimentico di essere in carcere e mi sento utile, se sono in grado di costruire, allora non sono così scarso da non poter fare niente, solo che non ho avuto fortuna né ho trovato i riferimenti giusti nella vita. Non cerco giustificazioni per ciò che ho fatto, dico solo che ho capito che il mondo non è soldi e bella vita, ci sono tante cose piccole che possiamo dare l’uno all’altro – dice accarezzando il pezzo colorato del futuro violino che sta lavorando –. Io do il mio contributo qui dentro, in silenzio, ma poi quando qualcuno suonerà questo violino io spero che muoverà qualcosa nel mondo», assicura commosso. «A rovinarci è la sete di potere, invece la terra è di tutti e alla fine di nessuno: siamo solo di passaggio».

    L’Orchestra del Mare non si ferma qui, presto si aggiungeranno un clavicembalo, percussioni, chitarre, il liuto arabo, vari strumenti del mondo mediterraneo, «tutto ciò che si può costruire con le barche», e magari dopo la Scala arriveranno altri grandi teatri. Dal carcere di Secondigliano escono già mandolini e chitarre, la prima è stata suonata da Sting in persona l’aprile scorso nel carcere napoletano. «Il mio tormento d’amore è sempre stato la necessità di comunicare il mistero dell’Eucarestia, cioè la presenza del Crocefisso e Risorto nell’Ostia – riprende Mosca Mondadori – e questi sono strumenti eucaristici, perché hanno dentro la morte ma anche la speranza, e il loro suono arriva a tutti i cuori, anche se non credenti». Arriverà certamente ai 1.850 spettatori che hanno già fatto il “tutto esaurito” per il 12 febbraio e ai detenuti delle quattro carceri, gli unici che potranno vedere lo spettacolo in streaming nei loro auditorium.

    Solo i detenuti liutai saranno alla Scala ad ascoltare i “loro” strumenti, come fossero figli loro, due addirittura saranno in palco reale assieme al sindaco Beppe Sala, al cardinale Josè Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione, alla vicepresidente del Senato Maria Domenica Castellone, al capo del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) Giovanni Russo, al direttore del carcere di Opera Silvio Di Gregorio, tutti lì alla pari. Il perché lo ha spiegato papa Francesco, per il quale nel 2022 ha suonato il primo violino costruito con le barche, quello del presepe mancato: «Quando entro in carcere mi faccio sempre una domanda: perché loro e non io? Avrei potuto agire peggio di loro», che forse sono stati sfortunati, o deboli, o hanno avuto una famiglia difficile. Aiutare i carcerati, ha ricordato Francesco ai volontari della Casa dello Spirito e delle Arti, «è una delle cose che Gesù dice che ci farà entrare in Cielo, ero carcerato e siete venuti a trovarmi. Ma resta quella domanda: perché loro e non io?».

    È la stessa domanda che vale per chi partì su quelle barche diventate orchestra, fossi nato nella loro guerra, piegato dalla loro miseria, non sarei partito anch’io?, conclude Arnoldo Mosca Mondadori. «Se ci fosse mio figlio su quel gozzo, vorrei che fosse rimpatriato in Libia in un campo di concentramento o pregherei perché venisse accolto con umanità nel Paese in cui è arrivato? Questa è la domanda dirimente che, chiunque noi siamo, dobbiamo onestamente farci. Tutta Metamorfosi si riassume in questo unico interrogativo».

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/se-le-barche-diventano-un-orchestraalla-scala-lo-s
    #mémoire #embarcations #Méditerranée #migrations #réfugiés #naufrages #musique #instruments_de_musique #concert #Lampedusa #Orchestra_del_Mare #bois

    • #Metamorfosi

      Un progetto di progetti per trasformare il dolore in nuova speranza.

      «Metamorfosi» è un progetto della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti in collaborazione con il Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria e l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli.

      Il progetto è reso possibile grazie a Fondazione Cariplo, Intesa Sanpaolo, Fondazione Peppino Vismara, Fondazione della Comunità di Monza e Brianza Onlus.

      Il progetto “Metamorfosi” è stato insignito della Medaglia del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del 79° Festival del Cinema di Venezia durante il quale è stato proiettato il cortometraggio che racconta il progetto.

      Di fronte alla tragedia contemporanea che vede il Mar Mediterraneo come il più grande cimitero d’Europa e di fronte al dramma a cui stiamo assistendo quotidianamente di milioni di persone in fuga dalla guerra, la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti ha voluto pensare a un progetto culturale e di conoscenza a cui ha dato il nome di «Metamorfosi».

      “Metamorfosi” è innanzitutto un concetto che vuole richiamare l’attenzione verso ogni persona costretta a fuggire dal proprio Paese a causa di guerre, persecuzioni e fame.

      “Metamorfosi” perché la proposta di porre lo sguardo su questi temi avviene attraverso non solo una metafora, ma una vera e propria metamorfosi: quella del legno dei barconi, trasportati dal molo Favarolo di Lampedusa in alcune carceri italiane, che viene trasformato in strumenti musicali e oggetti di testimonianza di carattere sacro.

      «Metamorfosi» affinché le persone e soprattutto i giovani possano conoscere una realtà, quella dei migranti, che viene spesso rimossa, guardata con indifferenza o affrontata e raccontata in modo ideologico.

      “Metamorfosi” perché a trasformare il legno dei barconi provenienti da Lampedusa in oggetti di speranza sono le persone detenute che vengono coinvolte nel progetto.

      Come nasce l’idea

      L’idea del progetto “Metamorfosi” è nata nel dicembre 2021 quando, all’interno del Laboratorio di Liuteria e Falegnameria nella Casa di Reclusione Milano-Opera, progetto istituito dal 2012, la Fondazione ha chiesto al falegname di Lampedusa Francesco Tuccio, di portare dei legni per costruire dei presepi che, nel tempo della pandemia, potessero essere un segnale di speranza per tutti, credenti e non credenti.

      Presepi dunque realizzati, sotto la guida di Francesco Tuccio, dalle persone detenute con il legno di una tragedia contemporanea.

      Nell’ambito di questa iniziativa, con alcuni dei legni è stato costruito un violino, utilizzando una tecnica risalente al 1500, con la quale in Inghilterra venivano costruite le viole da gamba.

      Il violino realizzato produce un suono che ha stupito musicisti e esecutori per la sua limpidezza.

      Il musicista e compositore Nicola Piovani, quando per primo lo ha ascoltato, ha deciso di scrivere una composizione dal titolo “Canto del legno”, che è stata eseguita davanti al Santo Padre dal primo violino dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Carlo Parazzoli.

      Questo primo violino tratto dal legno dei barconi è stato chiamato “Violino del Mare”.

