• Pendant ce temps-là, résultats exceptionnels des multinationales des enchères Christie’s, Sotheby’s et Phillips

    Avec 8,4 milliards de dollars de ventes, en hausse de 17 % par rapport à 2021, l’année 2022 restera dans les annales de #Christie's. Sur ce total, les enchères représentent 7,7 milliards, en #croissance de 33 % car dopées par des collections prestigieuses. Celle du cofondateur de #Microsoft, #Paul_G._Allen, a généré 1,62 milliard d’offres ; la collection de Thomas et Doris Ammann, incluait « Shot Sage Blue Marilyn » d’#Andy_Warhol, cédé pour 195 millions de dollars ; sans oublier celle d’Anne H. Bass, qui comptait deux toiles de #Mark_Rothko, dont l’une a été vendue 66,8 millions. […] #Sotheby's affiche, elle, 8 milliards de dollars, en progression de 9,6 % mais en prenant en compte un périmètre plus large que Christie’s. En réalité, si l’on s’en tient aux seules #ventes_d'art et de produits de luxe, les #enchères représentent 6,4 milliards et les ventes privées 1,1 milliard (à comparer aux 7,3 milliards de 2021). Le reste vient de ses enchères de biens immobiliers ou de voitures de collections effectuées par ses filiales Concierge Auction et RM Sotheby’s. […] Le numéro 3 mondial #Phillips a, lui aussi, réussi son meilleur total à 1,3 milliard de dollars (+30 % comparé à 2021), dont 250 millions de ventes privées (+20 %). Cette maison ciblée uniquement sur l’art des XXe et XXIe siècles, peut se targuer d’avoir obtenu 85 millions de dollars pour un #Basquiat, et d’afficher 47 % de nouveaux acheteurs cette année. […] Phillips, Christie’s, Sotheby’s, tous prévoient d’ouvrir de nouveaux espaces à Hong Kong ou à Shanghai sans négliger les prometteuses Séoul et Singapour. […]

    (Les Échos)

  • «Come le masse intortano lo Stato, lo Stato intorta le masse. Un segno inequivocabile della metamorfosi della Cina negli ultimi trent’anni da economia pianificata a economia di mercato è la passione delle amministrazioni locali per le aste. Per esempio, si indicono aste pubbliche per ribattezzare strade, ponti, piazze, ma anche condomini e palazzoni. La società che si aggiudica l’asta con la proposta più alta avrà diritto a scegliere la nuova denominazione. Nel 2006, in una città hanno deciso di mettere all’asta i nomi delle vie di un quartiere, perciò l’amministrazione locale ha pubblicato la documentazione necessaria, non prevedendo di scatenare l’accesa contestazione della popolazione. Qualcuno ha protestato: ’Se vendete i nomi, come facciamo a ritrovare la strada?’. Un altro ha fatto del sarcasmo: ’Non finirà che abiteremo nel quartiere Fuyanjie? E da oggi sulle lettere per gli amici che inidirizzo scriveremo? Via Naobaijin?^. Il Fuyanjie è una lozione germicida, specifica per le lavande vaginali, mentre il Naobaijin è un medicale per via orale, che pare combatta l’insonnia. La cosa esilarante è che ci sono stati cittadini che hanno proposto di mettere in vendita anche il nome della città, meglio se alla Coca-Cola Company in modo tale che si sarebbe chiamata Coca-Cola City.

    L’amministrazione si è giustificata così: ’La commercializzazione delle denominazioni stradali non è che una semplice proposta e, per il momento, non siamo ancora passati alla fase di realizzazione, pertanto le preoccupazioni avanzate dai cittadini non hanno ragione di essere. Se in futuro si procederà formalmente alla sua attuazione, si agirà conformemente alla normativa vigente e le società non potranno gestire la cosa in maniera selvaggia’.
    Alla fine, sotto la pressione dell’opinione pubblica, l’asta non ha avuto un seguito, anche se i funzionari locali, ogni volta che venivano in argomento, ne parlavano molto favorevolmente, sottolineando che ormai si era nell’economia di mercato, facendo operazioni commerciali. Negli ultimi anni, ’operazione commerciale’ è l’intercalare preferito dei funzionari locali e, a volte, persino la loro leva per intortare i cittadini.»

    source: Yu Hua, La Cina in dieci parole , Feltrinelli, 2012, pp.218-219

    #Chine #commercialisation #privatisation #noms_de_rue #toponymie #enchères #économie_de_marché

  • ÉDITO : Quand la fièvre spéculative s’empare du jeu vidéo… – Le Mag de MO5.COM
    https://mag.mo5.com/a-la-une/208592/edito-quand-la-fievre-speculative-sempare-du-jeu-video

    Ce qui a changé par rapport aux précédents records, c’est que l’agence de notation WataGames lui a décerné un 9.8A++, a priori la note maximale qu’un exemplaire de ce jeu pourrait décrocher, mais cela reste étonnant quand un 9.4A+ faisait presque quarante fois moins en début d’année. Et dans la mesure où Heritage Auctions récupère 20% de la transaction – le jeu a en réalité été adjugé à 1,3 millions – plus 5% de la somme touchée par le vendeur, on peut effectivement se demander s’il n’y a pas anguille sous roche… Car si la maison de vente aux enchères assure faire toutes les vérifications nécessaires, l’acheteur demeure en général anonyme à moins de se manifester publiquement. Les arnaques ne sont hélas pas nouvelles dans le jeu vidéo, avec des faux prototypes et kits de développement par exemple, mais c’est bien sûr à tout autre chose que l’on a affaire ici, bien plus subtile et plus légale en apparence.

    Sur l’étonnante envolée des prix de jeux vidéo anciens, avec une relation consanguine, voire collusion, entre organisateurs des enchères et les évaluateurs des jeux, dont les acheteurs anonymes sont tantôt associés à des fonds d’investissements, tantôt les vendeurs, désireux de faire gonfler artificiellement les prix.

    De manière connexe, on peut s’intéresser à la concentration constatée dans le marché de l’art en général :

    The Art Market is a Scam (And Rich People Run It)
    https://www.youtube.com/watch?v=ZZ3F3zWiEmc

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #art #spéculation #enchères #population #édité #enquête #estimation #wastagames #heritage_auctions #console_nes #console_playstation #jeu_vidéo_super_mario_bros #jeu_vidéo_stadium_events #deniz_khan #jeu_vidéo_the_legend_of_zelda #jeu_vidéo_super_mario_64 #chris_kohler #frank_cifaldi #magazine_superman #comics_superman #karl_jobst #jim_halperin #just_press_play #seth_abramson #otis #mythic_markets #jeu_vidéo_super_mario_bros_3 #dain_anderson #gocollect #sec #nintendoage #gamevaluenow #jeu_vidéo_tomb_raider #console_saturn #kelsey_lewin #video_game_history_foundation #jeu_vidéo_spiderman #console_atari_2600 #seth_abramson #yūji_naka #jeu_vidéo_sonic #mega_drive #goodwill

