• La corsa ai suoli agricoli italiani dei nuovi “lupi solari”: una speculazione da fermare

    Mediatori immobiliari senza troppi scrupoli vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi, stanchi o indebitati, offrendo loro cifre più alte del valore di mercato. È il risultato di una transizione energetica impostata male e gestita peggio. E che favorisce i ricchi a scapito dei poveri. L’analisi-appello di Paolo Pileri.

    “Professore, come comportarsi quando aziende del fotovoltaico contattano offrendo cifre parecchio allettanti per acquisire suoli agricoli per installarci pannelli (non “agrivoltaico”)? Grazie”. È il messaggio che ho ricevuto una mattina di marzo alle dieci. Non è il primo che ricevo e temo non sarà l’ultimo.

    Diciamo però che sono la minima parte della minima parte dei casi che ci saranno in giro per le nostre campagne, letteralmente assaltate da mediatori immobiliari senza troppi scrupoli che vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi o stanchi o indebitati, così sono più facili da convincere a vendere offrendo loro cifre più alte del valore di mercato dei terreni agricoli.

    È quanto abbiamo sempre temuto e detto fin dall’inizio delle prime versioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza. È il risultato di una transizione energetica fatta partire sgommando e sbandando alla prima curva. Una corsa partita sciaguratamente senza regole (ma probabilmente hanno voluto così) che ha fatto drizzare le antenne a tutti gli speculatori dell’energia che hanno a loro volta sguinzagliato mediatori, geometri, architetti e perfino sindaci a cercare terre da comprare.

    Per convincere gli agricoltori stanno usando la leva della fretta. Mostrano tanti soldi e gli dicono che è questo e solo questo il momento giusto per vendere, inducendo il proprietario a decidere senza pensarci troppo. Questo sarebbe il libero mercato? Ho saputo di funzionari di società energetiche che si sono presentati negli uffici di piccoli Comuni facendo pressione per ottenere segnalazioni di terreni e di possibili persone facilmente convincibili a vendere. Pazzesco, eppure accade. E continuerà ad accadere dappertutto.

    Il messaggio di stamattina arrivava dal Friuli. Quando tutti questi speculatori solari avranno acquistato terre per fare i loro comodi, cominceranno a bussare minacciosi alle porte delle Regioni e del governo (che nel frattempo hanno emesso solo leggi deboli e regolamenti colabrodo) per chiedere facilitazioni e norme che deroghino alle poche regole che esistono, che non mettano loro i bastoni tra le ruote così da poter mettere a terra i pannelli che vogliono nel tempo che vogliono. Loro vogliono metterli a terra, non gli interessa l’agrivoltaico che, comunque (e lo ribadisco) è un dramma lo stesso per l’agricoltura, il paesaggio e il suolo.

    Agli speculatori solari non basta massimizzare i loro guadagni, vorranno anche essere celebrati come eroi green: non mi stupirà vederli sponsorizzare il prossimo festival di Sanremo o il campionato di calcio o magari le Olimpiadi 2026. E puntualmente la politica li porterà in trionfo.

    Possibile che non riusciamo in questo Paese a fare una cosa bene e nell’interesse di tutti e dell’ambiente? Possibile che non riusciamo a proteggere i deboli e frenare quelli che tirano fuori sempre le unghie per graffiare? Qui ci vuole poco. Essendo in clamoroso ritardo sulla pannellizzazione, avevamo (e forse abbiamo ancora) il vantaggio di costruire una regia pubblica forte, intelligente e senza stupidi compromessi, in grado di orientare il mercato nella direzione zero impattante e zero esclusiva. Già perché questo far west della caccia alle terre solari è tutto a vantaggio dei ricchi che hanno i soldi contanti contro i poveri cristi agricoltori che, alla fine, cederanno. Non sono i piccoli e poveri risparmiatori che stanno cercando terre per mettere pannelli. Non siamo davanti a una transizione energetica che sta proteggendo i più poveri.

    Per non parlare delle lunghe mani delle mafie, della ‘ndrangheta. Chissà che non stia già accadendo. Il governo e i governi regionali stanno monitorando? Oppure sono presi dal dare la caccia ai lupi che si aggirano per Courmayeur o nel Monferrato o in Val Seriana? Perché questo fa notizia anche se quei lupi naturali non fanno alcun male, se non a qualche gallina o pecora (che puntualmente mamma Stato ripaga), mentre i lupi solari non fanno notizia eppure sono pericolosissimi, famelici e ridurranno in brandelli paesaggi e agricolture.

    Dobbiamo tutti insieme stanare questi lupi solari e non smettere di denunciare questa assurda pratica che inoltre spopolerà le terre agricole più di quanto già sono spopolate. Dobbiamo chiedere ai governi, regionali e statale, di intervenire per disciplinare la questione una volta per tutte e in modo uniforme sul territorio nazionale. Non possiamo permetterci consumi di suolo solari, né possiamo permetterci di ferire mortalmente l’agricoltura, non possiamo permettere di perdere produzione alimentare, non possiamo perdere agricoltori. I pannelli solari vanno posizionati sui tetti dei capannoni logistici, commerciali e industriali prima di tutto, su tettoie da realizzare in tutti i posteggi pubblici con più di 50 auto, sopra gli impianti di depurazione, nelle stazioni di rifornimento carburanti, lungo le autostrade, e così via. Solo quando avremo finito di piazzarli da quelle parti, potremo pensare a nuove superfici. Ma non l’inverso. Non è possibile che in questo Paese si opti sempre per il “vincere facile”, aprendo sempre nuovi fronti alle speculazioni e alla insostenibilità. Bisogna opporsi. Bisogna parlarne. Bisogna stanare queste pratiche.

    https://altreconomia.it/la-corsa-ai-suoli-agricoli-italiani-dei-nuovi-lupi-solari-una-speculazi
    #spéculation #terres #énergie #transition_énergétique #compétition #agriculture #photovoltaïque #énergie_solaire #panneaux_solaires #sol #agrivoltaico #fermes_solaires #ferme_solaire

    • Le tante zone d’ombra lasciate dal boom dell’agri-fotovoltaico

      La transizione verso le energie rinnovabili è una necessità globale, ma non per questo esente da scelte. In Sicilia i progetti di una multinazionale sono l’occasione per chiedersi se la direzione presa sia quella giusta.

      Verde in primavera, dorato d’estate, l’entroterra della Sicilia offre panorami a perdita d’occhio. Agrumeti, campi di grano, colline lasciate a foraggio. Spostarsi da Catania a Trapani significa attraversare l’isola da una parte all’altra: la prima con le sue testimonianze greco-romane, la seconda che risuona ancora oggi delle influenze arabe. A collegarle c’è un’autostrada che sembra tutt’altro, tra cantieri infiniti, cambi di corsia e lunghi tratti in cui non ci si sente granché sicuri. L’andatura forzatamente lenta permette di accorgersi di come questi territori stiano a poco a poco cambiando. Bianche pale eoliche a incoronare le colline e scintillanti pannelli solari che costeggiano il guard rail sono una presenza a cui, con il passare dei chilometri, l’occhio si abitua.

      D’altra parte non è un mistero che la Sicilia stia vivendo un nuovo boom legato alle energie rinnovabili: a inizio anni Duemila a farla da padrone furono gli investimenti nell’eolico, con tanto di tentativi di lucrarci sopra da parte di Cosa nostra; da qualche tempo, invece, è diventata terra d’elezione per i campi solari.

      Le emergenze internazionali legate alla crisi climatica e i riflessi geopolitici del conflitto russo-ucraino costituiscono la cornice entro cui, oggi, le istituzioni sono chiamate a definire le strategie energetiche. L’impegno dell’Ue sul fronte delle rinnovabili è forte: il Pnrr prevede miliardi di euro di finanziamento per la produzione di energia verde. In quest’ottica – regioni come la Sicilia – diventano ricettori naturali degli investimenti: l’isola è terra di vento e, soprattutto, di sole.

      Ma quali sono le conseguenze a livello territoriale dei crescenti interessi legati alle rinnovabili e ai fondi stanziati per la loro promozione?

      IrpiMedia, con il supporto di Journalismfund Europe, ha deciso di andare sui territori, nel tentativo di capire meglio gli impatti sociali di un fenomeno destinato a segnare il futuro dei luoghi che viviamo. Per farlo abbiamo scelto di concentrare l’attenzione su due progetti – uno in fase di realizzazione a #Paternò, in provincia di Catania, e l’altro a #Mazara_del_Vallo (Trapani) – che nell’ultimo anno hanno attirato l’interesse dell’opinione pubblica.

      A realizzarli è #Engie, multinazionale del settore che ha da poco chiuso un accordo con #Amazon. Il colosso dell’e-commerce da tempo è impegnato a portare avanti, a livello internazionale, un programma di finanziamento degli impianti di produzione di energia rinnovabile. «Questi con Engie rappresentano i nostri primi progetti su larga scala in Italia, ci daranno una mano nel percorso che ci porterà a usare il cento per cento di energia rinnovabile entro il 2030», ha detto, a fine 2020, il direttore di #Amazon_Energy #Nat_Sahlstrom. La dichiarazione, a una prima lettura, potrebbe far pensare che tra qualche anno le attività di Amazon in tutto il pianeta saranno alimentate direttamente da energia verde. In realtà tra la multinazionale che fa capo a #Jeff_Bezos e le aziende produttrici, come Engie, sono stati sottoscritti dei #power_purchase_agreement (#Ppa).

      Un mare di silicio

      Carcitella è il nome di una contrada che si trova al confine tra i comuni di Mazara del Vallo e Marsala. Immersa nelle campagne trapanesi, è solcata da un reticolo di piccole strade provinciali. È da queste parti che si trova uno degli impianti realizzati da Engie. Dietro una recinzione metallica, ci sono filari e filari di pannelli solari: 122 mila moduli fotovoltaici per una potenza complessiva di 66 megawatt.

      «Sole, énergie». La voce – un italiano stentato che ripiega presto nel francese – arriva dalle nostre spalle. Un uomo ci viene incontro, pochi passi per distaccarsi dalle decine di pecore che lo attorniano. Si chiama Mohamed ed è arrivato in gommone dalla Tunisia, l’Africa da qui dista poche ore. Non ha ancora quarant’anni, ma ne dimostra molti di più: Mohamed è arrivato in Italia sperando di spostarsi in Francia e fare il cuoco, ma si è ritrovato a fare il pastore. «Neuf euros par jour. La casa? Petite», spiega, descrivendo il misero compenso ricevuto in cambio della disponibilità di portare al pascolo le pecore dall’alba al tramonto. Mohamed è uno dei tanti che hanno assistito al lento cambiamento di #contrada_Carcitella.

      L’impianto di Mazara del Vallo è stato inaugurato a fine maggio da Engie alla presenza delle autorità. La notizia, che ha trovato spazio sui media nazionali, è di quelle che colpiscono: «Avviato il più grande impianto agrovoltaico d’Italia». Oltre alla partnership con Amazon e alle dimensioni – sommando i progetti su Mazara e Paternò si superano i 200 mila moduli solari su una superficie di 185 ettari – il principale motivo che ha attirato l’attenzione generale sta infatti nella tecnologia utilizzata da Engie. L’agrovoltaico (o agri-fotovoltaico) prevede l’installazione dei pannelli su terreni agricoli, con accorgimenti tali – a partire dalla loro altezza rispetto al suolo – da dare la possibilità di impiantare colture nella parte sottostante. Nel caso di Mazara e Paternò si parla di piante officinali e per fienagioni e l’uso di alberi di mandorlo e ulivo per delimitare i perimetri dell’impianto. «I nostri progetti – fa sapere Engie a IrpiMedia – puntano a valorizzare i terreni mediante l’attuazione del piano agronomico che ha accompagnato il progetto autorizzato dalla Regione».

      L’obiettivo dichiarato è quello di salvaguardare il consumo di suolo e ottimizzare le aree utilizzate. «La Sicilia vanta le maggiori superfici coltivate a biologico in Italia e gli impianti con tecnologia agro-fotovoltaica soddisfano la strategia regionale per lo sviluppo sostenibile», ha dichiarato nella primavera del 2021 Nello Musumeci, oggi ministro del governo Meloni ma all’epoca presidente della Regione Siciliana.

      Ma per quanto le parole di Musumeci potrebbero portare a pensare a un ruolo centrale delle istituzioni nella gestione della transizione verso le rinnovabili, la realtà è che mentre a livello sovranazionale l’Ue ha definito le risorse a disposizione per intraprendere il percorso, fino a oggi l’Italia ha rinunciato alla possibilità di governare il fenomeno. Legiferando, semmai, nella direzione opposta: verso una normativa che renda ancora più libera l’iniziativa imprenditoriale dei leader di settore, lasciando al mercato l’onere della pianificazione. Ma ciò, così come accaduto tante altre volte in passato e in molti altri campi, comporta il rischio di vedere affermarsi le logiche della massimizzazione del profitto, a discapito di aspetti fondamentali per il benessere collettivo a medio-lungo termine.
      Tra maglie sempre più larghe e rinunce

      Le richieste di autorizzazione che hanno portato alla costruzione degli impianti di Paternò e Mazara del Vallo sono state presentate alla Regione, nel 2018, dalla FW Turna, società successivamente acquisita da Engie. Entrambi i progetti sono stati sottoposti al vaglio della commissione chiamata a valutare l’impatto ambientale, ottenendo il via libera condizionato al rispetto di alcune modifiche da apportare.