      La collaborazione con il Ministero dell’Interno e con l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli

      Da qui prende spunto la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti per chiedere all’ex Ministro degli Interni Luciana Lamorgese 60 imbarcazioni provenienti dal molo Favarolo di Lampedusa, affinché potessero essere creati, all’interno della Liuteria del carcere di Opera e di altre liuterie presenti in diverse carceri italiane, strumenti musicali: violini, viole e violoncelli per la nascita di una vera e propria “Orchestra del Mare”.

      Le imbarcazioni, grazie alla collaborazione con ADM, sono state trasportate da Lampedusa all’interno del carcere di Opera.

      Il progetto prevede di far suonare questi strumenti musicali ad orchestre italiane e straniere, portando con essi una cultura della conoscenza, dell’accoglienza e dell’integrazione, attraverso la bellezza e le armonie.

      Nello specifico, nel corso del 2022 sono stati costruiti, dalle persone detenute nelle diverse Case di Reclusione, un secondo violino, una viola e un violoncello; nel corso del 2023 saranno costruiti altri 6 violini e nel corso del 2024 saranno costruiti altri 8 strumenti ad arco.

      A coordinare la formazione e il lavoro delle persone detenute sono esperti liutai, come

      il liutaio Enrico Allorto che sta coordinando la Liuteria nel carcere di Opera.

      Strumenti musicali, Croci e Rosari

      Gli strumenti ricavati dai barconi trasportati nel 2022 da Lampedusa nelle diverse carceri, verranno dunque suonati dalle orchestre che aderiranno al progetto e viaggeranno, come segno di testimonianza, in Italia e all’estero. «L’Orchestra del Mare» è perciò un progetto di adesione e prenderà vita nel momento in cui gli strumenti ricavati dai barconi verranno di volta in volta suonati dalle orchestre che aderiranno al progetto. Un viaggio per testimoniare in Italia e all’estero, attraverso l’armonia, il dramma che vivono quotidianamente migliaia di persone migranti in tutto il mondo. Nel triennio 2022- 2024, insieme agli strumenti musicali che comporranno l’"Orchestra del Mare", nei Laboratori di Liuteria e Falegnameria all’interno delle carceri, verranno costruite migliaia di croci da donare alle scuole italiane. Inoltre, con lo stesso legno dei barconi, nel carcere di Monza e in quello di Rebibbia a Roma e con il coinvolgimento della Casa di Accoglienza Profughi Centro Astalli e l’Opera Cardinal Ferrari di Milano che accoglie persone senzatetto, saranno realizzati rosari che verranno donati al Santo Padre.

      La Rete delle Liuterie e Falegnamerie nelle carceri italiane

      Con l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli e il Dap, la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti nell’agosto 2022 ha firmato un Protocollo per la creazione di una Rete di Liuterie e Falegnamerie nelle carceri italiane al fine di dare al Paese un forte segnale di testimonianza che ponga al centro la cultura e la dignità della persona.

      Ad oggi, le Case di Reclusione coinvolte sono quelle di: Milano- Opera, Monza, Rebibbia e Secondigliano.

      In ogni laboratorio, attraverso la Cooperativa Casa dello Spirito e delle Arti, sono assunte dalle tre alle cinque persone detenute.

      L’obiettivo comune delle diverse Liuterie e Falegnamerie è, dunque, la creazione di strumenti musicali che andranno a comporre l’”Orchestra del Mare” e di oggetti dal forte significato simbolico e sacro come, appunto, croci e rosari.

      I liutai e i falegnami coinvolti nelle diverse carceri restano in comunicazione tra di loro per coordinare il lavoro delle persone detenute in coerenza con gli obiettivi del comune progetto “Metamorfosi”.

      Il percorso immersivo per gli studenti

      “Metamorfosi” è un progetto anche di conoscenza.

      Il percorso proposto alle scuole e alle Università si svolgerà, a partire dal 2023, nella Casa di Reclusione Milano-Opera, dove tre barconi sono stati posti all’interno del carcere formando quella che è stata chiamata la «Piazza del Silenzio». All’interno di questa piazza situata al centro del Carcere, i giovani potranno partecipare ad una visita guidata, con la testimonianza di persone migranti che hanno vissuto personalmente il viaggio sui barconi.
      Questa esperienza potrà essere replicata, a partire dal 2024, anche nelle altre quattro carceri in collaborazione con le scuole e le Università locali.

      I momenti del percorso

      Ciascuna uscita didattico - formativa è suddivisa in diversi momenti.

      Il primo momento è nella “Piazza del Silenzio”: un narratore introdurrà il tema partendo dall’immigrazione del passato, in particolare dal racconto dell’emigrazione italiana e di come la storia si ripeta con i suoi pregiudizi e i suoi luoghi comuni.

      Dopo questo momento introduttivo, è prevista la testimonianza diretta di una persona migrante.
      I ragazzi sono invitati poi a meditare, ognuno in silenzio su un testo diverso, sulle testimonianze scritte da persone migranti tratte dal libro “Bibbia e Corano a Lampedusa” (La Scuola editore).

      I musicisti della Piccola Orchestra dei Popoli (progetto della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti) accompagnano questo momento suonando gli strumenti realizzati nel Laboratorio, primo tra i quali il “Violino del Mare”.

      Nella seconda parte del percorso, i ragazzi vengono accompagnati nella Liuteria dove possono conoscere le persone detenute mentre lavorano nella costruzione degli strumenti musicali.

      Un ultimo momento del percorso è di carattere teorico e accademico sui temi cardine del progetto a cura del RiRes - Unità di ricerca sulla Resilienza del Dipartimento di psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

      Ai ragazzi infine, è richiesto di restituire le loro emozioni, impressioni e riflessioni attraverso uno scritto personale.

      La Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti curerà una pubblicazione che racconterà l’esperienza, i pensieri e le emozioni degli studenti in collaborazione con l’Associazione Francesco Realmonte e il RiRes.

      Protocollo d’intesa tra la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti e il Museo del Violino di Cremona

      È stato condiviso tra la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti e il Museo del Violino di Cremona, un protocollo di intesa nel quale uno dei violini prodotti nel carcere di Opera, è entrato nella collezione permanente del Museo del Violino e viene utilizzato presso l’Auditorium del Museo, soprattutto per momenti di natura didattica rivolti alle scuole. In queste occasioni, non solo “il Violino del Mare” viene suonato ma viene anche raccontata la sua storia attraverso il racconto delle guide e le immagini che ne testimoniano la storia.

      https://casaspiritoarti.it/it/progetti/metamorfosi

      #douleur #espoir

  • En #Tunisie, la mort d’une #fillette retrouvée échouée sur une #plage suscite l’#indifférence générale

    Le corps d’une enfant a été retrouvé sur une île de l’archipel des #Kerkennah, au large de #Sfax, en décembre dernier, dans la même position que le petit #Aylan_Kurdi en 2015. Mais contrairement à lui, sa #photo n’a pas fait le tour du monde ni engendré la moindre #réaction politique. Un #silence qui en dit long sur la #banalisation des #naufrages en mer.