  • #Italie. Un #soulèvement de bergers agite la #Sardaigne

    Depuis quelques jours, les producteurs de lait de chèvre et de brebis de l’île italienne multiplient les actions démonstratives. Ils protestent contre la baisse des #prix de ce bien, qui entraîne une chute considérable de leurs revenus. À une dizaine de jours des élections régionales, la Sardaigne s’embrase.


    https://www.courrierinternational.com/revue-de-presse/italie-un-soulevement-de-bergers-agite-la-sardaigne
    #agriculture #lait #élevage #résistance #prix_du_lait
    ping @albertocampiphoto

    • La lotta dei pastori sardi si combatte nei supermercati

      La protesta dei pastori sardi, che da giorni rovesciano latte in strada, è emblematica dei sempre più frequenti conflitti tra i vari attori della filiera alimentare. Prima di arrivare in tavola, ogni cibo passa attraverso diverse fasi: ci sono i produttori di materia prima (nella fattispecie i pastori), i trasformatori industriali (che fanno i formaggi) e i punti vendita – oggi sempre più dominati dalla Grande distribuzione organizzata (Gdo).

      I passaggi non sono noti al grande pubblico, che vede solo l’ultimo anello della catena e si stupisce delle proteste eclatanti periodicamente messe in campo dai produttori.

      Nel caso del latte ovino e del pecorino, la mancata regolamentazione e l’inefficacia delle sanzioni in caso di sovrapproduzione hanno determinato un surplus di prodotto – e un conseguente crollo dei prezzi, che si è riversato a cascata sugli attori più deboli della filiera.

      Soluzioni tampone
      Esistono strumenti normativi per evitare situazioni simili: si possono aumentare le sanzioni, oggi pari ad appena 16 centesimi al chilo per gli industriali del pecorino che producono in eccesso. Si può applicare l’articolo 62 della legge del 2012, che vieta l’acquisto al di sotto del costo di produzione. Si possono prevedere aiuti pubblici compensativi quando il prezzo di mercato scende eccessivamente, come ha fatto il governo precedente e si appresta a fare quello in carica.

      Per quanto necessarie e importanti, si tratta di soluzioni tampone: oggi la filiera alimentare sconta la sproporzione di forze tra un attore molto potente – le insegne della Gdo – e un mondo della produzione spesso poco organizzato, incapace di avere un reale peso contrattuale di fronte ai giganti del commercio.

      Negli ultimi anni le insegne dei supermercati hanno incentrato il proprio marketing su una pura politica di prezzo: le campagne promozionali lanciate in modo ossessivo, i 3x2, il sottocosto, le scontistiche varie hanno trasmesso al pubblico la percezione che il cibo valga pochissimo. Anche se in questo particolare frangente le responsabilità della Gdo sono limitate, il ruolo di quest’ultima nello schiacciamento di diverse filiere produttive è indiscutibile.

      Il cittadino consumatore, se informato, non baderà solo al prezzo di un prodotto, ma al suo valore d’insieme

      La crisi attuale, con l’ampia ondata di solidarietà che ha raccolto in tutto il paese, può rappresentare un’occasione per invertire questa tendenza. Diverse insegne, tra cui Coop, Conad, gruppo Végé, gruppo Crai hanno dichiarato la propria solidarietà alla lotta dei pastori. Coop ha annunciato che, attraverso i trasformatori, comprerà il latte a un euro al litro (invece che all’attuale prezzo di mercato di 60 centesimi).

      Oggi i supermercati possono dire a un pubblico solidale con le battaglie dei pastori che il pecorino è venduto a un prezzo più alto perché dietro ci sono dei produttori che faticano e il cui lavoro deve essere adeguatamente remunerato.

      Hanno l’opportunità di raccontare la filiera, mostrare chi produce ciò che troviamo sullo scaffale, restituire identità al cibo. Lo possono fare per il pecorino, così come per migliaia di altri prodotti venduti oggi a prezzi eccessivamente bassi. Perché il cittadino consumatore, se informato, non baderà solo al prezzo, ma anche a tutti quegli aspetti che costituiscono l’insieme valoriale che intorno al cibo ruota, come i rapporti produttivi, il rispetto per l’ambiente, il sostegno a un’economia fatta di lavoratori e lavoratrici che tengono vive e attive le nostre campagne.

      https://www.internazionale.it/opinione/stefano-liberti/2019/02/15/pastori-sardi-supermercati
      #supermarchés #grande_distribution

    • I pastori sardi scrivono a #Eurospin: “La Gdo smetta di scaricare i costi sui produttori”

      Aveva fatto scalpore la decisione, seguita da una marcia indietro, della catena di distribuzione organizzata Eurospin di acquistare 10mila tonnellate di #pecorino_sardo con una asta online a doppio ribasso proprio nei giorni in cui i pastori sardi rovesciavano il latte ovino per le strade, protestando contro il prezzo troppo basso imposto dai trasformatori. A rivelarlo era stata un’inchiesta d’Internazionale e l’associazione Terra!, che si era rivolta al Ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio. Ora i pastori sardi scrivono a Eurospin, che ha poi annunciato l’aumento di un euro al chilo per il pagamento del pecorino, chiedendo rinunciare alle aste al ribasso.

      https://ilsalvagente.it/2019/03/01/i-pastori-sardi-scrivono-ad-eurospin-la-gdo-smetta-di-scaricare-i-costi-sui-produttori/51798
      #supermarchés #enchère

  • Le catene della distribuzione - video d’inchiesta 2016

    Il trailer della video inchiesta di Leonardo Filippi, Maurizio Franco e Maria Panariello, finalista della quinta edizione del Premio Morrione. Tutor: Toni Capuozzo. Tema dell’inchiesta il rapporto tra la grande distribuzione organizzata e il sistema dell’agroalimentare.

    https://www.youtube.com/watch?v=ByRDdv2bptY

    #agriculture #Italie #caporalato #vidéo #agro-business #supermarchés #travail #exploitation #supermarché
    cc @albertocampiphoto —> come trovare il film/DVD? Non riesco a capire...