      A partire dal 2019, al vertice della commissione Via-Vas c’è stato #Aurelio_Angelini. Professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università di Enna, Angelini è stato incaricato dal governatore Musumeci in seguito a uno scandalo che aveva travolto i precedenti vertici della commissione, accusati di avere piegato il proprio operato agli interessi di #Vito_Nicastri e #Paolo_Arata. Il primo è un trapanese accusato di essere uno dei principali volti imprenditoriali del boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, l’altro un ex parlamentare nazionale di Forza Italia e successivamente consulente della Lega. In coppia, Nicastri e Arata avrebbero pagato mazzette per corrompere funzionari regionali e ottenere vantaggi su progetti per la realizzazione di impianti per biometano, mini-eolico e fotovoltaico.

      Angelini ha guidato la commissione fino a dicembre scorso, quando è stato rimosso dal nuovo governatore Renato Schifani. Una decisione arrivata dopo mesi di frizioni, con il docente che era stato accusato di fare da tappo agli investimenti sulle rinnovabili in Sicilia per i troppi no dati dalla commissione. «Sono stato vittima di una campagna diffamatoria partita con alcune dichiarazioni di Confindustria e divulgando numeri di fantasia», commenta Angelini.

      «Hanno raccontato frottole a ripetizione. Uno studio indipendente di Public Affairs Advisors e Elemens ma anche il rapporto Fer di Terna – continua – hanno dimostrato che in questi anni la Sicilia è stata in vetta alle classifiche sull’efficienza delle pubbliche amministrazioni per il rilascio delle autorizzazioni ambientali».

      Una cosa è certa: a essere interessati alla Sicilia per la realizzazione di parchi solari sono tanti. Per accorgersene basta navigare nel portale che raccoglie le richieste di autorizzazione. Sono centinaia i progetti finiti sui tavoli della Regione. Un flusso costante interrotto soltanto dalla modifica alla normativa che per gli impianti di una certa dimensione ha disposto che le valutazioni ambientali vengano fatte non più dalle Regioni, ma dal ministero.

      Tra i proponenti si trovano società spagnole, tedesche, ma anche altre con sedi in Cina e nelle isole Cayman. L’obiettivo della Regione è quello di passare dalla potenza di 1,8 gigawatt del 2018 a 4 gigawatt entro il 2030. «Il percorso verso la decarbonizzazione è obbligatorio a meno di non voler pregiudicare definitivamente il futuro del pianeta, ma ciò non può prescindere dalla considerazione di altri fattori», mette in guardia Angelini. Il riferimento va in primo luogo alla localizzazione degli impianti, che il più delle volte interessano aree a destinazione agricola, e chiama in causa direttamente il ruolo delle istituzioni. «La terra serve innanzitutto a produrre cibo – commenta -. Viviamo in un’epoca in cui gli effetti dei cambiamenti climatici, come la siccità e la desertificazione, sono destinati a determinare una drastica riduzione delle produzioni. Per questo – sottolinea – bisognerebbe capire che non possiamo permetterci di ipotecare i terreni per la produzione di energia. E questo non significa rinunciare alla transizione ecologica. Le alternative esistono, serve la volontà di adottarle».

      A inizio 2022, la Regione Siciliana ha approvato il nuovo piano energetico che delinea le strategie per lo sviluppo delle rinnovabili. In precedenza, la commissione guidata da Angelini, esaminando la bozza di piano, aveva dato una serie di prescrizioni rimaste però inattuate. Tra queste c’era la definizione delle aree non idonee all’installazione degli impianti. «L’indirizzo era quello di garantire maggiori tutele per le aree agricole di pregio, ma la politica ha deciso di non raccogliere le nostre indicazioni – commenta l’ex presidente della Cts – Questa non è l’unica stortura: il piano dice chiaramente che la localizzazione degli impianti debba avvenire privilegiando le discariche e le cave dismesse, i siti già compromessi dal punto di vista ambientale e le aree industriali e artigianali. Invece assistiamo alla continua presentazione di progetti fotovoltaici su zone agricole».

      Parlando della grandezza dei progetti – quelli di Engie non sono neanche i più vasti – Angelini ne fa anche una questione socio-economica. «Dovremmo ragionare sul tipo di futuro che vogliamo. Parlare genericamente di rinnovabili non basta. La storia ci dice che l’energia, la sua produzione, è legata a doppio filo con la libertà. Si fanno le guerre per garantirsi l’autonomia energetica. Siamo certi che la scelta migliore sia quella di andare verso un futuro con nuovi monopolisti dell’energia, anziché favorire lo sviluppo delle comunità energetiche?»

      Le comunità energetiche e l’autoconsumo collettivo sono pratiche che permettono a soggetti privati e pubblici di costruire e gestire impianti di produzione di energia rinnovabile pensati principalmente per uno “in loco”. In particolare l’autoconsumo collettivo è portato avanti dagli abitanti di un unico edificio mentre le comunità energetiche sono delle entità più ampie, solitamente un complesso di condomini, piccole e medie imprese ed enti pubblici, purché siano allacciati alla stessa cabina di trasformazione d’energia. In pratica la comunità energetica investe nella costruzione di un impianto, come ad esempio un fotovoltaico sui tetti dei condomini, così da iniziare l’autoproduzione e l’autoconsumo dell’energia rinnovabile.

      «Queste collettività sono pensate per produrre e consumare energia da fonti rinnovabili in loco, così da ridurre le bollette, e non per scopi di lucro, ecco perché la legge dispone che per poter prendere parte alle comunità energetiche sia necessario dimostrare che la produzione e la commercializzazione di energia non sia la fonte principale di guadagno», puntualizza Gianni Girotto, che da parlamentare nazionale del Movimento 5 Stelle è stato il promotore delle comunità energetiche in Italia.

      Il concetto alla base delle comunità energetiche è la produzione di energia diffusa e distribuita su un territorio molto più vasto ma allo stesso tempo molto meno impattante rispetto alle classiche centrali o ai campi eolici e fotovoltaici. I benefici principali, oltre ad una riduzione delle bollette, riguardano anche le spese nazionali del trasporto di energia. Produrre e condurre l’energia da un luogo a un altro ha dei costi ingenti per lo Stato e avere più comunità energetiche sparse in tutto il territorio alleggerirebbe la rete nazionale. Secondo i dati aggiornati a fine 2022, esistono solo 46 attività di autoconsumo collettivo e 21 comunità energetiche. «Un risultato ancora scarso – ammette Girotto – in parte dovuto al Covid che ha cancellato l’argomento dalle discussioni, in parte da una mancanza di reale volontà politica di promuovere le comunità».

      Ad oggi infatti si aspettano ancora i decreti attuativi per definire alcuni che regolamentano, ad esempio, le comunità energetiche più grandi. Per ora sono possibili comunità energetiche basate sulle cabine di trasformazione secondarie, che sono circa 600 mila in tutta Italia, su cui si possono costituire comunità grandi quanto un piccolo isolato o una via per le città più grandi. «Ma se si regolamentassero le comunità energetiche che si allacciano alle cabine primarie, si potrebbero formare comunità grandi quanto diversi comuni così da contribuire significativamente alla riduzione delle necessità di importazioni energetiche che sono più costose ed estremamente più inquinanti», conclude Girotti.

      Quale futuro spetterà alle comunità energetiche è un capitolo ancora tutto da scrivere. Quel che finora pare evidente è che a dettare legge sono ancora i colossi del settore. Aziende che, per loro natura, hanno come obiettivo primario quello di sfruttare economicamente al meglio le opportunità offerte dalle leggi.

      Da questo punto di vista, uno dei primi effetti lo si è notato sul mercato immobiliare dei terreni. Le aziende, infatti, preferiscono trattare con i privati. «Rinunciando ad avere un ruolo centrale nella pianificazione dello sviluppo energetico dell’isola, la Regione sta perdendo l’opportunità di avere introiti da questi investimenti – spiega il professore Aurelio Angelini -. Se si lavorasse alla promozione della realizzazione degli impianti nelle discariche pubbliche o nelle cave dismesse, si potrebbero indire gare per l’affidamento di queste aree ai privati, ottenendo in cambio un canone annuale». Così, però, non sta avvenendo e ad accorgersene è innanzitutto chi con la compravendita degli immobili ci lavora.

      «Fino a qualche anno fa, da queste parti un ettaro di terreno agricolo veniva venduto intorno ai 15 mila euro a ettaro. Oggi per meno di 35 mila non lo si trova», racconta un professionista del settore. Lo incontriamo nel suo studio di Mazara del Vallo, a meno di dieci chilometri dall’impianto di Engie. Ha accettato di parlarci soltanto a condizione di mantenere l’anonimato. «La domanda di terreni per installare pannelli solari è cresciuta in maniera spropositata e l’innalzamento dei prezzi è stata la naturale conseguenza – spiega – Per molti proprietari si tratta di cifre che difficilmente guadagnerebbero lavorando la terra».

      Si potrebbe pensare che per gli immobiliaristi siano periodi di vacche grasse. «Ma non è così, io negli ultimi anni sono riuscito a vendere soltanto un terreno destinato a fotovoltaico. Chi ci guadagna davvero sono i sensali». La senseria è l’attività di mediazione portata avanti spesso in maniera informale da soggetti non qualificati. «Per le società che arrivano da fuori, magari dal Nord Italia o dall’estero, sono dei veri procacciatori di affari e non importa se non siano professionisti del settore, si sanno muovere». Quando gli chiediamo in cosa consista tale capacità, chiarisce: «Spesso sono allevatori, conoscono molto bene le campagne e chi sono i proprietari. Come guadagnano? Si dice che prendano una percentuale dal venditore».

      Ancora oggi in Sicilia il legame con la terra è forte. Può capitare per esempio che un terreno, passando di generazione in generazione nelle mani di sempre più eredi, resti incolto ma comunque ben saldo all’interno del patrimonio di famiglia. La nuova propensione a cederli, e il coinvolgimento di intermediari di fortuna, è un fenomeno che non è passato inosservato anche negli ambienti investigativi. Inevitabile chiedersi se dietro l’attività dei procacciatori possa esserci anche il peso della criminalità: «A oggi non sono emerse evidenze che portino a sostenere un coinvolgimento delle famiglie mafiose nella fase di individuazione dei terreni da destinare alle rinnovabili, ma è chiaro – sottolinea – che quella del sensale è una figura ambigua. Si tratta spesso di soggetti che si muovono in zone grigie. D’altra parte storicamente la mafia siciliana ha avuto un legame forte con la terra, basti pensare al ruolo dei campieri, che si occupavano della guardiania».
      Di chi sono le aree utilizzate da Engie

      «I terreni sono stati acquisiti direttamente dai proprietari». A negare il coinvolgimento di intermediari di fortuna nelle trattative per l’acquisizione delle aree su cui realizzare gli impianti di Mazara del Vallo e Paternò è la stessa Engie. «Nel primo caso il terreno è stato in larga parte acquistato da una singola proprietà, mentre i terreni di Paternò erano frazionati su pochi proprietari terrieri locali», specificano dagli uffici della multinazionale.

      Una versione che trova conferma anche nelle parole di Francesca Adragna, 54enne originaria di Trapani ma residente in Toscana che, insieme al fratello, era la proprietaria dei terreni scelti da Engie per installare i pannelli. «Non abbiamo avuto sensali che si sono interessati alla trattativa, so bene che in Sicilia girano molti sedicenti intermediatori, ma nel nostro caso non è accaduto». Dai documenti visionati da IrpiMedia risulta che a chiedere al Comune di Mazara del Vallo la certificazione di destinazione urbanistica da presentare alla Regione è stata una terza persona. «È stato incaricato da mio fratello, ritengo sia un tecnico», chiosa la donna. Per poi specificare di avere deciso «di vendere questi terreni perché si tratta di un’eredità e, vivendo io fuori dalla Sicilia, occuparsene era sempre più complicato».

      Continuando a scorrere le centinaia di pagine di documenti che accompagnano il progetto presentato alla Regione, ci si imbatte anche su un’altra serie di proprietari. I loro terreni vengono tirati in ballo nella parte riguardante i lavori per la stazione elettrica e i relativi raccordi alla rete di trasmissione nazionale (Rtn) al servizio del campo fotovoltaico. Anche in questo caso sono nomi che per motivi diversi, in alcuni casi legati a passate vicende giudiziarie che nulla hanno a che vedere con l’iter che ha portato alla realizzazione dell’impianto di Engie, sono noti all’opinione pubblica.