    Son corps sans vie a été retrouvé échoué sur une plage, le 24 décembre dernier, vêtu d’un blouson rose bonbon et d’un collant. Âgée d’environ 3 ans, la fillette reposait sur le ventre, face contre terre. Les #îles_de_Kerkennah, au large de Sfax, en Tunisie, ont été les tristes témoins de l’ignominie qui se déroule en #Méditerranée chaque jour : les naufrages qui s’enchaînent à la pelle ; ceux que l’on connaît, parce qu’ils laissent des traces derrière eux, et ceux dont on n’a pas connaissance, qualifiés d’« invisibles », pour lesquels aucune embarcation ni dépouille n’est jamais retrouvée.

    Mais cette fois, il y a une photo. L’enfant a été découvert sur la plage de #Sidi_Founkhal au petit matin, par un habitant de Sfax, originaire des Kerkennah, qui a décidé d’immortaliser l’horreur produite par nos politiques migratoires.

    Retrouvé par Mediapart, Boulbeba Bougacha, âgé de 20 ans, raconte avoir voulu « changer d’air » en allant déjeuner avec ses proches sur la plage, aux alentours de 13 heures, le 24 décembre. « On l’a trouvée là, allongée sur le ventre. On a appelé les autorités, qui sont venues la récupérer. Ça a été un choc. On sait que beaucoup de gens meurent en mer, mais on n’est jamais préparé à voir une chose pareille. »

    Sur la même plage ce jour-là, la mer a expulsé de ses entrailles au moins trois autres corps adultes, tous subsahariens. Boulbeba s’est exprimé sur les ondes de la radio locale Diwan FM, le 26 décembre 2022. Mais, fait surprenant, ni l’information ni la photo n’ont été relayées en Tunisie ou ailleurs, hormis dans quelques rares publications sur les réseaux sociaux. On se souvient de la photo du petit Aylan Kurdi, un enfant kurde retrouvé lui aussi échoué sur une plage de Turquie en 2015, quasiment dans la même position, qui avait suscité l’émoi et l’indignation partout à travers le monde.

    Dans l’archipel de Kerkennah, où règnent les familles de pêcheurs, tout le monde ou presque a entendu parler de la fillette. Mais le choc des premières découvertes de naufragé·es en mer a laissé place, depuis plusieurs années, à une forme de #résilience. « On voit des #cadavres presque tous les jours », lâche Nasser*, qui vit de la pêche.

    Lorsque nous le rencontrons à Remla, capitale des îles Kerkennah, l’homme semble soulagé d’être enfin entendu. Au printemps dernier, il dit avoir trouvé un bébé, âgé d’à peine 2 ans. « La dernière fois, j’ai vu quatre ou cinq morts d’un coup. Quand on appelle la garde nationale, ils nous demandent si ce sont des Blancs ou des Noirs. Si ce sont des Noirs, ils ne se déplacent pas. »

    Des pêcheurs traumatisés

    Depuis les années 2000, l’archipel aux 15 000 âmes s’est transformé en lieu de départ pour les personnes souhaitant émigrer vers l’Europe, du fait de sa proximité avec l’île italienne de Lampedusa. Il attire ainsi les Tunisiens, mais aussi, depuis une dizaine d’années les Subsahariens, de plus en plus nombreux à passer par la Tunisie (et le Maghreb de manière générale) pour tenter de travailler et/ou de prendre la mer.

    « De par sa localisation, Sfax a attiré beaucoup de Subsahariens, d’abord parce que c’est la deuxième plus grande ville de Tunisie et qu’il y a un fort besoin de main-d’œuvre, ensuite parce qu’elle est proche de Kerkennah, où des réseaux de passage existaient déjà », analyse Hassan Boubakri, chercheur à l’université de Sousse et de Sfax.

    Jeudi 9 février, des militaires armés contrôlent la montée à bord du Loud, nom du ferry reliant Sfax à Kerkennah en une heure. Plusieurs hommes voyageant seuls sont mis à l’écart, contrôlés puis interrogés.

    « Les autorités surveillent beaucoup l’île désormais, poursuit le spécialiste des migrations. Les Noirs ne peuvent plus rallier Kerkennah et les Tunisiens doivent présenter un justificatif démontrant qu’ils vont travailler ou rendre visite à des proches pour s’y rendre. » Les pêcheurs qui acceptent de s’exprimer confirment tous l’information. Mais ils précisent que des départs par la mer continuent de s’organiser depuis l’archipel, sans doute par l’intermédiaire des Tunisiens y ayant leur « réseau ».

    Les départs se font aussi depuis Sfax, rendant la traversée plus longue et dangereuse pour les exilé·es. « Une journée comme ça, avec un vent du Nord plutôt fort, va nous ramener plusieurs cadavres sur l’île », assure Nasser, qui se dit traumatisé par la vue de visages défigurés ou de corps à moitié dévorés par les poissons et les oiseaux migrateurs, très présents sur l’île. « La dernière fois, j’étais tellement marqué par ce que j’avais vu que sur le trajet retour vers ma maison, j’ai dû m’arrêter sur le bas-côté pour reprendre mes esprits », poursuit-il, le regard vide et abîmé.

    Il y a aussi les squelettes, que les pêcheurs disent observer surtout sur l’île de #Roumedia, située au nord-est de l’archipel. « Il y a un corps qui est là-bas depuis l’Aïd-el-Séghir [la fête marquant la fin du ramadan – ndlr], donc depuis avril dernier. On l’a signalé mais personne n’est venu le récupérer », regrette l’un des amis de Nasser, également pêcheur.

    Un autre explique avoir culpabilisé après avoir laissé un corps dans l’eau lorsqu’il était au large : « Si je l’avais signalé à la garde nationale, elle m’aurait demandé ensuite de l’accompagner jusqu’au #cadavre. C’était trop loin et il y avait de grandes chances que je n’arrive pas à le retrouver », se justifie-t-il.

    Ce dernier se souvient également avoir trouvé, il y a quelques mois, une femme enceinte sur le bord d’une plage. « C’est très dur pour nous. On sort en mer et on ne sait pas sur quoi on va tomber », ajoute-t-il, expliquant avoir constaté une hausse des naufrages en 2022. Tous affirment que « l’#odeur » est insupportable.