    • Migrants treated as modern slaves in Italian fields

      Many migrants are forced to work in Italian fields over the summer for as many as 12 hours a day for almost no pay. At night, they sleep in tents under unhygienic conditions and are even forced to go without food.


      http://www.infomigrants.net/en/post/4236/migrants-treated-as-modern-slaves-in-italian-fields

    • ’An employer? No, we have a master’: the Sikhs secretly exploited in Italy

      After years of arduous, badly paid work in the fields of southern Italy, Singh reported his employer to the police. But in a country where justice moves at a glacial pace, abused migrant workers have scant incentive to come forward

      https://www.theguardian.com/global-development/2017/dec/22/sikhs-secretly-exploited-in-italy-migrant-workers?CMP=twt_gu
      #sikh #inde #migrants_indiens #Pontina

    • Caporalato in agricoltura, Legacoop: «Finte cooperative per coprire lo sfruttamento»

      Il caporalato in agricoltura è una pratica criminale diffusa, emersa anche in Romagna. Qualche giorno fa il personale della Flai Cgil, attraverso la campagna «Ancora in campo», si è recato tra i filari in cerca di lavoratori sfruttati o irregolari. «L’utilizzo di finte cooperative e di società costituite allo scopo per offrire manodopera a basso costo con turni di lavoro massacranti, retribuzioni misere e la privazione dei diritti dei lavoratori, in gran parte stranieri sottoposti a vessazioni di ogni tipo, rappresentano le modalità con le quali si diffonde il fenomeno - spiegano da Legacoop Romagna - Di fronte a tutto ciò, torniamo a esprimere una totale condanna del fenomeno e un apprezzamento per le istituzioni e le organizzazioni d’impresa e sindacali che tentano di contrastarlo. La privazione dei diritti del lavoro e lo sfruttamento sono fomentati dalla profonda difficoltà economica in cui versano sempre più persone e dall’allentamento delle politiche di tutela dell’agricoltura, lasciata sempre più in balia di mercati volatili e una burocrazia soffocante».

      «Purtroppo vengono utilizzate anche false cooperative per coprire lo sfruttamento, cosa per noi doppiamente inaccettabile - commenta Stefano Patrizi, responsabile del settore agroalimentare di Legacoop Romagna - Si tratta di società registrate e spesso con sede legale fuori dall’Emilia-Romagna, in territori ben definiti. Ci aspettiamo che le Prefetture rafforzino ulteriormente la collaborazione con gli Enti Locali e le associazioni per contrastare il fenomeno: la filiera agricola di qualità italiana non può permettersi di venire macchiata dal mancato rispetto dei diritti fondamentali del lavoro. A tal proposito occorre anche accrescere le premialità, a partire dalla Politica Agricola Comune, per le imprese che dimostrano di saper rispettare adeguatamente il lavoro».

      http://www.ravennatoday.it/economia/caporalato-in-agricoltura-legacoop-finte-cooperative-per-coprire-lo-sfr

      #Emilie-Romagne #Romagne #coopérative

    • La morte dei braccianti riguarda tutti noi consumatori

      I due tragici incidenti sulle strade della Capitanata, in cui sono morti sedici lavoratori in tre giorni, riporta agli onori delle cronache il tema del lavoro in agricoltura e delle condizioni in cui si svolge, spesso demandato a eserciti di braccianti stranieri pagati a cottimo e in balia della piaga del caporalato.

      La raccolta del pomodoro – ma ancor di più quella dei finocchi, degli asparagi, dei broccoli – è affidata a questi lavoratori, che si muovono su furgoni scalcinati guidati da caporali o caposquadra lungo le strade del foggiano in cerca di un impiego a giornata.

      La legge contro il caporalato del 2016 ha avuto l’indubbio merito di portare la questione all’attenzione dell’opinione pubblica e di svolgere un’azione deterrente su quegli imprenditori agricoli che sfruttavano i braccianti. Ma è rimasta largamente inapplicata sulle azioni da intraprendere per arginare veramente il fenomeno. Se non si prevedono alloggi per i braccianti stagionali e trasporti verso i campi, se non si mette in piedi un approccio in cui la domanda e l’offerta di lavoro siano regolamentate, se non si riformano i centri per l’impiego del tutto non funzionanti, i lavoratori continueranno a vivere nei cosiddetti ghetti e a muoversi su furgoncini malridotti, insicuri e gestiti in parte dai caporali.

      Il caporalato è un effetto della mancata organizzazione, non una causa. È un meccanismo di intermediazione informale che prospera grazie all’assenza di un sistema di organizzazione del lavoro in agricoltura.

      C’è poi un altro tema che riguarda tutti noi nella nostra quotidianità: quello del cibo a basso costo. Il pomodoro raccolto a mano dai braccianti morti nei giorni scorsi finisce nelle passate che sono poi vendute a prezzi irrisori nei supermercati. Molte insegne della grande distribuzione organizzata (Gdo) operano un’azione di strozzamento e di riduzione dei prezzi che non può non ripercuotersi sugli anelli a monte della filiera.

      I contratti capestro, le aste online al doppio ribasso, i listing fee e le altre pratiche sleali della Gdo hanno effetti devastanti sugli operatori agricoli, che non riescono a far reddito e di conseguenza cercano di tagliare i costi di produzione, in particolare quelli del lavoro.

      Rispondendo sul sito di settore Gdoweek alla nostra inchiesta sulle aste online del pomodoro, il gruppo Eurospin ha sostenuto che “il mercato è cattivo” e che loro devono fare l’interesse del consumatore.

      L’interesse del consumatore deve essere anche quello di sostenere attivamente una filiera agroalimentare sana, senza sfruttamento. In cui i diversi attori – i braccianti, gli operatori agricoli, gli industriali trasformatori – riescano tutti a vivere dignitosamente del proprio lavoro. Perché quando noi compriamo sottocosto, c’è sempre qualcun altro che quel costo lo sta pagando.


      https://www.internazionale.it/opinione/stefano-liberti/2018/08/07/morte-braccianti-consumatori

      #sottocosto

    • #Eurospin, 20 milioni di bottiglie di passata di pomodoro comprate #sottocosto ! La denuncia di Terra! Onlus e Flai Cgil

      31,5 centesimi: è il prezzo che Eurospin avrebbe pagato per ciascuna delle 20 milioni di bottiglie di passata di pomodoro comprate durante un’asta online al doppio ribasso. Un prezzo insostenibile per la maggior parte dei produttori e trasformatori, diretta conseguenza di pratiche discutibili applicate da alcuni gruppi della grande distribuzione, che contribuiscono a mantenere i prezzi bassissimi e allo stesso tempo mandano in crisi il settore agricolo.

      A riaccendere i riflettori sul mondo delle aste è un comunicato congiunto dell’associazione Terra! Onlus e del sindacato Flai Cgil. Le aste al doppio ribasso della Grande distribuzione costringono i fornitori ad un gioco d’azzardo senza vincitori – dichiarano Fabio Ciconte, direttore di Terra! e Ivana Galli, Segretaria Generale della Flai Cgil – Si tratta di una pratica sleale che deve essere vietata per legge, perché impoverisce tutta la filiera agroalimentare”.

      Nelle aste al doppio ribasso il contratto di fornitura viene assegnato all’azienda che offre il prezzo più basso dopo due gare, e la base d’asta della seconda gara è il prezzo minore raggiunto durante la prima. Questo metodo spinge le aziende trasformatrici del pomodoro a vendere sottocosto il prodotto, quando ancora i pomodori non sono stati raccolti. Di fatto, sono i supermercati che, utilizzando lo strumento delle aste, stabiliscono i prezzi del pomodoro e altri generi alimentari quando ancora sono nei campi, minimizzando – o azzerando – i margini di agricoltori e trasformatori, e favorendo lo sfruttamento del lavoro nei campi e il caporalato.