      Tra loro ci sono Maria e Pietro Maggio. I due sono discendenti della famiglia Poiatti, rinomati industriali della pasta. Maria attualmente è presidente del consiglio d’amministrazione della società. A loro sono intestate due vaste particelle indicate come vigneti e terreni seminativi utilizzate per la realizzazione della stazione elettrica e per i raccordi alla Rtn. Dai documenti emerge che quest’ultima parte ha interessato anche alcuni terreni di proprietà di Marina Scimemi. La donna, 47 anni, è figlia di Baldassarre Scimemi, l’ex presidente della Banca Agraria di Marsala e vicepresidente dell’Istituto Bancario Siciliano che a inizio anni Novanta venne accusato di essere a disposizione di Cosa nostra. Gli inquirenti accusavano l’uomo di avere elargito crediti a condizioni di favore e fornito una sponda per il riciclaggio del denaro. Per quelle vicende, Scimemi è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

      Nei documenti presentati da Engie compare anche il nome del 41enne Francesco Giammarinaro. Il padre, Pino, è stato deputato regionale della Democrazia Cristiana nella prima metà degli anni Novanta. Una carriera politica costruita all’ombra della corrente andreottiana e vicino a Nino e Ignazio Salvo, i cugini di Salemi – lo stesso paese di Giammarinaro – che per decenni hanno avuto in mano la riscossione dei tributi in Sicilia, grazie anche ai legami con Cosa nostra. Anche per Pino Giammarinaro i problemi con la giustizia non sono mancati: arrestato nel 1994, ha patteggiato i reati di concussione e corruzione, mentre è stato assolto dall’accusa di concorso esterno. A partire dagli anni Duemila, il suo patrimonio è stato sottoposto a misure di prevenzione che hanno portato alla confisca. Tra i beni su cui sono stati posti i sigilli c’è anche il terreno di contrada San Nicola di Corsone. Nel progetto presentato da Engie si menziona l’appezzamento quando si fa riferimento al tracciato dell’elettrodotto aereo; area che per questo sarebbe stata sottoposta a vincolo preordinato all’esproprio.

      «Non ne so nulla, quel terreno ormai non è né di mio figlio né tantomeno mio. Rientra tra quelli sequestrati, da oltre dieci anni non ci appartiene», taglia corto Pino Giammarinaro, raggiunto telefonicamente da IrpiMedia. Sul punto, però, fa chiarezza Engie specificando che, per quanto nella documentazione presentata alla Regione si menzioni la particella 4, «il terreno confina con la nuova stazione elettrica ma non è interessato dalla nostra opera».

      Uva pregiata a basso costo

      Girare per la provincia di Trapani senza imbattersi in qualche vigneto è praticamente impossibile. Rosso, bianco o rosè, da queste parti si beve bene. Tuttavia, chi la terra la lavora praticamente da sempre si è accorto che qualcosa sta cambiando. Anzi, che forse è già cambiato. «Un tempo questa era una delle zone con più vigneti al mondo. Di questo passo, invece, continuare a coltivare viti non varrà più la pena». A parlare è il titolare di una delle tante aziende agricole che hanno sede nell’estremità occidentale della Sicilia. Ci accoglie in un ampio salone per parlare di come in meno di un decennio la redditività delle produzioni sia crollata. «Non è una sensazione, lo dicono i numeri e i bilanci – spiega l’uomo – Chi produce uva da vino da queste parti guadagna molto meno che altrove. Io non so se c’entri qualcosa, ma questo problema è coinciso con il periodo in cui hanno iniziato a costruire impianti per le rinnovabili. Prima c’è stato il boom dell’eolico, adesso sembra che tutti vogliano fare parchi fotovoltaici».

      L’imprenditore suggerisce di confrontare i listini delle cantine sociali. In provincia di Trapani ce ne sono tante, c’è chi lavora con proprie etichette e chi vende il vino sfuso ad altre aziende. Una delle più affermate è Cantine Ermes, attiva non solo nell’isola. Guardando il bilancio del 2022, in cui sono contenuti i dati relativi agli acconti pagati ai soci per i conferimenti effettuati nel corso della vendemmia 2021, si legge che l’uva Chardonnay è stata pagata da 10 a 38 euro al quintale, mentre chi ha portato uva Frappato ha incassato come acconto un massimo di 40 euro al quintale. Per le stesse tipologie di vitigno, una cantina di Riesi, in provincia di Caltanissetta, nella stessa annata ha elargito ai propri soci 60 euro al quintale per lo Chardonnay e da 47 a 52 euro per il Frappato. Le differenze sono marcate anche se si confrontano altri vitigni.

      Stabilire una diretta correlazione tra la bassa redditività dell’uva trapanese e il boom del fotovoltaico non è semplice, ma il calo dei profitti ha fatto crescere il numero di produttori che si chiedono se sia il caso andare avanti. A pensarla così è Giovanni Di Dia, segretario Flai Cgil in provincia di Trapani e a sua volta piccolo produttore. «La specificità del caso trapanese rende difficile pensare che sia determinata soltanto da logiche di mercato – afferma – La tentazione di pensare all’influenza di fattori esterni c’è, perché davvero non si capisce come in altre province si possano liquidare decine di euro in più a quintale. Non si tratta di fare confronti con l’altra parte del Paese, ma di spostarsi di un centinaio di chilometri».

      Quella dei produttori di uva è solo una delle tante perplessità che accompagnano, non solo in Sicilia e non solo in Italia, la corsa al fotovoltaico. E come in tutte le occasioni in cui bisogna fare di fretta, i rischi di perdersi qualcosa per strada sono alti. Chiedersi cosa ne sarà di aree come contrada Carcitella da qui in avanti è fondamentale, perché ne va del modo in cui immaginiamo il futuro e il rapporto con i luoghi che viviamo. In questo senso, il caso Engie dimostra come a essere favoriti, anche sul fronte della remunerazione dei terreni ceduti alle multinazionali, siano spesso grossi proprietari terrieri. Famiglie che in qualche modo ancora oggi rappresentano il volto del latifondo. Per il professore Angelini il discorso, dunque, va oltre la scelta tra rinnovabili – in questo caso il fotovoltaico – e fonti fossili. «Vogliamo sostituire i padroni dell’energia con nuovi monopolisti o vogliamo una società di produttori più equa e democratica?»

      #Sicile #corruption

      voir aussi:
      https://seenthis.net/messages/1007935

  • South Australia’s remarkable 100 per cent renewables run extends to over 10 days
    https://reneweconomy.com.au/south-australias-remarkable-100-per-cent-renewables-run-extends-to-

    South Australia posts a remarkable and world-first run of net 100 per cent wind and solar for more than 10 days, or 249 hours. South Australia has just chalked up what is undoubtedly a world first – a run of more than 10 consecutive days over which the average production of wind and solar accounted for 100 per cent of local demand. No other gigawatt scale grid in the world has come close to this amount of “variable renewable energy”, or for such a long time.

    — Permalien

    #énergie

  • [rapport] Zoom sur les menaces géopolitiques et climatiques du projet de gazoduc EastMed, soutenu par l’UE - Espace Presse Greenpeace France
    https://www.greenpeace.fr/espace-presse/rapport-zoom-sur-les-menaces-geopolitiques-et-climatiques-du-projet-de-ga

    Un nouveau rapport publié aujourd’hui par Greenpeace Italie dénonce les risques #géopolitiques et climatiques liés au projet de gazoduc EastMed, que la Commission européenne a jugé prioritaire dans le cadre des projets d’intérêt commun (PIC) dans le domaine de l’#énergie.

    Le gazoduc, qui ne serait pas mis en service avant 2028, relierait les champs gaziers israéliens et chypriotes à la Grèce puis à l’Italie, traversant les eaux contestées entre la Grèce, la Turquie et Chypre.

    Face au danger qu’il représente à la fois pour la paix en #Europe et pour le #climat, Greenpeace demande à la Commission et aux gouvernements européens de se retirer du projet de #gazoduc EastMed, de le retirer de la liste des PIC et de procéder à une évaluation des risques de #conflit pour tout projet transfrontalier d’infrastructure de combustibles #fossiles soutenu par l’UE. La France doit également prendre ses responsabilités en poussant activement pour l’arrêt du soutien de l’#UE à ce projet.

  • La mobilisation contre la réforme des retraites : enjeux et perspectives
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2023/02/25/reforme-des-retraites-vers-un-reveil-de-la-combativite-ouvri

    En organisant et en encadrant la contestation, les chefs des confédérations syndicales, #Laurent_Berger en tête, sont dans leur rôle de «  lieutenants ouvriers de la classe capitaliste – pour reprendre la formule du militant socialiste américain Daniel de Leon reprise par Lénine dans La maladie infantile du communisme (le «  gauchisme  »)

    Laurent Berger ne s’est pas radicalisé, mais il a pris la mesure de l’opposition à cette réforme et se donne les moyens de l’encadrer, main dans la main avec les autres confédérations, et en premier lieu la #CGT

    Fort des antennes que lui donnent les 600 000 adhérents de la #CFDT et sa place de premier syndicat aux élections professionnelles, en particulier dans le privé et dans des entreprises moyennes, Berger a pu mesurer le rejet de cette loi qui va obliger des millions de travailleurs à se faire exploiter deux ans de plus, ou à rester plus longtemps au chômage et aux #minima_sociaux. Il sait qu’à la colère suscitée par cette attaque sur les #retraites s’ajoute la flambée des prix, qui plonge des millions de ménages dans l’angoisse de ne pouvoir se chauffer, ni mettre de l’essence dans sa voiture ni se loger ou se nourrir correctement.

    En répétant «  La mobilisation est à l’image de la CFDT  », il tire certes la couverture à lui et passe sous silence que l’immense majorité des manifestants ne sont ni syndiqués ni attirés par les cortèges de la CFDT. Mais il exprime une réalité  : un nombre important de manifestants et de grévistes viennent d’entreprises petites ou moyennes, des milieux employés, techniciens, agents de maîtrise ou cadres, qui participent rarement aux journées nationales de grève. Dans les grandes entreprises où des syndicats pro-patronaux sont majoritaires, et pour lesquels appeler à la grève est un quasi-sacrilège, comme chez #Airbus, #Stellantis ou #Toyota, ces syndicats se sont sentis obligés d’appeler aux manifestations et y ont amené de nombreux travailleurs. Même des travailleurs habituellement peu combatifs refusent l’idée de travailler deux ans de plus. Beaucoup sont révoltés par le fait qu’on va leur imposer, à eux qui créent toutes les richesses, de nouveaux sacrifices, alors que l’argent de l’État coule à flots pour arroser le #grand_capital.

    L’#intersyndicale peut d’autant plus garder le contrôle de la mobilisation que celle-ci n’est pas explosive.

    Si les chiffres des #manifestants et des salariés qui débrayent sont élevés, atteignant ceux des meilleures journées de 2010 ou de certaines manifestations de 1995, aucun secteur, pas plus les #cheminots que les #raffineurs, les travailleurs de l’énergie que ceux des services publics, n’est encore parti en grève à la suite des journées réussies. Les arguments sur le coût de la #grève pour les #grévistes, largement relayés par les chefs syndicaux pour justifier leur calendrier, indiquent surtout les hésitations de bien des travailleurs à engager un combat qu’ils savent difficile.

    La mobilisation n’est pas explosive, mais cela peut changer :

    Un mouvement de masse a sa propre dynamique. Après des années de reculs, de précarisation, de perte de confiance dans leur force collective et même de la conscience d’appartenir à une même classe sociale, les travailleurs partent de loin. La réussite des cinq journées de mobilisation a déjà permis à ceux qui y ont participé de prendre conscience qu’ils n’étaient pas tout seuls. Se retrouver à des milliers dans des petites villes, à des dizaines de milliers dans les plus grandes, à un ou deux millions dans tout le pays, permet de sentir qu’on appartient à une force collective qui se voit, qui agit, qui proteste. L’appel de l’inter­syndicale à faire du 7 mars une journée de grève générale massive, «  une France à l’arrêt  », les appels de plusieurs #syndicats, dans plusieurs secteurs, comme la #RATP, l’#énergie, la #chimie, à partir en grève reconductible à partir du 7 mars, donneront peut-être l’impulsion et la confiance en eux à un nombre significatif de travailleurs pour entrer réellement dans la lutte.

    Il faudra que la mobilisation s’étende et s’approfondisse dans les entreprises du privé, et notamment dans les bastions que sont
    les grandes entreprises.

    Instaurer un rapport de force favorable aux travailleurs, ce n’est certainement pas organiser «  le #blocage du pays  », selon le vocabulaire sciemment trompeur des journalistes, des dirigeants politiques ou syndicaux, qu’ils en soient partisans ou adversaires.