    Une question, qu’ils prononcent du bout des lèvres, les taraude : les poissons qu’ils pêchent et qu’ils donnent à manger à leur famille se sont-ils nourris de ces cadavres dont personne ne se préoccupe, parce que « migrants » ?

    À #Mellita, dans le sud des Kerkennah, d’autres remontent régulièrement des corps dans les mailles de leur filet. Certains, comme Ali*, en trouvent coincés dans leur charfia traditionnel, un barrage visant à bloquer le poisson et à le rediriger vers un piège.

    Dans sa maisonnette, l’homme raconte comment il a ainsi trouvé le corps d’un homme d’une quarantaine d’années coincé sous l’eau. « J’ai appelé la garde nationale à 11 heures. J’ai attendu jusqu’à 15 heures mais personne n’est venu le récupérer. Le lendemain, j’ai retrouvé le corps au même endroit. » La garde nationale aurait invoqué un « manque de moyens ».

    Si dix-huit mille personnes ont réussi à traverser la Méditerranée depuis les côtes tunisiennes en 2022 pour rejoindre l’Italie, « au moins neuf mille migrants ont dû mourir en mer », présume un habitant des Kerkennah, qui préfère garder l’anonymat.

    Pour Hassan Boubakri, également président du Centre de Tunis pour la migration et l’asile (Cetuma), plusieurs signes viennent démontrer que l’on assiste à une #banalisation de la mort en Méditerranée, dans un contexte de multiplication des naufrages. « Il y a les #médias qui font régulièrement le décompte des morts, les pêcheurs qui ne sont plus surpris de sortir des corps de leur filet, les riverains de la mer qui souffrent d’assister à tout cela… »

    Et d’ajouter que cette banalisation se traduit aussi à travers les procédures de plus en plus standardisées pour la prise en charge des naufrages et des corps retrouvés. « Tous les acteurs impliqués, comme la garde nationale, l’appareil judiciaire, la médecine légale ou le Croissant-Rouge, sont devenus, même inconsciemment, parties prenantes de cette banalisation. Tout le monde s’accorde à dire que la Méditerranée est devenue un cimetière, alors que cela devrait susciter de la compassion. Mais on est passés de la #compassion à l’#indifférence, avec très peu de perspectives sur les solutions pouvant protéger les personnes menacées », décrypte-t-il.

    La difficile #identification des non-Tunisiens

    Face à ces drames, plusieurs acteurs s’activent, dans l’ombre, pour tenter de documenter les naufrages et permettre l’identification des victimes, comme la plateforme AlarmPhone. Pour le Comité international de la Croix-Rouge (CICR), qui aide au rétablissement des liens familiaux et travaille en coopération avec le Croissant-Rouge tunisien, la recherche et l’identification des personnes disparues en mer sont indispensables.

    Si les autorités tunisiennes restent responsables pour le processus d’identification des personnes ayant perdu leur vie en mer, le CICR intervient en appui, sur la base d’une « demande de recherche », ouverte le plus souvent par un proche de disparu. Il vérifie alors les informations permettant de faire le lien avec la personne présumée disparue. Quelle est son identité ? Quels vêtements ou quels effets personnels avait-elle ? Quel signe distinctif peut permettre de l’identifier ?

    La démarche est plus simple s’agissant des ressortissants tunisiens, pour lesquels les autorités peuvent consulter le fichier des empreintes digitales et dont les familles, basées en Tunisie, se mobilisent pour les retrouver. Elle est moins évidente s’agissant des exilés non tunisiens, dont les proches restent dans le pays d’origine et n’ont pas toujours d’informations sur le projet ou le parcours migratoire de la personne disparue.

    Dans ce cas, le CICR s’autorise à prendre en compte les informations venues d’ami·es ou de connaissances ayant croisé la route d’une personne portée disparue. Mais parfois, le signalement ne vient jamais. « Certains ont peur de signaler une disparition aux ONG parce qu’ils ne font pas la différence avec les autorités. Ils ne veulent pas avoir des ennuis », commente Yaha, une Ivoirienne et entrepreneure installée à Sfax depuis six ans, qui consacre tout son temps libre à accompagner les proches de disparu·es en mer dans leurs recherches, notamment avec le Croissant-Rouge.

    À Sfax, où nous la retrouvons, Yaha rejoint deux jeunes Ivoiriens, inquiets pour un groupe de sept personnes qui ne donnent plus signe de vie. « Il y a cinq adultes et deux enfants, âgés de 2 ans et de 8 mois. Ils ont disparu depuis deux semaines. On sait qu’ils sont morts en mer. Maintenant, on veut savoir si leurs corps ont été retrouvés », souffle le premier, occupé à chercher leurs photos sur son téléphone. La fillette des Kerkennah ? Ils n’en savent rien. Le second commente : « Les gens ne préviennent pas quand ils partent. Il faut attendre qu’ils disparaissent pour qu’on le sache. »

    Tous deux iront, deux jours plus tard, dans les locaux de la garde nationale de Sfax, où ils pourront accéder au registre et aux photos des naufragé·es. Ils seront accompagnés d’un membre du Croissant-Rouge, dont la présence est censée rassurer vis-à-vis des autorités et aider sur le plan émotionnel, dans un moment particulièrement difficile.

    Identifier les personnes disparues n’est pas chose facile : durant le week-end des 28 et 29 janvier, soit la période correspondant à leur disparition, les acteurs associatifs comptent onze à douze tentatives de traversée, dont au moins trois naufrages.

    Une #morgue dépassée

    Pour l’heure, aucune demande de recherche n’a été enregistrée par le #CICR concernant la fillette des Kerkennah, que ce soit en Tunisie ou en Italie. Plusieurs acteurs locaux redoutent que ses parents soient décédés lors du naufrage. « On pense qu’il n’y a pas eu de survivants pour cette embarcation. Elle a été retrouvée à un moment où il y a eu beaucoup de naufrages. On sait juste qu’elle a la peau noire, comme les adultes retrouvés sur place le même jour », indique un membre du tissu associatif. Selon nos informations, son corps est resté un temps à la morgue de l’hôpital de Sfax, avant d’être inhumé.

    « Quand il y a un naufrage, c’est la #garde_nationale qui doit porter secours. S’il y a des personnes décédées, elle les ramène sur terre, où l’unité technique et scientifique prend des photos et des traces d’ADN. [Les corps] sont ensuite emmenés à la morgue, jusqu’à ce qu’ils soient réclamés ou qu’il y ait un ordre d’#enterrement provenant de la municipalité, pour ceux qui n’ont pas été identifiés », détaille la militante des droits humains. Problème, l’unité médico-légale de l’hôpital de Sfax, qui a une capacité de quarante places, est débordée.