      In Italia, quasi tre quarti degli acquisti alimentari sono effettuati in supermercati e discount, che schiacciano i guadagni dei fornitori con una serie di imposizioni, come sconti fuori contratto, promozioni e la richiesta di contributi per un migliore posizionamento sugli scaffali. Ma il più pericoloso resta il meccanismo dell’asta al doppio ribasso, che Terra! Onlus e Flai Cgil, insieme all’associazione daSud, avevano già denunciato con la campagna #ASTEnetevi, sottoscritta da Federdistribuzione, Conad e Mipaaf, ma non da Eurospin, che continua ad utilizzarlo. Ora si chiede il rispetto del patto sottoscritto e una definitiva messa fuori legge di queste gare.

      Eurospin ha risposto alle accuse dicendo che “In un mercato veloce, competitivo e fluido, che pianifica poco (al massimo a tre-cinque anni, e noi lo facciamo), le aste online possono anche mettere in difficoltà alcuni operatori, produttori o agricoltori, ma noi dobbiamo fare l’interesse del consumatore”. “Per questo usiamo questo approccio soprattutto per quei prodotti commodity che non hanno caratteri di innovazione e di distintività: perché c’è differenza tra i diversi pelati e noi ne teniamo conto. Le aste insomma funzionano per i prodotti base, non certo per articoli semilavorati con un loro valore aggiunto intrinseco e una qualità che i nostri clienti vogliono ritrovare sempre nei nostri punti di vendita. E questo ci porta a instaurare rapporti continuativi e duraturi con molti produttori partner. Sempre nel nome del consumatore”.

      Secondo gli autori della segnalazione si tratta di una risposta inaccettabile. Per questo hanno lanciato il tweetstorm ore 16 contro chi promuove “la spesa intelligente” sulla pelle degli agricoltori.


      https://ilfattoalimentare.it/eurospin-passata-pomodoro-sottocosto.html
      #tomates #coulis_de_tomates #enchères #prix #agriculture

      signalé par @wizo

    • Castrovillari, i caporali senza umanità: davano acqua inquinata alle “scimmie”

      “Domani mattina le scimmie le mandiamo lì. Restiamo 40 persone”. Sono alcune delle frasi intercettate dai finanzieri di Cosenza che questa mattina hanno eseguito sessanta misure cautelari nell’ambito dell’inchiesta denominata “Demetra”, che ha individuato due gruppi dediti allo sfruttamento illecito della manodopera e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nella piana di Sibari.

      I “caporali”, appartenenti al primo sodalizio criminale, composto da 47 persone, gestivano i rapporti con le aziende. I braccianti percepivano 80 centesimi a cassetta di agrumi raccolte e tendenzialmente a questo tipo di lavoro erano destinati pakistani o uomini provenienti dall’Africa. Per la raccolta delle fragole venivano impiegate, invece, donne dell’est Europa che ottenevano come compenso 28 euro al giorno, ai quali venivano detratti i costi di trasporto e vitto, nonostante le condizioni di lavoro fossero comunque disumane.

      “Ai neri mancano un paio di bottiglie di acqua. Nel canale, gliele riempiamo nel canale…”, dice una delle persone intercettate al telefono mentre chiede come dare da bere ai lavoratori impegnati nei campi. La soluzione viene subito trovata con qualche bottiglia vuota da riempire proprio nel canale. E l’acqua ovviamente tutto era tranne che potabile…

      http://www.iacchite.blog/castrovillari-i-caporali-senza-umanita-davano-acqua-inquinata-alle-scimmi

  • Supermercati, il grande inganno del sottocosto

    La scritta campeggia ben visibile all’entrata del supermercato: “Sottocosto”. Bottiglie di passata di pomodoro vendute a 0,49 euro, pacchi di pasta a 0,39, confezioni di tonno da quattro scatolette a 1,99 euro. Il locale è un supermercato di una grande catena, in una zona semi-centrale di Roma. Ma la stessa promozione si può vedere nei suoi innumerevoli punti vendita. Simile a molte altre che si possono trovare in locali gestiti da aziende concorrenti in tutta Italia.


    http://www.internazionale.it/reportage/fabio-ciconte/2017/02/27/supermercati-inganno-sotto-costo

    #prix #coûts #supermarchés #italie #sottocosto
    cc @albertocampiphoto @wizo

    • Con le aste online i supermercati rovinano gli agricoltori

      “Vedete, è come giocare alla slot machine”. Seduto di fronte al suo computer, Francesco Franzese digita freneticamente sui tasti simulando il gioco al quale si è trovato suo malgrado a partecipare in un giorno non troppo lontano. Questo manager di 37 anni, amministratore delegato del gruppo che produce i pelati e la passata La Fiammante, ha il dente avvelenato contro una prassi che si sta sempre più affermando tra gli operatori della grande distribuzione organizzata (gdo): quella delle aste online al doppio ribasso.


      http://www.internazionale.it/reportage/fabio-ciconte/2017/03/13/aste-online-supermercati
      #agriculture #enchère

    • Il prezzo occulto del cibo a #basso_costo

      L’uomo allunga sul tavolo la busta paga. Sul modulo Inail sono indicate cinque giornate di lavoro per un compenso totale di 229 euro. “Questo mese è andata così”, dice sconsolato, “il resto me l’hanno dato in nero”. Su un altro foglio c’è una tabella: accanto alla data, un elenco di cifre moltiplicate per due o tre centesimi di euro. “Sono i mazzetti. Il padrone mi paga a seconda di quanti ne faccio”. Parla di ravanelli, la cui raccolta è regolata da un prezzario preciso: due centesimi per ogni mazzo da dieci, tre se sono quindici.

      Siamo nell’Agro Pontino, in provincia di Latina. Il nostro interlocutore – chiamiamolo Singh – è uno dei circa diecimila braccianti indiani che lavorano nei campi di quest’area resa fertilissima dalla bonifica di mussoliniana memoria. Oggi, la zona tra Sabaudia, Terracina, Fondi e Sezze è uno dei distretti agricoli più produttivi del centro Italia: distese di coltivazioni in serra e in campo aperto, che finiscono sulle tavole italiane e anche all’estero, soprattutto nell’Europa del nord. Molti degli ortaggi che troviamo in bella mostra nei supermercati – le zucchine, le melanzane, i pomodori, oltre che frutti prelibati come i kiwi e le angurie – provengono da qui. E li raccolgono i lavoratori stranieri, soprattutto indiani, ma anche romeni, marocchini e tunisini.

      Gli immigrati sono ormai un elemento imprescindibile dell’Agro Pontino, così come di tutto il comparto agricolo italiano: secondo uno studio del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), dal 1989 a oggi il numero di cittadini italiani impiegati in agricoltura è diminuito di due terzi, mentre quello degli stranieri è aumentato di quindici volte.

      I prodotti che raccolgono sui campi finiscono nei mercati rionali, nei piccoli fruttivendoli di quartiere e sempre di più nei punti vendita della grande distribuzione organizzata (gdo). Costano poco, a volte pochissimo. Un mazzetto di ravanelli non arriva a un euro. Lo stesso vale per le zucchine o per l’anguria, pagata pochi centesimi al chilo.