    La force des travailleurs, c’est qu’ils font tout fonctionner. S’ils se mettent massivement en grève, tout s’arrête, car ils sont irremplaçables. Mieux encore, ils ont la capacité de tout faire fonctionner selon leurs propres priorités, s’ils prennent le contrôle des moyens de production et de transport. Ils peuvent par exemple couper le courant aux propriétés de #Bernard_Arnault ou à une usine d’armement, et le rétablir à des familles qui ne peuvent plus payer leurs factures. Dans la lutte en cours, ce qui pourrait faire reculer Macron, c’est la crainte que la mobilisation affecte la pompe à profits, et que le grand patronat craigne que les travailleurs ne s’arrêtent pas à la seule question des retraites mais présentent la liste de toutes leurs doléances. Face à une telle menace, face au risque de développement d’une grève générale, c’est le Medef qui ordonnera à Macron de remballer sa réforme sans délai.

    Si le mouvement prenait cette orientation et cette ampleur, on verrait les confédérations syndicales, et pas seulement celles dites réformistes comme la CFDT, mettre tout leur poids pour l’arrêter et le canaliser vers des voies de garage, comme elles l’ont fait moult fois dans le passé.

    C’est pourquoi la tâche actuelle des militants révolutionnaires est de politiser le maximum de travailleurs, d’élever leur niveau de conscience, en profitant du climat engendré par la mobilisation contre les retraites, pour préparer l’avenir.

    Il faut multiplier les discussions, sous toutes les formes, sur tous les sujets qui concernent le sort et l’avenir de notre classe.

    Cela commence par comprendre que Macron n’est qu’un serviteur politique de la bourgeoisie, un exécutant remplaçable de ses intérêts généraux immédiats ou plus lointains . Dans cette période de crise économique générale, où la rivalité entre les grands groupes internationaux pour se partager la plus-value, accéder aux marchés, à l’énergie, aux matières premières, fait rage, la feuille de route de tous les gouvernements bourgeois, dans tous les pays, est simple  : réduire au maximum la part de richesses qui revient aux classes populaires, sous toutes les formes, pour augmenter la part versée directement aux capitalistes.

    Le grand patronat se moque de savoir comment les politiciens s’y prennent pour exécuter ce programme, s’ils choisissent de tailler davantage dans les retraites que dans le budget des écoles ou des hôpitaux.

    Mais ils veulent que la saignée se fasse sans crise sociale. Si un mouvement de grève contagieuse éclate, le patronat demandera à son fondé de pouvoir à l’Élysée de remballer sa loi. Mais ce sera pour repartir à l’attaque, plus tard, dès qu’ils le pourra. Pour en finir aussi bien avec la #pauvreté, le #chômage, les bas #salaires qu’avec les menaces guerrières et les guerres réelles, il faudra tôt ou tard engager le combat à un niveau supérieur, pour contester la direction de la société à la classe capitaliste, et il faut s’y préparer dès maintenant.

    Ce n’est évidemment pas la perspective proposée par les partis représentés au #Parlement. Ces partis aspirent à remplacer au pouvoir Macron et sa bande et présentent la #réforme_des_retraites comme un simple choix idéologique de #Macron.

    Le spectacle puéril donné pendant quinze jours par les députés lors de l’examen du projet de loi a été une leçon de choses sur l’impuissance et la #fatuité des parlementaires et, pour reprendre l’expression de #Marx et de #Lénine, leur crétinisme. Du côté des partisans de la réforme, ceux de LR ont marchandé ligne par ligne leur soutien aux #macronistes qui, pour leur part, n’ont cessé de mentir et d’afficher leur mépris social. Du côté des opposants déclarés, ceux du #RN, qui se prétendent opposés à la #réforme, se sont contentés de déposer une motion de censure symbolique, tout en se démarquant des manifestations et plus encore des grèves. Ils font le grand écart entre la fraction ouvrière de leur électorat, hostile à cette réforme, et leurs électeurs proches des milieux patronaux, qui haïssent la grève. Ceux de la #Nupes, et particulièrement de #LFI, ont déposé près de 20 000 amendements, pour organiser un jeu d’obstruction dans lequel chaque député a tenté de capter la lumière. Ils ont affiché leur rivalité avec les confédérations syndicales pour prendre la direction de la contestation, déclenchant tour à tour l’agacement de Berger («  spectacle honteux et désolant à l’Assemblée  ») puis de #Martinez («  LFI veut s’approprier le #mouvement_social et faire passer les syndicats au second plan  »).

    Les #chefs_syndicaux et les #députés de gauche jouent chacun sa partition mais ils sont tous, chacun dans son registre, des défenseurs de l’ordre social.

    Les travailleurs doivent se méfier des uns et des autres. Si un mouvement de grève sérieux démarre après le 7 mars, il faudra que les grévistes contrôlent collectivement le mouvement, par l’intermédiaire des assemblées générales de grévistes et par des comités de grève élus démocratiquement. C’est aux travailleurs mobilisés et à eux seuls de décider comment la lutte peut aller jusqu’au bout de ses possibilités. Et si le mouvement de grève, celui-là ou un prochain, se transformait en une contestation politique plus profonde, comme en 1936, il faudrait que les comités de grève se transforment en conseils ouvriers, organes du pouvoir des travailleurs. Si une telle perspective n’est pas aujourd’hui à l’ordre du jour, préparer l’avenir, c’est en discuter le plus largement possible avec le maximum de #travailleurs. Cela peut contribuer à approfondir la conscience de classe d’un nombre plus grand de travailleurs, afin que le réveil de la #combativité s’accompagne d’une prise de conscience politique et renforce le courant révolutionnaire au sein de la #classe_ouvrière.

    #capitalisme #réformisme #communisme_révolutionnaire #inflation

  • La CGT Ports et docks intensifie sa lutte contre la réforme des retraites Carole LANZI - lemarin.ouest-france

    La Fédération nationale des ports et docks CGT appelle à 48 heures d’arrêt de travail les 7 et 8 mars pour renforcer la lutte contre le projet de réforme des retraites, a indiqué le 2 mars son secrétaire général, Tony Hautbois.

    Compte tenu de la représentativité de la CGT, « cela veut dire que plus de 90 % de l’activité portuaire sera à l’arrêt » , a-t-il souligné au siège du syndicat, à Montreuil.

    La Fédération appelle en outre à une journée « ports morts » le 8 mars. Objectif : « faire en sorte que les accès aux zones portuaires soient fermés » et « pénaliser l’activité au-delà des établissements strictement portuaires » . La CGT Ports et docks invite également à maintenir la suppression des heures supplémentaires et des shifts exceptionnels.

    Grève reconductibles sur certains sites
    Ces mesures seront également appliquées dans les ports d’outre-mer, a expliqué Tony Hautbois, ajoutant qu’une nouvelle assemblée générale est prévue le 9 mars pour décider des actions à mener dans la semaine du 13.

    Il s’est exprimé devant environ 600 militants et des journalistes aux côtés de quatre autres représentants de fédérations professionnelles nationales CGT (Mines-Énergie, Industries chimiques, Cheminots et Verre-Céramique), les cinq fédérations ayant décidé de coordonner leurs efforts. « La grève reconductible sera effective dans l’ensemble des raffineries françaises, à partir du 6 mars sur certains sites », a déclaré le secrétaire général de la CGT Industries chimiques, Emmanuel Lépine, ajoutant que des actions étaient aussi prévues dans les dépôts pétroliers.

    Source : https://lemarin.ouest-france.fr/secteurs-activites/shipping/la-cgt-ports-et-docks-intensifie-sa-lutte-contre-la-reforme-des

    #Ports #Retraite #Gréve #Blocage #économie #raffineries #énergie

    • Et oui. Tout le monde est là « panneau photovoltaïque, gna gna gna ». Alors que c’est un gouffre à carbone à fabriquer et recycler. Sans compter la refacturation au réseau qui est une perte de fonds publiques aux bénéfices du privé.
      Alors qu’un chauffe eau solaire qui est juste "de la lumière sur du noir, dans une petite verrière. Ba faut pas être einstein pour comprendre que c’est très bien.
      Et en plus, tu as au minimum de l’eau à 15°C au robinet en cas de (non ca n’arrive jamais) panne de courant qui en général te coupe le gaz, vu que les chauffe eau à gaz sont mal foutus.

  • Deux articles synthétiques de François Jarrige sur deux matières centrales de notre époque : le charbon, et le pétrole. Dans le « Vocabulaire critique & spéculatif des transitions ».

    Charbon. Généalogie d’une obsession
    https://vocabulairedestransitions.fr/article-4
    https://sniadecki.wordpress.com/2023/02/16/jarrige-charbon

    Pétrole. L’or noir entre nuisances, dégâts et transitions
    https://vocabulairedestransitions.fr/article-5
    https://sniadecki.wordpress.com/2023/02/18/jarrige-petrole

    #François_Jarrige #charbon #pétrole #énergie #transition #histoire #critique_techno

  • Jamais les énergies fossiles n’ont été autant subventionnées | Le Devoir
    https://www.ledevoir.com/economie/782107/energie-jamais-les-energies-fossiles-n-ont-ete-autant-subventionnees

    « Plus de mille milliards de dollars » : contraints de répondre dans l’urgence à la flambée des tarifs de l’énergie, les États n’ont jamais autant subventionné la consommation d’énergies fossiles qu’en 2022, alors que la crise climatique exigerait l’inverse, a déploré jeudi l’Agence internationale de l’énergie (AIE).

  • #Crise_climatique : renverser le #capitalisme pour offrir un avenir à l’humanité | lutte de classe n°199 - mai 2019
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2019/04/21/crise-climatique-renverser-le-capitalisme-pour-offrir-un-ave

    Le #réchauffement_climatique : un révélateur de l’irresponsabilité du capitalisme | #conférenceLO #archiveLO (Cercle Léon Trotsky, 23 décembre 2015 n°143)
    https://www.lutte-ouvriere.org/publications/brochures/le-rechauffement-climatique-un-revelateur-de-lirresponsabilite-du-ca

    Sommaire

    Une préoccupation fondamentale du #marxisme
    – La machine climatique
    – Les facteurs du #climat ont beaucoup changé au cours du lointain passé de la Terre
    – Les changements climatiques des trois derniers millions d’années

    Les changements depuis la #révolution_industrielle
    – Les conséquences actuelles du réchauffement
    – Canicules et sécheresses
    – Quel futur peut-on prévoir ?

    Vingt-trois ans de grands-messes internationales... pour accoucher du #protocole_de_Kyoto
    – Un protocole qui n’impose rien aux grands trusts
    – La conférence de Paris (#COP21)
    – Un sous-investissement général
    – L’épineuse question de l’#énergie
    – La démarche des grands groupes  : faire financer les futurs investissements par la collectivité et les consommateurs
    – « Chacun peut faire un petit geste »  ou  comment exonérer les responsabilités du capitalisme
    – La multiplication des déplacements inutiles de #marchandises
    – Le #transport routier encouragé par les gouvernements
    – Rationaliser les échanges et les déplacements de marchandises

    Le #communisme est aussi l’avenir de l’#écologie

  • Ils ont du #pétrole et une seule idée : enrichir leurs #actionnaires
    En 2022, les cinq premiers #groupes_pétroliers occidentaux ont totalisé 180,5 milliards de dollars de #profits. Un record historique. Plutôt que d’investir dans les #énergies #renouvelables et de préparer l’avenir, ils préfèrent reverser l’essentiel à leurs actionnaires. Cette position de rente ne peut que relancer le débat sur le rôle des #majors_pétrolières.

    Martine Orange
    8 février 2023 à 19h01

    https://www.mediapart.fr/journal/economie-et-social/080223/ils-ont-du-petrole-et-une-seule-idee-enrichir-leurs-actionnaires

    EnEn temps normal, les cinq premiers grands groupes pétroliers mondiaux (#ExxonMobil, #Chevron, #Shell, #BP et #Total) auraient sans doute plastronné. Au vu des circonstances, ils ont préféré faire #profil_bas. En ces temps de #crise_énergétique qui malmène #finances_publiques, entreprises et ménages, leurs profits ne peuvent que relancer le débat sur leur conduite : en 2022, ces cinq premiers groupes ont totalisé ensemble 180,5 milliards de dollars, soit 100 milliards de dollars de plus qu’en 2021, année déjà considérée comme #exceptionnelle.

    Et ces profits auraient été encore plus élevés si des opérations comptables n’étaient venues lisser les comptes. Total ainsi a enregistré un bénéfice comptable net ajusté de 36,2 milliards de dollars. Après la prise en compte de ses désinvestissements en Russie (15 milliards de dollars), son bénéfice est ramené à 20,5 milliards de dollars.

    Jamais dans leur histoire récente, les majors du Big Oil n’avaient enregistré des résultats aussi colossaux. En 2011, année où le prix du baril avait dépassé les 120 dollars, leurs profits s’élevaient à 140 milliards. Shell d’ailleurs le reconnaît : le groupe a enregistré un résultat historique (39,8 milliards de dollars), le plus élevé en 115 ans !

    À eux seuls, ces chiffres résument la folie du moment. La crise énergétique, les tensions géopolitiques, la guerre en Ukraine sur fond de crise climatique se traduisent par des déplacements financiers colossaux et une accumulation encore plus gigantesque de capitaux entre quelques mains qui mettent à profit leur position de rente, sans qu’aucun facteur redistributif ne vienne les contrarier. Un pognon de dingue, pour reprendre l’expression désormais consacrée, est accaparé au détriment de tous à court et long terme.