    Sollicitées, leurs équipes n’ont pas souhaité s’exprimer. Mais dans un document que nous avons pu nous procurer, l’unité médico-légale fait état d’une « nette augmentation » des naufrages en mer ces dernières années, les exilé·es représentant désormais 50 % de l’activité des effectifs.

    On y apprend également que les personnes de peau noire représentent la majorité des #victimes et que les enfants, de même que les nourrissons, représentent 5 % des naufragés au large de Sfax sur le premier semestre en 2022. La plupart d’entre eux n’avaient aucun document d’identité.

    L’unité souffre de conditions de travail « difficiles », dues à un manque criant de moyens. À plusieurs reprises, des cadavres ont dû, par manque de place, être entreposés sur un brancard dans les couloirs de l’établissement. « Les migrations dépassent tout le monde, admet Wajdi Mohamed Aydi, adjoint au maire de Sfax chargé des migrations, qui évoque un manque de gouvernance à l’échelle nationale. Il y a des tentatives de traversée et des #accidents chaque semaine, voire chaque jour. On s’occupe de l’#enterrement des personnes non identifiées, en essayant de respecter au mieux leur dignité. » Lorsqu’il n’y a pas de nom, un numéro est inscrit sur la #pierre_tombale.

    Les Subsahariens confrontés à la #précarité et au #racisme

    L’élu pointe aussi un phénomène récent, celui de l’apparition d’embarcations en métal utilisées par les migrants pour la traversée (selon plusieurs sources, certains les fabriqueraient eux-mêmes, sous la houlette des réseaux de passage tunisiens).

    Une information que confirme la militante des droits humains déjà citée : « Ces nouvelles #embarcations en métal sont une catastrophe. Ils cherchent à en fabriquer un maximum de l’heure et ne les soudent pas bien. Les gens ont peu de chances de s’en sortir s’il y a un naufrage car les bateaux coulent plus vite et ils restent coincés à l’intérieur. »

    À six kilomètres au sud de Sfax, dans le quartier défavorisé de #Ben_Saïda, où vit une communauté importante de Subsahariens, Junior s’engouffre dans la maison inachevée qu’il occupe, dont les murs en briques sont restés nus. C’est ici que le jeune Guinéen (Guinée-Conakry), âgé de 16 ans, vit avec au moins soixante-dix autres jeunes, originaires de ce même pays, du Cameroun, de Côte d’Ivoire, du Sénégal ou du Mali. Tous ont déjà tenté au moins une fois la traversée et attendent de pouvoir de nouveau tenter leur « chance ».

    Dans l’intérieur sombre de l’habitation, où des matelas et couvertures sont disposés à même le sol, des dizaines de gamins se bousculent, curieux de nous voir pénétrer leur univers. Une majorité de jeunes hommes, encore dans l’adolescence, dont le visage et les corps sont déjà usés par l’exil. « On a été interceptés par la garde nationale il y a deux semaines. Ils nous ont mis en difficulté exprès. Mon frère Mohamed est tombé à l’eau et s’est noyé », résume Junior, encore en état de choc. Il montre une vidéo de la garde nationale fonçant sur une embarcation refusant de s’arrêter en mer. Il montre aussi ses pieds blessés lors de l’interception et restés sans soins depuis.

    Les quelques femmes vivant là, seules ou avec leur enfant, disent être inquiètes pour un couple et son bébé, disparus depuis trois semaines. « On sait qu’ils voulaient traverser. On n’a plus de nouvelles, on pense qu’ils sont morts en mer. » Sur son smartphone, la bouille de l’enfant, dans les bras de sa mère souriante, apparaît.

    Malgré leur disparition en mer, elles veulent partir, elles aussi. « Mais j’ai très peur de l’eau, je ne sais pas nager », hésite l’une d’elles. Elle a quitté son pays pour fuir les violences conjugales. Elle expérimente désormais la violence des frontières.

    Junior n’a pas trouvé la force de contacter le Croissant-Rouge. « J’imagine que mon frère a été enterré. Je n’ai pas cherché à savoir car c’est trop lourd pour moi, ça me fait mal au cœur rien que d’y penser. » Les ados semblent avoir intégré le #risque de mourir en mer. Ils n’ont « pas d’autre choix », assurent-ils. « On ne peut pas rester dans notre pays et on ne peut pas rester ici. »

    Ils dénoncent le « racisme » auquel ils sont confrontés en Tunisie. « Des policiers ont volé mon portable l’autre jour. Au commissariat, ils n’ont pas voulu prendre ma plainte. Dans les épiceries, ils ne veulent pas nous vendre de riz parce qu’il y a une pénurie et qu’on n’est pas prioritaires. »

    Le membre du tissu associatif déjà cité explique : « Leurs #conditions_de_vie se sont durcies. Depuis quelque temps, un blocage a été mis en place à la Poste pour qu’ils ne puissent ni envoyer ni retirer de l’argent. » Il ajoute avoir observé, au cours des derniers mois, de nombreuses « #arrestations_arbitraires » de personnes en situation irrégulière.

    « C’est aussi ça qui pousse les gens à prendre la mer, affirme Yaha. S’ils restent ici sans papiers, c’est comme une prison à ciel ouvert. S’ils veulent rentrer chez eux, ils doivent payer une pénalité [d’un montant maximal de 3 000 dinars tunisiens, soit environ mille euros – ndlr]. Avec cet argent, certains préfèrent partir en Europe, où ils pourront offrir un avenir meilleur à leurs enfants. »

    https://www.mediapart.fr/journal/international/190223/en-tunisie-la-mort-d-une-fillette-retrouvee-echouee-sur-une-plage-suscite-

    #migrations #asile #réfugiés #décès #mourir_en_mer #fille #enfant #enfance #enfants #photographie #racisme #pêcheurs #Alan_Kurdi

    ping @karine4 @_kg_

    • En Tunisie, « il faut dépasser la question des #traversées pour penser l’immigration africaine »

      Dans un contexte où le Parti nationaliste tunisien s’en prend violemment à la communauté subsaharienne et où les naufrages ne cessent de s’intensifier en mer, le géographe #Camille_Cassarini revient sur les évolutions de la présence africaine dans ce pays du Maghreb, dont les politiques migratoires n’échappent pas aux mécanismes que l’on peut observer en Europe.

      DixDix-huit mille personnes ont réussi à rejoindre l’Italie depuis les côtes tunisiennes en 2022. Un chiffre en constante augmentation ces dernières années, démontrant que la crise socio-économique, mais aussi démocratique, dans laquelle s’enfonce la Tunisie ne cesse de pousser des personnes sur les chemins de l’exil.