      Ma quello che paghiamo quando compriamo un prodotto non tiene conto di una serie di costi nascosti: perché gran parte del comparto si regge su lavoro grigio non denunciato e su sussidi di disoccupazione illeciti pagati dallo stato, cioè da tutti noi; e perché i braccianti stranieri che lavorano in Italia spesso figurano solo parzialmente negli elenchi dei lavoratori Inps, sostituiti da finti braccianti italiani che non hanno mai messo le mani nella terra eppure beneficiano di sussidi, assegni familiari e pensioni agricole.

      Un vero e proprio sistema
      Torniamo a Singh. A fine giornata i mazzetti di ravanelli sono contati e lui è pagato in base alla quantità raccolta. Eppure, sulla sua busta paga mensile non compariranno i mazzetti. Figurerà invece un numero di giornate lavorate. Singh è regolarmente assunto e non compare in nessuna statistica di lavoratori irregolari in agricoltura. Se un ispettore del lavoro irrompesse nell’azienda dove lavora non avrebbe nulla da ridire: ha un contratto, ha fatto la visita medica e indossa anche gli indumenti necessari per la raccolta.

      Ma alla fine del mese percepisce molto meno di quello che gli spetterebbe di diritto: “Funziona così, non c’è molto da discutere”, dice.

      Quello di Singh non è un caso isolato. Potremmo anzi dire che è la prassi nel settore agricolo. Mentre il lavoro nero – cioè il numero di braccianti che non hanno un contratto di assunzione – diminuisce sempre più, anche come risultato della legge 199 del 2016 (meglio nota come legge anticaporalato) che prevede pene severissime per lo sfruttamento lavorativo, il “lavoro grigio” si diffonde e diventa un vero e proprio sistema, mettendo al riparo il datore di lavoro e, se c’è, il caporale.

      Per alcune colture – come il ravanello, l’anguria, il pomodoro da industria – vige il pagamento informale a cottimo: i lavoratori sono pagati a cassone, mazzetto, quintale, ma il loro salario è conteggiato a giornata. Per altre colture, effettivamente pagate a giornata, vige invece una sorta di “salario di piazza”, cioè una paga inferiore a quella prevista dal contratto, ma che è informalmente accettata dalle parti.

      Il trucco
      Come fanno i datori di lavoro a segnare meno giornate di quelle lavorate e sfuggire ai controlli? Il trucco è che in agricoltura le giornate non sono dichiarate all’Inps contestualmente a quando sono lavorate, ma a posteriori, con il modulo della dichiarazione di manodopera agricola, Dmag, compilato trimestralmente (da gennaio 2019 dovrà essere fatto mensilmente, ma sempre a posteriori).

      In pratica, il lavoro che tu fai oggi, è dichiarato dopo tre mesi. Quindi, se in quel frangente di tempo arriva un controllo dell’ispettorato, l’imprenditore potrà mostrare il contratto di lavoro – che comunque segnala solo indicativamente quante sono le giornate di lavoro previste – e dimostrare che è tutto in regola. In teoria. In pratica l’imprenditore segna il numero di giornate che ritiene opportuno, in base al salario informale imposto o concordato con i braccianti. Oppure, nel caso del cottimo, in base alla quantità effettivamente raccolta.

      Nelle grandi aziende agricole, gli uffici amministrativi fanno uso di varie tabelle di conversione che trasformano le ore lavorate o i cassoni/mazzetti/casse raccolti in giornate secondo il contratto provinciale. Sono queste le tabelle mostrate da Singh. A lui non sono tanto chiare quelle operazioni: l’unica cosa che sa è che ogni mazzo è pagato due o tre centesimi, e che a fine giornata se è stato veloce è riuscito a guadagnare una trentina di euro. Alla somma guadagnata per questo lavoro a cottimo, il bracciante aggiunge poi la disoccupazione agricola, corrisposta in un’unica soluzione l’anno successivo.

      La disoccupazione, infatti, è il grimaldello che rende il meccanismo accettabile per tutti. Perché parte di quello che l’operaio agricolo non percepisce dal datore di lavoro lo ottiene l’anno dopo dallo stato. “Si tratta di un sistema diventato prassi comune, approvato dagli stessi lavoratori. Nessuno vuole essere assunto a tempo indeterminato, perché perderebbe l’accesso alla disoccupazione, che è un’importante integrazione del reddito”, confida un imprenditore della zona, che preferisce rimanere anonimo.

      Poiché la disoccupazione agricola è erogata in base al numero di giornate lavorate ed è tanto più vantaggiosa quanto più ci si avvicina alle 180 giornate – superate le quali comincia invece a diminuire – tutti accettano e a volte richiedono esplicitamente di vedersi registrate un numero di giornate inferiore a quel numero. L’importo della somma è variabile, ma può raggiungere anche i quattromila euro all’anno.

      “È un segreto di Pulcinella. Lo stato integra il salario del lavoratore e permette al datore di lavoro di risparmiare. Tutti sono contenti”, continua l’imprenditore.

      La politica dei bassi prezzi non dà benefici a nessuno degli attori della filiera

      Così a fine anno, il salario complessivo del bracciante è il risultato della somma di tre voci: quella delle giornate segnate in busta paga, la quota data in nero dal datore di lavoro e la disoccupazione agricola.

      Basta analizzare le tabelle provinciali Inps sul numero di persone impiegate in agricoltura per trovare la plastica conferma che si tratta di un meccanismo diffuso: nella provincia di Latina gli operai agricoli assunti a tempo determinato nel 2017 erano 19.330, mentre quelli con contratti a tempo indeterminato erano 3.478.

      Tra i primi, la quasi totalità ha un numero di giornate registrate inferiore a 180. Una circostanza apparentemente sorprendente in un territorio dove quella agricola non è un’attività stagionale, ma è svolta tutto l’anno, con una pausa di massimo un mese nel periodo estivo più caldo.

      L’imprenditore che preferisce non rivelare il proprio nome ammette che il sistema è disfunzionale. Ma aggiunge: “Io sarei ben felice di pagare i salari previsti dai contratti provinciali, ma se lo facessi chiuderei il giorno dopo, perché non riuscirei a starci dentro con i costi. I contratti non tengono conto di quanto pagano il prodotto gli acquirenti, in particolare la grande distribuzione organizzata”.

      Le responsabilità della grande distribuzione
      Le insegne dei supermercati, diventate negli ultimi anni il principale canale di vendita, tendono a pagare sempre meno i prodotti agricoli, generando disfunzioni lungo tutta la filiera. “La discussione sul lavoro in agricoltura e sui bassi salari non è mai inserita in un’ottica più ampia che analizza le cause di questi deplorevoli fenomeni. Si parla tanto di caporalato, di sfruttamento ma raramente si analizza la scarsa valorizzazione del prodotto ortofrutticolo che penalizza la parte agricola”, sottolinea Gennaro Velardo, presidente di Italia Ortofrutta, unione di produttori agricoli molto impegnata nella valorizzazione delle produzioni.