    Si le ministre des finances français Bruno Le Maire ne sait toujours pas ce que veut dire des superprofits, la Maison Blanche le sait, qui en a tout de suite perçu le caractère politiquement explosif. « Il est scandaleux qu’Exxon réalise un nouveau record des profits pour les compagnies pétrolières occidentales, après que les Américains ont été forcés de payer des prix si élevés à la pompe au milieu de l’invasion de Poutine », a réagi un porte-parole de la Maison Blanche dans un mail, tout de suite après la publication des résultats d’ExxonMobil annonçant 55 milliards de dollars de profits.

    Une économie mondiale toujours plus dépendante des énergies fossiles
    Derrière ces chiffres effarants se cache déjà un premier constat accablant : en dépit des grands discours et des beaux engagements, l’économie mondiale est plus carbonée que jamais. Alors que 2022 a été marquée par nombre d’événements (tempêtes, inondations, vagues de chaleur, sécheresses) prouvant la réalité des dérèglements climatiques et l’urgence de la situation, rien n’a été fait pour tenter d’endiguer le recours aux énergies fossiles. Au contraire. La demande mondiale en pétrole, gaz, hydrocarbures continue d’augmenter : elle a dépassé désormais les 100 millions de barils par jour et devrait continuer à progresser cette année, selon l’Agence internationale de l’énergie.

    Mais face à ce rebond de la consommation, l’offre n’a pas suivi. Depuis plusieurs années, les groupes pétroliers et les pays producteurs ont opté pour une stratégie de la rareté, laquelle leur semble beaucoup plus rémunératrice et sûre que de pousser à la surproduction. L’effacement des approvisionnements pétroliers et gaziers russes, à la suite des sanctions adoptées par l’Occident en réponse à l’invasion de l’Ukraine par la Russie, a achevé de bouleverser les équilibres existants du secteur.

    L’Europe, la poule aux œufs d’or des pétroliers
    L’impréparation et la façon brouillonne dont les pays européens ont mis en œuvre ces sanctions contre Moscou, jusqu’alors l’un des premiers, voire le premier, fournisseurs de certains pays européens, a conduit à une surenchère entre ces derniers, ainsi qu’à une spéculation effrénée. Dans leurs présentations, les grands groupes mondiaux ne manquent pas de consacrer des mentions spéciales au continent européen : « le siphonnage massif de la prospérité en dehors de l’Europe », dénoncé par le premier ministre belge à l’automne, se retrouve en partie dans les comptes de résultats de ces cinq majors.

    L’Europe a été leur poule aux œufs d’or. Les profits exceptionnels de Shell sont tirés en grande partie de ces ventes de gaz naturel liquéfié à l’Europe, tout comme BP. ExxonMobil a multiplié par deux ses profits en Europe en un an. Plus grave : l’Union européenne, qui se veut le fer de lance de la transition écologique, a tourné le dos à ses propres engagements, a relancé dans la panique ses centrales à gaz, ses centrales à charbon, et construit à toute vitesse des terminaux pour importer du gaz naturel liquéfié (GNL) et ainsi faire face aux ruptures provoquées par les sanctions à la suite de l’invasion de l’Ukraine par la Russie. Sans discuter les prix.

    La mise entre parenthèses des impératifs climatiques
    Cette volte-face n’a pas échappé aux majors pétrolières. Tous ces grands groupes ont tout de suite compris que le fameux signal-prix, censé être la corde de rappel économique pour contraindre la demande, n’existait pas dans un monde qui a soif d’énergie, et qui n’a d’autre solution que de se raccrocher aux énergies fossiles, faute d’alternatives.

    Dans leur présentation stratégique, les cinq majors prennent toutes note de ce revirement pour s’en réjouir. Ces dernières années, elles se posaient des questions existentielles, se demandant où était leur futur : elles avaient arrêté nombre de projets d’investissements dans l’exploration et la production, les jugeant trop risqués et pas assez rentables ; elles s’inquiétaient d’être bannies par les investisseurs et les marchés de capitaux pour non-conformité aux critères sociaux et environnementaux. Toutes ces craintes se sont volatilisées : les grands groupes pétroliers occidentaux affichent aujourd’hui une sérénité rarement vue depuis 2011, leur dernière grande année de réussite.

    Bien sûr, elles disent avoir encore des projets pour accompagner la transition écologique et développer d’autres énergies propres. ExxonMobil ne jure que par les techniques de production de l’hydrogène et la capture du carbone, entraînant tous ses concurrents sur ce chemin. Shell, qui n’a installé dans le monde que 2,2 GW d’énergies renouvelables, promet d’accentuer ses efforts dans ce domaine. Mais à côté, il y a les autres projets, ceux qui leur importent vraiment : les cinq projettent d’investir des dizaines de milliards de dollars dans les prochaines années pour relancer l’exploration et la production de gaz et de pétrole.

    Le revirement le plus spectaculaire est sans doute celui de BP. Depuis des années, les études du groupe britannique servent de référence pour l’ensemble du monde pétrolier. Il est le premier à avoir tiré la sonnette d’alarme sur la nécessaire transition écologique, le premier aussi à s’être montré le plus ambitieux dans ses objectifs de décarbonation. Tout s’est évanoui.

    Alors que BP s’était engagé auparavant à diminuer de 40 % ses productions pétrolières et gazières d’ici à 2030 afin de diminuer ses émissions et de s’engager dans une stratégie bas carbone, le président de BP, Bernard Looney, a annoncé le 6 février que tout était révisé. Au lieu de 40 % de baisse de ses émissions en 2030, il ne prévoit qu’une diminution de 25 % à cette date, l’objectif initial étant repoussé à 2050. Et même si le groupe promet d’augmenter de 8 milliards de dollars ses investissements dans les énergies renouvelables, il a décidé aussi d’investir fortement dans la production des énergies fossiles, en dépit des recommandations de l’Agence internationale de l’énergie d’arrêter les investissements dans ces énergies.

    Une taxation bien légère et pourtant contestée
    Car jamais cela n’a été aussi rentable. Un critère, cher aux investisseurs financiers, résume à lui seul la rente sur laquelle ils prospèrent : le retour sur les capitaux investis. Ce ratio a atteint des niveaux jamais vus dans une industrie lourde : 25 % pour Exxon, 20,7 % pour Chevron, 16,7 % pour Shell, 30,5 % pour BP, 28,2 % pour Total. Tous sont assis sur des montagnes de cash dépassant les 30 à 40 milliards de dollars. Une situation qui selon eux est appelée à durer au moins jusqu’en 2025. Car tous pensent que la situation sur les marchés pétroliers est appelée à rester durablement tendue, que la Russie ne reviendra pas, ou seulement par des subterfuges, sur les marchés mondiaux.

    Leurs superprofits ont donc toutes les chances de perdurer. Cela ne les empêche pas de se plaindre des « mauvaises manières » qui, selon ces cinq grands groupes, leur sont faites en Europe. Tous insistent sur « l’effort considérable » qu’ils font en raison des taxes et prélèvements qui leur ont été imposés par certains gouvernements européens et britannique, sans parler de la taxe instituée au niveau européen, sur leurs superprofits.

    ExxonMobil prétend que ces impositions lui ont coûté 1,8 milliard de dollars cette année ; Shell cite le chiffre de 2,2 milliards de dollars ; TotalEnergies de 1,7 milliard de dollars. Au nom de tous, ExxonMobil a engagé un procès pour contester la contribution décidée par la Commission européenne sur les superprofits. Compte tenu du flou juridique qui entoure cette décision, le groupe pétrolier a des chances de l’emporter.

    Attaqués de toutes parts par des forces politiques qui contestent ces profits excessifs au moment où les finances publiques sont mises à mal, les groupes pétroliers ont engagé un lobbying d’enfer et des escouades de juristes et de fiscalistes pour contrer les attaques et dissuader tout gouvernement qui serait tenté d’augmenter la fiscalité, même de façon exceptionnelle, sur leurs profits.

    Le ruissellement vers le haut de la rente pétrolière
    La question, cependant, risque de s’imposer à nouveau très vite dans nombre de pays. D’autant que les grands groupes vont avoir de plus en plus de mal à justifier l’utilisation de ces résultats exorbitants.

    Car que font-ils de ces profits colossaux ? Ils les reversent à leurs actionnaires. ExxonMobil a reversé 30 milliards de dollars à ses actionnaires, Shell 26 milliards, plus que ses dépenses d’investissement. Au total, les cinq grands groupes ont versé plus de 80 milliards de dollars sous forme de dividendes et de rachats d’actions en 2022. Ils se préparent à augmenter encore ces versements en 2023. Afin de s’attirer les bonnes grâces des marchés financiers, Chevron a annoncé un programme mammouth qui a même stupéfait Wall Street : le géant pétrolier s’est engagé à dépenser 75 milliards de dollars dans les prochaines années pour racheter ses propres actions. Ce qui n’est pas donner un grand signe de confiance dans ses activités ni même indiquer une vision d’avenir.

    À LIRE AUSSI
    Le monde financier face au changement climatique

    Distraire tant d’argent pour le seul bénéfice des actionnaires alors que l’on sait que la transition écologique va requérir des investissements gigantesques dans les prochaines années apparaît juste comme surréaliste. Ces sommes auraient pu être réinvesties dans d’autres projets d’énergie propre. Les dirigeants auraient pu aussi décider d’en conserver une grande partie pour créer des fonds susceptibles, le moment venu, de financer l’arrêt et le démantèlement de leurs actifs échoués. Car il y aura des dizaines de milliards d’actifs échoués dans ce secteur promis à plus ou moins long terme à entrer en voie d’extinction. Il aurait pu au moins essayer d’apporter des remèdes et des réparations aux pollutions et dégâts provoqués par leurs activités d’exploration et de production.

    Habitués depuis leur création à externaliser tous les coûts de leur activité sur la collectivité et à négliger l’intérêt général, ces grands groupes ne voient pas les raisons qu’il y aurait à changer. Ils poussent leur avantage tant que c’est possible, avant de laisser aux autres la charge de payer les ardoises finales. Des ardoises de plus en plus exorbitantes.

    • Relançons plutôt le débat sur le rôle de la classe capitaliste. Elle gagne des milliards en vendant des engins de mort et se frotte les mains à chaque bombe qui explose. D’autres profitent de la guerre pour spéculer sur le prix de l’énergie. Et d’autres encore espèrent que la guerre sera très destructrice pour vendre du béton et des matériaux de construction. C’est le mur du capitalisme qu’il faut abattre, pas seulement une de ses briques. Pour passer d’une société où tout est bon pour les profits d’une minorité infinitésimale de possédants parasites – y ­compris le pillage et le sang – à une société rationalisée par les producteurs eux-mêmes.

  • Le Petit Livre des grands dangers du #nucléaire (ebook gratuit)
    http://carfree.fr/index.php/2023/02/08/le-petit-livre-des-grands-dangers-du-nucleaire-ebook-gratuit

    Synthèse de plus de 150 documents, ce petit livre aborde les principes fondamentaux de l’énergie nucléaire, de la radioactivité et de ses risques sur la santé, avant de détailler les Lire la suite...

    #Destruction_de_la_planète #Livres #accident #critique #destruction #énergie #france #fukushima #monde #risque

  • Visualizing the Scale of Global Fossil Fuel Production
    https://elements.visualcapitalist.com/the-scale-of-fossil-fuel-production

    The Scale of Global Fossil Fuel Production

    Fossil fuels have been our predominant source of energy for over a century, and the world still extracts and consumes a colossal amount of coal, oil, and gas every year.

    This infographic visualizes the volume of global fossil fuel production in 2021 using data from BP’s Statistical Review of World Energy.
    The Facts on Fossil Fuels

    In 2021, the world produced around 8 billion tonnes of coal, 4 billion tonnes of oil, and over 4 trillion cubic meters of natural gas.

    Most of the coal is used to generate electricity for our homes and offices and has a key role in steel production. Similarly, natural gas is a large source of electricity and heat for industries and buildings. Oil is primarily used by the transportation sector, in addition to petrochemical manufacturing, heating, and other end uses.

    Here’s a full breakdown of coal, oil, and gas production by country in 2021.

    #énergie_fossile #data

    • Visual Capitalist est une publication de l’industrie minière.

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      #extractivisme #capitalisme

  • Lecture de : La guerre des métaux rares. La face cachée de la transition énergétique et numérique, de Guillaume Pitron

    Une perspective nationaliste navrante, mais une somme d’informations capitales.