      À l’heure où les naufrages s’amplifient et où la découverte du corps d’une fillette, échoué sur une plage des îles Kerkennah le 24 décembre dernier, vient brutalement nous rappeler la violence des politiques de fermeture des frontières, Camille Cassarini, chercheur à l’Université de Gênes et chercheur associé au LPED/IRD, alerte sur la nécessité de reconnaître l’immigration africaine en Tunisie.

      Après avoir passé plusieurs années à Sfax pour réaliser sa thèse, ville où la communauté subsaharienne est particulièrement importante, le géographe constate qu’un certain nombre de personnes viennent d’abord pour étudier et travailler.

      « Les personnes subsahariennes sont structurellement irrégularisées par l’État tunisien et leur départ prend avant tout naissance dans ce contexte de vulnérabilité juridique », souligne ce spécialiste des mobilités africaines en Tunisie, estimant que la délivrance d’un titre de séjour et l’ouverture de leurs droits pourraient permettre à certains de se projeter en Tunisie. Il faut, dit-il, cesser de penser ces mobilités sous l’angle du transit vers l’Europe.

      Mediapart : Depuis quand observe-t-on la présence d’exilés subsahariens en Tunisie ?

      Camille Cassarini : Depuis les années 1980, avec principalement des étudiants au départ, issus de classes moyennes supérieures, venus se former dans des instituts publics tunisiens. Il y a un premier changement dans les années 1990, qui correspond au grand pari de Ben Ali sur l’enseignement privé, visant à attirer lesdites « classes moyennes émergentes » d’Afrique.

      C’est ainsi qu’on a vu arriver des Camerounais, Congolais, Sénégalais ou Ivoiriens. Au même moment, il y avait déjà des mobilités de travailleurs qui arrivaient en Tunisie puis tombaient en situation irrégulière, mais on n’en parlait pas du tout.

      Un second changement a eu lieu en 2003, avec l’arrivée de la Banque africaine de développement et de son personnel, qui, à la suite des événements en Côte d’Ivoire, a été déplacée à Tunis. En 2011 enfin, l’arrivée au pouvoir d’Alassane Ouattara en Côte d’Ivoire a mis beaucoup d’Ivoiriens sur la route. On estime qu’il y avait alors quelques milliers d’Ivoiriens à Tunis, quelques centaines à Sfax. Ces chiffres ont connu une croissance très forte dans les années qui ont suivi. Je dirais qu’aujourd’hui, entre 30 000 et 50 000 personnes originaires d’Afrique subsaharienne vivent en Tunisie.

      Quel est leur profil ?

      On retrouve toujours une très large majorité de personnes ivoiriennes, ce qui est en soi une particularité, voire un paradoxe, car la Côte d’Ivoire n’était pas un pays d’émigration, contrairement à d’autres pays d’Afrique de l’Ouest. On observe surtout la présence de travailleurs, issus de deux principaux groupes socio-ethniques en Côte d’Ivoire (les Akan et Baoulé, ainsi que les Bété, proches de Laurent Gbagbo), qui, avant, ne migraient absolument pas hors de la Côte d’Ivoire et sont issus de couches sociales assez favorisées.

      Dans quelles conditions de vie évoluent-ils ?

      Jusqu’au Covid-19, tous ces groupes vivaient d’emplois relativement précaires ; pas seulement d’emplois journaliers, payés 25 dinars par jour, mais aussi de petites activités commerciales à la valise (le fait de ramener des produits du pays d’origine pour les revendre en Tunisie).

      Cette population arrivait par avion sans visa et vivait en situation irrégulière (puisque une fois passés les trois mois de séjour autorisés, ils n’ont plus de droit au séjour), dans des logements collectifs, parfois individuels et dans des conditions relativement précaires ; mais des conditions qui, au regard de leur précédente situation en Côte d’Ivoire, n’étaient pas forcément si mauvaises.

      Leur salaire leur permettait d’opérer des renvois de fonds et de soutenir leur famille. Notamment au regard du taux de change qui existait entre le dinar tunisien et l’euro, et donc le franc CFA. À partir de 2018, l’État tunisien a développé une autre politique monétaire, faisant doper les exportations et baisser la valeur du dinar. Les cordons de la bourse ont alors été de plus en plus serrés.

      Quel impact le Covid-19 a-t-il pu avoir sur les migrations de Subsahariens vers et via la Tunisie ?

      Étant donné que ces personnes vivaient majoritairement d’emplois journaliers, sur un marché du travail informel, elles ont été les premières à perdre leur emploi. Elles ont vécu une très forte précarité, notamment parce qu’elles n’avaient ni sécurité sociale, ni parachute, ni aucune structure familiale pouvant leur venir en aide. Et on a vu des choses apparaître pour la toute première fois durant cette période, comme la mendicité et le sans-abrisme. Sur le plan des arrivées, il y a eu une forte baisse des arrivées, mais cela a repris dès que le trafic aérien s’est rouvert.

      Selon les ONG, la présence des Subsahariens a fortement augmenté en 2022. Comment l’expliquez-vous ?

      Les arrivées ont augmenté, oui, mais difficile de dire dans quelle mesure. Ce qui est sûr, c’est qu’il n’y a plus seulement que des Ivoiriens. Il y a d’autres nationalités qui ont investi cette route migratoire comme les lieux d’installation ouverts par ces mobilités. Des personnes originaires du Cameroun et de Guinée-Conakry, qui pratiquent les routes migratoires entre Afrique de l’Ouest et Afrique du Nord depuis longtemps.

      Alors qu’on les trouvait beaucoup en Libye, en Algérie ou au Maroc, les mobilités ivoiriennes ont ouvert cette route à travers la Tunisie, notamment jusqu’à Sfax. Aussi, sans doute, parce que des routes s’ouvrent et se ferment en permanence, et que les populations cherchent de nouveaux itinéraires. Chaque groupe en migration a sa propre histoire migratoire.

      Ces populations, différentes les unes des autres, cherchent-elles toutes à tenter la traversée pour l’Europe ?

      Mes travaux montrent que les Ivoiriens sont venus en Tunisie pour travailler et s’installer. Ces mobilités s’apparentent donc de plus en plus à une immigration, avec des gens qui restent plusieurs années, fondent une famille et occupent des emplois et une position sociale en Tunisie. On est face à un début d’immigration qui est appelée à rester.

      Concernant les Guinéens et Camerounais (et je le dis avec beaucoup de prudence car je n’ai pas mené d’enquête sur le sujet), on sait que ce sont des groupes connus pour rechercher une traversée vers l’Europe. On sait aussi que ce sont des groupes surreprésentés dans les demandes d’asile en Europe. C’est une donnée sur laquelle on peut s’appuyer pour faire l’hypothèse qu’ils ne sont pas forcément en Tunisie pour y rester, contrairement aux Ivoiriens. Mais il faudrait y consacrer des travaux.