      “La politica dei bassi prezzi non dà benefici a nessuno degli attori della filiera. Anzi, sta erodendo il valore dell’ortofrutta agli occhi del consumatore. I produttori che gestiscono una merce altamente deperibile sostenendone tutti i costi certi della produzione sono la parte debole della filiera, hanno difficoltà a fare reddito e a coprire i costi di produzione, dati di fatto questi che determinano una iniqua distribuzione del valore lungo la filiera”, aggiunge Velardo.

      Gli operatori agricoli, schiacciati dalle imposizioni della grande distribuzione organizzata, tendono a rifarsi sugli anelli più deboli della filiera, in particolare sui braccianti. Risparmiano sul lavoro – e addossano parte dei costi di manodopera sullo stato, che non percepisce parte dei contributi e paga disoccupazioni non dovute. In una specie di gigantesca partita di giro, il cibo venduto ai consumatori ha un prezzo basso, ma è di fatto sovvenzionato da loro stessi attraverso sussidi non dovuti.

      Nella piana del Sele
      Questo sistema è talmente diffuso e strutturato che colpisce anche distretti agricoli a più alta redditività, come quello della piana del Sele, in provincia di Salerno. Con i suoi settemila ettari di serre sparsi tra Eboli, Battipaglia e Pontecagnano, questa zona è diventata il principale polo produttivo della “quarta gamma”, l’insalata in busta pronta al consumo e sempre più diffusa nei supermercati.

      Il prodotto non è venduto a prezzi bassi: le busta di lattuga o di rucola da cento grammi costa almeno un euro, cioè l’equivalente di dieci euro al chilo. Grazie alla valorizzazione del prodotto, le realtà agricole della zona, hanno fatturati importanti. Alcune hanno creato impianti di lavaggio e imbustaggio dei prodotti raccolti. Altre li vendono a grandi gruppi del nord o all’estero.

      Eppure, l’organizzazione del lavoro segue le stesse dinamiche dell’Agro Pontino. I lavoratori – anche qui prevalentemente indiani e marocchini – sono assunti a tempo determinato e hanno buste paga in cui è registrato un numero di giornate inferiore a quelle lavorate. Il resto è pagato in parte al nero, in parte attraverso la disoccupazione agricola, che compensa anche in questo caso il mancato guadagno.

      “Il lavoro grigio è diffuso nell’intero settore produttivo. Aziende di diverse dimensioni e tutti gli stranieri occupati nel settore ne sono interessati: la consuetudine del lavoro grigio è la caratteristica strutturale di ampia parte dell’agricoltura italiana”, sottolinea Gennaro Avallone, ricercatore all’università di Salerno e autore del libro Sfruttamento e resistenze: migrazioni e agricoltura in Europa, Italia, Piana del Sele. “Il lavoro grigio consente di aumentare i profitti, ma anche di tenere costantemente il bracciante in una situazione di ricatto, perché soggetto al rinnovo del contratto necessario per rinnovare anche il permesso di soggiorno”.

      In una casupola vicino a Pontecagnano dove vive insieme a quattro suoi connazionali, un bracciante indiano mostra le sue buste paga. Sono identiche a quelle del connazionale che vive e lavora nell’Agro Pontino, salvo che qui non sono indicate le tabelle di conversione. Sventola quella di settembre: sono segnati 12 giorni. “Ma io ho lavorato tutto il mese!”.

      Keetan, il nome è di fantasia, sottolinea che una parte gli viene data in contanti – cioè in nero – e che poi ogni anno ottiene la disoccupazione agricola. “Ma con questo reddito non raggiungo la cifra necessaria per attivare il ricongiungimento familiare e far venire qui mia moglie e i miei figli”.

      Gli imprenditori della zona interpellati in proposito ammettono tutti – anche se in forma rigorosamente anonima – l’esistenza del lavoro grigio. Alcuni minimizzano, altri sostengono che volentieri farebbero le assunzioni a tempo indeterminato, ma che nessuno dei lavoratori accetterebbe. “Bisognerebbe abolire la disoccupazione agricola per mettere ordine nel sistema!”, dice provocatoriamente uno di loro.

      Cambiare il sistema
      Alla sede centrale dell’Inps hanno ben chiare le dimensioni del fenomeno. “In vaste aree del paese, l’agricoltura è soggetta a un forte grado di opacità nell’erogazione dei sostegni pubblici”, dice il presidente Tito Boeri, mostrando una serie di tabelle e di documenti che già nel 2015 aveva portato all’attenzione delle commissioni riunite lavoro e agricoltura della camera dei deputati.

      “Bisognerebbe cambiare il sistema di registrazione delle giornate e il modo in cui è conteggiata ed erogata la disoccupazione agricola, adeguandola a quella di altri comparti, per i quali vige la nuova assicurazione sociale per l’impiego (un sussidio di disoccupazione pagato su base mensile, ndr)”, continua Boeri.

      Oggi la disoccupazione agricola è corrisposta in un’unica soluzione l’anno successivo a quello in cui si è lavorato ed è versata anche se in quel momento si sta lavorando. Si tratta quindi non tanto di un sussidio – giustamente previsto per compensare le stagioni in cui in cui in agricoltura non si lavora – ma di una vera e propria integrazione del reddito.

      I finti braccianti
      Al danno erariale causato dalle disoccupazioni non dovute e dalla mancata denuncia delle giornate lavorate si aggiunge poi la beffa dei finti braccianti, operai agricoli che non lavorano sulla terra ma percepiscono sussidi e assegni familiari. “I due temi si intrecciano. In alcune aree del paese c’è una coesistenza di lavoro svolto ma non dichiarato e di lavoro fittizio, mai svolto ma dichiarato per beneficiare di sussidi”, sostiene Boeri.

      Nelle provincia di Foggia l’esistenza dei finti braccianti non è un segreto per nessuno. “Io vorrei assumere italiani, ma non li riesco a trovare. Eppure, nelle liste Inps ce ne sono migliaia”, si indigna Raffaele Ferrara, presidente dell’organizzazione dei produttori La Palma, che coltiva duecento ettari a pomodoro nella zona di Lesina. “Quello dei finti braccianti è uno scandalo che grida vendetta. Ma nessuno fa nulla”. Nei campi di pomodoro – e in quelli di asparagi, finocchi, carciofi – si vedono solo stranieri.

      Eppure nella provincia di Foggia su 49.868 braccianti agricoli registrati nel 2017 il 58 per cento (29.143) è di nazionalità italiana, percentuale che raggiunge il 74 per cento se si considerano solo i braccianti che hanno avuto segnate più di 51 giornate, ossia il numero minimo per accedere agli ammortizzatori sociali. Dove sono tutti questi operai agricoli? “A casa a grattarsi la pancia”, scherza Ferrara.