    Extraits :

    « Le monde a de plus en plus besoin de terres rares, de « #métaux rares », pour son #développement_numérique, et donc pour ttes les #technologies_de_l’information_et_de_la_communication. Les #voitures_électriques et #voitures_hybrides en nécessitent deux fois plus que les voitures à essence, etc. »

    « Nos aïeux du XIXe siècle connaissaient l’importance du #charbon, & l’honnête homme du XXe siècle n’ignorait rien de la nécessité du pétrole. Au XXIe siècle, nous ne savons même pas qu’un monde + durable dépend en très grande partie de substances rocheuses nommées métaux rares. »

    « #Terres_rares, #graphite, #vanadium, #germanium, #platinoïdes, #tungstène, #antimoine, #béryllium, #fluorine, #rhénium, #prométhium… un sous-ensemble cohérent d’une trentaine de #matières_premières dont le point commun est d’être souvent associées ds la nature aux métaux les + abondants »

    « C’est là la clé du « #capitalisme_vert » : [remplacer] des #ressources qui rejettent des millions de milliards de tonnes de #gaz_carbonique par d’autres qui ne brûlent pas – et ne génèrent donc pas le moindre gramme de CO2. »

    « Avec des réserves d’or noir en déclin, les stratèges doivent anticiper la guerre sans #pétrole. […] ne plus dépendre des énergies fossiles d’ici à 2040. […] En recourant notamment aux #énergies_renouvelables & en levant des légions de robots alimentés à l’électricité. »

    « La Grande-Bretagne a dominé le XIXe s. grâce à son hégémonie sur la production mondiale de charbon ; une grande partie des événements du XXe s. peuvent se lire à travers le prisme de l’ascendant pris par les Etats-Unis et l’Arabie saoudite sur la production et la sécurisation des routes du pétrole ; .. au XXIe siècle, un État est en train d’asseoir sa domina routes du pétrole ; au XXIe siècle, un État est en train d’asseoir sa domination sur l’exportation et la consommation des métaux rares. Cet État, c’est la Chine. »

    La Chine « détient le #monopole d’une kyrielle de métaux rares indispensables aux énergies bas carbone & numérique, ces 2 piliers de la transition énergétique. Il est le fournisseur unique du + stratégique : terres rares — sans substitut connu & dont personne ne peut se passer. »

    « Notre quête d’un modèle de #croissance + écologique a plutôt conduit à l’exploitation intensifiée de l’écorce terrestre pr en extraire le principe actif, à savoir les métaux rares, avec des #impacts_environnementaux encore + importants que cx générés par l’#extraction_pétrolière »

    « Soutenir le changement de notre #modèle_énergétique exige déjà un doublement de la production de métaux rares tous les 15 ans environ, et nécessitera au cours des trente prochaines années d’extraire davantage de minerais que ce que l’humanité a prélevé depuis 70 000 ans. » (25)

    « En voulant nous émanciper des #énergies_fossiles, en basculant d’un ordre ancien vers un monde nouveau, nous sombrons en réalité dans une nouvelle dépendance, plus forte encore. #Robotique, #intelligence_artificielle, #hôpital_numérique, #cybersécurité, #biotechnologies_médicale, objets connectés, nanoélectronique, voitures sans chauffeur… Tous les pans les + stratégiques des économies du futur, toutes les technologies qui décupleront nos capacités de calcul et moderniseront notre façon de consommer de l’énergie, le moindre de nos gestes quotidien… et même nos grands choix collectifs vont se révéler totalement tributaires des métaux rares. Ces ressources vont devenir le socle élémentaire, tangible, palpable, du XXIe siècle. » (26)

    #Metaux_Rares Derrière l’#extraction et le « #raffinage », une immense #catastrophe_écologique : « D’un bout à l’autre de la chaîne de production de métaux rares, quasiment rien en #Chine n’a été fait selon les standards écologiques & sanitaires les plus élémentaires. En même temps qu’ils devenaient omniprésents ds les technologies vertes & numériques les + enthousiasmantes qui soient, les métaux rares ont imprégné de leurs scories hautement toxiques l’eau, la terre, l’atmosphère & jusqu’aux flammes des hauts-fourneaux – les 4 éléments nécessaires à la vie »

    « C’est ici que bat le cœur de la transition énergétique & numérique. Sidérés, ns restons une bonne h à observer immensités lunaires & paysages désagrégés. Mais il vaut mieux déguerpir avant que la maréchaussée alertée par les caméras ne débarque »

    « Nous avons effectué des tests, et notre village a été surnommé “le village du cancer”. Nous savons que nous respirons un air toxique et que nous n’en avons plus pour longtemps à vivre. »

    « La seule production d’un #panneau_solaire, compte tenu en particulier du silicium qu’il contient, génère, avance-t-il, plus de 70 kilos de CO2. Or, avec un nombre de panneaux photovoltaïques qui va augmenter de 23 % par an dans les années à venir, cela signifie que les installations solaires produiront chaque année dix gigawatts d’électricité supplémentaires. Cela représente 2,7 milliards de tonnes de carbone rejetées dans l’atmosphère, soit l’équivalent de la #pollution générée pendant un an par l’activité de près de 600 000 automobiles.

    « Ces mêmes énergies – [dites] « renouvelables » – se fondent sur l’exploitation de matières premières qui, elles, ne sont pas renouvelables. »

    « Ces énergies – [dites] « vertes » ou « décarbonées » – reposent en réalité sur des activités génératrices de #gaz_à_effet_de_serre . »

    « N’y a-t-il pas une ironie tragique à ce que la pollution qui n’est plus émise dans les agglomérations grâce aux voitures électriques soit simplement déplacée dans les zones minières où l’on extrait les ressources indispensables à la fabrication de ces dernières ?

    .. En ce sens, la transition énergétique et numérique est une transition pour les classes les plus aisées : elle dépollue les centres-villes, plus huppés, pour mieux lester de ses impacts réels les zones plus miséreuses et éloignées des regards. »

    « Certaines technologies vertes sur lesquelles se fonde notre idéal de sobriété énergétique nécessitent en réalité, pour leur fabrication, davantage de matières premières que des technologies plus anciennes. »

    .. « Un futur fondé sur les technologies vertes suppose la consommation de beaucoup de matières, et, faute d’une gestion adéquate, celui-ci pourrait ruiner […] les objectifs de développement durable. » (The World Bank Group, juin 2017.)

    « Le #recyclage dont dépend notre monde + vert n’est pas aussi écologique qu’on le dit. Son bilan environnemental risque même de s’alourdir à mesure que nos sociétés produiront des alliages + variés, composés d’un nombre + élevé de matières, ds des proportions tjrs + importantes »

    « Dans le monde des matières premières, ces observations relèvent le + souvent de l’évidence ; pr l’immense majorité d’entre nous, en revanche, elles sont tellement contre-intuitives qu’il va certainement nous falloir de longues années avant de bien les appréhender & faire admettre. Peut-être [dans 30 ans] nous dirons-nous aussi que les énergies nucléaires sont finalement moins néfastes que les technologies que nous avons voulu leur substituer et qu’il est difficile d’en faire l’économie dans nos mix énergétiques. »

    « Devenue productrice prépondérante de certains métaux rares, la Chine [a] désormais l’opportunité inédite d’en refuser l’exportation vers les États qui en [ont] le plus besoin. […] Pékin produit 44 % de l’#indium consommé dans le monde, 55 % du vanadium, près de 65 % du #spath_fluor et du #graphite naturel, 71 % du germanium et 77 % de l’antimoine. La Commission européenne tient sa propre liste et abonde dans le même sens : la Chine produit 61 % du silicium et 67 % du germanium. Les taux atteignent 84 % pour le tungstène et 95 % pour les terres rares. Sobre conclusion de Bruxelles : « La Chine est le pays le plus influent en ce qui concerne l’approvisionnement mondial en maintes matières premières critiques ». »

    « La République démocratique du Congo produit ainsi 64 % du #cobalt, l’Afrique du Sud fournit 83 % du platine, de l’iridium et du #ruthénium, et le Brésil exploite 90 % du #niobium. L’Europe est également dépendante des États-Unis, qui produisent plus de 90 % du #béryllium . »

    « Les 14 pays membres de l’OPEP, capables depuis des décennies d’influencer fortement les cours du baril, ne totalisent « que » 41 % de la prod. mondiale d’or noir… La Chine, elle, s’arroge jusqu’à 99 % de la prod. mondiale de terres rares, le + convoité des métaux rares ! »

    Aimants — « Alors qu’à la fin de la décennie 1990 le Japon, les États-Unis et l’Europe concentraient 90 % du marché des aimants, la Chine contrôle désormais les 3/4 de la production mondiale ! Bref, par le jeu du chantage « technologies contre ressources », le monopole chinois de la production des minerais s’est transposé à l’échelon de leur transformation. La Chine n’a pas trusté une, mais deux étapes de la chaîne industrielle. C’est ce que confirme la Chinoise Vivian Wu : « Je pense même que, dans un avenir proche, la Chine se sera dotée d’une industrie de terres rares totalement intégrée d’un bout à l’autre de la chaîne de valeur. » Vœu déjà en partie réalisé. Il a surtout pris racine dans la ville de #Baotou, en #Mongolie-Intérieure . »

    « Baotou produit chaque année 30 000 tonnes d’aimants de terres rares, soit le tiers de la production mondiale. »

    « Nos besoins en métaux rares se diversifient et s’accroissent de façon exponentielle. […] D’ici à 2040, nous devrons extraire trois fois plus de terres rares, cinq fois plus de tellure, douze fois plus de cobalt et seize fois plus de #lithium qu’aujourd’hui. […] la croissance de ce marché va exiger, d’ici à 2050, « 3 200 millions de tonnes d’acier, 310 millions de tonnes d’aluminium et 40 millions de tonnes de #cuivre 5 », car les éoliennes engloutissent davantage de matières premières que les technologies antérieures.

    .. « À capacité [de production électrique] équivalente, les infrastructures […] éoliennes nécessitent jusqu’à quinze fois davantage de #béton, quatre-vingt-dix fois plus d’aluminium et cinquante fois plus de fer, de cuivre et de verre » que les installations utilisant des #combustibles traditionnels, indique M. Vidal. Selon la Banque mondiale, qui a conduit sa propre étude en 2017, cela vaut également pour le solaire et pour l’hydrogène. […] La conclusion d’ensemble est aberrante : puisque la consommation mondiale de métaux croît à un rythme de 3 à 5 % par an, « pour satisfaire les besoins mondiaux d’ici à 2050, nous devrons extraire du sous-sol plus de métaux que l’humanité n’en a extrait depuis son origine ».

    .. Que le lecteur nous pardonne d’insister : nous allons consommer davantage de #minerais durant la prochaine génération qu’au cours des 70 000 dernières années, c’est-à-dire des cinq cents générations qui nous ont précédés. Nos 7,5 milliards de contemporains vont absorber plus de #ressources_minérales que les 108 milliards d’humains que la Terre a portés jusqu’à ce jour. » (211-214)

    Sans parler des « immenses quantités d’eau consommées par l’industrie minière, [des] rejets de gaz carbonique causés par le transport, [du] #stockage et [de] l’utilisation de l’énergie, [de] l’impact, encore mal connu, du recyclage des technologies vertes [de] toutes les autres formes de pollution des #écosystèmes générées par l’ensemble de ces activités [et] des multiples incidences sur la biodiversité. » (215)

    « D’un côté, les avocats de la transition énergétique nous ont promis que nous pourrions puiser à l’infini aux intarissables sources d’énergie que constituent les marées, les vents et les rayons solaires pour faire fonctionner nos technologies vertes. Mais, de l’autre, les chasseurs de métaux rares nous préviennent que nous allons bientôt manquer d’un nombre considérable de matières premières. Nous avions déjà des listes d’espèces animales et végétales menacées ; nous établirons bientôt des listes rouges de métaux en voie de disparition. » (216)

    « Au rythme actuel de production, les #réserves rentables d’une quinzaine de métaux de base et de métaux rares seront épuisées en moins de cinquante ans ; pour cinq métaux supplémentaires (y compris le fer, pourtant très abondant), ce sera avant la fin de ce siècle. Nous nous dirigeons aussi, à court ou moyen terme, vers une pénurie de vanadium, de #dysprosium, de #terbium, d’#europium & de #néodyme. Le #titane et l’indium sont également en tension, de même que le cobalt. « La prochaine pénurie va concerner ce métal, Personne n’a vu le problème venir. »

    « La #révolution_verte, plus lente qu’espéré, sera emmenée par la Chine, l’un des rares pays à s’être dotés d’une stratégie d’approvisionnement adéquate. Et Pékin ne va pas accroître exagérément sa production de métaux rares pour étancher la soif du reste du monde. Non seulement parce que sa politique commerciale lui permet d’asphyxier les États occidentaux, mais parce qu’il craint à son tour que ses ressources ne s’amenuisent trop rapidement. Le marché noir des terres rares, qui représente un tiers de la demande officielle, accélère l’appauvrissement des mines, et, à ce rythme, certaines réserves pourraient être épuisées dès 2027. »

    De la question « du #taux_de_retour_énergétique (#TRE), c’est-à-dire le ratio entre l’énergie nécessaire à la production des métaux et celle que leur utilisation va générer. […] C’est une fuite en avant dont nous pressentons l’absurdité. Notre modèle de production sera-t-il encore sensé le jour où un baril permettra tt juste de remplir un autre baril ? […] Les limites de notre système productiviste se dessinent aujourd’hui plus nettement : elles seront atteintes le jour où il nous faudra dépenser davantage d’énergie que nous ne pourrons en produire. »