      L’arrivée de nouvelles nationalités a-t-elle changé la donne pour les réseaux de passage ?

      Oui. Ces nouvelles nationalités ramènent avec elles leur expérience de la route et de la traversée. Certaines personnes sont restées très longtemps en Libye et ont acquis de bonnes connaissances dans la fabrication de bateaux. En arrivant à Sfax, qui est une ville littorale avec toute une économie de la mer, elles se sont mises à fabriquer des bateaux ou à acheter des moteurs. C’est le cas des Guinéens et des Gambiens. Aujourd’hui, on voit de nouveaux types d’embarcation en métal.

      Cela étant dit, aucune économie du passage ne se fait sans l’aval, le soutien et la protection de réseaux de passage tunisiens vers l’Europe. Les personnes en situation de domination quotidienne, sans capital social ni économique, n’ont pas les moyens de mettre en place de tels réseaux. Les Tunisiens cherchent un public, certains Subsahariens leur donnent accès à ce public-là, et ensuite, c’est de la négociation et du business. S’il y a une économie du passage des Subsahariens vers l’Europe, c’est avant tout parce qu’il y a une économie du passage des Tunisiens vers l’Europe.

      Avec l’arrivée de ces nouvelles nationalités, l’économie du passage s’est diversifiée. On a une plus grande offre du passage, pour une demande qui n’est pas nécessairement plus importante qu’avant. La conséquence de cela, c’est que les prix ont baissé. Lorsqu’il fallait payer auparavant 5 000 dinars, 1 000 ou 1 500 dinars suffisent désormais pour partir.

      Avez-vous le sentiment que le nombre de naufrages a augmenté ?

      Les organisations de la société civile disent que cela augmente. Mais depuis le début de mon travail en Tunisie, donc en 2017, j’ai toujours entendu parler des naufrages et des morts qui en découlent. L’ennui, c’est qu’on a beaucoup de mal à décompter ces naufrages, on ne sait pas exactement qui meurt, puisqu’on compte beaucoup de disparus en mer.

      En Tunisie, on sent que cette question des disparitions prend de plus en plus d’importance, d’abord chez les familles de Tunisiens disparus qui se mobilisent, mais aussi chez les familles et proches de Subsahariens, parce qu’elles sont installées en Tunisie. C’est plus compliqué en revanche pour les autres, lorsqu’ils sont en transit et n’ont pas forcément de proches en Tunisie. C’est le travail des organisations telles que la Croix-Rouge internationale que de les aider à retrouver un proche disparu.

      Ceux qui survivent à ces naufrages restent confrontés à de forts traumas et ne sont pas du tout pris en charge ensuite. Cela fait partie de toute cette architecture frontalière, qui consiste à marquer les gens dans leur mémoire, leur corps, leur histoire.

      Qu’est-ce qui pousse les gens à tenter la traversée au risque de perdre la vie en mer ?

      Je crois qu’il faut déconstruire les logiques qui amènent les gens à partir, notamment parce que j’ai connu des personnes qui avaient construit une vie en Tunisie (comme les Camerounais) et qui sont parties malgré tout pour l’Europe. Les traversées sont aussi le produit de la fermeture des frontières qui s’opère en Afrique et, sans nier l’influence des États européens dans ce domaine, il ne faut pas non plus sous-estimer la capacité des États maghrébins et africains à développer leurs propres agendas stratégiques vis-à-vis de la migration.

      En Tunisie, les personnes subsahariennes sont structurellement irrégularisées par l’État tunisien et leur départ prend avant tout naissance dans ce contexte de vulnérabilité juridique : c’est parce qu’on empêche les circulations entre pays africains que ces personnes sont amenées à partir. Soit elles dépensent l’argent économisé dans le paiement de pénalités pour rentrer dans leur pays, soit elles paient une traversée vers l’Europe, le tout sous l’effet conjugué de la baisse du dinar, du renforcement de l’appareil policier tunisien et d’un climat de peur.

      Il faut donc poser la question fondamentale du droit au séjour pour les personnes subsahariennes en Tunisie. On ne parle pas de la nationalité, mais de l’obtention d’un titre de séjour qui leur ouvre des droits. Il faut dépasser la question des traversées pour penser l’immigration africaine en Tunisie.

      La Tunisie nie-t-elle l’existence de cette immigration ?

      Jusqu’ici, il n’y avait jamais eu de débat politique ou de véritable positionnement des acteurs politiques vis-à-vis de l’immigration africaine en Tunisie. Depuis quelque temps, le Parti politique nationaliste tunisien a lancé des campagnes xénophobes et racistes de lutte contre la présence africaine en Tunisie, reprenant les mêmes discours que les partis xénophobes en Europe, autour de la théorie du « grand remplacement ». Pour la première fois, un parti fonde sa rhétorique sur la présence africaine en Tunisie. Ce n’est pas anodin, parce que le pays avait toujours nié cette présence.

      Paradoxalement, cela montre que l’immigration africaine devient un sujet politique. On ne la regarde plus seulement comme une sorte d’extériorité, on la pense au regard de la société tunisienne, de manière très violente certes, mais cela fait naître de nouveaux débats. On voit d’ailleurs des acteurs de la société civile qui, en réaction à cette campagne, appellent à la régularisation. Finalement, on a une politisation latente et progressive de la question des mobilités africaines. On est bien face à une immigration.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/190223/en-tunisie-il-faut-depasser-la-question-des-traversees-pour-penser-l-immig

  • Migrants : #Decathlon retire les #kayaks de la vente à #Calais et #Grande-Synthe pour éviter les traversées de la #Manche

    Des kayaks pouvant être utilisés par des migrants pour traverser la Manche ont été retirés de la vente dans les magasins Decathlon de Calais et Grande-Synthe, a indiqué l’enseigne mardi. Une décision prise « en réaction avec le contexte actuel », déclare le service presse, notant que ces articles « peuvent servir d’#embarcations pour traverser la Manche ».

    Éviter de nouveaux drames. Des kayaks pouvant être utilisés par des migrants pour traverser la Manche ont été retirés de la vente dans les magasins Decathlon de Calais et Grande-Synthe, a indiqué l’enseigne mardi, confirmant une information de la Voix du Nord. « L’achat de ces kayaks ne sera plus possible » dans les magasins de Calais (Pas-de-Calais) et Grande-Synthe, près de Dunkerque (Nord), « en réaction avec le contexte actuel », a déclaré le service de presse de Decathlon. Ces articles sont « détournés de leur usage sportif » et « peuvent servir d’embarcations pour traverser la Manche » selon l’entreprise, qui indique que « ce n’est pas la conception qui est donnée à ces produits, ni leur utilité première ».