      Ma come funziona il sistema dei finti braccianti? In un contesto completamente deregolamentato – in cui gli stranieri spesso lavorano a cottimo e senza che gli siano registrate tutte le giornate di lavoro nei campi – c’è un vero e proprio scambio di giorni lavorati tra veri e falsi operai agricoli. Insomma le aziende non segnano le giornate ai braccianti stranieri che effettivamente lavorano nei campi, ma le attribuiscono a persone di nazionalità italiana che non hanno mai toccato la terra, e che in cambio danno i soldi alle aziende per pagare i loro contributi previdenziali, più altro denaro per il “favore”.

      Senza mai lavorare queste persone ottengono la disoccupazione, gli assegni familiari e, raggiunta l’età, anche la pensione agricola. Non sono cifre da poco: solo negli ultimi tre anni, l’Inps ha scovato più di 90mila operai agricoli fittizi, per un danno all’erario di centinaia di milioni di euro.

      Tra falsi braccianti che ottengono benefici di cui non avrebbero diritto, braccianti reali che sono pagati meno di quanto gli spetterebbe e che a loro volta integrano il reddito con sussidi che non dovrebbero avere, a perdere sono l’agricoltura e il sistema agricolo in Italia nel suo complesso. Perché un settore che vive di lavoro sfruttato e di sussidi indiretti sarà destinato ad avere sempre una posizione subalterna nei confronti degli altri attori della filiera, dalle industrie di trasformazione alla grande distribuzione organizzata, fino ad arrivare ai consumatori, cioè tutti noi, che compriamo cibo a basso costo senza sapere quello che c’è dietro il nostro apparente risparmio.

      https://www.internazionale.it/reportage/stefano-liberti/2018/11/19/prezzo-occulto-cibo
      #prix #alimentation

    • Chi comanda davvero nella grande distribuzione organizzata italiana

      È notizia di qualche giorno fa: #Conad compra gli oltre 1600 supermercati #Auchan e #Simply in Italia. La quota di mercato del gruppo sale così dal 12,9% al 16,5%, mentre l’aggregato del fatturato passa da 13,4 a 17,1 miliardi di euro. Il gruppo guidato da Francesco Pugliese diventa così leader incontrastato del settore, sopravanzando la rivale Coop. Ma chi comanda davvero nell’universo della grande distribuzione organizzata? Qual è il ruolo dei discount in Italia? E tra sconti, aste e offerte, quali sono gli anelli deboli della catena? Alcune risposte si trovano ne Il grande carrello. Chi decide cosa mangiamo (Laterza, Bari, 2019, pp. 119), firmato da Stefano Liberti, giornalista, e da Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra! onlus.

      La tesi del libro è che la concorrenza tra supermercati, basata esclusivamente sul prezzo, impone alle catene di sedurre i consumatori con offerte sottocosto. Per garantire prezzi bassi, però, la grande distribuzione si vede costretta a rifornirsi al più basso costo possibile dai produttori, che quindi per tenere in ordine i conti delle loro aziende medio-piccole, si vedono obbligati a ridurre all’osso qualsiasi costo di produzione, in particolare i corrispettivi per la manodopera dei lavoratori. “Perché quando compriamo sottocosto, c’è sempre qualcun altro che quel costo lo sta pagando”, scrivono gli autori.

      A monte della pasta comprata «sottocosto» dal cliente, ci sono inevitabilmente una piccola azienda che entra in affanno e un produttore di grano che non riesce più a vendere il proprio prodotto, perché il pastificio in affanno preferisce comprare il grano canadese, più economico. Dietro la passata di pomodoro venduta in 3×2 ci potrebbe essere un’industria di trasformazione che ha accettato una commessa poco vantaggiosa, pur di non perdere l’accesso al mercato. “E che cercherà poi di pagare meno la materia prima a un produttore agricolo, che a sua volta proverà magari a risparmiare sulla forza lavoro, pagando i braccianti il meno possibile”, scrivono Ciconte e Liberti.

      Il libro resta però fondamentalmente uno studio sui consumi, le nostre abitudini alimentari e l’influenza che la grande distribuzione esercita su consumatori e produttori. Muovendo le leve del marketing emozionale, le grandi insegne orientano le nostre abitudini d’acquisto. Servendosi invece della posizione dominante acquisita sul mercato, le catene impongono ai produttori medio-piccoli modalità di accesso agli scaffali che finiscono per generare lavoro a basso costo e bassa qualità. Tutto in nome di due paroline magiche – “offerta” e “sottocosto” – che rappresentano ormai l’imperativo per distributori e consumatori.

      I rapporti di forza tra piccoli produttori e grande distribuzione pendono a favore delle grandi insegne sostanzialmente perché quasi 3 acquisti alimentari su 4 oggi si verificano in un punto vendita della grande distribuzione organizzata. E sono questi numeri a delineare il potere contrattuale che le insegne esercitano sui piccoli produttori, costretti a fare carte false pur di intercettare la mole di consumatori che si servono esclusivamente nei supermercati. Le insegne così si sentono libere di adoperare meccanismi che mettono in grande difficoltà i “piccoli”. Per ospitare i prodotti sugli scaffali, i supermercati chiedono ai singoli produttori di versare un corrispettivo chiamato listing fee, una sorta di tassa per l’esposizione più o meno in evidenza. “I grandi gruppi industriali non pagano la listing fee, perché un supermercato che non ha la Coca-Cola o la pasta Barilla rischia di perdere clienti. Ma piccole e medie imprese dovranno pagare una tariffa non indifferente per avere l’onore di vedere esposti i propri prodotti”, annotano Ciconte e Liberti.

      Anche il meccanismo delle aste al ribasso contribuisce a mettere in difficoltà i produttori. Per proporre una passata di pomodoro a 0,39 e un pacco di pasta a 0,49 centesimi, le insegne della grande distribuzione, in particolare i discount, mettono contemporaneamente in competizione vari fornitori, per acquistare il prodotto finale al prezzo più basso possibile. Il gruppo manda alle aziende produttrici un’email chiedendo di fare un’offerta. Raccolte tutte le proposte, convoca una nuova gara dove la base d’asta è l’offerta più bassa fra quelle presentate. Il tempo per rilanciare in questa seconda fase è molto limitato. Pochi minuti per dire sì o no a una commessa di milioni di bottiglie o di scatole. Commesse non indifferenti per produttori che hanno come principale canale di vendita proprio i supermercati. “Questi meccanismi possono mettere in difficoltà alcuni produttori o agricoltori, ma la responsabilità è del mercato, che a volte è cattivo”, ha riconosciuto Eurospin.

      Gli autori individuano cinque diverse tipologie di consumatori, che si distinguono per consuetudini d’acquisto differenti. Il «cliente Cacciatore» si sposta da una catena all’altra a caccia di offerte, il «cliente Pragmatico» bada solo alle caratteristiche del prodotto e al costo, il «Prudente» è influenzato da fonti che considera affidabili come negozianti e pubblicità, l’«Esperto» ha capacità di spesa e legge si informa confrontando le etichette, infine i «Brand Fan» che acquistano solo prodotti di marca. Curiosamente nessuna delle categorie fa caso al rincaro pari al 700-800% su un prodotto come l’insalata in busta, venduta al prezzo rassicurante di 0,99 euro, eppure pagata – a conti fatti – non meno di 10 euro al chilo. Nessuno coglie la contraddizione, perché la percezione resta quella del prezzo basso, veicolata dal bollino giallo che comunica una spesa inferiore all’euro.