    « Plusieurs vagues de #nationalisme minier ont déjà placé les États importateurs à la merci de pays fournisseurs prtant bien moins puissants qu’eux. En fait de mines, le client ne sera donc plus (toujours) roi. La géopolitique des métaux rares pourrait faire émerger de nouveaux acteurs prépondérants, souvent issus du monde en développement : le #Chili, le #Pérou et la #Bolivie, grâce à leurs fabuleuses réserves de lithium et de cuivre ; l’#Inde, riche de son titane, de son #acier et de son #fer ; la #Guinée et l’#Afrique_australe, dont les sous-sols regorgent de bauxite, de chrome, de manganèse et de platine ; le Brésil, où le bauxite et le fer abondent ; la Nouvelle-Calédonie, grâce à ses prodigieux gisements de #nickel. » (226-227)

    « En engageant l’humanité ds la quête de métaux rares, la transition énergétique & numérique va assurément aggraver dissensions & discordes. Loin de mettre un terme à la géopol. de l’énergie, elle va au contraire l’exacerber. Et la Chine entend façonner ce nouveau monde à sa main. »

    « Les #ONG écologistes font la preuve d’une certaine incohérence, puisqu’elles dénoncent les effets du nouveau monde plus durable qu’elles ont elles-mêmes appelé de leurs vœux. Elles n’admettent pas que la transition énergétique et numérique est aussi une transition des champs de pétrole vers les gisements de métaux rares, et que la lutte contre le réchauffement climatique appelle une réponse minière qu’il faut bien assumer. » (234-235)

    « La bataille des terres rares (et de la transition énergétique et numérique) est bel et bien en train de gagner le fond des mers. Une nouvelle ruée minière se profile. […] La #France est particulièrement bien positionnée dans cette nouvelle course. Paris a en effet mené avec succès, ces dernières années, une politique d’extension de son territoire maritime. […] L’ensemble du #domaine_maritime français [est] le deuxième plus grand au monde après celui des #États-Unis. […] Résumons : alors que, pendant des milliers d’années, 71 % de la surface du globe n’ont appartenu à personne, au cours des six dernières décennies 40 % de la surface des océans ont été rattachés à un pays, et 10 % supplémentaires font l’objet d’une demande d’extension du plateau continental. À terme, les États pourvus d’une côte exerceront leur juridiction sur 57 % des fonds marins. Attirés, en particulier par le pactole des métaux rares, nous avons mené, en un tps record, la + vaste entreprise d’#appropriation_de_territoires de l’histoire. »

    « Le projet, entonné en chœur par tous les avocats de la #transition_énergétique et numérique, de réduire l’impact de l’homme sur les écosystèmes a en réalité conduit à accroître notre mainmise sur la #biodiversité. » (248)

    « N’est-il pas absurde de conduire une mutation écologique qui pourrait tous nous empoisonner aux métaux lourds avant même que nous l’ayons menée à bien ? Peut-on sérieusement prôner l’harmonie confucéenne par le bien-être matériel si c’est pour engendrer de nouveaux maux sanitaires et un #chaos_écologique – soit son exact contraire ? » (252)

    Métaux rares, transition énergétique et capitalisme vert https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2023/01/23/metaux-rares-transition-energetique-et-capitalisme-vert_4727 (Lutte de classe, 10 janvier 2023)

    #écologie #capitalisme #impérialisme

  • Le compteur prépayé, machine de misère énergétique des Britanniques pauvres Tristan de Bourbon Correspondant de La Libre à Londres

    Quelque 3,2 millions de Britanniques détenteurs de ce type d’appareil ont vu leur gaz ou leur électricité coupés l’an dernier. Ils n’avaient plus les moyens financiers d’approvisionner leur compte.

    Bien que le thermomètre ne dépasse pas deux degrés, Richard Betts sort de chez lui en chaussettes. Ce chauffeur de taxi londonien de 50 ans va inspecter d’urgence son compteur à gaz, situé dans une armoire blanche, à côté de la porte de sa maison. “Il reste… 3,29 livres sterling” (3,75 euros), annonce-t-il après avoir appuyé sur le bouton rouge du compteur. “Cela ne tiendra pas jusqu’à ce soir, il va falloir que je sorte bientôt pour remettre de l’argent.”

    La famille Betts possède un compteur prépayé pour sa consommation de gaz. Ses membres doivent donc se rendre régulièrement dans un commerce voisin pour remettre des crédits sur la carte donnée par l’entreprise SSE, leur fournisseur de gaz. La carte doit ensuite être insérée dans la fente du compteur pour que leur crédit soit comptabilisé. “Cela fait beaucoup pour un jeudi soir, vu que j’ai déjà payé 60 livres (69 euros) depuis lundi”, maugrée-t-il en sortant trois fiches de paiement de son portefeuille. L’inflation navigue entre 9 % et 11,1 % depuis le mois d’avril 2022, avec un tarif du gaz payé par les particuliers multiplié par 3,4 et celui de l’électricité par 2,2 depuis septembre 2021.

    Installation obligatoire pour les ménages endettés
    Avec deux salaires, le couple ne se dit pas à plaindre. “Nous ne partirons pas en vacances cette année et, en raison de la hausse folle des prix de l’alimentation. J’épluche les sites des supermarchés pour savoir lequel fait des promos sur les produits dont nous avons besoin”, précise Kelie, 46 ans, qui travaille à mi-temps comme caissière dans un grand magasin et comme aide-soignante auprès de handicapés. L’inflation des produits alimentaires s’est élevée à 16,8 % en décembre 2022, selon le Bureau national des statistiques. “Néanmoins, les enfants ont de quoi manger et nous pouvons payer nos factures.” Mais pas à n’importe quelle condition : “J’éteins le chauffage pendant la journée et je positionne le thermostat à 18 degrés lorsque nous rentrons du travail ou les enfants de l’école. Et si j’ai froid le soir lorsque je lis sur le canapé, je branche la couverture électrique.”

    Nombre de concitoyens de la famille Betts ne bénéficient pas de telles conditions, aussi spartiates paraissent-elles. En particulier, une grande partie des près de 10 millions de Britanniques qui disposent aussi d’un compteur prépayé, pour le gaz ou l’électricité, parfois les deux. Leur nombre augmente d’ailleurs constamment : 160 000 personnes devraient se faire installer un compteur prépayé contre leur volonté avant la fin de l’hiver par suite de la requête judiciaire de leur fournisseur d’énergie, selon un rapport de l’organisation caritative Citizens Advice. Ils étaient déjà 600 000 dans ce cas en 2022.

    Les fournisseurs d’énergie imposent en effet l’installation, payante, d’un compteur prépayé lorsque leurs clients contractent une dette trop importante vis-à-vis d’eux et qu’ils ne parviennent pas à la rembourser. Ce compteur a une conséquence immédiate : le gaz ou l’électricité de ces foyers s’arrêtent automatiquement peu après que leur crédit est épuisé. “Les clients utilisant des compteurs prépayés sont beaucoup plus susceptibles de rationner leur énergie, en reportant le rechargement de leur carte pour économiser de l’argent au détriment du chauffage et de la nourriture”, explique Peter Hutton, l’un des responsables de l’organisation caritative StepChange.

    Front commun contre les compteurs prépayés
    De fait, 3,2 millions de personnes ont vu leur électricité ou leur gaz coupés en 2022 parce qu’ils étaient financièrement incapables de remettre des crédits sur leurs cartes, dont 600 000 pendant plus de vingt-quatre heures, toujours selon Citizens Advice. Enfin, 860 000 sont coupés au moins une fois par semaine. Concrètement, ils ne peuvent alors plus se chauffer, cuisiner, se laver, garder leur réfrigérateur allumé,... Le rapport de Citizen Advice détaille des exemples concrets, comme celui d’un homme coupé d’électricité pendant une semaine alors que l’insuline nécessaire à son diabète doit être réfrigérée. Ou encore de une femme célibataire et ses deux enfants, restés sans gaz et donc sans chauffage pendant quatre jours.

    Les fournisseurs ne sont pas autorisés à imposer un compteur prépayé à un foyer où réside un malade de longue durée ou un handicapé et ils se sont engagés à ne pas couper l’accès à l’énergie cet hiver aux familles avec enfants. Ces obligations et ces promesses ne sont pourtant pas respectées. Ainsi, 130 000 foyers incluant un malade ou un handicapé ont vu leur accès à l’énergie coupé au moins une fois par semaine, selon Citizens Advice. Ces abus expliquent les appels de nombreuses organisations caritatives, de plusieurs députés, du parti travailliste, mais aussi du tabloïd The Sun à interdire l’installation forcée de compteurs prépayés cet hiver. Sans que le gouvernement conservateur de Rishi Sunak juge nécessaire de répondre à leurs inquiétudes : le Premier ministre estime que l’État a déjà fait tout son possible après que son prédécesseur Boris Johnson a attribué une aide annuelle exceptionnelle de 400 livres (455 euros) à tous les Britanniques, qui s’élève jusqu’à 1 200 livres (1 365 euros) pour les plus pauvres.

    Source : https://www.lalibre.be/international/europe/2023/01/29/le-compteur-prepaye-machine-de-misere-energetique-des-britanniques-pauvres-D

    #Angleterre #pauvreté #énergie #électricité #gaz #compteur #compteur_prépayé #dette

  • Les États membres de l’UE utilisent le bois de chauffage pour gonfler leurs statistiques sur les énergies renouvelables
    https://www.euractiv.fr/section/energie/news/les-etats-membres-de-lue-utilisent-le-bois-de-chauffage-pour-gonfler-leurs-

    Selon M. Rosenow, environ 30 % de l’énergie contenue dans une bûche de bois est réellement transformée en chaleur utilisable lorsqu’elle est brûlée dans un foyer, tandis que les 70 % restants sont simplement perdus et « partent dans votre cheminée ». Toutefois, cela ne se reflète pas dans les statistiques officielles de l’UE, qui considèrent que 100 % de la biomasse est brûlée de manière efficace.

    Les autres technologies de chauffage renouvelables, comme les pompes à chaleur, qui fonctionnent à l’électricité, sont quant à elles évaluées selon un critère différent : la quantité de chaleur délivrée, ou énergie utile.

    Selon M. Rosenow, il en résulte que le chauffage à base de biomasse semble disproportionnellement plus important dans les rapports statistiques officiels de l’UE qu’il ne l’est réellement.

    [...] Pire encore, cette faille statistique incite les États membres de l’UE à encourager le chauffage au bois comme source d’énergie pour atteindre leurs objectifs en matière d’énergies renouvelables, affirme M. Rosenow.

    « Selon la directive sur les énergies renouvelables, plus vous brûlez de biomasse, plus vous atteignez vos objectifs », explique-t-il.

    [...] La consommation d’énergie de la biomasse a plus que doublé dans l’UE depuis 1990, et les chercheurs ont remarqué que la plus forte hausse a eu lieu à partir de 2002, lorsque l’UE a publié sa première directive incluant la biomasse dans les énergies renouvelables.

    Pour les auteurs de l’étude, les politiques de l’UE en matière de biomasse doivent être modifiées de toute urgence afin d’arrêter la disparition des puits de carbone que représentent les forêts européennes et de contenir le réchauffement de la planète.

    [...] Jan Rosenow estime que les réticences au changement sont également dues à la résistance des pays nordiques et de l’Autriche, qui sont parvenus à une part élevée d’énergie renouvelable grâce à la biomasse.

    Un changement de méthodologie « les ferait paraître beaucoup moins performants », a-t-il déclaré. « Et cela constitue une pierre d’achoppement importante dans cette discussion. »

    #biomasse #bois #chauffage #énergie #union_européenne

  • Métaux rares, transition énergétique et capitalisme vert
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/https:/mensuel.lutte-ouvriere.org/2023/01/23/metaux-rares-transition-energetique-et-capitalisme-vert_4727

    Mais ces formules restent bien creuses. Pour reprendre le titre d’un rapport de plusieurs centaines d’experts publié en juin 2022, «  la #transition_énergétique n’a pas lieu  ». En effet, à ce jour, 80 % des #énergies utilisées dans le monde sont toujours produites à partir de pétrole, de gaz et de charbon. Pire, depuis le déclenchement de la guerre en Ukraine, les États ont relancé les productions d’énergie les plus polluantes  : centrales au charbon, #gaz_de_schiste importé des #États-Unis, car sa production est toujours interdite dans l’#Union_européenne du fait de ses conséquences néfastes sur l’#environnement. Les dirigeants de ce monde n’ont jamais autant parlé d’écologie, mais pas grand-chose ne change en réalité. Dans le système capitaliste, les maîtres de l’économie ne sont prêts à envisager des évolutions que (...)