    Toujours disponibles à la vente en ligne

    L’enseigne spécialisée dans les articles de sports justifie ce retrait par un usage qui « pourrait mettre en danger la vie des gens qui les utilisent dans le cadre d’une traversée. » Elle indique que la décision a été prise « au magasin » et « validée par l’entreprise ». Elle ajoute que ces kayaks restent disponibles à la vente en ligne et dans les autres magasins, et précise que « les produits qui permettent d’améliorer la sécurité en mer comme les gilets, les rames ou la protection thermique seront, eux, toujours disponible à la vente » à Calais et Grande-Synthe.

    Vendredi, trois migrants avaient été portés disparus après avoir tenté de traverser la Manche sur des kayaks pour gagner l’Angleterre, dans un contexte de nouveau record des traversées de la Manche à bord de petites embarcations. Deux kayaks avaient été trouvés à la dérive au large de Calais jeudi, et deux naufragés secourus par la gendarmerie.

    https://www.europe1.fr/sante/migrants-decathlon-retire-ses-kayaks-de-la-vente-a-calais-et-grande-synthe-4

    #retrait #vente #migrations #asile #réfugiés

  • En Méditerranée, les canots de la mort

    Les embarcations qui emportent les migrants de la Libye vers l’Europe sont toujours moins solides. Un effet dramatique de la guerre menée contre le modèle économique des passeurs

    https://www.letemps.ch/monde/2016/12/11/mediterranee-canots-mort
    –-> la #responsabilité des morts en Méditerranée ? Les embarcations d’origine chinoise... pas les politiques migratoires européennes, par hasard ?
    #2A #Opération_Sophie #EUNAVFOR_Med #passeurs #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #embarcations_chinoises #bateaux #Méditerranée

    #smugglerblaming :

    La multiplication de ces bateaux a largement contribué au taux record de décès qu’a connu cette année la Méditerranée centrale.

  • « Prendre les navires des passeurs pour cible n’arrêtera pas les migrants »
    http://abonnes.lemonde.fr/idees/article/2015/04/29/prendre-les-navires-des-passeurs-pour-cible-n-arretera-pas-les-migra

    Les Européens qui vivent par-delà les Alpes se préoccupent-ils vraiment de ce qui se passe en Méditerranée ? Ou l’indignation de ces derniers jours n’est-elle que le fruit du dédain inspiré par la vue de centaines de cadavres à la dérive ? Ces deux questions sont pertinentes, puisque la démocratie repose aussi sur l’attention informée et constante de ses citoyens. Et si les citoyens sont distraits, les gouvernements en profitent pour poser un cautère sur une jambe de bois, qui satisfait tout le monde mais ne résout rien. Le dernier cautère en date contre les tragédies en mer est celui proposé par l’Union européenne avec le soutien de l’Italie : mitrailler et couler les barques dans les ports libyens afin que les passeurs ne puissent pas les remplir de migrants.

    #migrants #Italie #europe #méditerranée

    • Selon cette logique il faudrait mitrailler toutes les multinationales européennes implantées en Afrique qui ont détruit les structures communautaires et les cultures locales laissant les autochtones dans le plus grand dénuement... Colonisations, sources des migrations !

    • Asian Dub Foundation - Fortress Europe

      https://www.youtube.com/watch?v=eMXKt99W61A

      2022, ça semble optimiste maintenant...

      Keep bangin’ on the wall
      Keep bangin’ on the wall
      OF FORTRESS EUROPE!
      2022 -A new European order
      Robot guards patrolling the border
      Cybernetic dogs are getting closer and closer
      Armoured cars and immigration officers
      A burning village in Kosovo
      You bombed it out now you’re telling us go home
      Machine guns strut on the cliffs of Dover
      Heads down people look out! we’re going over
      Burnin up! can we survive re-entry
      Past the mines and the cybernetic sentries
      Safe european homes built on wars
      You don’t like the effect don’t produce the cause
      The chip is in your head not on my shoulder
      Total control just around the corner
      Open up the floodgates Time’s nearly up
      Keep banging on the wall of Fortress Europe
      Keep banging
      Keep banging on the wall of Fortress Europe
      We got a right , know the situation
      We’re the children of globalisation
      No borders only true connection
      Light the fuse of the insurrection
      This generation has no nation
      Grass roots pressure the only solution
      We’re sitting tight
      Cos assylum is a right
      Put an end to this confusion
      Dis is a 21st century Exodus
      Dis is a 21st century Exodus
      Burnin’ up can we survive re-entry
      Past the landmines and cybernetic sentries
      Plane, train, car , ferry boat or bus
      The future is bleeding coming back at us
      The chip is in your head not on my shoulder
      Total control around the corner
      Open up the floodgates Time’s nearly up
      Keep banging on the wall of Fortress Europe
      Keep banging
      Keep banging on the wall of Fortress Europe
      Dis is a 21st century Exodus
      Dis is a 21st century Exodus
      They got a right - listen not to de scaremonger
      Who doesn’t run when they’re feel the hunger
      From where to what to when to here to there
      People caught up in red tape nightmare
      Break out of the detention centres
      Cut the wires and tear up the vouchers
      People get ready it’s time to wake up
      Tear down the walls of Fortress Europe

  • Bruxelles et des ONG s’opposent sur le sort des migrants en mer

    Le 2 décembre, un tout nouveau #système_de_surveillance des #frontières européennes a commencé à être mis en place : #Eurosur. Son mécanisme : l’échange de #données#images_satellites, #fichiers, etc. – entre Etats membres. Sa cible : la #Méditerranée, et plus particulièrement les #embarcations_de_fortune chargées de #migrants qui tentent régulièrement la #traversée. Un système qu’une plate-forme Internet pilotée par des défenseurs des droits des étrangers aimerait aujourd’hui pouvoir contrecarrer.

    http://www.lemonde.fr/societe/article/2013/12/07/bruxelles-et-des-ong-s-opposent-sur-le-sort-des-migrants-en-mer_3527300_3224

    #migration #asile #réfugiés #surveillance

  • #Embarcation de #jeunes #espagnols #clandestins vers l’ #Algérie.

    http://goo.gl/yiN7Y

    La #crise #économique en #Europe commence à inverser les #flux #migratoires du #Nord vers le #Sud.

    Quitter son pays pour s’en sortir de la misère est un geste humain. Venant en réponse à la précarité qui advient au temps des vaches maigres. C’était les africains, les maghrébins et anciennement les boat-peoples se déplaçant d’Asie vers des terres moins austères. Mais que des jeunes européens prennent le large maritime et en direction du sud, est pour le moins un fait qu’on puisse considérer aussi bien insolite qu’inhabituel.