      Del resto il vantaggio competitivo alla base del successo dell’insalata in busta è il risparmio di tempo. C’è il tempo guadagnato al supermercato, dove il prodotto va solo messo nel carrello, mentre quello sfuso va invece scelto, imbustato, pesato ed etichettato. E poi c’è il tempo risparmiato a casa, dove l’insalata va soltanto condita. “Su questo insistono le strategie dei principali attori del settore, che hanno intercettato il moderno bisogno di non indulgere troppo in cucina, pubblicizzando a chiare lettere lo slogan «Si vende tempo libero». Del resto i prezzi che finiscono con la doppia cifra ‘99’ risvegliano la sensazione subliminale del risparmio: anche se sappiamo che 2,99 è uguale a 3 euro, il nostro cervello registra che il prodotto in questione costa poco più di 2 euro”, scrivono gli autori.

      Un capitolo a parte viene poi riservato all’attenzione per certi versi esasperata alle scelte dietetiche, anche per chi non ne ha bisogno. Del resto viviamo nell’epoca dei cosiddetti consumi «evolutivi», quelli in cui l’aggiunta o l’eliminazione di qualcosa costituisce un tratto distintivo e genera consumi. Gli scaffali abbondano ormai di prodotti in cui la sottrazione diventa marchio distintivo: senza zuccheri aggiunti, senza glutine, senza lattosio, senza grassi idrogenati, senza sale, senza aspartame, senza OGM. Nel 2017 il settore ha registrato acquisti per quasi 7 miliardi di euro in Italia, con un trend in continua ascesa anno per anno. Se si escludono acqua e alcolici, i prodotti “senza” costituiscono oggi il 18,6% degli acquisti alimentari.

      La tendenza è ben riassunta dal caso “olio di palma”. Nel 2014 fa il suo ingresso ufficiale nelle etichette dell’industria alimentare e dei cosmetici, su indicazione del regolamento europeo 1169/11 che obbliga i produttori in tal senso. Secondo buona parte dei nutrizionisti l’assunzione giornaliera di dosi elevate di olio di palma potrebbe risultare dannosa per la salute a causa della presenza dei grassi saturi. Eppure nel gennaio 2018 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) specifica che «i livelli di consumo tramite gli alimenti sono considerati privi di rischi per la maggior parte dei consumatori». Ragionano Ciconte e Liberti: “Il messaggio però è ormai passato: l’olio di palma è potenzialmente dannoso per la salute e quasi tutte le grandi catene di distribuzione e i produttori industriali bandiscono l’uso dell’olio di palma dai loro prodotti”. Si aprano i festeggiamenti.

      https://forbes.it/2019/05/22/gdo-chi-comanda-davvero-nella-grande-distribuzione-organizzata-in-italia

    • Aste al doppio ribasso, uno strumento che schiaccia i piccoli produttori

      In un mercato agroalimentare dove la grande distribuzione organizzata domina quasi incontrastata, i piccoli e medi produttori sono in difficoltà. Uno dei loro problemi è rappresentato dalle aste online al doppio ribasso.


      https://www.tvsvizzera.it/tvs/qui-italia/filiera-agroalimentare_aste-al-doppio-ribasso--uno-strumento-che-schiaccia-i-piccoli-produttori/44968772

  • « Les banques et l’Etat grecs essaient de prendre nos maisons tous les mercredis au tribunal de paix »

    Interview de Filippos Filippides, membre du comité « Vente aux enchères STOP », contre la vente aux enchères des biens immobiliers pour défaut de paiement.

    #mobilisation #logement #Troïka #créanciers #débiteurs #dette #crise #actions #enchères #ventes_publiques #Grèce #immobilier #expulsion #expulsions_locatives #Syriza #cadtm

    http://www.cadtm.org/Les-banques-et-l-Etat-grecs

  • Le système de pillage organisé à #Drouot vient enfin devant le tribunal
    https://www.mediapart.fr/journal/france/130316/le-systeme-de-pillage-organise-drouot-vient-enfin-devant-le-tribunal

    La vente des biens du #mime_Marceau à Drouot © Reuters Durant des décennies, un vaste trafic d’objets #volés a été organisé au sein même de l’hôtel des ventes de Drouot. Les deux filles du célèbre mime Marceau, parties civiles, expliquent à Mediapart comment elles ont été spoliées par les « cols rouges », ces commissionnaires agissant avec la complicité de commissaires-priseurs. Le procès s’ouvre lundi à Paris.

    #France #cols_rouges #commisaire-priseur #commissionnaire #enchères #hôtel_des_ventes #Justice #Savoyards

  • Un #Modigliani vendu au prix record de 9078 années de SMIC brut année 2015)
    http://www.francetvinfo.fr/culture/un-modigliani-vendu-aux-encheres-au-prix-record-de-170-4-millions-de-do

    Une toile d’Amedeo Modigliani, Nu couché, considérée comme une des œuvres majeures du peintre italien, a été adjugée 170,4 millions de dollars (158 millions d’euros) chez Christie’s, à New York, lundi 9 novembre. Il s’agit d’un record mondial aux #enchères pour une œuvre de Modigliani.

  • Obama’s New Hammer - Tim DeChristopher
    http://www.timdechristopher.org/obama_s_new_hammer

    Obama just made the lead prosecutor in my trial, the one who freaked out at the possibility of empowered citizens interfering with his marching orders from fossil fuel corporations, the new US Attorney for Utah. I commented on this yesterday on Facebook and people wanted to hear the full story. Here it is.

    The most important, and for me, most enlightening, point in my entire legal case happened during the jury selection process. About halfway through the process, a juror mentioned that he had received a pamphlet from the Fully Informed Jurors Association before entering the courthouse. The judge asked the rest of the jury pool how many of them had received a similar pamphlet. About three quarters of the 70 potential jurors raised their hands.

    These pamphlets said nothing about my case, but they did talk about jurors’ rights to use their consciences when making their decisions. It discussed why we have juries, which is to protect our fellow citizens from the government. It quoted the nation’s founders about juries being arbiters of fact and of the law. The evolution of our legal system has led to the minimization of the role of citizens and the concentration of power into the hands of judges and prosecutors, but the inherent, though unknown, power of juries is still intact.

    The lead prosecutor immediately requested a meeting in the judge’s chambers. As soon as we entered the room, the prosecutor erupted into panicked and desperate outrage. He demanded that the judge declare a mistrial and get a whole new jury pool. He said that I should either be prosecuted or held in contempt for jury tampering. With his hands shaking and his face red, he was nearly spitting when he read from the pamphlet and said, “This…this notion of voting your conscience is out in space!”

    #usa #procès #justice #peuple #écologie #énergie-fossile #activisme #répression