    – Les #métaux, #pétrole du 21e siècle  ?
    – La lutte des capitalistes et de leurs États pour les #matières_premières
    – La #Chine, premier producteur de métaux rares… pour le plus grand profit des capitalistes occidentaux
    – L’État chinois face à l’#impérialisme
    – La politique des trusts  : satisfaire les actionnaires plutôt que creuser des #mines
    – Il n’y a pas de #capitalisme_vert  ! Le seul avenir, c’est le #communisme  !

  • #Investigation : le pellet, un combustible pas si parfait - rtbf.be
    https://www.rtbf.be/article/investigation-le-pellet-un-combustible-pas-si-parfait-11135734

    "Le pellet renouvelable, durable, belge et bon marché ! ", la pub passe en boucle. Toutefois, cette promesse de combustible pas cher, vertueux pour la planète et l’économie nationale mérite que l’on s’y attarde un moment, histoire de voir si, des fois, la mariée ne serait pas trop belle.(...) La filière du bois de chauffage et du bois #énergie répète en boucle que le bois, lorsqu’il brûle ne fait que restituer le gaz carbonique qu’il a stocké lors de la croissance de l’arbre dont il est issu. C’est sur ce postulat qu’est basée l’affirmation que la combustion du bois a un bilan carbone neutre. Le problème est que pour retrouver la capacité d’absorption de CO2 d’un arbre coupé, il faudra patienter plusieurs dizaines d’années. Faut-il encore qu’un nouvel arbre ait été planté pour remplacer le précédent. (...)

    #environnement

  • A Lützerath, les banques françaises font le choix du charbon face au climat
    https://disclose.ngo/fr/article/a-lutzerath-les-banques-francaises-font-le-choix-du-charbon-face-au-climat

    L’entreprise allemande RWE, financée à hauteur de centaines de millions d’euros par les banques françaises, s’apprête à raser le village de Lützerath pour étendre sa mine de charbon géante. Selon une étude scientifique inédite, la pollution émise par les centrales à charbon de l’énergéticien est responsable de la mort prématurée de plus de 36 000 personnes en Europe. Lire l’article

    • Dans le cas de Fukushima et de la plupart des réacteurs à eau bouillante (BWR), ce qui précède est totalement faux car en réalité on devrait écrire : « Dès détection du tremblement de terre, le réacteur s’est mis en sécurité. Projetées violemment vers le haut par un mécanisme – pneumatique ? hydraulique ? mécanique ? – situé sous la cuve du réacteur, les barres de contrôle ont atteint leur position, perchées au sommet de cette cuve d’où le mécanisme les a ensuite empêchées de retomber. » Nettement moins rassurant… et pourtant vrai, regardez la véritable disposition des barres de contrôle dans un réacteur type Fukushima (elle a été vraisemblablement modifiée dans le schéma équivalent du Monde sans fin).


      Disposition des barres de contrôle dans un réacteur type Fukushima.
      Source : Wikimedia Commons

      Cette position de l’entrée des barres de contrôle par le fond de la cuve du réacteur a eu des conséquences beaucoup plus graves que la simple présence du risque indiqué plus haut. En effet les fonds des six cuves des réacteurs à eau bouillante de Fukushima ont été percés lors de leur fabrication de centaines de trous par où coulissent les barres de contrôle. En cas de fusion du cœur (ce qui a été le cas pour les trois réacteurs alors en fonctionnement), du corium (nom donné au résidu de cette fusion) porté par sa radioactivité résiduelle à une très forte température a détruit les joints entourant les barres de contrôle à hauteur de la traversée de la cuve et s’est écoulé sous les trois cuves, ce qui dans la hiérarchie des accidents nucléaires vient juste après l’explosion complète d’un réacteur et de son bâtiment comme à Tchernobyl.

      https://www.researchgate.net/profile/Randy-Nanstad/publication/255241979/figure/fig2/AS:670702378160138@1536919316497/Boiling-water-reactor-reactor-pressure-vessel.png
      _Cuve sous pression d’un réacteur à eau bouillante.
      Source : Busby, Jeremy & Nanstad, Randy Prioritization and Implementation Plan for Collaborative Case Study on RPV Steels During Extended Service-

      Le domaine est tellement sensible que les autorités japonaises ont fait croire pendant des heures à un faux suspense (les cuves allaient-elles résister ?) alors qu’elles savaient, ainsi que les concepteurs et les constructeurs de ce type de centrales et les autorités de sûreté des pays où elles sont actuellement en exploitation, que c’était absolument impossible puisque les fonds de cuves étaient déjà percés. Ce secteur d’activité ne respire donc pas la transparence…

    • P. 42. Le gaz n’a remplacé aucune énergie, il s’ajoute aux autres (p. 41, il est dit la même chose sur le pétrole qui n’aurait pas remplacé le charbon)

      FAUX : le pétrole a d’abord répondu puis engendré le développement de la mobilité routière, il s’est ensuite imposé comme substitut au charbon pour fabriquer de la vapeur (et donc de l’électricité, mais aussi dans les trains et les bateaux), puis dans tous les usages thermiques, puis, face à la concurrence du gaz, il s’est replié sur ses usages non substituables dans le paradigme actuel, à savoir les engins de transports, le bitume et la chimie organique. La conclusion tirée est donc fausse, abusée par la magie des graphiques simplistes.

      Euuuh… Jean-Baptiste Fressoz, spécialiste de l’histoire des énergies, a écrit des livres entiers, démontrant historiquement et nombreux chiffres à l’appui que chaque énergie n’a jamais remplacé les précédentes mais toujours ajouté en plus. Par exemple qu’on consomme bien plus de charbon maintenant qu’il y a 100 ou 200 ans, et pareil pour le bois. Pour toute énergie.
      https://seenthis.net/messages/970907

  • Pendant ce temps-là…

    Les « #superprofits » des #pétroliers sont historiques, au point d’avoir, sans guère de doute, dépassé les 200 milliards de dollars en 2022 rien que pour les pétroliers occidentaux. La publication prochaine des résultats annuels d’#ExxonMobil, #Chevron, #TotalEnergies, #BP, #Shell et consorts devrait confirmer le caractère exceptionnel de l’année 2022, qui a vu les prix de l’#énergie s’envoler… et les pétroliers en profiter largement.
    A elles deux, les majors américaines ExxonMobil et Chevron vont frôler les 100 milliards de dollars de #bénéfices sur l’année. Un total que dépasseront aussi allègrement, ensemble, les quatre principales sociétés européennes du secteur, BP, Shell, TotalEnergies et Equinor. Les #profits du Saoudien Aramco et des autres acteurs contrôlés par des Etats seront aussi au sommet.
    Les dividendes en avant
    Ce « trésor de guerre » bénéficie en premier lieu aux #actionnaires. Les montants redistribués ont atteint des records en 2022 et les Européens ont tendance à combler l’écart qui existait dans ce domaine, historiquement, avec les Américains. Là où les actionnaires d’ExxonMobil et Chevron récupéreront près de 60 % des bénéfices de l’an dernier, le taux de redistribution atteindra 48 % en moyenne en Europe, selon AlphaValue. Mais il devrait grimper à 73 % chez Shell, par exemple.
    Les pétroliers européens ont ou vont reverser un total de 122 milliards de dollars à leurs actionnaires pour l’année 2022, via 78 milliards de dollars de dividendes et 44 milliards de rachats d’actions.

  • Une petite philosophie du kWh, chronique d’Étienne Klein
    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/le-pourquoi-du-comment-science/petite-philosophie-du-kwh-1826811

    Un calcul simple indique que votre corps réclame chaque jour 2,4 kWh.
    Mais dans la vie, nous ne faisons pas que manger. Nous nous déplaçons, nous nous chauffons, et faisons aussi toutes sortes de choses qui réclament de l’énergie. Afin d’avoir une appréciation tangible de notre consommation globale d’énergie, on peut l’évaluer en choisissant comme unité de mesure l’énergie consommée chaque jour par le corps d’une personne pour alimenter son métabolisme.
    (...)
    En moyenne, un Français dispose de plus de 150 esclaves énergétiques, avec bien sûr de très grands écarts autour de cette valeur moyenne. C’est une façon très parlante de mesurer ce que d’aucuns appellent notre « servitude énergétique ».

    #énergie #métabolisme

  • Les éditions Dargaud hackées par des activistes antinucléaires :

    La bande dessinée « le Monde sans fin », de Jancovici, victime d’un faux erratum anti-nucléaire – Libération
    https://www.liberation.fr/checknews/la-bande-dessinee-le-monde-sans-fin-de-jancovici-victime-dun-faux-erratum

    La méthode est audacieuse. Des personnes se faisant passer pour des représentants de l’éditeur Dargaud se sont rendues dans plusieurs librairies sur le territoire pour insérer un faux erratum de deux pages dans la bande dessinée le Monde sans fin (cosignée par Christophe Blain et Jean-Marc Jancovici), selon un article du site Actualitté paru le 22 décembre. Un courriel reprenant le faux erratum a également été diffusé ce jeudi à de nombreux libraires.

    Le faux erratum en intégralité :

    ERRATUM / LE MONDE SANS FIN – Jancovici-BlainChères lectrices, chers lecteurs,Les incendies de cet été ont créé un regain d’inquiétude dans l’équipe de notre maison d’édition et nous ont poussés à requestionner la ligne de nos publications. Le livre Un monde sans fin, de Jean-Marc Jancovici et Christophe Blain, édité en 2021, est un grand succès en librairie et en bibliothèque, et nous vous en remercions. Nous sommes cependant au regret de devoir publier un erratum et d’attirer votre attention sur certains points importants. Jean-Marc Jancovici a maintes fois démontré son formidable talent de vulgarisateur scientifique. Nous devons néanmoins re-connaître son manque de compétences flagrant en sciences humaines. Cette lacune lui fait réduire toute lecture sociale et économique à son point de vue d’ingénieur, alors que le développement technologique ne fait pas tout. Par exemple, à plusieurs reprises, les évolutions du prix du pétrole ou les avancées démocratiques ne sont hélas présentées que comme de pures variables mathématiques, et l’influence des luttes sociales et des dynamiques géopolitiques est tout bonnement mise aux oubliettes. Cela revient à un appauvrissement certain de l’Histoire qui peut entraver la bonne compréhension des ressorts complexes qui nous ont conduit aux enjeux écologiques actuels... Cela nous met dans l’embarras et nous semble assez problématique pour devoir vous en informer. L’orientation générale du livre, malgré son apparente critique de la croissance, est de tendance libérale et plutôt autoritaire, comme vous l’aurez sûrement relevé. Il n’y a pas à s’étonner outre mesure de cette position, étant donné que le think tank The Shift Project, dirigé par notre auteur, est financé par des entreprises influentes comme EDF, Bouygues, Vinci, Michelin... Mais par souci de transparence, nous nous devions de souligner cette information auprès de celles et ceux d’entre vous qui peut-être l’ignoraient.
    C’est à ce titre et donc tout à fait logiquement que ce livre défend la cause du nucléaire, incarnation de l’alliance entre la technique, la science et l’industrie. Pourtant cela ne justifie pas à nos yeux que Jean-Marc Jancovici use d’approximations, d’intox et de procédés rhétoriques qui ne permettent pas aux lecteurs de se faire une opinion juste et fondée sur les faits. Cela commence dès les premières pages du livre, mais nous vous demandons d’être particulièrement vigilants à partir de la page 128. Nous ne pouvons relever ici tous les points de la BD qu’il s’agirait de corriger et discuter. Pour n’en citer qu’un sur lequel nous ne pouvons nous résoudre à fermer les yeux : la vision des accidents de Tchernobyl et de Fukushima ainsi que sur le nombre de morts et de personnes contaminées par le nucléaire cité page 138 représentent un révisionnisme et un négationnisme parmi les plus grossiers du livre. Bref, vous l’aurez compris, bien que doté d’un esprit de syn-thèse impressionnant et porté par les dessins efficaces de Blain, Jean-Marc Jancovici peut avoir le malheur de simplifier à outrance des problèmes de société, et exprime de simples opinions poli-tiques avec l’assurance de la vérité scientifique. Ce biais intellectuel empêche de penser les problématiques autrement qu’en solutions technologiques, à une époque où le mouvement écologiste saisit la nécessité de prendre conscience des différents systèmes d’exploitation auxquels il fait face (capitalisme, colonialisme, indus-trialisme...). Nous ne pouvons le cautionner, ni en tant qu’éditeurs, ni en tant que personnes sensibles et douées de raison. Pour autant, nous ne retirerons pas la bande dessinée de la vente car nous croyons malgré tout en sa qualité : cette oeuvre pousse, à sa façon, son lectorat à l’esprit critique, voire à l’indignation. Alors à vous de jouer, chers lectrices et lecteurs ! Saurez-vous déceler les erreurs et faux qui jonchent le texte ? Nous nous en remettons à vous ! N’hésitez pas à nous envoyer vos courriers de correction, que nous pourrons peut-être intégrer lors d’une ré-édition.
    La commission Environnement de Dargaud
    contact@dargaud.fr

    Source : https://actualitte.com/article/109276/edition/erratum-pour-le-monde-sans-fin-dargaud-piege-par-des-activistes